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Le origini del culto cristiano:


liturgia e canto
La testimonianza delle prime fonti cristiane:
Nessun documento musicale dei primi secoli cristiani è pervenuto no a noi se non
consideriamo il frammento di un inno con notazione alfabetica greca, ricavato dal papiro
di Ossirinco del 1786 e attribuito alla seconda metà del III secolo. Non è possibile quindi
ricostruire le prime frasi del canto cristiano. Il cristianesimo portava una carica di
rinnovamento tanto da provocare lo scoppio dei vecchi sistemi, i primi missionari del
vangelo, gli apostoli tutti gli ebrei recavano nuove forme di culto modellate sula parola e
l’esempio del Maestro. Essi che aveva seguito cristo n dal principio furono in grado di
divenire testimoni della sua vita e del suo insegnamento e il loro annuncio riguardava la
morte e la resurrezione di Gesù. Nella loro predicazione si possono distinguere elementi
di natura diversa: catechesi, narrazioni, testimonianze, inni, preghiere e altre forme
letterarie che furono consegnate nei vangeli autentici. Vangeli e Atti conservano l’eco
della predicazione apostolica. La testimonianza dei Sinottici (Matteo, marco e luca negli
anni 65-80) (giovanni intorno al 100) ri ettono abitudini introdotte nella liturgia delle prime
comunità cristiane e coacervano alcuni brani ritmici la cui struttura induce a credere che
preesistessero allo stesso testo evangelico scritto fossero cantati. I noti “cantici” che
gurano nei primi capitoli di Luca (magni cat, Benedictus e Nunc dimittis), gli esempi di
“innondia” sono presenti nelle lettere di Paolo e di Pietro e nell’ Apocalisse attribuita a
Giovanni. Non si tratta di composizioni stro che secondo i principi della metrica greco-
latina ma i criteri costruttivi sono quelli della poesia ebraica.
CARATTERI DEL CULTO GIUDDICO NELLA LITURGIA CRISTIANA:
1. Aspetto comunitario
2. Dimensione interiore del culto —> puri cazione interiore
3. Attesa escatologica dio liberatore
Dunque la chiesa primitiva non ha rotto con il culto giudaico, ma vi ha introdotto il
VANGELO, come annuncio del regno di dio e proclamazione della morte e risurrezione di
Gesù.
Il messaggio di cristo aveva maggiore a nità con alcune componenti del panorama
religioso giudiaco (=ebraico): quella dei Farisei e quella degli Esseni. I segni della
parentela spirituale tra ebrei e cristiani si ebbero nella presenza assidua di questi ultimi
alle preghiere del tempio, dove gli apostoli stessi si recavano a pregare e a insegnare e
l’inventario di quanto i cristiani siano debitori verso la tradizione giudaica sono:
1. Riti battesimali
2. Prima parte della celebrazione eucaristica comprendente letture, preghiere e canti,
secondo il modello delle assemblee ebraiche
3. Nella liturgia eucaristica sacri cale alcune preghiere e per no la “prece eucaristica”
sono modellate sulle beracoth=preghiere di benedizione ebraiche con l’aggiunta delle
formule di consacrazione del pane e del vino usate da cristo
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4. Adozione del calendario ebraico con graduale slittamento della celebrazione dal
sabato alla domenica e con un’incipiente celebrazione annuale della pasqua di cristo
5. Pratica del digiuno in connessione con il culto
6. Complementare funzione della preghiera comunitaria e di quella personale
7. Uguaglianza tra i primitivi ambienti di culto

LINGUA PER LA LITURGIA:


Non si possono negare in ussi ellenistici legati anche al fatto che la prima lingua liturgica
fu il greco. La tradizione al latino avvenne dapprima nelle provincie africane e riguardò la
catechesi e la parte didattica della messa. Verso la metà del III secolo anche a roma il
latino apparve come lingua u ciale ma nella liturgia si ebbe un lungo periodo di
bilinguismo che si prolungò n oltre il IV secolo. In questo hanno origine le forme lessicali
greche rimaste nel latino (si veda il Kyrie eleison). Altri elementi denunciano la propria
derivazione dai culti misteri: si pensi alla celebrazione delle veglie notturne, al
completamento del battesimo come rito d’iniziazione e alla disciplina dell’arcano.

CANTI EBREI E CRISTIANI:


Gli ebrei, come i cristiani, non praticavano nessuna gra a musicale, si servivano della
musica come d’un veicolo privilegiato e solenne per la parola e i testi sacri e ritenevano
sacra la stessa funzione del cantone. Un confronto tre il patrimonio dei canti cristiani e
quello degli ebrei va giudicato con estrema cautela perchè la tradizione ebraica fu posta
per iscritto molto più tardi di quella cristiana ma anche per il rischio che sia stata la
tradizione ebraica a essere in uenzata da quella cristiana nei secoli; inoltre la dispersione
degli ebrei ha provocato una profonda diversi cazione nelle melodie dei loro canti rituali.
Non è che non si siano riscontrate a nità e per no coincidenze tra frammenti melodici
del canto ebraico e di quello cristiano: tutti i testi di storia musicale pongono a confronto.
Vari studiosi si dedicarono alla trascrizione delle melodie ebraiche, con l’inconveniente
peraltro di dover imprigionare nelle barre di misura e nelle scale tonali una musica dotata
di esorbitante libertà ritmica e melodica.

CAP 3:LE PRIME FORME DEL CANTO CRISTIANO:


La concezione della “parola” in senso sacro accomuna la religiosità ebraica e cristiana;
presso i cristiani si arricchisce perchè “Parola” è anche il glio di dio, cristo. Per entrambe
le confessioni essa è parte essenziale del culto e nel rituale giudaico la parola è sempre
“cantillata” per attingere ampiezza e solennità. Invece per i cristiani la parola va
“proclamata”. Tale premessa spiega perchè la “cantillazione” con la “salmodia” sia uno
dei tratti universali della musica religiosa ebraica.
LA CANTILLAZIONE= la cantillazione è un’ampli cazione della parola su un ristretto
numero di suoni, regolata dal ritmo verbale in frasi libere da qualunque struttura metrica.
Non è quindi un ornamento melodico e il testo è pronunciato rapidamente. Nelle scuole
rabbiniche si insegna ai futuri cantori le formule recitative indicate sui libri da segni
convenzionali, ogni specie deve essere riprodotta con assoluta fedeltà, vi si incontrano:
vocalizzi ora brevi ora piuttosto ampi con intervalli inferiori al semitono e con passaggi
continui en glisant da un grado all’altro. Da parte cristiana sono modellati su questa forma
i recitativi del celebrante e le letture di altri ministri: epistola, vangeli, lamentazioni ecc… la
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diversità riguarda la scomparsa dei microintervalli, per esempio la punteggiatura è più
varia e più frequente.

