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VACANZE DI POCHI VACANZE DI TUTTI

INTRODUZIONE

In un saggio del 1933 David Wilson ha messo in evidenza le trappole cronologiche in cui sono caduti molti
antropologi che si sono occupati di turismo, trasformando eventi contingenti in caratteristiche generali del
fenomeno turistico. Uno dei fraintendimenti più comuni consiste nel distinguere schematicamente fra i
viaggiatori del passato, amanti dell’avventura e della conoscenza, e il turista del nostro tempo,
consumatore di un prodotto standardizzato, indifferente verso i luoghi che incontra: in realtà, il primo non
era così sprovveduto e il secondo non è tanto insensibile. Fin da sempre i viaggiatori hanno cercato di
rendere più confortevole e meno pericoloso il proprio peregrinare. Essi tenevano diari di viaggio, avevano
guide e talvolta servitori che svolgevano la funzione di trasmettere le informazioni e limitare i pericoli.
I pellegrini raramente viaggiavano soli e, quando l’Europa divenne meno sicura, solo quelli ricchi
accompagnati da un numero adeguato di uomini di scorta affrontavano viaggi lunghi a piedi, mentre gli altri
ricorrevano a imprese specializzate, come alcune società di navigazione veneziane che, oltre al trasporto,
organizzavano anche la visita ai vari santuari della Terra Santa. I giovani inglesi del Grand Tour viaggiavano
con tutori, i quali a loro volta si preoccupavano di allacciare contatti epistolari con le personalità delle città
in cui si progettava di sostare a lungo o con amici e conoscenti là residenti proprio per organizzare in
qualche modo il soggiorno. Mentre per gli artisti, il medesimo viaggio, era motivo di lavoro, in quanto,
durante il soggiorno, producevano quadri o scrivevano opere. È difficile dire se questi pellegrini o grand-
touristi fossero guidati da sincera passione o seguissero solo la moda del loro tempo. Del pellegrinaggio
sappiamo che oltre a un dovere morale spesso era un’imposizione di legge mentre il Grand Tour sanciva più
che altro l’appartenenza a un determinato stato sociale o a un gruppo. Lo stesso vale per la villeggiatura in
campagna dell’aristocrazia italiana del Settecento, raffigurata nelle commedie di Goldoni, che fra le altre
cose serviva per confermare il buono stato delle finanze familiari: partire per la campagna in estate era
quasi un obbligo sociale per difendere la buona immagine, soprattutto economica, della famiglia
aristocratica. Tutti questi viaggiatori erano però pochi: il loro impatto sull’economia dei luoghi che
visitavano era spesso troppo modesto perché ci si potesse preoccupare del loro sentire o fare. Per
parafrasare il titolo di un libro di Urry potremmo dire che nel Novecento lo sguardo del turista non è
semplicemente cambiato, piuttosto esso è diventato parte del paesaggio: nelle ormai molte località in cui
gli arrivi turistici superano il numero dei residenti, questa presenza non può che cambiare il volto dei
luoghi. Quest’ultima annotazione ci rimanda a un secondo mito da sfatare: la convinzione che il turismo di
massa, attraverso la standardizzazione dei servizi, abbia creato un’offerta sempre più omogenea. In realtà
poche epoche storiche hanno conosciuto una differenziazione dei servizi turistici e delle esperienze di
viaggio come il Novecento, cioè il secolo del turismo di massa. La standardizzazione di alcuni servizi, in
primo luogo i voli aerei, e la conseguente diminuzione dei costi, ha creato una libertà di scelta che nel
passato non esisteva e ha moltiplicato i profili del turista. Se in passato il fenomeno turistico poteva essere
colto nella sua interezza attraverso la definizione di poche figure (nel medioevo il pellegrino, nel
rinascimento e durante l’illuminismo il grandtourista studente, il grandtourista artista e il frequentatore
delle terme), con la nascita del turismo moderno e soprattutto con quello di massa gli sguardi del turista
sono diventati tantissimi e spesso sovrapposti. Questo ovviamente non significa che il fenomeno turistico
sia rimasto immutato nel corso del tempo, ed è anzi possibile identificare quattro diverse epoche sulla base
della sua importanza economica e della sua diffusione della società.

1. PROTOTURISMO (inizio della civiltà Romana/Greco-Romana sino alla 1' Rivoluzione Industriale)
L'epoca antica vedeva una serie di società suddivise in base al proprio ceto sociale e l'appartenenza
a uno di questi determinava una serie di diritti/doveri, alcuni previsti dalle leggi, altri invece
determinati da convenzioni socioculturali (e soggetti pertanto a sensibili mutazioni). L’epoca del
prototurismo è contraddistinta dalla concomitanza di due caratteristiche, consumo di
servizi turistici riservato alle èlite e assenza di strutture specializzate: chi andava in vacanza
utilizzava le seconde case (o meglio le seconde ville) e portava con sé i propri schiavi (in epoca
romana) o la propria servitù (nel medioevo e nel rinascimento). Esistevano anche pubblici esercizi,
che possiamo individuare come i precursori dei moderni alberghi, ma non erano riservati ai turisti,
quanto ai viaggiatori occasionali e spesso godevano di pessima reputazione. Le strutture ricreative,
che pure esistevano, non erano pensate per i turisti ma per le città nel suo complesso: l’esempio
delle terme in epoca romana, un rito condiviso da tutti gli strati sociali e che non era tipico solo
delle località turistiche ma faceva parte delle consuetudini quotidiane di ogni città. Il complesso di
servizi utilizzati durante questo periodo era elementare e soprattutto localizzato (domestici), e tra
essi senz'altro spiccano le infrastrutture stradali. Mancano tuttavia imprese specializzate
nell'impiego del tempo libero, in quanto il leisure veniva amministrato e gestito autonomamente
dagli stessi nobili (banchetti, feste private, balli, eccetera). L’impatto economico del settore era
praticamente nullo e non distinguibile dalla normale economia domestica.
2. TURISMO MODERNO (fino alla 1 guerra mondiale)
La Rivoluzione Industriale determinerà un profondo e drastico mutamento socio-economico-
culturale, il quale porterà alla modifica di alcuni dei secolari ceti sociali, come i contadini, ora
attirati dalle città e dalle potenzialità di lavoro che essa prometteva. Durante questo periodo, il
turismo continua ad affermarsi come una forma d'intrattenimento prettamente elitaria, ma si
ritrova la nascita di strutture specializzate, pensate e realizzate a misura di turista, come gli alberghi
anche per ciò che concerne il leisure. Questa fase iniziò in Gran Bretagna con il turismo termale,
quasi in concomitanza con l’avvio della rivoluzione industriale, tra Seicento e Settecento. Le città
meta di interesse pian piano mutarono il loro assetto urbanistico, divenendo più accoglienti e
lentamente si formò un’economica turistica vera e propria: si delinearono nuove professioni e i
viaggiatori, pur continuando a essere accompagnati dalla propria servitù, cominciarono a utilizzare
anche i servizi e i domestici presenti nei luoghi di villeggiatura. E quando gli inglesi terminarono di
riscoprire la loro terra, si espansero altrove nella ricerca di emozioni nuove ed esperienze uniche.
Nell’Ottocento il turismo moderno si diffuse poi in tutta l’Europa. Il processo non è stato
immediato, ma piuttosto lento, tanto che gli albori del turismo moderno si possono infatti ritrovare
nella fase precedente, nella rinascita termale di alcune cittadine italiane del Tre e Quattrocento. A
quell’epoca gli stabilimenti termali non facevano già più parte dell’architettura urbana come
nell’Antica Roma, e la loro presenza si concentrava in piccole cittadine dove era possibile curarsi
con le acque. Locande, osterie, appartamenti si moltiplicarono per rispondere alla domanda di
servizi di questi primi turisti; mancava, invece, un’offerta ricreativa vera e propria e i villeggianti
dovevano organizzare da sé il tempo libero con passeggiate o feste private. Per motivi legati allo
sviluppo economico generale della penisola italiana queste località che avevano anticipato il
turismo moderno decaddero quasi tutte nel corso del Seicento e lasciarono così il primato alla Gran
Bretagna. Un’altra tipologia turistica anticipatrice del turismo moderno è il pellegrinaggio
medievale e in particolari circostanze, come il giubileo, fu un vero e proprio fenomeno capace di
toccare tutte le classi sociali. Ben presto le mete dei pellegrini crearono strutture specializzate per
ospitare e occupare il tempo libero di tali visitatori; inoltre in occasione dei giubilei una fitta rete di
istituzioni private e pubbliche si preoccuparono sin dal Cinquecento di organizzare sia il viaggio sia il
soggiorno dei fedeli che da varie parti d’Europa cercavano di raggiungere Roma.
3. TURISMO DI MASSA (dai primi anni 20. Si è mai davvero conclusa?)
L'aumento delle entrate di capitali nell'area americana portò ad una crescita economico-industriale
e scientifica senza precedenti, innalzando la qualità di vita procapite, la capacità di spesa e la
nascita di nuove professioni, nuovi tipi di turisti, di imprese commerciali turistiche e diminuendo il
costo globale dei beni di consumo (implementazione di modelli tayloristici di produzione
industriale). Negli anni Venti negli Stati Uniti e nel secondo dopoguerra in Europa, il turismo diviene
un bene di consumo alla portata di tutti i ceti sociali diffonde anche fra i più bassi, generando una
vera e propria esplosione dei consumi turistici e quindi i servizi dedicati ai turisti si ampliano e si
diversificano. L’epoca del turismo di massa coincide così con la creazione di una gamma sempre più
ampia di servizi, visto che il turismo di èlite non è scomparso ma ha solo perso parte della sua
importanza. Non solo le vacanze, ma anche i soggiorni all’estero per motivi di studio, il turismo
sportivo e tante altre forme diventano alla portata delle classi sociali medio-basse, cosicchè il
numero di persone coinvolte rende il settore sempre più importante dal punto di vista economico e
ne trasforma i sistemi di produzione. Man mano però che il turismo di massa va a occupare gli spazi
prima riservati a quello d’élite, l’aristocrazia internazionale si sposta alla ricerca di nuove mete,
contribuendo alla diffusione del turismo in tutti i continenti. Parallelamente anche le nuove
imprese del settore, i tour operator, nell’ambito di precise strategie di espansione portano gli
investimenti turistici in nuovi paesi: l’epoca del turismo di massa diventa allora quella del turismo di
tutti e in tutti i luoghi.
4. TURISMO POSTMODERNO (attuale, lo stiamo vivendo noi ora)
Intervallato dalla fine della Seconda Grande Guerra e delle modifiche socio-economiche che il
conflitto ha portato, ormai ogni angolo della terra è stato colonizzato dal turista non solo èlitario,
ma anche da quello di massa. Non sono più le mete a fare quindi la differenza, ma le esperienze che
si possono vivere: si tratta del cosiddetto turismo-teatro, nel quale il viaggiatore è al centro di una
rappresentazione teatrale e sceglie il personaggio da interpretare, quindi non solo i servizi ma
anche la scenografia in cui essi vengono forniti. I luoghi non si propongono attraverso un solo
prodotto turistico, ma offrendo una molteplicità di esperienze. Quello che accomuna i turisti è il
tipo di esperienza che vogliono vivere: l’hobby per il buon vino e per la cucina raffinata, l’amore per
un certo tipo di sport, la passione per l’architettura e così via. Inoltre l'introduzione di Internet
come forma di comunicazione globale ha reso la domanda di tipo indiretto (nelle epoche
precedenti era prettamente diretta e contestuale la meta turistica) e ha consentito al turista di
fornirsi degli strumenti di informazione necessari a comprendere le proprie mete, raccogliere
informazioni su usanze, lingue e costumi dell'area d'afferenza. Il turista inoltre cambia volto: più
informato e a conoscenza di nuove lingue, aiutato dalla diffusione di mezzi di comunicazione
sempre più aggiornati e moderni, si stratifica sensibilmente: le tipologie di turista sono
innumerevoli, esattamente come il tipo di servizi richiesti.
Le dimensioni che il turismo ha assunto nella seconda metà del Novecento, hanno proposto per la
prima volta il problema del suo impatto economico e ambientale. La caratteristica delle attività
turistiche di localizzarsi lontano dai centri industriali, nelle regioni non ancora sviluppate dei diversi
paesi, ha ben presto sollevato la speranza che esse potessero rappresentare per i paesi poveri o
almeno per le zone arretrate dei paesi ricchi un volano per lo sviluppo. Questa speranza non
sempre ha trovato conferma nei fatti, spesso infatti le attività turistiche hanno causato problemi di
marginalizzazione delle popolazioni originarie a causa dell’arrivo di migliaia di turisti appartenenti a
culture profondamente diverse e immensamente più ricchi. Qui l’afflusso di un denaro facilmente
elargito sotto forma di mancia o di elemosina da parte dei viaggiatori ha contribuito a deteriorare
l’ambiente sociale, piuttosto che creare nuove opportunità imprenditoriali. Nonostante ciò non si
può negare che in numerosi contesti esso abbia contribuito a far crescere proprio quelle istituzioni
e quella cultura del lavoro fondamentali per il decollo economico.
L’esplosione del turismo di massa e la realizzazione delle strutture idonee a ospitarlo generarono
negli anni Cinquanta le prime preoccupazioni sull’impatto ambientale che le attività turistiche
potevano produrre. Il rapporto fra attività turistica e ambiente naturale è stato negli ultimi
quarant’anni uno dei più conflittuali e oggi è ben lontano dall’essere risolto, nonostante stia
maturando la convinzione che le risorse naturali siano una ricchezza per lo sviluppo dell’attività
turistica e che quindi la loro tutela potrebbe risultare conveniente anche dal punto di vista
economico.
Prima del turismo di massa le località di villeggiatura si presentavano molto differenziate tra loro e si
rivolgevano a fasce omogenee di popolazione (il mercato era molto segmentato); i meccanismi di
propaganda si basavano essenzialmente sulla trasmissione diretta delle informazioni da un turista all’altro o
sull’operato di alcune personalità di rilievo come scrittori, medici o appartenenti alle famiglie reali. Poichè
esistevano poche società di intermediazione, domanda e offerta si incontravano direttamente sul mercato.
Con l’avvento del turismo di massa, il settore assunse i tratti di una vera e propria industria e si caratterizzò
per una grande differenziazione di servizi, spesso personalizzati sulla base delle esigenze dei singoli
viaggiatori, tuttavia, come per i beni di consumo, anche per la produzione di servizi turistici si delinearono
ben presto forme differenziate, in gran parte determinate dalla cultura economica e dal contesto sociale in
cui il turismo era cresciuto. Dove il turismo venne portato dai tour operator si svilupparono luoghi turistici
simili alla fabbrica fordista, dove si offriva solo il modello base di vacanza senza optional e di un solo colore.
Al contrario nelle regioni turistiche di antica tradizione il turismo di massa si è caratterizzato per una grande
proliferazione e differenziazione dei servizi, spesso personalizzati sulla base delle esigenze dei singoli
villeggianti e viaggiatori. Quindi, anche se il termine turismo di massa è stato inteso nella duplice accezione
di un turismo che si apre a tutte le classi sociali e che propone un prodotto sempre più standardizzato, in
realtà esso si è contraddistinto per l’azione di due forze contrapposte: da un lato i tour operator, impegnati
in una radicale opera di standardizzazione dei servizi allo scopo di creare economie di scala nella vendita e
un profilo ben riconoscibile ai pacchetti venduti in serie, dall’altro gli operatori locali, soprattutto quelli
delle destinazioni che vantavano un’antica tradizione turistica, impegnati in un processo di differenziazione
attraverso il quale rafforzare o difendere la capacità di attrazione delle località in cui svolgevano la loro
attività e fidelizzare il cliente. Il prevalere dell’una o dell’altra forma ha coinciso anche con una diversa
organizzazione produttiva, si potrebbe dire una diversa tecnologia: grandi alberghi contro piccoli alberghi,
strutture ricreative integrate nelle unità ricettive a fronte di un sistema territoriale dei divertimenti, località
isolate in contrapposizione a sistemi regionali integrati. Emerge chiaramente la presenza di profili nazionali
dell’offerta turistica, spesso simili a quelli individuabili per la produzione di beni: così l’offerta turistica
americana si è caratterizzata per la presenza di grandi società private che hanno guidato la formazione di
bacini turistici integrati di dimensione regionale, i cui confini erano delimitati dall’espansione territoriale
delle stesse imprese, mentre la Francia ha seguito un modello basato sulla presenza di imprese di piccola e
media dimensione e sul coordinamento e l’intervento dell’amministrazione pubblica mirante alla creazione
di sistemi turistici integrati che raggruppassero e mettessero in rete i servizi e le attrazioni turistiche di
diverse località fra loro omogenee. Il modello italiano è invece incentrato sulla piccola e media impresa,
sulla presenza di una diffusa rete di associazioni e su amministrazioni pubbliche generalmente
interventiste. Le amministrazioni locali hanno svolto un ruolo fondamentale nella creazione delle
necessarie infrastrutture, ma a volte anche nella difesa del territorio da usi non redditizi (ad esempio un
eccessivo proliferare di seconde case) attraverso lo strumento del piano regolatore soprattutto stimolando
il coordinamento fra gli imprenditori privati per realizzare interventi di scala dimensionale maggiore o per
mettere in rete servizi turistici. Dove per tanti motivi questa molteplicità di soggetti non era presente, il
settore turistico non è decollato e, anche se sono sorte strutture ricettive e stabilimenti balneari o impianti
di risalita, l’impatto economico è stato molto più contenuto. Questo è il motivo del mancato successo
dell’intervento pubblico per lanciare il turismo nel Mezzogiorno, ma anche di tante iniziative imprenditoriali
privati. In assenza di tale molteplicità di soggetti il successo dei singoli investimenti non ha avviato un
fenomeno di imitazione in grado di trascinare lo sviluppo dell’intera area. Questo modello italiano di
turismo diffuso, basato sull’operare di una molteplicità di soggetti, al pregio di una grande vivacità ha però
contrapposto un grave limite, quello dell’incapacità di proporre ai turisti sistemi integrati regionali,
limitandosi a valorizzare le singole località. I fattori che hanno facilitato lo sviluppo sono in primo luogo le
istanze culturali e scientifiche: la cultura conserva una posizione fondamentale nel successo delle mete;
mentre le scoperte scientifiche, soprattutto con l’Illuminismo, faciliteranno lo sviluppo delle mete balneari,
in quanto si scoprì il beneficio dei bagni nell’acqua fredda per curare alcune malattie. La montagna
acquisirà fascino solamente con il cambiamento dei canoni estetici e l’amore per i luoghi incontaminati, di
cui il romanticismo si farà portavoce. Sono i dettami delle nuove mode culturali a creare le opportunità per
lo sviluppo turistico delle diverse località di villeggiatura e a inventare le forme del tempo libero.
Un altro fattore è di tipo sociale e riguarda la conquista del tempo libero da fasce sempre più ampie di
popolazione, tanto che lo sviluppo del turismo di massa potrebbe essere descritto come il lento processo di
conquista del diritto al tempo libero da parte del ceto medio prima e della classe operaia poi. Un terzo e
ultimo fattore è di tipo economico ed è ovviamente il reddito disponibile.

Nonostante l’importanza e la consolidata tradizione, l’industria turistica non ha goduto dell’attenzione degli
storici economici, se non relativamente alle vicende di singole località, anche in paesi come l’Italia, dove
essa pure ha sempre contribuito sia all’equilibrio della bilancia commerciale sia allo sviluppo economico.
Molti aspetti dello sviluppo del settore non sono praticamente mai stati toccati, come le storie di impresa
dei tour operator o delle catene di alberghi. Lo stesso può dirsi di alcune tipologie turistiche, come il
turismo culturale, di cui è tuttora impossibile tracciare l’andamento di lungo periodo e individuare i
momenti di svolta, se non con progetti originali di ricerca.

CAPITOLO 1 → TURISMO E SVILUPPO ECONOMICO: UN PROBLEMA APERTO

I fattori che hanno stimolato la domanda di servizi turistici

Il reddito e la curva di Engel

Tra i fattori economici che influenzano i consumi turistici il ruolo più importante va attribuito al reddito: le
statistiche sui consumi mettono infatti in evidenza che la spesa turistica diventa importante solo quando il
reddito supera una certa soglia, che ovviamente può essere diversa da un paese all’altro, da un’epoca
all’altra e in base ai tipi di turismo. L’industrializzazione e l’aumento del reddito nazionale hanno
progressivamente ampliato le fasce sociali in grado di raggiungere tale soglia permettendo così la crescita
del settore. Per esempio nel turismo inglese in un primo tempo solo gli aristocratici si trasferivano in estate
nelle città termali, poi arrivarono i borghesi, infine gli operai specializzati dell’industria tessile (che erano gli
operai con i salari più elevati). La comparsa di nuovi consumatori di turismo ha permesso lo sviluppo
progressivo delle città per le vacanze: questo aspetto ci fa capire come anche la distribuzione del reddito
sia importante. Il turismo di massa è stato infatti reso possibile nel mondo contemporaneo proprio dal fatto
che sono aumentate le remunerazioni del lavoro dipendente, consentendo anche a questa fascia sociale di
varcare la soglia e iniziare a consumare servizi turistici. Uno dei primi tentativi di spiegare la crescita del
consumo di servizi turistici consistette nel collegarla alla curva di Engel. Il celebre statistico tedesco aveva
pubblicato nel 1857 uno studio nel quale si affermava che più povera è una famiglia, maggiore sarà la
promozione della sua spesa totale destinata all’acquisto di generi alimentari e analogamente più ricca è una
nazione, minore sarà la proporzione di generi alimentari nella spesa totale. Il cambiamento nella
composizione della spesa è trainato dalla diversa elasticità della domanda rispetto al reddito. Questa regola
è stata poi incorporata nell’analisi per spiegare il declino del settore agricolo a favore di quello industriale e
successivamente per dare conto dell’aumento dei servizi (tra cui il turismo) a scapito dell’industria. In
particolare i servizi turistici presenterebbero un’elasticità elevata aumentando in modo più che
proporzionale a fronte di un incremento del reddito. Quello che mettono oggi in evidenza gli studi
econometrici è la vasta gamma di elasticità della domanda di consumi turistici rispetto al reddito: in altre
parole ci sono vacanze che sono un bene di lusso e hanno un’elasticità molto elevata, mentre altre sono
invece considerate dai consumatori un bene normale. Il reddito non è comunque stato l’unico fattore
determinante per la grande esplosione turistica del secondo dopoguerra, poiché si è spesso intrecciato con
altri fattori socialmente rilevanti, tra cui va sicuramente ricordato il fenomeno dell’urbanizzazione che,
come rivelano anche gli studi sulla realtà contemporanea, è di per sé un generatore del desiderio di andare
in vacanza. Un ultimo fattore riguarda i prezzi relativi, che nel caso della domanda di turismo internazionale
comprendono anche gli effetti legati alle svalutazioni o rivalutazioni della moneta. Nell’epoca del turismo di
massa essi hanno assunto un’importante funzione competitiva, come le vicende del turismo balneare lungo
le coste del Mediterraneo hanno testimoniato. L’Italia ha risentito in più occasioni della competizione di
prezzo di paesi come la ex Jugoslavia, la Grecia e la Spagna che, meno dotati di infrastrutture e con un costo
del lavoro più basso, offrivano vacanze al mare a basso prezzo. D’altro canto la debolezza della lira, che si è
manifestata con frequenti svalutazioni, ha spesso ridotto il costo di una vacanza del nostro paese per uno
straniero, facilitando l’arrivo di molti turisti. Storicamente diversi elementi fanno tuttavia suppore che i
prezzi relativi non siano sempre stati importanti. Infatti prima del turismo di massa le località fra cui
scegliere non erano molte e quindi non era facile trovare soluzioni alternative, ma soprattutto il prodotto di
vacanza non era standardizzato e la scelta dei luoghi in cui villeggiare aveva perciò importanti implicazioni
in termini di status sociale. I prezzi erano forse più un segnale della segmentazione del mercato e, quindi
del livello sociale di chi consumava i servizi turistici, che uno strumento competitivo per chi tali servizi
offriva.

