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Economia del turismo - Appunti di lezione Tutte le lezioni

Economia del turismo (Università degli Studi di Milano-Bicocca)

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Scaricato da Arianna Delfino (ariannaadelfino@gmail.com)
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ECONOMIA DEL TURISMO

Turismo (di massa) come fenomeno complesso da conoscere e interpretare:


→ approfondimento a livello multidisciplinare, non si parla di un bene omogeneo ma di eterogeneità, infatti il turismo
comprende varie discipline, ad esempio: economia, economia aziendale, geografia, sociologia, antropologia, ecc.
→ gli elementi centrali sono i turisti (domanda) e lo spazio (destinazione).

Qualsiasi territorio si trasforma in offerta turistica se/quando la domanda potenziale si trasforma in domanda pagante,
tutti i luoghi sono potenziali destinazioni turistiche. Domanda e offerta – in ambito turistico – hanno una dimensione
spaziale/geografica/territoriale → il turismo viene fruito in luoghi ben precisi.

Il modello di Leiper (1990) è uno dei modelli del


sistema turistico (foto). L’oggetto di studio
dell’economia del turismo è l’esperienza del turista-
tipo ovvero parlare di un consumatore che
abbandona il proprio soggiorno abituale per recarsi in
un luogo di soggiorno e di svago. Questa definizione
tuttavia è limitata in quanto non considera alcune
problematiche:

Ad esempio, non include il turismo d’affari, congressuale e religioso, dato che il loro scopo non è di svago, inoltre, non
bastano le attività in quanto queste attività di “soggiorno e svago” possono essere svolte anche dai residenti nel proprio
tempo libero. Un’altra precisazione non contenuta è che è necessario il pernottamento.

L’economia del turismo è quel capitolo dell’economia politica che studia le azioni e gli effetti economici dell’attività del
turista, ossia le tracce che lascia:

1. DECISIONI DI SPESA (decisioni di acquistare beni/servizi turistici dai quali il turista tragga beneficio)
2. DECISIONI DI INVESTIMENTO (da parte di imprese turistiche, tramite l’acquisto di risorse durevoli destinate alla
produzione, di autorità pubbliche per le infrastrutture come i mezzi di trasporto pubblici, e dei consumatori
tramite ad esempio l’acquisto di seconde case, camper)
3. STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE ECONOMICA DEL MERCATO
4. INTERVENTO PUBBLICO
5. PROBLEMI DI ECONOMIA INTERNAZIONALE (dato che alcuni turisti hanno origine in una regione diversa da
quella di destinazione ed essa ha un sistema economico diverso; ciò porta a dei problemi di flussi di valuta che
impatta sulle relazioni economiche tra diversi paesi. Parliamo di commercio internazionale – esportazioni e
importazioni)

Radici storiche dell’analisi dell’economia del turismo: Economics of outdoor recreation identifica 5 fasi della vacanza:

1. Anticipazione, pianificazione della vacanza


2. Viaggio di andata
3. Esperienza (che comprende la maggior parte della spesa e del beneficio)
4. Viaggio di ritorno (anche i viaggi di andata e ritorno possono portare beneficio)
5. Ricordo (utilità duratura, produce benessere)
IL TURISTA, data la complessità del fenomeno è presente un’eterogeneità di definizioni
Definizioni storiche
- Von Schuilard (1910), si intende per turismo l’insieme di tutte le attività principalmente di natura economica che
hanno direttamente a che fare con l’ingresso, il soggiorno e il movimento dei turisti verso, interno o esterno di un
paese, città o regione. (lo straniero è visto come una fonte di ingressi economici ma anche come un nemico da
controllare).
- Lega delle nazioni (1937), è considerato turista un soggetto che trascorre un periodo di almeno 24 ore in un paese
diverso da quello abituale di residenza. → in entrambe le definizioni si parla di turismo internazionale.

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Definizioni statistiche
- ISTAT (indagine sulle vacanze), movimento del turista è individuato tramite una definizione tecnica della vacanza, cioè
di un viaggio di durata non inferiore a 5 giorni che comprende almeno 4 notti di pernottamento fuori casa effettuato
per motivi ricreativi. Negli anni ’50 l’ISTAT inventò un’indagine campionaria sulle vacanze degli italiani giungendo a
questa definizione. Inoltre, esiste anche il termine breve vacanza, che comprende almeno un pernottamento ma meno
di 4 notti.
- International Union of Official Travel Organ (1965), si definisce visitatore una persona che viaggia in un paese diverso
da quello in cui ha abituale residenza, per qualunque ragione diversa da quella di un lavoro pagato.

Definizioni olistiche: il turismo si presenta come lo spaccato di una società, coinvolgendone tutti gli aspetti della vita
sociale.
1) BUKART E MEDLIK (1974), sono turismo tutte le relazioni e fenomeni legati al soggiorno di stranieri in una
località in cui essi non esercitano un’importante, permanente o temporanea attività remunerata.
2) JAFARI (1977), il turismo è sia lo studio dell’uomo lontano dal suo habitat abituale, sia l’industria che soddisfa i
suoi effetti, e dagli impatti da entrambi prodotti sull’ambiente socio-culturale, economico e fisico della
comunità d’accoglienza.
3) BRITISH TOURISM SOCIETY (1979), il turismo include ogni attività connessa al temporaneo movimento di breve
periodo di persone verso destinazioni al di fuori del luogo dove normalmente vivono e lavorano e di tutte le
attività durante il tempo di soggiorno in questa nuova destinazione. → esclude i fenomeni migratori e i
pendolari.
Definizione ufficiale internazionale (1994) → UNWTO e UNSTAT: L’attività delle persone che viaggiano verso, e si
trovano in, luoghi diversi dal proprio ambiente abituale, per un periodo di tempo comprensivo non superiore a un anno
consecutivo a scopo di svago, affari o per motivi diversi dall’esercizio di un’attività remunerata all’interno della
destinazione. Le coordinate essenziali di questa definizione sono: SPAZIO, TEMPO, MOTIVO.
A) Lo spostamento del turista (SPAZIO)
- 1 + 3 = TURISMO NAZIONALE
- 2 + 3 = TURISMO INTERNAZIONALE
- 1 + 2 = TURISMO INTERNO

VISITATORI = TURISTI + ESCURSIONISTI


- Turisti: coloro che trascorrono almeno 24h (o
almeno una notte) ma meno di un anno (internazionali) o
meno di 6 mesi (domestici) nella destinazione.
- Escursionisti: coloro che trascorrono meno di 24h nella destinazione.
B) MOTIVO: motivi di piacere (vacanze in generale), professionali o altri motivi (studio, pellegrinaggi, salute…)
C) Durata del turismo (TEMPO), divisione fra turisti ed escursionisti, ma anche distinzione fra turismo di vacanza
(almeno 4 notti) e turismo di vacanza breve (1-3 notti)
Ci sono poi altri criteri contenutistici:
D) Natura del viaggio (stagione, distanza, mezzo di trasporto…)
E) Tipologia di alloggio (albergo, B&B, campeggio, casa, ostello…)
F) Status socio-economico (sesso, età, relazioni, istruzione, reddito…)
G) Tipologia delle spese (tipo di turismo - balneare, lacustre, montano, culturale…)

Il prodotto turistico: passare da turista (soggetto) all’attività del turismo, a domanda di beni e servizi nella destinazione.
L’offerta stimola produzione, che è possibile solo mediante l’uso di risorse e quindi stimola anche l’occupazione.
L’occupazione a sua volta stimola redditi per coloro che sono occupati, la spesa dei turisti per una domanda di beni e
servizi si traduce nei redditi
degli occupati del settore
turistico. Come trattiamo questo
prodotto turistico? Il turismo è
un servizio intangibile unitario
scambiato su un mercato? Il
primo approccio (più semplice)
tratta il turismo come se fosse
un servizio unitario (= un
mercato solo, il mercato del
turismo). Questa definizione è
caratteristiche 2
delprodotto
turistico
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stata importante storicamente perché ha permesso di iniziare a studiare il fenomeno tramite i concetti dell’analisi
economica, ma ci si è resi conto che è un’analisi limitata, astratta. Si è gradualmente affermata un’idea diversa di
turismo, che non è più un servizio unitario ma un paniere complesso di beni e servizi diversi, domandati dal visitatore
durante l’esperienza della sua vacanza e accomunati dal tipo di bisogno soddisfatto.
Caratteristiche del prodotto turistico: ETEROGENEITÀ, la lista di merci diverse che compongono il prodotto turistico
(porre l’accento su merci e servizi che entrano nei “panieri”) e PLURALITÀ, la diversità delle liste che connotano varie
forme di turismo (tipi di “panieri”).
Come rappresentiamo queste caratteristiche del prodotto turistico (eterogeneità e pluralità)? Lo facciamo usando il
concetto di matrice del prodotto turistico, ovvero uno schema con righe e colonne dove all’interno ogni incrocio fra le
due vi è un elemento. La matrice presenta le unità
domandate in un tipico giorno di vacanza (la
“presenza” o il “pernottamento”). La matrice include
tutte le voci di spesa: trasporto, pernottamento,
pasti, attrazioni, shopping… L’eterogeneità (di merci e
servizi X) si legge nel senso delle colonne. La pluralità
(di turismi T) si legge nel senso delle righe [quindi
ogni riga – T1, T2… - rappresenta un tipo di turismo]. I
singoli elementi della matrice rappresentano le
quantità domandate di ogni singola merce/servizio X in un tipico giorno di vacanza. Esempio: Se confrontiamo una
vacanza di 7 giorni in Nepal con una a Ibiza, sicuramente esiste una discoteca anche in Nepal, ma chi va in Nepal
probabilmente non avrà come obiettivo principale quello di andarci, e ci andrà una sola volta [quindi il rapporto è 1/7],
mentre chi va a Ibiza ci andrà tutte le sere [quindi il rapporto è 1].
Si può sommare solo per righe, moltiplicando la matrice per i prezzi. Si ottiene quindi la spesa totale di una giornata di
vacanza: ogni quantità X va moltiplicata per il suo prezzo e avremo la spesa giornaliera della merce X, e sommando tutte
le merci possiamo trovare una giornata di vacanza del tipo T1 e confrontarla con quanto costa una giornata del tipo T2.
Non si può sommare per colonne, in quanto non si tratta di qualcosa di omogeneo.
Le tracce del turista: le difficoltà di definizione si riversano sui tentativi di misurazione. Si tratta di individuare i vari
momenti e luoghi in cui il turista lascia le tracce più evidenti e non equivoche (misurazione diretta):
- indagine presso gli intermediari turistici (enterprise survey), si tratta principalmente di TO e ADV, a cui si può chiedere
informazioni, ad esempio chiedere quanto viaggi sono stati acquistati per una certa destinazione, di quale durata, ecc;
- indagine rivolta alle strutture ricettive (accomodation survey);
- famiglie (household survey), esempio indagine Banca d’Italia dove si chiede anche dei consumi turistici;
- frontiere (frontier survey), non solo nei casi di turismo internazionale, in alcuni casi è possibile anche nel turismo
domestico, ad esempio quando la frontiera è fisica → turismo delle isole (punti di sbarco, aeroporti). Anche in questo
caso la Banca d’Italia svolge indagini campionarie nelle frontiere;
- banche (currency survey), generalmente il turista ha bisogno di fondi, si può rintracciare i mezzi monetari utilizzati.
Ciascuna è di per sé inadeguata, per cui si fa uso anche di indicatori indiretti, ovvero misurare la dimensione del flusso
turistico vedendo le diversità di utilizzo di consumi elettrici, raccolta rifiuti, acque reflue, parcheggi… in vari periodi. In
conclusione, ci sono diversi modi di misurazione ma non c’è un “modo unico” che cattura tutti gli elementi.
La misurazione del turismo, le misure fondamentali hanno a che fare con il movimento del turista:
- Arrivi (A), numero di visitatori che raggiungono una data destinazione, indipendentemente dal tempo che vi
rimangono;
- Presenze (P), numero complessivo di notti trascorse dai turisti in una data destinazione;
- Permanenza media (d), valore medio delle notti trascorse dai turisti in una data destinazione d = P / A;
- Indice di saturazione (h), rapporto fra il numero di presenze e la popolazione locale della destinazione,
h = P / (365 x L);
- Propensione di viaggio (X), rapporto fra turisti (propensione netta – XN) o viaggi, e quindi ogni turista può fare più di
un viaggio (propensione lorda – XL) sul totale della popolazione in origine (N), XN = T / N; NL = V / N;
- Frequenza di viaggio (F), numero medio di viaggi intrapresi dai turisti, F = V / T;
- Permanenza media (Z), numero medio di giorni di turismo in origine, ZN = Z / N; ZT = Z / T; ZV = Z / V
(il primo riguarda numero di giorni di vacanza di abitante medio, il secondo il numero di giorni di vacanza di un
turista e il terzo il numero di giorni di vacanza per viaggio)
→ i primi 4 si concentrano sulla destinazione, mentre gli ultimi 3 si concentrano sulla località d’origine.

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La spesa turistica: somma delle spese effettuate dai visitatori per l’acquisto di beni e servizi utilizzati per e durante la
vacanza, ovvero nel viaggio e nel soggiorno turistico. In teoria, si ottiene moltiplicando le righe della matrice prezzata
del prodotto turistico per le presenze dei diversi turismi. In pratica, a differenza delle precedenti, questa traccia si
confonde con quella lasciata dagli altri consumatori acquirenti degli stessi beni e servizi. Inoltre, il modo di rilevare tali
spese non consente di scomporle fra turisti e non turisti. Ulteriori specificazioni: beni e servizi di consumo acquistati in
occasione del viaggio e del soggiorno (spesa dei turisti in senso stretto S); beni e servizi di consumo durevole, che
possono essere utilizzati in diverse esperienze di viaggio (investimento dei turisti). Utilizzando gli indicatori introdotti
precedentemente e la matrice del prodotto turistico, è possibile calcolare la: spesa media per persona (spesa pro-
capite) → SA = S / A; spesa media giornaliera (spesa pro-die) → SP = S / P.
ECONOMIA DELLA DESTINAZIONE: LA DOMANDA TURISTICA – Capitolo 3
Date le caratteristiche di eterogeneità e pluralità del prodotto turistico, di conseguenza anche la domanda deve essere
segmentata e segmentabile, cioè i potenziali turistici domandano prodotti turistici differenziati e possono essere
suddivisi in segmenti differenti. La segmentazione della domanda è formata principalmente due dimensioni: per
modalità territoriale (a seconda della destinazione) o per tipologia turistica (per il tipo di turismo). Identificazione di una
domanda turistica, essa può esprimersi a tre diversi livelli:
- A livello micro-economico (domanda per un singolo servizio, una delle “x” della matrice del prodotto turistico), in
questo caso la teoria che ci serve è la teoria della domanda standard;
- A livello meso-economico (a livello di destinazione) livello intermedio fra i due, osserviamo la domanda come si
rivolge ad una destinazione turistica, perciò la dimensione territoriale è in primo piano. Le quantità domandate non
sono più dei singoli servizi ma sono le presenze turistiche.
- A livello macro-economico (effetto moltiplicatore), è l’estremo opposto del livello microeconomico. L’elemento più
importante sono le ricadute della spesa aggregata dei turisti, ad esempio l’effetto moltiplicatore. In questo caso si
tratta di sviluppare una teoria già esistente, personalizzandola inglobando le variabili turistiche.
La segmentazione della domanda turistica si colloca al livello meso-economico, mentre a livello microeconomico
parliamo dei singoli servizi, e quindi non si parla più di turismo e domanda turistica.
La domanda dei turismi → una destinazione può offrire diversi tipi di turismo, la nostra tendenza è quella di considerare
una destinazione come vocata ad un solo tipo di turismo, ma è un errore. La destinazione quindi può offrire vacanze di
tipo di verso. Ci sono tre tipi di funzione di domanda:
- La domanda di turismo in una destinazione [domanda di un certo tipo di turismo in una certa destinazione], che
considera le presenze Pi,r di un dato tipo di turismo i in una data località r in funzione del prezzo vi,r.
[→ a queste presenze di vacanze di un certo tipo in una certa destinazione corrisponde un prezzo, v è il prezzo di un
giorno di vacanza]. Su questo tipo di domanda si costruiscono le seguenti due.
- La domanda di un turismo, che considera le presenze Pi di una data tipologia turistica i in funzione del suo prezzo
medio vi nelle diverse destinazioni. Qui l’indice è uno solo, ci interessa solo il tipo di turismo i, ad esempio
guardiamo il prezzo medio di una vacanza di tipo balneare a prescindere dalla destinazione in cui viene svolta
(prezzo medio di una giornata di turismo balneare).
- La domanda di una destinazione, che considera le presenze Pr in una data destinazione r in funzione del prezzo vr
dei diversi turismi da essa ospitati. In questo caso l’indice a cui ci riferiamo è soltanto r, ovvero la destinazione.
Esempio: se consideriamo una vacanza a Rimini non ci interessa il tipo di turismo, facciamo una media dei prezzi
dei vari turismi che si possono fare a Rimini.
Per ognuna di queste tre funzioni di domanda possiamo analizzare gli spostamenti lungo la curva di domanda (ovvero
come le presenze reagiscono a variazioni del prezzo) e della curva di domanda (ovvero come le presenze reagiscono a
cambiamenti in variabili che non sono il prezzo): effetto idiosincratico delle destinazioni (spostamento lungo la curva);
effetto idiosincratico del turismo (spostamento della curva); effetto di mercato (spostamento della curva).
L’elasticità della domanda turistica: rappresenta la variazione percentuale di una variabile in seguito ad una variazione
dell’1% di un’altra “variabile causa”. L’elasticità di queste funzioni di domanda serve per capire se la domanda per la
destinazione che ci interessa è una domanda che reagisce molto o reagisce poco alle variazioni del prezzo, per avere
un’indicazione su che tipo di interventi fare sui prezzi e le conseguenze che dobbiamo aspettarci.
Primo caso: elasticità della domanda turistica rispetto al prezzo della vacanza (elasticità diretta). Qui la “variabile causa”
è il prezzo, cosa succede alle presenze quando il prezzo varia dell’1%.
[variazione delle presenze rispetto alle presenze fratto variazione del prezzo
rispetto al livello del prezzo]

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➢ Ɛ > 1: domanda elastica (quando la variazione percentuale delle presenze è maggiore della variazione percentuale
del prezzo. Ad esempio, se il prezzo di una giornata di vacanza aumenta dell’1%, allora le presenze diminuiscono
del 2%).
I ricavi totali si muovono nella stessa direzione delle presenze, se il prezzo aumenta e le presenze diminuiscono, il
ricavo totale diminuisce (quindi non conviene alzare il prezzo);
➢ Ɛ < 1: domanda inelastica (per un aumento dei prezzi dell’1%, la domanda diminuisce dello 0,5%).
I ricavi totali si muovono nel senso dei prezzi, perciò i ricavi aumentano (quindi conviene alzare il prezzo);
➢ Ɛ = 1: domanda con elasticità unitaria (quando le variazioni percentuali sono identiche), i ricavi totali non
cambiano, generalmente quando succede è perché i ricavi totali sono al massimo.
Secondo caso: elasticità della domanda turistica rispetto ai prezzi delle altre vacanze (elasticità incrociata)
Elasticità incrociata: elasticità di un bene rispetto ai prezzi
di altri beni. Ci sono due possibilità, la prima (in alto) è
l’elasticità incrociata fra il tipo di turismo i e il tipo di
turismo j, nella stessa destinazione r, ad esempio cosa
succede quando variano i prezzi di uno di questi due tipi
alle presenze dell’altro tipo (esempio: a Rimini turismo
balneare e turismo d’arte, cosa succede alle presenze di
turismo d’arte se aumentano i prezzi di turismo balneare).
Nella seconda possibilità, dato un tipo di turismo i,
confrontiamo due diverse destinazioni (r, k). Cosa succede alle presenze in una destinazione quando cambiano i prezzi
in un’altra, per lo stesso tipo di turismo (esempio: nell’ambito del turismo balneare, cosa succede alle presenze a Rimini
quando aumentano i prezzi a Forte dei Marmi). In questo caso il valore soglia è 0. Turismi indipendenti: due tipi di
turismi nella stessa destinazione non si influenzano [quando l’elasticità incrociata è uguale a 0]. Turismi sostituibili: se
aumenta il prezzo del turismo balneare a Rimini, il turismo d’arte a Rimini vede aumentare le sue presenze [quando
l’elasticità incrociata è maggiore di 0]. Turismi complementari: se il turismo balneare a Rimini aumenta i prezzi, le
presenze del turismo d’arte a Rimini diminuiscono, ad esempio chi va a Rimini per entrambi i turismi [quando l’elasticità
incrociata è minore di 0].
Terzo caso: elasticità della domanda turistica rispetto alla disponibilità di moneta (del consumatore).
una volta che abbiamo deciso quanta parte del nostro reddito
dedicare al turismo, come lo suddividiamo fra i vari tipi di turismo e le
varie destinazioni? Elasticità della domanda turistica specifica rispetto
alla disponibilità di moneta (budget dedicato al turismo). Se aumenta
il budget per turismo, di quanto aumentano le giornate di vacanza di
quel tipo di turismo in quella destinazione?
Quarto caso: elasticità della spesa per il turismo rispetto al reddito (del consumatore):
come il consumatore reagisce a una variazioni del reddito, in
termini di quanto spende complessivamente per il turismo.
Essendo il turismo considerato un bene di lusso, chi dispone di redditi molto bassi
non domanda turismo, mentre quando il reddito supera un certo livello (in figura
punto 0) la domanda di turismo comincia a crescere rapidamente, piu rapidamente
degli aumenti del reddito, quindi l’elasticita della spesa per il turismo rispetto al
reddito è > 1 [rapporto fra variazione percentuale spesa turistica e variazione
percentuale reddito]. Quando si raggiungono redditi alti, il turismo diviene un “bene
normale”, l’elasticità rispetto al reddito resta positiva, ma < 1, poiché la spesa in
turismo aumenta meno del reddito [grafico: ipotesi usuali sulla relazione fra spesa
turistica e reddito].
LA DESTINAZIONE TURISTICA
La destinazione è: 1. Il punto geografico di localizzazione delle strutture e dei servizi che soddisfano la domanda
espressa dai turisti in loco. La definizione geografica di cosa fa parte della destinazione e cosa non è arbitraria, fluida;
non vi sono confini precisi e dipendono dagli obiettivi di chi sta studiando quella destinazione (es. Portofino è una
destinazione, così come il Tigullio, la Liguria, l’Italia, l’Europa). I confini dipendono anche dalla percezione dei turisti, ad
esempio se i turisti vanno a Rapallo e non si muovono dal confine comunale, allora Rapallo è da considerare come una
destinazione, se invece alcuni giorni stanno a Rapallo, altri giorni a Santa Margherita e alcuni a Portofino, in questo caso
i tre comuni fanno parte di un’unica destinazione. Un altro aspetto è che la destinazione è un elemento centrale allo
studio del turismo, il fulcro su cui ruota l’intero settore turistico. Non è da moltissimi anni che si studiano le destinazioni

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come elemento centrale, lo studio è recente, e perciò anche le definizioni sono ancora imprecise: “una destinazione
turistica corrisponde a un singolo distretto, a una grande o piccola città, o a un’area rurale, costiera o montana,
chiaramente circoscritta” (Davidson e Maitland, 1997) → devono esserne definiti i confini per studiarla.
In modo più preciso, definiamo funzionalmente la destinazione come “quel sistema territoriale che offre almeno un
prodotto unitario in grado di rispondere alle esigenze complessive di soggiorno del turista”. → Ciò significa che almeno
uno dei “tipi di turismo” (T) deve vedere soddisfatti in quella località tutti i servizi che il turista-tipo chiede per quel tipo
di turismo. Es. se a Rapallo si pernotta ma non ci sono spiagge e le spiagge sono tutte a Santa Margherita, allora Rapallo
non è una destinazione balneare, perché il turista balneare richiede le spiagge come servizio essenziale.
È un concetto che racchiude tutti gli elementi di complessità del sistema turistico: la destinazione è tendenzialmente
eterogenea e plurale come il turismo, e perciò varia nel tempo e nello spazio. Varia nel tempo perché ad esempio
possono comparire nuovi tipi di turismo o alcuni possono scomparire. Ma è un concetto unitario?
Caratteristiche e componenti, caratteristiche comuni a tutte le destinazioni:
Tutte le destinazioni hanno un valore economico (meritevoli di spesa turistica), non tutti i territori sono destinazioni, ma
solo quelli in cui si è disponibili a pagare per fare delle giornate di vacanza. Tutti i territori possono potenzialmente
essere destinazioni, ma non è detto che effettivamente lo siano. Sono deteriorabili (vulnerabili alla pressione turistica).
Il fatto che oggi una località sia una destinazione, e cioè ci sia una domanda disposta a pagare per visitare quella
località, non significa che ciò sarà vero anche in futuro, può accadere che la presenza di turisti faccia venire meno
l’attrattività turistica della destinazione. Ad esempio, molte attrazioni sono delle risorse comuni che rischiano di essere
sfruttate eccessivamente, e perciò diventano meno produttive, nel caso turismo meno produttrici di presenze
turistiche. Qui si tocca il tema della sostenibilità e il concetto di capacità di carico = quantità massima di presenze
turistiche che non provochi deterioramento, e che quindi non porti nel lungo periodo al deterioramento della
destinazione. Tutte le destinazioni sono utilizzate non solo a scopi turistici (conflitti), ad esempio la località di Riva
Trigoso (Sestri Levante) ospita da tempo un grande impianto di cantieristica, che non è un’attrazione per il turismo
balneare, perciò più si espande l’attività, più si disincentiva l’esperienza turistica. Se il comune di Sestri Levante dovesse
rendere meno remunerativa l’attività cantieristica, essa diminuirebbe, portando maggiori presenze turistiche. Questi
conflitti possono essere fra attività economiche diverse, o fra residenti e turisti. Tutte le destinazioni sono sistemi
(offerta armonizzata a livello qualitativo), deve offrire merci e servizi che devono essere di qualità comparate, ad
esempio una destinazione non può avere solo alberghi a 5 stelle e solo ristoranti McDonald’s. Le varie imprese
turistiche che offrono servizi diversi nella stessa destinazione devono avere uno stesso livello qualitativo. Può esistere
una destinazione con hotel a 5 stelle e ristoranti stellati, ma anche ostelli e McDonald’s, in questo caso abbiamo una
destinazione nella quale sono presenti due prodotti turistici a livelli qualitativi differenti, ma entrambi completi.
Se consideriamo la destinazione come un produttore aggregato di prodotti turistici, vi sono 5 fattori produttivi
indispensabili. Infatti, ogni destinazione deve contenere queste cinque componenti:
1. Le attrazioni (caratteristiche per la motivazione iniziale del turista) es. Ibiza per discoteche, Courmayeur per piste di
sci, ecc.
2. Le attrattive (infrastrutture e servizi centrali per il soggiorno del turista), non sono il motivo principale della visita,
ma sono necessarie, es. strutture ricettive, ristoranti, ecc.
3. L’accessibilità, in primis l’accessibilità alla destinazione dai luoghi di origine del turista, si parla di accessibilità fisica
(dev’essere materialmente accessibile), ma anche di accessibilità economica (il viaggio è costoso), e accessibilità
culturale (es. a livello di lingua, bisogna essere in grado di comprendersi, ma anche a livello antropologico, non
devono esserci conflitti culturali, incomprensioni). Si parla di accessibilità locale invece per quanto riguarda la
mobilità interna alla destinazione.
4. I servizi ausiliari (servizi per le imprese turistiche o per il turista, es. bancomat)
5. Le infrastrutture (reti tecnologiche)
Devono tutte essere presenti purché possa esistere il prodotto turistico. Non stiamo parlando di una funzione di
produzione standard, dove si può sostituire una risorsa con un’altra (non posso compensare la mancanza di alberghi
con un’ottima accessibilità). Se una componente è nulla o assente, il prodotto turistico in quella destinazione è nullo. Si
parla di funzione di produzione moltiplicativa (il nome deriva dal fatto che quando si moltiplica un prodotto per 0 il
risultato è 0, perciò se una delle mie componenti è nulla, non ho il prodotto).
I problemi economici della destinazione. Nella destinazione abbiamo la presenza di varie imprese che offrono servizi
eterogenei per una pluralità di tipi di turismi differenti. Abbiamo dei problemi di interdipendenza fra gli operatori del
lato dell’offerta [all’interno della destinazione], ad esempio il coordinamento tra le imprese, infatti le imprese offrono
singoli beni e servizi, ma il turista domanda dei prodotti turistici, bisogna che l’offerta di beni e servizi che compongono
un singolo prodotto turistico siano fra loro coordinati. Altri due problemi di interdipendenza sono il
completamento dell’offerta turistica con le strutture e infrastrutture per le quali esistono fallimenti del mercato,

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principalmente i beni pubblici [ovvero non è detto che tutte le strutture e infrastrutture necessarie per l’offerta turistica
possano essere offerte dal mercato]. In questo caso è necessario un intervento collettivo [istituzioni pubbliche,
consorzi] per completare l’offerta turistica. L’altro problema è la risoluzione dei problemi di esternalità con i residenti e
tra diverse tipologie di turisti. Infatti, a seguito dell’attività turistica, possono esserci dei problemi di esternalità [in
genere negative, ma possono essere anche positive], e per risolverli si necessita di un approccio che tenga conto
dell’interdipendenza. Questi due problemi saranno analizzati nei capitoli 14 e 15. Ci sono anche dei problemi legati alla
gestione della destinazione, il primo di questi problemi è il fatto che si possa volere un incremento della varietà di
offerta di turismo, ovvero la varietà all’interno di un prodotto turistico specifico e anche la varietà di prodotti turistici in
una stessa destinazione. Ci può essere una situazione in cui spontaneamente - con il funzionare dei mercati - le imprese
possono offrire un certo prodotto turistico ad un certo livello qualitativo, ma possiamo aver bisogno di un intervento
collettivo se vogliamo inserire nuovi livelli qualitativi o nuovi prodotti turistici. Sempre per quanto riguarda i problemi
legati alla gestione troviamo il management della destinazione, in questo caso si intende la gestione della destinazione
sia come ricerca del consenso su obiettivi comuni dei vari operatori turistici, sia come risoluzione dei conflitti fra gli
obiettivi individuali dei singoli operatori turistici. Queste imprese indipendenti sono in competizione fra loro, ma allo
stesso tempo sono anche portatori di un interesse comune. Per questo motivo deve esserci un “decisore collettivo” che
ha un ruolo politico [decidere come risolvere i conflitti], che può essere il ruolo pubblico (istituzione locale: Comune,
Provincia, Regione), un privato (es. consorzio degli operatori) o anche pubblico-privato (es. pro loco). Tuttavia, non
basta il decisore collettivo, serve anche un “attuatore unitario”, che metta in pratica le decisioni prese dal decisore
collettivo, e perciò ha un ruolo tecnico-operativo. La terza categoria di problemi riguarda il marketing, attività rivolta
direttamente ai turisti. Tutte le imprese sono a caccia di clienti, ma anche se ogni impresa ha la sua attività di
marketing, è necessario un marketing della destinazione, che non deve però sovrapporsi ai marketing individuali.
Perciò, si deve fare attività di Marketing e Branding della destinazione e anche di Web Management della destinazione.
Questi temi non verranno presi in considerazione in quanto esulano dalle competenze dell’economia del turismo.
Perciò, in seguito analizziamo il problema del coordinamento fra le imprese e il problema dell’incremento della varietà
offerta.
IL COORDINAMENTO DELLE ATTIVITÀ. Il turismo in una destinazione non è possibile se beni e servizi complementari
offerti da imprese diverse non compaiano tutti nel prodotto turistico: allora può essere letto come un permesso al
soggiorno concesso dalle diverse imprese → basta che una sola delle imprese neghi il permesso e il turismo non può
essere effettuato. È un caso di frammentazione dei diritti di proprietà noto come anticommon (l’opposto del common).
In realtà è difficile che ci siano imprese non attive o che si rifiutano di offrire, quindi la possibilità di interdizione va letta
non tanto nella indisponibilità ad offrire fisicamente il bene, ma più che altro il problema sta nell’offerta di un servizio
che non risponde alle esigenze del turista (non al livello delle richieste del turista) che domanda il bene complementare.
La conseguenza è che senza coordinamento, il prezzo del prodotto turistico è troppo elevato, e di conseguenza sono
minori le presenze turistiche (e i profitti). Per risolvere questo problema economico, la destinazione deve: 1) Coordinare
le imprese. 2) Fissare il prezzo complessivo del prodotto. 3) Imputare il prezzo per ogni componente del prodotto
complessivo [per fare in modo che tutti i beni/servizi necessari rientrino nel prezzo complessivo del prodotto] → il
problema è che ci può essere una difficoltà in quanto le imprese – quando fissano i prezzi per i beni/servizi offerti –
tengono conto dei costi di produzione. Oltre a questa soluzione [che è istituzionale e prevede un decisore collettivo
pubblico], esiste anche una soluzione di mercato: il coordinamento è proposto dal Tour Operator, quindi un
intermediario privato. Infatti, il TO selezionando i fornitori per i vari servizi e offrendo un prezzo di pacchetto al turista,
fa esattamente un’operazione di coordinamento, cioè identifica un prezzo totale del prodotto turistico appetibile per i
consumatori, e che allo stesso tempo si traduca nei prezzi per i singoli servizi, remunerativi per tutte le imprese
fornitrici. ATTENZIONE, in questo caso si può generare un problema di distribuzione dei profitti, il Tour Operator non
svolge queste attività gratuitamente, in cambio pretende una quota dei profitti. Quindi le imprese locali devono
rinunciare ad una quota dei propri profitti per remunerale l’attività di coordinamento. Anche il destination management
può essere remunerativo, ma essendo a livello locale, il profitto resta sul territorio. D’altro canto, appunto perché il TO
è motivato dal profitto e non ha interesse nelle singole attività, riesce a risolvere meglio il coordinamento. → Teorema
del coordinamento: il destination management e il tour operator sono due modi per risolvere il coordinamento delle
imprese nella destinazione.
ESEMPIO:
Questi risultati possono essere esposti da un modello molto semplice in cui la funzione di domanda P = a – v è la
domanda di turismo nella destinazione (P sono le presenze), v è il prezzo di un giorno di vacanza [dato che c’è il segno
meno è una funzione inversa, perciò più è alto v, più è basso P, e viceversa], nella destinazione esistono un albergo A e
un ristorante R, e v = vA + vR, dove vA e vR, sono i prezzi rispettivamente dell’alloggio e del vitto. Infine, per

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semplificate, immaginiamo che i costi siano nulli per tutte le imprese (e che quindi producano a costo zero).
Senza coordinamento, le imprese (albergatore e ristoratore) massimizzano i propri profitti:
Albergatore: i suoi profitti sono R – C, i
costi però sono 0, quindi in questo caso
massimizzare i profitti è lo stesso che
massimizzare i ricavi.
I ricavi sono prezzo x quantità, dove la
quantità sono le presenze ed il prezzo vA [PvA]. Ma dato che le presenze P si possono scrivere anche tramite la funzione
P = a – v, e dato che v è la somma vA + vR, allora si può scrivere:
(a – vA – vR)vA. Il prezzo del servizio alberghiero che massimizza il profitto (rappresentato dall’asterisco*) è a/3 e lo
stesso per il profitto massimizzato della ristorazione, dato che v = vA + vR, allora v*=2a/3 (risultato dato da a/3 + a/3).
Le presenze che massimizzano i profitti sono P* = a/3 [perché P = a – 2a/3 = a/3]. A questo punto, dato che sappiamo
quali sono le presenze che massimizzano i profitti a/3, le moltiplichiamo per a/3 (che è il profitto massimizzato di
ristorazione e albergo) = a²9.
Con il coordinamento, il prezzo del giorno di vacanza viene gestito a livello centralizzato, in modo da massimizzare i
profitti complessivi, anziché partire con il profitto di ognuno, partiamo dal massimizzare i profitti totali della
destinazione:
Vediamo che v** = a/2, mentre il prezzo singolo
di albergatore e ristoratore va diviso per 2, perciò
viene a/4. Essendo le P** = a/2, allora la
massimizzazione tot = a²8 [a/2 * a/4]. Ci
rendiamo conto che rispetto all’esempio precedente i prezzi dei singoli servizi sono inferiori (prima a/2, ora a/4), quindi,
con il coordinamento, il prezzo (per il turista) è più basso, perciò le presenze maggiori e, soprattutto, i profitti delle
imprese sono più elevati. Perciò le imprese hanno profitti più elevati, ma anche i clienti spendono di meno!

LA VARIETÀ DEL PRODOTTO TURISTICO. Una maggiore diversificazione del prodotto (maggiore varietà: concorrenza
monopolistica) nella destinazione è attraente per il turista, perché gli offre una maggiore possibilità di scelta e di
consumo alternativo (beni sostituti), per questo è più possibile che aumenti la soddisfazione, e con essa la disponibilità
a pagare [di più], con ricadute positive sui profitti delle imprese che operano nella destinazione. Turisti differenti
anziché consumare tutti lo stesso prodotto, possono consumare diverse varianti del prodotto in base alle proprie
preferenze. Se i turisti avessero tutti le stesse preferenze non avremmo bisogno di diversificazione. → I turisti sono
diversificati nelle loro preferenze – c’è varietà di turisti – e proprio per questo è interesse delle imprese offrire varietà
[facendo contento il turista si fanno maggiori profitti]. La forma di mercato a cui stiamo facendo riferimento parlando di
varietà di un prodotto è la concorrenza monopolistica. Un altro aspetto della varietà è che sposta le preferenze (e la
spesa) del turista dal consumo non turistico a quello turistico → ci sono turisti che proprio perché non trovano
esattamente la varietà che preferiscono possono rinunciare alla vacanza, oppure fare una vacanza più breve di quella
che altrimenti farebbero. In entrambi questi casi, la maggiore varietà fa aumentare le presenze.
Esempi: in una destinazione balneare ci devono essere pizzerie, ristoranti di carne e ristoranti di pesce [se ci fossero
solo le pizzerie, molti turisti non sarebbero contenti]; in una destinazione montana ci devono essere gli impianti di
risalita, ma anche centri benessere e piscine coperte, ecc. perché magari una parte della famiglia vuole sciare e un’altra
no, perciò offrendo anche altri servizi anche chi non scia verrà soddisfatto e le vacanze dureranno di più.
La varietà ha un limite: al crescere della varietà, cresce la domanda totale, ma cala la domanda rivolta alla singola
impresa. Infatti, fino a qui sembrerebbe che massima varietà è la cosa migliore: se immaginiamo una destinazione con
tutti i tipi di turismo concepibili a tutti i livelli qualitativi, con tutte le varianti concepibili, potrebbe attirare qualsiasi tipo
di turista, ma il problema è che diminuirebbe la domanda rivolta alla singola impresa. La singola impresa avrebbe meno
clienti, questo è un risultato tipico della concorrenza monopolistica, perché per fornire tutte queste tipologie di servizi
vorrebbe dire avere molte più imprese, perciò i clienti rivolti ad una sola impresa saranno meno e quindi per le imprese
diventa più difficile riuscire a coprire i costi [principalmente i costi fissi].
Per questo motivo abbiamo il teorema della varietà (Love of Variety), il quale tiene conto del fatto che i consumatori
vogliono la varianza, perciò il destination management deve fornire lo sviluppo di imprese locali che offrano servizi
accessori alternativi in modo da completare l’offerta della destinazione (e per estensione anche i prodotti turistici
alternativi). Vi è un modo molto interventistico che è appunto quello del destination management che indirizza i
potenziali imprenditori nelle varie attività, ma non è facilissimo. L’altro modo è quello di passare da diverse località

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[vicine fra loro] che sono destinazioni indipendenti – magari monoprodotto – e unirle in un unico distretto turistico,
dove ogni località ha la propria variante (di tipo di turismo o livello qualitativo).
Il management. Gli obiettivi di coordinamento nell’offerta di servizi complementari e di sviluppo dell’offerta di servizi
sostituti (varietà), tipici dell’offerta locale di una destinazione, sono i due compiti del destination management:
- Gestione della rete di imprese sul territorio (per garantire varietà e coordinamento);
- Gestione della condivisione di servizi e infrastrutture comuni a turisti e residenti (capacità di carico, per evitare i
conflitti);
- Gestione della competitività della destinazione (qualità, prezzi, promozione: far conoscere il rapporto
qualità/prezzo e le caratteristiche alla domanda);
Fin qui siamo in una logica “dell’esistente”, ma abbiamo detto che i territori non sono per propria natura destinazioni,
possono cessare di esserlo o diventarlo, perciò è necessaria anche una gestione più lungimirante, che si occupi dello
sviluppo della destinazione:
- Gestione dello sviluppo della destinazione (ciclo di vita, innovazione);
- Gestione degli eventi esogeni (esterni alla destinazione, che possono essere traumatici e non, ad esempio la
pandemia covid) e delle loro ricadute locali = gestione delle ricadute locali degli eventi esogeni, in modo tale che se
dovessero essere eventi esogeni traumatici [negativi] i danni siano minori possibili, mentre nel caso che siano
positivi massimizzare i benefici dell’evento esogeno.
Il marketing. Ogni attrattiva in una destinazione, in quanto impresa autonoma, ha un proprio marketing in competizione
con le altre imprese locali. Tuttavia, tutte condividono un interesse comune ad un marketing comune (branding) in
competizione con altre destinazioni. Per il turista la competizione fra destinazione viene prima della competizione
interna alla destinazione, in quanto il turista generalmente prima sceglie dove andare in vacanza e poi sceglie in che
albergo, ecc. Ha senso fare a livello collettivo perché ci sono dei problemi di efficienza del destination marketing (e
quindi di fallimento del mercato):
▪ Per singolo operatore locale, il destination marketing è un bene pubblico, per cui genera tentativi di free riding che
portano a una sotto-produzione di questa attività: vi è quindi necessità di un ruolo pubblico con contributi
obbligatori, che possono essere imposte locali che il Comune usa per fare DM, oppure anche sotto forma di
consorzio degli operatori che riscuote una quota di adesione al consorzio e le usa per il DM. [Free riding: rifiutarsi di
contribuire o contribuire meno di ciò che si dovrebbe, beneficiandone comunque, con conseguenza che l’attività è
meno produttiva].
▪ Esiste un rischio di sovrapposizione tra marketing della destinazione, marketing dei singoli prodotti e marketing
delle singole imprese che porta ad un eccesso di produzione di queste attività. Rischio opposto rispetto al
precedente, una spesa eccessiva con duplicazione degli sforzi. Anche in questo caso è necessario individuare un
soggetto collettivo che riesca a ripartire queste spese e determinare i contenuti del marketing ai vari livelli.
Per il web management e web marketing della destinazione → capitolo 11.
La politica di prezzo. La destinazione può avere un interesse collettivo al coordinamento fra le imprese riguardo al
prezzo di una giornata di vacanza nella destinazione. Se parliamo di singole imprese l’obiettivo è la massimizzazione dei
profitti, ma dato che i profitti sono dati da R – C, e nel nostro caso: spesa turistica – costi di produzione dei servizi, i
costi di produzione dei servizi turistici sono noti alle singole imprese che li producono, e queste ultime non hanno
motivo di rivelare questi costi alla destinazione (anzi hanno ottimi motivi per non farlo). La destinazione non si può
porre l’obiettivo di massimizzazione dei profitti, nel senso che sarebbe il suo obiettivo ma non è applicabile alla
destinazione as a whole (non conosce i costi delle imprese), non è realizzabile. A questo punto, l’ipotesi più plausibile di
obiettivo realizzabile dalla destinazione è la massimizzazione del ricavo lordo complessivo (cioè di massimizzazione della
spesa dei turisti S = vP). Questa massimizzazione può essere raggiunta sia aumentando il prezzo di una giornata di
vacanza, sia aumentando il numero di presenze. Bisogna però ricordare che le variazioni di v (prezzo) hanno un doppio
effetto su S: da un lato diretto [più alziamo i prezzi più aumenta la spesa], ma dall’altro inverso [più alziamo i prezzi,
minori sono le presenze]. Ogni turista spende giornalmente di più, ma allo stesso tempo vi sono meno turisti. Quale
effetto prevale? Come si aumenta la spesa? → l’effetto dipende dall’elasticità della domanda, tre casi da studiare:
- I turisti sono sensibili solo al prezzo della vacanza [quindi reagiscono soltanto al prezzo della domanda, da un lato
l’elasticità della domanda al prezzo può essere <1, oppure dall’altro >1, quindi la domanda può essere elastica o
anelastica];
- I turisti decidono anche in base alla qualità;
- I turisti decidono [non tutto simultaneamente] in due stadi: a) se partire (in questo caso la variabile che interessa la
destinazione sono gli arrivi); b) quanto soggiornare (le variabili decisive sono le presenze).
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Massimizzare il ricavo ≠ massimizzare il profitto, quando si massimizza il ricavo si è superato il punto di massimizzazione
dei profitti, quindi nel nostro caso massimizzando il ricavo avremo più presenze di quelle che effettivamente
massimizzano i profitti, avendo un affollamento maggiore di quello ottimale ed efficiente, ma è una scelta obbligata
perché la destinazione non conosce i costi delle singole imprese locali (unica possibilità).

CASO A: Prezzo, presenze e spesa turistica


Dato che c’è una relazione fra prezzo e presenze, per massimizzare la spesa non dobbiamo semplicemente
massimizzare o l’uno o l’altro (o prezzo o presenze), ma dobbiamo identificare la combinazione prezzo-presenze che
massimizza la spesa complessiva dei turisti. Sappiamo che questa si ha quando l’elasticità della domanda al prezzo è
pari a 1 (punto di Cournot: Ɛ = 1) quindi se per raggiungere l’obiettivo c’è un aumento della domanda, la destinazione
aumenterà il prezzo e viceversa. Questo spiega perché i prezzi variano da una stagione all’altra, es. bassa stagione
diminuiscono i prezzi. Oppure anche da un anno con l’altro, es. quando c’è una pandemia e la domanda cala, le
destinazioni abbassano i prezzi.
Schematicamente: le destinazioni devono seguire il vento, se c’è ↑ domanda, la destinazione deve ↑ prezzo.
CASO B: Prezzo, presenze e qualità del turismo
In questo caso il turista non tiene conto soltanto del prezzo, ma guarda anche la qualità. La qualità è intesa come
qualità percepita dal turista e legata all’affollamento delle risorse turistiche. Se la destinazione è troppo affollata, la
qualità percepita per il singolo turista è minore, e quindi questo lo renderà meno disposto a pagare un prezzo alto per
questa vacanza. La qualità dipende inversamente dall’affollamento della risorsa: a(Pir).
Anche in questo caso, in cui c’è quindi un’intensità ottimale di sfruttamento delle risorse turistiche locali, è sempre
ottimale situarsi nel punto di Cournot, con la differenza che si ha un livello inferiore di presenze (rispetto al caso A),
perché se avessimo le stesse presenze del caso A, scopriremmo che l’affollamento scoraggerebbe i turisti, e quindi non
si avrebbe lo stesso ricavo del caso A. Ciò perché il sovraffollamento può condurre ad uno sfruttamento
sub-ottimale della risorsa e nel punto di equilibrio E(P*, v*) il prezzo che si può richiedere per una qualità superiore del
prodotto turistico più che compensa la riduzione che si provoca nelle presenze turistiche. Quindi quando il turista è
attento anche alla qualità, questo pone dei vincoli sulla politica di prezzo della destinazione che non può aumentare i
prezzi tanto quanto nell’altro caso, e viceversa non ha interesse a diminuirli tanto quanto lo farebbe nel primo caso (ad
esempio in bassa stagione).
→ Perciò la destinazione, per attirare turisti e spesa, può giocare non solo sullo strumento del prezzo ma anche sulla
qualità.
CASO C: Domanda turistica a due componenti: P = Ad, caso in cui il turista deve decidere in due fasi
→ Arrivi: il turista deve decidere se partire
→ Durata: il turista deve decidere quanto fermarsi, sulla durata della vacanza, che influirà sulle presenze
La durata dipende dal prezzo, più il costo giornaliero della vacanza è elevato, minore sarà il numero di giorni di vacanza,
modello standard di consumo (dato dal reddito): d = d (v), con d’<0.
Mentre invece, la scelta se partire o non partire non dipende dal prezzo, ma da un complesso di variabili socio-
economiche (caratteristiche della destinazione): A = A(.)
- Quanto è organizzata dal punto di vista turistico (destination management)
- Dallo stato delle infrastrutture
- Dallo stato dell’ambiente { qualità dei servizi
- Dall’affollamento e dalla congestione
Affollamento e congestione per ogni turista dipendono da quanti altri turisti ci sono, quindi le scelte dei turisti sono
interdipendenti fra loro. Qui abbiamo un’interdipendenza legata alle quantità e alle scelte. Più presenze significa più
congestione, soprattutto sul singolo tipo di turismo della destinazione (perché usano tutti le stesse risorse). Quindi il
turista decide prima la destinazione e decide di andarci (valutando anche l’affollamento), e in un secondo momento
deciderà quanti giorni restarci in base ai prezzi. Due scelte che rispondono a due gruppi di cause differenti. Questo ha
un’influenza sul marketing, perché se una destinazione vuole puntare sugli arrivi punterà sulle variabili
socioeconomiche citate sopra, mentre se vuole puntare ad allungare la permanenza dei turisti allora deve puntare sul
prezzo. La relazione fra arrivi e affollamento può essere di due tipi, fino ad ora abbiamo implicitamente fatto
riferimento al primo tipo (C1):
C.1 – La fuga della folla: ai turisti non piace l’affollamento, quindi le presenze sono
date da arrivi (A) e durata (d), dove gli arrivi dipendono dalle presenze (P) e la durata
dipende dal prezzo (v) → dipendono nel senso che
all’aumentare delle presenze (e quindi dell’affollamento)
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diminuiscono gli arrivi. Questo è quello che viene chiamato effetto snob, [“se ci vanno tutti non ci vado io”]. Se
aumentano i prezzi – a parità di arrivi – diminuiranno le presenze (effetto d’impatto), ma siccome diminuiscono le
presenze, l’effetto snob incoraggia gli arrivi [dato che a questo punto c’è meno affollamento], quindi avremo più
presenze totali [= vacanze più brevi, ma viene più gente].
Quindi, rispetto al modello standard, l’effetto negativo di un aumento dei prezzi sulle presenze e quindi sulla spesa,
viene mitigato [= rendere la domanda meno elastica]. Quindi la domanda reagisce il prezzo meno di quanto ipotizzato
finora, e questa minore reattività al prezzo può addirittura (in casi particolari, al limite) essere in grado di cambiare
segno alla relazione [effetto snob talmente alto da aumentare le presenze nonostante siano aumentati i prezzi], e
quindi l’effetto affollamento prevarrebbe sull’effetto d’impatto, facendo sì che la curva di domanda diventi inclinata
positivamente, anziché negativamente come nella norma.
C.2 – L’attrazione per la folla:
Ipotesi alternativa dove la relazione fra affollamento e decisione di arrivi (quindi fra presenze e arrivi) è positiva, perciò
più presenze ci sono e più affollamento c’è, più le persone sono invogliate ad arrivare. Effetto opposto a quello
precedente, in questo caso i turisti sono guidati da un effetto traino, tipico ad esempio dei fenomeni di moda.
In questo caso se aumentiamo il prezzo – a parità di arrivi – la durata diminuisce e le presenze scendono, ma se c’è
attrazione per la folla allora diminuiscono gli arrivi e diminuiscono ulteriormente le presenze. Al contrario, se
diminuiamo il prezzo allora aumentano le presenze, e data l’attrazione per la folla aumentano ancora di più arrivi e
presenze. In questo caso la domanda è più elastica del normale. Se si va in vacanza in una destinazione, e l’attrazione
principale di quella destinazione è la gente (la
possibilità di fare incontri…), più persone ci sono e
meglio è.

Una località selezionata da un turismo snob avrà convenienza a quotare prezzi più elevati.
Una località selezionata da un turismo di massa avrà convenienza a praticare prezzi medi bassi.