SALMODIA= per i salmi vi è una grande varietà esecutiva e Hanoch Avenary ne distingue
le seguenti maniere:
1. Singoli versetti del salmo eseguiti dal cantore e ripetuti identici dalla comunità
2. Salmo intonato dalla solista e cantato interamente dalla comunità (raro)
3. Salmo eseguito dal solista, mentre l’assemblea risponde con un qualunque versetto
del salmo come ritornello
4. Salmo eseguito dal solista mentre l’assemblea canta “Alleluia” dopo ogni versetto
5. Il solista canta il primo emistichio di ogni versetto e l’assemblea canta il secondo
(assemblea preparata)
6. Canto del salmo da parte del solista, l’assemblea ne riprende solo alcuni versetti
7. Testo del salmo con interpolazioni di nuovo testo o nuova musica
L’elemento permanente è il cantore-solista che guida l’assemblea, egli varia le formule in
base al testo e in canti simili non c’è spazio per la polifonia e la voce umana, considerata
lo strumento perfetto, trova pieno spazio nell’esercizio solistico.
Psalmus responsorius: ha queste forme di ripetizioni:
- Solista A
- Assemblea A
- Solista B
- Assemblea A
- Solista C
- Assemblea A ecc…
In pratica la risposta enunciata dal solista e ripetuta dall’assemblea era ripresa dalla
stessa assemblea dopo ogni versetto.
SALMODIA ANTIFONICA o antifonata= consisteva nell’alternare i versetti di un salmo tra
due semicori con o senza una forma di ritornello, secondo alcuni fu introdotta in
occidente con una certa riluttanza e più tardi della salmodia responsoriale. Nell’uso
attuale si chiama antifona la breve frase cantata all’inizio e alla ne del salmo. Mentre la
salmodia direttaneo-solistica il salmo è eseguito dal cantore senza aggiunte o versetti
ritornelli e da questo tipo di salmodia sembra sia derivato il tractus gregoriano ossia un
canto di meditazione dopo una lettura originariamente solistico.
JUBILUS= un’altra forma melodica della tradizione ebraica è lo jubilus e consiste
nell’esplosione di un melisma vocalico lunghissimo senza testo. L’informatore più
entusiasta è Sant’Agostino e ne tratta come di un canto frequente in connessione con i
salmi responsoriali e smentisce l’opinione di chi vede nello jubilus soltanto il diretto
ascendente dell’alleluia della messa. Inoltre si deduce che l’esecuzione non era soltanto
per il solista ma partecipava anche l’assemblea, si devono quindi immaginare degli jubilos
facili o standardizzati.
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Verso la ne del I secolo, abbiamo la certezza che si cantava il Sanctus, tra le forme
“innodiche” primitive va ricordato il Gloria in excelsis, una dossologoa destinata alla
preghiera del mattino. Nell’anno 112, Plinio il Giovane, governatore della Bitinia in Asia
Minore, inviò l’imperatore Traiano un rapporto sui cristiani, chiedendo istruzioni
sull’atteggiamento da assumere nei loro confronti. Nella lettera si legge che i cristiani
cantavano tra loro dei versi in onore di cristo. Siamo informati sul ruolo del lettore e
sull’esistenza di schemi formulari per il canto delle letture. Per lungo tempo poi si
menziona la schola lectrum= un ministero sacro quello del lector che si riceveva con un
proprio rituale di ordinazione, il preludio della futura schola cantorum.
Nel periodo precedente l’editto di Milano (313), con cui la chiesa ottenne la propria libertà,
alcune correnti gnostiche=(movimento ereticale tendente a dare una interpretazione
razionalistica della rivelazione cristiana) avessero introdotto la consuetudine della poesia
e del canto per di ondere la propria dottrina.

CAP 4:LITURGIA E CANTO DOPO L’EDITTO DI MILANO:


La pace tra chiesa e impero romano ebbe decisivi ri essioni sulla vita liturgica e sulla
pratica musicale dei cristiani. La sola possibilità di organizzare il proprio culto in modo
libero e stabile, poter disporre di edi ci adeguati al numero elevato di credenti. Da qui il
sorgere di ricche basiliche a Roma e quindi lo sviluppo del cerimoniale che doveva essere
all’altezza dei dignitari di corte e dello stesso imperatore. Nel 321, la domenica dei
cristiani fu riconosciuta giorno festivo per tutti i lavoratori: primo avvio di un calendario
che si basava alle esigenze del culto cristiano. Nel nuovo clima di libertà fu impegno dei
vescovi, la valorizzazione dei riti d’iniziazione (battesimo, cresima, eucarestia, il battesimo
era conferito alla notte di Pasqua (come me!!!!). alle feste pagane, si sovrappose nel 330
la celebrazione del natale di Gesù cristo, che insieme all’epifania venne a formare il
secondo ciclo dell’anno liturgico. Al ricordo degli antichi eroi la chiesa contrappose il
culto dei martiri. Ma nuove di coltà sorgevano per la chiesa: l’assidua lotta contro i
movimenti ereticali, attaccamento del popolo alle vecchie superstizioni e dalla resistenza
degli intellettuali orgogliosi dell’antica tradizione romana. A queste di coltà, ponte ci e
vescovi, risposero con una vasta attività didattica attraverso le occasioni liturgiche. Nella
liturgia, durante il IV secolo, si consolidò l’orientamento a ssare per iscritto formulari di
preghiere, ordinamenti di letture e il testo dei canti: si andava così superando l’abitudine
dell’improvvisazione che era stata il carattere più vistoso nei riti cristiani dei secoli
precedenti.
Nelle prescrizioni di vari concili regionali, tra IV e V secolo, appaiono i primi riferimenti a
formulari scritti per la celebrazione eucaristica. La residenza dei Lerici presso il vescovo e
l’a ermarsi del monachesimo favorirono la completa organizzazione dell’U cio (liturgia
delle ore), cioè della preghiera comune fondata sul canto sei salmi e distribuita nelle varie
ore del giorno e anche della notte. Si pro lano ormai i due cicli nei quali in seguito
saranno distribuite le messe e le u ciature: i Proprio del tempo o “temporale”,
comprendente le feste del Signore e le domeniche, e il proprio dei Santi o “santorale”
comprendente le feste dei santi. San Girolamo traduce la Bibbia in Latino: è la cosiddetta
traduzione Volgata che nella liturgia sostituì le preesistenti versioni. Quanto alla messa
Romana essa cominciava con una primitiva detta “diaconale”. Il diacono formulava
l’intenzione di preghiera e l’assemblea rispondeva con una semplice acclamazione.
L’ampiezza assunta da tale preghiera indusse Gregorio Magno a ridurre il numero delle
invocazioni e il suo intervento sembra giusti cato dall’apparire di un più tardivo canto
d’introduzione, L’INTROITO che voleva l’esecuzione di un intero salmo alternato con un
ritornello. All’epoca di Agostino si stavano di ondendo l’o ertorio e il canto di
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comunione che hanno la stessa struttura responsoriale dell’introito. Dopo le letture si
eseguiva un altro canto responsoriale, IL GRADUALE cui faceva seguito L’ALLELUIA
modellato sullo JUBILUS, l’unico brano di musica pura accolto nella liturgia di tutte le
chiese d’occidente. Quindi il cantore doveva essere un professionista. GRADUALE,
ALLELUIA E JUBILUS costituiscono il Proprium missae, ossia i testi variabili da messa a
messa. I canti dell’Ordinarium, cioè quelli che sono presenti tutti o in parte in ogni
messa, sono costituiti da: KYRIE ELEISON, GLORIA IN EXCELSIS, SANCTUS, AGNUS
DEI e CREDO. La costituzione di un repertorio stabile di preghiere, letture e canti indusse
all’uso di libri particolari per ognuno dei ministri della liturgia. I principali libri sono:
- per il celebrante Liberi Sacramentorum
- Per le letture Lezionario
- Il testo dei canti (perché la notazione ancora non esisteva) Antiphonarium
- Il messale completo cominciò a di ondersi nei secoli IX-X nell’Italia settentrionale e fu
chiamato Missale Plenarium

