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SALMODIA= per i salmi vi è una grande varietà esecutiva e Hanoch Avenary ne distingue
le seguenti maniere:
1. Singoli versetti del salmo eseguiti dal cantore e ripetuti identici dalla comunità
2. Salmo intonato dalla solista e cantato interamente dalla comunità (raro)
3. Salmo eseguito dal solista, mentre l’assemblea risponde con un qualunque versetto
del salmo come ritornello
4. Salmo eseguito dal solista mentre l’assemblea canta “Alleluia” dopo ogni versetto
5. Il solista canta il primo emistichio di ogni versetto e l’assemblea canta il secondo
(assemblea preparata)
6. Canto del salmo da parte del solista, l’assemblea ne riprende solo alcuni versetti
7. Testo del salmo con interpolazioni di nuovo testo o nuova musica
L’elemento permanente è il cantore-solista che guida l’assemblea, egli varia le formule in
base al testo e in canti simili non c’è spazio per la polifonia e la voce umana, considerata
lo strumento perfetto, trova pieno spazio nell’esercizio solistico.
Psalmus responsorius: ha queste forme di ripetizioni:
- Solista A
- Assemblea A
- Solista B
- Assemblea A
- Solista C
- Assemblea A ecc…
In pratica la risposta enunciata dal solista e ripetuta dall’assemblea era ripresa dalla
stessa assemblea dopo ogni versetto.
SALMODIA ANTIFONICA o antifonata= consisteva nell’alternare i versetti di un salmo tra
due semicori con o senza una forma di ritornello, secondo alcuni fu introdotta in
occidente con una certa riluttanza e più tardi della salmodia responsoriale. Nell’uso
attuale si chiama antifona la breve frase cantata all’inizio e alla ne del salmo. Mentre la
salmodia direttaneo-solistica il salmo è eseguito dal cantore senza aggiunte o versetti
ritornelli e da questo tipo di salmodia sembra sia derivato il tractus gregoriano ossia un
canto di meditazione dopo una lettura originariamente solistico.
JUBILUS= un’altra forma melodica della tradizione ebraica è lo jubilus e consiste
nell’esplosione di un melisma vocalico lunghissimo senza testo. L’informatore più
entusiasta è Sant’Agostino e ne tratta come di un canto frequente in connessione con i
salmi responsoriali e smentisce l’opinione di chi vede nello jubilus soltanto il diretto
ascendente dell’alleluia della messa. Inoltre si deduce che l’esecuzione non era soltanto
per il solista ma partecipava anche l’assemblea, si devono quindi immaginare degli jubilos
facili o standardizzati.
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Verso la ne del I secolo, abbiamo la certezza che si cantava il Sanctus, tra le forme
“innodiche” primitive va ricordato il Gloria in excelsis, una dossologoa destinata alla
preghiera del mattino. Nell’anno 112, Plinio il Giovane, governatore della Bitinia in Asia
Minore, inviò l’imperatore Traiano un rapporto sui cristiani, chiedendo istruzioni
sull’atteggiamento da assumere nei loro confronti. Nella lettera si legge che i cristiani
cantavano tra loro dei versi in onore di cristo. Siamo informati sul ruolo del lettore e
sull’esistenza di schemi formulari per il canto delle letture. Per lungo tempo poi si
menziona la schola lectrum= un ministero sacro quello del lector che si riceveva con un
proprio rituale di ordinazione, il preludio della futura schola cantorum.
Nel periodo precedente l’editto di Milano (313), con cui la chiesa ottenne la propria libertà,
alcune correnti gnostiche=(movimento ereticale tendente a dare una interpretazione
razionalistica della rivelazione cristiana) avessero introdotto la consuetudine della poesia
e del canto per di ondere la propria dottrina.