Non è il prezzo a rendere snob o di massa una destinazione ma il contrario: non è che Ibiza è di massa perché ha prezzi
bassi e St. Moritz è di snob perché ha prezzi alti, St. Moritz è percepita richiesta da una domanda snob e quindi ha
convenienza ad alzare i prezzi (per soddisfare questa domanda) e viceversa.
Il ciclo di vita dell’area turistica. Applicazione del modello del ciclo di vita del prodotto (nato per beni di consumo
durevole) alle destinazioni turistiche (con il nome di ciclo di vita dell’area turistica o
TALC: Tourist Area Life Cycle).
È possibile adattare il modello in quanto il turismo è anch’esso un bene di comfort o
lusso (come i beni di consumo durevole): nel loro sviluppo una serie di stadi o fasi.
Sull’asse orizzontale abbiamo il tempo, mentre sull’asse verticale le presenze. Nel
tempo le presenze tendono ad aumentare a ritmi differenziati (crescita lenta, poi
crescita rapida, poi ancora lenta), fino a raggiungere un massimo e poi diminuire. Le
diverse fasi della destinazione possono essere sintetizzate in funzione della
dimensione dei flussi turistici, della struttura dell’offerta e del controllo
organizzativo del prodotto turistico nella destinazione. Le strategie di investimento e
di marketing dipendono dalle fasi.
La prima fase, quando compare il prodotto della destinazione, è la fase di
esplorazione. Possiamo pensare al Grand Tour, un numero di presenze
estremamente ridotto, occasionale e casuale e che d’altra parte si trovano un’assenza di infrastrutture locali dedicate.
Questa fase gradualmente si trasforma in una fase di avviamento, quando i primi turisti – tramite il passaparola –
raccontano della propria esperienza positiva nella
destinazione. A livello locale si inizia a prendere
consapevolezza che c’è un mercato turistico e
stimola lo sviluppo di un’offerta (flussi limitati ma
tendenzialmente regolari). Fase di sviluppo,
crescita rapida, abbiamo anche i primi fenomeni di
affollamento. A livello locale aumentano le
imprese locali. Anche gli intermediari indirizzano
verso la destinazione, e anche imprese esterne
vogliono essere presenti nella destinazione (es.
catene alberghiere). Fase della maturità, cresce
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lentamente, è una fase di “consolidamento”, ci sono ormai molte infrastrutture ed imprese specializzate. Fase di
stagnazione, massimo numero di presenze che non aumenterà più, sorgono i primi problemi. Si arriva perciò ad un
declino delle presenze. Il declino si può contrastare con restyling (rilancio) organizzativo [es. che riduca i costi] o reale [=
introduzione di nuovi prodotti turistici], il restyling richiede però capitale (K) umano e imprenditoriale.
Critiche al modello:
- La forma esatta della curva in realtà è molto variabile (rispetto a quella del grafico) e non solo per specificità locali
(ma anche dal fatto che la destinazione può cercare di alterare l’andamento della curva in senso favorevole, oppure
anche da fattori esterni come il numero delle destinazioni concorrenti, la libertà di accesso al mercato turistico, il
tasso di sviluppo economico complessivo – es. in un periodo di crisi le fasi in cui i turisti crescono saranno più
limitate)
- Il processo può fermarsi in uno stadio del ciclo, ossia varia molto la durata delle singole fasi.
- In molte trattazioni in realtà si guarda questa curva come alle presenze complessive nella destinazione, cioè si
identificano un certo tipo di turismo e un certo tipo di destinazione [quando sappiamo che possono essercene più
tipi in una sola destinazione].
→ modello interpretativo affascinante (con una base empirica), ma deterministico e non robusto, troppo rigido per
spiegare tutti gli andamenti che riscontriamo.
Le caratteristiche che vengono fuori da questo modello sono: Nessuna località è destinazione ma lo diventa attraverso
la sua capacità di offerta e grazie ad alcuni viaggiatori curiosi che la scoprono. Nessuna destinazione turistica lo sarà in
eterno. Una destinazione cambia natura nel tempo. Le fasi possono essere brevi o molto lunghe. Non è detto che tutte
le località debbano compiere tutto il ciclo → una destinazione lungimirante può attuare attività che evitino il declino
(rinnovo).
Domanda dei turisti a sua evoluzione. Nelle varie fasi dello sviluppo della destinazione non cambiano solo le quantità di
turisti, ma cambia anche tipologia di turisti (motivazioni psico-sociali e segmentazioni):
➢ Turisti indipendenti (adattamento della destinazione)
➢ Turista da pacchetto (attrattive standard globali)
Turisti indipendenti: Sono particolarmente numerosi nelle fasi iniziali del ciclo di vita, tendono a adattarsi alla
destinazione così come essa è, perché sono interessati ad un’esperienza di vacanza di conoscenza della destinazione,
sono interessati alla diversità. Si trovano di più a loro agio in strutture locali e non standardizzate / globali e sono
disposti ad accettare maggiormente gli imprevisti negativi. Sono più attivi nella scelta della combinazione di servizi che
farà la loro vacanza. È un tipo di turista tendenzialmente minoritario, è maggioritario solo quando il turismo inizia a
svilupparsi. Garantisce tassi di crescita bassi ma stabili.
Turisti da pacchetto: Sono turisti più centrati sulla vacanza in sé che non sulla destinazione, sono particolarmente
interessati alle attrattive e sono più a proprio agio quando le attrattive sono di standard internazionale o nazionale
perché così possono avere delle aspettative precise che verranno soddisfatte. Sono più preoccupati dell’imprevisto
negativo, non si adattano alla destinazione ma desiderano che essa si adatti a loro, preferiscono acquistare il prodotto
turistico anziché scegliere servizio per servizio e comporlo. Sono attratti da destinazioni che hanno superato le fasi
iniziali del ciclo di vita e sono più numerosi.
Nella fase iniziale di scoperta (turisti indipendenti) il controllo della destinazione è locale. Man mano che il turismo si
sviluppa, i privati non possono più risolvere i problemi che ci sono e quindi entra il controllo pubblico. Il turismo tende
ad essere più istituzionalizzato e più a pacchetto. La tecnologia produttiva punta [per i profitti] sulle economie di scala,
e meno sulla qualità e sulla specificità del servizio offerto. Proprio questa standardizzazione rende il prodotto turistico
della destinazione molto più soggetto alla concorrenza, ponendo le basi ad un

successivo declino.
Le fasi delle destinazioni e i turisti (Plog, 1974): possiamo identificare il tipo di
turista sulle basi delle sue caratteristiche psicologiche, i turisti che prima
abbiamo chiamato indipendenti sono allocentrici, mentre i turisti pacchetto
sono psicocentrici.
- Psicocentrici (sicurezza, ripetitività)
- Allocentrici (scoperta, mutevolezza)

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Nel turismo internazionale i turisti che provengono da posti differenti tendono ad avere caratteristiche diverse, ad
esempio i turisti giapponesi/americani sono più spesso psicocentrici, mentre gli italiani più allocentrici. Un’altra
differenza di trova nelle diverse fasi di età: avanzata → psicocentrici, giovani allocentrici.
→ Ma la classificazione non è psicologica.
Le previsioni della domanda turistica. Dal punto di vista della destinazione è di grande importanza prevedere
l’evoluzione della domanda dei turisti (conoscere la domanda sicura). L’importanza quantitativa ed economica del
turismo e la necessità di strutture rende la conoscenza della domanda futura strategica per la destinazione. Si
classificano le tecniche di previsione della domanda in base al metodo. La principale distinzione è fra un approccio
qualitativo e uno quantitativo.
A. APPROCCIO QUANTITATIVO (banche dati statistiche, uso dei big data, funziona per breve periodo).
L’obiettivo di questo metodo è quello di prevedere esattamente la quantità di pernottamenti e arrivi nella destinazione.
Anche le scelte sul livello di prezzo sono influenzate da quello che prevediamo. Si fonda sul presupposto che le
informazioni vengono raccolte e archiviate in modo sistematico. La raccolta avviene tramite il censimento oppure con
un meccanismo d’indagine (survey) dove selezioniamo un insieme più limitato di turisti che sia rappresentativo del
totale dei turisti. Il vantaggio di quest’ultimo metodo è che possiamo fare domande più approfondite però il problema è
il fatto di dover costruire un campione che rappresenti davvero la popolazione. Sono indagini più costose e per questo
campionarie; vengono fatte “ad hoc”, cioè quando sono necessarie delle informazioni che ancora non abbiamo. Metodi:
- Analisi delle serie storiche → estrapolazioni (previsioni senza teoria)
Consente di fare previsioni senza una teoria dietro, si postula che il futuro seguirà delle leggi di evoluzione come quelle
del passato. Previsione del futuro basato sulla prosecuzione della tendenza del passato. Come? Con cicli intorno alla
tendenza; cicli tolta la tendenza; immaginare ciclicità legate alla stagionalità. Si parla di estrapolazioni, la critica è che
sono previsioni senza teoria ovvero non sappiamo spiegare il perché sia così. Tanto più lungo è il passato per fare le
previsioni, tanto più ci possiamo fidare delle nostre previsioni. C’è un problema: presuppone che il futuro sia uguale al
passato, quindi non si tiene conto dei cambiamenti (es. passato: viaggiare è sicuro; 2001: post attentati non è più cosi).
Infatti, se cambia qualcosa di importante, le nostre previsioni fatte con l’estrapolazione sono inutilizzabili. Quando
conviene usarla? Quando si hanno poche informazioni (es. solo arrivi/presenze) o quando la complessità è cosi grande
da non riuscire a gestirla. Questa analisi è migliore per previsioni di breve periodo.
- Modelli strutturali → stima di relazioni causali teoriche
Si tratta di prevedere l’andamento delle variabili sulla base di una relazione causale (es. le presenze dipendono da
questi fattori) e quindi mettono in relazione l’andamento di queste cause con l’andamento dell’effetto. In genere è una
stima lineare (un aumento della variabile causa, si tradurrà in un aumento della variabile effetto). I parametri che
legano le varie cause all’effetto che ci interessa prevedere tendono ad essere stabili nel tempo e nello spazio, ci sono
due tipi di modelli strutturali:
 Dati spaziali (cross section), che tengono conto di vari territori in un dato momento nel tempo. Si fa una stima sulla
base di relazioni causali che ipotizziamo valgano per tutti i territori.
 Dati temporali (time series), che tengono conto di un solo territorio e varie osservazioni nel tempo (dello stesso
territorio). In questo caso abbiamo tutti i dati delle variabili causa. L’ipotesi è che le relazioni causali non cambiano nel
tempo per quel territorio.
→ Spesso queste due analisi si basano su troppo poche informazioni e perciò sono inaffidabili, conseguentemente si è
pensato di unirle, costruendo banche dati che prendono in considerazione vari territori nel tempo, in modo da avere
delle previsioni più precise, in questo caso parliamo di dati spazio-temporali (panel).
- Modelli a reti neurali → sistemi non lineari (auto-apprendimento)
Può darsi che nel tempo si impari economicamente dall’esperienza. Empiricamente osserviamo degli andamenti nel
tempo che non sono lineari (es. ciclo di vita), allora abbiamo bisogno di sistemi che imparino dall’esperienza e i
parametri varino nel tempo. Tecnica complessa, più complicata perché richiede più informazioni.
I modelli strutturali e a reti neurali tendono a fare previsioni su orizzonti temporali più lunghi rispetto al modello delle
serie storiche. Inoltre, sono elencati in ordine crescente di complessità.

B. APPROCCIO QUALITATIVO (interviste testimoni privilegiati, per lungo periodo)


Nel lungo periodo dobbiamo fare previsioni anche per un futuro più lontano, non possiamo perciò più essere sicuri a
basarci sul passato (come nell’approccio quantitativo). Non avendo quindi dati oggettivi affidabili (basati sul passato),

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dobbiamo utilizzare altre tecniche per ottenere informazioni, ad esempio intervistando degli esperti che hanno delle
informazioni sul futuro, i testimoni privilegiati. Ci sono due metodi:
- Metodo Delphi → consenso tra esperti (discussione virtuale)
I testimoni privilegiati/esperti conoscono il futuro e quello a cui vogliamo arrivare è ad un consenso sul futuro di questi
esperti. Questo “consenso” si raggiunge tramite la discussione ed il confronto fra gli esperti. Il consenso non si
raggiunge immediatamente, ma tramite una discussione a “vari round” (2/3) durante la quale gli esperti convergono
gradualmente su una soluzione di consenso. Tuttavia, il metodo Delphi prevede che la discussione sia virtuale e
anonima, per evitare che si influenzino tra loro o si lascino intimidire da opinioni opposte [potrebbe succedere che ci si
faccia influenzare dalla personalità, dalla capacità di retorica della persona, piuttosto che dalle idee in sé]. Dopo ogni
round un amministratore fornisce un anonimo sommario delle risposte degli esperti e le loro ragioni. Quando le
risposte degli esperti cambiano leggermente tra i vari round, il processo è arrestato, infine tra le risposte al round finale
viene eseguita una sorta di media matematica. L’obiettivo è convergere verso una risposta condivisa.
- Metodo scenariale → disegno di alternative future (incertezza)
Serve quando vi è una notevole incertezza su quello che avverrà nel futuro [nel metodo Delphi si ha un’idea di ciò che
succederà, si cerca di capire quando e con quali impatti]. In questo caso abbiamo determinate fonti di incertezza
importante e possiamo costruire dei futuri alternativi in base a come questi elementi di incertezza importante si
verificheranno. Possiamo immaginare due fonti di incertezza, ciascuna delle quali con 2/3 possibili esiti, e incrociando
queste modalità alternative a matrice otteniamo diverse combinazioni di possibili futuri, chiamati scenari. Può essere un
metodo positivo, in cui cerchiamo di immaginare i diversi futuri possibili partendo dalle tendenze odierne, oppure un
obiettivo normativo, ovvero dove si cerca di capire quali percorsi seguire per raggiungere un obiettivo. Perciò, l'analisi
di scenario “consente di prevedere e formulare strategie che si indirizzano ai problemi di previsione nelle società
moderne, complesse, in rapido cambiamento e particolarmente soggette a condizioni di incertezza”.
C. APPROCCIO MISTO
- Tra diversi metodi quantitativi (ponderazione in base all’affidabilità)
- Tra metodi quantitativi e metodi qualitativi (Es. strutturali + Delphi)
La disponibilità di dati quali-quantitativi sulla domanda turistica non consente solo la previsione, ma anche la
caratterizzazione strutturale delle destinazioni:
▪ Dimensione assoluta (del fenomeno turistico)
▪ Distribuzione nel tempo e stagionalità
▪ Durata e persistenza
→ Ma anche caratterizzazione strutturale dal lato dell’offerta (perché anche l’offerta influenza la domanda).
A cosa serve? La destinazione deve saper distinguere i tratti permanenti del suo fenomeno turistico e i tratti
congiunturali (transitori). Le politiche che servono per affrontare questi tratti sono profondamente differenti fra loro.
Per i tratti congiunturali spesso si tende a “sdrammatizzare” [es. ci sono pochi turisti in bassa stagione, ma sappiamo
che poi arriva l’alta stagione]. Per i tratti permanenti abbiamo bisogno di interventi da ponderare maggiormente, più
costosi e che cambiano le caratteristiche della destinazione [es. rendendola più attraente]. Con la caratterizzazione
strutturale (con dati sia nel tempo, sia nello spazio) possiamo arrivare a tecniche che ci permettono di raggruppare tra
loro destinazioni simili (analisi dei gruppi/cluster), importante perché ci permette di imparare dalle altre destinazioni
simili alla nostra, evitando così di “copiare” destinazioni dalla nostra. L’altra tecnica che si può sviluppare partendo da
una caratterizzazione strutturale è l’analisi SWOT, perché le forze e le debolezze le individuiamo proprio confrontandoci
con le destinazioni simili e le destinazioni concorrenti. Per quanto riguarda le opportunità e le minacce, possono essere
individuate attraverso i metodi qualitativi.
La politica della destinazione. L’eterogeneità del prodotto turistico implica che le scelte e azioni di gestione di una
destinazione siano competenza di un decisore collettivo (privato, consorzio di privati o ente pubblico), che è il soggetto
che fa politica economica. La politica economica – anche applicata al turismo – può seguire 2 strade per determinare il
tipo di intervento che possa condurre l’economia verso gli obiettivi desiderati: disegnare un modello ad hoc che
permetta di decidere quali interventi adottare, oppure copiare la politica degli altri (che hanno avuto successo).
a) Disegnare un modello ad hoc: occorre avere un modello di riferimento, che viene generalmente individuato
attraverso un’analisi SWOT che posiziona la destinazione rispetto ai concorrenti e rispetto al contesto globale. In
secondo luogo, bisogna indentificare gli obiettivi condivisi della destinazione (a partire da quelli dei vari
stakeholders), poi bisogna attribuire i ruoli (decisivi/decisionali: advisor, decision-maker; attuativi, mettono in

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pratica le decisioni e monitorarne gli effetti: policy-maker, monitor). In Italia è poco presente il monitoraggio, ma è
estremamente importante per imparare dalla propria esperienza.
b) Copiare la politica degli altri (benchmarking sul TALC), ovviamente si copiano destinazioni di successo e che siano
simili alla nostra. Ci sono 3 modalità:
- Benefit transfer: copiare le preferenze di un progetto d’intervento (similarità “puntuale”), supponendo che le loro
preferenze valgano anche per la nostra destinazione.
- Lesson drawing: copiare le condizioni di un’evoluzione (dissomiglianza), immaginare di percorre la stessa
“evoluzione” di una destinazione, ovviamente deve avere una situazione di partenza simile alla nostra.
- Policy transfer: individuare e copiare le azioni di successo di una destinazione (somiglianza “globale”).

IL TURISTA COME CONSUMATORE – Capitolo 4


Analisi dei processi di scelta di beni e servizi domandati [dal consumatore] per soddisfare il bisogno di turismo. Ci sono 3
categorie di beni acquistabili dal turista:
- Beni e servizi del prodotto turistico;
- Beni e servizi del consumo turistico [nel senso del consumo in occasione del turismo, ma di per sé non sono
necessariamente legati al turismo];
- Beni per investimenti turistici [beni di consumo durevole].
→ per la prima e la terza categoria c’è necessità di una teoria del turista-consumatore.
Dal punto di vista del comportamento dobbiamo distinguere il turista che acquista un prodotto turistico confezionato
da quello che si autoproduce la vacanza [acquista i singoli beni/servizi e compone da sé il proprio prodotto turistico]. Le
variabili fondamentali nella scelta:
- Le preferenze per il turismo [rispetto ad altri beni o fra i vari tipi di turismo → funzione di utilità o di benessere del
consumatore];
- Il reddito del turista [fonda il concetto di vincolo di bilancio];
- Il prezzo relativo del turismo [rispetto al prezzo di altri beni e/o rispetto ad altri tipi di turismo/prodotti turistici].
L’acquisto del prodotto turistico. Abbiamo già introdotto la Matrice Π del prodotto turistico, dove ogni riga identifica un
paniere turistico (un tipo di turismo). Possiamo identificare un vettore che comprende tutti i vari tipi di vacanza:
il vettore Ti = T1, T2, …, Tm identifica il paniere i-mo delle diverse tipologie di vacanza composto dai beni xi, con i = 1, 2,
…, n. La località r(i) = 1, 2, 3, …, Ri identifica quella destinazione in cui la tipologia di turismo Ti è presente.
Ri rappresenta il numero di regioni dove il paniere turistico Ti è presente. → Un paniere non è indipendente dalla
destinazione, perché uno stesso tipo di turismo può essere svolto in più di una destinazione [anche se non in tutte].
Questo paniere avrà le varie quantità misurate in termini di “consumo in una giornata di vacanza”, per ogni paniere
sappiamo che esiste un numero di destinazioni che offrono questo paniere (R), e quindi l’indice a ogni tipo di turismo
possiamo associare due elementi:
- Il vettore Ti che comprende i beni e servizi di un giorno di vacanza, secondo quella tipologia (ci dice come è
composto il prodotto turistico);
- Lo scalare r(i) che individua il numero di destinazioni in cui questa vacanza è possibile.
Quando il consumatore deve scegliere una vacanza, la scelta del tipo di turismo obbliga a scegliere fra un numero
limitato di destinazioni che lo offrono.
Il prezzo del prodotto turistico. I beni e servizi che compongono il paniere turistico hanno prezzi inclusi nel vettore
(→ P = prezzi dei singoli beni/servizi). Il vettore dei prezzi è in realtà un vettore dei prezzi
con indice r, ovvero una dimensione geografica, perciò i prezzi sono specifici delle
destinazioni. Il prezzo ha due indici: il prezzo del paniere del prodotto turistico i nella località r, che indichiamo con vi,r,
è dato dal valore in moneta dei beni e servizi necessari per un giorno di quella vacanza [i indica il prezzo del prodotto
turistico di tipo i, r è il prezzo di quel prodotto turistico in una determinata destinazione r].
→ Moltiplichiamo la quantità di ogni bene/servizio per il prezzo di quel bene/servizio
in quella destinazione, per poi sommare tutti i valori e ottenere il prezzo. Bisogna
però moltiplicare anche per cr, ovvero il tasso di cambio, perché i prezzi qui misurati
sono i prezzi nella località di
destinazione, mentre vi,r è il prezzo
nella località di origine del turista.

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Con la coppia (Ti, vi,r) abbiamo una descrizione economica completa di un prodotto turistico in una
località turistica. → Avendo il tipo di turismo e il suo prezzo, abbiamo descritto il prodotto che il turista
deve scegliere (gamma delle scelte).
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L’analisi aggregata del paniere turistico. Non siamo interessati a trattare il prezzo del singolo bene/servizio ma ci
interessa l’analisi aggregata del paniere turistico. Si possono svolgere 3 possibili analisi:

1. Ricerca di vi, il prezzo medio del turismo i tra diverse destinazioni, questo significa che partendo dai prezzi delle
varie destinazioni dobbiamo fare la media (es. il prezzo medio giornaliero di una vacanza balneare → media prezzi
di tutte le destinazioni che offrono turismo balneare);
2. Ricerca di vr, il prezzo medio dei diversi turismi offerti dalla destinazione r, prezzo medio giornaliero dei vari
prodotti turistici offerti dalla stessa destinazione (es. prezzo medio di un giorno di vacanza sulla costa romagnola);
3. Ricerca di vm, il prezzo del turismo, media dei prezzi dei diversi turismi offerti dalle diverse destinazioni (il generico
prezzo medio di un giorno di vacanza, ad esempio per confrontare il consumo turistico con il consumo non
turistico).
Cosa intendiamo per prezzo medio? Ci sono due possibilità di aggregazione:
- Media semplice (aritmetica) dei prezzi giornalieri dei turismi regionali. Ad esempio, nel caso 1, abbiamo il prezzo
del turismo balneare a Rimini, Portofino, Forte dei Marmi, ecc. e facciamo media aritmetica per trovare il prezzo
medio del turismo balneare.
- Media ponderata degli stessi prezzi, assumendo come variabile di ponderazione le presenze. Perché ponderarla?
Perché non è detto che sia corretto dare la stessa importanza a tutte le destinazioni/tipi di turismo. Esempio: se
vogliamo calcolare il prezzo medio dei vari tipi di turismo offerti da Rimini (turismo culturale, balneare,
congressuale), facendo una media aritmetica supponiamo che abbiano tutti la stessa importanza, ma non è così,
allora si fa una media ponderata in base alle presenze (quindi se il turismo balneare a Rimini ha più presenze di
quello culturale allora incide di più nella media).
L’analisi strutturale del prodotto turistico. Un altro tipo di analisi è l’analisi strutturale del paniere turistico. Fino ad ora
abbiamo ragionato ipotizzando che le quantità presenti in un prodotto turistico siano presenti in quantità fissa, ma non
è necessariamente vero, perché le quantità domandate di ogni singolo bene/servizio che compone il paniere turistico
dipende dai prezzi. → Il paniere dei beni è considerato come una lista di beni indipendenti e ciò che succede riguardo a
uno non influenza gli altri. In realtà questo non è necessariamente vero perché esistono i beni sostituti, complementari
etc. Possiamo quindi analizzare i diversi beni e servizi che compongono il paniere turistico, che possono essere in
relazioni di:
1. Sostituzione;
2. Complementarietà;
3. Ordinamento lessicografico.
1. Nei beni sostituti, dati certi prezzi dei beni, la loro combinazione ha
un certo punto di ottimo di massima soddisfazione. Variando il prezzo
di un bene, il turista utilizzerà maggiormente un altro bene che cala di
prezzo. Si tratta di beni/servizi che possono essere scambiati fra loro
(riducendo la quantità di un bene e aumentando la quantità di un
altro) senza andare a modificare la soddisfazione del turista. Per
esempio, possiamo scambiare i pranzi in pizzeria e i pranzi in
ristorante. Generalmente il turista sceglie una combinazione che gli minimizza la spesa (a pari soddisfazione), quindi
possiamo analizzare cosa accade se cambiano i prezzi (es. turista riduce consumo del bene diventato più caro e
compensa con un maggiore consumo dell’altro bene, tenendo costante la soddisfazione).
→ NON TUTTI I BENI/SERVIZI POSSONO ESSERE SOSTITUITI (non possiamo compensare l’aumento dei prezzi degli
alberghi mangiando più pizze), in questi casi non vale la relazione di sostituzione.
2. Nei beni complementari, se aumenta il prezzo di uno diminuisce anche la domanda per l’altro anche se il suo prezzo
non cambia. Sono beni acquisibili solo in un rapporto fisso fra di loro (es. in una giornata di vacanza abbiamo 1
pernottamento e 3 pasti, la condizione di efficienza qua è che se aumenta il prezzo del pernottamento – e diminuiamo i
giorni di vacanza – significa che faremo anche meno pasti).
3. Ordinamento lessicografico per beni e servizi: un bene è preferito ad altri a prescindere dal suo prezzo, deve essere
sempre presente nel prodotto turistico. Se il bene/servizio non dovesse essere presente, la vacanza di quel tipo in
quella destinazione non verrà scelta (non è presente sul mercato). Un esempio può essere il pernottamento.
Individuare questi beni primari significa quali sono i servizi per accogliere un nuovo tipo di turismo.

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Le scelte del turista-consumatore. Passiamo ad analizzare il processo di scelta del turista-consumatore. Contesto: Il
turismo, come tutti gli altri beni e servizi, contribuisce alla soddisfazione del consumatore. Il suo obiettivo è quello di
massimizzare il suo benessere. Il turismo inoltre, come gli altri beni e servizi, è costoso ed è quindi in competizione (con
gli altri beni) per l’uso del reddito della capacità dei consumatori. Anche i vari tipi di turismo sono in competizione fra
loro. Problema: la spesa del consumatore.
Come definiamo la funzione di utilità del turista-consumatore? Dobbiamo ricordarci che il turista-consumatore è anche
un consumatore di altri beni oltre al turismo, quindi il suo obiettivo è massimizzare la sua utilità/il suo benessere
complessivamente.
L’utilità del turista-consumatore può essere genericamente indicata tramite la seguente funzione:
→ il consumatore trae utilità (U) dal consumo di
beni non turistici (x) e dal consumo di beni turistici,
misurati in giornate di presenza (P).
I beni non turistici sono un certo numero (n), mentre nel caso del consumo turistico abbiamo diverse opzioni:
PT = quanto il consumatore va in vacanza (quantità complessiva di turismo domandato); Pi = presenze di un tipo di
turismo in luoghi diversi; Pi,r = presenze di un tipo di turismo in una destinazione.
Proprietà: la derivata prima è > 0, ovvero più aumenta il consumo di uno di questi beni/servizi, più aumenta l’utilità del
consumatore, e la derivata seconda è < 0, man mano che aumenta il consumo di un bene, l’aumento dell’utilità diventa
sempre minore [il pallino nero nella funzione rappresenta sinteticamente tutti i beni/servizi].
Una funzione di utilità di questo genere è difficilmente gestibile e molto complessa da analizzare, per questo motivo vi è
l’esigenza di ipotesi semplificatrici del modello:
1. Vale il teorema dell’aggregazione (Hicks e Leontief, 1936)
Possiamo conglobare tutti gli n beni non turistici che non ci interessa analizzare specificamente in una merce
composita, senza che questo cambi il senso della nostra analisi.
Aggreghiamo tutti i beni non turistico in un'unica misura. Tuttavia, i beni
non sono eterogenei fra loro, quindi l’unico modo per sommarli e creare
la merce composita è aggregarli sulla base di un’unità di misura comune, ovvero il loro valore espresso dai prezzi di
mercato. Moltiplico quantità dei beni per il loro prezzo, poi li sommo e ottengo la quantità di consumo non turistico.
M rappresenta la moneta destinata dal nostro soggetto ai consumi diversi dal turismo.
2. Le preferenze sono separabili.
Il consumatore di fronte a un processo complesso, nel suo processo decisionale, cerca di semplificarlo. Come?
Dividendo i beni in gruppi. All’interno di questi gruppi ci sono delle preferenze del consumatore che governano la sua
scelta, ma le preferenze in un gruppo non influiscono sugli altri gruppi. Le preferenze tra beni dello stesso gruppo non
sono influenzate da preferenze per beni di altri gruppi.
Applicando le due ipotesi semplificatrici, la funzione di utilità può quindi essere riscritta nella seguente forma
equivalente:
È riscritta come un’aggregazione di 3 funzioni di
utilità: la prima ha come argomenti due soli beni,
M (massa composita) e P (presenze complessive di turismo); la seconda comprende tanti beni quanti sono i diversi tipi
di turismo che il turista-consumatore deciderà di consumare; la terza comprende le scelte del consumatore sulle
destinazioni. Questa suddivisione in tre ci permette di immaginare come il turista decide quante giornate di vacanza
fare, come e dove in tre diversi stadi (U, u°, u^). Perciò l’utilità che si massimizza nel primo stadio, non influenza le altre
due (e viceversa). Possiamo quindi risolvere il problema del turista-consumatore in tre stadi:

• Primo stadio, scelta di quanto spendere per turismo, cioè decidere come spendere il suo reddito fra vacanza e altri
consumi (non turistici); in base al suo reddito e in base ai prezzi del generico bene M e del bene P, sceglierà quindi
una quantità ottimale di entrambe. Da questo punto di vista massimizziamo l’utilità. Se non avessimo vincoli
potremmo avere una quantità infinita di entrambi i beni, ma abbiamo il reddito è limitato e quindi il vincolo di
bilancio comprende reddito, prezzi e quantità. Il reddito (Y) non può essere inferiore alla spesa totale (M+P), quindi
vmP + MC </= Y. [vm = prezzo medio turismo, P = giornate di vacanza, MC moneta spesa dal consumatore per altri
consumi].
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• Secondo stadio, scelta di come spendere la quota di reddito destinata al turismo, cioè come spendere fra i vari tipi
di turismi. Non analizziamo più M (beni non turistici), qui la distinzione è fra i vari tipi di turismo. Ad esempio:
quanti giorni di turismo balneare, quanti giorni di turismo culturale, ecc. Come? L’obiettivo è sempre massimizzare
l’utilità. Il livello ottimale di presenze (P*) nei vari prodotti turistici ha dei vincoli: la spesa totale in turismo
(prestabilita), i prezzi dei vari tipi di turismo, e la quantità di giornate di vacanza (stabilita nel primo stadio). Mtur =
vmP [P = P1 + P2, presenze nel tipo di turismo 1 e 2; Mtur = vincolo spesa tot in turismo].
• Terzo stadio, scelta di dove spendere il reddito destinato alle varie tipologie di turismo. Bisogna scegliere la
destinazione, in base alle preferenze personali, ma anche dai prezzi di tutte le località. In questo terzo stadio, il
nostro vincolo è perciò rappresentato dalla nostra decisione (nel secondo stadio) di quanto spendere in un
determinato tipo di turismo (P1).
In ogni stadio abbiamo una scelta da fare e dei vincoli, le scelte fatte in uno stadio si trasformano nei vincoli dello stadio
successivo. Questa scelta è corretta ad una condizione, ossia che siano corrette le informazioni di cui dispone il turista
(e che determinano le sue scelte). Qui c’è
un problema, ovvero il fatto che siano
corretti i prezzi in base ai quali il
consumatore fa le sue scelte nei vari
stadi.
I prezzi dei vari tipi di turismo sono delle
medie dei prezzi delle varie destinazioni,
ponderati secondo le presenze.
C’è un problema, ovvero che noi prendiamo il prezzo come dato per definire le presenze [ma in realtà questi prezzi li
possiamo ricavare solo dopo aver svolto il terzo stadio] → contraddizione. Ciò che è dato presuppone che ci sia già la
soluzione allo stadio successivo. Perciò i 3 stadi non sono sequenziali ma simultanei. La teoria ha ragionato su una
soluzione: è possibile avere una soluzione coerente ragionando a ritroso → partiamo dal terzo stadio, poi passiamo al
secondo e poi al primo.
L’acquisto di un viaggio. Abbiamo visto come dati i prezzi si sceglie quanti giorni di vacanza fare, qui invece dati i prezzi e
i giorni [già prestabiliti] si sceglie se acquistare o meno il prodotto turistico. Si tratta del prodotto turistico tutto
compreso, di destinazione e durata fissata, ad un dato prezzo. Anche in questo caso il consumatore deve massimizzare
la sua utilità, tenendo conto del proprio reddito (Y) e del consumo del pacchetto (T) → T avrà valore 0 se non acquista il
pacchetto e 1 se invece lo acquista. Se il turista acquista il pacchetto deve pagare e quindi avrà meno reddito a
disposizione per i consumi non turistici. La scelta del turista-consumatore è quindi: max U = U(Y, T) con T = 0 oppure 1 a
seconda dell’acquisto o no del tour.
- Acquista: gode del viaggio ma paga il prezzo → U = U(Y – v, 1)
- Non acquista: moneta da dedicare ad altri consumi → U = U(Y, 0)
La questione è l’utilità complessiva, dipende da quanto è costoso il pacchetto in rapporto alle preferenze del
consumatore (per il turismo e il consumo non turistico). Per ogni consumatore esiste un prezzo v* dove l’utilità delle
due scelte è uguale, e perciò il consumatore è indifferente → Condizione di indifferenza: U(Y – v*) = U(Y, 0) dove v* è il
prezzo di riserva e misura il reddito al quale l’individuo è disposto a rinunciare per diventare viaggatore.
- Se v* ≥ v, il viaggio viene acquistato; [dove v è il prezzo di mercato del pacchetto]
- Se v* < v, il viaggio viene rifiutato.
Naturalmente v* dipende dalla specificazione della funzione di utilità e dal livello di reddito dell’individuo. Il prezzo di
riserva è un costo-opportunità.
Il turista autoproduttore. In questo caso il turista produce da sé la vacanza acquistando direttamente i fattori xi che
fanno parte dell’esperienza complessiva di ricreazione T. Il soggetto in questo caso è sia produttore che consumatore →
modello di autoconsumo. È un modello valido in generale per il turista (perché tutti possono autoprodursi la propria
vacanza), ma è particolarmente valido per gli escursionisti (che non pernottano). Applicazione del modello economico
della household production function. Ci sono due casi possibili:
1. Nel primo di ipotizza l’autoproduzione di un prodotto turistico che non esiste sul mercato (non-market good), in
questo caso il consumatore sarebbe disposto a comprare un pacchetto turistico sul mercato, ma non lo trova,
perciò è costretto ad autoprodurlo.
2. Nel secondo il turista deve decidere se autoprodurre piuttosto che ricorrere all’acquisto di un prodotto turistico
che comunque esiste già sul mercato. Deve capire quale delle due gli conviene. È la stessa scelta che si fa nelle
imprese scegliendo se produrre da sé qualcosa o esternalizzare, comprando da fornitori esterni → make or buy.
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1. NON-MARKET GOOD:
Turista come produttore. Autoprodurre qualcosa costa. Nel caso del turista il costo può essere il tempo che deve
dedicare all’autoproduzione. Produrre la vacanza costa tempo L → P = k(Q)L
Le presenze sono in funzione di k, ovvero la produttività e abilità del turista nel lavoro, nel prodursi la vacanza. Questo
fattore k dipende a sua volta da Q, che è l’informazione. Più il turista è informato, più sarà rapido nel produrre la
vacanza, sprecando meno L (tempo).
Il costo dipende innanzitutto dal costo di una giornata di vacanza e da quanti giorni decide di soggiornare (vP), a cui va
aggiunto il tempo wL → dove w è un’ora di tempo (w è lo stesso simbolo che si usa per i salari, perché immaginiamo
che per produrre la sua vacanza ha lavorato di meno, e anche se ha autoprodotto la sua vacanza nel tempo libero, il
turista ha comunque stabilito le ore di tempo libero rispetto alle ore di lavoro). Il costo della vacanza autoprodotta i
nella destinazione r è: C = vP + wL = πP dove π rappresenta il prezzo ombra della vacanza autoprodotta. Il prezzo ombra
è dato quindi dal prezzo dei servizi e dal valore del tempo del turista.
Turista come consumatore. Il consumatore trae utilità dal consumo non turistico e dalla vacanza, il vincolo è il reddito,
perciò il consumo di beni non turistici e il consumo turistico non possono eccedere il reddito. L’utilità dipende dalla
moneta M per il consumo non turistico e dalla lunghezza della vacanza misurata dalle presenze: Max U(MC, P) = U(MC) +
U(P) → s.c. MC + πP ≤ Y. In questo caso – al posto del prezzo dei beni/servizi – abbiamo messo il prezzo ombra πP, che è
più alto del prezzo dei soli beni/servizi, in quanto comprende anche il tempo. La soluzione del modello:
→ il rapporto tra l’utilità marginale di un giorno di vacanza e l’utilità
marginale di un’unità di consumo non turistico deve essere uguale al
prezzo ombra [sarebbe π/1].
Definisce una condizione che determina la lunghezza della vacanza P* e l’intensità di lavoro L* che l’individuo dedicherà
alla sua organizzazione [questo approccio ci dice che la lunghezza della vacanza autoprodotta e l’intensità di lavoro
necessaria per produrla è definita da questa condizione. Il turista dedicherà tempo a produrre la vacanza finché
dedicare più tempo a produrla gli dà più utilità rispetto a destinare quel tempo a consumare altri beni non turistici].
2. MARKET GOOD:
Scelta tra l’alternativa dell’autoproduzione della vacanza o l’acquisto di un prodotto turistico, offerto sul mercato al
prezzo v, aumentato di una percentuale di intermediazione m.
A prima vista la scelta sembrerebbe ovvia, dato che nel caso precedente abbiamo detto che π > v, in quanto considera
anche il tempo, e quindi potremmo concludere dicendo che nel caso sia presente un pacchetto turistico sul mercato
convenga comprarlo piuttosto che autoprodurre la vacanza. In realtà non è così, perché se il pacchetto esiste significa
che un intermediario (ADV o TO) ha svolto il compito di assemblare la vacanza, questo lavoro va remunerato (m).
- se π < v (1 + m), l’individuo autoproduce la vacanza
- se π > v (1 + m), l’individuo acquista la vacanza
- se π = v (1 + m), l’individuo è indifferenze fra autoproduzione e acquisto
Ciò spiega il motivo per cui - benché esistano dei pacchetti turistici - alcuni turisti si autoproducono la vacanza. Sono gli
individui che riescono a tenere basso π [hanno un k particolarmente alto e perciò consumano poco L, abilità del turista
nel prodursi la vacanza alta]. Questo spiega perché con lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, le informazioni
sono diventate molto più facili da ottenere, facendo sì che molte più persone siano in grado di autoprodurre la propria
vacanza. Inoltre, se il TO/ADV non riesce a tenere bassa la percentuale di intermediazione corre il rischio che il turista
autoproduca la vacanza, mentre se m è bassa allora sarà più difficile che i singoli turisti abbiano convenienza
nell’autoproduzione. In teoria il secondo caso dovrebbe essere il più frequente, in quanto il lavoro di assemblamento
del pacchetto viene svolto da personale specializzato, oltre al fatto che il pacchetto viene venduto a più turisti (non solo
uno), quindi il costo di produzione può essere spalmato più turisti (mentre nel caso dell’autoproduzione solo su uno).
Quindi per i pacchetti “standard” venduti a molti turisti sarà più facile che il turista acquisti il pacchetto (perché i costi
sono inferiori), mentre per i pacchetti personalizzati c’è più possibilità di autoproduzione da parte del turista. Questo
spiega perché i TO preferiscono pacchetti standardizzati.
Importante corollario al modello dell’autoproduzione: una destinazione che voglia agevolare l’autoproduzione deve
risolvere due importanti problemi:
- Tenere conto delle relazioni di sostituibilità e complementarietà dei fattori turistici di base (la destinazione deve
avere un quadro completo delle risorse richieste dal turista autoproduttore, per assicurarsi che i servizi
complementari richiesti dal turista siano tutti presenti nella destinazione, e anche che ci sia opportunità di
sostituibilità tra servizi (per tenere conto di turisti autoproduttori con diverse disponibilità di reddito);
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- Garantire la circolazione dell’informazione (più la destinazione riesce a rendere disponibili tutte le informazioni, più
sarà facile che i turisti si autoproducano la vacanza, e la destinazione non deve dipendere dagli intermediari).
L’investimento del turista. Caso in cui il turista fa un investimento, generalmente sono le imprese che fanno
investimenti (investimento = acquisto di un bene strumentale durevole), ma ci sono beni durevoli riferibili anche al
consumatore (anche il consumatore turista). Beni durevoli: beni che non esauriscono il loro uso in un solo atto di
consumo, ma continuano i loro servizi per più vacanze dello stesso tipo (come la seconda casa) o di tipi diversi (come il
camper). Essi sono acquisti tipici dell’autoproduttore, dato che un turista con seconda casa non è interessato ai
pacchetti [che comprendono anche il pernottamento]. L’esistenza di beni durevoli crea una situazione di lock-in, cioè la
convenienza del turista a continuare a fare vacanze dello stesso tipo per via del bene durevole che possiede. In questo
caso per comprendere i meccanismi e le scelte del consumatore non bisogna usare il modello standard [in cui in ogni
periodo si fanno dei consumi che obbligano a una spesa e un’utilità in quel determinato periodo], ma bisogna utilizzare
un modello intertemporale di consumo (su più periodi). Il modello più semplice prevede un orizzonte di consumo di due
periodi, t = 1, 2.
In questo caso, per massimizzare l’utilità complessiva (dei due periodi), bisogna distribuire il reddito e le spese del bene
durevole nel modo ottimale (tenendo conto anche delle preferenze). Può darsi che il massimo dell’utilità avvenga
tramite un risparmio nel primo periodo (meno consumo oggi più potrò consumare domani) oppure investendo in un
bene durevole oggi, per trarne benefici in futuro/nel secondo periodo. Il turista distribuirà la spesa nei periodi
massimizzando l’utilità non di un solo periodo alla volta, ma l’utilità complessiva.
La scelta del consumatore perciò è più complessa. Il vincolo di bilancio cambia, infatti se non ho abbastanza reddito
disponibile adesso, posso spendere ugualmente e restituire il “prestito” nel futuro.
Quando ragioniamo su un bene durevole, dobbiamo considerare il fatto che avrà un prezzo v1 e v2, rispettivamente il
prezzo di acquisto nel primo periodo e il prezzo di rivendita alla fine del secondo periodo. Per la rivendita del bene
potremmo pensare che – essendo un bene usato – il prezzo v2 sia più basso di v1, ma in realtà nelle seconde case
potrebbe anche essere maggiore (dipende da come cambia il mercato immobiliare).
Il turista determina la distribuzione ottima della spesa massimizzando una funzione di utilità intertemporale definita sui
consumi dei due periodi. L’equilibrio dipende dal prezzo d’uso (user cost o rental equivalent price) v* di bene di
consumo durevole: v* = v1 (1 + r) – v2 = (v1 – v2) + v1r.
(v1 – v2) rappresenta la variazione del valore. Il prezzo di riserva (v*) è dato dalla differenza fra prezzo di acquisto e
prezzo di rivendita, ma siccome avvengono in due periodi differenti bisogna tenere conto anche del valore del prezzo
d’acquisto a fine periodo e comprendere una “remunerazione degli interessi”. Infatti, il prezzo d’uso dipende in
maniera diretta dal tasso di interesse. Per cui, ci sono 3 ipotesi: la prima è che il prezzo sia stabile (v1 = v2), in questo
caso il prezzo di riserva è dato solo dall’interesse e quindi v* tende ad essere basso. La seconda ipotesi è se il valore cala
nel tempo, quindi se (v1 – v2) è positivo, in questo caso il prezzo d’uso è elevato (potrebbe essere quindi conveniente
l’affitto piuttosto che l’acquisto). Nella terza ipotesi (v1 – v2) è negativo, perché il valore cresce, quindi il prezzo d’uso è
basso e conseguentemente è conveniente acquistare il bene durevole.
→ Es. seconda casa o multiproprietà
Ci sono delle implicazioni importanti anche per lo sviluppo della destinazione, a seconda che questa scelga una strategia
basata sulle seconde case (favorendo gli investitori) o sugli alberghi/ricettività. Esse influenzano anche il tipo di turista
della destinazione, che avrà ricadute differenti sullo sviluppo della destinazione e sull’impatto economico del turismo.
Infatti, le seconde case generano meno posti di lavoro nella località, in quanto non lavora il settore ricettivo, e spesso
ha ricadute anche nel settore commerciale (es. comprano beni di consumo nel luogo di origine e li portano nella
destinazione). La destinazione può comunque avere interesse nelle seconde case, ad esempio se sono costruite su
terreni locali, da aziende locali, vendute da locali, che porta ad un importante guadagno immediato. La destinazione
può quindi decidere se avere guadagno immediato con le seconde case, oppure avere un flusso di redditi continui nel
tempo basato sulla ricettività.
Esempio del camper, le peculiarità di questo tipo di investimento: per beni di questo tipo è assai remota l’ipotesi che il
prezzo di vendita dell’usato possa essere uguale o perfino superare quello nuovo d’acquisto (perché il prezzo è “basso”,
confronto ad una casa), inoltre, questi beni sono sottoposti ad un sensibile deterioramento (d) per l’uso.
Il prezzo d’uso del camper, v+, può essere indicato nel modo seguente:
v+ = v1(1 + r) – v2(1 – d) = (v1 – v2) + v1r + v2d
v+ > 0, quindi si escludono valori nulli o negativi dell’user cost. La formula tiene conto di: v1r = fondo iniziale; v2d =
deterioramento; (v1 – v2) = perdita di valore del bene → tiene conto esplicitamente di un tasso di deperimento d
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computato rispetto allo stock. In questo caso, v1 – v2 è positivo, il prezzo d’uso è elevato e di conseguenza si ha un
minore incentivo ad acquistare questo bene durevole (rispetto invece ad una seconda casa).
Le specificità dei beni durevoli
- L’atto d’acquisto è separato dall’atto di consumo (del bene);
- La decisione di acquisto è un vincolo per i comportamenti futuri;
- Il fenomeno delle speculazioni: il momento dell’acquisto è influenzato dalle nostre aspettative sul prezzo (sia di
acquisto che di rivendita e quindi anticipare/posticipare gli acquisti per tener conto dei benefici user cost)
- La decisione dipende dalle aspettative future anche perché è più costoso di un acquisto di un bene non durevole.
- Dato che il bene è durevole, rischia che alcune sue caratteristiche diventino obsolete (se compaiono nuovi beni
tecnologicamente più avanzati, es. crisi nel mercato degli uffici in seguito alla rivoluzione informatica, uffici costruiti
e progettati prima di essa non vanno più bene).
- Interdipendenza di mercato di beni nuovi – beni usati (posso rivendere il bene usato ad un prezzo v2 ha
un’influenza sul nuovo (v1) e quindi quello nuovo può essere prodotto in minori volumi se c’è un ampio stock di
beni usati ad un prezzo inferiore ma con prestazioni ancora alte. Invece, se la perdita di prezzo è limitata ci può
essere convivenza.
- Importanti asimmetrie informative.
APPROFONDIMENTI DELLA TEORIA DEL TURISTA CONSUMATORE – Capitolo 5
Quattro approfondimenti della teoria:
1. Il tempo nel consumo del prodotto turistico
1. Il tempo nel consumo del prodotto turistico;
2. Le caratteristiche del prodotto turistico; Il tempo si divide fra lavoro e tempo libero. Il nostro tempo
3. Modelli con preferenze endogene; è limitato, dobbiamo decidere come ripartirlo per
4. Modelli con informazione incompleta. massimizzare il nostro benessere. Se lavoro non c’è utilità,
ma reddito per comprare beni. Nelle attività non lavorative
invece usiamo i beni che con il lavoro possiamo comprare.
Il tempo libero è anche tempo dell’attività turistica. Se lavoriamo, stipuliamo un contratto di lavoro con chi ci paga. Il
contratto non è detto che si limiti a definire la quantità di ore lavorative e il salario, ma anche quando si lavora: non
usiamo liberamente il nostro tempo per fare turismo, lo facciamo all’interno dei vincoli del contratto. Tra i limiti c’è
anche la durata massima delle ferie, durante le quali ci asteniamo dal lavoro ma veniamo pagati. → scelta trade-off fra
lavoro e tempo libero. Ci sono due ipotesi di scelta:
- La durata delle ferie è una variabile decisionale → il tempo delle ferie coincide con quello della vacanza (es.
lavoratore autonomo);
- La durata delle ferie è stabilita a livello contrattuale → il tempo delle ferie può non coincidere con quello della
vacanza (vincolo monetario), es. lavoratore dipendente.
Primo caso: la durata delle ferie è una cariabile decisionale
Questo tipo di decisione corrisponde al primo stadio della scelta del consumatore, il problema diventa:
il consumatore massimizza la sua
utilità che viene da spesa di M
(consumo non turistico) e P (turistici).
Questa massimizzazione è soggetta a
un vincolo (di bilancio): il turista ha un
limite di reddito e la sua spesa
complessiva (s.c.) non può eccederlo.
Infatti, s.c. è data da beni di consumo
non turistico M + spesa di consumi
turistici, dati dal prezzo di una giornata
di vacanza vm per il numero di
presenze P. Il reddito è ottenuto
tramite il lavoro wL e da R (ricchezza,
reddito che non dipende dal lavoro).
Vi è un secondo vincolo (di tempo) → L = A – PT , ovvero, la quantità di lavoro è uguale alla quantità di tempo totale A,
meno la quantità di vacanza P T [giornate di lavoro + giornate di vacanza devono essere uguali a L, le giornate totali]. Per
arrivare alla condizione di ottimo possiamo sostituire al posto di L l’espressione A – PT → l’utilità al margine data da una
giornata di vacanza deve avere un valore che corrisponde non solo alla spesa per quella giornata di vacanza vm, ma

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anche al salario w (perché ogni giornata di vacanza significa una in meno di lavoro).
Quando aumenta il salario (la remunerazione del nostro tempo di lavoro) w abbiamo due effetti che tendono a
contrastarsi l’uno con l’altro: da un lato l’effetto ricchezza, se il salario giornaliero aumenta, l’utilità marginale della
moneta aggiuntiva diminuisce, quindi abbiamo una tendenza a pensare di lavorare di meno. Poiché l’utilità marginale
della moneta è minore abbiamo minore incentivo a lavorare gli stessi giorni di prima. Quindi potremmo essere
incentivati a lavorare meno e fare più vacanza. D’altro canto, c’è l’effetto di sostituzione, perché ogni giornata di
vacanza è diventata più costosa (perché aumenta w). → L’effetto totale su quante giornate di vacanza faremo (PT* =
livello ottimo di giornate di vacanza) è incerto e dipende dalle preferenze del turista (per un aumento del costo-
opportunità del tempo libero). Esempio: a parità di reddito Y, Tizio ha alto w e basso R, mentre Caio ha basso w e alto R,
Caio è più incentivato all’effetto sostituzione, mentre Tizio all’effetto ricchezza, in quanto le sue giornate di vacanza
costano più di quelle di Caio.
Secondo caso: la durata delle ferie è istituzionale = F°
il consumatore ha un
obiettivo di massimizzazione
dell’utilità rispetto a variabili
di cui può scegliere le
presenze P (in questo caso si
prendono in considerazione
due destinazioni Pi1 e Pi2,
della stessa tipologia di
turismo, terzo stadio). La
spesa complessiva non può
eccedere la somma di
denaro che abbiamo
destinato a questo tipo di
turismo Mi. Abbiamo due
vincoli: segmenti retti = BB’
è il mio budget, mentre FF’ i
giorni di vacanza. Ho F° giorni di ferie, posso usarli tutti nella vacanza nella destinazione 1 e zero in 2 e viceversa,
oppure posso usarli nelle combinazioni intermedie. Ogni giorno in più di ferie in 1 è uno in meno in 2. Dobbiamo
tracciare le curve di indifferenza per le preferenze che abbiamo. Ci sono tre possibili soluzioni, a seconda delle
preferenze del consumatore. Le prime due sono le più frequenti. Grafico: sull’asse delle x abbiamo le giornate di
vacanza nella destinazione 1, mentre nell’asse y, le giornate di vacanza nella destinazione 2. La destinazione 2 è meno
costosa della destinazione 1, perché possiamo vedere che il numero massimo delle giornate di vacanza che possiamo
fare nella destinazione 1 è minore rispetto a quello della destinazione 2. La prima soluzione è il punto E’: il punto si
trova sul vincolo di bilancio FF’, ma non si trova sul vincolo BB’ (ma sotto), perciò significa che non si spende tutto il
budget a disposizione (Mi). La seconda soluzione è rappresentata dal punto E’’, che si trova sul vincolo BB’ ma non su
FF’, perciò significa che si utilizza tutto Mi, ma non tutto il tempo F° a disposizione delle ferie.
Il punto E è un caso limite, eccezionale: si usa tutta la moneta e anche tutto il tempo. Nei primi due casi i lavoratori
dipendenti sono insoddisfatti (perché non riescono a massimizzare a causa dei vincoli). Se otteniamo un nuovo
contratto dove:
• Abbiamo più ferie → il nostro vincolo FF’ si sposta verso l’alto.
- CASO I: può fare più vacanze entrando nel vincolo di bilancio
- CASO II: aumentano i giorni di ferie ma non cambia niente perché le persone che appartenevano a questo gruppo
erano vincolate dal budget e se esso non aumenta non aumentano nemmeno i giorni di ferie.
- CASO III: se aumentano le ferie, queste persone sono vincolate dal budget = soluzione ottimale, non useranno
tutte le ferie aggiuntive concesse.
• Aumenta il nostro salario→ la situazione è rovesciata. Più reddito comporta che chi inizialmente non ne aveva
abbastanza spende più soldi per il turismo, mentre chi era vincolato dai giorni di ferie non può usare questo reddito
in più per fare turismo (perché non ha i giorni di ferie).
2. Le caratteristiche del prodotto turistico
La teoria tradizionale non spiega in maniera soddisfacente:
- L’introduzione di un nuovo prodotto turistico (come mai compaiono nuovi prodotti turistici?);
- La presenza di turismi strettamente sostituti (tra di loro, anche se la loro composizione interna è differente).

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Si usa un modello diverso da quello tradizionale, il Modello di Lancaster (1971): il turista ha presenze per le
caratteristiche (qualità intrinseche delle vacanze) e non per i turismi. La sua idea è che i consumatori non hanno
preferenze per i prodotti, ma sono determinate qualità
intrinseche di questi prodotti che interessano al consumatore,
in quanto sono queste ultime a procurargli utilità, benessere
Possiamo considerare i prodotti turistici come dei panieri di
qualità. Esempi di qualità intrinseche: relax, conoscere gente, presenza di un’attività particolare (es. bungee jumping),
ecc. Il problema diviene quindi scegliere le vacanze in modo da ottimizzare la combinazione di caratteristiche (qualità
intrinseche) → scegliamo la vacanza che ha il mix migliore delle qualità intrinseche che necessitiamo.
Ipotesi sulle caratteristiche:
- Sono osservabili (quindi guardando
una destinazione riesco a capire che
qualità offre) e misurabili
oggettivamente;
- Sono lineari nella quantità del bene
(= due giornate di vacanza
rappresentano il doppio delle
quantità di qualità intrinseche
ottenute in una giornata sola);
- Sono additive (cioè che possiamo
sommare una quantità in vari tipi di
vacanza: es. relax vacanza 1 + relax
vacanza 2).
→ a1 e a2 rappresentano le due caratteristiche, le preferenze del consumatore sono rappresentate dalle curve di
indifferenza, mentre G1 e G2 sono la rappresentazione di due prodotti turistici. In G1, per ogni giornata di vacanza
abbiamo una quantità alta della caratteristica a1 mentre una quantità inferiore di a2. Viceversa in G2.
Problema risolvibile in due stadi:
- Scelta efficiente dei turismi: dato il vincolo di bilancio A1A2 (che è il reddito), in A1 spendo tutto il mio reddito nelle
giornate di vacanza G1, mentre in A2 in G2.
- Scelta del paniere ottimale: non sono obbligato a fare vacanze solo di un tipo, nei punti intermedi del vincolo di
bilancio (fra A1 e A2), utilizzo tutto il mio reddito, ma diviso fra i prodotti G1 e G2. Ad esempio, il punto Ad, nel quale
abbiamo una quantità di giorni di vacanza in G1 rappresentata dal punto A3, ed una quantità di giorni di vacanza nel
prodotto G2, in A4. In questo caso anche le caratteristiche/qualità intrinseche a1 e a2 sono simili, abbiamo la
quantità di a1 e a2 che massimizza la nostra utilità.
Perché i tipi di vacanza sono solo G1 e G2? Non può esserci anche G3? Ci sarebbe un prodotto turistico G3, che passa dal
punto Ad e quindi massimizza l’utilità del consumatore in una vacanza sola. Ma se c’è domanda per questo tipo di
vacanza, come mai non esiste sul mercato? Il modello di Lancaster serve all’analisi e alla comprensione della persistenza
del mercato dei prodotti esistenti e del successo di mercato dei prodotti nuovi.
Infatti:
• Se aumentiamo il reddito ΔY e quindi la spesa per il turismo ΔMtur (traslazione del vincolo di bilancio A1A2),
aumentano le quantità vendute di entrambi i prodotti (ΔA3 e ΔA4);
• Se mutano i prezzi relativi Δv1 e Δv2 (rotazione del vincolo di bilancio), cala la domanda di un prodotto a beneficio
dell’altro (al limite, con il vincolo a inclinazione positiva, il primo va fuori mercato e scompare);
• Se si introduce un nuovo prodotto con caratteristiche intermedie fra due preesistenti (nuovo vettore G 3), le
combinazioni acquistate dai consumatori cambiano oppure no a seconda del prezzo del nuovo prodotto v 3:
confronto fra i nuovi vincoli di bilancio A1A3 e A3A2 e il vincolo preesistente A1A2: se concavità verso l’origine, il
nuovo si afferma.
Es. G3 è la combinazione intermedia che il mercato non offre, quindi un imprenditore potrebbe offrire un nuovo tipo di
vacanza che passa per quel punto. Il consumatore potrebbe rinunciare a questa combinazione a causa del vincolo di
bilancio, cioè del prezzo. Se il vincolo di bilancio è al di sopra delle preferenze, scegliendo G3 possiamo acquistare una
maggiore quantità di caratteristiche (→ è meno costosa, la sceglieremo). Se invece il vincolo è al di sotto, G 3 allora costa
troppo e anche se esiste sceglierò una combinazione diversa di G1 e G2. Ciò spiega come certi tipi di turismo falliscono, a
causa del prezzo troppo elevato (anche se è un prodotto nuovo e massimizzerebbe l’utilità).

