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MODELLI E

TECNICHE DI

OSSERVAZIONE

6 cfu
Secondo anno L24

Docente referente:
Simona Grilli
simona.grilli@unimercatorum.it
Filippo Petruccelli - L’osservazione

1. Osservazione versus teoria

Secondo la metafora de “l’arco della conoscenza”, il processo conoscitivo è rappresentato

come una struttura che si sostiene grazie a due pilastri: uno che va dal basso verso l’alto, dove le

informazioni raccolte attraverso i sensi vengono trasformate in concetti grazie all’intelletto; l’altro,

dall’alto verso il basso, che partendo dalle idee arriva fino ai fatti del reale.

L’epistemologia, branca della filosofia che si occupa dello studio critico della natura e dei

limiti delle scienze, ha indagato a lungo su quale fosse la via migliore per perseguire la conoscenza

vera1. È meglio adottare un approccio induttivo, inferendo regole generali dall’osservazione di una

molteplicità di casi, o un ragionamento deduttivo, generalizzando regole proprie dell’intelletto a

fatti specifici?

1 Aureli, T., & Perucchini, P. (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino. Il mulino

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Riflettendo sull’argomento è possibile comprendere che la formulazione di un’inferenza

generale partendo da eventi particolari richiede che vengano formulate ipotesi tramite la ragione.

D’altro canto, generalizzare una legge costituita razionalmente alla realtà prevede che si abbiano

informazioni empiriche e che quindi venga utilizzata l’osservazione. Da ciò possiamo dedurre che

entrambi i metodi sono necessari in quanto nessuno dei due, singolarmente, riesce a rendere

conto da solo del processo conoscitivo (ibidem).

L’empirismo logico dei primi anni del Novecento affermava che una teoria che ha la

finalità di spiegare un fenomeno della vita reale è detta scientifica quando ragiona su dati

osservativi e li utilizza per verificare le sue affermazioni. A tale scopo è necessario che l’asserzione

teorica sia completamente traducibile nel linguaggio dell’osservazione. Sono quindi necessarie

delle “regole di rispondenza” che garantiscono la riconducibilità delle affermazioni teoriche al

linguaggio delle cose, facendo sì che le asserzioni teoriche possano essere confrontate con la

realtà che si impegnano a spiegare, così da essere verificate.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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2. Soggettività e oggettività

«Non esiste alcunché che si possa considerare come esperienza osservativa pura, cioè

assolutamente libera da aspettativa e da teoria».

Le parole del filosofo, epistemologo austriaco Popper incidono profondamente sul modo di

concepire l’osservazione (ibidem). Non è infatti possibile guardare agli eventi senza l’intervento del

pensiero: è impensabile l’idea di guardare il mondo esterno senza attivare i processi percettivi,

cognitivi ed emotivi che fanno parte del nostro mondo interno. L’osservazione è perciò carica di

teoria (theory laden; ibidem). Il ricercatore non si limita perciò a riportare i fatti così come sono

nella realtà, ma opera secondo aspettative, conoscenze, teorie precedentemente acquisite.

Secondo Popper, l’osservazione è «un processo in cui giochiamo una parte intensamente

attiva. Un’osservazione è una percezione pianificata e programmata. Non “abbiamo”

un’osservazione (come possiamo avere un’esperienza di senso) ma “facciamo” un’osservazione.

Un’osservazione è sempre preceduta da un particolare interesse, una questione, o un problema –

in breve, qualcosa di teorico. Dopo tutto, possiamo sempre porre una questione sotto forma di

ipotesi o congettura e cui aggiungiamo “È così? Sì o no?”. Questo è il motivo per cui le osservazioni

sono sempre selettive e per cui presuppongono qualcosa come un principio di selezione»2.

Su questa linea di pensiero, possiamo ben comprendere che il numero di asserzioni che è

possibile fare in potenza osservando un fatto è quindi infinito, mentre quelle che effettivamente

compiamo sono solo un numero ristretto, definito in base al processo decisionale dell’osservatore.

2 Popper, K. (1975). Conoscenza oggettiva, tr. it. Armando, Roma, 242.

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Il ruolo dell’osservazione è perciò quello di verificare la teoria piuttosto che essere il suo

fondamento. L’accento si pone quindi a livello metodologico e procedurale, guardando al modo

di condurre osservazioni attendibili che permettano un confronto continuo tra concetti generali ed

eventi particolari.

In conclusione, non è possibile rilevare un fatto in modo neutro ma la sua rilevazione potrà

essere attendibile, ovvero il più possibile fedele alla realtà.

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3. La contrapposizione tra metodo osservativo e


metodo sperimentale. L’osservazione come metodo
di ricerca.

L’osservazione risulta essere un fondamentale strumento per l’acquisizione e il controllo

delle conoscenze. In ambito scientifico, per “osservazione” si intende il processo tramite cui

vengono rilevati, accertati, riconosciuti dei fatti e vengono acquisite informazioni circa un

fenomeno3. La tecnica osservativa può assumere varie forme: può essere effettuata in contesti

naturali o di laboratorio; tramite gli organi di senso o tramite strumenti; in condizioni di libertà o di

rigido controllo. Tuttavia, il suo scopo fondamentale è sempre quello di fornire dati utili alla

conoscenza.

I primi riferimenti al metodo osservativo in ambito psicologico risalgono a inizio del secolo

scorso nella contrapposizione tra due stili di lavoro: il metodo sperimentale ed il metodo empirico.

Nel 1879 la metodologia sperimentale veniva applicata nel primo laboratorio di Psicologia

a Lipsia, il cui padre fondatore è Wilhelm Wundt, psicologo, fisiologo e filosofo tedesco. Secondo

l’autore, soltanto tramite la sperimentazione risultava possibile ragionare obiettivamente e

scientificamente sui fatti psichici, i quali venivano intesi come fenomeni elementari, ovvero

sensazioni e percezioni. Questi dovevano essere quindi rilevati tramite modalità rigorose e

sistematiche. Lo studio della mente avveniva in condizioni controllate e la misurazione dei fatti

psichici veniva effettuata tramite strumenti matematici e statistici con la finalità di ricavare dati

obiettivamente rilevabili, fornendo così alla disciplina basi scientifiche.

D’altro canto, Franz Brentano, sostenitore della psicologia empirica, asseriva che

l’osservazione fosse la via privilegiata per comprendere i fenomeni psichici, i quali venivano intesi

non come contenuti elementari ma come processi e funzioni dell’attività mentale.

3 Aureli, T., & Perucchini, P. (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino. Il mulino

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Il ricercatore si limita quindi a prendere atto di ciò che accade, assumendo un

atteggiamento di ascolto e osservando i comportamenti nel loro spontaneo fluire.

Il metodo sperimentale, controllato e focalizzato sulla misurazione dei contenuti, e quello

osservativo, spontaneo e concentrato sulla descrizione dei processi, rispecchiavano le differenze

generali sul modo di vedere la disciplina (ibidem).

Anche all’interno della psicologia dello sviluppo il ruolo privilegiato dell’osservazione

sostenuto da Charlotte Buhler e Anna Freud si contrappone al metodo più rigido della

sperimentazione in laboratorio di Anderson e Murchison, effettuata tramite l’utilizzo di strumenti

psicometrici (ibidem).

Fino agli anni ’50, il comportamento del bambino in l’età infantile veniva studiato tramite

metodi di condizionamento classico ed operante, concentrandosi in particolare sul fenomeno

dell’apprendimento, utilizzati precedentemente anche per lo studio degli animali. Con lo scopo di

presentarsi come una scienza naturale perciò venne adottato, anche in quel caso, quello

sperimentale come metodo di elezione.

Successivamente, i fallimenti dello sperimentalismo hanno condotto ad una maggiore

consapevolezza della complessità del comportamento infantile, con un conseguente

avvicinamento al metodo osservativo, sostenuto da alcune opere tra cui l’Observational child

study di Herbert F. Wright inserito all’interno dell’Handbook of Research Methods in Child

Development4. Sottolineando i risultati lenti ma sicuri ottenuti tramite l’osservazione, sia in ambito

psicologico che all’interno di altre discipline, l’autore effettua una rassegna di quelli che sono i

metodi basati sull’osservazione diretta.

4 Mussen, P. H. (1960). Handbook of research methods in child development.

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Illustra, ad esempio, la descrizione diaristica che offre la possibilità di ottenere un quadro

completo del comportamento e delle circostanze in cui prende vita; la registrazione di specimen,

descrizioni minuziose di ciò che accade in uno specifico lasso temporale di vita del soggetto,

favorendo la raccolta continuativa del comportamento in tutta la sua ricchezza, tenendo conto

del contesto in cui si esplica e assicurando, grazie alla mancanza di selettività dell’osservazione, la

raccolta di dati neutrali ed esaustivi (ibidem).

L’autore riconosce la necessità di addestrare gli osservatori. Infatti, entrambi i metodi

risentono della soggettività della rilevazione. Nel primo caso, secondo l’autore, la descrizione

diaristica dovrebbe essere schematizzata e le osservazioni dovrebbero essere raccolte in categorie

in modo da evitare descrizioni di interessi momentanei e non scientifici.

Nel secondo caso, l’osservatore dovrebbe rispettare istruzioni precise nella redazione dello

specimen, avvalendosi di note durante e dopo l’osservazione (ibidem).

Wright parla poi del campionamento temporale, sottolineandone i limiti. Tale metodo

prevede la raccolta di alcuni elementi del comportamento preselezionati che hanno luogo in

intervalli di tempo separati. L’utilizzo di intervalli temporali, categorie predefinite di osservazione e

misure della frequenza e della durata di tali comportamenti, nonostante garantiscano

economicità, efficienza ed accuratezza, secondo l’autore, non permettono di cogliere la

complessità del comportamento. Egli sottolinea come a volte sussista una relazione negativa tra la

significatività di un evento e la frequenza del suo manifestarsi. Pertanto, tale metodo risulterebbe

utile esclusivamente per verificare quanto frequentemente si esprime un dato comportamento

oggetto di interesse5.

5 Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino.

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Tra il resoconto completo e dettagliato dell’oggetto di interesse, effettuato tramite lo

specimen e la classificazione di elementi specifici del comportamento, tramite il campionamento

temporale è possibile rinvenire un metodo “di mezzo”, costituito dal campionamento per evento. In

questo caso il comportamento può essere osservato sia a livello molare sia molecolare e il

ricercatore si occupa di registrare narrativamente il comportamento scelto come oggetto di

rilevazione (ibidem). In questo modo l’evento può essere descritto nella sua interezza e naturalità

all’interno del contesto in cui si verifica. Inoltre, viene garantita l’affidabilità delle rilevazioni:

essendo la condotta da rilevare predeterminata, è possibile calcolare l’accordo interosservatori.

L’autore tratta inoltre l’analisi di unità di campo che permette di rilevare il comportamento

in unità temporali continuative e di organizzarlo in categorie precedentemente stabilite,

comprendenti comportamenti generali (ad esempio, “comportamento responsivo”) o

comportamenti specifici (ad esempio, “la madre che aiuta il bambino”). In questo modo, il

comportamento descritto viene nella sua completezza (livello generale) e nella sua progressione

(livello specifico) (ibidem).

In sostanza possiamo asserire che, secondo Wright, il metodo osservativo fornisce una

descrizione ampia e completa del comportamento infantile, cogliendone la sua significatività e la

sua naturalezza (ibidem).

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4. L’osservazione come metodo di rilevazione

Anche McCall sottolinea come le ricerche in ambito evolutivo sviluppate dagli anni ’60

fossero basate prevalentemente sulla manipolazione sperimentale del comportamento e, come

Wright, ritiene che ciò sia dovuto al tentativo di far guadagnare alla psicologia evolutiva uno status

accettabile all’interno della comunità scientifica.6 L’autore sottolinea quindi la necessità di porre

l’accento su come un determinato fattore produca uno specifico comportamento nel contesto in

cui tipicamente si manifesta.

La deificazione del metodo sperimentale dovrebbe perciò lasciare il posto all’utilizzo

dell’osservazione, la quale non è escluso che possa venire utilizzata all’interno di ricerche

sperimentali oltre che naturalistiche. Pertanto, l’osservazione, piuttosto che riflettere un “genere di

ricerca”, viene definita dall’autore come una tecnica di rilevazione spendibile tanto all’interno di

ricerche naturalistiche quanto all’interno di disegni di ricerca sperimentali.

Weick, cercando di definire i metodi osservativi, sostiene che la tecnica di rilevazione dei

dati, non sia «niente di più e niente di meno che un’estensione dell’area scientifica di un’abilità

generale degli esseri umani e si qualifica come una qualunque tecnica che serve a migliorare

l’accuratezza di tale abilità»7. Secondo l’autore, l’osservazione è stata equiparata ad un modello

generale basato su:

 l’indagine libera da ipotesi precostituire;

 il focus sugli eventi all’interno dei loro contesti naturali;

 la neutralità del ricercatore;

 la rilevazione del comportamento nella sua interezza.

6McCall, R. B. (1977). Challenges to a science of developmental psychology. Child Development. 48 (2): 333-344.
7Weick, K.E. (1968). Systematic observational methods, in G. Lidzey e E. Aronson (a cura di), The Handbook of Social
Psychology, Reading, Mass., Addison-Wesley: 13-451.

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In realtà, la differenza tra metodo sperimentale e metodo osservativo può essere rinvenuta

esclusivamente nella qualità delle rilevazioni, problematica risolvibile tramite l’addestramento

dell’osservatore con la finalità di renderlo maggiormente affidabile nelle sue indagini (ibidem).

Nell’ambito della psicologia dello sviluppo, anche Sackett ribadisce come non sia possibile

guardare all’osservazione come ad un approccio di ricerca ma che essa costituisce una modalità

per ottenere dati utili allo studio del comportamento, in particolar modo all’interno dell’ambito

evolutivo8.

Il cambiamento nel modo di vedere l’osservazione risulta evidente grazie al contributo di

Thomas, Becker e Freese. Secondo gli autori, l’osservazione può essere condotta in laboratorio

come l’esperimento si può svolgere nell’ambiente naturale. La distinzione più opportuna non è tra

studi sperimentali e naturalistici ma tra le basi teoriche della ricerca e le procedure adottate9.

Park nell’International design descrive bene tale evoluzione di pensiero.

«Dicotomie storiche relative all’osservazione, come la controversia laboratorio/campo, sono sorte

non tanto tra un legittimo disaccordo ma da equivoci e confusione circa il significato di certe

distinzioni scientifiche. Dimensioni indipendenti, come

1) il contesto in cui la ricerca dovrà essere condotta

2) il tipo di disegno che dovrà essere utilizzato

3) il tipo di sistema che dovrà essere scelto

Per raccogliere i dati sono state trattate spesso come non indipendenti. A causa della

frequente concorrenza di certi tipi di contesto, disegni e sistemi di raccolta dati, si è fatta stata

l’idea che queste combinazioni fossero necessarie.

8 Sackett, G. P. (1978). A taxonomy of observational techniques and a theory of measurement. GP Sackett (a cura di):
Observing behavior, 2.
9 Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino

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L’errore più comune è stato di collegare il contesto del laboratorio con un disegno

sperimentale e il contesto naturale con una strategia non sperimentale. Allo stesso modo, è

diventato normale equiparare le procedure osservative di raccolta dei dati ai contesti di ricerca

naturalistici»10.

Nasce quindi un nuovo modo di guardare all’osservazione come una tecnica per il

rilevamento dei dati piuttosto che come strategia di ricerca. L’attenzione si sposta quindi sulle

abilità del percepire e del giudicare e di come queste possano essere sviluppate in modo tale da

soddisfare le esigenze di scientificità. Ci si focalizza quindi sui requisiti di base affinché l’osservazione

fornisca dati attendibili per la formulazione di conclusioni valide.

Alla luce di quanto detto, l’osservazione viene quindi uno strumento con la finalità di studiare il

comportamento piuttosto che rilevarlo.

10 Parke, R. D. (1979). International designs, in R.B. Cairns (a cura di), The analysis of social interactions, Englewood Cliffs, N.J.,
Erlbaum: 15-35.

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5. L’osservazione come strumento di misura

La discussione sull’osservazione si concentra quindi sulla sua capacità di fornire dati

affidabili affinché le afferenze che ne derivano misurino effettivamente ciò che intendono

misurare. Messick descrive tre modi fondamentali per ottenere dati in grado di misurare il

comportamento11.

 Questionari: porre domande circa sé stessi;

 Test: somministrare prove in una determinata situazione;

 Registrazioni dal vivo, sul campo: osservare il comportamento all’interno di contesti naturali.

Le perturbazioni tipiche di tali modalità vanno a costituire ciò che viene detto “varianza

dovuta al metodo”.

Nel metodo osservativo la principale fonte di perturbazione è l’osservatore che funge da

filtro tra la realtà e le misurazioni. La distorsione risulta maggiore quando la misurazione avviene nei

contesti naturali rispetto ai contesti più strutturati, in cui la variabilità della situazione e del

comportamento è maggiormente controllata.

A questo proposito, Bakeman e Gottman, nel loro contributo riscontrabile nell’Handbook of

infant development a cura di J. Osofk, presentano la metodologia osservativa con le finalità di:

 a livello teorico, distinguerla da altri metodi;

 a livello pratico, di implementare la consapevolezza dei ricercatori circa i know-how12.

Secondo gli autori, l’unico scopo del metodo osservativo è quello di quantificare il

comportamento. La necessità diviene quindi quella di far sì che tramite tale metodo una specifica

condotta possa essere rilevata in tutte le occasioni in cui si verifica e da chiunque sia l’osservatore.

11 Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino.


Bakerman, R. e Gottman, J.M (1987). Applying Observational Methods: A systematic view, in J.D. Osofsky (a cura di),
12

Handbook of infant development. New York, Wiley: 818-854.

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Ciò è possibile esclusivamente tramite codici definiti, ovvero tramite lo schema di codifica,

utile a selezionare ciò che si osserva tramite una lista di codici che stabiliscono in anticipo gli

aspetti del comportamento da rilevare (ibidem).

L’osservazione con finalità conoscitiva differisce quindi dall’osservazione di tutti i giorni. Non

si tratta quindi di guardare o vedere, ma di farlo in modo sistematico. Affinché l’osservazione si

possa dire sistematica è necessario che:

 Abbia una finalità di ricerca o di applicazione e quindi sia rivolta alla rilevazione di alcune

caratteristiche predeterminate di un dato fenomeno;

 Sia pianificata rispetto a chi, dove e quando osservare;

 Sia documentabile;

 Sia verificabile da chiunque venga in possesso dei suoi esiti (ibidem).

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1. L’osservazione e i suoi partecipanti

Ancor prima di iniziare il processo di ricerca è opportuno definire il piano dello studio

osservativo, individuando chi, cosa, come, dove e quando osservare. Quando ci riferiamo al chi,

intendiamo rivolgerci ai soggetti oggetto di osservazione.

È noto che il metodo osservativo sia principalmente utilizzato nello studio di oggetti di età

infantile e prescolare, in quanto in questi periodi di vita vi è un certo scarto tra le capacità effettive

del bambino e la loro capacità di esprimerle tramite il linguaggio.

Per quanto riguarda la scelta del metodo osservativo da un punto di vista prettamente

metodologico, le motivazioni a sostegno della scelta per lo studio della prima infanzia e dell’età

prescolare si riferiscono alla reattività del soggetto, ovvero agli effetti che sono la conseguenza

della presenza fisica di un osservatore. Tale reattività varia in base all’età del bambino: più è

piccolo minore sarà il turbamento dato dalla presenza dell’osservatore esterno e viceversa.

Sembra che il comportamento di bambini di età inferiore ai 6 mesi non subiscano l’influenza della

presenza di una persona estranea, rimanendo spontaneo. Al contrario, già nella seconda metà del

primo anno di vita si possono osservare le prime forme di controllo del bambino, il quale rivolge

frequentemente il proprio sguardo allo sperimentatore.

In età prescolare è possibile cercare di limitare questi effetti mediante un periodo di

familiarizzazione. In questo modo, si permette al bambino di abituarsi e adattarsi alla persona

estranea e, di conseguenza, di non mostrare più alcun tipo di reazione o interesse nei suoi

confronti.

Nei ragazzi in età scolare o negli adolescenti è più arduo ottenere lo stesso effetto. Con

questi soggetti, infatti, risultano funzionali le strategie di osservazione dissimulata che prevedono

procedure come il mascheramento dell’osservazione, mediante l’uso dello specchio

unidirezionale, o, al contrario, procedure che ne evidenziano la presenza, come l’osservazione

partecipante.

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Vi sono poi motivazioni etiche e deontologiche per cui si sceglie di utilizzare metodi

osservativi per lo studio dell’età infantile, come ad esempio, la tutela dallo stress che potrebbe

scaturire dalla partecipazione ad una procedura sperimentale.

L’età non è solamente una caratteristica dei partecipanti, e quindi una variabile di

disegno, ma rappresenta altresì una variabile evolutiva, in quanto descrive e chiarisce il

cambiamento. A tal proposito, con l’intento di definire lo sviluppo nel corso del tempo i ricercatori

si avvalgono di tre disegni di ricerca: trasversale, longitudinale e microgenetico1:

 Il disegno trasversale: consiste nel confronto, nel medesimo momento temporale, di

individui di età differenti. Ad esempio, al fine di studiare il linguaggio nel periodo di vita che

va dai 2 ai 5 anni si creano quattro gruppi diversi. Un gruppo di bambini di 2 anni, uno di

bambini di 3 anni, uno di 4 e infine uno di 5. Così l’insieme dei quattro gruppi copre l’intero

arco di vita che la ricerca intende studiare. I quattro gruppi sono contemporaneamente

sottoposti alle stesse prove linguistiche. Il poco tempo necessario e la grande quantità di

informazioni rappresentano i vantaggi di questa metodologia.2

 Il disegno longitudinale: prevede l’osservazione di un dato fenomeno ripetuta nel corso del

tempo, con l’obiettivo di sottolinearne le caratteristiche costanti e/o i cambiamenti e, al

contempo, di fornirne una spiegazione. Questo tipo di disegno sperimentale permette di

individuare i cambiamenti che accompagnano l’avanzare dell’età2. Il disegno

longitudinale può essere considerato come termine necessario di quello sperimentale al

fine di evidenziare i caratteri stabili di ogni costrutto. Risulta, inoltre, essere la metodologia

principale per studiare lo sviluppo poiché permette di:

1 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.
2 Fonzi, A. (Ed.). (2001). Manuale di psicologia dello sviluppo. Taylor & Francis.

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o ottenere informazioni utili per valutare la stabilità temporale e/o il cambiamento

della persona nel tempo;

o classificare gli stadi o le sequenze dello sviluppo;

o formulare ipotesi relazionali dinamiche nello sviluppo attraverso domini differenti;

o trovare relazioni o nessi di causalità tra esperienze iniziali e risultati successivi.

Tuttavia, il disegno longitudinale presenta diversi limiti in quanto viene richiesta la

partecipazione dei soggetti per un lungo arco temporale. Per ovviare a questa problematica

spesso si fa ricorso a disegni trasversali 4.

 Il disegno microgenetico: studia il cambiamento in corso, racchiudendo le osservazioni in

brevi archi temporali, coincidenti con la manifestazione di nuovi fenomeni e cambiamenti

comportamentali del bambino. Un limite di questo disegno sperimentale è la mancanza di

informazioni sulla stabilità dei cambiamenti e sugli eventi che si verificano nel lungo

periodo.

Di seguito una tabella riassuntiva dei tre disegni di ricerca appena presentati in cui

vengono evidenziate le caratteristiche principali, i vantaggi e i limiti (Tabella 1).

Tabella 1. Tabella riassuntiva del disegno trasversale, longitudinale e microgenetico (Baumgartner, E., 2017).

4 Lis, A., & Venuti, P. (1996). L'osservazione nella psicologia dello sviluppo. Taylor & Francis

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2. Il singolo, la diade, il gruppo

In questa sede sembra opportuno sottolineare la necessità di collegare le scelte operative

concernenti i partecipanti ad una ricerca e il quadro teorico di riferimento. Risulta sempre

opportuno evidenziare la necessità di basare teoricamente l’osservazione del comportamento

infantile in quanto i risultati privi di sostegno teorico di riferimento sono privi di significato poiché non

possono essere interpretati in modo adeguato.

Prendiamo in esame le relazioni tra i bambini, la cui concettualizzazione è cambiata nel

corso del tempo in base ai quadri teorici di riferimento e alle unità di osservazione.

Negli anni Sessanta l’idea comune era che lo sviluppo e la crescita del bambino avvenisse

quasi unicamente all’interno delle relazioni con gli adulti significativi, considerati come responsabili

del benessere e dello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale del bambino. Durante questi anni non

veniva data alcuna importanza alle esperienze sociali tra i pari. A partire dagli studi etologici si

inizia a prestare attenzione anche al ruolo dei coetanei che, insieme agli adulti, sono parte

integrante del mondo sociale del bambino e che quindi lo influenzano.

Negli anni Settanta le ricerche rivolgono allo studio della possibilità di scambi interpersonali

significativi tra i bambini. Gli obiettivi si concentravano prevalentemente su:

o La verifica dell’esistenza di interazioni cercando di stabilire la fase di esordio;

o La definizione delle modalità di interazione;

o L’identificazione delle differenze interattive nel sistema adulto – bambino e nel

sistema bambino – bambino.

La metodologia osservativa di questi studi veniva condotta in laboratori ideati come stanze

da gioco in cui si confrontavano le modalità di interazione e di gioco dei bambini con i propri

caregiver e con coetanei sconosciuti. In questo modo la variabile “familiarità” veniva

completamente esclusa, presentano un limite non indifferente, in quando decisiva rispetto alla

qualità affettiva dello scambio sociale.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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A partire dagli anni Ottanta si passa dall’approccio descrittivo al modello ecologico dello

sviluppo. Il nuovo obiettivo è quello di descrivere la qualità delle interazioni. L’osservazione non era

più condotta nei laboratori ma nei contesti di vita quotidiana dei bambini, come la propria casa,

l’asilo, la scuola. Le variabili prese in esame sono costituite dagli stimoli attorno ai quali avviene

l’interazione, la composizione del gruppo, la presenza o l’assenza dell’adulto, le peculiarità

dell’ambiente, il tipo di attività. Le dimensioni di affetto e cognizione non sono più considerate solo

dal punto di vista descrittivo ma anche esplicativo. Ciò ha portato a considerare la relazioni di

amicizia tra i bambini come un nuovo oggetto di indagine. Tra la metà degli anni Ottanta e gli

anni Novanta si studiava il rapporto amicale tra i bambini determinando così una nuova unità di

osservazione: la diade amicale.

Oggi le relazioni tra pari, prescindendo dalla forma, qualità o durata, vengono considerate

nel più ampio gruppo dei pari, entità sovraordinata che non coincide nella mera somma degli

individui che lo compongono ma possiede regole e proprietà di funzionamento proprie.

Da questo breve excursus possiamo evincere che la prima fase della metodologia

osservativa è la formulazione di una specifica domanda riferita ad un determinato quadro teorico.

Dalla domanda è possibile chiarire gli obiettivi e le scelte procedurali individuando le unità di

osservazione (partecipanti e variabili da rilevare). L’ulteriore passaggio è la scelta del come

osservare.

 Nel momento in cui si sceglie di esaminare il singolo l’oggetto di osservazione è il

comportamento sociale del bambino e, contemporaneamente, le reazioni del suo

interlocutore. La procedura prevede di prendere nota di tutti i comportamenti che il

bambino mette in atto nell’arco temporale stabilito dall’osservatore, individuando altresì

quali sono i destinatari delle sue azioni sociali e i feedback di questi in risposta alle iniziative

del bambino.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Il gruppo di ricerca dell’Oxford Preschool Research Project ha predisposto una scheda di

notazione, adattata in italiano da Camaioni, Bascetta, Aureli (1988), per studiare la continuità

educativa tra la scuola dell’infanzia e la scuola elementare. Questa prevede un’osservazione

continuativa di 20 minuti, suddivisi in unità temporali di 1 minuto. Lo strumento permette di riportare

l’arco temporale al quale l’osservazione si riferisce, le attività svolte, il linguaggio e la codifica.

Quest’ultima è suddivisa in quattro dimensioni principali: l’attività, il livello cognitivo, il

comportamento sociale e il linguaggio. La tabella 2 rappresenta un esempio della griglia presa in

esame.

Tabella 2. Esempio della griglia di osservazione del singolo (Baumgartner, E., 2017).

 Quando si sceglie di osservare la coppia bisogna tenere conto contemporaneamente del

comportamento di entrambi i partecipanti. Ne consegue che il focus dell’osservazione si

concentra sull’attività congiunta e su gli effetti reciproci delle azioni.

In tal caso, tramite l’uso della scheda di osservazione (Tabella 3) è possibile rilevare

chiaramente il susseguirsi cronologico degli avvenimenti: ad esempio, quando due eventi si

presentano contemporaneamente si riportano sulla stessa riga. I comportamenti vengono quindi

organizzati in base all’ordine, al tempo, alla disposizione spaziale, alle azioni, ai gesti, alle

vocalizzazioni ed alle parole.

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Tabella 3. Scheda di osservazione della diade (Baumgartner, E., 2017).

 Quando è il gruppo ad essere sotto indagine il grado di complessità dell’osservazione

aumenta. Come già detto precedentemente, il gruppo è qualcosa di più e di diverso dalla

somma dei singoli membri che lo compongono; rappresenta un’entità dinamica con

proprie peculiarità e un proprio funzionamento. Risulta quindi necessario adottare un

metodo che permetta di descrivere le diverse configurazioni gruppali, le composizioni e la

stabilità in riferimento al contesto, il tipo di attività ecc. È inoltre auspicabile osservare la

percezione dei bambini delle aggregazioni all’interno del gruppo, le loro preferenze e/o i

rifiuti, la presenza o meno di bambini isolati. È altresì interessante indagare la presenza di

una possibile sovrapposizione tra le diverse aggregazioni, ossia l’appartenenza dei bambini

a più gruppi e le modificazioni del gruppo nel corso del tempo.

Quando il gruppo di bambini si crea naturalmente, dalla creazione di legami affettivi o

dall’attuazione di condotte comuni, è possibile utilizzare le mappe socio-cognitive sviluppate sulla

base delle “preferenze associative” espresse direttamente o indirettamente dai bambini mediante

l’attenzione reciproca, la quantità di tempo che si trascorre insieme, la ricerca di prossimità. Tutti

questi rappresentano degli elementi di natura sociale che i bambini sanno intuire e decodificare.

Tali dimensioni vengono indagate ponendo ai bambini delle domande, ammettendo che i

resoconti dei soggetti siano precisi e affidabili.

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Dalla raccolta di tutte le informazioni fornite da ciascun membro:

 è possibile ricavare una mappa delle relazioni all’interno del gruppo;

 si definiscono le identità dei singoli all’interno delle relazioni;

 si individuano i legami creatisi e la loro intensità;

 si mettono in luce eventuali condizioni di isolamento sociale,

 si evidenzia la presenza di sottogruppi all’interno della rete complessiva;

 la centralità/marginalità dei singoli all’interno dei sottogruppi di appartenenza.

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3. Strategie di campionamento dei soggetti

Una delle prime scelte operative da dover compiere nell’osservazione del singolo bambino

è il campionamento, ovvero la selezione di un campione rappresentativo della popolazione che si

vuole studiare. Tra le strategie possibili troviamo:

 Individuo focale: consiste nell’osservazione di un bambino alla volta per un periodo di

tempo prolungato. In questo modo è possibile prendere nota e descrivere rigorosamente e

nel dettaglio la condotta del soggetto. Tuttavia, tale strategia non è utile se l’obiettivo è

quello di rintracciare fenomeni inusuali o rari poiché potrebbero non essere manifestati

dall’individuo scelto.

 Scansione rapida: tutti i membri del gruppo vengono osservati rapidamente e ad alcune

condotte specifiche di ciascuno vengono dedicati brevi intervalli temporali che variano da

alcuni secondi a un minuto. In tal caso il grado di dettaglio della metodologia è esiguo. Si

può ricavare la comparsa di un evento particolare ma non è possibile approfondirne le

caratteristiche. Ne consegue che risulta auspicabile utilizzare tale procedura quando il fine

è quello di notare fenomeni frequenti e regolari tra più soggetti.

 Campionamento dei comportamenti: il focus dell’osservazione non è più l’individuo ma lo

specifico comportamento. Viene, dunque, osservato il soggetto che ha una condotta

specifica come ad esempio un comportamento aggressivo. Questa procedura è utile

quando il dato che si vuole analizzare è poco frequente e si presenta in modo discontinuo

e irregolare. È necessario prestare attenzione al gruppo per intero e predisporre le

caratteristiche situazionali che permettano l’osservazione simultanea di tutti i suoi membri.

L’aula rappresenta un buon setting per questa procedura al contrario di uno spazio aperto

e non circoscritto adeguatamente 2.

2 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.

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Tabella 4. Tabella riassuntiva del campionamento per individuo focale, scansione rapida e comportamento

(Baumgartner, E., 2017).

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1. Gli oggetti dell’osservazione

Possiamo distinguere i comportamenti oggetto di osservazione in due macro-categorie:

 Gli eventi momentanei corrispondono ai fenomeni circoscritti in un preciso arco temporale

e vengono misurati in termini di la frequenza. Più nello specifico, viene rilevato quante volte

un bambino mette in atto un determinato comportamento, come ad esempio, toccare un

oggetto, sorridere, vocalizzare, piangere ecc.

 Gli stati, invece, rappresentano i pattern comportamentali durevoli nel tempo, caratterizzati

da un momento di inizio e uno di fine. In questo caso viene preso in considerazione il tempo

medio, totale o percentuale che il bambino dedica a ciascuna attività oppure che viene

rilevato in determinate circostanze. Ad esempio, il tempo di veglia e il tempo di sonno

nell’arco della giornata, il tempo impiegato nella conversazione con i pari oppure nel

gioco ecc.

Combinando durata e frequenza del comportamento osservato è, inoltre, possibile

ottenere quattro tipologie di condotta12:

 Momentaneo e frequente, come ad esempio, il battito degli occhi;

 Momentaneo e infrequente, come ad esempio, uno starnuto;

 Durevole e frequente, come ad esempio, il parlare;

 Durevole e infrequente, come ad esempio, un comportamento aggressivo.

Le strategie di rilevazione, la durata delle osservazioni e le misure ricavate dai dati sono

strettamente dipendenti dalla natura dei comportamenti.

1 Sackett, G. P. (1978). Observing behavior: I. Theory and applications in mental retardation.


2 D'Odorico, L. (1990). L'osservazione del comportamento infantile. Cortina.

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

Se l’osservazione ricade su eventi o stati infrequenti, è auspicabile utilizzare sedute protratte

nel tempo; al contrario, se gli stati o gli eventi sono frequenti le sedute di osservazione possono

essere circoscritte nel tempo, brevi e intervallate.

Ipotizziamo di voler osservare comportamenti prosociali nei bambini (eventi infrequenti), è

evidente che le osservazioni del gruppo devono implicare lunghi periodi di tempo (dai 30 ai 40

minuti), devono essere effettuate in diverse circostanze così da poter ottenere risultati concernenti

situazioni sociali differenti (all’entrata della scuola, durante il gioco libero, nell’ora di pranzo o

quando sono in cortile). Diversamente, se ciò che si vuole osservare sono le differenze di genere

durante il gioco (comportamenti durevoli e frequenti) è possibile osservare i bambini per brevi

intervalli temporali (ad esempio 5 minuti), nella stessa situazione3.

3 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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2. Frequenza, durata, latenza, intensità e densità

La natura del comportamento oggetto di interesse condiziona la tipologia di misura che è

possibile ricavare.

 La frequenza indica il numero di volte in cui un determinato stato o evento si manifesta. La

misura della frequenza è la più comunemente usata, e anche la più semplice da calcolare. Le

frequenze possono essere distinte in assoluta e proporzionale:

o La frequenza assoluta, ovvero il numero di osservazioni del comportamento, calcolabile

tramite una semplice somma.

o La frequenza proporzionale si ottiene calcolando la proporzione di un determinato

evento sul totale di tutti gli eventi osservati.

Risulta necessario prestare molta attenzione all’interpretazione della frequenza di un

comportamento. Il significato sottostante le misure di frequenza non è, e non deve essere

considerato, univoco. In alcune circostanze, ad esempio, la comparsa di uno specifico

comportamento potrebbe indicare un evento di sviluppo significativo; in altri, invece, la frequenza

non risulta essere un dato sufficiente per l’interpretazione e va dunque integrata con altre

misurazioni per comprenderne il significato.

 La durata viene riferita a stati comportamentali, anch’essa distinta in assoluta e relativa:

o La durata assoluta indica la durata globale di un comportamento;

o La durata relativa viene considerata in rapporto al tempo totale di osservazione e

fornisce informazioni circa il tempo impiegato in uno specifico stato comportamentale.

Anche la durata, così come la frequenza, non può essere considerata un indicatore chiaro

e sufficiente in termini di sviluppo, sebbene correlata ad altre variabili e misure, fornisce

informazioni importanti circa l’evoluzione di specifici fenomeni. In altre parole, può essere

considerata necessaria ma non sufficiente per una descrizione esaustiva.

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

Combinando le informazioni ricavate dalla frequenza e dalla durata possiamo

comprendere le diverse funzioni dello stesso comportamento. Ad esempio, dal confronto di due

coppie madre-bambino durante l’allattamento è stato possibile osservare come in una coppia il

ciclo suzione-pausa era determinato da brevi momenti di suzione con frequenti pause di breve

durata; nell’altra coppia le fasi di suzione erano più lunghe e le pause meno frequenti ma di durata

di gran lunga superiore. In quest’ultima coppia durante le pause la madre parlava al bambino, gli

sorrideva e lo accarezzava; nell’altra, invece, essendo le pause più brevi l’interazione sociale e la

stimolazione materna erano limitate. Dunque, è possibile evincere come nella prima coppia le

pause e la stimolazione materna avessero una funzione di incoraggiamento per il bambino (pause

funzionali), nella seconda le pause conducevano all’interazione sociale (pause sociali).

 L’intervallo di latenza tra un determinato evento, definito in termini di tempo, e la prima

occorrenza di un comportamento. La latenza indica dunque l’intervallo temporale in cui è

assente un comportamento prima di ricomparire. Questa misura permette di valutare il grado

di prontezza o disponibilità all’agire, l’interesse verso uno stimolo (tramite, ad esempio, il tempo

che intercorre tra la presentazione dell’oggetto e il momento in cui il bambino interagisce con

questo), fornisce informazioni concernenti il temperamento (si pensi all’inibizione ricavabile dal

tempo che il bambino impiega per intraprendere un’iniziativa sociale).

 L’intensità rappresenta il grado in cui si manifesta un determinato comportamento. Si basa su

scale determinate a priori come strumenti di valutazione con diversi punteggi. Si ipotizzi di voler

valutare i comportamenti aggressivi, saremmo interessati non solo alla frequenza ma anche

all’intensità della condotta che potremmo valutare su una scala a 5 passi: estremamente

aggressivo, molto aggressivo, moderatamente aggressivo, appena aggressivo, per niente

aggressivo.

Risulta evidente come la valutazione dell’intensità, in questo caso, derivi da una

valutazione soggettiva dell’osservatore, non esente da bias. Ne conseguono problematiche di

attendibilità a differenza di altri indici più oggettivi. Tuttavia, in alcuni ambiti della ricerca la misura

dell’intensità risulta essere indicata, come ad esempio nello studio delle emozioni.

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 La densità è intesa come la pervasività di una condotta rispetto alle altre. Ad esempio, se

l’obiettivo di ricerca è quello di esaminare il livello di partecipazione sociale al gioco e

osserviamo che un bambino trascorre il 70% del tempo a giocare da solo, contrariamente al

compagno che suddivide il suo tempo in diverse attività (gioco parallelo, gioco solitario, gioco

collaborativo ecc.), è possibile ipotizzare che lo stile di gioco del primo bambino presenti

un’elevata densità di modalità solitaria di gioco2.

2 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
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3. Strategie di rilevazione del comportamento

La scelta delle strategie di rilevamento da parte dell’osservatore viene influenzata: dal tipo

di informazioni che si vogliono rilevare, dalla natura dei comportamenti oggetto di indagine e dalla

tecnica di osservazione che si intende utilizzare per la loro registrazioni. Bakeman e Gottman

propongono una classificazione delle procedure per la rilevazione dei dati:4

 La strategia di rilevazione per eventi risulta essere la più adatta se l’obiettivo del ricercatore è

quello di verificare la presenza o l’assenza di uno specifico comportamento o la frequenza con

cui questo si manifesta5. Inoltre, può essere utilizzata tenendo conto del momento in cui si

verifica l’evento da rilevare e la sua durata oppure rinunciando alla raccolta di informazioni di

carattere temporale.

Baumgartner, E. (2017).

4 Bakeman, R., & Brownlee, J. R. (1980). The strategic use of parallel play: A sequential analysis. Child development, 873-878.
5 Cassibba, R. e Salerni, N. (2014). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Roma: Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

La rilevazione di eventi senza informazioni temporali risulta essere senza dubbio la forma più

semplice di tale strategia. Le informazioni ottenute risultano utili per formarsi un’idea sullo stile di

comportamento individuale, sulla frequenza media di manifestazione del comportamento e

sull’evoluzione di uno o più fenomeni oggetto di interesse6.

Ad esempio, ipotizziamo di voler indagare la frequenza con cui i bambini in età prescolare:

1. Si trovano in opposizione tra loro;

2. Si colpiscono;

3. Chiedono aiuto.

La scheda rilevazione potrebbe essere impostata come segue:

Baumgartner, E. (2017).

L’osservatore segnerà ogni volta verificarsi di uno dei tre comportamenti stabiliti nella

scheda. In questo modo è possibile ottenere: misure di frequenza assolute e relative e misure al

minuto7.

6 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma
7 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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Se oltre alla frequenza si vuole rilevare anche l’ordine dei fenomeni è necessario che il

sistema di codifica sia costituito da categorie esaustive e mutualmente esclusive. In altre parole,

devono essere previsti tutti i comportamenti da includere all’interno della categoria, a cui viene

associato uno e un solo codice. In questo modo non si avranno mai codici uguali consecutivi e, a

prescindere dalla persistenza dell’evento, verranno rilevati tutti i cambiamenti di comportamenti

ed il passaggio dall’uno all’altro secondo l’ordine temporale in cui si succedono. La registrazione

sequenziale degli eventi risulta utile per la lettura dell’organizzazione temporale dei

comportamenti, impossibile attraverso la sola rilevazione delle frequenze con cui essi si verificano.

La scheda rilevazione potrebbe essere impostata come segue:

Baumgartner, E. (2017).

La rilevazione per eventi è la rilevazione più facile poiché lo sperimentatore deve solo

annotare se la condotta viene presentata o meno, oppure quante volte, durante l’osservazione, è

presente. Tuttavia, un limite di questa osservazione è l’assenza di informazioni circa la natura

temporale dei comportamenti rilevanti, come ad esempio la loro durata8.

Tramite la rilevazione di eventi con informazioni temporali è possibile una rilevazione degli

elementi oggetto di osservazione in modo più completo. La variabile “tempo” non viene

manipolata, perciò il comportamento rilevato viene rispettato nella sua durata effettiva. Risulta

inoltre possibile identificare il momento preciso che segna l’esordio un dato comportamento.

8 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

Viene inoltre calcolata la durata media del fenomeno osservato, il tempo totale del

comportamento manifestato e la percentuale di tempo in cui quel dato evento si verifica sul

tempo totale di osservazione.

Data la complessità di tale metodologia, è necessario che la rilevazione sia effettuata

tramite l’utilizzo della videoregistrazione degli eventi o, se condotta dal vivo, tramite l’utilizzo di

apparecchiatura che consentano di registrare i codici e contemporaneamente, di registrare il

tempo.

Baumgartner, E. (2017).

Tenendo conto del momento in cui i comportamenti si manifestano, del loro decorso e

della successione in cui gli eventi si susseguono, tale metodo risulta essere quello più accurato nella

descrizione dei fenomeni studiati.

Riassumendo, per facilitare l’applicazione delle strategie di rilevazione per eventi è

necessario predisporre un foglio di osservazione che in cui vengono stabiliti aprioristicamente i

comportamenti che si intende osservare. Lo sperimentatore, in questo modo, ha il compito di

annotare semplicemente il numero di volte in cui ciascuna condotta viene messa in atto.

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La strategia di rilevazione per eventi è assai utile nei casi in cui:

 I comportamenti oggetto di interesse presentano una frequenza scarsa e irregolare;

 I comportamenti oggetto di interesse hanno breve durata;

 Non risulta possibile effettuare videoregistrazioni ma solamente la registrazione diretta

dei comportamenti. In questi casi è consigliabile fare uso di una modalità di rilevazione

piuttosto semplice;

 Non risulta possibile videoregistrare a causa dell’estensione del contesto osservativo,

come l’osservazione di un gruppo di soggetti in un parco giochi in cui la videocamera

non può coprire l’intera inquadratura.

In questo caso le misure ricavabili per ogni categoria comportamentale sono:

 La frequenza assoluta di comparsa che consiste nella somma del numero di volte in cui

la condotta da osservare si è manifestata;

 La frequenza proporzionale rispetto al tempo di osservazione, ovvero la frequenza

assoluta della condotta che viene divisa per la durata (in minuti o in secondi)

dell’osservazione. Il calcolo della frequenza proporzionale risulta necessaria ai fini del

confronto di osservazioni di durata differente. Se, ad esempio, si vuole confrontare il

comportamento di un soggetto per il quale si hanno a disposizione 20 minuti di

osservazione con il comportamento di un altro di cui si hanno solo 10 minuti di

osservazione sarebbe sbagliato scegliere di utilizzare la frequenza assoluta di comparsa

dei comportamenti;

 La misura di frequenza al minuto ovvero la frequenza con cui un dato evento si

manifesta sul tempo totale di osservazione espresso in minuti9;

 La percentuale di comparsa calcolata dividendo la frequenza assoluta del

comportamento per il numero complessivo di eventi rilevati nell’osservazione,

moltiplicato per 100.

9 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

 La rilevazione per intervalli temporali pone come assunto di base che gli intervalli temporali

durante i quali vengono rilevati gli eventi, rappresentino campioni significativi del

comportamento reale. L’osservatore rileva quindi il fenomeno oggetto di interesse per intervalli

di tempo. Tale strategia può essere distinta in continua o discontinua. Nel primo caso, la

durata dell’osservazione è scandita da intervalli consecutivi in cui viene rilevato ciò che

accade; nel secondo caso, l’osservazione viene effettuata ad intervalli temporali ripetuti,

quindi non continui.

Baumgartner, E. (2017).

La rilevazione per intervalli temporali continui prevede che l’osservazione venga suddivisa

in brevi intervalli temporali, che solitamente vanno dai 5 ai 15 secondi. L’osservatore ha il compito

di osservare per ogni intervallo di tempo l’occorrenza o l’assenza dei comportamenti oggetto di

interesse. Se tali comportamenti non si manifestano l’intervallo non verrà codificato (ibidem).

Tale strategia in questione risulta essere pratica e molto semplice da utilizzare. Al fine di

facilitare il processo di osservazione, viene utilizzata una griglia di codifica ripartita in intervalli

temporali e dispositivi acustici utili alla segnalazione della fine dell’intervallo.

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

Tuttavia, il maggiore svantaggio è rappresentato dall’ampiezza dell’intervallo. Nei casi in

cui l’intervallo è molto breve i comportamenti potrebbero essere interrotti artificialmente; quando

l’intervallo è troppo lungo è possibile che si abbia la necessità di selezione quale tra i fenomeni

osservati vadano rilevati. Per ridurre le distorsioni sarebbe bene considerare come intervalli dei

tempi di durata inferiori al più breve degli eventi da codificare. Ad esempio, se la manipolazione

media di un oggetto da parte del bambino varia tra i 7 e i 10 secondi si sceglierà un intervallo

temporale di codifica di 5 secondi.

Per ogni comportamento osservato il ricercatore assegna uno e un solo codice. Nel caso in

cui si manifestino più comportamenti, possono essere adottati diversi criteri di scelta:

o L’osservatore codifica l’attività dominante, ovvero quella che si manifesta con una

durata superiore alle altre nello stesso intervallo di tempo;

o L’osservatore codifica l’evento soltanto la prima volta che si manifesta in uno specifico

intervallo di tempo;

o L’osservatore codifica ciò che succede nell’instante in cui l’intervallo sta per

concludersi.

In quest’ultimo caso si parla di campionatura momentanea o istantanea10.

In sintesi, la strategia di codifica continua di intervalli temporali è adeguata alla rilevazione

tutti quei comportamenti di una certa durata e/o frequenti nel tempo piuttosto che per la

rilevazione di comportamenti momentanei.

10 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

In tal caso, le misure ricavabili per ciascuna categoria comportamentale sono:

 La frequenza di comparsa rappresentata dal numero degli intervalli non consecutivi in

cui si verifica il comportamento;

 La durata complessiva ottenuta moltiplicando il numero totale degli intervalli in cui la

condotta si è manifestata per la lunghezza dell’intervallo;

 La durata media ottenuta dividendo la durata complessiva di un dato comportamento

per la frequenza di comparsa del comportamento stesso;

 La percentuale di tempo occupato rispetto alla durata totale dell’osservazione che si

ottiene dividendo la durata complessiva del comportamento per la durata totale

dell’osservazione, moltiplicato per 100. Questa misurazione risulta utile al fine di

confrontare osservazioni di differente durata3.

La rilevazione per intervalli temporali discontinui è caratterizzata dall’osservazione

intermittente. Esistono tre principali modalità di rilevazione discontinua:

 La forma di rilevazione per intervalli temporali più diffusa è quella per intervalli parziali ed

è una procedura a metà tra la rilevazione continua e intermittente. La durata totale

dell’osservazione viene divisa in intervalli consecutivi, i quali prevedono un tempo di

osservazione di 10 secondi ed uno più breve di registrazione di 5 secondi. Il fatto che la

rilevazione sia discontinua ed intervallata dai periodi di registrazione permette di

ottenere una maggiore accuratezza delle rilevazioni in quanto i tempi di osservazione e

quelli di rilevazione non coincidono. Tale strategia è di facile applicazione, previo

addestramento dell’osservatore, e può essere utilizzata senza l’ausilio di apparecchi

elettronici ma semplicemente tramite l’osservazione carta matita.

3 Cassibba, R. e Salerni, N. (2014). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Roma: Carocci editore

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Cosa osservare

Se si pone il problema della selezione di uno tra più fenomeni oggetto di interesse a causa

dell’ampiezza del problema, si utilizzano gli stessi criteri utilizzati per la rilevazione continua11.

 La rilevazione ad intervalli intermittenti richiede che distribuzione dei comportamenti sia

uniforme e frequente: in assenza di tali requisiti risulta inadeguata. Inoltre, non risulta utile

il suo utilizzo per ricostruire la sequenza dei comportamenti dato che gli intervalli

temporali non sono consecutivi.

 Un’ulteriore tipologia di rilevazione per intervalli discontinui è la campionatura

momentanea o istantanea che prevede la rilevazione degli eventi alla fine di ogni

intervallo temporale. Per essere valida, tale strategia deve prevedere degli intervalli che

non superino i 20 secondi di tempo.

Tale strategia non permette la misurazione delle differenti durate di un fenomeno e

sottostima il numero di eventi infrequenti. Risulta funzionale il suo utilizzo solo quando i

comportamenti sono regolari, frequenti ed abbiano durata simile. Inoltre, la campionatura

momentanea viene preferita nei casi in cui la ricerca richieda che l’osservazione preveda una

durata prolungata. Il metodo favorisce una raccolta dei dati maggiormente accurata quando le

rilevazioni vanno dai 10 ai 30 secondi. Di contro, l’attendibilità si riduce quando l’osservazione ha

una durata di 60 secondi o più12.

11 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.
12 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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Filippo Petruccelli - Dove osservare

1. I luoghi dell’osservazione

La scelta dell’ambiente rappresenta una delle fasi della progettazione della ricerca.

Questa deve essere effettuata tenendo bene a mente quali sono le finalità dell’osservazione e

qual è il tipo di dati che si vuole ottenere. Non esistono ambienti stabiliti aprioristicamente adatti. Il

progetto di ricerca va basato su ipotesi teoriche e operative da verificare e sul modo in cui si

pensa di poter generalizzare i risultati1.

L’osservazione del bambino può essere condotta in ambienti che costituiscono scenari di

vita quotidiana per il piccolo, come la scuola, l’abitazione, il parco giochi o l’asilo nido oppure si

può scegliere di effettuare la rilevazione del suo comportamento all’interno di un setting

maggiormente strutturato come il laboratorio.

Wright, nell’intento di fornire una descrizione di quelli che sono i possibili scenari in cui

l’osservazione si svolge, distingue l’ambiente dalla situazione:

 L’autore parla di ambiente per riferirsi ad un’unità di luogo e di tempo in cui è possibile

riscontrare alcune peculiari condizioni. La scuola dell’infanzia costituisce, ad esempio, un

ambiente definito dal luogo, dallo spazio e dalle persone che ne fanno parte;

 Parla, invece, di situazione quando in ogni ambiente si vanno a delineare alcune

circostanze specifiche. L’ambiente “scuola dell’infanzia” può, ad esempio, determinare

una situazione in cui un bambino che vuole giocare incontrerà l’insegnante, i suoi

compagni, uno scivolo in giardino…

In particolare, parliamo di situazione per riferirci a categorie di eventi psicologicamente

significativi, mentre usiamo il termine ambiente per descrivere un insieme di caratteristiche fisiche2.

1 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.
2 Wright, H. F. (1960). Observational child study. Handbook of research methods in child development, 71-139.

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Filippo Petruccelli - Dove osservare

Distinguendo i concetti “ambiente” e “situazione” l’autore assume che:

 In un determinato ambiente vengono a crearsi alcune situazioni e non altre;

 Ambiente e situazioni non sono univocamente in relazione. Infatti, situazioni piuttosto diverse

tra loro possono essere riscontrate in uno stesso ambiente, così come situazioni simili

possono verificarsi in ambienti differenti;

 L’influenza della situazione sul comportamento del bambino è maggiore rispetto

all’influenza dell’ambiente.

Ad esempio, poniamo di voler studiare le modalità di interazione sociale dei bambini

all’interno di una scuola dell’infanzia. È auspicabile effettuare le osservazioni in situazioni di gioco

libero piuttosto che durante attività strutturate. In quest’ultimo caso, infatti, i bambini

rivolgerebbero tutta la loro attenzione all’insegnante, rendendo così difficile la rilevazione della

qualità dell’interazione tra pari.

La suddivisione di Wright non deve essere interpretata in modo strettamente dicotomico. Al

contrario, l’invito è quello a prendere in considerazione entrambi gli aspetti evitando di confonderli

tra loro. Ambiente e situazione si pongono su livelli differenti di descrizione e spiegazione di ciò che

viene osservato.

Baley propone due criteri utili a distinguere diverse tipologie di studi osservativi. L’autore

parla di:

 Grado di strutturazione dell’ambiente, riferendosi alla distinzione tra ambiente naturale e

ambiente artificiale;

 Grado di strutturazione delle situazioni, discriminando tra osservazione naturalistica, ovvero

mera registrazione del comportamento spontaneo, e osservazione in condizioni controllate,

in cui le situazioni vengono predisposte secondo determinati criteri con l’obiettivo di favorire

la manifestazione di determinate condotte3.

3 Baley K.D. (1982). Metodi della ricercar sociale. Il Mulino, Bologna.

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La combinazione di questi due parametri pone in essere una tabella (tabella 1) a doppia

entrata che definisce in modo sintetico le possibili tipologie degli studi osservativi.

Tabella 1. Tipologia degli studi osservativi (Baumgartner, E. (2017).

Nella conduzione di studi all’interno di contesti naturali, l’osservatore può non apportare

alcuna modifica all’ambiente oppure scegliere di manipolare le condizioni ambientali. Ad

esempio, è possibile condurre un’osservazione in un asilo nido promuovendo l’utilizzo nuovi

materiali con l’obiettivo di confrontare le attività indotte dai materiali proposti e le attività che

vedono solitamente coinvolti i bambini4.

Allo stesso modo, in laboratorio possiamo creare alcune delle condizioni che riproducono

fedelmente l’ambiente familiare del bambino. In questo caso l’osservatore può considerare il

comportamento spontaneo oppure introdurre manipolazioni sperimentali delle variabili prese in

esame. Il fine è quello di confrontare il gruppo sperimentale con il gruppo di controllo. Questi

possono anche non essere due gruppi distinti, bensì rappresentati dagli stessi soggetti

confrontando i loro comportamenti in presenza e in assenza delle manipolazioni sperimentali

(ibidem).

4 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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È opportuno sottolineare che l’ambiente naturale non rappresenta un sinonimo di ricerca

osservativa né una garanzia di validità. È possibile, infatti, che vengano introdotti nell’ambiente

naturale degli elementi troppo artificiosi che, in quanto tali, indeboliscono il concetto di validità.

Proponiamo un esempio per meglio spiegare quest’ultima condizione.

Ipotizziamo di introdurre all’interno di un asilo nido un cavalletto con una videocamera

oppure poniamo sia necessario separare i bambini dal gruppo in modo da osservarli singolarmente

in un luogo esente da rumori e dalla presenza dei coetanei. In queste condizioni i bambini

potrebbero impegnarsi per lungo tempo ad osservare il nuovo ambiente oppure la videocamera.

Sebbene, in questo caso, l’asilo nido sia un ambiente strettamente familiare per i bambini,

l’introduzione di stimoli artificiosi altera la “naturalità” dell’ambiente in cui viene condotta

l’osservazione. In altre parole, una ricerca non può e non deve essere considerata

“ecologicamente” valida semplicemente perché condotta in un ambiente naturale.

È necessario, al contrario, che venga garantita la validità ecologica. Bronfenbrenner

definisce la validità ecologica come il grado in cui l’ambiente della sperimentazione ha

esattamente le peculiarità che il ricercatore suppone. In altre parole, è importante considerare

come la situazione dell’osservazione viene colta e interpretata dai partecipanti all’osservazione

stessa5.

Si può considerare il laboratorio come un ambiente ecologicamente valido solo se

l’interpretazione della situazione dei partecipanti alla ricerca è sovrapponibile a quella assunta

dall’osservatore.

5 Bronfenbrenner, U. (1986). Ecologia dello sviluppo umano (L. Camaioni, Trans.). Bologna: Il Mulino (Original work published
1979).

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La scelta dell’ambiente rappresenta una delle fasi della progettazione della ricerca.

Questa deve essere effettuata tenendo bene a mente quali sono le finalità dell’osservazione e

qual è il tipo di dati che si vuole ottenere. Non esistono ambienti stabiliti aprioristicamente come

adatti. Il progetto di ricerca va basato su ipotesi teoriche e operative da verificare e sul modo in

cui si pensa di poter generalizzare i risultati6.

6 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma

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2. I differenti livelli di strutturazione del contesto

Di particolare rilevanza è il contesto in cui si svolge l’osservazione. A seconda del fatto che

vengano o meno inserite e manipolate delle variabili per ottenere parametri di confronto uniformi,

il contesto può essere naturale o semi-strutturato o strutturato.

La metodologia dell’osservazione in contesti naturali è stata tra le prime ad essere utilizzata

dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicoanalisi.

In un secondo momento, grazie ad altri contributi teorici, da parte della psicologia

cognitiva, della psicologia comportamentista, della teoria dell’attaccamento, dell’Infant Research

e dell’approccio sistemico, sono state sviluppate altri metodi osservativi di tipo sperimentale.

L’obiettivo era quello di poter osservare il soggetto e la sua relazione, diadica o triadica, in

laboratorio mediante l’inserimento di diverse variabili che avrebbero permesso al clinico o al

ricercatore di esaminare alcuni fenomeni che non si sarebbero potuti cogliere attraverso

l’osservazione naturalistica.

Gli imprescindibili elementi forniti dalle osservazioni in contesti naturali e in contesti

sperimentali devono essere utilizzati per mezzo di una metodologia integrata.

Gli studi che utilizzano contesti naturali ottengono risultati circa il comportamento osservato

nelle sue manifestazioni più spontanee; la situazione sperimentale, invece, consente di ottenere

ulteriori elementi che sarebbe impossibile osservare in un setting naturale. Le variabili inserite in un

contesto strutturato sono, infatti, selezionate, controllate e modificate dal ricercatore7.

Le tecniche osservative, che studiano i soggetti nel loro ambiente naturale e nell’ambiente

specifico in cui un determinato comportamento può essere messo in atto, sono state perfezionate

notevolmente grazie alla grande importanza riconosciuta agli studi sul campo.

7 Imasciati, A. e Cena L. (2009) I bambini e i loro caregivers. Metodi e strumenti per l’osservazione clinica della relazione e
per l’intervento. Roma: Borla

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Infatti, non si può considerare valido un ambiente di osservazione solo per il fatto di essere

naturale, né può essere definito in modo univoco. Per ogni situazione ambientale è opportuno

verificare il grado di adattabilità e di naturalezza dei soggetti che vengono in esso inseriti. Le

peculiarità che il ricercatore assume o suppone non sempre sono coerenti con l’ambiente di cui i

soggetti hanno esperienza.

In modo più esplicativo, è possibile sostenere che la casa di un bambino piccolo sia un

ambiente sia naturale che familiare, ma se l’osservazione e la registrazione dei dati avvenisse in

una stanza nella quale il bambino non trascorre ordinariamente il suo tempo, quell’ambiente

perderà la caratteristica di naturalezza per quel bambino e, di conseguenza, i dati ottenuti non

saranno validi o generalizzabili.

Ancora, si pensi a quanto sia significativa la scelta di un ambiente familiare o strutturato se

l’obiettivo di ricerca è quello di studiare la proporzione degli sguardi di un bambino di 5 mesi rivolti

agli oggetti e alla madre. È noto che il bambino così piccolo inserito in un contesto che non

conosce impiegherà molto tempo nell’esplorarlo con tutti i suoi sensi, inclusa quindi la vista,

fissando gli oggetti in esso presenti.

Ciò che cerchiamo di evidenziare con questi esempi è l’importanza della valutazione

dell’ambiente in ogni fase di progettazione di ricerca. Ciò che bisogna domandarsi è se

l’ambiente selezionato permette la rilevazione di tutti quei dati che si ha intenzione di analizzare.

Ne consegue che la scelta dell’ambiente deve avvenire sulla base delle ipotesi di ricerca, delle

domande alle quali si cerca risposta e del grado di generabilità dei risultati.

Per effettuare la scelta dell’ambiente di osservazione risulta piuttosto utile utilizzare le

informazioni ricavate da ricerche svoltesi in ambienti e situazioni diverse, al fine di ottenere dei

principi generali che determinino i fenomeni evolutivi in tutti i contesti.

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È, quindi, il contesto libero o strutturato in cui si agisce che definisce l’ambiente di

osservazione.

 L’obiettivo che si persegue nella situazione di contesto libero è la registrazione dei

comportamenti e delle interazioni così come accadono, senza alcun tipo di modificazione

o manipolazione dell’ambiente in cui sono inseriti i soggetti della ricerca. Il suo utilizzo risulta

funzionale alla creazione di nuove ipotesi per la ricerca futura e all’ottenimento di

informazioni circa i fenomeni che necessitano di essere maggiormente indagati;

 L’osservazione in un contesto strutturato può essere svolta all’interno dell’ambito familiare, di

quello educativo ma anche in laboratorio. Nonostante vengano inserite e controllate delle

variabili fondamentali e venga ristretto il focus dell’osservazione ad alcuni determinati

aspetti comportamentali, si cerca di mantenere la situazione libera e naturale al limite

massimo delle possibilità.

Qualsiasi ambiente di osservazione è determinato da vantaggi e svantaggi, opportunità e

limiti e influenza diverse sfumature del comportamento. È quindi di fondamentale importanza

selezionare con cura nella fase di progettazione quale sia l’ambiente più idoneo per quella

determinata ricerca e, nella fase di discussione, fare riferimento alla scelta effettuata

nell’interpretazione dei risultati ottenuti in quello specifico ambiente e non in un altro. Il contesto,

infatti, rappresenta un’ulteriore variabile della ricerca osservativa che va presa in considerazione

nell’interpretazione dei dati8.

8 Lis, A. e Venuti, P. (1996). L’osservazione nella psicologia dello sviluppo. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale.

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3. Cosa tenere a mente nella scelta del contesto


osservativo

Come già detto precedentemente, l’osservazione può essere svolta sul campo (ambiente

naturale) o in laboratorio (ambiente artificiale).

Ciò che distingue la metodologia osservativa dal metodo sperimentale non è il luogo in cui

avviene la rilevazione dei dati bensì il ruolo del ricercatore in riferimento alle variabili indipendenti.

Nel caso dell’osservazione, infatti, egli si occupa della descrizione del fenomeno oggetto di

interesse, rinunciando al controllo delle variabili indipendenti. D’altro canto, nel caso del metodo

sperimentale, il ricercatore assume un ruolo attivo di manipolazione.

Ci si appella al metodo osservativo quando si vuole rilevare il comportamento spontaneo e

quindi il soggetto non deve cambiare la propria condotta abituale al fine di rispondere alle

richieste della ricerca e dello sperimentatore.

Viene utilizzata l’espressione “osservazione naturalistica” per riferirsi a quella tipologia di

rilevazione in cui l’oggetto di studio non subisce alcuna manipolazione o modificazione da parte

del ricercatore.

Quando si parla di “osservazione in condizioni controllate” non ci si riferisce alla

sperimentazione vera e propria in quanto non vi è la manipolazione delle variabili indipendenti. In

questi casi, infatti, lo sperimentatore si limita a controllare e predisporre alcuni aspetti situazionali

che, coerentemente con la sua ipotesi di ricerca, possono favorire l’emergere spontaneo di

determinati comportamenti. Per esemplificare quanto detto, immaginiamo di voler studiare la

produzione linguistica dei bambini durante i primi anni di vita. In questo caso, è possibile effettuare

delle osservazioni nel contesto naturale dell’asilo nido durante l’attività di “lettura delle immagini”

condotta dall’insegnante. Questa metodologia permette di esporre tutti i soggetti sperimentali agli

stessi stimoli ambientali ma esula dal controllare ulteriormente la situazione (ad esempio, non

fornisce specifiche consegne e raccomandazioni all’adulto circa le modalità di conduzione

dell’attività prestabilita).

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Bailey ha fornito una rassegna delle tipologie di studi osservativi (tabella 2):

Tabella 2. Tipologia di studi osservativi secondo Bailey

(Mantovani, S. (1998). La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi. Milano: Mondadori P. 86)

Risulta quindi sbagliato pensare all’osservazione all’interno di un ambiente naturale come

all’assenza di strutturazione del contesto. Le osservazioni condotte sul campo possono implicare

diversi livelli di strutturazione, così come le osservazioni in laboratorio. Anche all’interno di

quest’ultimo, infatti, è possibile riprodurre una situazione naturale, riproducendo contesti ecologici

familiari per coloro i quali partecipano alla ricerca.

In altre parole, è fondamentale sottolineare come non possa esistere una linea netta di

divisione tra ricerca osservativa e ricerca sperimentale. Piuttosto tale distinzione si esplica lungo un

continuum ai cui estremi troviamo da una parte la rilevazione del comportamento spontaneo e

dall’altra la manipolazione della variabile indipendente.

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Tra ricerca osservativa e ricerca sperimentale non esistono differenze di “dignità” ma

piuttosto di praticabilità: la verifica di ipotesi tramite l’osservazione può fornire dati necessari alla

ricerca sperimentale, come ad esempio quali aspetti e quali manipolazioni sperimentali

dovrebbero essere tralasciati per evitare distorsioni nella comprensione di un comportamento

oggetto di esame. Inoltre, non sempre è necessario provocare in modo artificioso un fenomeno

per misurarlo. A volte, per comprenderlo, basta solamente individuarlo nella realtà9 .

9 Mantovani, S. (1998). La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi. Milano: Mondadori Pp. 85- 88

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1. Procedure di osservazione

Per decidere come osservare è necessario prendere in considerazione due aspetti

fondamentali: le procedure da utilizzare e le modalità con cui condurre l’osservazione.

Le procedure possono includere strumenti carta e matita utilizzate per effettuare

osservazioni dal vivo oppure apparecchi elettronici come la videocamera grazie alla quale è

possibile audio e video registrare il materiale osservativo. Le modalità tramite cui osservare variano

in base al grado di coinvolgimento dell’osservatore e si distinguono in osservazione distaccata ed

osservazione partecipe.

Esaminiamole nel dettaglio.

 Osservazione dal vivo, carta e matita.

La tecnica di registrazione carta e matita rappresenta sicuramente la procedura più

semplice. L’osservatore può decidere di annotare tutti i comportamenti del soggetto sotto

osservazione oppure può usufruire di griglie di osservazione cartacee, come le check-list, all’interno

delle quali vengono indicate alcune specifiche condotte da rilevare, stabilite a priori.

A prescindere dalla metodologia utilizzata, la rilevazione del comportamento oggetto di

interesse prevede brevi periodi di osservazione intervallati da fasi di registrazione ovvero piccole

pause che hanno lo scopo di trascrivere quanto osservato. Solitamente il momento di passaggio

dalla fase di osservazione a quella di registrazione è indicato e scandito tramite un segnale sonoro

che giunge allo sperimentatore tramite un auricolare.

L’utilizzo delle check-list è molto frequente in quanto costituiscono uno strumento pratico e

veloce per la codifica del comportamento osservato. La loro adozione è favorita in particolare

quando gli eventi oggetto di osservazione sono infrequenti. È possibile quindi effettuare diverse

osservazioni senza eccessivi sovraccarichi per gli osservatori.

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Le registrazioni carta e matita presentano numerosi vantaggi. L’osservazione in vivo

permette un contatto più diretto con l’ambiente, riducendo la perdita di informazioni e favorendo

una visione di insieme maggiormente completa del gruppo e degli individui il cui comportamento

è oggetto di rilevazione. Tale vantaggio potrebbe venire meno quando viene preferita la modalità

videoregistrata, potenzialmente problematica nel caso in cui si verificasse un malfunzionamento

degli apparecchi elettronici utilizzati e quindi una perdita di materiale.

Inoltre, carta e matita sono facili da trasportare ovunque ed hanno un’influenza minima

sull’ambiente. La presenza di un osservatore che scrive, infatti, risulta meno invasiva della presenza

di uno sperimentatore che riprende con la videocamera.

Infine, i costi sono contenuti rispetto ad altre procedure.

Per tutti questi motivi l’osservazione carta e matita costituisce una fase fondamentale nei

primi stadi di una ricerca, in quanto permette di familiarizzare e di definire dettagliatamente

l’oggetto di osservazione e le modalità di rilevazione.

Tale procedura presenta anche alcuni svantaggi. Le osservazioni dal vivo, infatti, non

possono assicurare la stessa affidabilità delle videoregistrazioni. Un filmato può essere considerato

un dato obiettivo: è possibile soffermarsi su alcuni momenti della rilevazione e, eventualmente,

tornare su tempi diversi più volte per controllare a più riprese la fedeltà delle rilevazioni. Il controllo

dell’accuratezza degli osservatori su sul campo, invece, può essere garantito solo se nel medesimo

momento più osservatori rilevano gli stessi comportamenti.

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Osservazioni audio e videoregistrate.

L’audioregistratore, la videocamera e il registratore di eventi sono strumenti tecnici che lo

sperimentatore ha a disposizione per l’osservazione dei fenomeni oggetto di interesse

 L’audioregistrazione. L’audioregistratore, così come i metodi carta e matita, favorisce un

impatto minore della presenza dell’osservatore sui fenomeni osservati e, al contempo,

permette di ottenere una traccia permanente e obiettiva della situazione.

Tale metodologia prevede una trascrizione da parte dell’osservatore del materiale

audioregistrato, evitando commenti giudizi e valutazioni personali.

In questa procedura l’osservazione e la registrazione avvengono contemporaneamente e

la rilevazione di eventi piuttosto complessi risulta funzionale poiché il focus attentivo

dell’osservatore può essere rivolto completamente al fenomeno di interesse.

Un limite di questa tecnica risiede nella perdita di informazioni circa il comportamento non

verbale del soggetto.

 La videoregistrazione. Tramite la registrazione video è possibile ovviare alle problematiche

riscontrate precedentemente. I comportamenti in questo caso vengono dapprima

registrati e, in un secondo momento trascritti, consentendo la riproduzione dei protocolli su

carta di tutto il materiale raccolto.

I vantaggi che si possono ottenere dall’uso delle videoregistrazioni sono svariati:

- La videoregistrazione e la trascrizione possono essere effettuate in tempi differenti;

- È possibile ricontrollare il filmato in ogni momento per valutare la fedeltà della

trascrizione o per superare eventuali impasse riguardanti l’interpretazione dell’evento;

- È possibile utilizzare i video prodotti come strumento di formazione. Gli osservatori meno

esperti possono cimentarsi nella trascrizione grazie alla possibilità di rivedere diverse

volte i filmati;

- È possibile verificare la consistenza della codifica nel tempo;

- È possibile determinare l’accordo tra osservatori indipendenti.

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L’uso della videoregistrazione viene consigliato quando risulta necessaria un’analisi

dettagliata e precisa dei fenomeni, per esempio, quando si vuole, non solo rilevare i

comportamenti, ma anche studiare il preciso ordine temporale con il quale si presentano.

Inoltre, il suo utilizzo è funzionale nei casi in cui si debbano studiare fenomeni complessi e

quindi si abbia la necessità di raccogliere informazioni concernenti diversi aspetti cooccorrenti (ad

esempio, lo sguardo, le vocalizzazioni, le posture, i gesti, le azioni, le espressioni del viso, il

comportamento non verbale ecc.).

Ancora, è auspicabile ricorrere all’uso della videoregistrazione quando lo scopo è quello di

conservare una traccia permanente dei comportamenti su cui lavorare per poterli sottoporre più

volte a valutazione, assumendo differenti prospettive.

Il vantaggio centrale di questa metodologia è costituito proprio dalla possibilità di

riesaminare i materiali, mettendo l’immagine in pausa, scorrendo il filmano, rallentando o

velocizzando i fotogrammi, al fine di analizzare tutti i diversi aspetti che caratterizzano un

fenomeno oggetto di interesse.

La tecnica della videoregistrazione ha un ruolo centrale nella fase di addestramento degli

osservatori apprendisti poiché permette di vagliare l’accuratezza delle trascrizioni e delle codifiche

utilizzando il video come elemento di confronto. Consente, inoltre, di valutare il grado di accordo

tra diversi osservatori indipendenti mettendo a confronto l’operato di ognuno con il filmato stesso.

Questa tecnica viene inoltre adottata nei contesi formativi ed educativi. La possibilità di

guardare alla propria condotta come osservatori esterni permette agli insegnanti e agli educatori

di prestare attenzione ai propri comportamenti ed alle conseguenze degli stessi, favorendo una

valutazione critica e consapevole del proprio operato.

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Filippo Petruccelli - Come osservare

Tuttavia, anche questo strumento presenta alcuni limiti:

- Lo sperimentatore può presentare difficoltà nell’osservazione contemporanea del

comportamento del bambino e delle persone che interagiscono con lui, poiché

l’ampiezza del campo e la velocità di un apparecchio elettronico come la

videocamera sono inferiori rispetto a quelle dell’occhio umano.

- Se i microfoni non sono abbastanza potenti o la telecamera è stata posizionata in

modo inadeguato, la qualità della rilevazione del comportamento verbale e non può

essere insoddisfacente;

- La videocamera ha un impatto maggiore sui soggetti che vengono osservati, rispetto a

metodi meno invasivi;

- La videocamera aumenta la reattività dei soggetti sebbene un’adeguata

familiarizzazione con lo strumento e con lo sperimentatore può essere una buona

strategia per limitare questo effetto.

 Registratori di eventi. I registratori di eventi sono dei computer con particolari software i

quali svolgono la stessa funzione delle check-list poiché forniscono una lista predeterminata

di fenomeni da osservare.

Ogni evento corrisponde all’interno del software ad una chiave della tastiera del computer

che va premuta ogniqualvolta l’evento oggetto di interesse si verifica.

Il programma permette la registrazione sia dell’evento sia della durata dello stesso. Ne

consegue perciò che le informazioni reperite tramite i registratori di eventi siano superiori rispetto

alla quantità, ma anche rispetto al livello di completezza e al grado di precisione, in confronto alle

informazioni raccolte tramite altri strumenti di osservazione. Inoltre, la rilevazione è molto più veloce

e consente di utilizzare un numero maggiore di categorie di codifica1.

I dati vengono raccolti in forma numerica, permettendo di risparmiare sui tempi e di ridurre

le possibilità di errore.

1 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Tuttavia, l’uso del registratore di eventi non è esente da possibili problematiche. Si tratta di

uno strumento piuttosto sofisticato e complesso, non facile da utilizzare. Inoltre, il suo impiego

prevede un costo elevato soprattutto nei casi in cui per l’osservazione è sufficiente l’utilizzo di

metodologie carta e matita. Infine, è bene tenere a mente che un’eccessiva raccolta di dati può

risultare fuorviante e problematica al pari dei casi in cui la rilevazione permette la raccolta di un

numero esiguo di elementi2.

Proponiamo di seguito una tabella riassuntiva delle procedure di osservazione appena

elencate con i rispettivi vantaggi e limiti (Tabella 1).

PROCEDURE DI VANTAGGI LIMITI

OSSERVAZIONE

Carta e matita - Pratica e veloce. - Minore affidabilità.

- Minimo impatto - Minor controllo

sull’ambiente. dell’accuratezza.

- Costi contenuti.

- No problemi di

funzionamento tecnico.

Audioregistrazione - Minore impatto - Perdita di informazioni

dell’osservatore. del comportamento non

- Traccia permanente. verbale.

Videoregistrazione -Videoregistrazione e - Difficile osservare

trascrizione in tempi differenti. contemporaneamente il

- È possibile comportamento di più

ricontrollare il filmato. persone.

2 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le Scienze della Formazione e
dell’Educazione. Novara: De Agostini Scuola SpA

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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-Strumento di - Ampiezza del campo

formazione. inferiore.

- Accordo tra - Possibili problemi

osservatori indipendenti. tecnici.

- Maggiore reattività

dei soggetti.

Registratore di eventi - Riduzione di tempo. - Non facile

- Minore possibilità di utilizzazione.

errore. - Costo elevato.

- Grande quantità di

dati.

Tabella 1.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Come osservare

2. Accorgimenti per ridurre la reattività dei soggetti

Tutti i metodi di raccolta dei dati presentano fonti di errore dovute alla parzialità o alla

distorsione dei fatti osservati. Tali problematiche possono essere rinvenute tanto nella prima fase di

rilevazione dei dati quanto nelle fasi successive di codifica, analisi e interpretazione.

Anche soltanto la presenza di una persona estranea, che veste il ruolo di osservatore, è

possibile che alteri il contesto in cui si inserisce e quindi la naturalezza del comportamento chi

viene osservato. La sua presenza può causare reazioni o comportamenti non del tutto spontanei

da parte dei soggetti.

Quando si è a conoscenza del fatto di essere osservati, in genere si tende ad accentuare i

comportamenti valutati come socialmente desiderabili ed a ridurre quelli considerati come non

desiderabili, con conseguente alterazione del comportamento osservato. Questo effetto è

conosciuto come “l’effetto Hawthorne” e sembra essere riscontrato esclusivamente nei bambini

più grandi e negli adulti. Esistono tuttavia delle strategie per limitarlo.

Risulta utile prendere in considerazione l’utilizzo di alcuni accorgimenti che mirino a ridurre il

più possibile l’influenza dell’osservatore.

 Il rischio di distorsione comportamentale aumenta se l’osservatore è un estraneo, mentre si

affievolisce se chi osserva è una persona conosciuta oppure precedentemente inserita nel

contesto.

Per cui risulta utile familiarizzare con i partecipanti e con l’ambiente in una fase precedente

a quella della rilevazione vera e propria, così da consentire ai soggetti di abituarsi alla presenza

dell’osservatore;

 È consigliato di ridurre la visibilità della propria attività di osservazione;

 Nelle situazioni di osservazione dal vivo è auspicabile rimanere leggermente in disparte e

distaccati dall’attività che si sta osservando;

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Filippo Petruccelli - Come osservare

 Nel caso in cui venga utilizzata la metodologia della videoregistrazione è opportuno

prediligere una telecamera fissa posizionata in modo strategico, tentando di renderla il

meno possibile visibile;

 Nel caso in cui le condizioni lo consentano si può valutare l’utilizzo dello specchio

unidirezionale che permette di videoregistrare i comportamenti senza essere visti dai

soggetti. Ciò non significa che i partecipanti non debbano essere messi a conoscenza della

videoregistrazione: infatti, per questioni etiche e deontologiche è obbligatorio rendere i

soggetti, i loro genitori o chi ne ha la tutela legale, consapevoli dell’attività di osservazione

in corso3.