CAP 5:L’INNODIA:
Già nell’era classica greca hymnos era un “canto in lode alla divinità”, tale produzione
greca presenta aspetti formali ben de niti: metrica quantitativa e struttura stro ca. Una
con gurazione diversa presentano i canti cristiani dei primissimi secoli che furono
denominati inni. Essi sono ancora una “lode cantata alla divinità” ma raramente
obbediscono a criteri metrici e non hanno una struttura rigorosamente ripetitiva. Il
modello di queste composizioni va ricercato nella produzione poetica ebraica,
specialmente nei salmi. La lingua adottata è il greco. La prima raccolta di inni cristiani
furono le anonime Odi di Salomone. Un frammento d’inno liturgico è nel papiro Bodmer
XIII, attribuito agli anni 164-66. Modello della tradizione indica in Oriente è considerato il
siriaco S. Efrem, anche la sua produzione si rifà allo schema dei salmi biblici, ma è
stro ca e comporta, oltre a un ritornello, l’isosillabismo dei versi, la successione
alfabetica delle iniziali (acritico) e il ricorso a una melodia preesistente. La verietà delle
forme e degli atteggiamenti, si lascia ricondurre alla de nizione che dell’inno ha formulato
S. Agostino. Non c’è il minimo cenno a una struttura stro ca-metrica. Spetta dunque ad
ad Ambrogio il titolo di padre dell’innodia latina, poiché egli ebbe il genio di racchiudere
con forza e concisione la fede e i sentimenti cristiani in una sequenza di strofe
dell’andamento rapido e popolareggiante. Con Ambrogio l’innpodia conobbe una nuova e
de nitiva con gurazione: il breve verso di quattro giambi (il giambo è costituito da una
sillaba breve e una lunga) è legato alla metrica “quantitativa”, ma già si fa attento alla
posizione degli accenti e avvia un processo evolutivo che vedrà prima la coincidenza tra
sillabe lunghe e sillabe accentate, poi l’esclusivo predominio dell’accento tonico come
principio costruttivo della versi cazione. L’identi cazione degli inni creati da Ambrogio
non trova concordi gli studiosi. Quattro sono sicuramente di Ambrogio perchè
documentati da citazione agostiniane. Su altri quattordici vi è disparità di giudizio. Sotto il
pro lo musicale l’inno ambrosiano rappresenta per la prima volta la musica “composta”
sulla parola. Il testo si adegua ad una formula musicale preparata per la prima strofa del
componimento; la musica è ripresa integralmente e rigorosamente per le strofe
successive e si impone dunque sulla parola.
Di quale musica si servì Ambrogio?
Non possediamo una risposta sicura. C’è noto che le melodie più antiche e celebri
divennero ben presto “irmiche” ossia dei modelli ai quali molti altri testi furono adattati.
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Così accadde per gli anni ambrosiani. È legittimo supporre che gli inni di Ambrogio,
destinati come erano ad essere eseguiti da un’assemblea, fossero intonati su melodie
svelte e semplici, adeguate ai testi. A tale requisito sembrano corrispondere le intonazioni
sillabiche che ci o re la tradizione della chiesa milanese. Prendiamo come esempio l’inno
che maggiormente colpì Agostino, il quale lo ricorda ben cinque volte: “Deus creator
omnium”. È l’inno della sera, destinato allora incensi o lucernario, una preghiera analoga
ai Vespri della liturgia romana. Lo schema musicale risulta di quattro brevi frasi legate tra
loro da un certo parallelismo. È una musica elementare nell’ambito d’una quinta (do-sol).
Ritmica degli inni di Ambrogio: i testi dell’innodia sono metrici composti nel pieno rispetto
della prosodia, cioè della quantità sillabica classica. Testi metrici invitano a ritmare
secondo l’uguaglianza temporale dei suoni. Si sarebbe avuto allora un ritmo ternario,
traducibile nel modo seguente:
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Gli inni erano destinati al canto popolare. Successivamente i valori di durata furono forse
uguagliati a livello di sillaba, per cui se su una sillaba si intonavano più suoni, questi si
abbreviavano no a costruire il tempo primo d’una sillaba. Ancora più tardi, la tradizione
indica si sarebbe uniformata alla recente prassi esecutiva del rimanente canto liturgico,
che considera ciascun suono come tempo primo d’identica durata.