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Nei modelli standard economici, le preferenze sono tendenzialmente esogene, ovvero date dall’esterno del modello
interpretativo e si suppone che non cambino nel tempo. Possiamo anche ipotizzare che cambino e fare confronti fra
scelte con preferenze vecchie e nuove. Sono esogene per due ragioni:
o Le preferenze dei consumatori sono determinate da ragioni psicologiche e sociologiche, quindi sono spiegate da
altre discipline e l’economia le prende come dati.
o Ragione politica, etica, filosofica: se sapessimo come si determinano le preferenze, sapremmo anche come si
potrebbero modificare e in questo modo lo Stato potrebbe influenzare i propri cittadini, limitando la loro libertà.
Per il turismo, ci sono una serie di comportamenti che non riusciamo a spiegare se le preferenze sono esogene, quindi
dobbiamo fare un’ipotesi diversa, ovvero che le preferenze siano endogene.
3. Le preferenze endogene
Sono le motivazioni del consumo. Quando trattiamo le scelte del consumatore, le sue preferenze sono considerate un
dato esogeno, cioè esterno al modello [economico]. L’analisi economica non sia in grado di spiegare come vengono
formate le preferenze, inoltre, dal punto di vista filosofico, le preferenze sono strettamente legate alla libertà
dell’individuo, perciò un’analisi economica
potrebbe significare controllarle e quindi limitarne
la libertà. Di conseguenza, nell’analisi economica si
parte dalle preferenze (che sono un dato esterno)
e si arriva ai fatti economici. Le preferenze non
sono un dato fisso, ma mutano sia nel tempo che
nello spazio [es. in luoghi diversi le preferenze sono diverse, in tempi di versi cambiano le preferenze]. Se le preferenze
mutano, diventano endogene (interne al modello), quindi la relazione fra preferenze e fatti economici diventa reciproca
(e non più unilaterale) → anche i fatti economici possono influenzare le preferenze, creando una relazione di feedback
(o retroazione). Le preferenze del consumatore possono mutare in modo permanente e non reversibile. Questa teoria
delle preferenze endogene è utile in quanto riesce a spiegare dei comportamenti che con il modello esogeno (tipico
degli economisti) non possono essere spiegate, ad esempio:
- Co-determinazione dei comportamenti d’acquisto [cioè studiare le preferenze e i vincoli insieme anziché
separatamente];
- Molteplicità e incompatibilità [delle preferenze, inammissibile nella teoria tradizionale che esclude l’ambivalenza];
- Preferenze come processo e come risultato [l’azione in sé – nella teoria tradizionale – non viene considerata fonte
di utilità, mentre ci possono essere dei casi in cui l’utilità deriva anche dall’azione in sé: es. shopping, utilità non
deriva solo dai prodotti comprati ma anche dal fatto stesso dell’esperienza; preparazione della vacanza, il
consumatore può trarre soddisfazione nell’organizzare la vacanza; il viaggio inteso come trasporto, in certi casi può
procurare soddisfazione];
- Preferenza nel mutare le preferenze [cambiare le preferenze diventa un obiettivo, es. processo di preparazione a
esperienze di turismo culturale in paesi esotici, ed essere disposti a fare esperienze che normalmente non si
farebbero, come mangiare cibi strani che normalmente si rifiuterebbero];
- Importanza di fattori socio-culturali [nella determinazione delle preferenze individuali, ad esempio il ruolo degli
opinion leader, degli influencer, pubblicità persuasive, mode, ecc.].
Tutto ciò ci spinge alla costruzione di una metodologia socio-economica (mista), in cui le preferenze si modificano
perché l’immagine della vacanza muta secondo gli stadi dell’esperienza. Le preferenze endogene sono anche quello che
motiva a fare analisi dei turisti a seconda delle loro caratteristiche perché cambiano le loro preferenze nel tempo per le
preferenze della vita.
Le motivazioni del consumo. Per tradizione l’economia considerava le preferenze come un dato → la letteratura sulle
motivazioni è quindi non-economica, e segue:
A. Modelli psicologici (Plog, 1974) → sottolineano i valori soggettivi (propensione al rischio, personalità, ecc):
- turisti psico-centrici (interessati al proprio benessere personale, prudenti, abitudinari: qualità come affidabilità)
- turisti allo-centrici (cambiamento, audaci, innovativi, propensione al rischio: qualità come unicità).
B. Modelli sociologici (McIntosh, 1995) → dove le preferenze sono influenzate da valori culturali:
- relazioni inter-personali (gruppo di riferimento, tendenzialmente omogeneo),
- relazioni inter-gruppo (status).
Mettendo insieme questi due modelli possiamo identificare le determinanti socio-psicologiche del turismo, da un lato le
scelte di STILE di vita (mobilità, istruzione, ecc.) e dall’altro le questioni del CICLO di vita delle persone (chiamato da Shih
nel 1986 “età domestica”), es. differenze fra essere famiglia con figli piccoli, coppia senza figli, giovane indipendente,
pensionati, ecc. → Possiamo segmentare la domanda turistica (turismo per pensionati, per giovani, ecc.), l’offerta può
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essere spinta a creare degli specifici prodotti turistici per ogni segmento della domanda.
Nella costruzione di una metodologia socio-economica ci sono diversi aspetti:
a. Preferenza per la formazione di abitudini, quindi turisti psico-centrici.
b. Ritorno delle preferenze per i turismi, c’è una sorta di incoerenza temporale fra le preferenze dei turismi.
c. Rammarico per le alternative, non conta solo l’utilità dell’esperienza, ma anche l’importanza delle rinunce con
utilità negativa.
d. Effetto traino, di imitazione
e. Effetto snob, ricerca dell’esclusività, aspetto dello status.
f. Effetto Veblen, contrariamente alla teoria standard dove la quantità domandata è negativamente influenzata dal
prezzo, in questo caso la quantità domandata è positivamente influenzata dal prezzo per ragioni di ostentazione dei
propri consumi. Anche in questo caso è presente l’aspetto di status.
4. L’informazione nelle scelte del turista → ipotesi di informazione incompleta
Fino ad ora abbiamo immaginato che il turista e il fornitore di prodotti abbiano informazioni complete sulle alternative
di scelta, sulle qualità e sui prezzi delle alternative. Le scelte - fino ad ora - erano determinate solo dai prezzi, dalle
preferenze soggettive e dal reddito. Ora ipotizziamo che l’informazione non sia completa, in cui il turista non ha tutte le
informazioni di cui necessiterebbe per fare una scelta ottimale. Otteniamo dei casi di incertezza.
Tipologia, possiamo avere 3 tipi di incompletezza/incertezza:
➢ Incertezza tecnologica, non conosciamo a fondo il prodotto che ci viene offerto (non conosciamo la sua qualità)
➢ Incertezza di mercato, non abbiamo una profonda conoscenza sui prezzi
➢ Incertezza delle alternative, non conosciamo l’intera gamma di prodotti disponibili tra cui scegliere
Tipo di ricerca, dati i tre tipi di incertezza, ricaviamo anche i tre tipi di ricerca di informazioni, ovvero:
➢ Sul prezzo
➢ Sulla qualità
➢ Con cascate informative
Effetti
➢ Mutamento di decisioni prese, introdurre le incertezze porta a cambiare le decisioni del consumatore (ottimali) e le
nuove scelte saranno sub-ottimali.
➢ Spesa in informazione, se l’informazione non è completa e quindi cerchiamo più informazioni per fare una scelta
che ci produce maggiore utilità, questo comporta una spesa (in informazione), dedicando una parte di risorse non
al consumo di beni ma semplicemente all’informarci. Questa spesa può essere il tempo, ma anche risorse
economiche. È un costo da aggiungere alla nostra valutazione di benefici e costi: è vero che provoca più costi, ma
anche più benefici. “Vale la pena quindi raccogliere informazioni? Non è magari meglio accontentarsi di una
soluzione che abbiamo già?”
Ricerca dell’informazione, abbiamo due diversi momenti di ricerca:
➢ Ricerca “a distanza”, ci dobbiamo immaginare nella fase di anticipazione, decidiamo sulla vacanza e raccogliamo
informazioni (prima della vacanza);
➢ Ricerca “sul posto", al momento dell’inizio della vacanza (ha già deciso ed è già sul posto).
Analizziamo le scelte del consumatore quanto l’informazione è incompleta:
La ricerca sul prezzo. Incompletezza delle informazioni riguardo ai prezzi disponibili sul mercato. In questo primo caso,
la gamma di prodotti disponibili e la qualità sono noti, certi. L’unica incertezza è il prezzo. Si tratta del processo di
ricerca del prezzo migliore per un prodotto di qualità
omogenea. Abbiamo due diversi tipi di processi di ricerca: il
processo simultaneo, si acquista tutta la quantità di
informazione “ottimale” in una sola occasione. La variabile
decisionale è quindi la “quantità di informazione ottimale”
(n*). Questo tipo è più frequente nella ricerca a distanza,
perché normalmente vogliamo avere tutta l’informazione
prima di decidere. Nel processo sequenziale, il consumatore
acquista un’unità di informazione alla volta, ne valuta l’utilità e
dopodiché decide se acquistarne un’altra o meno. In questo
caso la variabile decisionale è il prezzo di riserva (p*), es. se

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acquistando l’informazione sul prezzo di un particolare fornitore, scopriamo che il prezzo che ci viene proposto è
inferiore al prezzo di riserva [= il prezzo massimo che siamo disposti a pagare], ci riteniamo soddisfatti e non cerchiamo
altre informazioni. In caso contrario, cerchiamo altre informazioni in quanto non siamo disposti ad acquistare da questo
fornitore. Questo tipo è più frequente nella ricerca sul posto (nella destinazione). Il problema è capire quale sarà
l’ammontare ottimo di informazione che il consumatore necessita. Raccogliere tutta l’informazione disponibile sarebbe
molto costoso (tempo, economicamente) e non sarebbe utile, perché non è detto che ci servano informazioni su tutti i
fornitori.
Bisogna analizzare i costi e i benefici della ricerca delle informazioni: il beneficio è conoscere una maggior quantità di
prezzi per scegliere il prezzo più basso, ma è costoso. Si continua finché benefici > costi. Per far ciò, si deve ricercare
una stopping rule, una regola che ci dice quando arrestare la ricerca di informazioni, che nel caso del processo di ricerca
simultaneo si ha quando abbiamo trovato la quantità di informazioni ottimale sui prezzi (n*), mentre nel caso del
processo di ricerca sequenziale riguarda il prezzo di riserva (p*).
La ricerca simultanea sul prezzo
B’= benefici marginali
C’ = costi marginali
Caso di un pernottamento solo, una volta sola.
Conosciamo la gamma completa e sappiamo che
hanno tutti la stessa qualità, ma i prezzi sono diversi
(ma non li conosciamo), però conosciamo la
distribuzione dei prezzi. Esempio: i prezzi sono solo
due, 200€ e 300€, sappiamo che la vi è una probabilità
uniforme (q1) di 0,5 (50% degli hotel costano 200€,
l’altro 50% 300€). Il costo di ricerca dell’informazione è
crescente con il numero k di sondaggi. Quindi il costo
per un’informazione è positivo, e al crescere del
numero di informazioni è sempre maggiore.
Supponiamo di avere 100 hotel, su quanti hotel dobbiamo ricercare informazioni? Cercare informazioni su tutti è inutile
(dato che il costo è positivo), per essere sicuri di averne almeno uno con prezzo 200, dobbiamo averne almeno 51. I
prezzi degli hotel sono oggettivi, mentre il costo (C) delle informazioni è diverso da turista a turista, è soggettivo e
individuale. Turisti diversi faranno scelte diverse riguardo alla quantità di informazioni che ricercheranno. Tabella:
numero dei sondaggi (k), probabilità che nei sondaggi esca hotel con prezzo 300€ e 200€, prezzo atteso (media
ponderata dei due prezzi, ponderata con le probabilità che si verifichino). Il beneficio marginale si basa sui prezzi, sul
risparmio di spesa = variazione del prezzo atteso all’aumentare dei sondaggi. Il beneficio marginale è decrescente,
mentre il costo marginale è crescente (ma soggettivo). Messo a fronte del beneficio totale, ogni nuovo sondaggio costa
di più di quello precedente: avremo benefici sempre minori e costi sempre maggiori, ci sarà un punto in cui avremo
costi > benefici.
Esempio con 2 sondaggi → ci sono 4 casi: tutte e due costosi, tutti e due bassi, uno alto e uno basso, uno basso e uno
alto. In 3 casi su 4 almeno uno ha prezzo basso. Facendo la media ponderata abbiamo un E(p) di 225€, che rispetto ai
250€ di un sondaggio solo, ci portano un beneficio marginale di 25€. La condizione di ottimo è quanto il beneficio
marginale è uguale al costo marginale. Nella tabella non abbiamo la colonna del costo marginale perché è soggettivo,
dipende dal consumatore. Il caso esaminato vale solo per vacanze brevi (1 pernottamento), svolte una tantum. Ora
analizziamo altri due casi più complessi [sempre per la ricerca simultanea di prezzo].
Caso A: Tipico di chi fa una vacanza per
esempio di una settimana. In questo caso c’è
un solo arrivo ma più presenze. Il beneficio
di avere più informazioni vale per ciascun
giorno in cui ci fermiamo a pernottare,
quindi la ricerca di informazioni porta
benefici che valgono molto di più.
Tabella: nella prima riga ci sono la quantità di
sondaggi k, il beneficio della ricerca è più
alto e la condizione di ottimo è: B’(k) = C’(k) / P, dove B’ è il beneficio marginale, C’ il costo dell’azione di ricerca e P il
numero di presenze. Si può anche scrivere come B’x P = v (prezzo). Più è lunga la vacanza, più conviene che la nostra
ricerca di informazioni si approfondita. In conclusione, coloro che fanno una vacanza più breve possono accettare il
rischio di finire in un albergo più caro, per una vacanza più lunga invece ci informiamo di più.
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Caso B: in questo caso, ogni tot torno


nella stessa destinazione.
- 1° vacanza, raccolta di informazioni.
- 2° vacanza, una parte di informazioni è
ancora valida dopo la prima volta che le
ho raccolte, il costo di ricerca è più
basso, c’è solo il beneficio. In realtà col
passare del tempo le informazioni si
deteriorano: quanto valide restano le informazioni nel tempo? Indichiamo con Øt l’insieme delle informazioni che il
turista possiede al tempo t. Nel caso della ripetizione degli arrivi, diviene cruciale l’ipotesi che si formula sulla
correlazione fra l’informazione raccolta nel primo viaggio e quella presente al ritorno nella destinazione. Ci sono tre
ipotesi:
• Se la correlazione = 0 → la correlazione di informazioni è zero, servono tutte informazioni nuove e torniamo quindi
al primo caso: si ripete la ricerca.
• Se la correlazione = 1 → le informazioni sono esattamente le stesse, il modello è identico al secondo. Se sappiamo
prima che le informazioni sono le stesse, si raccoglieranno più informazioni dall’inizio perché si sa già che saranno
più valide perché torneranno utili.
• Se la correlazione > 0 → le informazioni in parte si sovrappongono, la situazione è intermedia tra le precedenti:
dobbiamo raccogliere nuove informazioni aggiuntive.
Conclusioni del modello di ricerca simultanea: se la vacanza è più lunga, maggiori sono le informazioni dobbiamo
raccogliere. Più le informazioni del passato valgono per il futuro, maggior quantità conviene raccogliere dall’inizio.
La ricerca sequenziale sul prezzo
Non sappiamo se il prezzo di riserva (somma
massima che siamo disposti a pagare) è più alto o
più basso dell’albergo che stiamo sondando.
→ Se è più alto quell’albergo allora va bene,
altrimenti si prosegue.
Il prezzo atteso dipende dal prezzo di riserva, ma
anche il costo di ricerca dipende dal prezzo di
riserva. Un prezzo di riserva basso porterà a
dedicare più tempo alla ricerca, però ci sarà un
punto in cui non conviene più perché anche i costi
di ricerca aumentano. Se Pr (prezzo riserva) =
Pmax (prezzo massimo), ogni albergo va bene. Se
Pr < Pmin, non troveremo alcun albergo.
Conclusioni del modello di ricerca sequenziale: il
prezzo atteso, cioè il costo del pernottamento è dato dal costo della ricerca + il prezzo dell’albergo. Il costo della ricerca
è inversamente proporzionale al prezzo di riserva, il prezzo atteso invece è direttamente proporzionale al prezzo di
riserva. Se la vacanza è più lunga, conviene abbassare il prezzo di riserva, più è bassa infatti, più il beneficio si ripeterà
per tante notti. Allo stesso tempo più lunga è la vacanza, maggiore sarà la ricerca e maggiori anche i costi di ricerca.
Bisogna trovare il punto ottimale. Dato che il prezzo di riserva diminuisce se aumenta la durata della vacanza, più
aumentano i giorni di vacanza (e il beneficio che otteniamo si moltiplica per i giorni della vacanza), aumenta il valore del
risparmio. Conseguentemente, più è lunga la vacanza, più siamo incentivati a cercare l’hotel meno costoso. Rifacendoci
all’esempio precedente degli hotel a 200€ e 300€ (a notte), scegliere quello a 200€ ci consente – per una vacanza di una
settimana – di risparmiare 700€.
La ricerca sulla qualità. È un altro tipo di incertezza, l’incertezza sulla qualità. Bisogna introdurre la distinzione fra
turismo come search good o turismo come experience good. Il turismo è considerato bene di ricerca, quando non
essendo nota la qualità, può però essere accertata prima dell’acquisto (tipico dei singoli servizi, possiamo informarci
sulla qualità alberghiera o del ristorante, es. TripAdvisor). D’altra parte, considerando il turismo come experience good,
la qualità è accertabile solo dopo l’acquisto, solo facendo esperienza del bene → tipico del turismo come bene
complesso (tutta la vacanza, non il bene singolo).

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Search good: con caratteristiche osservabili


dal consumatore prima dell’acquisto.
In questo caso la qualità è accertabile prima
della vacanza, è definita da informazioni
oggettive. Non conosciamo la qualità dei
singoli hotel, ma conosciamo la
distribuzione della qualità negli hotel e
abbiamo due livelli: qualità alta e qualità
bassa. Il prezzo è lo stesso per tutti gli hotel.
Nel caso precedente il beneficio della
massimizzazione era oggettivo, ma in
questo caso l’informazione non è completa
e anche se le misure della qualità le
scopriamo prima, ognuno reagirà ad esse
soggettivamente. Ne deriva una regola
generale ricavabile, ma non la certezza del
beneficio. Esempio: prezzo 200€ per tutti gli alberghi, ma alcuni di qualità alta e alcuni di qualità bassa. La probabilità
uniforme è 0,5 (50%). In questo caso la qualità possiamo conoscerla informandoci (search good): cerchiamo un hotel su
TripAdvisor e abbiamo una probabilità del 50% sia di alta qualità e viceversa. Immaginiamo che l’utilità per un hotel di
qualità alta sia 100, mentre per la qualità bassa sia 50, quindi cercando solo un hotel abbiamo un’utilità di 75. Man
mano che aumentano i sondaggi aumentano le probabilità di trovare hotel di qualità alta, e aumenta l’utilità attesa. Il
beneficio marginale è decrescente, il costo marginale è crescente. Continueremo a ricercare informazioni finche il B’ ≥
C’. La differenza è che - negli esempi precedenti - il beneficio era oggettivo mentre era soggettivo solo il costo, in
questo caso entrambi sono soggettivi, ognuno di noi ha una sua utilità oggettiva (percezione personale della qualità).
Turisti differenti fanno scelte differenti.
Experience good: con caratteristiche che possono
essere conosciute solo attraverso il consumo.
Qui la ricerca è più costosa rispetto al search good, se la
ricerca è inferiore allora mediamente la qualità
sperimentata sarà minore. Quando la qualità si
sperimenta sul campo, ottenendo un certo grado di
soddisfazione si tende a non fare ulteriori cambiamenti
per non correre il rischio di rimanere insoddisfatti da
una nuova vacanza. Il costo marginale è maggiore,
perché corrisponde alla differenza tra la miglior scelta
possibile [in termini di qualità] in base all’esperienza
che abbiamo già acquisito e l’utilità di una scelta
casuale di qualità ignota. Se vado in una delle località
dove ho già fatto vacanza, ho già le informazioni
necessarie riguardo la qualità. Se invece vado in una destinazione dove non sono mai stato, faccio una scelta casuale e
non conosco il livello di utilità. Se U° si rivela un’esperienza deludente, abbiamo perso utilità che avremmo auto se
fossimo andati in una destinazione già conosciuta. C’è il rischio di rovinarsi le ferie, ed è questo il vero costo (alto).
La ricerca in questo caso è molto più costosa (perché equivale all’esperienza). La quantità ottima di ricerca è inferiore
(proprio perché costa di più). Inoltre, maggiore è la quantità di esperienze passate che abbiamo fatto, minore è
l’incentivo a fare ulteriori esperienze. Questo che cosa significa per le imprese? Trovare un modo di far conoscere al
turista la qualità prima dell’acquisto. Se siamo albergatori ad alta / bassa qualità, è conveniente in ogni caso rendere
meno costosa la nostra informazione (informazione sul singolo servizio, non sull’intera vacanza). Dato che la ricerca di
informazioni è costosa, ci sono dei mezzi sul mercato che le forniranno, come intermediari e portali. Anche in questo
caso c’è competizione tra destinazioni, portali e TO. Il singolo turista deve raccogliere le informazioni disponibili dal lato
dell’offerta.

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Le cascate informative
Terzo modo di trattare la ricerca sulla qualità
(oltre a search/experience good). Fino ad ora
abbiamo pensato che ogni turista si informa
per conto proprio, rivolgendosi al fornitore
del servizio o all’intermediario. I turisti
possono ricevere informazioni da altri turisti.
Siccome la ricerca di informazioni è costosa, il
consumatore cerca alcune strategie: una di
queste è il fatto di poter raccogliere
informazioni da parte di altri turisti →
interazione tra turisti. Non si tratta qui di
acquistare informazioni, ma ogni turista
potrebbe ottenere informazioni sulla qualità
osservando il comportamento degli altri.
I due set di informazioni sono: le informazioni
precedentemente acquisite (quindi
dall’experience good), che però possono rivelarsi incorrette; e l’osservazione delle scelte effettuate dagli altri turisti (e
l’imitazione di queste), in questo caso il turista crede che le sue scelte siano sbagliate e che gli altri abbiano informazioni
migliori delle proprie. In questo caso, il turista può ridurre il costo delle informazioni, evitando di informarsi e basandosi
sulle esperienze altrui. Esempio: vado per la prima volta in una destinazione turistica e voglio andare in un ristorante
dove si mangia bene, non so quale sia. Se sto un mese cambio ristorante ogni sera e capisco quali siano i migliori, ma
allo stesso tempo rischio di mangiare anche in ristoranti scadenti. Potrei evitare le esperienze negative osservando gli
altri turisti. Se mi trovo davanti a due ristoranti, uno vuoto e uno pieno con la gente in coda per entrare, penso che
quello vuoto sia scadente, mentre l’altro sia ottimo, dato che la gente è disposta ad aspettare in coda piuttosto che
andare nel ristorante vuoto. Questo meccanismo si trova in tanti altri contesti economici, ad esempio, le ondate “di
panico” in borsa si basano su questo (“tutti stanno vendendo le proprie azioni, le vendo anche io”). Come funziona
questo meccanismo? Ci sono due ristoranti con stesso menù e stesso prezzo, cambia solo la qualità (uno alta, l’altro
bassa, ma non sappiamo quale). I turisti scelgono in sequenza, c’è probabilità che si formi una cascata informativa [e
quindi i turisti scelgano in base a chi ha scelto prima di loro] che può essere corretta o no, ma può anche non formarsi
una cascata informativa. Il primo turista arriva ed ha una probabilità del 50% di scegliere fra qualità alta o bassa. Fa una
scelta casuale. Il secondo turista ha l’informazione sulla scelta del primo turista, quindi c’è una probabilità del 75% che il
turista concluda che gli conviene andare nel ristorante dove è andato il primo turista. Il terzo turista vede due turisti in
un ristorante e l’altro vuoto, perciò la probabilità che anch’egli vada nel loro ristorante aumenta sempre di più, e tutti
vanno nello stesso ristorante. Ma non sappiamo effettivamente se la cascata informativa sia corretta o no. Se tutti
avessero scelto individualmente la probabilità che la scelta fosse corretta sarebbe stata del 50%, ma così facendo
(basandosi sulla scelta degli altri), le probabilità che sia corretta è la metà della probabilità della cascata informativa [es.
2 turisti, 0,75/2 = 0,375], e perciò sarà in ogni caso inferiore al 50% (della scelta individuale). La cascata informativa non
è un buon meccanismo né per i turisti, né per le imprese turistiche: per i turisti, considerando che il primo turista ha
scelto a caso, può non aver fatto la scelta migliore. Inoltre, non si utilizzano altre fonti di informazione (in quanto più
costose rispetto a “osservare” gli altri), se oltre a vedere la coda avessimo guardato anche le recensioni su TripAdvisor o
ascoltato le opinioni di chi è uscito dal ristorante, avremmo avuto più informazioni per fare una scelta ottimale.
È inefficiente anche per le imprese, es. una sera tutti vanno in un ristorante, ma la sera prima magari è successo
l’opposto, il che porta ad una maggiore aleatorietà del profitto (perché la cascata informativa, essendo casuale all’inizio,
non è stabile), questo è un problema perché i costi non sono aleatori, quindi i ristoratori sono incentivati a non investire
nella qualità → le imprese sono avverse al rischio (che non amano) e questo le porterà ad investire di meno nella
qualità per non andare in perdita. Se la cascata informativa è pluri-giornaliera, continueremo ad andare in quel
ristorante rispetto all’altro anche nei giorni successivi, il noi di oggi si basa quindi sul noi di ieri e gli altri ieri. C’è quindi il
rischio che un ristorante sia sempre pieno e l’altro mai, così l’incentivo ad investire sulla qualità sarà ancora minore. In
che cosa le imprese investono allora? L’importante è attirare i primi clienti, ciò non c’entra con la qualità ma ha a che
fare con strategie comunque costose: non dicono niente sulla qualità, ma fanno partire una cascata informativa
favorevole.

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La ricerca sulle alternative: la scelta direzionale


Per il modello di Georgescu-Roegen, l’idea è che un
consumatore ha solo preferenze “locali”, che valgono
solo per vacanze che conosce. Ogni volta che il
consumatore fa una vacanza diversa, espande le sue
conoscenze perché per scegliere quella destinazione si
è informato su altre destinazioni. In questo processo, la
mia esperienza di vacanza iniziale mi fa conoscere
anche le sue alternative, ovvero le destinazioni “vicine”
ad essa per qualche elemento. Cambiando vacanza
quindi conosciamo un insieme di vacanze diverso.
Visione ottimistica: continui spostamenti ci porteranno
alla vacanza in assoluto migliore per noi, ma ci
arriveremo a lungo termine, non subito.
Visione realistica: arriveremo alla vacanza migliore?
Non lo sappiamo, possiamo arrivare a una soluzione stabile oppure no, se non è stabile vuol dire che siamo insoddisfatti
e continueremo la ricerca. Slide: L’insieme a è l’insieme delle alternative esistenti. Esso rappresenta il modello
tradizionale, dove il turista conosce tutte le alternative disponibili (in grigio). In questo caso, conoscendo perfettamente
tutte le alternative, riesce a scegliere quella che massimizza la sua utilità (EA). Nell’insieme b, è rappresentato il modello
di Georgescu-Roegen, dove abbiamo tutto l’insieme delle alternative possibili, ma nell’area bianca ci sono le alternative
che il consumatore non conosce. Il consumatore conosce le alternative della prima area grigia (primo cerchio), ovvero le
alternative “vicine” al punto ES che è la sua prima esperienza di vacanza. Per questo motivo, il consumatore è in grado
di esprimere preferenze solo sulle alternative conosciute (primo cerchio grigio). Successivamente, può anche cambiare
scelta e quindi cambiare spazio, arrivando a conoscere altre alternative (secondo cerchio grigio), e così via. Perciò, ogni
nuova esperienza porta una maggiore o minore soddisfazione rispetto alle esperienze passate, ma le preferenze sono
esprimibili solo sulle alternative vicine (nel tempo o nello spazio) alle esperienze fatte. Il problema non è più quello di
scegliere la scelta razionalmente ottima (EA nel modello tradizionale), ma è come muovermi verso la vacanza che più mi
soddisfa. Ipotizziamo che la vacanza che più mi soddisfa siano le Seychelles, non è detto che il mio percorso graduale mi
porti alle Seychelles ma, ad esempio, arrivo in un punto dove tutte le alternative che conosco mi sembrano inferiori
rispetto all’ultima. Quindi confermo la mia scelta [ottimo locale, sub-ottimale] e non vado più avanti nel mio percorso
graduale, e non arriverò mai alle Seychelles. Perciò, questo processo non ci garantisce che arriveremo alla destinazione
ottimale per noi, che sceglieremmo se fossimo a conoscenza di tutte le alternative possibili. Può anche essere che il
turista torni gradualmente indietro, in un processo circolare (perché magari sono esperienze antiche, che non ricorda),
es. da terzo cerchio, torna al secondo per poi tornare al primo, da cui non rimarrà soddisfatto, e allora si risposterà di
nuovo nel secondo e poi nel terzo.
LA PRODUZIONE TURISTICA – Capitolo 6
Aspetti da analizzare:
➢ Tassonomia della produzione turistica
- come sono fatti i mercati? A pronti, a termine e contingenti
- differenza tra search good ed experience good dal punto di vista della produzione
➢ Mercati o imprese (gerarchia), rapporto tra mercati e imprese.
➢ Produzione e commercializzazione della vacanza organizzata
L’organizzazione di ogni industria si situa endogenamente tra due estremi:
- relazioni prevalentemente esterne che passano attraverso il mercato
- relazioni internalizzate attraverso la creazione di imprese
➢ La stagionalità nel turismo
- la stagionalità nella produzione turistica
- il problema economico della stagionalità
➢ La tecnologia nel turismo

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Tassonomia della produzione turistica


Tassonomia = disciplina che si occupa della
classificazione gerarchica, studio della teoria e
delle regole di classificazione; classificazione delle
frequenze e delle loro possibili combinazioni.

Se c’è un mercato c’è anche una merce. Ma qual è la


merce scambiata? La merce è il prodotto turistico.
Normalmente abbiamo 1 aspetto essenziale, ovvero
dobbiamo descrivere fisicamente la merce (nel caso di
beni intangibili abbiamo una descrizione del servizio).
Nel caso del prodotto turistico con descrizione fisica si
intende la descrizione di tutti i beni e servizi compresi. Tuttavia, in alcuni casi la descrizione fisica può non essere
sufficiente, ovvero quando sono presenti tre particolarità che sono rilevanti nello stabilire il funzionamento del
mercato. Queste particolarità hanno a che fare con 3 aspetti [tutti e tre particolarmente rilevanti nel caso del prodotto
turistico]. Il primo aspetto è l’ubicazione o localizzazione della merce, importante nel caso del prodotto turistico, che
viene offerto in varie destinazioni in concorrenza fra loro. Il secondo aspetto è il tempo, la data di consegna. Nel
modello standard generalmente vi è l’immediata consegna della merce dopo la transazione. In realtà, è possibile che la
data di consegna sia posticipata rispetto alla transazione/stipula del contratto. Ciò determina dei mercati futuri, dove la
consegna del servizio è successiva. È ciò che accade quando si prenota una vacanza. Il terzo aspetto è lo stato di natura:
le condizioni dello scambio della merce e la trattazione possono dipendere dal contesto più ampio in cui le parti si
trovano. Questi possibili “contesti alternativi” sono chiamati stati di natura, e le condizioni alla quale la transazione può
aver luogo possono cambiare a seconda dello stato di natura che si verificherà al momento della fruizione del servizio.
Questo dà luogo a mercati contingenti (= mercati il cui funzionamento è condizionato dal verificarsi di particolari
eventi/stati di natura). Si parla di un sistema completo di merci, quando i beni o servizi sono descritti da tutte e quattro
queste caratteristiche. A questo punto, la quantità di merce (x) non ha più solo gli indici i e j (tipo di turismo e
destinazione), ha anche R (destinazione), T (tempo consegna), e S (stato di natura). Il valore della x cambia ogni volta
che cambia uno di questi elementi.
Lo stato di natura. Concetto che sta alla base dei mercati contingenti. Esiste un vettore [una serie] di variabili ambientali
e = [e1, e2, … ez] in cui si svolge la transazione e l’atto di consumo del bene turistico. Questa “lista” di variabili è un
vettore. Ciascuna di queste variabili può assumere solo un numero finito di valori (sono variabili discrete), e questi valori
possono essere quantitativi o anche qualitativi [la maggior parte sono indicatori qualitativi che non sempre si possono
tradurre in un indicatore quantitativo]. La singola variabile eh può assumere un insieme di valori, definito come Eh, per h
= 1, 2, …, z. Esempio: per la vacanza è rilevante la temperatura media a cui si svolgerà, immaginiamo che questa
temperatura possa andare da 5° a 40°. In questo caso e1 rappresenta la temperatura media, mentre E1 indica l’insieme
di valori da 5 a 40, quindi l’insieme dei valori della temperatura possibili. Questo vale per ogni singola variabile:
temperatura, ore di sole, millimetri di pioggia, ecc.
→ Definizione: uno stato di natura, s, è una specifica combinazione delle variabili del vettore ambientale e. Il numero di
stati di natura possibili è S.
Gli stati di natura devono essere: esaustivi (cioè abbiamo immaginato tutte le possibili situazioni ambientali che si
potrebbero verificare), mutualmente escludenti (cioè se si realizza uno di questi stati di natura non si può realizzare
nessuno degli altri - S), fuori dal controllo del turista (e neanche dall’offerta, il turista non può influenzare gli stati di
natura tramite le sue scelte). Ad esempio, il grado di affollamento non è una variabile ambientale perché dipende dalle
scelte dei turisti. Il prezzo del biglietto di trasporto pubblico locale non è una variabile ambientale, in quanto non è
controllabile dal turista, ma è controllata da soggetti dell’offerta nella destinazione.
Dal punto di vista pratico, il numero di stati di natura possibili (S) diventa particolarmente elevato se l’elenco delle
variabili ambientali è numeroso [es. se abbiamo 3 variabili ambientali, e ognuna di esse ha 3 valori, abbiamo 27 stati di
natura possibili], perciò cerchiamo di non comprendere tutte le variabili ambientali, ma soltanto quelle che hanno un
forte impatto sulle decisioni del turista (es. nel caso della temperatura, non mi interessa distinguere dove ci sono 4° e
dove ce ne sono 5°, ha senso dividere in “fasce di temperatura”, come: sotto i 10°, tra 10° e 20°, più di 20°,
semplificando la variabile ambientale temperatura in soli 3 valori).
Bisogna considerare il prodotto turistico come prodotti turistici differenti quando si realizza in stati di natura differenti.
Quindi il numero di prodotti turistici aumenta.
Il turista deve scegliere anche a livello intertemporale e in condizioni d’incertezza.

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Tassonomia dei mercati, distinguiamo 3 tipi di mercati:


1. Mercati a spot o mercati a pronti, se si scambiano merci disponibili immediatamente (di pronta consegna); se
c’è contestualità tra determinazione del prezzo e disponibilità della prestazione. In questo caso prezzo e
prestazione vanno insieme, esempio: vado al bar, ordino un caffè, pago e lo bevo. Sono i mercati della teoria
standard, e in questo caso gli stati di natura non sono rilevanti, perché non c’è incertezza riguardo al contesto
in cui si svolge la transazione (perché il consumo avviene subito).
2. Mercati futuri (o a termine), se si scambiano merci riferite a date future (es prenotazione): non c’è
contestualità tra determinazione del prezzo e disponibilità della prestazione. Dissociazione tra prezzo (oggi) e
prestazione (domani). È molto diffuso nel caso del turismo. Es. il contesto di godimento può cambiare (nel
tempo fra pagamento ed effettivo consumo), quindi l’utilità che il consumatore ricava può essere diversa da
quella che si aspettava (deve tenerne conto quando acquista, ma anche il venditore ad esempio prevedendo
delle forme contrattuali particolari).
3. Mercati contingenti, se si scambiano merci connesse allo stato di natura che si verifica al momento dello
scambio (es. contratto di assicurazione: ci sarà la prestazione se si verifica un evento avverso).
Tassonomia dei beni secondo la qualità:
- Search good, attributi del bene riconoscibili prima del suo consumo.
- Experience good, attributi del bene riconoscibili dopo il suo consumo.
- Credence good, attributi del bene non riconoscibili neanche dopo il consumo. Es: gran parte dei servizi
professionali fa parte di questa categoria → una persona si ammala, va dal medico, gli prescrive qualcosa e
guarisce. Un’altra persona si ammala, va dal medico, gli prescrive qualcosa ma non guarisce. Nel primo caso
era il medico bravo e nel secondo no, oppure ci sono altre motivazioni dietro la riuscita o no di una cura? Per il
turismo questa categoria dei credence good non è applicabile.
→ Il prodotto turistico contiene in prevalenza beni del tipo experience good (in quanto generalmente il turista non può
accertare prima dell’esperienza la qualità del viaggio) scambiati su mercati futuri (perché generalm- ente acquista –
“prenota” – il prodotto prima di consumarlo).
Relazioni di mercato o creazione d’impresa. In un’economia di mercato esistono due sistemi di organizzazione della
produzione:
1. Il mercato (compravendite): relazioni economiche governate in maniera decentrata dal meccanismo informativo
dei prezzi. C’è libertà, non autorità. Si è liberi di entrare in relazione con qualcuno e stipulare un accordo. Si basa su
scelte volontarie.
2. L’autorità (l’impresa): trasferimento di un soggetto economico ad un altro soggetto di una parte del proprio
insieme di scelta. C’è qualcuno che dice agli altri cosa fare. In questo caso non si tratta di scelte libere, ma
concentrate in un soggetto.
→ make (impresa) or buy (mercato). Quali sono le ragioni per cui un produttore ricorre alla produzione interna
(nell’impresa) o esterna (attraverso il mercato)? L’impresa è una struttura gerarchica ordinata di risorse (classificabili in
capitale e lavoro) con lo scopo di produrre e vendere beni e servizi, ricavandone un profitto. L’impresa acquista delle
risorse, e sempre dall’impresa escono prodotti da vendere. Che cosa succede in mezzo? L’impresa è vista come una
“scatola nera”, non viene analizzato dagli economisti questo aspetto. La questione economica è: chi vende le risorse? E
chi le compra? Una visione semplificata indica che alla prima domanda (chi vende le risorse?) per la risorsa lavoro la
risposta è le famiglie. E sempre le famiglie sono coloro che comprano. In realtà però la maggior parte dei prodotti finiti
non viene costruita all’interno dell’impresa a partire dalle
materie prime, esiste un’impresa diversa che vende ad essa
delle risorse, dette beni intermedi, che servono alle imprese per
realizzare prodotti finiti. Questo vuol dire che le imprese si
situano su entrambi i mercati.
La teoria dei costi di transazione. Perché nasce un’impresa? [Perché dovremmo accettare una struttura gerarchica, che
limita la libertà, come detto in precedenza]. Diverse sono le spiegazioni offerte in letteratura (marxista, neo-
hobbesiana, organizzazione del lavoro, coordinamento, ecc.). Il modello che però sviluppiamo è quello dei costi di
transazione (Coase, 1937 e Williamson, 1981), che sono dei costi di definizione, stipula, esecuzione e controllo dei
contratti. → L’obiettivo è minimizzare la somma tra il costo di produzione e quello di transazione. Nel modello
economico standard, gli scambi sul mercato avvengono senza costi. Il momento della compravendita è privo di costi.

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Secondo Coase e Williamson, questi costi (stipulare il contratto, firmarlo, eseguirlo, controllo) non possono essere
sempre considerati trascurabili.
I costi di transazione possono essere di due tipi:
- ex-ante, costi che l’operatore incontra al momento della definizione (e stipula) del contratto;
- ex-post, costi che l’operatore incontra dopo la definizione del contratto e nel corso della sua esecuzione (e durante la
fase di controllo). Perché abbiamo i costi di transazione? Possiamo identificare sei cause principali:
1. L’asimmetria dell’informazione (se non abbiamo perfetta informazione da entrambe le parti, definire il contratto e
eseguirlo correttamente può non essere semplice, e ci possono essere dei costi da sostenere per assicurarsi di
procedere correttamente);
2. La specificità della transazione (più la transazione è specifica, più le parti hanno dei problemi nell’interagire
correttamente, perché potrebbero esserci incentivi a comportamenti predatori)
3. La durata e la frequenza delle transazioni (più le transazioni sono rare, più i meccanismi “informali” di affidabilità
non hanno valore)
4. L’incertezza e la complessità delle transazioni
5. La difficoltà di misurare i risultati (controllo sull’esecuzione del contratto, se è complicato misurare i risultati
possono esserci dei costi di transazione per riuscirci)
6. La relazione con altre transazioni (le transazioni possono essere dipendenti l’una dall’altra)
Tutte queste cause possono spingere a 2 soluzioni: ridurre i costi di transazione (costruire dei meccanismi contrattuali
che cercano di ridurre i costi di transazioni, in particolare i costi ex-post, sul controllo dell’esecuzione del contratto).
Il problema è che a volte riducendo i costi di transazione si può rendere meno efficiente la produzione (trade-off),
perché bisogna tenere conto delle ricadute che questi possano avere sulla produzione [consideriamo che l’obiettivo
generale è minimizzare i costi di transazione e i costi di produzione]. La seconda opzione può essere di eliminare i costi
di produzione evitando di passare per il mercato, internalizzando dentro l’impresa.
La produzione e la commercializzazione della vacanza
La produzione e commercializzazione della vacanza sono organizzate empiricamente in forme differenti, sia nello spazio
e nel tempo, perché le situazioni e i costi di transazione evolvono e perché sono diversi per imprese differenti (scelte
diverse delle imprese). I fornitori più importanti (anche a livello di peso sul costo totale della vacanza da parte del
turista) sono i servizi ricettivi e i vettori (trasporti), più altri fornitori. Essi possono avere relazioni di mercato
direttamente con la clientela. Nella produzione del
turismo però abbiamo anche altri soggetti: i TO
(grossisti) e le AdV (dettaglianti). Il tour operator
vende alla clientela un pacchetto che ha combinato
contattando e stringendo accordi con i fornitori. È
una transazione di mercato che però non è più
diretta, ma passa attraverso un intermediario.
Ci sono dei vantaggi nel rivolgersi agli intermediari,
in quanto hanno una specializzazione produttiva, e
l’assemblaggio che dovrebbe essere fatto dal
turista (con dei costi), viene fatto dagli intermediari
(professionisti). Quindi, i turisti hanno il vantaggio
di non doversi assemblare loro la vacanza, mentre i
fornitori hanno il vantaggio del fatto che gli
intermediari, per creare i pacchetti, si impegnano
ad acquistare dal fornitore una data quantità
minima. Questo però alza i prezzi, perché
aumentano i costi di transazione (più passaggi si fanno, più sono alti i costi di transazione). Si tratta di un trade-off. I
costi di transazione possono essere ridotti tramite operazioni di integrazione verticale, ad esempio quando il TO compra
il vettore aereo o la catena di AdV.
La stagionalità. Il turismo è un fenomeno stagionale: la stagionalità è il movimento infra-annuale, sistematico, benché
non necessariamente regolare di una variabile (nel caso del turismo la variabile sono arrivi e presenze).
La stagionalità è un problema tipico del turismo ma non solo, si può riferire anche ad alcune merci che hanno uno
specifico mercato stagionale. Per la produzione di beni materiali (es. panettone a Natale), esistono delle soluzioni
tecnologiche: si può produrre tutto l’anno e mettere in pratica dei metodi di conservazione per vendere i prodotti nel
periodo di concentrazione delle vendite. Questo discorso per il turismo non vale, è il problema tipico dei servizi.

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L’analisi degli effetti economici compiuta attraverso serie storiche (tecnica statistica): l’idea è che abbiamo una serie di
dati su una certa variabile, rilevata in diversi momenti nel tempo. Rappresentando graficamente questo concetto ci
accorgiamo che la variabile ha un andamento oscillatorio, dove le oscillazioni sono date dai cambiamenti del fenomeno
nel passare del tempo (all’interno dell’anno: giornalieri, settimanali, mensili).
P(t) = f (T; C; E; F; S; IR; U) → P(t) rappresenta le presenze nel tempo che dipendono da 7 componenti:
- T, trend / tendenza: variazioni sistematiche di lungo periodo delle presenze (dato che parliamo di lungo periodo,
probabilmente sono date da cause strutturali);
- C, ciclo: variazioni anno su anno delle presenze di breve periodo determinate dal mutamento degli indicatori
macroeconomici; abbiamo delle oscillazioni attorno al trend (non stagionale, perché non si ripete ugualmente tutti
gli anni);
→ Le prime due componenti sono le più importanti ma non spiegano tutto.
- E, eventi multiannuali periodici che implicano delle maggiori presenze turistiche (es: salone del mobile);
- S, stagionalità: oscillazioni dentro l’anno che si ripetono tendenzialmente nello stesso modo. Andamento regolare
(es. turismo balneare);
- F, festività: sono come gli eventi, però gli eventi vanno organizzati mentre le festività esistono già; il picco non è
regolare perché a volte le festività cambiano di data (es. Pasqua, i ponti, ecc.);
- IR, comportamenti irregolari: eventi del tutto imprevedibili, sono quella piccola parte di cui non riusciamo a
spiegare l’origine, es. scioperi, terrorismi, disastri naturali, ecc.
- U, irregolarità residue, mutamenti residui, noise (rumore).
Se la serie storica fosse giornaliera, dovremmo introdurre un’altra componente D, la variazione giornaliera, che spiega il
diverso comportamento delle presenze nei diversi giorni della settimana (es: effetto weekend). Ci interessa isolare e
studiare la componente S, la stagionalità.
Destinazioni diverse avranno diversi
flussi turistici, ma tendenzialmente
rispondono a uno di questi profili:
A: turismo monostagionale (es. turismo
balneare);
B: seconda stagione spalla (es. turismo
lacustre);
C: doppia stagione estiva e invernale
(es. montagna);
D: assenza di stagionalità. Nel grafico
rappresentato si tratta di una
destinazione fortemente turistica tutto
l’anno (es. Venezia, Firenze). Ma
potrebbe esserci anche l’esempio
opposto, con una destinazione non
turistica o con flussi molto deboli.
L’attività tipica di gestione della destinazione si occupa di offrire turismi con stagionalità differenti; è un’attività che
serve per non cadere nell’inefficienza.
Come misuriamo la stagionalità? Ci sono vari indici di stagionalità. Esistono sia indicatori sintetici, come:
- Tasso di stagionalità = Pmax / Pmin, indicatore più semplice, prendiamo il mese in cui le presenze sono massime e lo
rapportiamo al mese in cui sono minime. Questo indicatore crea dei problemi perché il suo livello è fortemente
influenzato dal livello delle presenze nel mese di minimo afflusso.
- Intensità della stagionalità = Pmax - Pmin, misura le cifre assolute, non più rapporto ma differenza fra presenze
massime e presenze minime. Per certi effetti sulla destinazione ciò che conta è l’eccesso di turisti che si hanno nel
periodo di picco stagionale. Esempio: caso di una località balneare piccola, super affollata in alta stagione come
Alassio, in confronto a un’altra destinazione balneare che ha lo stesso tasso di stagionalità, ma ha molti meno
turisti, come una località calabrese. Avranno lo stesso tasso di stagionalità (picco estivo), ma la località calabrese
avrà un’intensità della stagionalità inferiore rispetto ad Alassio, e quindi Alassio avrà una serie di effetti negativi
derivanti dall’affollamento che non si verificheranno nella località calabrese.
- S’ (Fattore di picco stagionale) = Pmax / Pm, rapportiamo le presenze massime alle presenze medie.

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Esistono anche degli indicatori più complessi, gli indicatori analitici, che tengono conto dell’intera distribuzione, come
gli indici di disuguaglianza di Gini, Theil, Atkinson, che considerano i 12 mesi come 12 individui con caratteristiche
diverse.
La stagionalità in una destinazione dovrebbe essere misurata rispetto a due insiemi: la stagionalità intra-stagionale (tra
le stagioni) e la stagionalità inter-stagionale (interna alle stagioni).
Le cause economiche della stagionalità: cause naturali (per esempio legate alle caratteristiche del ciclo
meterologico/solare dell’anno), date del calendario, cause istituzionali (es. ferie principalmente in estate nei Paesi
occidentali), cause sociali, eventi (ricorrenti, es. salone del mobile) → I turisti viaggiano in alta stagione perché vogliono,
perché devono o perché sono stati condizionati a farlo (cause istituzionali).

Esempio: caso della provincia di Rimini


Analizzando le presenze nei 12 mesi dell’anno, notiamo che
presenta un profilo monostagionale incentrato sull’estate.
Ci sono 2 serie: quadratini bianchi 2008, quadratini neri 2000 →
ci permette di confrontare e tratte le conclusioni che il profilo
stagionale non è cambiato, piccoli cambiamenti.
Di solito il profilo stagionale di una destinazione non si traccia
sulla base di un solo anno (che potrebbe essere un anno
anomalo), ma sulla media di vari anni.
Il tasso di stagionalità e il fattore di picco stagionale sono alti.

In questo caso sulla provincia di Caserta analizziamo un solo


anno, il 2000, ma abbiamo una distinzione fra presenze
alberghiere e extra-alberghiere, di italiani e stranieri. Il picco più
alto rappresenta le presenze complessive, dal quale si nota un
picco stagionale (agosto), ma anche una sorta di stagione spalla
(maggio, giugno).
Se confrontiamo le presenze extra-alberghiere, quelle italiane
hanno il picco ad agosto (gli italiani hanno le ferie in agosto),
mentre le presenze straniere hanno un picco (leggermente più
basso) a luglio, ma sono alte anche a giugno e agosto. Notiamo
questa differenza in cui gli stranieri non concentrano tutte le
ferie in agosto come gli italiani.
Nel settore alberghiero, le presenze non mostrano un picco.
→ Tipico caso della
città d’arte con
assenza di
stagionalità. Si può
notare che
nell’ottobre del 2003
c’è stata un’anomala
assenza di turisti,
dovuta ad un evento
imprevedibile.