3 Cassibba, R. e Salerni, N. (2014). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Roma: Carocci editore. Pp 12-13

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Filippo Petruccelli - Come osservare

3. Il video-replay nello studio delle interazioni familiari

Con l’intento di chiarificare quanto esposto fino ad ora, presentiamo di seguito uno degli

ambiti in cui maggiormente viene utilizzata la videoregistrazione come strumento prediletto ai fini

della ricerca e dell’intervento: lo studio delle interazioni familiari.

I naturali dubbi che possono sorgere in seguito alla decisione di utilizzare tale la tecnica

sono stati ormai superati grazie, ad esempio, all’utilità che questa ha dimostrato di avere

favorendo l’efficacia e l’efficienza degli interventi psicosociali e grazie al continuo progresso delle

tecnologie che favoriscono la creazione di setting o di laboratori forniti di videocamere e microfoni

di dimensioni ridotte e quindi meno invasivi.

Se la delicata fase di costruzione del rapporto collaborativo con la famiglia va a buon fine il

gruppo familiare sarà maggiormente in grado di adattarsi al setting anche se questo prevede

l’utilizzo di apparecchi elettronici. Quanto detto è particolarmente vero specialmente quando si

propone, in un secondo momento, l’applicazione della tecnica del video – replay. Tale

metodologia offre al genitore l’opportunità di riguardare le proprie interazioni con i figli, favorendo

una maggiore consapevolezza circa le loro modalità di interazione. Al contempo, permette al

clinico di sottolineare le sequenze interattive in cui il comportamento dei genitori risulta essere

adeguato ed efficace, ponendo una linea di demarcazione da quelle caratterizzate da uno o più

errori interattivi. La possibilità di guardarsi dal di fuori e la maggior consapevolezza che ne

consegue, permette all’adulto di sviluppare comportamenti riparativi e strategie per il

raggiungimento degli obiettivi desiderati.

La tecnica del video – replay permette, altresì, al clinico di effettuare un’intervista

microanalitica con l’adulto al fine di comprendere quali rappresentazioni mentali erano attive nel

preciso momento in cui venivano compiute alcune azioni piuttosto che altre.

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Filippo Petruccelli - Come osservare

Dalle loro esperienze pregresse, molti terapeuti della famiglia sostengono che l’utilizzo di

metodi direttivi sia maggiormente efficace per la valutazione dei modelli interattivi tipici del nucleo

familiare oggetto di osservazione: ai membri viene richiesto di comportarsi in modo quanto più

possibile spontaneo, mettendo in atto i loro abituali pattern di regolazione delle relazioni.

Sia in ambito clinico che in quello di ricerca si evince che all’aumentare della strutturazione

del contesto vi è un aumento della probabilità di osservare differenze tra campioni: più il compito

è strutturato più la famiglia ha poche possibilità di scegliere gli stimoli ai quali rispondere. Dunque,

le differenze che si riscontrano possono essere imputate alle peculiarità intrinseche di quella

specifica famiglia 4.

4 Mazzoni, S. e Tafà, M. (2007). L’intersoggettività nella famiglia. Procedure multimetodo per l’osservazione e la valutazione
delle relazioni familiari. Milano: FrancoAngeli s.r.l. Pp. 76-78

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

1. Relazione osservatore - osservato

La posizione dell’osservatore durante il processo di rilevazione dei dati è intesa come il ruolo

che egli ricopre nell’incontro con i partecipanti, ovvero la sua modalità di conduzione

dell’osservazione sul campo.

La sua presenza o assenza durante la raccolta del materiale si basa su una decisione presa

a priori su quale sia la posizione metodologica più adeguata alla conduzione di una buona

osservazione.

L’osservatore può rilevare un fenomeno partecipandovi o mantenendo un certo distacco.

Può altresì decidere di intervenire secondo tempi e modi ritenuti opportuni, assumendo una

posizione più o meno interna al campo. Tali posizioni determinano tre modalità di condurre

l’osservazione, partecipante, distaccata o critica, che sono tipiche di peculiari approcci teorici e di

ricerca e, per questo, possono essere intese come metodiche differenti1.

Dunque, a seconda del grado di coinvolgimento dell’osservatore egli avrà un diverso

impatto su quanto rilevato. Spadley ha sottolineato cinque diversi livelli di coinvolgimento che si

esplicano lungo un continuum:

 Al livello inferiore l’osservazione è distaccata, ossia l’osservatore non è fisicamente presente

oppure può dissimulare la sua presenza tramite l’uso di tende e paraventi;

 Il secondo livello è caratterizzato da una partecipazione passiva, in cui l’osservatore pur

essendo presente non interagisce con i soggetti;

 Il terzo livello fa riferimento ad una partecipazione moderata. In altre parole, l’osservatore

adotta un atteggiamento equilibrato tra il coinvolgimento e il distacco;

 Il quarto livello prevede una partecipazione attiva dell’osservatore. Questo è impegnato

specialmente nella raccolta di informazioni utili per la comprensione dell’oggetto di studio;

1 Aureli, T. (1997). L’osservazione del comportamento del bambino. Società editrice il Mulino

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

 Il quinto livello contempla una completa partecipazione da parte dell’osservatore, il quale

diventa un membro del gruppo condividendone usi e costumi2.

Proponiamo di seguito una tabella riassuntiva dei diversi gradi di coinvolgimento.

Baumgartner, E. (2017).

Riportiamo quindi qualche esempio applicativo per chiarire meglio le diverse modalità di

osservazione:

 L’osservazione non partecipante si può condurre, ad esempio, tramite l’utilizzo dello

specchio unidirezionale per osservare l’interazione madre – bambino. L’osservatore può,

altresì, decidere di essere fisicamente presente all’interno della stanza e riprendere i

soggetti mediante una videocamera con l’utilizzo di comandi a distanza;

 Durante l’osservazione passiva l’osservatore può rilevare il comportamento di gioco dei

bambini mediante l’utilizzo di una scheda di rilevazione. Egli compila la scheda ma non si

intromette nell’attività dei bambini né tantomeno risponde alle loro eventuali sollecitazioni;

2 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le Scienze della Formazione e
dell’Educazione. Novara: De Agostini Scuola SpA

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

 Adottando la modalità di partecipazione moderata, l’osservatore potrebbe, ad esempio,

prendere parte ad una riunione con l’obiettivo di osservare le modalità comunicative dei

membri del gruppo. La maggior parte del tempo viene dedicato alla rilevazione, tuttavia,

se richiesto, ha la possibilità di intervenire;

 Durante l’osservazione attiva, il professionista è presente in classe e prende attivamente

parte alle attività, esclusi brevi periodi di tempo necessari a prendere nota di ciò che ha

osservato;

 La partecipazione completa potrebbe essere adottata da un insegnante presente in classe

che, durante lo svolgimento del suo lavoro, osserva alcuni determinati aspetti delle

condotte degli alunni3.

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

2. Il modello teorico di riferimento dell’osservazione


distaccata: l’approccio ecologico

L’osservazione distaccata getta le sue basi teoriche nell’approccio etologico2.

Quando si parla di osservazione etologica si fa riferimento alle ricerche condotte da

biologici quali, ad esempio, Konard Lorenz, Tinbergen, Eibl-Eibesfeld. È proprio grazie a quest’ultimo

che, alla fine degli anni Settanta, abbiamo assistito all’applicazione dei metodi qualitativi della

ricerca etologica allo studio della condotta umana. L’attenzione è stata rivolta all’analisi dei

comportamenti non verbali peculiari delle differenti culture e ad alcuni pattern comportamentali

manifestati da bambini con deficit sensoriali. Inoltre, assunti e metodologie di stampo etologico

sono presenti nelle opere di Hinde e Bowlby, studiosi dello sviluppo socioaffettivo3.

È proprio all’etologia che dobbiamo l’utilizzo del metodo osservativo come metodologia

per lo studio del comportamento, insieme al disegno sperimentale e al disegno quasi sperimentale.

Il metodo osservativo acquisisce grazie all’etologia non solo un riferimento teorico ma altresì

procedurale2.

Uno dei principali aspetti delle indagini in campo etologico, infatti, è proprio la descrizione

dettagliata dei moduli comportamentali. L’obiettivo è quello di ricostruire una storia naturale del

comportamento animale e umano che risulta necessaria per effettuare successive osservazioni

sistematiche, che seguono la direzione di ipotesi specifiche.

2 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le Scienze della Formazione e
dell’Educazione. Novara: De Agostini Scuola SpA
3 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma
2 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le Scienze della Formazione e
dell’Educazione. Novara: De Agostini Scuola SpA

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

Secondo gli etologici, infatti, il comportamento, così come le strutture anatomiche e

fisiologiche, è il prodotto dell’azione della selezione naturale e perciò, evolvendosi, permette

l’adattamento dell’organismo all’ambiente. In questo senso, l’oggetto di osservazione è

rappresentato dalla natura e dalla frequenza dei comportamenti con l’obiettivo di individuare le

relazioni adattive con l’ambiente nel quale avviene lo sviluppo3.

L’approccio etologico è stato di fondamentale importanza per gli studi relativi ai primi anni

di vita. Nata per lo studio del comportamento animale, la metodologia etologica si è rivelata di

grande vantaggio per le indagini rivolte alle fasi di vita dell’individuo in cui è ancora assente il

comportamento verbale.

Con l’obiettivo di comprendere come gli esseri viventi riuscissero a sopravvivere e riprodursi

risultava necessaria l’adozione di un’osservazione con caratteristiche di distacco, spregiudicatezza,

completezza e di cura nel dettaglio. Vediamoli in modo più approfondito:

 Il criterio di distacco impone all’osservatore di dirigere il focus attentivo solo su ciò che del

comportamento è manifesto e oggettivamente rilevabile. Secondo gli esponenti di tale

approccio, per fare ciò è necessario mettere da parte emozioni, pensieri e giudizi così da

far prevalere l’interesse per la ricerca di una spiegazione oggettiva, basata su fatti reali e

non soggetta a inferenze o aspettative.

 Il criterio di spregiudicatezza prevede che l’osservazione sia completamente priva di

preconcetti ed ipotesi che possano rivolgere in qualche modo l’attenzione verso focus

specifici, così che l’osservatore possa essere in grado di cogliere tutte le sfumature del

comportamento rilevato. In altre parole, l’osservazione non risente dell’influenza di ipotesi

ma piuttosto è determinata dalle regolarità individuate all’interno della variabilità

comportamentale, fino a delineare le unità della condotta che diverranno poi il vero

oggetto di studio.

3 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma

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 La completezza e cura del dettaglio si riferiscono alla necessità di condurre un’osservazione

in modo esauriente e minuzioso così che il comportamento possa essere individuato e

valutato correttamente e in modo chiaro anche da altri.

Prendendo in considerazione quanto appena esposto è possibile evincere che

l’osservazione etologica si interessi agli aspetti più semplici del comportamento, ai quali è possibile

riferirsi in termini fattuali. Questo permette di evitare interpretazioni differenti diverse da parte di

osservatori diversi, in momenti diversi2.

Il prodotto dell’osservazione etologica è detto etogramma ovvero un repertorio

comportamentale esaustivo, un elenco approfondito e completo contenente la descrizione di

specifici comportamenti. L’assunto teorico alla base dell’etogramma è che è possibile determinare

un numero limitato di pattern comportamentali e risposte stereotipate, peculiari di ogni specie, che

si manifestano in date condizioni ambientali.

La costruzione dell’etogramma prevede delle fasi organizzate gerarchicamente:

 In un primo momento viene individuato l’ambito comportamentale a carattere generale

oggetto di interesse, ad esempio, il comportamento aggressivo;

 Successivamente vanno determinate sottoclassi più specifiche del comportamento, ad

esempio, l’aggressività ostile e l’aggressività strumentale. È importante tenere a mente che

esse devono essere concettualmente escludentesi;

 Infine, i comportamenti di ogni sottoclasse vengono descritti ad un livello ancora più

analitico. Ad esempio, l’aggressività ostile dei bambini in età prescolare comprende la

manifestazione di specifiche condotte come il mordere o il tirare i capelli; l’aggressività

strumentale invece prevede azioni come lo spingere o togliere un oggetto di mano.

2 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le Scienze della Formazione e
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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

In sintesi, l’osservazione etologica prevede che l’oggetto di osservazione sia il

comportamento spontaneo il quale viene analizzato e organizzato attraverso l’uso di un

etogramma, ossia un elenco delle unità motorio-espressive coinvolte. Le osservazioni sono di tipo

sistematico e avvengono mediante un atteggiamento distaccato e non partecipe

dell’osservatore, il quale si interessa esclusivamente alla durata e alla frequenza dei

comportamenti osservati3.

3 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

3. L’osservazione distaccata

L’osservazione distaccata è il metodo tipico di osservazione dell’etologia. Viene introdotta

nella psicologia dello sviluppo a partire dagli anni Sessanta, a seguito del ritrovato interesse per

l’osservazione. Rispetto alle ricerche condotte fino a quel momento storico introduce un nuovo

modo di osservare. In parallelo, l’approccio etologico veniva utilizzato per lo studio del

comportamento infantile, sia da biologi animali come Blurton Jones, sia da psicologi come John

Bowlby. Attualmente esiste infatti un ampio filone di studi attinente ai concetti sviluppati ed ai

metodi utilizzati in campo etologico2.

L’etologia acconsente alla rilevazione dei fenomeni osservati sia all’interno dell’ambiente

naturale che in quello artificiale. Questi, infatti, non devono essere considerati come mutualmente

escludentesi ma la loro scelta varia in base esigenze conoscitive della ricerca.

Il contributo degli studi etologici ha evidenziato la notevole complessità di comportamenti

che in prima analisi sembravano essere più semplici. L’approccio sottolinea fortemente la

necessità di condurre osservazioni accurate e dettagliate in una prima fase della ricerca per poi

procedere alla definizione dell’oggetto verso cui focalizzare l’interesse.

I comportamenti e le sue funzioni sono complessi, così come lo è il significato di ogni

condotta che varia in base alla sequenza comportamentale in cui si inserisce e in base alla

situazione in cui si manifesta.

Per esempio, l’azione del bambino di tenere in mano un cubetto di lego può cambiare di

significato a seconda di quanto avviene prima e di quanto avviene dopo. Potrebbe, infatti, far

parte di un’attività più ampia di costruzione o di gioco di finzione; potrebbe altrimenti

rappresentare il suo turno in una sequenza di prestito e scambio di oggetti con un altro bambino;

potrebbe, infine, costituire una parte di una sequenza comportamentale aggressiva durante un

litigio.

2 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le Scienze della Formazione e
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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

Anche il contesto fisico influisce sulla natura e sul significato del comportamento: la stessa

azione può collocarsi nell’etichetta “attività solitaria” in un’aula scolastica, ma non se condotta a

casa. Questo perché la definizione di “attività solitaria” è adeguata solo se sono presenti altri

bambini e se a tale concetto può essere contrapposto quello di “attività condivisa”.

Come abbiamo potuto osservare determinate circostanze influiscono sulla chiave di lettura

del medesimo evento. Dunque, per effettuare una corretta valutazione di un comportamento e

della sua funzione si deve necessariamente tenere conto del contesto ambientale, del momento

in cui è stato messo in atto, di tutto ciò che è avvenuto prima e di tutto quello che avverrà dopo il

fenomeno osservato.

Come agire considerando tale complessità?

Le ricerche di stampo etologico forniscono delle indicazioni molto interessanti, seppur

vincolanti, sul modo di condurre un’osservazione e sulla posizione da assumere rispetto ai

partecipanti.

 In uno stadio preliminare risulta opportuno registrare con molta attenzione e precisione tutto

ciò che avviene in una specifica situazione.

Gli obiettivi di questa prima fase preparatoria mirano al raggiungimento di una certa

familiarità con l’oggetto di indagine; all’identificazione dei comportamenti specifici da indagare;

alla formulazione delle ipotesi di ricerca.

Per registrare in modo obiettivo e accurato è auspicabile avvalersi dell’aiuto di specifiche

apparecchiature che producono una traccia permanente e invariabile di quanto osservato. È

bene sottolineare che le tecniche strumentali di registrazione non solo permettono di avere una

documentazione permanente dei fenomeni sotto osservazione, ma consentono inoltre di

riesaminare più di una volta il materiale ottenuto, eliminando le certezze circa l’incognita della

soggettività e selettività che caratterizzano le rilevazioni dei dati tramite le tecniche carta e matita.

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

Per tutte queste ragioni gli etologi hanno sempre prediletto l’utilizzo della riproduzione su

filmato o videoregistrazione;

 Per quanto concerne la relazione con l’oggetto di indagine, la ricerca etologica pone

l’osservatore in una posizione di estraneità e di distanza. Il motivo alla base di questa scelta

è che soltanto tramite il distacco è possibile garantire l’obiettività delle rilevazioni;

 Fatte queste premesse è possibile analizzare le fasi della registrazione dei dati:

o La fase “spregiudicata”, ovvero esente da idee preliminari e pregiudizi;

o L’individuazione delle regolarità nell’occorrenza di specifici eventi e la definizione

delle ipotesi che saranno poi sottoposte a verifica;

o L’ esplorazione dei modelli comportamentali globali individuati.

All’interno della grande varietà di modelli comportamentali propri dell’essere umano,

l’obiettivo dell’etologo è quello di determinare dei “repertori” o dei “cataloghi”, ossia descrizioni di

pattern comportamentali che abbiano una frequenza regolare in determinate circostanze.

L’osservazione inizia quindi con una fase percettiva globale in cui vengono rilevati i

comportamenti così come vengono messi in atto. Segue poi una fase analitica in cui il fenomeno

comportamentale osservato viene scomposto in tante, diverse unità motorie. Infine, si guarda al

comportamento abbracciando nuovamente una chiave di lettura globale mediante

l’individuazione di pattern comportamentali stabili.

Nell’osservazione distaccata, il compito dell’osservatore è complesso e articolato, poiché i

dati raccolti hanno priorità rispetto al proprio approccio teorico e la posizione assunta dal

ricercatore è subordinata rispetto a quanto rilevato nella realtà empirica.

Il significato di quanto rilevato viene perciò indotto dai dati di rilevazione, obbligando

l’etologo a condurre una lunga analisi degli aspetti formali, sequenziali e organizzativi del

comportamento, prima di avanzare supposizioni o affermazioni di qualsiasi sorta. Tale analisi può

essere condotta esclusivamente sulla base di descrizioni obiettive, complete, esplicite e minuziose.

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Filippo Petruccelli - Osservazione distaccata

È possibile sintetizzare il grande contributo degli etologi attraverso una singola frase: l’atto

della descrizione (obiettiva) precede quello dell’interpretazione. La descrizione è mirata alla

raccolta completa e sistemica di ciò che si osserva e ha come oggetto di indagine le sole

manifestazioni comportamentali osservabili3.

3 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma

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Filippo Petruccelli - Osservazione critica

1. Il metodo clinico

Quella critica è la tipologia di osservazione utilizzata da Jean Piaget con la finalità di

studiare lo sviluppo cognitivo nei bambini di appena 3 anni, su cui poi pubblica la sua famosa

trilogia: La nascita dell’intelligenza nel bambino 1, La costruzione del reale nel bambino 2 e La

formazione del simbolo nel bambino 3. Il suo lavoro si è basato sull’osservazione sistematica e

minuziosa dei suoi tre figli Jacqueline, Laurent e Lucienne, di cui ha registrato l’attività

sensomotoria 4.

Questa forma di osservazione presenta alcune analogie con le metodologie proprie della

psicologia infantile ai suoi albori: diversi studiosi si avvalevano di biografie e diari in cui venivano

riportati i comportamenti dei figli al fine di indagare lo sviluppo umano. Il comportamento, in

entrambi i casi, si basa su l’osservazione naturalistica del comportamento: questo viene rilevato

continuativamente e sistematicamente all’interno del contesto in cui si esplica. Per il grado di

dettaglio delle descrizioni, può inoltre ricordare il metodo etologico di osservazione. Tuttavia,

l’osservazione piagetiana si differenzia dalle altre due in quanto l’autore non si interessa al

comportamento di per sé ma a ciò che sottende ad esso.

1 Piaget, J. (1936). La naissance de l’intelligence chez l’enfant, Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, tr. it. (1968), La nascita
dell’intelligenza nel bambino, Firenze, La Nuova Italia.
2 Piaget, J. (1937). La construction du réel chez l’enfant, Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, tr. it. (1973), La costruzione del
reale nel bambino, Firenze, La Nuova Italia.
3 Piaget, J., (1945). La formation du symbole chez l’enfant, Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, tr. it. (1972), La formazione del
simbolo nel bambino, trad. it. Firenze, La Nuova Italia.
4 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Il metodo osservativo piagetiano è anche definito metodo quasi – sperimentale in quanto

l’autore parte da ipotesi fortemente strutturate, le quali vengono verificate in modo sistematico

mediante la manipolazione di variabili. La conduzione delle rilevazioni volte ad indagare lo

sviluppo della cognizione e dell’intelligenza nell’infante viene guidata da ipotesi: le condizioni

dell’osservazione vengono disposte apriori e manipolate in modo da rendere i dati rilevati

significativi e da ridurre il numero di interpretazioni possibili.

L’autore utilizzava l’aggettivo critico per definire il proprio metodo, riferendosi alle modalità

con cui venivano studiati i processi di sviluppo del pensiero nei bambini di età prescolare e scolare.

Tuttavia, in prima battuta Piaget si riferiva al metodo di indagine adottato come metodo

clinico. L’autore, nella sua opera La rappresentazione del mondo del fanciullo, illustra in modo

chiaro cosa intende quando parla di esame clinico e ne illustra rispetto all’utilizzo di test o di

osservazioni pure.

Nel volume viene dedicato ampio spazio all’indagine su quelle che sono le credenze

spontanee dei bambini circa le origini e la natura dell’universo e dei fenomeni naturali. In questo

senso, l’autore aveva come scopo quello di capire se il bambino presentasse delle credenze su ciò

che attiene al mondo reale e se queste venissero distinte dal gioco di finzione e dai prodotti della

fantasia. L’ipotesi da cui l’autore partiva era quella secondo cui l’egocentrismo intellettuale

infantile ostacolasse la possibilità del bambino di creare una rappresentazione del reale che fosse

oggettiva e che quest’ultima si sarebbe venuta a creare esclusivamente nel momento in cui il

pensiero fosse stato socializzato e quindi l’io del piccolo fosse maturato.

L’autore ha tentato perciò di individuare un metodo tale da poter indagare le credenze

intime dei bambini. Egli rifiutò l’utilizzo dei questionari per due principali ragioni. In primo luogo,

secondo l’autore l’utilizzo di tale metodologia non avrebbe permesso un’analisi sufficiente dei dati

in quanto non in grado di cogliere molti aspetti del pensiero del bambino.

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In secondo luogo, la presentazione di domande avrebbe potuto falsare le risposte del

bambino, ostacolando la validità dell’analisi. Formulare, ad esempio, una domanda al bambino su

come si muovono gli astri rischierebbe di indurre una risposta nel bambino differente rispetto a

quella che produrrebbe spontaneamente. La risposta si rivelerebbe quindi una fabulazione.

L’autore rigetta anche l’utilizzo della sola osservazione diretta: a causa dell’egocentrismo

intellettuale, secondo l’autore, il piccolo non cerca di comunicare il suo pensiero non avendo

consapevolezza della realtà mentale dell’altro come diversa dalla propria. Le sue spiegazioni

rispetto a ciò che accade nella realtà sono uniche e pertanto ovvie. Dunque, per conoscere cosa

e come pensa il bambino è necessario avvalersi dell’uso del linguaggio.

Secondo Piaget, il clinico, durante l’osservazione del comportamento spontaneo, deve

formulare ipotesi e verificarle continuamente, modulando le domande da porre al bambino in

base alle risposte ottenute dallo stesso. Lo scopo è quello di guidare l’orientamento mentale del

bambino sugli aspetti del pensiero che sono oggetto di interesse del ricercatore, su cui

quest’ultimo ha formulato ipotesi.

«L’esame clinico partecipa così all’esperimento, nel senso che il clinico si pone problemi,

formula ipotesi, varia le condizioni, e infine controlla ogni ipotesi in base alle reazioni provocate

dalla conversazione. Ma l’esame clinico partecipa anche dell’osservazione diretta, nel senso che il

buon clinico, pur dirigendo, si lascia dirigere e tiene conto di tutto il contesto mentale, invece di

cadere vittima di “errori sistematici” come spesso accade allo sperimentatore puro» 5.

5 Piaget J. (1926), La représentation du monde chez l’enfant, Paris, Presses Universitaires de France (tr. it. La rappresentazione
del mondo nel fanciullo, Torino, Boringhieri, 1966).

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In sintesi, il metodo clinico di Piaget è caratterizzato da alcuni aspetti fondamentali 6:

• Durante l’intervista lo sperimentatore formula ipotesi sul significato della condotta

osservata. Tali ipotesi vengono verificate ponendo al bambino altre domande.

• Lo sperimentatore segue un protocollo stabilito a priori, tuttavia si lascia guidare dalle

risposte fornite dal piccolo;

• L’osservatore stimola i soggetti ad argomentare le loro risposte in modo da ottenere

una spiegazione, tuttavia non sollecita giudizi;

• Lo sperimentatore avanza delle domande al bambino, gli fornisce suggerimenti; il

bambino giustifica le sue azioni e le sue risposte. Pertanto, l’interazione verbale risulta

essere componente fondamentale del metodo clinico.

6 Tryphon, A., & Vonèche, J. (1998). Piaget-Vygotskij. La genesi sociale del pensiero. Taylor & Francis.

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2. Il metodo critico

Il metodo clinico, basato esclusivamente sulla conversazione, viene successivamente

abbandonato a favore di un approccio che integrava il colloquio con l’osservazione diretta.

Come l’autore spiega nella in Giudizio e ragionamento nel bambino, grazie alle ricerche sullo

sviluppo nei primi di anni di vita del bambino era stato possibile osservare che, tramite la

percezione e il movimento, il bambino nella prima infanzia pone le basi per la costruzione delle

nozioni logiche che si andranno a sviluppare successivamente 7.

Per uno studio in grado di rendere conto di tutte le dimensioni proprie della cognizione, la

focalizzazione esclusiva sul linguaggio non risultava funzionale. L’autore designa ora l’azione come

sorgente principale del pensiero, segnando il passaggio dal metodo clinico, esclusivamente

verbale, a quello critico, verbale e non verbale.

In questo senso, il metodo critico consiste nel conversare liberamente con il bambino

piuttosto che nel porre domande standardizzate e fisse. L’autore e i suoi collaboratori fornivano al

bambino perline, plastilina, asticelle, recipienti che il piccolo poteva osservare e manipolare. In

questo modo il ricercatore aveva la possibilità di indicare il problema logico oggetto di studio in

modo più esemplificativo rispetto ad una condizione in cui questi materiali erano assenti.

L’interesse dell’autore, come già detto, non era tanto rivolto alla condotta, verbale o non

verbale, di per sé verbale ma piuttosto al funzionamento mentale sottostante al comportamento.

Per poter indagare i processi mentali non era possibile soltanto osservare il bambino agire

liberamente nel suo contesto ma era necessario osservare il comportamento criteriale, ovvero la

condotta che rivela in che modo il pensiero ha contribuito nella manifestazione del fenomeno

comportamentale in quella data circostanza. Da ciò si può comprendere perché il metodo venga

chiamato critico.

7 Piaget, J. (1958). Giudizio e ragionamento nel bambino, trad. it. La Nuova Italia, Firenze.

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Partendo dall’azione manifestata dal bambino e dal linguaggio spontaneo, il ricercatore

ha il compito di introdurre delle modifiche per indagare come questi siano organizzati: il piccolo

viene sollecitato a cimentarsi nella risoluzione di un problema, nel ragionamento, nel dare una

spiegazione. Tramite la formulazione delle ipotesi sulle modalità di pensiero del bambino, l’autore

va ad identificare gli indicatori che sottendono alle zone critiche supposte apriori in modo tale da

esplorarle.

Anche in questo caso, così come nel metodo clinico, Piaget adotta la spontaneità e il

controllo per indagare gli aspetti problematici.

Il metodo critico viene adottato per lo studio dei bambini in età scolare, i quali vengono

sottoposti alle cosiddette prove piagetiane: ai bambini viene richiesto di risolvere un problema

logico tramite la manipolazione di oggetti forniti dallo sperimentatore. Durante lo svolgimento

quest’ultimo pone domande finalizzate alla comprensione delle azioni compiute dal bambino.

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3. L’osservazione critica

Nel suo approccio allo studio del periodo di vita preverbale del bambino, Piaget è costretto

ad utilizzare soltanto l’osservazione: in questo caso, si concentra sugli schemi sensomotori. Così

come nel metodo critico, dove l’osservazione è accompagnata dal linguaggio, anche quando

sceglie di utilizzare solo l’osservazione, l’autore partendo dalle azioni messe in atto dal piccolo

spontaneamente rileva quei comportamenti che sono detti criteriali, ovvero quelli che vengono

manifestati come conseguenza dell’intervento dello sperimentatore. Lo scopo è quello di

comprendere l’organizzazione cognitiva che sta alla base della condotta determinata. In altre

parole, si parte dall’osservazione di un comportamento naturale per poi andare a forzarlo,

assumendo una posizione allo stesso tempo interna ed esterna al campo d’indagine.

Tale metodologia presenta delle analogie con il metodo clinico ad eccezione per il fatto

che in esso si prestava attenzione esclusivamente al comportamento verbale.

In base a quanto detto possiamo ben comprendere come in questa tipologia di

osservazione la teoria assuma un ruolo fondamentale. Ciò spiega uno dei limiti che sono stati

attribuiti alla metodica adottata da Piaget: le rilevazioni mancano di sistematicità e il materiale

raccolto non è quantificabile. Tuttavia, l’autore aveva come obiettivo quello di indagare la qualità

delle strutture mentali che sono coinvolte in alcuni comportamenti e le loro diverse organizzazioni

che assumono nel corso dello sviluppo dell’individuo. Pertanto, dal momento in cui il fenomeno

oggetto di interesse è stato ben delineato a livello teorico questo può essere rilevato anche solo

una volta per rendere conto della sua esistenza. Da ciò ne consegue che la validità e l’affidabilità

del metodo osservativo di Piaget siano da valutare tramite criteri interni e non in termini statistici:

rispetto alla validità i materiali raccolti devono essere interpretabili a livello teorico; rispetto

all’affidabilità l’autore sottolinea la necessità di rispettare rigorosamente i criteri della ricerca

qualitativa.

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Aureli propone un esempio di osservazione critica che Piaget adotta nello studio della

nozione di oggetto. A tale nozione l’autore fa corrispondere quella di permanenza dell’oggetto

che non è data ma viene costruita col tempo quando il bambino riesce a guardare l’oggetto

come ad un’entità indipendente da sé, dalle sue percezioni e dalle sue manipolazioni. L’esempio

verrà riportato nel dettaglio per una comprensione migliore di quanto fino ad ora esposto 8.

«Sembra che non esiste ancora reazione alla caduta di un oggetto a 0;5 (24): nessun

oggetto che lascio cadere davanti a lui (Laurent) è seguito con gli occhi. Invece, a 0;5 (26) cerca

davanti a sé una palla di carta che lascio andare sopra la sua coperta […] ma, quando lascio

cadere l’oggetto fuori dalla culla, non lo cerca (se non interno alla mia mano vuota, che resta in

aria). A 0;5 (30) nessuna reazione alla caduta di una scatola di fiammiferi. Lo stesso a 0;6 (0), ma

quando è lui che lascia cadere questa scatola di fiammiferi gli capita di cercarla con gli occhi

accanto a sé (oss.6)» 9.

La permanenza dell’oggetto trova le sue origini nelle percezioni e nelle azioni del bambino

in risposta all’agito dello sperimentatore.

«A 0;7 (29) cerca per terra tutto quello che lascio cadere al di sopra di lui non appena

abbia percepito l’inizio del movimento di caduta. A 0;8 (1), infine, egli cerca a terra un giocattolo

che tenevo in mano e che ho fatto scivolare senza che egli se ne accorgesse. Non trovandolo,

torna con lo sguardo alla mia mano, che esamina a lungo, poi cerca di nuovo a terra (oss. 6)»

(ibidem).

8 Aureli, T. (1997). L’osservazione del comportamento del bambino. Società editrice il Mulino
9 Piaget, J., (1945). La formation du symbole chez l’enfant, Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, tr. it. (1972), La formazione del
simbolo nel bambino, trad. it. Firenze, La Nuova Italia.

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Filippo Petruccelli - Osservazione critica

La ricerca dell’oggetto quando sparisce alla vista ci fa pensare che il piccolo Laurent

abbia acquisito l’idea di un oggetto che permane. Tuttavia, tale permanenza è, secondo l’autore,

ancora soggettiva in quanto il bambino cerca l’oggetto nel punto in cui l’ha visto sparire.

«A 0;7 (30) Lucienne prende una bambolina che le presento per la prima volta. La esamina

con grande interesse poi la lascia andare (non intenzionalmente) […]. Quando l’ha trovata, gliela

prendo e la copro, sotto i suoi occhi, con una coperta […]: nessuna reazione» (ibidem).

Successivamente, quando l’autore varia le condizioni di comparsa dell’oggetto, è possibile

osservare il consolidamento di quanto percepito.

«Basta che il biberon venga a sparire dal campo percettivo che cesso di esistere dal punto

di vista del bambino. A 0;6 (19) Laurent si mette a piangere di fame e di impazienza vedendo il suo

biberon. Ma nel preciso momento in cui faccio sparire il biberon – Laurent mi segue con lo

sguardo! – dietro la mia mano o sotto la tavola, smette di piangere. Però quando faccio sparire

solo parzialmente il biberon e Laurent ne percepisce pertanto solo una piccola parte accanto alla

mia mano, ad un pannolino o alla tavola, […] Laurent si agita e grida guardando fissamente la

parte visibile dell’oggetto (oss. 24)» (ibidem).

Per dire se il bambino possiede la nozione dell’oggetto anche se coperto da un ostacolo

bisognerebbe osservare il bambino quando compie azioni finalizzate ad eliminare gli elementi del

campo che ostacolano il raggiungimento dell’oggetto.

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Filippo Petruccelli - Osservazione critica

«A 0;8 (8) […] quando colloco l’orologio sotto i suoi occhi e, al momento in cui sta per

prenderlo, lo ricopro col suo guancialetto, ritira la mano borbottando. E tuttavia gli sarebbe stato

facilissimo sollevare il guanciale come fa di continuo quando gioca […]. Analogamente, gli

oggetti che mi vede nascondere sotto il cuscino non danno luogo ad alcuna reazione. Solo dopo

0;9 si mette a cercare l’oggetto in tali condizioni (oss. 33)» (ibidem).

Quando il bambino non trova l’oggetto rinuncia quindi alla ricerca attiva dello stesso,

limitandosi a guardare la mano dello sperimentatore. Successivamente, quando si entra nel quarto

stadio dello sviluppo, il bambino sembra convincersi della permanenza dell’oggetto.

«A 0;9 (17) basta che Laurent veda sparire un portasigarette sotto il cuscino perché sollevi lo

schermo e scopra l’oggetto. A 0;9 (29) egli ritrova il mio orologio sotto un piumino, sotto un

pannolino ecc. La condotta è ormai acquisita (oss. 34)» (ibidem).

Tuttavia, la condotta viene acquisita in modo definitivo quando il bambino trova gli oggetti

anche quando spariscono in luoghi distinti e nel momento in cui sarà in grado di costruire in entità

sostanziali gli oggetti i cui spostamento non sono visibili.

L’osservazione critica di Piaget viene successivamente utilizzata da alcuni autori per lo

sviluppo di test mentali come ad esempio le scale ordinali di Uzgiris e Hunt basate sul processo

sequenziale di sviluppo sensomotorio. Le scale si costituiscono di item che presentano al bambino

le situazioni proposte da Piaget per evocare i comportamenti critici peculiari di ogni stadio dello

sviluppo 10.

10 Uzgiris, L. & Hunt, J. MCV (1975). La valutazione della prima infanzia. Scale ordinali di sviluppo psicolopgico, trad. it. (1979)
Firenze, La Nuova Italia.

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Filippo Petruccelli - Osservazione critica

4. Vantaggi e svantaggi dell’osservazione piagetiana

Il metodo di osservazione adottato da Piaget ha come primo vantaggio quello di fornire

descrizioni del comportamento che siano continue, sistematiche ed accurate. Le informazioni che

vengono raccolte sono ricche, dettagliate e permettono di una visione più profonda di quanto

rilevato. Egli adotta un approccio qualitativo, evitando di fornire dati numericamente quantificabili

ma piuttosto concentrando l’attenzione sui processi su cui si concentra. L’autore è stato in grado di

predisporre delle condizioni di osservazioni tali da preservare da un lato la spontaneità e la

naturalezza del comportamento, e dall’altro la rigorosità di un metodo di studio che punta alla

verifica di ipotesi determinate a priori 11.

Tale metodo tuttavia non è esente da critiche. Diversi autori hanno contestato proprio la

forza delle ipotesi che costringono la strategia di osservazione adottata. In altre parole, la

definizione di tesi aprioristiche costringe i dati raccolti in uno schema interpretativo predefinito che

non trova riscontro a livello empirico. Ulteriori critiche sono rivolte al fatto che l’autore verificasse

delle ipotesi a volte tramite un’unica osservazione del fenomeno comportamentale. Viene quindi

tacciato di un’eccessiva selettività nello svolgimento dell’indagine che induce ad una distorsione

dei dati raccolti in funzione della verifica di un’ipotesi prestabilita. Ad esempio, nello studio

dell’imitazione l’autore non differenzia nei primi due stadi dello sviluppo cognitivo, l’imitazione dei

suoni da quello dei gesti. In questo modo Piaget non tiene conto del diverso significato sociale

delle differenti condotte e, di conseguenza, i differenti effetti che ciò ha sul bambino.

11 Baumgartner, E. (2017). L’osservazione del comportamento infantile. Teorie e strumenti. Carocci editore S.p.A., Roma.

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Filippo Petruccelli - Osservazione critica

Nonostante tali criticità, alle ricerche successive che hanno smentito le intuizioni dell’autore,

si accompagnano da altre che le hanno confermate. Tra i due e i quattro mesi, l’autore parla di

imitazione reciproca riferendosi alla tendenza del bambino al prolungamento della produzione di

suoni nel momento in cui l’adulto con cui interagisce tende ad imitarlo. Nonostante non tenti di

smentire tale ipotesi, osservando cosa si verificherebbe nel caso in cui l’adulto non emettesse

alcun suono, questa è stata dimostrata da studi successivi.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

1. Cornice teorica: approccio etnografico e approccio


psicoanalitico

L’osservazione partecipante è una tipologia di rilevazione dati che implica il

coinvolgimento intenzionale del ricercatore nella situazione osservata 1. Prevede una presenza

attiva dell’osservatore, che in questo modo può rilevare non soltanto gli eventi superficiali che

emergono immediatamente, ma anche atteggiamenti, opinioni e sentimenti dei soggetti.

L'osservatore è libero di variare e regolare il grado di coinvolgimento in base alle sue

tendenze, necessità e in accordo con gli scopi della ricerca. Il ricercatore può, quindi, scegliere se

limitarsi a calibrare il proprio comportamento su quello dei soggetti, oppure interagire attivamente

con loro; può infine tentare di calarsi il più possibile nella loro realtà sia sociale che culturale. In ogni

caso, in questo tipo di osservazione, è tenuto a comportarsi come un elemento interno e

appartenente al campo e al contesto in cui l’osservazione si svolge. Per alcuni studiosi tutta la

ricerca sociale si configura, in un certo senso come un’osservazione partecipante, in quanto: «non

è possibile studiare il mondo sociale senza essere parte di» 2.

Le cornici teoriche di riferimento per la concettualizzazione dell'osservazione partecipante

sono l’etnografia e la psicanalisi, le quali, pur mantenendo inalterata l’importanza del

coinvolgimento dell’osservatore negli eventi, utilizzano termini differenti e inseguono scopi diversi.

Nell’ambito della ricerca etnografica – la branca dell’antropologia che ha lo scopo di

conoscere i comportamenti degli esseri umani all’interno di diverse culture – l’osservazione

partecipante rappresenta una tecnica di elezione. Infatti, la possibilità di studiare i comportamenti

dei soggetti in base alla loro cultura è legata alla capacità di accedere e interpretare i significati

espressi all’interno di quella cultura specifica. Significati che possono essere molto distanti da quelli

che il ricercatore attribuirebbe normalmente in base al suo background culturale, tanto da

risultare, a volte, anche incomprensibili.

1 Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino.


2 Hammersley, M. A., & Atkinson, Y. P.,(1994). Etnografía: métodos de investigación. p.249

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

I significati a cui si fa riferimento riguardano le pratiche sociali (negoziazione di ruoli,

atteggiamenti, valori, vissuti emotivi ecc.) che caratterizzano particolari contesti culturali, alle quali

è difficile accedere da estranei, mentre possono essere rilevate meglio dall’interno. Ciò comporta

che l’osservatore sia chiamato a prendere parte alle circostanze che influiscono sulla

manifestazione di tali pratiche. Dunque, un’osservazione che sia partecipante appare di

importanza prioritaria al raggiungimento di tale scopo.

Le giustificazioni teoriche che, in questo ambito, legittimano l’applicazione dell'osservazione

partecipante sono principalmente due:

● I dati sono sempre il risultato di un’interazione tra ricercatore e fenomeno. Risulta perciò

impossibile eliminare l’attività costruttiva di chi li rileva;

● I dati psicologici si riferiscono ad una realtà non oggettiva ed univoca, quindi sono tanto

più informativi quanto più l’osservatore riesce a calarsi in quella realtà.

Un’altra forma di osservazione partecipante è quella utilizzata in ambito psicoanalitico. In

questo caso la relazione e l’influenza reciproca osservatore-osservato assume una tale importanza

da rappresentare essa stessa l'oggetto di studio. Questo risulta particolarmente vero in riferimento

alla versione più nota di osservazione partecipante in ambito psicoanalitico, anche se non l’unica,

ovvero l’Infant Observation.

L'osservazione del bambino è stata introdotta all’interno della ricerca psicoanalitica con il

fine di raccogliere dati e informazioni che integrassero quelli ricavati tramite l’attività ricostruttiva

del colloquio terapeutico. Si sottolineava la necessità di approfondire la descrizione delle fasi

precoci dello sviluppo, per creare una base empirica utile per la teoria e la diagnosi.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

Nonostante lo scopo sia quello di raccogliere dati, in questo caso, il ricercatore resta

comunque uno psicanalista che temporaneamente ricopre il ruolo di osservatore. Infatti, non è

interessato ai comportamenti di per sé, ma a quelli che risultano utili alla ricostruzione analitica dei

processi inconsci che ne sono alla base 3. Secondo Hartmann, l’analista introduce aspetti che altri

metodi di osservazione hanno fino a quel momento trascurato, come la considerazione per fattori

consci e inconsci del bambino e come questi interagiscono.

A dimostrazione di quanto il metodo psicoanalitico abbia inglobato e fatta propria la

tecnica dell’osservazione, Winnicott affermava che la relazione osservatore-osservato è

paradigmatica della relazione terapeuta paziente 4. Come nell’analisi dove il terapeuta deve

imparare ad aspettare, in uno stato di dubbiosa incertezza, la composizione dei materiali a prima

vista indecifrabili proposti dal paziente, evitando di sovrapporsi con le proprie ipotesi, così

nell’osservazione le cose che si vedono sono più di quelle che si comprendono, e solo la continuità

dell’osservazione e l’attesa possono condurre a una comprensione finale.

Essenziale è riuscire a far sì che l’osservazione resti prima di tutto un’esperienza emotiva,

lasciando la propria attenzione “libera e fluttuante”, in modo da seguire il materiale ovunque esso

conduca. L’osservatore deve assumere un atteggiamento neutrale e partecipe allo stesso tempo.

Neutrale perché deve lasciare che gli eventi si verifichino secondo il proprio corso, partecipe al

fine di cogliere le singolarità della situazione osservativa in questione, inserendosi nell’atmosfera

generale della relazione e in particolare nella sua dimensione emozionale.

3 Freud, A. (2012). L'Io ei meccanismi di difesa. Giunti Editore.


4 Winnicott, D. W., & Ranchetti, C. (1975). Dalla pediatria alla psicoanalisi: scritti scelti. G. Martinelli.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

2. L’osservazione partecipante e la sua applicabilità

L'osservazione partecipante si svolge come un processo di ricerca qualitativa che inizia con

la compilazione, da parte del ricercatore, di un progetto all’interno di un contesto sociale, da cui

egli procede ponendo domande etnografiche, raccogliendo dati, registrandoli e analizzandoli, al

fine di scrivere un rapporto 5.

Il processo quindi è ciclico e ricomincia, come spesso accade, quando i risultati di una

ricerca portano alla formazione di nuove domande di ricerca nello stesso contesto sociale o in uno

diverso. Il processo di osservazione partecipante richiede il coinvolgimento del ricercatore come

partecipante in un contesto sociale, e la realizzazione di osservazioni descrittive di sé stesso, di altri

e dell'ambientazione. La misura in cui il ricercatore viene coinvolto deve essere esposta e spiegata

esaustivamente. Il grado di coinvolgimento, sia con le persone che nelle attività, varierà

considerevolmente in base al ricercatore e in base agli eventi, perciò il ricercatore deve stabilire

l'entità della sua partecipazione.

All’interno della letteratura sono stati individuati cinque tipologie di partecipazione che si

collocano su punti diversi di un continuum, distinguendosi per il grado di coinvolgimento

dell’osservatore. Dal più alto grado di coinvolgimento, al più basso abbiamo 5 tipi di

partecipazione:

● completa: l’osservatore diventa membro del gruppo, condividendone usi e costumi;

● attiva: il ricercatore è interessato soprattutto ad ottenere informazioni utili su quanto sta

osservando;

● moderata: l’osservatore mantiene una posizione di equilibrio tra distacco e coinvolgimento;

● passiva: osservatore è presente, ma non interagisce con i soggetti;

● mancata partecipazione: il ricercatore non è fisicamente presente 6.

5 Spradley, J. (1980), Participant Observation, Holt Rinehart and Winston, New York, NY.
6 Spradley, J. (1980), Participant Observation, Holt Rinehart and Winston, New York, NY.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

La natura e le caratteristiche degli eventi rendono ognuna di queste posizioni possibili o

meno a seconda dei casi: alcune situazioni, infatti, non offrono opportunità di partecipazione,

mentre in altri casi è possibile un elevato livello di coinvolgimento.

Ad esempio, l’osservazione partecipante come concorrente in un triathlon offrirebbe la

possibilità di un coinvolgimento "completo" all’osservatore. Mentre partecipare a un festival

musicale come spettatore offre un coinvolgimento "moderato", ciò significa essere sia un “insider”

(partecipando al processo di acquisto dei biglietti, e sedendosi nell’area riservata agli spettatori) e

allo stesso tempo un "outsider" che osserva il comportamento dello spettatore.

È necessario per i ricercatori acquisire una conoscenza approfondita del metodo

dell’osservazione partecipante, al fine di pianificare l’osservazione in modo accurato. Ciò richiede

a sua volta che venga svolto un attento processo di documentazione e di ricerca in letteratura per

considerare quale posizione sarebbe auspicabile assumere all’interno del disegno di ricerca.

Pur essendo presente semplicemente come spettatore passivo, il ricercatore diventa un

partecipante, in quanto condivide lo stesso contesto sociale con i soggetti che si vogliono

osservare.

Una volta entrato a far parte del contesto sociale, il ricercatore può effettuare le sue

osservazioni servendosi di appunti, immagini fotografiche e video, artefatti, merce, programmi, siti

web e qualsiasi altra fonte che gli sia di ausilio per la documentazione degli eventi.

«Gli osservatori partecipanti raccolgono comunemente i dati attraverso conversazioni

casuali, interviste approfondite, sia informali e non strutturate, formali e strutturate e questionari» 7.

Le immagini e i video sono utili al ricercatore soprattutto in contesti caratterizzati da un gran

numero di persone e in cui si verificano vari eventi contemporaneamente, come al cospetto di

grandi folle o quando il ritmo del succedersi degli eventi è molto elevato.

7 Jorgensen, D. (1989), Participant Observation: A Methodology for Human Studies, Sage


Publications, Newbury Park, CA. p. 22.

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copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

Queste immagini possono quindi essere riviste successivamente permettendo, tra l’altro, la

creazione di un archivio di informazioni etnografiche, che insieme a osservazioni descrittive,

focalizzate e selettive, diventano i dati che il ricercatore utilizza per le sue analisi.

L'analisi dei dati osservativi è un passaggio critico, che dipende dai vari metodi di ricerca e

dai modelli e cornici teoriche adottati 8. L’analisi dei dati comprende un processo sequenziale

dettagliato che inizia con una panoramica del contesto culturale di riferimento e una ricerca di

domini culturali, cioè categorie di significato che spesso contengono, a loro volta delle

sottocategorie. I partecipanti a un evento artistico, ad esempio, possono costituire un dominio

culturale che comprende sottodomini di musicisti, spettacoli circensi, artisti di strada, artisti dello

spettacolo e ballerini. Attraverso l'analisi, il ricercatore è in grado di valutare il modello e

l'organizzazione che sono alla base dei comportamenti osservati.

Quello dell'osservazione partecipante è stato un metodo di ricerca ampiamente utilizzato in

situazioni in cui i comportamenti risultano complessi, difficili o imbarazzanti per i partecipanti da

ricordare o descrivere. In altri casi, è stato adottato con la semplice finalità di comprendere nuovi

fenomeni sociali o di esplorare il comportamento umano 9. Oltre che nei contesti etnografici e dello

sviluppo infantile, l’osservazione partecipante viene ampiamente utilizzata nella ricerca nell’ambito

dell’istruzione, al cui interno gli esperti del settore si interessano ad indagare argomenti riguardanti

l'insegnamento in classe 10, la vendita al dettaglio 11, il fenomeno del teppismo nel calcio e

l'assistenza sanitaria 12.

8 Creswell, J.W. (2003), Research Design: Qualitative, Quantitative and Mixed Method Approaches,
Sage Publications, Thousand Oaks, CA.
9 DeWalt, K. and DeWalt, B. (2002), Participant Observation: A Guide for Fieldworkers, AltaMira
Press, Walnut Creek, CA.
10 Woods, P. (1986), “Inside schools ethnography in educational research”, available at: http://
site.ebrary.com/id/10096321 (accessed August 22, 2012).
11 Sinha, P. and Uniyal, D. (2005), “Using observational research for behavioural segmentation of
shoppers”, Journal of Retailing and Consumer Services, Vol. 12 No. 1, pp. 35-48.
12 Mays, N. and Pope, C. (1995), “Qualitative research: observational methods in health care
settings”, British Medical Journal, Vol. 311, pp. 182-4.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

Nelle arti la sua adozione è stata utile a descrivere le motivazioni per cui le persone di

recano a teatro; nello sport ha approfondito le ragioni per cui alcuni appassionati decidono di

viaggiare per seguire la loro squadra del cuore. Altri hanno utilizzato l’osservazione partecipante

per raccogliere le impressioni dei fan sportivi sull’andare al cinema per vedere le partite di

baseball 13.

Nonostante le numerose evidenze sull’efficacia del metodo nell’esplorare come il

comportamento umano si manifesti all’interno dei diversi ambienti sociali, la sua adozione è stata

limitata a indagini attinenti eventi sociali e festival.

13 Grimm, K.E. and Needham, M.D. (2012), “Moving beyond the “I” in motivation: attributes
and perceptions of conservation volunteer tourists”, Journal of Travel Research, Vol. 51
No. 4, pp. 488-501.

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3. Vantaggi e svantaggi dell’osservazione partecipante

Nel valutare l'idoneità dell’adozione del metodo di ricerca osservativo di tipo partecipante

in riferimento all’oggetto della ricerca, i ricercatori dovrebbero essere consapevoli dei suoi punti di

forza e di debolezza.

Il principale punto di forza del metodo è che non interrompe l'esperienza dell'evento

osservato, né per gli osservatori, né per partecipanti. I ricercatori possono fare osservazioni sulle

persone mentre sono intenti a socializzare, a correre o ad impegnarsi in qualsiasi altra attività.

In secondo luogo, la partecipazione dell’osservatore può portare alla scoperta ed alla

descrizione di nuovi fenomeni, mai osservati fino a quel momento. Questo perché la teoria o le

ipotesi non vengono stabilite a priori, perciò il ricercatore è scevro da preconcetti. Morrison

sostiene che «Un grande vantaggio dell’osservazione partecipante è che ottieni nuove impressioni,

proprio mentre accadono le cose. Puoi guardare come si evolve l'esperienza, come cambiano le

impressioni, come le persone agiscono in una situazione» 14.

In terzo luogo, l'osservazione dei partecipanti può fornire una comprensione più profonda

della sottocultura a cui essi appartengono, portando alla scoperta delle ragioni per cui si

verificano alcuni fenomeni. Questo aspetto è stato particolarmente utile, ad esempio, in uno studio

sulla sottocultura degli appassionati di moto, che ha favorito l’individuazione e l’adozione di

strategie per migliorare l'ordine pubblico agli Australian Motorcycle Grand Prix 15.

14 Morrison, M. A., Haley, E., Sheehan, K. B., & Taylor, R. E. (2002). The Qualitative Interview, Using Qualitative Research in
Advertising. p. 21
15 Veno, A. and Veno, E. (1992), “Managing public order at the Australian motorcycle grand prix”,
American Journal of Community Psychology, Vol. 20 No. 3, pp. 287-308.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

Se è vero che la partecipazione dell’osservatore sul campo comporta diversi vantaggi, è

altrettanto vero che tale metodo presenta alcuni punti di debolezza. Come accade anche per

altre forme di ricerca qualitativa, presenta infatti diverse criticità in termini di affidabilità e validità 16,

così come anche nella generalizzazione dei risultati a diversi contesti, ambienti, luoghi geografici:

ogni qualvolta che viene rilevato un fenomeno comportamentale quello risulta essere specifico del

tempo e dello spazio in cui esso si esplica.

Un ulteriore punto debole è lo strumento di raccolta dei dati, ovvero il ricercatore stesso:

diversi fattori, quali ad esempio le esperienze pregresse e le credenze di chi osserva, potrebbero

influenzare i risultati ottenuti se l’osservatore non viene precedentemente addestrato in modo

adeguato.

Per migliorare l'affidabilità esterna dei dati, bisognerebbe saper riconoscere e tenere sotto

controllo quanto più possibile i rischi relativi allo status del ricercatore, alle scelte dell'informatore,

alle situazioni sociali e condizioni ambientali, oltre che ai costrutti e premesse teoriche che si sceglie

di prendere in considerazione e ai metodi di raccolta dei dati e di analisi.

Le tecniche standard per garantire la validità della ricerca qualitativa includono la

collaborazione con altri ricercatori qualificati, i quali codificano il materiale in modo indipendente.

L’osservazione partecipante può essere condotta da un singolo ricercatore o da un team di

esperti: le strategie di squadra offrono vantaggi distintivi, come la possibilità di assumere

simultaneamente i ruoli di partecipante e osservatore, oltre a sfruttare le varie caratteristiche

personali e identitarie (come il genere) di tutti i membri. Tuttavia, tutti i professionisti che

compongono il team devono essere formati tramite sessioni di briefing e addestramento prima di

nell’inizio del periodo di rilevazione, per discutere circa gli obiettivi della ricerca e la sua

pianificazione e le eventuali fonti di criticità.

16 LeCompte, M. and Goetz, J. (1982), “Problems of reliability and validity in ethnographic research”, Review of Educational
Research, Vol. 52 No. 1, pp. 31-60.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

L’adozione del metodo di osservazione partecipante richiede inoltre uno sviluppo avanzato

delle abilità interpersonali di chi osserva, una certa sensibilità e creatività, nonché una volontà di

impegnarsi in quel processo ciclico che rappresenta il processo di ricerca.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione partecipante

Bibliografia

• Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino.

• Creswell, J.W. (2003), Research Design: Qualitative, Quantitative and Mixed

Method Approaches, Sage Publications, Thousand Oaks, CA.

• DeWalt, K. and DeWalt, B. (2002), Participant Observation: A Guide for

Fieldworkers, AltaMira Press, Walnut Creek, CA.

• Freud, A. (2012). L'Io ei meccanismi di difesa. Giunti Editore.

• Grimm, K.E. and Needham, M.D. (2012), “Moving beyond the “I” in

motivation: attributes and perceptions of conservation volunteer tourists”,

Journal of Travel Research, Vol. 51No. 4, pp. 488-501.

• Jorgensen, D. (1989), Participant Observation: A Methodology for Human

Studies, Sage Publications, Newbury Park, CA. p. 22

• Hammersley, M. A., & Atkinson, Y. P., (1994). Etnografía: métodos de

investigación. p.249

• LeCompte, M. and Goetz, J. (1982), “Problems of reliability and validity in

ethnographic research”, Review of Educational Research, Vol. 52 No. 1, pp.

31-60.

• Mays, N. and Pope, C. (1995), “Qualitative research: observational methods

in health care settings”, British Medical Journal, Vol. 311, pp. 182-4.

• Morrison, M. A., Haley, E., Sheehan, K. B., & Taylor, R. E. (2002). The Qualitative

Interview, Using Qualitative Research in Advertising. p. 21

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1. Il metodo dell’osservazione sistemica

Tra i più diffusi metodi di ricerca scientifica vi è il metodo osservativo, definito da McBurney

come «la registrazione sistematica dei comportamenti in corso senza intervenire su di essi per

influenzarli» 1. Si tratta di un metodo che consiste nell’esaminare e registrare con attenzione un

comportamento specifico in un dato contesto, senza influenzarlo.

Sviluppatosi negli anni ’60, nel corso del tempo l’utilizzo del metodo osservativo non si è

limitato solo all’ambito della ricerca, ma è stato applicato anche all’interno dell’ambiente clinico

e in contesti socioeducativi. Inoltre, l’importanza di questo metodo appare evidente soprattutto

nell’ambito dello sviluppo infantile: nella prima infanzia, infatti, la mancanza di capacità

comunicativo-linguistiche da parte dei neonati ha spinto i ricercatori ad utilizzare questo metodo

per ricercare informazioni circa le motivazioni sottostanti i comportamenti infantili 2.

Tuttavia, l’osservazione non può essere condotta senza una base metodologica valida.

Difatti, tale strumento deve essere sistematico per essere definito scientifico: le osservazioni

spontanee, non pianificate sono fuorvianti e imprecise, poiché rischiano di ignorare fenomeni

microscopici ma comunque significativi, portando così a generalizzazioni e a stabilire collegamenti

causali anche laddove non esistono.

I punti essenziali nella fase di pianificazione di uno studio osservativo sono tre: definizione degli

obiettivi della ricerca; specificazione degli aspetti del fenomeno che si intende osservare; scelta

della tecnica di rivelazione più adeguata. La scelta dello strumento più adatto all’osservazione va

calibrata su vari parametri: il grado di conoscenza del fenomeno; il livello di precisione a cui si

aspira; la scelta di dati qualitativi o quantitativi; l’ampiezza del campione; il contesto entro cui si

svolge la rilevazione.

1 McBurney (1983). La metodologia della ricerca in psicologia, Il Mulino, Bologna


2 Arcidiacono F. (2002). Note sul metodo osservativo e su alcune applicazioni in psicologia dello sviluppo. Rassegna di
psicologia

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Dunque, è necessario progettare accuratamente l’osservazione, scegliendo inizialmente se

effettuare registrazioni dal vivo o con videoregistratore, adottando quindi osservazioni di tipo

diretto (in un contesto naturale o controllato) o indiretto (effettuate tramite l’uso di test e

questionari). Successivamente, il ricercatore deve definire il contesto entro cui l’osservazione si

svolge, stabilendo situazioni e tempi in base alla probabilità che il comportamento oggetto di

interesse si manifesti: è necessario scegliere e definire il contesto, valutando se strutturarlo o meno,

assicurando comunque la naturalità dell’espressione comportamentale, e fissare i tempi

dell’osservazione, quindi la sua durata, i momenti della giornata, i giorni della settimana. Inoltre, è

fondamentale scegliere l’attore o gli attori da osservare, adottando accorgimenti che ne riducano

la reattività conseguente la presenza dell’osservatore o della videocamera. Risulta, infine,

importante considerare anche la posizione dell’osservatore, distaccata o partecipante. La scelta

della strategia più idonea va effettuata tenendo conto delle caratteristiche del comportamento

da osservare e del livello di dettaglio della descrizione desiderato 3.

La scelta dei criteri da applicare all’osservazione va di pari passo con la definizione degli

strumenti da utilizzare per rendere qualitativamente migliore la pratica osservativa. Fondamentale

è dunque l’utilizzo di una griglia di osservazione.

Le griglie di osservazione sono strumenti il cui utilizzo non è limitato solamente all’ambito

della ricerca scientifica: difatti, sono frequentemente usate nei contesti educativi da parte del

team docenti per la valutazione dei comportamenti dell’alunno, soprattutto nel contesto della

stesura dei PDP (Programma Didattico Personalizzato), relativa a bambini con DSA e disturbi

dell’apprendimento.

3 Baumgartner E. (2018). L’osservazione del comportamento infantile, teorie e strumenti.


Carocci Editore

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Figura 1. Esempio di griglia di osservazione per bambini diversamente abili in contesto scolastico (Baumgartner E.,

2018).

Nell’ambito della ricerca scientifica, le griglie di osservazione si configurano come strumenti

complessi e dettagliati. Contengono informazioni circa giorno, ora e luogo della registrazione,

nonché dati anagrafici (nome, età e genere) dei soggetti osservati.

Si rivelano uno strumento essenziale che permette di focalizzare l’attenzione del ricercatore sui

comportamenti oggetto di studio rilevanti nel contesto analizzato, distinguendo tali comportamenti

da altri “distrattori” che potrebbero catturare l’interesse pur non essendo inerenti allo scopo della

ricerca.

Figura 2. Esempio di griglia di osservazione in contesto di ricerca scientifica (Baumgartner E., 2018).

Sarebbe funzionale valutare, nella fase di decodifica, il possibile coinvolgimento di

partecipanti favorendo una discussione circa i dati raccolti.

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2. Identificazione dei comportamenti rilevanti: il


resoconto narrativo

Il primo passo da compiere per costruire una griglia di osservazione è proprio la definizione

dei comportamenti da osservare: è necessario determinare il comportamento oggetto di indagine

e i suoi aspetti più significativi. A tal fine, è possibile utilizzare la descrizione o resoconto narrativo,

soprattutto quando non si dispongono di informazioni teoriche sul fenomeno da indagare e sulle

sue manifestazioni comportamentali. Il resoconto narrativo è uno strumento di indagine che

consente la descrizione del fenomeno osservato, al fine di registrare un dato comportamento così

come esso si verifica. Tale registrazione viene effettuata in modo quanto più possibile completo,

chiaro e fedele. Lo scopo dello strumento, infatti, è quello di rilevare quante più dimensioni possibili

del comportamento osservato. Il ricercatore tenta di evitare qualsiasi tipo di restrizione in modo

tale da poter riprodurre l’effettivo svolgersi del fenomeno. Il linguaggio utilizzato non deve essere

ricercato e specialistico ma è necessario utilizzare termini comuni e quotidiani in modo da essere il

resoconto accessibile a tutti.

Attraverso una descrizione narrativa sistematica e rigorosa è possibile ricavare dati grezzi

dai quali partire per costruire le categorie di classificazione utili all’analisi dei dati: il protocollo

narrativo in questo caso verrebbe scomposto e segmentato in unità, corrispondenti alle categorie,

così da poter organizzare i dati raccolti.

Esistono diversi modi di formulare di un resoconto narrativo, più o meno dettagliati e

strutturati, ma tutti hanno una base comune: ogni descrizione deve essere sequenziale, non

selettiva ed ha lo scopo di “narrare” del comportamento oggetto di interesse e delle condizioni in

cui si verifica. Questo strumento può essere utilizzato in due modi, direttamente e indirettamente: il

resoconto narrativo diretto riguarda le osservazioni dal vivo, quello indiretto riguarda invece la

trascrizione a posteriori di eventi audio-videoregistrati.

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La meticolosità che questo strumento prevede, controbilanciata dalla semplicità del

linguaggio utilizzato, fa sì che la descrizione narrativa abbia come punto di forza quello di evitare

equivoci che potrebbero sorgere se alcune situazioni venissero riferite in modo impreciso o erroneo.

Inoltre, trattandosi di un mero resoconto del comportamento del soggetto osservato, impedisce

che l’osservatore giunga a conclusioni premature, rinviando l’interpretazione di tali comportamenti

ad un secondo momento, quando l’accessibilità ad ulteriori informazioni guiderà in modo più

strutturato le evidenze raccolte verso una solida conclusione. 4

4 Soresi, S. (1978). Guida all’osservazione in classe. Giunti/Barbèra

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3. Livello di analisi delle categorie: lo schema di


codifica

Un secondo fondamentale aspetto nella costruzione di una griglia di osservazione con

scopo di ricerca scientifica, è la scelta del livello d’analisi del fenomeno comportamentale

osservato. Dopo aver scelto il comportamento da indagare, è necessario definire una categoria

entro cui quello specifico comportamento rientra: tale categorizzazione prevede per ogni livello

l’utilizzo di un termine, detto codice. Ogni codice può indicare sia comportamenti semplici e

oggettivamente osservabili (secondo un livello d’analisi detto di descrizione molecolare), sia

comportamenti più complessi che richiedono una soggettiva interpretazione da parte

dell’osservatore (livello d’analisi di descrizione molare).

Nell’effettuare la scelta del livello di analisi delle categorie, influiscono fattori di varia natura:

influenze teoriche, legate alle esigenze conoscitive del ricercatore; caratteristiche contestuali,

legate all’ambiente nel quale avviene l’osservazione; scelte organizzative, che definiscono le

modalità di conduzione dell’attività osservativa.

Una parte essenziale di questo processo è la definizione chiara ed univoca delle categorie.

Affinché i dati raccolti vengano raggruppati in modo che la loro decodifica sia facilmente

comprensibile, è importante fornire precise indicazioni circa i criteri di categorizzazione dei

comportamenti che vengono osservati. In questo modo, si riducono al minimo le possibili ambiguità

di significato delle categorie e, di conseguenza, gli errori che l’osservatore potrebbe compiere al

momento della decodifica. Questo discorso appare ancor più importante nel caso di categorie

che si pongano ad un livello di analisi molare, più complesso e legato all’interpretazione

dell’osservatore. In questo caso, è necessario un maggior grado di dettaglio nella descrizione della

categoria e potrebbe risultare utile l’uso di esempi comportamentali rappresentativi della

categoria in questione.

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Tramite l’adozione di uno schema di codifica è possibile prendere in esame le sole unità

considerate rilevanti agli scopi della ricerca. Si tratta di uno strumento di registrazione sintetica dei

comportamenti in unità di significato specifiche: attraverso lo schema di codifica è possibile

trasformare in dati quantitativi unità identificabili nel flusso comportamentale del soggetto

esaminato. «Codificare significa sintetizzare in quantità numeriche dati qualitativi allo scopo di

operare confronti e valutazioni» 5. Se consideriamo il comportamento come un insieme di unità

(azioni ed eventi) disposte lungo un flusso continuo di movimenti, possiamo definire lo schema di

codifica come lo strumento che permette di prendere in esame le sole unità considerate rilevanti

agli scopi della ricerca, escludendo quelle irrilevanti.

La costruzione dello schema di codifica rappresenta un momento cruciale della ricerca,

perché è il momento in cui si stabilisce ciò che è davvero importante prendere in considerazione

da ciò che è superfluo e trascurabile. Una volta stabilito ciò, è importante impostare le categorie

che compongono lo schema in modo che:

• si riferiscano ad aspetti della stessa variabile sottostante;

• si collochino tutte allo stesso livello di ampiezza;

• siano mutualmente esclusive, cioè, ad ogni comportamento osservato, dovrebbe poter

essere assegnata soltanto una delle categorie dello schema.

Sebbene i modi di registrare il comportamento con uno schema di codifica siano

molteplici, risulta essenziale rispettare sempre queste tre regole. Bakeman e Gottman hanno

sostenuto che uno schema di codifica ideale debba avere delle categorie sufficientemente vicine

ai dati da rappresentarli e sufficientemente distanti da interpretarli 6.

5 Baumgartner E. (2018). L’osservazione del comportamento infantile, teorie e strumenti. Carocci Editore
6 Cassibba, R., Salerno, N. (2014). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Carocci editore

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In generale, la codifica prevede tempi e modi diversi in base al tipo di osservazione

effettuata (se diretta o indiretta, naturale o controllata). Esistono inoltre numerosi schemi di

codifica, che si distinguono in base alla loro capacità di rendere la completezza dei fenomeni: in

ogni caso, viene utilizzata una griglia che prescrive gli aspetti da rilevare, stabiliti apriori, con lo

scopo di controllarne la variabilità. È, inoltre, possibile effettuare codifiche multidimensionali per

studiare aspetti differenti di uno stesso comportamento. In questo caso sarà necessario utilizzare

molteplici schemi di codifica, ciascuno per ogni aspetto del comportamento preso in esame:

naturalmente, ogni schema dovrà essere conforme alle regole precedentemente discusse.

Lo schema di codifica rappresenta lo strumento di misurazione più mirato ed economico

che permette una rilevazione altamente selettiva del comportamento. Il suo utilizzo richiede un

minore dispendio di tempo rispetto alle altre procedure, nonché una minore difficoltà nella fase di

analisi dei dati. Il fatto che sia così selettivo, inoltre, permette di padroneggiare meglio i dati

raccolti rispetto a forme di registrazione libera.

Di seguito riportiamo la trascrizione di un dialogo di un gioco di finzione videoregistrato.

«Elena tiene il coniglio in piedi per un braccio: “ora vuoi mangià?”

Scuote il coniglio più volte e risponde facendo la vocina del coniglio: “sì, si evviva”.

Tiene il coniglio in braccio, prende una tazzina da terra e un cucchiaino, lo imbocca.

Posa tazza e cucchiaio: “bravo, bravo, già finito, ora ti devi pazzolare con chetta”.

Prende una spazzola e spazzola il coniglio: “Come ci si pettina bene, tanto. Ma ti sei fatto male con

la pazzola povero coniglietto».

Dunque, una volta trascritto il dialogo, è possibile codificare i termini utilizzati dalla bambina che

implicano dei riferimenti a stati interni: desideri (“vuoi”), capacità (“bravo”), doveri (“devi”), stati

fisiologici (“ti sei fatto male”), affetti (“povero”).

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In alternativa, la rilevazione di azioni e linguaggio della bambina sarebbe stata possibile

tramite l’osservazione dal vivo, con l’ausilio di una griglia di codifica suddivisa per categorie

(desideri, capacità, etc.).

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - La costruzione di una griglia di osservazione

4. Scale di valutazione e check-list

La scala di valutazione è una griglia osservativa per la rilevazione sistematica del

comportamento che permette di ottenere una valutazione circa una specifica competenza. Il

ricercatore, dopo un adeguato periodo di osservazione, esprime un giudizio globale circa la

frequenza con la quale determinate categorie comportamentali si manifestano. Dunque, la

valutazione non sarà basata sulla puntuale registrazione del comportamento osservato, bensì si

baserà su un giudizio quantitativo globale di tale comportamento. L’osservatore non prenderà

nota della presenza/assenza delle categorie comportamentali ma dovrà, in seguito ad un

adeguato periodo osservativo, esprimere un giudizio globale riguardante circa la frequenza della

comparsa di tali comportamenti (ad esempio: raramente, qualche volta, abbastanza, spesso,

molto spesso). 7

La principale differenza fra le scale di valutazione e gli altri strumenti osservativi risiede nel

fatto che le prime non rilevano né descrivono le manifestazioni comportamentali osservate, bensì

esprimono una valutazione circa i comportamenti target dell’osservazione, ritenuti significativi di

una variabile psicologica sottostante.

Il loro utilizzo prevede che l’osservatore determini aprioristicamente da cosa dipende un’azione e

che effettui una distinzione tra le diverse fonti del comportamento, rilevando esclusivamente i

fenomeni che indicano una specifica caratteristica psicologica sottostante.

Nonostante le differenze con gli altri strumenti di valutazione, spesso può essere utile ricorrere

all’uso di più tecniche in modo congiunto.

Per costruire una scala di valutazione bisogna anzitutto individuare il fenomeno da misurare,

identificando item rappresentativi del fenomeno stesso che successivamente verranno trasformati

in scale. Dunque, potremmo avere una scala categoriale (i cui criteri potrebbero essere: molto;

abbastanza; poco), numerica (1; 2; 3; 4; ecc.) o grafica (i criteri vengono disposti su una linea).

7 Cassibba, R., Salerno, N. (2014). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Carocci editore

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È necessario che le scale contengano punti chiari, precisi e non ambigui, consentendo una

chiara discriminazione tra le varie posizioni. La scala non dovrebbe prevedere più di 7 punti. Un

numero troppo elevato rischierebbe, infatti, di ridurre l’attendibilità della rilevazione.

Le check-list rappresentano un’ulteriore tipologia di griglie di osservazione. Queste si

compongono di comportamenti osservabili e sono organizzate in maniera gerarchica secondo un

livello di complessità crescente. Similmente agli schemi di codifica, le check-list contengono liste di

comportamenti definiti a priori in modo più o meno strutturato, utili a classificare le condotte da

rilevare. Tuttavia, a differenza di quanto avviene per gli schemi di codifica, le categorie sono

organizzate in maniera gerarchica: il fenomeno comportamentale da rilevare viene suddiviso in

una serie di unità comportamentali, seguendo un ordine gerarchico che va dalle unità più

elementari fino ad arrivare a quelle più complesse, secondo un grado crescente di complessità.

All’interno di ciascuna categoria, l’osservatore dovrà indicare la presenza o l’assenza di ciascuno

dei comportamenti previsti dalla check-list.

Le check-list sono generalmente organizzate in intervalli di tempo suddivisi in tempi di

osservazione e tempi di registrazione. L’osservatore avrà a disposizione un cronometro (o un altro

dispositivo utile a segnare lo scorrere del tempo) per indicare con precisione l’alternarsi delle due

fasi di osservazione e registrazione. Egli avrà il compito di annotare sul foglio di rilevazione i

comportamenti osservati, intervallo dopo intervallo. Il ricercatore può utilizzare le check-list dal vivo,

in osservazioni dirette su campo, oppure impiegarle come schemi di codifica su materiale

videoregistrato.

Per costruire una check-list valida, si consiglia di:

• Individuare le tappe di sviluppo della competenza che si intende valutare;

• Individuare i comportamenti specifici che meglio esemplificano ogni tappa;

• Descrivere tali comportamenti in modo oggettivo, chiaro e in termini positivi, esprimendo

quindi ciò che il bambino dovrebbe saper fare piuttosto ciò che non dovrebbe fare.

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Sebbene le check-list siano molto usate nella ricerca scientifica, la loro applicabilità non

sembra estendersi in maniera ottimale a tutti i campi di indagine. Difatti, essendo strumenti

altamente strutturati il loro utilizzo è impossibile, ad esempio, nella valutazione infantile delle

competenze sociali, perché poco adatti a cogliere le caratteristiche del costrutto. Presentano

comunque una grande applicabilità nell’ambito dei metodi osservativi, soprattutto poiché

permettono di ricavare misure di frequenza, probabilità, stabilità del comportamento, co-

occorrenza e sequenza 8.

Di seguito, riportiamo una tabella comparativa dei metodi di rilevazione osservativa sopra

elencati.

Figura 3. Tipologia degli strumenti di osservazione (Elia, L., Cassibba, R., 2009)

8 Elia, L., Cassibba, R. (2009) Valutare le competenze sociali. Carocci editore

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Filippo Petruccelli - Il resoconto narrativo

1. Descrizione dello strumento

Il resoconto narrativo è uno strumento di indagine che consente la descrizione del

fenomeno osservato, al fine di registrare un dato comportamento così come esso si verifica. Lo

scopo è quello di rilevare il comportamento in modo accurato e dettagliato, cercando di evitare

ogni tipo di selezione delle informazioni, in modo da riprodurre un quadro completo del fenomeno

oggetto di interesse e di come esso si manifesta ed evolve. Per questo è necessario che la

registrazione sia esaustiva, fedele e completa e che nella descrizione narrativa venga evitato l’uso

di termini specialistici, prediligendo l’uso di un linguaggio semplice ed usufruibile a tutti.

Questo strumento trova il suo fondamento storico all’interno delle prime ricerche nel campo

della psicologia dello sviluppo in cui venivano utilizzati a scopo di ricerca diari e biografie infantili.

Ancor prima, nel XVIII secolo, all’interno delle classi sociali più agiate, si usava tenere un diario

personale. In particolar modo, gli studiosi del comportamento umano annotavano accuratamente

e sistematicamente nei diari “scientifici” il comportamento dei propri figli con lo scopo di

rispondere a domanda sulla natura della condotta e sullo sviluppo dell’essere umano. Questi scritti

costituiscono dunque i precursori primitivi di quelli che sono attualmente conosciuti come gli

strumenti di ricerca narrativi.

La registrazione per mezzo di descrizioni narrative nella sua forma standard è stata definita

da Yarrow e Waxler (1979) come un «resoconto del comportamento e del contesto secondo un

ordine temporale, in dettaglio e a basso livello di inferenza e concettualizzazione».

A titolo esplicativo riportiamo un esempio di rilevazione comportamentale di un bambino P.

all’asilo 1.

1 Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino.

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«P. prende la palla con due mani, la tiene stretta al petto, la schiaccia, la porta alla bocca e la

lecca, la butta in aria. Riprende la palla, la appoggia a terra e batte sopra due volte la mano.

Sorride e guarda l’educatrice. P. sta esplorando tutte le caratteristiche della palla e vuole

condividere la sua soddisfazione con l’esploratrice».

La scelta della terminologia da utilizzare all’interno del resoconto dipende dal tipo di

osservazione effettuata. Nelle osservazioni distaccate si preferisce registrare soltanto le

manifestazioni evidenti e gli aspetti fattuali del comportamento; l’osservazione partecipante

richiede la registrazione anche di stati psicologici e aspetti inferiti.

In ogni caso, la necessità di fornire una registrazione che rappresenti il più fedelmente

possibile il fenomeno osservato dovrebbe spingere all’utilizzo di una terminologia non referenziale e

non valutativa.

Esistono dunque diverse tipologie di descrizione narrativa, ognuna caratterizzata da diversi

gradi di referenzialità e di minuziosità. Tuttavia, tutte avranno sempre come base comune «la

descrizione sequenziale, non selettiva, piana, narrativa del comportamento con alcune delle

condizioni in cui si verifica» (ibidem). Anche negli studi in cui è richiesto un maggiore rigore

metodologico e una maggiore formalizzazione delle procedure, possiamo ritrovare questa base

comune.

A dimostrazione della versatilità dello strumento, riportiamo di seguito due esempi di

protocollo narrativo, proposti da Aureli (1997), riguardanti l’attività di un gruppo di bambini in

classe. È possibile notare come la versione A sia meno strutturata mentre la versione B lo sia di più 2.

2 Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino.

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Versione A. Giuliano (5 anni e 2 mesi) e altri due bambini stanno costruendo una pista con

una scatola e due rettangoli di plastica. I bambini vogliono lanciare dei dischetti sulla pista (salita-

piano-discesa). Un bambino lancia il suo dischetto, che segue il giusto percorso, poi lascia il turno a

Giuliano. Giuliano tenta diverse volte di far seguire al dischetto il suo giusto percorso ma non ci

riesce (perché dà poca spinta al dischetto). Lascia il turno al compagno solo quando riesce a far

attraversare la pista al dischetto.

Andrea lancia il suo dischetto.

Giuliano: «Sta a me»

Roberto: «No, sta a me»

Giuliano: «Roberto te voi scansà!»

Giuliano: «Ho sbagliato! Va sempre fuori pista. Allora facciamo una cosa, ho un’idea».

Giuliano mette i pezzi che compongono la pista in modo diverso, mantenendo la posizione

salita-piano discesa. Inizia a lanciare il dischetto.

Giuliano: «Ho sbagliato»

[…]

Versione B.

Aureli, T. (1997).

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Una particolare forma di descrizione narrativa, tra le più sistematiche, è la registrazione di

specimen: si tratta di un tipo di narrazione non biografica, utilizzata allo scopo di rilevare il

comportamento dei soggetti in determinate condizioni spazio-temporali. A priori vengono stabiliti

soggetto, momento e luogo dell’osservazione, la quale viene svolta senza alcuna caratteristica di

selettività da parte dell’osservatore: egli dovrebbe potenzialmente registrare ogni dettaglio di ciò

che osserva. In questo modo, è possibile ottenere una registrazione in grado di riprodurre

fedelmente dello stato delle cose, un documentario del comportamento osservato che potrà

essere utilizzato in caso di necessità nelle successive indagini.