Al principio del V secolo con lo spagnolo Aurelio Prudenzio l’antica poesia cristiana
raggiunse il suo vertice. Egli colse l’eredità di Ambrogio ma prudenza fece opera
esclusivamente letteraria: pochi frammenti dei suoi carmi, entrando nella liturgia. Egli
tuttavia riuscì ad attuare quel connubio tra mondo poetico pagano e mondo etico
cristiano, ma la sua poesia appartiene al passato e rimane solo letteratura. Nei secoli
successivi non mancarono i poeti che seguirono il solco tracciato da Ambrogio e
Prudenzio, al seguito di questi poeti innumerevoli si dedicarono alla composizione d’inni
liturgici. La maggior parte dei testi è raccolta ora negli Analecta Hymnica Medii Aevi.
L’occidente fu conquistato da S. Ambrogio: il canto degli inni da Milano rimbalzò nelle
chiese della Gallia, Spagna e africa mediterranea. E roma? Non sembra che l’iniziativa
ambrosiana abbia trovato accoglienza. Nei secoli VII-VIII la tradizione innodica-liturgica
non subì arresti nelle chiese franche e ispaniche; nalmente dai secoli XI-XII gli inni
tornarono a gurare e per sempre nei libri romani.
Tra i manoscritti si contano stupendi codici miniati raccolti per personaggi importanti,
forse sotto la direzione di un musico, e manufatti più modesti che potevano passare tra le
mani di un JONGLEUR (Giullare). Generalmente l’attribuzione dei testi poetici è sicura,
mentre vi sono delle perplessità per l’assegnazione di alcune melodie, poiché siamo
lontani dal conoscere con precisioni quali trovatori-poeti abbiano dato anche una melodia
ai propri testi: le uniche forme di informazione sono le VIDAS, ma è stata più volte provata
la loro scarsa attendibilità. A rendere più complesso il problema si aggiungono le versioni
di erenti di uno stesso identico testo; spesso non si tratta solo di varianti ma di vere
redazioni di erenti.
Il primo dei trovatori conosciuti fu Guglielmo IX di Aquitania, del quale ci è pervenuto solo
un frammento musicato. Di circa cento trovatori dei quali abbiamo le Vidas, sette sono
donne e una buona metà appartiene a una famiglia nobiliare, ma in ogni caso l’origine
aristocratica non è un requisito necessario per la fama del trovatore. Quanto
all’esecuzione, secondo le Vidas circa un terzo dei trovatori erano anche Jongleurs, e
quindi esecutori; di alcuni invece si a erma l’inabilità nel comporre i suoni o
nell’esecuzione. La di usa opinione che i canti trobadorici fossero accompagnati da
strumenti va ridimensionata; tuttavia, si deve ammettere che in certi casi la viella o altri
strumenti doppiassero la voce del cantante o svolgessero il compito di intermezzo tra una
stanza e l’altra del testo.
Tema centrale del canto trobadorico fu l’amor cortese, un concetto inde nito dai cantori,
che andò precisandosi con la generazione di poeti; l’origine è ancora dibattuta. Non deve
tuttavia essere sottovalutata la componente popolare da cui sono iprontate, ad esempio,
le Pastourelles, ossia il tema dell’incontro tra l’innocente pastorella e il giovane nobile,
tema che conosce in nite variazioni nelle più diverse tradizioni popolari; come anche il
tema dell’Alba. Negli stessi schemi poetici si trattano talora argomenti politici, satirici,
eccetera. Il tema religioso è presente nella produzione trobadorica, sebbene parecchi
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canti di contenuto religioso siano ritenuti dei “Contrafcta”. Che nel suo complesso la
poesia trobadorica fosse poesia per danza è stato ripetuto svariate volte, ma tale
opinione non ha fondamento storico, anche se in alcuni canti possono ricorrere movenze
ritmiche equiparabili alla danza. Forse alla base dell’equivoco vi è una diversa valutazione
delle formule di refrains che si collegano al rondeau, virelai e ballade; ma secondo alcuni
studiosi trovatori e trovieri non scrissero né virelai né ballades, e solo due trovieri
scrissero composero rondeaux.