Il tempo libero: una precondizione

La nascita e l’affermarsi del turismo sono strettamente collegati al tempo libero. È innegabile che tutte le
trasformazioni del settore turistico siano state precedute (e forse determinate) da radicali mutamenti nelle
modalità di impiego del tempo libero e delle caratteristiche socioeconomiche di chi poteva disporne, e anzi
il processo che ha portato al turismo di massa potrebbe essere descritto come una lenta conquista del
diritto al tempo libero da parte del ceto medio prima e della classe operaia poi. Presso gli antichi romani il
tempo libero non era dato a una ripartizione del tempo operata dai singoli individui, ma da uno stato, una
condizione sociale, e veniva rivendicato come un diritto da parte di uomini destinati, per nascita e per
posizione sociale, alle più elevate posizioni sociali e politiche. Solo al cittadino nobile, costretto a farsi carico
della tensione degli affari pubblici, era riconosciuto il diritto all’otium, cioè a un riposo che gli consentisse di
ritrovare se stesso, attraverso la letteratura, l’esercizio fisico e quant’altro.
Nell’alto medioevo l’ozio venne percepito come la causa e il ricettacolo dei vizi umani, perdendo quindi
anche presso le classi agiate quella dignità che la cultura classica gli aveva in passato attribuito: ora era il
lavoro a conferire dignità all’uomo, non la possibilità di pratica l’ozio. Questa idea provocò il progressivo
abbandono di gran parte delle attività sociali ricreative, fatta eccezione per quelle di significato religioso, le
sole che continuarono a essere considerate modalità moralmente accettabili di consumare il tempo di non
lavoro. Non è un caso che in tale epoca, tra le tante forme di turismo che i popoli antichi avevano praticato,
fosse sopravvissuto solamente il pellegrinaggio. Nel basso medioevo le varie espressioni del tempo libero
riacquistarono un loro spazio nella vita di ogni giorno e si cominciò a distinguere fra pratiche lecite e no, fra
ciò che era onesto e ciò che non lo era, ma comunque venne reintrodotta una dimensione ludica nella vita
quotidiana degli uomini. Infatti fra il Trecento e il Quattrocento la società avviò importanti trasformazioni:
non solo in alcune parti d’Europa, e in Italia in particolare, nacque l’economia di scambio, ma cominciò
anche quel lento processo di secolarizzazione che avrebbe per sempre separato la dimensione religiosa
dall’organizzazione dalla vita di tutti i giorni. Ritornarono così di moda antiche forme turistiche, come i
soggiorni termali, e molte altre attività ludiche che poi riceveranno un pieno riconoscimento in epoca
rinascimentale. Dell’antico ostracismo medievale nei confronti del gioco e in generale dei passatempi restò
traccia nei proverbi e nella convinzione che i poveri non avessero la levatura morale necessaria per gestire
in modo appropriato il loro tempo di non lavoro. Questa convinzione si trascinò a lungo, tanto che nel
Settecento, in piena rivoluzione industriale, solo all’ozio degli aristocratici era riconosciuto un valore
sociale, mentre restò diffusa l’opinione che i passatempi dei poveri, relegati al regno della dissolutezza,
andassero contenuti. I modi di impiego del tempo libero degli aristocratici erano i più disparati, dalle grandi
mangiate, alle battute di caccia, ai balli, alla musica, al teatro, alle attività sportive. Ovviamente anche le
classi popolari potevano usufruire di qualche divertimento: in genere si trattava di fiere e sagre all’insegna
delle grandi bevute, che si tenevano nei villaggi in concomitanza di qualche data significativa del calendario
rurale. I divertimenti popolari vennero spesso guardati con ostilità e osteggiati da parte dei predicatori, dei
datori di lavoro e dei magistrati: facendo leva proprio sull’immoralità dei divertimenti dei poveri, gli
industriali inglesi, una volta introdotto il regime di fabbrica, cercarono di contrastare le riduzioni dell’orario
continuando a sostenere che i lavoratori non avevano la preparazione morale e culturale per poter trarre
giovamento dall’ozio. La conquista del tempo libero fu quindi per il ceto operaio anche una lotta per il
proprio riconoscimento morale. Sino alla rivoluzione industriale non vi fu una netta separazione tra tempo
libero e tempo dedicato al lavoro, tanto che secondo alcuni studiosi, è sbagliato usare questo termine per
le società preindustriali, mancando in esse due condizioni essenziali del tempo libero moderno. In primo
luogo è solamente con la rivoluzione industriale che le attività sociali hanno cessato di essere regolate
interamente dagli obblighi rituali imposti dalla comunità e almeno una parte di esse, il lavoro e il tempo
libero, è sfuggita ai riti collettivi. Secondariamente il lavoro professionale si è staccato dalle altre attività e
la sua durata è stata fissata con un limite arbitrario, non regolato dalla natura. La sua organizzazione è poi
diventata specifica e tale per cui il tempo libero di chi lavora si è nettamente separato o è diventato
separabile. In realtà nella fase iniziale dell’industrializzazione il tempo libero era davvero poco: nelle
fabbriche si lavorava 3500 ore l’anno, altre 3650 ore erano destinate alle attività del mangiare e del
dormire, cosicché per oziare non restava che il 18% del tempo. Se consideriamo che oggi il monte ore
lavorativo annuale è inferiore a 1900 ore in America settentrionale, e a 1.600 in Europa, è facile rendersi
conto del perché nel Novecento il tempo libero sia stato oggetto di attenzione da parte degli studiosi e
degli Stati nazionali. Inoltre, mentre sino all’Ottocento la vita media non superava i 30-40 anni, oggi ha
raggiunto gli 80 anni e in parallelo i sistemi pensionistici hanno creato i presupposti per non lavorare negli
ultimi 10-20 anni di vita. Il monte ore annualmente dedicato al lavoro dipende dalla durata della giornata
lavorativa, dalle giornate di ferie retribuite e dalla presenza di feste nazionali: l’interazione di questi tre
elementi è all’origine della progressiva riduzione del tempo di lavoro che dalla fine dell’Ottocento a oggi si è
verificata in tutti i paesi industrializzati. In particolare in Europa tale riduzione è stata particolarmente
intensa e in generale più rapida che negli Stati Uniti, con la sola eccezione degli anni Trenta, quando la
gravità della crisi economica spinse quel paese a una politica di distribuzione del poco lavoro disponibile
che ridusse notevolmente la durata della giornata lavorativa. Il risultato di questi andamenti di lungo
periodo è che oggi in Europa si lavorano circa 300 ore in meno rispetto agli Stati Uniti, mentre nel 1870 era
vero il contrario. Per quanto riguarda la riduzione dell’orario giornaliero l’origine del processo va collocato
nella seconda metà dell’Ottocento come risultato congiunto della diffusione dei sindacati e del progressivo
affermarsi del suffragio universale che modificò le maggioranze parlamentari e facilitò l’approvazione di
leggi a tutela dei lavoratori. Nel periodo fra le due guerre il processo accelerò: al termine del conflitto
numerose forze politiche e sindacali si espressero a favore di una riduzione delle ore di lavoro. Per quanto
riguarda le ferie retribuite le differenze fra Europa e Stati Uniti restarono assai marcate. In alcune realtà
categorie privilegiate di lavoratori avevano visto riconoscersi il diritto di congedi temporanei parzialmente
retribuiti già nell’Ottocento, come gli ufficiali in Francia, gli impiegati in Germania e gli operai dei centri
tessili nel Regno Unito. Dopo la prima guerra mondiale fu adottata in molti paesi una legislazione che
estendeva l’obbligatorietà delle ferie a fasce sempre più ampie di salariati; in altri tale diritto venne
riconosciuto attraverso un sistema di contratti collettivi. Negli Stati Uniti, al contrario, non vi fu mai alcun
riconoscimento legislativo e la concessione delle ferie fu una scelta delle singole aziende, spesso usata
come strumento per tenere lontani i loro dipendenti dai sindacati. Nel complesso alla fine degli anni 30
mentre gli Statunitensi disponevano di una settimana di ferie retribuite gli Europei potevano vantarne due.
A esse poi si aggiungevano le cosiddette feste nazionali, tradizionalmente molto più numerose in Europa
che negli Stati Uniti. Tuttavia negli anni Trenta il monte ore annuale degli Stati Uniti divenne più basso che
in Europa a causa della contrazione della giornata lavorativa e delle politiche di redistribuzione del lavoro.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la lunghezza della giornata lavorativa tornò a essere superiore negli USA
rispetto all’Europa. Secondo alcuni studi, il monte ore sarebbe più alto negli Stati Uniti a causa di una forte
disuguaglianza di reddito che spingerebbe a lavorare molto sia i bassi che gli alti salari, ma potrebbe anche
essere dovuto alla diffusione dell’etica protestante (puritana) che pone il lavoro quotidiano al centro
dell’agire umano. In conclusione, al di là delle forti differenze fra Stati Uniti ed Europa, quello che emerge
nel corso del Novecento è proprio una generalizzata riduzione del tempo di lavoro e la progressiva
comparsa delle ferie retribuite, cioè di un periodo che è possibile dedicare al tempo libero pur continuando
a essere remunerati. Solamente da questo momento in avanti si creano le condizioni adatte per passare dal
turismo di élite a quello di massa.

I fattori che hanno stimolato lo sviluppo dell’offerta di servizi turistici

Il ruolo dell’intervento pubblico

Per comprendere il ruolo storicamente rivestito da stato ed enti locali nello sviluppo del settore turistico
occorre partire dalla considerazione che quando si compra o si offre una vacanza in realtà si acquista o si
offre un paniere eterogeneo di beni e servizi fra i quali vanno annoverati la mobilità, il pernottamento, il
cibo e un vasto insieme di attività ricreative. Per questa ragione la domanda di servizi turistici viene
normalmente soddisfatta da una o più imprese le quali offrono i servizi che consentono al turista di
raggiungere una determinata località e poi di utilizzare le opportunità di impiego del tempo libero là
presenti. Questo insieme eterogeneo di beni e servizi può trasformarsi in prodotto turistico seguendo
molteplici percorsi che storicamente sono stati categorizzati in tre distinti modelli:

1. Community model (particolarmente diffuso in Europa): l’invenzione del prodotto turistico nonché
l’assemblaggio delle sue diverse componenti è il risultato del coordinamento fra i numerosi attori
presenti su un territorio, dagli operatori economici della pubblica amministrazione ai vettori.
2. Corporate model (di stampo nordamericano): l’invenzione del prodotto turistico e l’attività di
promozione sono dominate da un’unica grande impresa che in genere gode di una posizione di
leadership nella fornitura di almeno uno dei servizi di base e garantisce la fornitura di tutti quelli
inclusi nel prodotto proposto.
3. State and community model (tipico dell’esperienza francese): gli operatori del territorio vengono
affiancati dallo stato centrale, che si ritaglia compiti di programmazione generale del settore.

Nei due modelli che hanno caratterizzato l’esperienza europea (il community model e lo state community
model), lo stato centrale e, soprattutto, gli enti locali hanno un ruolo determinante sia nella fase di
invenzione del prodotto sia per quanto riguarda la promozione. Sin dai suoi albori il turismo moderno
richiese amministrazioni locali interventiste. Così nel corso del Seicento e del Settecento le autorità locali di
Bath realizzarono più volte gli investimenti necessari per mettere la città in grado di ospitare un turismo di
alto rango: dalle attrezzature per i divertimenti alla rete viaria agli impianti termali. Durante la prima metà
dell’Ottocento, in parallelo allo sviluppo del turismo balneare, nelle città sul mare vennero realizzate
passeggiate verso il mare e opere di difesa marittima. Dalla seconda metà dell’Ottocento alla prima guerra
mondiale la creazione di nuove attrattive si manifestò soprattutto attraverso un’elevata spesa pubblica
municipale. Se spostiamo l’attenzione alle località balneari italiane otteniamo un’immagine piuttosto simile
a quella inglese: infatti a Sanremo, al Lido di Venezia e a Rimini, cioè in tutte le località di villeggiatura
all’epoca più famose, le amministrazioni comunali maturarono ben presto la consapevolezza del ruolo che il
settore turistico poteva avere nello sviluppo economico e impegnarono quote considerevoli del bilancio per
promuovere e sostenere tale attività. Di un certo rilievo fu la lottizzazione dei terreni ex demaniali come a
Viareggio e a Rimini, dove gli imprenditori privati ebbero l’opportunità di realizzare investimenti immobiliari
finalizzati all’attività turistica acquistando a bassissimo prezzo i terreni. Altrettanto importante fu
l’attenzione prestata all’arredo urbano e alle opere di urbanizzazione delle cittadine, come avvenne a
Sanremo e a Lido di Venezia. In generale si può dire che dove il turismo divenne importante non solo si
concretizzarono investimenti privati, ma si manifestò anche una particolare sensibilità da parte delle
amministrazioni comunali e in molti casi si può parlare di vera e propria collaborazione. L’interesse dello
stato verso il settore turistico maturò più lentamente. Nell’Ottocento l’unica forma di impegno dello stato
fu l’attività di promozione svolta dalle famiglie reali a favore di una specifica località (es. Brighton, la meta
balneare della famiglia reale inglese). Nei primi anni del Novecento, parallelamente al maturare della
consapevolezza dell’importanza del settore, i principali paesi europei cominciarono a dotarsi di organismi
nazionali per la promozione turistica. A questo proposito il primato spetta, sorprendentemente, alla
Spagna, la quale già nel 1905 aveva dato vita a una Commissione Nazionale incaricata di promuovere il
turismo straniero, elaborando e pubblicizzando itinerari culturali in tutta l’Europa, proponendo assieme alle
compagnie ferroviarie treni e tariffe speciali per i turisti stranieri. L’impatto di tale struttura fu però molto
limitato. Non sorprende quindi che nel periodo fra le due guerre il governo spagnolo decidesse di riporre
mano alla questione: nel 1928 durante la dittatura di Primo de Rivera venne creato un Patronato nazionale
del turismo al quale furono affidati molteplici compiti, dallo sviluppo dell’industria alberghiera alla
promozione della Spagna all’estero, attraverso la pubblicazione di guide e itinerari nonché l’organizzazione
di centri di informazione, della creazione di scuole professionali allo sviluppo delle agenzie turistiche locali.
Anche se ebbe una vita breve e travagliata questa istituzione consentì la realizzazione di una rete europea
di agenzie di informazione turistica e incentivò l’ampliamento e il miglioramento delle infrastrutture
alberghiere. Nel 1938 il generale Franco decise a sua volta di porre mano all’organizzazione del settore e
creò il Servizio nazionale del turismo il quale, l’anno successivo, fu trasformato in una direzione generale.
Il secondo paese fu l’Austria, che nel 1909 si dotò presso il ministero dei lavori pubblici di una Sezione sulla
circolazione dei forestieri. Il terzo paese fu la Francia che, ispirandosi al modello austriaco, nel 1910 creò
l’Office national du tourisme per iniziativa del ministro dei lavori pubblici e, contemporaneamente, si dotò
di un organismo consultivo denominato Conseil superierur de tourisme. Nel 1919 le funzioni e anche i
mezzi finanziari a disposizione del primo vennero ampliati, tanto che nel 1920 vide la luce il primo Bureau
du tourisme a Londra oltre a un Bureau d’information touristique chiamato Maison de France a Parigi. Nel
1935 essi venne sostituito da un Commissariat general au tourisme e da un Comite national d’expansion du
tourisme et du thermalisme.
Nel 1919 anche l’Italia si dotò di un organismo nazionale di promozione con la creazione dell’Enit (Ente
nazionale per le industrie turistiche), il quale si impegnò su tre fronti fondamentali: l’attività di propaganda
all’estero con la creazione di numerosi uffici di informazione nei paesi stranieri e anche la costituzione di
una catena di agenzie di viaggio; la creazione di scuole alberghiere; la predisposizione di un sistema di
statistiche turistiche nazionali.
Nel secondo dopoguerra in Francia il governo centrale si ritagliò un ruolo molto più articolato in ambito
turistico, che comprendeva anche l’invenzione del prodotto oltre che la sua promozione. La
programmazione economica fece così il suo ingresso nelle vicende nel settore turistico, segnando il
passaggio dal community allo state and community model. A tal fine venne costituito un soggetto pubblico
di dimensioni appropriate, vale a dire una Missione Interministeriale il cui compito era di organizzare le
necessarie competenze, con il potere di agire sopra i Dèparments in cui era organizzata l’amministrazione
francese; tale Missione veniva a gestire un piano regionale che trovava poi applicazione nei piani elaborati
ai livelli amministrativi inferiori. L’obiettivo era sia di tutela paesaggistica sia di promozione del turismo di
massa: in questo modo si promuoveva la sistemazione e lo sfruttamento turistico di luoghi dove erano
evidenti i segni di decadenza e/o arretratezza nello sviluppo economico. L’attuazione del piano venne
preceduta da un’accurata politica da parte pubblica che previde l’acquisizione e l’introduzione di vincoli
anti-speculativi sulle aree interessate dal progetto e la sottrazione allo sviluppo edilizio delle zone di riserva
ambientale. Tutto questo pose il promotore pubblico nelle condizioni di un proprietario privato che
disponeva effettivamente del territorio oggetto dell’intervento. Lo stato francese era il promotore e
operava direttamente sulle grandi opere stradali, portuali e idrauliche, mentre a livello locale gli interventi
venivano affidati ai singoli operatori privati, ai quali spettavano gli investimenti veri e propri. La prima area
sulla quale si applicò tale modello fu la Languedoc-Roussillon, una regione che, nonostante alcune mete di
antica tradizione turistica come Sete, era in parte disabitata e ospitava zone umide di grande interesse
naturalistico. Nel 1963 il governo elaborò per essa un piano di sviluppo sulla base del quale si prevedeva la
formazione di 5 nuove località turistiche in aree vergini e il potenziamento di quelle già esistenti. L’obiettivo
del piano era assicurare lo sviluppo di un turismo sostenibile – per usare un termine oggi di moda –
cercando un equilibrio fra le aree edificabili e quelle da proteggere, differenziando le nuove località dal
punto di vista architettonico, ponendo un limite massimo per ettaro alla presenza di bagnanti sulle spiagge.
Tale soluzione, che rientrava pienamente nella tradizione dirigista dello stato francese, venne raramente
applicata nel resto d’Europa. Inoltre quello che ha reso unico l’esperimento francese sono stati la
dimensione del territorio coinvolto (si tratta in pratica di tutte le coste del paese) e il ruolo centrale svolto
dagli enti pubblici. Un’altra funzione svolta dagli enti locali è la protezione delle risorse naturali e artistiche
attorno alle quali spesso vengono costruiti i prodotti turistici. I monumenti, i siti archeologici, il mare, le
montagne, i boschi sono gli elementi indispensabili per poter avviare lo sfruttamento di una località, ma
allo stesso tempo vanno tutelati. I monumenti, i siti archeologici, il mare, le montagne, i boschi e le sorgenti
termali, se da soli non possono garantire il successo, restano comunque gli elementi indispensabili per
poter avviare lo sfruttamento turistico di una località.