CAP 5:L’INNODIA:
Già nell’era classica greca hymnos era un “canto in lode alla divinità”, tale produzione
greca presenta aspetti formali ben de niti: metrica quantitativa e struttura stro ca. Una
con gurazione diversa presentano i canti cristiani dei primissimi secoli che furono
denominati inni. Essi sono ancora una “lode cantata alla divinità” ma raramente
obbediscono a criteri metrici e non hanno una struttura rigorosamente ripetitiva. Il
modello di queste composizioni va ricercato nella produzione poetica ebraica,
specialmente nei salmi. La lingua adottata è il greco. La prima raccolta di inni cristiani
furono le anonime Odi di Salomone. Un frammento d’inno liturgico è nel papiro Bodmer
XIII, attribuito agli anni 164-66. Modello della tradizione indica in Oriente è considerato il
siriaco S. Efrem, anche la sua produzione si rifà allo schema dei salmi biblici, ma è
stro ca e comporta, oltre a un ritornello, l’isosillabismo dei versi, la successione
alfabetica delle iniziali (acritico) e il ricorso a una melodia preesistente. La verietà delle
forme e degli atteggiamenti, si lascia ricondurre alla de nizione che dell’inno ha formulato
S. Agostino. Non c’è il minimo cenno a una struttura stro ca-metrica. Spetta dunque ad
ad Ambrogio il titolo di padre dell’innodia latina, poiché egli ebbe il genio di racchiudere
con forza e concisione la fede e i sentimenti cristiani in una sequenza di strofe
dell’andamento rapido e popolareggiante. Con Ambrogio l’innpodia conobbe una nuova e
de nitiva con gurazione: il breve verso di quattro giambi (il giambo è costituito da una
sillaba breve e una lunga) è legato alla metrica “quantitativa”, ma già si fa attento alla
posizione degli accenti e avvia un processo evolutivo che vedrà prima la coincidenza tra
sillabe lunghe e sillabe accentate, poi l’esclusivo predominio dell’accento tonico come
principio costruttivo della versi cazione. L’identi cazione degli inni creati da Ambrogio
non trova concordi gli studiosi. Quattro sono sicuramente di Ambrogio perchè
documentati da citazione agostiniane. Su altri quattordici vi è disparità di giudizio. Sotto il
pro lo musicale l’inno ambrosiano rappresenta per la prima volta la musica “composta”
sulla parola. Il testo si adegua ad una formula musicale preparata per la prima strofa del
componimento; la musica è ripresa integralmente e rigorosamente per le strofe
successive e si impone dunque sulla parola.
Di quale musica si servì Ambrogio?
Non possediamo una risposta sicura. C’è noto che le melodie più antiche e celebri
divennero ben presto “irmiche” ossia dei modelli ai quali molti altri testi furono adattati.
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Così accadde per gli anni ambrosiani. È legittimo supporre che gli inni di Ambrogio,
destinati come erano ad essere eseguiti da un’assemblea, fossero intonati su melodie
svelte e semplici, adeguate ai testi. A tale requisito sembrano corrispondere le intonazioni
sillabiche che ci o re la tradizione della chiesa milanese. Prendiamo come esempio l’inno
che maggiormente colpì Agostino, il quale lo ricorda ben cinque volte: “Deus creator
omnium”. È l’inno della sera, destinato allora incensi o lucernario, una preghiera analoga
ai Vespri della liturgia romana. Lo schema musicale risulta di quattro brevi frasi legate tra
loro da un certo parallelismo. È una musica elementare nell’ambito d’una quinta (do-sol).
Ritmica degli inni di Ambrogio: i testi dell’innodia sono metrici composti nel pieno rispetto
della prosodia, cioè della quantità sillabica classica. Testi metrici invitano a ritmare
secondo l’uguaglianza temporale dei suoni. Si sarebbe avuto allora un ritmo ternario,
traducibile nel modo seguente:
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Gli inni erano destinati al canto popolare. Successivamente i valori di durata furono forse
uguagliati a livello di sillaba, per cui se su una sillaba si intonavano più suoni, questi si
abbreviavano no a costruire il tempo primo d’una sillaba. Ancora più tardi, la tradizione
indica si sarebbe uniformata alla recente prassi esecutiva del rimanente canto liturgico,
che considera ciascun suono come tempo primo d’identica durata.
Al principio del V secolo con lo spagnolo Aurelio Prudenzio l’antica poesia cristiana
raggiunse il suo vertice. Egli colse l’eredità di Ambrogio ma prudenza fece opera
esclusivamente letteraria: pochi frammenti dei suoi carmi, entrando nella liturgia. Egli
tuttavia riuscì ad attuare quel connubio tra mondo poetico pagano e mondo etico
cristiano, ma la sua poesia appartiene al passato e rimane solo letteratura. Nei secoli
successivi non mancarono i poeti che seguirono il solco tracciato da Ambrogio e
Prudenzio, al seguito di questi poeti innumerevoli si dedicarono alla composizione d’inni
liturgici. La maggior parte dei testi è raccolta ora negli Analecta Hymnica Medii Aevi.
L’occidente fu conquistato da S. Ambrogio: il canto degli inni da Milano rimbalzò nelle
chiese della Gallia, Spagna e africa mediterranea. E roma? Non sembra che l’iniziativa
ambrosiana abbia trovato accoglienza. Nei secoli VII-VIII la tradizione innodica-liturgica
non subì arresti nelle chiese franche e ispaniche; nalmente dai secoli XI-XII gli inni
tornarono a gurare e per sempre nei libri romani.