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2. Resoconti narrativi diretti e indiretti

Come già detto precedentemente, lo scopo dei resoconti narrativi è quello di riprodurre in

forma scritta, nel modo più fedele e accurato possibile, i fenomeni osservati così come si

verificano, rispettandone la modalità e la sequenza originali. L’osservatore ha il compito di riportare

gli avvenimenti secondo un livello di descrizione analitico, non sintetico, nel quale le interpretazioni

personali dell’osservatore vengano escluse dal resoconto dei fatti.

Il resoconto di quanto osservato può essere effettuato in due modi, direttamente e

indirettamente:

• il resoconto diretto che riguarda le osservazioni dal vivo,

• quello indiretto che riguarda, invece, la trascrizione a posteriori di eventi audio-

videoregistrati.

La descrizione narrativa diretta è dunque il prodotto di un’osservazione dal vivo, effettuata

con carta e matita o con l’ausilio di un registratore audio. In questi casi è opportuno che, nel corso

dell’osservazione, vengano descritte le componenti principali degli eventi, annotandone i tempi di

occorrenza, per poi completare il resoconto in un momento successivo. Se si ricorre all’ausilio di un

registratore audio, vi è la possibilità di sovrapporre temporalmente i processi di osservazione e

registrazione dei comportamenti in corso, con un notevole vantaggio ai fini dell’accuratezza della

rilevazione, evitando lacune o fraintendimenti che possono sopraggiungere quando si fa

riferimento alla sola memoria per riportare i fatti osservati.

L’utilizzo della registrazione audio consiste nella trascrizione del fenomeno e prevede le stesse

regole e modalità di descrizione narrativa usate nel metodo carta e matita.

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Qualunque siano i mezzi utilizzati, la registrazione effettuata deve sempre descrivere il

contesto e il luogo fisico in cui il fenomeno si manifesta, annotando l’ora di inizio dell’osservazione.

Va, inoltre, riportato un elenco delle persone presenti, annotando la posizione che ciascun attore

occupa all’interno della scena e i materiali che questi hanno a disposizione. Inoltre, vanno registrati

i cambiamenti di luogo, tempo, soggetti e oggetti presenti nell’ambiente di rilevazione.

Ricostruito lo “scenario d’azione”, si passa alla descrizione delle azioni compiute dai soggetti,

seguendo le strategie di campionamento ritenute più adatte.

Il linguaggio utilizzato durante la rilevazione deve essere semplice e di facile

comprensibilità. Le frasi devono essere strutturate all’essenziale: soggetto, verbo (azione), oggetto

o destinatario dell’azione. È necessario riportare le azioni fisiche, verbali e il tipo di linguaggio sia

del soggetto che è al centro dell’indagine, sia dei suoi interlocutori. L’osservatore può inserire

commenti sotto forma di aggettivi o avverbi, anche se tale metodo è sconsigliato in quanto

costituirebbe una perdita di tempo: la descrizione diretta richiede necessariamente una certa

rapidità e potrebbe essere rallentata dall’aggiunta di commenti personali che, oltre a far perdere

l’occasione di cogliere un numero maggiore di dettagli oggettivamente osservabili, potrebbero

introdurre elementi di valutazione troppo personali, che costituirebbero fonti potenziali di errore.

I resoconti narrativi formulati sulla base di osservazioni indirette corrispondono alle descrizioni

di dati videoregistrati. Si tratta di un’opera di trascrizione che prevede una serie di implicazioni

teoriche. Questo processo comporta inevitabilmente dei vincoli nell’interpretazione del materiale

raccolto. Difatti, il passaggio dalle immagini-video, di natura continue e dinamiche, al testo scritto,

statico, richiedono che l’osservatore sia molto abile nel riportare in modo chiaro e coerente le

caratteristiche più salienti del fenomeno osservato. Dunque, la conoscenza della letteratura

teorica di quanto osservato concorre ad una selezione migliore e più accurata di ciò che è da

rilevare e ciò che non lo è.

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Se, ad esempio, si vuole descrivere l’interazione tra due soggetti, ad esempio madre e

bambino, bisogna individuare un formato di trascrizione che renda conto in maniera ottimale degli

scambi sociali, della loro organizzazione nel tempo e dei comportamenti individuali. Tale

operazione richiede che il flusso continuo della videoregistrazione sia trasformato in unità discrete,

delimitate temporalmente da un momento inziale e da uno finale.

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3. Organizzare un resoconto narrativo

Nell’organizzare un resoconto narrativo è necessario tenere conto della cultura di

appartenenza dell’osservatore e delle potenziali distorsioni interpretative. Inoltre, esistono dei

format che possono essere utilizzati nella stesura delle descrizioni ma che potrebbero risultare

fuorvianti, nonostante abbiano lo scopo di facilitare la lettura dei fenomeni osservati nel modo più

aderente possibile alla realtà.

Una prima caratteristica di questi formati riguarda le convenzioni della lettura: è necessario

interpretare nel modo esatto l’ordine di stesura del testo, che può seguire un ordine temporale o

un criterio di rilevanza. I fatti riportati per primi possono riflettere, infatti l’ordine cronologico della

loro occorrenza, secondo la regola della contingenza temporale, oppure fornire una prima chiave

interpretativa per dare senso agli eventi successivi, secondo la regola della rilevanza.

I formati di trascrizione possono distinguersi anche in base alla stesura per righe o per colonne

dell’interazione, permettendo di distinguere l’alternanza dell’interazione tra due o più soggetti,

senza suggerire relazioni obbligate tra i turni. In particolare, l’utilizzo di trascrizioni a colonna

permette di ricostruire eventuali collegamenti pragmatici e semantici tra i turni. Inoltre, questo

metodo di stesura rende conto del principio di verticalità, cioè di interpretazione dei turni dall’alto

verso il basso.

La trascrizione su colonne separate, suddivise a loro volta in righe, permette di tenere conto

di più elementi essenziali, come, ad esempio, il tempo dell’interazione. Collocando su righe diverse

ciò che avviene in tempi diversi e sulla stessa riga ciò che avviene nello stesso momento, possiamo

tenere conto della sequenzialità o della co-occorrenza delle interazioni.

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In particolare, le colone hanno la funzione di orientare la descrizione, mettendo in rilievo le

informazioni maggiormente significative ai fini dell’indagine: solitamente, nella prima colonna

vengono numerati gli eventi, nella seconda viene riportato l’aspetto temporale dell’interazione e

nella terza vengono trascritti gli eventuali aspetti non verbali.

Resoconto narrativo per colonne. (Camaioni, L., Aureli, T., & Perucchini, P., 2004).

Resoconto narrativo per righe. (Camaioni, L., Aureli, T., & Perucchini, P., 2004).

Un altro aspetto formale dei resoconti narrativi riguarda la disposizione degli eventi a destra

o a sinistra del foglio. Non solo gli eventi che vengono riportati sul lato sinistro della pagina vengono

interpretati come antecedenti temporali o causali, ma generalmente questo ordine rende conto

anche dei soggetti che interagiscono nella scena osservata: solitamente l’adulto viene posto nella

colonna di sinistra, il bambino in quella di destra. Secondo alcuni autori, però, questo ordine

potrebbe rappresentare un ostacolo interpretativo: poiché a sinistra vengono riportati gli elementi

più rilevanti, potrebbe crearsi uno scorretto legame implicito tra posizione sulla pagina e ruolo del

soggetto.

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Inoltre, essendo posti sulla sinistra gli aspetti antecedenti, si potrebbe assumere

implicitamente che l’adulto ricopra il ruolo di iniziatore. Quando un soggetto viene assunto come

iniziatore, ciò che egli dice o fa diventa la cornice che permette di valutare gli eventi in corso. Tale

disposizione potrebbe indurre una scorretta interpretazione degli eventi.

Un ulteriore aspetto da considerare è la trascrizione degli aspetti non verbali. Il

comportamento non verbale non sempre è valorizzato e trattato come parte costitutiva del

messaggio, soprattutto manifestato da soggetti adulti. Tuttavia, soprattutto quando si va ad

indagare la comunicazione in età infantile, l’aspetto non verbale assume un ruolo centrale nel

comportamento dei bambini più piccoli, poiché integra e completa la comunicazione verbale.

Gesti, posture e sguardi rappresentano spesso atti comunicativi autosufficienti. Dunque, per

rendere scorrevole e autonoma la lettura del resoconto descrittivo, è essenziale stabilire dove

collocare sul foglio gli agiti non verbali. Convenzionalmente, questo aspetto viene collocato in alto

a destra, tra parentesi. Ciononostante, quando risulta necessaria la valorizzazione di questa

componente, è possibile riportarla nella colonna dei soggetti, immediatamente a sinistra. In questo

modo si può seguire la regola della rilevanza e riservare alla comunicazione non verbale uno

spazio sufficientemente ampio per poter essere descritta in modo dettagliato.

Gli aspetti della comunicazione non verbale, all’interno di un resoconto organizzato per colonne, si

dispongono generalmente nella terza colonna.

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4. I vantaggi e i limiti secondo la visione della


comunità scientifica

Uno dei principali vantaggi attribuiti ai resoconti narrativi riguarda la loro grande utilità nei

casi in cui l’osservatore necessiti di comprendere il fenomeno osservato. Le descrizioni narrative si

dimostrano particolarmente utili a questo scopo, soprattutto grazie alla loro capacità di rendere al

meglio la completezza dell’oggetto di indagine. In alcuni casi, gli eventi indagati potrebbero

essere di difficile rilevazione attraverso l’utilizzo di metodi esclusivamente quantitativi o quando si

cercano informazioni molto specifiche. In questo caso, la rilevazione tramite descrizione narrativa

fornisce un resoconto minuzioso della scena osservata, permettendo di rilevare la continuità del

fenomeno analizzato, che verrebbe altrimenti spezzata da tecniche diverse di codifica.

Esistono, tuttavia, delle difficoltà legate all’utilizzo delle descrizioni narrative.

In primis, la particolarità di questo mezzo di registrazione spesso non permette la replicabilità

dei dati raccolti. Le descrizioni narrative risentono fortemente del peso che la soggettività

dell’osservatore ha nel processo di stesura del protocollo. Per tale motivo, “non saremmo sorpresi

ma anche sospettosi se due protocolli di due differenti autori fossero identici” 3.

Inoltre, non risulta essere tra i mezzi di rilevazione più economici: i resoconti narrativi, infatti,

richiedono molto tempo all’osservatore. Dunque, il loro utilizzo viene spesso abbandonato non

appena si arrivano a delineare obiettivi e ipotesi definite, per sostituirli con strumenti osservativi più

mirati.

Inoltre, un ultimo punto a sfavore dell’utilizzo di questo strumento è il fatto che, per quanto

dettagliato e accurato, nessun protocollo narrativo può riprodurre esattamente un evento

osservato e sarà sempre presente un certo grado di alterazione, più o meno esplicito.

3 Bakeman, R., & Gottman, J. M. (1987). Applying observational methods: A systematic view

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Filippo Petruccelli - Il resoconto narrativo

L’uso del linguaggio è uno dei fattori che contribuisce a questo effetto distorsivo, poiché

trasforma l’evento osservato nel reale in una sua rappresentazione simbolica: se da un lato ciò

permette la comunicabilità di quanto rilevato, dall’altro vi è un’inevitabile perdita di ricchezza

esperienziale. In realtà, un certo grado di semplificazione della vicenda osservata è non solo

inevitabile ma anche necessario per non incappare nel rischio di raccogliere un insieme confuso di

dati che diverrebbe di difficile trattazione, confondendo il ricercatore piuttosto che aiutarlo.

Al di là delle limitazioni di cui sopra, tale strumento, se comparato con altri, rimane il migliore

a livello di completezza della registrazione, per il rilevante numero di dettagli che permette di

raccogliere: nonostante questo, tuttavia, attualmente viene considerato dai più come uno

strumento preliminare alla ricerca.

Non è stato ancora raggiunto un accorto circa l’utilità dei resoconti narrativi all’interno

della comunità scientifica. Alcuni sostengono che siano utili per accompagnare le osservazioni

quantitative condotte con altri strumenti: ad esempio, tramite la narrazione descrittiva è possibile

arricchire i dati raccolti tramite le griglie osservative, che altrimenti rimarrebbero solamente

materiale numerico. Secondo altri, invece, rappresentano uno strumento indispensabile soltanto

nelle fasi preliminari dello studio, quando il fenomeno da analizzare è ancora sconosciuto o poco

preso in considerazione all’interno della letteratura. In questi casi, i resoconti narrativi forniscono

materiale-pilota che permettono al ricercatore di prendere confidenza con il fenomeno sotto

osservazione. Una volta superata questa fase, tale strumento andrebbe abbandonato e sostituito

da altri maggiormente coincisi.

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Filippo Petruccelli - Il resoconto narrativo

Vi sono casi in cui le descrizioni narrative assumono una maggiore importanza in quanto

costituiscono le prime fonti di rilevazione dati. Infatti, attraverso una descrizione narrativa

sistematica e rigorosa è possibile ricavare dati grezzi dai quali partire per la costruzione di categorie

di classificazione utili all’analisi dei dati: il protocollo narrativo in questo caso verrebbe scomposto e

segmentato in unità, corrispondenti alle categorie, permettendo di ridurre il numero dei dati

rilevati.

In conclusione, l’utilizzo dei resoconti narrativi rappresenta la prima operazione quando si

decide di costruire una griglia osservativa nell’ambito di una ricerca scientifica, soprattutto quando

non si dispongono di informazioni teoriche adeguate sul fenomeno da indagare e sulle sue

manifestazioni comportamentali. L’utilizzo delle griglie permette di assolvere al meglio a quelli che

sono gli scopi principali delle indagini osservative, ovvero rilevare e valutare i comportamenti

indagati. Le descrizioni narrative permettono di assolvere alla prima di queste funzioni attraverso la

registrazione puntuale dell’evento, così come esso si verifica. Lo scopo finale della registrazione

non è quello di raccogliere dati oggettivi direttamente utilizzabili, bensì quello di individuare le

componenti essenziali del comportamento osservato. Appare quindi fondamentale che la

descrizione narrativa sia chiara e fedele, favorendo la rilevazione chiara e completa di quanti più

elementi possibili nel modo più accurato possibile.

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Filippo Petruccelli - Gli schemi di codifica

1. La codifica

Lo strumento di elezione per l’analisi quantitativa del comportamento tra i metodi

osservativi esistenti è lo schema di codifica.

«Codificare significa sintetizzare in quantità numeriche dati qualitativi allo scopo di operare

confronti e valutazioni»1.

Nell’analisi comportamentale di un soggetto, è generalmente necessario prendere in

esame solo determinate unità di comportamento, definite come azioni o eventi, lungo il flusso

continuo di movimenti che compongono il comportamento. Lo strumento che permette di

prendere in esame le sole unità considerate rilevanti agli scopi della ricerca è proprio lo schema di

codifica. Questo strumento, infatti, fornisce all’osservatore una lista finita e predeterminata di

codici, che corrispondono alle unità di comportamento che si è interessati a rilevare. L’osservatore

annoterà un codice ogni qual volta vede esibirsi il comportamento corrispondente ad esso, senza

prendere nota delle condotte che non rientrano nella lista prescelta.

Nel processo di rilevazione dei dati si utilizza di una griglia che funge da guida per l’osservatore

fornendo indicazioni sugli aspetti più salienti della condotta da rilevare: le caratteristiche del

comportamento oggetto di interesse vengono generalmente stabilite in precedenza rispetto al

verificarsi del fenomeno cosicché lo schema di codifica permetta di controllare la variabilità del

comportamento, piuttosto che di farla emergere. Di conseguenza, il suo utilizzo comporta una

rilevazione più selettiva rispetto ad altri protocolli strumentali.

Il processo di codifica prevede modalità e tempistiche diverse in base al tipo di

osservazione effettuata. Esistono dunque numerose tipologie di schema, che si distinguono in base

alla capacità dello strumento di rilevare il fenomeno analizzato in modo più o meno completo.

Tutti gli schemi di codifica sono costruiti graficamente tramite una griglia in cui sono indicati gli

aspetti essenziali da rilevare, con lo scopo di controllarne la variabilità.

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Filippo Petruccelli - Gli schemi di codifica

Le codifiche sono dette multidimensionali quando permettono di studiare aspetti differenti

di uno stesso comportamento: in questi casi vengono utilizzati molteplici schemi di codifica,

ciascuno per ogni aspetto del comportamento preso in esame.

Sotto il punto di vista teorico, è possibile distinguere gli schemi in base alla presenza di

codici basati su caratteristiche fisiche o codici basati su caratteristiche sociali: i primi, anche detti

codici fisici, permettono di ancorare la classificazione dei comportamenti alla fisiologia

dell’organismo; mentre i secondi, i codici sociali, sono soggetti a negoziazione per la definizione

del significato. In quest’ultimo caso vi è il rischio di aumentare le possibilità di interpretazione.

Bakeman e Gottman guardano a queste classificazioni come due estremità di uno stesso

continuum. Secondo gli autori, la loro scelta dipenderebbe dal grado di inferenza richiesto

all’osservatore. 1

1 Aureli, T. (1997) L’osservazione del comportamento del bambino. Il Mulino

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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2. Costruire uno schema di codifica

Se lo schema di codifica è lo strumento d’eccellenza per trasformare unità

comportamentali in dati quantificabili, è essenziale che la costruzione dello stesso sia ben

strutturata.

Il primo passaggio prevede una fase preliminare nella quale si effettua uno studio pilota

che permetta di identificare e chiarire le procedure che verranno messe in atto e di formulare

ipotesi provvisorie: tali ipotesi verranno verificate attraverso la raccolta di dati su un piccolo

campione, secondo le procedure stabilite a priori.

Una volta raccolto il materiale necessario, si passa alla costruzione dello schema di

codifica. Bisogna quindi individuare nei dati rilevati unità di significato, comportamenti ed eventi

che siano significativi in rapporto alle ipotesi formulate. In questo modo si crea una prima lista di

codici, ampia e provvisoria, che verrà poi ristretta attraverso un processo di analisi e selezione, fino

all’individuazione delle categorie di codifica più adatte a rappresentare e analizzare il materiale

raccolto. Per definire in modo completo le categorie, è necessario esplicitare i criteri di

applicazione che ne sono alla base. Questa è una fase molto delicata del processo, poiché dai

criteri scelti per la definizione di una determinata categoria dipenderà l’intero processo di raccolta

e interpretazione dei dati: lo schema di codifica ha la peculiarità di utilizzare un catalogo

predefinito di codici comportamentali che viene sovraimposto al fenomeno osservato; se il

catalogo scelto non è quello giusto, verranno raccolti dati irrilevanti ai fini della ricerca. Dunque, è

necessario che lo schema sia ben costruito nelle sue categorie, così da consentire di cogliere le

caratteristiche del fenomeno, necessarie a comprenderlo e spiegarlo.

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Per arrivare alla costruzione dei “giusti” codici da utilizzare vi sono due strade: induttiva,

anche detta empirica, e deduttiva, anche detta razionale.

• Il metodo induttivo (o empirico) prevede un’accurata osservazione preliminare, nella quale

l’occhio che esplora il fenomeno è libero da teorie o preconcetti. In questo modo, il

ricercatore può individuare gli indicatori comportamentali partendo da regolarità

osservate, per rimandare ad un secondo momento le definizioni concettuali. Il

perseguimento di tale metodo prevede la formulazione di una prima lista provvisoria di

eventi e poi di una più ampia. Quest’ultima viene successivamente semplificata e

riorganizzata in categorie più astratte e meno vincolate a specifici contenuti o eventi. In

sintesi, tale metodo permette di individuare gli indicatori comportamentali derivandoli dalle

condotte precedentemente osservate e ordinate in categorie prestabilite.

• L’approccio deduttivo (o razionale) viene utilizzato da ricercatori esperti, che ritengono di

conoscere bene il fenomeno, i quali andranno a studiare la condotta oggetto di interesse

partendo da una definizione concettuale. Dunque, dopo aver specificato le caratteristiche

del fenomeno e selezionato gli indicatori, si procede alla fase di rilevazione e misurazione.

Entrambe le strategie presentano vantaggi e svantaggi. Se da una parte il metodo induttivo riduce

il rischio di ottenere misure non valide, dall’altra aumenta il pericolo di raccogliere dati inutili a

causa della mancanza di un filtro interpretativo. Il metodo deduttivo, invece, basandosi su

preconcetti teorici, permette di organizzare la rilevazione in modo più mirato, ma può condurre

fuori strada il ricercatore poiché può risultare difficile far coincidere adeguatamente le linee guida

scelte con i dati raccolti. 2

2 Aureli, Perucchini (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino, Il Mulino

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Attualmente, vi è accordo tra ricercatori per cui la migliore strategia da utilizzare è l’unione

di entrambe le strategie: «Nella sequenza ideale, l’osservatore potrebbe cominciare con un

approccio empirico, ottenere registrazioni estese degli eventi, individuare concetti inducendoli

dalle registrazioni e successivamente effettuare una seconda raccolta di registrazioni che siano più

specifiche e più direttamente mirate al concerto indotto» 3.

In ogni caso, la costruzione della codifica deve rispondere a due principi: un ordine

concettuale e un ordine strutturale.

• L’ordine concettuale prevede che le categorie siano coerenti e connesse con i presupposti

teorici e con ipotesi o domande alle quali la ricerca vuole rispondere;

• L’ordine strutturale, prevede che all’interno dello stesso schema le categorie possano

collocarsi a livelli diversi di descrizione e inferenza, nettamente distinti.

Una volta definiti i parametri dello schema di codifica, questi costituiranno il filtro attraverso

cui raccogliere i dati fenomenologici. Se i dati codificati non si dimostreranno validi, probabilmente

saranno i fondamenti teoretici e le assunzioni alla base dello schema a non essere idonee allo

studio.

Nella costruzione dello schema di codifica è altresì possibile un certo grado di personalizzazione,

che rende tale processo parzialmente creativo: ogni schema di codifica custodisce infatti il punto

di vista e il background teoretico di chi lo ha ideato. Il grado di creatività deve comunque rientrare

nei ranghi delle linee guida atte a orientare i ricercatori nella costruzione di qualunque schema di

codifica, come i requisiti di omogeneità tra categorie e di operalizzazzione delle stesse.

3 Weick, KE. (1968), Systematic Observational Methods. The handbook of social psychology

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A questo punto, è possibile applicare lo schema alla condizione di osservazione: bisogna

chiedersi quindi quale sia la strategia di rilevazione da utilizzare e quale procedura seguire per

ottenere campioni rappresentativi del fenomeno che ci interessa. Il tipo di strategia da utilizzare

risulta essere strettamente dipendente dall’unità di campionamento, cioè dall’elemento scelto

come base di rilevazione. È possibile effettuare la registrazione dei dati:

• in base all’evento, cioè registrare la presentazione dell’evento ogni qualvolta questo viene

osservato;

• su base temporale, per cui l’evento viene registrato tenendo conto dello spazio temporale

in cui si verifica.

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3. Le categorie

Come già detto, un aspetto fondamentale della creazione di uno schema di codifica è la

costruzione delle categorie che compongono lo schema. Questo processo sarà funzionale nella

misura in cui le categorie scelte:

• si riferiscano ad aspetti della stessa variabile sottostante;

• si collochino tutte allo stesso livello di ampiezza;

• siano preferibilmente mutualmente esclusive: ad ogni comportamento osservato può

essere assegnata soltanto una delle categorie dello schema.

Risulta sempre essenziale rispettare queste tre regole. Bakeman e Gottman sostengono che

uno schema di codifica ideale debba avere delle categorie sufficientemente vicine ai dati da

rappresentarli e sufficientemente distanti da interpretarli.

Le categorie consistono in una lista predeterminata di codici cui corrispondono le unità

comportamentali che si intende rilevare. Ogni volta che si verificherà uno dei comportamenti

previsti dallo schema, l’osservatore sarà chiamato ad annotare la presenza scegliendo la

categoria più appropriata. È possibile distinguere le categorie in base a due dimensioni: ampiezza

e organizzazione.

• Per ampiezza si intende la capacità della categoria di cogliere aspetti più o meno astratti

del comportamento e più o meno estesi nel tempo. Per quanto riguarda il grado di

astrazione del comportamento, più la categoria è distante dalle manifestazioni osservabili,

più il suo spettro di rilevazione si allarga. A tal proposito si distingue:

o un livello molare, comprendente categorie che rilevano indicatori comportamentali

globali e sintetici, generalmente utilizzati in riferimento alla funzione del

comportamento;

o un livello molecolare, ovvero categorie che rilevano indicatori più mirato e restrittivo.

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La scelta del livello di astrazione dipende soprattutto dalla domanda del ricercatore. A

ciascun livello è legato un diverso grado di inferenza richiesto all’osservatore: minore per il livello

molecolare e maggiore per quello molare.

Questa distinzione tra livello molecolare e molare è stata riformulata da Bakeman e

Gottmann (1987) in termini di codici fisicamente e socialmente basati: i primi classificano

comportamenti radicati nella fisiologia dell’organismo; i secondi hanno a che fare con

comportamenti la cui classificazione dipende più dal background teorico del ricercatore. Di

conseguenza, mentre i codici fisici non sono quasi mai fonte di disaccordo tra diversi osservatori,

perché riferiti a elementi di naturalezza e universalità dei comportamenti, i codici sociali lasciano

maggiore spazio all’interpretazione e all’ambiguità, poiché derivano dalla tradizione culturale

dell’osservatore che li analizza. Questa maggiore ambiguità necessita di azioni che rendano tali

codici il più obiettivi possibili, per favorire l’accordo tra gli osservatori.

La caratteristica di ampiezza fa riferimento anche alla capacità della categoria di cogliere

gli aspetti temporali del fenomeno analizzato. I comportamenti studiati possono essere di diversa

durata, si è dunque soliti distinguerli in due tipi, momentanei e durevoli.

o Nel caso di eventi momentanei, la mera manifestazione comportamentale basta a

soddisfare l’interesse del ricercatore, che estrarrà misure di frequenza dai dati

raccolti;

o Nel caso di eventi durevoli, invece, l’osservatore sarò interessato anche al tempo

necessario perché si manifesti tale comportamento e sarà in grado di ricavare

quindi anche misure di durata.

L’interesse verso l’uno o l’altro tipo di misurazione comporta differenti strategie di

rilevazione.

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• Un altro aspetto importante concerne l’organizzazione delle categorie. Difatti, queste

possono essere sviluppate come mutualmente esclusive o come cooccorrenti:

o Le categorie mutualmente esclusive si riferiscono a unità comportamentali

segmentate di modo che dove finisce una, inizia l’altra;

o Le categorie cooccorrenti fanno invece riferimento a unità comportamentali che si

verificano simultaneamente.

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4. Vantaggi dello schema di codifica

Lo schema di codifica rappresenta lo strumento di registrazione osservativa più mirato, in

quanto permette una rilevazione di dati altamente selettiva. Inoltre, è dotato di grande

economicità, poiché si tratta di uno strumento che richiede un minore dispendio di tempo rispetto

agli altri, nonché una minore difficoltà nella fase di analisi dei dati. Se l’obiettivo dell’osservatore è

chiaro, risulta maggiormente utile ricorrere a strumenti pratici che forniscano precise indicazioni nel

minor tempo possibile. La selettività di questo strumento, inoltre, permette di padroneggiare meglio

i dati raccolti rispetto a forme di registrazione libera: lo schema di codifica ha la caratteristica di

restringere il campo di osservazione e aiuta quindi il ricercatore a ridurre la quantità di informazioni

a quelle strettamente necessarie.

“Lo schema di codifica è la lente che il ricercatore ha scelto per vedere il mondo [..] Se

questa lente non è costruita con cura e ben formata non c’è azione correttiva che possa rimettere

le cose a posto successivamente”1.

Un ulteriore vantaggio nell’adozione di questo strumento riguarda le categorie che

compongono lo schema: queste forzano necessariamente l’osservatore a delineare il fenomeno di

interesse, definendo a priori quali siano le informazioni pertinenti entro una lista chiusa di categorie,

proteggendo dal rischio di osservare alla cieca. Dunque, migliora l’obiettività della ricerca

osservativa, limitando la libertà interpretativa dei dati. Ciò favorisce altresì una maggiore possibilità

di replicabilità: se diversi ricercatori utilizzassero lo stesso schema di codifica, otterrebbero risultati

molto simili.

Infine, grazie alla sua struttura, lo schema di codifica facilita la trasformazione di dati raccolti in

numeri così da renderli facilmente sottoponibili ad analisi statistiche: grazie ad esso è possibile

calcolare la frequenza della comparsa di ciascuna categoria o disporre di informazioni relative alla

durata media di ciascuna categoria comportamentale.

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Filippo Petruccelli - Gli schemi di codifica

«Gli schemi di codifica hanno dimostrato una grande applicabilità in più campi, non solo

legati alla ricerca, ma anche a contesti socioeducativi. Una dimostrazione è la tecnica Target

Child, sviluppata negli anni ’70 da un gruppo di ricercatori di Oxford con lo scopo di valutare

l’organizzazione educativa e la capacità dei bambini di utilizzarla. Si tratta di uno schema di

codifica dell’attività del bambino nel contesto educativo, applicabile a osservazioni carta e matita

o videoregistrate. Alla fine degli anni ’80 è stato validato in italiano da Camaioni, Bascetta e Aureli.

Lo strumento è risultato utile soprattutto all’osservazione sistematica di bambini tra i 3 e gli 8 anni,

con molteplici usi possibili, come: valutare le capacità cognitive, ottenere indice dello stile

cognitivo esibito da ciascun bambino.» 4

Dunque, lo schema di codifica si è dimostrato lo strumento più adatto a raggiungere

l’obiettivo di una rilevazione il più possibile obiettiva, sistemica, replicabile e quantificabile.

Imponendo al ricercatore un maggiore rigore metodologico rispetto ad altri tipi di registrazione di

dati, risulta essere lo strumento più adatto per effettuare misurazioni osservative.

4 Aureli, Perucchini (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino, Il Mulino

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

1. Descrizione dello strumento

Le scale di valutazione rappresentano uno degli strumenti di indagine per la rilevazione

sistematica del comportamento e consente di ricavare dalla situazione osservata un giudizio

valutativo riguardo uno specifico fenomeno oggetto di interesse. La valutazione non sarà basata

sulla puntuale registrazione del comportamento osservato, bensì su un giudizio quantitativo globale

della condotta. L’osservatore, infatti, è chiamato ad esprimere una valutazione circa la frequenza

di comparsa di alcuni eventi rilevanti per l’indagine (ad esempio: raramente, qualche volta,

abbastanza, spesso, molto spesso). 1

Ciò implica che l’osservazione e la rilevazione avvengano in contemporanea: l’osservazione viene

tradotta in un giudizio valutativo che può essere di frequenza o intensità. In particolare, lo

strumento risulta particolarmente indicato quando la variabile oggetto di indagine non riguarda un

singolo comportamento, bensì un insieme di eventi comportamentali diversi che sono alla base di

una variabile psicologica precisa, come ad esempio l’aggressività.

A differenza di altri strumenti di rilevazione, come i resoconti narrativi e le check-list, le scale

di valutazione si fondano sul giudizio globale dell’osservatore. Tuttavia, la principale differenza

risiede nel fatto che le scale non rilevano né descrivono le manifestazioni comportamentali

osservate, bensì esprimono una valutazione circa i comportamenti target dell’osservazione, ritenuti

significativi di una variabile psicologica sottostante. Permettono quindi di ottenere un giudizio

quantitativo globale “tramite il quale l’osservatore, sulla base di un periodo di osservazione

adeguato, codifica in maniera sintetica la frequenza con cui un certo comportamento di

manifesta” 2.

1 Cassibba, R., Salerno, N. (2014). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Carocci editore
2 Cassibba, R., D'Odorico, L. (2001). Osservare per educare. Carocci editore

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

Inoltre, le scale di valutazione si configurano come strumenti poco informativi circa il

comportamento in quanto tale, ma per lo più permettono di ottenere una descrizione degli stili

comportamentali e delle differenze individuali 3.

Le scale di valutazione e le scale di rilevazione comportamentali implicano ambiti di

applicazione diversi. Infatti, mentre le seconde registrano i comportamenti manifesti in quanto tali,

le prime sono utili quando lo scopo dell’osservazione è quello di rilevare caratteristiche del

soggetto che si ritengono relativamente stabili 4. In sostanza, le scale di valutazione risultano essere

uno strumento più selettivo, poiché richiedono all’osservatore di determinare da cosa dipende

un’azione e non di rilevare l’azione in quanto tale o come si sviluppa. Raccolgono perciò soltanto

una parte delle manifestazioni comportamentali osservate dette “depurate”, ovvero quelle che

sono alla base del fenomeno di interesse, tralasciando le condotte irrilevanti; al contrario, delle

scale di rilevazione comportamentale favoriscono la raccolta di tutta gli eventi che si esplicano

all’interno della situazione osservativa.

I dati depurati dalla varianza dovuti a fattori contingenti devono avere consistenza interna

e stabilità sia situazionale che temporale. Ciò significa che devono essere coerenti tra loro sia

all’interno di una data situazione che in varie situazioni contemporanee e successive.

Spesso può risultare utile ricorrere all’uso di più tecniche di rilevazione in modo congiunto 5.

Ad esempio, è possibile rilevare dati tramite l’utilizzo di strumenti diversi dalle scale, come ad

esempio lo schema di codifica, che permette di segmentare il flusso del comportamento di un

soggetto in unità comportamentali specificate a priori. I dati rilevati verranno poi valutati tramite il

rating scale.

3 Cairns, R. B., & Green, J. A. (1979). How to assess personality and social patterns: Observations or ratings. The analysis of
social interactions: Methods, issues, and illustrations.
4 Cassibba, Salerno (2004). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Carocci editore
5 Aureli, T. (1997) L’osservazione del comportamento del bambino. Il Mulino

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

L’utilizzo di più strumenti in modo congiunto è stato adottato da diversi ricercatori all’interno

delle loro ricerche. Ad esempio, Als, Tronick e Brazelton (1979) hanno studiato l’interazione madre-

bambino proprio in questo modo, ovvero osservando e raccogliendo informazioni tramite lo

schema di codifica, per poi analizzare i dati tramite l’adozione di una scala di valutazione. In

questo modo, è stato possibile dapprima analizzare secondo per secondo le modalità espressive di

madre e bambino così da poter analizzare l’interazione in base al catalogo comportamentale dei

due protagonisti; in un secondo momento si è ricorsi alla scala di valutazione per ricostruire

l’aspetto dinamico dell’interazione 6.

6 Als, H., Tronick, E., & Brazelton, T. B. (1979). Analysis of face-to-face interaction in infant-adult dyads. Social interaction
analysis: Methodological issues.

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

2. Costruire e utilizzare una scala di valutazione

Il primo passo per la costruzione di una scala di valutazione consiste nell’individuazione di

una variabile o caratteristica da misurare. Di questa è necessario identificare gli item

rappresentativi dei diversi aspetti che la compongono. Successivamente, tali item verranno

trasformati in scale. In questa fase sussiste la possibilità di scegliere tra diversi criteri possibili: grafici,

numerici o categorici.

• Un esempio di scala categoriale potrebbe essere: molto, abbastanza, poco.

• Un esempio di scala numerica potrebbe essere: 1,2,3,4.

• Un esempio di scala grafica potrebbe essere costituito da una linea in cui disporre i

differenti aspetti che vanno a costituire il fenomeno oggetto d’indagine.

È necessario che le scale contengano punti chiari e precisi, non ambigui, e che

consentano una chiara discriminazione tra le varie posizioni. Ad influire fortemente su questa

necessità vi è il numero di punti contenuti nella scala: difatti, un numero troppo elevato rischia di

ridurre l’attendibilità della rilevazione. Il numero ideale è di non oltre sette punti.

La valutazione viene effettuata attraverso la rilevazione della cadenza e dell’intensità di

manifestazione di un dato fenomeno comportamentale esibito da uno o più soggetti, in base a

determinati criteri. Tuttavia, l’osservatore si astiene dalla formulazione di un giudizio con valenza

positiva o negativa. Per questo motivo, Zambelli ha ritenuto fuorviante il nome di “scala di

valutazione”, a cui preferisce “rating scale” espressione che esprime la classificazione per gradi e

dunque descrive meglio la natura di tale strumento 7.

7 Zambelli, F. (1983). L'osservazione e l'analisi del comportamento: problemi e tendenze metodologiche nella ricerca in
educazione. Pàtron.

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L’osservatore che si avvale dell’uso delle scale di valutazione deve essere molto abile e

preparato, poiché tale strumento è molto più delicato rispetto ad altri, proprio per il fatto di dover

assolvere alla sua funzione valutativa. È necessario avere chiaro il quadro teorico di riferimento

della qualità, attributo o fenomeno che costituisce l’oggetto di osservazione. Se il lavoro di ricerca

viene svolto in team, è necessario che il concetto teoretico e metodologico sia chiaro anche agli

altri ricercatori e osservatori. Sottolineare questo passaggio è molto importante soprattutto nello

studio del comportamento. Spesso le qualità che vengono analizzate subiscono l’influenza di

numerosi fattori, quali il sesso, l’età, le condizioni osservative, il gruppo sociale e culturale di

appartenenza del soggetto. Risulta dunque necessario condividere tutte le informazioni teoretiche

al riguardo, così da avere un quadro chiaro e un’aspettativa comune su come quello specifico

fenomeno si manifesti nelle diverse condizioni di osservazione. Ovviamente, è importante che il

ricercatore sia in grado di raccogliere nel contesto osservativo le informazioni rilevanti e veramente

attinenti alla caratteristica indagata. Queste informazioni non riguardano solo il comportamento in

quanto tale, ma anche la relazione tra il comportamento e la qualità sottostante ad esso, che si

esplicita ad esempio nel modo in cui il comportamento si manifesta. Occorre, ad esempio,

determinare se è stato intenzionale o accidentale, se giustificato oppure casuale, e altri possibili

indicatori di qualità utili ai fini valutativi. Risulta chiaro come sia necessario un certo bagaglio di

esperienza del ricercatore, che deve tenere conto di numerosi fattori contemporaneamente. Egli

inoltre, dovrà escludere le fonti di variazione situazionali, relazionali e superficiali che influenzano il

comportamento: deve cioè estrarre le informazioni necessarie dalla variabilità delle circostanze

entro cui si verifica il comportamento per poterne interpretare al meglio il significato. Dunque, si

assume che «l’osservatore misuratore sia un teorico, metodologico, osservatore e psicomotricista

competente» 8, qualità in genere non richieste per l’utilizzo di altri strumenti. Se il ricercatore non

segue i criteri sopra elencati, è facilmente possibile produrre errori sistematici e mancare di

affidabilità e validità.

8 Cairns, R. B., & Green, J. A. (1979). How to assess personality and social patterns: Observations or ratings. The analysis of
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3. Vantaggi ed elementi di criticità delle scale di


valutazione

Si dimostra particolarmente utile ricorrere alle scale di valutazione quando lo scopo

dell’indagine osservativa è quello di rilevare caratteristiche del soggetto che sono relativamente

stabili. Eppure, il loro utilizzo può generare una serie di errori, individuati da Zambelli 9:

• L’effetto alone rappresenta la tendenza a valutare aspetti specifici in base ad impressioni di

carattere generale;

• L’effetto indulgenza consiste nel fornire valutazioni più generose del dovuto;

• L’errore di contrasto, cioè la tendenza a sopravvalutare o a sottovalutare un soggetto in

base alle sue caratteristiche;

• L’errore di vicinanza, che consiste nel valutare item adiacenti in modo molto simile;

• L’errore di logico, che consiste nel valutare item logicamente collegati in modo simile.

È possibile ovviare a questi errori attraverso l’utilizzo di particolari tipi di scale, come le scale

ancorate o le scale a scelta obbligatoria.

Le scale ancorate vengono utilizzate quando i ruoli di osservatore e valutatore coincidono,

cioè quando il ricercatore valuta comportamenti che lui stesso sta osservando.

Nelle scale a scelta obbligata, invece, il ricercatore non esprime giudizi nel metodo

classico, ma si vede costretto a scegliere la frase che meglio descrive ciò che si sta valutando

all’interno di un numeroso gruppo di descrittori.

Come ogni strumento, anche le scale di valutazione presentano sia vantaggi che

svantaggi. Il vantaggio principale risiede sicuramente nella praticità della somministrazione, che

assicura anche una certa velocità.

9 Zambelli, F. (1983). L'osservazione e l'analisi del comportamento: problemi e tendenze metodologiche nella ricerca in
educazione. Pàtron.

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

Difatti, le scale non richiedono lunghi tempi di rilevazione rispetto ad altri strumenti

osservativi, dimostrando una certa economicità temporale. Dopo un breve periodo di

osservazione, infatti, la scala può essere agilmente compilata a partire da quanto osservato e

annotato. Inoltre, sono possibili somministrazioni collettive, senza la necessità di apportare

modificazioni al setting.

Un ulteriore vantaggio delle scale di valutazione è che, se ben costruite, dimostrano un

valore predittivo maggiore rispetto a qualunque altro strumento di indagine osservativa.

Ad esempio, Bakeman e Bron (1980) hanno esaminato le modalità di interazione madre-figlio,

confrontando un campione di bambini nati pretermine con un campione di bambini nati a

termine. Tra le metodologie osservative utilizzate, la scala di valutazione della responsività materna

ha mostrato di avere un’ottima capacità predittiva delle future abilità cognitive dei bambini.

La validità predittiva delle scale di valutazione dipende perlopiù dal problema più generale

della costruzione dello strumento e delle sue caratteristiche, come la quantità di item contenuti e il

rigore metodologico con il quale è stato elaborato. Una scala di valutazione può ritenersi

sufficientemente efficace quando si riferisce ad un costrutto definito chiaramente, quando gli item

sono coerenti tra loro e in un numero contenuto, e quando questi vengono definiti in modo chiaro

e preciso, in modo tale da non lasciare margini di ambiguità e interpretabilità. Se tuttavia vengono

a mancare questi elementi, le scale di valutazioni inducono a rischi maggiori rispetto ad altre

procedure di rilevazione dei dati.

I vantaggi e i rischi legati all’utilizzo di questo strumento dipendono anche dal livello di

competenza dell’osservatore. Chi utilizza una scala di valutazione, infatti, deve avere chiaro qual è

l’oggetto della valutazione, conoscere il rapporto teorico che intercorre tra le manifestazioni

comportamentali osservate e la variabile sottostante di riferimento nella scala, quali possono

essere le fonti di variabilità contingenti e quali sono invece gli aspetti più utili da considerare ai fini

della valutazione.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

Inoltre, un ruolo chiave viene ricoperto dall’interpretazione, che in questo strumento

rappresenta il cardine dell’osservazione, a differenza di altre tecniche di rilevazione osservativa

nelle quali è richiesta invece l’astensione da qualunque tipo di interpretazione per focalizzarsi,

invece, sui meri fatti osservati. Dunque, il valutatore deve saper formulare interpretazioni coerenti e

per farlo è necessario un buon addestramento. Una rigorosa strutturazione dello strumento può

inoltre contribuire a garantire la riduzione dei potenziali errori nella rilevazione legati alla

soggettività dell’osservatore.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

4. Esempi di scala di valutazione: SOVASI e SCBE

Un esempio di scala di valutazione è la Scala per l’Osservazione e la Valutazione della

Scuola d’Infanzia (SOVASI). Si tratta di uno strumento messo a punto da Harms e Cliffors nel 1980

(USA) e validato per la lingua italiana da Ferrari e Gariboldi nel 1994. Il suo utilizzo permette di

ottenere un quadro globale degli ambienti in cui si effettua la rilevazione. Tali ambienti

comprendono al loro interno vari aspetti che vanno dallo spazio fisico alle cure di routine, alle

esperienze che promuovono lo sviluppo del bambino, ai bisogni dell’adulto: vengono considerati,

dunque, sia i comportamenti che gli ambienti fisici come oggetti e arredi. Nel particolare, la scala

si compone di sette aree di interesse, per ciascuna delle quali è previsto un numero variabile di

item. Nello specifico, le aree sono:

• Cure di routine;

• Arredi e materiali a disposizione dei bambini;

• Esperienze cognitive e linguistiche;

• Attività motorie;

• Attività creative ed espressive;

• Sviluppo sociale;

• Bisogni degli adulti.

Ciascun item può essere valutato attraverso l’attribuzione di un punteggio da 1 a 7: il

punteggio minimo 1 rappresenta un livello inadeguato; il valore 3 rappresenta un punteggio

minimo; 5 corrisponde ad un buon livello di qualità; 7 rappresenta un livello di eccellenza; i

punteggi pari (2,4,6) rappresentano, infine, posizioni intermedie tra quelle elencate. Dalla somma

dei punteggi attribuiti è possibile costruire il profilo di ogni sezione tramite due parametri: punteggi

per item e medie per subscala. In questo modo è possibile valutare sia le aree deboli, che

necessitano miglioramento, che i punti di forza da consolidare.

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

La SOVASI è stata ampiamente utilizzata nella ricerca e nella formazione, per l’alto grado di

affidabilità e validità che questo strumento dimostra 10.

Un altro esempio di scala di valutazione è rappresentato dalla Scala di Valutazione del

Comportamento e della Competenza Sociale, versione italiana della Social Competence and

Behavior Evaluation (SCBE) a cura di D’Odorico e Foglia. La versione originale della SCBE si

presenta in due possibili versioni, una lunga, composta da 80 item, e una più breve, di 30 item.

L’obiettivo di questo strumento è quello di valutare la competenza sociale, l’espressione affettiva e

le eventuali difficoltà di adattamento sociale in età prescolare, attraverso delle osservazioni

effettuate da educatrici ed insegnanti. In particolare, la scala ha uno scopo educativo più che

clinico, poiché la sua funzione è quella di classificare i bambini utilizzando categorie diagnostiche

al fine di predisporre interventi mirati.

Nella costruzione della scala, gli autori si sono prefissati quattro finalità a cui lo strumento

avrebbe dovuto rispondere:

• Descrivere in modo standardizzato i comportamenti affettivi e sociali in bambini di età

prescolare nei contesti quotidiani;

• Discriminare specifici problemi emotivo-comportamentali;

• Valutare la competenza e l’adattamento sociale del bambino;

• Raccogliere misure che fossero caratterizzate da validità, stabilità e affidabilità;

• Ottenere misure sensibili al cambiamento nel tempo, per valutare gli effetti di interventi

specifici o per effettuare analisi dell’andamento evolutivo.

10 Aureli, Perucchini (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino, Il Mulino

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

La versione breve della scala (SCBE-30) si compone di 3 scale, ognuna contenente 10 item

riferiti a comportamenti che i bambini potrebbero esibire nel contesto scolastico verso i compagni

o nei confronti degli adulti. Per ciascun item le risposte si distribuiscono su una scala Likert a 6 passi:

l’osservatore dovrà esprimere un giudizio sulla frequenza del comportamento esibito dal

bambino 11.

Figura 1. Scale e item della SCBE30. (Aureli, Perucchini, 2014).

11 Aureli, Perucchini (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino, Il Mulino.

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Filippo Petruccelli - Le scale di valutazione

Ulteriori esempi di scale di valutazione molto usate nella ricerca clinica in ambito infantile

sono 12:

• Social Skills Rating System (SSRS) di Gresham e Elliott (1990) rivolta a bambini dai 3 ai 13 anni.

La scala è costituita da tre sottoscale (Capacità di cooperare, Assertività e Autocontrollo)

e permette di ottenere sia un punteggio globale che uno specifico per ogni sottoscala.

• Penn Interactive Preschool Play Scale (PIPPS) di Fantuzzo (1995) rivolta a bambini di età

prescolare. Si compone di 32 item valutati su scala Likert e indaga aspetti quali il gioco

interattivo e le abilità prosociali, il gioco distruttivo e l’aggressività, il gioco disconnesso, il

ritiro sociale e l’evitamento.

• Child Behavior Check-List (CBCL) di Achenbach (1991) validata in italiano da Frigerio (2004).

È una scala composta da 8 sottoscale per un totale di 138 item su scala Likert a 3 punti, per

la valutazione di bambini dai 4 ai 18 anni riguardo vari aspetti, ad esempio: il ritiro sociale, i

disturbi somatici, l’ansia, la depressione, problemi sociali, problemi di pensiero, problemi di

attenzione, comportamenti devianti, comportamenti aggressivi.

12 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore

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Filippo Petruccelli - Le check-list

1. Descrizione dello strumento

Le check-list sono uno strumento di indagine osservativa. Esse prevedono che la

competenza da valutare venga suddivisa in una serie di unità comportamentali, secondo un

ordine gerarchico che ha inizio dalle unità più elementari fino ad arrivare a quelle più complesse.

Esse rappresentano un particolare tipo di schema di codifica. Difatti, la struttura di

quest’ultimo si compone di categorie predefinite, cioè liste predeterminate di codici cui

corrispondono le unità comportamentali che si intende rilevare. Similmente, le check-list sono

costituite da griglie osservative contenenti elenchi di comportamenti definiti a priori in modo più o

meno strutturato, utili a classificare i comportamenti osservabili sulla base di tali liste. A differenza di

quanto avviene per gli schemi di codifica, qui le categorie sono organizzate in maniera

gerarchica, secondo un grado crescente di complessità. All’interno di ciascuna categoria,

l’osservatore dovrà indicare la presenza o assenza di ciascun comportamento previsto dalla

griglia: i comportamenti osservati vengono registrati seguendo intervalli di tempo predefiniti.

Le check-list vengono generalmente organizzate in intervalli di temporali suddivisi in tempo

di osservazione e tempo di registrazione: ad esempio, il tempo di campionamento della checklist

comportamentale può comprendere una sessione di 10/15 secondi di osservazione e un

successivo tempo di registrazione, della durata di 5 secondi. L’osservatore avrà a disposizione un

cronometro (o un altro dispositivo utile a rilevare lo scorrere del tempo) per segnare con precisione

l’alternarsi delle due fasi di osservazione e registrazione. Egli avrà il compito di annotare sul foglio di

rilevazione i comportamenti osservati, intervallo dopo intervallo. Il ricercatore può utilizzare tale

strumento per le osservazioni dal vivo, in osservazioni dirette su campo, oppure impiegarle come

schemi di codifica su materiale videoregistrato.

Sebbene siano molto usate nella ricerca scientifica, la loro applicabilità non può estendersi

in maniera ottimale a tutti i campi della scienza: ad esempio, non possono essere utilizzate nella

valutazione infantile delle competenze sociali, perché poco adatte a cogliere le caratteristiche del

costrutto indagato.

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Filippo Petruccelli - Le check-list

Hanno comunque una grande applicabilità nell’ambito dei metodi osservativi, soprattutto

poiché permettono di ottenere misure di frequenza, probabilità, stabilità del comportamento, co-

occorrenza e sequenza 1. Dunque, se calibrate in base al giusto oggetto di ricerca, possono fornire

risultati completi e ottimali.

Alcune dimensioni dello strumento possono variare in relazione a diversi fattori che

intervengono nella campionatura dei dati. 2

• Una di queste dimensioni è il rapporto di campionatura, anche detto ampiezza

dell’intervallo di osservazione, che consiste nella frequenza temporale con la quale il

comportamento viene campionato. Il rapporto di campionatura varia in base a più fattori

quali: la durata totale della rilevazione osservativa; la natura dei comportamenti esaminati;

la durata dei comportamenti esaminati; il numero di categorie che verranno incluse nella

check-list. Va tenuto conto che se l’ampiezza dell’intervallo di osservazione è troppo

elevata, il compito di rilevazione per l’osservatore si complica, poiché all’aumentare

dell’ampiezza dell’intervallo di tempo aumenta anche la probabilità che si verifichino un

numero maggiore di eventi comportamentali. Generalmente, il rapporto di campionatura

medio di una check-list prevede una durata totale di raccolta dati di 15 minuti, suddivisi in

intervalli di osservazione di 20 secondi e intervalli di registrazione pari a 5 secondi.

• Il tempo totale di osservazione ovvero la durata complessiva di ciascuna seduta di

osservazione. È chiaro che la durata delle sedute varia in relazione al numero totale di

osservazioni che si possono effettuare sullo stesso soggetto: se un soggetto viene osservato

numerose volte nel corso della ricerca, la durata di ogni singola osservazione si ridurrà,

poiché si avranno più occasioni per raccogliere i dati ricercati nel suo comportamento; al

contrario, se le possibilità di osservazione sono ridotte, sarà necessario prolungare ciascuna

per ottenere una sufficiente quantità di informazioni.

1 Elia, L., Cassibba, R. (2009) Valutare le competenze sociali. Carocci editore


2 Baumgartner, E. (2018). L’osservazione del comportamento infantile, teorie e strumenti. Carocci Editore

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Filippo Petruccelli - Le check-list

Un’ulteriore variabile temporale che incide sulla raccolta dati quando decidiamo di

utilizzare le check-list è il momento della giornata nel quale vengono effettuate le

rilevazioni. Tale influenza ha un impatto maggiore nelle condizioni di rilevazione meno

strutturate poiché non viene stabilito a priori uno specifico momento della giornata in cui la

raccolta dati risulta favorevole. Una minore standardizzazione della procedura richiede

quindi una maggiore attenzione ai dettagli durante la rilevazione.

• Un ulteriore elemento che influenza la rilevazione dei dati è il numero di categorie

comprese nella check-list ovverosia l’ampiezza della check-list. Difatti, se da un lato una

descrizione esaustiva dei fenomeni osservati dovrebbe richiedere un ampio numero di

categorie, dall’altro bisogna considerare che un numero troppo elevato di codici

renderebbe difficile l’utilizzo della check-list. Si correrebbe quindi il rischio di indebolire la

forza dello strumento, poiché le capacità dell’osservatore di utilizzare i codici in modo

accurato verrebbe minata dall’eccessivo numero di discriminazioni da compiere durante la

rilevazione dei dati. Se gli osservatori sono esperti e ben istruiti possono riuscire a gestire fino

a 20-30 categorie, ma questo numero può essere troppo elevato per un osservatore non

adeguatamente formato.

• L’omogeneità delle categorie. Così come per lo schema di codifica, anche nelle check-list

è importante utilizzare categorie omogenee. Le categorie presenti in ciascuna check-list

devono essere omogenee, cioè devono collocarsi tutte allo stesso livello di descrizione.

Ciascuna categoria gode della caratteristica di ampiezza, intesa come la capacità della

categoria di cogliere aspetti più o meno astratti del comportamento. In base al grado di

astrazione del comportamento, andrà a determinare l’ampiezza dello spettro di rilevazione

della categoria stessa. Possiamo distinguere:

o Un livello molare ovvero categorie che raccolgono indicatori comportamentali

globali, anche dette macro unità comportamentali, ad esempio l’attività di gioco.

o Un livello molecolare ovvero categorie che rilevano indicatori comportamentali più

mirati e selettivi anche dette micro unità, ad esempio, uno sguardo o un sorriso.

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Filippo Petruccelli - Le check-list

Dunque, le categorie di ciascuna check-list possono essere tutte molecolari o tutti molari,

purché vi sia coerenza tra le categorie di uno stesso schema e non si passi da un ordine

concettuale all’altro.

• Il grado di strutturazione della situazione di rilevazione osservativa dei dati influenza

fortemente lo strumento utilizzato dal ricercatore. Nei casi in cui la situazione non è

organizzata ai fini della ricerca è possibile incorrere in diversi fattori di disturbo. Dunque, la

check-list dovrebbe essere costruita affinché sia di facile applicazione e risulti compatibile

con il contesto entro il quale verrà compiuta l’osservazione.

• Le analisi e le misure ovvero frequenza, probabilità, stabilità del comportamento,

cooccorrenza e sequenza.

Schölmerich & Lamb, autori di un saggio del 1992 sull’osservazione delle interazioni genitore-

bambino, basata proprio sull’uso di check-list, hanno sottolineato l’importanza di sottoporre gli

osservatori che intendono utilizzare lo strumento ad un training specifico. Ciò risulta essenziale per

un’adeguata strutturazione della check-list affinché il processo di rilevazione dei dati non venga

alterato da errori procedurali.

“Le check-list comportamentali sono costituite da liste di comportamenti più o meno

rigorosamente definiti che vengono accertati in intervalli predefiniti di tempo da osservatori che

sono stati sottoposti ad un training specifico.” 3

3 Schölmerich, A., & Lamb, M. E. (1992). Check-list comportamentali nella ricerca sulle interazioni madre-bambino e padre-
bambino. Età Evolutiva

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2. Costruire una check-list

La costruzione di una check-list che risulti ben strutturata e metodologicamente valida è

fondamentale poiché favorirà una raccolta dati attenta e meticolosa.

Vediamo di seguito i passaggi principali 4:

• Anzitutto, risulta necessario individuare l’oggetto della ricerca, vagliando la letteratura

esistente sull’argomento e individuando sia i possibili soggetti da coinvolgere, che più

probabilmente esibiranno il comportamento che si vuole studiare, sia il contesto nel quale

sarà più facilmente possibile riscontrare la presenza del comportamento stesso.

• Descrivere il comportamento oggetto di indagine in modo chiaro e oggettivo.

• Infine, verrà predisposta la griglia scegliendo le categorie più adeguate ed esplicitando i

criteri applicativi che ne sono alla base. La costruzione delle categorie dovrà seguire sia un

ordine concettuale che uno strutturale: l’ordine concettuale fa riferimento al fatto che ogni

categoria deve essere coerente con gli scopi e le ipotesi della ricerca, compresi i

presupposti teorici che ne sono alla base; l’ordine strutturale, d’altro canto, prevede che le

categorie della check-list si collochino a diversi livelli di descrizione e inferenza, chiaramente

distinti.

A conclusione del processo si otterrà una check-list costituita da un elenco di

comportamenti preselezionati scelti tra quelli possibilmente esternabili da un determinato soggetto

in una data situazione. L’utilizzo di questo strumento segue una procedura ben consolidata: il

professionista esegue l’osservazione secondo i parametri temporali stabiliti e, individuato il

comportamento, annota la frequenza con la quale ogni comportamento target si manifesta.

4 Cassibba, Salerno (2004). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi. Carocci Editore.

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Filippo Petruccelli - Le check-list

3. Vantaggi e svantaggi nell’utilizzo delle check-list

Le check-list comportamentali hanno avuto un’ampia diffusione all’interno della ricerca

osservativa per alcune loro caratteristiche. Schölmerich & Lamb hanno individuato i principali

vantaggi dell’utilizzo di tale strumento nell’ambito della ricerca osservativa 5:

• Rendono conto dei comportamenti osservati così come essi si verificano, mantenendone la

spontaneità;

• Inducono il ricercatore ad operare un rigoroso lavoro di analisi tecnica, nel quale è

necessario individuare chiaramente le domande e le finalità della ricerca col fine di

focalizzare l’attenzione dell’osservatore su un numero ristretto di unità comportamentali

rilevanti ai fini della ricerca;

• Permette di ottenere dati quantitativi di diverso tipo (frequenza e durata, esamina di

sequenze e co-occorrenze), che si prestano a differenti tipologie di analisi;

• Costituisce un metodo di rilevazione di dati semplificato, poiché non richiede sofisticati

strumenti di registrazione. All’osservatore, infatti, sono sufficienti carta e matita e un

dispositivo automatico di segnalazione del tempo;

• È uno strumento non intrusivo;

• Offrono la possibilità di registrare i comportamenti di più soggetti contemporaneamente.

Nonostante i numerosi punti di forza, le check-list presentano anche elementi di debolezza,

legati soprattutto alla necessità di strutturarne a priori la griglia. Infatti, stabilire a priori quali saranno

i comportamenti da osservare, può risultare limitante nel caso in cui si scoprisse, in corso d’opera,

che le manifestazioni comportamentali di rilievo per gli scopi della ricerca erano altre e quindi non

previste dallo strumento. In questi casi potrebbe verificarsi una perdita di informazioni e,

conseguentemente, di validità della rilevazione.

5 Schölmerich, A., & Lamb, M. E. (1992). Check-list comportamentali nella ricerca sulle interazioni madre-bambino e padre-
bambino. Età Evolutiva

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Filippo Petruccelli - Le check-list

Un altro aspetto critico già menzionato riguarda l’ampiezza dell’intervallo, la quantità di

categorie presenti nella check-list. Se l’ampiezza è minima, e quindi il numero di categorie è molto

basso, si può indurre un restringimento eccessivo dei comportamenti presi in considerazione

durante la rilevazione comportando, una perdita di informazioni e, di conseguenza, una distorsione

nella comprensione del fenomeno analizzato. Al contrario, se la check-list contiene un numero

elevato di categorie, può costringere l’osservatore a effettuare scelte arbitrarie circa cosa rilevare

e cosa trascurare, perdendo i vantaggi sopra menzionati dovuti alla strutturazione dello strumento.

In definitiva, nonostante sia sempre bene tenere a mente i rischi possibili dell’utilizzo di

questo strumento, le check-list rappresentano uno strumento di grande efficacia e praticità se

precedute da un accurato lavoro di progettazione e da un training specifico dell’osservatore.

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Filippo Petruccelli - Le check-list

4. Esempi di check-list

A fini esplicativi, riporteremo di seguito alcuni esempi di check-list, utilizzate in diversi ambiti

nel contesto dello sviluppo infantile. Solitamente le check-list non vengono utilizzate di frequente

nel contesto delle valutazioni infantili poiché il loro carattere strutturato non riesce a rendere in

modo completo le caratteristiche dei costrutti propri di quest’ambito. Eppure, molti ricercatori ed

educatori si sono avvalsi di questo strumento per effettuare ricerche, valutazioni cliniche e indagini

pedagogiche.

Camaioni, Baumgartner e Perugini hanno validato una check-list funzionale

all’identificazione delle differenti tipologie di relazione interpersonale tra bambini nella prima

infanzia 6. Lo strumento si compone di 20 codici che prevedono al loro interno i diversi

comportamenti da rilevare.

L’osservazione di ogni bambino ha una durata di 10 minuti durante i quali è impegnato in

attività di gioco libero (campionamento dell’individuo focale). Tale lasso temporale è suddiviso in

40 intervalli da 15 secondi: 10 secondo di osservazione e 5 di rilevazione del comportamento. Per

ogni intervallo viene scelto un unico codice. Quando i comportamenti rilevati nello stesso intervallo

sono due o più, si sceglie l’evento che presenta una durata maggiore rispetto agli altri. Inoltre, per

ogni intervallo vengono annotati i destinatari verso cui viene rivolta la condotta del bambino

osservato.

Lo strumento è stato utilizzato dagli autori all’interno della scuola dell’infanzia con la finalità

di indagare le interazioni e le relazioni sociali di bambini di 5 anni. Le osservatrici sono state

addestrate tramite il controllo dell’accordo tra osservatori e tramite il confronto tra un protocollo di

criterio e il protocollo di ogni osservatore.

6 Camaioni, L., Baumgartner, E., & Perugini, M. (1998). Validazione di uno strumento per rilevare le relazioni amicali tra
bambini nella prima infanzia. Giornale italiano di psicologia, 25(1), 101-122.

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Filippo Petruccelli - Le check-list

Dai dati è emerso che i bambini tendevano a passare dall’imitazione reciproca alla

condivisione, confermando l’ipotesi che la prima rappresenti il precursore della condivisione dei

significati. Inoltre, è stato riportato un decremento della prossimità e dei livelli di conflittualità

conseguente all’aumento delle conversazioni e delle modalità di interazione a carattere

scherzoso. Più in generale, è possibile osservare il passaggio una modalità di passare del tempo

insieme passiva – ricerca di prossimità e osservazione degli altri – ad una modalità più attiva.

Confrontando le misure di frequenza delle diverse categorie è possibile avere un’idea di

quali sono le modalità di interazione nelle differenti età prese in considerazione. Oltre, all’analisi

quantitativa è, altresì, possibile ottenere un’analisi qualitativa delle relazioni guardando alle

frequenze delle categorie in relazione ai differenti destinatari delle iniziative sociali del bambino

target.

Utilizzando un disegno di ricerca longitudinale, risulta inoltre possibile tenere sotto controllo i

cambiamenti della mappa relazionale nei gruppi e di valutare la stabilità delle relazioni

individuate.

Tale strumento permette di raccogliere informazioni esaustive col vantaggio di essere

semplice e economico a livello di tempo.

Baumgartner, E. (2018).

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Filippo Petruccelli - Le check-list

Nel panorama internazionale il Minnesota Preschool Affect Cheklist è una tra le check-list

più utilizzate. Lo strumento, messo a punto da Stoufe e collaboratori nel 1984, fu successivamente

modificato da Denham e Burton nel 1996. Il proposito degli autori era quello di validare uno

strumento capace di valutare il livello di sviluppo socio-emotivo in bambini tra i 30 e i 72 mesi

all’interno del loro ambiente naturale 7.

Lo strumento si compone di 53 che si organizzano in diverse sotto-scale. In particolare, tra

queste ultime troviamo:

• L’espressione e la regolazione delle emozioni positive, come quando il bambino sorride o

mostra divertimento per un tempo prolungato;

• L’espressione e la regolazione delle emozioni negative, come quando il bambino usa il

comportamento non verbale per esprimere fastidi;

• L’emozionalità inappropriata, che si manifesta ad esempio quando il bambino esprime

emozionalità negativa in risposta ad un tentativo di interazione neutro o positivo di un

compagno;

• Il coinvolgimento produttivo in attività proposte;

• Il coinvolgimento non produttivo, ad esempio quando il piccolo manifesta un’eccessiva

tensione;

• Deficit nel controllo degli impulsi, quando il bambino manifesta aggressività fisica;

• La capacità di gestire la frustrazione;

• L’abilità di leadership e di cooperazione con i pari;

• L’isolamento, quando il piccolo non presenta comportamenti sociali per più di 3 minuti;

• L’ostilità;

• I comportamenti prosociali.

7 Elia, L., Cassibba, R. (2009) Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Le check-list

L’osservatore ha il compito di individuare la presenza o l’assenza di uno specifico

comportamento, in base a quanto predefinito all’interno della check-list. L’osservazione dovrebbe

presentare una durata di 20 minuti perché sia accurata e dovrebbe svolgersi in più giornate in

modo da valutare se il piccolo sia in possesso o meno di tutte le abilità precedentemente viste.

L’osservazione viene effettuata ogni 5 minuti, al termine dei quali il comportamento osservato

viene registrato.

Successivamente al periodo di rilevazione, i punteggi ottenuti per ogni item previsto

vengono sommati. Il punteggio 0 prevede che il comportamento non si sia verificato durante

l’intervallo; di contro, il punteggio è pari a 1, quando il comportamento si verifica. Dalla somma si

otterrà il punteggio globale per ognuna delle sotto-scale previste dalla check-list.

Affinché la valutazione risulti affidabile, è bene che l’osservatore sia precedentemente

sottoposto ad un periodo di addestramento, garantendo l’esclusiva rilevazione di quei

comportamenti che sono oggetto di interesse nel breve intervallo di tempo previsto 8.

8 Elia, L., Cassibba, R. (2009) Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Le interviste

1. Descrizione dello strumento

Tra le tecniche più utilizzate di rilevazione dati è l’intervista, uno strumento che consiste in un

particolare tipo di dialogo strutturato e guidato dal ricercatore con lo scopo di stimolare uno o più

soggetti a fornire informazioni utili ai fini della ricerca. Si tratta dunque di una tecnica volta ad

avere accesso alle osservazioni altrui: permettendo di raccogliere le idee dell’intervistato, questo

strumento appare fondamentale per generare nuove conoscenze.

Fornire una definizione dell’intervista intesa come tecnica di rilevazione di dati a scopo di

ricerca può non risultare così semplice come si pensa. Difatti, sebbene potremmo definire

banalmente l’intervista come una procedura utilizzata per raccogliere dati, per una definizione più

profonda e completa dovremmo scontrarci con la grande quantità di spiegazioni differenti

riscontrate all’interno della letteratura scientifica. Numerosi sono stati coloro i quali hanno tentato

fornire una definizione di intervista, la quale di volta in volta, è stata associata al contatto

personale, al dialogo, a un preciso processo di comunicazione verbale o ad una conversazione

con uno scopo. La grande quantità di sforzi esplicativi rispecchia la mancanza di una definizione

univoca e uno scarso rigore nella definizione dello strumento che si esprime attraverso un

linguaggio scientifico incerto.

Il tratto che accomuna le definizioni più ricorrenti ha a che fare con la natura relazionale

dell’intervista, che secondo l’accordo generale è considerata una forma di interazione sociale o

conversazione intrapresa da due o più persone, per il raggiungimento di una finalità cognitiva. Lo

scopo di natura cognitiva sta nel fatto che lo strumento prevede la raccolta di informazioni circa

alcune caratteristiche dei soggetti ritenute rilevanti per l’indagine che si sta svolgendo.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Quanto all’aspetto relazionale dell’intervista, Fideli e Marradi hanno individuato tre

caratteristiche che distinguono le interviste da altre forme di interazione sociale 1:

• Lo scopo dell’intervista, che consiste nella rilevazione di situazioni, comportamenti,

atteggiamenti e opinioni, e non la valutazione di capacità;

• L’intenzione dell’intervista la quale è mirata a rilevare e non a modificare gli stati degli

intervistati che costituiscono il tema centrale della ricerca;

• Il contesto di dell’intervista, che si rivolge al quadro generale in cui l’oggetto di osservazione

è inserito.

Qualunque sia la definizione che si sceglie di adottare, l’intervista rimane uno strumento

essenziale alla ricerca empirica, cioè quella ricerca mirata a produrre risposte a domande sulla

realtà: difatti, la tecnica dell’intervista aiuta ad accumulare conoscenze utili al fine di affrontare

problemi reali, più che a verificare teorie astratte.

L’intervista prevede anche una particolare dinamica comunicativa. È infatti una situazione

sociale nella quale le reciproche aspettative circa il ruolo da assumere sono definite e condivise a

priori da entrambe le parti coinvolte, intervistatore e intervistati. Nel momento esatto in cui si dà

inizio all’interazione, uno dei due attori (l’intervistatore) si pone in una posizione di vantaggio

comunicativo rispetto all’altro (intervistato), poiché sa di dover formulare domande alle quali l’altro

dovrà rispondere, consapevole del suo ruolo. Queste implicazioni riconosciute dagli attori

generano tra loro una struttura relazionale asimmetrica, più o meno mediata dal tipo di intervista

utilizzata e dal grado di strutturazione e flessibilità che questa prevede.

1 Fideli, R., & Marradi, A. (1996). Intervista. Enciclopedia delle scienze sociali.

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2. Intervista qualitativa e intervista quantitativa

Quando si parla di tecniche di indagine, da un punto di vista metodologico, si è soliti

suddividere gli strumenti in due macro-categorie: metodi quantitativi e metodi qualitativi. I due

metodi differiscono fortemente su più livelli e non solamente per il tipo di strumenti che adottano.

Mentre la ricerca quantitativa compre un numero più ampio di casi, quella qualitativa viene

impiegata in studi di profondità condotti su uno o pochi casi. Inoltre, nel metodo quantitativo la

selezione dell’oggetto di interesse e l’analisi del materiale raccolto si basa su regole di natura

statistica. Di contro, adottando un approccio qualitativo, le stesse fasi risultano particolarmente

ricche di informazione, tanto che spesso si definisce tale modalità “non quantitativa” 2.

Il metodo qualitativo viene considerato da alcuni come un ampliamento del metodo

etnografico, dato l’utilizzo, da parte degli esponenti dell’approccio, di tecniche osservative dirette

e partecipanti, interviste in profondità, analisi di documenti e lo studio di un caso. Tutti questi

elementi rendono difficile trovare un accordo per arrivare ad una definizione condivida, tuttavia,

mettono in luce la necessità di ottenere una definizione «che sia di più di una negazione di un’altra

definizione» 3.

Al di là dei dibattiti terminologici, una grande differenza che permette di definire

indirettamente i due metodi risiede nel fatto che le tecniche qualitative permettono di evidenziare

l’aspetto soggettivo delle misure raccolte, mentre la metodologia quantitativa mira ad una

conoscenza più legata all’oggettività.

2 Silverman, D. (2005). What you can (and can’t) do with qualitative research. Doing qualitative research.
3 Della Porta, D. (2010). L’intervista qualitativa. La Terza & Figli.

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I due metodi differenziano anche per gli scopi con i quali vengono scelti e messi in atto:

quella qualitativa è una ricerca di tipo esplorativo, orientandosi prevalentemente verso la

formulazione di un’ipotesi; la ricerca quantitativa, invece è maggiormente funzionale a verificare

congetture già formulate in precedenza. Date le diverse finalità cui i due metodi aspirano, anche il

loro concreto utilizzo nelle varie tappe di un disegno di ricerca risultano distinte: progettare un

disegno di ricerca comporta implicazioni circa diversi aspetti quali, ad esempio, la selezione dei

casi, la concettualizzazione, la scelta dei metodi. A tal riguardo, mentre l’analisi quantitativa

procede per tappe fissate rigidamente, nella ricerca qualitativa la procedura è più flessibile.

Inoltre, nei due metodi cambia anche il ruolo di teorie e concetti preesistenti, che nella ricerca

quantitativa rivestono un ruolo più importante, soprattutto nelle fasi che procedono la rilevazione

dati. I metodi qualitativi, invece, garantiscono più libertà teoretica, permettendo di definire i

concetti nel corso della ricerca.

Della Porta, D. (2010)

Date queste premesse metodologiche, possiamo distinguere dunque due tipologie di

interviste, qualitative e quantitative. In ogni caso esse rappresentano lo strumento più diffuso per la

raccolta di informazioni di vario genere: nella maggior parte degli articoli pubblicati su riviste

scientifiche possiamo notare infatti come i dati siano spesso rilevati tramite l’uso di tale strumento 4.

4 Silverman, D. (2000). Qualitative research: A practical handbook.

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La distinzione tra le interviste qualitative e quelle quantitative è stata spesso rilegata alla

diversa importanza che i due metodi attribuiscono al grado di regolarità nel condurre la

conversazione con il soggetto che viene osservato. A differenza quella quantitativa, lo stile

dell’intervista qualitativa è più conversativo e caratterizzato da una maggiore variabilità delle

domande con lo scopo di ottenere una maggiore ricchezza di informazioni 5.

Mentre le interviste quantitative presentano una struttura caratterizzata da un maggior

grado di rigidità strettamente collegata agli scopi dell’indagine di ricerca, l’intervista qualitativa

assegna all’intervistatore una maggiore libertà di esplorazione, il quale sarà chiamato ad indirizzare

l’intervistato verso gli argomenti che vanno trattare il fenomeno oggetto di interesse. Il

professionista deve quindi essere capace di valutare adeguatamente quando una risposta è

sufficiente o quando richiede un maggiore approfondimento.

Dunque, la comunicazione sarà caratterizzata da un maggior grado di asimmetria nel

primo caso, in quanto l’intervistatore dirigerà l’intervistato orientandolo serratamente attraverso

domande predefinite. Nel secondo caso, di contro, il soggetto assumerà un ruolo più attivo:

l’informazione emergerà in base alle dinamiche che si andranno a creare nel corso dell’intervista

tra i due attori.

Della Porta, D. (2010)

5 Weiss, G. H. (1994). Aspects and applications of the random walk. North Holland.

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Pertanto, le interviste quantitative risultano più strutturate, meno flessibili e orientate ad

ottenere precise informazioni dall’intervistato; le interviste qualitative mirano invece a cogliere il

punto di vista dell’intervistato, attraverso la registrazione di risposte ricche e approfondite. L’utilizzo

di queste ultime sembra essere maggiormente funzionale all’interno delle ricerche che si

occupano di studiare gruppi o fenomeni trattati in modo esiguo all’interno della letteratura

scientifica e che quindi hanno bisogno di ulteriori approfondimenti. Le interviste quantitative, al

contrario necessitano di un maggiore fondamento teoretico.

Il minore grado di strutturazione della metodologia qualitativa permette una maggiore

libertà di risposta al soggetto intervistato, del quale si cerca di evincere la visione del mondo e il

modo in cui egli vi partecipa. In questo senso, lo strumento ha avuto un grande riscontro nel

campo delle scienze sociali, poiché aiuta a cogliere meglio il modo in cui l’individuo si pone nei

confronti del mondo esterno attraverso la ricostruzione dei processi sociali. Permette di «aprire una

finestra sulla vita quotidiana» e di generare «rappresentazioni che includono la voce del soggetto,

minimizzando quella del ricercatore» 6.

In linea con quanto detto, l’intervista quantitativa mira principalmente a verificare un’ipotesi di

ricerca mentre grazie l’intervista qualitativa risulta più funzionale alla formulazione di ipotesi. Il

processo qualitativo è mediato dalle capacità di interpretazione e riflessività del ricercatore.

Nonostante le differenze presentate, le regole da rispettare per la costruzione e la

somministrazione di interviste quantitative e qualitative sono parallele.

La differenziazione delle interviste in qualitative e quantitative risulta essere puramente

metodologica e comunque troppo rigida per rispecchiare i reali strumenti di intervista esistenti e

utilizzati.

6 Della Porta, D. (2010). L’intervista qualitativa. La Terza & Figli

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Infatti, sebbene secondo alcuni manuali di metodologia, l’utilizzo della tecnica

dell’intervista come strumento di rilevazione dati connoterebbe una determinata indagine come

qualitativa, tale strumento si presenta in realtà come trasversale e adattabile a molteplici percorsi

di ricerca.

L’intervista come tecnica di rilevazione dati, grazie alla grande variabilità delle sue forme,

presenta in sé un approccio combinato: le forme più flessibili e meno standardizzate dello

strumento consentono di apportare modifiche nel corso della somministrazione, in base a bisogni

riguardanti aspetti comunicativi o alla necessità di approfondire determinati elementi inerenti agli

scopi della ricerca.

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3. Classificare le interviste

Come abbiamo osservato, è possibile distinguere diverse tipologie di intervista, che possono

essere classificate a:

• Il grado di flessibilità di cui l’intervista gode;

• Il livello di autonomia degli attori coinvolti nella comunicazione;

• Il livello di profondità della comunicazione.

Tali aspetti corrispondono a tre dimensioni in base alle quali è possibile classificare i diversi

tipi di intervista: direttività, standardizzazione e strutturazione.

• La dimensione direttività fa riferimento alla possibilità che il ricercatore ha di stabilire a priori i

contenuti dell’intervista, che influisce quindi sul grado di autonomia concesso agli attori

coinvolti circa la possibilità di variare il contenuto delle domande e delle risposte.

Un’intervista con un basso livello di direttività permette al processo comunicativo di essere

fluido e all’intervistato di essere autonomo nella sua espressione.

• La standardizzazione riguarda il grado di uniformità degli stimoli offerti all’intervistato, in

relazione al modo in cui le domande e le risposte sono formulate nel loro contenuto e nella

loro successione. Un tipo di intervista con un alto grado di standardizzazione prevede una

comunicazione meno profonda, perché comporta una forte riduzione della libertà di

espressione di entrambi gli attori coinvolti, intervistatore e intervistato. Tale libertà viene

infatti quasi azzerata dalla necessità di attenersi alle domande programmate dal

ricercatore.

• Con strutturazione intendiamo invece il grado con cui vengono precisate le modalità di

interrogazione e si riferisce quindi al livello di dettaglio e articolazione della traccia

dell’intervista. Maggiore è il grado di strutturazione dell’intervista maggiore sarà il suo livello

di rigidità, poiché sia l’intervistatore che l’intervistato non hanno la possibilità di uscire fuori

tema.

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Dunque: «la struttura attiene direttamente alla traccia, la standardizzazione e la direttività

attengono solo indirettamente alla traccia, mentre si riferiscono in maniera diretta alla

conduzione» 7.

Passiamo ora alla definizione delle tre principali tipologie di interviste: strutturata, semi

strutturata, non strutturata.

• Sebbene sia usuale identificare le interviste strutturate esclusivamente con i questionari,

all’interno di questa categoria ricadono vari strumenti caratterizzati da diversi livelli di

strutturazione.

Un questionario composto da sole domande aperte per quanto direttivo presenterà

comunque un livello minore di strutturazione rispetto ad un questionario composto da sole

domande chiuse. Eppure, i due strumenti esaminati non presenteranno gradi diversi di

standardizzazione se le domande vengono rigidamente sottoposte nello stesso ordine e con la

medesima formulazione linguistica a tutti gli intervistati. Questa forma di intervista prevede un

l’utilizzo di uno stile comunicativo molto vicino a quello informale, in quanto l’intervistatore ha la

semplice funzione di raccogliere le risposte del soggetto. L’interazione è guidata dallo strumento

altamente standardizzato e direttivo. L’intera situazione è molto rigida, perché l’interazione tra i

due attori è stabilita da ruoli predeterminati degli attori coinvolti e non è prevista alcuna possibilità

di scambio tra di essi. Si registra quindi una forte assenza di circolarità della comunicazione poiché

la successione delle domande scandisce e guida l’intervista.