Il contributo dell’associazionismo

Lo stato e gli enti locali non sono tuttavia le uniche istituzioni ad aver influito sulle sorti del settore turistico,
poiché un contributo fondamentale è stato fornito dalle associazioni. In primo luogo esse hanno contribuito
a creare un mercato: l’amore per i viaggi, la conoscenza della montagna e del mare, la sensibilità per le
opere artistiche sono prerequisiti importanti per la formazione di una domanda di servizi turistici, ed essi
sono stati progressivamente creati dal mondo dell’associazionismo. Anche per un paese delle antichissime
tradizioni turistiche come l’Italia l’impegno di realtà come il Tci, il Cai, la cooperazione di consumo per far
conoscere le bellezze del nostro paese agli italiani e soprattutto per creare un’abitudine al viaggio è stato
fondamentale. Le associazioni più che gli investitori privati (che d’altro canto non avrebbero potuto
svolgere tale funzione se non con investimenti ingenti) hanno inventato e creato forme nuove di turismo: è
difficile pensare che la montagna sarebbe stata scoperta senza la grande opera di promozione dei diversi
club alpini nati tra il 1857 e il 1873 in varie parti d’Europa. Allo stesso modo la diffusione della vacanza nei
parchi nazionali deve molto all’opera di promozione e di sensibilizzazione delle tante associazioni verdi
presenti in tutti i paesi industrializzati. Anche la costruzione dell’offerta turistica, tuttavia, è stata spesso
incentivata dall’opera di sensibilizzazione delle associazioni di categoria e di promozione turistica create
dagli operatori locali.
In secondo luogo hanno migliorato l’offerta dei privati arricchendo la vita sociale delle località turistiche
con proposte aggiuntive per il tempo libero. Soprattutto dove mancavano le condizioni economiche perché
i privati sviluppassero una ricca offerta di servizi ricreativi, l’impegno di numerose associazioni per il tempo
libero o sportive ha contribuito a rendere più gradevole e attraente il soggiorno ai turisti. Inoltre
l’associazionismo, soprattutto ambientalista, ha contribuito alla tutela delle risorse alla base dello sviluppo
turistico. Infatti la difesa del territorio è spesso una difesa delle potenzialità turistiche di una certa area. Tra
l’altro con il termine valorizzazione turistica spesso si promuovono iniziative che contribuiscono ben poco
ad aumentare il valore aggiunto del settore. Qui è sufficiente ricordare la grande diffusione delle seconde
case registrata nel nostro paese a partire dagli anni Sessanta, solo parzialmente registrata dai censimenti
Istat sulle abitazioni, che quindi non tengono conto delle costruzioni abusive. Questo fenomeno ha
interessato moltissime stazioni turistiche e ha comportato l’utilizzo delle risorse per rafforzare un modello
di turismo a bassissimo valore aggiunto, come è appunto quello legato alle seconde case, a discapito di altri
interventi sulle strutture ricreative o ricettive in grado di migliorare la competitività di una località. La
lottizzazione di molte aree montane e litoranee si è così risolta in un incremento del valore aggiunto
dell’edilizia e ha prodotto effetti molto limitati sul turismo. Infine hanno stimolato la nascita diretta di
impresa for profit, infatti il passaggio dall’associazionismo all’impresa è stato assai frequente: ad esempio
molti tour operator sono stati creati da persone che avevano maturato il know how necessario all’interno di
associazioni non profit che organizzavano viaggi di vario tipo per i soci. Il settore turistico quindi sembra più
di altri influenzato dalla presenza di un ricco tessuto istituzionale di cui fanno parte sia lo stato e gli enti
locali sia il mondo del non profit. Questa presenza è tanto più importante quanto più si va alla ricerca di un
turismo ad alto valore aggiunto da un lato o di un turismo soft, cioè a basso impatto ambientale o sociale,
dall’altro.
Moda-cultura e il ciclo di vita delle località turistiche

Il cambiamento delle mode relative alle vacanze ha segnato una parallela evoluzione dell’andamento
economico delle località turistiche. Esemplari sono i casi di Bath e Brighton, che hanno subito una
trasformazione graduale da luoghi di cura a città delle vacanze e poi a centri residenziali. Questo aspetto
ciclico è stato colto attraverso il cosiddetto modello del ciclo di vita, proposto da Butler nel 1980, con
l’obiettivo di offrire un’interpretazione delle fasi di ristagno dei centri di vacanza che fornisse delle
indicazioni operative. Questo modello era già stato adottato relativamente ai beni di consumo, nella
versione adattata alle località turistiche vennero individuate 6 fasi:

1. Esplorazione: una località che non fa parte del circuito turistico conosciuto viene scoperta dai primi
visitatori. La località non dispone ancora di attrezzature turistiche specifiche e spesso non è
nemmeno ben servita dalle vie di comunicazione; i pochi turisti hanno obbligatoriamente molti
contatti con la popolazione locale. Questa fase è interamente dominata dalla domanda.
2. Coinvolgimento: grazie alla pubblicità fatta dai primi esploratori e in virtù della realizzazione delle
prime infrastrutture
3. Sviluppo: progressivamente il numero dei turisti aumenta e può superare quello della popolazione
residente. La località è ormai entrata nel circuito turistico e se i capitali locali non sono sufficienti
interverranno gli investimenti di società esterne specializzate. Questa fase, che può essere descritta
come il momento d’oro di una località turistica, si presenta ricca di insidie poiché, se non interviene
un controllo a livello locale o nazionale, l’ondata di investimenti può causare il deterioramento
delle risorse naturali del luogo e privarlo di quelle caratteristiche che ne costituivano l’attrattiva.
4. Consolidamento: la località è ormai completamente affermata nel settore turistico
5. Stagnazione: il centro turistico ha strutture e caratteristiche legate a un tipo di vacanza che non è
più di moda, diventa più difficile attirare nuovi turisti e le sue sorti sono ormai legate alla
conservazione della clientela abituale. Possibile insorgenza di problemi di tipo ambientale.
6. Declino o Rinnovamento: A questo punto si aprono due possibili soluzioni
a. Nel caso di declino l’area cessa di attirare turisti, conservando al massimo una dimensione
locale con flussi di villeggianti nel fine settimana, e progressivamente gli impianti turistici
vengono trasformati e destinati ad altri usi.
b. L’altra possibilità è quella di inventare un secondo ciclo, proponendosi come centro di
attrazione di tipo inedito. La località può dotarsi di nuove attrattive e nuove infrastrutture
in grado di diversificare la vecchia offerta turistica rivolgendosi ad una clientela del tutto
nuova, oppure attraverso la realizzazione di impianti per gli sport invernali o di centri
congressuali allo scopo di incrementare la durata della stagione turistica e attirare un
nuovo mercato.

Questo modello, utile soprattutto a fini esplicativi, individua anche diversi momenti in cui è importante la
collaborazione fra le autorità pubbliche e gli operatori privati: nella fase di coinvolgimento, in cui vanno
realizzate le infrastrutture per accogliere i primi viaggiatori, nella fase di sviluppo per conservare le risorse
naturali e quindi garantire una maggiore longevità turistica, nella fase di stagnazione per ripensare e
riprogettare lo sviluppo turistico della località.
Si è già osservato che le vicende di numerosi centri turistici rientrano abbastanza fedelmente negli schemi
proposti dal modello del ciclo di vita. Un esempio è Rimini, la quale sta cercando di proporsi per il turismo
congressuale e per quello culturale, allo scopo di utilizzare le strutture ricettive in periodi dell’anno
complementari alla stagione balneare; non altrettanto si può dire per le località che sono state create dal
nulla grazie agli investimenti di grandi società o consorzi. Viene subito in mente la Costa Smeralda, il cui
processo di crescita è stato completamente indotto dall’esterno con capitale straniero e dove
amministrazioni pubbliche e finanziatori privati sono intervenuti solamente nella fase di sviluppo. Lo stesso
dicasi per molti dei centri turistici cresciuti nei paesi del Terzo Mondo grazie agli investimenti di tour
operator stranieri. Anche in tal caso tutto il processo di interazione fra operatori privati, pubbliche
amministrazioni e turisti viene spesso a mancare: si creano delle enclave in cui i contatti con la popolazione
sono spesso inesistenti e il cui sviluppo dipende essenzialmente dalle strategie di crescita del tour operator.

Il contributo del turismo allo sviluppo economico

La terziarizzazione dell’economia che ha caratterizzato gli ultimi decenni del Novecento ha generato un
nuovo interesse al settore dei servizi e ha spinto gli studiosi a chiedersi quale ruolo essi possano svolgere
nel processo di sviluppo dei paesi arretrati. In quest’ottica il turismo è sicuramente fra i settori ai quali è
stata prestata maggiore attenzione. Che il turismo potesse svolgere una funzione importante nell’economia
di un paese era già emerso nelle riflessioni dei pensatori economici del Settecento. Tale consapevolezza si
rafforzò nei due secoli successivi, tanto da spingere i governi dei principali paesi turistici a elaborare
politiche a favore dello sviluppo del settore. Particolarmente significativi sono, a questo proposito, il caso
italiano e quello spagnolo, perché in entrambi i paesi il turismo ha contribuito fortemente al pareggio della
bilancia dei pagamenti in anni cruciali per l’industrializzazione: in particolare nel periodo precedente la
Prima guerra mondiale per l’Italia e negli anni Sessanta e Settanta per la Spagna. Il positivo esempio dei
paesi del Mediterraneo contribuì a diffondere la convinzione che il turismo potesse diventare un
importante volano per la crescita economica dei paesi in via di sviluppo, proprio perché esso si presentava
come un possibile servizio da esportare in un contesto in cui l’avvio del processo di industrializzazione
stimolava l’aumento dell’importazione di macchinari e di beni di consumo finali. A tale speranza si
affidarono nella seconda metà del Novecento sia le organizzazioni internazionali sia i nuovi governi dei
giovani stati africani e asiatici, sorti a termine del processo di decolonizzazione. Vi sono alcuni paesi africani
e asiatici che vantano un’incidenza delle entrate turistiche, rispetto al Pil, molto più elevata della media del
continente a cui appartengono (Egitto, Kenya, Thailandia) e per i quali, quindi, questo settore sta
effettivamente svolgendo un ruolo importante nel processo di sviluppo economico. Tuttavia solamente
negli arcipelaghi e nelle piccole isole la crescita del settore turistico può sostenere da sola l’intera
economica (Anguilla, Bahamas, Maldive) ed essere praticamente l’unica voce delle esportazioni.
La capacità del settore di portare nei paesi poveri valuta pregiata non esauriva però le problematiche del
suo impatto sull’economia. Infatti una delle critiche abitualmente rivolte al settore nei paesi poveri era
proprio quella di generare un flusso di importazioni talmente elevato da neutralizzare l’effetto positivo sulla
bilancia dei pagamenti stessa. Infatti si sosteneva che se un paese è costretto a importare tutto ciò che
serve per fornire i servizi di ospitalità e intrattenimento ai turisti, allora il suo impatto complessivo
sull’economia rischia di non essere positivo. Per meglio indagare su questi aspetti si è così ricorsi a un
diverso concetto, quello di moltiplicatore del reddito, dell’occupazione, della produzione e via dicendo.
Quello comunemente più usato è il moltiplicatore del reddito, che misura l’incremento nel reddito (salari,
profitti) verificato nell’intera economia come risultato di un cambiamento nel livello o nella distribuzione
della spesa turistica. Quando si calcola tale moltiplicatore in paesi in cui un’elevata percentuale di
stabilimenti o di lavoratori è straniera occorre ridurre il reddito prodotto per tenere conto dei salari e dei
profitti che vanno verso l’estero. Il reddito che non è stato rimpatriato deve poi essere riutilizzato
nell’analisi per tenere conto dell’effetto prodotto dal suo impiego per acquistare beni e servizi finali. Il
reddito deve poi essere riutilizzato nell’analisi per tenere conto dell’effetto prodotto dal suo impiego per
acquistare beni e servizi finali. Al fine di calcolare questo impatto, si tengono in conto tre livelli di spesa:

1. Diretta: riguarda gli alberghi, i ristoranti, il trasporto e i servizi turistici propriamente detti
2. Indiretta: riguarda la spesa generata dal settore degli alberghi, dei ristoranti al fine di fornire servizi
turistici (settore alimentare, mobili)
3. Indotta: ultimo livello di spesa; a seguito degli effetti diretti e indiretti aumenta il reddito prodotto
in un’economia e una parte di esso verrà speso in beni e servizi finali prodotti in quell’economia

Ci sono due forme di modelli di moltiplicatore abitualmente utilizzati nella letteratura: i modelli ad hoc, che
consentono di lavorare con un numero molto più contenuto di dati statistici, e i moltiplicatori ottenuti
dall’analisi input-output, che offrono risultati molto più ricchi, ma richiedono la disponibilità di una grande
mole di informazioni. Questo approccio è stato molto criticato anche se resta uno dei più utilizzati. In
generale più un’economia è in grado di offrire i beni e i servizi richiesti dai turisti, tanto maggiore sarà la
proporzione di spesa iniziale che si trasformerà in reddito di quel paese; al contrario le regioni che
dipendono molto dalle importazioni avranno coefficienti più bassi e una maggiore fuoriuscita di reddito. Se
ne può dedurre che un valore più alto del moltiplicatore turistico può essere indicativo di una struttura
economica complessivamente più solida e diversificata. Questo ad esempio spiega il basso moltiplicatore
del Kenya confrontato con quello di Gran Bretagna, Irlanda e dello stesso Egitto. Nel proporre di tali
confronti occorre però essere molto prudenti e in genere è opportuno integrarli con uno studio
complessivo del sistema economico, altrimenti non sarebbe possibile spiegare come mai la Turchia ha un
valore più elevato della Gran Bretagna. Un secondo accorgimento da utilizzare è quello di confrontare paesi
di dimensioni equiparabili: infatti l’economia di una piccola isola è obbligatoriamente molto aperta, perché
non ci sono dei limiti fisici allo sviluppo dell’intera gamma dei settori produttivi, e quindi i moltiplicatori
turistici saranno sempre più bassi rispetto a quelli di uno stato di media o grande dimensione.
È innegabile che in molte realtà il turismo straniero si sia diffuso in anticipo sulla domanda locale
generando problematiche di tipo sia economico sia sociale. Infatti i turisti stranieri abitualmente si
rivolgono ad agenzie e tour operator del paese di origine per organizzare una vacanza all’estero; tali
intermediari a volte investono direttamente in strutture ricettive nei paesi di destinazione, altre volte si
assicurano i servizi firmando contratti con le imprese locali, quindi i costi e i benefici che i paesi in via di
sviluppo ottengono dal turismo internazionale dipendono dalle caratteristiche di tali contratti. Tali
investimenti, essendo rivolti al soddisfacimento della domanda internazionale, sono diventati veicoli per la
diffusione di comportamenti di stile occidentale, a volte lontani dalle consuetudini locali. Una parte della
popolazione ha così visto nell’arrivo dei turisti stranieri una nuova latente forma di colonizzazione di tipo
culturale, la terza in ordine cronologico, dopo quella militare e quella economica. Tuttavia uno studio
realizzato nel 2005 da una delle agenzie delle Nazioni Unite, l’Unctad, ha rivelato che la presenza di
investimenti stranieri nel settore turistico è risultata meno estesa di quello che ci si poteva aspettare e che
la maggior parte delle attività ricettive è detenuta da investitori nazionali piuttosto che stranieri. Questo
ovviamente non rende superflua una valutazione di tale presenza, qualunque sia la sua incidenza.
Secondariamente la ricerca dell’Unctad fa emergere diverse potenzialità connesse alla presenza di imprese
straniere nel settore turistico, dall’introduzione di pratiche manageriali e di metodi di lavoro più efficienti e,
a volte, anche più rispettosi dell’ambiente, all’inserimento di tali località sulla mappa del turismo
internazionale, alla diffusione di abilità e competenze spendibili in altri comparti. Tuttavia il dispiegarsi di
tali effetti positivi dipende dalle politiche attuate dai singoli governi e dal livello di maturità del settore
turistico di quel paese. In particolare i paesi di più antica tradizione turistica, come ad esempio l’Egitto, si
rivelano più capaci di imitare le innovazioni introdotte dalle imprese straniere più avanzate, così come
mostrano di poter contare su legami più stretti fra il comparto dell’ospitalità e il resto dell’economia. Infine
un terzo significativo risultato dell’indagine è di aver messo in evidenza che l’impatto del turismo non
dipende tanto dalla forma proprietaria quanto dalle caratteristiche di quell’industria.
Il turismo, a pari dei settori industriali può essere un protagonista di quel processo di modernizzazione delle
istituzioni sia economiche sia sociali, indispensabili per la crescita economica, ma esso da solo non può
traghettare un paese da una condizione di arretratezza verso lo sviluppo. La monocultura, infatti, anche
quella costruita attorno al turismo, riducendo le interdipendenze settoriali e quindi l’impatto moltiplicativo
della spesa non può che rallentare la crescita.

CAPITOLO 2 → I PRIMORDI DEL TURISMO


Possiamo distinguere due grandi categorie di domanda turistica: i viaggi e la villeggiatura. A esse
corrisponde la fruizione di un particolare insieme di servizi turistici che si sono consolidati nel corso di un
diverso percorso storico. Nel primo caso la primogenitura spetta ai pellegrinaggi del Duecento e del
Trecento e soprattutto al Grand Tour, cioè l’istituzione del viaggio erudito e di formazione dei giovani
nobiluomini europei che si diffuse in Europa a partire dal Cinquecento. Il concetto di turismo come
villeggiatura risale, invece, all’impiego del tempo libero nelle ville romane, agli sport campestri dei lord
inglesi, alle villeggiature in campagna degli aristocratici europei nel corso del Cinquecento e del Seicento. Si
tratta di un turismo che associa all’attrattiva naturale di certi luoghi la presenza di svaghi. È un turismo
stanziale, dedito agli ozi, che sceglie luoghi non urbani.

Vacanze romane fra città d’acqua, campagna e viaggi culturali

Il concetto di villeggiatura e di ferie era già ben definito in epoca romana; il feriari (l’essere in ferie) e il
rusticari (trasferirsi in campagna) erano parte integrante della vita sociale dell’antica Roma. Le due mete
delle vacanze erano la campagna e il mare. La vacanza in campagna rappresentava il momento della
serenità, il modo per distaccarsi dai rumori e dalle ansie dei ritmi cittadini; si diffuse a partire dal I secolo
a.C. quando Roma era già la capitale multietnica di un grande impero. Tale vacanza era in perfetta sintonia
con le due filosofie dominanti: Secondo l’epicureismo, poiché il mondo è senza scopo e ogni cosa è affidata
al caso, l’uomo non può avere altro fine che quello di fuggire il dolore e cercare il piacere. Quello a cui fa
riferimento Epicuro è il piacere dell’anima, il solo che l’uomo può stabilmente possedere: si tratta del
piacere dello studio, dell’amicizia disinteressata, dell’ozio e della pacata conversazione. La villa in campagna
diventa la proiezione del Giardino di Epicuro, di quel luogo appartato, in compagnia di pochi amici scelti,
lontano dagli affanni della vita pubblica, in armonia con il proprio corpo e con la natura che solo è in grado
di vincere le paure e portare alla felicità; secondo lo stoicismo invece, la campagna faceva della virtù la
fonte della libertà dell’uomo, infatti si può godere di una perfetta libertà purchè ci si emancipi dai desideri
mondani e quindi una vita appartata diventa l’ideale. La vacanza nella villa di campagna rimanda a una
visione pacata di villeggiatura, spesa a metà fra l’ozio, cioè la cura di sé, e il lavoro. Le ville sono attrezzate
per ogni tipo di attività fisica e di cura del corpo: giardini per le passeggiate, ipocausto per il riscaldamento,
vasche con acqua fredda, tiepida e calda per il fare il bagno e disposte in modo tale da permettere di
prendere il sole, sferisterio per il gioco della palla e per gli esercizi fisici, a volte un ippodromo.
L’abbronzarsi al sole era ritenuto salutare dai romani, soprattutto per le persone anziane, e faceva parte
della pratica delle vacanze. La campagna era comunque soprattutto il rifugio delle persone mature. La
solitudine, il desiderio di tranquillità, la contemplazione dei paesaggi rappresentavano una modalità di
utilizzo del tempo libero che non trovava moltissimi adepti fra i giovani.
La vacanza al mare aveva come scopo non tanto la pace interiore quanto il divertimento sfrenato. Nel I
secolo a.C. la costa campana è il centro mondano di villeggiatura più famoso: Baia, Pozzuoli, Bauli e Miseno
sono il ritrovo di tutta l’aristocrazia romana, imperatori compresi. Queste località marittime erano anche
centri termali, infatti, verso la fine dell’epoca repubblicana, erano sorti i primi grandi stabilimenti termali,
per lo più a pianta circolare, che diventeranno sempre più imponenti in epoca imperiale. Quello che veniva
proposto era quindi un prodotto che associava alla presenza del mare quella di numerosi stabilimenti
termali. Il centro della vita mondana erano le ville private, dove si tenevano cene e feste e alle quali si
accedeva solo tramite invito dove abitualmente si tenevano cene, feste e spettacoli, oppure ci si ritrovava
per una nuotata. L’aristocrazia romana, compresi gli imperatori, intrapresero una sorta di sfida per la
costruzione della villa più grande e magnificente oppure più vicina al mare. L’edilizia non fu l’unica attività
economica a risentire positivamente dello sviluppo del turismo. Anche il settore della produzione di cibi e
alimenti potè giovarsi di un notevole sviluppo. Così Baia e, in particolare, il lago Lucrino divennero famosi
per l’itticoltura e, soprattutto, per l’allevamento delle ostriche, in parte consumate dai ricchi ospiti che là
soggiornavano e in parte inviate a Roma. Il caso di Baia si presenta come un’eccezione all’interno di quello
che è stato definito proto-turismo. Infatti in questa località non si può certo dire che l’arrivo dei villeggianti
non avesse influenzato l’economia e che il turismo non avesse avuto un impatto di tipo economico. Da
questo punto di vista Baia era molto simile a Bath e alle destinazioni turistiche che si affermeranno nel
corso dell’Ottocento e del Novecento. Tuttavia è anche importante sottolinearne l’unicità: infatti essa
divenne la meta dell’unico grande centro di generazione di domanda turistica di quell’epoca, ovvero Roma,
capitale dell’Impero. Baia, come altre località termali, venne presto associata a un’immagine di libertà dei
costumi e di estremo lusso, che da un lato attirò le critiche dei moralisti e di una parte del mondo culturale
dell’epoca, ma dall’altra ne decretò il successo. I moralisti, come Seneca e Cicerone, la descrivevano come il
luogo della perdizione, degli amori più sfrenati, delle esperienze erotiche particolari. Properzio e Tacito
descrissero Baia come il luogo dei tradimenti amorosi e dei loschi intrighi, che spesso culminarono in gravi
delitti politici, come l’uccisione di Claudio Marcello (possibile successore dell’imperatore Augusto) e di
Agrippina, madre dell’imperatore Nerone. Campagna e città d’acqua non furono le uniche mete dei
viaggiatori romani: verso la fine del II secolo a.C., iniziò a svilupparsi un movimento turistico che potremmo
definire di tipo culturale: i paesi orientali e la Grecia in particolare divennero meta di una vera e propria
corrente turistica alimentata da letterati, artisti e uomini politici. Le località preferite erano le città
monumentali (Alessandria, Efeso, Rodi) e le famose scuole di Alessandria, della Grecia e dell’Asia Minore,
dove si formavano i giovani aristocratici romani. I fattori che resero possibile tale sviluppo furono la
condizione di relativa pace e tranquillità e di sicurezza che seguì la pax romana: essa, che fu alla base della
ripresa degli scambi commerciali, creò anche le condizioni per la diffusione dei viaggi. Altrettanto
importante fu il livello di sviluppo economico e sociale raggiunto da quella civiltà che seppe garantire un
aumento della qualità di vita (come attestato dall’incremento nei consumi pro capite di carne). Se la
sicurezza e lo sviluppo economico costituirono una sorta di prerequisito alla diffusione dei viaggi, ciò che li
resero effettivamente possibili fu la dotazione di infrastrutture: la formidabile rete stradale che collegava
Roma a tutto il mondo conosciuto resta una delle maggiori opere civili che la civiltà romana ci ha lasciato in
eredità. Su tutte le strade dell’impero funzionava il Cursus publicus, cioè un servizio collettivo di trasporto
di persone. Inoltre lungo tutte le principali vie di comunicazione era possibile sostare presso le stazioni di
posta: le mutationes per il cambio di cavalli, costruite a distanza di 6-8 miglia le une dalle altre, e le
mansiones disposte a circa 30 miglia attrezzate per soste più lunghe con alberghi, locali di ritrovo e
botteghe artigiane di vario tipo. Il veicolo più usato per i villaggi lunghi era la raeda, carro a quattro ruote
trainato da muli in grado di portare più passeggeri e anche un bagaglio pesante: per i percorsi brevi si
utilizzavano i carpenta, cocchi a due ruote trainati da cavalli. Chi non disponeva di mezzi propri li noleggiava
di località in località dai cisairii e dai carruccari, che con le loro vetture stazionavano in prossimità di
alberghi o all’uscita dalle città. Di grande aiuto ai viaggiatori erano gli Itineraria, cioè delle guide viarie che
elencavano le stazioni, con le distanze fra l’una e l’altra. La guida più importante a noi giunta è l’Itinerarium
Provinciarum Antonini Augusti, che raccoglie le guide di tutte le 372 strade dell’Impero, dalla Britannia
all’Africa. Oltre a questi itinerari di tipo descrittivo ne esistono anche in forma di grafici o di cartine,
qualcosa di simile alle nostre carte stradali. Quando le condizioni di pace vennero meno, anche il turismo
progressivamente scomparve: la villeggiatura, che era un’abitudine radicata ancora nel III secolo d.C., con il
successivo declino dell’impero e le sempre più frequenti invasioni barbariche cessò completamente. Le ville
si trasformarono da luoghi di piacere in luoghi di difesa e assunsero l’aspetto delle fortezze. Il turismo
itinerante si contrasse e quello che restò fu guidato da motivazioni profondamente diverse da quelle del
passato: sarà infatti il sentimento religioso, diffusosi con il cristianesimo, a caratterizzare il turismo europeo
medievale.