CAP 24:UFFICI METRICI E DRAMMATICI:


Nei libri liturgici, dopo il concilio di Trento, non è rimasta traccia della produzione dei testi
melici per le u ciature di santi e festività denominata u ci metrici. Il periodo si è distinto
anche per il fervore creativo di formulari liturgici nuovi in cui si eseguiva il criterio già
collaudato dalla tradizione: i testi erano tratti dalla bibbia e le melodie si ripeteva modelli
anteriori o si centonizzava adattando o ricucendo. Ma ci fu chi battè una nuova via in
territorio franco: in sostanza la novità è data dall’introduzione dell’elemento narrativo in
luogo di quello lirico-contemplativo nelle antifone e nei responsori degli u ci, dal punto di
vista dei testi si fece strada l’abitudine della versi cazione in esametri. —> historiae.
A prima vista l’avvento degli u ci versi cati può apparire una variante di formulari liturgici
ma in realtà la di erenza sta nella concezione unitaria i cui elementi (antifone e responsori)
obbediscono a un ordine logico imposto dal progredire stesso dell’historiae.
Gli u ci versi cati del IX-X secolo sono di dubbia attribuzione, utilizzano frammenti di inni
e scelgono l’esametro. Sotto il pro lo musicale è di cili dire se l’autore dei versi sia stato
anche quello delle melodie. Un particolare è certo: la di usione di alcuni modelli melodici
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ripetuti a lungo e nelle più lontane regioni con testi diversi. Durante le prime fasi si impose
anche il criterio progressivo nella scelta delle modalità (la prima antifona in primo modo, la
seconda in secondo modo ecc..): indice della mentalità sistematica dell’uomo
medioevale.
Il tema degli u ci drammatici ha le sue radici nella struttura e nell’evoluzione del fatto
liturgico in quanto vi è la rievocazione dei fatti riguardanti la vita di cristo e la stessa
messa invita a rivivere il sacri cio di cristo: questo è autentico dramma e la liturgia ha
adottato un suo modo espressivo di natura simbolica che la di erenzia dal linguaggio
teatrale. Il modello più esplicito erano le celebrazioni liturgiche palestinesi, in cui i riti si
celebravano nei luoghi stessi e alla stessa ora in cui gli eventi della passione, morte e
risurrezione di cristo si erano veri cati. L’esperienza palestinese si spostò anche a Roma
all’inizio del V secolo con una replica monumentale di Gerusalemme, e da allora prese
vita la celebrazione del “triduo sacro” con le sue di erenti fasi: la memoria dell’istituzione
dell’eucarestia, della passione, morte e risurrezione di cristo.
Accanto alle numerose fonti che hanno conservato la tradizione e il repertorio delle
singole chiese, ci sono pervenuti i libri delle rubriche che regolavano lo svolgimento degli
o cia: erano chiamati Liberi ordinarius e posso dirsi i primi testi di regia in senso
moderno.
(In pratica da qui nasce il teatro moderno)

CAP 25:IL DRAMMA LITURGICO:


Il più antico documento musicale che dimostri il tropo “Quem quaeritis” è un noto tropario
di Winchester il cui testo si completa con la quasi coeva Regularis concordia, un liber
consuetudinarius formato da tradizioni monastiche continentali raccolte per i benedettini
inglesi intorno all’anno 980 da Ethelwold vescovo di Winchester. La notazione del tropario
di Winchester è vicina a quella delle fonti provenienti da Limoges, e ciò fa supporre che la
nascita del dramma si debba collocare nel continente. Esso consta di un’unica scena
incentrata sul dialogo tra l’angelo e le pie donne. In questa forma con un sola scena il
dramma liturgico pasquale conobbe un’immensa notorietà in tutta Europa, testimoniata
dall’enorme numero di fonti che recano una versione musicale:
Primo stadio—> la ricchezza degli spunti suggeriti dalle narrazioni evangeliche
apportarono molte addizioni a questo primo nucleo del dramma
Secondo stadio—> Pietro e giovanni che corrono al sepolcro
Terzo stadio—> apparizione del risorto a Maria di magdala
Negli esempi recenti la successione delle scene appare più complessa e il numero dei
personaggi maggiore, i testi non sono più di origine biblico-liturgica e sono spesso
versi cati e quindi le melodie sono di nuova creazione.
Periodo di Pasqua:
vi è scarsa attenzione dalla drammaturgia medioevale al tema della passione, nascita di
innumerevoli (1)Planctus Mariae che in formalistica o drammatica esprimono la
partecipazione di Maria alle so erenze del cristo. Il Planctus è famoso per la ricchezza di
indicazioni rubricali e la vigorosa espressività dell’intonazione musicale. (2) Peregrinus è
un dramma che rievoca l’incontro dei due discepoli con cristo sulla via di Emmaus, in
varie versioni includono sezioni in versi e musica indipendente dai modelli liturgici.
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Periodo di Natale:
il punto di partenza per il periodo di natale fu un tropo all’introito della terza messa
modellato su quello pasquale in italia e Francia. Nell’evoluzione di questo dramma
assunse via via rilievo la gura di Erode e musicalmente sono impiegati ampi tratti di
libera composizione.
Vari tipi di drammi liturgici:
il valore musicale di questi drammi è molto diverso. Alcuni sono poveri poiché sfruttano
solo una melodia o due per tutte le strofe e per tutti personaggi, ma in altri casi vi sono
più ricche risorse:
1. Getronis Filius la molteplicità dei personaggi è distinta da un leitmotiv cioè un melodia
personale
2. Sponsus la trama si rifà alla parabola evangelica delle vergini prudenti e delle vergini
stolte, sono adottate quattro melodie distribuite a quattro o cinque attori o gruppi di
attori. Solo il gioco delle rime e l metrica consentono di stabilire che entrano a
concludere la rappresentazione gli stessi personaggi che l’avevano introdotta:
Lo sponsus (=cristo; melodia A) e l’arcangelo Gabriele (B). Dopo Gabriele è la volta
delle fanciulle fatuae (C), cui segue l’intervento delle prudentes (D); fatuae e prudentes
si alternano ancora una volta (C+D) prima che entrino i mercatores, cui viene di nuovo
assegnata la melodia C; quindi le fatuae intonano il loro lamento (C) seguìto dalla
severa sanzione dello sponsus e dalle parole dell’arcangelo. Vedi schema musicale:

La simmetrie è perfettamente seguita con l’intento di unità e di chiarezza.