L’intervista strutturata si basa sul principio dell’invarianza degli stimoli, per cui vengono riprodotte a

ciascun intervistato le stesse domande nello stesso ordine, standardizzando le condizioni di

rilevazione. Una tale organizzazione permette la comparabilità delle risposte fornite da ciascuno

degli intervistati, consentendo di sottoporre ad analisi statistica i dati raccolti. Di conseguenza, le

interviste strutturate risultano particolarmente utili nelle indagini che coinvolgono un elevato

numero di partecipanti.

7 Bichi, R. (2002). L'intervista biografica. Una proposta metodologica. Vita e pensiero.

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Alcuni ricercatori hanno espresso delle perplessità circa l’adozione di tale strumento,

sostenendo che l’invarianza degli item che compongono l’intervista comporterebbe una

conseguente mancanza di variabilità nelle risposte fornite dai soggetti intervistati. Tuttavia, il diverso

grado di interpretazione soggettiva dell’intervistato permette di ovviare alla questione: ciascun

partecipante, infatti, opererà un’attribuzione di senso che indurrà inevitabilmente a conclusioni

diverse.

Le forme più diffuse di interviste strutturate sono quelle personali e quelle telefoniche.

Le interviste personali, anche dette face to face, prevedono un contatto diretto tra

intervistatore e intervistato: il primo ha un ruolo determinante nel processo comunicativo che si

instaura, poiché deve destare e mantenere vivo l’interesse nel corso dell’intera intervista. È bene,

inoltre, che mantenga un atteggiamento neutrale evitando di influenzare le risposte.

L’intervista telefonica riduce fortemente il contatto personale e obbliga ad un’interazione

scandita unicamente da codici comunicativi verbali, non permettendo di cogliere la ricchezza

della componente non verbale. Questo limite la rende inevitabilmente circoscrivibile al solo ambito

dei sondaggi e delle ricerche di mercato. La comunicazione è ridotta ancor più dalla necessità di

condurre interviste brevi: per essere funzionali alla comunicazione tra i due attori, le interviste

telefoniche non dovrebbero superare i 15 minuti.

• Quella semi-strutturata è una forma di intervista che prevede livelli ridotti di strutturazione,

standardizzazione e direttività rispetto a quanto esporto precedentemente. In questo caso,

l’intervistatore dispone come unico strumento di una traccia dettagliata dell’intervista: egli

condurrà l’intervista seguendo una lista di argomenti organizzati in una serie di domande

aperte, in base alle quali dovrà raccogliere le informazioni.

L’intervista semi-strutturata presenta il vantaggio di poter adattare la tipologia e l’ordine

delle domande ai singoli soggetti intervistati. Affinché questa possibilità venga sfruttata al meglio, è

necessario che l’intervistatore sia ben addestrato rispetto agli obiettivi e ad alle finalità della

ricerca. Sarebbe bene, dunque, che gli intervistatori vengano fatti partecipare alle fasi della

ricerca antecedenti la raccolta di informazioni.

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Filippo Petruccelli - Le interviste

Il ricercatore ha inoltre la possibilità di utilizzare una matrice con la finalità di organizzare i

dati raccolti: il codificatore ricondurrà poi la risposta fornita dal soggetto a una determinata

categoria.

Le interviste semi-strutturate prevedono uno stile comunicativo meno rigido: l’intervistatore può

scegliere quali argomenti approfondire per rispondere agli scopi della ricerca o con la finalità di

mettere a proprio agio l’intervistato. Dunque, il processo comunicativo risulta essere più fluido e

dinamico.

Una delle forme più famose di intervista semi-strutturata è l’intervista focalizzata, o mirata, di

Merton e Kendall (1946) che ha come obiettivo quello di raccogliere le opinioni, gli atteggiamenti

e le reazioni degli individui rispetto a un tema o a un evento specifico 8. Un caso particolare di

intervista focalizzata è il focus group, un’intervista condotta all’interno di un gruppo di più o meno

10 persone che discutono su un argomento scelto dal ricercatore. Per via dell’elevato numero di

partecipanti, alcuni suggeriscono di distinguere questa forma di intervista da quella focalizzata,

esortando a considerare invece il focus group come una «tecnica di rilevazione basata sulla

discussione tra un gruppo di persone». 9

• L’intervista non strutturata prevede livelli minimi o quasi nulli di strutturazione,

standardizzazione e direttività. Viene condotta fornendo all’intervistatore solo una traccia

della ricerca. L’intervista viene dunque condotta seguendo una lista vaga di argomenti,

ribaltando l’asimmetria tra il ricercatore e l’intervistato precedentemente riscontrata.

Quest’ultimo, infatti, è dotato di un maggiore potere comunicativo, mentre l’intervistatore

che si limita alla raccolta delle informazioni e dirige la conversazione al minimo.

8 Merton, R. K., & Kendall, P. L. (1946). The focused interview. American journal of Sociology.
9 Addeo, F., Montesperelli, P. (2007). Esperienze di analisi di interviste non direttive. Aracne editrice S.r.L.

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Filippo Petruccelli - Le interviste

Questo tipo di intervista, generalmente poco utilizzata nell’ambito della ricerca, presenta il

vantaggio di ottenere informazioni ampie e dettagliate che potrebbero tuttavia risultare portare

fuori strada rispetto all’ipotesi di base. Per questo motivo, lo strumento è utilizzato in genere in

indagini qualitative, in cui l’ipotesi viene formulata sulla base di quanto emerso nell’intervista.

In questo caso, l’intervistatore deve essere in grado di indirizzare silenziosamente

l’andamento dell’intervista in base agli obiettivi della ricerca.

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Filippo Petruccelli - Il Q-sort

1. Descrizione dello strumento

Il Q-sort viene introdotto da Stephenson negli anni ’50 e costituisce ad oggi uno degli

strumenti più utilizzati per la descrizione di comportamenti di tipo globale. Questo si compone di

item predefiniti attraverso i quali è possibile valutare aspetti specifici della condotta. Su una serie di

cartoncini vengono riportati i comportamenti oggetto di interesse. Per far sì che le descrizioni

prodotte siano interpretabili, viene adottata una distribuzione forzata che l’osservatore è chiamato

a seguire con la finalità di ordinare gli item. Questi ultimi vengono suddivisi in base al loro grado di

somiglianza con il comportamento oggetto di studio. Si andranno quindi a costituire dei gruppi che

verranno ordinati secondo un ordine crescente, da quelli nei quali ricadono gli item che

descrivono più similmente il comportamento messo in atto dal soggetto nel contesto osservativo a

quelli che descrivono comportamenti più diversi 1.

Il modo in cui i cartoncini vengono ordinati è stabilito attraverso una serie di tappe.

Inizialmente, l’osservatore ha il compito di suddividere i cartoncini in tre gruppi, corrispondenti a:

item simili, item diversi, item né simili né diversi. Il passo successivo richiede all’osservatore di

suddividere ulteriormente i cartoncini; questa ulteriore divisione deve seguire quanto stabilito in

precedenza circa il numero di gruppi che verrà utilizzato nella ricerca. Si otterrà quindi un numero

di gruppi corrispondente a quanto prestabilito e all’interno di ciascun gruppo vi sarà solo un dato

numero di cartoncini. Il numero di gruppi e quelli dei cartoncini contenuti da ciascun gruppo, viene

stabilito a priori in base al tipo di distribuzione adottata. Infatti, nell’utilizzo della Q-sort non è

prevista un’unica forma di distribuzione ma vi è un certo margine di libertà che prevede che essa

sia cambiata in base agli scopi della ricerca 2.

1 Cassibba, R. (1988). L’uso del metodo Q-sort nella ricerca osservativi. Tecniche di osservazione del comportamento
infantile. Problemi e metodologia in un approccio comparatistico, McGraw–Hill, Bologna.
2 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Il Q-sort

La scelta del tipo di distribuzione da adottare per la Q-sort è fondamentale poiché da

questa dipende il grado di accuratezza delle descrizioni ottenute. Ciascun tipo di distribuzione, si

caratterizza per tre elementi: la simmetria-asimmetria, il numero dei gruppi, la forma della

distribuzione.

• Simmetria-asimmetria della forma: le forme simmetriche semplificano il compito di

ordinamento;

• Numero di gruppi nei quali suddividere l’idem: all’aumento del numero di gruppi

corrisponde un aumento dell’accuratezza della descrizione ottenuta dato il suo maggior

grado di differenziazione;

• Forma della distribuzione, che può essere unimodale, rettangolare, uniforme 3.

Analizziamo in modo più dettagliato le forme che può assumere la distribuzione.

La distribuzione unimodale può essere osservata quando il numero di item è maggiore nella

categoria o nel gruppo che si colloca a livello centrale sul continuum. Ciò comporta che gli item

nei gruppi estremi richiederanno uno sforzo maggiore da parte dell’osservatore per essere

discriminati mentre per quelli nei gruppi centrali la scelta sarà facilitata. In quest’ultimo caso, infatti,

verranno collocati un maggior numero di cartoncini. Tale distribuzione è particolarmente indicata

nei casi in cui l’osservatore mira ad ottenere informazioni più accurate circa i comportamenti

collocati agli estremi del continuum, cioè gli item più simili e quelli più diversi. Successivamente

viene presentato un esempio: la distribuzione forzata in questo caso prevede che 100 item siano

suddivisi in 9 gruppi. La forma della distribuzione è simmetrica: il numero di item differisce in ognuno

dei 9 gruppi (ibidem).

3 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Il Q-sort

Esempio di forma unimodale di distribuzione (Elia, L., Cassibba, R. 2009)

Nella distribuzione rettangolare, anche detta uniforme, ogni gruppo presenta un numero

equivalente di cartoncini. Questa modalità può tornare particolarmente utile al ricercatore nei casi

in cui è necessario rendere il compito di ordinamento dei cartoncini il più semplice possibile o nei

casi in cui il ricercatore sia interessato a ottenere informazioni ugualmente accurate su tutti i

comportamenti analizzati dal Q-set. Nell’esempio di seguito, è possibile vedere come i 9 gruppi

presentino lo stesso numero di item 4.

Esempio di distribuzione uniforme o rettangolare (Elia, L., Cassibba, R. 2009)

4 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Il Q-sort

Infine, la distribuzione uniforme (o con forma a U) è costituita da una predominanza di

cartoncini posti nei gruppi estremi e da un numero minore nella zona centrale. Al contrario della

forma unimodale, questa richiede all’osservatore di fornire i giudizi più accurati per gli item

occupanti le zone centrali del continuum 5.

Esempio di distribuzione con forma a U (Elia, L., Cassibba, R. 2009)

Il fatto di dover ordinare gli item secondo una distribuzione predefinita ha suscitato non poche

perplessità. In particolare, la distribuzione stabilita a priori potrebbe non corrispondere a quella che

l’osservatore utilizzerebbe se lasciato libero di operare spontaneamente. In base a quanto detto,

scegliere di utilizzare una distribuzione forzata potrebbe minare il processo di valutazione, influendo

sul grado di fedeltà con cui la descrizione ottenuta riflette la realtà osservata.

Tuttavia, l’utilizzo della distribuzione forzata risulta essere per certi versi una scelta funzionale,

in quanto garantisce la comparabilità delle descrizioni effettuate. A differenza delle distribuzioni

libere, viene utilizzato da tutti gli osservatori lo stesso ordine di misura da parte di tutti i valutatori.

Inoltre, il giudizio viene espresso su tutti i valori disponibili lungo il continuum favorendo una

maggiore accuratezza nella discriminazione dei comportamenti osservati in quanto il professionista

è chiamato a prendere posizione nella formulazione del suo giudizio piuttosto che a riportare i fatti

in modo generale (ibidem).

5 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Il Q-sort

Dopo aver ordinato gli item, ad ognuno viene assegnato un punteggio che corrisponde al

gruppo nel quale è stato collocato. Generalmente, viene consigliato di indicare sul retro di ciascun

cartoncino il numero identificativo dell’item, in modo da facilitare l’attribuzione dei punteggi.

L’insieme dei punteggi ottenuti costituisce il profilo del soggetto indagato rispetto alla variabile

esaminata 6.

Di seguito verrà riportato un esempio di foglio di codifica in cui vengono inseriti i punteggi.

Esempio di foglio di codifica di un Q-set con distribuzione uniforme (Elia, L., Cassibba, R. 2009)

L’utilizzo della metodologia Q-sort presenta diversi vantaggi, primo fra tutti la possibilità di

studiare il fenomeno comportamentale oggetto di interesse così come si manifesta nel suo

contesto naturale. Infatti, lo strumento garantisce un’interferenza minima da parte dell’osservatore

nel corso dell’indagine osservativa.

Inoltre, l’utilizzo della distribuzione forzata degli item, riduce l’influenza di variabili come la

desiderabilità sociale o le caratteristiche di personalità sulla descrizione effettuata.

Infine, il Q-sort è uno strumento che permette di trattare i dati rilevati tramite analisi

statistiche (ibidem).

6 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Il Q-sort presenta però anche dei rischi nei quali il ricercatore può incappare se non

sufficientemente attento o esperto.

L’attendibilità dei dati raccolti può, ad esempio, essere influenzata dalle capacità

osservative del ricercatore e dalla possibilità che egli ha avuto precedentemente di poter

accedere ad un campione rappresentativo del comportamento oggetto di interesse. È bene

quindi che l’osservatore sia addestrato, di modo tale che sappia riconoscere il significato degli

item e che abbia confidenza con la procedura necessaria ad ordinarli. A questo proposito può

essere utile accordarsi con osservatori esterni – accordo interosservatori –prima di iniziare la

rilevazione dei dati. Questa strategia, sebbene possa risultare funzionale, presenta tuttavia dei

rischi: gli osservatori esterni, infatti, sono chiamati a basare le loro valutazioni su osservazioni di

breve durata. Nella formulazione del loro giudizio, un semplice errore di campionamento potrebbe

condizionare la qualità delle osservazioni andando a minare la capacità dello strumento di fornire

descrizioni rappresentative del fenomeno comportamentale oggetto di interesse 7. È infatti possibile

che, nonostante il raggiungimento di un accordo tra giudici indipendenti, non si pervenga, dopo

un breve lasso di tempo, ad una descrizione rappresentativa del comportamento, ovvero è

possibile che non venga descritto il fenomeno che si intendeva valutare data la breve durata della

rilevazione.

Può essere utile fare ricorso ad osservatori esterni, figure che conoscono sia il soggetto

analizzato che il contesto in cui questo viene valutato: in questo modo è possibile superare il

problema della rappresentatività del comportamento rilevato. Ad esempio, nello studio del

comportamento di un bambino, si può scegliere di assumere come osservatore esterno un

genitore o un insegnante, persone vicine al piccolo che hanno la possibilità di accedere ai suoi

comportamenti in differenti contesti e che possono, in questo modo, rendere conto della

rappresentatività dei comportamenti.

7 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Tuttavia, diverse indagini hanno rilevato come i caregiver e gli insegnanti, a volte, non siano

in grado di cogliere nel modo corretto i segnali del bambino, inficiando la loro attendibilità

nell’osservazione dello stesso. Inoltre, a volte i genitori tendono a riportare il comportamento

passato del piccolo piuttosto che quello corrente.

Per ovviare a questi problemi Moran e colleghi hanno suggerito di osservare il

comportamento dei bambini in situazioni leggermente strutturate, in modo da creare condizioni

tali da stimolare la presentazione del fenomeno comportamentale che si intende valutare nel

breve arco di tempo previsto per l’osservazione, aumentandone la probabilità di manifestazione 8.

Qualora tali strategie non bastassero, sarebbe bene permettere agli osservatori di

prolungare la durata dell’osservazione per il raggiungimento di una descrizione accurata del

soggetto.

8 Moran, G., Pederson, D. R., Pettit, P., & Krupka, A. (1992). Maternal sensitivity and infant-mother attachment in a
developmentally delayed sample. Infant Behavior and Development, 15(4), 427-442.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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2. Costruire il Q-set

Il Q-set rappresenta l’insieme di item o cartoncini che compongono lo strumento. La sua

creazione rappresenta un’operazione molto delicata, in quanto richiede che vengano scelti degli

specifici vocaboli che siano in grado di descrivere il fenomeno osservato: questa scelta avrà serie

implicazioni circa validità e attendibilità dei dati raccolti.

Per la costruzione di un Q-set, Stephenson (1953) propone alcune strategie che, nonostante

non siano pienamente soddisfacenti, sono tutt’ora utilizzate.

Una prima strategia prevede che venga preparata una lista in cui vengono inserite tutte le

variabili che possono essere considerate rappresentative del comportamento oggetto di indagine:

per ciascuna di queste verranno poi individuati gli item che possono considerarsi buoni valutatori

della variabile cui fanno riferimento.

Sebbene questo metodo sia molto semplice da utilizzare, non assicura che gli item ritenuti

rappresentativi di un determinato gruppo da un ricercatore, siano considerati allo stesso modo da

altri: dunque, non viene garantita la validità di contenuto del Q-set, in quanto non vi è certezza del

fatto che gli item scelti siano effettivamente in grado di tenere conto di tutte le componenti del

costrutto oggetto di indagine. È possibile che vengano predilette quelle variabili che sono di

maggior interesse per l’osservatore piuttosto che altre rilevanti allo stesso modo ma meno

considerate 9.

9 Stephenson, W. (1953). The study of behavior; Q-technique and its methodology.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Un secondo modo di procedere è quello di identificare item o comportamenti che

caratterizzano ciò che si vuole indagare: ad esempio, si può procedere ricercando in letteratura

tutte le definizioni del costrutto analizzato. Di tutti gli item raccolti, se ne possono poi estrarre

casualmente dei sotto-campioni ristretti da utilizzare come versioni parallele di uno stesso Q-set.

Neanche questo metodo, tuttavia, è in grado di garantire pienamente la validità del contenuto

del Q-set 10.

I Q-set maggiormente validi e affidabili procedono in genere per tappe distinte.

Inizialmente vengono analizzate le evidenze presenti in letteratura circa ciò che concerne il

fenomeno che si intende analizzare. Successivamente, si va a creare una prima lista di

comportamenti e contesti. Vengono poi vengono condotte delle osservazioni pilota su ognuna

delle variabili individuate, così da definire ulteriormente le condotte da osservare e, se necessario,

aggiungerne ulteriori che siano ritenuti congruenti con le variabili indagate. Viene quindi definita

una nuova lista di comportamenti, la quale verrà nuovamente utilizzata in nuove osservazioni

pilota, che avranno lo scopo di eliminare o ridefinire gli item che non discriminano efficacemente il

fenomeno indagato o quelli su cui non si riesce a raggiungere un buon accordo inter-osservatori.

Inoltre, sono esclusi gli item infrequenti e suddivisi in più item quelle condotte che si manifestano

difformemente in base al contesto specifico. Procedendo in questo modo, si arriverà a ottenere

una lista definitiva di item, per ciascuno dei quali bisognerà creare anche i loro opposti, per tenere

sotto controllo la desiderabilità sociale 11.

Il Q-set, infine, verrà fatto utilizzare da ricercatori e altre figure inerenti al contesto del

fenomeno indagato, che segnalino eventuali problematiche come la difficoltà di comprensione

degli item, l’utilizzo di un linguaggio eccessivamente tecnico o la formulazione ambigua degli item.

Apportate le dovute modifiche, il Q-set sarà pronto per essere utilizzato (ibidem).

10 Stephenson, W. (1953). The study of behavior; Q-technique and its methodology.


11 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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3. Il trattamento statistico delle rilevazioni effettuate


tramite Q-set

I dati raccolti con il Q-sort possono essere trattati in modo diverso a seconda di quali siano

gli scopi e gli interessi della ricerca.

Generalmente, la misura più spesso utilizzata è l’indice di correlazione. Questo si basa sul

confronto tra il profilo di punteggi dell’individuo oggetto di osservazione e il profilo criterio fornito

dallo strumento: il punteggio ottenuto dal confronto esprime il grado in cui il soggetto è conforme

al criterio prestabilito. Il profilo criterio è solitamente sviluppato da parte di un gruppo di giudici

esperti (generalmente 7-8) ai quali viene chiesto di ordinare il Q-set tramite la descrizione di un

soggetto ipotetico che possieda le caratteristiche prototipiche del fenomeno comportamentale

oggetto di indagine. La media dei punteggi assegnati da ogni giudice ad ogni item andrà a

costituire il profilo criterio. Prima di sottoporli ad analisi statistiche, i dati devono essere trasformati in

punteggi standardizzati z secondo la distribuzione F di Fisher 12.

Gli item, inoltre, possono essere raggruppati in base al loro contenuto, attraverso l’utilizzo di analisi

dei cluster o dell’analisi fattoriale. Vengono quindi individuate le sottodimensioni del costrutto

oggetto di indagine, attribuendo un punteggio a ciascuno degli item che le compongono.

Sommando i punteggi degli item all’interno di ciascuna sottoscala si potrà calcolare l’indice di

ognuna delle dimensioni del fenomeno indagato.

Lo stesso procedimento può essere effettuato tramite la selezione di gruppi omogenei di

soggettivi, tramite l’utilizzo dell’analisi dei cluster (ibidem).

È importante, altresì, assicurare la validità e l’attendibilità delle rilevazioni effettuate tramite

lo strumento Q-sort.

12 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Il Q-sort

La validità del Q-set è garantita se:

• Il set di item identificati costituisce effettivamente un campione rappresentativo del

fenomeno analizzato. Si parla in questo caso di validità di contenuto. In questo senso è

importante che vengano indagati tutti i principali aspetti del comportamento oggetto di

indagine.

• Quanto rilevato tramite l’utilizzo del Q-set correla con le misure ottenute da altri strumenti

volti a misurare il medesimo costrutto. Questo tipo di validità è detta convergente.

• Le misure ottenute non correlano con altre variabili non relative al costrutto indagato. In

questo caso si parla di validità discriminante.

Per quanto riguarda l’attendibilità, è bene tenere sotto controllo la stabilità nel tempo delle

misure e l’attendibilità dell’osservatore.

• Per quanto riguarda la stabilità nel tempo delle misure, l’osservatore è chiamato a ordinare

il Q-set due volte. Le somministrazioni vengono effettuate a distanza di tempo. In questo

modo è possibile indagare quanto le misure rilevate siano condizionate da chi osserva o

dalle condizioni ambientali.

• Sul grado di attendibilità dell’osservatore incidono diverse variabili come: il livello di

chiarezza che caratterizza gli item; la comprensione da parte di chi osserva delle istruzioni

per il loro ordinamento; le capacità e le competenze dell’osservatore. L’attendibilità in

questo caso viene valutata confrontando quanto riportato da due osservatori indipendenti

riguardo lo stesso costrutto.

È bene, qualora necessario, che l’osservatore abbia la possibilità di dedicare un tempo

sufficientemente ampio alla rilevazione del fenomeno, per poterne trarre un giudizio

sufficientemente valido rispetto un campione rappresentativo 13.

13 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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1. Cosa distingue l’osservatore sistematico


dall’osservatore comune

L’osservazione a scopo conoscitivo si distingue notevolmente da quella quotidiana per il

fatto che non può essere identificata semplicemente con l’atto del guardare o del vedere, ma

deve necessariamente essere condotta in modo sistematico 1. Ciò significa che l’osservazione

deve essere registrata, programmata e passibile di verifica. Ne consegue che l’osservatore

sistematico debba possedere delle competenze specifiche tali da consentirgli di portare a termine

compiti che, invece, non attendono l’osservatore comune. Sintetizzando, possiamo dire che questi

compiti riguardano:

● la rilevazione e valutazione delle caratteristiche di un fenomeno selezionato;

● la pianificazione dei metodi di osservazione;

● e la documentazione dei dati in modo da renderli accessibili e verificabili. 2

Nonostante queste sostanziali differenze, i mezzi a disposizione di coloro i quali conducono

un’osservazione a fini di ricerca sono costituiti da abilità cognitive e percettive sostanzialmente

identiche a quelle che usa ciascuno di noi quotidianamente, anche in maniera inconsapevole.

Inoltre, proprio perché basata su tali abilità percettive e cognitive dell’essere umano,

l’osservazione può essere esposta al rischio di soggettività più di altri metodi di ricerca, e gli

strumenti di cui è dotato l’osservatore non possono essere del tutto standardizzati o calibrati.

Questo rende l’osservazione uno strumento di indagine più debole o meno adatto?

Tutt’altro! Proprio queste caratteristiche peculiari rendono l’osservazione particolarmente adatta

alla ricerca quando l’oggetto di questa è il comportamento umano.

1 Camaioni, L., Bascetta, C., & Aureli, T. (1999). L'osservazione del bambino nel contesto educativo. Società Editrice il Mulino.
2 Camaioni, L., Aureli, T. e Perucchini, P. (2004). Osservare e valutare il comportamento infantile. Il mulino.

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Per comprendere i fenomeni psicosociali si ha bisogno di capacità che consentano di

decifrare (più che semplicemente rilevare o misurare) gli eventi. Quindi si dimostrano

maggiormente utili strumenti in grado di interpretare, riflettere e valutare la realtà in maniera

flessibile e duttile, piuttosto che strumenti precisi, rigorosi, ma asettici. Inoltre, l’osservatore deve

saper interpretare i codici che caratterizzano la realtà osservata, deve cioè possedere e saper

utilizzare lo stesso sistema di significati dell’oggetto dell’osservazione.

In definitiva la rappresentazione della realtà psicologica e sociale non può essere fornita da

una misurazione o riproduzione oggettiva, come ad esempio accade per la fisica, ma va ricercata

nei processi di mediazione tra osservatore e oggetto dell’osservazione.

A questo punto risulta evidente come la capacità di interpretare gli eventi rappresenti sia la

peculiarità e il punto di forza del metodo osservativo, sia il suo maggior rischio. Infatti, se da una

parte l’interpretazione è irrinunciabile per conoscere e analizzare i fenomeni legati al

comportamento degli esseri umani (proprio perché multideterminati e soggetti a molteplici

influenze), dall’altra è inevitabilmente legata alla soggettività e alla fallibilità umana. Questa

caratteristica non può essere eliminata dall’osservazione in quanto la differenzia dalle altre fonti di

informazione e ne rappresenta il mezzo più utile. Perciò, le abilità e le competenze dell’osservatore

devono essere finalizzate ad applicare il metodo dell’osservazione in maniera sistematica,

utilizzandolo in maniera consapevole e critica e trasformandolo da abilità naturale a tecnica

specifica.

Poiché l’osservazione può avere luogo in una varietà di situazioni molteplici e complesse,

viene richiesta all’osservatore l’abilità di svolgere i suoi compiti in maniera da adattare la sua

capacità di interpretazione a quanto richiesto dal contesto. A tal proposito Yarrow e Waxler (1979)

affermano che: “il buon osservatore è colui che interpreta il suo ruolo in maniera flessibile,

appoggiandosi a capacità come il buon senso o la sensibilità, per giudicare l’adattamento tra i

dati che vuole rilevare e gli scopi ai quali questi dati devono servire”. 3

3Zahn-Waxler, C., Radke-Yarrow, M., & King, R. A. (1979). Child rearing and children's prosocial initiations toward victims of
distress. Child development, 319-330.

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La flessibilità emerge quindi come risorsa e qualità fondamentale per un osservatore

efficace: è importante saper leggere la situazione, identificando e selezionando i dati in base agli

scopi che si vogliono raggiungere attraverso la ricerca.

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2. Capacità cognitive e personalità

A questo punto possiamo cercare di entrare più nello specifico riguardo le qualità che un

buon osservatore è bene che possieda. All’interno della letteratura sull’argomento sono varie le

capacità che, negli anni, sono state considerate fondamentali da diversi autori per l’osservatore.

Per quanto riguarda le abilità inerenti alla sfera cognitiva le principali ad essere state individuate

sono:

● La capacità di discriminazione, cioè la capacità di distinguere stimoli differenti e di produrre

una risposta comportamentale differenziata in base agli stimoli;

● La soglia di stimolazione sensoriale, cioè il confine al di sotto del quale uno stimolo non

viene percepito.

Sul piano delle abilità comunicative sono risultate essere particolarmente importanti:

● Capacità pragmatiche: sono rappresentate dalle funzioni linguistiche che riguardano l’uso

del linguaggio nei contesti sociali, quindi come riusciamo a esprimere in maniera efficace

le nostre idee, pensieri, sentimenti e come rispondiamo adeguatamente alla

comunicazione di altre persone. Alcuni esempi possono essere: chiedere e dare

informazioni, mantenere un argomento di conversazione, fare domande appropriate,

evitare ripetizioni ecc.

● Capacità semantiche: concernono la corretta comprensione ed utilizzo delle parole

secondo il loro significato e si fonda sull’abilità di ragionare, capire e formare concetti sul

mondo che ci circonda.

● Capacità di lettura verbale e non verbale dei messaggi: cioè interpretare e comprendere

correttamente i pensieri, le informazioni, gli scopi che gli altri ci comunicano tramite le

parole o tramite posture, gesti, intonazione, espressioni facciali ecc 4.

4 Hall, E. (1979). Developmental psychology today. Random House (NY).

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Infine, risultano fondamentali anche delle dimensioni della personalità nel definire un buon

osservatore, queste possono essere molteplici e variegate e vanno dall'intelligenza all’attitudine

estetica. Inoltre, si può evidenziare l’importanza della capacità empatica, che riguarda il

riconoscimento e la comprensione delle emozioni di chi si osserva e l’abilità di sintonizzarsi sui suoi

sentimenti e bisogni per interpretarne al meglio i comportamenti. Allo stesso tempo, però,

l'osservatore deve essere in grado di operare un distacco emotivo, cioè di non farsi coinvolgere

eccessivamente dalle emozioni che prova (pur continuando a riconoscerle), per evitare che

queste alterino la sua capacità di interpretazione. Perché ciò sia possibile sono necessarie grandi

abilità di autocontrollo e di autoconsapevolezza.

Per riassumere, riportiamo su una tabella le abilità che un buon osservatore deve possedere

secondo alcuni dei più autorevoli autori che hanno trattato il tema.

Allport (1937) Yarrow e Waxler (1979) Hall (1979)

Esperienza: maturità in Abilità attenzionale Abilità di rilevare i


termini di età (almeno 30 prolungata: capacità di messaggi non verbali:
anni) e ricca esperienza rilevare cambiamenti abilità di cogliere gli
sociale. continui con uguale affetti, lo stile personale e
discriminazione per un le intenzioni di chi si
lungo arco di tempo. osserva.

Similarità: si è migliori Abilità di non farsi Abilità di rilevare i


giudici quando si confondere: capacità di messaggi verbali: capacità
osservano persone simili. sostenere il peso della di cogliere i significati
stimolazione ambientale. metaforici.

Intelligenza: per capire gli Compulsività: riuscire a Abilità di cogliere segnali


altri è necessario cogliere i dettagli e ad misti: capacità di rilevare e
comprendere le relazioni attribuire loro importanza. interpretare segnali
causa effetto. insieme verbali e non

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verbali (ad esempio il


sarcasmo).

Intuizione: capacità di Discernimento: sapere Abilità di rilevare il


capire le proprie prendere le distanze da ciò contesto: capacità di
distorsioni nel giudicare. che ci circonda e dalle cogliere le convenzioni
nostre tendenze. sociali.

Intelligenza sociale: Introspezione: avere uno


l’intelligenza nel giudicare stile di vita intenso e
gli altri aiuta a prevedere i analitico.
comportamenti più
probabili

Distacco: gli osservatori


devono percepire la
situazione in modo
imparziale e spassionato.

Attitudine estetica: i
migliori osservatori
riescono a cogliere
l’armonia intrinseca
dell’oggetto osservato

Tabella 1. Qualità del “buon osservatore” 5

5 Aureli, T., & Perucchini, P. (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino. Il mulino.

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3. Differenze di genere e di età

Oltre a queste ci sono anche altre caratteristiche individuali che possono influenzare le

qualità dell’osservatore, le quali sono state indagate in diversi studi e fanno riferimento

fondamentalmente all’età e al genere dell’osservatore. Come già ipotizzato da Allport (vedi Tab

1), l’età dell’osservatore si è dimostrata essere una variabile importante della qualità

dell’osservazione, infatti all’aumentare dell’età, aumenta anche il livello di performance

dell’osservatore. All’età si accompagna il livello intellettuale e il grado di formazione

dell’osservatore che, allo stesso modo, incrementano l’efficacia del suo lavoro.

Per quanto riguarda il genere dell’osservatore, dagli studi di Rosenthal e De Paulo (1979) è

emerso come le donne possiedano una maggiore capacità e efficacia di osservazione rispetto

agli uomini. Questa disparità sembra sia dovuta in gran parte alla maggiore abilità delle donne di

riconoscere ed interpretare correttamente i segnali non verbali. Tuttavia, sono anche state rilevate

delle eccezioni a questa superiorità del genere femminile. Infatti, secondo i ricercatori, le donne

tenderebbero ad essere più “accomodanti” nelle situazioni sociali, interpretando con maggior

frequenza i messaggi in maniera congruente con quelli che sono i desideri del mittente. In altre

parole, tendono ad interpretare i messaggi nel modo in cui il mittente desidera che siano

interpretati.

Questo si rivela uno svantaggio durante l’osservazione, in particolare quando i messaggi

prodotti sono menzogneri. Sembra che le osservatrici tendano ad essere meno accurate nello

stabilire quando una persona sta mentendo 6.

Molte delle caratteristiche che abbiamo esposto fino ad ora possono essere considerate in

gran parte innate o acquisite in maniera naturale, ma nello sviluppo delle competenze di un buon

osservatore gioca un ruolo fondamentale l’addestramento.

6Rosenthal, R., & DePaulo, B. M. (1979). Sex differences in eavesdropping on nonverbal cues. Journal of Personality and
social Psychology, 37(2), 273.

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4. L’addestramento dell’osservatore

La fase di addestramento è fondamentale per formare l’osservatore e fornirgli le

competenze e gli strumenti necessari a svolgere i suoi compiti al meglio. Per questo motivo

l’addestramento precede sempre l’osservazione vera e propria e l’inizio del lavoro sul campo.

Rappresenta, infatti, una fase preliminare indispensabile affinché l’osservatore sia efficace,

oggettivo, capace quindi di rendere comunicabili e verificabili i risultati dell’indagine.

L’addestramento serve anche ad acquisire confidenza e sicurezza nei compiti che si

andranno a svolgere, oltre che ad apprendere e ad acquisire i metodi di osservazione che si

andranno ad applicare. È importante, infatti, che l’addestramento sia specifico per ogni metodo

di osservazione che si va ad utilizzare. Sebbene molte competenze siano comuni a più approcci,

ogni metodo ha le sue specificità che bisogna imparare a conoscere e ad utilizzare. Quindi

osservatori non si nasce, ma si diventa attraverso l’apprendimento, la pratica e l’esperienza.

Nella maggior parte dei casi l’addestramento consiste in primo luogo nella partecipazione

a sedute di prova. Queste sono costituite da situazioni create ad hoc a cui gli apprendisti

partecipano applicando la tecnica di osservazione con il controllo e il supporto di osservatori

esperti. Il modo migliore di formare degli osservatori efficaci è, infatti, fornire agli apprendisti dei

feedback oggettivi sulla loro attività da parte di osservatori con più esperienza, in modo da aiutarli

a correggere i propri errori nell’applicazione della tecnica. 7

Nel contesto di queste sedute gli osservatori esperti controllano in particolare due

caratteristiche fondamentali degli apprendisti: accuratezza e stabilità.

L’accuratezza è rappresentata sostanzialmente dalla capacità dell’osservatore di rilevare e

riconoscere le caratteristiche del fenomeno che sta osservando. Il modo in cui si verifica

l’acquisizione di questa competenza da parte di un apprendista è quello di confrontare la sua

osservazione con un’osservazione “criterio” svolta da un suo supervisore.

7 Sheal, P. (1989). Classroom observation: training the observers. ELT journal, 43(2), 92-104.

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Quest’ultima viene assunta come modello al quale i risultati di chi sta partecipando

all’addestramento devono avvicinarsi il più possibile.

La stabilità dell’osservatore è la capacità di rilevare degli eventi ogni volta che questi si

presentano, anche in tempi e situazioni differenti. Durante l’addestramento questa qualità viene

verificata controllando che l’apprendista fornisca i medesimi dati in sessioni di osservazione diverse.

In pratica, si analizzano le osservazioni di un medesimo fenomeno che uno stesso soggetto ha

effettuato in tempi successivi, per vedere se sono congruenti e sovrapponibili.

Alle sedute segue un momento di confronto in cui gli apprendisti ricevono i feedback sulla

loro attività dagli esperti, ma in cui possono anche confrontarsi fra di loro. Il feedback consiste non

solo nella discussione tra allievi a addestratori, ma anche nel calcolo dell’indice di accordo inter-

osservatori, che fornisce una misura più oggettiva dell’operato degli apprendisti.

Lo strumento più utilizzato, e quello che si è dimostrato più adatto, allo scopo di addestrare

gli osservatori attraverso le sedute è l’analisi di materiale video registrato. Questo tipo di materiale

ha diversi vantaggi:

● è una rappresentazione molto fedele del comportamento reale;

● può essere rivisto in qualunque momento e per qualunque esigenza;

● rappresenta un riferimento comune per gli osservatori;

● consente di fare confronti fra diverse osservazioni.

Un ulteriore scopo della fase di addestramento è quello di ridurre quanto più possibile il

rischio di commettere errori e distorsioni che possono compromettere i risultati del lavoro.

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5. Errori, distorsioni e come evitarli

Vediamo quali sono gli errori più frequenti e i comportamenti inadatti in cui un buon

osservatore non deve incappare e come fare per cercare di evitarli.

Il rischio maggiore è rappresentato dall'effetto Rosenthal, secondo cui l'osservatore si crea

delle aspettative tali da indurre una distorsione della sua capacità di giudizio che comporta il

rilevamento di comportamenti che in realtà non si verificano 8. Questo problema può essere risolto

in parte durante la fase di addestramento, e può essere ridotto al minimo utilizzando uno strumento

rigoroso come lo schema di codifica, che permette all'osservatore di concentrarsi solo sulle

categorie a disposizione.

In generale, il buon osservatore deve essere capace di sospendere il giudizio e di evitare di

farsi guidare dalla sua parzialità e dalle sue aspettative. La soggettività dell'osservatore può portalo

a compiere errori sistematici, ad esempio inducendolo a scegliere quali elementi osservare in base

alle sue aspettative personali. Ad esempio, le ricerche bibliografiche effettuate in precedenza

possono portare l’osservatore a formarsi delle aspettative su cosa dovrebbe accadere che

possono distorcere la sua interpretazione.

È bene altresì tenere conto della cultura di appartenenza dell’osservatore e di chi è

osservato, oltre che del contesto culturale nel quale l’osservazione si svolge. Questi fattori possono

influenzare rilevazione dei dati, pertanto, saperli riconoscere e conoscerne le conseguenze, grazie

una riflessione e rielaborazione della propria cultura, consente di evitare distorsioni. In definitiva, per

essere un osservatore efficace bisogna saper relativizzare, cioè essere consapevoli della relatività

del proprio punto di vista culturale e decentrare, assumendo una posizione che permetta di

guardarsi “dall’esterno”.

8Rosenthal, R., & Rubin, D. B. (1982). A simple, general purpose display of magnitude of experimental effect. Journal of
educational psychology, 74(2), 166.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Qualità e competenze del buon osservatore

È altresì possibile che le distorsioni derivino dagli strumenti utilizzati, perciò è bene che

l’osservatore utilizzi questi sempre in maniera attenta e critica. Ad esempio, quando si utilizza uno

strumento costituito da una lista di categorie (come può essere il caso dello schema di codifica),

bisogna prestare attenzione che queste non siano troppo vaghe ed ampie o, al contrario, troppo

ristrette ed esclusive. In sostanza, bisogna controllare che le categorie siano state costruite in modo

adeguato rispetto al bersaglio che si vuole osservare e agli scopi della ricerca 9. Nel caso questo

non si verifichi, i due errori più comuni nei quali può cadere un osservatore non attento sono:

● Errore di commissione. L’applicazione della stessa categoria a comportamenti diversi, o di

categorie diverse al medesimo comportamento;

● Errore di omissione. L’applicazione di una certa categoria a determinati comportamenti

che un altro osservatore, al contrario, non applica, in quanto non la riconosce in nessun

comportamento osservato 10.

Tuttavia, tanto gli strumenti quanto gli osservatori, attraversano un periodo di prova. Quindi

è bene verificare la funzionalità e l’adeguatezza degli strumenti a propria disposizione, per

correggerli e perfezionarli prima di passare al loro utilizzo sul campo. Per far ciò bisogna sempre

partire dall’accertarsi che gli strumenti si adattino ai dati che si vuole rilevare e agli scopi per cui si

conduce la ricerca.

In conclusione, un buon osservatore, deve avere ben chiaro l'obiettivo della propria ricerca,

il proprio quadro di riferimento e il contesto in cui l’osservazione si svolge. In relazione al contesto

deve avere l’abilità di utilizzare le proprie capacità in maniera flessibile, sfruttando la propria

interpretazione come uno strumento prezioso, ma accompagnandola con la capacità di astenersi

dal pregiudizio.

9 Arcidiacono, F. (2002). Note sul metodo osservativo e su alcune applicazioni in psicologia dello sviluppo. Rassegna di
Psicologia.
10 Aureli, T., & Perucchini, P. (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino. Il mulino.

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Filippo Petruccelli - Qualità e competenze del buon osservatore

In questo modo si eviterà che i propri riferimenti valoriali e le proprie aspettative personali

inquinino l’analisi della realtà, riuscendo a fornire un’interpretazione che abbia una profondità

maggiore della semplice misurazione dei dati di realtà, ma che sia anche attendibile e verificabile.

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Filippo Petruccelli - Trappole del metodo osservativo e strategie di controllo

1. Trappole e fonti di errore

Nella ricerca psicologica non si misurano dimensioni fisiche e oggettive, ma piuttosto

costrutti che non sono quantificabili direttamente. Per tale motivo, ogni rilevazione, anche la più

esatta, contiene inevitabilmente una certa porzione di errore. Anche in un contesto di ricerca

sistematica in cui tempi, metodi e obiettivi siano stabiliti in modo chiaro ed esaustivo e in cui venga

predisposto l’utilizzo di un piano di osservazione efficace, preceduto da una fase di

addestramento adeguata dell’osservatore, ci si troverà comunque a dover gestire e controllare

diverse fonti di errore e distorsione.

Questo perché condurre un’osservazione di qualsiasi tipo implica necessariamente avere a

che fare con molteplici variabili diversificate, alcune delle quali a volte imprevedibili. Ovviamente

tale complessità si ripercuote sulla raccolta e la rilevazione dei dati che corrono il rischio di non

rispettare i criteri di scientificità.

Una ricerca osservativa rappresenta quindi un terreno insidioso a causa delle molteplici

fonti di errore che si incontrano in tutte le varie fasi della ricerca e che possono riguardare tutti gli

attori che alla ricerca prendono parte 1. È necessario avere ben presenti quali sono le “trappole”

che possono inficiare i risultati di una ricerca, per riuscire a prevederle e ad elaborare delle

strategie per evitarle.

Conoscere a fondo in che cosa consistono queste trappole può permettere di sviluppare

un atteggiamento prudente e attento, una “cultura della cautela” che rappresenta una

condizione fondamentale dell’indagine scientifica a prescindere dal campo di competenza 2.

Bisogna sapere quali sono le principali cause di distorsione e in quale fase della ricerca assumono

maggiore importanza.

1 Lis, A., & Venuti, P. (1996). L'osservazione nella psicologia dello sviluppo. Taylor & Francis.
2 Ziglio, C. & Boccalon, R. (2006). L' attività osservativa in educazione. Un paradigma scientifico. UTET Università.

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In letteratura si è soliti raggruppare le fonti di errore, o di distorsione, in tre categorie:

● dovute agli strumenti;

● dovute ai soggetti;

● dovute all’osservatore.

Vediamo ora più nel dettaglio in cosa consistono ognuna di esse e quali sono le strategie

che, nel corso del tempo e attraverso la pratica e l’esperienza, sono state elaborate e

sistematizzate per tenerle sotto controllo il più possibile.

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2. Fonti di errore dovute agli strumenti di rilevazione

Quando si parla di strumenti di rilevazione, nel caso degli studi condotti con metodo

osservativo, ci si riferisce sostanzialmente alla fase di pianificazione dell’indagine ed alle procedure

di ricerca. La fase di pianificazione è una fase fondamentale dalla quale dipende per gran parte

l’impatto e la robustezza dei risultati finali della ricerca: una cattiva pianificazione può

compromettere del tutto la ricerca e rendere i dati inutilizzabili.

Questo vale in particolar modo per il metodo osservativo che è altamente complesso e

richiede un grande impegno, perciò bisogna pianificare con cura tutte le fasi della ricerca. Per di

più le caratteristiche distintive dell’osservazione rendono particolarmente complicato rilevare

debolezze ed errori di procedura in corso d’opera, aumentando il rischio di accorgersi solo al

termine della ricerca delle distorsioni a cui si è andati incontro.

Per evitare di accorgersi a ricerca conclusa che i dati non sono attendibili ed utilizzabili, e

quindi essere costretti a mettere da parte il lavoro svolto e ripartire da capo, spesso, prima della

ricerca vera e propria, viene predisposta una “sperimentazione di prova”. Questa condizione serve

a testare la bontà e l’adeguatezza sia degli strumenti che si sono selezionati che delle procedure

che sono state progettate per svolgere lo studio. L’obiettivo è quello di mettere a punto strumenti,

di analizzare i contesti di osservazione per standardizzare al massimo le condizioni e di definire

operativamente le variabili. In pratica si tratta di effettuare una prova tecnica degli strumenti e

delle condizioni di rilevazione, così da individuare eventuali minacce ed errori e correggerli per

tempo.

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Filippo Petruccelli - Trappole del metodo osservativo e strategie di controllo

Inoltre, lo studio di prova preliminare rende possibile analizzare la complessità

dell’osservazione che si va ad affrontare, cioè il numero di discriminazioni tra soggetti,

comportamenti e periodi di tempo che si intende considerare 3. Maggiore è il numero di

discriminazioni che vengono compiute, maggiore è la complessità, più l’attendibilità tende a ridursi

in quanto aumenta la difficoltà nel controllare tutte le variabili. Intraprendere uno studio con un

livello di complessità troppo elevato favorisce quindi il verificarsi di distorsioni; se un piano di ricerca

appare troppo complesso durante lo studio preliminare, si può prendere in considerazione l’ipotesi

di semplificarlo o di dividerlo in più studi.

Un altro tipo di errore correlato alla fase di raccolta dei dati è quello dovuto al gruppo, nei

casi in cui il comportamento dei soggetti viene osservato in condizioni sperimentali e di controllo. I

gruppi che vanno a crearsi devono essere caratterizzati da una differenza intragruppo (tra i

soggetti appartenenti allo stesso gruppo) maggiore di quella intergruppo (tra gruppi diversi). È

bene perciò che i soggetti vengano assegnati alle differenti condizioni in maniera causale, in

modo da evitare la distorsione dei dati emersi.

Le procedure di rilevazione dei dati differiscono tra loro in base allo strumento utilizzato. Nel

caso in cui si scelga di adoperare il resoconto narrativo, si può incorrere nell’errore di riduzione che

consiste in una semplificazione eccessiva di quanto rilevato, riducendo la quantità di dettagli

anche quando questi risultano significativi e finendo per produrre una descrizione di quanto

emerso povera e banale. Tale tendenza al riduzionismo può portare a:

● ricorrere ad un codice precedentemente utilizzato per descrivere un evento ambiguo;

● contaminare tra loro codici associati;

● usare sempre gli stessi codici.

3 Patterson, G. R., Chamberlain, P., & Reid, J. B. (1982). A comparative evaluation of a parent-training program. Behavior
therapy, 13(5), 638-650.

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In questo caso, per evitare questo genere di errori, una strategia utile è quella di ridurre

l’intervallo temporale tra osservazione e descrizione, scrivendo il resoconto nel più breve tempo

possibile e ricontrollandolo appena terminato.

Nel caso si utilizzino dei sistemi di codifica, è bene che questi siano periodicamente

sottoposti a controlli allo scopo di verificare che la loro coerenza e stabilità nell’applicazione delle

categorie non vari col tempo.

Un ultimo aspetto da considerare per controllare le fonti di errore dovute agli strumenti di

rilevazione è l’ambiente osservativo. Si deve cioè verificare, in un’ottica di validità ecologica, le

differenze nella concezione dell’ambiente in cui si verificano le osservazioni con la finalità di ridurre

le distorsioni dovute all’influenza del background socioculturale.

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3. Fonti di errore dovute ai soggetti

Le fonti di errore che derivano dai soggetti osservati sono dovute sostanzialmente al fatto

che, come molte ricerche hanno evidenziato, i soggetti si comportano diversamente quando

sanno di essere osservati 4. Per descrivere i cambiamenti indotti sul comportamento dei soggetti

dalla condizione di osservazione si usa il termine reattività, o anche effetto Hawthorne.

Le distorsioni sembrano riguardare una riduzione dell’attività quando si sa di essere osservati

e una tendenza ad assecondare, con i propri comportamenti, quelle che si ritengono essere le

aspettative dello sperimentatore. Sostanzialmente i soggetti sono portati ad inibire i comportamenti

che ritengono giudicabili in maniera negativa e a implementare quelli che ritengono saranno

giudicati positivamente.

Possibili correttivi a queste distorsioni possono essere individuati, ad esempio, nel fornire

informazioni parziali e non troppo dettagliate sugli scopi dell'esperimento ai partecipanti. Un altro

accorgimento utile è quello di ricorrere all’utilizzo dello specchio unidirezionale per nascondere la

propria presenza, ogni volta che questo sia possibile. Ciò non significa che i soggetti debbano

essere ingannati o non informati! Nel primo caso i partecipanti infatti devono essere forniti di

informazioni più dettagliate in un momento successivo alla raccolta dei dati; nel secondo caso, la

reattività può essere ridotta evitando la presenza fisica dell’osservatore. Tuttavia, non significa che

questi non siano consapevoli di essere osservati: essi infatti rilasciano il loro consenso per la

partecipazione alla ricerca.

L’età, lo status sociale ed economico, il contesto di riferimento sono tutti aspetti che

influenzano la reattività dei soggetti.

È stato dimostrato che minore è l’età del soggetto, minore è il rischio di reattività. Tuttavia,

nel caso in cui l’osservazione di un bambino avvenga in presenza di un caregiver, la reattività di

quest’ultimo può, a sua volta, influenzare il comportamento del bambino.

4 D'Odorico, L. (1990). L'osservazione del comportamento infantile. Cortina.

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Sebbene l’influenza dell’osservatore su un bambino al di sotto dei sei mesi è considerata

nulla o comunque trascurabile 5, è bene comunque effettuare un periodo di familiarizzazione per

abituare i piccoli alla presenza dell’osservatore. L’atteggiamento dell’osservatore è determinante

nel favorire un rapido adattamento alla sua presenza.

5 Weick, K. E. (1968). Systematic observational methods. The handbook of social psychology, 2, 357-451.

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4. Fonti di errore dovute all’osservatore

Nelle ricerche condotte con metodo osservativo, le fonti di errore che incidono di più sui

risultati della ricerca sono quelle a carico dell’osservatore. L’osservatore rappresenta la maggiore

causa di errore in questo tipo di studi, poiché funge egli stesso da strumento di misura. I tipi di errori

si dividono in casuali o sistematici e di percezione o interpretazione dei dati.

Errore Percezione Interpretazione

Casuale A B

Sistematico C D

Baumgartner, E., & Sette, S. (2017) p.147 6

L’errore A è un errore causale di percezione, ad esempio l’osservatore viene distratto da

qualcosa e manca di registrare un comportamento che avviene in quel momento.

L’errore di tipo B è un errore casuale di interpretazione, si verifica quando l’osservatore

sceglie di inserire un comportamento ambiguo in una certa categoria che si rivela non corretta.

L’errore C è un errore sistematico di osservazione che può dipendere ad esempio dalla

posizione scelta dall’osservatore che non gli consente di osservare il comportamento target in

modo adeguato.

L’errore sistematico di interpretazione (D) consiste nella codifica errata di determinati

comportamenti da parte dell’osservatore dovuta a motivi personali come, ad esempio, un

particolare stato d’animo.

6 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.

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Gli errori sistematici possono essere superati attraverso la discussione e il confronto tra gli

osservatori, in modo da individuare le cause delle distorsioni.

Più in particolare le principali fonti di errore legate all’attività dell’osservatore sono:

● aspettative dell’osservatore e coinvolgimento emotivo;

● condizioni psicofisiche dell’osservatore;

● osservazione descrittiva;

● annotazione immediata e annotazione differita.

Riguardo agli errori dovuti alle aspettative dell’osservatore, l’aspetto più pervasivo è

rappresentato dall’effetto Rosenthal, anche detto della “profezia che si autoavvera” o “effetto

Pigmalione”. Si verifica quando l’osservatore rileva ciò che a priori si aspettava di rilevare.

L'osservatore riscontra, cioè, gli aspetti e le caratteristiche che si attende e a cui si è preparato,

anche quando questi non si presentano mentre trascura gli elementi meno prevedibili e inattesi

che si verificano 7.

Le aspettative dell’osservatore possono essere influenzate dalla conoscenza delle ipotesi

della ricerca, quando inconsapevolmente si tende a confermare ciò che è stato ipotizzato. In

questo caso un possibile correttivo consiste nel distinguere il ruolo dell’osservatore da quello del

ricercatore, così che il primo non sia a completa conoscenza delle ipotesi formulate dal secondo.

Altri elementi che contribuiscono a formare le aspettative dell’osservatore sono i suoi

stereotipi, i pregiudizi e il background culturale. Pregiudizi e stereotipi agiscono quando

l’osservatore trae delle conclusioni ancor prima di aver raccolto le informazioni necessarie,

conducendo così l’osservazione in maniera inaccurata e superficiale. L’influenza del background

culturale, invece, si può notare quando l'interpretazione della realtà da parte dell’osservatore è

distorta dalle ipotesi, convinzioni e teorie che derivano dal suo paradigma culturale.

7 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le scienze della formazione e
dell'educazione (pp. 1-264). De Agostini scuola. UTET Università.

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Cioè gli eventi vengono interpretati non obiettivamente, ma in base al retroterra culturale e

all’ambiente sociale dai quali si proviene.

Un buon addestramento che insegni agli aspiranti osservatori a controllare l’influenza dei

propri pregiudizi e stereotipi e ad attenersi agli eventi per come appaiono, aiuta a controllare

questo tipo di errore.

Inoltre, la richiesta di un giudizio globale all’osservatore rende quest’ultimo più a rischio di

commettere errori di interpretazione; mentre richiedere un giudizio specifico, basato su categorie

microanalitiche, aiuta a ridurre l’effetto delle aspettative sui risultati.

Quando si osserva, inoltre, si è soggetti a dei vissuti emotivi derivanti dalla situazione che

inevitabilmente influenzano l’osservazione stessa. Saper riconoscere e gestire le proprie emozioni

(auto-osservarsi) aiuta a mantenere una prospettiva quanto più possibile oggettiva oltre a fornire

una valutazione del proprio operato.

Le caratteristiche fisiche (genere, età, status) e di personalità (atteggiamento ansioso,

estroversione, affabilità) di chi osserva possono influenzare in vari modi gli esiti dell’osservazione. In

primo luogo, possono essere percepite dai partecipanti e alterare in qualche misura il loro

comportamento. Inoltre, l’atteggiamento mentale e il temperamento personale dell’osservatore

influenza sempre in qualche modo l’osservazione.

Un importante ruolo è inoltre giocato dalla stanchezza: il processo osservativo coinvolge

diverse le funzioni cognitive, quali attenzione, memoria e percezione, richiedendo molte energie

mentali e fisiche. È chiaro perciò che con il tempo la prestazione dell’osservatore possa ridursi. In

questo senso sarebbe bene evitare intervalli di osservazione troppo lunghi e setting non adeguati.

Le difficoltà nell’osservazione descrittiva emergono quando il linguaggio utilizzato per

redigere un resoconto di quanto osservato assume una connotazione valutativa e giudicante,

anziché puramente espositiva. In questo caso è possibile che si verifichino delle divergenze di

lettura, cioè di attribuzione di significato, tra chi consulta il protocollo osservativo.

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Nelle «osservazioni di tipo narrativo, redatte con una tecnica manuale, […] la scelta delle

parole, [de]gli aggettivi utilizzati per descrivere un determinato evento influenza il messaggio, il

contenuto che vogliamo trasmettere, anzi lo costruisce». 8 Per restituire una rappresentazione

fedele della realtà, non basta soltanto la capacità di registrare un fatto o documentarlo, ma

anche di comunicarlo e descriverlo in maniera comprensibile, rilevando la consequenzialità degli

eventi.

Una strategia per controllare questa minaccia è quella di revisionare sempre il resoconto,

cercando di mettersi nei panni di chi non era presente al momento dell’osservazione, ma vuole

ricavare un quadro più chiaro possibile della situazione. Uno strumento utile per raggiungere

questo obiettivo è l’utilizzo di una griglia assunta come guida per la stesura del protocollo.

Gli errori legati all’annotazione immediata e all’annotazione differita derivano dal fatto che

nei diversi ambiti in cui si applica il metodo osservativo (ad esempio quello educativo) non è

sempre possibile prendere nota di quanto rilevato nel momento stesso in cui si effettua

l’osservazione, poiché il ricercatore osserva ed è, allo stesso tempo, egli stesso partecipe della

situazione. Spesso le annotazioni vengono effettuate in un secondo momento, aumentando così il

rischio di inferenze soggettive e di perdita di informazioni. In questo caso le strategie che possono

essere adottate sono varie e possono differire da studioso a studioso in base alle proprie preferenze

e stili personali. Un comportamento funzionale potrebbe essere quello di tenere un block-notes a

portata di mano per appuntare velocemente e sinteticamente dei comportamenti che si

ritengono particolarmente significativi. In questo modo, è possibile ridurre la dispersione di

informazioni, soprattutto per quanto riguarda eventi inattesi che non si era preparati ad osservare,

ma che possono assumere grande importanza.

8 Mantovani, S. (a cura di), La ricerca sul campo in educazione, Milano, Bruno Mondadori, 1995. p. 22

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1. Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani

Un codice deontologico è un codice comportamentale, redatto e reso, pubblico che

stabilisce e definisce le concrete regole di condotta che devono essere rispettate nell’esercizio di

un’attività̀ professionale.

Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani è entrato in vigore il 16 febbraio 1998. Con tale atto

le regole deontologiche sono state trasformate in norme giuridiche, la cui violazione comporta

delle sanzioni. Esso non va visto solo con un valore disciplinare, o un elenco di proibizioni, ma

rappresenta la carta d’identità̀ dello psicologo e una guida che orienta e rassicura.

Possiamo rinvenire due scopi fondamentali del codice: riconoscersi e farsi riconoscere.

Rispettare le sue norme fa che si crei una coscienza collettiva tra i professionisti appartenenti

all’ordine e al contempo, a livello sociale, svolge la funzione di rinforzare l’immagine pubblica dello

psicologo.

L’elaborazione del codice deontologico è stata ispirata da quattro principali motivi 1:

1. La tutela del cliente, i cui articoli regolamentano la correttezza professionale come: le

norme sul segreto professionale (artt. 11, 17 C.D.); il divieto di trarre vantaggi economici (art.

18 C.D.); l’obbligo della corretta informazione (art. 9 C.D.).

2. La tutela del professionista nei confronti dei colleghi che sanciscono le regole di solidarietà̀

e colleganza, vedi ad esempio il divieto di appropriarsi fraudolentemente dei prodotti del

pensiero dei Colleghi (art. 35 D.C.) e divieto di dare pubblicamente giudizi negativi a

proposito della formazione e della competenza di altri psicologi (art. 36 C.D.).

1 DEGLI PSICOLOGI, I. T. A. L. I. A. N. I. (1997). Codice Deontologico degli psicologi italiani. Roma: Autor.

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3. La tutela del gruppo professionale che stabilisce le regole di decoro, dignità̀ e autonomia

nell’esercizio della professione nei confronti delle altre (art. 6 C.D.) e l’obbligo di denuncia

dei casi di abusivismo (art. 8 C.D.).

4. La responsabilità̀ nei confronti della società̀ che si focalizza sul dovere di utilizzare le

conoscenze sul comportamento umano con la finalità di promuovere il benessere

psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità̀ (artt. 3, 34 C.D.).

Queste finalità̀ sono raggiungibili attraverso quattro imperativi guida che devono ispirare la

condotta professionale:

1. Esercitare l’attività professionale meritando la fiducia del cliente (art. 21 C.D.);

2. Essere in possesso di una competenza adeguata tale da a rispondere alle richieste del

cliente. Ciò implica il saper riconoscere i propri limiti nel sapere e nel saper fare, con

conseguente il rifiuto a compiere atti professionali per i quali si ritiene di essere inadeguati

(artt. 5, 22, 37 C.D.);

3. Usare con giustizia il proprio potere. Le conoscenze specialistiche proprie dello psicologo lo

pongono in una posizione di superiorità̀ rispetto il cliente che ricorre a lui. Per tale motivo,

l’asimmetricità̀ va gestita dal professionista, il quale non dovrà trarne vantaggi, ma sfruttarle

esclusivamente per il perseguimento del benessere del cliente, facilitando,

accompagnando e sollecitando il cambiamento 2.

Possiamo prendere spunto dai tre fondamentali precedetti del diritto romano. Questi, infatti,

esprimono l’ideale etico da perseguire nella vita tanto quanto nell’esercizio della professione.

• Neminem laedere: non provocare danno (art. 22 C.D.);

• Suum cuique tribuere: rispettare l’autonomia e la dignità del cliente non usando il potere

del sapere a proprio vantaggio (artt. 4, 18 C.D.);

2 Aureli, T., & Perucchini, P. (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino. Il mulino.

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Filippo Petruccelli - Agire in scienza e coscienza

• Honeste vivere: mantenere una condotta consona al decoro ed alla dignità̀ della

professione sia nei riguardi del cliente che dei colleghi e della società̀ nel suo complesso

(artt. 28, 38, 39, 40 C.D.) 3.

Il professionista deve agire dunque, nell’esercizio della sua professione, in scienza e

coscienza.

3 http://www.treccani.it/vocabolario/honeste-vivere/

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2. Questioni etiche nell’uso dell’osservazione

Così come per altri metodi di ricerca, anche nell’uso dell’osservazione è importante

considerare alcune questioni di tipo etico. In ogni ambito in cui il professionista ricopre il ruolo di

esperto, egli assume una posizione di potere nei confronti dei soggetti a cui la prestazione è rivolta.

Quanto detto sottolinea l’importanza della gestione di tale potere e l’evitamento di condotte

professionali che potrebbero ledere la persona, la diade, il gruppo, la comunità nei confronti dei

quali l’intervento si svolge.

È bene quindi assicurarsi che l’attività professionale sia guidata da principi deontologici

fondamentali, brevemente discussi precedentemente ed approfonditi ora negli ambiti in cui

l’osservazione viene applicata.

Per svolgere la nostra osservazione risulta di fondamentale importanza ottenere il consenso

informato.

L’articolo 9 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani recita così:

«Nella sua attività̀ di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti

in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato, anche relativamente al nome,

allo status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di

appartenenza. Egli deve altresì̀ garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare

ovvero di ritirare il consenso stesso.

Nell’ ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e

correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire

comunque, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e di ottenere

l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Per quanto concerne i soggetti che, per età̀ o per altri motivi, non sono in grado di

esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà̀

genitoriale o la tutela, e, altresì̀, dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura

della collaborazione richiesta.

Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non

riconoscibilità̀ ed all’anonimato.»

Il professionista può svolgere l’attività di ricerca previo ottenimento del consenso informato

da parte dei soggetti partecipanti. Questo ha la funzione di salvaguardare la persona che

partecipa. Il contratto garantisce riservatezza ed anonimato delle informazioni sensibili riguardanti i

soggetti, sia nella presentazione dei dati in sedi scientifiche, sia in situazioni videoregistrate.

Al suo interno deve essere esposto, per quanto possibile, il disegno sperimentale, in modo

da attribuire al soggetto la libertà e l’autonomia nella scelta di partecipare. Qualora la persona

non sia in grado di esprimere il consenso, per età o altri motivi, questo deve essere ottenuto da chi

ne ha la responsabilità legale.

Non potendo, per motivi di età, ricevere il consenso da parte di soggetti minorenni, ogni

talvolta che abbiamo bisogno di svolgere la nostra osservazione sui bambini è necessario ottenerlo

dagli adulti di riferimento, quindi chi ne possiede la potestà genitoriale o la tutela.

Per assicurarsi di aver considerato ogni implicazione etica all’interno della ricerca è possibile

identificare a priori le persone coinvolte nello studio, direttamente e indirettamente, in modo da

identificare per tempo eventuali rischi.

Risulta utile in questa fase richiedere la collaborazione a professionisti esperti con maggiori

competenze nell’ambito della ricerca osservativa, in modo da acquisire un punto di vista più

oggettivo prima di iniziare il processo di osservazione.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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È importante altresì creare un buon rapporto di fiducia coi genitori, dimostrando di essere

una persona affidabile, esplicita e trasparente. In tal modo i genitori si sentiranno più sicuri nel

rilasciare il consenso e nel permettere il coinvolgimento del minore nel progetto di ricerca.

La responsabilità etica del professionista tuttavia non si conclude con l’ottenimento del

consenso informato ma perdura per tutto il corso dell’indagine. Mantenere un comportamento

etico è molto importante, non solo per l’aspetto punitivo della sanzione nel caso di condotte

scorrette, ma anche perché, violare alcuni principi fondamentali dell’etica professionale,

andrebbe ad arrecare danno a tutti gli attori coinvolti nella ricerca.

Come precedentemente accennato, la firma del consenso prevede che venga

acconsentito il trattamento dei dati personali ai sensi del D.lgs 196/03, nel rispetto dei codici sulla

privacy. Verranno quindi precisati quali tra i dati concessi saranno utilizzati e verrà spiegato che

questi avranno il solo scopo di apportare un contributo a livello didattico e di ricerca 4.

Il soggetto deve quindi essere informato del fatto che:

• La scelta di partecipare o meno all’indagine è assolutamente libera;

• Ha il diritto di ritirare il consenso in qualsiasi momento, senza riportare alcun danno.

Devono inoltre essere illustrati in linea generale gli scopi e le modalità di realizzazione e il

ruolo che avranno all’interno della ricerca in modo essere consapevoli delle conseguenze della

loro adesione.

4 Aureli, T., & Perucchini, P. (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino. Il mulino.

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3. I principi generali del Codice Etico per la ricerca in


psicologia

Il Codice Etico della ricerca e dell’insegnamento in Psicologia, approvato dall’Associazione

italiana di Psicologia (AIP) ben delinea le regole da seguire in questo ambito. Il Codice Etico

definisce gli standard di comportamento a cui gli iscritti all’AIP devono attenersi, condividendone e

osservandone le norme affinché l’attività di ricerca venga svolta nel rispetto dei diritti dei

partecipanti e di coloro che sono coinvolti, direttamente e indirettamente. Promuove quindi una

riflessione critica su quelle che sono le implicazioni etiche della ricerca psicologica 5.

Il Codice Etico trae ispirazione dai principi fondamentali della Costituzione della Repubblica

Italiana e ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e della Carta dei Diritti

fondamentali dell’Unione Europea 6.

La Costituzione della Repubblica Italiana recita:

• Art. 3. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza

distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni

personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico

e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il

pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori

all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

• Art. 32. «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse

della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a

un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in

nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» 7.

5http://www.aipass.org/node/11560#:~:text=Il%20Codice%20Etico%20per%20la,della%20conoscenza%2C%20proteggere%20
i%20diritti
6http://www.aipass.org/node/11560#:~:text=Il%20Codice%20Etico%20per%20la,della%20conoscenza%2C%20proteggere%20

i%20diritti

7 Della Repubblica, S. (2006). Costituzione della Repubblica Italiana.

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Il Codice Etico completa ed integra il Codice deontologico degli Psicologi Italiani, in

particolare quegli articoli riferiti alle attività di ricerca e di insegnamento (artt. 9, 21).

I principi generali del Codice Etico parlano di:

• Integrità. Il professionista che svolge attività di ricerca in ambito psicologico agisce nel

rispetto di tutti gli attori coinvolti ed a beneficio dei partecipanti, dei colleghi, degli studenti

e dell’istituzione per cui presta servizio, della comunità scientifica, dell’opinione pubblica e

dei gruppi sociali di riferimento. Agendo con onestà, lealtà ed equità, evita condotte

opportuniste e rifugge da comportamenti finalizzati all’abuso del suo ruolo professionale e

della sua posizione privilegiata all’interno della relazione asimmetrica a livello informativo e

decisionale. Non vengono create perciò condizioni in cui gli interessi sono in conflitto con i

principi sopraesposti, il che significa anche evitare ogni forma di condizionamento dei

progetti e dei loro risultati.

• Rispetto della dignità della persona. Il professionista riconosce e ha considerazione della

libertà, della dignità e del benessere di coloro che prendono parte all’indagine, dai

partecipanti ai collaboratori. Egli si impegna a tutelare i loro diritti in merito di

autodeterminazione e riservatezza. Inoltre, rifugge ogni forma di discriminazione basata sul

genere, l’orientamento sessuale, l’età, il livello di istruzione, la nazionalità, l’etnica, la

religione, lo stato socioeconomico, le opinioni politiche e sindacali e le condizioni

psicofisiche. Nel relazionasti con gli attori coinvolti, tiene presente le loro peculiarità a livello

linguistico e culturale, le loro fragilità e la loro capacità di comprensione e comunicazione.

• Competenza. Colui il quale si accinge a fare ricerca nell’ambito psicologico riconosce i

limiti della propria competenza e si impegna esclusivamente nell’impiego di metodologie e

tecniche di cui possiede una preparazione scientifica e metodologica adeguata. Inoltre,

secondo il principio di formazione continua, aggiorna continuamente le proprie

competenze professionali, incluse quelle di natura etica, nazionale ed internazionale.

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Filippo Petruccelli - Agire in scienza e coscienza

• Responsabilità sociale. Il professionista che svolge attività di ricerca in ambito psicologico è

consapevole della responsabilità sociale derivante dalla propria condotta professionale,

comprendente la scelta degli indirizzi di ricerca, la scelta metodologica e la scelta delle

procedure secondo cui i risultati sono diffusi, all’interno dei diversi contesti applicativi. Egli

agisce con la finalità di implementare la conoscenza, le possibilità di intervento, il ventaglio

di strumenti utili ad una definizione dei problemi più completa ed alla loro risoluzione.

Inoltre, si astiene dal prestare la sua attività di esperto e le sue competenze per arrecare

sofferenza ed oppressione ad altri.

• Tutela del benessere. Colui il quale si accinge a fare ricerca nell’ambito psicologico si

impegna a tutela il benessere a livello psichico e fisico degli attori coinvolti ed evita di

intaccare la loro sicurezza personale e autostima. È responsabile garantire a chi partecipa

una tutela rispetto a un peggioramento delle condizioni attuali, evitando di esporli a

situazioni di rischio, disagio o sofferenza.

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Filippo Petruccelli - Agire in scienza e coscienza

4. Breve discussione dei principali articoli che regolano


la condotta professionale secondo il Codice Etico
per la ricerca in psicologia

• Articolo 1. Informazione e consenso.

Secondo quanto prescritto dal primo articolo, il professionista è tenuto ad informare i

partecipanti circa le attività che saranno svolte all’interno dell’indagine, acquisendo

preliminarmente e per iscritto il loro consenso informato per acconsentire alla partecipazione e al

trattamento dei dati personali. I partecipanti vengono informati che il consenso può essere rifiutato

o ritirato in ogni momento, senza alcuna giustificazione e senza alcun pregiudizio conseguente. Essi

hanno a disposizione tutto il tempo necessario affinché possano riflettere sulla possibilità di

accettare e richiedere una chiarificazione di quelli che sono i dubbi in merito. Le informazioni sono

fornite in forma scritta e orale, in modo chiaro, trasparente e non ambiguo, adattando lo stile

comunicativo all’età, al livello di istruzione ed alle capacità cognitive del partecipante. In

particolare, è necessario fornire informazioni su:

o Gli obiettivi dello studio, le procedure ed eventuali rischi conseguenti alla

partecipazione;

o Le modalità di restituzione dei risultati;

o Il diritto di rifiutare o ritirare il consenso;

o Le misure che si occupano di tutelare l’anonimato dei partecipanti;

o I dati del responsabile della ricerca e delle eventuali ulteriori professionalità coinvolte

che possono fornire chiarificazioni ed informazioni anche a seguito della

conclusione del progetto;

o Le fonti di finanziamento e l’eventuale presenza di committenti.

Il consenso può comprendere informazioni ingannevoli esclusivamente nei casi previsti

dall’articolo 2 trattato di seguito.

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Filippo Petruccelli - Agire in scienza e coscienza

Nel caso in cui siano coinvolti gruppi vulnerabili e nel caso vi sia una relazione di asimmetria

tra chi partecipa e chi conduce l’indagine è necessario effettuare una distinzione tra attività di

ricerca e pratica professionale/didattica in modo da evitare fraintendimenti e la creazione di

aspettative. Nel modulo per il trattamento dei dati vengono descritti gli scopi a cui i dati sono

destinati, le prassi di trattamento, diffusione e conservazione degli stessi. Colui il quale presta il

consenso conferma di aver ricevuto le informazioni complete ed utili e che non presenta dubbi in

merito. Inoltre, fornisce il nominativo di un terzo da informare qualora dovessero emergere elementi

clinici rilevanti. Può inoltre scegliere di acconsentire o meno ad essere contattato successivamente

per la partecipazione a ricerche future. È possibile derogare all’obbligo di acquisizione del

consenso solo nei casi in cui le indagini hanno luogo in posti pubblici tramite l’utilizzo di metodi

osservativi in cui non vi è possibilità previa di contattate coloro i quali sono oggetto di osservazione.

Tuttavia, anche in questo caso, la riservatezza dei partecipanti deve essere tutelata, ad esempio

oscurando i volti e editando le voci nel momento in cui i dati vengono diffusi 8.

• Articolo 2. Uso dell’inganno nella ricerca.

Nel caso in cui l’obiettivo dell’indagine lo richieda è possibile usare dei metodi alternativi,

tenendo i partecipanti all’oscuro o ingannando gli stessi su alcuni aspetti della ricerca, come nel

caso dell’osservazione dissimulata. Tuttavia, i potenziali rischi rispetto al benessere fisico e psichico

non possono mai essere omessi ma vengono sempre riportati in modo quanto più chiaro possibile.

Colui il quale usa l’inganno è tenuto comunque ad informare ogni partecipante alla fine della

raccolta dati e richiede il consenso all’uso degli stessi, in assenza del quale gli elementi raccolti non

possono essere utilizzati. Il colloquio in questa fase è necessario non solo per chiarire gli aspetti

taciuti nella fase preliminare della ricerca, ma anche per favorire un ripristino dell’umore e

dell’autostima precedente alla partecipazione 9.

8http://www.aipass.org/node/11560#:~:text=Il%20Codice%20Etico%20per%20la,della%20conoscenza%2C%20proteggere%20
i%20diritti

9http://www.aipass.org/node/11560#:~:text=Il%20Codice%20Etico%20per%20la,della%20conoscenza%2C%20proteggere%20
i%20diritti

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Agire in scienza e coscienza

• Articolo 4. Riservatezza e anonimato.

Il professionista che svolge l’attività di ricerca tutela sempre il diritto alla riservatezza e

all’anonimato di coloro che partecipano. I dati racconti, utilizzati in sede scientifica o in altri

contesti, devono comunque garantire la non riconoscibilità di coloro che prendono parte

all’indagine. Qualora ciò risulti impossibile e la diffusione delle informazioni possa rilevare l’identità

del partecipante, quest’ultimo deve preventivamente autorizzare il ricercatore per iscritto.

Le eventuali deroghe alla tutela della riservatezza sono limitate ai casi in cui è richiesta il

consulto con altre figure professionali, anch’esse tenute al segreto professionale o nel caso in cui,

per ragioni di tutela del partecipante o di terzi, si presenti la necessità di contattare strutture sociali,

sanitario o l’autorità giudiziaria 10.

10http://www.aipass.org/node/11560#:~:text=Il%20Codice%20Etico%20per%20la,della%20conoscenza%2C%20proteggere%2
0i%20diritti

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

1. Misurare l’obiettività dell’osservazione

Nel metodo osservativo la codifica dei dati rappresenta l’esito di un processo messo in atto

da un osservatore, un giudice o un codificatore. Quindi, ha come strumento fondamentale il

giudizio e l’interpretazione personale che sono esposti in qualsiasi momento all’errore umano e alla

parzialità. A conferma di ciò sono state raccolte molte prove del fatto che, nel momento in cui si

confronta la codifica di diversi osservatori riguardo uno stesso evento, emergono molteplici

differenze 1.

Sebbene errori e distorsioni possano essere dovuti a una molteplicità di cause (differenze

situazionali, modificazioni temporali, errori di campionamento), la fonte principale di errori è

rappresentata dagli osservatori, ovvero da coloro a cui è assegnato il compito di codificare un

certo comportamento 2. Bisogna, quindi, dimostrare l’efficacia effettiva dello strumento di

osservazione, e cioè che i dati raccolti siano il frutto di rilevazioni oggettive e non delle aspettative

o idiosincrasie dell’osservatore.

Perché ciò sia possibile, sono stati introdotti i concetti di validità e attendibilità (“affidabilità”

e “fedeltà” sono trattati come sinonimi intercambiabili 3). Questi sono aspetti differenti, ma

strettamente collegati che si riferiscono alla misura dell’obiettività di una ricerca. Infatti, se la

rilevazione è scarsamente attendibile perché caratterizzata da eccessive variazioni, allora la

misurazione non può essere considerata valida.

L’attendibilità, in particolare, rappresenta il grado di coerenza e di accordo di due

codifiche indipendenti dello stesso comportamento. È quindi una sorta di indicatore attraverso il

quale si può affermare che la rilevazione effettuata è obiettiva e degna di fiducia, e che non è

perciò il frutto di errori casuali o di arbitrarietà.

1 Bakeman, R., & Gottman, J. M. (1997). Observing interaction: An introduction to sequential analysis. Cambridge university
press.
2 Gnisci, A., & Di Conza, A. (2015). L'attendibilità delle misure osservative in psicologia clinica dello sviluppo. Psicologia clinica
dello sviluppo, 19(2), 189-218.
3 Pedrabissi, L., & Santinello, M. (1997). I test psicologici: teorie e tecniche. Il mulino.

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

L’attendibilità si riferisce, quindi, alla coerenza interna del sistema di codifica, cioè si riferisce

alla congruenza tra vari comportamenti rilevati dalle diverse categorie del sistema di codifica

utilizzato da più osservatori.

Una misurazione altamente attendibile, in cui cioè si registra un alto grado di accordo tra gli

osservatori, può essere scarsamente valida, se non riesce a rappresentare efficacemente il dato

reale. Viceversa, se una rilevazione non è attendibile, perché non c’è sufficiente accordo tra i dati

degli osservatori, allora sicuramente non sarà nemmeno valida, perché non esiste

un’interpretazione coerente da confrontare con la veridicità di quanto accaduto. Perciò

l’attendibilità è considerata una condizione necessaria per la validità.

Per comprendere meglio il concetto di attendibilità, consideriamo la teoria classica

dell’attendibilità, secondo la quale la misurazione di una variabile è sempre caratterizzata dalla

compresenza di due componenti: una componente vera, derivata dalle caratteristiche reali della

variabile, e una componente composta dagli errori casuali che sfuggono al controllo

dell’osservatore. Questa relazione è spesso rappresentata attraverso una formula matematica: x =

v + e, in cui x è il valore prodotto dalla misurazione, v rappresenta il punteggio vero ed e l'errore

casuale. In condizioni ideali, e dovrebbe avere valore uguale a 0, ma nella pratica reale l’errore

casuale è sempre presente ed ha sempre un certo impatto. Quindi è impossibile escludere del

tutto gli errori casuali da una misurazione ed ottenere una rilevazione completamente esatta di

una grandezza 4.

Quando si raccolgono dati su un certo fenomeno, quindi, l’obiettivo deve essere quello di

ottenere una rilevazione composta per la maggior parte dal valore reale della variabile

considerata (parte vera, v) e in minima parte dalla componente dovuta alle imprecisioni del

metodo di osservazione (parte dell’errore casuale, e). Alla luce di ciò possiamo affermare che una

misurazione può essere considerata tanto più attendibile quanto la componente e di errore

casuale che la caratterizza è ridotta.