La passione per le terme

L’efficacia delle acque termali nella cura delle malattie era ben nota nell’Antica Grecia, dove spesso le fonti
venivano collegate a una divinità. Nel IV secolo a.C. conoscono una certa diffusione gli studi e gli
esperimenti sulle acque delle diverse fonti allo scopo di individuarne le caratteristiche e le doti
terapeutiche. I romani appresero dai greci l’uso delle acque termali, nonché l’interesse per lo studio delle
loro proprietà; anche nell’esperienza romana l’effetto terapeutico si incrociava con il culto a una qualche
divinità. Tuttavia l’aspetto più interessante dell’esperienza romana è la progressiva diffusione di un
termalismo mondano, legato al benessere del corpo piuttosto che alla cura delle malattie, e
completamente dissociato da componenti religiose. A partire dal II secolo a.C. si era diffusa la moda dei
bagni pubblici tanto che un censimento realizzato nel 33 a.C. ne aveva contati nella città di Roma circa 170.
In genere essi erano dati in appalto a un impresario il quale riscuoteva il biglietto di ingresso, normalmente
piuttosto contenuto. La moda delle terme permise al regime imperiale di abituare a una maggiore igiene la
gran parte della popolazione, visto che il bagno divenne un momento di svago accessibile anche ai più
umili, e alcuni imperatori ne fecero costruire di gratuite per il popolo; erano poi presenti anche strutture
interamente private, spesso molto più costose di quelle pubbliche. Il bagno era un piacere e nello stesso
tempo una cura per il corpo. Le terme erano affiancate da palestre attrezzate per la ginnastica, per vari tipi
di giochi con la palla, per la lotta: terminata l’attività sportiva, si passava alla sauna e poi al bagno, prima in
acqua calda e poi in acqua fredda.
Tuttavia la grande fama delle terme romane e delle città di villeggiatura nate attorno agli stabilimenti era
dovuta al fatto che essi si presentavano come i luoghi di ritrovo e di divertimento, che affiancavano alle
strutture sportive giardini per le passeggiate, biblioteche, musei. Fra uomini e donne non esisteva alcuna
separazione negli spogliatoi né nelle vasche e anche gli approcci omosessuali non erano rari. Anche se il
bagno termale era ritenuto una pratica abituale e le cure e i piaceri del corpo non venivano mai riferiti alla
sfera dell’immoralità, non di meno tale promiscuità fu all’origine di molti scandali, tanto che alcuni
imperatori, come Adriano fra il 177 e il 138 d.C., cercarono di intervenire assegnando orari differenti per il
bagno delle donne e quello degli uomini; allo stesso modo non era sfuggito a nessuno il fatto che nei pressi
dei monumenti termali sorgessero molte osterie e locande troppo spesso frequentate da bagnanti
desiderosi di eccedere con l’alcol o in cerca di compagnia. Con la diffusione del cristianesimo si chiuse
l’epoca dei bagni: alla cura del corpo e al mito della bellezza si sostituì il primato dello spirito e si affermò la
mortificazione della carne. Questa nuova visione del rapporto fra spirito e corpo portò ben presto alla
condanna delle pratiche termali sia del bagno naturale, dagli effetti benefici grazie all’utilizzo delle acque
minerali, sia del bagno artificiale in acqua fredda, calda o trasformata in vapore che accompagnava le
attività delle palestre. La pratica del bagno rigenerante, di svago, non scomparve del tutto, ma venne
rinchiusa nei postriboli; evidentemente ora non la si poteva più definire un rito sociale né tanto meno un
fenomeno urbano. La decadenza di questo svago può essere infatti inserita in quel generale fenomeno di
ruralizzazione della vita quotidiana che caratterizzò i secoli successivi alla scomparsa dell’impero romano,
poiché il declino colpì soprattutto l’aspetto urbano monumentale dei bagni termali, con decadenza e
persino definitiva scomparsa di gran parte di quei magnifici stabilimenti che avevano ospitato bagnanti di
ogni ceto sociale nell’epoca del massimo splendore di Roma. Il bagno a fini terapeutici o di divertimento
sopravvisse fra le classi popolari che ancora risentivano dell’influenza dei miti pagani. Non si trattava più di
una pratica sociale diffusa, quanto della sopravvivenza di antiche conoscenze popolari sugli effetti
terapeutici dell’acqua o della ricerca individuale di purificazione spirituale attraverso l’immersione nella
natura; soprattutto queste fonti non avevano più una centralità nell’ambito dello spazio urbano,
trattandosi in genere di polle di acqua situate in mezzo alla campagna o delle superstiti rovine di
stabilimenti risalenti all’epoca romana, unica testimonianza di una passata localizzazione cittadina. È
probabilmente proprio questa permanenza del rito del bagno nelle tradizioni popolari che rese possibile la
sua riscoperta e rivalutazione nel tardo medioevo. Occorsero, comunque, molti secoli perché le pratiche
legate alle acque riconquistassero una loro rispettabilità sociale anche fra i ceti alti della popolazione e
quindi diventassero ancora una volta oggetto di studi e di investimenti: solamente a partire dal XIII-XIV
secolo prima la religione poi la medicina iniziarono a rivalutare questo antico costume romano. La religione,
che in un primo momento aveva condannato tale pratica, lentamente la fece propria arricchendola del
simbolismo cristiano: la cura del corpo venne identificata con la purificazione dell’anima e i riti termali,
quali i bagni nell’acqua bollente o fredda, le abluzioni e altro divennero il simbolo dell’espiazione dei
peccati. Contemporaneamente le proprietà terapeutiche delle acque minerali furono rivalutate attribuendo
ai santi quanto i pagani avevano sino ad allora tributato agli dei dell’Olimpo: non è un caso che molte
manifestazioni del sacro, dal ritrovamento di reliquie o di corpi di santi al verificarsi di eventi miracolosi,
fossero ambientate in prossimità di fonti termali. Ormai il cristianesimo era penetrato anche nei miti più
profondi della cultura popolare. Nel corso del Trecento iniziarono a comparire anche trattati medici sugli
effetti terapeutici dell’idroterapia (cure in cui si utilizzava l’acqua semplice) e della crenoterapia (cure con le
acque minerali, abitualmente chiamate cure termali). Progressivamente le stazioni termali, uscite
dall’ostracismo del primo cristianesimo, ritornarono a far parte delle pratiche sociali lecite, ma con una
funzione completamente trasformata rispetto all’epoca romana: non più luoghi di piacere e di ritrovo, ma
luoghi per la terapia, nei quali i ritmi di vita erano scanditi dalle prescrizioni mediche.

La nascita del turismo religioso

Molto probabilmente la prima forma di turismo a essere praticata nelle diverse civiltà umane è stato il
viaggio a scopo religioso: forme di pellegrinaggio sono infatti state presenti in tutte le società antiche.
Secondo gli antropologi e gli archeologi i viaggi a scopo religioso erano già in uso nelle società tribali di tutti
i continenti; menhir e caverne dipinte svolgevano una funzione analoga a quella delle cattedrali di oggi.
Nelle prime grandi civiltà della storia, quelle dei sumeri, di assirobabilonesi, di ittiti e di egizi, il potere
religioso e politico erano strettamente connessi e le grandi città attiravano migliaia di pellegrini in visita sia
ai luoghi sacri sia ai rappresentanti del potere. Nell’antica Grecia erano presenti numerosissimi altari e
oracoli, tutti mete di pellegrinaggio. Inoltre il turismo religioso è stato istituzionalizzato in tutte le grandi
religioni, dall’induismo al buddhismo, dal cristianesimo all’islam. Il significato del pellegrinaggio cristiano è
rintracciabile in quel passo dei Vangeli, in cui un angelo compare alle donne recatesi sul sepolcro di Cristo e
le invita a cercarlo nella loro terra: Dio è risorto. Vi precede in Galilea. Andate in tutte le nazioni, fate dei
discepoli. Il viaggio religioso assume così la nuova funzione di diffondere in tutto il mondo la fede cristiana.
Nella lunga storia del pellegrinaggio cristiano tre mete hanno assunto un valore fondamentale:

• Gerusalemme, per la presenza del Santo Sepolcro. Il pellegrinaggio verso Gerusalemme conobbe
una grande diffusione nel IV secolo, quando cessarono le persecuzioni e il cristianesimo divenne la
religione degli imperatori. Questi primi pellegrini non erano semplici credenti, ma uomini di grande
spiritualità che ripercorrendo le vie di Gesù e nella pace di luoghi solitari ricercavano un contatto
diretto con il loro Dio. Nei secoli successivi il cammino per Gerusalemme iniziò a essere intrapreso
anche da aristocratici e semplici fedeli che spesso univano allo scopo penitenziale lo spirito di
avventura. Nell’XI secolo, con l’inizio delle crociate, la tipologia del pellegrino cambiò radicalmente:
i crociati erano soprattutto uomini che andavano in guerra e che non disdegnavano né i saccheggi
né i furti. Dopo il 1244, quando i crociati persero definitivamente Gerusalemme, raggiungere la
Terra Santa divenne sempre più pericoloso sia per l’ostilità delle popolazioni sia per la crescente
instabilità politica dell’Europa orientale, tradizionale via di passaggio; di fatto tra il XIII e il XV secolo
tale pellegrinaggio divenne appannaggio solamente di coloro che potevano permettersi una
numerosa scorta o la traversata per mare. I cattolici riprenderanno i viaggi verso Gerusalemme
solamente nell’Ottocento.
• Roma, la città del martirio degli apostoli Paolo e Pietro come meta le tombe. Attorno al IV secolo si
possono datare anche i primi pellegrinaggi verso Roma: all’inizio si trattò di un fenomeno di
devozione popolare, ma quando la chiesa di Roma prevalse sulle altre esso assunse un nuovo
significato. Papi e imperatori si impegnarono a organizzare sia gli spazi, costruendo basiliche e
infrastrutture, sia i templi; tra il IV e il V secolo la chiesa compose un proprio calendario delle feste
che disciplinò l’affluenza dei pellegrini. L’interesse religioso per Roma è da far risalire alla presenza
di numerosissime tombe di martiri cristiani, nelle vicinanze delle quali vennero anche costruite
piccole basiliche o oratori. Le mete più importanti erano le catacombe e i numerosi santuari e
chiese costruiti tra il IV e il V secolo. Nella fase iniziale il pellegrinaggio mobilitò soprattutto i
residenti di Roma e delle regioni limitrofe, tuttavia furono molti anche gli ecclesiastici che
arrivarono a Roma, spesso da lontano, per visitare le reliquie dei santi. Successivamente a essi si
aggiunsero principi, grandi personaggi e imperatori i cui viaggi avevano sia uno scopo politico o
d’affari sia un significato religioso. Tra i pellegrini vi erano poi i grandi peccatori che secondo un
penitenziario ben preciso si recavano a Roma per espiare le loro colpe.
• Santiago di Compostela, che ospita la tomba di San Giacomo maggiore. Il successo di questa meta
religiosa è legato al culto di san Giacomo maggiore, primo degli apostoli, che attorno all’anno mille
diventò il protettore di tutta la Spagna e il simbolo della lotta contro i mori. Compostela è il luogo in
cui venne ritrovato il sepolcro di San Giacomo, la cui origine è narrata da molte e diverse leggende;
in ogni caso esso iniziò ad attirare fedeli sin dal X secolo, anche grazie all’appoggio del papato, che
volle in questo modo dare la centralità alla riconquista della Spagna da parte dei cristiani. Infatti nel
Duecento esso si propose come il simbolo della lotta contro i mori e divenne meta di pellegrinaggio
di coloro che avevano combattuto i musulmani. Il periodo d’oro di Santiago fu il XII secolo, come
testimoniato sia le numerose guide che si diffusero sia la provenienza eterogenea dei pellegrini. Nel
corso del Seicento Santiago cominciò a perdere di importanza in parte per la presenza di tanti altri
corpi di santi in tutta la Spagna e in parte per la perdita delle reliquie che, nascoste nel 1589 allo
scopo di proteggerle, non vennero più ritrovate. Nel tentativo di riportare al vecchio splendore la
meta spagnola i responsabili della cattedrale avviarono un grande intervento di ristrutturazione per
adeguare al nuovo gusto barocco la vecchia struttura; da allora in poi pur con un andamento
fortemente ciclico la fama di Santiago non si è mai offuscata completamente e proprio negli ultimi
decenni ha conosciuto un nuovo vigore.

Oltre a questi tre fondamentali luoghi di culto il mondo cristiano ha sviluppato nel corso della sua storia
centinaia di mete di pellegrinaggio, una prima moltiplicazione delle quali si ebbe nell’VIII e nel IX secolo a
seguito della lotta iconoclasta. All’inizio dell’VIII secolo la presenza di numerosissime immagini sacre nella
città di Roma, suscitò l’indignazione dell’imperatore di Bisanzio, Leone III d’Isaurco (717), nonché di vescovi
orientali, che vedevano nell’adorazione delle icone il rischio di un ritorno al paganesimo. Iniziò in Europa
orientale un periodo di iconoclastia, cioè distruzione di immagini sacre. Molte reliquie e immagini furono
però salvate e trasferite in Europa occidentale, dove divennero meta di nuovi pellegrinaggi. Un altro fattore
che incise sulla diffusione dei luoghi sacri furono le ripetute invasioni dell’Europa occidentale da parte delle
popolazioni barbariche, tra il IX e il X secolo. I numerosi eserciti che attraversarono l’Europa in quegli anni
compirono razzie in tutti i più importanti santuari, dove proprio per l’afflusso di numerosi pellegrini si
trovavano molte ricchezze; le reliquie passarono da una chiesa all’altra e così mete prestigiose finirono
nell’oblio, mentre altre conobbero un improvviso successo. Di solito si trattava di santuari locali che in
alcuni casi raggiunsero un certo prestigio, perché oltre a divenire luoghi di devozione popolare attirarono
anche regnanti e papi che ne fecero un simbolo del loro potere; è il caso della devozione di san Martino a
Tours in Francia e nella tomba di san Michele Arcangelo nel Gargano.

L’apogeo del pellegrinaggio cristiano: il medioevo

L’epoca tra il XII e il XIII secolo rappresentò l’apogeo del pellegrinaggio cristiano sia perché coinvolse una
massa crescente di fedeli sia perché questa pratica conquistò un forte prestigio sociale. Il medioevo fu
un’epoca in cui la religione divenne parte integrante di tutti gli aspetti della vita sociale e politica e
soprattutto in cui l’elaborazione teorica prodotta in ambito ecclesiastico entrò a far parte della pratica
sociale. La comunità cristiana riuscì a impregnare del suo spirito il mondo feudale, tanto che
l’organizzazione della società, il funzionamento delle istituzioni nonché l’agire quotidiano avevano tutti un
fine trascendente che era la salvezza nel Regno dei cieli. Il pellegrinaggio non era solamente una pratica
religiosa, ma una vera e propria istituzione che in quanto tale godeva del riconoscimento sociale: il
pellegrino intraprendeva il suo viaggio con l’approvazione di tutta la società e la tutela delle leggi
dell’epoca. Prima di partire poteva redigere il suo testamento (privilegio di pochi), nel quale sceglieva gli
eredi e gli amministratori dei suoi beni e indicava la durata della sua assenza, superata la quale sarebbe
stato considerato morto. Era la Chiesa stessa a preoccuparsi che il testamento fosse rispettato, in alcune
regioni il clero locale conservava direttamente i beni, e che le proprietà del pellegrino non venissero
toccate in sua assenza. Il pellegrinaggio era anche una delle pene inflitte dai tribunali civili contro chi aveva
commesso peccati contro la chiesa, in quanto il condannato (che viaggiava con spalle, braccia e gambe
legate da catene) sarebbe stato molto tempo lontano dalla città e non costando nulla alla comunità.
Eccetto che per le pene inflitte dall’inquisizione, in tutti gli altri casi era possibile sottrarsi al pellegrinaggio
pagando un tributo molto alto. Quello medievale fu soprattutto un pellegrinaggio penitenziale poiché chi
intraprendeva questo viaggio era motivato dal desiderio di espiare i propri peccati e riguadagnarsi così la
salvezza eterna, offrendo un esempio illuminante della compenetrazione fra vita sociale ed elaborazione
religiosa che caratterizzò questo periodo storico. Il suo successo è strettamente collegato sia alla questione
delle indulgenze sia alla definizione del concetto di purgatorio, che la chiesa cominciò a introdurre dopo il
Mille. La combinazione dei due elementi fu infatti alla base della convinzione che con il pellegrinaggio si
potesse ottenere una riduzione delle pene che i peccatori avrebbero dovuto espiare nella vita ultraterrena
o in altre parole una diminuzione del tempo da trascorrere in purgatorio. Il pellegrinaggio penitenziale
basato su un sistema di tariffe nacque in Irlanda e nelle isole anglosassoni e successivamente arrivò sul
continente portato dai missionari irlandesi: essi predisposero delle vere e proprie tavole penitenziali dove a
ogni peccato corrispondeva una penitenza, una delle quali era appunto il pellegrinaggio. Dalla fine del VI
secolo all’inizio del VII la nuova disciplina si diffuse rapidamente nell’area che oggi corrisponde ai paesi
evangelizzati; il sistema venne riordinato in epoca carolingia con l’introduzione della distinzione fra peccato
privato e peccato pubblico a cui corrispondevano modalità penitenziali differenti. I tribunali
dell’inquisizione, dal XIII secolo impegnati nella persecuzione giuridica dell’eresia, ricorsero di frequente al
pellegrinaggio, soprattutto quello in Terra Santa, come pena accessoria o come commutazione della pena
della croce. Si trattava di una delle pene più miti e veniva inflitta a chi era sospettato di eresia in assenza di
prove concrete; questi pellegrini viaggiavano portando sulla schiena e sul petto due grandi croci di stoffa
color zafferano. Nel IX secolo cominciarono a circolare anche le prime guide che riportavano informazioni
sulle città, sugli ospizi e sui pericoli. La grande epoca dei pellegrinaggi medievali si concluse nel Trecento
quando essi non vennero più imposti per sentenza e quando i viaggi unirono ai motivi religiosi anche
ragioni culturali e di puro piacere. I pellegrini si stavano trasformando in semplici viaggiatori, mentre la
società europea iniziava il suo percorso di secolarizzazione. Nei secoli successivi il pellegrinaggio perse
progressivamente l’appoggio delle istituzioni che nel medioevo avevano contribuito al suo sviluppo, in
primo luogo delle autorità ecclesiastiche, poi nel mondo culturale, infine nello stato.
Nel Cinquecento i maggiori nemici di questa pratica furono i protestanti, secondo i quali in questo modo si
sottraeva troppo tempo al lavoro e si incentivava il mercato delle indulgenze, ma nel Seicento e nel
Settecento fu la stessa chiesa cattolica a volere ridimensionare il fenomeno e a porre un freno al
moltiplicarsi delle reliquie e dei presenti eventi miracolosi. Il pellegrinaggio, nelle forme in cui esso si era
sviluppato nel medioevo, non si conciliava più con il nuovo mondo dell’illuminismo e della rivoluzione
industriale: il trionfo della ragione e l’affermazione della supremazia dell’uomo sulla natura non potevano
che generare un forte discredito sugli effetti taumaturgici di reliquie e statue, mentre la diffusione di nuove
modalità di organizzazione della società e del tempo di lavoro risultavano del tutto incompatibili con i
lunghi percorsi della fede medievali. È in quest’ottica, di rendere progressivamente compatibile la pratica
religiosa con il nuovo sentire e la nuova organizzazione della società e dell’economia, che i pellegrinaggi
cambiarono aspetto, divenendo intanto viaggi di pochi giorni verso i santuari più vicini, e sostituendo
inoltre la componente spirituale di riavvicinamento a Dio e il pellegrinaggio di richiesta alla compravendita
delle indulgenze.