3. Ludus danielis assume il ruolo di unicum nella drammaturgia medioevale, trasmesso
dal manoscritto Egerton 2615 di Londra contiene un repertorio di canti per la
cattedrale di Beauvais. Esso era eseguito dopo il Mattutino della Circoncisione, cioè il
1 di gennaio. Il testo denuncia l’origine scolaresca del dramma ma ciò che rende
l’opera inconfondibile sono l’ampiezza delle proporzioni, l’originalità e la varietà della
musica, la forte caratterizzazione dei personaggi. Il libretto ha scene di massa e si
registra il trionfo della varietà.
Abbiamo però 2 gravi problemi per quanto riguarda il ludus danielis e gli altri drammi
liturgici:
- il problema dell’interpretazione ritmica: ci si interroga sul fatto che usarono o no in
misura incompleta la notazione mensurale
- L’uso degli strumenti musicali: non abbiamo testimonianze su quali tipi di strumenti
venissero utilizzati ma si pensa che fossero adottati strumenti musicali per doppiare le
voci, preludiare e interludiare. Nel medioevo alcuni strumenti possedevano una propria
area di impiego: arpa e liuto—> aristocratici
trombe—> annunciare re o truppe
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viella—> personaggi di umile rango
cymbala—> legati all’organo
Tamburi—> funzione ritmica

CAP 26:LA MONODIA NON LITURGICA IN LATINO:


Non ci sono testimonianze musicali scritte del IX secolo, ma è doveroso supporre che la
tradizione dei canti profani sia stata interrotta per via di divieti delle autorità
ecclesiastiche. MA cantica amatoria e poculatoria cantiones sopravvissero ad ogni
intervento proibitivo. Una tesi dell’origine popolare della poesia e della musica liturgica è il
fatto di condurle ad un unica sorgente, al fervore creativo che nei medesimi secoli diede
vita ai tropi, alle sequenze, al dramma liturgico. Gli autori furono monaci o clerici e
nell’ambiente scolaresco (università) provengono raccolte contenenti i carmina dei goliardi
che si di erenziano solo per i temi trattati dalla coeva produzione chiesastica: ne esce
così il carattere unitario del mondo culturale, quello della chiesa e della scuola, da cui
proviene l’eredità della lirica mediolatina. I più antichi cimeli della musica profana si
distinguono in 2 gruppi:
1. Intonazione pneumatica di testi poetici di Orazio: la notazione è adiastematica e i testi
testimoniano la continuità dell’attenzione ai classici
2. Composizioni epico-storiche: vi sono i compianti(planctus) per la morte di personaggi
illustri
Una decina di questi canti è raccolta in un manoscritto redatto nel IX secolo, vediamo
alcuni esempi:
- Planctus de obitu Karoli (per la morte di Carlo Magno), abbiamo versi a sistema
accentuativo alternati al ritornello, distici con rude solennità che invitano tutti a
piangere la morte dell’imperatore, a riprova del legame con le melodie della chiesa nella
notazione ricorre il quilisma=riconoscimento delle cantilene liturgiche ornate
- Mecum timavi saxa, novem umina (per la morte di Enrico Duca del Friuli) se fu
composto nel 799 anche la melodia è indebitamente uno dei cimeli musicali più vestiti
perchè ci è trasmessa identica in un codice di Berna del X secolo. Il componimento
ebbe destinazione liturgica, il testo con reminiscenze liturgiche e musicalmente derivata
da fonte ecclesiastica
Della lirica profana è sicura testimonianza la raccolta dei Carmina Cantabrigensia che
sono composizioni in forma di sequenza ispirate a vari temi (elogio di imperatori, ritmi
scherzosi, canzoni amorose ecc.. si distingue per la piana contabilità l’invito amoroso
improntato al cantico dei cantici in strofe tetrastiche il cui schema musicale è ABCD.
Una posizione di rilievo nella storia della lirica profana è Pietro Abelardo, la sua originalità
emerge soprattutto nei sei planctus che celano sotto immagini bibliche i casi del suo
sventurato amore per Eloisa. Abelardo è un innovatore perchè accanto al ritmo binario
una quello ternario e li combina in nuove strutture stro che penetrate da un tto gioco di
rime e di assonanze.
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CAP 27: LA LIRICA TROBADORICA E TROVIERICA
La molteplicità delle esperienze metriche e musicali della lirica mediolatina sacra e
profana fu la premessa dalla quale orì la produzione lirica in lingua provenzale D’OC e
francese D’OIL. Si tratta di un accostamento sul dibattuto argomento dell’origine della
poesia Trobadorica e Trovierica. L’osservazione nasce dal fatto che la nuova poesia
sbocciò nelle stesse regioni che erano state all’avanguardia nella produzione creativa di
Tropi, Versus, sequenze e drammi; inoltre, il termine Vers era utilizzato al tempo per
indicare le composizioni dei primi trovatori. È signi cativa anche un’altra derivazione
lessicale: trovatore da trovare, e quest’ultimo da tropare, ovvero “Fare dei Tropi”.
Uno dei lati più evidenti della poesia trobadorica e trovierica è l’enorme di erenza
numerica tra le poesie e le melodie conservate (circa un terzo). Altri aspetti fondamentali
che vanno ricordati sono:
- Seppur la oritura della poesia provenzale inizi tra la ne del XI secolo e l’inizio del XII
secolo, nessuno dei manoscritti contenente le melodie è anteriore alla metà del XIII secolo
e alcuni risalgono al XIV secolo.
- La notazione non appartiene all’Ars Mensurabilis e la loro trascrizione rimane
nell’incertezza per quanto concerne il ritmo.