4 Aureli, T. (1997). L'osservazione del comportamento del bambino. Il mulino.

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

Quando si effettuano rilevazioni ripetute, la parte dell’errore casuale, a differenza della

parte vera che varia in modo sistematico e prevedibile, è soggetta a variazioni incostanti e che

sfuggono a qualsiasi tentativo di previsione, che possono allo stesso modo aumentare o ridurre il

valore misurato. Pertanto, è logico concludere che effettuando una serie di osservazioni ripetute, la

somma degli errori causali dovrebbe tendere a zero. La stima dell’attendibilità sarà quindi basata

sulla coerenza tra diverse misurazioni, permettendo così di stabilire a la misura in cui oscillazioni

dovute a errori casuali incidono sul valore della rilevazione. Da queste premesse si può concludere

che l'attendibilità dell'osservazione aumenta all’aumentare della coerenza tra misurazioni ripetute

e alla diminuzione delle fluttuazioni dovute ad errori casuali. In questo senso la definizione classica

dell’attendibilità si basa sulla replicabilità dei dati e definisce l’attendibilità come «il grado di

accordo tra misurazioni indipendenti dello stesso costrutto» (Pedon, Gnisci, 2004, p.204) 5.

I principali parametri per stabilire l’accordo fra gli osservatori e quindi l’attendibilità

dell’osservazione sono:

● l’accuratezza;

● la coerenza;

● la consistenza temporale.

5 PEDON, A. GNISCI A. (2004). Metodologia della ricerca psicologica.

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

2. L’accuratezza

L’accuratezza si riferisce al grado di corrispondenza fra il costrutto misurato e la realtà.

Generalmente si misura confrontando l’osservazione con un criterio esterno che può essere

esaminato più volte e consiste, di solito, in un “protocollo” preparato appositamente dallo

sperimentatore attraverso la codifica e la redazione di un resoconto narrativo di un’osservazione

videoregistrata. Un altro modo per verificare l’accuratezza è quello di misurare il livello di accordo

tra osservatori. Questo si calcola quando due osservatori indipendenti sono impegnati nella

rilevazione dei dati e all’oscuro rispetto a quanto atteso: se i due osservatori producono la stessa

rilevazione degli eventi, è possibile concludere che questa sia la descrizione fedele della realtà e

non il frutto di aspettative e credenze personali.

In pratica, maggiore è la similarità fra le due osservazioni, più è giustificato supporre che

queste siano attendibili 6. Questo è vero se le rilevazioni di entrambi gli osservatori non sono falsate

dallo stesso errore sistematico. Cioè se tutti gli osservatori dovessero interpretare in maniera errata

un certo comportamento e fraintendere ripetutamente il contenuto e il significato di una

categoria, l’accuratezza sarebbe solo apparente.

In definitiva, l’accuratezza rappresenta il grado di corrispondenza tra le categorie utilizzate

e la realtà. Ciò significa che fa riferimento a quanto ciò che viene riportato dall’osservatore

aderisca alle interazioni o processi che si sono verificati effettivamente durante gli eventi osservati.

Perciò possiamo affermare che l’accuratezza è un parametro che riguarda l’attendibilità, ma sta

anche alla base della validità. Ad esempio, se un sistema di codifica utilizzato correttamente rileva

numerosi eventi di aggressività da parte di un bambino verso i suoi compagni di classe, ma questi

eventi non avessero un effettivo riscontro nella realtà e fossero assenti o poco frequenti, potremmo

concludere che lo strumento è poco accurato.

6 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le scienze della formazione e
dell'educazione (pp. 1-264). De Agostini scuola. UTET Università.

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

3. La coerenza

La coerenza può anche essere definita “stabilità” da alcuni autori, ma indica lo stesso

concetto. È una componente molto importante dell’attendibilità e consiste nella stabilità nel

tempo degli esiti di un’osservazione, parametro che può essere anche detto “accordo intra-

osservatore” in quanto riguarda, per l’appunto, l’accordo tra le osservazioni di uno stesso

professionista.

Per la sua misurazione viene replicata un’osservazione, facendo rilevare lo stesso evento

dalla stessa persona a distanza di tempo. Dopodiché si verifica se e in che misura i dati siano

coerenti e sovrapponibili tra un’osservazione e l’altra. Si va quindi a controllare se e quante volte

uno stesso evento viene codificato con lo stesso codice o se e quante volte viene trascritto in

modo identico, a distanza di un certo lasso temporale dallo stesso osservatore 7.

La coerenza si riferisce quindi all’accordo tra misurazioni di uno stesso costrutto effettuate in

tempi diversi. Le differenti osservazioni devono altresì essere effettuate nelle stesse condizioni per

assicurarsi che quanto risultato dall’osservazione non sia influenzato dalle caratteristiche

dell’ambiente e del contesto in cui questa si svolge. Se queste premesse vengono rispettate, ci si

aspetta di assistere a rilevazioni simili e sovrapponibili.

L’obiettivo è quello di stabilire che i dati che vengono ottenuti dall’osservazione siano

derivanti da eventi verificatisi effettivamente e che non colgano, invece, particolari condizioni

personali dell'osservatore, come stati emotivi, stanchezza, stress ecc. In sostanza questo tipo di

sono utili a garantire che la performance dell’osservatore non degeneri, non si modifichi cioè nel

tempo, in maniera sostanziale, inficiando gli esiti dell’osservazione.

Il concetto di coerenza può essere applicato anche quando viene utilizzato uno stesso

strumento di codifica nella stessa situazione da persone diverse. In questo caso si parla di coerenza

test-retest. Allo stesso modo dell’accordo intra-osservatore, ci si aspetta di ottenere risultati simili,

qualora ciò che è stato misurato abbia mantenuto costante il suo valore.

7 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

Tuttavia, in ambito osservativo, soprattutto se i comportamenti sono rilevati in un ambiente

strutturale e non in un contesto strutturato, è difficile avere la possibilità di effettuare

un’osservazione nelle stesse condizioni a distanza di tempo. Di conseguenza, quando si tratta di

osservazioni l’indice di coerenza è utilizzato soprattutto per rilevare l’accordo intra-osservatore.

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

4. La consistenza temporale

È possibile anche rilevare la consistenza temporale, cioè la coerenza e la sistematicità nel

tempo delle misure tra diversi osservatori (inter-osservatori). È importante monitorare nel corso del

periodo di osservazione la coerenza tra le rilevazioni in quanto, con il tempo, l’accordo tra gli

osservatori tende a diminuire o comunque a modificarsi.

Sono state realizzate numerose indagini per misurare e controllare l’effetto dello scorrere del

tempo sull’affidabilità degli osservatori e per cercare metodi tali da ridurne gli esiti deleteri. Uno

degli studi più importanti è stato quello di Reid 8 (1970) che ha analizzato la consistenza temporale

degli osservatori in due diverse condizioni: nella prima veniva detto ai partecipanti che sarebbero

stati sottoposti a controllo, mentre nella seconda non sapevano di essere soggetti a valutazione. Le

osservazioni riguardavano le interazioni madre-bambino ed erano valutare tramite un protocollo

elaborato dallo sperimentatore. In totale l’osservazione è stata ripetuta sette volte, nelle prime due

gli osservatori sapevano di essere valutati, nelle restanti no.

Dai risultati è emerso che l’accordo fra gli osservatori era molto più elevato (80%) nelle

prime due sedute rispetto alle successive (60%). Tali risultati sono stati replicati in numerosi altri studi,

indicando quanto sia importante monitorare costantemente l’accuratezza delle osservazioni.

Oltre a questi tre indici, va segnalato anche quello della precisione che riguarda il grado di

coerenza con cui l'osservatore associa certi fenomeni a determinate categorie, cioè la sua

sistematicità. Quindi se un osservatore associa il comportamento X sempre e costantemente alle

categorie A e mai alla categoria B o C, l’osservazione può dirsi precisa. Tuttavia, ciò non implica

necessariamente che sia anche accurata; se, infatti, il comportamento X è stato assegnato

erroneamente alla categoria A, si è in presenza di un errore sistematico.

8 Reid, J. B. (1970). Reliability assessment of observation data: A possible methodological problem. Child Development, 1143-
1150.

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copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Attendibilità del metodo osservativo

Tutti questi indici, però non garantiscono con certezza l’attendibilità a tutti gli effetti delle

misurazioni. L’indice più usato e il più affidabile, la cui presenza è una condizione necessaria per

stabilire l'attendibilità di una ricerca è l’accordo tra osservatori.

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5. Accordo tra osservatori

L’accuratezza di una misurazione può venire calcolata tramite il grado di accordo con cui

due osservatori indipendenti l’uno dall’altro giudicano i medesimi eventi o comportamenti. Esistono

svariati metodi che possono essere utilizzati per calcolare l’accordo tra osservatori. La scelta

dell’adozione di un metodo piuttosto che dell’altro dipende fondamentalmente da:

● la strategia di applicazione dello schema di codifica (rilevazione per eventi con e senza

informazioni temporali);

● il tipo di misure che saranno utilizzate nelle successive analisi (frequenze, durate, sequenze

con cui si svolgono gli eventi);

● il fatto che venga rilevata solo la comparsa del comportamento, o venga applicato uno

schema di codifica 9.

Nel caso venga utilizzata una codifica continua ad intervalli temporali, l’accordo tra

osservatori sarà calcolato da indici diversi a seconda che venga rilevata la comparsa di uno

specifico comportamento, o che venga utilizzato uno schema di codifica composto da più

categorie.

Nel primo caso l’accordo può essere calcolato confrontando ogni intervallo temporale, in

modo da conteggiare le volte in cui gli osservatori concordano nel rilevare la comparsa del

comportamento o dell’evento preso in considerazione, o la sua assenza.

I dati che vengono ottenuti in questo modo sono relativi:

● al numero di intervalli temporali in cui la comparsa del comportamento è stata rilevata da

tutti gli osservatori;

● al numero di intervalli temporali in cui gli osservatori concordano nel non aver rilevato il

comportamento in questione;

9 Cassibba, R., & Salerni, N. (2004). Osservare i bambini: tecniche ed esercizi (pp. 1-95). Carocci.

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● al numero di intervalli temporali in cui solo uno (o una parte) degli osservatori rileva il

comportamento.

Questi dati sono inseriti in una tabella a doppia entrata dalla quale sono ricavabili i diversi

indici di accordo.

Indice S-I (Scored Intervals): per il calcolo di questo indice è necessario prendere in

considerazione soltanto gli intervalli temporali in cui è stato rilevato comportamento target da

parte di almeno uno degli osservatori. Il valore dell’indice è dato dal rapporto tra il numero degli

accordi (rappresentato dal numero di intervalli temporali in cui tutti gli osservatori hanno registrato

la comparsa del comportamento) e il numero degli accordi più i disaccordi (costituiti dal numero

di intervalli temporali in cui solo uno o parte degli osservatori ha rilevato la comparsa del

comportamento).

Indice U-I (Unscored Intervals): si calcola in base agli intervalli temporali in cui almeno uno

degli osservatori non ha registrato la comparsa del comportamento. Anche in questo caso l’indice

si ottiene dividendo il numero degli accordi (cioè il numero di intervalli temporali in cui nessun

osservatore ha rilevato la comparsa del comportamento) per il numero degli accordi più il numero

dei disaccordi (cioè il numero in cui solo uno o parte degli osservatori non ha rilevato la comparsa

del comportamento). È bene evitare di utilizzare questo indice nel caso in cui comportamento

esaminato compaia con una scarsa frequenza, in quanto l’elevato valore dell’indice non

corrisponderebbe, in questo caso, all’elevato accordo tra gli osservatori, ma sarebbe “gonfiato”

dall’elevato numero di volte in cui nessun osservatore ha evidenziato la comparsa del

comportamento.

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Indice IxI (Interval by Interval): questo indice considera il numero totale degli intervalli in cui

gli osservatori sono d'accordo, indipendentemente dal fatto che sia sulla comparsa o sulla

mancanza del comportamento. Il valore sarà quindi ottenuto dividendo il numero di intervalli

caratterizzati da accordo e il numero totale di intervalli. Anche questo indice è direttamente

influenzato dalla frequenza della comparsa del comportamento. Perciò è meglio evitare di

utilizzarlo nel caso in cui la frequenza sia scarsa.

Indice di accordo sulle frequenze totali: si ottiene facendo il rapporto tra il numero di

intervalli in cui il primo osservatore ha rilevato la comparsa del comportamento e il numero di

intervalli in cui l’ha fatto il secondo osservatore. Convenzionalmente si è soliti porre il numero

minore al denominatore. Calcolare questo indice può essere considerato sufficiente qualora il

ricercatore fosse interessato a misurare esclusivamente la frequenza globale della comparsa del

comportamento.

Nel caso in cui gli osservatori abbiano il compito non esclusivamente di individuare la

comparsa di un certo comportamento in un dato intervallo, ma anche di codificarlo sulla base di

uno schema di codifica costituito da categorie mutualmente esclusive, una prima possibile

modalità di calcolo dell’affidabilità della rilevazione può essere la costruzione di una tabella a

doppia entrata in cui vengono inserite tutte le categorie del sistema di codifica. Lo scopo di

questa tabella è quello di ricavare una “matrice di confusione”. Questa si ottiene riportando sulla

diagonale le frequenze relative agli intervalli caratterizzati da accordo tra osservatori, mentre nelle

restanti caselle saranno riportate le frequenze relative a tutti i possibili casi di disaccordo.

A partire da questa matrice è possibile calcolare l’accordo percentuale ottenuto

dividendo il numero di intervalli caratterizzati da accordo per il numero degli accordi e dei

disaccordi moltiplicato per 100. Nel caso che lo schema di codifica sia costituito da un basso

numero di categorie, e che quindi ci sia un’elevata possibilità di accordo casuale, è preferibile

usare come indice dell’attendibilità la cosiddetta K di Choen, la cui formula è:

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k = (Po - Pc) / 1 - Pc

in cui:

● Po è il numero di accordi per ogni categoria, che corrisponde alla somma dei valori

riportati sulla diagonale della matrice di confusione, diviso il numero totale degli intervalli;

● Pc è la somma delle probabilità totali di accordo casuale di ogni singola

categoria.

Prima di procedere al calcolo della k di Choen è bene verificare che il sistema di categorie,

oltre ad essere mutualmente esclusivo, sia anche esaustivo.

Nel caso in cui il compito dell'osservatore sia quello di individuare gli eventi oggetto

dell’osservazione e di inserirli in uno schema di codifica, la valutazione dell’attendibilità dovrà

basarsi sia sull’analisi relativa alla comparsa degli eventi, sia sulla verifica della corretta codifica

degli eventi stessi. In pratica significa distinguere il disaccordo dovuto alla mancata rilevazione

dell’evento da parte di uno degli osservatori da quello dovuto a una differente classificazione

dell’evento, quindi a una diversa codifica dello strumento, tra gli osservatori.

Perché ciò sia possibile è necessario in primo luogo stabilire quali eventi siano stati rilevati in

maniera diversa dagli osservatori. A questo punto si calcolerà la percentuale di accordo tra gli

osservatori e la k di Choen. La matrice di confusione, in questo caso, deve considerare solo gli

eventi registrati da entrambi gli osservatori.

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Filippo Petruccelli - Validità del metodo osservativo

1. La ricerca di obiettività dell’osservazione: la validità

Nelle scienze umane i dati ricavati attraverso una ricerca sono sempre derivati da alcune

scelte che il ricercatore compie e che inevitabilmente ne influenzano gli esiti. Perciò, quando si

vogliono misurare caratteristiche degli esseri umani, come l’intelligenza, il temperamento, le

capacità sociali, è necessario accertarsi che gli strumenti che si va ad utilizzare siano capaci di

effettuare rilevazioni quanto più obiettive e vicine alla realtà. Questo non significa esigere che i

dati ottenuti siano del tutto oggettivi e privi di qualsiasi distorsione, ma cercare di ottenere dati di

cui ci si possa fidare 1.

Quando si ricorre al metodo osservativo, bisogna tener presente che questo è un metodo

soggetto alla fallibilità umana. Perciò, per potersi considerare affidabili, le conclusioni a cui si

giunge devono derivare da osservazioni accurate e indipendenti dalle aspettative e dalle

caratteristiche individuali di chi le ha effettuate. La centralità dell'osservatore, punto di forza delle

ricerche che prevedono la registrazione di eventi complessi come quelli che avvengono nei

contesti naturali, rischia di tramutarsi in uno svantaggio se non si riesce a garantire l’affidabilità e la

validità delle rilevazioni.

L'obiettivo al quale si dovrebbe tendere è quello di far sì che l'osservatore possa inferire i

dati in modo controllato, producendo informazioni e conoscenze fondate su rilevazioni oggettive

che forniscono risultati condivisibili 2. Per fare questo, bisogna che gli strumenti che si utilizzano

rispettino i criteri di attendibilità e validità. Questi assumono, nel contesto del metodo osservativo,

diverse sfumature, in particolari in ricerche dove si ricavano dati di tipo qualitativo invece che di

tipo quantitativo.

1 Camaioni, L., Perucchini, P., Bellagamba, F., & Colonnesi, C. (2004). The role of declarative pointing in developing a theory
of mind. Infancy, 5(3), 291-308.
2 Camaioni, L., Baumgartner, E., & Perugini, M. (1998). Validazione di uno strumento per rilevare le relazioni amicali tra
bambini nella prima infanzia. Giornale italiano di psicologia, 25(1), 101-122.

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L’obiettivo di ogni indagine è quindi quello di giungere a conclusioni valide e che possano

essere condivise e replicate: è perciò compito dell'osservatore controllare i fattori di disturbo che

possono alterare la rilevazione degli eventi presi in esame al fine di minimizzare i rischi di invalidità

dei risultati.

La definizione generale che può essere data della validità è dunque: «la migliore

approssimazione disponibile alla verità delle proposizioni, comprese quelle sulla causalità» 3. Nella

ricerca osservativa il problema della validità si pone sia in relazione al contesto che in relazione alle

procedure metodologiche adottate nello studio. Ad esempio, se si vogliono analizzare le interazioni

madre-bambino, un sistema di codifica con all’interno categorie di interazione bambino-bambino

potrebbe non essere valido. Oppure se si vogliono analizzare le risposte del bambino a eventi

emotivamente salienti senza richiedere l’aiuto della maestra, ma solamente dei pari; si avrebbe

bisogno di un confronto con l'insegnante per valutare quando il bambino si è rivolto a lei e quando

ai pari.

Più praticamente, la validità si riferisce alla capacità dello strumento di misurare

effettivamente la dimensione che si prefigge di misurare 4. In altri termini, le misure che si ottengono

da uno strumento, per essere considerate valide, devono riferirsi proprio a quegli aspetti che sono

stati individuati come obiettivo della rilevazione.

La validità, indicando implicitamente il rapporto tra la variabile misurata e l’aspetto della

realtà che questa variabile dovrebbe rappresentare, si riferisce anche alla capacità di rispondere

in modo pertinente agli obiettivi prefissati della ricerca. Secondo questa logica le misure valide

possono anche essere indicate come misure “giuste” 5.

3 Cook, T. D., Campbell, D. T., & Day, A. (1979). Quasi-experimentation: Design & analysis issues for field settings (Vol. 351).
Boston: Houghton Mifflin.
4 Gnisci, A., & Di Conza, A. (2015). L'attendibilità delle misure osservative in psicologia clinica dello sviluppo. Psicologia clinica
dello sviluppo, 19(2), 189-218.
5 Martin, P., Bateson, P. P. G., & Bateson, P. (1993). Measuring behaviour: an introductory guide. Cambridge University Press.

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Filippo Petruccelli - Validità del metodo osservativo

La validità si riferisce al grado di correttezza delle conclusioni alle quali si è pervenuti.

L’obiettivo di ogni ricerca è quello di ottenere dati effettivamente validi, disegnando

l’indagine in modo da avvicinarsi il più possibile al grado di controllo completo. A tali condizioni è

possibile giungere, se si individuano tutti i fattori disturbanti e si cerca di controllarli, anche se un

controllo completo di tali fattori è realisticamente impossibile.

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2. Validità interna ed esterna

La validità va distinta in primo luogo in:

● validità esterna;

● validità interna.

La validità esterna riguarda essenzialmente il grado di generalizzabilità dei risultati della

ricerca. Ovvero, per stabilire la validità esterna di uno strumento, si deve cercare di rispondere al

quesito che riguarda se, e in che misura, i dati ottenuti dallo studio con certi strumenti possono

valere anche per altri soggetti, in altre condizioni, in altri tempi e con diverse metodologie di

misurazione. Se i risultati possono essere applicati alla gran parte della popolazione da cui è stato

estratto il campione in una ampia varietà di tempi, condizioni e circostanze diverse, allora la

ricerca ha una un’alta validità esterna.

Ci sono tre tipi di validità esterna:

● la validità di popolazione;

● la validità ambientale;

● la validità temporale.

La validità di popolazione fa riferimento alla capacità di estendere i risultati ottenuti sul

campione preso in esame alla popolazione generale da cui il campione è stato selezionato. Ad

esempio, se il mio campione era composto da 100 bambini della terza elementare selezionati

all’interno di una scuola di Roma, la possibilità di applicare i risultati a tutti i bambini che

frequentano la terza elementare. Si basa sui criteri di casualità della scelta del campione e di

rappresentatività rispetto alla popolazione di riferimento. Il rispetto di questi criteri consente di

ottenere un campione capace di assicurare una buona validità esterna.

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La validità ambientale riguarda le caratteristiche e le condizioni del contesto in cui si svolge

lo studio che vanno mantenute il più possibile costanti e controllate.

La validità temporale fa riferimento al fatto che i risultati di un’osservazione si mantengano

stabili nel corso del tempo. Le minacce alla validità temporale possono essere: variazioni stagionali

(cambiamenti che hanno luogo a intervalli regolari), variazioni cicliche (cambiamenti che possono

rendere la ricerca valida solo in un determinato momento) e variazioni personologiche

(cambiamento nel corso del tempo delle caratteristiche degli individui).

Vi sono degli accorgimenti utili a riuscire ad incrementare la validità esterna di una ricerca.

Uno di questi può essere raccogliere una serie di dati di controllo prima di avviare la ricerca, e

condurre una verifica indiretta del grado di validità dei risultati. Appare utile anche applicare dei

disegni di ricerca complessi che consentano di stabilire l’impatto che le diverse caratteristiche

della situazione hanno sui comportamenti in questione. Solo diversi studi in cui si ottengono risultati

simili con una coerenza di soggetti e situazioni possono mostrare con certezza le minacce e i limiti

della generalizzabilità dei risultati 6.

La validità interna riguarda la relazione causale tra variabili, cioè la capacità di definire in

che modo la direzione dell’influenza sia diretta da una variabile all’altra 7. Per verificare la validità

interna, bisogna dimostrare che la relazione tra variabile indipendente e variabile dipendente che

si è ipotizzata nello studio è vera e che le variazioni della variabile dipendente sono dovute

esclusivamente all’influenza della variabile indipendente.

È evidente come la validità interna ricopra un’importanza cruciale nei disegni sperimentali,

in cui lo scopo del ricercatore è proprio quello di analizzare le relazioni tra variabili.

6 Boca, S., Ruggieri, S., & Ingoglia, S. (2007). Metodologia della ricerca psicosociale (pp. 0-292). Laterza.
7 Baumgartner, E. (2010). Gli esordi della competenza emotiva. Strumenti di studio e di valutazione [The beginnings of
emotional competence. study and evaluation instruments]. Milano: Led.

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Tuttavia, anche negli studi con metodo osservativo bisogna tener conto e controllare le

possibili cause di variazioni diverse da quelle ipotizzate. Inoltre, vanno tenuti sotto controllo i fattori

di confusione e le minacce alla validità che possono essere rappresentate, ad esempio, dalla

ripetizione di osservazioni nel caso di studi longitudinali, o dalle alterazioni dell’uso dello schema di

codifica dovute alla pratica degli osservatori.

In definitiva, la validità interna indica il grado di coerenza tra i risultati della ricerca e i suoi

obiettivi di partenza. È di primaria importanza in quanto riguarda la logica stessa alla base della

ricerca, per cui se la validità interna non viene raggiunta, è inutile calcolare gli altri tipi di validità.

Rappresenta la conditio sine qua non per affermare che la ricerca è valida.

I principali fattori che possono minacciare la validità interna sono:

● Fluttuazione della strumentazione utilizzata per rilevare i comportamenti, ciò accade sia per

la natura stessa degli strumenti che per la loro dipendenza dall’attività dell’osservatore.

● Somministrazione delle medesime prove agli stessi soggetti per verificare l’evoluzione

temporale della variabile osservata. In questo caso, si possono verificare delle influenze sul

comportamento dei partecipanti dovute all’apprendimento che deriva dalla ripetizione.

● Procedimento di selezione dei soggetti. Alcuni fattori possono minacciare l’iniziale

equivalenza dei gruppi (motivazione, livello di intelligenza, interesse).

● Perdita differenziale dei soggetti che si verifica quando alcuni soggetti rinunciano a

partecipare, può essere detta anche “mortalità dei soggetti” 8.

Per controllare queste minacce si può ricorrere a tecniche come il bilanciamento, che

riduce la differenza dei gruppi attraverso randomizzazione, pareggiamento, uso di blocchi. Si

possono poi controllare i fattori storici che si basano su: il mantenere più costanti possibili le

condizioni della ricerca; distribuire equamente fra i gruppi le più importanti fonti di errori;

abbreviare l’intervallo di tempo tra le varie prove. Quest’ultima tecnica aiuta anche ad evitare la

mortalità dei soggetti, anche se in questo caso è fondamentale il livello di motivazione.

8 Boca, S., Ruggieri, S., & Ingoglia, S. (2007). Metodologia della ricerca psicosociale (pp. 0-292). Laterza.

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Secondo le definizioni fornite dall’APA, le tre componenti da verificare per affermare la

validità della misurazione sono:

● validità di costrutto;

● validità di contenuto;

● validità di criterio.

Queste corrispondono ad altrettante diverse strategie per valutare la validità di

un’osservazione.

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3. Validità di costrutto

La validità di costrutto si riferisce al rapporto tra lo strumento di rilevazione e l’apparato

teorico a cui si fa riferimento e che ne sta alla base. Un costrutto, in psicologia, è un concetto

astratto che definisce un complesso di fenomeni della vita psichica. Per definizione un costrutto

teorico non è direttamente osservabile, perciò, per poterlo misurare, deve essere

operazionalizzato, cioè tradotto in unità comportamentali di cui si rilevano occorrenze e regolarità.

La fase di operazionalizzazione è cruciale in quanto mette in contatto la teoria con il mondo reale,

connettendo l’astratto con l’empirico.

Se, ad esempio, lo scopo di un ricercatore è indagare nel suo studio i comportamenti di

altruismo nei bambini, prima di tutto deve definire cosa sono i comportamenti di altruismo

partendo da una determinata prospettiva teorica. Dopodiché deve individuare dei

comportamenti misurabili, o comunque descrivibili oggettivamente, che permettano di rilevare il

costrutto che intende studiare. Ne consegue che i dati ricavati saranno interpretati sulla base del

costrutto teorico di riferimento, che a sua volta sarà influenzato dalla cornice teorica all’interno

della quale ci si inserisce (comportamentista, psicanalitica, sistemica ecc.).

Per capire meglio, possiamo dire che per valutare la validità di costrutto di una ricerca

dobbiamo domandarci: “gli eventi che voglio osservare sono attinenti e misurano realmente, in

tutte le sue componenti, il costrutto teorico che ho assunto come guida dell’indagine?” 9. Il

problema che ci si pone è quello dell'estendibilità delle conclusioni alle quali si è giunti nelle

specifiche condizioni dell’esperimento alla teoria generale di riferimento. Un’alta validità di

costrutto si ottiene, inoltre, dimostrando che non esistono altre variabili che possano influenzare il

comportamento preso in considerazione al di fuori di quelle misurate nella ricerca.

9 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le scienze della formazione e
dell'educazione (pp. 1-264). De Agostini scuola. UTET Università.

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Filippo Petruccelli - Validità del metodo osservativo

Ci sono vari strumenti metodologici che ci possono consentire di raggiungere una buona

validità di costrutto, come ad esempio:

● l’analisi fattoriale, che permette di rilevare le correlazioni interne tra le dimensioni dello

strumento utilizzato;

● l’analisi delle componenti principali, che ha lo scopo di confrontare la congruenza della

struttura emersa dalla ricerca con i concetti teorici della teoria di riferimento;

● confronto tra rilevazioni ottenute con lo strumento della ricerca ed altre ottenute con

strumenti diversi ma che misurano la stessa dimensione.

Infatti, una misurazione ha una buona validità di costrutto se correla con misurazioni dello

stesso dato, ma effettuate con metodi diversi di cui la validità è già nota (validità convergente) e

non correla invece con rilevazioni che hanno per oggetto costrutti diversi ottenute con lo stesso

metodo o meno (validità divergente).

Le minacce che possono minare la validità di costrutto in uno studio si dividono

fondamentalmente in tre categorie:

● definizione teorica insufficiente o imprecisa dei costrutti;

● un’operazionalizzazione inadeguata delle variabili;

● ambiguità delle variabili indipendenti.

Per ottenere un’alta validità di costrutto è quindi necessario definire in modo chiaro e

univoco il costrutto teorico, così da individuare gli aspetti salienti e gli indicatori più adatti a

quantificarlo e tradurlo, infine, in specifiche operazioni.

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4. Validità di contenuto

La validità di contenuto, anche detta validità rappresentativa 10, definisce la capacità dello

strumento di individuare e rappresentare in modo completo, e nelle proporzioni corrette, tutte le

dimensioni che definiscono in maniera operativa il costrutto che si intende misurare 11. Lo strumento

deve essere quindi esaustivo, nel senso che non tralascia nessun aspetto importante del fenomeno

e conferisce ad ognuno di questi il peso appropriato. Consiste in una rappresentazione in modo

più concreto e descrittivo delle diverse componenti di una variabile.

Se, ad esempio vogliamo misurare l’aggressività dei bambini in una classe elementare verso

i loro coetanei attraverso una scala di valutazione, dobbiamo accertarci che la scala contenga

tutte le categorie necessarie a descrivere il fenomeno. Se comprendesse le categorie “tirare calci

ai compagni”, “dare schiaffi ai compagni” e “dare spinte ai compagni”, non sarebbero

rappresentati all’interno della scala i comportamenti di aggressività verbale. Quindi le misurazioni

avrebbero un’inadeguata validità di contenuto.

Per individuare correttamente tutte le categorie necessarie, occorre svolgere un lavoro

minuzioso e impegnativo, a livello sia teorico che empirico. Bisogna prima di tutto analizzare i dati

già raccolti, per individuare e definire, prima che lo studio abbia inizio, quali sono i comportamenti

cruciali all’interno di una determinata situazione. In seguito, si devono stabilire delle categorie

corrispondenti a tali comportamenti e adeguate a descrivere correttamente, senza tralasciare

nessun aspetto.

10 Sempio Liverta, O., & Cavalli, G. (2005). Lo sguardo consapevole. L’osservazione psicologica in ambito educativo.
11 Ercolani, A. P., Areni, A., & Leone, L. (2001). Statistica per la psicologia: Fondamenti di psicometrica e statistica descrittiva-
2001.-179 p. Il mulino.

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Filippo Petruccelli - Validità del metodo osservativo

Una forma particolare della validità di contenuto è rappresentata dalla validità di facciata.

Viene detta anche validità superficiale o esteriore, in quanto riguarda il modo in cui lo strumento di

ricerca appare dall’esterno, senza entrare nei dettagli metodologici. In pratica, descrive quanto

riesca a fare una buona impressione e a sembrare convincente, rilevante e adeguata la forma in

cui lo strumento si presenta; ad esempio se appare banale, piuttosto che originale o motivante. Se

in uno studio osservativo sulle interazioni madre-figlio, i due osservatori parlano continuamente di

aspetti non riguardanti lo studio, questo avrà una scarsa validità di facciata.

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5. Validità di criterio

Questo tipo di validità viene valutata attraverso il confronto con fonti esterne che fungono,

appunto, da criterio. Concerne, cioè, la correlazione tra le rilevazioni ottenute con lo strumento

selezionato e le informazioni ricavate attraverso un’altra via, che viene considerata affidabile e in

adeguata relazione con ciò che il nostro strumento misura. Sulla base del modo in cui i dati

vengono ricavati, si possono distinguere due aspetti della validità di criterio: la validità concorrente

e la validità predittiva.

La validità concorrente si riferisce al grado di concordanza delle misurazioni effettuate da

strumenti diversi sugli stessi aspetti rilevati allo stesso momento. Gli strumenti fungono, in questo

caso, da criterio di validazione esterno l’uno rispetto all’altro. Se gli strumenti sono correlati tra loro

e producono risultati convergenti, si può affermare che v'è validità concorrente fra gli strumenti. I

risultati ottenuti vengono, in questo modo, rafforzati, rappresentando un’evidenza empirica più

convincente riguardo al problema indagato. Al tempo stesso, la validità concorrente risulta una

misura dell’efficacia dello strumento utilizzato.

La validità predittiva è riferita, invece, alla capacità dello strumento di prevedere

comportamenti ed eventi associati con il costrutto che ancora non si erano verificati al momento

delle rilevazioni 12. L’intervallo di tempo che separa la predizione dal verificarsi dell’evento deve

essere significativo (almeno un anno). Ad esempio, una scala, misurando le interazioni sociali di un

bambino a 5 anni, può arrivare a predire il suo grado di accettazione sociale a 8 anni. Se queste

ipotesi vengono confermate, si può dire che lo strumento possiede un’alta validità predittiva.

Questo tipo di validità risulta molto importante a livello clinico, in cui è fondamentale prevedere le

conseguenze di comportamenti che si verificano nel presente a distanza di tempo.

12 Sempio Liverta, O., & Cavalli, G. (2005). Lo sguardo consapevole. L’osservazione psicologica in ambito educativo.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Validità del metodo osservativo

Un altro aspetto particolare della validità criterio è la validità discriminante che si valuta

applicando lo stesso strumento a due gruppi di soggetti (detti gruppi di contrasto) da cui si

attendono comportamenti differenti. Maggiore è la capacità dello strumento di differenziare le

misurazioni tra i due gruppi in base alla variabile osservata, maggiore sarà la sua validità

discriminante.

Oltre alle tre dimensioni principali della validità che abbiamo visto, ne esistono altre che

ricoprono comunque un ruolo di una certa importanza, come la validità ecologica e la validità

statistica. La validità ecologica fa riferimento alla possibilità di replicare i dati ottenuti in un

determinato contesto anche in contesti e situazioni differenti - ad esempio, replicare

un’osservazione svolta in laboratorio in un contesto naturale. La validità statistica si riferisce alla

capacità dello strumento di ottenere risultati simili se lo studio viene ripetuto.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

1. Comunicare gli esiti di una ricerca

Il fine del ricercatore, una volta portato a termine un nuovo studio, è quello di pubblicare e

divulgare i risultati ottenuti, in modo che entrino a far parte della letteratura e del patrimonio di

conoscenze acquisito sul tema dalla comunità scientifica. Il sapere scientifico è qualcosa che si

costruisce in maniera sociale, tramite la collaborazione e la condivisione all’interno di una

comunità, e si fonda, quindi, sulla circolazione, la discussione e l’assimilazione dei contributi dei suoi

membri 1. Per questi motivi la fase di comunicazione dei propri risultati ai colleghi ricopre

un’importanza speciale e ha bisogno di particolare impegno.

Il veicolo principale e quello più formale per comunicare gli esiti delle proprie ricerche alla

comunità è quello di pubblicare un articolo su una rivista specialistica. Questo metodo viene detto

“pubblicazione d’archivio” e permette la registrazione permanente e ufficiale dell’attività

scientifica. Ci sono, poi, dei canali meno ufficiali e più informali (come convegni, comunicazione

tramite mail o telefono ecc.), che tuttavia consentono spesso un proficuo confronto tra colleghi e

l’occasione di discutere le idee più innovative.

Qualunque sia il mezzo scelto dal ricercatore per far circolare i suoi risultati, quello che è

necessario è la stesura di un rapporto di ricerca, cioè di un resoconto dell’indagine svolta in cui

viene esposto il fondamento logico delle scelte teoriche e metodologiche alla base del proprio

disegno di ricerca 2. Il processo di pubblicazione che segue la stesura del rapporto di ricerca può

essere lungo e impegnativo. Il ricercatore deve decidere il contenuto, i tempi e la veste, cioè il

mezzo utilizzato, per la pubblicazione, tenendo conto delle caratteristiche del proprio studio.

1 Inguglia, C., & Lo Coco, A. (2004). Psicologia delle relazioni interetniche. Dalla teoria all’intervento. Carocci.
2 Boca, S., Ruggieri, S., & Ingoglia, S. (2007). Metodologia della ricerca psicosociale (pp. 0-292). Laterza.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

2. Redigere il rapporto di ricerca

Qui esporremo il metodo per la stesura di un rapporto di ricerca finalizzato alla

pubblicazione come articolo su una rivista specializzata. Tuttavia, le indicazioni generali valgono

allo stesso modo per qualsiasi altro mezzo di divulgazione che si possa scegliere (esposizione in

convegni, capitoli di libri, presentazioni ecc.).

Il modo in cui viene pubblicata un’indagine deve essere conforme alle regole che la

comunità scientifica si è data, per non correre il rischio di non venire pubblicata e diffusa. Una

corretta esposizione dei risultati, infatti, è considerata parte integrante della validità dell’intera

ricerca. Perciò in questa sede faremo riferimento alle indicazioni contenute nel manuale per le

pubblicazioni dell’APA, il Publication Manual of American Psychological Association (2001). Si tratta

di uno standard affermato a livello internazionale, seguito dalle principali riviste in ambito

psicologico.

La finalità del rapporto di ricerca è quella di comunicare a chi lo legge i presupposti teorici

e le metodologie utilizzate nel dettaglio, in modo da rendere i risultati verificabili e replicabili.

Pertanto, deve essere oggettivo, impersonale, specifico e operazionale. In pratica, lo scopo a cui si

deve tendere è quello di far sì che un collega che consulta il rapporto di ricerca, replicando le

procedure in esso riportate, possa ottenere gli stessi risultati dello studio originale.

Tuttavia, non basta limitarsi a descrivere ciò che è stato fatto, bisogna anche dimostrare

che gli esiti a cui si è giunti rappresentano un significativo avanzamento nella conoscenza

sull’argomento e che le decisioni metodologiche prese siano corrette e adeguate rispetto agli

scopi della ricerca, assicurandone la validità.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

Possono essere rintracciati degli aspetti che caratterizzano in maniera specifica il resoconto.

Quest’ultimo, in un certo senso, può essere paragonato alla narrazione di una storia: chi scrive

deve mettersi nei panni del lettore per cercare di fornirgli tutti i dati e le informazioni che possano

risultare necessarie alla comprensione dei punti da cui la ricerca ha preso origine e gli esiti a cui è

giunta 3.

L’autore del rapporto deve, poi, operare un’attenta selezione dei dettagli metodologici da

inserire nel rapporto, riportando esclusivamente quelli che sono necessari alla comprensione delle

tecniche e che hanno permesso l’ottenimento dei risultati della ricerca. L’eccesso di particolari

specifici riguardo i metodi utilizzati, infatti, può far perdere di vista le informazioni essenziali e

complicare la comprensione e la replicabilità da parte del lettore. Bisogna quindi fare attenzione

ad attenersi ad un’efficace sintesi.

Infine, bisogna sempre cercare di esporre i propri risultati nella massima onestà. La

pubblicazione di dati alterati al fine di aumentare l’impatto della ricerca può portare a pene

severe da parte della comunità scientifica, fino anche all'espulsione da questa. Ancora più

importante, la pubblicazione di una ricerca i cui dati siano stati alterati intenzionalmente può sviare

i colleghi e inficiare anni di ricerche su uno specifico tema, recando un danno all’intera società 4.

3 Roccato, M. (2006). L'inchiesta e il sondaggio nella ricerca psicosociale (pp. 1-224). Il Mulino.
4 Corbetta, P. (1999). Metodologia e tecniche della ricerca sociale.

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3. Le componenti del rapporto di ricerca

Le parti principali di cui generalmente è composto un rapporto sono, nell’ordine in cui

compaiono:

● Titolo;

● Autori e istituto di appartenenza;

● Riassunto;

● Introduzione;

● Metodo;

● Risultati;

● Discussione;

● Riferimenti bibliografici.

Di queste le più importanti sono l’introduzione, il metodo, i risultati e la discussione, in quanto

seguono le fasi del processo di ricerca e costituiscono il nucleo contenutistico del resoconto e la

sede della maggior parte delle informazioni fondamentali.

Vediamo ora più nello specifico quali sono le caratteristiche specifiche delle singole parti e

come procedere correttamente alla loro stesura.

Titolo. Per la scelta di un titolo efficace, che motivi i lettori interessati all’argomento a

leggere l’articolo, si deve esprimere nel modo più sintetico possibile i concetti più rilevanti dello

studio e il tipo di popolazione preso in esame. A volte è utile inserire dei sottotitoli che contengano

alcune specificazioni sulle tecniche metodologiche utilizzate, ad esempio “uno studio

longitudinale…”

Autori e istituto di appartenenza. Solitamente l’ordine in cui vengono riportati i nomi degli

autori va in base all’importanza del contributo apportato allo studio da ognuno di loro. Nel caso il

contributo sia sostanzialmente equivalente, si possono riportare gli autori in ordine alfabetico.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

Riassunto

Secondo le norme APA questa parte deve essere costituita da un massimo di 120 parole. Lo

scopo del riassunto è sintetizzare in modo chiaro ed esaustivo i contenuti della ricerca,

evidenziandone gli aspetti più rilevanti. Vanno quindi riportati: scopi della ricerca, tipo di

popolazione, metodi di selezione dei partecipanti e come questi sono stati assegnati alle diverse

condizioni sperimentali (nel caso di uno studio sperimentale), i risultati principali e le conclusioni. Il

riassunto ricopre particolare importanza in quanto è la parte riportata nei repertori bibliografici.

Data la sua estrema sintesi e importanza, può essere vantaggioso scrivere il riassunto alla fine della

stesura del rapporto.

Introduzione

Corrisponde alla prima fase del lavoro di ricerca e al suo interno va esposto l’enunciato del

problema, e le principali fonti bibliografiche che hanno portato all’individuazione dell’oggetto

della ricerca e all’elaborazione delle ipotesi 5. Questa sezione non deve, tuttavia, configurarsi come

una mera esposizione della letteratura disponibile sull’argomento, ma deve introdurre e preparare

all’esposizione della ricerca in particolare nei suoi elementi di originalità.

Possiamo individuare delle domande a cui possiamo immaginare di rispondere produrre

un’introduzione più esaustiva, ad esempio: Qual è la problematica generale della ricerca? Qual è

la cornice teorica all’interno della quale si inserisce? Quali sono le precedenti scoperte a cui fa

riferimento? Quali sono gli obiettivi e le ipotesi? Lo scopo dell’introduzione è quello di comunicare

in maniera concisa i motivi per cui la ricerca è necessaria, gli avanzamenti che si propone di

compiere nella conoscenza dell’argomento e gli elementi di originalità rispetto alle ricerche

precedenti. Nell’introduzione l’autore formula ipotesi che sono tese a chiarire aspetti della teoria

che sono ancora problematici e irrisolti, o nuovi aspetti che non sono ancora stati presi in

considerazione. Oppure l’autore può replicare un precedente studio su un campione diverso; in

questo caso, va specificato chiaramente nell’introduzione.

5 Foschi, R. & Sarracino, D. (2003). La ricerca bibliografica in psicologia. Roma: Kappa.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

Metodo

In questa sezione l’autore espone il piano di ricerca, cioè l’impianto metodologico e le

procedure specifiche che sono state utilizzate al fine di tradurre i concetti teorici in dati empirici e

rilevare le relazioni fra questi ultimi. Comprende anche le spiegazioni e le motivazioni logiche che

hanno portato alla scelta di determinati strumenti metodologici. Lo scopo è quello di rendere

replicabile la ricerca e di consentire di verificarne la validità. Gli elementi che vanno esposti in

maniera specifica in questa sezione sono: i partecipanti, il materiale, il disegno, la procedura e gli

strumenti.

● Riguardo i partecipanti, va specificato: numero, caratteristiche demografiche (genere, età,

status sociale, ecc.), processo di reclutamento e motivi per cui è stato scelto tale

campione. È molto importante spiegare la ragione per cui questo tipo di campione è

adatto agli scopi della ricerca e chiarire se alcuni aspetti delle modalità di selezione dei

partecipanti possono influire sui risultati.

● Materiale: nei casi di disegno sperimentale bisogna illustrare i tipi di materiale che sono stati

utilizzati, ad esempio le attrezzature o l'entità degli stimoli.

● Il disegno fa riferimento alla spiegazione di come sono state manipolate le variabili in uno

studio sperimentale: quali sono quelle dipendenti e quelle indipendenti, quali sono state

randomizzate, quali sono state bilanciate ecc. Vanno poi esposte le caratteristiche dei

gruppi di controllo e di quelli sperimentali e come siano stati suddivisi i soggetti tra questi

gruppi. Lo scopo è quello di evidenziare le minacce potenziali alla validità della ricerca e di

spiegare come si intende controllarle.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

● Procedura: rappresenta la spiegazione del modo in cui è avvenuto il processo di rilevazione

dei dati. Ogni fase della ricerca va descritta accuratamente in questa parte: l’ambiente in

cui è stata svolta la sperimentazione, la sequenza cronologica degli eventi a cui i soggetti

sono stati sottoposti, gli intervalli di tempo che intercorrono tra le diverse fasi della ricerca

(pre-test, trattamento, post-test), i controlli procedurali che sono stati eseguiti per evitare

distorsioni.

● Strumenti: l’autore, qui, chiarisce i metodi attraverso cui sono state rilevate e manipolate le

variabili, e ne espone le caratteristiche e le dimensioni psicometriche.

Risultati

In questa sezione va esposta l’analisi dei dati. Bisogna quindi esporre esaustivamente i

motivi logici per cui sono state selezionate ed utilizzate determinate tecniche statistiche in base agli

obiettivi prefissati. Spesso in questa parte si usano grafici e tabelle che facilitano e rendono più

immediata la comprensione da parte del lettore. In genere, si preferisce evitare confronti con la

letteratura ed esporre i dati in maniera diretta, senza commenti.

La Discussione rappresenta la parte in cui l’autore effettua l’interpretazione dei risultati

ottenuti. Ciò significa chiarire come gli esiti della ricerca si inseriscono nel quadro generale della

teoria sul tema e stabilire le relazioni tra quanto ottenuto dal proprio studio e gli studi precedenti.

Vanno evidenziati gli elementi innovativi e di originalità che si sono rilevati e le prospettive future

che questi aprono per la ricerca. Infine, vanno esposte le criticità e le eventuali ambiguità della

ricerca e avanzate ipotesi su come possano venire superate in futuro.

La parte dei Riferimenti Bibliografici è l’ultima sezione del rapporto e contiene l’elenco di

tutte le opere citate all’interno del testo. Ha l'obiettivo di connettere la ricerca in questione con il

resto della letteratura precedente sull’argomento. Per potersi dire stesa in modo corretto, deve

poter consentire al lettore di rintracciare i riferimenti teorici che hanno guidato la ricerca, in modo

da poter seguire la logica che la caratterizza. Inoltre, deve permettere al lettore di ricercare e

consultare le fonti che lo hanno interessato di più.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

4. Documentare il proprio lavoro

Quando si lavora alla stesura di un testo scientifico, è necessario che il proprio lavoro sia

documentato minuziosamente, confrontando le proprie ipotesi con quelle di altri studiosi e

raccogliendo più materiale possibile inerente al tema trattato. Le citazioni bibliografiche all’interno

di un rapporto di ricerca consentono di esporre e precisare il background teorico dal quale sono

scaturite le ipotesi del lavoro, oltre che indicare dove è possibile reperire ulteriori informazioni sulla

teoria, sui metodi e i dati che si trattano. Ma servono anche allo scopo di specificare quali

contenuti siano originali e quali tratti da altri autori 6.

Anche in questo caso, bisogna fare riferimento alle norme APA che nel corso degli anni ha

elaborato delle indicazioni precise per la compilazione delle bibliografie.

In sintesi, all’interno di un testo scientifico le citazioni possono assolvere a tre diverse funzioni:

● possono servire a analizzare ed interpretare uno scritto altrui;

● possono essere impiegati a sostegno delle proprie asserzioni, avvalorando le ipotesi di

lavoro;

● possono riconoscere che le proprie idee si basano sul lavoro altri, riconoscendo l’influenza

di altri colleghi.

È possibile distinguere due diversi tipi di citazioni: diretta e indiretta. La citazione diretta

riporta le parole utilizzate dall’autore in maniera letterale e va evidenziata attraverso l’uso delle

virgolette, di un carattere diverso o apportando un rientro del testo. La riproposizione del brano

deve essere fedele, ogni modifica (omissioni, aggiunte, interpolazioni) va posta all’interno di

parentesi quadre. In questo caso nella nota bibliografica va inserito anche il numero della pagina

da cui è stata tratta la frase, per dare tutte le informazioni necessarie a rintracciare l’originale.

Nella citazione indiretta invece è riportato il pensiero dell’autore in maniera riformulata, a

parole proprie, lasciando, però, comunque inalterato il senso del contenuto a cui si fa riferimento.

6 Pavolini, G., & Bonino, S. (1993). Ricercare fra i libri: suggerimenti per la tesi di laurea e la ricerca bibliografica. F. Angeli.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

Anche in questo caso va segnalato autore e anno di pubblicazione. Secondo le norme

dell’APA, l’autore e la fonte a cui si fa riferimento devono sempre essere riconoscibili in modo

chiaro. Perciò vanno inseriti nel testo il cognome dell’autore e la data di pubblicazione del

materiale di riferimento. Successivamente, nella sezione Riferimenti bibliografici, il riferimento deve

essere ampliato, precisando il titolo per intero dell’opera da cui è tratta la citazione, la città in cui è

stata pubblicata e la casa editrice o la rivista su cui è apparsa. Questo sistema viene detto autore-

data e prevede che ci sia una corrispondenza esatta tra la citazione nel testo e i relativi riferimenti

all’interno della bibliografia.

Adesso vediamo più nel dettaglio le norme generali tratte dalle indicazioni APA riguardo le

citazioni. Riguardo le citazioni indirette, nel caso in cui il cognome dell’autore compaia all’interno

del testo, va posta tra parentesi solo la data della pubblicazione affianco al nome. Se il cognome

dell’autore, invece, non è compreso nel discorso, va scritto tra parentesi il cognome dell’autore

seguito dalla virgola e poi dalla data di pubblicazione. Il terzo caso è che nel testo siano presenti

sia il nome che la data, allora non va posto niente tra parentesi. Se lo stesso lavoro viene citato più

volte all’interno dello stesso paragrafo, non è necessario ripetere la data, ma basta solo il

cognome tra parentesi, almeno che non ci sia il rischio di confusione con altri lavori.

Riguardo la citazione diretta, il testo riportato va posto tra virgolette e nella citazione va

specificato il numero della pagina (“p.”) o delle pagine (“pp.”). Nel caso la citazione sia più lunga

di 40 parole, è bene differenziarla: o scrivendola in un carattere più piccolo o diverso, o inserendo

un rientro rispetto al resto del testo.

Nel caso il lavoro sia scritto da due autori, questi vanno riportati entrambi. Se i nomi degli

autori sono riportati nel testo come parte del discorso, vanno uniti dalla congiunzione “e” e poi

specificata la data tra parentesi. Se i nomi non compaiono nel discorso vanno posti tra parentesi e

separati dal carattere “&”.

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Filippo Petruccelli - Come scrivere un rapporto di ricerca

Nel caso di lavori con tre o più autori si può citare il cognome del primo autore seguito da

“et al.” solo a condizione che ciò non possa generare confusione tra il lavoro in questione e altri

lavori. Quando si vogliono citare due o più lavori, questi vanno riportati in ordine alfabetico e

separati uno dall’altro dal “;”. Nel caso si citino più opere dello stesso autore, il cognome va scritto

solo una volta all’inizio e poi vanno riportate le date dei lavori in ordine cronologico e separate

dalla virgola. Se si vogliono citare due o più lavori di un autore pubblicati nello stesso anno, la data

deve essere seguita dalle lettere alfabetiche “a, b, c…” in ordine progressivo.

Nell’ultima sezione del testo, cioè la bibliografia, l’elenco delle fonti bibliografiche deve

comprendere una voce per ciascuna opera citata all’interno del testo. Nel testo non devono

essere presenti citazioni che non abbiano una corrispondente voce all’interno della bibliografia e

viceversa. Ogni voce della bibliografia è costituita da tre parti: autore/i, titolo, dati di

pubblicazione. In caso vengano citati dei libri, vanno specificati nella citazione la casa editrice e il

luogo di edizione, che corrisponde alla sede legale della casa editrice.

Inserire le citazioni e redigere una bibliografia in maniera accurata è di grande importanza

perché sia possibile consultare il lavoro in maniera esaustiva da parte del lettore, che in questo

modo può disporre di tutti i riferimenti. Inoltre, permette di collocare il lavoro all’interno della

letteratura scientifica, individuando gli approcci e gli orientamenti teorici che lo hanno ispirato tra

tutti quelli esistenti. Questo è fondamentale in un lavoro sociale e di comunità, come quello della

ricerca scientifica, basato sulla condivisione e la comunicabilità.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione delle capacità cognitive

1. Osservare e valutare le capacità cognitive

L’intelligenza è una competenza complessa, con dimensioni sociali, emotive e pratiche,

che consente di eseguire operazioni mentali sofisticate, elaborando, integrando e organizzando i

dati per comprenderli, pianificare un’azione, prendere una decisione, relazionarsi con la realtà e

con gli altri in diversi contesti 1.

Lo studio delle capacità cognitive nei bambini può avvenire attraverso la somministrazione

di test di intelligenza oppure attraverso procedure osservative.

In questa sede verranno presentati due diversi contributi: il primo, fondato sulla teoria di Piaget,

consiste in scale di valutazione standardizzate dell’intelligenza senso-motoria; il secondo propone

una codifica delle attività che i bambini svolgono in contesti educativi, in modo da trarre inferenze

sulle capacità cognitive.

L’interesse per lo studio delle capacità cognitive nasce nei primi anni’90 con l’esigenza di

individuare i bambini che potevano beneficiare di interventi educativi speciali nelle scuole. Il primo

test di intelligenza venne introdotto da Alfred Binet nel 1905, con l’intento di distinguere i bambini

con livelli intellettivi nella norma da quelli con disabilità intellettiva. Utilizzando prove di rendimento

in relazione all’età, egli distinse l’età cronologica dall’età mentale (ovvero l’età a cui corrisponde

la prestazione di un bambino confrontata con quella di un campione normativo).

L’intelligenza concettualizzata da Binet si riferiva ad una dimensione unitaria e globale, definita in

termini di processo. Attualmente, i diversi orientamenti teorici sembrano propendere per una

concezione multifattoriale.

Un approccio diverso allo studio delle capacità cognitive è quello adottato da Uzgiris e

Hunt 2 i quali, rifacendosi alla teoria di Piaget, ritengono l’intelligenza un insieme di capacità che

evolvono progressivamente in base al livello di sviluppo.

1 Hammill, D. D., Pearson, N. A., & Wiederholt, J. L. (1998). Test TINV. Test di intelligenza non verbale (Vol. 19). Edizioni Erickson.
2 Uzgiris, I. C., & Hunt, J. (1975). Assessment in infancy: Ordinal scales of psychological development.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione delle capacità cognitive

Gli stadi di sviluppo dell’intelligenza sensomotoria secondo Piaget sono i seguenti:

- 0-1 mese: gli schemi riflessi. Il bambino crede di creare il mondo intorno a sé, per cui la

relazione con l’ambiente avviene attraverso schemi riflessi.

- 2-4 mesi: le reazioni circolari primarie. L’assimilazione delle informazioni sugli oggetti

permette di avviare le reazioni circolari primarie, attraverso la coordinazione del riflesso con

un altro schema, con l’obiettivo di creare un’attività che viene ripetuta per il piacere di

farlo.

- 4-8 mesi: le reazioni circolari secondarie. Il bambino comincia ad analizzare le conseguenze

delle sue azioni: compare, quindi, una causalità primitiva.

- 8-12 mesi: la coordinazione delle reazioni circolari secondarie. Il bambino comincia a

organizzare azioni dirette verso uno scopo. Inizia anche l’oggettivazione dello spazio e del

tempo.

- 12-18 mesi: le reazioni circolari terziarie. Compare la causalità oggettiva: oggetti, persone,

spazio e tempo esistono indipendentemente dal bambino.

- 18-24 mesi: la rappresentazione. Compaiono l’imitazione differita, il gioco simbolico e il

linguaggio.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione delle capacità cognitive

2. Scale ordinali dello sviluppo sensomotorio di Uzgiris


e Hunt

Partendo dagli stadi di Piaget, le Scale ordinali dello sviluppo sensomotorio di Uzgiris e Hunt

si pongono l’obiettivo di indagare le influenze ambientali sullo sviluppo del bambino, dalla nascita

fino ai due anni di vita. Il presupposto di base è stato quello di individuare una misura alternativa

all’approccio psicometrico tradizionale. Le caratteristiche principali delle Scale Uzgiris-Hunt sono:

• La valutazione della prestazione cognitiva all’interno di una cornice teorica ben delineata:

lo stadio sensomotorio di Piaget.

• L’assunto di base che la competenza è formata dall’organizzazione gerarchica di funzioni

indipendenti;

• Gli item di comportamento osservabile in situazioni specifiche sono stati inclusi delle Scale

per la valutazione delle capacità via via raggiunte dal bambino.

Questa procedura è composta da sei diverse scale: Scala dell’inseguimento visivo e della

permanenza dell’oggetto; Scala delle relazioni mezzi-fini; Scala dell’imitazione vocale e

dell’imitazione gestuale; Scala della causalità operazionale; Scala delle relazioni spaziali tra gli

oggetti; Scala degli schemi sensomotori.

Ognuna di queste scale è formata da item che permettono di misurare la capacità del bambino

in quel dominio specifico.

Secondo gli autori, inoltre, lo sviluppo procede secondo una sequenza ordinale: i

comportamenti del bambino mostrano livelli crescenti di complessità in relazione a differenti livelli

di organizzazione dei processi cognitivi. In quest’ottica, una tappa dello sviluppo non può essere

raggiunta se non sono state raggiunte le tappe precedenti. Il concetto di tappa serve per

operazionalizzare i comportamenti; infatti, ogni item è stato costruito con l’obiettivo di selezionare i

comportamenti considerati indicativi delle tappe di sviluppo.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione delle capacità cognitive

Per Piaget il concetto di stadio si riferisce ad un’organizzazione qualitativamente diversa

rispetto alla precedente che investe tutto lo sviluppo del pensiero; al contrario, le tappe indicano i

diversi livelli di sviluppo all’interno di quel particolare dominio.

Tab. 1. Denominazione delle sei Scale ordinali dello sviluppo sensomotorio di Uzgiris e Hunt e numero di item e

tappe dello sviluppo che le compongono.

Come si può osservare dalla tabella, ogni Scala è composta da un numero di item e

prevede un numero diverso di tappe.

Poiché le Scale non dispongono di un manuale normativo, la somministrazione avviene a

partire dalle indicazioni presenti nei volumi 34. Le Scale vengono presentate singolarmente con le

informazioni sulla somministrazione, sulla collocazione del bambino (sdraiato, seduto, ecc…), sul

materiale da utilizzare. Per ogni item vengono descritti anche i possibili comportamenti messi in atto

dal bambino. La durata dell’osservazione è di circa un’ora, ma è possibile suddividere la seduta in

due parti in modo da favorire la cooperazione del bambino. Nella somministrazione occorre tenere

presente alcune raccomandazioni:

1. Con i bambini molto piccoli, la procedura può essere effettuata solo in caso di completa

cooperazione. Dunque, è importante prestare attenzione a variabili come la fame, la sete, la

stanchezza.

3 Uzgiris, I. C., & Hunt, J. (1975). Assessment in infancy: Ordinal scales of psychological development.
4 Vinter, A., Cipriani, P., & Bruni, G. (1993). Sviluppo Sensomotorio nel Bambino: Un Contributo alla Standardizzazione delle
Scale di Sviluppo di Uzgiris-Hunt. Firenze: La Nuova Italia.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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2. L’esaminatore deve socializzare con il bambino in modo da ridurne la preoccupazione nel

trovarsi in una stanza con un estraneo.

3. Per favorire la cooperazione è preferibile effettuare la somministrazione nella casa del bambino

oppure in una stanza dove egli possa muoversi liberamente senza distrazioni.

4. Le Scale non devono essere necessariamente presentate in una sola seduta: è importante che

il bambino possa intraprendere l’attività di gioco di sua iniziativa. Se, in una particolare

situazione, il bambino non coopera è possibile proporre un’attività differente.

5. Ogni situazione è associata alla presenza di giocattoli differenti, ma è possibile sostituirli nel

caso in cui il bambino non mostri un particolare interesse.

Esempio di item della Scala I: Scala dell’inseguimento visivo e della permanenza

dell’oggetto.

Item 4: trovare un oggetto completamente nascosto.

Oggetto: può essere utilizzato qualsiasi oggetto che possa essere completamente coperto.

Istruzioni: l’esaminatore porge l’oggetto al bambino e lo riprende, nascondendolo completamente

sotto lo schermo. Per attribuire al bambino la risposta superiore (4) è necessario verificare che le

manipolazioni dello schermo siano dirette alla ricerca dell’oggetto.

Azioni del bambino: 1. Perde interesse per l’oggetto; 2. Reagisce alla perdita dell’oggetto, ma non

cerca di ottenerlo da sotto lo schermo; 3. Tira lo schermo ma non abbastanza da scoprire

l’oggetto; 4. Tira via lo schermo e ottiene l’oggetto 5.

Gli item possono essere ripetuti più volte: dalla ripetizione si ottengono indicazioni circa la

stabilità della tappa acquisita dal bambino.

5 Aureli, T., & Perucchini, P. (2014). Osservare e valutare il comportamento del bambino. Il mulino.

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Per fare in modo che la somministrazione non duri troppo a lungo, gli autori propongono

due criteri per la ripetizione degli item:

• Non vanno ripetuti gli item considerati “facili”, ovvero quelli per i quali il bambino produce

un comportamento ben identificabile;

• Quando gli item sono vicini al livello previsto per il bambino si possono effettuare due

presentazioni successive dello stesso idem; nell’ipotesi che il bambino modifichi la sua

risposta nelle due presentazioni, l’item potrà essere ripetuto altre volte per valutare la

stabilità della risposta.

Le scale possono, inoltre, essere somministrate nell’ordine preferito dall’osservatore: per ogni

scala è possibile somministrare tutti gli item oppure solo una parte. L’acquisizione di una capacità

può essere inferita dalla padronanza del bambino in uno specifico compito. Gli autori consigliano

di utilizzare le Scale a partire dagli item corrispondenti alle tappe che sono presenti nel 100% del

campione normativo. Nei casi in cui, a causa di particolari patologie o complesse situazioni

ambientali, l’osservatore ritenga che gli item possano non avere effetto, può utilizzare situazioni-

stimolo alternative. In ogni caso, compito dello sperimentatore è quello di registrare tutti gli item

che ha somministrato, il numero di volte che sono stati somministrati e i comportamenti prodotti dal

bambino.

Una volta somministrato lo strumento e registrate tutte le informazioni utili, è possibile

procedere con l’attribuzione delle tappe di sviluppo. A tale scopo è possibile utilizzare la tabella

presente nel volume 6. Il punteggio ottenuto dal bambino dovrà essere confrontato con quello di

un campione normativo: ogni scala, infatti, contiene la distribuzione in centili delle tappe di

sviluppo in relazione alle diverse età.

6 Vinter, A., Cipriani, P., & Bruni, G. (1993). Sviluppo Sensomotorio nel Bambino: Un Contributo alla Standardizzazione delle
Scale di Sviluppo di Uzgiris-Hunt. Firenze: La Nuova Italia.

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Il confronto può avvenire in due modi:

• Confrontando l’età in cui compare nel 50° centile del campione normativo la tappa

acquisita dal bambino in osservazione, e confrontarla con la sua età cronologica;

questo primo metodo permette di confrontare l’età di sviluppo del bambino con un

campione normativo.

• Prendendo come riferimento l’età cronologica del bambino in osservazione e

verificando a quale centile corrisponde la tappa da lui acquisita; questo secondo

metodo permette di individuare la collocazione del bambino nella distribuzione in

centili dei dati normativi.

Come già accennato, una volta terminata la somministrazione e la registrazione, è possibile

individuare lo stadio di sviluppo per ciascuna scala.

Gli autori ritengono molto importante fornire una valutazione globale del bambino. A tale

scopo, è possibile utilizzare tre tipi di informazioni:

1. Una descrizione qualitativa del comportamento del bambino in ognuna delle dimensioni

indagate dalle Scale: questo tipo di informazione permette una conoscenza del bambino

e dei suoi comportamenti, anche in un’ottica di interventi riabilitativi in caso di ritardo nello

sviluppo.

2. Una valutazione del livello di sviluppo del bambino in ciascuna scala espressa in tappe:

questa valutazione consente di individuare il livello di sviluppo del bambino confrontato

con quello del campione normativo di riferimento.

3. Una valutazione del livello di sviluppo del bambino in ciascuna scala espressa in stadi:

questa valutazione si rifà alla teoria di Piaget e permette una valutazione globale dello

stadio di sviluppo sensomotorio.

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Gli studi che hanno utilizzato queste Scale di osservazione hanno consentito di verificare il

grado di accordo tra giudici indipendenti, la stabilità tra le rilevazioni effettuate a distanza e la

validità dello strumento. I risultati delle analisi, infatti, hanno verificato la natura ordinale delle

tappe incluse in ciascuna scala.

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3. Schema di codifica dell’attività del bambino in un


contesto educativo

Un approccio differente allo studio delle capacità cognitive nei bambini è quello che

propone una codifica delle attività che questi svolgono in contesti educativi. L’obiettivo è quello di

dotare l’educatore di competenze specifiche di osservazione che lo rendano un soggetto attivo

nell’agire educativo.

Lo schema di codifica delle attività del bambino nel contesto educativo consente di

individuare in modo accurato le attività dei bambini in modo da produrre inferenze su tre aspetti: il

clima sociale, il linguaggio e il livello cognitivo 7.

Per una corretta valutazione occorre che l’osservazione duri almeno 20 minuti in un

contesto dove il bambino è impegnato in attività. Occorre, inoltre, che venga rispettato lo stesso

orario per tutti i bambini in modo da ridurre le inferenze dovute al momento della giornata.

La registrazione dei comportamenti – e la successiva codifica – possono avvalersi di un’apposita

scheda che specifica il nome del bambino, l’età, la data e l’ora dell’osservazione e tutti i

comportamenti messi in atto dal bambino nell’arco temporale di un minuto.

L’osservatore dovrà riportare in colonne diverse le attività (ciò che il bambino fa) e il

linguaggio (ciò che dice e a chi lo dice). La seconda parte della scheda, relativa alla codifica, è

composta da tre colonne: attività e livello cognitivo, linguaggio, clima sociale (attività solitaria,

gruppo diadico, gruppo triadico, grande gruppo). Data l’importanza dell’accuratezza della

registrazione, l’osservatore dovrà essere addestrato a selezionare tutti i comportamenti. È anche

importante che i diversi osservatori raggiungano un grado di accordo: a tale scopo,

l’addestramento può avvenire coinvolgendo diversi giudici nella trascrizione di una stessa

osservazione, per poi confrontarsi sulle differenze riscontrate e giungere ad un accordo condiviso.

7 Camaioni, L., Bascetta, C., & Aureli, T. (2001). L’osservazione del bambino nel contesto educativo. Milano: Il Mulino.

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Tab 2. Scheda guida per registrare le osservazioni.

Tra le attività possiamo trovare, ad esempio, la Manipolazione di oggetti, il Gioco simbolico,

i Giochi sociali spontanei, l’Interazione non strutturata, Attività di lettura, scrittura e calcolo, ecc.

La valutazione del livello cognitivo avviene sulla base dei comportamenti che rientrano

nelle categorie riferite alle attività educative; può essere definito alto (A), medio (M) oppure basso

(B). Un livello cognitivo alto, ad esempio, presuppone che il bambino pianifichi un’attività e la

svolga in modo accurato, mantenendo alta la concentrazione. Il punteggio del livello cognitivo

varia a seconda delle diverse attività: alcune attività sembrerebbero presentarsi prevalentemente

a livello cognitivo alto come, per esempio, le attività di Lettura, Scrittura e Calcolo, mentre altre

prevalentemente a livello cognitivo basso (ad esempio, l’Interazione non strutturata).

Questo schema di codifica può essere utilizzato da tutti gli operatori nel campo educativo

prescolare (educatori, insegnanti, psicologi, pedagogisti, ecc…). Oltre a permettere la valutazione

delle capacità cognitive, del singolo e del gruppo classe, può essere utile ad introdurre particolari

progetti educativi.

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In conclusione, lo Schema presentato offre una varietà di possibili applicazioni. Oltre alla

valutazione delle capacità cognitive messe in atto nei compiti, permette di calcolare la quantità

di tempo che ciascun bambino impiega nelle attività, nonché il livello cognitivo relativo ai diversi

tipi di attività. Inoltre, ogni bambino presenta un proprio stile cognitivo: è possibile che utilizzi livelli

alti o livelli bassi a seconda del tipo di attività. Infine, lo strumento permette di valutare l’evoluzione

del livello cognitivo del bambino nel tempo.

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1. Lo sviluppo comunicativo e linguistico

Il presente contributo si propone di analizzare i comportamenti comunicativi e linguistici dei

bambini in relazione alle diverse fasi di sviluppo. In particolare, verranno presentati due diversi

contributi: il primo riguarda un questionario standardizzato che permette di valutare lo sviluppo del

linguaggio nel secondo anno di vita del bambino; il secondo consiste in uno schema di codifica

del linguaggio di insegnanti e bambini della scuola primaria.

Il linguaggio è un sistema di segni associati a significati che permette di partecipare alle

interazioni sociali e di conoscere la realtà. Nelle primissime fasi dello sviluppo il bambino si esprime,

dapprima, tramite vocalizzi; nel secondo anno di vita inizia a pronunciare le parole e, infine, a

partire dai tre anni impara a utilizzare il linguaggio in funzione dell’interlocutore e della situazione

specifica in cui si trova. Essendo il linguaggio una tappa essenziale nello sviluppo psicologico del

bambino, eventuali ritardi in questo ambito sono spesso motivo di consultazione in età prescolare.

L’acquisizione del linguaggio si inserisce nel più ampio contesto della capacità comunicativa, che

può essere descritta in quattro fasi: 1

- Fase della comunicazione preintenzionale (0-9 mesi): sebbene il bambino non sia ancora in

grado di comunicare con intenzionalità, si esprime con le figure che si prendono cura di lui

attraverso vocalizzazioni, lallazione canonica e attenzione condivisa.

- Fase della comunicazione intenzionale (9-12 mesi): in questa fase il bambino comprende

che i suoi segnali hanno delle conseguenze sull’ambiente circostante e comincia a utilizzarli

in funzione dei propri obiettivi. Compaiono i gesti comunicativi deittici (come indicare con il

dito), i gesti comunicativi referenziali (come il gesto di salutare con la mano) e si inizia a

manifestare una prima comprensione del linguaggio.

1 Camaioni, L., Aureli, T., & Perucchini, P. (2004). Osservare e valutare il comportamento infantile. Il mulino.

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- Fase del primo linguaggio (12-20): il bambino diventa consapevole che ogni oggetto può

essere nominato e comincia a produrre parole. Questa fase è caratterizzata dal fenomeno

definito esplosione del vocabolario, che indica la velocità con cui il bambino acquisisce

una molteplicità di nuove parole.

- Fase dello sviluppo morfologico-sintattico (20-36 mesi): il bambino capisce che le parole

possono essere combinate per produrre delle frasi. Si presentano, in questa fase, le prime

capacità morfosintattiche.

Lo sviluppo del linguaggio si completa nel quarto anno di vita, quando il bambino impara a

utilizzarlo in funzione dell’interlocutore e della situazione. Un esempio è il contesto scolastico: a

differenza di quello familiare, qui il bambino deve imparare una nuova competenza importante, la

presa di turno. L’alternanza dei turni, che in famiglia avviene in modo spontaneo e senza il ricorso a

regole esplicite, a scuola viene invece regolata dall’insegnante. In questo modo il bambino

impara che, per poter prendere la parola, occorre alzare la mano e adeguare il proprio linguaggio

a regole implicite o esplicite tipiche del contesto scolastico.

La maggior parte dei bambini apprende il linguaggio in modo spontaneo, anche in assenza di

insegnamento formale. Tuttavia, circa il 10% della popolazione infantile presenta difficoltà che, pur

non essendo riconducibili a una patologia specifica, possono compromettere il percorso

scolastico. In quest’ottica, l’utilizzo di strumenti standardizzati è fondamentale per identificare

precocemente le difficoltà dello sviluppo e impostare un intervento riabilitativo.

Nel corso degli anni il metodo d’elezione per lo studio dello sviluppo linguistico nei bambini

è stata l’osservazione in contesti naturali, che ha permesso di descrivere in modo dettagliato le

varie fasi dello sviluppo. Tuttavia, nel caso di un campione molto grande, non è possibile applicare

questa metodologia e generalizzarne i risultati. Per questa ragione le procedure osservative si sono

perfezionate anche grazie all’utilizzo del videoregistratore, degli schemi di codifica, di strumenti

indiretti di indagine e di contesti più strutturati.

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Queste acquisizioni hanno permesso di indagare lo sviluppo comunicativo e linguistico nei

bambini attraverso un confronto con un campione normativo. In ogni caso, i diversi metodi di

indagine devono essere adattati in funzione dell’età del bambino e della dimensione specifica

che si vuole indagare: per bambini molto piccoli è preferibile strutturare l’osservazione in un

contesto di gioco o di routine, anche in presenza dei genitori. La seduta verrà videoregistrata e

sottoposta ad analisi per una valutazione qualitativa. Un altro metodo di indagine consiste nel

somministrare questionari o interviste direttamente ai genitori: questo permette una valutazione,

oltre che qualitativa, anche quantitativa. A partire dai tre anni possono essere utilizzate procedure

standardizzate: il bambino, infatti, è abbastanza grande per collaborare attivamente alle richieste

dello sperimentatore.

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2. Questionario sullo sviluppo comunicativo e


linguistico nel secondo anno di vita (QSCL)

Lo strumento, ideato da Camaioni e colleghi nel 1992 2 permette di valutare lo sviluppo

comunicativo e linguistico del bambino attraverso le informazioni fornite dai genitori e dagli altri

adulti di riferimento. La letteratura evidenzia, infatti, come genitori, educatori o chiunque altro si

occupi quotidianamente del bambino rappresenti una fonte attendibile di informazioni su quelli

che sono i comportamenti comunicativi (motori, vocali e gestuali) e linguistici (parole e frasi) 3. Il

questionario può essere somministrato nel periodo che va dai 12 ai 20 mesi di età, ovvero dalla

comparsa della comunicazione intenzionale fino allo stadio della combinazione di parole. Le

condizioni di base per la somministrazione sono le seguenti:

- I comportamenti del bambino che vengono riferiti devono essere quelli attualmente

presenti e osservabili;

- Per quanto riguarda i comportamenti emergenti, devono essere poste domande relative in

modo da permetterne la quantificazione.

Queste condizioni sono necessarie affinché non venga sovrastimato o sottostimato il livello

di sviluppo del bambino. Occorrerà, pertanto, limitarsi a descrivere ciò che il bambino fa in un

determinato momento di vita. Inoltre, lo strumento è composto da domande chiuse e risposte

strutturate in modo da limitare le interpretazioni personali: viene presentata una lista di

comportamenti e il genitore o l’educatore si devono limitare a indicare quelli esibiti dal bambino.

2 Camaioni, L., Volterra, V., Luchenti, S., & Caselli, M. C. (1992). Questionario sullo sviluppo comunicativo e linguistico nel
secondo anno di vita: manuale. Organizzazioni Speciali.
3 Bates, E., Bretherton, I., & Snyder, L. (1988). Acquisition of a novel concept at 20 months. From First Words to Grammar:
Individual Differences and Dissociable Mechanisms, 124-134.

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L’ideazione di questo strumento ha origine da studi scientifici che hanno evidenziato due

aspetti importanti nello sviluppo comunicativo e linguistico:

- Il contesto sociale svolge un ruolo fondamentale nella produzione comunicativa;

- I contesti maggiormente adibiti alla comunicazione sono quelli di routine e quelli di gioco.

La cornice teorica è quella interattivo-cognitivista, che evidenzia la correlazione tra

sviluppo linguistico e sviluppo cognitivo, pone enfasi sulle influenze ambientali e inserisce lo sviluppo

linguistico all’interno della più ampia competenza comunicativa 45.

Gli ambiti applicativi di maggiore interesse sono quello diagnostico - clinico e quello di ricerca. Nel

primo caso è importante valutare lo sviluppo comunicativo e linguistico nei bambini che sono stati

segnalati ai servizi specialistici, ma anche per uno screening delle popolazioni a rischio (prematura,

dismaturi, con basso peso alla nascita) o, ancora, per uno screening a scopo preventivo.

Nell’ambito della ricerca, invece, può essere utile valutare il livello di sviluppo comunicativo e

linguistico per confrontarlo con altri aspetti dello sviluppo oppure per un confronto con un

campione normativo.

4 Camaioni, L., & Di Blasio, P. (2002). Psicologia dello sviluppo. Il mulino.


5 D'Amico, S., & Devescovi, A. (2013). Comunicazione e linguaggio nei bambini. Carocci.

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3. Struttura, somministrazione e codifica del


questionario

Il QSCL presenta un manuale di descrizione dello strumento con le istruzioni per la

somministrazione e la codifica. Come già accennato, sono previsti una serie di comportamenti che

possono essere esibiti o meno dal bambino e il genitore o l’educatore devono indicare quelli

presenti. È possibile somministrare lo strumento in tre diversi momenti: a 12 mesi, a 16 mesi e a 20

mesi. Per le prime due rilevazioni si utilizza la Forma I, mentre a 20 mesi si utilizza la Forma II. I

comportamenti che il bambino può produrre si riferiscono a sei specifici contesti di vita quotidiana,

definiti dai seguenti interrogativi:

1) Cosa fa il bambino quando ha fame?

2) Cosa fa il bambino quando vuole uscire di casa?

3) Come si comporta il bambino quando vuole un giocattolo?

4) In assenza della persona preferita, cosa fa il bambino per richiamarla?

5) Quando guardate/leggete insieme un libro, cosa fa il bambino?

6) Quando giocate insieme a cucù-settete, cosa fa il bambino?

Per ognuna di queste domande vengono specificati i comportamenti, sia di tipo motorio

che vocale e linguistico. Oltre ad indicare il comportamento prodotto, è opportuno che il

compilatore ne indichi anche la frequenza: mai, qualche volta, sempre. In entrambe le versioni è

presente sia una lista di parole che una lista di gesti: la prima comprende i termini che

maggiormente i bambini utilizzando quando imparano a parlare; la seconda si riferisce ai gesti

referenziali o simbolici che il bambino può utilizzare (ad esempio, fare ciao con la mano). La Forma

I, dato che viene utilizzata con bambini più piccoli, prevede anche una lista delle abilità motorie. È

opportuno che il compilatore osservi attentamente, per un periodo di tempo, il bambino nei diversi

contesti di gioco o routine. Con l’obiettivo di migliorare la validità dell’osservazione, quindi, il

questionario viene consegnato al compilatore circa dieci giorni prima.

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La codifica dei risultati avviene distinguendo i comportamenti rilevati in nove categorie, più

il numero dei gesti e il numero delle parole. Nel caso della Forma I, si codificherà anche la variabile

abilità motorie. Ad ogni item del questionario si attribuisce un punteggio, dato dalla frequenza con

cui si presenta quello specifico comportamento. Riportiamo di seguito le categorie: Pianto (P),

Ricorso all’adulto (A), Comportamento solitario (S), Indicazione (I), Gesti referenziali (G), Vocalizzi

(V), Parole (L), Indicazione + Parola (IL), Frasi (F), Numero gesti referenziali (NG), Numero parole

(NP), Abilità motorie (MOT). I punteggi ricavati dalla codifica sono punteggi grezzi, che possono

essere utilizzati per valutare il livello di sviluppo comunicativo e linguistico. Se si vogliono confrontare

i punteggi ottenuti con quelli di un campione normativo, occorre trasformarli in punteggi

standardizzati. Inoltre, nel caso di bambini considerati “a rischio”, si raccomanda di somministrare

nuovamente il questionario a distanza di un mese. Nel caso in cui anche la seconda

somministrazione evidenzi un profilo a rischio, si procederà con ulteriori accertamenti.