Una spiegazione per l’esistenza di multiple versioni dei singoli canti la si riconduce al fatto
che per un lungo periodo le canzoni trobadoriche e trovieriche vennero trasmesse
oralmente. Una prova di tale ipotesi verrebbe dalla mancanza di stretti rapporti tra le fonti
pervenute: infatti, nessuna fonte appare derivata da un’altra fonte nota. L’elemento più
sicura è dato dalle discordanze fornite dai manoscritti; infatti, non sembrano essere tipici
errori gra ci. Da tali premesse possiamo dedurre: che noi non possediamo alcuna
canzone in forma originale; inoltre, non si può escludere dal materiale musicale o erto
delle fonti, poiché tutte godono di pari autorità, e nessuno può indicare una versione più
vicina ad un modello che solo noi oggi possiamo creare, e che quindi crederemmo
perfetto. Nella trasmissione orale nessun esecutore poteva essere obbligato di eseguire
nello stesso modo la stessa canzone. Secondo il concetto di esecuzione del tempo, il
cantore reputava di essere fedele all’originale soprattutto quando introduceva delle sue
variazioni.
Oltre alla varietà di fonti dovuta alla trasmissione orale, vi sono anche i fenomeni della
varietà causati dalla tradizione scritta. L’analisi dei manoscritti prova che la stessa a nità
testuale non comporta a nità con la melodia. La musica trobadorica, non si conservò in
modo compatto e unitario, ciò lo si vede soprattutto nelle sezioni melismatiche, le quali
più che mai sembrano aver risentito dell’improvvisazione estemporanea dell’esecutore o
delle preferenze dello scriba. Per queste canzoni bisogna ricostruire in modo critico il
testo e la melodia come ci sono documentati da una determinata fonte, la quale deve
essere un testimone sicuro dell’ambiente e del periodo in cui fu redatta. L’edizione critica
sarà quindi frutto della comparazione delle diverse fonti, sarebbe fallace oltre che
impossibile.
Se questa complessità la si trova nella linea melodica, ancora più complesso è il
problema del valore ritmico, ovvero della durata da attribuire alle singole note. Esse ci
sono pervenute in una notazione incapace di esprimere le diverse durate: a parte poche
eccezioni che si trovano soprattutto nel repertorio trovierico, la notazione utilizzata era
quella quadrata in uso per il gregoriano.
Per leggere la metrica vi furono diverse ipotesi:
- Venne subito scartata una traduzione metrica utilizzando le diverse forme delle note;
- Si pensò di utilizzare uno dei modi ritmici, e l’ipotesi che trovò maggior credito fu l’uso
di quella “modale”. Ma non si trovavano due studiosi che nell’applicazione del metodo
arrivassero ad un unico risultato.
- Si rinunciiò anche a imporre ai versi uno schema esterno precostituito;
- Si provò a seguire la metrica testuale, ma anche in questo caso, a causa della
mancanza di un sistema in versi, di un’accentazione ssa e di un medesimo modo di
suddividere le sillabe, dovettero utilizzare degli accorgimenti per poter arrivare ad un
risultato nale;
Nel XIII secolo iniziò il periodo di decadenza, soprattutto in quei luoghi che avevano visto
nascere il genere; questo fu causato da un’eccessiva ra natezza e da l’esoterismo oltre
che da tragici eventi. Sotto il pro lo tonale, le melodie non sono riconducibili al pro lo
modale della musica ecclesiastica; oggi non si è più inclini a vedere in queste melodie un
principio di tonalità maggiore o minore. Queste melodie sono così libere che è impossibile
assegnare lor un qualsiasi modo. La melodia presenta tracce di una forma recitativa che
potrebbe richiamare le formule salmodiche con il loro Initium e la loro nale più o meno
ornata. Tipica della melodia è l’insistenza su due suoni che possono essere a intervallo di:
tono, terza e raramente quarta. Inoltre il movimento melodico può apparire a volte
focalizzato su un solo polo tonale, altre volte in vece su due centri tonali. In generale le
melodie sembrano improvvisazioni tradizionali e semplici; ed è inverosimile che la
notazione sia servita per comporle. Infatti il trovatore con l’aiuto della notazione avrebbe
potuto comporre nuove e più elaborate formule, e invece, produsse brevi e semplici frasi.
Per questo parlare di “Compositore” è inadatto, mentre è adatto il termine trovatore o
troviere, nel senso di “inventore”. I primi veri compositori e la prima musica “Composta”
furono quelli dell’ars Mensurabilis, che orì quando già erano state compilate le raccolte
di canzoni trobadoriche e trovieriche. Questo non toglie che in queste canzoni non ci
siano esempi di alto lirismo.