I luoghi dei pellegrinaggi

Tra le tante forme di turismo, il pellegrinaggio è quella che ha mantenuto intatte le sue caratteristiche
originarie. Una caratteristica è che il successo di una nuova meta di pellegrinaggio richiede sia la
formazione spontanea di una forte devozione popolare sia la programmazione di precisi interventi da parte
delle istituzioni, soprattutto religiose. Infatti se nella formazione di una nuova meta di pellegrinaggio c’è
una forte dose di casualità, non altrettanto può dirsi per il suo sviluppo, che richiede un forte impegno per
la propaganda, un’intensa attività diplomatica per ottenere i riconoscimenti ufficiali e la pianificazione di
numerosi investimenti. In genere la scoperta di una nuova meta di pellegrinaggio è legata al verificarsi di un
evento straordinario e in parte casuale come il ritrovamento di reliquie, il verificarsi di apparizioni o la
sepoltura di un religioso di grande prestigio; spesso, per non dire sempre, tali eventi sono accompagnati da
episodi miracolosi. Per molti secoli il ritrovamento di reliquie ebbe un ruolo di primo piano fra questi eventi
straordinari. Il culto delle reliquie, presente in moltissime civiltà, dai buddhisti ai tibetani agli ebrei, nel
mondo cristiano si può far risalire almeno al II secolo: durante le persecuzioni i fedeli nascondevano le
reliquie, in genere oggetti che erano stati a contatto con il santo o con la pietra della sua tomba (fazzoletti,
pezzi di stoffa), per poterle venerare in segreto. Dal VII secolo in poi questo primo tipo di reliquia venne
progressivamente soppiantato dal corpo dei santi. Dall’VIII secolo in poi divenne sempre più frequente la
dispersione delle reliquie attraverso l’Europa e la loro appropriazione da parte dei privati: grazie
all’acquisto, al ritrovamento e a volte al furto di reliquie nacquero nuovi santuari. Fu ben presto evidente
che esse potevano rappresentare un’importante risorsa economica perché, aumentando il prestigio dei
santuari e attirando un numero crescente di pellegrini, davano un significativo impulso all’economia del
luogo; per questo motivo in molti casi vennero inventate o falsificate. Questo problema, che rischiava di
minare l’intera credibilità dei luoghi sacri, venne affrontato nel concilio di Lione del 1274, che subordinò la
venerazione di nuove reliquie all’approvazione del papa. Una seconda categoria di eventi in grado di
rendere famoso un luogo era la morte di un religioso che in vita avesse acquisito una certa fama; le
comunità coinvolte potevano allora cercare di diffonderne il culto esponendone il corpo, distribuendo
reliquie oppure sollecitando la diffusione delle sue opere e rendendo pubblici i miracoli da esso compiuti.
Nei primi anni del culto dei santi si venerarono solo i martiri e questo rendeva facilmente accertabile la loro
santità, che infatti non richiedeva alcun riconoscimento formale; tuttavia dal IV secolo, dopo l’ultima
persecuzione, la venerazione si estese anche a coloro che avevano dato prova di fede e questo rese
necessario definire dei criteri ufficiali, rendendo così la canonizzazione una tappa fondamentale per dare
credibilità al culto di tali uomini. Luoghi sacri legati alla presenza di reliquie → Gargano, Loreto, Santiago de
Compostela. Luoghi sacri legati alla presenza di una tomba di un santo → Tour dove visse e morì San
Martino, Canterbury-San Thomas Becket, Padova tomba di Sant’Antonio. Nel tardo medioevo il
pellegrinaggio alle tombe dei santi passò lentamente di moda, sostituito dapprima dalle visite alle statue
miracolose e successivamente dalle apparizioni di Maria. Nel 1830 a Parigi la Madonna apparve a una
novizia per chiederle di diffondere una medaglia, creando così il culto della medaglia miracolosa; pochi anni
dopo, a La Salette nel 1864 e a Lourdes nel 1858, riapparve, trasformando questi due luoghi – soprattutto il
secondo – nelle più amate mete religiose dell’epoca contemporanea. All’inizio del Novecento, a Fatima,
Maria si materializzò davanti ad alcuni bambini per ammonire gli uomini che avevano perduto la fede e per
lanciare tre premonizioni, l’ultima delle quali resa pubblica quasi cento anni dopo, in occasione del giubileo
del 2000; nel 1981 riapparve a Medjugorje a un gruppo di bambini. Il verificarsi di un evento miracoloso di
per sé non è mai stato sufficiente ad attirare per lunghi periodi di tempo i viaggiatori perché lo sviluppo di
una nuova meta presuppone che la notizia si diffonda nel resto del mondo: non a caso il clero dei santuari
più importanti si impegnò sempre a pubblicizzare i miracoli in note chiamate Libelli miracolorum.
L’annotazione dei miracoli non aveva fini direttamente pubblicitari, ma piuttosto religiosi, ed era un modo
per controllare il fenomeno. A partire dal XII secolo si elaborarono vere e proprie tecniche di propaganda:
ad esempio nel 1170 i monaci del santuario di Canterbury inviavano abitualmente opuscoli con i miracoli di
San Tommaso a molti sacerdoti e religiosi sia inglesi sia francesi. Diffusa era anche la presenza di
predicatori, i quali si mettevano al servizio di un certo santuario diffondendo le notizie sui miracoli in tutte
le chiese e le piazze della regione. Per poter far sopravvivere nel tempo la notorietà di un santuario, oltre a
diffondere le notizie sui miracoli, era necessario l’appoggio sia della chiesa sia dello stato. In questo modo è
stato attribuito loro prestigio e inoltre essi sono potuti diventare una delle tante mete dei viaggi verso i
luoghi sacri organizzati dalle innumerevoli associazioni religiose presenti in Europa. Vi è un’unica eccezione,
Medjugorje, che ancora non ha ottenuto l’omologazione della commissione episcopale, essendo una delle
mete più giovani. Durante il medioevo anche il potere politico svolse un ruolo importante nel
consolidamento di questi luoghi: così Tours, dove nel V secolo Clodoveo, re dei franchi, si convertì al
cristianesimo, deve parte della sua fama successiva al favore accordatole da tutti i suoi successori,
compreso Carlo Magno. Analogamente la grotta del Gargano, in cui si venera la reliquia di san Michele
Arcangelo, divenne una meta importante solo dopo che i longobardi ne avevano fatto un simbolo della
conciliazione fra ariani e cattolici. Ma l’esempio in cui la penetrazione fra significato religioso e simbolo
politico è più significativa è sicuramente Santiago di Compostela, che legò la sua fortuna nel periodo
medievale al fatto di essere eletto a simbolo della lotta contro i mori. Tutti questi luoghi sono poi
accomunati da un forte intervento di tipo urbanistico e architettonico, mirante a creare le condizioni per
ricevere e ospitare un numero crescente di fedeli; ovunque si è proceduto in breve tempo alla realizzazione
di una grande basilica che potesse ospitare tutti i pellegrini in occasione dei riti religiosi e
contemporaneamente si sono sviluppate le prime strutture ricettive.

I giubilei e la riduzione delle pene

Fra i pellegrinaggi cristiani ve n’è uno che assume un significato particolare, quello che dal 1300 porta a
Roma migliaia di fedeli in occasione dell’anno santo; la sua storia si intreccia strettamente non solo con
l’elaborazione religiosa, ma anche con le vicende politiche della chiesa romana, rendendolo il pellegrinaggio
penitenziale per eccellenza. Nel corso del XII e del XIII secolo i papi avevano aumentato il numero di
indulgenze concesse ai pellegrini che visitavano le chiese di Roma; inoltre a coloro che partecipavano alle
crociate veniva concessa l’indulgenza plenaria, cioè il perdono per tutti i peccati. Con la fine delle crociate
nel 1291 si fece strada l’idea di legare l’indulgenza plenaria a un evento straordinario creato dalla chiesa
stessa: fu papa Bonifacio VIII a proclamare il primo giubileo nel 1300. Esso venne preceduto da numerosi
lavori per la sistemazione delle strade di accesso a Roma allo scopo di facilitare l’arrivo di personaggi
importanti e richiamò in Italia circa 200 mila fedeli. Questo primo giubileo ebbe però anche un forte
significato politico, poiché venne proclamato in una fase di grandi tensioni fra la chiesa, che voleva
affermare il proprio potere spirituale universale sull’autorità temporale dei vari regnanti europei, e i
nascenti stati nazionali, che proprio in quella fase storica stavano costruendo la propria individualità. Era
insomma in atto uno scontro fra ideale teocratico da una parte e affermazione dell’indipendenza delle
monarchie dai due grandi poteri universali dell’impero e della chiesa dall’altra. Il giubileo del 1300 fu uno
dei trionfi del papato medievale e da esso Bonifacio VIII trasse nuova fiducia nella propria potenza e nella
propria visione teocratica. I 200 mila pellegrini che raggiunsero Roma durante questo primo anno santo
erano ben diversi da quelli del IV secolo: arrivarono anche donne e bambini, spesso provenendo da molto
lontano (Spagna, Francia, Germania e Ungheria). Il grande afflusso di viaggiatori pose seri problemi
organizzativi soprattutto per l’approvvigionamento di cibo, che fu in qualche modo garantito imponendo ai
piccoli centri nei dintorni di Roma di inviare giornalmente pane nella capitale e ai pellegrini di portare con
sé una certa quantità di alimenti; inoltre occorreva difendersi dai rischi di contagio epidemico che la grande
concentrazione di persone poteva comportare per la città. Il secondo giubileo si tenne nel 1350 durante il
papato di Clemente VI: anche in questa occasione affluirono a Roma migliaia di donne, bambini, poveri e
ricchi, ma comparve una prima significativa differenziazione di censo, poiché mentre i poveri si spostavano
in gruppi numerosi sia per motivi di sicurezza sia per rendere più piacevole il viaggio, i ricchi, oltre a cercare
soluzioni più confortevoli, spesso evitarono il pellegrinaggio inoltrando domanda di dispensa al papa e
sostituendolo con esborso monetario. Un giubileo importante fu quello del 1450 perché venne proclamato
in un momento di debolezza della chiesa cattolica allora uscita da oltre un secolo di lotte interne che ne
avevano indebolito non solo il prestigio spirituale, ma anche l’autorità nei confronti dei sovrani europei.
Durante il papato di Nicola V si fissò in 25 anni l’intervallo fra un giubileo e l’altro e inoltre si concesse il
potere di rilasciare l’indulgenza plenaria ad alcune chiese di altri stati in cambio di una sparizione dei
proventi raccolti: ad esempio Santiago di Compostela ottenne tale privilegio per due volte nel corso del
Quattrocento. I giubilei della prima metà del Cinquecento risentirono di quella fondamentale
trasformazione che stava vivendo l’Europa con la nascita della riforma protestante, il grande movimento
religioso che cercò di dare risposte a un desiderio di spiritualità interiore e austera che la chiesa romana
non era in grado di soddisfare. La riforma protestante assunse spesso l’aspetto di un attacco ad alcune
tradizioni consolidate della chiesa cattolica, prima fra tutte le indulgenze, considerate una sorta di
compravendita dell’espiazione dei peccati attraverso la quale la chiesa romana si arricchiva. Ovviamente
anche il giubileo venne duramente attaccato: i giubilei del 1500, del 1525 e del 1550 risentirono di tale
clima e non portarono a Roma molti pellegrini, anche per la mancanza di un adeguato impegno
organizzativo da parte delle autorità ecclesiastiche. Tra il 1575 e il 1650 si registrò una nuova fioritura del
pellegrinaggio romano: era iniziata l’epoca della controriforma, cioè della risposta della chiesa cattolica alla
diffusione del protestantesimo. Questi giubilei assunsero una particolare valenza religiosa e politica per la
chiesa romana, la quale in questo modo affermò l’importanza della ritualità collettiva e valorizzò la
remissione dei peccati e la penitenza come momenti pubblici fondamentali. Proprio per il loro significato di
riconferma della supremazia della chiesa di Roma i giubilei della controriforma furono anche molto curati
sul piano organizzativo e pubblicitario. Essenzialmente la macchina organizzativa si muoveva su tre livelli:
pubblicazioni, cura del cerimoniale, predisposizione degli alloggi necessari. Nel corso del Cinquecento si
moltiplicarono le pubblicazioni sul contenuto religioso del giubileo: si andava dai trattati dottrinali alla
riproposizione degli itinerari del pellegrinaggio antico alla valorizzazione delle reliquie vecchie e nuove. Nel
Seicento, fra le altre cose, venne pubblicata anche una particolareggiata guida delle chiese e delle reliquie
che proponeva non solo la storia dei santi a cui erano appartenute, ma anche le modalità attraverso le quali
esse avevano raggiunto Roma. Nei confronti dei principi l’attività di promozione prevedeva l’invito
individuale con messaggi personali. L’anno santo era scandito da due cerimonie principali: l’apertura e la
chiusura della porta santa. Il rito seguiva un solenne cerimoniale durante il quale luoghi cortei processionali
composti da cardinali, prelati, nobili e popolo accompagnavano il papa nello svolgimento delle funzioni. Fra
questi due principali momenti si collocavano poi decine di riti ordinari che in occasione dell’anno santo
venivano celebrati con una ricercatezza scenografica e un’intensità particolari, trasformando Roma in una
sorta di palcoscenico permanente dell’evento religioso. Le cadenze degli arrivi confermano che le grandi
cerimonie erano una delle attrattive del viaggio, visto che i mesi di maggiore affluenza coincidevano con le
festività primaverili e autunnali del calendario liturgico; lo svolgimento di queste cerimonie implicava un
notevole impegno finanziario poiché spesso occorreva preoccuparsi per tempo di far ristrutturare o di
costruire ex novo le chiese coinvolte, così come di risistemare le strade. L’aspetto organizzativo più
impegnativo era sicuramente la predisposizione di vitto e alloggio per tutte le migliaia di persone che
giornalmente si presentavano alle porte della città. La ricezione venne affidata alla rete di enti assistenziali
che proprio durante il Cinquecento conobbe un particolare sviluppo. Si trattava di strutture di beneficienza
privata e religiosa che erano nate per altri motivi: essenzialmente per assistere la popolazione della città o
alcune particolari categorie sociali nei momenti di bisogno: confraternite, ospedali, ospizi per sacerdoti e
vescovi, ma vennero anche costruiti piccoli complessi abitativi. Dalla fine del Seicento alla metà del
Settecento il fascino dei giubilei si appannò: vi fu un forte calo numerico dei pellegrinaggi, anche di quelli
organizzati dalle confraternite, e inoltre essi non attirarono più a Roma le classi colte europee e italiane.
Molte critiche, anche all’interno del mondo cattolico, piovvero su questa pratica e in generale sul numero
eccessivo di festività del calendario liturgico, che finiva con l’incentivare l’ozio piuttosto che il lavoro; dal
canto loro i nuovi viaggiatori che arrivarono a Roma, animati da amore per l’arte e la cultura, non
perdevano occasione per sottolineare l’eccessiva fastosità delle cerimonie, il ripetersi di riti svuotati di
significato religioso e dal fine esclusivamente di lucro. In risposta a tali critiche la chiesa romana, pur non
rinunciando alla spettacolarità dell’evento, cercò di curare molto di più gli aspetti spirituali. Così, se per il
giubileo del 1725 vennero inaugurate la fontana di Trevi e la scalinata di Trinità dei Monti, si ebbe cura di
vietare per un anno il gioco del lotto, si emanarono moltissime ordinanze tese a moralizzare le serate
romane, si aprì un nuovo ospedale per i malati poveri. Anche il giubileo del 1750 che si svolse sotto
Benedetto XIV venne preparato soprattutto sul piano spirituale attraverso l’organizzazione di cicli di
prediche e di esercizi spirituali nelle principali città italiane. L’afflusso fu comunque minore che in passato; i
pellegrini preferirono viaggiare da soli e solamente i poveri si affidarono come in passato alle confraternite.
Nel corso dell’Ottocento si tenne solamente il giubileo del 1825, che fu anche l’ultimo anno santo
proclamato dalla Roma dei papi. La sua organizzazione fu molto facilitata dalla rete stradale realizzata nel
periodo napoleonico e dall’apertura di due nuovi valichi alpini: il Moncenisio e il Sempione. Inoltre gli
alberghi erano ormai divenuti piuttosto confortevoli ed era possibile acquistar guide che ne descrivevano la
tipologia e il prezzo. Tuttavia esso fu un giubileo in tono minore che non riuscì ad attirare pellegrini
stranieri: a Roma arrivarono quasi esclusivamente italiani, appartenenti allo stato pontificio e al regno di
Napoli, e tra l’altro si tratto in gran parte di poveri. Il giubileo successivo venne proclamato nel 1900,
quando Roma faceva già parte del regno d’Italia. Per il papa esso rappresentò l’occasione per riaffermare la
cristianità di Roma di fronte al nuovo governo laico del giovane stato italiano, mentre per il governo fu
l’occasione per dimostrare al mondo il grande livello di autonomia concessa al papa. I giubilei del
Novecento appartengono già a nuova epoca turistica: spesso i viaggi sono organizzati da agenzie di viaggio,
si può raggiungere Roma in treno, in pullman o in aereo, la durata del pellegrinaggio è molto breve e
perfettamente conciliabile con l’attività lavorativa. Per quanto riguarda l’alloggio le confraternite, quasi
scomparse, vengono sostituite da appositi comitati e dagli istituti religiosi. L’aspetto più importante dei
giubilei del Novecento è il progressivo coinvolgimento dei fedeli di tutti i continenti e la crescente
spiritualizzazione dell’evento. Il giubileo del 2000 fu particolare perché nella Bolla che indice l’anno santo
del 200 è il pontefice a chiedere perdono per tutti i peccati presenti e passati della chiesa. Si è quindi
capovolto l’ordine tradizionale dell’indulgenza: non sono i fedeli a chiedere il perdono al papa per i loro
peccati, ma è il papa a chiedere a Dio per il perdono per i peccati della chiesa.

L’epoca dei “grandtouristi”