La validità e l’attendibilità dello strumento sono state confermate da numerosi studi: il QSCL

ha mostrato di rilevare l’andamento effettivo dello sviluppo comunicativo e linguistico; inoltre,

l’attendibilità è stata dimostrata dalla concordanza delle osservazioni sia da parte del genitore o

educatore, sia da parte del giudice indipendente. A partire dalla pubblicazione, lo strumento è

stato impiegato sia in ambito clinico-diagnostico che in ambito di ricerca. Nel primo caso viene

utilizzato all’interno di una batteria per una valutazione psicodiagnostica, sia nei dipartimenti di

neuropsichiatria infantile, sia nei servizi materno-infantili. Un altro ambito di applicazione è stato

quello dello screening preventivo 6: nel 1998 il Comune di Roma ha commissionato un progetto per

l’individuazione precoce di problemi nel linguaggio e, tra gli strumenti utilizzati, è stato incluso il

QSCL in entrambe le forme.

6 Capirci, O., & Caselli, M. C. (2002). Giochiamo a parlare: osservare e promuovere lo sviluppo comunicativo e linguistico
nella prima infanzia. MC Caselli e O. Capirci (a cura di), Indici di rischio nel primo sviluppo del linguaggio. Ricerca, clinica,
educazione. Milano: Franco Angeli.

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Per quanto riguarda l’ambito della ricerca, lo strumento è stato utilizzato per valutare il

livello di sviluppo in bambini inclusi in un campione oppure a selezionare bambini con specifici livelli

di sviluppo. In altri casi, il livello di sviluppo comunicativo e linguistico è servito per metterlo in

relazione con altre capacità.

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4. Schema di codifica delle conversazioni in classe

Il linguaggio e la comunicazione vengono utilizzati dal bambino prevalentemente

all’interno del contesto scolastico-educativo. Partendo da questo presupposto, l’analisi delle

conversazioni tra insegnanti e alunni può consentire una valutazione accurata dello sviluppo

comunicativo e linguistico e della capacità del bambino di adattare l’uso del linguaggio alla

situazione specifica.

Alcuni autori hanno ideato uno strumento di codifica delle conversazioni in classe partendo

dal concetto di base di routine, ovvero attività e situazioni che si presentano allo stesso modo e

che permettono la condivisione dei significati e l’interpretazione dei comportamenti. La routine,

essendo parte delle organizzazioni didattiche, permette a tutti di conoscere il proprio ruolo, le

attività da svolgere, le possibili reazioni altrui. In questo senso lo scambio comunicativo può essere

considerato prevedibile e controllato 7.

Attraverso numerose analisi di videoregistrazioni delle conversazioni in classe, gli autori

hanno individuato una serie di categorie riferite a specifici interventi di insegnanti e bambini nel

corso dell’attività didattica.

Gli interventi comunicativi possono essere distinti in due categorie:

- Routine: le routine sono scambi di turni nei quali la conversazione è prevedibile sulla base di

una risposta specifica dell’alunno o dell’insegnante; le routine educative vengono utilizzate

per l’apprendimento, quelle organizzative forniscono le regole generali su come regolare la

conversazione in classe.

- Interventi semplici: non prevedono necessariamente una risposta da parte

dell’interlocutore.

7 Selleri, P., & Santarcangelo, B. (2001). L'analisi delle routine conversazionali ed organizzative come strumento di
osservazione del clima di classe. Rassegna di psicologia.

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Le routine educative possono essere di quattro tipi: 1) Domanda ambigua, dove

l’insegnante propone un’attività senza fornire indicazioni specifiche; 2) Suggerimento allusivo, dove

l’insegnante fornisce indizi su come procedere; 3) Scomposizione in sottoparti, operata

dall’insegnante per facilitare il compito; 4) Domanda con risposta implicita, ovvero una domanda

che contiene già al suo interno una risposta.

Le routine organizzative presentano anch’esse quattro categorie distinte: 1) Assegnazione

del turno; 2) Contributo atteso, che consiste nell’assegnare il turno ad un bambino facendo sì che

l’attenzione sia diretta al suo contributo; 3) Partecipazione, ossia l’assegnazione del turno in modo

indiretto; 4) Contributo ignorato, quando viene ignorato l’intervento di un bambino.

Per quanto concerne gli interventi semplici, occorre distinguere tra quelli dell’insegnante e

quelli degli alunni. I primi possono riguardare, ad esempio, le istruzioni sul compito, le valutazioni

positive o negative di un intervento, il controllo della condotta. Gli interventi dei bambini possono

essere di turno non sollecitato, di richiesta di aiuto, di risposta o di mancata risposta.

L’osservatore, nella raccolta dei dati, può avvalersi di carta e matita oppure di

videoregistrazioni, ma in ogni caso occorre che sia stato precedentemente addestrato. Per

migliorare la validità dell’osservazione è possibile presentarlo come un insegnante o uno studente

interessato all’attività scolastica. In ogni caso deve restare in disparte in modo da non interferire

con l’attività comunicativa e didattica.

Gli autori propongono di suddividere la raccolta dati in due parti: nella prima parte si riportano le

informazioni generali (data, orario, sezione, insegnante, alunni presenti, ambito disciplinare,

modalità) e si annotano informazioni importanti per la successiva valutazione come, ad esempio,

l’ingresso di qualcuno nella classe, gli spostamenti, le distrazioni. Per la seconda parte si

raccomanda di disegnare una piantina della classe in modo da facilitare le identificazioni nel

corso dell’osservazione. Durante l’attività l’osservatore segna sulla piantina i turni della

conversazione, assegnando un numero progressivo per indicarne la sequenza.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Osservare e valutare lo sviluppo comunicativo e linguistico

Il materiale può poi essere utilizzato con diverse finalità: anzitutto è possibile analizzare la

classe nell’insieme per coglierne le regole e la gestione delle attività; inoltre è possibile analizzare il

contributo del singolo bambino per capire come si muove all’interno del gruppo, se partecipa

attivamente e se riceve attenzione dagli altri. Un’altra analisi può riguardare le tipologie di

intervento per capire quali sono le modalità comunicative prevalenti: solitamente le routine

educative prevalgono nella prima parte dell’attività didattica, mentre nella seconda fase sono

maggiormente presenti le istruzioni sul compito. L’analisi delle interazioni permette anche di

operare confronti tra singoli bambini, in particolare nei casi di difficoltà, per capire la modalità

prevalente di comunicazione con l’insegnante e con i pari.

Come ogni schema di codifica, non avendo effetti dovuti alla ripetizione, lo strumento può

essere utile per rilevazioni ripetute in modo da coglierne l’andamento temporale. Nel contesto

scolastico, questo tipo di procedura può essere utile al fine di valutare il clima relazionale, che ha

un impatto significativo sull’apprendimento; a livello educativo per migliorare le scelte didattiche;

infine, l’osservazione sistematica può essere utile nella formazione degli insegnanti, affinché essi

capiscano meglio l’influenza delle interazioni e delle modalità di comunicazione nei processi di

apprendimento.

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copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

1. Lo sviluppo sociale in età prescolare

Quando parliamo di sviluppo sociale ci riferiamo all’acquisizione di abilità, competenze,

condotte, motivi e valori che sono necessari all’individuo affinché sia in grado di adattarsi

adeguatamente nel contesto sociale e culturale in cui vive. I requisiti necessari per interagire con i

propri simili richiedono che il bambino sviluppi abilità sociali, capacità di comprensione sociale e

maturità emotiva 1.

Verso la fine del secolo scorso, l’idea piagetiana di egocentrismo infantile è stata messa in

discussione da diversi autori che riconoscevano la capacità del bambino di essere competente sul

piano sociale già dai primi mesi di vita. In particolare, è stato dimostrato come già a due mesi, i

neonati siano in grado di sintonizzare il loro sguardo con quello del loro interlocutore 2 e che già

verso i 18 mesi essi siano in grado di comprendere le emozioni dell’altro, reagendo ad esse in modo

differenziato 3. Successivamente, le abilità acquisite nell’interazione nell’ambito familiare vengono

trasferite in contesti sociali differenti, ad esempio nell’interazione coi pari.

Nell’ambito dello sviluppo si fa una distinzione tra socializzazione primaria e secondaria 4:

• Con socializzazione primaria si intendono tutte quelle interazioni sociali precoci che il

bambino esperisce all’interno delle relazioni familiari, favorendo l’acquisizione di abilità a

livello cognitivo, affettivo e sociale.

• Per socializzazione secondaria si intendono le esperienze interattive che il bambino vive

all’esterno del nucleo familiare. Ad esempio, verso il 3 anni, la maggior parte dei bambini

entra nella scuola dell’infanzia. Qui egli deve sviluppare competenze tali da coordinare le

proprie abilità, obiettivi e finalità con quelle degli altri. Nella relazione coi pari, il piccolo

acquisisce importanti capacità e accumula esperienze che avranno una certa influenza

sulle sue capacità di adattamento successive.

1 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.
2 Dunn, J. (1988). The beginnings of social understanding. Harvard University Press.
3 Klinnert, M. D., Campos, J. J., Sorce, J. F., Emde, R. N., & Svejda, M. A. R. I. L. Y. N. (1983). Emotions as behavior regulators:

Social referencing in infancy. In Emotions in early development (pp. 57-86). Academic Press.
4 Schaffer, H. R. (1996). Social development. Blackwell Publishing.

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copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

Il gruppo dei pari è un importante contesto di socializzazione, da non sottovalutare, in

quanto favorisce, ovvero ostacola, il raggiungimento del benessere sociale, emotivo e

cognitivo del bambino e quindi influisce sulla sua funzionalità.

Sebbene la famiglia sia il primo, e la scuola il secondo, contesto in cui sviluppa tutte quelle

che sono le competenze necessarie all’adattamento sociale, la socializzazione non si conclude

mai, ma piuttosto accompagna l’individuo durante tutta la vita. Infatti, ogni volta che l’individuo

dovrà rapportarsi con un contesto sociale altro da quello a lui familiare, dovrà acquisire dei

comportamenti funzionali finalizzati all’adattamento in quel contesto.

Per comprendere il ruolo che le influenze all’interno ed all’esterno del nucleo familiare

hanno sui processi di socializzazione, diversi studi si sono appellati al modello ecologico di

Bronfenbrenner. L’autore guarda all’ambiente di sviluppo del bambino come una serie di cerchi

concentrici:

• Il microsistema si colloca al centro e costituisce lo spazio di vita del bambino, all’interno del

quale si collocano le persone significative dei primi mesi di vita, come ad esempio i membri

del nucleo familiare e, a volte, i nonni, baby-sitter, le educatrici.

• Il mesosistema rappresenta il cerchio immediatamente successivo al primo e comprende

tutti quegli ambienti in cui il bambino partecipa direttamente e in modo attivo e che

agiscono sul suo sviluppo sia direttamente che interagendo tra loro, ad esempio, la scuola

o altri contesti ricreativi.

• L’ecosistema è costituito da tutti quei contesti che agiscono solo indirettamente sul

bambino, come la condizione lavorativa dei genitori e il contesto socioculturale

d’appartenenza che favoriscono ovvero ostacolano lo sviluppo di competenze sociali

dell’infante.

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

• Infine, il macrosistema si costituisce di tutte quelle che sono le credenze e i modelli culturali

specifici della società di appartenenza che influenzano il pensiero e la condotta

dell’individuo 5.

Il ruolo dell’ambiente sullo sviluppo dell’individuo non è deterministico. Piuttosto, vi è

un’interazione tra le caratteristiche individuali e l’ambiente che influisce sullo sviluppo delle

competenze sociali 6.

5 Bronfenbrenner, U. (1943). A constant frame of reference for sociometric research. Sociometry, 6(4), 363-397.
6 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

2. Come le caratteristiche temperamentali e di genere


influiscono sul processo di socializzazione

In psicologia, il termine “temperamento” si riferisce a pensieri, emozioni e comportamenti

particolarmente stabili nello spazio e nel tempo. La loro stabilità sembra dovuta alla forte influenza

dei fattori genetici, tuttavia, è possibile che essi subiscano un qualche cambiamento

nell’interazione con l’ambiente esterno (ibidem).

Avendo le caratteristiche temperamentali del bambino un ruolo nella costruzione della

personalità, sembrano in grado di predire efficacemente lo status sociale la qualità delle relazioni

interpersonali future, in particolare con gli amici 7.

Eisenberg, N., Vaughan, J. U. L. I. E., & Hofer, C. (2009, p. 475)

7 Eisenberg, N., Vaughan, J. U. L. I. E., & Hofer, C. (2009). Temperament, self-regulation, and peer social competence.

Handbook of peer interactions, relationships, and groups, 473-489.

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

Tra le caratteristiche temperamentali che entrano in gioco nello sviluppo della competenza

sociale possiamo riscontrare:

• La regolazione che si riferisce alla capacità di modulare l’attenzione esecutiva. Possiamo

osservarla la sua manifestazione comportamentale, ad esempio, quando inibiamo una

risposta aggressiva in risposta ad un’ingiustizia. In quel caso, la risposta dominante (il

comportamento aggressivo) viene repressa a favore di una non dominante

(l’allontanamento dalla persona che genera che provoca la risposta aggressiva);

• La reattività ovvero l’attivazione dell’organismo a livello sensoriale, motorio e affettivo a

seguito di cambiamenti ambientali, interni o esterni;

• L’adattabilità che concerne la capacità di adattamento a nuove e sconosciute

circostanze;

• La socievolezza, la propensione e l’orientamento nei confronti delle persone che ci

circondano;

• La timidezza ovvero lo stato di inibizione che ostacola lo sviluppo di interazioni efficaci con

gli altri (ibidem).

Rispetto all’influenza reciproca tra caratteristiche temperamentali del bambino e processi

di socializzazione primaria, i risultati di alcuni studi hanno testimoniato che i genitori di bambini di tre

anni con temperamento difficile, umore basso, difficoltà di adattamento e sregolazione dei ritmi

adottano uno stile di parenting in cui il caregiver, durante lo svolgimento di un’attività fornisce al

figlio un supporto più cognitivo e un maggior numero di segnali di disapprovazione, rispetto ai

bambini più facili 8.

8 Gauvain, M. (1995). Child Temperament as a Mediator of Mother‐Toddler Problem Solving. Social Development, 4(3), 257-

276.

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

Inoltre, alcuni autori hanno dimostrato che la timidezza del bambino verso i due anni di vita

è associata ad un minore incoraggiamento all’indipendenza da parte degli adulti di riferimento,

mentre uno stile educativo meno rigido è favorito da una maggiore capacità del bambino di

autoregolarsi 9.

Grazie ad esperienze al di fuori del nucleo familiare, l’associazione tra le caratteristiche

temperamentali del bambino e lo stile di parenting si affievolisce col tempo.

La relazione con le figure di accudimento può inoltre produrre un cambiamento delle

caratteristiche temperamentali: sintomi internalizzanti possono essere esacerbati dalle esperienze

emotive del bambino con il caregiver (ibidem).

Per quanto riguarda le relazioni coi pari, alcuni autori hanno dimostrato che l’emozionalità

negativa negli scambi interattivi con i pari correla con un numero maggiore di rifiuti da parte dei

compagni e una minore competenza sociale dei bambini. Inoltre, questi esperiscono maggiori

fallimenti negli scambi comunicativi e presentano una ridotta capacità di creare relazioni amicali

soddisfacenti 10.

L’inibizione temperamentale riduce le possibilità interattive con i coetanei. Di conseguenza,

la ridotta quantità di scambi sociali rende il bambino meno abile nell’esercitare le capacità

necessarie per interagire con l’altro, creando un circolo vizioso che li induce al rifiuto e

all’isolamento da parte dei coetanei.

Di contro, bambini maggiormente disinibiti e orientati alla socialità presentano interazioni

più positive e maggiore popolarità all’interno del gruppo dei pari (ibidem).

La letteratura scientifica riporta inoltre numerosi studi in cui viene indagato il ruolo delle

differenze di genere nello sviluppo delle abilità sociali infantili.

9 Kennedy, A. E., Rubin, K. H., D. Hastings, P., & Maisel, B. (2004). Longitudinal relations between child vagal tone and

parenting behavior: 2 to 4 years. Developmental Psychobiology, 45(1), 10-21.


10 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

Intorno ai tre anni una serie di cambiamenti ormonali favorisce l’emergere dell’identità di

genere, su cui influisce, tra l’altro il ruolo dei pari nel fornire un modello di orientamento.

Osservando gruppi di bambini in età prescolare, possiamo notare che, quando il gruppo è

formato da bambini di sesso maschile, nel corso dell’interazione prevalgono indipendenza, fisicità,

competizione. Il linguaggio utilizzato, inoltre, risulta più assertivo così come anche lo stile interattivo,

a prescindere dal fatto che l’interlocutore sia un maschio o una femmina. Per quanto riguarda le

bambine, nei gruppi formati da sole femmine, prevale l’espressione della sensibilità interpersonale

e le relazioni presentano un diverso grado di intimità in base al livello di affinità raggiunto. Il

linguaggio utilizzato in questo caso è finalizzato ad una condivisione emotiva ed all’affiliazione.

Inoltre, lo stile comunicativo cambia in base al fatto che l’interlocutore sia maschio o femmina: nel

primo caso, le bambine tendono ad usare uno stile più assertivo, viceversa, quando il partner è

femmina, lo stile affiliativo e collaborativo è quello, in genere, preferito.

Nei contesti interattivi a carattere conflittuale, i bambini utilizzano forme di aggressività

diretta mentre le bambine ricorrono a forme di aggressività indiretta, come l’esclusione sociale e il

pettegolezzo (ibidem).

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

3. I contesti di socializzazione primaria

Nelle interazioni quotidiane coi caregiver riscontriamo il primo contesto di socializzazione

del bambino. Al suo interno egli acquisisce le strategie per relazionarsi al mondo esterno grazie ai

genitori i quali veicolano tali strategie sia direttamente, sia indirettamente proponendosi come

modello comportamentale.

Il bisogno di affiliazione proprio dell’essere umano porta il bambino a creare relazioni intime

con i genitori e favorisce il processo di socializzazione, in particolar modo quando il genitore è

affidabile e fornisce protezione, affetto e calore. I bambini, soprattutto nei primi anni, sono

incapaci di provvedere ai propri bisogni, perciò il caregiver, tramite le sue risposte alle richieste del

bambino e ai suoi segnali emotivi, garantisce la sopravvivenza psicologica e fisica dello stesso,

ponendo le basi del legame di attaccamento. I genitori inoltre offrono modelli relazionali, anche

detti “modelli operativi interni”, che permettono al bambino di percepire e interpretare gli eventi,

fare pronostici ed organizzare il comportamento 1112. I modelli operativi interni del Sé sono cruciali in

quanto forniscono al bambino informazioni su quanto il sé sia accettabile agli occhi di chi se ne

prende cura. I modelli operativi interni della figura di attaccamento indicano invece il grado in cui

il caregiver è disponibile a rispondere in maniera adeguata ai bisogni del figlio 13.

Quando il genitore è sensibile e responsivo verso i bisogni del figlio va a costituire un

modello di empatia e compassione che può essere ricalcato dal piccolo durante le sue interazioni

con i pari 14.

11 Bowlby, J. (1969). Attachment and loss v. 3 (Vol. 1). Random House. Furman, W., & Buhrmester, D (2009). Methods and

measures: The network of relationships inventory: Behavioral systems version. International Journal of Behavioral
Development, 33, 470-478.
12 Bowlby, J. (1979). The making and breaking of affectional bonds. London. Tavistock Publications. Boyd, J. H, & Weissman,

MM (1981). Epidemiology of affective disorders: A re-examination of future directions. Archives of General Psychiatry, 38,
1039-1046.
13 Bowlby, J. (1973). Attachment and loss: Volume II: Separation, anxiety and anger. In Attachment and Loss: Volume II:

Separation, Anxiety and Anger (pp. 1-429). London: The Hogarth press and the institute of psycho-analysis.
14 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

L’asimmetria relazionale nel rapporto tra genitore e figlio permette altresì l’apprendimento

delle regole sociali vigenti nella società d’appartenenza. Tramite strategie differenziate come la

persuasione, la spiegazione, la punizione, i caregiver influenzano le capacità prosociali dei figli. Ad

esempio, è stato dimostrato come la comunicazione di regole e principi in modo chiaro favorisce

una maggiore probabilità che il figlio metta in atto la condotta desiderata. Inoltre, l’attribuzione di

qualità prosociali al bambino, sotto forma di elogi e complimenti, farà sì che egli interiorizzi tali

qualità come proprie della personalità e che quindi tenti di non venir meno alla propria

reputazione. Anche il “dare l’esempio” da parte dei genitori ha un ruolo importante nella

promozione delle abilità sociali (ibidem).

In generale, quando la relazione tra genitore e figlio è amorevole ed empatica, il bambino

tenderà a sviluppare le sue abilità empatiche e a costruire relazioni positive e collaborative con

altri esterni al nucleo familiare. Quando invece lo stile di parenting è rigido e poco sensibile, lo

sviluppo delle abilità sociali del bambino sarà intralciato e saranno maggiori le possibilità che

sviluppi in futuro sia comportamenti esternalizzanti, come condotte aggressive, incapacità di

accettare le regole sociali, che internalizzanti, come ansia e depressione.

Un ulteriore elemento che favorisce la cooperazione sembra essere la reciprocità nella

relazione col caregiver, ovvero la sensibilità verso le necessità altrui e la capacità di condividere

obiettivi comuni. Quando la reciprocità nella relazione genitore-bambino è buona, è probabile

che il piccolo manifesterà un maggior numero di condotte di tipo cooperativo con i coetanei in

età prescolare. Un basso livello di reciprocità manifestato dal bambino nei primi tre anni di vita è

inoltre un predittore dell’insorgenza di disturbi della condotta e di comportamenti sociali negli anni

successivi (ibidem).

Anche nella relazione con i fratelli il bambino affina le sue capacità sociali. Tale relazione

promuove infatti la comprensione empatica, ovvero la capacità di riconoscere e comprendere

emozioni, bisogni e desideri dell’altro, sia la perspective taking favorendo la capacità di elaborare

una “teoria della mente”.

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

Il bambino nella relazione coi fratelli sviluppa la capacità di attribuire stati mentali a sé e

agli altri e di stabilire un nesso causale tra questi stati impliciti e la condotta esplicita (ibidem).

Alcuni autori hanno indagato la possibilità che i fratelli, rispetto ai figli unici, fossero

maggiormente in grado di sviluppare le abilità sopracitate. In realtà, dai risultati è emerso che i figli

unici presentano punteggi analoghi a quelli dei bambini con fratelli. Perciò, la presenza di questi

ultimi sembrerebbe essere più una risorse per lo sviluppo sociale del bambino piuttosto che una

condizione necessaria per lo sviluppo di abilità sociocognitive favorevoli per adattarsi al mondo

sociale 15.

15
Benelli, B., Carelli, M. G., & Arnold, S. (1995). Effetti del tipo di relazione interpersonale sul decentramento e sulla
competenza metacognitiva: la teoria della mente in gemelli, fratelli e figli unici. Giornale Italiano di Psicologia, 22(1),
107-135.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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4. I contesti di socializzazione secondaria

Le nuove relazioni che il bambino va ad esperire quando comincia a spendere del tempo

al di fuori del contesto familiare favoriscono l’arricchimento del repertorio di conoscenze ed abilità

sociali che il bambino ha a disposizione.

Già dall’età prescolare i bambini sono capaci di fornire una mappa delle loro relazioni,

indicando il grado di distanza sociale che le caratterizza e quindi il significato diverso di ognuna.

Perciò, anche i bambini piccoli possono creare dei legami di amicizia, sebbene inizialmente

perlopiù basati sull’affinità di scelta dei giochi e sulla possibilità di essere a contatto

quotidianamente. Diversi studi hanno dimostrato che le amicizie in età prescolare favoriscono

l’acquisizione e il potenziamento delle competenze sociali di base e risultano essere un buon

predittore della futura capacità di adattamento sociale (ibidem).

Da due aspetti fondamentali è possibile distingue una relazione amicale da altri tipi di

relazione: l’impatto e l’interdipendenza. Quando parliamo di impatto ci riferiamo all’influenza che

l’uno ha sull’altro; l’interdipendenza invece attiene all’impatto che hanno i cambiamenti di un

partner sull’altro e sulla relazione stessa. Perché si parli di amicizia è necessario che entrambi gli

aspetti siano presenti (ibidem).

I bambini con amici presentano migliori e maggiori capacità sociali, sono maggiormente in

grado di costruire relazioni significative basate sulla reciprocità, sono maggiormente in grado di

gestire l’intimità. Inoltre, all’interno dei rapporti di amicizia il bambino si trova in un’area protetta in

cui si può mettere alla prova, imparando a negoziare soluzioni condivise e gestire le situazioni di

conflitto.

Se per molto tempo i conflitti hanno assunto una valenza negativa, attualmente è stato

riconosciuto i loro ruolo nell’implementare le capacità di negoziazione sociale. Sembra infatti che il

conflitto rappresenti una “palestra in cui misurare ed allenare” le proprie competenze relazionali.

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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

Il termine conflitto non va confuso con quello di competizione o aggressività. Quando

parliamo di competizione, gli attori coinvolti mirano al raggiungimento di uno scopo possibile solo

se uno viene sconfitto e l’altro sconfigge. L’aggressività è una condotta che ha come scopo finale

quello di danneggiare l’altro a livello fisico o psicologico. Per conflitto sociale intendiamo invece

una condizione di opposizione e incompatibilità tra comportamenti e obiettivi che non sono mossi

necessariamente dal tentativo di ledere l’altro 16. La capacità di risolvere un conflitto in modo

competente richiede all’individuo la capacità di negoziare e quindi decentrarsi a livello cognitivo.

16 Hay, D. F. (1984). Social conflict in early childhood. Annals of Child Development., 1, 1-44.

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5. La relazione con i pari nelle diverse culture

Se in tutte le culture i genitori sono coinvolti nelle pratiche educative dei figli, alcuni studi

cross-culturali hanno rivelato come il gruppo dei pari abbia un diverso ruolo in base alla cultura di

appartenenza.

Alcuni studi statunitensi riportano che un comportamento socialmente competente

coincida con un atteggiamento assertivo, ovvero con la capacità di affermare ciò che ci vuole

senza ledere il proprio interlocutore. Tale comportamento sembra essere meno efficace nella

cultura giapponese. Così se nella cultura cinese i comportamenti di timidezza sono associati

all’accettazione da parte dei coetanei e quindi ad un maggior grado di competenza sociale, tale

risultato non è stato ottenuto con bambini canadesi.

In Italia guardiamo alla competenza sociale come alla capacità di instaurare una rete

relazionale ampia e diversificata che preveda rapporti sia coi coetanei che con gli adulti. D’altro

canto, in alcuni paesi orientali ai bambini è vietato parlare in presenza adulti o esprimere stati

d’animo negativi. Ancora, mentre in alcune società la presenza dei pari è un importante contesto

di socializzazione che favorisce lo sviluppo sociale del bambino, in altre come per esempio in

quella norvegese, i bambini pur andando a scuola non hanno possibilità di interagire tra loro

anche per il fatto che, dato il numero esiguo di studenti nel territorio, a volte la stessa classe riunisce

bambini di età differente 17.

17 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
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Filippo Petruccelli - Le competenze sociali

Bibliografia

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• Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e

tecniche per l'età prescolare. Carocci.

• Gauvain, M. (1995). Child Temperament as a Mediator of Mother‐Toddler

Problem Solving. Social Development, 4(3), 257-276.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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1. Difficoltà nella definizione del costrutto di


competenza sociale

Uno dei compiti di sviluppo in età prescolare è quello di essere accettato dagli altri. Tale

compito risulta essere influenzato da svariati fattori che attengono tanto all’ambito individuale

quanto a quello relazionale. L’accettazione sociale riguarda il grado di apprezzamento ricevuto

da parte degli altri ed essa viene valutata tramite i giudizi che i compagni esprimono rispetto a

specifici criteri, come svolgere un’attività piacevole insieme.

Diversi studiosi sostengono che, tramite la valutazione del grado di apprezzamento di un

bambino da parte dei coetanei, è possibile indicare la capacità di adattamento sociale del

piccolo in età prescolare e scolare. In questo senso, risulta che i bambini maggiormente ben voluti

siano quelli che presentano una maggiore capacità di costruire relazioni positive con adulti e

coetanei grazie alla messa in atto di comportamenti competenti a livello sociale.

Perciò il buon funzionamento del bambino, la sua abilità nell’intraprendere efficacemente

relazioni interpersonali, risulta essere uno tra i fattori che influenza l’adattamento sociale del

bambino, a maggior ragione quando questo all’interno del gruppo dei pari, si trova a

sperimentare le proprie competenze. Il gruppo di coetanei infatti rappresenta una sorta di palestra

in quanto, per la sua struttura, offre al bambino la possibilità di confrontarsi con problematiche di

assertività, dominanza, differenze di genere, aggressività e prosocialità.

Per riferirsi all’insieme di abilità che favoriscono un buon adattamento sociale, gli studiosi

hanno adottato il termine competenza sociale. Tale costrutto è al centro di diversi dibattiti e risulta

essere un’espressione alquanto vaga, poiché non si è ancora raggiunto un accordo circa la sua

definizione 1. Nonostante i diversi tentativi, persiste una certa difficoltà nella sua sistematizzazione. In

base alle diverse prospettive teoriche, sono state sviluppate molteplici definizioni di competenza

sociale.

1 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.

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Secondo alcuni, ad esempio, il costrutto si riferisce all’efficacia dell’individuo di rispondere a

peculiari circostanze; secondo altri attiene alla capacità di interagire efficacemente con

l’ambiente. Qualcuno si riferisce alla competenza sociale indicandola come il giudizio degli altri

circa l’efficacia del comportamento di qualcuno o come l’abilità nell’adottare comportamenti

appropriati. Ci si può riferire ad essa come a tutti quegli aspetti del comportamento sociale che

sono utili al fine di prevenire la patologia e quindi la capacità dell’organismo di usufruire delle

risorse personali ed ambientali per il raggiungimento di un buon adattamento. Ancora,

socialmente competente può essere colui il quale fronteggia le questioni all’ordine del giorno,

valutando le situazioni da affrontare e adottando strategie utili alla loro risoluzione 2.

Nelle differenti definizioni di competenza sociale appena viste, possiamo notare come, in

ogni tentativo esplicativo si vadano ad enfatizzare alcune componenti rispetto ad altre. In sintesi,

possiamo affermare che il focus delle diverse definizioni si è concentrato prevalentemente su:

• Le capacità socio-cognitive;

• Le condotte adottate;

• Il giudizio degli altri;

• Le abilità che permettono di prevenire il rischio di disturbo di matrice psicosociale.

Per l’ampliamento della conoscenza del costrutto e quindi con la finalità di studiare i

processi di socializzazione e le modalità con cui interagiscono le diverse componenti del

funzionamento sociale, si rende necessario il raggiungimento di un consenso da parte degli studiosi

sui principali aspetti che rendono un individuo competente a livello sociale.

A tal scopo, è possibile distinguere le definizioni appena viste tra quelle che guardano alla

competenza sociale a livello molare, quindi forniscono una definizione più generale del costrutto, e

quelle che la definiscono a livello molecolare, focalizzandosi sui singoli aspetti peculiari che la

caratterizzano.

2 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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• Una definizione del costrutto a livello molare, guardando alla competenza sociale nella sua

globalità e interezza sembra essere utile perché permette di tenere in considerazione di tutti

gli elementi che ne sono propri. Ad esempio, quando viene definita come “la capacità di

sviluppare e organizzare le risposte funzionali all’adattamento in base alle richieste

ambientali”, è possibile riflettere su quelli che sono gli aspetti che stanno alla base della

capacità di adattamento dell’individuo. Di contro, data l’estensione della definizione,

risulta difficile individuare gli indicatori utili a misurare il costrutto.

• Quando, d’altro canto, si cerca di delineare le peculiari abilità che costituiscono la

competenza sociale, si facilita il lavoro dei ricercatori a livello metodologico, rischiando

tuttavia di frammentare la sua definizione, tralasciandone molte facce. Quando, ad

esempio, cerca di spiegare le differenze peculiari di ogni individuo per quanto riguarda la

competenza sociale, non si può guardare solo alla specifica abilità del soggetto ma risulta

necessario prendere in considerazione anche il contesto in cui l’organismo è inserito.

Nonostante, di per sé, il comportamento di evitare la vicinanza interpersonale e il distacco

emotivo possano essere considerati elementi che indicano un’incompetenza del soggetto

a livello sociale, questi possono essere la strategia più funzionale a disposizione del bambino

inserito in un contesto di rifiuto o abuso da parte di figure significative. Similmente,

concentrarsi solo sul contesto, che esso sia emotivo o esterno, distoglie dalla possibilità di

riflettere su quelle che sono le abilità dell’individuo di usare le risorse a favore di uno

sviluppo funzionale 3.

3 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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Waters e Sroufe nel 1983 tentano di conciliare le diverse proposte definendo la

competenza sociale come la capacità degli individui di sfruttare le risorse ambientali in loro

possesso, enfatizzando la necessità di adottare un approccio che guardi alle caratteristiche

individuali così come a quelle contestuali. 4 In questo senso, si ci potrebbe focalizzare sulle risultanze

derivanti dagli scambi interpersonali, identificando la competenza sociale come la capacità di

gestire in modo efficace e mantenere relazioni positive con gli altri, senza rinunciare a perseguire i

propri obiettivi personali. Tale accezione viene abbracciata negli Stati Uniti, ponendo l’enfasi sul

comportamento assertivo che attiene alla capacità di esprimere in modo chiaro ed efficacie i

propri pensieri e le proprie opinioni senza ledere l’altro.

In sintesi, è necessario lavorare per il raggiungimento di una definizione di competenza

sociale cosicché risulti possibile operazionalizzarne gli indicatori principali, guardando il costrutto

nella sua complessità senza ridurlo a peculiari espressioni comportamentali.

4 Waters, E., & Sroufe, L. A. (1983). Social competence as a developmental construct. Developmental review, 3(1), 79-97.

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2. La definizione del termine competenza sociale

La grande eterogeneità nelle definizioni del termine “competenza sociale” hanno indotto i

ricercatori a cercare di arrivare ad un consenso generale in modo da accordarsi su quali sono gli

aspetti fondamentali da prendere in considerazione per lo studio della socializzazione e delle

modalità con cui i diversi aspetti del funzionamento sociale si relazionano tra loro.

Il contributo di Rose-Krasnor per l’operalizzazione del costrutto è stato in grado di inglobare

la maggior parte degli studi sulla competenza sociale 5. Dal suo studio emerge come l’efficacia

nelle interazioni sia una componente rinvenuta in tutte le definizioni riscontrate, ma il disaccordo si

rivela quando il costrutto deve essere descritto in modo più dettagliato. L’autrice identifica tre

approcci principali di concettualizzare la competenza sociale:

• Un approccio descrive la competenza sociale come l’insieme delle abilità cognitive e/o

comportamentali utilizzare per far fronte a problemi o per risolvere peculiari compiti che si

rivelano nei contesti interattivi e nelle relazioni con gli altri. In questo caso quindi la

competenza sociale corrisponde alle abilità sociali.

• Un ulteriore approccio descrive la competenza sociale come un set di indicatori intra o

interpersonali che risultano legati ad abilità sociali ma che non coincidono con esse. Tra

questi vi sono l’autostima, l’autoefficacia sociale, l’accettazione dei pari, la qualità

dell’amicizia, il senso di sicurezza. In questo caso, la competenza sociale corrisponde ad

uno status sociometrico, ovvero alla posizione sociale occupata da ognuno all’interno del

proprio gruppo di appartenenza.

• Il terzo e ultimo approccio, definisce la competenza sociale come la capacità del

bambino di avvalersi delle risorse intra ed interpersonali per il raggiungimento dei propri

obiettivi all’interno dei diversi contesti sociali in cui è inserito.

5 Rose‐Krasnor, L. (1997). The nature of social competence: A theoretical review. Social development, 6(1), 111-135.

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Questi approcci, secondo l’autrice, presentano dei punti di convergenza. Rose-Krasnor

propone un modello più livelli, conosciuto come il modello prismatico, che ambisce ad organizzare

i tre approcci sopra menzionati (ibidem).

Rose‐Krasnor, L. (1997)

Il modello definisce la competenza sociale come un costrutto articolato in tre livelli,

organizzati secondo una gerarchia.

• Il primo livello, partendo dal basso, è il livello delle abilità, degli obiettivi e delle motivazioni

sociali, emotive, cognitive, motivazionali che risultano funzionali per iniziare, mantenere e

concludere le interazioni/relazioni, in base all’età del bambino e al contesto in cui è

collocato. La rilevanza di alcune abilità infatti varia in base a questi due fattori.

• Il livello di mezzo, detto livello degli indici, prevede una distinzione tra “dominio del Sé” e

“dominio dell’altro”, che corrispondono rispettivamente ai bisogni di autonomia e ai bisogni

di affiliazione dell’individuo. Gli indicatori del dominio del Sé sono il successo nel

raggiungimento degli obiettivi personali e il sentimento di efficacia sociale.

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Gli indicatori del dominio dell’altro coincidono invece con l’istaurazione di relazioni positive

con gli adulti e con i coetanei; il raggiungimento di uno status sociale soddisfacente;

l’adattamento a quelle che sono le aspettative del contesto sociale di appartenenza.

• L’ultimo livello, il più elevato, è il livello teorico. Qui la competenza sociale è disegnata

come una qualità astratta o latente che si concretizza nell’efficacia nelle interazioni

interpersonali.

La competenza sociale si configura, all’interno del modello, come la risultante

dell’interazione tra i partner con le loro peculiarità. L’individuo non è competente in senso assoluto,

a prescindere dal contesto o dal partner con cui si interfaccia. I comportamenti che potrebbero

risultare efficaci a livello sociale in un contesto, potrebbero non esserlo in un altro (ibidem).

Inoltre, la competenza sociale è orientata allo scopo, ovvero dipende dagli obiettivi che

l’individuo intende perseguire. Aiutare qualcuno in difficoltà è un comportamento efficace nella

misura in cui lo scopo è quello di prestare soccorso all’altro piuttosto che per il desiderio di

compiacere un terzo (ibidem).

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3. Valutare la competenza sociale nell’interazione tra


pari

Un primo step fondamentale per la valutazione della competenza sociale dei bambini

nell’interazione con i coetanei è quello di definire quanto più possibile il disegno di ricerca e le

variabili da indagare, data la grande variabilità del costrutto rispetto ai contesti ed all’età

dell’interazione. Le interazioni tra pari variano in base alla durata (lunga o breve), alla tonalità

(neutra, positiva o negativa), al setting, alle caratteristiche e l’identità degli attori coinvolti e, infine,

al temperamento del bambino. Un’ulteriore variabile da tenere in considerazione è l’età:

dall’infanzia all’adolescenza i bambini attraversano notevoli cambiamenti nelle modalità di

interazione 6.

Il ricercatore dovrebbe inoltre definire il livello di analisi del comportamento, scelta in

genere legata al proprio orientamento teorico che influisce poi sul tipo di strumento da utilizzare

per la raccolta dei dati. Quando la scelta ricade su un livello di analisi macro è generalmente

probabile che venga adottato l’uso del questionario e che il momento dello sviluppo in cui avverrà

la rilevazione sia ben definito. Quando si opta per un livello micro, d’altro canto, lo strumento

osservativo scelto è in genere costituito da schemi di codifica e prevede le misure della stessa

variabile vengano ripetute nel tempo, in modo da ottenere informazioni sui cambiamenti della

condotta in base all’età ed al contesto (ibidem).

Il ricercatore deve poi occuparsi di scegliere la fonte da cui raccogliere le informazioni

necessarie ai fini della ricerca. In genere, soprattutto quando il bambino è molto piccolo, risulta

difficile ricorrere direttamente allo stesso per la rilevazione dei dati. L’osservatore potrebbe quindi

scegliere di utilizzare nel processo di valutazione l’apporto delle figure vicine al bambino, come i

genitori, che tuttavia a volte risultano poco attendibili, specialmente a causa del loro

coinvolgimento emotivo. Potrebbero infatti, spesso involontariamente, sovrastimare i

6
Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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comportamenti socialmente desiderabili del bambino e sottostimare quelli meno adeguati. Inoltre,

la valutazione della competenza sociale potrebbe risentire dei valori della cultura di

appartenenza 7.

Il ricorso ad un osservatore esterno potrebbe essere permettere di risolvere tali

problematiche, favorendo una maggiore accuratezza ed obiettività nella rilevazione. Tuttavia, il

tempo ridotto per l’osservazione e la minore familiarità col bambino potrebbero indurre alla

raccolta di dati comportamentali poco rappresentativi della condotta del piccolo e quindi

difficilmente generalizzabili (ibidem).

Risulterebbe perciò ottimale avvalersi del contributo di diverse fonti favorendo la raccolta

di indicazioni più complete rispetto al comportamento del bambino nei diversi contesti in cui è

inserito.

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4. La scelta del metodo osservativo nella valutazione


della competenza sociale

L’osservazione rappresenta una modalità privilegiata per raccogliere informazioni circa il

comportamento dei bambini, soprattutto in età prescolare o nei primi anni di scuola elementare, in

quanto il suo utilizzo permette di superare le difficoltà di comprensione linguistiche e comunicative

date da un incompleto processo di alfabetizzazione e da uno scarso sviluppo cognitivo (ibidem).

Se da una parte, a questa età i bambini mostrano difficoltà ad esprimere in modo compiuto

pensieri, necessità e desideri attraverso l’uso del linguaggio, dall’altra essi sono incapaci di celare

sentimenti, idee ed emozioni. In questo caso, l’osservazione diretta delle interazioni tra pari

permette di effettuare valutazioni complete e dettagliate del comportamento oggetto di interesse

e della sua variabilità in base al cambiamento del contesto o dei tempi, che sarebbero impossibili

altrimenti.

Scegliere di utilizzare l’osservazione richiede necessariamente al ricercatore di pianificare in

modo molto dettagliato le attività da svolgere tenendo in considerazione tutti i particolari: egli

deve progettare accuratamente il contesto; scegliere la situazione più idonea per la rilevazione

dei dati comportamentali oggetto di interesse; definire i tempi per l’osservazione; disporre le

strategie più utili per la raccolta del materiale; decidere se effettuare l’osservazione tramite

registrazioni video, oppure ricorrere all’osservazione dal vivo.

Una variabile da tenere in considerazione quando il ricercatore si opera per studiare la

competenza sociale nei bambini è l’età. Con l’aumento dell’età dei bambini, è infatti possibile

notare un cambiamento nei comportamenti interattivi e degli scambi tra pari che diventano man

mano più complessi, richiedendo all’osservatore di adottare schemi di codifica sempre più

dettagliati e diversificati per tenere sotto controllo il sempre maggior numero di variabili.

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Tale problematica risulta parzialmente risolvibile tramite il ricorso a videoregistrazioni, il cui

utilizzo, tuttavia, risulta spesso impossibile per questioni di privacy o di autorizzazioni, soprattutto nei

contesti scolastici.

Inoltre, all’aumentare dell’età si riduce la probabilità di rilevare i comportamenti che hanno

luogo in contesti più privati, soprattutto quando si tratta di condotte a bassa frequenza che si

esplicano quando gli adulti non ci sono.

Risulta inoltre necessario, quando si sceglie di studiare l’interazione tra pari tramite

l’osservazione, stabilire il livello di analisi dei comportamenti. Molti degli studi sul tema rilevano il

comportamento del singolo bambino all’interno della diade o del gruppo, in modo da raccogliere

informazioni sul comportamento sociale in molteplici contesti relazionali.

Quando invece si vuole valutare il grado di interdipendenza tra gli attori coinvolti

nell’interazione, si preferisce osservare la diade o il gruppo per intero. La scelta del libello di analisi,

oltre ad essere guidata da “cosa si vuole osserva” è influenzata anche dal modello di analisi

dell’interazione adottato.

Quando il livello di analisi adottato dal ricercatore è individuale, l’osservazione si focalizzerà

sul bambino target in un contesto interattivo, senza tenere conto di ciò che fanno gli altri. Di

contro, optando per un livello di analisi interattivo verranno considerati i comportamenti di

entrambi i partner riuscendo a cogliere informazioni che forniscano un’interazione nella sua

totalità. Entrambi i bambini infatti, interagendo, si influenzano a vicenda: perciò l’interazione risulta

essere un flusso continuo di risposte piuttosto che una somma di situazioni 8.

8 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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sociale

1. Schema di codifica dell’interazione tra pari

Vaughn nel 2001 mette a punto il suo Schema di interazione tra pari, ponendo alla base

della costruzione dello strumento l’assunto che la competenza sociale coincida con la capacità di

entrare in contatto con altri efficacemente. 1 Il bambino risulta essere competente a livello sociale

quando presenta la capacità di porsi in maniera positiva verso l’altro. Con il termine interazione,

l’autore si riferisce a un qualunque contatto di tipo di fisico tra due bambini, anche nel caso in cui

esso sia non intenzionale e non eliciti alcuna risposta, verbale o fisica, nel partner.

Il contesto di osservazione è la classe e l’osservatore ha il compito di indicare, durante

l’arco temporale previsto per la rilevazione del comportamento, il nome del bambino che dà inizio

all’interazione e la valenza dell’interazione stessa.

• L’interazione ha valenza positiva quando il contatto prevede:

o l’espressione esplicita di un’emotività positiva, ad esempio il sorriso;

o l’assenza di una risposta emotivamente negativa da parte di uno o entrambi i

bambini;

o una chiara intenzione prosociale sottesa al comportamento, ad esempio l’offerta di

aiuto.

• L’interazione ha valenza neutra quando l’affetto della conversazione è neutro a livello

affettivo, anche se il contenuto della comunicazione risulta essere di natura prosociale.

• L’interazione ha valenza negativa quando il contatto prevede:

o l’espressione esplicita di un’emotività negativa, ad esempio il pianto;

o l’espressione esplicita dell’altro, ad esempio allontanare il compagno;

o una chiara intenzione antisociale sottesa al comportamento, ad esempio il colpire il

compagno.

1 Vaughn, B. E. (2001). A hierarchical model of social competence for preschool-age children: Cross-sectional and
longitudinal analyses. Revue Internationale de Psychologie Sociale.

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sociale

Prima di cominciare l’osservazione, il professionista si preoccupa di creare un foglio di

codifica, anche detto round, contenente l’elenco del nome di tutti i bambini della classe. Accanto

al nome dovrà essere lasciato uno spazio destinato all’annotazione delle potenziali iniziative di

interazione.

Ogni round è utilizzato per una sola volta. L’autore consiglia l’utilizzo di 150-200 round per

ogni classe, affinché le informazioni raccolte siano quantitativamente sufficienti.

La compilazione dei fogli di codifica dovrebbe essere distribuita in giorni e orari diversi in

modo tale che i dati raccolti siano rappresentativi dei comportamenti rilevati e quindi

generalizzabili. Inoltre, sarebbe auspicabile osservare i bambini durante momenti di relax o di gioco

libero, cosicché i comportamenti interattivi abbiamo più probabilità di manifestarsi in modo

spontaneo, cosa che è preclusa durante le attività strutturate previste all’interno del contesto

scolastico.

L’osservatore si concentra su tutto il gruppo classe per la raccolta dei dati, tramite l’uso di

una strategia di rilevazione scan sampling, ovvero tramite la scansione rapida e sequenziale di tutti

i membri del gruppo. Nel particolare, seguendo una sequenza definita a priori, è chiamato ad

osservare ogni bambino (soggetto target) per 15 secondi, rilevandone e codificandone la

potenziale messa in atto dell’interazione. È necessario quindi che l’osservatore tenga a mente il

nome dei bambini per il loro rapido riconoscimento.

Per illustrare meglio le modalità di annotazione delle interazioni e della loro valenza ci

rifacciamo ad un esempio 2:

• Giovanni (bambino target) dà inizio a un’interazione positiva con Michele. Nello schema di

codifica andremo quindi a riportare “Giovanni: I Michele +”, dove “I” sta per interazione e

“+” sta per positiva.

2 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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Filippo Petruccelli - Schemi di codifica per la valutazione della competenza
sociale

• Nel caso sia Giovanni (bambino target) a ricevere un’interazione neutra da parte di

Michele, allora scriveremo: “Giovanni: Michele I +/-“

Quindi, se la I segue il nome del bambino target e precede quella dell’altro bambino

significa che il primo ha iniziato l’interazione; se la I è posta dopo entrambi i nomi vuol dire che è il

compagno ad aver iniziato l’interazione.

Secondo Vaughn, l’osservatore dovrebbe potersi muovere all’interno della classe per

avvicinarsi discretamente al bambino target per rilevare meglio le potenziali interazioni senza

tuttavia invadere il suo spazio.

Di seguito, riporteremo un esempio di round compilato.

Elia, L., & Cassibba, R. (2015)

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sociale

Se il bambino non interagisce con nessuno lo spazio al accanto al nome rimarrà vuoto, così

come se interagisce con bambino di un’altra classe o con un adulto. Se uno dei giorni in cui si

rilevano i dati bambino è assente, si registra la sua assenza di ogni round di quel giorno. Quando i

bambini sono assenti per più della metà delle rilevazioni non si calcolano i punteggi in quanto il

comportamento rilevato non risulta essere generalizzabile al comportamento messo in atto

abitualmente (ibidem).

Compilati tutti i fogli di codifica si passa all’inserimento dati. In una tabella a doppia entrata

vengono riportati i nomi dei bambini sulla prima riga e sulla prima colonna. Inoltre, viene riportata

una colonna per indicare la frequenza con cui il bambino è stato presente durante le rilevazioni.

Elia, L., & Cassibba, R. (2015)

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Filippo Petruccelli - Schemi di codifica per la valutazione della competenza
sociale

Per ogni bambino si riporta il numero di volte in cui ha intrapreso un’interazione con ogni

compagno e la connotazione affettiva dell’interazione stessa.

Dalla tabella a doppia entrata è possibile ricavare indici utili per valutare le differenze

individuale nelle modalità di interazione con i compagni:

• Punteggio globale di tutte le iniziative interattive, calcolabile tramite una semplice somma;

• Punteggio relativo ad ogni tipologia di interazione, neutra, positiva, negativa;

• Frequenza proporzionale delle iniziative interattive osservate che si calcola sommando tutte

le iniziative intraprese dal bambino, a prescindere dalla valenza affettiva, diviso il numero di

round in cui il bambino era presente (sulla tabella indicato sotto la voce “Presenze”). In

questo modo è possibile confrontare i bambini tenendo contro del numero di volte in cui

sono stati osservati 3.

Per quanto concerne l’affidabilità delle misure, Vaughn e colleghi riportano un accordo tra

osservatori che varia tra il 70% e il 90% rispetto alle iniziative di interazione e tra il 55% e il 90% rispetto

alla tonalità affettiva delle stesse. 4

3Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.
4Vaughn, B. E., Colvin, T. N., Azria, M. R., Caya, L., & Krzysik, L. (2001). Dyadic analyses of friendship in a sample of
preschool‐age children attending Head Start: Correspondence between measures and implications for social competence.
Child development, 72(3), 862-878.

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sociale

2. Schema di codifica dell’attenzione visiva ricevuta

Secondo studi etologici, analizzando la distribuzione dell’attenzione visiva tra soggetti

appartenenti ad uno stesso gruppo, è possibile analizzare la struttura del gruppo stesso.

Alcuni studi hanno riscontrato che i bambini che ricevono maggiore attenzione visiva dai

compagni riescono maggiormente, rispetto agli altri, a farsi obbedire. Gli stessi bambini sembra

che trovino minori difficoltà nell’adottare modalità di interazione di tipo collaborativo, risultano

essere più popolari e vengono spesso imitati dai coetanei 567.

Lo Schema di codifica della direzione dello sguardo, ad opera di Vaughn e Waters (1980,

1981), prende vita proprio da questi studi. Le categorie previste nello schema sono due:

• Guardare, inteso come orientare la testa e/o gli occhi verso un altro per almeno 2 secondi;

• Lanciare uno sguardo, inteso come orientare la testa e/o gli occhi verso un altro per meno

di 2 secondi.

L’osservatore si concentra su tutto il gruppo classe per la raccolta dei dati, tramite l’uso di

una strategia di rilevazione scan sampling, ovvero tramite la scansione rapida e sequenziale di tutti

i membri del gruppo. Nel particolare, seguendo una sequenza definita a priori, è chiamato ad

osservare ogni bambino (soggetto target) per 6 secondi, rilevandone e codificandone la direzione

dello sguardo.

5 Hold, B. C. (1976). Attention structure and rank specific behavior in preschool children. The social structure of attention, 177-

202.
6 Abramovitch, R., & Grusec, J. E. (1978). Peer imitation in a natural setting. Child Development, 60-65.
7 Vaughn, B. E., & Waters, E. (1981). Attention structure, sociometric status, and dominance: interrelations, behavioral

correlates, and relationships to social competence. Developmental Psychology, 17(3), 275.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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sociale

In particolare, l’osservatore codifica chi il bambino sta guardando e in che modo (guarda

o lancia uno sguardo?). Se il bambino non concentra lo sguardo su nessun compagno e guarda il

gruppo in generale, il comportamento è codificato come “sguardo dubbio”. Allo stesso modo

quando guarda un oggetto con un compagno gioca. Nel caso in cui il bambino sposti lo sguardo

su più di uno sguardo, vanno registrati tutti i nomi dei bambini oggetto di attenzione.

Prima di cominciare l’osservazione, il professionista si preoccupa di creare un foglio di

codifica, il round, contenente l’elenco del nome di tutti i bambini della classe. Accanto al nome

dovrà essere lasciato uno spazio destinato all’annotazione delle potenziali iniziative di interazione.

Ogni round è utilizzato per una sola volta. L’autore consiglia l’utilizzo di 150-200 round per ogni

classe, affinché le informazioni raccolte siano quantitativamente sufficienti.

Secondo Vaughn, l’osservatore dovrebbe potersi muovere all’interno della classe per

avvicinarsi al bambino target, senza tuttavia invadere il suo spazio.

Di seguito, riporteremo un esempio di round compilato relativo allo schema di codifica per

la valutazione dell’attenzione visiva.

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sociale

Elia, L., & Cassibba, R. (2015)

Sarebbe auspicabile, anche in questo caso, osservare i bambini durante momenti di relax o

di gioco libero.

Per il calcolo dei punteggi si costruisce una tabella a doppia entrata, in cui sulla prima riga

e sulla prima colonna, vengono riportati i nomi di tutti i bambini. Inoltre, una colonna viene utilizzata

per indicare il numero di presenza effettuate da ogni bambino. I bambini assenti più della metà dei

round non vengono considerati.

Nella tabella vengono riportate le frequenze degli sguardi di ogni bambino verso ognuno

dei compagni, indicando con G (Glance) quando il bambino lancia uno sguardo ad un altro, con

L (Look), quando il bambino lo guarda.

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Gli indici più utilizzati che calcolano la quantità di attenzione ricevuta da ogni bambino

all’interno del gruppo sono:

• Il punteggio globale di attenzione visiva ricevuta dal bambino, dato dalla somma di tutti i

Look e Glance ricevuti;

• La frequenza proporzionale di attenzione visiva ricevuta, dividendo il punteggio globale per

il numero di round in cui il bambino in questione era presente.

• La frequenza proporzionale di Look ricevuti e di Glance ricevuti, ottenuta sommando,

rispettivamente, la frequenza di Look e Glance ricevuti e dividendo tali somme per il

numero di round in cui il bambino in questione era presente.

Lo strumento, inoltre, consente di ottenere informazioni sul grado di attenzione manifestata

da ogni bambino del gruppo verso gli altri.

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sociale

• La frequenza proporzionale di attenzione rivolta ai pari, calcolabile sommando i valori sia di

Look che di Glance riportati nella riga del bambino target e dividendo il risultato per il

numero di round in cui il bambino era presente.

• La frequenza proporzionale di Look rivolti ai pari, ottenuta dalla somma dei valori riportati

tra gli incroci tra la riga del bambino target e le colonne con il nome degli altri bambini in

cui viene riportata la lettera L, diviso il numero di round in cui il bambino in questione era

presente.

• La frequenza proporzionale di Glace rivolti ai pari, ottenuta dalla somma dei valori riportati

tra gli incroci tra la riga del bambino target e le colonne con il nome degli altri bambini in

cui viene riportata la lettera G, diviso il numero di round in cui il bambino in questione era

presente.

Rispetto all’affidabilità delle misure, gli autori hanno riscontrato un accordo tra gli

osservatori indipendenti rispetto alla frequenza totale di sguardi rivolti agli altri del 79% 8.

8 Vaughn, B. E., Colvin, T. N., Azria, M. R., Caya, L., & Krzysik, L. (2001). Dyadic analyses of friendship in a sample of

preschool‐age children attending Head Start: Correspondence between measures and implications for social competence.
Child development, 72(3), 862-878.

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3. Schema di codifica per la valutazione dei conflitti tra


pari

Il conflitto non è necessariamente aggressivo ma è un’occasione di crescita per il piccolo

che impara ad adottare il punto di vista dell’altro, mettendo da parte la sua prospettiva

egocentrico. Per la sua risoluzione il bambino deve dimostrare di essere socialmente competente,

mantenendo relazioni positive nel raggiungimento dei suoi obiettivi personali.

Un episodio conflittuale è caratterizzato da tre turni di interazione:

• Il bambino A fa qualcosa;

• Il bambino B si oppone;

• Il bambino A agisce in linea con il suo primo comportamento.

D’Odorico e Cassibba definiscono i tre momenti fondamentali del conflitto: l’origine, lo

svolgimento e la conclusione. 9

Elia, L., & Cassibba, R. (2015)

9 Cassibba, R., & D’Odorico, L. (2001). Osservare per educare. Roma: Carocci.

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Durante l’osservazione, gli episodi conflittuali si codificano tramite la strategia di rilevazione

per eventi. Ciò vuol dire che per ogni episodio viene codificata l’origine, lo svolgimento e la

conclusione. Risulta, inoltre, utile appuntare accanto all’episodio il nome dei bambini coinvolti per

acquisire dati più dettagliati e completi dell’evento, ad esempio quali sono i bambini che entrano

in conflitto più frequentemente degli altri.

Lo schema in questione è applicabile alla raccolta di informazioni sia relative a singoli

individui, a diadi o a gruppi. Qualsiasi momento della giornata può essere adeguato alla

rilevazione della presenza di diverbi. Tuttavia, questi possono non verificarsi anche per diverso

tempo. Se il gruppo classe non è oggetto di interesse dell’osservatore può concentrarsi su un

gruppo composto da meno bambini e strutturare la situazione per stimolare l’esplicarsi di un

episodio conflittuale.

Nel foglio di codifica è possibile scegliere tra le sottocategorie di “Origine del conflitto”

quella che meglio rappresenta l’episodio conflittuale insorto. Viene quindi segnato il nome dei

bambini coinvolti. Nella stessa colonna, si pone poi una “X” nelle sottocategorie che descrivono

svolgimento e conclusione dell’episodio.

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sociale

Elia, L., & Cassibba, R. (2015)

Tra gli indici calcolabili riscontriamo:

• Frequenza assoluta di comparsa del comportamento, che coincide con la somma del

numero di volte in cui il conflitto si è verificato.

• Frequenza proporzionale rispetto al tempo di osservazione, che si calcola per confrontare

osservazioni di diversa durata.

• Percentuale di comparsa di una specifica categoria, calcolabile dividendo la frequenza

assoluta del comportamento target per il numero di episodi conflittuali complessivi, per 100.

Tale schema di codifica sembra fornire dati affidabili soprattutto se gli osservatori sono sottoposti

precedentemente ad un breve training 10.

10 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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Filippo Petruccelli - Strumenti basati sulla tecnica Q-sort per la valutazione della
competenza sociale

1. Dyadic Relationship Q-set (DRQ)

Il Dyadic Relationship Q-set (DRQ) di Park e Waters è uno degli strumenti basati sulla tecnica

del Q-sort. Questo è stato ideato con la finalità di indagare l’interazione di bambini, guardando

alla diade piuttosto che al singolo 1. Lo strumento è stato spesso utilizzato per valutare le relazioni

amicali, data la sua capacità di cogliere la qualità degli scambi interpersonali 2.

Per la sua costruzione gli autori hanno osservato svariate coppie di bambini in situazioni di

gioco libero da cui sono stati formulati 81 item. Questi sono stati poi raggruppati in macro-

categorie riguardanti caratteristiche differenti delle relazioni che intercorrono tra i bambini. In

particolare, le dimensioni considerate attengono a:

• L’orientamento sociale positivo in cui gli item indagano in questo caso il tipo di affetto che

caratterizza l’interazione e i comportamenti prosociali;

• La coesione in cui rientrano gli item che valutano vicinanza fisica e coordinazione dei

movimenti degli attori che interagiscono;

• L’armonia che include gli item circa la presenza di un eventuale conflitto, individuandone

la tipologia e le strategie di risoluzione adottate dai bambini coinvolti;

• Il controllo in cui gli item valutano l’aggressività e le strategie per impossessarsi dei giochi;

• La responsività include gli item che indagano se ai segnali dell’altro vi è risposta o se questi

vengono ignorati;

• L’apertura di sé in cui viene indagato lo scambio di informazioni personali tra gli attori;

• Il tempo di gioco che comprende gli item che indagano il livello di attivazione dei piccoli

durante le attività di gioco;

• Il gioco coordinato in cui gli item guardano a quanto i bambini, impegnati in un’attività di

gioco, interagiscono e si coordinano tra loro.

1 Park, K. A., & Waters, E. (1989). Security of attachment and preschool friendships. Child development, 1076-1081.
2 D'Odorico, L., Cassibba, R., & Carli, L. (2003). Il Dyadic Relationships Q-sort<. uno strumento osservativo per la valutazione
delle relazioni di amicizia in età prescolare.

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Filippo Petruccelli - Strumenti basati sulla tecnica Q-sort per la valutazione della
competenza sociale

Successivamente, gli autori hanno calcolato il coefficiente di correlazione degli item che

appartenevano alla stessa sottoscala. Inoltre, grazie all’alpha di Cronbach è stato possibile

misurare la consistenza interna di ognuna delle sotto scale.

Quindi, sono stati eliminati gli item che non presentavano una correlazione significativa con

gli altri e, gli item che collocati apriori nella sottodimensione sbagliata, sono stati assegnati alla

sotto scala giusta.

Queste procedure hanno permesso di ottenere un’affidabilità interna soddisfacente.

Youngblade, Park e Belsky hanno poi ridotto gli item da 81 a 55, accorpando la sotto scala

“tempo di gioco” con quella di “gioco coordinato” con la finalità di ottenere una maggiore

affidabilità interna delle sottodimensioni. 3

Nell’osservazione delle diadi, Park e Waters consigliano di creare una situazione

leggermente strutturata con la finalità di aumentare la probabilità che i comportamenti oggetto di

interesse si manifestino. La diade, impegnata in un’attività di gioco, dovrebbe essere immessa in

una situazione che determini la manifestazione di diverse tipologie di scambi interattivi 4.

L’osservatore, che sia esterno o un insegnante addestrato, può presenziare all’interno della

stanza, tuttavia è richiesto il suo intervento solo nel caso in cui i bambini corrano il rischio di farsi del

male.

È auspicabile l’utilizzo di apparecchi elettronici per la videoregistrazione di quanto

osservato in modo da poter rivedere il filmato più di una volta prima della codifica di quanto

rilevato e della fase di ordinamento dello strumento. In genere è opportuno ordinare il DRQ dopo

due sessioni di osservazione di almeno 30 minuti, preferibilmente in giornate differenti, in modo da

favorire una maggiore rappresentatività del fenomeno comportamentale rilevato.

3 Youngblade, L. M., Park, K. A., & Belsky, J. (1993). Measurement of young children's close friendship: A comparison of two
independent assessment systems and their associations with attachment security. International Journal of Behavioral
Development, 16(4), 563-587.
4 Park, K. A., & Waters, E. (1989). Security of attachment and preschool friendships. Child development, 1076-1081.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Strumenti basati sulla tecnica Q-sort per la valutazione della
competenza sociale

Dopo il periodo di osservazione, il ricercatore dovrà ordinare i cartoncini in base alla

distribuzione forzata: lo strumento suddivide gli item in 7 gruppi in base a quanto i comportamenti

osservati si avvicinano a quelli descritti nei cartoncini.

La distribuzione unimodale degli item prevede che:

• Nel gruppo 7 siano raggruppati gli item molto simili – 5 cartoncini;

• Il gruppo 6 contenga gli item simili – 7 cartoncini;

• Il gruppo 5 includa gli item più simili che diversi – 9 cartoncini;

• Il gruppo 4 racchiuda gli item né simili né diversi – 13 cartoncini;

• Nel gruppo 3 siano inseriti gli item più diversi che simili – 9 cartoncini;

• Nel gruppo 2 rientrino gli item diversi – 7 cartoncini;

• Nel gruppo 1 gli item siano molto diversi – 5 cartoncini.

Per ogni diade osservata viene stilato un profilo dei punteggi dato dai valori assegnati ad

ogni item corrispondenti al numero del gruppo in cui il cartoncino è inserito.

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Filippo Petruccelli - Strumenti basati sulla tecnica Q-sort per la valutazione della
competenza sociale

Esempio di foglio di codifica di un Q-set con distribuzione uniforme (Elia, L., Cassibba, R. 2009)

Il profilo ottenuto dovrà essere quindi confrontato con il profilo criterio italiano del DRQ:

tramite l’analisi della correlazione verrà descritta la qualità dell’interazione osservata 5.

Con la finalità di adattare il DRQ al contesto italiano, D’Odorico, Cassibba e Carli hanno

chiesto a 14 giudici esperti nell’ambito dello sviluppo infantile di ordinare gli item dello strumento in

modo tale da illustrare i comportamenti tipici di una diade di amici di età compresa tra i 3 e i 5

anni. Nonostante la versione di Park e Waters viene applicata ai bambini dai 3 ai 10 anni, in quella

italiana si è preferito ridurre la fascia di età, in quanto il significato attribuito all’amicizia varia

sensibilmente nel periodo di vita qui considerato.

Di seguito verrà riportato il criterio italiano del Dyadic Relationship Q-sort di D’Odorico,

Cassibba e Carli.

5 D'Odorico, L., Cassibba, R., & Carli, L. (2003). Il Dyadic Relationships Q-sort. uno strumento osservativo per la valutazione
delle relazioni di amicizia in età prescolare.

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Filippo Petruccelli - Strumenti basati sulla tecnica Q-sort per la valutazione della
competenza sociale

Elia, L., Cassibba, R. 2009.

Youngblade, Park e Belsky individuano una forte correlazione tra le sette dimensioni. Tramite

l’analisi fattoriale degli item gli autori hanno ridotto le sette dimensioni e a due fattori: l’interazione

positiva e l’interazione coordinata.

Nell’interazione positiva sono compresi le sotto scale di orientamento sociale positivo,

armonia, controllo e responsività. Nel secondo fattore sono compresi gli item che descrivono

situazioni di gioco coordinato e coesione.

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competenza sociale

2. Il California Child Q-set (CCQ)

Il California Child Q-set nasce per opera di Block e Block per indagare una grande varietà

di comportamenti manifestati da bambini di età compresa dai 3 ai 13 anni 6. Lo scopo era quello di

valutare la personalità dei bambini nella fascia di età che va dal periodo prescolare a quello

preadolescenziale. In età prescolare la personalità del bambino è per la gran parte connessa ad

aspetti temperamentali. Diversi studi hanno infatti riscontrato una sovrapposizione tra alcune

dimensioni dello strumento e aspetti del temperamento misurati tramite il Children’s Behavior

Questionnaire (CBQ) di Rothbart 7.

Successivamente Waters e collaboratori hanno riadattato lo strumento per la valutazione

della competenza sociale del bambino. In particolar modo, si sono appellati a 7 giudici esperti

dell’ambito dello sviluppo infantile per ordinare il Q-set in modo da descrivere il profilo criterio del

bambino socialmente competente. Successivamente, per evitare distorsioni dei risultati dovuti alla

variabile “desiderabilità sociale”, hanno chiesto ad un altro gruppo di 7 persone competenti

nell’ambito delle scienze umane, di ordinare il Q-set per stilare il profilo di un bambino in età

prescolare che manifesti comportamenti ritenuti più desiderabili.

Quindi il CCQ prevede due criteri:

• Uno indaga quanto il piccolo osservato sia conforme o meno al “bambino socialmente

competente”;

• Uno viene adottato quando si intende controllare l’effetto della desiderabilità sociale

rispetto alla descrizione prodotta.

6 Block, J., & Block, J. H. (1969). The California Child Q-set. Berkeley. CA: University of California, Berkeley, Institute of Human
Development.
7 Rothbart M.K. (1996). Children’s Behavior Questionnaire: Short Form Version I, unpublished manuscript, University Oregon,
Department of Psychology, Eugene.

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competenza sociale

Secondo alcuni, la durata totale dell’osservazione dovrebbe essere di almeno un’ora per

ogni singolo soggetto e dovrebbe essere suddivisa in due giornate diverse. Secondo altri, la

rilevazione dovrebbe essere effettuata in una classe o in un gruppo in cui i bambini sono osservati

contemporaneamente per una durata totale di almeno 15 ore. In questo modo il ricercatore

avrebbe la possibilità di familiarizzare con ogni singolo membro, raccogliendo un numero

sufficiente di informazioni 8.

Prima di ordinare il Q-set del CCQ è bene prendere confidenza con gli item in modo tale

da potersi concentrare esclusivamente sui comportamenti oggetto di interesse.

Durante il periodo di rilevazione, è auspicabile che l’osservatore prenda nota di quanto

osservato in modo da facilitare il lavoro di ordinamento dei cartoncini. In questo modo può essere

ridotto il rischio di dimenticare qualche aspetto del comportamento oggetto di interesse.

Dopo il periodo di osservazione, i 100 item che compongono il CCQ vengono divisi in 9

gruppi di 11 item ciascuno. Il gruppo centrale fa eccezione: questo infatti contiene 12 item.

L’osservatore procederà secondo tre fasi di ordinamento:

• Per prima cosa egli andrà a dividere gli item in 3 gruppi in base al loro grado di similitudine

con la condotta osservata nel bambino: nel gruppo A verranno inseriti i cartoncini con i

comportamenti simili a quelli osservati nel soggetto; nel gruppo B quelli identificati come né

simili né dissimili, in quando non sono stati rilevati o l’osservatore non è ancora in grado di

valutarli; nel gruppo C verranno inseriti i cartoncini che descrivono i comportamenti diversi.

Il numero di item per ciascun gruppo non viene preso in considerazione in questa fase.

• Successivamente i cartoncini dei gruppi A, B e C sono a loro volta suddivisi in 3 gruppi. Nella

tabella di seguito verrà riportata la distribuzione degli item.

8 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Strumenti basati sulla tecnica Q-sort per la valutazione della
competenza sociale

Elia, L., Cassibba, R. (2009).

La procedura del trattamento dati è la stessa vista precedentemente e utilizzata per ogni

strumento basato sulla tecnica Q-sort: il profilo dei punteggi di ogni soggetto viene confrontando

col profilo criterio, ottenendo un punteggio di correlazione che è indice della competenza sociale

di chi viene osservato. Inoltre, è consigliabile utilizzare il criterio di desiderabilità sociale per ottenere

risultati più attendibili.

Coppola e Camodeca si sono occupati di costruire un profilo criterio italiano necessario per

tenere conto del contesto culturale e sociale in cui il bambino nasce e cresce 9.

9 Coppola, G., & Camodeca, M. (2010). La metodologia Q-Sort. Valutare la competenza sociale nella scuola dell’infanzia
(pp. 1-165). Carocci Editore spa.

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competenza sociale

3. Preschool Q-set (PQ)

Il Preschool Q-set presentato in questa sede è quello rivisto da Wanda Bronson, nonostante

le origini dello strumento sono da attribuire alla psicologa clinica Diana Baumrind 1011.

Il PQ si compone di 72 item e indaga differenti aspetti comportamentali del bambino

attinenti all’interazione in età prescolare.

Anche in questo caso, un gruppo di esperti dell’ambito della psicologia dello sviluppo sono

stati chiamati a ordinare il Q-set per arrivare ad una descrizione del profilo criterio del bambino

socialmente competente. È stato costruito anche qui un criterio di desiderabilità sociale per

controllarne l’influenza sul punteggio ricavato dall’osservazione.

Come per il CCQ, la durata totale dell’osservazione dovrebbe essere di almeno un’ora per

ogni singolo soggetto e dovrebbe essere suddivisa in due giornate diverse. Differentemente, la

rilevazione potrebbe essere effettuata in una classe o in un gruppo in cui i bambini sono osservati

contemporaneamente per una durata totale di almeno 15 ore, in modo che il ricercatore abbia la

possibilità di familiarizzare con ogni singolo membro.

Dopo il periodo di osservazione, i 72 item vengono ordinati in 9 gruppi, ognuno

comprendente 8 cartoncini. L’osservatore quindi procederà secondo tre fasi di ordinamento

descritte per il CCQ, tranne per il fatto che, nell’ultima fase, il numero di item è equivalente in

ognuno dei gruppi considerati (8).

Anche in questo caso è possibile consultare il lavoro di Coppola e Camodeca in cui si sono

occupati di costruire la versione italiana dello strumento, costruendo i criteri di confronto del Paese

per quanto riguarda la competenza sociale e la desiderabilità sociale 12.

10 Baumrind, D. (1968). Preschool Q-set. Unpublished manuscript, University of California, Berkeley.


11 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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Filippo Petruccelli - Strumenti basati sulla tecnica Q-sort per la valutazione della
competenza sociale

Sebbene CCQ e PQ siano per certi versi simili, gli item che li compongono vanno ad

indagare aspetti diversi della competenza sociale.

Il primo si occupa prevalentemente degli aspetti dello sviluppo della personalità del

piccolo. Il secondo indaga le modalità di interazione tra coetanei all’interno del contesto

scolastico 13.

12 Coppola, G., & Camodeca, M. (2010). La metodologia Q-Sort. Valutare la competenza sociale nella scuola dell’infanzia
(pp. 1-165). Carocci Editore spa
13 Elia, L., Cassibba, R. (2009). Valutare le competenze sociali. Carocci editore.

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copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
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Filippo Petruccelli - L’intelligenza emotiva

1. Origine del costrutto di intelligenza emotiva

Se per molto tempo all’interno della letteratura il pensiero e l’emozione venivano poste in

antitesi, tanto da considerare quest’ultima come un intralcio al pensiero razionale, con Gardner le

emozioni vengono riconosciute come espressioni di intelligenza. All’interno della sua teoria delle

intelligenze multiple, l’autore riconosce un’intelligenza intrapersonale ed una interpersonale: la

prima si riferisce alla capacità di riconoscere, rappresentare e utilizzare i propri sentimenti per

comprendere e guidare il comportamento; la seconda attiene alla capacità di comprendere i

sentimenti dell’altro e di agire di conseguenza 12.

Salovey e Mayer introducono il concetto di intelligenza emotiva nei primi anni 90 riferendosi

a «un tipo di intelligenza sociale che prevede l’abilità di monitorare le emozioni proprie e altrui, di

discriminarle e di usare queste informazioni per guidare il pensiero e le azioni». In altre parole,

l’intelligenza emotiva implica la conoscenza emozionale; la capacità di percepire, valutare ed

esprimere le emozioni in modo accurato ed adattivo; la capacità di facilitare l’attività cognitiva e

l’adattamento tramite l’utilizzo dei sentimenti; la capacità di gestione delle emozioni all’interno di

sé e nel rapporto con gli altri 34.

Il costrutto di intelligenza emotiva acquisisce popolarità grazie alla pubblicazione del 1995

di Goleman, Emotional intelligence: Why it can matter more than IQ 5. La sua celebrità deriva dalla

costatazione che, a parità di talento, doti e intelligenza, alcune persone raggiungono il successo

ed altre no.

1 Gardner, H. (1983). Frames of mind: The theory of multiple intelligence (10th anniversary ed.). New York: Basic Books.
2 Gardner, H. (1993). Multiple intelligences: The theory in practice. New York: Basic Books.
3 Mayer, J. D., & Salovey, P. (1993). The intelligence of emotional intelligence. Intelligence, 17, 433-442.
4 Salovey, P., & Mayer, J. D. (1989-90). Emotional intelligence. Imagination, Cognition and Personality, 9, 185-211.
5 Goleman, D. (1995). Emotional intelligence: Why it can matter more than IQ. New York: Bantam.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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I “più talentuosi” non sempre raggiungono il successo, sono felici e in salute, a discapito di

quanto si pensi solitamente. L’intelligenza emotiva sembra infatti che abbia un ruolo significativo,

insieme ad altri fattori, nel raggiungimento di una vita di successo 6.

Salovey e Mayer nei modelli più recenti definiscono l’intelligenza emotiva come una serie di

abilità cognitive deputate all’elaborazione delle informazioni emotivo-affettive a livello intra ed

interpersonale. Tali abilità sono suddivise in quattro ambiti organizzati gerarchicamente:

• I primi due sono considerati le componenti esperienziali dell’intelligenza emotiva:

o La percezione accurata, la valutazione e l’espressione delle emozioni;

o L’utilizzo delle emozioni come facilitatori del pensiero;

• Gli altri due ambiti sono componenti strategiche dell’intelligenza emotiva:

o La comprensione delle emozioni, dei loro nessi causali, la loro trasformazione;

o La regolazione e gestione delle emozioni a favore della crescita emotiva ed

intellettiva 78.

In questo senso, l’intelligenza emotiva può essere vista come un’abilità cognitiva o come

una componente che interagisce con le funzioni cognitive di base 9.

6 Richburg, M., & Fletcher, T. (2002). Emotional intelligence: Directing a child's emotional education. Child Study Journal,
32(1), 31-38.
7 Mayer, J.D., Salovey, P., Caruso D. (2002a). Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test (MSCEIT) Item Booklet.
Toronto, Ontario, Canada: MultiHealth System.
8 Mayer, J.D., Salovey, P., Caruso D. (2002b). Mayer- Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test (MSCEIT) User’s Manual.
Toronto, Ontario, Canada: Multi-Health System.
9 De Caro, T., & D'Amico, A. (2008). L'intelligenza emotiva: rassegna dei principali modelli teorici, degli strumenti di
valutazione e dei primi risultati di ricerca. Giornale italiano di psicologia, 35(4), 857-884.

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2. Intelligenza emotiva e competenza emotiva

Diversi autori hanno usato il termine di abilità emotiva in modo intercambiabile con quello

di competenza. Quando si parla di competenza, secondo il senso comune, ci si riferisce al

possesso di alcuni requisiti, come qualità, abilità apprese, conoscenze e capacità

comportamentali, che permettono di svolgere una mansione in modo adeguato. Le definizioni di

abilità e competenza sono costantemente oggetto di dibattito all’interno nella letteratura

scientifica così come anche nei modelli che si occupano di sistematizzare il costrutto

dell’intelligenza emotiva. La scelta di un termine piuttosto che dell’altro spesso non viene

giustificata dai diversi autori e le differenti accezioni assunte dai due termini nelle differenti lingue

rendono il tutto ancora più complesso.

Nel suo primo modello Goleman abbraccia la definizione di competenza emotiva descritta

come la capacità di riconoscere, capire ed utilizzare le emozioni proprie e altrui per eseguire una

performance efficace. In questo senso, il costrutto ha assunto un’importanza significativa

nell’ambito lavorativo 1011. In una versione più recente, all’interno del modello, l’autore definisce

quelle che sono le competenze che caratterizzano l’individuo emotivamente intelligente:

• L’autoconsapevolezza delle proprie emozioni e il loro utilizzo nel decision making;

• L’autocontrollo, riferito al grado di gestione delle emozioni e alla capacità di adattarsi a

diverse situazioni di vita;

• La capacità di gestire le relazioni sociali.

10 Boyatzis, R. E., Goleman, D., & Rhee, K. (2000). Clustering competence in emotional intelligence: Insights from the
Emotional Competence Inventory (ECI). Handbook of emotional intelligence, 99(6), 343-362.
11 Goleman, D., Boyatzis R.E., Mckee A. (2002). Primal leadership: Realizing the power of emotional intelligence. Boston, MA:
Harvard Business School Press

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Filippo Petruccelli - L’intelligenza emotiva

Mayer, Salovey e Caruso hanno tentato di sistematizzare i vari modelli teorici che si sono

occupati di intelligenza emotiva, distinguendo i modelli misti, o mixed models, e i modelli

dell’abilità, o ability models.