Le fonti delle melodie trobadoriche ammontano a una dozzina, ma 4 sono i manoscritti


più importanti:
1) Parigi, biblioteca nazionale, fr. 22543 (160 melodie)
2) Milano, Biblioteca Ambrosiana, R. 71 sup. (81 melodie)
3) Parigi, Biblioteca Nazionale, fr. 844 (51 melodie)
4) Parigi, Biblioteca Nazionale, fr. 20050 (25 melodie)

Tra i manoscritti si contano stupendi codici miniati raccolti per personaggi importanti,
forse sotto la direzione di un musico, e manufatti più modesti che potevano passare tra le
mani di un JONGLEUR (Giullare). Generalmente l’attribuzione dei testi poetici è sicura,
mentre vi sono delle perplessità per l’assegnazione di alcune melodie, poiché siamo
lontani dal conoscere con precisioni quali trovatori-poeti abbiano dato anche una melodia
ai propri testi: le uniche forme di informazione sono le VIDAS, ma è stata più volte provata
la loro scarsa attendibilità. A rendere più complesso il problema si aggiungono le versioni
di erenti di uno stesso identico testo; spesso non si tratta solo di varianti ma di vere
redazioni di erenti.
Il primo dei trovatori conosciuti fu Guglielmo IX di Aquitania, del quale ci è pervenuto solo
un frammento musicato. Di circa cento trovatori dei quali abbiamo le Vidas, sette sono
donne e una buona metà appartiene a una famiglia nobiliare, ma in ogni caso l’origine
aristocratica non è un requisito necessario per la fama del trovatore. Quanto
all’esecuzione, secondo le Vidas circa un terzo dei trovatori erano anche Jongleurs, e
quindi esecutori; di alcuni invece si a erma l’inabilità nel comporre i suoni o
nell’esecuzione. La di usa opinione che i canti trobadorici fossero accompagnati da
strumenti va ridimensionata; tuttavia, si deve ammettere che in certi casi la viella o altri
strumenti doppiassero la voce del cantante o svolgessero il compito di intermezzo tra una
stanza e l’altra del testo.
Tema centrale del canto trobadorico fu l’amor cortese, un concetto inde nito dai cantori,
che andò precisandosi con la generazione di poeti; l’origine è ancora dibattuta. Non deve
tuttavia essere sottovalutata la componente popolare da cui sono iprontate, ad esempio,
le Pastourelles, ossia il tema dell’incontro tra l’innocente pastorella e il giovane nobile,
tema che conosce in nite variazioni nelle più diverse tradizioni popolari; come anche il
tema dell’Alba. Negli stessi schemi poetici si trattano talora argomenti politici, satirici,
eccetera. Il tema religioso è presente nella produzione trobadorica, sebbene parecchi
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canti di contenuto religioso siano ritenuti dei “Contrafcta”. Che nel suo complesso la
poesia trobadorica fosse poesia per danza è stato ripetuto svariate volte, ma tale
opinione non ha fondamento storico, anche se in alcuni canti possono ricorrere movenze
ritmiche equiparabili alla danza. Forse alla base dell’equivoco vi è una diversa valutazione
delle formule di refrains che si collegano al rondeau, virelai e ballade; ma secondo alcuni
studiosi trovatori e trovieri non scrissero né virelai né ballades, e solo due trovieri
scrissero composero rondeaux.
Una spiegazione per l’esistenza di multiple versioni dei singoli canti la si riconduce al fatto
che per un lungo periodo le canzoni trobadoriche e trovieriche vennero trasmesse
oralmente. Una prova di tale ipotesi verrebbe dalla mancanza di stretti rapporti tra le fonti
pervenute: infatti, nessuna fonte appare derivata da un’altra fonte nota. L’elemento più
sicura è dato dalle discordanze fornite dai manoscritti; infatti, non sembrano essere tipici
errori gra ci. Da tali premesse possiamo dedurre: che noi non possediamo alcuna
canzone in forma originale; inoltre, non si può escludere dal materiale musicale o erto
delle fonti, poiché tutte godono di pari autorità, e nessuno può indicare una versione più
vicina ad un modello che solo noi oggi possiamo creare, e che quindi crederemmo
perfetto. Nella trasmissione orale nessun esecutore poteva essere obbligato di eseguire
nello stesso modo la stessa canzone. Secondo il concetto di esecuzione del tempo, il
cantore reputava di essere fedele all’originale soprattutto quando introduceva delle sue
variazioni.
Oltre alla varietà di fonti dovuta alla trasmissione orale, vi sono anche i fenomeni della
varietà causati dalla tradizione scritta. L’analisi dei manoscritti prova che la stessa a nità
testuale non comporta a nità con la melodia. La musica trobadorica, non si conservò in
modo compatto e unitario, ciò lo si vede soprattutto nelle sezioni melismatiche, le quali
più che mai sembrano aver risentito dell’improvvisazione estemporanea dell’esecutore o
delle preferenze dello scriba. Per queste canzoni bisogna ricostruire in modo critico il
testo e la melodia come ci sono documentati da una determinata fonte, la quale deve
essere un testimone sicuro dell’ambiente e del periodo in cui fu redatta. L’edizione critica
sarà quindi frutto della comparazione delle diverse fonti, sarebbe fallace oltre che
impossibile.
Se questa complessità la si trova nella linea melodica, ancora più complesso è il
problema del valore ritmico, ovvero della durata da attribuire alle singole note. Esse ci
sono pervenute in una notazione incapace di esprimere le diverse durate: a parte poche
eccezioni che si trovano soprattutto nel repertorio trovierico, la notazione utilizzata era
quella quadrata in uso per il gregoriano.
Per leggere la metrica vi furono diverse ipotesi:
- Venne subito scartata una traduzione metrica utilizzando le diverse forme delle note;
- Si pensò di utilizzare uno dei modi ritmici, e l’ipotesi che trovò maggior credito fu l’uso
di quella “modale”. Ma non si trovavano due studiosi che nell’applicazione del metodo
arrivassero ad un unico risultato.
- Si rinunciiò anche a imporre ai versi uno schema esterno precostituito;
- Si provò a seguire la metrica testuale, ma anche in questo caso, a causa della
mancanza di un sistema in versi, di un’accentazione ssa e di un medesimo modo di
suddividere le sillabe, dovettero utilizzare degli accorgimenti per poter arrivare ad un
risultato nale;

Vi furono altre proposte:


- Vi era chi proponeva di attribuire alle note dei valori uguali, come nelle melodie tardo
gregoriane;
- Vi era chi cercò di mescolare gli schemi modali con la spontaneità della metrica testuale;
- Altri puntarono ad unire la ritmica testuale con la natura della melodia;
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Quest’ultima ipotesi (formulata da Ra aello Monterosso) sarebbe da attribuire in questo