Dal Quattrocento le trasformazioni culturali che portarono prima all’umanesimo e poi al rinascimento
diffusero una diversa concezione dell’individuo nella quale l’arte, la cultura e la scienza acquisirono un
nuovo ruolo e soprattutto la formazione letteraria e artistica divenne un momento fondamentale nella vita
delle classi aristocratiche. Questa rivoluzione culturale cambiò il modo di fare turismo: gli itinerari dei viaggi
si allontanarono da santuari e luoghi sacri per toccare le città d’arte e dell’Europa centrale e mediterranea,
poiché i nuovi viaggi non avevano più come obiettivo le indulgenze, ma quello di ricevere una formazione
culturale e acquisire una nuova sensibilità artistica o scientifica. Tra il Cinquecento e l’Ottocento la moda
del Grand Tour si diffuse progressivamente dalla Gran Bretagna alle classi aristocratiche dell’Europa
continentale, soprattutto francesi e tedesche, poi all’alta borghesia e infine ad artisti e scrittori. In ogni caso
il Grand Tour rimase soprattutto un costume inglese: un giovane rampollo della upper class non poteva
sottrarsi a questo lungo viaggio che dalla Gran Bretagna l’avrebbe portato in Francia e in Italia e, sulla via
del ritorno, in Germania e Olanda. L’opinione pubblica inglese riteneva il Grand Tour un aspetto della
superiorità di un paese in cui i giovani venivano formati per essere cittadini del mondo. Il giovane studente
veniva affiancato durante il viaggio da uno o più tutori che dovevano guidarne l’apprendimento culturale
nonché scegliere i maestri nelle varie città in cui si soggiornava; per rendere più piacevole il soggiorno
schiere di servi erano poi a disposizione di qualsiasi viaggiatore in tutte le città d’Europa. Nel corso dei
secoli il Grand Tour modificò parte delle sue caratteristiche. All’inizio aveva in genere una durata piuttosto
lunga, che andava dai 3 ai 4 anni, proprio perché esso doveva garantire la formazione culturale dei giovani
ed era concepito come una sorta di scuola itinerante. Era necessario fermarsi per lungo tempo nei nuovi
paesi se si voleva imparare la lingua e acquisire le nozioni fondamentali di alcune discipline artistiche. In
genere esso rappresentava il momento conclusivo del percorso di studi. Gli itinerari dell’aristocrazia
dell’Europa continentale differivano in parte da quelli inglesi, ma tutti passavano per l’Italia, che divenne
una delle mete obbligate. Questo proprio perché essa aveva il primato culturale, essendo considerata il
paese della grande rivoluzione artistica. Nella seconda metà dei Seicento accanto al Grand Tour si diffuse
anche la nuova pratica di un lungo soggiorno nei collegi di educazione riservati ai nobili, assai frequenti
nelle città italiane sin dall’inizio del secolo; moltissimi furono soprattutto gli studenti di lingua tedesca che
si iscrissero. Tale fenomeno aveva le sue radici in una pratica culturale che si era diffusa durante il
medioevo, quella della grande mobilità degli uomini di cultura: letterati, artisti e uomini di scienza
viaggiavano per l’Europa e le università si contendevano le loro prestazioni. La cultura cosmopolita
dell’umanesimo ben si sposò con tale tradizione sino a farne un vero e proprio fenomeno sociale. Il
successo turistico dell’Italia sino al Seicento ha la sua origine nell’immagine di una civiltà urbana progredita
e creatrice; le università italiane godevano di prestigio internazionale e nella divisione internazionale del
lavoro l’Italia figurava come centro propulsore. Nel corso del Settecento l’Italia e il Mediterraneo in
generale assunsero agli occhi degli aristocratici europei soprattutto inglesi, la connotazione di un’area in
ritardo nello sviluppo civile ed economico. Questa convinzione, suffragata dal nuovo andamento degli
scambi commerciali internazionali, che vedevano l’Italia esportare materie prime o semilavorate e
importare prodotti finiti, non segnò affatto la fine del flusso turistico verso la penisola; anzi il Settecento fu
il secolo in cui l’Italia conquistò il primo posto nelle preferenze dei grandtouristi, adattandosi bene alla
nuova dimensione che in questo secolo il Grand Tour aveva assunto, quella paesaggistica. L’aspetto della
formazione passò in secondo piano sostituito da un atteggiamento più turistico: Emerse l’aspetto ludico,
sensitivo, naturalistico. La trasformazione provocò dei cambiamenti nelle modalità organizzative: la durata
del viaggio si ridusse tanto che all’inizio dell’Ottocento difficilmente superava i 4 mesi e cambiò la fascia di
età, riguardando non più ragazzi di 20-30 anni, ma uomini sui 30-40 anni. Anche lo status sociale di chi si
metteva in viaggio non fu più lo stesso: ai giovani aristocratici o altoborghesi si erano affiancati scrittori,
artisti, filosofi e rappresentanti delle classi medie. Nella letteratura sul Grand Tour si dà per scontato che
nonostante la trasformazione delle motivazioni e nella composizione sociale dei grandtouristi l’Italia
restasse una delle tappe preferite. Le città italiane del Settecento si attrezzarono per ospitare e far divertire
questi nuovi grandtouristi, per i quali la cultura non era che una scusa per un viaggio di piacere così da
conservare i flussi turistici conquistati nel secolo precedente. La diffusione dei viaggi fu facilitata dal
miglioramento di tutta una serie di tecniche nella costruzione delle navi, nella strumentazione di bordo e
dalla realizzazione di mappe dettagliate. Per molto tempo sia le strade sia i mezzi di trasporto impiegati dai
turisti furono quelli del servizio postale; anche se nella seconda metà del Settecento le strade si
moltiplicarono, divennero meglio percorribili e fu possibile scegliere fra una maggiore varietà di vetture a
cavalli, tuttavia solamente nell’Ottocento il sistema di trasporto cambiò radicalmente grazie
all’introduzione delle ferrovie e delle imbarcazioni a vapore. Infatti sino al 1830-40 si viaggiò soprattutto a
cavallo e per recarsi da Londra a Roma occorrevano 3-4 settimane, cioè approssimativamente il tempo
impiegato all’epoca dell’impero romano. I ricchi cercavano di viaggiare in modo più confortevole, ma non
potevano ottenere una maggiore velocità, e chi voleva accorciare i tempi doveva scegliere i mezzi postali
affittando veicoli e cavalli nelle stazioni lungo il percorso. Utilizzare mezzi pubblici significava però accettare
condizioni di viaggio veramente difficili. Dopo il 1840 molti viaggiatori iniziarono a coprire alcune tratte dei
viaggi su piroscafo a vapore, che in genere consentiva di risparmiare tempo e di viaggiare più
comodamente, ma sarà l’arrivo della ferrovia ad abbreviare radicalmente la durata dei viaggi e il loro costo
aprendo la strada a un turismo ben diverso da quello del Grand Tour. Infatti nel corso dell’Ottocento il
Grand Tour attraverso l’Europa continentale passò di moda, sostituito da altre maniere di trascorrere le
vacanze e di fare turismo, ma anche soppiantato da itinerari che toccavano nuove mete: gli aristocratici
inglesi non confinavano più i loro viaggi all’Europa, ma cominciarono a girare il mondo o, ancora meglio, a
visitare le loro colonie alla ricerca di un esotismo che le città europee non potevano certo garantire. Una
delle mete preferite divenne l’India, con i suoi panorami naturali e le ricchezze architettoniche, ma
soprattutto con i safari per la caccia al cinghiale e alla tigre, nuovo trofeo e simbolo di nobiltà. La moda
dell’esotico assunse a volte un aspetto più culturale: si diffuse una nuova figura di viaggiatore, quella
dell’erudito eclettico, archeologo dilettante alla ricerca delle testimonianze delle antiche civiltà. L’Egitto fu
uno dei paesi che esercitò il fascino maggiore e l’archeologia rappresentò il principale richiamo. La moda
del Grand Tour europeo sopravviveva ormai solo grazie agli americani benestanti che almeno dalla metà
dell’Ottocento iniziarono a viaggiare verso i centri europei alla ricerca di testimonianze architettoniche e
artistiche. Oggi assistiamo a una nuova tipologia di Grand Tour a scopo educativo, ovvero i soggiorni presso
le università straniere con modalità molto simili a quelle che a metà Seicento portarono verso le università
giovani aristocratici di tutta l’Europa. Per la prima volta anche gli studenti italiani parteciparono a tale
movimento: il Grand Tour come percorso formativo per i giovani lungo le strade e le scuole di tutta l’Europa
è quanto mai attuale, così come è attuale la convinzione degli aristocratici inglesi del Seicento e del
Settecento, che in tal modo i giovani divenissero cittadini del mondo. Ma anche l’aspetto del Grand Tour
come viaggio culturale e contemporaneamente di svago ha lasciato un’eredità: i tempi di vita e i ritmi di
lavoro della nostra società ne hanno modificato i ritmi, poiché esso non è oggi un viaggio di diversi anni in
età giovanile, ma si compone di tanti piccoli viaggi di poche settimane nel corso della vita per visitare i
patrimoni artistici delle città di tutto il mondo. Si tratta di quello che oggi chiamiamo turismo culturale.

CAPITOLO 3 → LA NASCITA DEL TURISMO MODERNO

Sono dette città di villeggiatura, città del tempo libero o città del loisir quelle località in cui le attività
economiche dominanti erano fornire alloggio, svago, beni e servizi a clienti sia temporanei sia residenti. La
loro nascita è espressione di fioritura urbana, di una trasformazione del settore turistico che
progressivamente si distacca dall’insieme generico dei servizi per acquisire una propria fisionomia.
Nell’epoca di questa trasformazione possiamo collocare la nascita del turismo moderno. Si assiste alla
specializzazione non solo dell’offerta (gli affittacamere passano dall’alloggiare solamente a svolgere altri
lavori), ma anche della domanda di servizi per il tempo libero che si concentra in certi luoghi e in
determinate stagioni dell’anno. Lo sviluppo del turismo moderno, anticipato dalla prima rinascita termale
fra XIII e XVI secolo in varie città europee e italiane, avvenne in Gran Bretagna e fu un fenomeno parallelo
all’industrializzazione.

Le città termali inglesi

Nel Cinquecento e nel Seicento in linea con le antiche usanze romane, la villeggiatura in aree rurali era
rimasta ancora vivida nell'immaginario britannico: la villeggiatura in campagna voleva dire feste private,
cacce e quant'altro a cui si accedeva solo su invito, anche se tuttavia non esistevano ancora luoghi
esclusivamente dedicati all'ozio. Verso metà Seicento ci fu un passaggio dalle ville private di campagna allo
spazio urbano; tale momento di svolta può essere indicato come quello della nascita del turismo moderno,
cioè un modo di impiegare il tempo libero che richiede la presenza di strutture professionali per ricevere e
intrattenere gli ospiti o i villeggianti. Tali luoghi, in linea di principio, erano accessibili a chiunque (a patto
che si disponesse delle finanze necessarie, motivo per cui si parla di una fascia di turisti di tipologia alta, tra
ricca borghesia e nobiltà, gli unici in grado di permettersi lussuose spese). I luoghi di incontro non furono
più i parchi delle ville di campagna, ma i centri urbani delle nuove cittadine turistiche colmi di strutture
pubbliche ricreative (rafforzate da interventi economici di investitori pubblici e/o privati), centri urbani che
riuscirono ad affermarsi non per la cultura o le qualità naturalistiche quanto piuttosto per la capacità di
proporre in maniera efficacie soggiorni piacevoli per una fascia di popolazione particolarmente ricca. Il
primo esempio di turismo moderno fu quello termale, che nacque in Gran Bretagna verso la fine del
Seicento e che ebbe un grande esito tra fine Settecento e inizio Ottocento. In Gran Bretagna lo stabilimento
termale era diffuso già a partire dal periodo di occupazione degli antichi romani i quali avevano diffuso tale
pratica in tutto l’impero. Sebbene il turismo termale di per sé fosse già noto agli antichi romani e greci, la
novità risiedette in un primo momento nella sua riscoperta e in un secondo momento nel suo sviluppo di
tipo ricreativo (tanto che le mete termali ormai non venivano quasi più visitate per la salute quanto per il
divertimento che veniva promesso a chi frequentava quei luoghi). In Svizzera, intorno al 1200, almeno una
dozzina di centri termali iniziò a essere frequentata a fini terapeutici. Tra le località più note ricordiamo
Baden, la quale ottenne grande prestigio e attrasse personalità importanti come l’umanista Poggio
Bracciolini nel 1416 e Montaigne nel 1581. Anche in Francia le cure termali avevano riacquistato prestigio e
alcune località come Plombières erano molto rinomate. In Boemia e Ungheria le terme di Karlsbad
attrassero numerosissimi nobili tedeschi, russi, polacchi e francesi; mentre nell’attuale Belgio, la cittadina di
Spa aveva acquisito una notevole fama, tanto da attirare visitatori stranieri, inglesi soprattutto. Affinché si
possa assistere ad uno sviluppo consistente del turismo termale si dovrà attendere almeno sino a Bath,
anche se esistono già alcuni accenni precedenti: alcuni testi dell'epoca definiscono e decantano le qualità
delle acque termali (utilizzate per trattare malattie, reumatismi, persino la sterilità femminile) la cui
efficacia era attribuita al volere divino e molti pozzi erano anche luoghi di culto. Dal 1534, con l’avvento
della riforma anglicana di Enrico VIII, tutte le fonti caddero in disgrazia e il loro utilizzo venne vietato in
quanto espressione del culto cattolico. Alcuni inglesi scelsero quindi di andare all'estero presso la località
nota come Spa: si tentò di frenare questa emorragia rendendo più difficile il rilascio di documenti per il
viaggio ma anche rimuovendo il divieto preferendo invece promuovere le fonti termali nazionali in quanto
si erano rivelate una fonte di reddito, caricando quindi il tutto di una luce anche patriottica fra le altre cose.
Quindi cominciarono a nascere numerose località termali in Gran Bretagna, principalmente grazie alle
pubblicità dei medici e delle classi nobiliari (persino la famiglia reale giunse a usufruire e beneficiare delle
terme), dove Bath detenne per molto tempo la bandiera di località più alla moda e lussuosa dell'Inghilterra,
vista anche la sua posizione geografica particolarmente felice (vicino Londra, ma lontana dal chaos
cittadino). In primo luogo la cittadina attirò numerosi nobili, ma in pochi anni anche persone in cerca di
lavoro come servi e mendicanti iniziarono ad affollare la cittadina. In questa fase l’elemento medico-
curativo restò dominante. Tuttavia a Bath mancavano ancora i servizi ricreativi e le fondamentali strutture
igienico-sanitarie. Erano presenti solo 11 locande e i viaggiatori si lamentavano spesso della mancanza di
camere libere durante l’alta stagione. Il quadro cominciò a cambiare a inizio Seicento, quando si
intensificarono sia gli interventi privati sia quelli della pubblica amministrazione. Tra gli interventi maggiori
senz'altro esistono la costruzione delle reti fognarie atte a migliorare le condizioni igienico-sanitarie del
luogo. Il focus lentamente si spostò dalla cura al divertimento, e l'afflusso di persone e denaro determinò
ben presto la mutazione di Bath in un centro vacanze super-lusso per staccare dalla quotidianità e dedicarsi
al divertimento e al relax. Le strutture più importanti di Bath furono il Parco Termale (giardini termali
attorno ai quali sorgevano e prosperavano attività commerciali), strutture ricreative e grandi alberghi.
Nonostante Bath fu colpita dapprima dalla peste e in seguito dalla guerra civile, non cessò di esercitare il
suo fascino presso i nobili inglesi, proprio in virtù delle numerose attrazioni e divertimenti che la
differenziavano da altre località: i musicisti del re e della regina spesso presentavano i loro spettacoli con
l’accompagnamento di cantori, acrobati e non mancavano strutture sportive come due campi da tennis e
due di bocce. Nel 1600 la sua capacità ricettiva era raddoppiata rispetto al secolo precedente, con 24
locande e 28 pensioni, per un totale di oltre 300 posti letto. Iniziarono così a comparire sia piccoli
stabilimenti attorno alle fonti, per permettere ai visitatori di bere l’acqua in un contesto piacevole e per
facilitare i bagni, sia strutture ricettive create appositamente per i visitatori, oltre a locali per il tempo libero
(sale d’incontro, sale da tè e di lettura). Nel Settecento l’elemento che più contribuì allo sviluppo fu il
miglioramento della rete viaria, il quale dimezzò i tempi di trasferimento. In questa fase si passò da centri di
cura a centri di loisir, specializzati per ricevere e far divertire i turisti. Furono 3 le strutture che
incentivarono questo cambiamento: il parco termale; strutture ricreative come teatri, caffè, sale concerti,
ristoranti; alberghi di grande dimensione. Bath venne poi gradualmente occupata dalla classe media e verso
il 1770 era già frequentata più da commercianti che da aristocratici. Nel frattempo i nobili avevano, infatti,
cominciato a cercare luoghi più esclusivi e comincia così la naturale spirale di decadimento della meta
turistica: la nobiltà inglese si sposta, cerca altro e già nel 1830 la clientela muta e si riduce a malati/invaidi o
anziani in cerca di sollievo per le loro malattie. Il declino è legato al passaggio delle mode: non a caso anche
altre città termali seguirono una parabola simile, soppiantate dalla villeggiatura al mare. Verso la fine del
Settecento la moda della vacanza termale venne esportata in Europa continentale, dove il centro più
famoso divenne Spa (Belgio). In questo secolo si dotò di numerose strutture per il divertimento come i
famosi due edifici che ospitavano sale da gioco, teatro e giardini. Spa assunse la sua maggiore notorietà
dopo il 1830, anno della nascita del regno del Belgio. Nel 1862 ci fu la costruzione di un monumentale
stabilimento di bagni e la realizzazione di interventi di abbellimento urbano. Spa divenne luogo di ritrovo
delle famiglie reali. Il percorso dei centri termali europei si compone di una fase iniziale caratterizzata
dall’impegno di medici locali nella pubblicità degli effetti benefici delle acque e dalla presenza di qualche
nobile che dava prestigio alla località. Spettava poi agli operatori economici locali realizzare le prime
strutture e avviare il decollo della nuova città di loisir. Nell’Europa centrale il decollo e il declino delle
località termali avvenne in ritardo di un secolo rispetto ai centri inglesi, proprio perché fino alla vigilia della
prima guerra mondiale mantennero una capacità di attrazione dell’aristocrazia e della borghesia europee.

Il fascino dei mari freddi: una nuova moda inglese

Sempre in Gran Bretagna si sviluppò un nuovo modo di fare turismo: quello balneare. Il mare come meta
turistica fu scoperto sempre dall’aristocrazia e furono le famiglie reali a decretarne il successo. La
decadenza della meta di Bath non determinò la totale scomparsa del turismo legato alle acque: infatti, è
possibile notare un incremento degli spostamenti e delle spese turistiche nelle aree marittime, in forza
degli studi di alcuni medici sulle potenzialità benefiche delle acque gelate, per non parlare dell'appoggio
della famiglia reale. Lo sviluppo di questo tipo di mete turistiche non è avvenuto dall'oggi al domani: erano
già note alcune località termali vicino alle aree marittime nel 1720/1730, dove le acque sulfuree erano
arricchite da infiltrazioni marine. All'epoca, prima che l'intero complesso dei servizi si sviluppasse, l'unico
tipo di attrazione era rappresentata dal Kursaal (a ridosso della zona marittima, sulla spiaggia quindi) che si
prolungava sino al mare con una passerella di legno sostenuta da piloni come se fosse un molo. Ma la
località che più suscitò l’interesse degli aristocratici fu Brighton, il quale, all’inizio, era un piccolo comune
abitato da pescatori e che già dal 1730 vantava una breve stagione dei bagni. Il periodo più dinamico
cominciò verso il 1820 quando Brighton divenne in breve tempo la più importante città di villeggiatura
dell’Inghilterra con diversi processi di bonifica, rimboschimento, pavimentazione, sviluppo dei litorali e
dell'edilizia. Alla sua fama contribuì anche la permanenza della famiglia reale durante la stagione che arrivò
persino ad elargire un vero e proprio patrocinato alla cittadina. I turisti inglesi si recavano a Brighton
d’estate alla ricerca di un mare nordico, dalle basse temperature e dalle acque gelide. La spiaggia era un
luogo per camminare e conversare e non rappresentava un punto di ritrovo. Al sole non era riconosciuta
nessuna funzione terapeutica. Il cuore della vita turistica era proprio lontano dalla spiaggia. Dopo il 1840,
con l’avvento della ferrovia, nacquero numerosi nuovi centri balneari, molti dei quali si concentrarono nelle
regioni del Sussex, Kent e Devon. Le altre località limitrofe che non avevano goduto dello stesso tipo di
fortuna di Brighton, invece, si prodigarono ad attirare una clientela meno pregiata ma di grande rilievo,
ovvero la classe media, la quale richiedeva strutture meno costose. Tra 1880 e 1910 nacquero nuove
stazioni balneari nelle provincie inglesi e nel Galles settentrionale. Si trattava di città o villaggi balneari che
orbitavano attorno alle regioni cotoniere della prima rivoluzione industriale, dove i redditi erano elevati. Il
centro di Blackpool divenne il primo a essere frequentato dalle classi lavoratrici e ad avere una clientela
popolare. Lo sviluppo di tali mete è simile a Bath e alle altre destinazioni turistiche: vi è la scoperta, la
pubblicizzazione mediante la nobiltà o le famiglie reali o persino mediante studiosi/medici di una certa
fama, con la relativa diffusione e notorietà, costruzione di strutture ricettive adeguate sia a pernottamenti
che per il semplice divertimento, riorganizzazione/miglioramento urbano e dei trasporti, investimenti di
privati (esterni o interni la meta turistica interessata) anche se non si assiste ad un sostanziale cambio
gestionale. Sino alla metà dell’Ottocento la crescita delle città balneari avveniva mediante l’accumularsi di
piccoli investimenti. Solo dopo il successo delle prime iniziative di albergatori, locandieri e commercianti
cominciò ad arrivare capitale dall’estero. La prima guerra mondiale interruppe lo sviluppo delle attività
balneari inglesi. Negli anni Venti e Trenta il turismo riprese a crescere, ma qualcosa era ormai cambiato: Il
successo delle mete balneari inglesi dipese dalla capacità di offrire servizi che per qualità-prezzo andavano
bene alle esigenze delle famiglie degli impiegati e degli operai specializzati. Nel secondo dopoguerra iniziò
un lento declino per tutte le città balneari inglesi, questo fu dovuto al fatto che il sole era divenuto un
elemento importante per la villeggiatura estiva e, i nuovi mezzi come l’aereo, il pullman e i treni,
permettevano di raggiungere facilmente le località di villeggiatura del Mediterraneo.

Perché proprio gli inglesi inventarono il turismo

L'Inghilterra fu teatro di una vera e propria nascita, crescita ed espansione precoce del turismo,
principalmente in virtù della sua nuova posizione di super potenza economica di peso mondiale nonché
della grande ricchezza che ne conseguì a livello economico sia che si consideri il Grand Tour, sia le città di
villeggiatura. Parlando di Grand Tour è ovvio che le sole ragioni economiche non bastino; è infatti evidente
l’attrazione esercitata sugli aristocratici inglesi dal primato culturale dell’Europa continentale. Il viaggio era
un modo per avvicinarsi alla conoscenza del mondo. Il Grand Tour trovava quindi la sua origine in una
precisa proposta culturale: si viaggiava per imparare. Ma ben presto il desiderio di conoscere passò in
secondo piano. Lentamente i viaggiatori inglesi si trasformarono da studenti in collezionisti di oggetti
d’arte. Evidentemente l’abitudine al viaggio si era ormai consolidata e quando le motivazioni di tipo
culturale si esaurirono, rapidamente furono sostituite da nuovi desideri e obiettivi. L'invenzione delle città
per le vacanze sono un fenomeno che trova le sue radici nella nobiltà, portando a netta separazione tra
ozio e lavoro persino nelle località che ora non sono più ville di campagna e castelli ma nuovi centri
urbanistici che rappresentavano non solo una spesa minore ma anche una possibilità più realistica di
utilizzo da parte delle classi medie che anelavano a questo tempo libero per essere “parte” della nobiltà,
per sentirsi parte di questa classe così esclusiva. L'inclusione di strutture meno costose comportò
l'abbassamento della tipologia di servizi resi in termini di qualità ma consentì ad una fetta più consistente
della popolazione (ceto medio-basso) di usufruire del tempo libero e di spenderlo come più si desiderava,
portando quindi ad una generazione di domanda che poté essere soddisfatta da numerosi tipi di offerte,
portando quindi alla possibilità di sostentamento: la nobiltà conferiva prestigio, ma il volgo conferiva i
numeri. In questo periodo ci fu anche un cambiamento nelle abitudini sociali: se una volta, il tempo
dedicato all’ozio prevedeva l’incontro in castelli o ville di campagna, ora gli aristocratici iniziarono a
incontrarsi nei teatri o nei circoli cittadini. Inoltre la Gran Bretagna era l’unico paese europeo a vantare già
all’epoca una classe media. La crescita delle città di villeggiatura coincise con la diffusione del turismo
borghese. Ci fu anche una trasformazione nei costumi, nelle conoscenze e nell’immaginario collettivo che
portò i vacanzieri inglesi a privilegiare il soggiorno in certi luoghi. Un altro fattore è dovuto alla
giustificazione morale che la villeggiatura doveva trovare all’ozio del tempo libero, che all’epoca venne
fornita dalla scienza medica sia per il turismo termale che per quello balneare. Fu la scienza a guidare
progressivamente la conquista dell’acqua. Saranno proprio affermazioni di grandi personalità a giustificare
questi luoghi, ribaltandoli da posti di perdizione e immoralità a luoghi di salute e maturazione, ed esempio
il dottor Russel aprì il suo studio medico a Brighton sostenendo che nuotare poteva rinvigorire i bambini
rachitici e le ragazze deboli e ridare speranza alle donne sterili. Nel secolo successivo, ai benefici dell’acqua
termale fredda, si aggiunsero quelli dell’acqua salata. L’invenzione del turismo balneare richiese sia
l’abbandono di una visione della natura spaventosa e nemica a favore di una sua immagine illuminista,
salutista e sportiva sia la diffusione del desiderio di impiegare il tempo libero in un contesto urbano. Per
molti anni gli inglesi preferirono trascorrere la villeggiatura nelle località inglesi, quindi la domanda di
soggiorni turistici fu una domanda di turismo locale. In un primo momento le località turistiche erano vicine
ai centri generatori di domanda (Bath), la crescita, infine, di luoghi turistici più lontani è da imputare alla
nascita di nuovi e più confortevoli e veloci mezzi di trasporto quali treni ed aerei, nonché anche a
mutamenti nella modalità vacanziera: gli aerei, da mezzi per consegne, divennero mezzi di spostamento,
mentre i treni da spostamento merci divennero invece mezzi di trasporto verso grandi città industriali
attorno alle quali sorgevano potenziali mete turistiche pronte ad essere scoperte, sviluppate e godute.
Infine, fu importante l’impegno finanziario dei proprietari terrieri, degli imprenditori locali e delle pubbliche
amministrazioni nel dotare i nascenti centri turistici di tutte le strutture ricreative necessarie per renderli
attraenti per gli standard della tipologia di segmento clientelare che si intende attrarre.