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Gli effetti della stagionalità


La stagionalità ha degli effetti economici rilevanti sul turismo. I principali sono gli effetti economici sul
dimensionamento ottimo del capitale.
Se avessimo un’attività economica con un flusso di turisti
sempre uguale (no stagionalità), in ogni periodo
dell’anno avremmo sempre la stessa domanda e di
conseguenza le stesse esigenze di produzione. Es. un
ristorante in una grande città. Quando organizziamo la
produzione della nostra impresa compriamo tutte le
risorse necessarie e potremmo ingaggiare i lavoratori per
tutto l’anno. Possiamo stabilire la dimensione del locale,
come dovrà essere la cucina (quanto grande, attrezzata)
considerato che deve preparare sempre lo stesso
numero di pasti. In questo caso è più semplice gestire i
costi e anche proporre un prezzo (attraente per la domanda ma redditizio per l’impresa).
Quando vi è stagionalità significa che il flusso di clienti varia [di molto] nel corso dell’anno → Su cosa dimensioniamo
l’impresa in questo caso [quanto deve essere grande, quanto personale dobbiamo assumere, ecc.]?
Esempio slide: Siamo in una destinazione e sappiamo che i turisti arriveranno in auto. Il comune deve decidere se
costruire un parcheggio piccolo (KP) o un parcheggio grande (Kg). Questo significa che questo grande parcheggio – per il
resto dell’anno – sarà sottoutilizzato. Potremmo optare per il parcheggio piccolo (la cui realizzazione costerebbe meno),
ma nel momento di picco stagionale i turisti non sapranno dove parcheggiare [e magari decidono di non tornare o
recensire negativamente].
- I costi medi di gestione giornaliera del parcheggio dipendono dalle presenze turistiche: alti con poche presenze,
bassi con il livello ottimale, alti per i costi marginali (grafico a U, sottostante).
- Ci sono costi fissi e costi variabili diversi se costruiremo un parcheggio grande o un parcheggio piccolo.
- Siamo nel caso del turismo mono-stagionale: le presenze sono PA per l’alta stagione (con durata GA, giorni) e PB per
la bassa stagione (con durata GB), PA > PB.
- Immaginiamo che il livello di costo minimo sia lo stesso ad alta e bassa stagione.
- Il nostro obiettivo: avere presenze corrispondenti al punto medio minimo.
- GA è 1/3 e GB 2/3; GA + GB = 1 [100%, 1 anno]
- Cosa facciamo? Un parcheggio grande ma sottoutilizzato o uno piccolo ma sovrautilizzato → in entrambi i casi ci
sarà inefficienza, perché la stagionalità produce inefficienza. Bisogna calcolare l’inefficienza minore.
Nel grafico sono rappresentate le curve dei costi medi, in nero del
parcheggio piccolo (Cp) e in grigio del parcheggio grande (Cg). Entrambe
raggiungono il minimo allo stesso livello di costo (s), ma ci arrivano per
presenze differenti. Notiamo che le presenze in alta stagione minimizzano
Cg, mentre le presenze in bassa stagione minimizzano Cp.
Il problema è che non si può avere un impianto piccolo in bassa stagione
e uno grande in alta stagione. [i costi medi hanno sempre un andamento
a U, a livello intermedio sono più bassi].
→ calcolo di convenienza:
→ Costo dell’impianto piccolo in alta stagione - costo
minimo, il tutto moltiplicato per la durata dell’alta stagione
[e viceversa]. Se tra queste due differenze la prima è quella
minore, converrà l’impianto piccolo: è economicamente
inefficiente, però sarebbe più inefficiente l’impianto grande. Se invece è vero il contrario, la prima inefficienza è più
grande della seconda, conviene l’impianto grande. La scelta concreta è quindi un calcolo empirico.
La soluzione non è univoca, e dipende:
- Dalla tecnologia, che determina l’andamento delle curve di costo (Cp e Cg)
- Dall’intensità della stagionalità, cioè dalla differenza tra le presenze di alta e di bassa stagione (P A e PB)
- Dalla lunghezza della stagione (GA e GB), es. se GA > GB, allora potrebbe convenire l’impianto Kp
- Dal prezzo vigente in alta stagione (e più in generale, dall’elasticità della domanda rispetto al prezzo)

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Due conclusioni:
- Conclusione particolare, non è detto che la dimensione del servizio turistico debba essere commisurato alle punte
stagionali. Il disservizio, in termini di sottodimensionamento rispetto all’alta stagione, può essere l’esito di un
calcolo razionale di convenienza.
- Conclusione generale, ogni soluzione è parzialmente inefficiente. La presenza di stagionalità introduce sempre i
costi addizionali di gestione.
Altri problemi economici legati alla produzione:
A. Effetti di perdita dell’offerta o congestionamento:
- Impossibilità di accumulare scorte [risparmiare posti in bassa stagione per l’alta stagione];
- Eccessivo carico di produzione per le strutture o infrastrutture durante i picchi di alta stagione e sottooccupazione
nella bassa stagione;
- Problemi di sovraffollamento e insoddisfazione per il turista.
B. Conseguenze di profittabilità: la bassa stagione riduce il tasso di utilizzazione del capitale dell’impresa turistica, e
“taglia” drasticamente il tasso di profitto effettivo [annuo].
C. Aumento del rischio dell’investimento: accadimenti negativi sarebbero più difficilmente compensabili [es: in bassa
stagione hai delle perdite, in alta stagione c’è una pandemia che non ti permette di recuperare i profitti, e quando
finisce ci si ritrova di nuovo in bassa stagione → l’investimento diventa rischioso, si ha meno margine per poter
compensare eventuali accadimenti negativi]
Effetti economici POSITIVI della stagionalità: Maggiori possibilità in alta stagione di raggiungere il Break-Even Point per
eventi particolarmente importanti (arricchendo la propria offerta); maggiori possibilità di occupazione per studenti,
lavoratori migranti (non solo stranieri, anche ad esempio chi dall’entroterra ligure si sposta sulla costa in alta stagione),
ecc.; maggior tempo libero a disposizione in bassa stagione MA enorme stress accumulato in alta stagione.
Gli altri effetti: Effetti sull’ambiente (eccessivo sfruttamento delle risorse naturali in alta stagione, MA possibilità di
rigenerazione in bassa stagione). Non è solo un problema ambientale, ma anche economico, perché se si sfruttano
troppo le risorse naturali si rischia di diminuire l’attrattività della destinazione. Effetti socioculturali, in relazione al
rapporto con i residenti. Ci possono essere trade-off (cogestione, affollamento, microcriminalità, …) e sinergie (utilizzo
di strutture costruite per il turista, partecipazione ad eventi che si reggono sulla presenza del turista).
Le politiche di destagionalizzazione
In teoria esiste un livello ottimo di stagionalità, ma quale sia in pratica è una domanda ancora inevasa, pur ritenendo
che la stagionalità introduca costi netti addizionali di gestione per i privati e/o per la destinazione. Perciò la valutazione
di effetti positivi e negativi deve precedere le politiche di destagionalizzazione. Possiamo distinguere tra:
I. Politiche per il controllo della stagionalità → azioni organizzative, ovvero sulla gestione dei flussi; politiche di
differenziazione dei prezzi; azioni costrittive, azioni che impediscono l’accesso ai turisti in certi periodi.
II. Politiche di destagionalizzazione (riequilibrio infra-stagionale) → organizzazione di eventi nella stagione spalla;
promozione dei siti marginali; attività di demarketing (evitare la promozione per certi periodi); tassa sulle presenze
(imposta di soggiorno, potrebbe essere differenziata a seconda della stagione); tariffa a due parti (penalizzando gli
escursionisti/chi si ferma meno tempo); contingentamento degli arrivi.
III. Politiche di destagionalizzazione (riequilibrio inter-stagionale) → attività di marketing finalizzata ad attrarre
consumatori con tempo e reddito per fare turismo in tutti i periodi dell’anno (es. pensionati); introduzione di
infrastrutture idonee a ospitare turisti tutto l’anno; diversificazione del prodotto turistico (mix di turismi con diversa
stagionalità); differenziazione dei prezzi.
→ quale politica scegliere dipende da quali sono gli effetti positivi/negativi della stagionalità che si manifestano nella
destinazione.
Turismo e tecnologia
Normalmente si considera il turismo un settore tecnologicamente arretrato. Oggi non è più così, almeno per molte
attività: è uno dei primi settori che ha sfruttato l’ICT e che ha sviluppato un sistema avanzato di e-commerce. È uno dei
settori all’avanguardia nell’uso di tecniche di yield management. Tanti esempi di innovazione, nel settore dei trasporti
(mobilità individuale con i monopattini), attrazioni, ecc.
La tecnologia ha un ruolo anche nel prodotto turistico complessivo, offerto direttamente dalla destinazione? Sì, e
soprattutto nel turismo en plain air, che risente delle condizioni climatiche (è un bene contingente, a qualità esogena).
La tecnologia può aumentare la probabilità di ottenere condizioni favorevoli per il turista (es. impianti d’innevamento
programmato) oppure diminuire il grado d’insoddisfazione derivante dalle condizioni sfavorevoli (es. muri artificiali
d’arrampicata) contrastando – almeno parzialmente – il problema della stagionalità.
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IL MERCATO TURISTICO – capitolo 9


Struttura dei mercati. Essendo la domanda turistica eterogenea (come già visto), anche l’offerta lo sarà di conseguenza,
perciò anche i mercati. Non esiste quindi un mercato turistico, ma il turismo è un insieme di mercati. Le principali forme
di mercato sono:
- Concorrenza perfetta, è il regime nel quale nessun soggetto è in grado di influire sul prezzo di mercato (ipotesi
quasi insostenibile nel turismo, dato che la concorrenza perfetta ha come caratteristica un prodotto omogeneo, ma
il turismo è eterogeneo)
- Monopolio, mercato nel quale è presente un solo produttore che può quindi decidere il prezzo del bene (in genere
si presenta nella gestione delle attrazioni: parchi/musei)
- Concorrenza monopolistica, è la forma di mercato nella quale le imprese attuano una strategia di differenziazione
del prodotto per acquisire potere di mercato (gestione attrattive come alberghi e ristoranti, ma anche le agenzie di
viaggio)
- Oligopolio, regime nel quale le poche imprese presenti interagiscono strategicamente fra loro (intermediazione:
tour operator)
I mercati evolvono nel tempo e quindi possono cambiare forma/regime (un mercato monopolistico può diventare
concorrenziale), in risposta a mutamenti tecnologici e problemi strutturali (es. sottoutilizzo del capitale a causa della
stagionalità) che pongono alle imprese esigenze di economie di scala [riduzione dei costi medi tramite aumenti della
quantità prodotta e venduta] e economie di scopo [quando le stesse risorse possono essere usate per diversi scopi].
Se abbiamo diversi mercati per singoli prodotti ma una domanda complessiva, allora vi è un incentivo all’integrazione
tra imprese che offrono servizi diversi. Rilevanza delle strategie di integrazione verticale e orizzontale (per raggiungere
le economie di scala e/o di scopo):
- Verticale: fusione, acquisizione (investimenti diretti). → Per economie di scala e di scopo (nel caso del turismo
offrire un pacchetto/paniere) → a monte o a valle. In questo caso strutture produttive diverse – che producono
beni complementari – si uniscono.
- Orizzontale: cooperazione contrattuale (joint venture, franchising, leasing, management). → Per ridurre i costi di
accesso (e quindi riuscire ad offrire un servizio). In questo caso, le imprese simili si uniscono per produrre lo stesso
servizio.
La domanda e l’offerta possono interagire in configurazioni diverse, denominate regimi di mercato. Gli elementi chiave
sono: strategia di differenziazione del prodotto, l’eventuale tipo di asimmetria informativa e la natura del bene.
Distinguiamo:
A. Concorrenza perfetta: mercato nel quale nessun agente è in grado di influire sul prezzo (agenti price taker).
Il prezzo d’equilibrio coincide con il costo marginale di produzione. Questo modello è fondamentale per due motivi:
è il modello più semplice di funzionamento di un’economia di mercato; e dal punto di vista normativo, l’equilibrio
di concorrenza perfetta è efficiente: il prezzo è minimo, la quantità scambiata è massima e il benessere dei
consumatori è massimizzato. Tuttavia, è un modello difficilmente riscontrabile nei mercati, soprattutto in quelli
turistici.
B. Monopolio: mercato nel quale esiste una sola impresa che offre il bene sul mercato. L’impresa determina il prezzo
(agente price maker). Il prezzo è scelto per massimizzare il proprio profitto. In monopolio è più basso sia il
benessere dei consumatori, sia il benessere complessivo del mercato; esiste quindi una perdita netta di benessere
sociale. Al contrario, il profitto è quello più alto raggiungibile dall’impresa. Ogni impresa ambisce ad essere
monopolistica, però l’autorità pubblica dovrebbe (in UE ci sono regole) contrastare il monopolio, in particolare il
monopolio legale è scoraggiato (monopolio creato dalle regole pubbliche). È accettabile quando i costi fissi sono
particolarmente elevati e c’è spazio solo per una sola impresa (che riesca così a non avere perdite, data la
domanda). Un altro caso in cui è accettabile è quando i mercati sono contendibili, ovvero quando possono entrare
liberamente dei concorrenti e trasformarsi in un mercato concorrenziale.
→ Il danno è attenuato dal fatto che il turista può scegliere la destinazione, quindi i monopolisti locali sono in
concorrenza con i monopolisti di un’altra località. Non si tratta di monopoli puri. È raro nel turismo il monopolio
privato ma è una condizione che può accadere. Grazie al modello del monopolio possiamo spiegare le innovazioni:
si tratta di un tentativo da parte delle imprese di ottenere un monopolio e i profitti di questo monopolio. Dal punto
di vista dei consumatori, si è “felici” poiché entra nel mercato un bene che prima non esisteva. C’è da ricordare che
i profitti di monopolio sono temporanei, e che quindi le imprese sono incentivate a produrre sempre innovazioni. In
breve: le imprese hanno interesse a produrre innovazioni perché i consumatori sono disposti a pagare di più una
varietà di prodotto innovativa che prima non avevano a disposizione; per il mercato in generale il monopolio è
positivo perché aumenta la gamma di servizi per la società.

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C. Concorrenza monopolistica: mercati in cui competono imprese che producono beni differenziati, cioè beni che
sono solo parziali sostituti gli uni dagli altri. È il mercato tipico delle attrattive e delle AdV. La differenziazione è un
modo per acquisire potere di monopolio. Nella realtà infatti i prodotti hanno sempre un grado più o meno ampio di
differenziazione; ogni impresa, avendo a disposizione le stesse tecnologie agli stessi costi, produce beni simili alle
altre imprese ma non identici. Per differenziare il proprio prodotto, normalmente le aziende utilizzano tecniche
diverse per realizzarlo. Allora la concorrenza monopolistica può essere definita come quel regime in cui le imprese
producono beni differenziati, cioè beni che sono solamente parziali sostituti gli uni agli altri. Il nome di questo
regime di mercato deriva dalla contemporanea presenza di alcuni elementi di concorrenzialità e monopolio, in
quanto le imprese hanno, grazie alla nicchia di mercato in cui agisce il loro prodotto, un certo grado di potere
monopolistico. Nel turismo la differenziazione del prodotto è, da sola, una realtà che suggerisce la presenza di
qualche forma di potere monopolistico da parte delle imprese che concorrono all’offerta turistica. Esiste una
differenziazione verticale (a diversi livelli oggettivi), e una orizzontale (con diverse varietà; qui i consumatori non
sono d’accordo sul fatto che una varietà sia superiore ad un’altra). La differenziazione può essere verticale, se non
ci fossero vincoli di bilancio tutti i consumatori farebbero la scelta di maggiore qualità; questo tipo di
differenziazione permette di fare esperienza turistica anche a consumatori che se il prezzo fosse troppo alto
rinuncerebbero a fare vacanze (corrisponde ad un’oggettiva differenza di qualità). Oppure differenziazione
orizzontale, i consumatori fanno scelte diverse perché hanno preferenze diverse (si basa sul fatto che, nelle
preferenze dei consumatori, i beni non sono ordinati nella stessa maniera). Entrambi i tipi sono importanti nel
turismo.
Confronto tra concorrenza perfetta e monopolio
Sappiamo che si massimizza il profitto quando →
Ricavo marginale = Costo marginale, allora
possiamo fare: prezzo - costo marginale, e
rapportare questa differenza al prezzo. L’indice
Lerner è l’inverso dell’elasticità. Nella concorrenza
perfetta: R’ =P = C’; l’elasticità della domanda è
infinita.
L’impresa può permettersi un extraprofitto
permanente, nel caso in cui i consumatori sono
poco disponibili a cambiare fornitore, e quindi
reagire a prezzi più alti.
D. Oligopolio: mercato in cui operano poche imprese che interagiscono strategicamente fra loro. La strategia scelta da
un’impresa dipende da quello che ipotizza facciano le imprese concorrenti ed è identificata da una funzione di
relazione [ne esistono vari tipi a seconda di come configuriamo il rapporto tra le imprese]. L’analisi più conosciuta
per questo tipo di mercato è la teoria dei giochi, dove bisogna tenere conto anche delle scelte degli altri soggetti.
- Modello di Cournot (interazione nelle quantità). Parte dal modello di monopolio, le imprese fissano dopo il prezzo.
Il monopolista deve fare un’ipotesi su come le imprese concorrenti reagiranno se lui decide di cambiare la quantità
prodotta e i prezzi di mercato. In questo caso possono esserci extraprofitti.
- Modello di Bertrand (interazione nei prezzi). Le imprese fissano un prezzo e a quel prezzo vendono la quantità
domandata. Il risultato è che se le imprese fanno concorrenza sul prezzo, l’esito di equilibrio è analogo a quello
concorrenziale (quindi non ci sono extraprofitti).
- Modello di Stackelberd (esiste un’impresa leader e una follower). Le imprese non sono simmetriche ma sono
differenziate: c’è un’impresa leader di dimensioni molto maggiori e tutte le altre la seguono. Dietro questo modello
sono nascosti un monopolio e una concorrenza perfetta (le imprese “follower” prendono il prezzo come un dato,
però il prezzo di mercato in realtà non avviene da tutte le imprese in forma spontanea, ma è fissato dall’impresa
leader che sa come si comporteranno le imprese follower, perché sa che sarà il monopolista). Si tratta di un
monopolista quasi consapevole, sa che dovrà però lasciare un piccolo spazio anche ad imprese più piccole.
- Modello di collusione (si crea un cartello di imprese, che si comportano da monopoliste). In questo caso le imprese
concordano un comportamento unitario e creare un cartello di imprese.
Dato l’interesse pubblico a NON creare monopoli, vi sono normative che penalizzano e puniscono i cartelli (se vengono
scoperti). È illegale, esistono le autorità antitrust e delle authority garanti della concorrenza che combattono questi
fenomeni e impongono multe molto salate per tutelare i consumatori. Alcune imprese che aderiscono al cartello sono
incentivate a non rispettare l’accordo perché diminuendo un po’ i propri prezzi potrebbe convincere i turisti ad
acquistare da loro. In questo caso i profitti per la destinazione rimarrebbero gli stessi, però aumentano per un’impresa
a discapito delle altre. È un accordo che quindi tende a non restare in piedi a meno che non siano previste delle sanzioni
per chi non rispetta il cartello (anch’esse illegali). Spesso succede nel mercato del petrolio.

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Nel caso turistico locale c’è possibilità di collusione ad esempio tra gli albergatori di una destinazione per non abbassare
troppo i prezzi. In questo caso, non verrebbe sanzionato perché non attirerebbe l’antitrust (piccole dimensioni). Però al
tempo spesso, se i prezzi sono troppo alti, i consumatori tendono ad andare nella destinazione.
La differenziazione del prodotto
L’ipotesi di mercati imperfetti comporta la competizione delle imprese sia nel prezzo sia nella differenziazione del
prodotto. In questo caso i consumatori non decidono più solamente in base al prezzo (come nella concorrenza perfetta)
ma anche in base alle caratteristiche specifiche del prodotto. Per le imprese vi è un incentivo a competere tra loro non
più solo sul prezzo ma anche sulla natura del prodotto stesso, perciò a differenziarsi. La differenziazione può essere:
- Orizzontale (diversa varietà) → i prodotti sono diversi per l’entità delle caratteristiche che presentano e i
consumatori hanno preferenze diverse. Non esiste quindi una scelta migliore dell’altra, semplicemente ci si rivolge
a nicchie di consumatori differenti in base alle loro preferenze.
- Verticale (diversa quantità) → i prodotti sono diversi per natura e in un bene tutte le caratteristiche sono maggiori:
a parità di prezzo, tutti i consumatori avrebbero le stesse preferenze. In questo caso è necessaria una
differenziazione nel prezzo.
Cause: strategie d’impresa (conviene alle imprese adattarsi ai gusti); elementi soggettivi del turista (gusti
irriducibilmente individuali). La varietà è auspicabile (benessere del consumatore) ma influenza i costi di produzione
(minori economie di scala): concorrenza imperfetta [monopolistica]. Ciò significa che la differenziazione è positiva
perché i turisti hanno preferenze differenziate, però è anche negativa perché genera prezzi più alti.
Sugli assi abbiamo due caratteristiche: il comfort e la qualità del
vitto [in una vacanza]. La prima soluzione x2 aumenta molto il
comfort, ma la qualità del vitto è piuttosto bassa. Se
confrontiamo l’offerta x2 con l’offerta x1 (dove la qualità del vitto
è alta), abbiamo differenziazione orizzontale → le imprese
puntano a caratteristiche diverse e si riferiscono a nicchie di
consumatori differenti. Se invece confrontiamo x3 con x4,
rappresentiamo la differenziazione verticale, in quanto x3 offre
sia più confort sia più qualità del vitto rispetto a x4 (e la
combinazione è la stessa). In questo caso se avessero lo stesso
prezzo tutti sceglierebbero x3, perciò x4 deve avere un prezzo
inferiore.
La differenziazione verticale del prodotto. Il mercato in cui esistono prodotti di differente qualità viene studiato tramite
una successione di tre stadi (a grado di reversibilità crescente):
1. Le imprese decidono se entrare o meno nel mercato;
2. Le imprese decidono la qualità da offrire (spazio delle caratteristiche);
3. Le imprese decidono il prezzo al quale offrire le diverse qualità.
Più si va avanti con gli stadi, più è facile cambiare le scelte [la scelta più complicata è entrare o meno, perché bisogna
sopportare dei costi]. Il livello qualitativo è più facile da cambiare successivamente, e anche meno costoso. Il terzo
stadio è lo stadio più facile da cambiare (il prezzo).
→ Si trova la successione ottimale (di equilibrio) con un processo di riduzione a ritroso. Un’impresa razionale fa perciò
un ragionamento a ritroso: analizza i prezzi, poi le qualità, e poi decide se entrare nel mercato.
Il risultato scaturito è la proprietà di finitezza: in caso di differenziazione verticale, esiste un limite superiore al numero
di imprese (e qualità) attive che convivono in equilibrio, data qualsiasi dimensione del mercato (“oligopolio naturale”).
→ Importanza della distribuzione del reddito: il numero dei produttori dipende dall’ampiezza dei divari di mercato. Al
diminuire della variabilità del reddito a disposizione dei turisti, il mercato si concentra sulla qualità migliore, e le
imprese di qualità inferiore perdono progressivamente quote di mercato, fino a scomparire. I livelli qualitativi sono
finiti, quindi più la capacità di spesa dei consumatori è differenziata, maggiore sarà il numero di livelli qualitativi e
scompariranno i livelli più bassi. Viceversa, se aumentano le disparità di reddito, allora aumenta lo spazio per i livelli
qualitativi più bassi. Se abbiamo moti ricchi e molti poveri, ci sarà un’ampia gamma di livelli qualitativi. Se invece tutti
sono sullo stesso livello, ci sarà un unico livello qualitativo. Questo è coerente con l’idea che la differenziazione verticale
dipende dal fatto che siano differenziati i consumatori.
Se compare un prodotto di qualità più alta (e non cambia la distribuzione del reddito), tutta la domanda dei
consumatori si sposta verso l’alto e scompare l’impresa che produce il prodotto di qualità inferiore. Perché accade?

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Come già detto, nei mercati differenziati per


qualità, vi è una proprietà di finitezza che
limita il numero di livelli qualitativi presenti.
Minore è la differenziazione fra il reddito dei
consumatori, minori saranno i livelli
qualitativi. → Se le disparità diminuiscono, e
la società diventa più “equa”, tendono a
scomparire i livelli qualitativi più bassi.
Nell’esempio di tratta di monopolio per
semplicità. Nel primo grafico, il monopolista
ha come equilibrio Ɛ = 1 (dove massimizza il
suo profitto). Per saturare il mercato,
possiamo fissare un prezzo più alto (qualità
maggiore) e offrirlo a un numero di
consumatori inferiore, creando uno spazio
per concorrenti di qualità inferiore. Nel secondo grafico, abbiamo sempre lo stesso punto di massimizzazione del
profitto e la stessa domanda, ma in questo caso abbiamo un equilibrio di saturazione del mercato in cui non c’è spazio
di nessun altro concorrente.
La regola generale: sapendo che a e b sono i due livelli di reddito (a = basso, b = alto), a seconda del rapporto che c’è fra
i livelli di reddito bassi e alti, c’è spazio per più qualità. Esistono dei livelli critici di disparità che rendono indifferenti i
consumatori fra le due scelte qualitative. Questi livelli critici sono:
- Se il reddito più alto è meno del doppio del reddito più basso, allora ci sarà un solo livello qualitativo.
- Se il livello di reddito più alto è tra il doppio e il quadruplo del reddito più basso, allora c’è spazio per due livelli
qualitativi.
- Se il livello di reddito più alto è tra 4 e 8 volte maggiore del reddito più basso, allora ci sono 3 livelli qualitativi.
- Se è tra 8 e 16 volte più alto, quattro livelli qualitativi, …
Il turismo come bene di qualità esogena
Nel turismo è importante anche un altro concetto di qualità, che non è sotto il controllo dell’impresa. Le caratteristiche
del prodotto turistico infatti dipendono anche da eventi esterni all’impresa turistica, per esempio il tempo atmosferico.
Quando le caratteristiche del prodotto turistico dipendono da eventi esterni all’impresa di parla di qualità esogena. La
soddisfazione del turista quindi cambia anche a seconda di queste variabili che devono essere prese in considerazione
quando viene fatta la scelta turistica. → Il turista si trova di fronte due scelte: fare il viaggio o non fare il viaggio. Nella
tabella è rappresentato il valore che il turista dà
al benessere ricavato dalle sue scelte e lo
esprime in termini di € disposti a pagare. Nel
primo caso (il turista fa il viaggio e non piove) è
disposto a pagare fino a 90€. Se piove è disposto
a pagare 30€. Nel caso non effettui il viaggio i benefici che ottiene sono uguali sia se piova sia se non piova. Se si
conosce la probabilità di realizzazione dei due eventi, si può calcolare il prezzo di riserva del turista: ad esempio, se q =
½ (q = probabilità), il prezzo di riserva è 60 che – essendo maggiore di 40 – implica l’acquisto del viaggio [il prezzo di
riserva è la media – ponderata in base alla probabilità - fra 90 e 30]. Se al posto di 90 ci fosse 48: (48 + 30)/2 = 39 →
NON effettuerà il viaggio [39 < 40].
Quindi: maggiore è la probabilità che si verifichi un evento sfavorevole, minore è il prezzo che può essere stabilito dalle
imprese turistiche. Per questo motivo, i prezzi dei pacchetti infatti variano a seconda del periodo dell’anno, per
convincere i turisti ad acquistare vacanze anche in momenti di bassa stagionalità. Esistono anche meccanismi di
correzioni a posteriori, dove avviene un rimborso parziale del prezzo in caso di maltempo, e questo è un altro modo per
invogliare a comprare la vacanza: l’acquisto conviene sia se piove sia se c’è il sole.
La differenziazione orizzontale
La differenziazione è detta orizzontale quando i prodotti sono diversi per l’entità delle caratteristiche che presentano: in
un prodotto alcune caratteristiche sono maggiori, nell’altro sono minori. Quindi, la differenziazione orizzontale deriva
dal fatto che, nelle preferenze dei consumatori, i beni non sono ordinati allo stesso modo.
Una maggiore varietà aumenta la soddisfazione del turista ma aumenta anche i costi di produzione (e i prezzi).
Questi concetti sono analizzati nel modello di concorrenza spaziale (Hotelling): si considerano prodotti uguali in tutto
eccetto per la località in cui sono acquistati. Potenzialmente esiste un numero infinito di varietà diverse di prodotti e
ogni consumatore potrebbe ricevere esattamente quello che vorrebbe, però un servizio perfettamente personalizzato
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costerebbe troppo e non verrebbe comunque acquistato per mancanza di economie di scala e costi di produzione
elevati. Ciò comporta che qualcuno trova sul mercato esattamente l’alternativa che vuole, mentre altri devono
accontentarsi di quello che c’è, mantenendo però una piccola percentuale di insoddisfazione.
→ Se esiste un numero finito di varietà, è estremamente improbabile che il turista possa acquistare la sua varietà
ideale: deve quindi sostenere, oltre al prezzo del bene, un costo implicito d’insoddisfazione.
Allora, è possibile individuare il turista indifferente alle due varietà e le quote di mercato delle due imprese. Variabili
fondamentali del modello:
- Distribuzione delle preferenze dei turisti (riguardo alla caratteristica differenziata);
- Costo dell’insoddisfazione (per la “distanza” della varietà preferita da quella che deve acquistare);
- Costo di produzione (e quindi prezzo di vendita);
- Strategia dei concorrenti, in termini di prezzo e di entrata (proliferazione dei prodotti e della varietà. Le
imprese hanno 3 scelte: entrare o no nel mercato, quale varietà e quale prezzo).
Lo spazio HK è lo spazio della caratteristica, e su
questo spazio abbiamo i vari consumatori posizionati
(ognuno nella posizione che corrisponde
all’ammontare della caratteristica che preferisce).
Presupposto del modello di Hotelling: TUTTI i
consumatori (presenti in HK) acquistano un bene.
Immaginiamo che nei punti B e D si posizionino due
produttori. Il primo produttore produce la varietà
[della caratteristica] B e il secondo la varietà D.
I costi di produzione sono riflessi per B nel segmento
BA, e per D nel segmento DC, si può notare che D ha
costi di produzione maggiori rispetto a B.
Il consumatore che preferirebbe la varietà E,
rimarrebbe deluso in quanto non è offerta dal
mercato: può solo scegliere fra B e D. Se mi
rifornisco da B, dovrò pagare il prezzo BA ma non
sarò soddisfatto quanto vorrei. Perciò, al prezzo BA
devo aggiungere un prezzo aggiuntivo (costo
d’insoddisfazione). Se invece acquisto D, dovrò
pagare il prezzo DC (EE’), in più abbiamo un costo
d’insoddisfazione molto più alto (perché mi trovo più
lontano da E). → Nel caso del consumatore E,
preferirà quindi il prodotto B.

Dobbiamo individuare il consumatore per il quale è indifferente andare dall’uno o dall’altro. Questo consumatore è F,
perché in corrispondenza di F i due ventagli si intersecano = il costo complessivo della scelta del consumatore è uguale
in entrambi i fornitori. Di conseguenza, tutti i consumatori da H a F hanno convenienza ad acquistare B, mentre a quelli
da F a K conviene acquistare D.
Cosa potrebbero fare i produttori per massimizzare il profitto? La dimensione totale del mercato è da H a K (tutti i
consumatori acquistano il bene), l’unico problema è come si divide fra i due. Nei panni del produttore D, cosa
potremmo fare per aumentare la quota di mercato? Ad esempio diminuire i costi di produzione, facendo sì che il
ventaglio si abbassi e il punto di intersezione si sposti a sinistra, aumentando la quota di mercato [ovviamente si
possono ridurre i prezzi solo senza andare in perdita]. Un altro metodo è decidere di non produrre la varietà D, ma
produrre una varietà G posta più a sinistra. Ma anche B può fare lo stesso ragionamento, spostandosi verso destra.
Infatti B, avendo dei costi di produzione inferiori, potrebbe arrivare a rubare tutto il mercato a D (terza figura),
proponendo dei costi inferiori.
Nel modello di Hotelling, si presuppone che i due fornitori abbiano gli stessi costi di produzione, perciò la tendenza
sarebbe di andare l’uno verso l’altro fino ad arrivare esattamente a metà mercato, dove poi non avrebbero più
interesse a cambiare.
Esempio di Hotelling: Immaginiamo di essere su una spiaggia e che ci siano due venditori di gelato (B e D); la linea
verticale è proporzionata all’altezza dei loro prezzi, mentre le linee oblique indicano la distanza tra il gelataio e i
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consumatori di riferimento. Allontanandoci dalla linea verticale, la linea obliqua “cresce” perché aumenta all’aumentare
della distanza (vuol dire che il prezzo del gelato dovrà sommarsi al costo di spostarsi fino al gelataio). La teoria ci dice
che bisogna augurarsi che ci siano almeno quattro gelatai che si posizionano tutti a uguale distanza l’uno dall’altro
rendendo uguale la distanza per raggiungerli → si ottiene così un equilibrio. Bisogna augurarsi che non siano due,
perché il loro interesse sarebbe quello di mettersi al centro e sarebbe come averne solo uno (come un monopolio). Se
ci fossero 3 imprese al posto che 2, non si raggiungerebbe l’equilibrio. Con 4+ imprese invece si riesce. Inoltre, il
modello presuppone che il consumatore acquisti un’unità del bene comunque, senza tenere conto che potrebbe invece
rinunciare al gelato.
Modelli con informazione asimmetrica
L’informazione è asimmetrica quando i soggetti che partecipano allo scambio non possiedono lo stesso numero di
informazioni: un soggetto dispone, prima della realizzazione dello scambio, di informazioni private che l’altro soggetto
non ha. Esistono due tipi di informazione asimmetrica:
1. Azzardo Morale, prevede che le parti interessate allo scambio abbiano all’inizio della transazione le stesse
informazioni, ma l’asimmetria informativa si manifesta in seguito, cioè quando il contratto è stato stipulato. Si
manifesta in due modi diversi:
- se la parte che deve agire in esecuzione del contratto è in grado di compiere azioni osservabili dall’altro
contraente, siamo in presenza di una situazione di azione nascosta;
- se la parte che deve agire dispone, dopo il contratto, di informazioni cui l’altra parte non può accedere, siamo
in presenza di informazione nascosta.
→ Se l’informazione fosse simmetrica il problema non si porrebbe, ma dato che è asimmetrica la parte che ha più info
può comportarsi in modo tale da trarre un vantaggio. Il problema quindi è quello di riallineare gli incentivi o di riuscire a
controllare il comportamento della parte più informata (ma è difficile e costoso).
2. Selezione Avversa, in questo caso l’asimmetria d’informazione tra domanda e offerta si verifica prima della stipula del
contratto. Problema: mentre finora abbiamo pensato che la qualità del prodotto si potesse tradurre in prezzi
differenziati, in caso di selezione avversa il prezzo seleziona male la qualità del prodotto, e questo fatto non premia i
prodotti di qualità e ne incentiva il declino (quindi la qualità media del prodotto si abbassa). Nel caso limite, il mercato
può cessare di esistere, lasciando solo prodotti di scarsa qualità, ciò che viene chiamato il mercato dei bidoni (teoria di
Akerlof, riferendosi alle auto di seconda mano). Il consumatore non è in grado di distinguere - fino al momento
dell’acquisto - il prodotto di buona qualità da quello di cattiva qualità. Il problema del compratore, nel nostro caso del
turista, è come incentivare il venditore a rivelare la sua informazione.
Esempio: alberghi di alta (A) e bassa (B) qualità, con diversi prezzi di riserva. Dal lato dell’offerta, l’albergatore offre un
servizio ad alta qualità solo se può venderlo ad un prezzo non inferiore a VA = 200 (a notte), mentre l’albergatore di
bassa qualità può vendere anche a VB = 100. Per quanto riguarda la domanda, i consumatori sono disposti a pagare una
notte di alta qualità PAR = 240, e una di bassa qualità PBR = 120. Se si conoscesse la qualità già da prima della transazione
(senza asimmetrie), il mercato funzionerebbe perfettamente: 100 < PB < 120; 200 < PA < 240.
Dato che siamo in presenza di asimmetria, il turista non conosce la qualità (ma la distribuzione per qualità) e calcola
quindi un prezzo di riserva medio: PMR = 180 → ciò mantiene sul mercato solo l’offerta B, in quanto il mercato A cessa di
esistere (perché il minimo per il servizio di alta qualità è 200). Man mano che i consumatori si rendono conto che
esistono solo mercati di bassa qualità smetteranno di offrire 180 e offriranno 120.
Questo problema è il problema tipico per quanto riguarda il turismo experience good, ad esempio vale per la qualità di
viaggi Inclusive Tour, il noleggio di auto e gli spettacoli dal vivo.
Modelli di segnalazione. Al turista conviene informarsi ma è costoso → strategie dei venditori per evitare la scomparsa
del mercato: gamma di contratti che incentivano l’autoselezione (contratti che rivelano la qualità). Rimedi alle
asimmetrie informative: per gli operatori di qualità esiste – a determinate condizioni – un incentivo a rivelare la propria
informazione privata, ma l’efficacia dipende dalla credibilità dell’informazione rivelata [questo conviene all’operatore di
alta qualità, che può avere un incentivo a dirlo, mentre quello di bassa qualità no, ma potrebbe fingere]. Strategie
possibili: segnalazione (che si basa sul Modello di Spence) e reputazione.
Modello di Spence: Le imprese scelgono di segnalare la propria informazione privata. Questo segnale può essere s = 0
(quando non conviene rivelare la propria qualità) o s = s* (la soglia che distingue la qualità agli occhi del turista).
L’ipotesi fondamentale del modello è che: il costo del segnale s deve essere minore per l’albergo A (alta qualità), perché
è più semplice dare un segnale di alta qualità per chi la offre davvero.
Spence ha realizzato un modello dimostrando che è possibile trasmettere segnali di qualità e in che occasioni questo
può essere fatto. Per il modello di Spence, l’ipotesi fondamentale perché il segnale trasmesso sia credibile è che il costo
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di trasmissione del segnale deve essere minore per l’albergo A (di alta qualità). In questo caso si parla di separating
equilibrium, per cui il segnale distingue bene tra alta e bassa qualità in quanto l’albergo B non emette segnale per il
costo troppo elevato. Se questo non si verifica, si ha un pooling equilibrium, in cui B emette un segnale ingannevole e
quindi trasmetterlo è solo un costo aggiuntivo che non porta beneficio. Esiste un incentivo alla segnalazione solo per A,
mentre B ha convenienza ad intralciare le pratiche di segnalazione.
→ separating equilibrium: sB = 0 sA = s*, ma questo segnale ha un costo, quindi conviene solo se vB < s* < vA, ovvero se il
costo del segnale è compreso tra i due ricavi che i due albergatori ottengono dalla vendita.
Un esempio di segnale sono le stelle per gli alberghi. Il segnale è credibile (classifica le imprese ed evita pooling) a due
condizioni:
1. La struttura dei costi di acquisizione è inversamente correlata alla qualità (chi è di qualità alta sostiene costi bassi
per farsela certificare);
2. Le stelle devono essere attribuite in corrispondenza a determinati valori di significatività per il compratore (le stelle
devono “scattare” se la qualità varia in modo significativo).
Le condizioni sono garantite solo da intervento collettivo e controlli ex post (sul rispetto degli standard). Problema in
Italia: le stelle sono attribuite con caratteristiche regionali, quindi il consumatore si aspetta una determinata qualità che
non sempre corrisponde a quella che poi sperimenta. Vi è una difficoltà di mercato perché le regioni hanno normato le
stelle in base agli albergatori locali e non hanno effettuato una normativa in relazione ai consumatori.
Modelli di reputazione. La valutazione della qualità attuale si basa sulla qualità osservata in passato (contratto
implicito). Se in passato ho dato un servizio di bassa qualità, i consumatori odierni mi considereranno ancora di bassa
qualità e quindi ho dei vincoli di prezzo basso. Se invece ieri ho avuto standard di qualità alti posso vendere a prezzi alti.
Esistono quindi meccanismi in cui la qualità passata costituisce la nostra reputazione. C’è un problema però: non c’è
nessuna garanzia che ci dice che la qualità di ieri sarà la stessa di oggi. Non c’è nessun obbligo legale a fornire sempre la
stessa qualità (quindi l’aspettativa dei consumatori che rimanga uguale è ingiustificata), MA ad alcune condizioni
l’impegno [nel mantenere la qualità stabile] è credibile.
Il problema è ricercare un equilibrio reputazionale: Rt = Qual t – 1 → ovvero si ipotizza che la reputazione R dell’impresa
al momento t, sia pari alla qualità q al periodo precedente t – 1, e che quindi nel tempo la qualità e la reputazione siano
stabili. Due condizioni di mantenimento dell’equilibrio (stabilità di R nel tempo):
1. Di breve periodo: non deterioramento della qualità
- Il profitto atteso nel futuro (con R stabile) deve essere maggiore dell’extra profitto che si otterrebbe nel breve
(riducendo R) → l’impresa deve avere interesse a non diminuire la qualità.
2. Di lungo periodo: nel lungo periodo c’è libera entrata nel mercato
- Il prezzo deve eccedere il costo per impedire il deterioramento della qualità → incassa un premio per la qualità
che remunera l’investimento [bisogna premiare l’investimento in qualità].
- All’inizio dell’investimento: profitti negativi (perché manca la reputazione, perciò sono disposto ad avere perdite
finché la reputazione non si stabilizza)
Più è breve l’orizzonte economico minore è l’interesse di investire in R, perciò conviene solo se si pensa di avere un
periodo di attività economica lungo, e solo se si pensa di avere ancora davanti un futuro di attività economica ampio
non c’è incentivo a ridurre la qualità (per non peggiorarne in futuro la reputazione).
Natura del bene: search, experience e credence good
A. La ricerca della qualità nei modelli di search ed experience good
Tre gradi crescenti di ignoranza della qualità [gradi di ignoranza/conoscenza della qualità]:
➢ Search good, se le qualità del bene sono conosciute prima dell’acquisto;
➢ Experience good, se le qualità sono riconoscibili solo dopo l’acquisto, con l’atto di consumo del bene;
➢ Credence good, se le qualità non sono perfettamente identificabili neanche dopo l’acquisto o l’utilizzo.
La natura di experience good giustifica la presenza sul mercato di un numero relativamente più elevato di strutture di
bassa qualità (i costi di ricerca dell’informazione sono più elevati rispetto al search good, e comportano campionamento
più ridotto → decisione dopo meno info ottenute, perché costano).
- Opportunismo delle strutture sulla qualità più frequente sui mercati che lavorano con prenotazioni a distanza
(perché essendo a distanza non si può verificare la qualità finché non si arriva là) → imprese tendono a sfruttare a
proprio vantaggio il fatto che i consumatori non conoscono il loro livello qualitativo;
- Proprio grazie a questa situazione si crea un’opportunità di mercato (e di profitto) per le figure di intermediazione:
gli intermediari, le informazioni a priori (imprese di alta qualità che hanno convenienza a diffondere info, che
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devono essere credibili → pubblicità, passaparola), della reputazione (in primo luogo del Tour Operator/Agenzia di
viaggio a cui ci si rivolge).
9.2 - Immaginiamo di avere un numero n di turisti (identici
tra loro), che si distribuiscono tra i vari alberghi [B = bassa,
A = alta qualità]. Al calare del costo dell’informazione ci
aspettiamo che aumenti la quantità di info ricercate,
aumentando la quota dei mercati di alta qualità. L’utilità è
la media ponderata della probabilità dei due tipi di
albergo. Nella tabella si arriva a infinito ma non è
necessario, se sappiamo che sono il 50% basta arrivare alla
metà + 1 [tabella già vista].
9.3 - ci accorgiamo che la quota degli alberghi di bassa
qualità si riduce con l’aumentare dei sondaggi (e quindi
delle info raccolte), mentre aumentano quelli di alta
qualità

B. La ricerca del prezzo nei modelli di search


Conclusioni simili a quelle del modello precedente: nel modello si search le informazioni saranno appunto maggiori
rispetto all’experience (perché costano meno), inoltre:
- Con informazione imperfetta, anche nei modelli di search esisteranno alberghi con prezzi [e qualità] diversi, perché
solo l’informazione completa garantisce l’esistenza di un prezzo unico [e qualità unica].
- L’informazione incompleta garantisce la persistenza sul mercato di alberghi con prezzi diversi [per questo si tende a
limitare la ricerca sul prezzo, aumentando la probabilità di incontrare alberghi – a parità di qualità – con prezzi alti,
ovvero quelli che scomparirebbero nel caso di informazione perfetta];
- Le imprese che vogliono ottenere un prezzo alto [sempre a parità di qualità] hanno convenienza a rendere costosa
l’informazione (venditori opportunisti);
- Il prezzo medio del soggiorno diminuisce all’aumentare del numero di ricerche [e, come già visto, anche
all’aumentare della permanenza, perché maggiore è il numero di pernottamenti, maggiore è il beneficio di una
ricerca più approfondita].
9.4 – Immaginiamo numero di clienti totali pari a
10.000, in questo caso la qualità è la stessa ma
cambia il prezzo [A = più basso, B = più alto]. Più
aumentano i sondaggi, più i consumatori avranno la
probabilità di trovare un albergo a basso prezzo. →
Il singolo cliente fa incassare di più all’albergo di
tipo B, ma con l’aumentare dei sondaggi
aumentano gli incassi totali degli alberghi di tipo A
(e diminuiscono gli incassi totali di B).
Per questo motivo, man mano che passa il tempo, gli alberghi ad alto prezzo diminuiranno sempre di più, ed il prezzo
medio della destinazione tende a calare e avvicinarsi al prezzo degli alberghi di tipo A.
La pubblicità nel turismo
Se ipotizziamo un caso di perfetta informazione, significa che i turisti-consumatori hanno tutte le informazioni
necessarie per prendere la decisione migliore, di conseguenza, non vi è bisogno di alcuna attività informativa da parte
delle imprese. Nella realtà la pubblicità esiste, perché i consumatori NON sono perfettamente informati, la ricerca di
informazioni è costosa e quindi le imprese fanno pubblicità allo scopo di informare i consumatori. Quindi, le imprese
fanno pubblicità: per ridurre i costi di ricerca dei turisti non informati e per informarli sulle proprie strategie di
differenziazione [caratteristiche specifiche], aiutandoli cosi ad ottimizzare le scelte e aumentare la propria utilità.
La pubblicità, ovviamente, è un costo per l’impresa. Immaginiamo quindi che l’impresa si faccia pagare, ovvero
l’impresa che fa pubblicità ha dei pressi maggiori di chi non la fa. D’altra parte, i consumatori saranno propensi a pagare
questi prezzi più alti perché hanno ricevuto più informazioni (e hanno speso meno in ricerca di info).
Un tema molto dibattuto negli ultimi 50 anni è il rischio che la pubblicità condizioni le preferenze [tema lanciato
dall’opera “i persuasori occulti”]. Le preferenze sono endogene, ovvero non sono un dato immutabile ma possono

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essere modificate (ad esempio, come già visto, le preferenze possono modificarsi dopo le esperienze turistiche fatte →
modello di Georgescu-Roegen). Anche la pubblicità può condizionare le preferenze, ad esempio, informare i
consumatori su una varietà che non sapevano esistesse può convincerli che sia la loro preferita. Ci possono essere
aspetti positivi, ma anche negativi.
Caso search good: ipotesi che la qualità/caratteristiche con cui si differenzia il proprio prodotto turistico siano un search
good. Il turista grazie alla pubblicità riceve delle informazioni, e può controllarle prima dell’acquisto. Che tipo di
pubblicità ci aspetteremmo in questo caso? Non vi è incentivo a fare pubblicità ingannevole in quanto il turista è in
grado di controllare, quindi è sostanzialmente una pubblicità veritiera. Questo significa che il ruolo svolto dalla
pubblicità è effettivamente un ruolo informativo. Ciò significa che, parlando di qualità, solo gli operatori di alta qualità
faranno pubblicità [pubblicizzeranno la propria alta qualità, mentre quelli di bassa qualità non ha senso che
pubblicizzino la propria bassa qualità]. Questo altera la distribuzione dei turisti, nel senso che i turisti potranno più
facilmente scegliere un albergatore di alta qualità [rispetto al caso di minore informazione]. La spesa in pubblicità
raggiungerà un livello ottimale, legato alla sua produttività: capacità di spostare consumatori da una scelta casuale ad
una scelta ottimale.
→ Questo vale per la qualità, mentre per la varietà – dato che le presenze sono soggettive – tutti gli operatori sono
incentivati a fare pubblicità (e informare sul tipo/caratteristiche/varietà di prodotto che offrono).
Caso experience good: in questo caso, le pubblicità prima dell’acquisto non possono essere verificate [verifiche ex ante
impossibili], perché solo l’esperienza diretta potrà confermarci il libello qualitativo. Perciò, la pubblicità che allude a
elementi qualitativi del tipo experience good non consente verifiche, quindi non ha un contenuto informativo rilevante.
In questo caso, la pubblicità non riduce i costi dei turisti non informati, perché dovranno comunque fare l’esperienza (e
pagare tutto il costo della vacanza) per avere queste informazioni. La pubblicità non serve neanche a informare sulle
caratteristiche del prodotto (anch’esse di tipo experience good). La conclusione logica è che - in questo caso - non
dovrebbe esserci pubblicità. In realtà, la pubblicità c’è: questa pubblicità ha un valore di segnale [modello di
segnalazione], nel senso che contribuisce a costruire una reputazione. Per questo motivo, solo a chi punta a fidelizzare il
cliente (tramite un’esperienza positiva) ha un incentivo a spendere molto in pubblicità. Questo tipo di pubblicità si
rivolge a un turista psico-centrico [cerca l’affidabilità e fugge dalle sorprese, quindi dopo un’esperienza positiva è più
propenso a tornare]. → Non conta più informare, ma conta il segnale che si manda tramite la pubblicità.
Quali canali di reputazione sono alternativi alla pubblicità? Immaginiamo un modello in cui le quote di mercato di
equilibrio dipendono direttamente dalla spesa pubblicitaria A (non serve per chi è già cliente, serva a convincere gli
scontenti di altri fornitori) e dalla qualità Q (che serve a fidelizzare i propri clienti, convincerli a tornare). Entrambe le
strategie sono costose: il costo dell’advertising è positivo e il costo marginale della qualità è positivo (cA > 0 e cQ > 0). Le
imprese scelgono fra queste due strategie in base ai rispettivi parametri di efficienza, cioè valutano la loro probabilità di
ricavo. Abbiamo, tuttavia, rischi di esiti perversi: se puntiamo sulla pubblicità ci preoccupiamo meno della qualità, ma è
contraddittorio, in quanto abbiamo visto che la pubblicità è efficace per chi ha una qualità alta.
Ci sono anche dei canali informativi alternativi alla pubblicità:
→ Passaparola come forma endogena di pubblicità (nell’ipotesi che i turisti comunichino fra loro e scambiarsi
informazioni) → perché uno dei risultati delle esperienze fatte è anche la comunicazione degli “esiti” della vacanza. Esso
non è una scelta dell’impresa, ma le imprese possono incentivare il passaparola tramite investimenti in qualità Q. Grazie
a internet, questa forma è molto meno costosa e riesce a raggiungere molti consumatori, perciò è competitiva rispetto
alla strategia pubblicitaria tradizionale. In questo caso l’informazione imperfetta non danneggia la qualità [grazie al
passaparola, spendere in qualità garantisce anche maggiore informazione], a condizione che i costi marginali
dell’investimento siano inferiori al prezzo (del servizio): p > c’.
I CONTRATTI NEL MERCATO TURISTICO – Capitolo 10
Abbiamo già affermato che tra i costi di transazione ci sono anche i costi del contratto, perché a ogni transazione è
associato un contratto (con il quale si trasferiscono i diritti di proprietà sul bene/servizio). La teoria dei contratti è la
parte della teoria economica che cerca di identificare del contratto ottimale per risolvere la transazione di mercato. Un
contratto è un accordo tra parti che vincola al compimento di azioni e pagamenti (in genere, nei contratti più semplici,
una parte compie delle azioni e l’altra parte compie dei pagamenti). Gli elementi essenziali del contratto sono:
• Contenuto economico della transazione [l’oggetto del contratto];
• Modalità di adempimento delle controparti [come le controparti rispetteranno la propria obbligazione];
• Modalità di enforcement degli impegni [in che modo si possono costringere le parti a rispettare l’impegno preso
con il contratto → per essere certi che venga rispettato].

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Vari aspetti:
L’obiettivo della teoria dei contratti è quindi trovare il contratto che minimizzi i costi di transazione (che permetta lo
svolgimento della transazione ma minimizzando i costi).
Abbiamo una doppia dimensione economica (per quanto riguarda i contenuti) e giuridica (per quanto riguarda gli
obblighi), in particolare il contratto può essere implicito o esplicito. I contratti espliciti possono essere scritti o orali alla
presenza di testimoni, e per questo motivo sono legalmente efficaci nel caso efficace nel caso una parte si rifiuti di
adempiere → si può ottenere la prestazione per legge. Tuttavia, la maggior parte delle transazioni avviene con contratti
impliciti (solo orali/con accordi taciti) che perciò non sono privi di valore legale e non sono impugnabili in tribunale.
Nonostante ciò, sono efficaci perché vi è reciproca convenienza e/o per una questione di reputazione delle parti [es. chi
ha la reputazione di non rispettare i contratti avrà difficoltà a stipularne].
Un altro aspetto importante del contratto è se sia completo, se specifica tutte le evenienze future, con rispettive azioni
e pagamenti (per ciascuna di queste evenienze future) e con sistema di penali per le violazioni, o incompleto, in cui
manca almeno uno di questi aspetti (evenienze future, azioni e pagamenti, sistema di penali), perché ad esempio può
essere impossibile specificarli.
Gli elementi decisivi del contratto sono:
- La natura della transazione (perché abbiamo mercati spot, mercati futuri, mercati contingenti): solo nei mercati a
spot la stesura e l’esecuzione del contratto coincidono [esempio più semplice: contratto implicito compro caffè al
bar e lo pago], mentre per quanto riguarda i mercati futuri e contingenti fra la stesura e l’esecuzione del contratto
vi è una distanza temporale.
- La natura dell’informazione (completezza d’informazione → “informazione perfetta”, asimmetria informativa o
informazione incompleta → in questi casi chi ha maggiori informazioni può avere comportamenti opportunistici,
fino anche all’inadempienza, e quando il contratto non è esplicito e completo c’è il rischio che il contratto non si
stipuli → inefficienza e perdita di utilità. La teoria dei contratti cerca di capire come vanno disegnati i contratti in
modo da evitare questo rischio).
- Scelta in condizioni di incertezza → i risultati delle azioni vengono valutati in termini di utilità e non di valore
economico: premio per il rischio [maggiore è l’incertezza, maggiore è il premio richiesto dalla controparte per far
fronte al rischio].
La teoria economica dei contratti completi (caso meno problematico)
Principio fondamentale: le parti dovrebbero accordarsi su azioni e impegni in modo da massimizzare il valore
complessivo del progetto e solo in seguito negoziare la distribuzione del beneficio netto tra loro.
[Prima dovrebbe venire l’interesse generale e solo successivamente potremmo invece negoziare sulla distribuzione →
per assicurare che il contratto si realizzi]. Questo principio fondamentale è l’obiettivo che vogliamo raggiungere anche
nel caso dei contratti incompleti → bisogna però superare i problemi dell’incompletezza.
La teoria economica dei contratti incompleti
L’incompletezza porta comportamenti opportunistici con due conseguenze:
- I contratti non sono efficaci nel garantire gli impegni (questa affermazione è in contraddizione con ciò che abbiamo
detto inizialmente sull’enforcement. Il problema è che nei contratti incompleti è difficile verificare);
- Possono impedire l’effettiva realizzazione dello scambio (proprio perché è difficile verificare se gli impegni vengono
rispettati).
Per questi motivi si introducono clausole e di vincoli che tentano di risolvere il problema dell’incompletezza:
- Contratti con incentivo (modello principale – agente, in cui si tratta di allineare gli incentivi dell’agente che attua il
contratto con quelli del principale);
- Contratti di selezione (il cui obiettivo è di raggiungere gli “equilibri di separazione”)
- Contratti specifici (meccanismi di reputazione)
- Contratti relazionali (dove i costi di trasferimento sono un’alternativa ad altri meccanismi, tra cui quelli di ricatto)
La teoria di contratti non è applicabile solo tra soggetti economici (imprese) differenti, ma anche all’interno della stessa
impresa vi è un insieme ordinato di contratti fra i vari stakeholders (es. tra il dirigente e i vari lavoratori).
I contratti contingenti: contratti le cui prestazioni sono riferibili a prevedibili futuri stati di natura (che sono quindi
incerti) → di conseguenza è opportuna la creazione di un mercato assicurativo contro l’incertezza.