modo: ogni nota isolata che è in corrispondenza di una sillaba, un valore uniforme; a loro
volta i gruppi melismatici dovrebbero conservare lo stesso valore di durata. A una
posizione analoga è giunto anche Hendrik van der Werf; il suo parere è che la maggior
parte delle canzoni trobadoriche si eseguissero secondo un “ritmo libero” ssato dal uire
e dal signi cato del testo. Esso si potrebbe chiamare “ritmo Declamatorio”, questi canti
erano quindi cantati o recitati nel ritmo in cui si potrebbe declamare la poesia senza
musica. Lo stesso studioso o re
un’indicazione per esecutori ed editori che potremmo de nire del “Caso per Caso”. Il suo
è un atteggiamento non risolutore.
Il genere con cui trovò espressione diretta fu la “Cansò”, la cui struttura più semplice è
analoga alle composizioni innodiche. Vi sono numerosi sottogruppi ma il più frequente
consiste nella ripetizione di frasi; preferita è la ripetizione melodica delle prime due frasi
con il seguente schema: AB+AB+CDEF. Più complessa è l’organizzazione delle rime delle
coblas (Stanze): il modello più comune ricorre nelle coblas unissonas, che non solo hanno
lo stesso schema di rime ma anche lo stesso suono. Ad esempio, nella cansò “Lanquam
li jorn son lonc en may” la parola “Lohn” è rima per i versi secondo e quarto di tutte le
stanze.
Analogamente vi sono le Coblas Doblas, Alternadas, eccetera; le Coblas Capcaudadas
(rima tra ultimo verso di una stanza e il primo della successiva) sono assai numerose.
Oltre alla Cansò, le altre forme più frequenti sono il Sirventès, che trattò anche argomenti
eroici, morali e politici; il Planh, di argomento triste e privo di una propria struttura
musicale; il Vers, che rifugge da ogni tipo di ripetizione; eccetera.
I personaggi trobadorici sono quasi mezzo migliaio, alcuni noti solo per qualche strofa di
Cansò. Tra i più noti del XII secolo troviamo: Jaufre Rudel, Marcabru, Bernard de
Vantadorn. Nella seconda metà del secolo le ricerche formali presero il sopravvento
sull’ispirazione e si diramarono in due direzioni:
- Il “Trobar Ric”, tendenza che sperimentava la varietà nei versi.
- Il “Trobar Clus”, caratteristica è la sottigliezza del pensiero.

Nel XIII secolo iniziò il periodo di decadenza, soprattutto in quei luoghi che avevano visto
nascere il genere; questo fu causato da un’eccessiva ra natezza e da l’esoterismo oltre
che da tragici eventi. Sotto il pro lo tonale, le melodie non sono riconducibili al pro lo
modale della musica ecclesiastica; oggi non si è più inclini a vedere in queste melodie un
principio di tonalità maggiore o minore. Queste melodie sono così libere che è impossibile
assegnare lor un qualsiasi modo. La melodia presenta tracce di una forma recitativa che
potrebbe richiamare le formule salmodiche con il loro Initium e la loro nale più o meno
ornata. Tipica della melodia è l’insistenza su due suoni che possono essere a intervallo di:
tono, terza e raramente quarta. Inoltre il movimento melodico può apparire a volte
focalizzato su un solo polo tonale, altre volte in vece su due centri tonali. In generale le
melodie sembrano improvvisazioni tradizionali e semplici; ed è inverosimile che la
notazione sia servita per comporle. Infatti il trovatore con l’aiuto della notazione avrebbe
potuto comporre nuove e più elaborate formule, e invece, produsse brevi e semplici frasi.
Per questo parlare di “Compositore” è inadatto, mentre è adatto il termine trovatore o
troviere, nel senso di “inventore”. I primi veri compositori e la prima musica “Composta”
furono quelli dell’ars Mensurabilis, che orì quando già erano state compilate le raccolte
di canzoni trobadoriche e trovieriche. Questo non toglie che in queste canzoni non ci
siano esempi di alto lirismo.
Molto di ciò che abbiamo detto della musica trobadorica vale anche per quella trovierica.
Esistono infatti le stesse di coltà per la traduzione della melodia in forma moderna.
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Alcune delle melodie sono entrate in composizioni plurivocali per le quali è stata applicata
la notazione corrente della polifonia duecentesca. Lo schema melodico della Chanson
trovierica è AB AB1 CDEF; B e B1 di eriscono solo per la cadenza nale: B= Ouvert
(cadenza sospensiva), B1= Clos (cadenza conclusiva). Da questo modello derivano molte
varianti, soprattutto nella posizione e nella ripetizione dei Refrain, nei quali possiamo
riconoscere delle anticipazioni di Rondeau e Virelai. Tra le forme, molto di usi durono i
“Jeux-partis”, la melodia era intonata in modo alternato da due interlocutori, e presentava
un “enovi” (commiato) nale.
Il Lai presenta la struttura della coppia stro ca propria della sequenza, dalla quale sembra
essere derivato. Negli esempi più antichi, numero e lunghezza dei versi cambiano a ogni
coppia; generalmente il numero delle strofe ammonta a 12 (ma non è una regola
costante). Il più antico troviere conosciuto è Chrétien de Troyes. Nel XIII secolo la vita
musicale della Francia settentrionale, con il rinnovamento del patrimonio paraliturgico e i
primi esempi polifonici della scuola di Notre-Dame, fu profondamente trasformata e la
monodia oscillò
tra l’antica fonte Trobadours e i nuovi modelli. Dagli inizi del XIII secolo si fece più forte
l’in uenza delle forme musicali sse di origine popolare.

CAP 28: LA MONODIA NEI PAESI GERMANICI, NELLA PENISOLA IBERICA E IN


INGHILTERRA
GERMANIA
Grazie al matrimonio tra Beatrice di Borgogna e Federico Barbarossa nel 1156 ci fù
l’inaugurazione di più tti rapporti tra Francia e Germania, grazie alla trasmissione di
canzonieri, ai viaggi e per il soggiorno di giullari francesi nelle corti germaniche.
Minnesanger è il termine con cui furono designati i poeti-musici tedeschi. Il loro
movimento, chiamato Minnesang (da Minne= amor cortese e Sang= canto) prese le
mosse dalla Baviera e dall’austria. I termini cronologici ci possono ssare all’incirca tra il
1170 e la metà del XIV secolo con 2 o 3 fasi creative:
• Prima fase: la dipendenza dai modelli francesi fu totale no al 1200 e per questo
periodo si conoscono soltanto melodie presenti in fonti franco-provenzali, le quali
furono adottate nel momento in cui si composero i testi tedeschi. Anche in seguito la
creazione dei testi risentì fortemente del repertorio francese per il contenuto e le forme,
per le immagini poetiche, la terminologia cortese e la struttura stro ca; analogie strette
si notano nelle melodie. Per ognuno dei generi si riscontrano denominazioni
corrispondenti:
- Lied: tema dell’amore verso la gentildonna e tema dell’esaltazione della natura e
argomenti religiosi
- Tagalied
- Leich
- Spruch
È usata di preferenza la forma di Bar (poema, canzone) la cui struttura poetico-musicale
consiste nella ripetizione di due Stollen (= corrispondono ai piedi della nostra ballata), cui
si aggiunge l’Abgesang (AB+AB+CDE..); spesso l’Abgesang utilizza in vari modi il
materiale melodico degli Stollen creando rime musicali come AB+AB+CDB: in tal caso si
ha il tipo di canzone “a rotundello”.
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Compositori più noti: Friedrich von Husen, Hartmann von der Aue, Reinmar il vecchio e
Rudolf von Fenis.
1318: declino del Minnesang

• Seconda fase: l’eredità del Minnesang fu assunta dal Meistersang (da Meister=
maestri e Sang= canto) che si distinse dal primo per essere estraneo agli ambienti di
corte e per rappresentare la classe borghese-cittadina. Si è soliti dividere il Meistersang
in due loni: - cantanti girovaghi
- scuole con sede stabile
All’origine di queste ultime istituzioni sta la gura del Frauenlob, che fu a capo della
scuola di Magonza (il centro dei Meistersinger.