• I mixed models sono tutti quei modelli che guardano all’intelligenza emotiva come un mix

di tendenze comportamentali, motivazionali ed affettive che sono considerate

relativamente stabili e non per forza riconducibili all’intelligenza;

• Secondo gli ability models, l’intelligenza emotiva sarebbe costituita esclusivamente da

variabili cognitive ed abilità mentali, escludendo ulteriori elementi riguardanti le differenze

interindividuali.

Un ulteriore tentativo è stato compiuto da Petrides e Furhnam. Gli autori hanno distinto i

modelli in base a chi parlava di intelligenza emotiva come tratto, come abilità o come

elaborazione di informazioni 121314.

Nonostante fino ad oggi non si sia pervenuti ad un quadro definito, coerente e condiviso

del costrutto, sembra essere accertato il valore predittivo che tale dimensione possiede nei diversi

ambiti di vita in cui l’individuo è inserito 15.

La ricerca successiva dovrà mirare al raggiungimento di una maggiore chiarezza di quelle

che sono le teorie di riferimento ma anche di una maggiore definizione di quale sia il valore dei

diversi aspetti che costituiscono l’intelligenza emotiva nei diversi contesti di vita.

12
Petrides K.V., Furhnam A. (2000a). On the dimensional structure of emotional intelligence. Personality and
Individual Differences, 29, 313-320.
13
Petrides K.V., Furhnam A. (2001). Trait emotional intelligence. Psychometric investigation with reference to
established trait taxonomies. European Journal of Personality, 15, 425-448.
14
Petrides K.V., Furhnam A. (2003). Trait emotional intelligence: Behavioral validation in two studies of emotion
recognition and reactivity to mood induction. European Journal of Personality, 17, 39-57.
15
De Caro, T., & D'Amico, A. (2008). L'intelligenza emotiva: rassegna dei principali modelli teorici, degli strumenti di
valutazione e dei primi risultati di ricerca. Giornale italiano di psicologia, 35(4), 857-884.

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3. I cinque domini dell’intelligenza emotiva

Richburg e Fletcher hanno individuato cinque domini che definiscono il concetto di

intelligenza emotiva: la conoscenza delle proprie emozioni, la gestione delle emozioni, il motivare

sé stessi, il riconoscimento delle emozioni negli altri e la gestione delle relazioni.

Il riconoscimento delle proprie emozioni sta alla base dell’intelligenza emotiva. La capacità

di identificarle e monitorarle aumenta l’autoconsapevolezza individuale e la capacità di

controllare la propria vita, comprendendo i propri sentimenti riguardo i pensieri, le decisioni e il

comportamento. In questo senso, gli individui emotivamente intelligenti sono in grado di effettuare

delle scelte per sé stessi che siano consapevoli.

Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva ha quindi inizio nel momento in cui il bambino

acquisisce consapevolezza di sé stesso.

Esistono due modalità tramite cui è possibile indagare l’autoconsapevolezza nei bambini. In

primo luogo, è possibile osservare il piccolo nel suo ambiente naturale, focalizzandosi sulle sue

reazioni a diversi tipi di stimoli. Nel momento in cui si rileva che il bambino sta esperendo una

qualsiasi emozione, questo viene incoraggiato ad identificarla. Un secondo modo possibile è

quello di manipolare l’ambiente per creare situazioni in cui il fenomeno può essere osservato.

Uno dei bisogni fondamentali del bambino, secondo Shapiro, è quello di riuscire a

verbalizzare le proprie emozioni: la capacità di riconoscere e comunicare le proprie emozioni è

fondamentale perché venga raggiunto un buon grado di controllo emotivo 16. Alla base di ciò vi è

l’abilità di guardare alle proprie emozioni, sentimenti e comportamenti in modo introspettivo.

16 Shapiro, L. E. (1998). How to raise a child with a high EQ: A parent's guide to emotional intelligence, New York: Harper
Collins.

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Filippo Petruccelli - L’intelligenza emotiva

La gestione delle proprie emozioni in maniera appropriata, secondo Goleman, rappresenta

la capacità di mantenere un certo grado di stabilità di fronte agli alti e bassi della vita 17. Tale

abilità influisce significativamente sul benessere e sulla stabilità emotiva 18. Il controllo emotivo è,

dopo l’autoconsapevolezza, il passo successivo verso l’intelligenza emotiva. La gestione delle

emozioni è da distinguere dalla soppressione delle stesse: infatti, controllarle significa cercare di

contenerle perché non diventino troppo estreme, sfociando nella patologia. All’interno di un

contesto di ricerca non è possibile controllare il tipo di emozione, ma si può valutare il grado in cui

queste influiscano sul comportamento. Anche in questo caso è possibile osservare e/o manipolare

la variabile “gestione emotiva”, ad esempio creando una condizione di frustrazione.

Un ulteriore dominio che va a costituire l’intelligenza emotiva è la motivazione. Questa può

essere descritta come il grado in cui un individuo agisce sulla base di un’idea, di un pensiero o di

un obiettivo 19. In questo caso, il focus attentivo è sui risultati a cui mira il comportamento piuttosto

che al comportamento stesso 20. Di contro, la pianificazione e la messa in atto di un pensiero o di

un’idea correla con il significato per cui l’individuo è motivato a compiere l’azione. Alcuni fattori

modulano il grado di motivazione individuale, come ad esempio: il desiderio, la gratificazione,

l’affetto, il risultato, i benefici e i sacrifici 21. Lane sostiene che la motivazione rifletta la capacità di

indurre un affetto positivo per aumentare la possibilità di raggiungere i propri obiettivi 22.

17 Goleman, D. (1995). Emotional intelligence: Why it can matter more than IQ. New York: Bantam.
18 Richburg, M., & Fletcher, T. (2002). Emotional intelligence: Directing a child's emotional education. Child Study Journal,
32(1), 31-38.
19 Richburg, M., & Fletcher, T. (2002). Emotional intelligence: Directing a child's emotional education. Child Study Journal,
32(1), 31-38.
20 Zirkel, S. (2000). Social intelligence: The development and maintenance or purposive behavior. In R. Bar-On & J. D. A.
Parker (Eds.), The handbook of emotional intelligence: Theory, development, assessment, and application at home, school,
and in the workplace (p. 5). San Francisco, CA: Jossey-Bass.
21 Richburg, M., & Fletcher, T. (2002). Emotional intelligence: Directing a child's emotional education. Child Study Journal,
32(1), 31-38.
22 Lane, R. D. (2000). Levels of emotional awareness. In R. Bar-On & J. D. A. Parker, (Eds.), The handbook of emotional
intelligence: Theory, development, assessment, and application at home, school, and in the workplace (p. 172). San
Francisco, CA: Jossey-Bass.

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Filippo Petruccelli - L’intelligenza emotiva

Goleman associa la motivazione con il flow, che può essere inteso come uno stato in cui le

emozioni esperite sono positive e il soggetto prova sentimenti di armonia gioia ed euforia. Ciò

induce al successo in quanto l’individuo mette in atto comportamenti per il piacere di farlo.

Il grado di motivazione correla positivamente con la partecipazione scolastica in assenza di

costrizioni da parte di insegnanti o parenti: i discenti si rendono conto dell’importanza

dell’educazione in quanto comprendono che l’acquisizione di conoscenze favorirà il

raggiungimento del successo in futuro. Inoltre, i bambini motivati rispetto a quelli non motivati, sono

maggiormente in grado di portare a termine i progetti iniziati, di trovare nuovi modi creativi per

raggiungere i propri traguardi e di ritardare la gratificazione per il raggiungimento degli scopi

ambiti. Ancora, i bambini motivati si aspettano di avere successo e si prefiggono obiettivi più

elevati; di contro, i bambini poco motivati hanno basse aspettative e si impegnano meno per il

raggiungimento delle proprie mete 23. Nel marshmallow test, o test della gratificazione differita, il

bambino riceve un biscotto: per superare il test deve resistere 10 o 15 minuti senza mangiarlo per

riceverne un secondo. I bambini che sono in grado di ritardare la gratificazione sono

maggiormente competenti a livello sociale, assertivi, affidabili e sono più intraprendenti, capaci di

fronteggiare lo stress e le frustrazioni, e di affrontare le sfide 24.

Un’ulteriore componente fondamentale perché un individuo sia emotivamente intelligente

è la capacità di riconoscere le emozioni degli altri. Questa rappresenta una delle social skills

fondamentali e comporta l’aumento dell’empatia e, di conseguenza, della competenza sociale.

Secondo Gardner, perché si parli di intelligenza emotiva è fondamentale che l’individuo sia in

grado di identificare e discriminare lo stato d’animo dell’altro 25.

23 Shapiro, L. E. (1998). How to raise a child with a high EQ: A parent's guide to emotional intelligence, New York: Harper
Collins.
24 Goleman, D. (1995). Emotional intelligence: Why it can matter more than IQ. New York: Bantam.
25 Richburg, M., & Fletcher, T. (2002). Emotional intelligence: Directing a child's emotional education. Child Study Journal,
32(1), 31-38.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - L’intelligenza emotiva

I bambini dimostrano di possedere abilità empatiche quando, ad esempio, piangono

quando sentono un altro bambino piangere, quando condividono il cibo o quando consolano un

amico.

Per valutare l’empatia è possibile discutere con il bambino circa situazioni di vita reale per

poi osservare le reazioni ed ascoltare le sue risposte.

Il livello di autoconsapevolezza e di competenza emotiva si riflette nel grado in cui gli

individui sono capaci di creare e mantenere relazioni sociali, le quali si distinguono in base al grado

di intimità raggiunto tra i partner. Maggiore è l’esposizione a situazioni sociali, maggiore sarà la

probabilità di instaurare relazioni positive: sperimentandosi all’interno delle relazioni gli individui

riescono ad assumere più punti di vista e acquisiscono nuove abilità di socializzazione,

raggiungendo un equilibrio nello scambio di espressioni emotive. La creazione di relazioni

reciproche prevede che lo scambio di emozioni e interazioni sia mutuale (ibidem). Hendrick e

Hendrick sostengono che le persone esperiscono una miriade di emozione nello scambio con

l’altro che posso essere riassunte nel grado in cui siamo attratti o meno da determinate persone 26.

26 Hendrick, S., & Hendrick, C. (1992). Liking, loving and relating (2nd ed). Pacific Grove, CA: Brooks/Cole.

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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

1. Intelligenza emotiva, variabili demografiche e


benessere

Numerose evidenze supportano l’idea per cui l’intelligenza emotiva è un predittore

significativo di un corretto funzionamento dell’individuo a livello sociale e personale: è stata

riscontrata, ad esempio, una correlazione negativa tra intelligenza emotiva e comportamenti

disadattivi, come condotte aggressive e violente e comportamenti a rischio – uso di droghe e

guida spericolata. Inoltre, sembra che gli individui “emotivamente più intelligenti” manifestino

condotte maggiormente adattive, intrattengano relazioni sociali qualitativamente migliori,

presentino con più frequenza comportamenti prosociali e ottengano un maggior numero di

successi in ambito accademico. Inoltre, gli stessi sembrano essere più soddisfatti nella vita, sono

maggiormente in grado rispetto agli altri di adottare delle strategie di coping funzionali,

presentano una migliore salute mentale e sono maggiormente in grado di regolare le emozioni,

ponendo un freno a quelle negative e implementando quelle positive 1.

Da quanto emerso da indagini empiriche, sembra che l’intelligenza emotiva vari in base

all’età: alcuni autori hanno infatti riscontrato livelli maggiori di intelligenza emotiva negli adulti

rispetto ai più giovani, così come i punteggi degli adolescenti risultano superiori rispetto a quelli

riscontrati in gruppi di bambini 2.

Inoltre, le indagini svolte sul tema delle emozioni hanno rivelato che le donne presentano

punteggi più elevati in alcune delle componenti proprie dell’intelligenza emotiva come ad

esempio il comportamento prosociale, l’altruismo, l’empatia, la capacità di riconoscere e

discriminare le emozioni proprie e altrui (ibidem).

1 Palomera, R., Fernández-Berrocal, P., & Brackett, M. A. (2008). Emotional intelligence as a basic competency in pre-service
teacher training: Some evidence.
2 De Caro, T., & D'Amico, A. (2008). L'intelligenza emotiva: rassegna dei principali modelli teorici, degli strumenti di
valutazione e dei primi risultati di ricerca. Giornale italiano di psicologia, 35(4), 857-884.

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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

Ancora, il grado di intelligenza emotiva sembra essere un buon predittore della qualità di

vita e del benessere psicologico, relazionale e sociale dell’individuo. Sono state evidenziate delle

correlazioni positive tra trait EI e il benessere psicologico, la soddisfazione di vita e l’ampiezza della

rete sociale degli individui. Inoltre, alcuni studi hanno messo in luce una correlazione negativa tra

trait EI e alcuni esiti negativi quali depressione, burnout, senso di solitudine, sintomi somatici, stress,

abuso di alcolici (ibidem).

Sembra altresì che l’ability EI sia positivamente correlata con una buona qualità di relazioni

sociali e negativamente correlata con ansia, depressione e relazioni conflittuali. Infine, alcuni autori

hanno riscontrato che, in particolare nelle relazioni amorose, se entrambi i partner presentano bassi

livelli di EI – rilevati con il MSCEIT – tendono a valutare negativamente la loro relazione; di contro,

confrontando coppie in cui uno dei due o entrambi i partner presentano alti punteggi di

intelligenza emotiva, la valutazione della qualità della propria relazione non sembra variare

significativamente (ibidem).

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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

2. Intelligenza emotiva all’interno del contesto


educativo

La capacità dell’individuo di saper gestire la propria emotività influenza i processi di

apprendimento, il benessere fisico e mentale, la qualità delle relazioni e la performance, sia in

ambito accademico che lavorativo 3.

I bambini che manifestano alti livelli di intelligenza emotiva sono considerati meglio dai

compagni e dagli insegnati. Inoltre, sembra che riescano ad affrontare con minori difficoltà il

passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria, con migliori risultati. Gli stessi bambini

partecipano più assiduamente a scuola e sembrano essere più inseriti rispetto ai loro compagni

con un livello di intelligenza emotiva più basso 45.

Di contro, studenti con difficoltà di apprendimento presentano, rispetto ai coetanei,

punteggi significativamente più bassi nella scala di Gestione dello stress e Adattabilità del EQ-i.

Il numero ristretto di studi condotti sulla relazione tra ability EI e successo scolastico risulta

essere esiguo. Tuttavia, studi che hanno utilizzato il MSCEIT riportano una correlazione tra alcune

sotto scale del test che attengono comprensione e gestione delle emozioni e il successo

scolastico.

Più recentemente l’attenzione si è focalizzata sulla relazione tra intelligenza emotiva e

benessere personale degli insegnanti. Il lavoro degli insegnanti non è affatto facile in quanto

richiede la regolazione delle emozioni non solo dell’insegnante stesso ma anche di tutti coloro che

sono coinvolti: gli studenti, i colleghi, i genitori. Sappiamo che le emozioni possono favorire una

maggiore capacità creativa e implementare le abilità nel gestire le situazioni di difficoltà.

3 Brackett, M. A., & Caruso, D. R. (2007). Emotionally literacy for educators. Cary, NC: SEL media.
4 Qualter, P., Whiteley, H. E., Hutchinson, J. M., & Pope, D. J. (2007). Supporting the development of emotional intelligence
competencies to ease the transition from primary to high school. Educational psychology in practice, 23(1), 79-95.
5 Petrides, K. V., Sangareau, Y., Furnham, A., & Frederickson, N. (2006). Trait emotional intelligence and children's peer
relations at school. Social Development, 15(3), 537-547.

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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

In particolar modo, gli insegnanti che esperiscono emozioni positive presentano un

maggiore grado di benessere e favoriscono un migliore adattamento degli allievi. Tutto ciò facilita

la costruzione di un clima ideale per l’apprendimento 6.

La difficoltà degli insegnanti di gestire le emozioni sembra essere correlata ai livelli percepiti

di depersonalizzazione e disagio emotivo: alcuni studi hanno infatti dimostrato che il livello di

intelligenza emotiva degli insegnanti possa predire il rischio di burnout. Inoltre, è stata riscontrata

una correlazione positiva tra alti livelli di intelligenza emotiva e l’utilizzo di strategie adattive per il

fronteggiamento degli stress all’interno del contesto scolastico. Anche il livello di soddisfazione

lavorativa degli insegnanti sembra migliorare in tali condizioni. L’influenza dell’intelligenza emotiva

sul benessere lavorativo e sulla soddisfazione professionale pare che sia mediata dal fatto che gli

insegnanti con livelli più alti di intelligenza emotiva esperiscono un maggior numero di emozioni

positive 7.

Il burnout ha ripercussioni negative sul benessere dell’insegnante stesso come anche sui

processi di apprendimento: la qualità dell’insegnamento sembra risentirne negativamente così

come le performance degli allievi e le relazioni studente-insegnante. Risulta quindi fondamentale

che gli insegnanti siano in grado di riconoscere e regolare le proprie emozioni per il

raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e per la costruzione di relazioni sociali positive 8.

Le competenze emotive sono considerate competenze base che sono applicabili

all’interno di tutti i contesti socioeducativi e che permettono di superare gli ostacoli e raggiungere

gli obiettivi, favorendo il buon funzionamento dell’individuo. Ciò risulta vero per gli insegnanti e per

gli allievi, ma anche e soprattutto per quei bambini che presentano bisogni educativi speciali o

che, venendo da altre culture, devono essere integrati nel nuovo contesto (ibidem).

6 Sutton, R. E., & Wheatley, K. F. (2003). Teachers' emotions and teaching: A review of the literature and directions for future
research. Educational psychology review, 15(4), 327-358.
7 Brackett, M. A., Palomera, R., Mojsa‐Kaja, J., Reyes, M. R., & Salovey, P. (2010). Emotion‐regulation ability, burnout, and job
satisfaction among British secondary‐school teachers. Psychology in the Schools, 47(4), 406-417.
8 Palomera, R., Fernández-Berrocal, P., & Brackett, M. A. (2008). Emotional intelligence as a basic competency in pre-service
teacher training: Some evidence

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In base a quanto detto, risulta quindi fondamentale includere nel processo di formazione

degli insegnanti anche training che riguardano le competenze emotive: questi devono essere

forniti di strumenti in grado di favorire un clima sereno di apprendimento e collaborazione, che sia

in grado di promuovere la maturazione emotiva degli studenti.

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3. Misurare l’intelligenza emotiva

Una definizione comune e condivisa di intelligenza emotiva non è ancora stata raggiunta.

Per questa ragione, la misurazione del costrutto risulta piuttosto problematica e perlopiù legata ai

diversi modelli teorici che hanno tentato di fare chiarezza sul tema.

In questa sede andremo a distinguere gli strumenti per la valutazione adottati da approcci

teorici che considerano l’intelligenza emotiva come un insieme di tratti disposizionali (trait

emotional intelligence o trait EI) da quelli adottati da autori che guardano al costrutto come un

complesso di abilità cognitivo-motivazionali (ability emotional intelligence o ability EI) 91011.

Per quanto riguarda la trait EI gli strumenti utilizzati per la valutazione del costrutto sono di

tipo soggettivo, ad esempio il self-report, o scale di auto ed etero-valutazione; i modelli teorici

ability EI utilizzano, di contro, strumenti più oggettivi, andando a valutare la performance emotiva.

Tra gli strumenti di misurazione della trait EI possiamo riscontrare:

• L’Emotional Quotient Inventory (EQ-i) sviluppato da Bar-On 1213. Lo strumento è composto da

133 item ognuno dei quali presenta alternative di risposta su scala a 5 livelli. È

somministrabile dai 17 anni in poi e permette la misurazione del quoziente emotivo globale

del soggetto. Inoltre, l’EQ-i permette di calcolare i punteggi di cinque sottoscale:

Intrapersonale, Interpersonale, Stress Management; Adattabilità; Umore Generale.

9 Petrides K.V., Furhnam A. (2000a). On the dimensional structure of emotional intelligence. Personality and Individual
Differences, 29, 313-320.
10 Petrides K.V., Furhnam A. (2001). Trait emotional intelligence. Psychometric investigation with reference to established trait
taxonomies. European Journal of Personality, 15, 425-448.
11 Petrides K.V., Furhnam A. (2003). Trait emotional intelligence: Behavioral validation in two studies of emotion recognition
and reactivity to mood induction. European Journal of Personality, 17, 39-57.
12 Bar-On, R. (1997). The emotional quotient inventory (EQ-i): A test of emotional intelligence. multi-health systems. Inc.,
Toronto.
13 Bar-On, R. (1997). EQ-i BarOn emotional quotient inventory: A measure of emotional intelligence: Technical manual. Multi-
Health Systems.

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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

Lo strumento è stato adattato in trenta lingue e somministrato in diversi Paesi del mondo,

tuttavia non è ancora disponibile una versione in italiano. La consistenza interna del test è

stata calcolata con l’alpha di Cronbach che ha un valore di .93. La struttura fattoriale

tuttavia non sembra convergere con un modello a cinque fattori, ma le misurazioni

sembrano rilevare un unico fattore generale. Inoltre, Bar-On, tramite una serie di studi, ha

riscontrato che l’EQ-i sembra presentare correlazioni minime se non nulle con strumenti

deputati all’indagine dell’intelligenza così come viene classicamente intesa (WAISS e

Matrici Progressive di Raven). Inoltre, alcuni autori hanno rilevato la presenza di correlazioni

significative tra l’EQ-i e misure di personalità basate sul modello dei Big Five 14.

L’Emotional Quotient Inventory – Youth Version (EQ-iYV) è la versione corrispondente del

EQ-i ideata per misurare il quoziente emotivo di soggetti di età dai 7 ai 18 anni 1516.

• L’Emotional Competence Inventori (ECI) ideato da Sala si compone di 63 item su scala

Likert a sette livelli 17. È un questionario multi-source in quanto la valutazione della

competenza emotiva viene effettuata sia da colui il quale viene valutato sia da persone

facenti parte della sua vita: familiari, amici, colleghi, docenti ecc. Perciò la valutazione

avviene non solo in base a come il soggetto si percepisce ma anche in base a come

viene percepito dagli altri. L’utilizzo dell’analisi fattoriale sullo strumento ha permesso di

individuare due grandi dimensioni in cui ricadono maggiormente i punteggi: il working with

other e il lead others.

14 De Caro, T., & D'Amico, A. (2008). L'intelligenza emotiva: rassegna dei principali modelli teorici, degli strumenti di
valutazione e dei primi risultati di ricerca. Giornale italiano di psicologia, 35(4), 857-884.
15 Bar-On, R., & Parker, J. (2000). The Bar-On Emotional Quotient Inventory: youth version (EQ-i: YV) Technical Manual.
Canada: Multi-Health Systems.
16 The Bar-On Emotional Quotient Inventory: Youth Version (EQ-i:YV). Technical Manual. Toronto, Canada: Multi-Health
Systems Inc.
17 Sala, F. (2002). Emotional competence inventory: Technical manual. Philadelphia, PA: McClelland Center For Research,
HayGroup.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

Nel primo fattore si guarda alla capacità di utilizzare le emozioni a scopi personali e nel

lavoro con gli altri; il secondo si riferisce all’utilizzo delle emozioni per far sì che gli altri si

adattino ai cambiamenti 18.

La consistenza interna, misurata con l’alpha di Cronbach, risulta essere maggiore di .80,

tranne per la scala dell’Autoconsapevolezza, che presenta un punteggio di .76.

Rispetto alla validità di costrutto, Boyatzis e Sala riportano correlazioni non significative tra le

misure di intelligenza emotiva tramite l’utilizzo dell’ECI e i punteggi di pensiero critico e il

ragionamento analitico rilevati con il Watson-Glaser Critical Thinking Appraisal (WGCTA – Forma S)

di Watson e Glaser (1994). Inoltre, gli autori riportano correlazioni positive tra i quattro gruppi di

competenze misurate tramite l’ECI (Autoconsapevolezza, Autogestione, Consapevolezza Sociale e

Abilità Sociali) e le misure di Estroversione del NEO-PI-R di Costa e McCrae (1992) 19.

• Il Trait Emotional Intelligence Questionnaire (TEIque) di Petrides e Furhnam si compone di 144

item 20. Gli autori propongono quindici scale corrispondenti ai fattori che compongono l’EI:

adattabilità, assertività, empatia, felicità, bassa impulsività, ottimismo, autostima,

automotivazione, competenza sociale, gestione dello stress, espressione delle emozioni,

gestione delle emozioni negli altri, percezione delle emozioni, capacità di regolare le

emozioni, abilità relazionali 21.

Tra le teorie ability EI gli strumenti sono pensati come test di performance.

18 Boyatzis R.E., Sala F. (2004). The Emotional Competence Inventory. In G. Geher (ed.), Measuring emotional intelligence.
New York: Nova Science Publishers, pp. 147-168.
19 Boyatzis R.E., Sala F. (2004). The Emotional Competence Inventory. In G. Geher (ed.), Measuring emotional intelligence.
New York: Nova Science Publishers, pp. 147-168.
20 Petrides, K. V., & Furnham, A. (2003). Trait emotional intelligence: Behavioural validation in two studies of emotion
recognition and reactivity to mood induction. European journal of personality, 17(1), 39-57.
21 De Caro, T., & D'Amico, A. (2008). L'intelligenza emotiva: rassegna dei principali modelli teorici, degli strumenti di
valutazione e dei primi risultati di ricerca. Giornale italiano di psicologia, 35(4), 857-884.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

Mayer, Salovey e Caruso, partendo dal presupposto che l’intelligenza emotiva corrisponda

ad un’abilità cognitiva, sviluppano il Mayer, Salovey & Caruso Emotional Intelligence Test (MSCEIT).

Secondo gli autori la misurazione del costrutto tramite autovalutazione non risulta efficace, perciò

utilizzano test di performance che vanno a mobilitare quelle che sono le abilità indicate come

proprie della persona emotivamente intelligente.

Nel loro modello l’EI è definita come una serie di abilità cognitive deputate all’elaborazione

delle informazioni emotivo-effettive proprie della sfera personale e interpersonale. Queste abilità

sono state suddivise dagli autori in quattro ambiti:

• Percezione accurata, valutazione ed espressione delle emozioni;

• Utilizzo delle emozioni come facilitatori del pensiero;

• Comprensione delle emozioni, della loro origine, delle loro trasformazioni;

• Regolazione e gestione delle emozioni a favore della maturazione emotiva e intellettiva 22.

Il test si compone di 141 item divisi in 8 compiti – due per ogni ambito. Dalla

somministrazione si ottengono quattro punteggi: un punteggio totale; uno per ognuno dei quattro

ambiti; due punteggi riguardanti experiential EI e strategic EI, dove il primo indica la percezione e

l’utilizzo delle emozioni e il secondo prevede la comprensione e la gestione delle emozioni.

D’Amico e Curci si sono occupati di validare la versione italiana dello strumento 23.

I punteggi ricavati dalla somministrazione del test sembra si possano considerare come dati

oggettivi in quanto tramite il consensus scoring e l’expert scoring viene valutata la correttezza delle

risposte.

22 Mayer J.D., Salovey P. (1997). What is emotional intelligence? In P. Salovey, D. Sluyter (eds.), Emotional development and
emotional intelligence: Implications for educators. New York: Basic Books, pp. 3-31.

23 Curci, A., & D'Amico, A. (2010). MSCEIT-Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test. Validazione e taratura italiana.
Giunti OS Organizzazioni Speciali.

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Filippo Petruccelli - Strumenti per la valutazione dell’intelligenza emotiva

Il consensus scoring valuta come corrette le risposte fornite dalla maggioranza dei soggetti

che compongono il campione normativo; l’expert scoring valuta come corrette le risposte fornite

da studiosi esperti appartenenti all’International Society Research on Emotions (ISRE).

Gli indici di attendibilità del MSCEIT, calcolati tramite il metodo split-half, sembrano

accettabili, ricadendo in un range compreso tra .60 e .89.

Rispetto alla validità discriminante del test, gli studi che hanno confrontato i test basati sul

modello dei Big Five e il MSCEIT hanno riscontrato una correlazione non significativa. Inoltre, le

misure dello strumento sono indipendenti o scarsamente correlate con le misure di intelligenza

cognitiva ottenute con test quali la WAIS e le Matrici di Raven 24.

24 De Caro, T., & D'Amico, A. (2008). L'intelligenza emotiva: rassegna dei principali modelli teorici, degli strumenti di
valutazione e dei primi risultati di ricerca. Giornale italiano di psicologia, 35(4), 857-884.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione della competenza socio-emotiva

1. Modelli teorici della competenza socio-emotiva

Non è infrequente che termini come competenza sociale, competenza comunicativa,

intelligenza sociale, siano usati in modo intercambiabile per indicare la competenza socio-emotiva

di un individuo. Tuttavia, questa sembra riferirsi, secondo Parhomenko, ad un complesso di abilità

quali l’autoconsapevolezza, l’empatia, la motivazione, l’autoregolazione, le abilità sociali.

• Per autoconsapevolezza si intende la presa di coscienza su quali siano i propri punti di forza

e di debolezza e la capacità di riconoscere e distinguere tra loro le diverse emozioni;

• L’empatia attiene alla capacità di riconoscere, comprendere e condividere le emozioni

dell’altro;

• La motivazione si riferisce al coinvolgimento ed alla perseveranza in determinate attività

anche se le condizioni non sono sempre favorevoli;

• L’autoregolazione indica la capacità di controllare gli impulsi e le reazioni emotive

inappropriate;

• Le abilità sociali sono tutte quelle conoscenze, abilità e competenze che favoriscono

l’adattamento dell’individuo all’ambiente sociale in modo funzionale 1.

Halberstadt, Denham e Dunsmore individuano tre componenti principali della competenza

socio-emotiva: mandare messaggi emotivi; ricevere messaggi emotivi; esperire le emozioni.

All’interno di ognuna delle componenti si esplicano alcune abilità fondamentali perché le

interazioni sociali possano avere successo: la consapevolezza, l’identificazione, la capacità di

tenere conto del contesto sociale, la gestione e la regolazione 2.

1 Parhomenko, K. (2014). Diagnostic methods of socio–emotional competence in children. Procedia-Social and Behavioral
Sciences, 146, 329-333.
2 Halberstadt, A. G., Denham, S. A., & Dunsmore, J. C. (2001). Affective social competence. Social development, 10(1), 79-
119.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione della competenza socio-emotiva

• Mandare messaggi emotivi. Già appena nati, i bambini sono in grado di segnalare il loro

status emotivo. Ad esperienze spiacevoli, come ad esempio la fame, si può

accompagnare il pianto. Nel primo anno di vita, le espressioni emotive diventano più

strumentali nel tentativo di influenzare il mondo circostante. Quando i bambini crescono e il

numero delle loro relazioni sociali aumenta, la capacità di mandare messaggi emotivi ha la

funzione di esprimere le proprie intenzioni al gruppo dei pari. Le persone, inoltre, possono

sceglie di inviare messaggi emotivi che siano in linea o contrastanti rispetto alla propria

esperienza emotiva.

L’abilità di mandare messaggi emotivi è molto importante per l’accettazione da parte dei

pari: i bambini in grado di inviare messaggi emotivi, in particolare positivi, sembrano avere migliori

relazioni coi pari; viceversa, i bambini che esprimono maggiormente un’emotività negativa.

La prima abilità richiesta è la consapevolezza della necessità di mandare messaggi a

carattere emotivo. Nei neonati tale abilità è imprescindibile dalla consapevolezza di stare

esperendo un’emozione.

La seconda abilità corrisponde alla capacità di identificare il messaggio emotivo

appropriato da inviare in base agli obiettivi da raggiungere. Ciò è possibile attraverso l’esperienza

stessa ma anche grazie all’educazione genitoriale.

La terza abilità prevede la capacità di inviare il messaggio emotivo tenendo conto dal

contesto sociale. L’emozione dovrebbe essere espressa secondo una modalità e con un’intensità

adeguate in base alla situazione ed all’ambiente in cui l’interazione avviene.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione della competenza socio-emotiva

La gestione della comunicazione emotiva è la quarta abilità e prevede che:

• il messaggio emotivo sia espresso in modo chiaro, tenendo conto del contesto culturale in

cui il bambino è inserito;

• si eviti di inviare messaggi non veritieri;

• i messaggi emotivi inviati siano funzionali all’interazione sociale in atto 3.

• Ricevere messaggi emotivi. La seconda componente della competenza socioaffettiva

consiste nel ricevere le comunicazioni affettive degli altri, che forniscono dei feedback sulle

conseguenze del nostro comportamento, informazioni sulle intenzioni dell’altro ed

opportunità di interazione.

La prima abilità consiste nell’essere consapevoli del messaggio emotivo che gli altri ci

stanno comunicando. Quando ciò non accade il bambino risulta meno efficiente nell’interazione

con l’altro. Una forma rudimentale di tale abilità è presente già in età infantile e si affina con il

tempo.

La seconda abilità consiste nell’identificare i significati di quanto comunicato dall’altro e

quindi la capacità di interpretare il messaggio emotivo.

Il bambino poi deve in grado di comprendere la comunicazione emotiva dell’altro

all’interno del contesto sociale. Per fare ciò è necessario che mettere da parte il proprio stile di

comunicazione emotiva per comprendere ciò che l’altro ci vuole comunicare. Risulta inoltre

importante considerare il tipo di relazione che intercorre tra i partner – che può andare dalla

familiarità ad una relazione di potere – e la capacità del mittente di inviare il messaggio che può

influenzare la ricezione da parte del ricevente.

3 Halberstadt, A. G., Denham, S. A., & Dunsmore, J. C. (2001). Affective social competence. Social development, 10(1), 79-
119.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione della competenza socio-emotiva

La quarta abilità concerne la capacità di gestire la ricezione dei messaggi emotivi. Anche

in questo caso si richiedono diverse abilità:

• La capacità di ricevere chiaramente i messaggi, senza il bisogno di numerose

ripetizioni. La chiarezza del messaggio varia in base alla cultura, alla sub-cultura ed

al contesto familiare condiviso dai due partner interattivi.

• La capacità di gestione dei falsi segnali emotivi ignorandoli o accettandoli come

reali quando lo si ritiene più vantaggioso.

• La capacità di gestire i segnali reali nel senso di ricevere i messaggi reali quando è

funzionale per l’interazione sociale. Ad esempio, in una situazione di gioco tra due

partner, in cui vi è un vincitore e uno sconfitto, quest’ultimo può avere difficoltà nel

mascherare il dispiacere di aver perso nonostante sia al contempo felice per

l’amico che ha avuto la meglio. In questo caso, un bambino competente a livello

socioemotivo potrebbe prestare maggiore attenzione alla parte del messaggio che

dice “Sono contento per te” piuttosto che a quella che comunica “Sono dispiaciuto

per aver perso”. La capacità di comprendere la coesistenza di due messaggi, a

volte contrastanti, viene acquisita dal bambino durante verso la fine dell’età

prescolare. Un ulteriore capacità nel gestire i messaggi reali consiste nell’ignorarli

quando sono irrilevanti per l’interazione sociale 4.

• Esperire le emozioni. La terza componente della competenza socio-emotiva corrisponde

all’abilità di esperire le emozioni. In questo senso si intende non solo la coscienza e il

riconoscimento delle emozioni dell’altro, ma anche la capacità di regolare efficacemente

le espressioni emotive. Le relazioni durature e di successo sono quelle in cui i partner

riescono a condividere emozioni genuine essendo entrambi in grado di accedere alle

emozioni e di gestirle e allo stesso tempo di comunicarle.

4 Halberstadt, A. G., Denham, S. A., & Dunsmore, J. C. (2001). Affective social competence. Social development, 10(1), 79-
119.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione della competenza socio-emotiva

Anche in questo caso, come per le altre componenti, la capacità di esperire le emozioni

prevede quattro abilità che si sviluppano progressivamente con la maturazione del

bambino.

La prima abilità è la consapevolezza o il riconoscimento che l’altro sta esperendo

un’emozione, capacità essenziale affinché si possa comprendere come quello che l’altro sta

provando possa influenzare la comunicazione e come quello stesso individuo interpreti i messaggi

degli altri. È possibile che, a causa di dinamiche inconsce, non sempre siamo in grado di avere una

consapevolezza circa i nostri sentimenti.

La seconda abilità prevede la capacità di identificare efficacemente le emozioni dell’altro,

non solo riconoscendo la valenza positiva o negativa delle stesse ma interpretandole.

Un’interpretazione erronea può indurre alla manifestazione di sentimenti e comportamenti che, se

perpetuati, potrebbero indurre ad una resistenza al cambiamento.

La terza abilità consiste nel comprendere i significati sottesi ai sentimenti dell’altro all’interno

del contesto sociale. Ciò può essere particolarmente complicato nei casi in cui siano posti dei limiti

di tempo, vi sia confusione derivante da altri messaggi cooccorrenti e/o la necessità di una

risposta immediata. Possiamo, ad esempio, renderci conto solo alla fine della conversazione che

ciò che ci è stato detto ci ha offeso.

La quarta abilità consiste nella capacità di regolare le esperienze emotive che si basa sul

repertorio di strategie di coping che acquisiamo nel tempo rispetto a specifiche situazioni. Dopo

aver interpretato la situazione emotiva e la propria esperienza affettiva, l’individuo competente a

livello socio-emotivo è in grado di scegliere quale sia la modalità di espressione delle emozioni più

appropriata. L’attivazione fisiologica, la cognizione e il comportamento sono tutti elementi che

sono coinvolti nella regolazione emotiva: l’attivazione fisiologica in genere tende all’attenuazione

dell’arousal che tende a ristabilire l’omeostasi dell’organismo; la componente cognitiva della

regolazione emotiva prevedere lo spostamento del focus attentivo e il problem solving;

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione della competenza socio-emotiva

l’aspetto comportamentale prevede la manifestazione, comportamentale o cognitiva,

delle emozioni appropriate o l’inibizione di quelle inappropriate.

I bambini che sono in grado di gestire la loro esperienza emotiva sono maggiormente in

grado di instaurare e mantenere relazioni di successo con i pari, rispetto a quelli che non

possiedono strategie funzionali alla gestione delle emozioni e che, perciò mettono in atto

comportamenti socialmente inappropriati. Anche in questo caso sono stati individuati tre aspetti

della capacità di gestire le emozioni.

• La capacità di esperire chiaramente i sentimenti e di evitare la ruminazione.

• La gestione dei falsi segnali che prevede la capacità di ignorarli quando non

riflettono in modo veritiero i sentimenti dell’altro e la capacità di comprendere

quando quegli stessi segnali sono funzionali a facilitare la comunicazione e il

raggiungimento degli obiettivi preposti.

• La gestione dei segnali emotivi reali, attenuandoli/aumentandoli quando risultano

funzionali/irrilevanti per l’interazione.

Il modello viene descritto dagli autori come una girandola in modo da dare l’idea della

natura dinamica che caratterizza le interazioni sociali e della continua integrazione delle

componenti affettive nel processo di conoscenza all’interno di un mondo sociale in continuo

mutamento 5.

5 Halberstadt, A. G., Denham, S. A., & Dunsmore, J. C. (2001). Affective social competence. Social development, 10(1), 79-
119.

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Filippo Petruccelli - Osservazione e valutazione della competenza socio-emotiva

Halberstadt, A. G., Denham, S. A., & Dunsmore, J. C. (2001)

Secondo gli autori, le quattro abilità – consapevolezza, identificazione, agire all’interno di

contesto sociali e la gestione e la regolazione – all’interno delle tre componenti si vanno a

sviluppare in sequenza quando il bambino matura ed acquisisce esperienza delle proprie emozioni

e delle relazioni sociali. Ogni abilità è collegata gerarchicamente all’altra all’interno di ogni

componente e tra le componenti stesse.

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Forme rudimentali di tali abilità potrebbero, secondo gli autori, essere presenti prima dello

sviluppo delle abilità successive: «Per esempio, almeno un certo livello di consapevolezza di un

esperienza emozionale potrebbe essere presente prima che si cominci ad identificare di quali

esperienza si tratti» 6. Lo sviluppo delle abilità socio-emotive coinvolge un’interazione dinamica tra

la maturazione individuale e le opportunità fornite dalle esperienze di socializzazione.

Le abilità di cui sopra variano in base a:

• Le caratteristiche l’individuo;

• Il contesto culturale e sub-culturale di appartenenza;

• Il contesto sociale;

• Gli obiettivi che l’individuo si pone.

Ciò che potrebbe essere considerato come competente ad un’età, in una peculiare

cultura, all’interno di uno specifico contesto per il raggiungimento di un dato obiettivo potrebbe

non esserlo per un individuo di diversa età, collocato in un’altra cultura, in un altro contesto

sociale, che tende al raggiungimento di un obiettivo differente. Non esistono perciò delle azioni

che sono considerate sempre e universalmente competenti al livello socioaffettivo.

Inoltre, alcuni fattori che potrebbero influire sul costrutto, come ad esempio il proprio punto

di vita, il concetto di sé, l’autostima, il temperamento, la conoscenza delle leggi sociali, le strategie

di interazione, la motivazione all’affiliazione, la flessibilità del comportamento ecc.

Gli autori sostengono che la competenza socio-emotiva debba essere osservata all’interno

dei contesti di interazione tra i bambini: le rilevazioni delle reazioni emotive dei piccoli, le loro

espressioni facciali e i loro comportamenti sono osservati all’interno di situazioni strutturate ma

anche durante i momenti di svago 7.

6 Halberstadt, A. G., Denham, S. A., & Dunsmore, J. C. (2001). Affective social competence. Social development, 10(1), 79-
119.
7 Halberstadt, A. G., Denham, S. A., & Dunsmore, J. C. (2001). Affective social competence. Social development, 10(1), 79-
119.

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2. Valutazione della competenza socio-emotiva in età


prescolare

Diverse ricerche hanno dimostrato che i bambini più competenti a livello socio-emotivo,

quando entrano all’asilo, si adattano più facilmente all’interno del contesto scolastico, ottengono

voti più alti e un maggior numero di successi accademici. Questi sono maggiormente apprezzati

dai pari rispetto agli altri, sono in grado di instaurare e mantenere nuove amicizie, hanno un

rapporto positivo con gli insegnanti, partecipano con piacere alle attività scolastiche. Il possesso di

abilità socio-emotive – come la capacità di intraprendere relazioni positive con gli insegnanti, una

buona autostima derivante dallo stile di attaccamento, la capacità di riconoscere e regolare le

emozioni, il possesso di abilità sociali e l’accettazione all’interno del gruppo dei pari – influisce sul

successo accademico degli studenti. Di contro, quando il bambino in età prescolare non

acquisisce le competenze socio-emotive necessarie, corre il rischio di presentare successivamente

problemi a scuola, comportamenti disadattivi, psicopatologia 8.

Raven e Knitzer, in base alla letteratura scientifica presente sull’argomento, hanno

individuato alcuni aspetti fondamentali della competenza socio-emotiva durante l’età prescolare:

• I bambini che non hanno sviluppato competenze socio-emotive appropriate partecipano

meno in classe, non amano la scuola e apprendono meno. Questi sono inoltre meno

accettati da parte dei pari e gli insegnanti forniscono loro un numero minore di istruzioni e

feedback positivi.

• Il grado di competenza del bambino a livello socioaffettivo è un buon predittore del

rendimento scolastico in prima elementare, a prescindere dalle abilità cognitive e dal

background familiare.

8 Denham, S. A. (2006). Social-emotional competence as support for school readiness: What is it and how do we assess it?
Early education and development, 17(1), 57-89.

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• Gli effetti negativi dovuti al possesso di competenze socioemotive carenti potrebbero

successivamente indurre alla manifestazione di condotte aggressive e antisociali.

Da quanto emerso risulta necessaria l’adozione di strumenti di valutazione che mettano in

luce i punti di forza e di debolezza per lo sviluppo di programmi finalizzati all’implementazioni delle

competenze socio-emotive del bambino, con la finalità di favorire il benessere a lungo termine e il

successo scolastico.

Di seguito verranno presentati alcuni degli strumenti che si occupano di valutare gli aspetti

che concernono la competenza socioemotiva tramite l’osservazione diretta del bambino.

• Il Minnesota Preschool Affect Checlist (MPAC) include 53 item organizzati in scale. Lo

strumento permette la valutazione della capacità di esprimere le emozioni, la regolazione

emotiva, il problem solving sociali e diverse abilità sociali 9.

Denham, S. A. (2006).

9 Denham, S. A. (2006). Social-emotional competence as support for school readiness: What is it and how do we assess it?
Early education and development, 17(1), 57-89.

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• Il Affective Knowledge Test (AKT) ideato da Denham valuta lo sviluppo in età prescolare

della capacità di comprendere le espressioni e le situazioni emotive tramite l’utilizzo di

marionette con volti che esprimono felicità, tristezza, rabbia e paura. Ai bambini viene

inizialmente chiesto di riferire il nome delle emozioni impresse sulle facce pupazzi e di

indicarle col il dito. In questo modo viene rilevata la capacità di riconoscere le emozioni. In

un momento successivo, ai bambini viene richiesto di abbinare ai burattini le facce (felici,

tristi, arrabbiate…) in base all’emozione espressa dalla voce del burattinaio durante il

racconto di una storia. Infine, il bambino deve inferire le emozioni in situazioni equivoche e

non stereotipiche. In questo modo è possibile valutare se il bambino sia in grado di

identificare le reazioni emotive dell’altro quando queste differiscono da come egli

reagirebbe nella stessa situazione: se, ad esempio, il bambino fosse contento di andare a

scuola, il burattino sarebbe triste 10.

• Il Challenging Situations Tasks (CST) permette di valutare le capacità di problem solving

sociale. Nella versione originale del CST i bambini devono immaginare i seguenti scenari:

• Vedere un coetaneo che abbatte una torre che il bambino sta costruendo;

• Venire colpito da un coetaneo in cortile;

• Inserirsi in un gruppo in cui alcuni compagni stanno giocando.

10 Denham, S. A. (1986). Social cognition, social behavior, and emotion in preschoolers: Contextual vali- dation. Child
Development, 57, 194–201.

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per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Per ogni situazione devono essere identificate le risposte affettive – felice, triste, arrabbiato,

“just ok” – e quelle comportamentali. In particolare, queste ultime possono essere:

• Prosociali, ad esempio, coinvolgere l’altro in un gioco costruttivo, non arrabbiarsi e

discutere dei problemi;

• Aggressive, come urlare, colpire o distruggere giochi;

• Manipolative, ad esempio, piangere;

• Evitanti, come ignorare l’altro e ritrarsi dall’interazione.

I punteggi ottenuti dalle risposte corrispondono al numero di volte che ogni risposta,

affettiva o comportamentale, è stata scelta nelle tre situazioni critiche.

Le scelte affettive e comportamentali sembrano correlate alla capacità di comprendere le

emozioni misurata con l’AKT. Alcuni autori hanno riscontrato che i bambini in età prescolare a

rischio di problemi comportamentali sono meno inclini a mettere in atto risposte prosociali 11.

11 Zahn-Waxler, C., Cole, P. M., Richardson, D. T., Friedman, R. J., & XXXX, X. (1994). Social problem solving in disruptive
preschool children: Reactions to hypothetical situations of conflict and distress. Merrill-Palmer Quarterly, 40, 98–119.

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3. Ulteriori strumenti per la valutazione della


competenza socio-emotiva

Il contributo di Pons e Harris, ideatori del Test of Emotion Comprehension (TEC) ha tentato di

fare luce sulla natura dello sviluppo della comprensione delle emozioni del bambino e sulla

variabilità individuale di tale sviluppo. Il TEC può essere somministrato a bambini dai tre agli undici

anni e consiste nella presentazione di brevi storie al bambino. Questo deve quindi attribuire

un’emozione al personaggio principale scegliendo tra quattro espressioni facciali quella che si

avvicina di più a quella provata dal personaggio. A seguito di una rassegna della letteratura sul

perspective-taking emotivo, la costruzione del TEC è stata basata sull’assunto secondo cui la

comprensione delle emozioni include nove componenti:

• Il riconoscimento o etichettatura implica la capacità del bambino di riconoscere le

emozioni di base – tristezza, felicità, rabbia, paura – e un’espressione neutra e di saperle

appaiare con un’etichetta verbale appropriata.

• La causa esterna o situazionale concerne la capacità di riconoscere le regolarità

situazione/evento-emozione, ovvero le cause esterne (situazioni o eventi) che, in genere,

inducono la manifestazione di determinate emozioni (ad es., quando festeggio il

compleanno sono felice).

• Il desiderio valuta se il bambino riesce a comprendere che le persone sono motivati da

particolari desideri e preferenze, specifiche per ognuno.

• La conoscenza o credenza, in accordo con la Teoria della Mente, valuta la capacità del

bambino di distinguere tra la sua conoscenza del mondo e quella di un altro.

• Nel valutare il ricordo in particolare si cerca di indagare se il bambino riesce a

comprendere come un evento negativo del passato possa influenzare le emozioni

associate ad un evento presente correlato alla situazione passata.

• La sesta componente valuta la capacità di regolazione delle emozioni.

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• Nella valutazione dell’occultamento al bambino viene presentato un dilemma in cui un

personaggio viene rappresentato con un’espressione felice, nonostante le informazioni del

contesto inducano a pensare che dovrebbe essere triste.

• Le emozioni miste valutate attraverso una storia in cui il protagonista prova

contemporaneamente due emozioni contrastanti.

• La morale concerne la capacità di cogliere l’emotività associata ad alcune scelte a

carattere morale 12.

Il Behaviour Assessment System for Children – 2 (BASC-2) di Reynolds e Kamphaus viene

indicato da alcuni come uno strumento diagnostico funzionale allo studio della componente socio

emotiva nei bambini. Lo strumento permette la valutazione del comportamento e della psicologia

di bambini dai 2 anni e mezzo ai 18 tramite l’osservazione e la raccolta di informazioni da parte del

bambino, dei genitori e dell’insegnante. Lo strumento è composto da scale che indagano:

• Problemi esternalizzanti come iperattività e aggressività;

• Problemi internalizzanti come ansia e depressione;

• Problemi scolastici come difficoltà attentive o di apprendimento;

• Adattabilità ovvero il possesso di social skill e altre abilità funzionali all’adattamento 13.

Il Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test – Youth Versioni (MSCEIT-YV) fornisce

una misura dell’intelligenza sociale tramite domande oggettive e impersonali e valuta la capacità

di percepire, usare, comprendere e regolare le emozioni. Lo strumento permette di valutare,

tramite scenari di vita quotidiana, quanto e in che modo le persone sono in grado di fronteggiare

le sfide e i problemi socio-emotivi.

12 Albanese, O., & Molina, P. (2008). Lo sviluppo della comprensione delle emozioni e la sua valutazione. La
standardizzazione italiana del Test di Comprensione delle Emozioni (TEC). Unicopli.

13 Reynolds, C. R. & Kamphaus, R. W. (Eds.) Handbook of psychological and educational assessment of children: Personality,
Behaviors, and Context (2nd ed.), New York, NY: The Guilford Press; 2003.

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La procedura include quattro scale:

• La percezione delle emozioni;

• L’utilizzo delle emozioni per facilitare il pensiero;

• La comprensione delle emozioni;

• La regolazione delle emozioni 1415.

14 Peters C., Kranzler J.H., Rossen E. Validity of the Mayer - Salovey - Caruso Emotional Intelligence Test: Youth Version -
Research Edition, Canadian Journal of School Psychology, 2009, vol. 24, no. 1, p. 76-81.

15 Rivers S.E., Brackett M.A., Reyes M.R., Mayer J.D., Caruso D.R., and Salovey P. Measuring Emotional Intelligence in Early
Adolescence With the MSCEIT-YV: Psychometric Properties and Relationship With Academic Performance and Psychosocial
Functioning, Journal of Psychoeducational Assessment; 2012, vol. 30, no. 4, p. 344- 366.

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1. Dagli allievi agli insegnanti

Il focus di studio degli psicologi scolastici, dall’essere esclusivamente centrato sugli studenti

e sulle loro caratteristiche, si è spostato sugli insegnanti e sulle loro modalità di stare in classe.

Sembra infatti che l’atteggiamento di questi influisca significativamente sulle condotte messe in

anno dai bambini e sulle dinamiche interpersonali all’interno del gruppo classe.

All’interno del contesto scolastico, l’insegnante assume una posizione di leader, avendo la

possibilità di esercitare il proprio potere, a differenza degli alunni. Egli sembra ricoprire un ruolo

nell’influenzare sia la produttività, a livello quantitativo e qualitativo, degli alunni, sia lo sviluppo

delle capacità potenziali di apprendimento dei giovani.

L’approccio individualistico alla problematica educativa è stato rifiutato a favore di

approcci che guardano al tema tenendo conto della situazione in cui l’alunno è inserito. La

condotta del bambino è la risultante di relazioni interpersonali e il processo educativo rappresenta

un succedersi di atti comunicativi. Non si parla più di patologia, cattiveria o “brutto carattere” del

bambino, ma di relazioni inadeguate e insoddisfacenti tra allievo ed insegnante. Quando si parla

di relazione, pertanto, l’attenzione non può essere focalizzata esclusivamente su uno degli attori

ma piuttosto sulle dinamiche per cui ognuno ha in qualche modo un’influenza sull’altro 1.

All’interno del contesto scolastico, l’insegnante ricopre il ruolo di figura educativa ma

anche di riferimento affettivo in quanto: sprona il bambino a partecipare alle attività proposte;

trasmette valori ed aspettative sociali; incoraggia l’attuazione di comportamenti funzionali al

contesto in cui si è inseriti; incentiva lo sviluppo di capacità atte a gestire gli impulsi. Ponendosi

come modello, favorisce, inoltre, l’attuazione di comportamenti prosociali ed evita fenomeni di

esclusione, promuovendo l’instaurazione di un clima cooperativo 2.

1 Soresi, S. (1978). Guida all'osservazione in classe. Giunti/Barbèra.


2 Elia, L., & Cassibba, R. (2015). Valutare le competenze sociali: strumenti e tecniche per l'età prescolare. Carocci.

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L’insegnante quindi ha un ruolo fondamentale nello sviluppo socio-cognitivo del bambino,

come anche in quello socio-emotivo: all’interno del contesto scolastico, fornisce quel senso di

sicurezza e protezione che il bambino in genere esperisce nella relazione con i genitori in ambito

familiare e che risulta funzionale perché il piccolo riesca ad esplorare con fiducia la realtà

materiale e sociale. Howes e Hamilton hanno riscontrato che piccoli con attaccamento sicuro

all’insegnante sembrano essere maggiormente competenti nell’intraprendere giochi socialmente

complessi e nel manifestare comportamenti prosociali rispetto ad altri con attaccamento insicuro,

più aggressivi, ostili e solitari 3.

Mentre alcuni sostegno che lo stile di attaccamento dell’insegnante rifletta quello che il

bambino ha con la figura materna, secondo altri i due legami sono indipendenti tra loro. Diversi

studi sembrano supportare l’ultima ipotesi, sostenendo che il bambino sia in grado di costruire

diverse rappresentazioni dell’attaccamento in base alla peculiare relazione istaurata con un dato

caregiver. Nello studio di Mitchell-Copeland, Denham e DeMulder è emerso che un attaccamento

sicuro con l’insegnante può contenere le conseguenze derivanti da un attaccamento insicuro con

la madre 4. Sembra inoltre che l’instaurazione di una relazione con l’insegnante che sia profonda

ed emotivamente saliente correli positivamente con la manifestazione di comportamenti prosociali

da parte del bambino, anche nei casi in cui le relazioni all’interno del suo contesto familiare sia

disturbato e carente a livello emotivo 5.

Ulteriori studi hanno messo in luce una correlazione tra la personalità degli insegnanti, il

comportamento dei bambini e il clima all’interno della classe.

3 Howes, C., & Hamilton, C. E. (1993). The changing experience of child care: Changes in teachers and in teacher-child
relationships and children's social competence with peers. Early Childhood Research Quarterly.
4 Mitchell-Copeland, J., Denham, S. A., & DeMulder, E. K. (1997). Q-sort assessment of child–teacher attachment relationships
and social competence in the preschool. Early education and development, 8(1), 27-39.
5 Peisner‐Feinberg, E. S., Burchinal, M. R., Clifford, R. M., Culkin, M. L., Howes, C., Kagan, S. L., & Yazejian, N. (2001). The relation
of preschool child‐care quality to children's cognitive and social developmental trajectories through second grade. Child
development, 72(5), 1534-1553.

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Gli insegnanti cordiali, rispetto agli altri, sembrano stimolare condotte originali e creative nei

loro allievi. Inoltre, i comportamenti creativi sembrano essere favoriti da insegnanti che

incoraggiano e premiano l’allievo, mostrano interesse per i suoi pensieri e sono propensi all’ascolto.

La disponibilità, altresì, sembra favorire un aumento dell’interesse per le attività di matrice

scientifica. Alcuni autori hanno riscontrato poi che i tratti di personalità propri dell’insegnante sono

fortemente correlati con lo stile democratico. Al contrario, i comportamenti creativi dello studente

tendono a ridursi quando lo stile adottato dall’insegnante è autoritario. In altri studi è emerso inoltre

che gli insegnanti manifestavano un diverso atteggiamento in base al fatto che gli studenti

mostrassero un buon adattamento scolastico, piuttosto che difficoltà di apprendimento: nel primo

caso i loro comportamenti sono più orientati verso l’integrazione; nel secondo caso sembrerebbe

prevalere l’adozione di interventi dominanti-autoritari 6.

Con la finalità di avere un quadro più limpido, diversi psicologi si sono cimentati nel

perfezionamento di tecniche osservative e di registrazione che permettessero di chiarificare le

dinamiche interattive all’interno della classe. Oltre ad avere lo scopo di ampliare le conoscenze in

merito, lo sviluppo di strumenti di osservazione sono stati utili per formare gli insegnanti affinché

siano resi in grado di assumere atteggiamenti adeguati e funzionali al loro ruolo di educatori.

La maggior parte degli strumenti si sono concentrati sull’analisi del comportamento

verbale, modalità di comunicazione più frequentemente usata all’interno del contesto scolastico.

Infatti, nonostante l’innegabile influenza esercitata dall’espressività non verbale, l’insegnamento si

serve prevalentemente del codice comunicativo numerico: questo infatti risulta essere più diretto e

immediato sulla condotta degli studenti e quindi maggiormente utilizzato dagli insegnanti.

6 Soresi, S. (1978). Guida all'osservazione in classe. Giunti/Barbèra.

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Lo scopo degli strumenti di osservazioni e delle analisi delle interazioni verbali e quello di

identificare dei modelli comportamentali in grado di stimolare l’apprendimento degli studenti e di

proporre un rinnovamento dei programmi di formazione dei docenti funzionali al raggiungimento

degli obiettivi educativi prefissati.

De Landsheere opera una distinzione degli strumenti di osservazione e registrazione delle

interazioni verbali in due grandi categorie, che si distinguono per complessità e finalità: i sistemi

analitici e i sistemi sintetici.

• I sistemi analitici ordinano le interazioni verbali, a livello qualitativo e quantitativo, in

categorie esaustive, mutualmente escludentesi.

• I sistemi sintetici catalogano le interazioni verbali insegnante-alunno in base allo stile

relazionale ma anche alle finalità dell’analisi o alle ipotesi formulate dal ricercatore.

Di seguito, verrà presentato il sistema di analisi delle interazioni verbali di Flanders, uno dei

maggiori sistemi analitici per lo studio delle interazioni verbali.

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2. Il sistema di analisi delle interazioni verbali di


Flanders e le sue categorie

Flanders si rifà al contributo di Anderson che, riprendendo la distinzione operata da Lewin

tra leader autoritario e democratico, sviluppò uno schema osservazione della condotta degli

studenti in base all’atteggiamento dominante o integrante dell’insegnante. Secondo l’autore, il

comportamento dominante viene manifestato da insegnanti con uno stile autoritario, poco

disponibile ad accogliere punti di vista e sentimenti degli studenti. In questi casi, è possibile

osservare il frequente utilizzo di minacce e di ordini in modo da imporre il proprio pensiero e la

propria volontà. L’insegnante con un atteggiamento integrante, d’altro canto, stimola la

cooperazione di tutti i membri del gruppo classe ed è aperto all’ascolto di punti di vista differenti

dal proprio.

Con lo scopo di osservare l’interazione all’interno del contesto scolastico, Anderson

propone una griglia osservativa composta da 23 categorie che ha la finalità di agire sui modelli

relazionali ritenuti inadeguati all’interno del sistema scolastico.

Partendo dagli studi di Anderson, Flanders si occupa di indagare come il docente, con la

sua condotta, influenzi il comportamento dell’allievo. L’autore ha osservato come all’interno di

ogni classe esiste un atteggiamento generale e condiviso nei confronti del docente e della classe,

a prescindere dalle differenze individuali dei singoli membri del gruppo. Il clima (classrome climate)

sarebbe condizionato, tra l’altro, dalle aspettative e dagli atteggiamenti comuni riguardo la

condotta del docente e l’idea di lui come persona: tale atmosfera viene quindi influenzata dal

tipo di interazione verbale che la condotta del docente stimola all’interno della classe. Inoltre,

l’autore distingue tra influenza diretta e indiretta, dove la prima correla con un comportamento

dipendente da parte dello studente, mentre la seconda con comportamenti innovativi e

indipendenti.

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In termini di comportamento verbale, l’insegnante che esercita un’influenza indiretta è

colui il quale favorisce l’intervento degli allievi, approva e stimola la partecipazione attiva degli

studenti alla vita scolastica.

Tuttavia, è da specificare che non esiste un insegnante esclusivamente dominante né uno

totalmente integrante, bensì si tende ad adottare influenze dirette o indirette in modo più o meno

flessibile.

Il sistema di analisi delle interazioni verbali (SAI) sviluppato da Flanders prevede tre

categorie in cui vengono ordinati i comportamenti verbali dei diversi attori all’interno della classe.

Nello specifico, le categorie includono: i comportamenti verbali del docente; quelli degli studenti; i

comportamenti non codificabili nelle categorie precedenti come il silenzio, il rumore e la

confusione. L’autore opera un’ulteriore distinzione in dieci sottocategorie, utili al raggiungimento di

un maggior grado di dettaglio delle informazioni raccolte.

• Rispetto all’espressione verbale del docente vengono distinte due sottocategorie di

comportamenti verbali che loro volta prevedono una serie di categorie più specifiche:

o Influenza indiretta del docente che si utilizza per codificare i comportamenti

dell’insegnante che: (1) accoglie il pensiero, le impressioni e i sentimenti degli

studenti; (2) ne incoraggia i comportamenti; (3) ascolta le proposte che gli vengono

avanzate; (4) formula domande non retoriche che quindi presuppongono un

responso da parte degli allievi.

o Influenza diretta del docente in cui il comportamento codificato è quello di un

insegnante che: (5) impone il suo pensiero e formula domande teoriche; (6) è

direttivo e tende ad impartire degli ordini; (7) critica le condotte degli studenti e

legittima i propri comportamenti.

• Per quanto riguarda le espressioni verbali degli alunni si distinguono due sottocategorie in

cui l’alunno: (8) manifesta un comportamento verbale come conseguenza di una diretta

sollecitazione da parte del docente; (9) interviene spontaneamente senza essere stimolato.

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• I comportamenti non classificabili nelle categorie precedenti, vengono classificate in

silenzio e confusione. Si utilizza ad esempio quando non è chiaro chi sta prendendo parola

o quando vi è un momento di silenzio (10).

L’insegnante il quale volesse servirsi del SAI, dovrebbe familiarizzare con le dieci categorie

per rendere la codifica più attendibile e affidabile possibile. Sarebbe facilitante utilizzare

apparecchi elettronici per riprendere alcune situazioni scolastiche, evitando quelle in cui l’attività

svolta intralcia l’interazione verbale, come ad esempio durante i compiti in classe.

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3. Il sistema di analisi delle interazioni verbali di


Flanders: codifica, interpretazione e regole per la
classificazione

La codifica, tramite il sistema di analisi delle interazioni verbali di Flanders, prevede un

periodo di osservazione di tre secondi, dopo i quali i comportamenti rilevati vengono registrati e

permette di misurare per quanto tempo l’insegnante manifesta un’influenza diretta piuttosto che

indiretta e le reazioni degli studenti a fronte di tali comportamenti.

Riportiamo un esempio di codificazione di una situazione scolastica. 7

N° Comportamento verbale di docente/allievo Categoria


interazione
Rumore Confusione
(10)
1 Insegnante: «Ragazzi e ragazze, aprite il libro a pagina 5» Ordine (6)
2 Bisbiglio Confusione
(10)
3 Insegnante: «Jimmy noi aspettiamo te! Apri, per piacere il Critica (7);
libro a pagina 5» Ordine (6)

4 Insegnante: «So che alcuni di voi hanno trovato difficoltà Espressione


nello studio di questo capitolo ed erano alquanto confusi. di
Credo che oggi lo troverete più interessante ed sentimenti
emozionante» per 6
secondi -
(1); (1).
5 Insegnante: «Ora, qualcuno ha riflettuto sulla nostra Domanda

7 Soresi, S. (1978). Guida all'osservazione in classe. Giunti/Barbèra.

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discussione di ieri?» (4)

6 Alunno: «Io ci ho pensato… e credo che noi abbiamo Intervento


tanta difficoltà a comprendere l’Asia Orientale perché, io spontaneo
penso, abbiamo poche occasioni per imparare a capire le per più di 6
abitudini di vita della gente che vive in quei paesi.» secondi (9);
(9); (9)
7 Insegnante: «Bene, mi piace questo pensiero, John. Ora Lode (2);
vediamo se io ho capito completamente il tuo pensiero. accetta
Tu ammetti che queste difficoltà oggi non l’ipotesi
sussisterebbero, se noi avessimo saputo di più sulla gente dell’allievo
dell’Asia Orientale» per 6
secondi (3);
(3).

Soresi, S. (1978).

Le interazioni possono essere rappresentate trascrivendo verticalmente i numeri

corrispondenti alle categorie rilevate.

Soresi, S. (1978).

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In questo modo si ottengono 14 coppie di relazioni che vengono riportate all’interno di una

matrice. Sulla riga viene indicato il primo numero della coppia, sulla colonna il secondo. All’inizio

ed alla fine di ogni registrazione la categoria riportata è la numero (10) in quanto all’inizio e alla

fine di ogni attività scolastica si presuppone ci sia silenzio o confusione.

Soresi, S. (1978).

Le coppie riportate all’interno della matrice permettono quindi di procedere con la

descrizione dell’interazione registrata, sia a livello quantitativo che a livello qualitativo. Grazie alla

tabella è possibile stabilire la percentuale dei comportamenti verbali del docente rispetto ad una

data categoria e la quantità di interventi degli studenti, spontanei o sollecitati.

È, inoltre, possibile individuare all’interno della matrice delle aree in cui si collocano i

comportamenti codificati con maggior frequenza.

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Area A – La croce del contenuto. (Soresi, S.,1978).

Nell’area A sono raccolte tutte quelle condotte, degli insegnanti e degli allievi, focalizzate

sul contenuto dell’attività scolastica.

Area B – influenza indiretta dell’insegnante. Area C – influenza diretta dell’insegnante. (Soresi, S.,1978).

L’area B include le espressioni indirette degli insegnanti, quindi i comportamenti integranti e

non direttivi.

L’area C include le espressioni dirette degli insegnanti che può indurre ad ipotizzare

numerosi problemi disciplinari all’interno del gruppo classe.

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Area D – risposte non direttive dell’insegnante alle espressioni verbali degli allievi.

Area E – risposte direttive dell’insegnante alle espressioni verbali degli allievi.

(Soresi, S.,1978).

Le aree D e E includono le risposte dei docenti alle richieste e agli interventi degli studenti

che possono essere: aperte ovvero indirette; chiuse, ovvero direttive.

Area F – Espressione degli allievi stimolata dall’insegnante.

Area G – Espressione degli allievi spontanea.

(Soresi, S.,1978).

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Le aree F e G raccolgono i comportamenti verbali degli studenti e favoriscono

l’individuazione di quei comportamenti che li hanno provocati: i comportamenti spontanei

ricadono nell’area G; quelli influenzati dal docente nell’area F.

Colonna del silenzio e della confusione.

(Soresi, S.,1978).

Nella colonna 10 vengono inseriti tutti quei comportamenti verbali, dell’insegnante o degli

alunni, che hanno contribuito alla determinazione di momenti di silenzio e/o confusione.

Area della costanza (Soresi, S.,1978).

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L’area della costanza è quella costituita dalle caselle che tagliano diagonalmente la

matrice. Qui vengono raggruppati tutti quei comportamenti che sono codificati ripetutamente

manifestandosi per una durata superiore ai 3 secondi. In pratica, in tali caselle si codificano le

interazioni particolarmente presenti all’interno del gruppo classe.

Consultando il Manuale per comprendere e migliorare il comportamento dell’insegnante in

classe di Flanders, è possibile rinvenire delle linee guida per l’interpretazione dei risultati

dell’osservazione. Inoltre, egli indica che valori percentuali medi, ricavati tramite la registrazione di

molteplici situazioni scolastiche. Le diverse ricerche portate avanti dall’autore si sono svolte

prevalentemente all’interno della scuola media, tuttavia, sostiene che ulteriori studi hanno rivelato

come non esistano differenze significative tra le espressioni verbale di docenti che operano a

diversi livelli (scuola elementare e media superiore) 8.

Flanders definisce dominanti i docenti che manifestano un’influenza diretta di gran lunga

superiore alla media e non direttivi quelli che presentano espressioni comportamentali

indirettamente influenti superiori alla media.

L’autore si preoccupa, inoltre, di fornire alcune indicazioni utili perché la classificazione del

comportamento risulti attendibile. All’interno del suo manuale è possibile reperire alcuni

suggerimenti:

• All’osservatore viene richiesto di imparare a memoria le dieci categorie in modo da

acquisire una certa padronanza nella codifica;

• Sarebbe auspicabile, soprattutto inizialmente, che la codifica venga effettuata in gruppi

composti da due o tre osservatori, in modo da discutere insieme di eventuali problemi nella

codifica;

8 Flanders, N. A. (1967). Teacher influence in the classroom. 1997). Interaction analysis: Theory, research and application, 103-
116.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Filippo Petruccelli - L’osservazione dell’interazione in classe: il Sistema di Analisi
delle Interazioni (SAI)

• Le prime analisi non dovrebbero riguardare momenti di insegnamento dell’osservatore, in

modo da favorire una maggiore obiettività.

Flanders fornisce inoltre una serie di regole da seguire con la finalità di evitare errori durante

la codifica dei comportamenti:

• Secondo la prima regola, quando l’osservatore è indeciso tra la scelta di due categorie

dovrebbe optare per quella più “lontana”. Ad esempio, se è indeciso sul fatto di codificare

il comportamento nella categoria (3) o (4), è preferibile che scelga la (4).

• La seconda regola, anche detta regola dell’osservatore parziale-imparziale, prevede che

quando il docente presenta uno stile prevalentemente direttivo/indiretto, l’osservatore

potrà scegliere la categoria opposta solo e soltanto se questa si manifesterà in modo

inequivocabile. Ad esempio, il comportamento di un insegnante dominante potrebbe

essere valutato come non direttivo nel momento in cui questo sia poco meno direttamente

influente delle espressioni verbali usate abitualmente.

• La terza regola postula che l’osservatore debba considerare esclusivamente il significato

dell’influenza del docente sugli allievi. Quindi deve prestare attenzione all’effetto che una

data espressione verbale ha sullo studente piuttosto che alle intenzioni del docente stesso.

• Secondo la quarta regola, quando in un intervallo si manifestano più categorie di

interazioni, queste vanno tutte registrate.

• La quinta regola stabilisce che i comportamenti direttivi dell’insegnante sono quelli che

producono comportamenti osservabili negli studenti.

• La sesta regola prevede che ogni qualvolta il docente chiami per nome uno studente vada

codificata la categoria (4 – l’insegnante pone domande).

• La settima regola prevede che la categoria (10 – confusione e silenzio), venga utilizzata

esclusivamente quando la confusione o il silenzio abbiano una durata uguale o superiore ai

tre secondi.

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delle Interazioni (SAI)

• Secondo l’ottava regola, la categoria (2 – lode e incoraggiamento) deve essere codificata

anche quando il docente ripete la risposta esatta fornita dallo studente.

• La nona regola stabilisce che quando l’insegnate ripete la frase pronunciata dallo studente

per richiedere un approfondimento vada codificata la categoria (3 – aderire alle proposte

dell’alunno).

• La decima regola postula che quando due compagni parlano senza l’intervento

dell’insegnante, si usa codificare il comportamento con la categoria (10).

• Secondo l’undicesima regola, l’interlocuzione del docente tramite “Hmhm, certo, bene” o

espressioni del genere, vengono codificate nella categoria incoraggiamento e rinforzo (2).

• La dodicesima regola prevede che le battute di spirito dell’insegnante devono essere

codificate nella categoria (3), se in forma ironica nella categoria (7).

• La tredicesima regola stabilisce che le domande retoriche del docente siano siglate nella

categoria (5), perché considerate elementi propri della tecnica di conduzione della

lezione.

• Secondo la quattordicesima regola, la risposta dell’alunno ad una precisa domanda del

docente viene siglata nella categoria (8); tuttavia, se l’allievo amplia in modo originale la

sua risposta accanto a (8) si sigla la categoria (9).

• Infine, la quindicesima regola prevede che venga usata la categoria (8) anche quando più

alunni rispondono correttamente a una domanda del docente.

Utilizzando il sistema di Flanders, l’insegnante può valutare il suo insegnamento tramite

l’analisi delle interazioni verbali all’interno della classe.

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Filippo Petruccelli - Il gioco

1. Definizione di gioco e le sue componenti


psicologiche

Il gioco, generalmente, è considerato come un momento ludico di spensieratezza ma,

riuscire a dargli una definizione precisa potrebbe risultare alquanto complicato. Nel corso degli

anni lo sforzo degli psicologi di dare una definizione chiara attraverso alcuni criteri

comportamentali si è scontrata con il fatto che realmente qualsiasi cosa venga fatta, anche le

azioni più semplici, in particolari situazioni può essere considerata un gioco. In molti hanno deciso di

rinunciare a studiarlo considerandolo come un comportamento specifico, altri invece si sono

basati prevalentemente su alcune definizioni riconducibili ad alcuni comportamenti ludici. Il gioco,

in fin dei conti, è da considerarsi l’attività per eccellenza dei bambini e occupa la maggior parte

del tempo della loro giornata, quindi può essere considerato il miglior modo in cui il bambino stesso

esplora il mondo che lo circonda. Seguendo questi ragionamenti si potrebbe definire il gioco

come uno strumento che permette al bambino di esprimersi, attraverso il quale può sviluppare la

propria identità e le proprie capacità. Il gioco è una parte integrante della vita del piccolo che si

manifesta fin dai primi giorni di vita, assieme all’esplorazione. Ad esempio, anche il solo stringere la

mano della mamma rappresenta una modalità attraverso cui esplora il mondo che lo circonda.

Questo procedimento si potrebbe considerare come un primo tentativo di gioco che poi si

evolverà con la crescita. Nello specifico, all’inizio il bambino osserva, esplora e manipola gli

elementi della realtà finendo poi per giocare con essi. L’esplorazione ha infatti vita breve, perché

nel momento il cui il bambino inizia ad avere più confidenza con il mondo e gli oggetti che lo

circondano sarà più facilmente portato a giocarci piuttosto che ad osservarli e a chiedersi cosa

poter fare con essi.

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Il gioco è costituito da varie componenti che riguardano soprattutto gli aspetti psicologici

del piccolo tra cui:

• La motivazione intrinseca, considerata forse come la parte più importante, è ciò che porta

il bambino a giocare, “gioco perché mi piace farlo”.

• La priorità dei mezzi sul fine. Per il bambino sembra essere molto più importante la

preparazione rispetto al risultato finale del gioco stesso. Ad esempio, costruire la storia,

creare i personaggi, inventare senza dare importanza reale al risultato finale. Nel caso in cui

dovessero presentarsi dei “problemi”, il bambino non si abbatte, ma essi vengono valutati

con entusiasmo come spunti su cui sbizzarrire la fantasia.

• La dominanza dell’individuo rispetto alla realtà esterna. Porsi domande e fantasticare su ciò

che lo circonda.

• Non letteralità del gioco. Il mondo fantastico del bambino prende vita nel mondo reale, ad

esempio, creando un fortino con cuscini e lenzuola, facendo finta di essere in guerra o in un

castello.

• La libertà dai vincoli. Le regole del gioco vengono decise insieme a tutti i partecipanti del

gioco. Queste non sono invariabili ma possono nello stesso tempo cambiare man mano

che il gioco si evolve.

• Il coinvolgimento attivo dei bambini. Qualunque gioco il bambino deciderà di

intraprendere tenterà in tutto e per tutto a rendere l’esperienza più vera possibile.

Nei diversi studi riguardanti l’età evolutiva, quelli sul gioco evidenziano in maniera chiara

delle differenze cognitive e sociali tra bambini e bambine. Maschi e femmine nel corso dello

sviluppo apprendono diversi modi di giocare che, con il passare del tempo, si allineano ai ruoli di

genere assunti. Numerosi studi hanno indagato le differenze tra comportamenti e giochi genere

tipizzati.

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Ad esempio, Goldberg e Lewis hanno evidenziato che a un anno o poco più le bambine

giocano con una modalità meno esplorativa, più tranquilla e maggiormente dipendente dalla

figura materna rispetto ai maschietti. I bambini, d’altro canto, giocano più attivamente,

muovendosi e seminando giochi nel loro spazio a differenza delle femmine che preferiscono

rimanere un contatto diretto con la mamma. Tali evidenze hanno trovato un riscontro anche

durante la scuola materna evolvendosi però in maniera diversa in base all’età, attraverso l’uso di

oggetti diversi. Le femmine ad esempio prediligono giochi più drammatici attraverso l’uso di

bambole, i maschi preferiscono invece giochi più fisici come la lotta o la costruzione di oggetti.

Anche i giochi di finzione sono diversi in base al genere: i maschi, ad esempio, preferiscono storie di

avventura e di fantasia.

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2. Le tipologie di gioco

Nel corso degli anni nella letteratura psicologica, il gioco è stato studiato e osservato da

moltissimi studiosi. Uno dei più importanti fu J. Piaget., psicologo, pedagogista e biologo,

considerato il padre fondatore dell’epistemologia genetica, ossia lo studio dei processi cognitivi

fondamentali per lo sviluppo della conoscenza nel processo di crescita. Le sue teorie sono state

spesso studiate, criticate e modificate tuttavia, ancora oggi, la sua teoria del modello stadiale

dello sviluppo umano è condivisa dalla comunità scientifica.

All’interno della sua teoria del modello evolutivo, Piaget postula la presenza di cinque stadi

evolutivi, e guarda al processo di sviluppo maturazionale come ad una successione di

cambiamenti a livello quantitativo e qualitativo. Il suo modello si caratterizza per una

differenziazione della modalità ludica, affermando che durante lo sviluppo nei primi due anni di

vita si parlerà di gioco di esercizio, che si evolverà in seguito in gioco simbolico e poi in gioco di

regole. Ogni fase non annulla l’altra, bensì la integra.

Secondo l’autore, il bambino inizia a giocare fin da subito, ad esempio, afferrando il dito

della mamma con lo scopo di esplorare la realtà. Questo è proprio quello che Piaget intende per

“gioco di esercizio”: portare alla bocca gli oggetti, aprire e chiudere gli occhi e la bocca,

muovere le braccia, dondolarsi, sono tutte esperienze che si adeguano ai suoi schemi mentali in

continua evoluzione.

Il gioco simbolico inizia intorno ai 15-18 mesi ed è presente fino ai 6 anni di vita del bambino.

Questa è una fase fondamentale per la sua crescita poiché inizia a porre le basi per un buon

sviluppo cognitivo, sociale e affettivo. Il gioco simbolico richiede lo sviluppo nel bambino della

capacità di rappresentazione e dell’immaginazione ed è da considerarsi l’unica modalità gioco

che non scompare ma persiste per tutta la vita 1.

1 Piaget, J., & Piazza, E. (1972). La formazione del simbolo nel bambino: imitazione, gioco e sogno, immagine e

rappresentazione. La Nuova Italia.

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Goldman e Ross, mediante l’osservazione videoregistrata hanno studiato le interazioni che

avvenivano in coppie di bambini di 12, 18 e 24 mesi con l’obiettivo di individuare l’eventuale

presenza di giochi sociali. I comportamenti di gioco dovevano soddisfare quattro criteri:

• Attività, ponendo come assunto che un comportamento passivo non può essere definito

gioco.

• Criterio di alternanza dei turni tra i partecipanti. Ogni bambino ha il suo turno per effettuare

un’azione di gioco in un periodo più o meno lungo a seconda della sua età e delle abilità

sociale acquisite.

• Non letteralità, ossia il significato delle azioni compiute.

• La ripetizione, intesa come l’interesse del bambino a ripetere l’attività senza dare conto al

risultato finale.