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→ per rappresentare questo problema si può disegnare


una matrice di pagamenti dove le decisioni verranno prese
sulla base dell’utilità attesa. Abbiamo due diversi stati di
natura (S1 e S2) che si possono realizzare con probabilità q1
e q2, dove la somma delle probabilità sarà 1 (100%), per
questo q2 = 1 - q1. Le diverse azioni possibili sono A1 e A2
(sono solo due per semplificare), e ciascuna di queste
diverse azioni produce un esito a seconda dello stato di natura che si realizza (es. X 11). Sulla base di ciò, sappiamo che le
parti sceglieranno l’azione che offre l’utilità maggiore → confronto fra le utilità attese.
La scelta dipende da: elementi soggettivi, la funzione di utilità individuale (avversione, neutralità o propensione al
rischio: l’ipotesi standard è che siamo tutti abbastanza avversi al rischio) e elementi oggettivi, il pay-off (le varie X, cioè
l’esito delle nostre azioni nei vari stati di natura) e la probabilità q associata agli eventi S.
I contratti di assicurazione del turista
→ Scelta in condizioni di incertezza: si crea un mercato assicurativo nel quale i soggetti si scambiano il rischio, si
acquista certezza dietro al pagamento di un premio assicurativo. Abbiamo due principali tipi di contratto assicurativo:
A. Il contratto fisso, Y = reddito, P = premio assicurativo, D = valore del danno, q1 = probabilità dell’evento i.
Con il contratto fisso il consumatore può scegliere se assicurarsi o meno. Nel caso che decida di assicurarsi, la utilità è
data dal reddito - premio assicurativo (ed è sufficiente dato che il premio ci garantisce che non ci sarà un danno per il
consumatore, perché verrà risarcito). Nel caso non dovesse assicurarsi, abbiamo due opzioni: la prima è quando si
verifica il danno/evento sfavorevole U(Y – D)q1 [reddito – danno, moltiplicati alla probabilità che accada], mentre la
seconda quando tutto va bene U(Y)q2 e quindi il reddito rimane intatto. Ricordiamoci che q1 + q2 = 100%.
- Se U(Y – P) > U(Y – D)q1 + U(Y)q2 allora il turista si assicura;
- Se U(Y – P) < U(Y – D)q1 + U(Y)q2 allora il turista non si assicura.
In questo caso, quindi, il consumatore sceglie tenendo conto del suo reddito, del valore del danno e della probabilità
con cui accada e del valore del premio assicurativo. Perciò alle imprese assicuratrici conviene stabilire un premio che
consenta al turista di avere un’utilità maggiore assicurandosi. Il lato negativo è che il turista pagando P rinuncia ad una
somma di denaro che potrebbe utilizzare per il prodotto turistico (costo-opportunità).
B. Il contratto flessibile. Contratto più sofisticato, in cui il rimborso è: 0 < K < D e P = aK.
In questo caso, il rimborso non è pari al danno ma viene rimborsata solo una parte [fra 0 e il valore del danno]. Ciò
permette al consumatore di pagare un premio inferiore, che accetta di non essere ripagato totalmente in caso si
verifichi l’evento sfavorevole. Qual è il valore di K? Il turista cerca K* che massimizzi la seguente funzione di utilità, che è
a sua volta influenzato dal livello di a (che è inferiore rispetto a q1) → U(Y – D + K – aK)q1 + U(Y – aK)q2
Massimizzare questa espressione ci determina il determina il contratto d’assicurazione flessibile ottimale (il turista
accetta un certo grado di incertezza sul reddito futuro). Es. assicurazione franchigia.
I contratti futuri
Nel contratto futuro consideriamo un orizzonte temporale che va dal tempo t al tempo t + k,
dove il tempo t è quando si stipula il contratto e il tempo t + k quando viene consegnato il
bene, o si fruisce dei servizi (vacanza). Cosa può cambiare tra il momento della stipula e la
prestazione effettiva? Innanzitutto, può cambiare la valutazione del bene/servizio oppure
possono mutare circostanze esterne e quindi le quantità domandate e/o offerte del bene.
Abbiamo un problema di previsione della domanda futura: nel contratto spot (o “a pronti”) questo intervallo di tempo
non esiste, perché abbiamo sia la prestazione sia la definizione del prezzo al tempo t. Ci sono due varianti del contratto
spot, lo “spot puro” prevede che anche il pagamento sia al tempo t, mentre lo “spot a credito” prevede il pagamento al
tempo t + k. Nel contratto a termine la determinazione del prezzo avviene al tempo t, mentre la prestazione avviene al
tempo t + k. Due varianti: nel “contratto a termine puro” il pagamento avviene alla consegna, ad esempio quando il
turista paga direttamente quando arriva in albergo/quando se ne va (al tempo t + k). Nel “contratto a termine
anticipato” il pagamento avviene al tempo t.
Il tipico contratto a termine nel turismo è il contratto “vuoto per pieno”. Due ipotesi:
Contratti a termine in condizioni di certezza, quando si acquista in data t una prestazione che avverrà in t + k, in questo
caso esistono due mercati: quello al tempo t, in cui si contrattano i beni/servizi la cui prestazione avverrà al tempo t + k,
e quello al tempo t + k, in cui si contrattano i beni/servizi in pronta consegna (mercato a pronti).
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Contratti a termine in condizioni di incertezza, abbiamo due ipotesi: supponiamo che gli eventi siano previsti
correttamente, il prezzo a termine svolge un ruolo segnaletico dei movimenti attesi del prezzo a pronti. Gli agenti,
quindi, guardano al mercato a termine per conoscere le aspettative degli operatori prima dell’apertura dei mercati
correnti. Tuttavia, il più delle volte il futuro non è prevedibile correttamente ma si calcolano le probabilità degli
avvenimenti futuri. Infatti, il contratto a termine fissa in anticipo il prezzo, ma espone il fornitore (es. albergatore) al
rischio della variazione di domanda nell’intervallo di tempo fra t e t + k. In questo caso l’albergatore ha interesse a
vendere al tempo t tutte le sue camere al Tour Operator, perché così facendo scarica tutto il rischio all’intermediario
(che svolge una funzione di assicurazione).
I contratti a termine con opzione (o allotment). L’impresa intermediaria acquista al prezzo p ma si riserva la libertà di
rinunciare all’acquisto ad una certa data di release (prefissata). Si tratta di un contratto a termine puro (si paga a t + k).
L’opzione è un contratto con il quale un soggetto acquisisce un diritto che può essere esercitato a sua discrezione. La
data di rilascio è precedente o coincidente alla data di prestazione, però per questo diritto di poter rinunciare alla
prestazione si paga un prezzo: al tempo t si paga per questo diritto, e al tempo t + k si paga la prestazione.
Un esempio è la caparra di prenotazione (es. si rinuncia alla caparra ma non si pagano ulteriori penali). La facoltà di
recessione può essere: dell’acquirente (opzione call) e del venditore (opzione put). Il secondo caso è più raro perché i
venditori hanno altre strategie di diversificazione del rischio. Ci sono due opzioni: opzione di tipo europeo (che dice che
questo diritto vada esercitato in una data prefissata) e di tipo americano (entro una certa data).
I contratti per gestire la doppia intermediazione
Doppia intermediazione: quando non abbiamo un rapporto diretto fra tour operator e turista, ma si passa anche per
l’agenzia di viaggi. Quando imprese con potere di monopolio (non monopolistiche, ma non operano in concorrenza
perfetta → comprano e vendono un prodotto differenziato) operano in fasi successive della filiera produttiva, il prezzo
viene determinato con un doppio mark up:
Il TO fissa il suo prezzo di vendita pTO sulla base dei suoi
costi di produzione cTO, aumentandoli di un margine
percentuale mTO (mark up). Immaginiamo che l’agenzia di
viaggi compri il prodotto dal TO e quindi abbia costi di produzione pari a 0, e che applichi lo stesso margine percentuale
del TO. A questo punto il prezzo finale [praticato dall’AdV] avrà un doppio mark up. Questo prezzo provoca un equilibrio
sub-ottimale sia per i turisti, sia per le imprese, perché i turisti comprano meno di ciò che sarebbe ottimale e perciò
hanno un’utilità inferiore, e anche le imprese realizzano un profitto minore di quello che potrebbero realizzare. Questo
problema può essere risolto immaginando che TO e AdV siano due fasi produttive di una stessa impresa. Infatti, se ci
fosse integrazione verticale il prezzo sarebbe:
in questo caso, l’impresa
applicherebbe il mark up percentuale
sul costo di produzione (TO), e il mark up della fase dell’AdV. I due mark up sono sommati, e il prezzo è inferiore.
Con p*<pAV, con quantità maggiore scambiata e con maggiori profitti per l’impresa = il prezzo ottimale che massimizza il
profitto dell’impresa e l’utilità dei consumatori è un prezzo più basso di quello che l’agenzia di viaggio effettivamente
pratica. Come possiamo risolvere il problema quando le due imprese (TO e AdV) sono distinte?
→ Soluzioni: la prima soluzione è quella di integrazione verticale già illustrata. Tuttavia, vi sono anche soluzioni
contrattuali che servono per determinare un extraprofitto unitario e decidere come distribuirlo. Se (1 + mTO + mAV) è il
margine totale che applichiamo, ci resta da determinare come ripartire il margine destinato al TO e quello destinato
all’AdV. Un primo tipo di contratto è quello che pretende che l’agenzia di viaggio realizzi una quota minima di vendita,
l’alternativa è imporre un prezzo all’agenzia (prezzo imposto), in questo caso però bisogna pagare una commissione
all’agenzia (inferiore al margine che l’AdV avrebbe realizzato autonomamente). Il TO non vuole rivelare il suo costo di
produzione, in quanto se l’AdV lo sapesse potrebbe contrattare per ridurre al minimo il mTO (l’AdV conosce solo il pTO).
Abbiamo ipotizzato che i costi dell’AdV siano nulli, ma nella realtà non è così: il TO per proporre queste soluzioni
contrattuali deve conoscere i costi di produzione dell’AdV. Tuttavia, come nel caso del TO, l’AdV non ha interesse nel far
conoscere la propria struttura dei costi, in quanto darebbe al TO un vantaggio nella contrattazione. Per questo motivo è
più conveniente l’integrazione verticale (si conoscono i costi).
I contratti di esclusiva
Il profitto del TO dipende dal grado di monopolio → incentivo ad estromettere i potenziali concorrenti.
- Contratti di esclusiva che vietano (o che penalizzano) alle AdV di vendere prodotti della concorrenza;

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- Rispetto al contratto “normale”, l’introduzione di una penale deve essere bilanciata da una commissione più
elevata (in questo caso bisogna dare un incentivo all’AdV, che rinuncia al profitto che potrebbe ottenere vendendo
anche prodotti della concorrenza, se no non avrebbe convenienza ad accettare un contratto in esclusiva);
- Il TO sceglie la combinazione penale-commissione (g, G) che massimizza il suo profitto atteso E(ΠTO).
Questo contratto, tuttavia, non sarà stabile nel caso di problemi di enforcement (3° caratteristica dei contratti):
- Costi di monitoraggio del comportamento dell’AdV (a carico del TO);
- Legislazione antitrust (perché vanno a danno della concorrenza e quindi del benessere dei consumatori).
Per questo motivo non si avrà un contratto esplicito fra TO e AdV. Strumenti che legano l’agenzia in un rapporto
esclusivo (contratto implicito):
- Fornitura di servizi aggiuntivi (marketing congiunto, formazione del personale, uso di software dedicato
proprietario, ecc.)
- Effetto lock-in (costi di apprendimento). Ogni impresa ha sue procedure, perciò l’AdV che ha appreso le procedure
di un TO non è incentivata a cambiare fornitore, perché apprendere queste procedure ha un costo (in questo caso
il monitoraggio è meno necessario).
I contratti full line
È ottimale per il TO diversificare il prodotto, ma non tutti i progetti hanno la stessa profittabilità o possibilità di vendita
per le AdV. Vengono proposti contratti full line con i quali i TO forzano le AdV a vendere l’intera gamma di pacchetti
turistici [anziché vendere solo i pacchetti a cui è interessata].
Esempio: due tipologie di turisti (A, B); due pacchetti (C, F). il costo dei pacchetti per l’AdV è CF = 1000 e CC = 900, i
prezzi di riserva sono PAC = 1000, PAF = 800, PBC = 800, PBF = 1000. Il problema della libera contrattazione: l’AdV non
venderà mai il viaggio F perché non ricava nessun profitto → ricavo totale TO, RTTO = 1000, ΠAG = 100. Di conseguenza, il
TO può incentivare la vendita anche di F con un contratto full line che, a parità di ricavo per l’agenzia (ma maggiore
sforzo di vendita) aumenta il ricavo del TO: RTTO = 2000 [il doppio, perché vende anche il secondo pacchetto turistico].
Se deve incentivare l’AdV, il TO deve essere disposto a diminuire il proprio mark up per remunerare di più l’AdV:
se C’F = 900 → RTTO = 2000 e ΠAG = 200 [il TO vende all’AdV il pacchetto F ad un prezzo inferiore, prima 1000 ora 900,
che consente comunque al TO di raggiungere il suo fatturato, ma aumentando il profitto dell’AdV. Il TO avrà un profitto
minore, ma comunque maggiore della prima ipotesi, ovvero non vendere F].
I contratti di selezione
Il TO conosce solo ex-post il livello della qualità dei servizi offerti dall’hotel e deve praticare una strategia di selezione,
deve trovare il modo di selezionare gli hotel di alta e bassa qualità per riuscire a spartirli nei rispettivi pacchetti.
Immaginiamo di avere solo due tipologie, l’hotel di qualità e l’hotel economico, che avranno due diverse funzioni di
costo [es. personale più qualificato è più costoso, produttività del personale, ecc]:
- Ca(q) = funzione di costo dell’hotel di qualità
- Cb(q) = funzione di costo dell’hotel economico
Nell’asse x abbiamo la qualità e nell’asse y i costi/prezzi.
Notiamo che all’aumentare della qualità aumentano i
costi e, di conseguenza, i prezzi.
Nel caso dell’albergatore di alta qualità, poiché il
personale è molto costoso, produrre un servizio di bassa
qualità è comunque costoso, ma allo stesso tempo
(essendo personale altamente qualificato) è in grado di
produrre un servizio di qualità. L’albergo di bassa qualità
riesce a produrre un servizio di bassa qualità a costi molto
bassi (perché il personale costa meno), ma se cerca di
offrire qualità elevata (con questo personale poco
efficiente) ha dei costi molto elevati (es. deve assumere
molte più persone). Sulla base di ciò ipotizziamo 5 casi
(tipi di contratto):
- Contratto H: prezzo troppo basso rispetto alla qualità (per entrambi gli albergatori) → non soddisfa il vincolo di
partecipazione, ovvero nessun hotel accetterà mai questo tipo di contratto.
- Contratto K: prezzo molto alto rispetto alla qualità, entrambi gli hotel accetteranno ma è inutilmente costoso per il
TO, che potrebbe ottenere la stessa qualità con un prezzo più basso.
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- I contratti A e B, sono i contratti che cerca il TO. In B offre un contratto di qualità bassa, ed è un contratto
remunerativo per l’hotel di bassa qualità (ma non per quello di alta). In A, il contratto è remunerativo per l’hotel di
alta qualità. La coppia A e B garantisce l’equilibrio di separazione (tutti gli hotel di qualità alta sceglieranno il
contratto A e tutti gli hotel di qualità bassa sceglieranno il contratto B).
- Il contratto E è un caso particolare, dove la combinazione qualità-prezzo è raggiungibile da entrambi gli albergatori,
di conseguenza il TO non sarà in grado di distinguerle l’hotel di alta qualità da quello di bassa qualità, e ciò
porterebbe all’insoddisfazione dei turisti → pooling.
Per far sì che si definisca l’equilibrio di separazione occorre che il TO proponga contratti più redditizi del necessario. È
un’operazione costosa in quanto il TO deve rinunciare ad una parte dei suoi profitti: pA > p*.
I club di prodotto
Le imprese ricettive e le destinazioni possono unirsi in club di prodotto, ovvero un raggruppamento volontario (ma
stabilito contrattualmente) di diverse imprese per garantire al turista un certo servizio e una certa qualità. Il club può
nascere sia per iniziativa pubblica sia per iniziativa privata, e può comprendere ad esempio: varie strutture ricettive, una
destinazione con le varie strutture operanti all’interno, intermediari esterni che raggruppano diverse imprese ricettive.
Questo potrebbe risolvere la questione della segnalazione della qualità. Le imprese che fanno parte del club di prodotto
si proporranno al mercato con lo stesso marchio. Nell’aderire al club, le imprese:
- Sostengono un costo d’associazione [quindi aderire al club rende il prodotto più costoso], che dipende dai costi di
transazione (contratto) e costi di adeguamento e mantenimento dei propri standard a quelli determinati dal
contratto. Questo aumento dei costi permette di avere un equilibrio di separazione tra le imprese di qualità alta
(che aderiscono) e quelle di qualità bassa (che non aderiscono).
- Ottengono un ritorno di visibilità (es. attività di marketing e comunicazione comuni, svolte dal club di prodotto,
diminuendo i costi di queste attività per le singole imprese) e reputazione, che porta ad un aumento dei ricavi e
quindi a maggiori profitti.
A. La costituzione del club: per fare parte dello stesso club è necessario che la dispersione in termini di qualità del
servizio reso dalle imprese sia limitata.
10.2 – forte divario di qualità fra le due
imprese, abbiamo un’esternalità da
immagine elevata [circa 200].
L’impresa A (alta q) può scegliere se aderire
o no. Se aderisce si trova di fronte a due
possibili esiti: se aderisce B (che ha livelli di
qualità molto più bassi) ciò influisce
negativamente sull’impresa A. Se B non
aderisce, A avrà un maggiore profitto.
Se l’impresa A decidesse di non aderire, nel
caso B aderisca, il club di prodotto in cui si trova B sarà un concorrente di A, perciò avrà comunque un effetto negativo
sui profitti. Nel caso non aderisca nemmeno B allora non vi è nessun effetto sui profitti di A.
→ Se l’impresa B aderisce, la miglior scelta di A è non aderire (minimizzando le perdite). Se l’impresa B non aderisce,
all’impresa A conviene aderire. Perciò l’impresa A non ha una scelta dominante, ma dipende da qual è la scelta di B.
→ L’impresa B invece ha una strategia dominante, gli conviene aderire in ogni caso. Tuttavia, essendo il club di prodotto
basato su una qualità alta, bisogna incentivare a diminuire il divario fra le qualità proposte.
10.3 – basso divario di qualità fra le due imprese, abbiamo un’esternalità da immagine ridotta.
→ La strategia dominante dell’impresa A è quella di aderire.
→ La strategia dominante dell’impresa B è quella di aderire.
B. La stabilità del club: la costituzione del club non garantisce la sua stabilità nel tempo, infatti oltre ad esserci libertà di
adesione, c’è anche libertà d’uscita. Le imprese possono tenere comportamenti opportunistici: un’impresa con
orizzonte economico di breve periodo ha interesse ha ridurre la qualità del servizio una volta entrata nel club
(riducendo i propri costi). Se tutte le imprese adottassero comportamenti opportunistici la qualità del marchio si
abbasserebbe, diminuendone la reputazione. Per questo motivo nel contratto vengono spesso inserite delle penali per
chi non rispetta gli standard di qualità pattuiti. Questo tuttavia aumenta i costi di monitoraggio del club, che deve fare
delle ispezioni periodiche per controllare la qualità. Ipotizziamo che le imprese non abbiano comportamenti
opportunistici, possono esserci degli shock esogeni (eventi non prevedibili che cambiano il contesto), 3 casi:

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▪ Shock simmetrico: colpisce tutte le imprese del club, perciò il peggioramento della qualità è comune. Il club
sopravvive anche se viene percepito di livello inferiore, ponendosi su un segmento più basso del mercato.
▪ Shock asimmetrico negativo: viene colpita l’impresa di qualità inferiore, vi è un processo di exit dal basso per
l’impresa di qualità più alta → il club può cessare di esistere [passiamo a situazione tabella 10.2]. Vi sono dei
possibili rimedi, il primo è un rimedio preventivo, dove già nel contratto sono specificati dei meccanismi di
espulsione per chi riduce la qualità (indipendentemente dagli shock). Un altro rimedio è un sostegno solidaristico
da parte delle imprese più redditizie che incentivano (finanziano) le imprese che calano di qualità per aumentarla.
▪ Shock asimmetrico positivo: viene colpita l’impresa di qualità superiore (che aumenta ancora di più la propria
qualità, e per questo esce dal club), vi è un processo di exit dall’alto per l’impresa di qualità più alta → il club
continua a esistere, anche se con qualità media inferiore. Un rimedio consiste nell’investire in qualità (le altre
imprese), ma siccome – rispetto al caso precedente – esse sono la maggioranza, il club non è in grado di finanziarle,
quindi dovrebbero esserci incentivi pubblici (dipende quindi dalla convenienza degli enti pubblici del territorio a
investire o meno nel club).
Allora, quando gli shock non sono simmetrici, i problemi sono:
- L’intrinseca instabilità dei contratti di club di prodotto;
- L’incapacità di conservare il livello di qualità che ci si era posti come obiettivo.
I contratti con incentivi
Contratti che si basano sul problema di asimmetria informativa: il TO non conosce le capacità vendita dell’AdV. Per
questo motivo, c’è un problema di azzardo morale: opportunismo post-contrattuale dovuto alla non osservabilità di
certe azioni [es. sforzo di vendita] o di informazioni nascoste [soddisfazione dei clienti, nota all’AdV ma non al TO]. Può
esserci anche un disincentivo fra le parti e, quindi, un conflitto di interessi. Ci sono 3 soluzioni: l’integrazione verticale,
monitoraggio da parte del TO (ma costoso) o cauzione da parte dell’AdV (rischio che rinunci a vendere il prodotto), i
contratti. Abbiamo due tipi di contratti:
- Se è la parte informata (AdV) che prende l’iniziativa → contratti di segnalazione e di reputazione.
- Se è la parte meno informata (TO) che prende l’iniziativa → contratti di selezione con incentivi.
Possibilità per i TO di offrire un ventaglio di contratti differenziati (processo di autoselezione): nella scelta l’AdV rivela la
propria capacità e la propria natura (agenzie con clientela fissa, che quindi puntano alla fidelizzazione e soddisfazione
della clientela, e clientela dinamica, non c’è interesse alla qualità finalizzata alla fidelizzazione).
Problema formalizzabile in un contratto d’agenzia: un individuo (agente) opera per conto di un altro (principale) con
un’azione che promuove l’interesse del principale. È una situazione analoga al contratto di lavoro dipendente, dove
l’impresa assume un lavoratore, che si presume lavori per l’interesse dell’impresa. Nel nostro esempio, l’agente è l’AdV,
mentre il principale è il TO.
Il modello principale-agente
Se gli esiti fossero frutto solo dall’impegno dell’agente, potremmo disegnare un contratto in cui gli incentivi sono in
base agli esiti (es. contratti a provvigione o a cottimo), ma data la contemporaneità degli effetti di eventi incerti
(esterni: es. dinamica della domanda globale, azioni dei concorrenti, meteo, ecc.) e dell’impegno dell’agente → il
principale non può risalire al tipo di azione intrapresa dall’agente (azione nascosta), non può dare un giudizio su come
ha lavorato l’agente partendo dall’esito. Abbiamo una situazione asimmetrica: il costo per il TO è fisso (la commissione)
mentre il costo per l’AdV dipende dall’impegno (non osservabile da parte del TO). Il rischio quindi è tutto sul principale.
Il rimedio che si può pensare è quindi un contratto con incentivi, ovvero un sistema di incentivi che assicuri:
- Il massimo sforzo dell’agente in ogni condizione [interesse del principale];
- La non penalizzazione di un agente sfortunato [esito negativo non deve essere disincentivato, ricordiamo che
l’agente è avverso al rischio quindi necessita di questo tipo di incentivo, se non ci fosse rifiuterebbe di vendere i
prodotti del TO → vincolo di partecipazione];
- La non remunerazione di un agente negligente [quindi il contratto necessita la distinzione fra agente negligente e
agente sfortunato];
- Il massimo reddito per il TO compatibile con il maggior rischio (dovuto al maggior impegno) per l’agente [tabella].
Azione a e b possibili per l’agente [a:
alto sforzo, b: basso sforzo].
Possiamo vedere gli effetti
dell’impegno dell’agente, senza
dimenticare che dipende anche dagli effetti di eventi incerti (1, 2, 3, 4) [che corrispondono agli stati di natura]. Il primo
stato di natura è un caso di ciclo positivo (dove il fatturato resta 50k per entrambi), il secondo è un ciclo negativo (il

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fatturato si dimezza) e il quarto caso è uno shock nella destinazione (si dimezza). Il terzo caso, invece, è il caso normale
in cui fa effettivamente differenza l’impegno dell’agente, infatti abbiamo due esiti diversi. Il valore atteso di questi
quattro esiti (supponendo che le probabilità che si verificano gli stati di natura siano tutte uguali) è più alto nell’agente
che si impegna rispetto a quello che non si impegna. Tuttavia, guardando solo le vendite il TO non è in grado di risalire
all’impegno dell’agente [perché possiamo avere 50k di fatturato anche impegnandoci poco, e 25k anche impegnandoci
tanto]. Osservazioni: il TO osserva solo l’esito (50k o 25k) senza sapere il perché. L’impegno dell’AdV paga
(37.500>31.250). Ipotesi del modello:
- Ipotesi comportamentali dell’agente: U(W, A) con A = AA’ AB. L’agente ha un livello di utilità che dipende dalla sua
remunerazione per le vendite W e dal suo sforzo A (che può essere Alto o Basso).
- Agente è avverso al rischio → U = W1/2 – A oppure U = √W - A [con uno sforzo crescente, il risultato migliore non è
valutato il doppio del risultato peggiore, perché in genere è associato ad un rischio]
- L’agenzia - a parità di condizioni - ha sempre convenienza a produrre lo sforzo inferiore: es. AA = 20; AB = 5 [il costo
A è 20 e quello B è 5]. Perché max l’utilità al minimo sforzo.
- Il principale (TO) è neutrale nei confronti del rischio: ΠTO – X – W [la funzione di profitto del TO è data dalle vendite
X – provvigione che deve pagare W → non c’è l’1/2 come nel caso dell’agente, non è avverso al rischio]. Al TO
interessano solo i risultati, non lo sforzo (per questo è neutrale al rischio).
→ L’obiettivo del TO è quello di massimizzare A, ovvero lo sforzo dell’agente, perché questo massimizzerà il profitto
atteso, e minimizzare W (provvigione pagata all’agente). L’obiettivo dell’agente invece è massimizzare la provvigione
(W1/2) e minimizzare lo sforzo A.
Vincoli per il Tour Operator:
- Vincolo di partecipazione (dell’agente): UE(A) ≥ U* (es. U* = 120) [il valore atteso dell’utilità, che deriva dal valore
atteso dello sforzo, deve essere maggiore di U*, ovvero un determinato livello standard che nel nostro esempio è
120 → il contratto deve essere vantaggioso. UE = utilità attesa]. Se no l’agente sceglie un altro TO.
- Degli incentivi relativi (dal lato del principale): U(.AA) > U(.AB’) → sforzo alto produce U maggiore che sforzo basso.
Contratto deve incentivare l’agente a scegliere fra le sue alternative di sforzo quella di sforzo alto (conviene al TO)
- X viene osservato mentre W50 e W25 sono le incognite [prima del contratto le vendite X possono essere osservate,
mentre sono un’incognita i meccanismi di remunerazione].
Due ipotesi:
1. Azione dell’agenzia non strettamente osservabile
In questo caso abbiamo la remunerazione in base
agli sforzi/esiti, a cui viene sottratto il costo dello
sforzo. Il peso delle remunerazioni cambia [vedi
tab. all’inizio] perché nel caso di sforzo alto
abbiamo 50% di vendite 50k, mentre nel caso di
sforzo basso solo 1/4. Il TO vuole minimizzare le
remunerazioni (attese in base agli esiti) che deve
versare all’agente [considerando i vincoli della
partecipazione e degli incentivi relativi]. La
soluzione prevede che la remunerazione per le
maggiori vendite deve essere maggiore di quella
per minori vendite (W50 > W25). Notiamo che nel
caso di vendite alte la remunerazione per l’agente è
di 28.900€ (su 50k, quindi più della metà), mentre nel caso di basse vendite è 12.100 (meno della metà). Il profitto del
TO – nel caso di sforzo alto – è di 17k. Questo contratto funziona e garantisce 17k al TO, prevedendo un premio per il
rischio per l’agente [senza, si pagherebbe meno all’agente, ma il profitto sarebbe inferiore → 15.625, quindi non
conviene].

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B. Azione dell’agente direttamente osservabile (caso informazione


perfetta)
Cosa accadrebbe se NON ci fosse asimmetria informativa? In questo
caso, la remunerazione non dipenderebbe più dai livelli produttivi
ottenuti [esiti] e dovrà semplicemente essere positivo per
incentivare l’agente. La soluzione del TO è minimizzare il vincolo di
partecipazione → si prende la funzione di utilità: U = W1/2 – A. Caso
sforzo alto → min(W1/2 – 20), W* = 19.600 remunerazione minima
agente (a prescindere dal livello produttivo). Questo valore è
intermedio rispetto ai due casi precedenti di vendite basse e alte
(circa 12k e 28k). Il TO non paga per il rischio (e quindi decide di
informarsi), ma il profitto dell’agente con sforzo alto è minore
rispetto al caso precedente, mentre quello dell’agente con sforzo basso è maggiore del precedente. Il TO, invece, ha un
profitto maggiore rispetto al caso A (17.900 > 17k). I 900€ di differenza corrispondono all’incentivo che nel caso A il TO
doveva corrispondere all’AdV.
Soluzione: commissione progressiva nel caso di azione nascosta (che corrisponde a 12.100 e 28.900) ed una
commissione fissa (19.600 → intermedia fra le due precedenti) nel caso di informazione perfetta.
CONCLUSIONE [tratta da tutto ciò che abbiamo visto finora sui contratti]:
- Quando il contratto è completo e implicito, i costi di transazione sono 0;
- Quando il contratto è completo e esplicito, i costi di transazione sono minimi;
- Quando il contratto è incompleto e simmetrico, i costi di transazione sono significativi;
- Quando il contratto è incompleto e asimmetrico, i costi di transazione sono ELEVATI.
Trattiamo ora dei contratti fra la destinazione (operatori locali) e operatori esterni (intermediari). In questo caso, non è
possibile avere un contratto completo [ed esigibile], perciò è più possibile che si rinunci a opportunità di
profitto/scambi mutualmente vantaggiosi.
Gli investimenti specifici
Definizione: investimento = spesa per un bene durevole. Un investimento è specifico se possiede maggior valore
all’interno di un rapporto tra le parti contraenti piuttosto che un’alternativa esterna (se esiste) → quindi se ho maggior
valore (nel senso di possibilità di profitto) a lavorare con un TO, rispetto che a tutti gli altri. Non tutti gli investimenti
sono specifici nella stessa misura, necessitiamo quindi di una misura del grado di specificità, data dal rapporto di questi
valori: quanto valore perde l’investimento se non viene utilizzato nel rapporto fra le parti, ma viene utilizzato in altro
modo. = La specificità di un investimento viene misurata dalla percentuale del suo valore che va perduta qualora
l’attività venga utilizzata al di fuori del suo contesto (es. capanne di un resort hanno poco valore se spostate al di fuori
dai siti turistici per il quali sono state create). Quindi se non esistono alternative esterne, l’investimento è specifico al
100%, mentre se esiste un’alternativa esterna nella quale il valore dell’investimento è molto alto rispetto a quello
previsto nel contratto, la situazione cambia. In ogni caso, il valore nell’alternativa esterna non sarà uguale a quello nel
rapporto fra le parti contraenti, perché se fosse uguale il grado di specificità sarebbe 0 (l’investimento non sarebbe
specifico). Negli investimenti specifici abbiamo dei sunk cost [letteralmente: “costi affondati”], cioè l’investimento non è
recuperabile (almeno in parte) fuori dal contratto. Proprio l’esistenza di questi sunk cost [asimmetria di valore
dentro/fuori il contratto], può generare dei possibili comportamenti opportunistici, che mettono a rischio la
convenienza stessa dell’investimento.
→ Abbiamo un operatore esterno (TO) e
gli operatori locali. Il TO realizza degli
alberghi e impianti di risalita in una
destinazione montana, e gli operatori
locali apportano i terreni e le licenze. Le
spese del TO in questo processo (ITO) sono
€10k, e i Ricavi Totali saranno €18k.
Immaginiamo che i ricavi netti fra le parti
siano distribuiti al 50% (fra TO e operatori
locali). Perciò, il ricavo degli operatori
locali è di €9k. Il ricavo del TO, invece, è 9k
– 10k (investimento) → è negativo.
Il TO a queste condizioni non accetterà. Quale potrebbe essere un’alternativa favorevole anche per il TO?

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Un contratto a lungo termine, che sia incentivante per il TO, non dividendo i profitti ma immaginando che il TO paghi
agli operatori locali un prezzo di concessione → il problema è trovare il prezzo di concessione ottimale p*. Questo
metodo garantisce la piena proprietà dell’opera al TO, che eviterà quindi i comportamenti opportunistici [da parte del
TO, cioè nel tirarsi indietro dal fare l’investimento, e nemmeno da parte degli operatori locali]. La funzione di ricavo per
gli operatori locali diventa p*, mentre quella del TO è: 18k – 10k – p*. In questo caso, considerando TTO = ROL → 4k. Non
è più una distribuzione dei ricavi totali al 50%, ma una distribuzione dei ricavi netti al 50%.
I contratti di questo tipo possono funzionare solo se durano nel tempo, in quanto gli investimenti sono beni durevoli. Ci
sono quindi tre problemi:
- Nel tempo possono cambiare le controparti (es. dal lato degli operatori locali, ogni tot ci sono le elezioni comunali e
cambia il sindaco, il TO può essere acquistato da un'altra impresa, ecc.) → devono esserci clausole contrattuali che
prevedono cosa bisogna fare in questi casi.
- Problema dei prezzi relativi (nel nostro esempio p* è un prezzo fisso, nell’ipotesi che siano stimati i ricavi totali. Ma
i RT potrebbero cambiare, ad esempio si riduce la domanda o aumenta di molto, ecc.) → clausole di adeguamento
del prezzo di concessione, in adeguamento ai vari stati di natura.
- Nuove opportunità sul mercato (nuovi concorrenti) → non è detto che i ricavi previsti si realizzano, bisogna
adattare il prezzo di concessione (diminuirlo).
Gli investimenti congiunti
Una variante degli investimenti specifici è quella degli investimenti congiunti. Nel primo caso, due parti stipulano il
contratto ma solo una parte realizza l’investimento [il sunk cost non permette di “uscire” dall’investimento e la
controparte potrebbe avere comportamenti opportunistici]. Gli investimenti congiunti sono realizzati da entrambe le
parti, che sono massimamente produttivi quando sono realizzati insieme (e non separati), ad esempio Fiat decide di
realizzare impianto al Sud (impianto di Melfi), ma i fornitori erano principalmente nel centro-nord (elevati costi di
trasporto), incentiva investimenti dei principali fornitori per far sì che costruissero impianti produttivi nei dintorni di
Melfi. Esempio turismo: isola tropicale, si realizza un villaggio turistico (AL) e un aeroporto (TO). Il problema è che la
redditività di entrambi gli investimenti dipende da azioni costose che non sono contrattualizzate → ciò porta a possibili
comportamenti opportunistici.
[AL = operatori locali; L = bassa qualità, H = alta qualità]
Primo: Due investimenti entrambi di
bassa qualità (non si fanno) → il ricavo
totale è 0, non arrivano turisti.
Secondo: Investimento in qualità per
entrambi. Immaginiamo che il costo sia
2000 per entrambi, e il RT 6000.
Entrambi guadagnerebbero 1000.
Terzo: Immaginiamo che gli operatori
locali effettivamente realizzano
l’aeroporto (costo 2000), ma il TO una
volta che è realizzato l’aeroporto NON
realizza il villaggio di alta qualità. Il
risultato è che vi sarà un afflusso
turistico ma sarà limitato (e/o pagherà
meno) → RT = 3000, che se vengono
ripartiti in parti uguali significa che il
TO avrà un profitto di 1500 (superiore
al precedente), mentre gli operatori
locali saranno in perdita (-500). A questo punto, l’operatore locale non accetterà il contratto (sarebbe uguale a parti
invertite) → quindi si rimane nel caso 1, ovvero rinunciamo agli investimenti. La strategia dominante nel dilemma del
prigioniero è quella di non realizzare gli investimenti, anche se l’ottimo sociale sarebbe quello di realizzare entrambi
due servizi di qualità. La conclusione è che non basta che l’accordo sia possibile e conveniente, ma deve essere credibile
il vincolo all’esecuzione: una volta stipulato il contratto, entrambe le parti devono realizzare l’investimento. Inoltre, il
comportamento opportunistico è legato alla sequenza di investimento (colui che realizza l’investimento più tardi può
permettersi il comportamento opportunistico). Questa è una delle cause della scarsa crescita del turismo internazionale
in Italia: le imprese vorrebbero investire ma non lo fanno, in quanto c’è una tendenza a comportamenti opportunistici
da parte degli operatori locali. I possibili rimedi (che devono essere previsti dal contratto) sono:

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- Investimento a lungo termine, che può portare a una soluzione di internalizzazione, ovvero l’operatore globale
realizza entrambe le opere pagando all’autorità locale un prezzo di concessione → più difficile nei Paesi avanzati
come l’Italia, ma è una pratica molto comune nei Paesi in via di sviluppo.
- Commitment, vi sono vincoli non contrattuali ma costosi (es. il TO riesce a arrivare a popolazione facendo notare
loro quali sono i benefici dell’opera, come l’incremento dell’occupazione, ecc. Ciò può portare l’opinione pubblica a
fare pressione sugli operatori locali nel caso non dovessero fare il loro investimento)
- Reputazione, la parte che si comporta in modo opportunistico trae un beneficio in questa vicenda specifica, ma
avrà poi una brutta reputazione.
ICT - INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY E TURISMO – Capitolo 11
La rivoluzione informatica ha trasformato la tecnologia con cui l’informazione (come bene) viene prodotta, distribuita e
consumata [tecnologia che presenta ora un costo sempre più ridotto e quindi un aumento della quantità
dell’informazione] MA le stesse categorie [concettuali] che l’economia utilizza per lo studio dei beni reali possono
essere utilizzate anche per i mercati dell’informazione.
Come ICT cambiano le relazioni fra soggetti economici. Le ICT permettono di introdurre due tipi di innovazioni:
1. Innovazioni di processo (cioè l’adozione di sistemi più efficienti per produrre beni e servizi), che possono quindi
essere analizzate con le categorie della minimizzazione dei costi;
2. Innovazioni di prodotto (internet, SMS, videochiamate, televisione on demand), che rappresentano informazioni
aggiuntive e che quindi possono essere studiate in un’ottica di riduzione delle asimmetrie informative [in realtà
possono essere anche dal punto di vista dell’aumento dei profitti a causa dell’aumento dei ricavi, perché si crea una
maggiore domanda, ma quest’ipotesi ci interessa meno].
Il processo innovativo è tuttora in corso: non si è a una nuova stabilità tecnologica.
L’impatto di internet sull’economia. Le ICT possono essere distinte tra:
- Infrastrutture ICT (ovvero la rete fisica: cavi, antenne, server, ecc., gli standard tecnologica e i protocolli);
- Servizi ed applicazioni ICT (browser, database, software gestionali, ecc.);
- Informazioni tout court (contenuti).
Centrale alle ICT è il concetto di rete, una terza via, alternativa a impresa e mercato (→ make or buy), per condurre
relazioni economiche e sociali. Questa rete è solo il “mezzo fisico” per la rete economica.
La rete economica è una struttura (alternativa all’impresa e al mercato) che per funzionare in maniera efficiente [e
quindi per essere preferita alla scelta di impresa o mercato] ha bisogno di un alto grado di coordinamento e
cooperazione fra i soggetti (nodi) che la compongono [quindi la rete richiede qualcosa di più rispetto al mercato].
Lo sviluppo delle reti (hardware e software) modifica anche l’organizzazione interna delle imprese (perché favorisce il
decentramento delle decisioni e l’utilizzo di strategie cooperative anziché quelle competitive normalmente prevalenti).
Inoltre, modifica anche la struttura dei mercati (perché altera le dinamiche competitive e gli equilibri raggiunti sui vari
mercati).
Quindi, le nuove tecnologie sono anche un fattore di cambiamento → cambiano quindi le priorità d’indagine dell’analisi
economica.
Nuove strategie ed effetti di mercato. Gli aspetti economici delle ICT: non tutti sono rilevanti x imprese turistiche
1. Internet come combinatorial innovation (internet offre una vasta gamma di componenti per prodotti → più
frequente che con le innovazioni precedenti);
2. Ridefinizione dei diritti di proprietà (chi è proprietario di un bene digitale? Cambiano anche il diritto di utilizzo e il
regime delle licenze);
3. Cambia la relazione fra costi fissi e costi marginali (CF tendono a essere alti e CM tendenzialmente nulli)
4. Economie di scala dal lato dell’offerta (forte tendenza a monopoli naturali, es. Microsoft, Google. Tuttavia, ciò pone
dei problemi di tutela dei consumatori → in una prima fase questi monopoli portano innovazione e riduzione dei
prezzi, quindi i consumatori non sono “preoccupati”, perché ne vedono il vantaggio. In realtà portano poi ad un
arresto nella riduzione dei prezzi e una limitazione delle opportunità dei consumatori);
5. Differenziazione dei prodotti, discriminazione dei prezzi;
6. Vendite collegate (bundling = più prodotti venduti per un unico prezzo, che presuppone anche una “barriera
all’ingresso” per gli altri concorrenti. Es. Microsoft offriva sistema operativo e pacchetti software non acquistabili
separatamente);

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7. Switching cost e lock-in effect (cambiare fornitore di ICT è costoso, perché cambiano le modalità di utilizzo. Questo
produce un lock-in effect, ovvero una volta scelto un fornitore è molto difficile cambiare → minore elasticità della
domanda, il che è vantaggioso per le imprese)
8. Ricerca delle informazioni (perché hanno ridotto enormemente i costi – e tempi – della ricerca, il che è a vantaggio
dei consumatori. Possono esserci però delle pratiche per ostacolare il confronto fra i prezzi dei vari produttori, ad
esempio il bundling → è difficile confrontare dei pacchetti turistici di TO se sono differenti fra loro, sarebbe più
facile confrontare il singolo servizio);
9. Economie di scala dal lato della domanda (Esternalità di rete. Es. telefonia: la convenienza ad aderire alla rete è
tanto maggiore tanto più aumentano le persone che vi aderiscono);
10. Gli standard (proprio per economie di scala c’è tendenza a uniformare gli standard. Al tempo stesso, le imprese
dominanti hanno convenienza a imporre il proprio standard che per loro è più redditizio);
11. Anche gli scambi sono intermediati dalle ICT (es. e-commerce);
12. Effetto productivity slowdown (dopo il forte aumento produttività nella fase iniziale, potremmo avere
rallentamento o peggioramento perché è necessario che i lavoratori acquisiscano le skills necessarie ad utilizzare le
ICT);
13. Morte della distanza (la distanza implica un costo – es. per il turista il viaggio è costoso. Le ICT che permettono di
evitare spostamento fisico riducono questi cosi e rendono irrilevante la distanza. Es. scelte localizzative delle
imprese/smartworking → si può scegliere casa a prescindere dalla sede lavorative. Tuttavia, è un tema
sopravvalutato perché molte risorse restano geograficamente eterogenee).
ICT, nuove strategie ed effetti di mercato
Le ICT hanno un impatto sia sui consumatori, sia sulle imprese, sia sui mercati:
ICT e consumatori ICT e imprese ICT e mercati

- Riduzione costi e tempi di raccolta di - Monitoraggio per lo yield - Nascita dei mercati elettronici
informazioni per le scelte management (tecnica che consente (transazioni online), più efficienti
- Maggiore soddisfazione delle aumento dei profitti) - Beni ad alto contenuto di informazione
preferenze (più facile trovare prodotti - Maggiori opportunità di (digitalizzabili)
personalizzati) differenziazione del prodotto - Beni fisici a bassa incidenza del costo di
- Contributo diretto alla produzione e - Migliore post-vendita e trasporto
alla distribuzione dell’informazione fidelizzazione - Problema delle banche dati sulle
persone: rischi per la libertà [es. governo
cinese. West: dati usati per pubblicità]

Cenni di teoria economica dell’informazione. Elementi essenziali:


- Esternalità di rete: l’utilità del servizio dipende positivamente dal numero di soggetti che lo domandano (se non ci
fossero tanti iscritti a Instagram nessuno sarebbe interessato a utilizzarlo).
- Switching cost: il passaggio da un prodotto ICT ad un altro può implicare notevoli costi.
- Nuove forme di intermediazione: per ovviare alla “confusione” provocata dalla troppa informazione (ne rendono
l’utilizzo più semplice. Es. motori di ricerca).
- ICT come experience good: questa caratteristica determina nuove strategie di impresa (es. articoli di un quotidiano
online inizialmente tutti gratuiti, poi alcuni disponibili tramite abbonamento → non tutti, resta una parte gratuita
che consente di sperimentare l’informazione prima di comprare l’abbonamento).
Date queste premesse dal lato della domanda, emergono dal lato dell’offerta due nuovi modelli:
- Nuovi modelli interni di organizzazione delle imprese (meno gerarchia e meno localizzata, sia nel senso di
smartworking, sia nel senso di multi-localizzazione);
- Nuovi modelli di competizione tra imprese (costi marginali nulli e costi medi decrescenti: tendenza economie di
scala e quindi al monopolio naturale).
→ Mentre nel breve periodo l’innovazione fa nascere nuove imprese (e aumenta la concorrenza, vantaggio per i
consumatori), nel lungo periodo vi è una tendenza all’oligopolio.
L’ICT e il turismo. Il turismo è uno dei settori di maggiore impatto delle ICT (hanno ridisegnato filiera del prodotto
turistico e i modi di funzionamento dei mercati turistici):
- Il turismo è un mercato ad “alto contenuto informativo”: la natura del turismo come experience good, l’esistenza di
forti asimmetrie informative, gli elevati costi di ricerca dell’informazione, la complessa composizione del prodotto

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turistico e delle sue possibili combinazioni, la sua deperibilità rendono particolarmente prezioso lo sviluppo di
sistemi efficienti di produzione e di distribuzione dell’informazione.
- Il turismo sta attraversando un momento di cambiamento strutturale: i turisti [in seguito all’aumento dei redditi
dato dalla globalizzazione] chiedono prodotti sempre più qualificati, personalizzati, stanno diventando più selettivi
e sensibili al prezzo, dedicano meno risorse alla programmazione delle vacanze che diventano più frequenti e più
corte (→ più tempo per organizzare più vacanze, però le ICT hanno ridotto i tempi).
- L’integrazione tra turismo ed informatica non è assolutamente una novità: è uno dei fattori chiave dello sviluppo
del turismo moderno fin dal secondo dopoguerra (CRS – Computer Reservation System, sviluppati già e gestiti dagli
anni ’70 dalle compagnie aeree). Già nel 2000 il comparto dei viaggi mostrava la quota più rilevante delle vendite
online, prima dei computer e degli spettacoli.
Impatti differenziati delle ICT su: 1) turismo intermediato; 2) turismo autoprodotto; 3) relazione fra i due segmenti:
infatti, rendendo meno costoso il turismo autoprodotto, si spinge verso di esso a danno del turismo intermediato [gli
intermediari devono quindi essere particolarmente innovativi per poter “sopravvivere”].
ICT e il turista-consumatore. Per il turista, i maggiori cambiamenti dovuti alle ICT sono:
- La riduzione del costo di ricerca dell’informazione, che significa: la riduzione delle asimmetrie informative; accesso
ad una quantità maggiore di informazioni; accresciuto potere decisionale del turista.
- Maggiore possibilità di costruire prodotti altamente personalizzati.
- Sviluppo del passaparola elettronico (es. social network).
Il turista ha accesso all’informazione attraverso diversi sistemi:
- Il sito della singola impresa, sia essa un’agenzia di viaggi, un’impresa di trasporto o una struttura ricettiva;
- L’impresa rende il proprio sito accessibile a motori di ricerca in modo che l’utente possa mettere a confronto la
varietà dell’offerta (destinazioni o turismo);
- Il web management della destinazione con un proprio portale;
- Siti indipendenti gestiti direttamente da turisti.
Cambiano i costi di ricerca, quindi convenienze e scelte (cambia anche la dimensione del mercato, grazie alla riduzione
dei costi), ma non cambiano i modelli interpretativi [che abbiamo visto nelle lezioni precedenti, semplicemente i costi di
informazione sono minori].
L’ICT e le imprese turistiche. Per la competitività delle imprese turistiche, le ICT permettono di:
➢ Accedere a informazioni meno costose e razionalizzare la propria organizzazione, mantenendo i vantaggi comparati
sull’autoproduzione;
➢ Utilizzare strategie di yield management più efficienti, grazie ad un migliore monitoraggio della domanda e
dell’offerta di mercato, migliore gestione dell’occupancy rate e dell’overbooking, offerte last minute, ecc;
➢ Introdurre prodotti e servizi innovativi che il turista non può ottenere da sé (internet come strumento di marketing
e di promozione);
➢ Accedere a maggiori opportunità di differenziazione del prodotto e di segmentazione del mercato, che permettono
alle imprese di riguadagnare su nicchie di consumatori motivati il grado di monopolio perso per l’accresciuta
competitività derivante dall’ICT;
➢ Migliorare le attività di assistenza post-vendita per rendere più efficiente il controllo sulla produzione e per
“fidelizzare” il consumatore;
➢ Integrazione verticale (ICT in reti distributive), orizzontale (economie di scala) e persino diagonale (con imprese ICT)
→ cambiamenti della struttura di mercato.
→ Nel breve periodo, l’introduzione delle ICT porta ad una maggiore concorrenza, prezzi più bassi ed erosione dei
profitti. Mentre nel medio e lungo periodo le imprese cercano di recuperare i profitti perduti con politiche di
differenziazione, di imposizione dello standard, di acquisizione (fusioni) e di discriminazione del prezzo.
La presenza delle organizzazioni turistiche in Internet può essere analizzata secondo tre criteri di classificazione:
A. Sotto il profilo dell’ordinamento strategico, cioè le imprese si differenziano tra:
- Grandi organizzazioni globali (che puntano ad una leadership di prezzo → prezzo basso)
- Organizzazioni d’élite d’alta gamma (leadership di qualità → offrire un prodotto di elevata qualità che giustifichi il
prezzo alto)
- Organizzazioni come portali multi-servizi (economie di scopo → risparmio derivante dalla produzione
congiunta di vari servizi, es. stesse risorse, stessi impianti, stesso know-how, in questo caso “radunando” insieme
vari servizi in un unico portale)
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- Operatori di nicchia specializzati (leadership di customizzazione → personalizzazione, da non confondere con l’alta
qualità, perché l’alta gamma può essere comunque standardizzata)
B. Sotto il profilo del modello di business [crescenti livelli di complessità aziendale]:
- Information provider (semplice fornitore di informazioni)
- Electronic booking service (oltre a informazioni, offre anche possibilità di prenotazione)
- Electronic travel agent (agente di viaggio elettronico, anche il pagamento è elettronico)
- Electronic marketplace (mercato elettronico, c’è anche l’aspetto post-vendita)
- Flexible comparison shopping services (servizi di comparazione flessibile, portali che consentono al turista di
personalizzare)
C. Sotto il profilo del tipo di organizzazione
- Organizzazioni produttrici di servizi turistici specifici (dove si punta principalmente alla fidelizzazione tramite le
nuove tecnologie, es. database)
- Organizzazioni tradizionali di intermediazione (user-friendliness)
- Organizzazioni di e-intermediazione turistica (puntano al monitoraggio del mercato, anche in tempo reale, per
creare servizi innovativi)
- Portali Internet e siti di aste online (puntano sull’accesso preferenziale)
Nuove relazioni consumatori / imprese e imprese / imprese: intermediazione, disintermediazione e e-intermediation.
I GDS, Internet e la disintermediazione. I GDS (nati dai precedenti CRS, anche in questo caso per le compagnie aeree,
successivamente si sono aggregati i tre più grandi: Sabre, Amadeus e l’ex Galileo, oggi Travelport) sono la principale
interfaccia elettronica nel mercato turistico: sono banche dati [delle opportunità di transazione possibili] che hanno il
compito di facilitare l’accesso alle informazioni, anche da parte di imprese che operano a valle o a monte. Si tratta di
una rete che ha costi fissi elevati (non solo per costruzione/aggiornamento della rete, ma anche per l’apprendimento
all’uso da parte del personale), ma i costi di gestione marginali sono medio-bassi. L’avvento di Internet ha facilitato la
costruzione di interfaccia grafiche [che prima NON erano user-friendly], facilmente accessibili anche al turista.
Due evoluzioni recenti: 1) Nascita delle agenzie di viaggio online (OLTA), il cui back end è costituito proprio dai GDS, in
competizione con le AdV tradizionali. 2) Il GDS si integra con i software di gestione aziendale e con software di yield
management (quindi possono essere utilizzati dalle singole imprese) → quindi, da un lato i GDS costituiscono
l’intermediario (OLTA), ma dall’altro lo rendono sempre meno necessario.
Nuova forma di intermediazione e di polarizzazione delle strutture competitive di mercato: pochi player globali
(oligopolio, sostanzialmente i 3 nominati in precedenza) e molte piccole agenzie che si specializzano in nicchie di
mercato (e-tour organisers).
La disintermediazione è più diffusa per prodotti turistici elementari che per quelli complessi dove la consulenza
(esperta) dà valore aggiunto. Es. prodotti turistici elementari come l’acquisto di un biglietto aereo, verranno acquistati
direttamente dai turisti online, senza fare ricorso agli intermediari.
L’ICT e le destinazioni. Anche le destinazioni (intese come imprese turistiche locali) possono approfittare delle ICT,
soprattutto per rimanere competitive agli occhi del turista auto-produttore:
I. Da un lato devono agire come collettore di tutte le offerte turistiche della destinazione, in modo da fornire, in un
unico portale, tutte le informazioni che possono interessare il turista;
II. Devono essere centro di coordinamento e di gestione delle imprese stesse (monitorando arrivi e presenze);
III. Devono offrire spazi, consulenza e vetrina soprattutto a quelle imprese che, a causa della loro dimensione e della
loro competenza, non sono in grado di gestire autonomamente (e in modo continuativo) la loro presenza su
Internet [la destinazione avrà del personale competente], inoltre, sul portale si consente la prenotazione e
l’acquisto del servizio (le imprese grosse lo faranno già da sé, ma spesso imprese piccole no);
IV. Devono integrarsi nei GDS e con gli internet provider (es. OLTA) specializzati in modo da promuovere la destinazione
nei confronti di destinazioni simili sui portali globali.
Le destinazioni devono dotarsi di operatori ad hoc che possono essere gestiti in modi diversi: 1) dagli uffici di
promozione turistica; 2) da associazioni di imprese turistiche [quindi privata e locale, es. consorzio degli operatori
locali]; 3) da imprese private. Internet fornisce un contributo importante, rispetto alla capacità di attrazione di flussi
turistici di una destinazione.
Un DMS (Destination Management System) è un sistema informativo integrato e centralizzato, con struttura
tecnologica ed organizzativa, che presuppone:

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- La creazione di una rete ad accesso riservato per gli operatori locali, attraverso la quale è possibile inserire e
modificare in tempo reale [= aggiornare] i dati relativi all’offerta di servizi;
- La creazione e la gestione di un sito web, liberamente accessibile dal turista, nel quale sono rappresentati i prodotti
acquistabili in rete e le informazioni relative alla località.
L’organizzazione del DMS può avvenire a diversi livelli:
Primo livello: il sito web si limita ad offrire informazioni elementari, non richiede una particolare attività di gestione
(può essere delegata anche a soggetti esterni, più semplice), esaurendosi, di fatto, nella realizzazione del sito gradevole
e funzionale (user-friendly), e richiedendo un aggiornamento periodico non eccessivamente frequente (es. stagionale o
semestrale).
Secondo livello: il sito web consente al turista di raccogliere la totalità delle informazioni sulla località. In questo caso ci
sono maggiori problemi di natura organizzativa e progettuale, in quanto la mole di informazioni è decisamente
superiore e deve essere opportunamente classificata e aggiornata costantemente (ci devono essere standard e formati
condivisi).
Terzo livello: consiste nella decisione di mettere in vendita online alcuni servizi (sia prenotazione sia pagamento),
integrandosi in un vero e proprio sistema di e-commerce.
Quarto livello: integrazione con i dispositivi mobili dei turisti (app, guide virtuali, ecc.).
La crescente complessità tecnica chiama in gioco cultura imprenditoriale locale, lungimiranza e attitudine cooperativa
della imprenditoria locale! I DMS non arrivano quasi mai al quarto livello, si fermano spesso molto prima, perché a
fronte dei benefici che un livello superiore possa apportare alla destinazione, essi comportano anche maggiori costi di
coordinamento. Un DMS molto avanzato non è per tutti. Paradosso: da un lato un DMS molto avanzato sarà tanto più
utile alle destinazioni più deboli, d’altro canto in queste destinazioni più deboli la cultura imprenditoriale è meno
lungimirante e meno cooperativa → piccola impresa/destinazione ha meno tempo e risorse da investire nel lungo
periodo (rispetto a “sopravvivere” nel breve periodo).
Il DMS può rappresentare la motivazione di
partenza per la nascita di un progetto di
coordinamento delle imprese nella destinazione e
di determinazione del prezzo del prodotto turistico
che superi i problemi di anti-common (= divari
qualitativi fra i vari servizi che entrano nel DMS). Il
DMS, quindi, non è solo uno strumento di
marketing territoriale, ma è anche strumento di
gestione economica della destinazione.
INTERVENTO DELLO STATO E ORGANIZZAZIONE PUBBLICA DEL TURISMO – Capitolo 14
L’efficienza del mercato. La conclusione principale del modello “base” dell’economia politica è il primo teorema
dell’Economia del Benessere: ogni equilibrio concorrenziale è efficiente nel senso di Pareto, ovvero se il sistema
economico è fatto di mercati perfettamente concorrenziali, la soluzione di equilibrio è efficiente nel senso di Pareto (=
l’allocazione delle risorse tra i vari usi, produce la massima utilità sociale, il massimo beneficio da risorse).
A ciò segue il secondo teorema dell’Economia del Benessere: si può raggiungere ogni equilibrio efficiente con una
opportuna redistribuzione delle risorse → da qualsiasi distribuzione iniziale delle risorse fra i vari soggetti, grazie a un
sistema di mercati concorrenziali, si arriverà comunque ad un equilibrio efficiente. Di conseguenza, l’efficienza e
l’equità sono separabili. Infatti, tendiamo a valutare l’equità sulla base dei risultati finali del mercato (redditi che le varie
persone ottengono); ma questo teorema ci dice che i redditi, la capacità di consumo e il tenore di vita che si ottiene
grazie al funzionamento dei mercati, sono la conseguenza della distribuzione iniziale delle risorse tra i vari soggetti
[soggetti che hanno poche risorse e poco utile, riceveranno reddito più basso rispetto ai soggetti che hanno molte
risorse e molto utile]. Se vogliamo avere dei risultati diversi in termini di equità dal funzionamento del mercato, non
abbiamo bisogno di interferire e modificare il mercato (o di eliminarlo), ma è sufficiente redistribuire le risorse all’inizio.
Quindi, l’efficienza può essere perseguita tramite i mercati, l’equità solo tramite la redistribuzione delle risorse (con
decisione politica). Da questi teoremi derivano tre ragioni fondamentali di politica economica:
- Ragione allocativa, ovvero il raggiungimento dell’efficienza: bisogna che il sistema sia disegnato in modo da
garantire l’efficienza, cioè in modo che i mercati siano concorrenziali. Serve quindi un intervento pubblico minimale
(regolativo) → leggi a favore della concorrenza, interventi non distorsivi dell’efficienza del mercato…
- Ragione stabilizzatrice, il risultato desiderato è di medio-lungo termine, in quanto nel breve termine non è detto
che si raggiunga il pieno impiego delle risorse. Esiste un ruolo stabilizzatore che garantisce il pieno impiego delle
risorse e la stabilità dei prezzi [che garantiscono il tenore di vita nel tempo] con delle politiche fiscali/monetarie di

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fine tuning che hanno funzione anticiclica. Se l’economia privata segue dei cicli di anni sfavorevoli e anni favorevoli,
le decisioni pubbliche dovrebbero compensare l’andamento dell’economia privata in modo da garantire sempre il
pieno impiego e la stabilità dei prezzi. Nel lungo periodo, queste politiche macroeconomiche sono inefficaci e
inefficienti: il ruolo stabilizzatore è inutile in un’ottica di lungo periodo (consumerebbe inutilmente delle risorse),
poiché – nel lungo periodo – tentativi di aumentare l’occupazione produrranno tensione sui prezzi (e quindi
riduzione del tenore di vita), e viceversa tentativi di ridurre la dinamica dei prezzi provocherà tensioni sul mercato
del lavoro (trade off tra occupazione e inflazione).
- Ragione distributiva, ovvero il perseguimento dell’equità, che come già detto va perseguita redistribuendo le
risorse ex-ante (es. per mettere tutti nella stessa condizione di risorse lavorative, garantire un sistema sanitario e
un sistema di istruzione pubblici, accessibili a tutti, a prescindere dalla propria disponibilità di reddito). Mentre si
guarda con diffidenza ogni intervento (imposte, sussidi) che interferisce sul sistema dei prezzi e deprime l’efficienza
complessiva [perché ciò mette in conflitto l’equità con l’efficienza].
→ Questa posizione è nota come posizione liberista.
I fallimenti del mercato. La posizione liberista (trasformare la realtà solo per avvicinarla all’ideale della concorrenza
perfetta) si fonda su un’ipotesi semplificata dell’economia reale: introducendovi la complessità del reale, i modelli
cambiano: non abbiamo più quell’equilibrio ideale, detto di first best, ma abbiamo equilibri di second best, ed anche le
conseguenze di politica economica cambiano:
- L’informazione perfetta e completa non esiste, nella realtà abbiamo: asimmetrie informative, contratti, scomparsa
dei mercati;
- Non ci sono beni omogenei, agenti rappresentativi → ma abbiamo mercati di monopolio, concorrenza
monopolistica, differenziazione del prodotto, discriminazione di prezzo;
- Non è vero che ci sia assenza di interazione strategica, dove ogni soggetto agisce individualmente → esistono
modelli di oligopolio e teoria dei giochi;
- Non vi è assenza di esternalità → ci sono modelli con esternalità;
- Non esistono solo beni privati, ma anche: beni pubblici, beni meritori, beni comuni.
Quindi, modelli che studiano i fallimenti del mercato (in termini dell’obiettivo sociale). Focus su due fallimenti: i beni
pubblici e le esternalità, in quanto nel caso del turismo sono particolarmente rilevanti. Infatti, il turismo è un’attività
fortemente orientata alle risorse (naturali, artistiche…), con un prodotto di servizi in parte privati e in parte pubblici, con
problemi di coordinamento e uso di beni pubblici e comuni. Abbiamo bisogno di un intervento pubblico perché il
mercato fallisce, anche solo per la ragione allocativa (mantenere il miglior uso delle risorse, che produca la massima
utilità).
I beni pubblici nel prodotto turistico. I beni pubblici sono beni connotati da due caratteristiche:
- Non rivalità nel consumo - a differenza dei beni privati che sono rivali - cioè il fatto che si può dare simultaneamente
un bene a più soggetti (fino alla congestione, che provoca abbassamento utilità);
- Non escludibilità dai benefici, c’è un beneficio congiunto per tutti i soggetti fruitori, senza un pagamento. La non
escludibilità può essere anche tecnica, cioè è materialmente impossibile, oppure economica.
Esempi di beni pubblici rilevanti per il turismo: parchi, città d’arte, panorami, beni naturali liberi.
Non tutti i beni sono perfettamente privati o perfettamente pubblici, abbiamo anche due categorie intermedie, ovvero i
beni pubblici spuri (detti anche beni di club), dove c’è non rivalità (fino alla congestione), ma si manifesta l’escludibilità
(es. possiamo costituire un club degli utilizzatori ed escludere tutti gli altri). Questo favorisce il finanziamento dei beni.
Esempi: autostrade, piscine, musei, biblioteche, chiese, ecc. (se sono a pagamento). L’altra categoria intermedia è
quella dei beni pubblici misti, dove non vi è escludibilità, ma si manifesta una parziale rivalità nel consumo. Esempi:
strade, traghetti, chiese, musei → casi in cui la capienza è limitata e si può raggiungere una congestione.
Consideriamo i beni pubblici come beni di consumo: nei beni pubblici (soprattutto in quelli puri) si ha mancanza di
incentivi nel rivelare le preferenze ed il beneficio marginale associato al consumo di bene pubblico non viene rivelato
(free riding). Questo è un problema perché nei beni privati i consumatori fronteggiano tutti uno stesso prezzo del bene,
il beneficio marginale è uguale al prezzo, e ogni consumatore consumerà la quantità che per lui è ottimale (in base alle
sue preferenze). Invece, nei beni pubblici tutti consumano la stessa quantità, perché il bene non è rivale, e hanno diversi
benefici → in teoria dovremmo fargli pagare prezzi differenziati, a seconda del beneficio che ricavano, ma essendoci
non escludibilità, non possiamo impedire a chi dichiara di non ottenere nessun beneficio di godere del bene. Il bene
pubblico è comunque costoso da produrre, anche ad esempio il panorama naturale è costoso (manutenzione per
mantenerne la bellezza, ecc.).