Il mare d’inverno e la scoperta del Mediterraneo

Sino alla metà dell’Ottocento il turismo balneare si concentrava nelle fredde spiagge del nord, mentre
quelle del Mediterraneo non esercitavano alcuna attrattiva sui potenziali villeggianti. Il processo di
meridionalizzazione dei luoghi di villeggiatura fu molto lungo e vide prima la nascita di località balneari sulle
rive settentrionali dell’Europa continentale, poi la diffusione del turismo invernale sulla Costa Azzurra e
infine il trionfo del sole nel Mediterraneo. Il turismo inglese cominciò a valutare l'efficacia della balneazione
nel momento stesso in cui studiosi e medici cominciarono a decantare le virtù delle abluzioni in acque
fredde, in grado di tonificare corpo, spirito e guarire persino dalla sterilità donne che desideravano avere
figli. Laddove alcune di queste asserzioni sono chiaramente di dubbia veridicità, è comunque innegabile il
peso che ebbero nello stabilimento dei flussi turistici. Non si cercava un mare caldo, si cercava un mare
freddo, ma nel cercarlo pian piano si arrivò a volere anche delle mete turistiche nuove. Quando il turismo
balneare inglese cominciò a decadere, coloro che lo attendevano scelsero di spostarsi nell'area
continentale dell'Europa, cercando tuttavia destinazioni che fossero parimenti sicure dal punto di vista
igienico-sanitario, motivo per cui ad inizio 1'800 furono inaugurati i primi stabilimenti balneari continentali,
nuovamente giustificate dal turismo salutistico per la trattazione e la cura di malattie.
La prima fase riguardò quindi la nascita di centri balneari sul mare del Nord o sul mar Baltico (Doberan,
Nordernay, Travemunde, Swinemunde, tutte mete ambite dall’aristocrazia e borghesia tedesca).
Diversamente dalle città balneari inglesi, questi luoghi di soggiorno furono il frutto di una progettazione
complessiva, di una vera e propria pianificazione che organizzò la costruzione di attività terapeutiche e
ricreative sotto l’egida delle autorità e delle famiglie reali. La stragrande maggioranza delle mete
replicavano fedelmente il Modello Brighton, senza che queste riuscissero a rifletterne tuttavia l'unicità e
l'importanza (conservando, invece, un sapore locale, pur conservando i servizi ricreativi nobiliari in modo
separato dal resto della popolazione che ne fu esclusa paradossalmente): principalmente, la causa è da
ricondurre all'affermazione, nello stesso periodo, delle mete termali (invece in Inghilterra prima si affermò
il turismo termale e poi quello balneare).
Un secondo momento interessò le coste settentrionali francesi, dove, a partire dall’inizio dell’Ottocento, si
svilupparono località come Dieppe, sulla Manica, con la sua struttura litorale comprensiva di molti servizi
ricreativi in cui era possibile anche cambiarsi di costume, e altri centri soprattutto in Normandia (per la
vicinanza della regione a Parigi, centro di provenienza della domanda turistica). Per quanto riguarda la
Spagna, l’unica regione interessata fu quella tra San Sebastian e Santander, meta di sovrani e
dell’aristocrazia spagnola, la quale restava comunque più interessata ai centri termali dell’interno, in
quanto più vicini alla capitale Madrid. Dunque, in questo primo periodo, si andava al mare d’estate, ma si
cercava un mare freddo e molto urbanizzato.
La seconda fase comincia con la nascita della prima grande stazione balneare del Mediterraneo: Sète, sulla
Costa Azzurra che si offrì al turismo invernale accogliendo i turisti aristocratici generando un'offerta
turistica in un periodo “inusuale” rispetto quello cui erano abituati gli inglesi, infatti in questo caso la
stagione durava 7 mesi (da ottobre ad aprile) e, non toccando i mesi estivi, permise alla località di non
entrare in competizione con le coste fredde del mare del Nord, che ospitavano i turisti d’estate. Anche in
questo caso la clientela era alla ricerca di migliorare la salute, proprio a causa di numerose malattie
polmonari, come la tubercolosi, che erano molto diffuse in Europa Settentrionale. Nel giro di pochissimi
decenni, quindi, la Costa Azzurra e, per estensione, la zona mediterranea italiana, videro la nascita di nuovi
centri balneari, un tempo semplicissime cittadine rurali. Il momento d’oro del Midi francese iniziò nella
seconda metà dell’Ottocento, quando, oltre agli inglesi con problemi polmonari, cominciarono ad arrivare i
veri e propri hivernants, borghesi e aristocratici in cerca di divertimento. In pochi anni la Costa Azzurra e
una parte di Riviera Ligure divennero i salons d’Europe. Cannes, Nizza, Mentone, Montecarlo, Sanremo si
trasformarono da piccoli villaggi rurali in mete ambite dagli aristocratici europei e ben presto le città furono
costrette ad adattarsi al fine di poter soddisfare la domanda turistica, costruendo strutture ex novo che
potessero soddisfare la nuova clientela, portando ad una modifica dell'intero apparato urbanistico ed
economico in grado di accogliere chi svernava in queste aree: sulla Riviera furono costruiti alberghi
imponenti, grandiose ville private, venne piantata vegetazione esotica. Era un turismo che si caratterizzava
per soggiorni lunghi e per la richiesta di strutture ricettive e ricreative di prestigio. Il turismo balneare
invernale si sviluppò in aree arretrate, come appunto la costa francese e italiana, dove l’economia era
basata sulla pesca e su pochi prodotti agricoli, e quindi prive di capitali da investire per far prosperare il
turismo. La penetrazione del capitale straniero in taluni casi comportò l'esclusione di chi già abitava in quei
luoghi, residenti che non poterono usufruire dei servizi esclusivi ai nobili per via di ristrettezze economiche,
senza comunque causare gravi danni, in quanto gli investimenti cittadini rimasero sempre di primaria
importanza, ma anche per la distanza fra la comunità locale e i turisti invernali che si palesava anche
nell’organizzazione dello spazio urbano: spesso i quartieri turistici erano separati da quelli dove risiedeva la
popolazione locale. In queste località il turismo non divenne un corpo estraneo, ma si integrò
progressivamente nelle altre attività economiche, facendo prosperare i settori commerciali e artigianali
garantendo nuovi posti e forme di lavoro e attirando nuovi flussi turistici e migratori da aree limitrofe. La
Prima Grande Guerra determinò un arresto di questa espansione che tuttavia non venne mai accantonata:
malgrado la scoperta della montagna e degli sport invernali, il mercato turistico marittimo continuò a
sopravvivere e semplicemente si illustrò una nuova stagionalità

Verso il sole

Se le coste mediterranee cominciarono ad affermarsi proprio durante il 1800 circa, è vero notare che
esistevano già una serie di testi e documentazioni di artisti che nel 1700 descrivevano le inusuali abitudini
delle classi meno agiate, impegnate nella zona meridionale italiana a farsi il bagno in acque calde senza
cercare beneficio alcuno (se non il sollievo dalla calura estiva o semplice divertimento). Queste produzioni e
testimonianze, in un epoca dove la pubblicità era una pratica sconosciuta, contribuirono a instillare
nell'immaginario comune una serie di idee, principalmente riguardanti i contrasti di tipo culturale (alcuni
nobili, affascinati, scelsero persino di provare queste abitudini così diverse, salvo poi in un primo momento
desistere per via dello stato del meridione: non è un mistero che tali aree fossero flagellate da malaria ed
incursioni di banditi e pirati, cosa che rendeva queste zone profondamente instabili e pericolose). La
progressiva eliminazione di questi problemi giovò al miglioramento dell’immagine dei mari del sud e segnò
la svolta decisiva del diffondersi della cultura del sole. La scienza medica del Seicento e Settecento aveva
bocciato le calde acque meridionali, ma in questo periodo scoprì le funzioni benefiche dell’aria di mare e
del sole e si modificò così anche il rapporto con la spiaggia, che però, almeno fino ai primi del Novecento,
resterà non molto popolata. Nacquero lentamente ed in modo discontinuo strutture per ombreggiature
permanenti, bagni di sabbia, pattuglie atte ad assicurare la tranquillità dei bagnanti. Questo cambiamento
non avvenne contemporaneamente in tutte le località balneari poiché nel primo decennio del Novecento,
mentre le spiagge della costa atlantica degli Stati Uniti (Coney Island, Atlantic City) accoglievano già migliaia
di turisti, in molti stabilimenti dell’Italia meridionale lo stile della vacanza era ancora quello ottocentesco.
La svolta si completò nel periodo compreso tra il 1920 ed il 1930, a seguito della Prima Grande Guerra,
quando “il colore della miseria divenne uno status symbol” (l'abbronzatura) e quando il bagno perse la sua
connotazione medica trasformandosi in una pratica ricreativa e di sollievo. La progressione dell'importanza
dei bagni caldi come momento di relax è riconducibile direttamente alla vittoria delle spiagge mediterranee
sulle spiagge del nord (relegate a turismo locale), ma anche alla diffusione della sua importanza tra le
persone appartenenti ai ceti più bassi: il turismo balneare assunse diverse connotazioni, ed ora la fetta
importante di mercato non era rappresentata soltanto più dall'aristocrazia, ma anche dalle classi medie e
basse che portarono ad una proliferazione di strutture ricreativo-ricettive più economiche. Il periodo fra le
due guerre mondiali lanciò quindi la moda del sole e fu anche testimone della nascita del turismo della
classe media. Il flusso turistico non passava più dai grandi alberghi, ma sceglieva soluzioni meno costose
come pensioni o alberghetti. Lo sviluppo si arrestò nel 1939, a seguito dello scoppio della Seconda Grande
Guerra, quando le basi per il nuovo turismo erano già state gettate.

L’invenzione della montagna

Lo sviluppo della montagna, nuovamente, lo si deve agli inglesi, ma anche ad una serie di numerosi
mutamenti socioculturali atti a rivalutarne l'immagine. Infatti, per oltre un millennio, essa era rimasta
imprigionata nelle descrizioni di geografi e poeti romani che la dipingevano come un luogo brutto e
spaventoso, poi la montagna vide in epoca romana la creazione di una serie di vie di passaggio adibite
prettamente al commercio. La caduta dell'impero causò l'abbandono di questi passi e sentieri che
tornarono a conoscere un qualche tipo di traffico solo dopo il 1200 con il ristabilimento dei legami
commerciali e con la creazione di ospizi monacali sulle alture. Un primo tentativo di modificare
l’immaginario della montagna si ebbe con l’Umanesimo e il Rinascimento, i cui esponenti cercarono di
visitarla e descriverla. Evitate dal Grand Tour per quanto possibile, le montagne si riscattarono nel 700 su
tre diversi livelli: il primo riguarda il canone estetico (l'abbandono del classicismo, della grazia e armonia
delle forme in favore di una natura caotica, romantica), la Rivoluzione scientifica che subordinò la scienza a
sé stessa e non alla teologia ed infine il riscatto della figura dei montanari e dei residenti delle aree
montane (dapprima visti come bestie selvagge, ora sono persone umili, gentili e soprattutto lontane dalla
corruzione e chaos della città, modello di uno stile di vita sano). Lentamente, ma inesorabilmente, persone
di ogni genere per lo più poeti, letterati e filosofi ma anche scienziati cominciarono a visitare questi luoghi
rimasti intoccati dalla modernità: chi si recava in queste aree lo faceva per scalare e osservare la montagna
(per ragioni scientifiche o ludiche). Per questa ragione si diffuse l’alpinismo, il quale fu il precursore del
turismo alpino. Tra il 1760 e il 1865, centinaia di appassionati inglesi si diedero appuntamento ai piedi dei
monti più alti, guidati dallo spirito di avventura e di sfida. La prima meta a essere conquistata fu il Monte
Bianco (1786), a seguire il Cervino (1838-1865). Mentre per gli inglesi l’alpinismo rappresentava un hobby,
uno sport di rischio, per i montanari continentali esso fu più che altro un lavoro, in qualità di guide.
Nacquero, per l’appunto, nel 1857 l’Alpine club inglese, seguito nel 1862 da quello austriaco, nel 1863 da
quello italiano e nel 1869 da quello tedesco. Nel giro di 100 anni, la montagna cambiò la sua immagine, ma
non il suo volto: essa rimase confinata in un angolo, una pratica elitaria di pochi che non definì un grande
impatto turistico principalmente per via della natura delle vette stesse (a meno che non si trattasse di sfide
come il Monte Bianco o il Cervino, molte località videro una diminuzione nell'interesse una volta raggiunta
la cima di una data montagna), la quale tuttavia garantì lo sviluppo di numerose strutture ricettive. Fu
comunque per ospitare gli scalatori che nacquero le prime strutture ricettive: a Chamonix (in Savoia)
nacquero i primi villaggi e strutture alberghiere e si definì come primo centro europeo di alpinismo. Un
primo cambiamento in termini di turisti avvenne quando la clientela si aprì anche ai non sportivi, i quali
andavano alla ricerca di quiete, relax e di aria pura, e salute del corpo da sostituire al soggiorno invernale
sulle coste francesi. Ancora una volta furono gli inglesi a ricercare e portare al successo queste nuove mete
di viaggi curativi e di piacere. Nacquero stabilimenti simili a quelli balneari (stazioni termali, stabilimenti
idrominerali, grand hotel, caffè, …) in molti luoghi, dove tuttavia i più importanti a livello turistico possono
essere rintracciati a Gindelwald, Lucerna ed Interlaken. Fu proprio la Svizzera ad attirare i primi turisti, i
quali, all’inizio, vennero ospitati nelle case private degli abitanti locali. In seguito, ci fu l’apertura delle
prime locande a gestione familiare, seguite dalla costruzione di grandi alberghi e il crescente interesse da
parte dei nascenti tour operator. I frequentatori erano per lo più svizzeri e inglesi, a cui si aggiunsero poi
austriaci e italiani. La stagione d'oro della Svizzera si concluse nel 1873 con la depressione europea che
rallentò i flussi turistici, peggiorata dall'affermazione delle aree balneari francesi. La crisi costrinse gli
svizzeri a rivedere la loro politica turistica, motivo per cui furono applicate forti riduzioni di prezzo,
miglioramenti nelle reti stradali, di comunicazione e di soggiorno a cui si associarono divertimenti più
artificiali per consentire ai futuri turisti di spendere il tempo libero all'insegna dell'intrattenimento
(biblioteche, passeggiate coperte, giardini, sport, ...: alcune di queste strutture erano proprie ai grandi
hotel, mentre i più umili fecero pressione perché fossero edificate strutture simili ma pubbliche). Malgrado
si cercasse di dare una motivazione medica alla visita dell'area montana in inverno, furono gli sport
invernali stessi a decretare il successo di queste mete: il primo sport ad essere praticato in inverno fu il
pattinaggio, seguito dalle corse con le slitte, il curling, l’hockey su ghiaccio e solo per ultimo dallo sci. La
diffusione della villeggiatura montana coincide con la fine del 1800 e l'inizio del 1900, grazie a manovre di
imprenditori dei primi tour operator come Henry Lunn che dal 1892 organizzò soggiorni studio e di
meditazione sulle nevi svizzere o mete come Saint Moritz. Questa non fu meta di pratiche alpinistiche, ed
era già conosciuta durante il Rinascimento come meta di pellegrinaggio e termale, il suo percorso turistico
interrotto a causa di una sfortunata serie di terremoti e inondazioni. Il 1600 consentì a Saint Moritz di
riattraversare una fase di sviluppo in virtù delle sue acque curative senza tuttavia investimenti consistenti
diventando meta di numerosi nobili lombardi che andavano a curarsi nelle terme. Ci fu un’assenza marcata
di strutture ricettive, dove il pernottamento era soddisfatto da privati che affittavano le loro stanze: questa
mancanza di impegno era da imputare agli anziani di Saint Moritz, che ritenevano la pratica del turismo
stagionale dannosa e problematica). La svolta fu rappresentata dalla realizzazione del primo albergo nel
1856 da Johannes Flugi, il quale aveva già realizzato un impianto attorno ai bagni. In questo caso fu
necessario reperire i capitali da influenti famiglie zurighesi. L’albergo aveva una capacità di 400 persone e
presentava vari tipi di intrattenimenti. Il definitivo lancio di St. Moritz è legato a Johannes Badrutt il quale,
nel 1858, ristrutturò una locanda già esistente e la trasformò in un grande albergo di lusso, il Kulm Hotel, il
quale presentava 250 camere dai lussuosi arredamenti, dotate di acqua corrente e bagno privato. La
progressiva costruzione di valore aggiunto consentì l'edificazione di ville private ma anche il richiamo di
turisti d'ogni dove, persino durante il decennio di crisi economica del 1870/1880 dovuta alla grande
depressione dove Saint Moritz continuò la sua espansione, fu ancora più incentivata a costruire nuovi
impianti e attrattive, anche grazie all’intervento economico dell’amministrazione comunale. Questo
sviluppo sapiente e considerato vide i suoi frutti maturare lentamente, nella creazione di una vera e propria
stagione invernale oltre a quella estiva, sebbene con minori presenze. All’inizio del 1900 con il
miglioramento dell'infrastruttura pubblica, gli spostamenti vennero resi migliori, più veloci ed efficienti per
i turisti creazione di ferrovie atte a legare le mete turistiche più importanti ai centri più importanti di
circolazione beni e persone (la cittadina fu collegata alla rete ferroviaria svizzera, tedesca e francese e si
migliorano le vie di comunicazione con la pianura padana) ma anche la comunicazione divenne più rapida
ed efficiente.

L’invenzione di un nuovo prodotto montano: il trionfo dello sci

Comparsi a cavallo fra il 1800 ed il 1900, gli sci sono un mezzo di trasporto preistorico che consentiva un
viaggio veloce verso valle. Utilizzato anche dai vichinghi come testimoniano alcune leggende, si espanse nel
primo del 1900 come forma di intrattenimento. All'inizio l’impatto dello sci fu modesto, ma quando dalla
Norvegia arrivano i primi istruttori le cose cambiarono e la sua forza si fece sentire nel periodo fra le due
guerre intensificandosi poi fra il 1950 ed il 1960 con le prime grandi stazioni sciistiche. La primogenitura di
tale modello spetta all’Italia, dove, negli anni ’20, non lontano da Torino, venne inventato il Sestriere, il
quale in origine era una semplice vallata vergine dove tra 1914 e 1921 era sorto un piccolo albergo. Agli
albori della sua vita, Sestriere non aveva nemmeno un nome e consisteva in un albergo che iniziò a
rimanere aperto anche in inverno: la zona cominciò ad essere oggetto di numerose campagne informative
pubblicitarie per la valorizzazione turistica, acquisizione di terreni. Nel 1930 su quest’area la famiglia Agnelli
promosse un vasto progetto di valorizzazione turistica nel creare mezzi di trasporto, migliorare la viabilità e
la comunicazione e tra 1931-32 la stazione sciistica si concretizzò con l’inaugurazione della funivia, di un
trampolino per il salto, di un ristorante turistico e di due grandi alberghi a torre, il “Principi di Piemonte” e
la “Torre di Sestrieres”, fino al 1934 quando venne dotata persino del riconoscimento di autorità comunale.
Il secondo esempio di località completamente inventata viene dalla Francia (più precisamente dall’Alta
Savoia) che già da tempo si interrogava sulla creazione e lo sviluppo di mete sciistiche di zone arretrate. La
Seconda Grande Guerra causò un accantonamento del progetto, fino al 1946 quando il consiglio municipale
di Courchevel autorizzò la creazione di una nuova stazione sciistica sul plateau des Tovets in accordo ai
piani di sviluppo, ricostruzione e modernizzazione della Francia post-bellica. In quattro anni fu creato un
nucleo urbano completamente nuovo e nel 1950-51 il villaggio prese forma con la creazione di quartieri
commerciali, grandi alberghi, chalet individuali, pensioni, una chiesa e numerose piste da sci. Ad essa si
associa Nuova Tignes: dopo la nazionalizzazione dell'industria elettrica, la società pubblica francese
propone il piano per una diga che sommergerà la Vecchia Tignes. Il piano viene approvato e di nuovo un
nucleo di professionisti si pone l'obbiettivo di edificare una nuova cittadina, la Nuova Tignes, alla quale
viene immediatamente impressa una forza turistica. La scomparsa della Vecchia Tignes nel 1952 porta i suoi
abitanti a trasferirsi sulle rive di un lago poco distante, avviando lo sfruttamento turistico nell'area che
sboccerà solamente tra il 1956 ed il 1958. Sono creati impianti di risalita, stazioni sciistiche, imprese per
l'impiego del tempo libero, hotel di lusso, negozi e moltissime altre attività commerciali. Il successo arriverà
solo nel 1960/1970. Analogamente all'esperienza Sestriere, Tignes e Courchevel, gli USA cercano di creare
le loro mete sciistiche, mete che abbiano un gusto alpino: si avvia una lunga ma ponderata ricerca delle
mete più adatte, portando alla creazione della Sun Valley e Aspen. L’inventore della Sun Valley fu Harriman,
il quale intravide nella creazione di una località turistica lungo la propria rete ferroviaria una nuova fonte di
profitto. Venne così individuata un’area, nello stato dell’Idaho, all’epoca senza prospettive economiche,
con pendii e una struttura che ricordavano le Alpi. Venne poi creato il nome di “Sun Valley” e venne
orchestrata una costosissima campagna pubblicitaria in virtù della quale una deserta e sconosciuta vallata
conquistò l’attenzione di tutti i giornali regionali. La notte di Capodanno del 1936 si inaugurò la prima
stagione sciistica di Sun Valley, nonché del suo primo lussuoso albergo. Dopo la seconda guerra mondiale la
località entrò in una fase di stagnazione, dalla quale uscì grazie all’intervento di una società, la Janss
company, che acquisì le strutture esistenti e lanciò un programma di ammodernamento degli alberghi.
L'urbanistica di Sun Valley cambiò al fine di attirare la domanda ed evocare l'immaginario della meta
sciistica ideale, ma sarebbe stata Aspen a detenere il titolo di Regina del Turismo Invernale. Nata nel 1879
come città mineraria, il suo numero di abitanti non superava i 700. Il primo tentativo di lanciare la città
come stazione sciistica risale al 1936 con la costituzione della Higland Bavarian Corporation da parte di
Flynn, e nello stesso anno si aprì la prima stagione sciistica con una sola struttura ricettiva e slittovia. L'inizio
fu modesto, ma tanto bastò per coinvolgere anche il governo federale: furono creati rifugi, clubhouse, piste
sciistiche nuove, nuove attività commerciali. Lo sviluppo fu arrestato momentaneamente dalla Seconda
Grande Guerra, ma riprese con la collaborazione della Decima Divisione Montana dell'Esercito degli Stati
Uniti d'America. Anche un ricco uomo d’affari di Chicago, Paepcke, cominciò a interessarsi a questa località,
tanto che nel 1945 acquistò la slittovia e lanciò un evento legato alla discesa libera, oltre ad aprire una
scuola di sci. Nel 1946 nacque la Aspen Skiing Corporation e nel 1950 Aspen venne scelta come sede per i
campionati del mondo. Nel corso degli anni ’50 vennero costruiti altri tre impianti di risalita e altre piste.
Infine nacquero anche molte associazioni culturali grazie alle quali si creò un connubio cultura-sci che rese
Aspen famosa in tutti gli Stati Uniti, tanto da diventare la località preferita della famiglia Kennedy.