SPAGNA
La collocazione geogra ca favorì un massiccio irradiamento della lirica provenzale anche
in Spagna e Portogallo grazie alle varie corti spagnole e ai signori catalani che si
esercitano nel poetare. La collezione più grandiosa della monodia iberica è stata raccolta
da Alfonso X, re di Castiglia e di Leòn, si tratta delle Cantigas de Santa Maria. Con il
termine Cantigas si designavano i componenti tanto sacri come profani della letteratura
gallego-portoghese. Le Cantigas celebrano in prevalenza i miracoli della vergine e si
ispirano ai Miracles de Notre Dame, la struttura stro ca predominante ricalca quella del
Viralai francese: è aperta da un ritornello cui segue la estrofa chiusa nuovamente
dall’estribillo, ma all’interno di questo schema le varianti sono numerose. Un altro
elemento derivato dalla tradizione francese è la presenza delle due cadenze: sospensiva e
conclusiva

INGHILTERRA
La lirica provenzale si propagò no all’Inghilterra grazie anche ad Eleonora d’Aquitania
andata in sposa a Enrico d’angiò, tuttavia tali fatti non diedero origine a un consistente
movimento poetico autonomo anche per via della lingua letteraria usata in Inghilterra. Tra
le reliquie rimaste si ricorda il “canto d’un prigioniero”, un lai francese accompagnato da
traduzione inglese.

CAP 29: LA POESIA ITALIANA. LE LAUDE


La denominazione delle forme poetiche (ballata, tenzone, sirventese ecc..) è visibilmente
imparentata con quelle francesi, ma per la musica non ci sono testimonianze del “divorzio
tra musica e poesia”. La stessa terminologia (ballata, canzone, sonetto ecc…) è un relitto
lessicale, cui in italia non corrispose obbligatoriamente una prassi esecutiva. Rapporti
ancor meno stretti con il mondo musicale sembrano aver avuto la “scuola toscana” e in
genere i settentrionali. In alcuni casi sono testimoniate che le rime dei poeti loso dello
“stil novo” erano deferite a musici professionisti perchè le rivestissero di note. Invece una
ben più vasta presenza della musica si registra alle occasioni della vita quotidiana legate
alle abitudini religiose o le feste del popolo. —> musica come espressione dell’incontro
tra ambito religioso e profano. In simile terreno nacque la lauda, un canto devozione delle
fraternità laicali sorte collateralmente al nuovo genere di testimonianza evangelica o erto
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dai mendicanti. Per la primissima fase storica della lauda non possediamo che spezzoni:
un patrimonio ridotto, ma assai vario sotto il pro lo metrico. Manca la musica ma non c’è
dubbio che simili testi erano destinati al canto e ciò avveniva nelle confraternite
mariane fondate da S. Pietro Martire del 1232 e di use in molte città. Queste
confraternite avevano come scopo principale delle proprie riunioni il canto delle laude e
quindi detti “Laudesi”. La prima confraternita nacque a Siena nel 1267 presso una chiesa
domenicana e quindi passa in secondo piano la devotio (movimento dei disciplinati).
Questi crearono un repertorio laudistico, il cui tema era quello della Passione e solo nei
primi decenni del XIV secolo promossero lo sviluppo della lauda drammatica.
Laudesi e Disciplinati percorsero strade diverse: i Disciplinati crearono il teatro volgare
italiano mentre i Laudesi crearono la di usione delle laude liriche e di una prassi esecutiva
tecnicamente curata.
MA prima di descrivere le fonti, bisogna citare un evento importante prima della nascita
della lauda: l’adozione dello schema stro co della ballata profana.
Chi ha adottato questo schema? Abbiamo 3 nomi:
-Guittone d’Arezzo -Garzo
-Jacopone da Todi Spoiler: non sappiamo chi fu tra i 3
Motivi di cronologia rendono di cile la datazione del più antico dei 2 manoscritti recanti le
melodie: CODICE CORTONESE 91 (confezionato prima del 1297).
è facile pensare che l’innovazione senese (confraternita che inventò le laude) si trapiantò
a Cortona (Toscana) in breve tempo e la prova ne è il cimelio conservato nella chiesa di
San Francesco che consta di due parti, delle quali la prima è l’unica a recare le
intonazioni musicali.
“Maestoso, copioso e in ogni pagine splendido” (secondo Liuzzi) è il secondo laudario a
Firenze B.R. 18: il laudario vero e proprio costituisce la prima sezione del codice, cui
seguono due quaderni con testi latini monodici o plurivocali. Vi sono miniature per buona
parte della pagina, lo stile la gra a la qualità di molte melodie suggeriscono una datazione
dal 1310 al 1330-40.
Tra i due laudari pervenuti è visibile il trapasso da una melodia sillabica o poco ornata
(CORT 91) a un rigoglioso disegno melismatico (BR 18), tale anotazione non signi ca
perdita di purezza ma di un’ evoluzione della concezione estetica. In cui troviamo:
• Modulazione ra nata —> sapore di canto popolare
• Intonazione processionale semplice —> canzone a ballo
• “Cantare” narrativo e drammatico con note ribattute —> tono concitato, sereno e sicuro
• Eco di strutture litaniche a formula unica continuamente ripetuta
• No ripetizione dei segmenti melodici (schema melodico:ABCD)
QUINDI: LEGAME CON LA TRADIZIONE E Già PROIEZIONE VERSO IL FUTURO

La notazione dei due laudari è quadrata amensurale su rigo tetralineo —> problema
dell’interpretazione ritmica a rontato da Liuzzi: il principio di partenza è che il nesso tra
suono e parola richiede un disegno ritmico dei suoni; se le parole sono organizzate
metricamente, esse condizionano e determinano la linea melodica. Quindi si assume la
sillaba accentata come unità di tempo, che secondo Liuzzi, il ritmo musicale è il seguente:
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O di - vina virgo, òre…


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Ovvero quattro battute di due movimenti ciascuna e a d ogni sillaba corrisponde una
nota.
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