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Da questo punto di vista, la prima conseguenza è che, a causa di dichiarazioni falsamente basse dei benefici si avrà una
sottoproduzione (la quantità prodotta risulta inferiore a quella che sarebbe socialmente ottimale). Il limite è quando
tutti fanno free riding e dichiarano di non avere beneficio. Inoltre, se il singolo riesce a non pagare per il suo consumo,
gli conviene consumare meno della quantità che per lui sarebbe ottima, perché comunque non paga per questo
consumo e ha più risorse per altri consumi. Questa sottoproduzione accadrà nel caso del turismo se imponiamo
l’accumulo di risorse turistiche a carico dei residenti e non dei turisti. Immaginiamo che i residenti siano meno
interessati a un certo bene pubblico, al quale sono interessati invece i turisti.
L’esistenza di beni pubblici spiega perché le manifestazioni culturali in piazza entrino così raramente nell’offerta dei
turismi [e possono esserlo esclusivamente se c’è un finanziamento pubblico], il verde pubblico sia così scarso (rispetto
ai desideri dei residenti) e il sottodimensionamento dei parcheggi renda difficoltoso l’accesso alle località turistiche.
L’esito di questa sottoproduzione è l’insoddisfazione complessiva del turista → esito paradossale: un egoismo razionale
è controproducente, soprattutto se le risorse turistiche sono dei beni comuni (come i panorami naturali) dove
potremmo avere un eccesso di consumo e un conseguente degrado.
L’esito di questo fallimento del mercato è di abbassare la soddisfazione del turista, rendendo la destinazione meno
attraente e competitiva. Abbiamo un rimedio parziale, ovvero trasformare i beni pubblici in beni di club (club good),
consentendone l’accesso solo se viene acquistato in un pacchetto turistico. Se non c’è questo rimedio parziale, l’unica
soluzione è l’intervento dello Stato (imposte) → se non interviene lo Stato, si produce un sottodimensionamento dei
beni pubblici nella formazione del prodotto turistico.
Consideriamo i beni pubblici come fattore di produzione. I beni pubblici possono svolgere la funzione di bene
intermedio nella produzione di servizi turistici, e possono quindi agire come fattore di produzione in due modi:
- Factor augmenting: beni pubblici nei confronti dei fattori produttivi privati, tipicamente il fattore lavoro, quindi è
un fattore produttivo indiretto per il turismo. In questo caso il bene pubblico è disponibile per l’uso di ogni fattore
produttivo privato (lavoro o capitale) di cui accresce la produttività. Il fattore lavoro, grazie a questi beni pubblici, è
più produttivo che in loro assenza (es. corsi di formazione professionale e istruzione, ma anche strade non
congestionate che permettono ai lavoratori di arrivare in orario).
- Firm augmenting: beni pubblici nei confronti delle imprese. In questo caso il bene è disponibile per l’uso da parte di
ogni impresa.
Nella produzione turistica sono presenti sia beni pubblici factor augmenting sia beni pubblici firm augmenting, ma quelli
che assumono maggiore rilievo sono i beni del secondo tipo, ad esempio possiamo pensare ai beni culturali/risorse
naturali come fattori di produzione per i servizi turistici, che possono essere usati da diverse imprese (turistiche e non)
senza provocare esclusioni o rivalità. Esempio: la Tour Eiffel è un input sia per le telecomunicazioni, sia per trasmissioni
televisive, sia per le attività turistiche, ma l’uso da parte di un’industria non riduce la disponibilità per le altre.
Quando esistono dei beni pubblici, le imprese ottengono una dall’esistenza di essi rendita: reddito non guadagnato,
perché l’impresa utilizza il bene pubblico gratuitamente (es. nessun albergatore paga perché si trova sulle Dolomiti).
Quindi, le imprese ottengono un maggiore profitto:
Il principio base dovrebbe essere il principio della controprestazione, secondo il quale le imprese dovrebbero pagare un
contributo (commisurato al beneficio che ne traggono) → MA tendenza a non rivelare il surplus. Di conseguenza, ci sarà
un sottofinanziamento di questi beni pubblici e, anche in questo caso, lo Stato deve applicare un’imposta sulle imprese
per finanziare il bene pubblico.
Le sofferenze per i mali pubblici. Dal punto di vista teorico, non sono ipotizzati soltanto i beni pubblici ma anche i mali
pubblici, particolarmente rilevanti per il turismo. I mali pubblici sono dei danni che si impongono a tutta la collettività,
spesso sottoprodotti (spesso non voluti) dell’attività di produzione e consumo. Essi portano costi a tutti, e nessuno può
sottrarsi alla propria “porzione” di danno. Sono spesso il risultato di comportamenti strategici non cooperativi (esempio
classico del dilemma del prigioniero in teoria dei giochi). Anche per i mali pubblici la massimizzazione di obiettivi
individuali porta la destinazione a risultati insoddisfacenti per il turismo.
Esempio: impatto ambientale dell’attività
delle imprese turistiche. Questa attività
ha un impatto sulle risorse, che a loro
volta hanno un impatto sulla domanda e,
di conseguenza, sulla redditività.
Immaginiamo due attività: Albergatore A e B, entrambi hanno la scelta fra due strategie di comportamento, ovvero
“spendi di più e rispetta l’ambiente” (R) oppure “risparmia sulle spese ma danneggia l’ambiente” (D). Nel caso in cui
entrambi scelgano D, l’esito è che l’attività è redditizia ma ad un livello basso (20). Se entrambe scegliessero R, la

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reddittività sarebbe più elevata (50), perché la disponibilità di spesa dei turisti aumenterebbe, in quanto l’ambiente
sarebbe migliore, oltre ad attrarre nuovi turisti data la qualità dell’ambiente. Il problema è che ogni impresa decide in
modo indipendente, causando le situazioni 70-10 / 10-70, dove un albergatore sceglie D e uno R. In questo caso,
l’albergatore che decide di danneggiare l’ambiente ha un profitto alto (70), mentre chi decide di rispettare l’ambiente
molto basso (10). La strategia dominante perciò è in ogni caso D, quindi i mali pubblici sono sovradimensionati (al
contrario dei beni pubblici che sono sottodimensionati) rispetto a quello che socialmente sarebbe ottimale (ottimo
sociale). Le soluzioni sono:
- Un accordo vincolante fra privati (binding commitment) che deve essere credibile, non basta che i privati si
impegnino contrattualmente, ma il mancato rispetto deve essere sanzionato (e che la sanzione sia più costosa dei
benefici del non rispetto dell’accordo).
- Se l’accordo vincolante fra privati non è possibile (es. quando ci sono troppi soggetti privati che operano e i costi di
transazione dell’accordo sarebbero troppo alti), è necessario un intervento collettivo → intervento dello Stato (o
Comune/Provincia) attraverso leggi e sanzioni (anch’esse devono essere credibile).
→ Queste sanzioni modificano il payoff, facendo sì che la strategia dominante risulti essere l’ottimo sociale.
Le esternalità nel prodotto turistico. È un altro tipo di fallimento del mercato. Definizione: danno o beneficio associato
all’attività di produzione o di consumo il cui valore [del danno/beneficio] non è internalizzato nel prezzo di mercato → il
prezzo dell’attività dà un segnale incoerente rispetto al fine allocativo del sistema economico (= dell’efficienza nell’uso
delle risorse). Manca un mercato specifico per questo effetto dannoso/benefico associato all’attività di produzione e
consumo [perché? per le caratteristiche particolari di questo effetto e perché i diritti di proprietà non sono definiti in
modo adeguato]. La conseguenza è che la concorrenza fallisce (almeno parzialmente) il suo obiettivo sociale.
Abbiamo diverse tassonomie: la prima è per effetti → esternalità positiva / negativa, che hanno come conseguenza il
fatto che il prezzo di mercato dell’attività è troppo alto per l’esternalità positiva [quindi la quantità prodotta è troppo
bassa] e troppo basso per l’esternalità negativa [quindi la quantità prodotta è troppo alta].
La seconda tassonomia è quella per soggetti, ovvero la distinzione fra esternalità di produzione e esternalità di
consumo. L’esternalità di produzione impattano sulla funzione di produzione, e spesso vengono comunque
internalizzate, in quanto il profitto è un incentivo sufficiente a concordare tra le parti una soluzione contrattuale [se con
la mia attività produttiva creo un’esternalità che danneggia un’altra attività produttiva, può sempre capitare che il
danneggiato proponga una soluzione contrattuale per ridurre le mie esternalità negative, es. dandomi dei soldi]. Per
quanto riguarda le esternalità di consumo, esse entrano nella funzione di utilità/benessere dei consumatori, e in questo
caso sono raramente internalizzate perché in genere i costi di transazioni tra i consumatori sono più alti che fra le
imprese, quindi è difficile avere un metro oggettivo (come nel caso del profitto e dei costi delle imprese) per i
consumatori.
Questo concetto è rilevante nel turismo, proprio perché nel turismo c’è una particolare relazione tra produzione e
ambiente circostante (sia in senso naturale/paesaggistico, sia nel senso di ambiente storico/culturale). Quindi, nel
turismo abbiamo due tipi di esternalità:
1. Esternalità negativa di produzione (tra imprese turistiche e non turistiche)
2. Esternalità di consumo nel rapporto tra residenti e turisti (non sempre negativa)
1. Le esternalità negative di produzione. Quando si manifestano esternalità negative, la produzione risulta superiore a
quella socialmente ottimale. L’impresa considera solo il proprio costo privato C(Q), e non il costo sociale complessivo,
quando massimizza il profitto. In questo caso, parliamo di imprese NON turistiche che danneggiano le imprese turistiche
[quindi abbiamo troppa produzione delle imprese non turistiche].
Esempio: impresa non turistica che produce in modo inquinante, danneggiando l’ambiente e di conseguenza
l’attrattività turistica → danno alle imprese turistiche.
Il costo sociale complessivo è dato dal costo percepito dal privato + un elemento puramente sociale
→ CS(Q) = C(Q) + S(Q).

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Nell’asse x abbiamo la quantità prodotta del bene, nell’asse y


troviamo invece i costi di produzione. L’impresa non turistica in
questione opera in un mercato concorrenziale, dove il prezzo di
mercato corrisponde a P (linea orizzontale). A questo prezzo può
vendere qualsiasi quantità, ma sceglierà ovviamente la quantità
che massimizza il suo profitto (P = CM costo marginale), sulla
funzione di costo C’. In realtà, questa funzione è inquinante,
quindi genera un costo per la società (anche se l’impresa non lo
percepisce). La misura di questo costo sociale è rappresentata nel
grafico da t (dove c’è la parentesi graffa). Esiste quindi un costo
marginale sociale che è rappresentato dalla funzione C’s.
Dal punto di vista delle presenze turistiche, vediamo che sono
maggiori nella funzione C’s rispetto alla funzione C’. Chiaramente,
la quantità prodotta dall’impresa in questa funzione è inferiore. Il
costo complessivo dell’esternalità negativa è maggiore del
beneficio per l’impresa che la produce. Quali sono i rimedi?
● Interventi amministrativi che eliminano le scelte di mercato, cioè un intervento normativo, di controllo diretto o
indiretto. Il controllo diretto (command-and-control), intervento legislativo: divieti (si vieta l’esternalità negativa) o limiti
sulle quantità di esternalità negativa che si possono produrre (meno radicale del divieto). Questo intervento ha due
problemi, perché non è detto che un intervento normativo cambierà il comportamento dell’impresa. All’impresa non
conviene adattarsi alle norme, quindi bisognerà controllare che le rispetti (controllo di Compliance, che è costoso). Il
secondo problema è che le sanzioni devono essere credibili, quindi più alte del beneficio che l’impresa ha non
adattandosi alle norme (es. Manzoni nei Promessi Sposi che dice che gli spagnoli minacciavano sanzioni severissime ma
non le mettevano mai in atto, e la gente lo sapeva). Inoltre, il controllo diretto tocca tutti i soggetti allo stesso modo, ma
i soggetti sono diversi. Es. tutti devono ridurre le emissioni per ridurre il riscaldamento globale, ma sarebbe più comodo
far ridurre le emissioni (a parità di risultato) di più a chi può farlo a basso costo e di meno a chi deve farlo ad alto costo
(perché il benessere sociale potrebbe comunque diminuire, in quando forzando le imprese ad un certo standard sono
obbligate a produrre meno, non producendo abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti). Il controllo indiretto, ovvero
un intervento pubblico che passa attraverso il mercato, ad esempio l’imposta di Pigou (il privato nella funzione C’ non
risente del costo sociale, ma se applichiamo un’imposta pari a quel costo, allora il privato è incentivato a considerare la
funzione C’s). Questo però può avere degli effetti sui prezzi (aumento dei prezzi e quindi riduzione quantità domandata
(non nell’esempio del grafico).
● Metodi privati → teorema di Coase: in assenza di costi di transazione il mercato può risolvere l’esternalità fissando
con chiarezza i diritti di proprietà sul mercato mancante. Es. sostanzialmente vi è un “diritto all’acqua pulita”, ma posso
rinunciare a questo diritto vendendolo a qualcuno che acquista il diritto di sporcarla, in cambio di un risarcimento. Se
fossimo in concorrenza perfetta e non ci fossero costi di transazione, non sarebbe necessario nessun intervento
pubblico. Approccio utilizzato nel Protocollo di Kyoto per ridurre l’inquinamento globale (ha funzionato). Con questo
approccio, chi è più efficiente nel ridurre l’inquinamento lo ridurrà di più e il risultato è interessante, ovvero è
irrilevante chi ha i diritti (diritto a inquinare o diritto a risorse pulite), e se i diritti sono commerciabili e interscambiabili
daranno lo stesso risultato, indipendentemente da chi li ha. Clausola: assenza di costi di transazione, che non sempre
sono trascurabili (soprattutto quando le parti sono numerose) → in questi casi si usa l’imposta di Pigou, ma quando i
costi di transazioni sono trascurabili si può usare questo approccio di Coase, riducendo l’intervento dello Stato.
2. Le esternalità tra i turisti e i residenti. Mentre nel primo caso abbiamo un conflitto tra imprese, in questo caso
abbiamo l’esternalità fra l’attività turistica e i residenti, solitamente esternalità che i turisti generano a danno dei
residenti. Qualche volta l’esternalità può essere positiva e quindi a favore dei residenti, oppure può essere generata
(anche) dalle imprese turistiche verso i residenti.
Turismo friendly, caso in cui le presenze turistiche P producono un effetto positivo sull’utilità dei residenti. Per esempio
investimenti che migliorano la qualità della destinazione, fatti per aumentare le presenze, ma che migliorano anche la
vita dei residenti. Oppure, una più vasta gamma di servizi (aumentati per i turisti) ma di cui possono usufruire anche i
residenti (anche ad esempio festival / eventi culturali). In questi casi il mercato fallisce, nel senso che le strutture che
generano queste esternalità positive sono sottodimensionate, perché i privati che operano e indirettamente creano
queste esternalità positive, decidono in base ai propri profitti legati alle presenze, senza tenere conto del beneficio per i
residenti → quindi, sottostimano il beneficio e realizzano troppo poche esternalità positive.
Il rimedio è incentivare gli operatori turistici a produrre più esternalità positive (tramite un sistema di sussidi), in questo
modo gli operatori turistici produrranno più servizi e di conseguenza più esternalità positive [es. sussidi che le

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destinazioni pagano ai TO per essere inserite nei loro cataloghi / quando giro di Italia fa tappa in una destinazione –
soprattutto quella di arrivo – la destinazione ha pagato una somma per essere inclusa].
Turismo unfriendly, quando le presenze turistiche producono un effetto negativo sull’utilità dei residenti (e quindi più
presenze ci sono, minore è l’utilità dei residenti). Anche in questo caso il mercato fallisce, ma questa volta perché le
strutture sono sovradimensionate (producono troppo). Bisogna quindi incentivare le imprese turistiche a produrre di
meno/disincentivarle a produrre di più, tramite un sistema di imposte [es. tassa di soggiorno]. In questo caso, ci
troviamo in una logica Pigouviana (e non possiamo usare Coase, in quanto i costi di transazioni sono molto alti dato il
numero elevato sia dei residenti, sia dei turisti).
Le difficoltà (problemi) per lo Stato sono per la corretta misura del sussidio o dell’imposta e per la selezione dei turismi
e delle destinazioni su cui è necessario l’intervento (alcuni turismi si presentano come friendly e altri come unfriendly, in
alcuni territori un tipo di turismo sarà friendly mentre in altri territori lo stesso turismo potrebbe essere unfriendly).
L’intervento pubblico. L’intervento pubblico è costoso, e per questo motivo deve essere finanziato (come qualsiasi altra
attività) → la forma tipica è l’imposta. In presenza di beni e mali pubblici, nonché di esternalità positive e negative, le
scelte private possono generare esiti di mercato sub-ottimali (il settore privato, di per sé, non arriva ad esiti socialmente
ottimali in quanto l’obiettivo è solo la massimizzazione dei profitti). Questo accade anche nelle destinazioni turistiche,
tanto più in quanto molte attrazioni sono beni pubblici e in quanto nessun territorio è esclusivamente una destinazione
turistica. Di conseguenza, per garantirsi esiti socialmente ottimi (sostenibilità), anche nel turismo l’intervento pubblico è
necessario per:
- Regolamentare la produzione tramite sanzioni ed incentivi;
- Produrre beni pubblici (o di club) e finanziarli tramite il gettito fiscale;
- Distribuire le imposte tra residenti e turisti (se l’esternalità produce un beneficio sui residenti, dovranno pagare
delle imposte anche loro);
- Distribuire le imposte tra imprese e famiglie (a seconda del tipo di bene pubblico che viene finanziato e anche a
seconda del tipo di esternalità).
La tassazione nel turismo. Per finanziare l’allocazione di risorse alle varie forme di intervento pubblico si impiega il
gettito delle imposte, che vanno raccolte dalla popolazione (famiglie e imprese) che ne trae benefici. Il problema nelle
destinazioni turistiche è che chi beneficia NON è solo la popolazione residente (ma anche i turisti). Quindi, oltre alle
imposte sui residenti, ci sono anche le imposte sui turisti: per coprire le maggiori spese per servizi sostenute dai
residenti. Da bilanciare con i benefici che i residenti ottengono.
- A somma fissa (lump sum tax) → imposta sugli arrivi (es. sbarco negli aeroporti/porti, o tasse d’accesso). Il
vantaggio è che è meno distorsiva delle scelte del consumatore (quindi si avvicina all’ottimo sociale). Tuttavia, è
molto criticata perché va contro al criterio della capacità contributiva (che in Italia è tutelato dalla Costituzione), in
quanto tutti pagano la stessa somma, indipendentemente dalla propria capacità di spesa.
- Commisurata alla quantità (accisa) → imposta sulle presenze (es. tassa di soggiorno). Rende più costosa la vacanza,
non incide sugli arrivi ma sui giorni di permanenza.
- Commisurata al prezzo (ad valorem tax) → IVA (aliquote di lusso?). Es. imposta sul valore aggiunto, non è
un’imposta che si applica solo ai turisti. Ma se applichiamo un’aliquota più alta a beni che consumano
principalmente/strettamente i turisti è come se stessimo tassando solo loro.
- Commisurata all’investimento in risorse private complementari → imposta sulla proprietà (IMU), non si paga sulla
prima casa (quindi i residenti non la pagano), ma è pagata da tutte le altre attività, comprese le seconde case. Si
tratta di un’imposta municipale (quindi locale, incide sulla destinazione) ed è importante in Italia.
Problemi: capacità contributiva e progressività delle imposte; incidenza (chi paga davvero le imposte? Le imprese
turistiche o i turisti?); effetti sui prezzi; distorsione delle scelte (disincentivo); competitività della destinazione (la
destinazione si trova ad agire in un mercato nella quale è in competizione con le altre destinazioni, alzando i prezzi
diminuisce la competitività); federalismo fiscale: competenza fiscale, coordinamento, ecc. (nel senso che non tutte
queste imposte sono di competenza locale delle destinazioni. Es. Regioni ricevono una parte dell’aliquota dell’IVA, ma il
valore di essa è deciso a livello nazionale).
Elasticità della domanda e incidenza della tassazione. Se le imposte toccano tutti gli operatori turistici e tutti i turisti,
l’imposta modifica la curva di domanda e la curva di offerta. Di conseguenza, ci sarà un nuovo equilibrio di mercato (con
diversa quantità e diverso prezzo). Più si innalza il prezzo, più l’imposta si riversa su chi lo paga (nel nostro caso i turisti),
mentre se l’imposta si traduce in una riduzione della quantità, l’imposta allora è pagata dal lato dell’offerta.
Se il turista è il soggetto di fatto inciso dall’imposta, allora il gettito fiscale delle imposte sui turisti dipende dall’elasticità
della domanda.

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- Il caso in cui la domanda è rigida (D2) si presta ad un obiettivo di prelievo sul turista (finanziamento della spesa
pubblica). [Variazione del prezzo provoca una piccola variazione della quantità domandata].
- Il caso in cui la domanda è elastica (D1) si presta ad un obiettivo di riduzione delle presenze (disincentivo del
turismo unfriendly). [Variazione del prezzo provoca una forte variazione della quantità domandata].
Immaginiamo due curve di
domanda D1 e D2, data la
variazione del prezzo da v*
a v* + t, c’è una riduzione
della domanda. Tuttavia,
essa è inferiore in D2 e
maggiore in D1. Nel caso in
cui la domanda è rigida, le
presenze turistiche (P) si
riducono poco, ma avremo
un forte aumento del
prezzo, con un forte gettito
dell’imposta. Quando la
domanda è rigida, le
imposte che si prelevano
sul turista sono molto utili
per finanziare la maggiore
spesa pubblica (necessaria
per evitare le esternalità negative). Se invece la domanda dei turisti è elastica, l’aumento di prezzo legato al valore
dell’imposta (t) porta ad un forte calo delle presenze ed il gettito dell’imposta è molto basso. In questo caso, l’imposta
non ha l’obiettivo di finanziare la spesa pubblica (l’ente locale deve esserne consapevole), ma quello di disincentivare le
presenze turistiche (es. nel caso di turismo unfriendly).
La tariffa a due parti. È una tariffa composta da due parti: una parte fissa F, che dà diritto di accesso alla destinazione, e
una parte variabile t che dipende dalle unità di servizi effettivamente acquistate [es. bolletta del gas, una parte fissa che
ci permette di usufruirne, e una variabile in base a quanto consumiamo]:
T = F + tP quindi CU = T / P = (F / P) + t
Tariffa totale è data dalla parte fissa + parte variabile moltiplicata per la quantità di consumo (nel nostro caso le
presenze), il costo medio per giornata è dato quindi dalla tariffa totale diviso le presenze, che significa quindi parte fissa
diviso le presenze + la parte variabile.
Con tale tariffa il costo medio CU di un giorno di vacanza presso la destinazione diminuisce all’aumentare della
permanenza. Nelle destinazioni la tariffa a due parti può essere dovuta a:
- Fenomeno naturale, effetto della distanza tra origine e destinazione (F come prezzo del trasporto e t come prezzo
del soggiorno);
- Fenomeno artificiale, effetto di una politica economica del turismo (F come imposta sugli arrivi A, e t come imposta
sulle presenze P).
Con la tariffa a due parti la destinazione può controllare, almeno in parte, la permanenza media della vacanza dei
turisti, scegliendo di favorire alcune tipologie di turismo:
- Se F è molto elevata si scoraggia il turismo mordi e fuggi (e escursionismo), es. Calabria/Sardegna, in quanto F
(trasporto) ha un costo elevato, mentre il costo di t (pernottamento) è basso;
- Se t è molto elevata si scoraggia il turismo stanziale. Es. capitali europee, dove t ha un costo elevato (costi della vita
nelle città sono più alti), mentre F è basso in quanto ci sono i voli low cost (quindi si punta al weekend).

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IL TURISMO NEL SISTEMA ECONOMICO – Capitolo 2


Iniziamo a considerare il turismo in senso macroeconomico, per poi analizzare due fenomeni macroeconomici, ovvero:
il turismo internazionale; il turismo e i fenomeni di crescita e sviluppo economico del territorio.
Il settore turistico. Settore: rete di attività ed
operatori finalizzata a produrre o scambiare un
oggetto. Problema economico dell’identificazione
di un settore, normalmente un settore si identifica
sulla base di due criteri:
- Criterio tecnologico, che individua
caratteristiche comuni della tecnica di produzione
e/o del prodotto.
- Criterio di mercato, individua similitudini e
sostituibilità fra i prodotti delle imprese incluse
all’occhio di consumatore.
Entrambi i criteri sono validi e utilizzati, MA sono inadeguati per il turismo a causa dell’eterogeneità (non abbiamo una
tecnologia produttiva unica, né un prodotto omogeneo. Inoltre, non abbiamo sostituibilità, ma complementarietà) e
della pluralità (paniere di servizi differenti, comprende anche settori differenti, oltre al fatto che alcuni servizi non sono
utilizzati solo da turisti) del prodotto turistico. Ha senso, quindi, usare il concetto di settore o di industria turistica?
Questo concetto ha comunque una comodità analitica e una comodità politica.
Wahab definisce il settore turistico come: il settore turistico è quell’insieme di attività – tangibili o intangibili – che
servono per soddisfare il bisogno umano della vacanza. → Il prodotto turistico è un paniere unitario di beni. [Si cerca di
“salvare” in parte il criterio di mercato, ma si rinuncia completamente a quello tecnologico].
Parliamo quindi di un settore industriale sintetico, ossia la combinazione di “parti” di altri settori. I criteri sono: da un
lato che queste parti di settori pesano sul consumo turistico (quindi sono una quota importante della spesa dei turisti) e
dall’altro il turismo pesa nella loro produzione (cioè, la domanda dei turisti è una quota importante della domanda che
viene soddisfatta da questi produttori).
Il settore turistico e l’approccio dell’offerta. Classificazione delle imprese e delle attività coinvolte nel turismo sono
suddivise in: servizi centrali [del turismo] e servizi periferici. Ciascuna di queste due, a sua volta ha delle categorie.
I servizi centrali in particolare hanno 4 categorie: trasporti, attrazioni, ricettività, ristorazione. Non è necessariamente
vero, ad esempio nei trasporti, che il turismo sia la quota prevalente delle imprese di trasporto (magari per
l’autonoleggio sì, ma non per il trasporto stradale/ferroviario).
I servizi periferici si
dividono, invece, in
servizi periferici
privati e pubblici.
Anch’essi è raro che
siano rivolti
esclusivamente al
turismo
[soprattutto per
quanto riguarda i
servizi periferici
pubblici]. Solo
alcuni dei servizi
periferici privati
sono rivolti
esclusivamente al
turismo (es. TO,
AdV).

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Approccio dell’offerta: individuazione a priori dell’industria turistica definendola dal lato dell’offerta [sapendo che la
maggior parte di questa attività è composta da servizi, che sono per definizione: intangibili, inseparabilità fra produzione
e consumo, deperibilità e variabilità nella qualità] → Indentifichiamo a priori alcuni settori come turistici: consideriamo
il turista come un acquirente di beni e servizi ben
definiti e i settori turistici sono quelli che
producono questi beni/servizi. Come già detto,
questi settori difficilmente si rivolgono solo al
turismo, elenco:
Quindi, il problema fondamentale che incontriamo
utilizzando l’approccio dell’offerta è che alcuni
comparti sono dedicati solo ai turisti, altri
soddisfano diverse tipologie di consumatori.
→ Dobbiamo partire dalla domanda per identificare i settori turistici, con l’analisi input – output.
L’approccio della domanda e l’analisi input-output.
Approccio della domanda: attraverso l’osservazione della spesa turistica si risale alla produzione direttamente ed
indirettamente necessaria alla sua soddisfazione [quantità e qualità]. Il modello input-output è una tecnica di analisi
della struttura economica di un Paese, sviluppata alla fine degli anni ’20 del Novecento. L’applicazione di questo
modello consente di determinare:
- Il grado d’integrazione del turismo con gli altri settori produttivi;
- La capacità del turismo di generare reddito e occupazione.
Il modello identifica, quindi, il settore turistico attraverso la qualità e la quantità dei servizi domandati dai turisti.
Il modello input-output annota gli scambi reciproci tra settori dell’economia:
L’impostazione macroeconomica si occupa solo del valore aggiunto, ma in questo caso si vanno a vedere gli scambi tra
settori dell’economia: quindi non solo le vendite ai settori finali, cioè prevalentemente i consumatori, ma anche le
vendite tra settori produttivi, cioè tutte le attività intermedie. Tuttavia, l’elenco dei settori produttivi e dei settori finali è
disaggregato. Questa disaggregazione dipende dalla disponibilità di dati statistici e anche dagli obiettivi dell’esercizio.
C’è una corrispondenza fra struttura della domanda e struttura della produzione e, conseguentemente, struttura
dell’occupazione. La produzione è vista come un processo tendenzialmente circolare.

→ schema per capire il


funzionamento del modello
(estremamente semplificato).
Le prime tre ipotesi possono essere
eliminate (in questo caso le teniamo
perché semplificano), mentre la
quarta ipotesi è fissa.
L’impostazione microeconomica
prevede che i prezzi siano flessibili e
che siano determinati da domanda e
offerta, ma in questa teoria
macroeconomica si immagina che i
prezzi siano fissi (quindi dati) ed
esogeni (non determinati dal
sistema). Si sottintende, perciò, che
si tratti di un’impostazione di breve
periodo.
Tabella delle interdipendenze settoriali (o input-output): rappresenta le transazioni fra le varie imprese.
Valore aggiunto = componente che è stata aggiunta dalla produzione come ulteriore fonte di creazione di valore.
Nelle colonne è presente anche il settore finale, in quanto gli acquisti sono effettuati non solo da i vari settori ma anche
dai consumatori, quindi il settore finale è rappresentato dal consumo.
Vediamo come il valore aggiunto totale e il consumo totale sono entrambi 150 → rappresenta il PIL (Consumo = visto
dal lato della spesa, Valore aggiunto = visto dal lato dei redditi). Esempio (come si legge la tabella):

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Riga: Una produzione pari a 100 di agricoltura viene fornita per rispondere ad una domanda pari a 20 dell’industria, pari
a 30 dei servizi e pari a 50 del consumo.
Colonna: Per produrre 100 di beni agricoli, abbiamo bisogno di acquistare 20 di beni industriali (macchinari, ecc.), 10 di
servizi (assicurativi, finanziari, ecc.) + valore aggiunto pari a 70. Leggendo per “colonna” otteniamo quindi la funzione di
produzione (che a confronto della teoria microeconomica, in questo caso è fissa).
Noi per semplificare nella tabella abbiamo messo che agricoltura non compra nulla da agricoltura, ma in realtà
potrebbe non essere così. Il totale delle vendite meno il totale degli acquisti rappresenta il totale dei redditi realizzati
dai fattori produttivi (nel nostro caso il lavoro). Per l’economia italiana, la tavola input-output ha 44 settori.
Applicazione dell’analisi input-output al turismo: bisogna integrare nella matrice input-output un vettore della spesa dei
turisti (oltre alla colonna “consumo”, che rappresenterà il consumo NON turistico, ci sarà la colonna del consumo
turistico). In questo modo si possono calcolare gli effetti – diretti e indiretti – di una variazione della domanda turistica
su tutti i settori che compongono l’economia.
Immaginiamo che la colonna di consumo turistico acquisti 10 dal settore servizi, quindi ci chiediamo: per produrre
queste 10 unità di servizi in più, destinate alla domanda dei consumi turistici, di cosa avremo bisogno? Lo possiamo
vedere nella colonna dei servizi. Se per produrre 100 unità di servizi abbiamo bisogno di 30 di agricoltura e di 40 di
industria, per produrre quei 10 in più avremo bisogno di 3 di agricoltura e 4 di industria. A questo punto dobbiamo
vedere di cosa abbiamo bisogno per produrre 3 di agricoltura e 4 di industria, e così via (e per produrre
industria/agricoltura servono anche i servizi). Inoltre, per produrre le 10 unità di servizi in più, abbiamo bisogno anche 3
di valore aggiunto (dietro alle unità di valore aggiunto ci sono i posti di lavoro). Quindi, andando a ritroso partendo dalla
domanda di consumo di prodotti turistici, possiamo ricostruire questi procedimenti. Si può quindi:
- Calcolare la quota di consumo turistico sulla produzione settoriale;
- Calcolare la quota di produzione settoriale sostenuta, direttamente o indirettamente, dalla domanda turistica.
Il turismo quindi, in un sistema economico, non compare come un settore di produzione ma come un “tessuto”, che per
trama e ordito, interessa tutto il sistema produttivo nazionale.
In sostanza, possiamo parlare di “industria turistica” ad esempio per la ricettività (attività dirette del turismo, a contatto
con i turisti), mentre parliamo si “sistema turistico” per tutte le altre attività che sono indirettamente necessarie per
fornire prodotti turistici.
L’integrazione tra i due metodi di osservazione del sistema turistico
In conclusione, integriamo i due metodi dal
lato dell’offerta e dal lato della domanda. La
domanda dei turisti, attraverso il modello
input-output, ci permette di risalire alla
produzione del sistema turistico, che ci
porta ai comparti del sistema turistico (dove
la domanda dei turisti spiega la gran parte
della produzione). Da questi comparti
turistici possiamo passare alla produzione
turistica e quindi alla domanda dei turisti.
Comunque si tratta di un’approssimazione.
Approccio domanda → parte dalla spesa dei
turisti, determina la produzione del sistema
turistico e identifica i settori che fanno parte
della produzione turistica. Nella lista
entrano i settori per cui i turisti spendono molti soldi, per esempio i trasporti. Approccio offerta → approccio arbitrario.
Un settore che lavora quasi totalmente per i turisti è turistico.
Il turismo nella contabilità nazionale
Sistema di contabilità nazionale [quello che si usa per valutare PIL e occupazione]: valutazione organica dei flussi
scambiati tra unità (imprese e famiglie) operanti nelle attività economiche nazionali o interne di un Paese (valutate in
termini di valore aggiunto, per evitare un doppio conteggio) → Non comprende direttamente il settore turistico, in
quanto si compone di attività diverse, collocate in branche differenti, che non producono esclusivamente per il turismo.

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Esso ci dà complessivamente il PIL, livello complessivo di attività economica in un dato anno o trimestre. Ci dice anche
quanta occupazione si necessita per arrivare ai determinati risultati.
Le unità operanti sono classificate secondo criteri internazionali, ad esempio lo standard internazionale di
classificazione ISIC (International Standard Industrial Classification of All Economic Activities), che usa i criteri
dell’omogeneità merceologica, tecnologica e tipologica [dal lato dell’offerta].
Abbiamo visto però che la domanda turistica è composta dalla domanda di attività prodotte da imprese diverse (e non
distinguibile da quella dei non turisti). Per questo motivo abbiamo bisogno di una rilevazione anche dal lato della
domanda (per distinguere i consumatori fra turisti e non turisti) per identificare le motivazioni sottostanti il consumo.
Data questa integrazione fra lato della domanda e dato dell’offerta, il sistema di contabilità nazionale necessita di
un’integrazione, ovvero la contabilità satellite. La UNWTO dedica molta attenzione alla costruzione, monitoraggio e
aggiornamento delle contabilità satellite dei vari Paesi, dettando standard il più possibile omogenei. [Nel sistema di
contabilità nazionale vi sono delle convenzioni internazionali che vengono rispettate; esiste però inoltre anche un
sistema di contabilità fatto dalle Nazioni Unite, e uno fatto dall’Unione Europea. Quello delle Nazioni Unite è molto
generico perché deve essere realizzabile anche nei paesi in via di sviluppo; quello europeo invece aggiunge dettaglio
perché basato sui paesi europei].
L’Italia aderisce dal 1995 allo European System of Accounts (ESA), sistema di classificazione dei conti economici: 10
categorie e 36 sottocategorie; in alcune la motivazione turistica assume particolare rilevanza. Tra le 10 categorie ce n’è
una che interessa in particolare il turismo, ovvero la Ho.Re.Ca (hotel, restaurant, catering). Nelle sottocategorie, sono
importanti per il turismo: i servizi di trasporto, i servizi ricreativi e culturali e le rendite immobiliari lorde (affitti per
vacanze) → sono voci molto generali e abbiamo una valutazione approssimativa (tendenzialmente pro-quota) della
dimensione turistica.
Per monitorare la domanda abbiamo bisogno di un’osservazione dettagliata e ripetuta. Non per caso, le istituzioni
statistiche hanno indagini specifiche: quella dell’ENIT, dell’Ufficio Italiano Cambi, di associazioni di stakeholders ad
esempio il Turi Club, oltre ovviamente a quelle dell’ISTAT.
Turismo come settore industriale sintetico: combinazione di parti dell’output delle industrie convenzionali in base a
quanto dell’output totale è legato alla domanda turistica.
In questo schema di contabilità nazionale, come passiamo dai settori produttivi al turismo come settore industriale
sintetico? Abbiamo degli elenchi di settori produttivi (industrie) convenzionali e dobbiamo “prendere” solo la parte
legata al turismo. Possiamo farlo in quanto il sistema di contabilità nazionale è basato su unità istituzionali di rilevazione
(imprese), per le quali si fa una distinzione tra attività:
- Principali (es. ristorazione)
- Secondarie (es. impresa di ristorazione che occasionalmente fa catering)
- Ancillari (non intese alla commercializzazione verso l’esterno/clienti esterni, ma sono di supporto interno, oltre
ad essere diverse dall’attività secondaria. Es. furgone con cui trasporta le attività del catering, attività ancillare
nell’ambito dei trasporti)
La produzione totale imputabile al turismo è pari a:
La produzione delle imprese turistiche caratteristiche (turismo è nelle attività principali)
+
La produzione per il turismo delle imprese non turistiche (imprese che non appartengono a settori turistici, ma fra le
attività secondarie hanno produzione per il turismo)
-
La produzione delle imprese turistiche non indirizzata al turismo.
→ Dal punto di vista teorico funziona, ma in pratica questa somma è quasi impossibile. In più non include, ad esempio,
la produzione sommersa/non regolare [nel turismo relativamente importante, evasione fiscale].
La contabilità satellite. La contabilità nazionale presenta rigidità che non permettono una completa trattazione di
aspetti più particolari della vita economica. Nel tempo ci sono state delle critiche al sistema di contabilità nazionale
perché non considerava alcuni fenomeni, come per esempio l’impatto ambientale, questioni locali/regionali, questioni
socio-demografiche. È importante mettere invece in relazione la contabilità nazionale con altri fenomeni → si creano
conti satellite, che servono quindi per “completare” i conti nazionali aggregati tramite queste contabilità satelliti
coerenti e integrate ad essi. I conti satellite sono costruiti solo dopo i conti nazionali, sono annuali e vengono realizzati
dopo i conti annuali normali; per valutare il peso del turismo nell’economia abbiamo sempre dei dati “in ritardo”.
Ci sono due tipi di contabilità satellite: 1. Contabilità sviluppata per analisi alternative (questione aspetti socio-
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demografici, ambientali); 2. Per funzioni complementari (come il turismo). La prima propone delle alternative,
[consentono analisi alternative, che permettono un’estensione del sistema centrale riguardo la classificazione e la
valutazione di problemi trascurati dalla contabilità nazionale], mentre la seconda si pone strutturalmente a fianco della
contabilità standard [introducono elementi complementari di contabilità per completare il sistema centrale senza
distorcerlo].
→ Proposta di completare i conti nazionali aggregati con contabilità specifiche: la contabilità satellite.
Primo problema: individuazione precisa dell’area che dev’essere esaminata. Area = qual è il campione di imprese che
vogliamo rilevare, sapendo che il turismo non è una branca specifica ecc.
Questo ci porta a due criteri, cioè definiremo un’impresa/attività [per la contabilità satellite] come attività
caratteristiche del turismo se una delle seguenti due affermazioni è vera:
1. Una parte dell’output complessivo è percentuale rilevante del consumo turistico, es. trasporti: una parte della
produzione trasportistica va al consumo turistico, e pesa molto nella spesa turistica.
[incidono molto sulla domanda turistica]
2. Il consumo turistico rappresenta una parte rilevante dell’offerta di questa attività, es. attrazioni a pagamento
(parchi, ecc.): si rivolgono ai turisti, il consumo turistico è importante, ma incidono poco sulla spesa turistica.
[incidono molto sull’offerta turistica]
→ Ciò significa che stiamo raccogliendo dati dal lato
dell’offerta (usando lo schema della contabilità
nazionale) e dal lato della domanda (usando indagini
campionarie sui turisti), e unendo queste
informazioni arriviamo alla contabilità satellite (con
matrice input-output). A questo punto, possiamo
combinare i dati raccolti, che possono essere estesi
anche a dati fisici/ambientali/sociali. Ad esempio,
come nella contabilità nazionale possiamo stimare
anche i dati sull’occupazione, anche nella contabilità
satellite sul turismo è possibile farlo [sia
occupazione diretta, sia indiretta].
Problema pratico: proprio perché la contabilità
satellite si calcola tramite 2 fonti, viene pubblicata in
ritardo rispetto alla contabilità nazionale [ritardo anche di vari anni]. Questo ritardo ha spinto all’esigenza di dotarsi di
indicatori più immediati.
La bilancia turistica
Gran parte dei turisti proviene da una regione d’origine appartenente a un sistema economico diverso da quello della
destinazione. Come misuriamo in contabilità nazionale i nostri rapporti con il resto del mondo? Con la bilancia dei
pagamenti (dall’inglese “balance” = saldo), ovvero il documento in cui si registrano – all’interno della contabilità
nazionale – tutte le transazioni tra un sistema economico ed il resto del mondo [quindi tra i residenti di un Paese e i non
residenti]. Quindi, misura tutti i flussi internazionali di beni/servizi/capitali. Inizialmente era l’unico conto da cui
traspariva l’importanza del turismo (prima della contabilità satellite). La bilancia dei pagamenti si divide in bilancia
commerciale e bilancia degli investimenti. La bilancia commerciale o delle partite correnti che comprende le
compravendite di merci e servizi. Nella parte che si occupa dei “servizi”, la bilancia commerciale comprende la bilancia
turistica, che considera i trasporti [principalmente aerei] e i viaggi all’estero [es. spese dei residenti in altre economie].
Questi sistemi di contabilità incontrano notevoli problemi statistici, di imputazione e di interpretazione. Il problema
principale per quanto riguarda il turismo è quando si entra in un Paese dichiarando una motivazione turistica, ma in
realtà i motivi sono altri: es. migranti clandestini che arrivano con visto turistico e restano di più. È evidente che queste
persone sono state contate come turisti ma non lo sono.
L’OCCUPAZIONE NEL TURISMO
Analizziamo ora l’occupazione nel turismo, partendo dalle modalità con cui i sistemi di contabilità
nazionale registrano le diverse nozioni di occupazione e proseguendo con un’analisi del mercato del
lavoro nel settore turistico.
L’occupazione turistica nei sistemi di contabilità. Anche per l’occupazione le classificazioni seguono criteri
internazionali, in questo caso l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, detta anche OCED)
tratta l’occupazione nel turismo distinguendo tra lavoro dipendente permanente (permanently employed workers,
lavoratori dipendenti) e lavoro autonomo (self-employed workers, lavoratori autonomi). Questa suddivisione esclude i
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lavoratori che non hanno un lavoro permanente, e anche gli imprenditori medio-grandi. Questa distinzione
tradizionalmente era molto netta, mentre al giorno d’oggi non è più molto chiara. Naturalmente solo per i lavoratori
dipendenti viene rilevato esplicitamente anche il numero di ore lavorate; infatti quest’informazione per i lavoratori
autonomi è difficile da acquisire. Problema: L’attività/occupazione definita dalle classificazioni è rigida, e non vi è
completa identificazione tra attività e occupazione svolta. Nel turismo questo problema è rilevante perché sono
particolarmente presenti una serie di fenomeni, come il part-time, il doppio lavoro, l’impiego parziale e gli stagionali.
Questo problema (rilevante nel turismo ma presente anche in altri settori) ha portato le autorità statistiche a cambiare
la definizione centrale sul mercato del lavoro: c’è stato un graduale passaggio dall’occupato all’unità di lavoro [oggi si
misura prevalentemente tramite questa definizione]. L’Eurostat (ESA – European System of Accounts) ha identificato 5
categorie:
- Persone occupate (definizione tradizionale, dove si contano le persone)
- Funzioni lavorative → job (posti di lavoro, perché una persona può ricoprire più posti di lavoro)
- Ore totali lavorate (due persone occupate danno contributi diversi in ragione delle ore totali che hanno lavorato)
- Equivalenza a tempo pieno → FTE - full time equivalence (definizione che traduce le ore lavorate e le persone
occupate nei posti di lavoro che ci sarebbero se contassimo tutti come impieghi a tempo pieno)
- Occupati permanenti ad occupazione costante (tiene conto delle fluttuazioni)
→ Job e FTE sono quelle che considerano anche i fenomeni diffusi nel turismo (es. lavoro occasionale, doppio lavoro,
part-time). Inoltre, nel turismo è particolarmente rilevante sia l’economia sommersa (per cause economiche, ad
esempio se non si rispettano le norme del mercato del lavoro o norme fiscali, o per ragioni statistiche, ad esempio aree
piccole che non sono rilevate statisticamente) sia l’economia illegale (economia che si basa su attività illegali, ad
esempio i posti di lavoro legati al turismo sessuale nel Sud-est Asiatico). Sono redditi legati al turismo ma che non
vengono considerati, in questo caso si possono fare delle stime che si basano su altre informazioni.
Il mercato del lavoro nel turismo. Per quanto riguarda l’occupazione turistica è bene distinguere al suo interno alcune
fondamentali componenti che, da un punto di vista economico, identificano segmenti sufficientemente precisi di
lavoro: la distinzione tra occupazione primaria, che è da riferire al mercato del lavoro interno, e occupazione
secondaria, che è da riferire al mercato del lavoro esterno; la distinzione tra occupazione pubblica e privata.
→ Classificazioni del mercato del lavoro (che è segmentato, soprattutto nel turismo):
- Interno (occupazione primaria): prestazioni (continuative), qualificate e specialistiche.
La domanda di lavoro nel mercato interno si configura come un aggregato composto di domande distinte secondo
capacità professionali dirette alla produzione di servizi turistici (ulteriore segmentazione interna) e domanda
dinamica. Generalmente hanno salari più elevati e tendenza ad un’occupazione più stabile.
- Esterno (occupazione secondaria): prestazioni (stagionali), generiche e non qualificate.
La domanda e l’offerta di lavoro nel mercato esterno non sono solo turistiche e sono influenzate dalla congiuntura
(tra cui stagionalità). In questo caso, non conta particolarmente la qualificazione, i lavoratori sono facilmente
sostituibili, che porta ad una forte marginalità, frequenti episodi di disoccupazione, scarso potere contrattuale,
salari più bassi.
Si noti che la continuità del lavoro è la caratteristica del mercato interno, ma in questo mercato è importante anche la
qualifica di professionalità. Possiamo avere infatti lavoratori altamente qualificati, a elevato reddito, ma con contratti
stagionali: può essere, per esempio, il caso di un grande sommelier che alterna, tutto l’anno, contratti stagionali ad alto
reddito presso alberghi di lusso in estati balneari e in inverni alpini. Il contratto stagionale, quindi, è solo un indicatore
del mercato esterno, ma non una sua peculiarità: l’aspetto determinate è la qualificazione o la genericità del lavoro. Nel
mercato esterno troviamo, nel turismo, anche lavoratori occupati in lavori atipici, come per esempio le cubiste che
lavorano nelle discoteche. I mercati interno ed esterno sono caratterizzati da comportamenti molto diversi degli
operatori e sono legati fra loro da relazioni piuttosto complesse. In questi termini, essi costituiscono tecnicamente
segmenti del mercato del lavoro per il turismo. Sono due segmenti del mercato del lavoro la cui analisi deve essere
tenuta separata, anche se, in quanto segmenti di un unico mercato del lavoro, sono comunicanti [es. i lavoratori che in
un momento lavorano in occupazioni esterne, in un altro momento potrebbero lavorare in occupazioni interne, es.
impresa che ti fa prima stage/apprendistato e poi assume].
Un’altra distinzione è quella in base al datore di lavoro:
- Occupazione nel settore privato, di gran lunga prevalente nel turismo e nell’economia in generale, ed è anche la
distinzione nel quale è più presente la distinzione vista precedentemente fra mercato interno ed esterno.
- Occupazione nel settore pubblico, legata alla gestione di esternalità e beni pubblici nella destinazione.
Tradizionalmente si trattava solo di occupazione primaria (posti di lavoro stabili e meglio pagati), tuttavia negli
ultimi decenni c’è stato un ampio uso del mercato di lavoro esterno.