Dallo studio Goldman e Ross emerso che i bambini di 18-24 mesi mettevano in atto tre tipi di

gioco in particolare: imitativi, complementari e reciproci. Queste forme di gioco avevano tutte una

diversa complessità dal punto di vista dell’interazione sociale.

I bambini di 6 mesi erano più propensi a mettere in atto giochi imitativi, quelli di 10 mesi

giochi complementari. I giochi reciproci, che prevedono azioni coordinate, si manifestavano,

invece, da parte di bambini più grandi. Nonostante la tenera età, anche i piccoli riescono a

mettere in atto delle interazioni semplici che favoriscono giochi sociali. Giochi semplici, come il

passarsi la palla, sono considerati giochi interattivi ma lo stesso significato possono assumere i

giochi che implicano il guardare, fissare un oggetto, metterlo in bocca e passarselo. I bambini più

grandi sono facilitati dal linguaggio, quelli più piccoli, attraverso sorrisi o semplici mosse, riescono in

qualche maniera a comunicare tra di loro 2.

2Goldmann,B., Ross H., 1978 Social skills in action: An analysis of early peer games, in J.Glick, A. Clarke-Stewart (a cura di),
The development of social understanding, New York, Gardner press

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Come detto in precedenza il gioco è considerato uno dei migliori strumenti di

socializzazione, ma si può considerare allo stesso tempo un’occasione fondamentale per fare

esperienza, poiché attraverso il gioco il bambino è in grado di sperimentare e acquisire in maniera

sempre maggiore competenze cognitive e comportamentali fondamentali per la sua crescita. In

questo processo gli adulti hanno il compito di entrare nel mondo dei bambini incoraggiandoli e

stimolandoli.

Allo stesso modo, risulta molto importante sviluppare relazioni orizzontali tra pari le quali,

nonostante siano più difficili da gestire e da mantenere, rappresentano una delle maggiori

occasioni per il bambino di sviluppare reciprocità e parità nell’atto interattivo.

Gli studiosi dello sviluppo sociale hanno dedicato molta attenzione al gioco sociale

soffermandosi in maniera particolare sul gioco di finzione e il gioco socio drammatico.

Il gioco di finzione si manifesta intorno ai 15 mesi di età e prevede principalmente il “far finta

di”. Inizialmente viene riscontrato prevalentemente nel contesto familiare per poi essere riportato in

quello educativo con l’entrata a scuola. Nell’ambiente scolastico, il gioco di finzione è utile per

l’acquisizione dei ruoli sociali e l’apprendimento delle attività tipiche della cultura di appartenenza.

Il gioco socio drammatico, si sviluppa intorno ai 3 anni e rappresenta un gioco sociale più

complesso che consiste in una versione a più partecipanti del gioco simbolico individuale ed

implica la capacità di rispondere all’immaginazione di un’altra persona. Numerosi studi descrittivi,

hanno osservato il gioco libero di bambini all’interno di contesti percepiti come sicuri, ad esempio

l’asilo, ed hanno rivelato delle differenze nel gioco socio drammatico dei bambini più piccoli

rispetto a quello dei più grandi. All’età di 2-3 anni il bambino è più legato all’uso degli oggetti

concreti, mentre dai 4 anni in poi vi è un maggiore utilizzo dell’immaginazione. Allo stesso tempo, i

rituali di cui spesso si costituiscono i giochi socio drammatici si modificano, evolvendosi dalle forme

più basilari a quelle più complesse.

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Ad esempio, due bambini possono fare finta di somministrarsi una medicina senza

immaginare di essere un dottore e un paziente, cosa che avviene pian piano con la crescita e lo

sviluppo dell’immaginazione.

Il gioco di finzione e quello socio drammatico promuovono lo sviluppo della teoria della

mente, incentivando i bambini ad esternare i propri stati mentali e quelli degli altri. È stato notato

come queste tipologie di gioco svolgano inoltre una fondamentale funzione anche sotto il punto di

vista dell’equilibrio emotivo del bambino.

Ulteriori tipi di gioco tra cui ad esempio il gioco di lotta, possono contribuire allo sviluppo di

abilità utili alla socializzazione. Fingere un combattimento permette di definire i ruoli sociali

attraverso la possibilità di misurare la propria forza e quella degli altri. Ovviamente bisogna

distinguere questa modalità di gioco dall’aggressione fisica: nel primo caso si gioca con lo scopo

di divertirsi.

Attraverso il gioco e le interazioni tra i pari il bambino sviluppa e inizia a maturare la sua

autoefficacia sociale. Alcuni studi recenti hanno evidenziato come l’abilità di riuscire a mettere in

atto comportamenti prosociali sia fortemente sostenuta dall’interazione con i pari basandosi

sull’aiuto e sul sostegno reciproco.

Benché le interazioni tra coetanei vengano considerate prevalentemente come “relazioni

orizzontali”, può capitare che possano esserci anche dei “tratti di verticalità” nel caso di bambini di

età diversa. Questo può accadere all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia dove anche piccole

differenze di età tra i bambini possono influire sulle dinamiche relazionali all’interno dei gruppi. I

bambini più grandi sono generalmente quelli più cercati indipendentemente dalle loro abilità

mentre quelli più piccoli collezionano molto più spesso rifiuti. È noto come probabilmente ciò sia

influenzato dall’altezza fisica del bambino, variabile che può indicare popolarità e dominanza nel

gruppo sociale.

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Dallo studio delle interazioni tra pari emerge una panoramica di influenze circolari in cui le

capacità individuali si evolvono durante la crescita favorendo lo sviluppo delle relazioni che

diventeranno funzionali per i processi di socializzazione che si esplicheranno per tutto il corso della

vita dell’individuo mutando ogni volta in base alla propria esperienza.

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3. Osservare il bambino che gioca

Perché si osserva un bambino giocare? La risposta più semplice a questa domanda è che il

gioco può essere considerato come il mezzo fondamentale di relazione in cui il bambino riesce ad

esprimere sé stesso. È il modo in cui si esprime affettivamente ed esterna le sue conoscenze e

anche senza l’utilizzo del linguaggio. È importante che la scuola, fondamentale luogo di

educazione, favorisca lo sviluppo di condotte sociali e motorie del bambino tramite attività come il

gioco.

Durante il gioco, i fattori principali che si vanno ad osservare sono:

• Il tipo di motricità, che caratterizza la creatività di ogni bambino e la sua diversità;

• Il comportamento del bambino in relazione allo sviluppo cognitivo e sociale;

• La presenza di comportamenti prosociali e il loro esordio;

• Le abilità di negoziazione e di risoluzione dei conflitti;

• Il punto di vista del bambino, tentando di mettersi nei suoi panni.

L’osservazione del gioco, pertanto, diventa un elemento fondamentale per studiare la

condizione del bambino e in che modo venga influenzato da ciò che lo circonda.

Il gioco permette al bambino di sperimentare ed elaborare in maniera attiva la

rappresentazione della realtà che lo circonda, di apprendere com’è fatta, di conoscere sé stesso

e di porre basi solide per lo sviluppo di competenze sociali e di autocontrollo.

Le attività di gioco si evolvono di pari passo alla crescita intellettiva e psicologica del

bambino. Ogni essere umano ha il bisogno e il piacere di giocare per tutto il corso della sua vita,

favorendo la fuoriuscita delle proprie emozioni e il confronto con gli altri, con lo scopo di

raggiungere il proprio benessere.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione della segregazione di genere nella scuola
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1. Le relazioni tra pari e la segregazione di genere

Nei rapporti con i pari i bambini acquisiscono e potenziano capacità e competenze sociali,

ma non solo. Il modello Child-by-Environment di Ladd mostra come avere relazioni di qualità

influisce non solo sulla sfera sociale ed emotiva, ma anche sullo sviluppo sociale e sul profitto

scolastico del bambino 1. Il saper instaurare relazioni positive con i compagni incentiva il bambino a

partecipare alla vita sociale in modo più attivo, poiché probabilmente egli si sente benvoluto. In

questo senso, le conquiste sociali dei piccoli saranno maggiori rispetto a quelle di chi viene

rifiutato. Bambini che hanno difficoltà ad integrarsi nel gruppo dei pari, che presentano condotte

aggressive o che tendono a ritirarsi, saranno probabilmente esclusi dai coetanei e verranno poco,

o per nulla, coinvolti nelle attività scolastiche. Tali dinamiche inevitabilmente hanno un risvolto

negativo sul rendimento accademico, perciò risulta importante indagare approfonditamente

quello che è il comportamento sociale del bambino, guardando anche alle dinamiche relazionali

che si creano all’interno del gruppo dei coetanei 2.

Studi recenti, ad approccio etologico, hanno riportato che già dai primi mesi di vita i

bambini presentano condotte socialmente competenti. Infatti, sono in grado di assumere più

prospettive, presentano diverse strategie sociali in funzione dei loro obiettivi, sono in grado di

scegliere, in base alle circostanze, le modalità di interazione più adatte.

John Crook, studioso di etologia sociale, già negli anni Settanta si era accorto degli

aggiustamenti nel comportamento che gli individui mettono in atto in base alle situazioni

interpersonali in cui si trovano.

1 Ladd, G. W. (2003). Probing the adaptive significance of children's behavior and relationships in the school context: A child
by environment perspective. Advances in child development and behavior, 31, 44-104.
2 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione della segregazione di genere nella scuola
dell’infanzia

«Ad esempio, se immaginiamo una famiglia dove, in uno spazio fisico limitato, sono presenti

numerosi adulti (genitori, fratelli grandi, nonni), il ritiro sociale di un bambino potrebbe

rappresentare un modo funzionale di stare in quella famiglia, poiché il bambino si crea un proprio

spazio mentale autonomo, non invaso dagli adulti; tuttavia, questo stesso comportamento

replicato nel gruppo dei pari potrebbe essere causa di rifiuto da parte dei compagni. Vediamo

quindi che un modo di agire, utile in una certa situazione, può diventare invece disadattivo in

circostanze diverse» 3.

Possiamo intuire quindi che le aggregazioni sociali in cui gli individui sono collocati

forniscono informazioni sul funzionamento individuale. Quando osserviamo un gruppo possiamo

notare come tutti i comportamenti prosociali sono diretti in modo prevedibile e selettivo verso

specifici individui.

La selettività è proprio ciò che sta alla base della segregazione di genere, ovverosia della

tendenza dei piccoli a preferire partner interattivi dello stesso sesso, favorendo la formazione di

gruppi omogenei per genere 45.

Tale fenomeno viene rilevato in differenti contesti culturali: ha esordio precocemente si

consolida in età prescolare, si innalza repentinamente durante la preadolescenza per poi ridursi

con le prime relazioni romantiche in età adolescenziale, seppur non sparendo mai completamente

durante tutta la vita dell’individuo.

Durante l’infanzia possiamo notare come il fenomeno si manifesti per lo più in contesti

meno strutturati, dove il bambino può scegliere con chi interagire avendo a disposizione più

partner di gioco. Quando invece le scelte sono più esigue o è un adulto ad organizzare le attività

da svolte le possibilità di scambi inter-genere aumentano.

3 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.
4 Maccoby, E. E. (2002). Gender and group process: A developmental perspective. Current directions in psychological
science, 11(2), 54-58.
5 Martin, C. L., & Fabes, R. A. (2001). The stability and consequences of young children's same-sex peer interactions.
Developmental psychology, 37(3), 431.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione della segregazione di genere nella scuola
dell’infanzia

Bambini e bambine sviluppano infatti differenti usi, esperienze sociali e stili interattivi.

Secondo alcuni autori, processi di categorizzazione potrebbero avere un ruolo nella spiegazione

del fenomeno. Infatti, identificandosi come maschi e femmine, bambini e bambine tendono ad

esser più attratti da partner simili a sé, similarità che favorisce la comunicazione e la condivisione di

attività. La selezione quindi avverrebbe sulla base dell’appartenenza allo stesso sesso.

Un’ulteriore ipotesi avanzata per la spiegazione del fenomeno è quella della similarità dei

comportamenti, fonte di attrazione che indurrebbe bambini e bambine a scegliere partner di

gioco che manifestano comportamenti simili ai propri. In questo modo si creerebbero gruppi

segregati per genere 6.

Martin e colleghi hanno tentato di trovare un punto d’incontro tra le diverse ipotesi sulla

segregazione di genere. Secondo gli autori, le preferenze per i coetanei nello stesso sesso e quelle

per le attività di genere tipizzate sono processi che si rinforzano l’uno con l’altro ed entrambe sono

alla base della formazione dell’affiliazione tra i bambini. L’appartenenza ad un sesso specifico

induce ad orientare la scelta del bambino con cui giocare, mentre le attività legate al genere

favoriscono il mantenimento delle relazioni precedentemente createsi. I bambini, infatti, attratti da

interessi comuni, trascorreranno più tempo insieme 7.

I bambini, in età prescolare sono gender detectives sia gender enforces. In qualità di

gender detectives cercano in modo attivo informazioni circa il genere creandosi aspettative,

credenze e stereotipi in base alle loro scoperte. Di contro, come gender enforces esercitano una

pressione attiva sui partner di gioco per indurli al conformismo di genere 8.

Per guardare alla segregazione di genere nella sua interezza, la griglia di osservazione,

grazie alla sua organizzazione gerarchica, risulta funzionale per comprendere il fenomeno.

6 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.
7 Martin, C. L., Kornienko, O., Schaefer, D. R., Hanish, L. D., Fabes, R. A., & Goble, P. (2013). The role of sex of peers and
gender‐typed activities in young children's peer affiliative networks: A longitudinal analysis of selection and influence. Child
development, 84(3), 921-937.
8 Miller, C. F., Martin, C. L., Fabes, R. A., & Hanish, L. D. (2013). Bringing the cognitive and social together: How gender
detectives and gender enforcers shape children’s gender development. Navigating the social world: What infants, children,
and other species can teach us, 306-313.

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Filippo Petruccelli - L’osservazione della segregazione di genere nella scuola
dell’infanzia

2. Protocollo di osservazione dei comportamenti


sociali di genere tipizzati

L’osservazione del comportamento su soggetti di età infantile risulta ottimale in situazioni di

gioco in cui il comportamento si manifesta in modo spontaneo. La visione italiana della scuola

dell’infanzia come un contesto di preparazione all’entrata nella scuola primaria, riserva ben poco

spazio a momenti di svago 9.

L’osservazione dovrebbe essere condotta tramite un protocollo organizzato e sequenziale

che permette rilevare il comportamento a diversi livelli procedendo dal livello modale, più

generico, a quello molecolare, più specifico. In base a cosa si vuole osservare verranno scelte le

dimensioni del comportamento oggetto di interesse e di conseguenza l’ordine e le categorie che

si vogliono considerare (ibidem).

Il protocollo che andremo a presentare è stato pensato con lo scopo di vagliare i fattori

alla base della segregazione di genere. In particolare, si pone l’obiettivo di indagare se ad

agevolare le scelte di interazione con partner dello stesso sesso o di sesso opposto sia il senso di

appartenenza o le attività genere tipizzate. 10

La condizione di rilevazione non è stata manipolata (osservazione naturalistica) ed è stata

basata su intervalli temporali parziali, prevedendo previsto 10 secondi di osservazione e 5 secondi

di registrazione.

La procedura di campionamento selezionata è quella a scansione rapida. Per ogni sessione

di rilevazione, l’osservatore dispone di una lista randomizzata di nomi dei bambini.

9 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.
10 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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dell’infanzia

L’osservatore, partendo dal primo nome sulla lista, osserva il bambino per 10 secondi e per

5 secondi registra le sue rilevazioni. Poi passa al secondo e agli altri, fino a ricominciare dal primo

bambino (ibidem).

Baumgartner, E., & Sette, S. (2017)

Per ogni scheda viene riportata data, ora e il tipo di attività in cui i bambini sono coinvolti.

Come è possibile notare in figura, ciò che viene codificato per primo è il sesso del bambino

osservato, poi il contesto osservativo, in base al suo grado di strutturazione:

• Gioco libero;

• Attività semi-strutturata, ovvero una condizione in cui i bambini sono liberi di scegliere tra

una varietà di attività;

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• Attività strutturata, quando tutti i bambini osservati nel gruppo classe svolgono la stessa

attività;

• Attività strutturata, quando tutti i bambini osservati raggruppati in piccoli gruppi svolgono la

stessa attività.

Conoscendo il grado di strutturazione del contesto possiamo inferire sia il livello di libertà

che i bambini hanno nella scelta delle attività e dei giochi possibili da intraprendere sia

sull’ampiezza del gruppo.

Successivamente, l’osservatore registra il comportamento sociale costituito da dodici

categorie (solitario, osservatore, vicinanza all’insegnante, giocare in parallelo con un altro…) e le

attività genere tipizzate che vengono codificato come maschili, femminili o neutre, secondo le

stereotipie di gioco tradizionali (ad esempio, giocare con le macchinine, giocare con le bambine,

disegnare). Nel caso vi fossero interazioni con i pari, sia annota, il tipo di interazione, diadica o di

gruppo, e il sesso del/dei partner.

Infine, vengono raccolte informazioni sul tono emotivo delle interazioni, positiva,

negativa/rabbia, negativa/tristezza e neutrale (ibidem).

Grazie a questo protocollo è possibile comprendere molto del fenomeno della

segregazione di genere, nonostante rimangano alcune zone d’ombra ancora da chiarificare.

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3. La ricerca

L’uso del protocollo di osservazione diretta del comportamento infantile citato

precedentemente è stato utilizzato in uno studio di Gasparini intitolato The Role of Gender in Young

Children’s Social Lives: Examining Social environment, Cognitions and Preferences in a Sample of

Preschool Italian Children, sulla segregazione di genere in età prescolare 11. La ricerca è stata

condotta in una scuola dell’infanzia a Roma. I partecipanti coinvolti erano 162 tra bambini e

bambine di età compresa fra i 3 e i 5 anni, i loro genitori e i loro insegnanti. In particolare, il

campione era diviso in: 77 bambine e 85 bambini divisi in 9 sezioni, omogenee per età.

La rilevazione è stata effettuata a seguito di una familiarizzazione di due settimane. Gli

osservatori sono stati precedentemente addestrati con una formazione intensiva che

comprendeva:

• Alcuni incontri per la presentazione e la discussione della scheda di osservazione;

• Alcune sessioni osservative condotte in sezioni che non avrebbero preso parte allo studio

con la finalità di calcolare il grado di accordo tra gli osservatori;

• Sessioni di prova per accertarsi di aver raggiunto un livello soddisfacente di familiarità con i

bambini e con lo strumento.

Le osservazioni si sono svolte di mattina o di pomeriggio, sia nelle aule che all’esterno.

L’osservatore si è astenuto dall’interagire con i bambini e dall’interferire con le attività. Non è stato

sempre possibile favorire la raccolta dei dati in situazioni di gioco libero, data la routine settata su

attività quasi sempre strutturate o semi-strutturate.

11 Baumgartner, E., & Sette, S. (2017). L'osservazione del comportamento infantile: teorie e strumenti. Carocci.

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Obiettivi.

Lo scopo della ricerca è stato quello di indagare in che misura la segregazione di genere

sia originata da processi diretti, ovvero la scelta del partner in base all’appartenenza di genere, o

da processi indiretti, ovvero la scelta del partener di gioco in base alle attività genere tipizzate.

I ricercatori ipotizzavano che le preferenze sociali legate all’appartenenza di genere e il

coinvolgimento in attività genere tipizzate si influenzino vicendevolmente ed agiscano di concerto

nella generazione di gruppi segregati.

In particolare, gli obiettivi sono stati tre:

• Sulla base dell’ipotesi che bambini e bambine preferiscano modalità diadiche di

interazione con partner dello stesso sesso, il primo obiettivo era quello di fornire di una

descrizione dei tipi di relazione rilevati (relazione diadica o di gruppo) e della composizione

di genere della stessa.

• In secondo luogo, si intendeva indagare in che misura bambine e bambini tendessero a

scegliere attività genere tipizzate o neutrali. Il secondo obiettivo era quindi di natura

esplorativa.

• Infine, gli autori ipotizzavano una correlazione positiva tra l’attuazione di interazioni coi pari

dello stesso sesso e la scelta di attività genere tipizzate e, di conseguenza, una correlazione

positiva tra il numero di interazioni con partner di sesso opposto e la scelta di attività ludiche

contro-stereotipiche. L’ultimo obiettivo era quindi quello di esaminare quale fosse il ruolo

delle interazioni sociali con il partner dello stesso/opposto sesso nella scelta delle attività.

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Misure.

Ogni intervallo di rilevazione della durata di 10 secondi è stato codificato in una delle

categorie mutualmente esclusive di seguito esposte:

• Diade dello stesso sesso;

• Diade di sesso opposto;

• Gruppo dello stesso sesso;

• Gruppo di sesso opposto;

• Gruppo misto.

Sono poi state create delle proporzioni sul totale degli intervalli per ogni categoria e su tutte

misurazioni considerate, quali la scelta del partner, le modalità di aggregazione e le attività genere

tipizzate/contro-stereotipiche. Questo per rendere ragione della variabilità dei tempi di rilevazione

per ogni bambino (es. un bambino viene osservato 60 volte, un altro 30 volte).

Risultati.

11.848 è il numero degli intervalli di osservazione codificati sul totale dei bambini, maschi e

femmine, di cui 6.279 intervalli prevedevano l’interazione coi compagni, i restanti, attività in solitario

o interazioni con l’insegnante.

La modalità di interazione prevalente risultava essere quella della diade piuttosto che

quella di gruppo. Inoltre, è emerso che in tali interazioni diadiche, la scelta del partner ricadeva in

quasi la metà dei casi su un compagno dello stesso sesso.

Rispetto alla segregazione di genere, a 3 e a 4 anni le differenze non sembrano essere

significative tra bambini e bambine: in entrambi i sessi, circa il 70% delle interazioni sono genere

segregati. A 5 anni, d’altro canto, i bambini tendono a scegliere maggiormente partner di gioco

dello stesso sesso, a differenza delle bambine che interagiscono anche con coetanei del sesso

opposto.

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Inoltre, le attività contro-stereotipiche, neutrali, risultavano essere più frequenti rispetto alle

attività genere tipizzate, in particolare con l’aumentare dell’età dei bambini. Questo risultato

dovrebbe essere interpretato alla luce del fatto che le attività scolastiche venivano attivamente

organizzate dalle insegnanti, lasciando poca o nessuna scelta ai bambini rispetto alle attività da

intraprendere.

Dai risultati sembra, inoltre, che a 3 e a 4 anni, la scelta di un compagno dello stesso sesso è

associata alla scelta di un’attività genere tipizzata. Tuttavia, a 5 anni le attività neutrali aumentano

e diminuiscono quelle di genere tipizzate.

Rispetto ai predittori della scelta di attività legate al genere, i principali sembrano essere

sesso del bambino, età e interazioni genere segregate.

Le bambine più dei bambini scelgono attività genere tipizzate, anche se tale effetto

sembra ridursi con l’aumentare dell’età.

Inoltre, è emersa una correlazione positiva tra le preferenze per partner dello stesso sesso e

tempo trascorso in attività genere tipizzate.

Le attività neutrali, oltre ad essere scelte soprattutto a 5 anni, sembrano essere più frequenti

in situazioni di interazione diadica con un partner di sesso opposto.

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Discussione.

Dallo studio emerge che i bambini tra i 3 e i 5 anni prediligono la scelta di rapporti diadici

con partner dello stesso sesso. La preferenza per un compagno dello stesso sesso, piuttosto che di

sesso opposto, è risultata maggiore per i bambini che non nelle bambine.

La selezione del partner di sesso opposto o uguale al proprio sembra inoltre essere un

predittore della tipologia di attività scelta, neutrale o genere tipizzata.

Sarebbe utile, negli studi futuri, tenere conto delle influenze multiple derivanti dagli ambienti

e dagli atteggiamenti degli insegnanti e dei genitori, adottando un disegno di ricerca

longitudinale, per valutare l’evoluzione nel tempo dei comportamenti di bambini e bambine.

È possibile, infatti, che quanto emerso rispetto alle preferenze di genere sia in parte frutto

dell’organizzazione degli ambienti, dei materiali scolastici e delle scelte cognitive degli insegnanti.

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Filippo Petruccelli - Osservare e valutare le relazioni familiari

1. Modelli teorici

Negli ultimi decenni l’interesse degli autori si è focalizzato sull’importanza del contesto

relazionale nello sviluppo del bambino. Diversi orientamenti teorici, infatti, hanno progressivamente

rivolto l’attenzione alla relazione tra caregiver e bambino, contesto d’elezione privilegiato per lo

sviluppo delle capacità affettive. Inoltre, negli ultimi anni, le osservazioni sulle famiglie hanno

adottato una prospettiva multipersonale, ponendo l’accento sulle dinamiche familiari piuttosto

che sullo studio dei singoli membri 1.

La maggior parte delle ricerche sul tema del contesto relazionale si inserisce in uno di questi

filoni:

• Studi che si sono focalizzati sull’osservazione della famiglia a livello comportamentale, per

individuarne i processi di regolazione della relazione;

• Studi che si sono focalizzati sui processi di interiorizzazione della relazione 2.

Questa distinzione può essere adottata come punto di riferimento nello studio del contesto

relazionale del bambino. Reiss nel 1989 ha sviluppato i concetti di practing family (famiglia

praticante) e represented family (famiglia rappresentata), dove il primo si riferisce ai processi di

regolazione della relazione mentre, il secondo, ai processi di costruzione di immagini mentali

dell’esperienza relazionale 3. Ai fini dell’osservazione delle relazioni familiari, occorre che entrambi

questi livelli vengano integrati.

1 Malagoli Togliatti, M., & Mazzoni, S. (2006). Osservare, valutare e sostenere la relazione genitori-figli: Il Lausanne Trilogue
Play Clinico (LTPc). Milano: Raffaello Cortina Editore
2 Lyons-Ruth, K., & Zeanah Jr, C. H. (1993). The family context of infant mental health: I. Affective development in the primary
caregiving relationship.
3 Reiss, D. (1991). La famiglia rappresentata e la famiglia reale: concezioni contrastanti della continuità familiare. Sameroff,
AJ E Emde RN (a cura di), I disturbi della relazione nella prima infanzia. Torino, Boringhieri.

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In questa sede, verrà privilegiata l’analisi dei processi di regolazione. In quest’ottica, alcune

ricerche hanno individuato precoci competenze interattive nel bambino - intersoggettività

primaria - che permettono al neonato di partecipare alle interazioni attraverso in un processo

circolare 45. L’influenza della relazione caregiver-bambino può essere rilevata attraverso alcuni

concetti teorici: la responsività del caregiver di anticipare e soddisfare tempestivamente i bisogni

del figlio; la capacità di riparazione dell’adulto quando compie errori interattivi; l’attenzione focale

come presupposto di base per lo sviluppo di una teoria della mente da parte del bambino; il

riferimento sociale, utile al bambino per condividere i significati. Questi costrutti permettono di

comprendere l’influenza che il sistema familiare può avere della definizione degli stili affettivi e

comunicativi. Tali modalità tendono a caratterizzare il singolo e il gruppo in tutte le fasi del ciclo

vitale.

In particolare, negli ultimi anni alcuni autori hanno approfondito gli effetti del conflitto

familiare sul comportamento. McHale ha distinto i processi familiari costruttivi da quelli distruttivi,

per identificare fattori di rischio che fossero predittivi di disadattamento 6.

La necessità di ampliare lo studio della famiglia, passando dal modello diadico a quello

triadico, si è sviluppata all’interno della cornice sistemico-relazionale. Bowen, ad esempio,

considera la relazione triadica una configurazione alla base della struttura emotiva familiare.

Anche Minuchin parla di struttura familiare, riferendosi a «l’invisibile insieme di richieste

funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono» 7.

4 Sander, L. W. (1975). Infant and caretaking environment investigation and conceptualization of adaptive behavior in a
system of increasing complexity. In Explorations in child psychiatry (pp. 129-166). Springer, Boston, MA.
5 Watzlawick, P., Bavelas, J. B., & Jackson, D. D. (2011). Pragmatics of human communication: A study of interactional
patterns, pathologies and paradoxes. WW Norton & Company.
6 McHale, J. P., & Cowan, P. A. (1996). Understanding how family-level dynamics affect children's development: Studies of
two-parent families. Jossey-Bass.
7 Minuchin, S. (1974). Families and Family Therapy, London.

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Secondo l’autore, le tre dimensioni strutturali caratterizzanti il sistema familiare sono: la

gerarchia, ovvero la struttura del potere, i confini, che determinano il passaggio delle informazioni,

e gli schieramenti, ovvero le possibili configurazioni familiari. Nell’ottica sistemica, ogni individuo

appartiene a diversi sottosistemi familiari (coniugale, genitoriale, filiale) in cui acquisisce capacità

differenziate. La differenziazione dei sistemi è alla base del concetto di confine: secondo Minuchin,

definire un confine vuol dire osservare regole che stabiliscono modalità, tempi e spazi di

comunicazione delle informazioni. Si parla di confini chiari quando le informazioni che passano tra i

vari sottosistemi sono adeguate per quantità e pertinenza, rispetto alla relazione e alla fase del

ciclo vitale; si parla di confini diffusi se le informazioni sono eccessive per quantità oppure non

pertinenti; infine, si parla di confini rigidi quando le informazioni sono insufficienti per quantità. Sia i

confini diffusi che quelli rigidi risultano disfunzionali e permettono di collocare le famiglie,

rispettivamente, lungo un continuum che va dall’invischiamento al disimpegno 8. Per quanto

riguarda gli schieramenti, essi si presentano all’interno della cosiddetta triage rigida. Per triade

rigida si intende una struttura triadica nella quale il confine tra sottosistema genitoriale e il figlio è

diffuso, mentre il confine intorno alla triade genitori-figlio risulta eccessivamente rigido. Minuchin ha

individuato tre tipologie di triade rigida:

• Triangolazione: si riferisce ad una condizione nella quale due genitori in conflitto tra loro,

ricercano l’appoggio del figlio;

• Coalizione genitore-figlio: si riferisce ad una condizione nella quale vi è un’alleanza stabile

tra un genitore e un figlio contro l’altro genitore;

• Deviazione-attacco: si riferisce ad una condizione nella quale il conflitto viene spostato sul

figlio o su un terzo.

Secondo Minuchin, la maggior parte dei disturbi comportamentali del bambino ricade in

una di queste tre tipologie.

8 Minuchin, S. (1974). Families and Family Therapy, London.

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2. Strumenti per l’osservazione delle relazioni


genitori-figli

Nell’osservazione diretta della famiglia è importante distinguere tra quelle che sono le

procedure adottate – ovvero compiti che la famiglia deve svolgere – e i sistemi di codifica

adottati, con riferimento alle variabili psicologiche che si sceglie di prendere in esame. In

particolare, i ricercatori si sono impegnati nell’obiettivo di operazionalizzare concetti teorici che si

erano già dimostrati validi in ambito clinico. Per esempio, McHale e Fivaz-Depeursinge 9 hanno

individuato alcuni pattern che influenzerebbero non solo la relazione tra i singoli membri, ma il

processo familiare nel suo insieme: coordinazione, collaborazione, disimpegno, intrusività o

scoordinazione. Tuttavia, questi costrutti necessitano di una validazione a livello empirico per poter

studiare le relazioni familiari in un’ottica di risorsa o fattore di rischio per lo sviluppo. Di seguito ne

illustreremo alcuni:

• Family competence 10. Il sistema di osservazione di Beavers, uno dei metodi più accreditati

negli anni ’80, permette di valutare la family competence lungo un continuum che va dalla

funzionalità alla disfunzionalità. La procedura prevede che la famiglia interagisca per 10-15

minuti nello svolgimento di un compito di problem solving (nello specifico, i partecipanti si

devono confrontare su cosa vorrebbero cambiare nella propria famiglia). In un secondo

momento due giudici indipendenti esprimono una valutazione globale sulla

videoregistrazione della famiglia, fondata sull’analisi delle tredici subscale dello strumento

Beavers Interactional Scale: esplicitazione del potere, coalizione genitoriale, vicinanza,

mitologia, negoziazioni dirette a un obiettivo, chiarezza dell’espressività, responsabilità,

permeabilità, range di sentimenti, umore e tono affettivo, conflitti irrisolti, empatia, salute-

competenza globale.

9 Fivaz-Depeursinge, E., & Corboz-Warnery, A. (1999). The primary triangle. New York, NY.
10 Lewis, J. M., Beavers, W. R., Gossett, J. T., & Phillips, V. A. (1976). No single thread: Psychological health in family systems.

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Lo stesso materiale videoregistrato viene utilizzato poi da altri giudici indipendenti, con il

compito di valutare lo stile delle interazioni familiari sulla base di otto dimensioni: bisogno di

dipendenza, stile del conflitto fra adulti, prossimità, presentazione sociale, espressione verbale di

vicinanza, comportamenti aggressivi/assertivi, espressione di sentimenti positivi/negativi, stile

familiare globale.

Grazie all’integrazione tra questi due livelli è possibile esprimere una valutazione globale

della competenza familiare e dello stile di interazione, individuandone i fattori di rischio e i fattori di

protezione.

Un’altra metodologia per l’analisi del funzionamento familiare, in un’ottica di individuazione

dei fattori di rischio a livello familiare per la psicopatologia nell’infanzia, è il Providence Family

Study 11. La premessa di questo metodo osservativo è quella di considerare la famiglia nei diversi

sottosistemi (coniugale, filiale, parentale). A questo proposito, la richiesta è quella di svolgere un

compito che rientra nella vita quotidiana. I criteri di valutazione si riferiscono a: problem solving,

comunicazione, ruoli, responsività affettiva, coinvolgimento affettivo, controllo dei comportamenti.

È possibile notare una convergenza tra queste dimensioni e quelle proposte da Beavers. Il

Providence Family Study è una procedura multimetodo che integra l’osservazione diretta con il

metodo self-report. Per l’osservazione diretta è stato utilizzato il Meal Time Interaction Coding

System (MICS), che prevede l’osservazione naturale della famiglia in un momento quotidiano

(l’orario dei pasti). I criteri di valutazione sono: realizzazione del compito, gestione degli affetti,

coinvolgimento interpersonale, controllo del comportamento, comunicazione, ruoli.

Sempre tramite l’utilizzo di videoregistrazioni, altri giudici codificavano le diadi madre-figlio e

padre-figlio attraverso una specifica scala che valuta alcuni aspetti della genitorialità.

11 Hayden, L. C., Schiller, M., Dickstein, S., Seifer, R., Sameroff, S., Miller, I., ... & Rasmussen, S. (1998). Levels of family assessment:
I. Family, marital, and parent–child interaction. Journal of family psychology, 12(1), 7.

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Questi ricercatori hanno dimostrato che l’utilizzo di misure multiple nell’assessment della

famiglia fornisce una descrizione più ricca del contesto familiare rispetto a ciascuna misura

considerata singolarmente.

• Coordinazione triadica 12. Westerman ha approfondito il concetto di coordinazione triadica,

sottolineando l’importanza di osservare le interazioni della triade per indagare i principi di

coordinazione o triangolazione disfunzionali. Secondo l’autore, infatti, l’osservazione risulta

essere un metodo privilegiato rispetto ai self-report per lo studio della famiglia. Le differenze

all’interno del nucleo familiare vengono studiate tramite un compito strutturato: i genitori

sono chiamati ad aiutare il figlio in una costruzione con i Lego. Anche in questo caso le

sedute vengono videoregistrate per poi essere osservate da giudici indipendenti. La

codifica prevede dapprima un’analisi degli episodi in cui un genitore è in un ruolo attivo

con il figlio, mentre l’altro genitore si trova a ricoprire un ruolo secondario. Viene valutata,

quindi, la partecipazione del genitore attivo e, in un secondo momento, il ruolo ricoperto

dal secondo genitore (coinvolto, in opposizione, in accordo, ecc.).

Il limite dello studio di Westerman sta nel fatto che nella procedura non vi sono accenni alla

codifica del comportamento del figlio e, quindi, risulta difficoltosa un’analisi globale della famiglia

come insieme. Tuttavia, uno degli aspetti interessanti da focalizzare è la funzione co-genitoriale

della coppia.

• Family warmth 13. L’aspetto del calore familiare è stato approfondito da McHale e

collaboratori ponendo l’enfasi sugli scambi e sulle posizioni tra i genitori mentre

interagiscono con il figlio. Il presupposto di base, infatti, è che la funzione co-genitoriale

sostanzia la crescita della famiglia, soprattutto durante le fasi critiche di sviluppo del figlio.

12 Westerman, M. A., & Massoff, M. (2001). Triadic coordination: An observational method for examining whether children are
“caught in the middle” of interparental discord. Family Process, 40(4), 479-493.
13 McHale, J. P., & Rasmussen, J. L. (1998). Coparental and family group-level dynamics during infancy: Early family
precursors of child and family functioning during preschool. Development and psychopathology, 10(1), 39-59.

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Gli autori distinguono le famiglie funzionali da quelle disfunzionali. Le prime mostrano

equilibrio nelle interazioni, interesse e sintonizzazione in attività condivise e piacere di stare

insieme.

La valutazione dei processi familiari è stata condotta attraverso il Coparenting and Family

Rating System (CFRS). Anche in questo vi era da svolgere un compito strutturato, alternato a fasi di

gioco libero, che veniva videoregistrato e osservato da giudici indipendenti. Il comportamento

familiare può essere osservato sulla base di queste scale: cooperazione, che valuta il grado di

cooperazione dei genitori durante il gioco; competizione, che si riferisce al grado con cui un

genitore coinvolge il figlio in un gioco a due piuttosto che favorire la cooperazione della triade;

aggressività verbale, che si riferisce all’ostilità tra i genitori; calore fra i genitori, che si riferisce, al

contrario, al contatto affettivo positivo nel corso del gioco; centralità del bambino, che

rappresenta uno dei pochi indicatori che permettono una valutazione globale della famiglia. Lo

strumento presenta, inoltre, altre due scale relative allo stile genitoriale positivo: la scala delle

discrepanze genitoriali e la scala del calore familiare.

Il modello di McHale e collaboratori ha fornito degli spunti interessanti per valutare i

processi familiari in un’ottica di riconsiderazione della relazione coniugale in funzione della nascita

di un figlio. Diventare genitori, infatti, rappresenta un evento critico che può radicalmente

modificare la relazione di coppia. Per questa ragione, relazione tra qualità del rapporto coniugale

e qualità del rapporto genitoriale potrebbe non essere così lineare.

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3. La funzionalità nelle relazioni familiari

«L’intersoggettività familiare può essere intesa come la capacità dei componenti del

gruppo famiglia di comunicare e di comprendere le intenzioni, le motivazioni e i significati

dell’altro». Risulta fondamentale approfondire questo costrutto, essendo l’intersoggettività alla

base delle alleanze familiari collaborative 14. Attraverso l’intersoggettività, infatti, è possibile

percepire l’altro come soggetto nel quale rispecchiarsi. Lo sviluppo umano prevede che gli

individui evolvano in un contesto caratterizzato da relazioni, attraverso le quali è possibile

condividere l’esperienza, differenziare sé stessi all’interno di un gruppo e costruire la realtà.

È possibile individuare un’intersoggettività primaria già a partire dalla relazione che si

instaura tra bambino e caregiver. Questa si esprime fin dalla nascita, attraverso una serie di

elementi:

• Sincronia e coordinazione dei movimenti tra caregiver e bambino nei tempi, nelle

espressioni facciali e nell’anticipazione delle intenzioni dell’altro;

• L’imitazione precoce dell’adulto da parte del neonato;

• La sintonizzazione affettiva attraverso cui il caregiver può capire che cosa fa il bambino e,

soprattutto, cosa sente 15.

Man mano che il bambino procede nello sviluppo, intorno ai 7-9 mesi, emerge

un’intersoggettività secondaria, caratterizzata da:

• Intenzioni dirette aduno scopo;

• Focalizzazione dell’attenzione;

• Gli affetti;

• La valutazione dell’esperienza in termini di soddisfazione/insoddisfazione.

14 Fivaz-Depeursinge, E., & Corboz-Warnery, A. (1999). The primary triangle. New York, NY.
15 Stern, P. C. (2000). New environmental theories: toward a coherent theory of environmentally significant behavior. Journal
of social issues, 56(3), 407-424.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Un aspetto che emerge è la precoce capacità del bambino di attribuire all’altro specifiche

intenzioni durante la relazione: questo aspetto può essere considerato un precursore dello sviluppo

dell’empatia e di una teoria della mente. A partire da queste considerazioni, Stern ha proposto

l’esistenza di un vero e proprio sistema motivazionale dell’intersoggettività, assimilabile agli altri

sistemi motivazionali già conosciuti, come quello dell’attaccamento. Questo sistema,

biologicamente predisposto, permetterebbe la sopravvivenza della specie grazie alla capacità

dell’essere umano di evolvere in gruppo. In quest’ottica lo sviluppo è legato all’interazione, che si

stabilisce fin dalla nascita, con gli altri essere umani e che permette di differenziarsi all’interno del

contesto.

Queste considerazioni assumono un’importanza particolare nello studio del contesto

familiare. Il Gruppo di Losanna ha ideato una procedura sperimentale, Il Lausanne Trilogue Play

(LTP), che permette di indagare lo sviluppo della comunicazione familiare fin dalla nascita. L’enfasi

è posta, infatti, sulla capacità del neonato di interagire con gli altri attraverso l’intersoggettività.

Queste considerazioni sull’intersoggettività permettono di andare oltre la relazione diadica

caregiver-bambino per proporre il coinvolgimento molto precoce di quest’ultimo in relazioni più

complesse rispetto a quella con la figura allevante. Nell’LTP l’accento è sul triangolo, considerato

come il contesto comunicativo di base nello sviluppo del singolo e della famiglia, e nel quale si

delineano le diverse relazioni affettive.

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copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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4. Lo sviluppo dell’intersoggettività

Una questione importante nell’analisi delle relazioni familiari è capire cosa andare a

valutare. In generale, le tendenze primarie che si declinano in ciascun individuo all’interno della

famiglia sono quelle di sviluppare un’identità personale e di entrare in relazione con gli altri 16.

Queste tendenze possono essere osservate nelle famiglie caratterizzate da disfunzionalità: le

maggiori difficoltà che emergono in questi casi, sono riferite all’incapacità di attuare un processo

di differenziazione – a causa di dinamiche familiari vincolanti – e incapacità di definire un’intimità

di gruppo. Al contrario, famiglie funzionali presentano buoni livelli di coesione, adattabilità – ovvero

capacità di riorganizzarsi per effettuare una transizione, e comunicazione 17.

Nonostante i diversi orientamenti, l’interesse dei ricercatori sembra convergere su quelle

che sono le aree idonee alla valutazione della funzionalità familiare: struttura organizzativa,

comunicazione, riconoscimento e negoziazione dei conflitti, affettività.

Wynne ha formulato un modello evolutivo epigenetico che permette di spiegare in che

modo è possibile raggiungere l’intimità che differenzia i legami familiari da quelli con gli estranei.

Secondo tale modello nel gruppo familiare si sviluppano processi relazionali che avranno una certa

rilevanza in tutte le successive fasi del ciclo evolutivo. Essi sono:

• Attaccamento e affiliazione;

• Comunicazione;

• Soluzione congiunta dei problemi;

• Mutualità;

• Intimità.

16 Wynne, L. C. (1984). The epigenesis of relational systems: A model for understanding family development. Family
Process, 23(3), 297-318.
17 Barnes, H. L., & Olson, D. H. (1985). Parent-adolescent communication and the circumplex model. Child development,
438-447.

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Questi processi, in una specifica fase di sviluppo, deriveranno dal modo in cui si saranno

realizzati i processi precedenti in un’altra fase di sviluppo.

Il concetto di intimità proposto da Wayne è molto simile a quello di intersoggettività di cui si

è parlato precedentemente: la tendenza a costruire un senso di appartenenza e di

differenziazione rispetto agli altri gruppi sociali è una delle caratteristiche centrali della famiglia. Il

concetto di intimità è, inoltre, molto simile a quello di attaccamento. Tuttavia, secondo l’autore, a

partire dalla relazione diadica primaria è possibile arrivare ad una modalità comunicativa

funzionale, base dalla quale il gruppo può impegnarsi in attività, compiti, obiettivi, e soluzione dei

problemi.

Il modello dei processi relazionali proposto da Wayne può essere utile come riferimento nel

valutare la validità dei modelli di regolazione della famiglia. In ogni modo, nella costruzione dei

sistemi di codifica occorre tenere presente i seguenti aspetti generali:

• Il grado in cui una misura riflette l’ambito teorico di interesse (validità di contenuto);

• Quanto efficacemente una misura riflette ogni singolo costrutto (validità di costrutto).

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1. Caratteristiche generali

Ispirata al Lausanne Trilogue Play, la procedura di osservazione diretta è stata progettata

per bambini di età compresa tra i 12 e i 17 anni in un setting clinico. Essa prevede un compito

strutturato attraverso il quale è possibile una valutazione dell’interazione nella triade. Nello

specifico il compito consiste in un gioco familiare nel quale ai genitori viene richiesto di cooperare

per aiutare il bambino mentre, a quest’ultimo, viene richiesto di lasciarsi guidare dalla famiglia. Il

gioco prevede quattro diversi momenti:

• Prima parte: due più uno. In questa fase uno dei due genitori assume un ruolo attivo nel

giocare con il bambino, mentre l’altro svolge la funzione di osservatore partecipante che,

pur essendo in una posizione secondaria, può comunque mantenere un atteggiamento

empatico. Questa prima fase permette di valutare come viene gestito lo scambio

interattivo tra la subunità strutturante e la subunità evolutiva: in particolare, come il genitore

attivo gestisce la propria funzione di coordinatore del gioco e, allo stesso tempo, di come il

bambino si lascia guidare dall’interazione, se si mostra partecipativo o se sollecita

l’intervento del genitore passivo. L’intromissione del genitore nel ruolo di terzo può essere

indicativa del grado di rispetto reciproco tra i genitori e della coordinazione della co-

genitorialità in presenza del figlio 1.

• Seconda parte: due più uno. Questa fase è caratterizzata da un’inversione di ruoli rispetto

alla fase precedente: il genitore che prima aveva assunto il ruolo attivo, adesso avrà una

funzione osservativa e, viceversa, il genitore che aveva assunto il ruolo passivo si impegnerà

attivamente nel gioco. Restando invariata la struttura di interazione, anche gli aspetti

informativi restano gli stessi della fase precedente. Dunque, sarà indicativo il grado di

intromissione del genitore nel ruolo di terzo, la funzione di coordinazione del genitore attivo

e il coinvolgimento del bambino.

1 Kerig, P. K., & Lindhal, K. M. (2006). Sistemi di codifica per l’osservazione delle relazioni familiari. FrancoAngeli, Milano.

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• Terza parte: tutti e tre insieme. In questa fase tutti i componenti della famiglia giocano

insieme. È la parte più complessa, poiché tutti assumono un ruolo attivo e tutti devono

coordinare i propri interventi con quelli altrui. Il grado di coordinazione sarà quindi

informativo nella valutazione della coordinazione triangolare. Questo concetto va oltre

quello di co-genitorialità, riferendosi al modo in cui ciascuno, in un’interazione a tre vie, si

correla rispetto agli altri.

• Quarta parte: due più uno. Nell’ultima fase viene richiesto ai genitori di assumere un ruolo

attivo nel discutere dell’attività appena svolta, mentre il bambino ricopre un ruolo

secondario. Questa parte consente di trarre indicazioni su come quest’ultimo accetta

l’esclusione dall’interazione.

In generale, si è potuto notare come nelle osservazioni cliniche le famiglie tendano a

presentare una o più tra queste combinazioni. Il passaggio da una fase all’altra è segnalato dalle

transizioni, che danno indicazioni sulla corretta comprensione della consegna e del rispetto

dell’alternanza dei ruoli. La transazione ottimale è quella che mantiene l’interazione, avviene in

modo chiaro e coordinato e produce una coordinazione tra i partecipanti.

In riferimento alla scelta del gioco esistono due diverse varianti a seconda dell’età del bambino: la

prima si rivolge a bambini fino ai 10 anni e prevede una costruzione con i Lego; la seconda, dagli

11 anni in su, prevede di stilare una struttura narrativa (nello specifico, il compito prevede di

scrivere una storia a partire da questa traccia: «Questo fine settimana (nome del figlio) rimane da

solo e deve organizzare il weekend»).

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L’alleanza familiare può essere individuata utilizzando la lettura funzionale e clinica, oppure

la lettura strutturale. Coerentemente con l’approccio del Gruppo di Losanna, è possibile

individuare quattro tipologie di alleanze familiari:

- Alleanza cooperativa: è caratteristica delle famiglie che manifestano un buon grado di

cooperazione e coordinazione. I componenti rispettano i ruoli, riescono a raggiungere

l’obiettivo finale, le transizioni seguono una struttura fluida e, nel caso di errori, la subunità

strutturante è in grado di effettuare riparazioni.

- Alleanza in tensione: in alcuni momenti la coordinazione e la cooperazione familiare

possono venir meno; la famiglia gioca insieme ma attraversa dei momenti di tensione che

non sempre riescono ad evolversi positivamente. L’alleanza, tuttavia, resta comunque

funzionale poiché i genitori cercano di riparare agli errori ristabilendo un clima cooperativo.

- Alleanza collusiva: l’obiettivo finale non viene raggiunto perché la subunità strutturante

presenta difficoltà di coordinazione e cooperazione. In questi casi è possibile osservare una

competizione tra i genitori che può essere manifesta o nascosta. Ciò porta ad una

successione brusca delle parti e ad un clima affettivo caratterizzato da tensione.

- Alleanza disturbata: è caratteristica delle famiglie non funzionali. Il clima affettivo è

negativo, i ruoli non vengono definiti con chiarezza, tanto da generare l’esclusione di un

membro dalla triade, lo svolgimento del gioco è caotico al punto tale da essere interrotto.

Come accennato in precedenza, la codifica dell’interazione può avvalersi di due letture: la

lettura clinica e quella strutturale. La prima permette un resoconto narrativo del gioco attraverso

una descrizione di tutte le parti, degli avvenimenti e degli scambi verbali e non verbali. Attraverso

la lettura clinica è possibile distinguere non solo le varie alleanze, ma anche i pattern interattivi che

si ripetono, in modo da progettare un intervento personalizzato.

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Al contrario, la lettura strutturale permette di valutare il comportamento di ciascun membro

rispetto a quattro funzioni: partecipazione, organizzazione, attenzione focale e contatto affettivo.

In particolare, sono stati individuati indicatori differenti per ogni livello qualitativo (0 = non

appropriato; 1 = parzialmente appropriato; 2 = appropriato). Di seguito verranno presentate

brevemente le quattro funzioni:

- Partecipazione: valuta l’inclusione nel gioco di tutti i componenti della famiglia e costituisce

il livello di base dell’analisi. Questa funzione non permette di trarre inferenze sulla qualità

delle interazioni, ma si limita a constatare la presenza/assenza dei membri.

- Organizzazione: si riferisce al rispetto dei ruoli in ognuna delle configurazioni previste. In

particolare, ci si aspetterebbe una partecipazione attiva della subunità strutturante nelle

attività di guida e supporto. È previsto che il comportamento di ciascun membro si

modifichi a seconda della fase specifica in cui si trova.

- Attenzione focale: l’enfasi, in questo caso, non è sul ruolo ricoperto, ma sull’attenzione che

ogni componente presta al gioco. Anche chi si trova in una posizione di osservatore, infatti,

dovrebbe prestare attenzione alle attività. L’analisi di questo livello permette di trarre

inferenze sulla condivisione dei significati 2.

- Contatto affettivo: l’attività portata avanti non si deve limitare a essere chiara e coerente,

ma anche caratterizzata da un clima di serenità.

Tutti e quattro i livelli funzionali sono stati elencati in ordine di complessità: i primi due

permettono una valutazione generale sull’inclusione e sul rispetto dei ruoli mentre, gli ultimi,

forniscono informazioni più dettagliate.

2 Wynne, L. C. (1984). The epigenesis of relational systems: A model for understanding family development. Family
Process, 23(3), 297-318.

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In ogni caso, sia la lettura clinica che quella strutturale sono fondamentali nel determinare,

congiuntamente, una diagnosi di alleanza sulla base di criteri standardizzati.

In conclusione, questa procedura può essere utilizzata in differenti contesti clinici, e proprio

la varietà di questi contesti dovrà essere tenuta in considerazione durante la somministrazione,

perché potrebbe comportare differenti configurazioni familiari.

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2. Istruzioni per la somministrazione

Lo strumento può essere somministrato a famiglie con figli di età compresa tra i 2 e i 17 anni.

Quando è presente più di un figlio la lettura strutturale non cambia, ma occorre tenere presente

che gli errori interattivi potrebbero essere più frequenti.

Per quanto concerne il setting, dovrebbe essere caratterizzato da una stanza ben illuminata,

confortevole, priva di rumori e di distrazioni. Le interazioni dovranno essere registrate da una

videocamera, posizionata in modo tale da inquadrare tutti i membri della famiglia. Sarebbe

opportuno che lo sperimentatore assista alla procedura in modo da coglierne tutti gli elementi utili

per la lettura; in questo caso si consiglia di utilizzare una stanza provvista di specchio unidirezionale.

L’arredamento dovrà essere sobrio, comprendere almeno tre sedie comode e un tavolo,

preferibilmente di forma circolare. Nel caso del compito con bambini fino a dieci anni, sarà

opportuno fornire una scatola di Lego con pezzi di varie forme e colori; nel caso in cui, invece, si

richieda alla famiglia di scrivere una storia, occorrerà fornire fogli di carta e una penna.

La consegna deve essere formulata in modo chiaro e sempre uguale per tutti, in modo da

escludere che le differenze tra le famiglie possano attribuirsi a una diversa interpretazione della

consegna. Come già accennato, la scelta del compito dipende dall’età del bambino: il setting,

quindi, dovrà essere predisposto anticipatamente sulla base della prova. Alcune peculiarità

familiari potrebbero orientare il somministratore verso un compito piuttosto che un altro, ad

esempio nel caso di handicap fisici o mentali. Al termine della consegna il ricercatore dovrà

assicurarsi che le indicazioni siano state formulate in modo chiaro e comprensibile e,

eventualmente, risponderà a dubbi e domande da parte dei partecipanti. Successivamente

chiarirà il suo ruolo di osservatore silente dall’esterno della stanza. Questo è particolarmente

importante soprattutto al fine di mettere tutti i membri della famiglia a proprio agio.

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Le interazioni dureranno, in media, 15-20 minuti. Nella valutazione dell’alleanza, è

opportuno che la famiglia si attenga a questi parametri e che sappia gestire opportunamente le

varie fasi.

Pur non essendo parte attiva, il ricercatore può comunque rendersi disponibile e rispiegare

la consegna, nel caso si accorga di eventuali difficoltà.

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3. Lettura clinica e lettura strutturale

La lettura funzionale e clinica ha l’obiettivo di integrare e chiarire la lettura strutturale,

contribuendo all’individuazione dell’alleanza familiare sulla base degli aspetti qualitativi emersi

dall’interazione. L’osservatore esprimerà, per ciascuna fase, il raggiungimento o meno

dell’obiettivo sulla base di aspetti verbali e non verbali. Le riparazioni sono uno dei parametri

importanti della lettura clinica: il ricercatore deve valutare attentamente la capacità dei genitori

di rimediare agli errori e di adattarsi agli imprevisti. Si tiene conto dell’efficacia delle riparazioni, del

numero di tentativi messi in atto prima della riparazione, del sottosistema che effettua la

riparazione e, infine, del clima affettivo successivo.

La lettura strutturale, al contrario, prevede delle schede relative alle quattro funzioni di

Partecipazione, Organizzazione, Attenzione Focale e Contatto affettivo. La codifica di ognuna di

queste funzioni riflette la valutazione del comportamento di ciascuno. Di seguito illustrati i

comportamenti da osservare per la codifica delle diverse funzioni.

- Partecipazione. Si riferisce alla posizione che ogni individuo assume rispetto agli altri. Può

essere definita appropriata (punteggio 2) quando il soggetto orienta il corpo verso gli altri e

verso il compito, rimane seduto senza volgere le spalle a nessuno; parzialmente appropriata

(punteggio 1) quando posiziona il corpo nel campo interattivo, ma in modo non funzionale

all’interazione con gli altri; ad esempio si posiziona ai confini del campo interattivo o si

allontana; infine, non appropriata (punteggio 0) quando posiziona il corpo fuori dal campo

interattivo, vaga per la stanza, volge le spalle, mostra attraverso il comportamento non

verbale una mancanza di coinvolgimento.

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- Organizzazione. Si riferisce alla coerenza rispetto al proprio ruolo e rispetto al compito.

Occorre operare una codifica distinta per ognuna delle parti (madre-figlio più padre;

padre-figlio più madre; tre insieme; madre-padre più figlio).

Per quanto riguarda il genitore attivo l’organizzazione è appropriata se egli facilita, fornisce

indicazioni e incoraggia il figlio, propone attività coerenti con la consegna e aiuta il

bambino quando si trova in difficoltà; parzialmente appropriata se è disorientato rispetto

all’obiettivo, avviando interazioni non coerenti con la consegna, oppure se dirige o non

rispetta le iniziative del figlio; non appropriata se non è coinvolto oppure cede il ruolo.

Per quanto riguarda, invece, il genitore partecipante, l’organizzazione è appropriata se

sostiene il coniuge, sia in modo semplice attraverso un atteggiamento empatico, cenni di

assenso, sorrisi, sia in modo elaborato, ovvero aiutando attivamente l’altro genitore quando

si trova in difficoltà, oppure offrendo suggerimenti per poi tornare nella posizione di

osservatore; parzialmente appropriata se tenta di sostituirsi all’altro genitore oppure si

oppone; non appropriata non è coinvolto, quindi non facilita né si oppone, non interviene

neanche nei casi di difficoltà se chiamato in causa.

Infine, nel bambino l’organizzazione è appropriata se comprende e accetta le facilitazioni

facendo riferimento al genitore attivo; può comunque rivolgersi al genitore osservatore

senza richiedere un intervento diretto, ma per una condivisione empatica; parzialmente

appropriata se diventa direttivo, organizzando attività indipendentemente dal supporto dei

genitori, oppure se agisce in modo incoerente, oppositivo o disorientato rispetto al gioco.

Infine, non appropriata quando non è coinvolto, non guida e non si oppone.

Successivamente si considera la qualità dell’organizzazione nella parte tre insieme. Per

quanto riguarda i genitori, si può definire appropriata se sono disponibili e attivi rispetto al

partner, alternandosi e coordinandosi - giocano con il bambino e con l’altro genitore,

propongono iniziative condivise, accettano e sollecitano i suggerimenti degli altri;

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parzialmente appropriata se competono l’un l’altro, in modo più o meno mascherato -

possono esprimere critiche esplicite oppure alternarsi con il partner ma senza

coordinazione; non appropriata se non accettano l’alternanza del figlio e si disimpegnano,

restando indifferenti al gioco o compiendo attività non inerenti. Sempre in questa fase, il

comportamento del bambino è appropriato se si mostra disponibile e attivo, si alterna e si

coordina nelle interazioni con i genitori; parzialmente appropriato se non interagisce con

uno dei due, non si alterna e non si coordina; non appropriato, se si isola e non collabora.

In ultima istanza si considerano i comportamenti da osservare per la codifica della parte

madre-padre più figlio. Nei genitori l’organizzazione è appropriata se si orientano verso il coniuge e

interagiscono, monitorando l’attività e intervenendo su sollecitazione pur incitando a rispettare le

fasi del gioco; parzialmente appropriata se restano orientati verso il figlio, interagendo solo in modo

verbale; non appropriata se non si orientano verso il coniuge e non interagiscono. Nel bambino,

l’organizzazione è appropriata se accetta l’esclusione, osserva e gioca da solo; parzialmente

appropriata se si disorienta rispetto all’esclusione; non appropriata se interrompe l’interazione e

cerca di essere incluso.

- Attenzione Focale: nella valutazione dell’attenzione focale occorre chiedersi se tutti hanno

prestato attenzione all’attività. Il focus attentivo riveste un’importanza fondamentale per la

condivisione dei significati e degli affetti. Questa funzione richiede, pertanto, un livello più

alto di coordinazione familiare. Può definirsi appropriata se l’attenzione verso il gioco e

verso gli interventi degli altri si esprime in modo coerente attraverso lo sguardo, le

verbalizzazioni e le azioni; parzialmente appropriata se esprime incongruità tra sguardo,

verbalizzazioni e azioni e incongruità con gli interventi degli altri; non appropriata se

manifesta totale disattenzione verso l’attività: sguardo, azioni e verbalizzazioni sono

coerentemente rivolti a un’altra attività non prescritta.

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- Contatto Affettivo: occorre domandarsi se sono tutti in contatto. Questa funzione richiede

coordinazioni molto articolate, per questo non occorre che venga mantenuta durante

tutta l’interazione, nonostante possano essere presenti momenti di sincronia emotiva. Può

dirsi appropriata se viene espresso calore affettivo attraverso sorrisi, lodi, humor;

parzialmente appropriata se si esprimono emozioni positive in maniera forzata; non

appropriata se si resta inespressivi e rigidi anche quando gli altri partecipanti cercano di

condividere un’emozione 3.

3 Malagoli Togliatti, M., & Mazzoni, S. (2006). Osservare, valutare e sostenere la relazione genitori-figli: Il Lausanne Trilogue
Play Clinico (LTPc). Milano: Raffaello Cortina Editore.

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4. Procedura di codifica e diagnosi di alleanza

La procedura di codifica si fonda sull’osservazione della videoregistrazione da parte di due

giudici indipendenti e avviene in tre fasi: dapprima viene osservata l’interazione per intero, in modo

da individuare la durata di ogni parte e le transizioni; in un secondo momento si osserva

l’interazione in ogni singola parte, per almeno due volte, e si procede con la codifica strutturale;

infine, si osserva nuovamente la procedura per intero in modo da avanzare una lettura clinica e

funzionale. Mentre quest’ultima avviene in modo collegiale, nella lettura strutturale i giudici

codificano in modo indipendente per poi valutare il grado di accordo, indispensabile ai fini

dell’attendibilità della codifica finale. Per procedere alla valutazione del grado di accordo si può

utilizzare la seguente formula:

n° accordi / n° codifiche x 100

La diagnosi di alleanza familiare avviene al termine della fase di codifica, dopo che è stato

ottenuto un accordo da tutti gli osservatori riguardo la lettura strutturale. La valutazione

categoriale dell’alleanza familiare sarà integrata con la lettura clinica che evidenzierà i punti di

forza e di debolezza della famiglia, anche ai fini di progettazione di un intervento. È possibile

individuare quattro tipologie di alleanza familiare:

• Alleanza disturbata: ci si riferisce a questa tipologia quando la funzione di partecipazione

non è presente, la trama narrativa è confusa, le transizioni sono caotiche e alcune fasi

addirittura non si verificano;

• Alleanza collusiva: si parla di alleanza collusiva quando cade la funzione

dell’organizzazione; le transizioni avvengono ma in modo estremamente rigido e

difficoltoso; la trama narrativa è poco coerente.

• Alleanza in tensione: si definisce alleanza in tensione quando a cadere è la funzione

dell’attenzione focale o del contatto affettivo; in ogni caso, la trama narrativa è

abbastanza coerente e le transizioni riescono ad essere concordate con chiarezza.

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Filippo Petruccelli - Il Lausanne Trilogue Play Clinico (LTPc)

• Alleanza cooperativa: l’alleanza è cooperativa quando tutti i livelli funzionali vengono

soddisfatti; il clima affettivo è positivo e la trama narrativa è ben definita.

Affinché un livello funzionale sia soddisfatto occorre che tutti i membri della famiglia

ottengano un punteggio pari a 2. L’accento è sulla triade, quindi per far cadere la funzione sarà

sufficiente che anche un solo membro non ottenga il punteggio superiore. In quest’ottica anche i

punteggi intermedi vengono considerati disfunzionali, ma se ne tiene comunque conto per una

lettura funzionale e clinica.

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Filippo Petruccelli - Osservare e valutare il deficit nel contesto educativo

1. Disagio e integrazione: la situazione italiana

Il concetto di disagio è molto ampio e comprende una grande varietà di aree di interesse.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha raccomandato, nel 1980, una distinzione tra

deficit e handicap: il primo si riferisce a una mancanza oggettiva che può riguardare il sistema

motorio, psichico o sensoriale mentre, il secondo, si riferisce alla situazione che l’individuo vive

come conseguenza del deficit. Il deficit, quindi, rappresenta una carenza che può essere

diagnosticata attraverso le principali classificazioni nosografiche (DSM-V, ICD-10); l’handicap, al

contrario, rimanda agli aspetti ostacolanti dell’ambiente in cui il soggetto sperimenta la malattia.

Da un punto di vista formale è importante distinguere i due concetti in modo da focalizzare

l’attenzione su codici fissi, ovvero aspetti specifici dei deficit, oppure su codici sociali, caratteristici

delle situazioni di handicap.

In Italia, la normativa del 1992 sull’handicap ha rappresentato un importante cambiamento

culturale, in quanto ha consentito l’abolizione delle scuole speciali e l’integrazione degli allievi

disabili all’interno del gruppo-classe. In quest’ottica diventa fondamentale l’utilizzo di una pluralità

di metodi didattici che si adattino ai bisogni specifici dei singoli studenti. L’osservazione avrà così,

allo stesso tempo, sia una finalità educativa che una finalità diagnostica.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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2. Classificazione Internazionale del Funzionamento,


della Disabilità e della Salute (ICF).

Nella valutazione dello stato di benessere e di funzionamento della persona è di comune

condivisione l’utilizzo della Classificazione Internazionale Del Funzionamento, della Disabilità e della

Salute (ICF), redatta nel 2001 dall’OMS. L’ICF si distingue dall’ICD-10 (International Statistical

Classification of Diseases and Related Health Problems) per l’enfasi posta sullo stato di salute e di

benessere. Mentre l’ICD-10 offre un modello eziologico delle diverse patologie, l’ICF descrive lo

stato di salute nelle diverse componenti di cui si costituisce 1. In questa sede verrà presentato il

manuale e le possibili implicazioni pratiche nell’ottica di un’integrazione di alunni con disabilità nei

contesti scolastici. A partire da questo contributo, infatti, è possibile elaborare procedure di

codifica per l’osservazione di bambini con handicap. Ciò è reso possibile non solo dall’enfasi posta

sullo stato di salute, ma anche dalla struttura concettuale e informativa che caratterizza l’ICF.

Grazie a questi punti di forza, la Classificazione si rivolge a tutti e non solo a coloro che presentano

disabilità.

Da un punto di vista strutturale l’ICF distingue:

• Funzionamento e Disabilità: sezione che comprende, al suo interno, due sottocomponenti:

Corpo e Attività e Partecipazione.

• Fattori contestuali: in questa sezione le due sottocomponenti sono costituite dai Fattori

ambientali e dai Fattori personali.

1 Borgnolo, G. (Ed.). (2009). ICF e Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l'inclusione.
Edizioni Erickson.

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Tabella 1. Struttura dell’ICF.

La parte che concerne il Funzionamento e la Disabilità risulta utile per identificare le

menomazioni, le limitazioni e tutti gli aspetti che descrivono uno stato di disabilità e, ancora, per

identificare le circostanze che definiscono il buon funzionamento e la salute dell’individuo. Inoltre,

viene posta una certa enfasi sull’interazione dell’individuo con i fattori ambientali i quali possono

costituire fattori di rischio o di facilitazione per la costruzione e il mantenimento della salute.

L’ICF fornisce una buona classificazione dal punto di vista concettuale e costituisce un vero

e proprio schema di codifica. Da un punto di vista operativo lo strumento si propone non tanto di

classificare le persone in base alla patologia, ma di identificare la posizione di ciascun individuo

all’interno dei domini della salute e rispetto ai fattori contestuali, sia ambientali che personali.

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A tal proposito è auspicabile una breve chiarificazione terminologica dei domini affrontati 2:

• Funzioni corporee: sono le funzioni fisiologiche dei vari sistemi corporei, comprese le

funzioni mentali;

• Strutture corporee: parti anatomiche del corpo come gli organi, gli arti e le loro

componenti. Le menomazioni sono problemi nella struttura del corpo, intesi come una

deviazione o una perdita significativa;

• Attività: l’atto di eseguire un compito;

• Partecipazione: coinvolgimento in specifiche situazioni di vita.

Queste dimensioni si possono collocare lungo un continuum a cui estremi troviamo un polo

positivo e uno negativo.

Il polo positivo delle Funzioni e delle Strutture corporee è costituito dal l’integrità funzionale e

strutturale, mentre quello negativo dalla menomazione.

I domini dell’Attività e della Partecipazione sono, nel polo positivo, attività e partecipazione,

mentre nel polo negativo restrizione dell’attività e della partecipazione.

Per quanto riguarda i fattori ambientali, possono essere facilitatori oppure ostacoli.

Ognuno dei domini presentati rimanda a specifiche categorie che vengono espresse

attraverso codici: l’identificazione dei vari codici permette di stabilire lo stato di salute. Allo scopo

di precisare il grado di funzionamento o disabilità si utilizzano i qualificatori, ovvero codici numerici.

Le quattro componenti possono essere identificate in questo modo:

• B per le Funzioni Corporee;

• S per le Strutture Corporee;

• D per le Attività e la Partecipazione;

• E per i Fattori Ambientali;

2 Longobardi, C. (2012). Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Manuale per le scienze della formazione e
dell'educazione (pp. 1-264). De Agostini scuola. UTET Università.

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A queste etichette segue il valore numerico: la prima cifra corrisponde al numero del

capitolo dell’IFC, la seconda cifra corrisponde al secondo livello di classificazione, la terza e quarta

cifra corrispondono, rispettivamente, al terzo e quarto livello di classificazione.

In questo modo ogni soggetto può essere descritto sulla base di un codice, comprensivo anche

del qualificatore, che viene espresso alla fine: quest’ultimo può variare tra 0 e 4 in relazione alla

gravità del problema. Riportiamo di seguito un esempio:

Sensazioni associate a capogiri: b2401.4, laddove:

b indica il dominio delle funzioni corporee; 2 indica il capitolo selezionato, ovvero “funzioni

sensoriali e dolore”; 40 indica il secondo livello di classificazione, che individua una categoria

specifica all’interno del capitolo selezionato; 1 indica il terzo livello di classificazione, ovvero la

sottocategoria dell’aspetto che si vuole descrivere (capogiro); infine, 4 si riferisce al qualificatore e

indica un problema completo.

Tale sistema di codici, dunque, permette di ricostruire il funzionamento individuale in ogni

suo aspetto.

L’OMS raccomanda agli Stati Membri di utilizzare in modo appropriato la Classificazione

nell’ambito della ricerca. Con la finalità di rilevare gli indicatori di handicap all’interno del contesto

scolastico e favorire l’integrazione dell’allievo, è possibile applicare l’ICF seguendo una serie di

tappe che prevedono:

1. Identificazione della problematica;

2. Individuazione di un’ipotesi da definire a livello operativo;

3. Definizione operativa degli indicatori di riferimento;

4. Selezione delle categorie dell’ICF inerenti a tali indicatori;

5. Elaborazione di uno schema di codifica secondo le categorie dell’ICF;

6. Condivisione tra i vari esperti;

7. Eventuale modifica e applicazione pratica.

Il focus è sul lavoro di équipe in un’ottica di condivisione tra diverse discipline.

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3. Osservare l’handicap nel contesto educativo

La breve rassegna delle informazioni presentate sin ora sul concetto di handicap pone

l’enfasi sul contesto ambientale. A questo proposito diventa fondamentale valutare il contesto di

relazioni in cui l’individuo è inserito poiché queste influenzano gli atteggiamenti e, più in generale, il

disagio psicologico del soggetto portatore di handicap. Venuti ha proposto una scheda di

osservazione, individuando cinque aree che permettono di descrivere in modo esaustivo

l’esperienza di vita dell’individuo 3.

1. Descrizione del soggetto;

2. Contesto e ambiente di vita;

3. Sviluppo fisico e psichico;

4. Sviluppo dell’Io;

5. Stati affettivi ed emotivi.

Pur essendo di stampo psicodinamico e, quindi, differente rispetto alla struttura dell’ICF,

questo schema può rappresentare una valida integrazione nell’ottica di un’osservazione il più

possibile esaustiva.

Nell’ambito degli studi sull’handicap il concetto di osservazione è stato spesso sovrapposto

a quello di valutazione. I due processi, però, presentano delle sostanziali differenze che è

opportuno esplicitare: l’osservazione è un metodo di indagine che, dopo avere selezionato

l’oggetto da ricercare, raccoglie informazioni su di esso in modo rigoroso e completo. Osservare

non significa registrare fedelmente ciò che la realtà mostra o guardare, ma si fonda sempre su

un’ipotesi di lavoro. L’osservazione deve essere obiettiva, infatti è un’attività complessa che

richiede non solo tempo, disponibilità ma anche la capacità di non farsi coinvolgere troppo.

3 Venuti, P. (2001). L'osservazione del comportamento: ricerca psicologica e pratica clinica. Carocci.

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Al contrario, la valutazione non si limita ad ottenere una serie di comportamenti target, ma

anche a valutarli secondo criteri precedentemente stabiliti; ad ogni comportamento individuato

sarà attribuito un giudizio, riferito alla frequenza di occorrenza o all’intensità. Il giudizio è

solitamente espresso su una scala fino ad un massimo di sette livelli.

In questa sede ci preme presentare alcune scale di valutazione dell’handicap, per

rispondere alla necessità pratica del contesto educativo e scolastico. Le procedure di codifica

presenti in letteratura, infatti, difficilmente possono essere tradotte in modalità operative da

educatori, insegnanti, genitori, ecc. L’obiettivo è, da un lato, implementare strumenti che

permettono un’analisi dei diversi target comportamentali e, dall’altro, di offrire al docente

procedure utili a valutare il livello di partenza e il progresso in itinere delle abilità evolutive del

bambino. Affiancando l’osservazione e la valutazione, aumenta allo stesso tempo la possibilità di

compiere degli errori in quanto l’osservatore, utilizzando una scala di valutazione, sarà portato

necessariamente a compiere un’interpretazione soggettiva 4. Per ovviare a questo problema

occorre che l’osservatore segua un training specifico per l’utilizzo dello strumento, che si occupi di

dispensare le conoscenze teoriche come anche le modalità più adeguate di impiego.

La valutazione delle abilità evolutive in un bambino portatore di handicap è fondamentale

anzitutto perché queste abilità sono numerose (di tipo cognitivo, motorio, affettivo, sociale, ecc.) e

richiedono, quindi, un’attenzione costante. In secondo luogo, spesso esse non si sviluppano

simultaneamente: ad esempio, un bambino autistico può presentare deficit nelle capacità

affettive e sociali, ma non in quelle cognitive. A questo proposito è auspicabile una valutazione

multidimensionale 5. Infine, il giudizio di valutazione può ricoprire tre ambiti: scientifico, deontologico

ed economico: nel primo caso la valutazione è importante per prendere decisioni in merito a un

iter formativo; nel secondo caso la valutazione è vista in un’ottica di fondamentale importanza

dell’agire professionale;

4 Zambelli, F. (1983). L'osservazione e l'analisi del comportamento: problemi e tendenze metodologiche nella ricerca in
educazione. Pàtron.
5 Soresi, S. (2007). Psicologia delle disabilità. Il mulino.

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infine, dal punto di vista economico, risulta vantaggioso selezionare le procedure che si

sono rivelate maggiormente efficaci, al fine di rendere più efficienti i processi educativi.

Verranno ora presentate alcune scale di valutazione dell’handicap.

1) Valutazione delle funzioni esecutive. Le funzioni esecutive rivestono una fondamentale

importanza in materia di handicap, in quanto spesso risultano compromesse 6. Da un punto

di vista neurofisiologico, esse sono regolate dall’attività dei lobi frontali e la loro

compromissione provoca alterazioni del comportamento, della capacità di prendere

decisioni, dell’autonomia personale. Le prove per la valutazione delle funzioni esecutive

mirano alla risoluzione di problemi (ricordiamo il TOL o Torre di Londra). Occorre specificare,

però, che tali prove spesso richiedono l’integrazione di altre funzioni cognitive e quindi può

risultare difficoltoso discriminare tra le diverse abilità messe in gioco in una specifica prova 7.

2) Funzionamento esecutivo nei contesti di vita quotidiana: la rilevazione del comportamento

dell’individuo nel suo contesto di vita può avvenire attraverso osservazioni strutturate e

schemi di codifica, che possono essere utilizzati da familiari e conoscenti per indagare le

difficoltà che il soggetto riscontra nei contesti quotidiani. Uno strumento particolarmente

indicato è il BRIEF 8, che valuta le funzioni esecutive di soggetti tra i 5 e i 18 anni nei principali

contesti di vita quotidiana: Inibizione, Flessibilità, Controllo emozionale, Attivazione,

Memoria di lavoro, Pianificazione, Organizzazione del materiale, Controllo.

6 Shallice, T. (1988). From neuropsychology to mental structure. Cambridge University Press.


7 Wagner, R. K., Torgesen, J. K., Rashotte, C. A., Hecht, S. A., Barker, T. A., Burgess, S. R., ... & Garon, T. (1997). Changing
relations between phonological processing abilities and word-level reading as children develop from beginning to skilled
readers: a 5-year longitudinal study. Developmental psychology, 33(3), 468.
8 Gioia, G. A., Isquith, P. K., Guy, S. C., & Kenworthy, L. (2000). Test review behavior rating inventory of executive
function. Child Neuropsychology, 6(3), 235-238.

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L’attenzione al contesto deriva dal modello ecologico-comportamentale proposto da

Kanfer nel 1973, secondo il quale non è possibile indagare la natura di un comportamento

se questo non viene inserito all’interno di una cornice contestuale. L’analisi congiunta

dell’organismo, delle reazioni, della frequenza dei comportamenti, delle conseguenze e del

contesto permette una più precisa valutazione e una conseguente progettazione di un

intervento.

3) Analisi Funzionale del compito: sempre all’interno del modello ecologico-

comportamentale, un altro aspetto di rilevazione è l’analisi funzionale del compito. Essa

mira a individuare i nessi causali di tipo ambientale che agirebbero nell’attivazione e nel

mantenimento dei comportamenti e, in particolare, di quelli che potrebbero essere

considerati disadattivi 9. In altre parole, l’analisi funzionale si propone di descrivere la

complessa serie di eventi che precedono e seguono uno specifico comportamento.

L’ipotesi è che una o più variabili contestuali fungerebbero da rinforzo per il

comportamento. È possibile distinguere tre diverse procedure:

• L’osservazione continua di eventi multipli;

• La tecnica dello scatter plot;

• L’analisi funzionale descrittivo-narrativa.

L’osservazione continua di eventi multipli consiste nel registrare gli eventi-stimolo e le risposte

comportamentali secondo una semplice dicotomia presente/assente, nell’arco di brevi intervalli di

tempo. Ciò permette di quantificare correttamente il comportamento oggetto di studio e ottenere

delle statistiche particolarmente attendibili. La tecnica dello scatter plot, invece, registra i

comportamenti nell’arco di intervalli temporali ben più lunghi (giorni oppure settimane).

9 Nota, L., Ferrari, L., Soresi, S., & Wehmeyer, M. (2007). Self‐determination, social abilities and the quality of life of people with
intellectual disability. Journal of Intellectual Disability Research, 51(11), 850-865.

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Infine, l’analisi funzionale descrittivo-narrativa permette di registrare non solo i

comportamenti messi in atto dal soggetto in esame, ma anche quelli delle persone circostanti.

L’obiettivo è registrare tutto ciò che accade e tutto ciò che le persone fanno o dicono

immediatamente antecedenti o conseguenti ai comportamenti messi in atto. In particolare, i fatti

antecedenti permetterebbero di agevolare il comportamento oggetto di studio, mentre i fatti

conseguenti consentirebbero di mantenerne la comparsa.

In conclusione, l’analisi funzionale consente di rilevare i pattern di comportamenti che

vengono messi in atto con regolarità, al fine di poterli descrivere in relazione al grado di

adattamento o disadattamento. Il vantaggio di questo approccio è che permette di focalizzare

l’attenzione sui comportamenti disfunzionali inseriti in un’ottica ecologica e contestuale e, inoltre,

permette di impostare interventi educativi che pongano enfasi sul contesto. Di seguito un esempio

di analisi funzionale.

Tabella 2. Esempio di analisi funzionale

In questo caso è evidente come il comportamento di Beatrice abbia una funzione di

mantenimento. Il fattore di mantenimento in questo caso è il rinforzo positivo perché alla fine la

bimba ottiene ciò che vuole (SR+). È molto probabile che in futuro, quando Beatrice e la mamma

andranno di nuovo in un negozio di giocattoli, la bimba si comporterà allo stesso modo perché in

passato è stato per lei funzionale per raggiungere il suo scopo.

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