Molto di ciò che abbiamo detto della musica trobadorica vale anche per quella trovierica.
Esistono infatti le stesse di coltà per la traduzione della melodia in forma moderna.
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Alcune delle melodie sono entrate in composizioni plurivocali per le quali è stata applicata
la notazione corrente della polifonia duecentesca. Lo schema melodico della Chanson
trovierica è AB AB1 CDEF; B e B1 di eriscono solo per la cadenza nale: B= Ouvert
(cadenza sospensiva), B1= Clos (cadenza conclusiva). Da questo modello derivano molte
varianti, soprattutto nella posizione e nella ripetizione dei Refrain, nei quali possiamo
riconoscere delle anticipazioni di Rondeau e Virelai. Tra le forme, molto di usi durono i
“Jeux-partis”, la melodia era intonata in modo alternato da due interlocutori, e presentava
un “enovi” (commiato) nale.
Il Lai presenta la struttura della coppia stro ca propria della sequenza, dalla quale sembra
essere derivato. Negli esempi più antichi, numero e lunghezza dei versi cambiano a ogni
coppia; generalmente il numero delle strofe ammonta a 12 (ma non è una regola
costante). Il più antico troviere conosciuto è Chrétien de Troyes. Nel XIII secolo la vita
musicale della Francia settentrionale, con il rinnovamento del patrimonio paraliturgico e i
primi esempi polifonici della scuola di Notre-Dame, fu profondamente trasformata e la
monodia oscillò
tra l’antica fonte Trobadours e i nuovi modelli. Dagli inizi del XIII secolo si fece più forte
l’in uenza delle forme musicali sse di origine popolare.
• Seconda fase: l’eredità del Minnesang fu assunta dal Meistersang (da Meister=
maestri e Sang= canto) che si distinse dal primo per essere estraneo agli ambienti di
corte e per rappresentare la classe borghese-cittadina. Si è soliti dividere il Meistersang
in due loni: - cantanti girovaghi
- scuole con sede stabile
All’origine di queste ultime istituzioni sta la gura del Frauenlob, che fu a capo della
scuola di Magonza (il centro dei Meistersinger.
SPAGNA
La collocazione geogra ca favorì un massiccio irradiamento della lirica provenzale anche
in Spagna e Portogallo grazie alle varie corti spagnole e ai signori catalani che si
esercitano nel poetare. La collezione più grandiosa della monodia iberica è stata raccolta
da Alfonso X, re di Castiglia e di Leòn, si tratta delle Cantigas de Santa Maria. Con il
termine Cantigas si designavano i componenti tanto sacri come profani della letteratura
gallego-portoghese. Le Cantigas celebrano in prevalenza i miracoli della vergine e si
ispirano ai Miracles de Notre Dame, la struttura stro ca predominante ricalca quella del
Viralai francese: è aperta da un ritornello cui segue la estrofa chiusa nuovamente
dall’estribillo, ma all’interno di questo schema le varianti sono numerose. Un altro
elemento derivato dalla tradizione francese è la presenza delle due cadenze: sospensiva e
conclusiva
INGHILTERRA
La lirica provenzale si propagò no all’Inghilterra grazie anche ad Eleonora d’Aquitania
andata in sposa a Enrico d’angiò, tuttavia tali fatti non diedero origine a un consistente
movimento poetico autonomo anche per via della lingua letteraria usata in Inghilterra. Tra
le reliquie rimaste si ricorda il “canto d’un prigioniero”, un lai francese accompagnato da
traduzione inglese.
La notazione dei due laudari è quadrata amensurale su rigo tetralineo —> problema
dell’interpretazione ritmica a rontato da Liuzzi: il principio di partenza è che il nesso tra
suono e parola richiede un disegno ritmico dei suoni; se le parole sono organizzate
metricamente, esse condizionano e determinano la linea melodica. Quindi si assume la
sillaba accentata come unità di tempo, che secondo Liuzzi, il ritmo musicale è il seguente:
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Ovvero quattro battute di due movimenti ciascuna e a d ogni sillaba corrisponde una
nota.
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