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Il mercato del lavoro turistico richiede la collaborazione di questi due diversi settori → collaborazione di due segmenti
di occupazione:
1. Operatori con capacità organizzativo-professionali che siano in grado di offrire stimoli imprenditoriali per l’impresa
privata;
2. Operatori politico-pubblici capaci d’introdurre (e fare applicare) provvedimenti volti a rimediare al fallimento del
mercato.
Fra questi temi pubblici, oggi, troviamo certamente anche quello della tutela dell’ambiente. Lavoro privato e lavoro
pubblico, ossia iniziativa privata e controllo pubblico, devono collaborare per assicurare efficienza in un prodotto
complesso come quello turistico.
Un'altra collaborazione importante con il mercato del lavoro è la collaborazione con le istituzioni formative, in quanto
una fornitura di qualifiche professionali porterà ad una prevalenza di occupazione primaria. Questo è particolarmente
rilevante per il turismo che ha tradizionalmente scarse qualifiche professionali, scarsa produttività e scarsa
remunerazione → nascita dei corsi di laurea di scienze del turismo (da circa 20 anni).

Il turismo nell’economia italiana: dimensioni e crescita. Tradizionalmente, l’Italia è una delle maggiori destinazioni
turistiche al mondo, in quanto ha un’offerta diversificata di turismi, dove molte destinazioni turistiche spesso offrono
più di un tipo di turismo. In termini di ciclo di vita della destinazione (Italia, nazione), è da tempo in una fase di sviluppo
turistico maturo, ciò significa che il turismo cresce più lentamente rispetto ai Paesi nel quale il turismo è un fenomeno
più recente. Inoltre, il turismo domestico è influenzato dall’andamento economico del Paese (e capacità di creare nuovi
redditi), e la performance italiana degli ultimi 20/30 anni è stata più lenta di quella di altri Paesi (anche sviluppati).
Questa tabella è del 2007, ma guardando quelle
più recenti notiamo che il turismo incoming ha
ormai superato quello domestico, questo perché i
Paesi da cui provengono i turisti stranieri sono
economicamente cresciuti più dell’Italia (quindi
domandano più turismo rispetto agli italiani), oltre
al fatto che questa crescita del reddito nei paesi
stranieri gli permette di domandare vacanze in
Italia, in quanto non è a buon mercato. Inoltre, il
turismo italiano che nel 2007 superava quello
incoming in termini di presenza media, negli ultimi
anni si è orientato anch’esso a vacanze più brevi.
Un altro fattore importante è che – grazie ai
ridotti costi di trasporto – gli italiani sono più predisposti a fare vacanze all’estero rispetto al passato, diventando turisti
incoming per paesi stranieri. Tendenzialmente la distanza geografica incide molto (a causa dei costi di trasporto), infatti
vediamo che fra i Paesi dei turisti incoming sono principalmente europei, ad eccezione di Giappone e USA → però
vediamo che il Giappone ha all’incirca lo stesso numero di arrivi dei Paesi Bassi, pur avendo una popolazione
nettamente superiore (ma è lontano dall’Italia). Gli USA tradizionalmente sono stati la fonte primaria del turismo
incoming italiano, ma negli ultimi anni è diminuito, principalmente a causa del fatto che sono turisti psico-centrici
(cercano sicurezza), e le incertezze del mercato italiano li hanno scoraggiati. In compenso, la riduzione dei costi di
trasporto e l’aumento dei redditi in alcuni Paesi hanno portato ad un forte aumento di Paesi di economie più povere
(Russia, Cina, Medio Oriente, ecc.).

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Le regioni più turistiche in Italia sono:


Veneto, Trentino-Alto Adige, Toscana. Le
province sono Bolzano e Rimini.
Dal lato dell’offerta, le strutture
turistiche preferite sono gli hotel a tre
stelle (anche perché è la tipologia
dominante). L’importanza del settore
turistico è circa il 10% del PIL (WTTC,
2009) e gli occupati nel settore turistico
sono circa 2 milioni (circa 9%). La
bilancia turistica ha un attivo di oltre 11
miliardi di € (contribuisce in maniera
importante al saldo della bilancia
commerciale) → significa che le spese
degli stranieri in Italia sono maggiori
delle spese degli italiani all’estero. Negli ultimi 10 anni si sono sempre più sviluppati gli agriturismi, i B&B e c’è una
distinzione fra affitti di appartamenti tradizionali (almeno 1 settimana) e, con l’avvento della sharing economy (es.
Airbnb), adesso si possono affittare appartamenti anche per 2/3 giorni. Notiamo anche che le presenze straniere
tendevano a posizionarsi nei livelli qualitativi più alti (4/5 stelle). Negli agriturismi troviamo all’incirca la stessa cifra, in
quanto gli agriturismi si rivolgevano inizialmente a stranieri, e poi si hanno iniziato a rivolgersi anche agli italiani.
Abbiamo detto che c’è una crescente tendenza per gli
italiani di andare in vacanza all’estero. Possiamo vedere
che a metà anni 2000 la tendenza era dominata da
andare in Paesi europei (unica eccezione USA), o paesi
comunque Mediterranei (Tunisia, Egitto, Marocco). I
paesi lontani erano USA, e con quote basse Brasile e
Cina. La spesa è influenzata dai prezzi locali nelle varie
destinazioni, ad esempio vediamo che negli USA la
spesa è alta ma il numero di viaggiatori è più basso.
Ragionando invece in termine di durata media notiamo
che negli USA si andava per molto più tempo (viaggio
lungo), per ammortizzare il costo del viaggio. La spesa
media giornaliera può indicare i prezzi locali, ma anche
la disponibilità a pagare degli italiani (es. in Cina è alta,
probabilmente perché gli italiani che nel 2006 si sono
recati in Cina avevano una grande capacità di spesa, reddito alto), mentre in Olanda e Germania l’elevata spesa
corrisponde a livelli di prezzo (locali) più elevati, al contrario ad esempio di Romania e Marocco, dove i livelli di prezzo
sono bassi. Un altro dato che incide sono gli stranieri che vivono in Italia, e tornano in vacanza nel Paese d’origine (es.
Marocco, Egitto, Romania).
L’evoluzione recente del turismo internazionale.
Il turismo conta per circa il 12% del PIL
mondiale. Turismo internazionale: USA in
testa come ricavi e Germania in testa come
spesa. Arrivi internazionali (nel 2007): circa
900 MLN [ad oggi siamo fra l’1 e i 2
miliardi]. Per quanto riguarda i ricavi, gli USA
sono i primi della lista, per varie ragioni: è
un Paese grande che offre tipi di turismo e
attività diverse; sono la principale meta di
turismo di affari (che tende a spendere di
più). Notiamo che l’Italia era già stata
superata da Spagna e Francia [in termine di
accoglienza di turisti stranieri] e anche la Cina si avvicinava sempre di più (ormai ha superato l’Italia). La Cina ha tanti
turisti stranieri perché ha considerava come stranieri i provenienti da Hong Kong e da Taiwan, mentre gli USA possono
contare sul Canada e sui paesi anglosassoni (non c’è la barriera della lingua). Se guardiamo alla spesa, la Germania è la

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prima della lista (= i turisti tedeschi all’estero sono quelli che spendono di più). Notiamo che – già a metà anni 2000 –
compare la Russia come Paese d’origine.
IL TURISMO INTERNAZIONALE – Capitolo 13
Parliamo del ruolo del turismo internazionale nel sistema economico, quindi dell’internazionalizzazione del turismo nei
suoi vari aspetti → in particolare 4 temi principali:
1. Differenza tra mercati nazionali ed internazionali
2. Gli operatori sui mercati internazionali
3. I flussi reali [di beni e servizi, quindi anche quelli turistici]
4. I flussi monetari (o valutari)
1. I mercati nazionali e internazionali. L’aumento della mobilità e lo sviluppo del turismo di massa hanno reso centrale
per il turismo i movimenti internazionali. In passato il turismo internazionale era formato solo da minoranze,
successivamente, con il passaggio da turismo elitario a turismo di massa, c’è stata una lunga fase di turismo
prevalentemente domestico [da fine ‘800/inizio ‘900 agli anni ’80 circa]. Ad oggi, il turismo è ancora di massa, ma c’è
anche una crescente importanza degli spostamenti internazionali. Punto di partenza: definizione di turismo
internazionale: da quale punto di vista il esso si differenzia dal turismo nazionale?
- Politico: es. cittadini italiani e cittadini stranieri → quindi internazionale significa passare attraverso una frontiera.
Questo criterio apparentemente ovvio è contraddittorio, perché i confini politici sono molto vari [es. ci sono dei
territori che hanno uno “status intermedio” fra nazionale e internazionale], e quindi il turismo internazionale può
essere anche un turismo a brevissima distanza (es. italiani a San Marino), oppure turismo nazionale in territori
vastissimi (es. Russia) → contraddizione anche con l’aspetto geografico.
- Geografico: il criterio geografico definisce il turismo internazionale come flussi di turisti a grande distanza, ma è
contraddittorio con la politica.
→ quindi i due criteri più ovvi (politico e geografico) sono contraddittori fra loro e insoddisfacenti, perché trattano in
modo diverso delle scelte che in realtà appaiono molto simili fra loro.
- Economico: secondo il primo criterio economico si ha turismo internazionale quando i flussi di turisti [ma anche
delle merci] si svolgono a costi elevati o addirittura proibitivi. In questo caso abbiamo delle barriere alla mobilità →
criterio inapplicabile al turismo, perché il turismo per definizione presuppone la mobilità (non possono esserci delle
barriere).
- Economico: vi è però un secondo criterio economico, che è quello che tenderemo a privilegiare [anche se spesso si
usa una combinazione di tutti i criteri citati]. Questo criterio si riferisce ai flussi valutari, ovvero vi è turismo
internazionale quando in corrispondenza del flusso dei turisti è presente un flusso valutario:
se nel prezzo vi,r della vacanza il tasso di cambio cr tra due valute [tra la regione d’origine e la destinazione] svolge
un ruolo fondamentale. Il prezzo della vacanza dipende dai prezzi dei servizi nella destinazione e dal tasso di
cambio tra la valuta della destinazione e la valuta del territorio d’origine del turista.
→ nel turismo nazionale il tasso di cambio vale 1 (perché la valuta è la stessa, si scambia 1€ con 1€). In un mercato
unico – come è stata l’Unione Europea fino al 2001 – il tasso di cambio è un valore costante k. In questi casi il tasso di
cambio tra le valute NON svolge un ruolo importante. Quando invece il tasso di cambio varia, ci sono degli
aspetti/particolarità che non avvengono con il turismo nazionale.
L’esistenza di un tasso di cambio variabile (e diverso da 1) significa che il turista quando decide di compiere una
vacanza, decide in base ai prezzi nella sua valuta, mentre le imprese nella destinazione producono prezzi (e incassano)
nella propria valuta. Il rapporto fra le due valute, se dovesse cambiare, potrebbe modificare la convenienza della scelta
del turista e, allo stesso tempo, incide sulla competitività degli operatori [senza tuttavia dipendere da loro o dalla
destinazione, è un fattore esterno non controllabile, non dipende dalle scelte degli operatori]. Tuttavia, la
variabilità/differenza tra le valute consente politiche competitive sul prezzo, però ai livelli dei decisori macroeconomici.
Ovvero, proprio perché le variazioni del tasso di cambio modificano la competitività del settore turistico vi è un
incentivo per le autorità macroeconomiche (Governi) a cercare di ottenere un tasso di cambio che renda le proprie
imprese competitive sul mercato internazionale [e quindi opportunità di intervento pubblico].
Inoltre, data l’esistenza stessa di valute differenti (e quindi di cambio) necessita la creazione da un lato degli
intermediari e dall’altro dei costi aggiuntivi, ovvero gli oneri di cambio [pagamento commissione a intermediari; costo-
opportunità del tempo per i turisti; costo di copertura del rischio per le imprese].
2. Gli operatori sui mercati internazionali. La dimensione internazionale ha conseguenze sulla struttura del mercato e
sulle strategie degli operatori, quindi se in passato potevamo fingere che per quasi tutte le destinazioni il turismo era un
fenomeno domestico, oggi no. Perciò ci sono varie conseguenze sulle imprese che operano in questi mercati
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internazionali, in particolare consideriamo le 3 categorie principali nel turismo (che sono anche le più “toccate” da
questo fatto), presentate in ordine cronologico (nella quale si sono trovate a dover affrontare il tema
dell’internazionalizzazione del turismo):
Ricettività alberghiera:
Quasi tutti gli alberghi nascono come imprese familiari, ma nel tempo alcune di queste imprese hanno avuto
particolarmente successo, fino a diventare catene nazionali [aprendo nuovi alberghi o acquistandone altri]. Questo
fenomeno è avvenuto soprattutto nei grandi paesi, e quindi gli operatori delle catene hanno aperto vari alberghi in
varie località → le imprese sono nazionali ma multi-localizzate. Alcune di queste catene nazionali di grandi paesi sono
gradualmente diventate imprese multinazionali, cioè la localizzazione degli alberghi non è più solo nazionale ma si è
estesa anche in altri Paesi. La prima catena alberghiera a diventare una multinazionale è Holiday Inn, nel 1952. Questo
fenomeno si verifica in parte con alberghi di proprietà e in parte tramite il franchising (creazione di un marchio comune
con servizi standardizzati, ma dove la proprietà rimane del singolo operatore, es. Best Western). Il vantaggio di queste
grandi catene multinazionali (Holiday Inn, Hilton, Sheraton) è che consentono di offrire servizi standardizzati
(inizialmente, negli USA, per il turista nazionale, poi internazionale) e di conseguenza si ha una riduzione del rischio
della scelta a distanza [i turisti sono avversi al rischio, e sanno che ad esempio in un albergo Hilton troveranno ovunque
lo stesso livello qualitativo di servizi].
Compagnie aeree:
Ci sono vari fenomeni che hanno incentivato l’internazionalizzazione del settore aereo, tra cui l’apertura di nuove rotte
e l’aumento delle frequenze (legato ad un aumento della domanda di mobilità turistica). Inizialmente, questi due
fenomeni riguardano le compagnie di bandiera, ma poi anche le altre compagnie. Le compagnie hanno adottato il
modello hub-and-spoke, cioè per garantire la redditività economica delle nuove rotte hanno proposto relazioni che
passavano attraverso un aeroporto di transito [nella nuova destinazione], invogliando i viaggiatori a spezzare il viaggio
in due tratte, in modo da avere su ogni tratta un numero sufficiente di passeggeri anche sulle tratte secondarie (es.
Filadelfia-New Orleans non garantisce un numero sufficiente di passeggeri, e nemmeno fra Boston-New Orleans,
possiamo pensare di mettere un hub intermedio a Washington e fare: Filadelfia-Washington, Boston-Washington,
Washington-New Orleans → su quest’ultimo saliranno anche coloro che provengono da Filadelfia/Boston). Questo
modello è stato adottato ad esempio da Malpensa, che avrebbe fatto da hub per le destinazioni italiane. In realtà, la
politica di open skies/deregolamentazione ha fatto sì che si stia ritornando ad una strategia point-to-point.
→ In sostanza, l’aumento delle rotte e delle frequenze garantisce una maggiore offerta e quindi una maggiore libertà di
scelta per i consumatori (che equivale a maggiore utilità).
Nuove strategie competitive: l’aumento della domanda, e in una certa misura anche la strategia hub-and-spoke (che ha
i vantaggi spiegati sopra, ma al tempo stesso allunga le tratte/tempi), ha creato spazi per voli point-to-point, prima per
le compagnie charter (che puntano su flussi di viaggiatori particolari, tipicamente turisti, in periodi dell’anno
tipicamente di alta stagione), e in seguito per le low-cost, che fanno concorrenza sui prezzi alle compagnie di bandiera
Tradizionalmente sulle rotte nazionali c’era la compagnia di bandiera, e su quelle internazionali le 2 compagnie di
bandiera → c’era un monopolio/duopolio e quindi prezzi alti, minore domanda. Con la liberalizzazione questo schema è
saltato, quindi aumenta la concorrenza e diminuiscono i prezzi.
Questa pressione concorrenziale ha portato a fallimenti, processi di fusione e acquisizioni e/o alleanze in rete, portando
ad una maggiore efficienza (data anche dal fatto che gli operatori meno competitivi perché meno efficienti sono falliti)
e una riduzione dei costi. Questi fenomeni hanno portato a margini di profitto positivi, nonostante la riduzione dei
prezzi, tuttavia c’è un crescente grado di oligopolizzazione che fa sospettare che non tutti i guadagni di efficienza si
siano tradotti in prezzi più bassi per i consumatori.
Tour Operator:
I TO nazionali hanno problemi comuni ai TO internazionali, ovvero: conoscenza domanda, garanzia rapporto qualità-
prezzo e differenziazione del prodotto. Anche in questo caso, la competitività porta a fusioni ed acquisizioni (e accordi),
e anche all’integrazione verticale tra produzione e intermediazione (es. con catene alberghiere o compagnie aeree). Le
fusioni/acquisizioni possono venire sia a livello nazionale, sia a livello internazionale [anche perché, ad esempio, si può
fare integrazione verticale con una catena alberghiera già internazionale].
Ci sono problemi specifici dei TO internazionali, che hanno a che fare con la dinamica del portafoglio delle vacanze (in
risposta a variazioni della domanda e dell’offerta), e da questo punto di vista abbiamo anche l’importanza dei grandi TO
per l’attrattività delle destinazioni. In certi casi, addirittura, per molte destinazioni la qualità delle risorse della
destinazione è un fattore competitivo poco valorizzato e quindi la spesa dei turisti è bassa se non c’è un rapporto con
grande TO internazionale che rende nota la destinazione e convoglia grandi flussi di turisti.

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In questi casi parliamo del tema della composizione strategica del portafoglio vacanze (= catalogo offerto, analisi del
rendimento medio e della varianza), dove si applicano tecniche analoghe a quelle delle attività finanziarie. Se offriamo
un solo prodotto es. Canarie, esso può andare bene (estremamente redditizio → 4) o male (per ragioni esterne
all’operatore, meno redditizio → 2). Di conseguenza – ipotizzando che la probabilità sia 50% – chi ha un portafoglio
vacanze poco ricco (una sola destinazione) ha una forte oscillazione dei profitti da un anno con l’altro. Ciò rende
instabile la sopravvivenza dell’impresa. Inoltre, bisogna considerare che anche i TO sono avversi al rischio.
→ In che modo possiamo quindi stabilizzare questo fenomeno? Diversificando il nostro prodotto (sia Canarie sia Fiji). In
questo caso, si aggiunge un livello intermedio (6) dove una destinazione va bene e una male, quindi diminuisce la
probabilità di andare male (1/4 invece che 1/2). Se le ragioni di rischio sono specifiche della destinazione conviene
diversificare, se invece sono sistemiche
(= riguardano tutte le destinazioni) la
diversificazione non conviene. Comunque
si cerca di proporre diversificazione di
destinazioni che non siano sistematiche
(es. in Paesi diversi, con regimi
climatici/stagionali diversi, ecc.).

Le multinazionali. [sempre per quanto riguarda gli operatori internazionali] Possiamo distinguere tra 4 livelli di imprese
che operano su più mercati nazionali:
- Imprese multinazionali → vendono i propri prodotti su vari mercati nazionali (in più Paesi) ma mantengono il resto
(produzione, decisioni strategiche) a livello nazionale. È il livello di internazionalizzazione più semplice, in quanto è
come se fosse un’impresa nazionale ma che vende i propri prodotti in più Paesi.
- Imprese internazionali → sono ancora nazionali nella proprietà/sede legale, ma iniziano ad avere anche per la
produzione un assetto internazionale (cominciano ad avere impianti produttivi in più Paesi).
L’internazionalizzazione quindi c’è sia dal lato vendite sia da quello della produzione. Abbandonano l’ottica
nazionale, l’unica cosa che rimane è la normativa sul lavoro. Generalmente, si sposta la produzione nei Paesi dove
si vende (e nei Paesi vicini), perciò si produce localmente per i mercati locali. Tuttavia, grazie alla globalizzazione si
sono scomposte le catene produttive: materie prime/prodotto finito (e i prodotti intermedi) passano da un
impianto all’altro (tra Paesi diversi). Es. iPhone assemblati in USA ma le componenti provengono da vari Paesi.
- Imprese transnazionali → il gruppo dirigente proviene da diversi Paesi. Gli impianti produttivi non sono più
destinati al mercato del paese in cui si trovano → commercio internazionale tra diversi impianti della stessa
impresa. Ad esempio, la Fiat è stata per molto tempo un’impresa multinazionale, poi diventata internazionale
(aprendo impianti produttivi in Polonia, Serbia, ecc.) e recentemente è diventata transnazionale, in quanto il
gruppo dirigente non è più tipicamente italiano [prima tipicamente torinese/piemontese].
- Imprese sovranazionali → presuppongono un accordo tra Stati, in un’ottica non nazionale.

Le prime due categorie sono imprese che hanno ancora importanti aspetti nazionali, le ultime due no, perciò sono più
difficili da gestire (il potere dello Stato è limitato, perché appunto non si possono identificare con un singolo Paese).
Come si espandono queste imprese? Come concretamente avviene il processo di internazionalizzazione? In primo luogo
tramite investimenti diretti all’estero (IDE), che possono essere di tipo finanziario (acquisizione di imprese esistenti) o
reale (realizzazione di impianti, chiamato anche greenfield investment perché si acquista il terreno e si costruisce).
Un'altra forma di espansione è la fornitura di servizi (es. assistenza tecnica, gestione, ecc.).
Perché le imprese nazionali decidono di internazionalizzarsi? Ci sono dei modelli parziali che spiegano la nascita delle
multinazionali (modelli formalizzati per le multinazionali manifatturiere, perché sono state le prime a intraprendere
questo processo):

- Modello del potere di mercato → la forza delle economie di scala ha portato alla concentrazione a livello nazionale
(formazione monopolio/oligopolio nazionale), operazione in parte favoriti dai governi (es. Giappone e Francia,
Governo sostiene i privati) e di conseguenza la concorrenza si ricrea ad un livello superiore rispetto a quello
nazionale (dove la concorrenza è stata eliminata). In Europa e USA, invece, l’Antitrust tutela la concorrenza e per
questo motivo l’unico modo delle imprese per espandersi è quello di internazionalizzarsi.
- Modello dell’internazionalizzazione competitiva → dati i costi di transazione dei contratti (particolarmente alti per
quanto riguarda i contratti internazionali), l’internazionalizzazione competitiva è la risposta: per ridurre i costi e
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rimanere competitivi si espande la propria attività all’estero (si trasforma buy in make eliminando i costi di
transazione).
- Modello internazionale del ciclo di vita del prodotto → il prodotto passa attraverso diverse fasi in cui ha
caratteristiche differenti (si rivolge a clientela differente per numero e tipo) e quindi ha diverse tecniche di
produzione a seconda della fase del ciclo di vita in cui ci si trova, che significano diverso utilizzo di risorse e diversi
costi di produzione.
- Modello dell’accumulazione tecnologica → ripete i ragionamenti sul ciclo di vita, ma concentrandosi sull’accesso
alle informazioni tecnologico.

Il modello eclettico di Dunning (un po’ di anni dopo i modelli precedenti) è quello che si adatta meglio alla realtà delle
imprese turistiche. L’ecletticità del modello consiste proprio nel fatto che, oltre a raccogliere le varie teorie
precedentemente illustrate, spiega tutti i modi alternativi di coinvolgimento estero delle imprese. Secondo questo
modello le strategie di internazionalizzazione delle imprese turistiche dipendono da 3 tipi di vantaggi:

- Vantaggi di proprietà, cioè i vantaggi che derivano all’impresa dall’essere in un Paese piuttosto che in un altro, sia
per attività intangibili (possibilità di esercitare il marketing, di utilizzare il know-how, di accedere alle facilitazioni
finanziarie) sia per il vantaggio tangibile (si pensi all’influenza politica che molte imprese multinazionali hanno sui
governi nazionali) di essere proprietario in un Paese straniero;
- Vantaggi di internazionalizzazione, derivanti dalla possibilità di mantenere, all’interno dell’impresa, il vantaggio del
possesso di asimmetrie tecnologico-amministrative (da cui trarre profitti proprio per il loro impiego in Paesi
diversi);
- Vantaggi di localizzazione, i vantaggi cioè che derivano all’impresa per la localizzazione delle proprie attività in certi
Paesi dotati di condizioni particolarmente favorevoli.

Un altro elemento importante è il rapporto fra queste imprese internazionali e lo sviluppo del territorio locale. È una
questione molto dibattuta tra coloro che ritengono che queste imprese (più grandi, efficienti e in grado di creare
rapidamente una maggiore occupazione) provocano uno spiazzamento (sia competitivo sia in termine di politica) delle
piccole imprese locali. D’altro canto c’è chi sostiene che l’effetto sia positivo, perché l’esistenza di queste imprese
internazionali porta sul territorio delle esternalità positive che favoriscono lo sviluppo (sia perché agiscono come
gateway/porte d’accesso agli standard internazionali, sia perché introducono innovazione che poi si può diffondere
nell’economia locale, sia perché vi è un processo di apprendimento – da parte dei lavoratori e fornitori locali – che
permette uno sviluppo/maggiore efficienza delle imprese locali).

La globalizzazione. Essa è l’opposto dell’autarchia (= totale autosufficienza del sistema economico locale). La tendenza
globale è la progressiva riduzione dell’autosufficienza locale, e alla progressiva integrazione dei sistemi locali in sistemi
più vasti (è successo già nell’800 con la rivoluzione industriale, seppur rimanendo in territori nazionali). Quando
parliamo di globalizzazione ci riferiamo a un fenomeno che parte da fine anni ‘80/inizio anni ’90, in seguito a due eventi
rivoluzionari: rivoluzione delle ICT e – a livello politico – il crollo delle economie pianificate [con il crollo del regime
sovietico]. Parallelamente, anche sistemi totalitari a partito unico (es. Cina) hanno comunque scisso la sfera politica e
dei diritti civili (fortissimo controllo da parte dello Stato) dalla sfera economica (controllo ridisegnato in modo da
garantire una più grande libertà possibile delle autorità private, a interesse dello Stato). Questo è un tema molto
problematico verso i paesi occidentali → esempio conflitto Huawei.

La globalizzazione porta ad una progressiva riduzione del ruolo della distanza in termini di tempi-costi, che porta
all’aumento mobilità dei beni, delle persone e delle informazioni. Questo si traduce in vari elementi economici della
globalizzazione:

- Progressiva apertura dei mercati agli scambi internazionali (che porta a delocalizzazione e outsourcing).
- Progressiva finanziarizzazione dell’economia, che è necessaria a gestire un sistema più complesso dal punto di vista
dei flussi finanziari (che corrispondono a quelli di merci e servizi reali), ma nello stesso tempo una progressiva
deregolamentazione dei mercati interni necessaria per “armonizzare” tra loro le regole (in quando non si parla più
di un unico mercato nazionale).
- Delocalizzazione e outsourcing. Negli anni ’70 ci si rende conto che le piccole imprese sono quelle che danno
lavoro, quelle grandi invece pagano in inefficienza. È meglio quindi avere unità piccole e specializzate appartenenti
ad un’unica proprietà.

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- Riduzione del ruolo dello Stato nell’economia, tutti i fattori precedentemente citati portano ad una riduzione del
ruolo dello Stato nell’economia, sia nel senso di privatizzazione di imprese fino a quel momento pubbliche (ma
monopolistiche a livello nazionale, che a questo punto non possono più mantenere il monopolio), sia nel senso di
trasferimenti di sovranità dal livello nazionale al livello sovra-nazionale (quindi siamo sempre in ambito pubblico,
ma internazionale. Es. UE).

Globalizzazione e turismo:

- Ampliamento del ventaglio delle scelte → vantaggio per i consumatori perché hanno una gamma più alta di scelte,
massimizza il benessere; è un vantaggio anche per le imprese perché diversificano la loro offerta ampliando i
cataloghi e arrivando così a più consumatori.
- Redistribuzione dei flussi turistici globali → paesi che sono tradizionalmente destinazioni turistiche devono
ripensare il loro modo per essere competitivi.
- Le strategie competitive delle imprese diventano globali (es. gli alberghi hanno quasi tutti il loro sito plurilingue).

→ Per i consumatori/turisti ciò significa un ampliamento del ventaglio di scelta e anche la redistribuzione dei turisti
mondiali verso destinazioni che fino a quel momento non erano consolidate.

Effetti della globalizzazione:

- Impatto culturale non univoco (effetto di tipo culturale) → Confronto con la complessità (soprattutto nelle località
di destinazione, ma anche nella località di origine come esperienza che si porta delle vacanze) che porta a ridisegni
della propria identità culturale in forme più complesse e integrate, può esserci un consolidamento di stereotipi
conflittuali o all’estremo opposto una progressiva omologazione, che elimina una parte delle attrazioni delle
destinazioni internazionali [es. se nelle città tutte le vie centrali propongono gli stessi negozi, perché dovremmo
andarci?]. Con la globalizzazione diminuiscono i motivi per cui si viaggia in un posto diverso da casa, scoraggia la
varietà. Però questo fatto incoraggia lo spostamento di turisti psico-centrici che cercano la standardizzazione. Gli
abitanti locali normalmente sono contrari all’omologazione e questo spesso provoca conflitti e reazioni negative al
turismo. Questa visione è molto pessimistica, infatti è anche vero il fatto che proprio perché il mercato è globale,
ha successo solo chi si presenta come unico. Questo favorisce il preservarsi della tradizione e dei prodotti tipici.
Mantenere le tradizioni diventa una risorsa competitiva.
- Enclave economiche ed effetti spillover (effetto di tipo economico) → la globalizzazione aumenta le opportunità di
sviluppo, ma non è detto che localmente si sia capaci di sfruttare queste opportunità, perciò si porta a situazioni di
enclave economiche (possono essere enclave create dalle multinazionali, che hanno scarsi rapporti con le autorità
nazionali; oppure può essere che l’economia nazionale si differenzi in parti inserite nella globalizzazione e in parti
che restano ai margini) o effetti spillover (traboccamento; nel linguaggio economico, termine con cui si indicano le
esternalità, positive o negative, derivanti dai comportamenti dei singoli o delle imprese).
- Forme di turismo “diverse” da quelle tradizionali (effetto ambientale) → il turismo tradizionale può produrre
un’impronta ecologica pesante (irreversibile), ma al contrario si può fare un turismo improntato alla sostenibilità.
Non è detto che il turismo nuovo” sia per forza più sostenibile del turismo tradizionale, inoltre nelle destinazioni
nuove potrebbero esserci problemi di sostenibilità perché riproduciamo i problemi che già ci sono nei Paesi
sviluppati.

3. I flussi reali
I flussi turistici sono espressi nella bilancia dei pagamenti come registrazione di flussi monetari, e abbiamo quindi
l’incoming turistico (che equivale alle esportazioni di merci) e l’outgoing turistico (che equivale all’importazione).
Abbiamo quindi il movimento di merci,
di persone e di valuta → nel caso del
turismo sono i turisti a spostarsi verso il
luogo di produzione [figura 13.1]. La
bilancia turistica è definita come: (Z + H)
e (X + G), dove:
Z = importazione di merci;
H = importazioni di turismo (outgoing);
X = esportazioni di merci;
G = esportazioni di turismo (incoming).

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I flussi di commercio internazionale (di merci e servizi, tra cui turismo) tendono ad avere un effetto che può essere
stabilizzante o destabilizzante della bilancia turistica: quando le esportazioni eccedono le importazioni abbiamo un
saldo attivo [entra più valuta estera di quanta ne esce → ciò crea posti di lavoro e crea redditi che stimolano il resto
dell’economia], ed entra in gioco l’aspetto del moltiplicatore della spesa turistica nello sviluppo regionale. Nei Paesi in
via di sviluppo (PVS) vi sono delle particolarità, sono Paesi che hanno scarsa capacità di esportazione di merci e –
avendo bassi rediti e basso sviluppo economico – hanno scarsa importazione di turismo, cioè la popolazione locale non
fa turismo all’estero (X e H bassi), accade quindi che le merci (Z) si muovono con i turisti (G) [quindi: arrivano i turisti e
insieme a loro merci importate]. Sono proprio i flussi monetari di valuta che entrano con i turisti che permettono
l’acquisto di merci prodotte all’estero Ciò significa che i flussi monetari si compensano e il turismo paga il miglior tenore
di vita (ZC) e gli investimenti più tecnologici (Zt) → il turismo come elemento di decollo dell’economia, perché i flussi
monetari possono pagare un miglior tenore di vita grazie anche all’importazione di beni, e investimenti tecnologici che
aumentano la produttività dei lavoratori e quindi la competitività delle imprese locali.
Le determinanti dei flussi. Perché si creano questi flussi? Porta benefici a tutte le parti in gioco. In seguito sono elencati
7 elementi che sono stati individuati come le fonti teoriche di aumento dei flussi turistici:
I. Diversità delle risorse ambientali e culturali nelle destinazioni; diversità = distribuzione asimmetrica, non tutte le
risorse ambientali/culturali sono presenti in egual modo in tutte le destinazioni. In questo caso parliamo di risorse
“non riproducibili”, in quanto esistono anche risorse che possono essere riprodotte es. parchi a tema: Disneyland.
II. La diversità nelle preferenze dei consumatori, i consumatori non hanno tutti le stesse preferenze, quindi
cercheranno di acquistare il prodotto turistico più incline alle proprie preferenze. Ciò può portare quindi i
consumatori di un Paese ad acquistare prodotti turistici di un altro Paese.
III. Il principio dei vantaggi comparati delle destinazioni, ogni Paese/destinazione può specializzarsi in uno specifico
tipo di turismo, quale? Quello che produce un costo relativo più basso delle altre destinazioni (costo relativo = non
per forza il costo più basso, ma la destinazione che produce meglio quel tipo di turismo ad un costo inferiore, si
tratta di costo-opportunità)
IV. La dotazione di fattori produttivi nelle destinazioni, ogni Paese/destinazione si specializzerà nel tipo di turismo che
usa intensamente le risorse localmente più abbondanti (che avranno quindi un costo più basso) e, al contrario,
tende ad usare il meno possibile le risorse meno abbondanti (che avranno un prezzo più alto).
V. La preferenza dei consumatori verso la varietà, ovvero varietà dell’esperienza di consumo in uno stesso prodotto
turistico. Oltre alle preferenze dei consumatori nel punto II, in questo caso magari due consumatori hanno la stessa
preferenza rispetto ad un prodotto turistico, ma amano la varietà delle esperienze di consumo → si crea il
cosiddetto “turismo orizzontale”, es. in Austria prevale il turismo alpino invernale ma gli austriaci vanno a sciare in
altri Paesi, perché vogliono provare località sciistiche diverse da quelle austriache.

→ Tutti i punti visti finora sono oggettivi e difficilmente modificabili, sembrerebbe quindi che il destino dei territori sia
“segnato” e che, ad esempio, una destinazione che non abbia particolari risorse ambientali/culturali e che non abbia
una particolare abbondanza in nessuno dei fattori produttivi che servono per i prodotti turistici non possa avere
successo. In realtà vi sono altri due elementi importanti:
VI. Le capacità organizzative e l’accessibilità delle destinazioni, elementi che riducono il costo della vacanza per il
turista, a volte ne aumentano anche la qualità. Aumentata l’accessibilità che deriva dalla riduzione dei tempi e costi
di trasporto, essa permette l’aumento dei flussi turistici internazionali. L’accessibilità conta perché se il costo di
trasporto è elevato questo allora si spalma meglio sul costo della vacanza se essa è lunga.
VII. I fattori di mercato, i flussi reali sono anche governati dalle decisioni dei consumatori che guardano i prezzi relativi
dei vari concorrenti. Inoltre, il potere d’acquisto dei turisti dipende dal fatto che ciò che viene guadagnato nella
regione d’origine viene poi speso nella regione di destinazione, e questo ha a che fare con la dinamica dei redditi
[come abbiamo già visto, in Italia il turismo è cresciuto poco perché i redditi non sono aumentati], inoltre, dipende
anche dal tasso di cambio, che se è favorevole permette maggiore potere d’acquisto nella destinazione.

Il modello centro-periferia. Modello proposto da Krugman non solo per il turismo ma che ha una mediata applicazione
per il turismo. È un modello che interpreta la localizzazione delle imprese turistiche [perché alcuni territori sono
specializzati in turismo e altri no?].
Immaginiamo un territorio diviso in due paesi identici a livello turistico, Est (E) e Ovest (O), e supponiamo che la
popolazione sia divisa equamente tra i due paesi e presenti la stessa domanda turistica (stesse preferenze). I servizi
turistici possono nascere a Est, a Ovest, oppure essere presenti in entrambi i paesi (E-O).
Localizzazione solo su costa Est: Il livello di produzione, misurato con le presenze è uguale a un valore N, dove N è
composto per metà da turisti provenienti da E e per metà provenienti da O. Possiamo immaginare che O sia
specializzato in qualche altra attività che non sia il turismo. Qual è il costo del turismo per le due popolazioni? Non è
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uguale [legenda: F = costi fissi; N = presenze; a = costo variabile per unità prodotta, quindi per pernottamento; t = costi
di trasporto].
- Costo del turismo per la popolazione in Est, v = F/N + a
- Costo del turismo per la popolazione Ovest, v + t = F/N + a + t

Localizzazione solo su costa Ovest: La produzione, presenze = N. Il costo del turismo per la popolazione in Ovest è pari a
v = F/N + a, mentre il costo del turismo per la popolazione Est, v + t = F/N + a + t
Localizzazione su entrambe le coste → su ogni costa abbiamo: la produzione, ovvero le presenze è uguale a N/2 [è la
metà, ma è presente in tutte e due]. Il costo del turismo per la popolazione residente: v = 2F/N + a. Notiamo che non
c’è il costo del trasporto, in quanto non serve spostarsi, ma il costo non equivale ai casi precedenti. I costi fissi sono
spalmati su un numero di presenze minore (N/2), perciò i costi sono maggiori.
Questo ci dice che la scelta della localizzazione del turismo è retta da due forze: una forza centripeta, determinata
dall’attrazione delle economie di scala e dai costi fissi, che rende conveniente per abbassare i costi concentrare il
turismo tutto in una destinazione; e una forza centrifuga, che spinge per avere localizzazioni in tutte le destinazioni
possibili ed è determinata dai costi di trasporto.
Se ci fosse solo la forza centripeta, e quindi i costi di trasporto fossero 0, evidentemente il costo della vacanza sarebbe
inferiore se tutti facessero vacanza nello stesso luogo → solo una delle due coste svilupperebbe il turismo e sarebbe
meglio per entrambe. Questo però pone come condizione che i turisti per spostarsi non debbano sostenere costi di
trasporto.
Se non ci fossero economie di scala, sarebbero i costi di trasporto ad essere decisivi. La vacanza nella regione domestica
sarebbe sempre meno costosa rispetto a quella nell’altra regione. Quindi, non ci sarebbero flussi internazionali.
- Se 2F/N + a > F/N + a + t, cioè F/N > t → conviene la specializzazione della produzione turistica in una delle due
coste [perché le economie di scala sono maggiori dei costi di trasporto].
- Se 2F/N + a < F/N + a + t, cioè F/N < t → conviene che entrambe le coste servano ciascuna la propria domanda.
Quindi non c’è nessun flusso internazionale.

Ci sono quindi tre possibili equilibri stabili: E, O, E-O; ma quale di questi si realizzerà nella realtà? Dipende da dove si
comincia: è la storia che decide, nel senso che basta un evento casuale nell’una o nell’altra destinazione a far sì che il
turismo si sviluppi lì oppure no. Abbiamo detto che E e O sono molto simili, basta una piccola variante in E che lo renda
più competitivo per far sì che ci si muova verso la specializzazione in E e non in O. Ad esempio, basta una riduzione dei
costi di trasporto oppure un aumento delle economie di scala. Coesisteranno quindi paesi specializzati nell’incoming
(com’era per l’Italia), altri nell’outgoing e altri con sistemi turistici integrati incoming-outgoing (USA).
Considerazioni:
- Operare per ridurre i costi di trasporto è un’arma a doppio taglio perché la riduzione vale anche per noi che
andiamo nell’altro paese, quindi siamo più invogliati anche noi a fare turismo outgoing.
- Non ci sono solo le condizioni economiche, conta anche la dinamica. Per questo motivo alcuni si specializzano, altri
non diventeranno mai concorrenti reali.
- Conviene ridurre i costi di produzione turistica ma questo modello dimentica una cosa, il principio di vantaggio
comparato (un individuo ha un vantaggio comparato rispetto a un altro nello svolgimento di una determinata
attività se il costo opportunità che affronta nello svolgere quel compito è minore rispetto a quello affrontato
dall’altro individuo.)
- È un modello parziale perché non ipotizza altre attività produttive, altrimenti i turisti non potrebbero spendere per
il turismo.

4. I flussi monetari. L’elemento chiave che distingue il turismo internazionale dal turismo domestico è il ruolo, dal punto
di vista economico, delle diverse valute (esistenza di diverse valute). Per ridurre i costi di transizione, compratori e
venditori che operano abitualmente in sistemi economici distinti e quindi con monete differenti vogliono continuare a
impiegare la propria moneta abituale anche negli scambi tra sistemi economici differenti [ragionando sui prezzi basati
sulla propria valuta, vogliono poter continuare a ragionare in questi termini].
La moneta straniera di cui si abbia disponibilità di dice divisa o valuta estera. Le divise sono una merce come le altre,
che si scambia sul mercato dei cambi. Per l’impresa europea, l’euro è l’unità di conto ed il dollaro è una merce come le
altre. Il prezzo che si determina su questo mercato è il tasso di cambio, e si esprime come il prezzo di una divisa in
termini di un’altra, secondo uno di due metodi reciproci.

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Criteri:
- Cambio certo per incerto (il più usato): indica il numero di unità di valuta estera Ct per unità di valuta
nazionale E [per noi che operiamo in Italia, significa il numero di dollari per 1€]
- Cambio incerto per certo: indica il numero di unità di valuta nazionale Et per unità di valuta estera C [per noi
che operiamo in Italia, significa il numero di euro per 1$]
→ Il metodo dipende dal nostro luogo di origine: quello che per noi è certo per incerto sarà incerto per certo dal punto
di vista degli americani, viceversa quello che è certo per incerto per loro sarà incerto per certo per noi.
Il funzionamento del mercato dei cambi. Le transazioni sul mercato dei cambi possono avvenire in due modalità:
- A pronti (consegna immediata, in questo caso consegna immediata della valuta estera – es. in banconota o
accredito su c/c, di fatto entro 48h, per esigenze urgenti)
- A termine (consegna e pagamenti futuri, scadenze solitamente di 1-3-6 mesi, a prezzo fissato – oggi “cambio a
termine”)
Quindi in ogni istante di una valuta estera esistono due quotazioni, quella a pronti Ct e quella a termine Ct+τ (dove τ –
tau è intervallo tra la fissazione del prezzo e la consegna della valuta): il cambio o premio sconto a termine è il
differenziale percentuale fra i cambi. Questo è importante perché la valutazione a termine, da un lato tiene conto
dell’incertezza connessa al tempo futuro, e dall’altro tiene conto delle aspettative che si hanno dei prezzi futuri (quelli
che saranno i prezzi a pronti quando si arriverà al pagamento futuro).
Sul mercato dei cambi non operano i singoli consumatori (solo per piccole richieste di cambio valuta), ma imprese,
banche e banche centrali. Queste istituzioni operano sul mercato dei cambi con regimi diversi, fissate da autorità
monetarie o da politiche di governo:
- Sistema a cambi flessibili: è quello che considera il mercato dei cambi come un mercato normale. I prezzi sono
flessibili e lo sono in base al gioco tra domanda e offerta. Il cambio a pronti è determinato dal mercato e può
variare nell’arco della giornata a seconda dei flussi tra domanda e offerta. Qui l’autorità politica non interviene: in
genere si tratta della banca centrale di uno dei due Paesi coinvolti, che quindi si astiene da ogni intervento e il
cambio Ct è determinato liberamente dal mercato, per cui varia pressoché continuamente
- Sistema a cambi fissi: i tassi di cambio sono mantenuti costanti ad un valore prefissato C* grazie al fatto che se ci
sono eccessi di offerta o domanda interverrà la banca centrale per compensare l’eccesso e mantenere il tasso di
cambio stabile (es. se c’è un eccesso di domanda la banca centrale offrirà quella valuta per compensare, se invece
c’è eccesso di offerta sarà la banca centrale ad acquistare)
→ Vantaggio del tasso dei sistemi di cambi fissi: non c’è incertezza sui cambi a termine poiché questi saranno identici ai
cambi a pronti, eliminando fonti di incertezza e facilitando le transazioni internazionali.
Inoltre, bisogna considerare che il sistema a cambi fissi è un sistema che ha dei costi. Storicamente, abbiamo avuto un
sistema a scambi fissi dalla fine della WW2 al 1971: qui c’era un’alta prevedibilità, ma i cambi non sono rimasti fissi per
tutto questo periodo temporale perché il tasso di cambio può rimanere fisso con gli interventi della banca centrale solo
se gli eccessi di offerta e domanda tendono a compensarsi nel tempo, mentre è insostenibile quando ci sono eccessi
strutturali di domanda o offerta → in questo caso la banca continua a vendere se ci sono eccessi di domanda ma ad un
certo punto terminerà le sue riserve valutarie. Potrà chiederle alla banca centrale corrispondente ma comporterà dei
debiti e quindi dei limiti. Se le imprese esportatrici/importatrici e le banche intermediarie continuano a domandare
dollari, giorno dopo giorno, ad un certo punto la banca centrale europea non ha più dollari da vendere e arrivati a
questo punto, il sistema a cambi fissi va in crisi perché il tasso di cambio non può rimanere al livello prefissato. Quello
che accade è che l’autorità monetaria determinerà, in accordo con le banche centrali, un nuovo tasso di cambio che
sarà fissato in modo da evitare che persistano gli eccessi strutturali.
Perché ci sono gli eccessi strutturali? Perché si continuano a domandare dollari, cioè più dollari che euro? I dollari
servono per pagare le merci americane, quindi si domandano dollari anziché euro perché si comprano più merci
americane di quanto non si vendono più merci europee in America → C’è uno squilibrio: ci sono più importazioni di
merci dall’America che esportazioni di merci europee in America. Si crea un eccesso strutturale di domanda di dollari ed
il cambio fisso non resiste [squilibrio: più turisti europei in USA che turisti americani in Europa].
Una terza fonte di squilibrio è il movimento dei capitali (bilancia dei pagamenti): si possono domandare dollari o euro
anche per attività finanziarie. Se noi europei intendiamo acquistare azioni sulla borsa americana avremo bisogno di
dollari, e viceversa dovranno farlo loro nel mercato europeo. Questa precisazione è importante perché dopo la WW2 il
sistema finanziario internazionale era molto poco integrato e tutta la domanda di valuta estera era legata agli scambi
commerciali internazionali (partite correnti nella bilancia dei pagamenti), prima per le merci e poi per i flussi turistici.
Nel tempo, a partire dagli anni ’70, il sistema finanziario internazionale per necessità e decisione dei governi è diventato
sempre più integrato, e questo ha portato al fatto che il peso dei movimenti di capitali è diventato sempre più
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importante rispetto ai flussi di valuta legato al movimento delle merci o dei servizi. Dagli anni ’90 (grandi liberalizzazioni
mercati finanziari) il tasso di cambio è più influenzato dai movimenti sui mercati finanziari che non sui movimenti dei
mercati reali. Inoltre, l’entità dei movimenti sui mercati finanziari è molto maggiore della capacità di intervento delle
banche centrale. È quindi diventato inevitabile abbandonare il sistema dei cambi fissi in favore del sistema dei cambi
flessibili, e per noi questo significa che vi è sempre un’incertezza nelle decisioni a termine internazionali aggiuntiva
rispetto a quella che già c’è in ogni mercato a termine anche nazionale. Questo abbandono aumenta quindi l’incertezza
ed è sgradito da chi opera sui mercati reali: dagli anni ’70 - ’80 c’è stato un nuovo tentativo:
- Sistema misto: la banca centrale non difende più una parità fissa, un ben preciso tasso di cambi, ma comunicava
l’intervallo di oscillazione considerato accettabile. Il sistema era quindi a cambi flessibili per piccoli intervalli di
oscillazione; a cambi fissi al di sopra di questi intervalli perché superata una certa oscillazione la banca centrale
interveniva con compravendite per far sì che l’oscillazione non crescesse. Questo garantisce piccole osservazioni,
una maggiore prevedibilità per il futuro ma è difendibile solo se non ci sono eccessi strutturali (squilibrio strutturale
nell’economia reale).
Es. 2011/2012 quando il tasso di cambio dell’euro è andato in crisi e si è temuto che l’esistenza dell’euro come moneta
unica fosse in pericolo e che si dovesse tornare alle monete nazionali. In questo caso, la Banca Centrale Europea [anzi, il
suo governatore che era Mario Draghi] pronunciò un discorso in cui disse che la BCE avrebbe fatto tutto ciò che sarebbe
stato necessario per garantire l’esistenza e la stabilità dell’euro (whatever it takes), finendo con il dire “credetemi, sarà
abbastanza”. Draghi affermò che avrebbe spinto fino al limite le modalità di intervento della BCE (che ha il potere di
stampare moneta), minacciando di stampare moneta nella quantità necessaria per fronteggiare eccessi di
domanda/offerta. Fu sufficiente la minaccia (che avrebbe procurato perdite ingenti agli speculatori) a stabilizzare la
situazione.
Parlando dell’euro come moneta unica. In un mondo in cui i cambi sono flessibili vi è una notevole incertezza sugli
scambi che le imprese non apprezzano e la via di uscita è, visto che il sistema a cambi fissi non è più possibile, la valuta
unica. Poiché le economie europee sono integrate ed hanno moltissimi scambi interni, poteva avere un senso dire
“sono un sistema economico unico con un’unica valuta” → motivo per cui negli anni ’90 è stato deciso di utilizzare
un’unica valuta. L’unione monetaria diventa quindi l’unica possibilità nel momento in cui non è più possibile un sistema
a scambi fissi quando due o più sistemi economici sono fortemente integrati tra di loro con gli scambi.
Il tasso di cambio tra le valute che viene rilevato sui mercati è un tasso di cambio nominale. Il tasso di cambio rilevante
per le scelte economiche è il tasso di cambio reale, ossia il prezzo dei beni esteri in termini di beni nazionali (“potere
d’acquisto”) → La differenza è che quello che in realtà conta è il prezzo relativo, le scelte dei consumatori si basano sui
prezzi relativi. In questo caso i prezzi relativi sono i prezzi dei beni esteri in termini di beni nazionali – prezzo inteso
come costo opportunità, sostanzialmente è il potere d’acquisto.
→ Quanto dobbiamo spendere in $ per gli stessi beni che acquistiamo con 1€? Il tasso di cambio tra l’euro e la lira turca
viene determinato sul mercato dei cambi con un tasso di cambio nominale, ma per le scelte economiche (es. turista) è
importante sapere quanto costa un pernottamento in un hotel 3* in Turchia, sapendo che in Italia costa XX. In lire
turche il prezzo è tendenzialmente basso perché il costo della vita in Turchia e i livelli dei prezzi sono più bassi che in
Italia. Esiste quindi un tasso di cambio reale ci indica il rapporto tra i livelli dei prezzi, dove il tasso di cambio nominale
serve a tradurre il prezzo in lire turche in prezzo in euro. Questo dipende sia dal tasso nominale sia dai livelli dei prezzi
nei due paesi e la sua formula è:
rt= P*/ Pt Ct = Et P* / Pt
Dove P sono i prezzi p. es. di un pernottamento in doppia nei due paesi.
Taso di cambio reale (rt ) al tempo t è dato dal rapporto tra i livelli dei prezzi, moltiplicato per il tasso di cambio. Qui non
abbiamo i prezzi dei due paesi ma abbiamo il livello internazionale dei prezzi (P*) ed il livello dei prezzi nel paese di
fronte a cui ci consideriamo (Pt Ct).
- Se il tasso di cambio reale rt < 1 vuol dire che conviene acquistare all’estero
- Se tasso di cambio reale rt >1 vuol dire che conviene acquistare beni prodotti in patria
Qui vale il teorema della parità dei problemi di acquisto (economisti ritengono che i mercati tendono ad equilibrio): se i
beni di cui stiamo parlando sono beni mobili (tradable) e la domanda dei beni è mobile, quindi possiamo acquistare i
beni da qualunque parte provenga la domanda e da qualunque parte sia l’offerta, accadrà che i prezzi dei beni
cambieranno finché il tasso di cambio reale non diventa uguale a 1 (rt=1) e quindi, in equilibrio, il prezzo di cambio C è
dato dal potere d’acquisto delle monete, dal rapporto tra i prezzi:
se cioè rt è =1 significa che C deve essere = P*/ Pt ( e Et = Pt/ P*).
Nel caso del turismo vale anche per i beni e servizi non mobili, perché a muoversi sono i turisti. Sappiamo che se non vi
sono interferenze esterne, il tasso di cambio reale sarà sempre 1 e quindi i prezzi, dato il tasso di cambio nominale, si
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adeguando fino a che non si raggiunge questo equilibrio. Possono esserci le interferenze dei governi che cercano di
controllare i prezzi dei mercati nazionali, governi che cercano di avere tassi di cambio fisso o interferenze di mercati
finanziari che influenzano i tassi di cambio nominali flessibili. In genere, le interferenze dei mercati finanziari sono
interferenze di breve periodo e tendono a fare oscillare i prezzi (salvo che i mercati finanziari non ritengano che ci sia
uno squilibrio strutturale che deve essere corretto). Di quali prezzi parliamo? A livello di sistema economico per P si
usano gli indici dei prezzi (o i deflatori del PIL): il tasso di cambio reale è quindi anch’esso un indice, di cui contano non i
livelli, ma le fluttuazioni, cioè i differenziali di inflazione. Il tasso di cambio reale fluttua perché i prezzi variano e variano
nei vari paesi a ritmi diversi, creano continuamente uno squilibrio che richiede un aggiustamento. La previsione di
queste fluttuazioni viene considerata per fissar ei tassi di cambio nominali ed è una delle ragioni per cui si è scelto in
Europa di avere un’unica valuta.
Vediamo ora le ricadute sul turismo e, in particolare, riconosciamo che per quanto riguarda il turismo abbiamo
transazioni tra imprese e transazioni dei turisti. La conoscenza del tasso di cambio permette di convertire i prezzi di
offerta (in valute della destinazione) nelle valute dei paesi di origine dei flussi turistici (paesi in cui si acquistano i
prodotti turistici, soprattutto quelli a pacchetto). In sostanza è la conoscenza del tasso di cambio che permette di
progettare e acquistare una vacanza all’estero tenendo conto del suo costo in modo corretto.
Le principali transazioni che svolgono le imprese tra di loro sul mercato dei cambi, quindi all’interno della filiera che
serve alla produzione e commercializzazione dei prodotti turistici (consideriamo quantità all’ingrosso, non al dettaglio
→ cifre consistenti, con maggior rischio se viene sbagliato il tasso di cambio, e volte quindi a cambiare valute tra uno e
altra andando a ridurre il rischio di cambio visto che si tratta di transazioni a termine, avendo poi effetti positivi sui
profitti). Le operazioni svolte dalle imprese sono di tre tipi:
1. Operazioni di copertura (hedging): [copertura dal rischio]
→ Operazioni di imprese e banche turistiche sul mercato a termine in cui, a fronte della transazione a termine con
prezzo fissato oggi, avremo uno sconto a termine (premio assicurativo contro il rischio di cambio).
→ La commissione e lo sconto a termine sono premi assicurativi contro il rischio di cambio, cioè il possibile
cambiamento che possono subire i prezzi con il cambio di valuta.
2. Contratti futures: [contratti futures, quindi si parla di mercati a termine]
→ Si svolgono sui mercati a termine, dove l’importo e la data sono prefissati e c’è un obbligo di transazione.
→ Questo elimina l’incertezza sulla disponibilità ma richiede la capacità di fissare l’importo ed il tasso di cambio.
3. Contratti options:
→ Importo libero, durata prefissata, non obbligo di transazione (a differenza dei contratti futures).
→ Opzione call: diritto di comprare (o di non comprare) entro una scadenza a prezzo fissato [diritto riconosciuto al
compratore]
→ Opzione put: diritto di vendere entro una scadenza a prezzo prefissato (strike price) [diritto riconosciuto al
venditore/ fornitore di servizi]
Esempio: Nel caso di un pacchetto turistico, il diritto di comprare (opzione call) è riconosciuto al TO e il diritto di
vendere (opzione put) al fornitore di servizi. Oppure, nel caso di intermediazione con AdV, il diritto di comprare è
dell’AdV e il diritto di vendere TO.
→ Dato che i cambi sono flessibili e le differenti valute comportano entrate/uscite diverse da quelle previste, per
evitare perdite eccessive si stabilisce il diritto di rinunciare alla transazione se si va oltre il prezzo prefissato
pagando però un premio/prezzo per questo diritto.
Le transazioni dei turisti sono in genere a pronti, individualmente ridotte (la domanda di valuta espressa dal singolo
turista è molto poco importante nella singola transazione rispetto alla domanda di valuta espressa dall’impresa).
Considerando però il grande numero di turisti internazionali, l’ammontare complessivo di transazioni legate ai turisti è
consistente. Le transazioni considerate sono:
1. Operazioni di cambio, in cui si paga per un servizio attraverso una commissione fissa e/o percentuale
→ Il cambio meno vantaggioso è quello delle banconote, vi sono alternative di pagamento più sicure e quindi più
costose (traveller cheque, bancomat internazionali e carta di credito. Qui i tassi di cambio sono diversi rispetto ai
tassi di cambio per banconote → il tasso di cambio non è unico, dipende dalla rischiosità o affidabilità dei vari
strumenti che si usano).
→ La commissione (costo di transazione) è fissa e/o percentuale.

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→ Poiché l’ammontare è ridotto qui non troviamo operazioni di copertura dal rischio cambio poiché L’ammontare
ridotto e la valuta viene usata per una spesa a brevissimo termine.

2. Apprezzamento/deprezzamento della valuta e scelta del turista [il cambio di valore influenza le scelte dei turisti]

→ La competitività delle destinazioni dipende dal livello di cambio. Il turista fa le sue scelte in base al prezzo espresso
nella sua valuta, e può cambiare le sue scelte non perché cambiano i prezzi nella destinazione ma perché è mutato
il tasso di cambio (es. una vacanza prima costava 1000€ ora 1200€).
→ Il livello del cambio influenza la quantità di domanda e lo possiamo vedere sia per i flussi turistici incoming (G) che
per quelli outgoing (H). Quindi il prezzo (v) sulla base del quale noi facciamo le nostre scelte non è influenzato solo
dai prezzi dei servizi nella località ma anche dal tasso di cambio, e per questo sceglieremo il turismo domestico in
cui non abbiamo il tasso di cambio. G = G (c) e H = H (c) perché v = v (c) e G = G (v) e H = H (v)
→ Non solo il livello del cambio conta, ma contano anche le fluttuazioni (variabilità del cambio) perché i consumatori
sono avversi al rischio: è sufficiente sapere che valuta $ fluttua frequentemente per farmi pensare che fluttuerà a
me in modo sfavorevole al momento del pagamento e di conseguenza deciderò di rinunciare alla vacanza.
→ Rispetto al modello centro-periferia, oltre al costo di trasporto che può frenare la specializzazione internazionale e
la concentrazione del turismo in alcuni territori, anche il rischio cambio può essere qualcosa che impedisce la
specializzazione.

3. Operazioni di arbitraggio fra piazze differenti come opportunità di profitto – piccola perché importi limitati
(correzione delle imperfezioni di mercato):

→ Esempio: il tasso di cambio tra € e $ può essere diverso a Milano e New York: se questo è vero può convenire
comprare dollari in un luogo e rivenderli nell’altro. Il risultato è che uno fa due operazioni di cambio, da € a $ e da $
a €, se vi sono differenti tassi di cambio il risultato sarà che alla fine avrò più € di prima (operazione di arbitraggio,
ma che solitamente i mercati tendono a far sparire).
→ Operazioni di cambio diretto: cambio identico su due piazze, anche non le due nazionali.
→ Operazioni di cambio triangolare: cambio tra tre valute (se più conveniente di quello diretto): a volte, anziché
cambiare € in $ ci conviene passare in una terza valuta (€→ £ → $), con imperfezioni di mercato causate dalle
commissioni o altre forme di rigidità sui prezzi.

In conclusione possiamo notare che i flussi


turistici internazionali, in quanto influenzati
dai prezzi, sono influenzati anche dai tassi di
cambio e questo significa che sono influenzati
dal funzionamento dei mercati finanziari
internazionali e dalla politica valutaria attuata
dai vari paesi. Ad esempio, nella crisi del 2011
in cui nessuno voleva l’euro perché si pensava
che questo sarebbe crollato e scomparso, con
un conseguente ritorno alle valute nazionali,
ha provocato un eccesso di offerta di euro che
significa che il prezzo di equilibrio tende a
scendere (il prezzo dell’euro sarebbe sceso
sempre di più e comprare dollari sarebbe
stato sempre più costoso). La decisione della
banca centrale europea di impedire questa
deriva ha stabilizzato i prezzi, i flussi commerciali ed i flussi turistici. Se questo non fosse avvenuto l’euro avrebbe
continuato ad esistere, ma le vacanze fuori dalla zona euro sarebbero state più costose e di conseguenza i flussi turistici
sarebbero stati molto minori, di conseguenza ci sarebbero però stati più flussi turistici dall’esterno verso l’Europa.
TURISMO, TERRITORIO E SVILUPPO ECONOMICO – Capitolo 12
L’ultimo argomento comprende il rapporto tra il turismo ed il territorio, e quindi il contributo allo sviluppo economico
del territorio. I 4 argomenti da affrontare sono:
1. Impatto della domanda / spesa turistica sull’equilibrio macro-economico sul breve periodo [PIL, livello attività
economica, reddito ed occupazione];
2. Impatto del turismo sullo sviluppo economico di lungo periodo [strutturale];

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3. Spiazzamento di altri settori da parte del turismo e l’impatto di questo sulla crescita economica di lungo periodo
[attenzione alla piena occupazione];
4. Impatto delle risorse della attività turistiche sullo sviluppo locale [approccio di lungo periodo di tipo endogeno, da
cui nasce il concetto di sistema turistico locale].
Il moltiplicatore keynesiano
Quali sono gli effetti della spesa turistica sul reddito e sull’occupazione della regione ospite? Per rispondere a questo
interrogativo dobbiamo introdurre, più in generale, il modello del moltiplicatore keynesiano.
Il modello prende il nome da Keynes, che lo ha proposto nel 1936, in un modello teorico che ha dominato l’applicazione
delle politiche economiche fino alla fine degli anni ’70. Il modello Keynesiano è la relazione per la quale l’incremento di
una variabile (esogena – il suo livello/incremento o decremento viene determinato da qualcosa esterno al modello)
produce un effetto, proporzionalmente maggiore, sull’incremento di un’altra variabile (endogena – il livello viene
determinato all’interno del modello) grazie ad un meccanismo iterativo, cioè una catena causa-effetto che si ripete man
mano.
Ipotizziamo ora la relazione fondamentale di un sistema economico (in assenza di turismo e di settore pubblico).
Possiamo dire che dal lato della domanda aggregata il PIL (Y), il livello generale di attività economica, corrisponde alla
somma di consumi C (spese dei consumatori per beni di consumo), più gli investimenti (I) da parte delle imprese, più le
esportazioni (beni venduti a consumatori esteri X – le importazioni Z).

Questa è un’identità contabile cioè l’ammontare complessivo dei redditi è uguale alla spesa complessiva in queste
categorie di beni. Ma i consumi e le importazioni (acquisti di beni da parte delle famiglie interne al sistema economico)
sono entrambe dipendenti dalla capacità di spesa. Per completezza e comodità di stima si immagina una quota di
importazioni (Z0) e di consumi (C0) non dipenda dal reddito, ma le quote prevalenti si (zY e cY) quindi ad ogni aumento di
reddito comporterà un aumento di consumo secondo questa proporzione. In genere, il coefficiente c è chiamato
“propensione marginale al consumo” e il coefficiente z è chiamato “propensione marginale di importazione”, e ci
dicono che per ogni € in più di reddito ci sarà una certa quantità di € in più di consumi o di importazioni.
La propensione al consumo in un paese sviluppato (es. Italia) è solitamente superiore al’80%, ciò significa che per ogni
euro in più di reddito generato nella nostra economia ci saranno 80cent in più di consumi. Queste sono quindi le
propensioni, z e c, ed il moltiplicatore keynesiano si ottiene come formula sostituendo al posto di C e Z le loro
espressioni e, raggruppando tutte le voci con Y da una parte cambiando di segno, e avremo Y moltiplicato per una serie
di coefficienti. Dividiamo poi da entrambe le parti ed otterremo Y a sinistra, cioè che il valore del reddito nazionale/ di
attività economica dipende da un lato da una formula di coefficienti/propensioni, e dall’altro da una serie di variabili
che non dipendono dal reddito (Z0 e C0). Le variabili che non dipendono dal reddito sono dette componenti autonome
della domanda e, facendo l’operazione, vedremo che sono (Z0 - C0) + I + X, in genere Z0 e C0 non vengono ritenute
rilevanti dal punto di vista teorico, mentre gli investimenti I e le esportazioni X sono considerate rilevanti → ai nostri fini
ci interessa sapere che delle esportazioni fanno parte anche le esportazioni turistiche, cioè le spese dei turisti stranieri
che vengono a fare vacanza in Italia.
Il parametro che lega la componente autonoma al PIL/livello attività economica è il moltiplicatore keynesiano
rappresentato dall’espressione k = 1 / (1 – c + z), mettiamo 1 – c + z perché se lo andiamo a sostituire con la formula
iniziale diventerà: Y = C0 + cY + I + (X – Z0 – zY) che, spostando le y a sinistra diventerà Y – cY + zY = C0 + I + (X - Z0), al che
raggrupperò le componenti con 0 e ne rimarranno le componenti autonome (Z0 - C0) + I + X. Dividendo poi entrambe le
parti per (1 – c + z) avrò a sinistra solo Y e a destra le componenti autonome che vengono moltiplicate per il
moltiplicatore. Viene chiamato moltiplicatore perché il rapporto k è maggiore di 1, e ne siamo certi perché i valori al
denominatore sono minori di 1 e 1 fratto numero minore di uno (1 / <1) da un k maggiore di 1. Il denominatore è
minore di 1 perché la propensione al consumo (c) è sicuramente molto maggiore di (z), quindi da 1 togliamo c
(relativamente grande) e aggiungiamo z (piccolo). L’effetto netto è che al denominatore ci sarà un risultato inferiore a
1, quindi per essere chiari potremmo scrivere k = 1 / (1 – c + z) > 1.
Significato sostanziale della formula: supponiamo che aumentino le esportazioni di merci (X), quello che succede è che
arrivano turisti stranieri e comprano servizi prodotti dalle nostre imprese turistiche, ma se comprano questi servizi
staranno spendendo e per chi produce servizi turistici significa redditi in più [usati per pagare lavoratori e titolari delle

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imprese], quindi abbiamo un aumento di reddito che, dalle famiglie dei lavoratori del settore turistico, verrà speso in
maggiori consumi secondo l’espressione C = C0 + cY, e magari se i lavoratori vogliono comprare prodotti esteri ci
saranno maggiori importazioni. Ma se noi acquistiamo maggiori consumi significa che i produttori italiani di beni di
consumo si trovano davanti una domanda da parte dei lavoratori/imprenditori del settore turistico, che avendo più
redditi domandano di più. Si producono più beni e ci saranno più redditi pagati per i lavoratori che producono beni di
consumo, quindi ulteriori redditi. Ma anche questi lavoratori che producono beni di consumo ed i loro imprenditori,
avendo maggiore reddito, domandano ulteriori consumi e così via.
Questo meccanismo ripetitivo ed iterativo fa sì che alla fine l’aumento totale dei redditi non è pari all’aumento di
esportazioni ma comprende anche tutto l’aumento di consumi che i vari giri (esportazioni) hanno generato. Questo è
importante perché l’aumento di redditi è in realtà un aumento di produzione e sottintende che per produrre di più è
stato necessario creare un aumento di posti di lavoro. Possiamo dedurre che le componenti autonome sono quelle
chiave per creare più occupazione, più redditi e quindi più benessere economico. E sono chiave perché non solo
producono più occupazione e più redditi in modo diretto, ma anche in modo indiretto attraverso i consumi → al
contrario, la spesa di importazione riduce l’effetto positivo perché va a beneficiare i produttori che appartengono ad
altri sistemi economici (se compro telefono Huawei prodotto in Cina, il nostro aumento di reddito darà beneficio ai
produttori cinesi e aumenterà la domanda di consumo in Cina, non in Italia).
Il moltiplicatore della spesa turistica - (equilibrio macroeconomico)
Introduciamo ora la spesa dei turisti. Distinguiamo le esportazioni (X) ed importazioni (Z) di merci, dalle esportazioni e
importazioni di turismo → turismo incoming e turismo outgoing:
- G2: turismo incoming, espresso da consumatori stranieri → che si aggiunge alle esportazioni
- H: turismo outgoing, espresso da turisti italiani che vanno all’esterno
- G1: turismo domestico, italiani che fanno vacanze in Italia → che si aggiunge alle importazioni
Il turismo nazionale complessivo G
= G1 + G2, e rappresenta la spesa
turistica di tutti i turisti in Italia.
La funzione di consumo dice
C = C0 + G1 + cY
e cambia poiché abbiamo inserito
la spesa. In questo caso per comodità consideriamo G1 come una componente autonoma, in altre può dipendere dal
reddito. Il turismo outgoing (H) viene espresso, come già le esportazioni, dipendente dal reddito e quindi c’è il
parametro h: H = H0 + hY.
Se noi riscriviamo l’espressione Y = C + I + (X – Z) e ci sostituiamo le espressioni precedentemente citate abbiamo
Y = C + I + (X + G2) – (Z + H), in cui abbiamo le esportazioni X con il turismo incoming G2 che rappresentano le
esportazioni di merci, e uguale non abbiamo più le importazioni genericamente ma distinguiamo le importazioni merci Z
dal turismo outgoing H.
Se ora andiamo a sostituire le espressioni che ci spiegano da cosa dipendono i consumi, le importazioni di merci e il
turismo outgoing, otteniamo l’espressione del moltiplicatore turistico k = (1 – g) / (1 – c + z + h), dove g è la percentuale
di spesa “non a destinazione” da parte dei turisti domestici = media dei coefficienti di spesa nazionale dei turisti mobili
ponderata con l’importanza dei due flussi, G1 e G2.
Quale è quindi la conseguenza di un aumento della spesa dei turisti nel nostro paese? La premessa è che il modello
keynesiano presuppone che esistano risorse produttive inutilizzate: il moltiplicatore fa aumentare il PIL, ma vuol dire
che aumenta la produzione e che deve aumentare l’occupazione, ed il processo è possibile se ci sono lavoratori
disponibili e se vi è capitale produttivo disponibile. Perché il moltiplicatore abbia effetto occorre che ci siano disoccupati
che possano essere impiegati nella produzione di servizi turistici. In presenza di risorse produttive inutilizzare, un
aumento della spesa G dei turisti determina un’espansione della produzione delle imprese, della occupazione, del
volume d’affari e quindi del reddito delle famiglie residenti nel territorio turistico, il che attiva il moltiplicatore
keynesiano della spesa (oltre ad effetti indiretti, effetti indotti).
Dobbiamo considerare che questa spesa turistica attiverà anche il moltiplicatore input-output [moltiplicatore
leonteviano] della produzione, e quindi abbiamo anche degli effetti indiretti. Da questo punto di vista, una cosa che in
passato è stata trascurata, è che non solo gli investimenti delle imprese e le esportazioni di merce sono importanti per il
benessere di un paese, ma lo stesso vale per il turismo incoming (internazionale o interregionale). Da questo punto di
vista il turismo ha quindi un ruolo importante, più ancora delle sue dimensioni, perché attiva un moltiplicatore.

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Il supermoltiplicatore turistico. Quale è il valore del moltiplicatore? Studi empirici hanno dimostrato come il valore del
moltiplicatore varia nello spazio e nel tempo. Esso dipende dalla struttura economica delle diverse destinazioni,
dipende dalle propensioni al consumo, dalle importazioni delle popolazioni nelle diverse destinazioni, dipende dal tipo
di turismo nella destinazione.
Primo caso: K > 1
Il moltiplicatore che include il turismo è maggiore di 1, come ci aspetteremmo. In questo caso il turismo è fattore di
sviluppo, cioè una componente autonoma della domanda (come investimenti ed esportazioni). Perché questo sia vero
la somma dei coefficienti G, H e Z, compresi tra 0 e 1, come somma devono essere minore della propensione marginale
al consumo (c). Noi sappiamo che sia Z che H, e forse anche G, sono tutte e 3 più piccole di c, sono quindi propensioni
minori, ma qui dobbiamo guardare la loro somma e se questa è minore allora il turismo è fattore di sviluppo.
Secondo caso: 0 < K < 1
Il moltiplicatore è compreso tra 0 e 1. In questo caso la somma di G, H e Z è maggiore di c. In questa situazione
un’espansione del turismo porta sì ad un aumento del PIL ma meno che proporzionale, anziché più che proporzionale.
Qui il turismo viene quindi definito come un fattore parassitario, perché almeno in parte la sua crescita si alimenta a
spese della crescita di altri settori economici del nostro territorio.
→ Nel primo caso il turismo non è problematico ed è ben voluto, ma nel secondo caso si creeranno dei conflitti tra il
settore turistico e gli altri settori. Questo accade a maggior ragione quando non c’è forza lavoro disponibile, quando
sono alte le propensioni alle importazioni (le famiglie che ottengono occupazione e reddito dal turismo spendono i loro
redditi in prodotti esteri e non locali → in questo caso l’effetto di crescita sul territorio sarà molto più limitato). Lo
stesso accade anche quando i turisti domestici spendono non a destinazione (es. acquisto prodotti stranieri anziché
nazionali in una destinazione interna allo stato di residenza)
Terzo caso: K = 0
Caso limite con moltiplicatore pari a zero, quando tutta la spesa dei turisti è in beni dal luogo di origine, il che comporta
un turismo come enclave. Succede nei piccoli paesi, dove il turista si trova in località dedicate a loro (villaggi turistici) e
tutte le loro spese sono collegate a risorse/servizi del loro stesso paese di origine (es. italiani in vacanza in un villaggio
turistico alle Maldive di proprietà di imprenditori italiani, con personale italiano, prodotti italiani, ecc.) e in questo caso
la spesa turistica non resta sul territorio locale ma viene spesa per beni non locali e, conseguentemente, non c’è alcun
effetto del turismo e della sua espansione sull’economia locale. Qui il conflitto con il territorio può essere
estremamente forte se, oltre all’assenza di effetti economici, abbiamo una serie di esternalità negative (es.
compromissione ambiente).
Ulteriori elementi che possiamo considerare nel caso del moltiplicatore turistico sono che prima di tutto questi effetti,
che derivano da effetti diretti (spesa turistica genera occupazione e reddito) ed indiretti (domanda di ulteriori beni,
consumi e altra occupazione), non si generano istantaneamente ma si manifesta nel tempo e può essere che non si
manifesti tutto nello stesso periodo → c’è un percorso dinamico di aggiustamento.
Questo è tanto più vero quanto più breve è l’orizzonte temporale su cui misuriamo il PIL (se lo misuriamo ogni 3 mesi
non lo vedrò subito ma lo vedrò nei trimestri successivi). Questo è importante perché se inserissimo anche il settore
pubblico nella formula Y = C + I + (X – Z), la spesa pubblica sarebbe considerata una componente autonoma e quindi
questa serve a stimolare l’economia non solo direttamente ma, con il moltiplicatore, anche indirettamente. Questo
significa che se siamo in una crisi come questa attuale e aumentiamo il disavanzo dei conti pubblici per dare incentivi
alle famiglie, questo stimola l’economia e controbilancia l’effetto della crisi, ma per la manifestazione degli effetti ci
vorrà del tempo ed è quindi importante sapere che nelle politiche pubbliche il percorso di aggiustamento è dinamico.
Un altro aspetto interessante, sviluppato per il turismo, è che fino adesso abbiamo considerato gli investimenti come
esogeni (nella componente autonoma). Un’indagine alternativa è immaginare che gli investimenti siano in parte esogeni
(I0) e quindi componente autonoma, ma in parte dipendano dall’espansione del reddito (iY) e dipendano dalla spesa
turistica, ottenendo quindi I = I0 + iY. Per esempio, perché le imprese espanderanno le proprie strutture/investiranno nel
rinnovarle nelle misure in cui vedranno aumenti di spese turistiche, pensando che questi ci saranno anche nel futuro e
che quindi le strutture debbano essere adattate. Avremo quindi i che è la propensione marginale ad investire e questa
sarà inserita nella formula del moltiplicatore come K’ = (1 – g) / (1 – c + h + z – i), poiché riduce il denominatore
aumenta la probabilità che il moltiplicatore turistico sia più elevato. Questa nuova formula del moltiplicatore è nota
come il supermoltiplicatore turistico del reddito, super perché per definizione K’ > K. Questo significa che gli
investimenti (sia di settore turistico ma anche di altri prodotti che potrebbero essere oggetto di acquisto da parte di
turisti, non solo durante la vacanza ma anche in futuro) dipendono dalla spesa turistica. Con K’ > K è più difficile che il
turismo sia parassitario, e che invece sia un effettivo fattore di sviluppo che ridurrà quindi i conflitti tra il turismo e le
altre attività economiche.

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→ K e K’ dipendono non solo dalle decisioni dei turisti (g) ma anche dalle decisioni dei residenti (h e z), e questo è a
maggior ragione vero perché anche c ed i sono decisioni delle famiglie e delle imprese residenti. Da questo punto di
vista, tanto più è alta la propensione al consumo e la propensione all’investimento, e quanto più sono basse la
propensione all’importazione di merce e al turismo outgoing, tanto più alto sarà l’effetto benefico del turismo sui
redditi e sull’occupazione.

Turismo e sviluppo regionale. Vogliamo analizzare l’impatto del turismo sullo sviluppo economico di lungo periodo
(impatto in termini strutturali = mutamenti della struttura economica). Questo campo di analisi parte dall’evoluzione
del modello del moltiplicatore (che è un modello di breve periodo) e cerca di adattarlo in un contesto dinamico.
La conclusione fondamentale del modello keynesiano è che anche se il sistema di mercato non riesce a garantire il
pieno impiego delle risorse (in particolare la piena occupazione del lavoro) è possibile – sfruttando il moltiplicatore e la
spesa pubblica – arrivare a un risultato di pieno impiego. Tuttavia, questo è un modello di breve periodo, cosa succede
nel lungo periodo? Il risultato desiderabile si replica, o addirittura il problema della disoccupazione è solo un problema
del breve periodo, perché nel lungo periodo il mercato riuscirà a garantire la piena occupazione?
→ Obiettivo pieno impiego: dall’analisi di breve periodo (dove le risorse e la struttura economica sono date) all’analisi di
lungo periodo, che ha due rami:
- Teoria dello sviluppo, che si occupa dell’analisi delle trasformazioni strutturali
- Teoria della crescita, che si occupa dell’analisi delle condizioni ottimali di un’economia a risorse crescenti: tutte le
variabili rilevanti crescono allo stesso tasso (che è esogeno, quindi non determinato dal modello/scelte politiche).

Queste problematiche sono influenzate anche dalle fasi dello sviluppo turistico, in particolare il modello del ciclo di vita,
anch’esso dinamico, che può essere collegato allo sviluppo economico [→ Le 4 fasi possono essere viste come 3
mutamenti, nei quali è possibile utilizzare il moltiplicatore]:
1. L’arrivo dei turisti (in un sistema economico non turistico, quindi in una località che finora non era una destinazione
turistica, e con l’arrivo dei primi turisti inizia ad esserlo → prima fase del ciclo di vita). Esso rappresenta la premessa
per la produzione di servizi (che in quel momento ancora non ci sono, in quanto non immagazzinabili né
trasportabili).
2. Il consumo turistico, quando l’arrivo dei turisti non è più occasionale e c’è un effettivo consumo turistico, che
significa trasferimento nella destinazione di redditi prodotti altrove (regione d’origine dei turisti) e quindi effetto
moltiplicatore (quanto sarà consistente questo effetto dipende dall’apparato produttivo locale).
3. Il decollo turistico, l’effetto supermoltiplicatore porta anche ad investimenti locali.
4. Il distacco dal turismo inteso come “monocoltura”, che riporta la destinazione verso un sistema economico non
turistico. In questo caso non perché non c’è il turismo (come in punto 1) ma perché il turismo diventa un’attività fra
tante. C’è diversificazione di mercato/prodotti e investimenti fuori da filiera turistica: i profitti ottenuti dall’attività
turistica vengono utilizzati dalla destinazione per espandersi in attività non turistiche.

I motivi per cui il processo si può bloccare:


- Turismo come enclave (il turismo si stoppa in fase 1), quando i turisti nella destinazione non consumano beni locali.
- Il turismo non genera investimento (stop in fase 2), quando i residenti si comportano come i rentier [della teoria
economica classica], ovvero i residenti che guadagnano redditi grazie al turismo non investono nella destinazione e
li spendono in beni non locali.
- Il turismo non genera distacco (stop in fase 3), quando il turismo genera investimenti ma non compie il ruolo di
fattore di accumulazione primaria (se gli investimenti restano nel turismo, e non in altri settori).
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Turismo e crescita economica. Un altro aspetto è quello della crescita economica: il sentiero di crescita ottimale
garantisce equilibrio dinamico fra offerta di risorse (capacità produttiva) e domanda di risorse (produzione): quindi che
garantisce sempre piena occupazione [= esiste un percorso nel tempo ottimale che garantisce che offerta e domanda di
risorse siano in equilibrio]. Si tratta di modelli sviluppati nel periodo della WW2, dove ci si preoccupava della
disoccupazione di massa. Il modello di partenza (più famoso) è il modello aggregato di Harrod e Domar, sviluppato da
entrambi in contemporanea, uno in Inghilterra e l’altro negli USA, indipendentemente l’uno dall’altro. Parliamo di
modello aggregato in quanto vi è un solo bene che fa sia da bene di consumo sia da bene di investimento.
Il modello aggregato di Harrod – Domar, ha due equazioni fondamentali, una dal lato della domanda e l’altra dal lato
dell’offerta.
Domanda: Yt = Ct + It = cYt + It → caso estremamente semplificato, un’economia solo privata, dove consumi e
investimenti danno la spesa totale e corrispondono alla produzione. I consumi dipendono a loro volta dal reddito.
Offerta: It = Kt+1 – Kt = v(Yt+1 – Yt) → in questo caso, si considerano gli investimenti non come elemento di domanda
aggregata, ma come variazione della capacità produttiva (dello stop di capitale). Perciò sono dati dalla differenza fra il
capitale di domani (Kt+1) e il capitale di oggi (K). Quindi, investendo oggi, accresciamo il capitale di domani.
Ma da cosa dipende questa variazione dello stock di capitale? Dipende dalla variazione del reddito v(Yt+1 – Yt), che nel
momento in cui decidiamo è una variazione prevista [non ci si pone il problema se la previsione sia giusta o meno].
Il rapporto fra le due è rappresentato da v, dato dalla variazione di K fratto la variazione di Y, ovvero la variazione dello
stock di capitale in relazione a una variazione di investimento.
Grazie a questa espressione, al fatto che in equilibrio i risparmi sono uguali agli investimenti e al fatto che la
propensione al risparmio è legata alla propensione al consumo, si arriva al tasso di crescita d’equilibrio, ovvero quel
tasso di crescita dell’economia che continuerà – a partire dal momento in cui si raggiunge l’equilibrio – per tutti i periodi
di tempo futuri. Questo perché sia i progetti di investimento delle imprese sia i progetti di consumo delle famiglie si
realizzano come previsto.
Tasso di crescita d’equilibrio (“tasso di sviluppo garantito” in tutti i t): (Yt+1 – Yt) / Yt = ΔY/Y = γa = s / v = sπ
= la variazione del reddito percentuale (livello futuro di Y – livello attuale di Y / livello attuale di Y = ΔY/Y)
= tasso di crescita garantito (γa)
= rapporto fra s (che è la propensione al risparmio, data da 1 - c) e v (rapporto tra capitale e prodotto)
= invertendo v diventa il rapporto tra prodotto e capitale, cioè la produttività del capitale (π) → sπ
In sostanza: la crescita di equilibrio dipende dal doppio effetto dal lato della domanda e da quello dell’offerta, ed è
uguale al prodotto tra propensione al risparmio (s = 1 – c) dal lato della domanda, e dalla produttività del capitale
(1/v = π = Y/K = ΔY/ΔK) dal lato dell’offerta.
Tuttavia, c’è una condizione che garantisce che il sentiero di crescita sarà stabile (e che quindi ci sarà sempre piena
occupazione), ovvero: affinché l’economia cresca garantendo la piena occupazione, occorre che il tasso di crescita
garantito γa debba essere uguale al tasso di crescita naturale γn , che è determinato da due elementi, ovvero dalla
crescita demografica (n), che ci dice di quanto aumenta la forza lavoro (quindi le risorse), ma anche dal tasso di
progresso tecnologico (λ), che ci dice quanto la forza lavoro è produttiva: γa = s / v = sπ = n + λ = γn
Problema: questi quattro parametri (progresso tecnologico, crescita demografica, propensione al risparmio,
produttività del capitale) sono tutti esogeni (determinati a priori e non dal modello), quindi l’equilibrio dinamico non è
assicurato (perché è casuale, non c’è nessuna garanzia che continui anche nel lungo periodo, in quanto i parametri non
sono controllabili). Come possiamo risolverlo? Rendendone uno endogeno (quindi uno di questi parametri non deve
essere esterno al modello, ma deve esserne un risultato). Quale rendere esogeno? O la propensione al risparmio (s) o la
produttività del capitale (π). Non si possono controllare gli altri due parametri (anche se la Cina ha controllato per molto
tempo la crescita demografica, ma è impossibile in un paese democratico). Nel modello di Kaldor si rende endogena la
propensione al risparmio, mentre nel modello di Solow la produttività del capitale.

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1957. Kaldor afferma che la


propensione al risparmio, e di
conseguenza la propensione al
consumo, sono diverse a seconda
che si applichino ai redditi di
capitale (profitti) o ai redditi da
lavoro (salari). Le persone che
percepiscono salari hanno
propensione al risparmio sw, mentre
le persone che percepiscono profitti
hanno una propensione al risparmio sc, e - ispirandosi alla teoria classica - sw = 0 e sc = 100%, quindi sc > sw.
Tuttavia, nei paesi avanzati è normale che ci siano persone che hanno sia redditi da salario sia redditi da capitale, e in
questo caso la propensione al risparmio è intermedia.
In equilibrio macroeconomico sappiamo che i risparmi saranno uguali agli investimenti (It), quindi dal lato dell’offerta
abbiamo la stessa espressione del modello aggregato di Harrod – Domar.
Deduciamo che è la quota di reddito da profitti (Qc) che porta alla crescita in equilibrio. Riscriviamo quindi la vecchia
situazione di equilibrio (γa = s / v = sπ → Harrod – Domar), dicendo che non abbiamo una propensione al risparmio, ma
essa è data dalla differenza di altre due (sc – sw), in base quindi ai profitti e salari, otteniamo Qc = (γ – πsw) / (sc – sw)
A questo punto ci chiediamo se i risparmi S variano nel caso varino i profitti e i salari (Π, W). La risposta è sì, in quanto al
variare di come si suddivide il reddito Y tra redditi dei lavoratori e redditi dei capitali, varieranno anche i risparmi S.
Quindi, se non ci troviamo nella situazione ottimale di equilibrio ● Qc = (γ – πsw) / (sc – sw) ● abbiamo degli squilibri.
In questa situazione, si crea però un meccanismo nel mercato del lavoro che la riequilibra. Esempio:
- Investimenti molto alti: si generano profitti elevati ma non ci sono lavoratori sufficienti per rendere profittevoli i
nuovi beni-capitali, quindi vi è una pressione sul mercato del lavoro → abbiamo un eccesso di domanda di lavoro,
ma l’offerta di lavoro è bassa, quindi il prezzo di equilibrio sale, e salgono i salari. Di conseguenza, scendono i
profitti e quindi anche i risparmi complessivi S scendono e si investe meno → arriviamo a equilibrio.
- Investimenti bassi (insufficienti a garantire gli equilibri): troppi lavoratori, quindi in molti restano disoccupati e sul
mercato del lavoro c’è un eccesso di offerta che porta alla riduzione dei salari, a favore dei profitti. Di conseguenza
aumentano i risparmi e gli investimenti → equilibrio.

1956. Solow, invece, afferma che la


produttività dei fattori varia a
seconda dell’intensità di capitale (K/L
→ rapporto tra capitale e lavoro).
Perché varia? Perché, secondo la
teoria di produzione, la produttività è
marginale e decrescente:
più aumentiamo lo stock di capitale
rispetto al lavoro, più la produttività del lavoro aumenta e la produttività del capitale diminuisce, e viceversa.
Solow rappresenta una funzione di produzione e la usa in ambito aggregato (applicandola al modello Harrod - Domar).
La funzione di produzione Cobb-Douglas è la più famosa e utilizzata: Y = AKaL1-a
Da questa possiamo calcolare la produttività (Y) e otteniamo: A (costante) per il rapporto fra capitale e lavoro elevato
ad a. Vi è una particolare dotazione di capitale per lavoratore, quindi un particolare rapporto K/L, che garantisce
l’equilibrio di lungo periodo. Questa relazione sottintende che esiste un rapporto fra Y e K, cioè la produttività del
capitale, e quello che si osserva grazie al modello è che se non ci troviamo nella situazione ottimale di produttività del
capitale e del lavoro, cambia l’accumulazione di capitale per lavoratore:
- Se il rapporto K/L è troppo basso, il capitale è estremamente produttivo e genera redditi che possono essere
reinvestiti e aumentano la dotazione di capitale per ogni lavoratore, e con ciò la sua produttività → riequilibrio.
- Se il rapporto K/L è eccessivo, i nuovi lavoratori non riescono ad avere abbastanza capitale, il rapporto poi si
abbassa e si raggiunge un livello ottimale che garantisce l’equilibrio di ogni periodo.

Quindi, grazie a questi due modelli che rendono endogeni questi due meccanismi, il modello Harrod – Domar garantisce
un equilibrio di lungo periodo [perché, in entrambi i casi, tutto si riequilibra da solo].

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Modello di Kaldor Modello di Solow


La propensione al risparmio è variabile. Approccio molto diverso: prende per buona l'espressione
Idea: tutti i soggetti economici non sono uguali, esistono diverse macroeconomica keynesiana C + I = C + S dove I = S.
classi sociali che hanno diversi comportamenti economici. Noi ne Egli lavora sulla funzione di produzione che sta dietro la seconda
identifichiamo due: espressione: scriviamo la funzione di produzione così: Y = AK α L 1-α
- I capitalisti, o imprenditori (redditi = profitti π) È un'espressione moltiplicativa. A è una costante che ci permette di
- I proletari, o lavoratori (redditi = salari w) far quadrare i conti, ma può variare come possono variare K e L. A è
La propensione al risparmio tra le due classi è diversa: un simbolo della tecnologia, di tutte le conoscenze che abbiamo e
sw → propensione marginale al risparmio dei lavoratori che permettono di far trasformare le risorse in prodotto: lo sviluppo
sc → propensione marginale al risparmio dei capitalisti. S nel modello della nostra conoscenza ci rende più produttivi. α (alpha) è > 0 e < 1
keynesiano è una media pesata tra sw e sc. L’equilibrio dice: quando possiamo garantire che per ogni lavoratore
Nella formula: It = Kt - Kt-1 = v(Yt+1 - Yt), c’è dietro l’idea che il è garantito un numero di macchinari per renderli produttivi? La
reddito è o profitto o salario: Y = π + w La propensione al risparmio condizione di equilibrio dinamico è garantita dall'adozione della
dei capitalisti tende ad essere più alta: sw < sc. La propensione al tecnica di produzione identificata da una particolare dotazione di
risparmio può essere ≥ 0. capitale per lavoratore:
Riscriviamo la funzione risparmio: S = sY = I Y = AKα L L-α  funzione della produzione di Solow, quello che ci
qui sY viene fuori da: sY = Scπ + SwW interessa è la produttività, quindi:
Possiamo ottenere la quota del reddito dei profitti Qc = π / Y → Y = AKα L L-α
condizione di equilibrio, consente la crescita in equilibrio. Y = AKα L / Lα
Sostituendo la prima espressione nella seconda, scopriamo quale è la Divido entrambe per L:
quota di reddito di profitti che ci garantisce equilibrio e piena Y/L = AKα / Lα
occupazione, quota influenzata dal saggio di crescita economia, Y/L =A (K/L)α
produttività. Qc = (γ – πSw) / (sc – sw) Y/L →produttività del lavoro media;
La crescita dipende da come il reddito è distribuito tra capitalisti e K/L → quantità di capitale che spetta a ciascun lavoratore, capitale
lavoratori. per addetto.
→ Partiamo da una situazione di non equilibrio ma è la stessa → Per Solow non solo esiste un livello ottimo di stock di capitale che
situazione economica che ci porta all'equilibrio. determina il reddito di ogni lavoratore, ma dice anche che se non
siamo in quel livello il sistema economico porterà lo stesso
all’equilibrio. Esiste quindi un equilibrio a cui il sistema tende e anche
un reddito pro capite a cui il sistema tende.

Modelli di crescita con turismo. Se nell’economia c’è un flusso sistematico di turisti [non occasionale, siamo quindi nella
fase 2/3 del ciclo di vita del turismo] e la spesa dei turisti risulta una componente della domanda. Per questo motivo,
una parte della produzione va destinata al consumo turistico, abbiamo quindi un modello a due settori [Harrod – Domar
era un modello aggregato, di un settore solo],
quindi la condizione di equilibrio si trasforma,
assumendo un tasso di crescita (γT) che è
inferiore al tasso di crescita garantito (γa), perché l’effetto espansivo, garantito agli investimenti dalla propensione al
risparmio, è ridotto dal fatto che una quota (q) delle disponibilità serve per garantire i consumi turistici (e non gli
investimenti) → q = (1 – g) G / Y è la quota dei consumi turistici sul reddito [dove g = consumi turistici non locali], per
ipotesi costante in equilibrio (crescita senza mutamenti strutturali):
In equilibrio, c’è un effetto spiazzamento: il tasso di crescita garantito è minore perché il consumo dei turisti spiazza gli
investimenti [si investe meno perché si sceglie di consumare prodotti turistici]. Questo ci fa pensare che le economie
con molto turismo sono quelle che crescono meno a lungo termine. Tuttavia, d’altra parte c’è un grado di libertà in più:
l’equilibrio γa = γn può essere garantito anche da un cambiamento strutturale tra i settori (turismo / non turismo),
ovvero q può variare per garantire l’equilibrio di lungo periodo.
Anzi, se s e v (π) sono esogeni, è proprio l’economia mista [turismo / non turismo] a garantire il pieno impiego in
equilibrio: in q = q* anche la spesa turistica cresce al tasso naturale γa
• Nel modello di Kadlor, la destinazione con maggiore presenza del turismo nell’economia sperimenta anche una più
alta quota reddito dei capitalisti.
• Nel modello Solow, la destinazione con maggiore presenza del turismo nell’economia sperimenta anche una minore
intensità capitalistica dei processi produttivi (perché si investe di meno).

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Turismo e crescita – lo spiazzamento causato dal turismo. Le attività economiche competono per risorse limitate: se lo
sviluppo del turismo sostituisce altre attività abbiamo un effetto spiazzamento [= non tutto l'aumento del settore è un
bene per il sistema economico. Una parte delle risorse prodotte vengono sottratte da altri settori. In una certa misura
l'aumento della spesa pubblica è bilanciato dall'aumento di altre voci (investimento)]. Il turismo in una destinazione può
produrre tre tipi di spiazzamento da parte di un tipo di turismo in una destinazione:
- Spiazzamento di altre attività legate al turismo (normale meccanismo di concorrenza, o della distruzione creatrice,
come la chiamava Schumpeter) → si eliminano le attività meno apprezzate e quindi meno redditizie. Lo
spiazzamento è un fenomeno positivo.
- Spiazzamento di altre attività locali diverse da quelle turistiche (via reddito: fallimento distributivo del mercato). Ad
esempio attraverso il mercato immobiliare: un’espansione del settore finanziario significa una maggiore domanda
di spazi nelle grandi metropoli, poiché gli operatori finanziari hanno elevati redditi, gli affitti salgono e tolgono gli
spazi ad altre attività perché solo loro se li possono permettere.
- Spiazzamento di altre attività non turistiche (problema di utilizzo ottimale di risorse limitate – comuni e non – con
implicazioni di strategia economica) → le risorse limitate vengono usate dal turismo.

La domanda che la destinazione deve porsi: qual è il mix ottimale di risorse? La scelta ottima della destinazione dipende
dalla vocazione delle risorse in termini di produttività (pendenza delle curve, quindi dove si massimizza la produttività) e
dal rapporto di scambio tra i beni (cioè il prezzo relativo: terms of trade), che rispecchia i costi opportunità.
Figura di sinistra: sull’asse x
abbiamo la quantità di risorse
(lavoro) e immaginiamo sia
pienamente occupata. Sull’asse
verticale di sinistra misuriamo
la produttività marginale del
settore manifatturiero, mentre
sull’asse verticale destra la
produttività marginale del
settore turistico moltiplicata per il prezzo relativo (prezzo del turismo rispetto al settore manifatturiero).
La produttività è decrescente, in quanto se aumentiamo l’impiego della risorsa la produttività scende: infatti, vediamo
che la produttività marginale del settore manifatturiero decresce (da sinistra verso destra) con l’aumentare dell’uso
delle risorse, e la stessa cosa vale per il settore turistico (da destra verso sinistra).
Quindi vediamo che c’è una serie di unità dove la produttività marginale del settore manifatturiero è maggiore della
produttività marginale del settore turistico (da 0 al punto E) → quindi le risorse vengono impiegate nel manifatturiero.
Ma c’è anche una serie di unità dove la produttività marginale del settore turistico è maggiore della produttività
marginale del settore manifatturiero (da R al punto E) → quindi le risorse vengono impiegate per il turismo. Nel punto E
le produttività sono uguali, e ci indica quanta parte delle risorse viene dedicata al turismo e quanta al manifatturiero.
Cosa succede se aumenta la produttività delle risorse turistiche (es. grazie a progresso tecnologico) oppure cambiano i
prezzi relativi (es. se arriva domanda dall’estero e si esporta di più)? Si crea una nuova funzione di produttività (grigio
chiaro) e un nuovo equilibrio E’, quindi parte di risorse vengono tolte dal manifatturiero e prese dal turismo. Ci sarà
anche aumento salari dovuto al fatto che la produzione dei settori al margine è più alta (punto E’ più in alto di E).
Figura di destra: può succedere che a un certo punto, in un Paese, la produttività (una volta tenuto conto dei terms of
trade di un settore, nel nostro caso turismo) di una risorsa sia sempre superiore alla produttività di quella stessa risorsa
in un altro settore (manifatturiero). In questo caso, vi è convenienza (ed è efficiente) utilizzare tutte le risorse nel
turismo. Ciò significa che, in questo territorio, il settore manifatturiero scompare.
Quindi: quando le innovazioni tecnologiche si concentrano su un settore o quando cambiano i terms of trade (es. viene
sempre più domandato un settore rispetto all’altro) si va verso una specializzazione, ma ha implicazioni di lungo periodo
→ considerando che i servizi (quindi anche turismo) crescono più lentamente rispetto alle industrie [nel grafico hanno
la stessa pendenza, ma in realtà industrie dovrebbero essere più pendenti], ciò significa che – una volta eliminato il
settore manifatturiero (e impiegato tutte le sue risorse) – il tasso di crescita sarà più lento.
Turismo e crescita - i modelli di crescita endogena. Abbiamo visto che nei modelli di crescita esogena, la crescita
dipende da parametri esterni al modello: demografia della forza lavoro, tasso di progresso tecnologico, produttività del
capitale, propensione al risparmio.
Seguendo il modello di Solow sono stati sviluppati tre modelli per endogenizzare il tasso di crescita:

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- Modelli con investimento in ricerca e sviluppo (innovazioni), migliorando efficienza e produttività → redditi
crescenti.
- Modelli con rendimenti non decrescenti del capitale.
- Modelli con accumulazione di capitale umano. Il capitale (bene durevole) non è solo materiale (impianti,
macchinari), ma anche immateriale: la conoscenza. Dividiamo tutti i lavoratori in due parti: forza delle mani e le
conoscenze (informazioni acquisite). Questo capitale umano può essere accumulato, in che modo? Tramite
l’istruzione, cioè dare ai lavoratori maggiori conoscenze prima che entrino sul mercato del lavoro, rendendoli più
produttivi. Oppure tramite il learning-by-doing (l-by-d), cioè il fatto che la conoscenza cresce con l’esperienza →
quindi la produttività dipende dal livello di produzione (più facciamo esperienza più aumenta la nostra produttività
e quindi il nostro reddito).

Nell’economia del turismo è rilevante il filone dell’accumulazione del capitale umano, che parte dal modello di Lucas
(1988): È un modello disaggregato, ovvero un’economia a due settori (manifatturiera M e turismo T) in cui è plausibile
ipotizzare che il tasso di progresso tecnologico λ sia maggiore per l’industria e minore per il turismo [e in generale per i
servizi]. Da questo modello, viene poi fatta un’applicazione alla realtà del turismo:
Primo teorema di Lanza-Pigliaru: l’economia turistica cresce ad un tasso (γT) superiore a quello dell’economia
industriale (γM) se il tasso di variazione del prezzo relativo (τ’ = (pT / pM)’) più che compensa l’ipotesi di gap tecnologico
(dinamico) tra i due settori, che influenza i saggi di variazione della produttività (λM – λT) e quindi i saggi di crescita:
Quindi, γT > γM è vera se è il
turismo compensa la sua minore
dinamica della produttività con
una dinamica dei prezzi più conveniente che rende più remunerativa l’espansione della produzione turistica. Quindi, il
tasso di variazione dei prezzi relativi (differenziale nella dinamica dei prezzi) deve compensare il differenziale nella
dinamica della produttività. Conclusioni:
- Il prezzo relativo dipende dal gap tecnologico tra i settori ma anche dall’elasticità di sostituzione tra i due beni da
parte dei consumatori (se il turismo è un bene di lusso, con l’aumentare dei redditi domanderanno in proporzione
sempre più turismo, modificando i prezzi relativi).
- Non può quindi essere scartata l’idea che l’economia specializzata in turismo possa crescere ad un tasso più elevato
rispetto alla manifattura, anche ammesso che la sua produttività sia stagnante (questo avviene se la domanda si
orienta sempre più su questo tipo di bene rispetto all’altro).

→ Teorema di Candela-Cellini: le regioni più piccole sono quelle più incentivate a specializzarsi come destinazione
turistica, ad esempio le isole caraibiche [incentivate nel senso di assicurarsi un tasso di crescita maggiore, anche nel
lungo periodo].
Turismo e sviluppo locale – I distretti turistici
Parliamo dell’impatto che il turismo ha sullo sviluppo locale → tema dei distretti turistici [o sistemi turistici locali].
Gli economisti avevano già notato da molto tempo la tendenza delle imprese (di stessi beni) a localizzarsi in una stessa
area o regione, ad esempio per la manifattura questa tendenza era già nota a fine ‘800 (da Marshall nel 1890 e da
Weber nel 1909). Mentre Weber studia la logica della localizzazione [es. per quale motivo le imprese manifatturiere
possono avere vantaggio nello svilupparsi nello stesso territorio], Marshall identifica queste ragioni in modo più
discorsivo e ha avuto molto più successo (anche per la maggiore tendenza alla diffusione della lingua inglese).
Marshall identifica tre distinte ragioni pro-competitive per i distretti, ovvero tre ragioni per cui i distretti sono
competitivi, nonostante parliamo di territori con piccole imprese (che dovrebbero essere in concorrenza fra di loro e
dovrebbero subire maggiormente la concorrenza proprio a causa della loro vicinanza). Il punto di partenza di Marshall
era il fatto che egli aveva notato che lo sviluppo tecnologico avrebbe portato verso una graduale
scomparsa/indebolimento della concorrenza dei mercati [che ha portato a: importanza del monopolio e forme di
mercato diverse dalla concorrenza, che si svilupperanno dagli anni di Marshall in poi]. Queste tre ragioni fanno sì che le
piccole imprese localizzate nei distretti continuino ad essere competitive anche in mercati dove sono presenti grandi
imprese che godono di economie di scala, e sono:
1. Mercato del lavoro più ampio e diversificato: l’offerta di manodopera specializzata e flessibile permette maggiore
produttività (approfondimento della divisione del lavoro) e quindi sia maggiore competitività delle imprese sia
maggiore remunerazione del lavoro.

Se le imprese sono tutte assieme, la domanda e l’offerta di lavoro saranno più ampie. Ciò significa che è più facile la
divisione del lavoro e la specializzazione professionale → manodopera più specializzata, più flessibile e più produttiva

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= produzione a costi minori e imprese più competitive, ma anche lavoro remunerato di più (quindi anche i lavoratori
sono incentivati a specializzarsi, per ottenere un salario maggiore). Esempio: epoca pre-internet, anni ‘70/’80.
Immaginiamo un avvocato in piccola città, probabilmente non era specializzato in un determinato campo (es. civile,
penale, ecc.) poiché non vi era abbastanza domanda locale da garantire un numero sufficiente di clienti (per quel
campo), mentre in una grande città come Milano, specializzandosi in un determinato campo poteva portare ad una
remunerazione maggiore, in quanto si è specializzati in quello, quindi più bravi e preparati.
2. Offerta di beni intermedi e di materie prime: la domanda attira la localizzazione di settori ancillari e la prossimità li
rende più affidabili (relazioni commerciali stabili e non occasionali come nel caso standard).

→ Spezzettare la filiera produttiva fino al consumatore finale in imprese più piccole specializzate, al contrario ad
esempio di una grande impresa che internalizza tutto in un unico grande impianto che fa tutte le lavorazioni fino al
prodotto finito, riducendo anche i costi di transazione e godendo delle economie di scala. In un territorio distrettuale
abbiamo, invece, piccole imprese molto specializzate (e quindi molto efficienti) e una lunghissima catena produttiva,
dove ogni impresa fa solo una parte e vende ad un’altra impresa che fa la fase successiva, e così via. Tuttavia, in questa
modalità ci sono costi di transazione, ma è proprio la localizzazione nello stesso territorio che assicura dei vantaggi in
quanto permette di avere relazioni commerciali stabili, diminuendo i costi di transazione e i rischi di comportamenti
opportunistici sono minori perché la controparte è conosciuta (più affidabili perché c’è in gioco la loro reputazione e
credibilità).
3. Spillover di conoscenza (l’informazione è un’esternalità frenata dalla distanza): efficienza organizzativa diffusa, ma
anche più innovatività.

Si considera l’informazione come un’esternalità, come un bene pubblico ma non completamente pubblico perché
questa esternalità è frenata dalla distanza. Una celebre frase di Marshall è industry is in the air: le conoscenze di base
per fare attività manifatturiera vengono respirate/assorbite spontaneamente dai lavoratori. I lavoratori dipendenti poi
diventano imprenditori proprio grazie a questo apprendimento dovuto alla circolazione dell’informazione. Ciò significa
efficienza nell’organizzazione, innovatività e rapida diffusione delle innovazioni (basate sulla circolazione delle
informazioni). Particolarmente importante in epoca pre-internet, infatti si afferma che alcuni vantaggi dei distretti oggi
siano diminuiti.
Questi tre punti spiegano bene lo sviluppo storico dei distretti industriali in Italia. Negli anni ‘60/’70 si iniziano a studiare
queste cose in Italia perché ci si accorge che c’è uno sviluppo manifatturiero al di fuori del tradizionale contesto
industriale italiano (triangolo industriale MI-TO-GE) e è un’industrializzazione di piccole imprese simili concentrate →
distretti industriali (sistemi produttivi locali).
Ad un certo punto ci si rende conto che questi distretti possono essere vantaggiosi anche per il settore turistico (e in
generale per le imprese di servizi). Quindi, anche le imprese turistiche traggono vantaggi competitivi dalla localizzazione
comune (destinazioni), e perciò i 3 punti sopracitati valgono anche per i distretti turistici, con l’aggiunta di un quarto
elemento specifico:
- Prodotti turistici eterogenei e plurali: sono più probabili nelle destinazioni turistiche, che quindi possono offrire
maggior benessere al consumatore e perciò attraggono una maggiore domanda turistica.

→ l’eterogeneità di servizi necessaria per il turismo è più semplice da trovare in un distretto turistico, dove ci sono tanti
piccoli imprenditori specializzati.
Possiamo distinguere i distretti in: 1. industriali; 2. culturali; 3. turistici. Definizioni:
- Sistemi produttivi locali: contesti produttivi omogenei, caratterizzati da un’elevata concentrazione di imprese –
prevalentemente [non esclusivamente perché in alcuni casi c’era una “capofila” più grande, vedi Benetton] di
piccole-medie dimensioni – e da una peculiare organizzazione interna (art. 36 legge 317 del 5 ottobre 1991)
- Distretti industriali: sistemi produttivi locali caratterizzati da un’elevata concentrazione di imprese industriali
nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese (art. 36 legge 317/91)
- Sistemi turistici locali: contesti turistici omogenei o integrati [possono essere non omogenei, ma integrati],
comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni diverse [es. Lago di Garda che è diviso in 3 regioni],
caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici
dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o della presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate (art. 5
legge 135 del 29 marzo 2001 → solo 10 anni dopo le altre due).
→ Quindi ci sono 2 criteri, uno del prodotto e uno delle imprese.

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Genesi dei distretti: i distretti nascono spontaneamente (mercato) o intenzionalmente (governo)? Nascono perché il
mercato in certi contesti gli permette di apparire o perché un’autorità di governo incentiva azioni che li fanno nascere?
Le leggi sopracitate – soprattutto quella del 1991 – hanno dietro l’idea che questi distretti possano avvenire in modo
intenzionale (da parte di autorità pubbliche, o autorità private es. Confindustria). In realtà, l’esperienza storica (degli
ultimi 30 anni) ci dice che il ruolo dell’azione intenzionale è molto limitato, e che queste dinamiche si sviluppano
principalmente dal mercato. Tuttavia, i distretti sono più robusti e duraturi quando le autorità locali cooperano, quindi
la cosa più importante non è promuoverne lo sviluppo ma collaborare e riconoscerne l’esistenza (es. per quanto
riguarda esternalità e beni pubblici).
Fino a che punto l’intervento pubblico può riconoscerli, accompagnarli e promuoverli?
- Storicamente le agglomerazioni di imprese nascono spontaneamente.
- I comuni hanno collaborato con le imprese nel fornire servizi e infrastrutture e/o nel chiederne il finanziamento ad
altri livelli di governo (es. Regioni e Unione Europea).
- Lo stato e le regioni hanno riconosciuto e incentivato questi fenomeni decenni dopo la loro affermazione.

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