CAPITOLO 4 → IL SECONDO DOPOGUERRA: DAL TURISMO DI MASSA AL TURISMO POSTMODERNO

La seconda metà del Novecento è una delle epoche più feconde per il settore turistico a causa della
diffusione delle vacanze e dei viaggi presso strati sempre più ampi della popolazione. Gli anni che seguono il
secondo conflitto mondiale sono quelli che vedono la nascita del turismo di massa. A partire dagli anni ’80,
invece, i comportamenti dei turisti si avviano verso una nuova trasformazione che verrà poi definita epoca
del turismo postmoderno.

La nascita del turismo di massa

Alla vigilia della Prima Grande Guerra, tutte le principali forme di turismo erano già state introdotte e si
erano modificate, maturando, radicandosi nel tessuto societario dell'era moderna. La conquista del tempo
libero, l'aumento del reddito e le mutazioni socioculturali che attraversarono le società mondiali ci
riportano ad una nuova dimensione fatta di innumerevoli possibilità che tuttavia solo negli USA ha assunto
un connotato massificato, almeno all'inizio. Essenzialmente ciò è dovuto ad una serie di fattori: gli Stati
Uniti, benché considerati come un insieme unico, in realtà sono un conglomerato di stati fortemente
eterogenei tra di loro (per leggi, estensione geografica, densità demografica, ricchezza pro-capite) che si
sono accordati per lo sviluppo turistico; in secondo luogo, il turismo internazionale al di fuori degli USA, ha
incontrato alcune resistenze; in terzo luogo, le guerre da localizzate divengono mondiali in ben due
occasioni quando si esce dagli Stati Uniti, e questo contribuisce alla nascita di alcuni sistemi di diffidenza
che difficilmente riusciranno ad elidersi dalla scena politica e sociale; in quarto luogo, si parla della
sproporzione economica degli stati globali a seguito del Secondo Grande Conflitto (parliamo
dell'affermazione delle super-potenze ma anche dei paesi meno fortunati di cui solo una parte riuscirà ad
avviarsi verso la strada della progressione). Nella seconda metà del 900 venne così riorganizzata una forma
di convivenza fra stati nazionali europei che permise una generale stabilità internazionale e allo stesso
tempo fu il periodo d’oro della crescita economica dei maggiori paesi industrializzati (Europa, Usa e
Giappone). Almeno una parte dei paesi arretrati riuscì in qualche modo ad avviare un processo di catching
up nei confronti dei paesi ricchi e di conseguenza si creò un terreno propizio allo sviluppo sia dell’offerta sia
della domanda di servizi turistici. Fra 1960 e 2008 sono emerse due importanti tendenze: si è confermata la
leadership dell’Europa e c’è stata la comparsa di nuovi competitori. Il grande numero di flussi turistici
quindi ci porta al turismo di massa, che a sua volta porta con sé grandi trasformazioni qualitative e
quantitative sul tipo di servizi resi, il grado di complessità raggiunto e diventa oggetto di studio di molti
campi dell'economia e della sociologia ed antropologia. La vacanza non solo è un prodotto eterogeneo di
servizi fornito da differenti attori, ma è anche un bene di prima necessità nelle sue caratteristiche
intrinseche più basilari ed è oltretutto anche un rito sociale (e come ogni rito sociale, chi non vi partecipa
può sentirsi escluso e/o emarginato o essere emarginato/escluso). I sociologi e gli economisti
contribuiscono a fornire due interpretazioni discordanti in merito la nascita del turismo di massa e le sue
modalità:

• Interpretazione dei Sociologi→ il turismo massificato viene posto in una dimensione critica che
interpreta l'agire umano come segno di decadenza della società moderna e dei suoi riti consolidati.
Il turismo è descritto come desiderio di fuga dalla civiltà e dal mondo moderno, senza che sia
presente spirito di avventura (motivo per cui la meta viene domesticizzata al fine di ridurre pericoli
o scomodità, anche se paradossalmente esiste chi vuole un esperienza autentica a patto che siano
presenti questi fattori di sicurezza). Tuttavia è anche un esperienza che allontana le consuetudini
della vita e ribalta l'ordine “naturale” delle cose ponendo priorità all'ozio e non al lavoro, in cui ci si
prende cura di sé stessi e non delle cose (forte rifiuto di norme e consuetudini accettate al di fuori
di quel contesto). Il protagonista era il ceto medio che ricalcava gli itinerari dell’aristocrazia,
compiendo però un’operazione di riduzione per renderli adeguati sia al proprio livello culturale sia
alla propria capacità di spesa.
• Interpretazione degli Economisti→ è la valutazione dell'aspetto economico e del processo di
produzione/erogazione che interessa questa branca. Il turismo diviene di massa quando l'offerta si
standardizza e viene gestita da un numero limitato di imprese (le quali pongono una sorta di
controllo sul mercato per lo sviluppo di nuove destinazioni e attrazioni, di fatto organizzando e
gestendo anche la domanda), sfruttando così l'economia di scala.

L'approccio sociologico ci insegna che il turismo di massa nasce negli USA ed in Europa a cavallo tra la Prima
e la Seconda Grande Guerra, mentre gli economisti spostano questo momento nel 1950: entrambi
concordano comunque che il periodo di maggiore crescita del fenomeno è stato a seguito del Secondo
Dopoguerra.

L’epoca dell’automobile e dei voli charter

Alla diffusione del turismo di massa ha contribuito la trasformazione del settore dei trasporti. Come il treno
era stato l’emblema del turismo dell’Ottocento, l’automobile e l’aereo divennero simbolo delle vacanze di
massa. L'automobile fu protagonista della diffusione del turismo nazionale, ma, tra tutti i mezzi di
trasporto, il più rivoluzionario fu proprio l'aereo che rese possibile la visita e l'aggiunta di mete esotiche alla
cartina turistica (mete come le isole tropicali o il continente africano). Ciò fu principalmente grazie a
sensibili riduzioni di prezzi, aumento di comfort e velocità, innovazioni tecnologiche e relativo aumento
della domanda irregolare (o charter). La storia dei voli regolari e charter va praticamente di pari passo,
tanto che la Thomas Cook and son Ltd, organizzò un viaggio turistico noleggiando i posti aerei già nel 1927,
mentre negli anni ’30 si diffuse l’impiego di piccoli velivoli riadattati al trasporto di beni, posta e/o piccole
quantità di passeggeri, con la differenza che i voli regolari sono soggetti a una disciplina più ferrea sul
regime economico dei prezzi e un accesso rapido alle nuove tecnologie e velivoli sviluppati, mentre i voli
charter sono soggetti ad una disciplina meno ferrea sul regime economico dei prezzi (in base agli stati e alle
leggi vigenti in merito) ma dispongono di un accesso più lento alle nuove tecnologie e velivoli. Il secondo
conflitto mondiale aveva lasciato in eredità molti aerei militari facilmente convertibili a uso civile e a un
numero elevato di piloti. Nacquero numerose società di volo pressoché ovunque, tranne in Italia (dove il
numero di imprese di trasporti aerei è inferiore, in quanto più paese di destinazione che di partenza). Le
compagnie più importanti hanno sede nei paesi origine dei flussi turistici ma questa è una considerazione
valida se si escludono esempi come la Spagna, la quale è destinazione principalmente (essa costruì parte
del suo successo economico sulle modalità di trasporto aereo). La trasformazione più importante fu la
diffusione di aerei sempre più grandi che, consentivano un costo unitario per passeggero molto più basso, e
richiedevano un maggiore esborso finanziario per il noleggio. Le compagnie maggiori iniziarono a emergere
e a dominare il mercato dei pacchetti vacanze. Nel 1975 le principali compagnie di volo erano la Dan-Air
(UK), la Britannia (UK), la Sterling (Danimarca), la Condor (Germania) e la Spantax (Spagna). In quegli anni i
pacchetti turistici comprensivi di trasferimento in aereo divennero il nuovo fattore di espansione della
domanda turistica. La forte crescita dei charter trova conferma nel fatto che negli anni ’70 essi avevano
superato i voli di linea nel traffico intraeuropeo. La principale direttrice dei voli charter è quella nord-sud,
cioè dalla Gran Bretagna ed Europa continentale verso il Mediterraneo.

L’emergere del turismo postmoderno

Gli ultimi venti anni del Novecento sono stati segnati da profondi cambiamenti nella composizione del
prodotto turistico e nel rapporto fra turista e destinazione, tanto che venne coniato il termine di “turismo
postmoderno”. Con questo termine si indica l’affermazione di approcci che rifiutano sia il razionalismo
dell’epoca precedente sia le grandi costruzioni teoriche da esso derivate. Le parole chiave sono
decostruzione, relativismo, soggettività e scetticismo. Non sorprende che la costruzione del prodotto
turistico sia stata profondamente influenzata dal nuovo contesto culturale. Due grandi trasformazioni
hanno costituito il background per il passaggio da turismo di massa a turismo postmoderno: il superamento
del concetto di vacanza come evasione delle abitudini e dalla regolarità della vita quotidiana (il
cambiamento socioculturale ha reso il tempo un bene di prima necessità che si differenzia da persona a
persona per le modalità di impiego, un impiego che viene riservato a esperienze nuove che possano
arricchire la persone) e l’affermarsi di una visione poliedrica del turista che ne mette in luce la diversità
culturale, sociale e relazionale. Questi mutamenti possono essere ricondotti ad una serie di fattori
fondamentali: Il primo di tali mutamenti va ricollegato all’evoluzione dei contesti urbani e del rapporto fra i
residenti e la città verificatisi negli ultimi 30 anni del Novecento. La dicotomia fra la città residenziale e
quella di villeggiatura risalente all’epoca della rivoluzione industriale si rafforzò nel corso del Novecento per
effetto della specializzazione funzionale dei centri urbani. Tuttavia negli anni Sessanta e Settanta profondi
cambiamenti nell’economia e nella cultura cominciarono ad alterare tali specializzazioni: il maggiore
benessere e una diversa concezione della qualità della vita imposero la riqualificazione delle città
industriali; secondariamente l’avvio di un lungo processo di deindustrializzazione generò gravi problemi di
riconversione delle attività economiche. Le amministrazioni locali passarono da una visione dell’intervento
pubblico incentrato sulla fornitura delle infrastrutture di base a uno proactive, finalizzato a creare e a
comporre il prodotto turistico vero e proprio, cercano pertanto di promuovere il territorio e si rendono
protagoniste, in forza del know how ricevuto dalle sperimentazioni americane, le quali cominciarono a
investire nel place marketing: le amministrazioni locali da semplici gestori delle risorse assunsero
connotazioni quasi imprenditoriali di creatrici di nuove immagini e prodotti.
Per quanto riguarda l’Italia essa ha subito una serie di processi di recupero urbanistico delle aree centrali
che gettò poi le basi per lo sfruttamento turistico periferico (periferizzazione), dove giocano un ruolo
fondamentale la stagionalità dei flussi e il profondo cambiamento nel modo di vivere l’estate in città. La
nuova attenzione al valore culturale e artistico dei centri storici emerse negli anni ’70 e l’introduzione di
spettacoli di vario tipo, di mostre e appuntamenti culturali, cambiò il volto delle serate cittadine. La
diffusione del turismo e la sua maturazione in postmoderno ha inoltre consentito la quotidianizzazione
delle attività considerate in precedenza esclusivamente turistiche (interventi culturali presso musei, piscine
e bagni pubblici, …), ma non sarebbe stato possibile senza l'aumento reddituale delle famiglie e l'aumento
sensibile e costante delle spese delle amministrazioni. Al giorno d'oggi, quindi, qualsiasi città che sia dotata
di mezzi, strumenti e capitale necessario è in grado di elaborare una propria vocazione turistica e di
proporla secondo specifiche strategie di marketing. Il secondo mutamento è collegato all’emergere di una
diversa sensibilità sia da parte degli studiosi sia dei consumatori di servizi turistici, che si potrebbe definire
“riscoperta della soggettività”. Per creare tale condizione fu necessario dirigersi verso la ricerca della
differenziazione del prodotto spinta sino al limite estremo della personalizzazione (il turista decostruisce,
elabora e riassembla la vacanza, costituita di pacchetti standardizzati e personalizzazioni opzionali, in modo
da vantare un’esperienza unica). Ecco che cominciarono a nascere i percorsi letterari, le strade del vino, i
pacchetti benessere, i sentieri della natura e le associazioni enogastronomiche e gli itinerari urbani per
ricostruire e promuovere storia, identità e cultura.

Dai voli charter ai low cost

Se i voli charter rappresentano l'emblema del turismo di massa, quelli low cost sono invece l'espressione
massima del turismo postmoderno, i quali resero possibili gli short-track: viaggi brevi verso destinazioni
lontane in grado di comprimere i propri prezzi mediante una serie di accorgimenti come biglietti
acquistabili solo via internet, utilizzo di aeroporti secondari, nessun servizio gratuito a bordo, solo tratte
inferiori a 800 km, un solo tipo di aereo (Boeing 737 o Airbus 320) per ridurre i costi di formazione dei piloti.
Il punto di forza di queste compagnie low cost è anche la possibilità di essere accessibili non solo alla classe
media ma anche più bassa. La nascita di tali compagnie è da imputare alle operazioni di deregulation
avviate già negli stati uniti nel 1970, anche se si possono rintracciare le basi già nella Southwest Pacific
AirLines nel 1949: le procedure di deregulation resero illegali accordi presi tra stati e compagnie per la
creazione di tariffe specifiche. In Europa i presupposti per lo sviluppo di questo tipo di vettori si crearono
dopo il 1987, quando il sistema della regolamentazione del traffico aereo venne rivisto arrivando quindi alla
necessità di accordi standardizzati per l'intera Europa e ovviamente alla ristrutturazione dell'intero sistema
aziendale in una modalità simile alla Southwest Pacific AirLines. Una delle prime compagnie ad adottare
questa formula fu l’irlandese Ryan Air nel 1992, seguita da EasyJet e Air Berlin. Il successo del low cost ha
consentito l'affermarsi di nuove mete turistiche, il riposizionamento o la riscoperta di altre rimaste tagliate
fuori dal circuito charter.

CAPITOLO 5→ IL TURISMO NEL MONDO

La centralità del Mediterraneo nel turismo novecentesco

Il turismo moderno fu un’invenzione europea che venne poi imitata negli altri continenti. Sia nell’Ottocento
che nel Novecento, l’Europa conservò il suo primato nell’invenzione di prodotti e nelle quote di mercato
internazionali. Se nell’Ottocento il paese di riferimento era stato il Regno Unito, nel Novecento la regione
più interessante divenne il Mediterraneo. La sua capacità di attrarre turisti fece sì che l’attività turistica
avesse un grande impatto sullo sviluppo economico dei paesi che vi si affacciano. La sua capacità di attrarre
turisti fece sì che l’attività turistica avesse un grande impatto sullo sviluppo economico dei paesi che vi si
affacciano. Questa grandissima forza motrice ed economica è da imputare principalmente a stati come
Francia, Italia, Spagna e Grecia, i quali da soli (grazie al Mediterraneo) sono in grado di attirare quasi la
metà dei capitali turistici che vengono spesi nell'area europea. Paesi come Francia ed Italia godono di
un'antica tradizione turistica e se a ciò associamo anche il Grand Tour ecco che ci ritroviamo un quadro di
grandissima importanza non solo culturale ma anche sociologica ed economica.

➢ Francia→ una prevale su tutte le altre, principalmente per via della sua lungimiranza in fatto di
manovre di valorizzazione del territorio, dell'ambiente, della cultura e dell'enogastronomia. La
Francia, infatti, riuscì a dominare per un buon lasso di tempo la domanda turistica mediante offerte
molto allettanti, salvo poi farsi superare dall'Italia nel 1960. Questo sorpasso fece comprendere alla
Francia che dovevano essere prese nuove manovre in modo da anticipare cambiamenti che
altrimenti avrebbero reso la sua rilevanza marginale rispetto il panorama mondiale.
➢ Spagna→ prima della sua affermazione come meta turistica, la Spagna era uno stato molto
arretrato. L'industrializzazione era scarsa, il complesso di infrastrutture stradali datato, le attività
ricettive poche ed inadeguate a gestire la domanda turistica più altolocata, la rete ferroviaria era
purtroppo blanda e poco efficiente (sebbene fosse essenziale per un corretto sviluppo turistico) e
l'unico tipo di affermazione di luoghi turistici poteva essere riscontrato in poche aree come Malaga
o San Sebastiàn. La nazione, inoltre, era rimasta tagliata fuori dal circuito del Grand Tour
(principalmente per via della percezione della classe reale e nobiliare dell'epoca, ritenuta troppo
austera per il turismo) e il turismo interno non era particolarmente sviluppato. Le cose
cominciarono a cambiare con l'avvento della Prima Guerra Mondiale: la Spagna non aveva
partecipato al conflitto, ed i tour operator di allora avevano proposto questa destinazione come
isola felice e di pace. La lenta crescita turistica della Spagna pertanto non risentì del conflitto, e
divenne sede di un tranquillo turismo della classe media e di artisti vari. Le cose cominciarono a
cambiare con l'arrivo della dittatura del generale Primo de Rivera, che si impegnò invece a
riadattare il complesso statale spagnolo in modo da renderlo pronto ad accogliere il settore
turistico come motore dello sviluppo. Anche la seconda repubblica continuò a sostenere il settore,
ma l’instabilità dovuta alla guerra civile e alla seconda guerra mondiale, furono all’origine di una
lunga contrazione degli arrivi di turisti stranieri. Ben presto, centri anche già noti come San
Sebastiàn sono in grado di attirare clientela estera anche in funzione del fascino e dell'immaginario
che si era formato attorno a queste mete, mete che spesso e volentieri mutuavano il complesso di
opere turistiche direttamente dalla vicina Francia, impegnandosi tuttavia a fornire servizi
decisamente più economici rispetto che quelli erogati dalla Costa Azzurra. La proibizione del gioco
d'azzardo da parte di Rivera non fermò l'espansione turistica. La svolta nella storia turistica della
Spagna viene individuata nel Piano di stabilizzazione del 1959, che segnò la fine della politica
autarchica e l’avvio dell’incentivazione per favorire gli investimenti privati sia nazionali che
stranieri, tuttavia coincisero anche con una serie di sfruttamenti non particolarmente legali di zone
che finirono con l'essere sfruttate oltre il limite tollerabile causando danni ambientali rovinando il
patrimonio naturale alla base dell'attrazione di alcune mete turistiche, sebbene ciò fu parzialmente
arginato anche con l'affermazione di numerosi voli charter in queste zone, per non parlare poi della
susseguente diffusione di servizi e scoperta/nascita di nuove mete turistiche con l'affermarsi
dell'automobile come mezzo di trasporto.. La Spagna è il classico esempio di località nel quale il
turismo è stato un “engine of growth” poiché dagli anni ’60 in poi le entrate turistiche hanno
rappresentato una quota elevatissima dell’attivo della bilancia commerciale e hanno finanziato la
crescente importazione di beni strumentali. Negli anni ’80 cominciò un processo di decadimento, il
quale venne risolto tramite una riqualificazione del turismo balneare e all’incentivazione del
turismo urbano, investendo su nuove mete turistiche più adatte ad attrarre l’attenzione di
viaggiatori post-moderni. Ad esempio Bilbao riuscì a lanciarsi fra le grandi mete turistiche urbane
europee grazie a un progetto privato che fu quasi interamente finanziato dal governo basco (nel
1997 venne costruito il Guggenheim Museum di arte contemporanea). Barcellona invece, dopo
essere stata per molti anni meta del turismo di affari, negli anni ’90 seppe darsi una forte identità
turistica attraverso l’investimento nel turismo culturale e giovanile.
➢ Grecia→ iniziò ad attirare turisti stranieri a partire dagli anni ’70. In quegli anni i flussi turistici erano
prevalentemente verso Atene e verso le tre grandi isole Corfù, Rodi e Creta. Lo sviluppo turistico
della Grecia fu guidato dai tour operator. La stragrande maggioranza dei turisti dell'area erano per
lo più stranieri: il turismo interno non era molto sviluppato e soprattutto non poteva sperare di
accedere ai dispendiosi servizi che erano invece erogati in via praticamente esclusiva ai ricchi
frequentatori, preferendo soluzioni alternative quali le camere in affitto o le seconde case. A
partire dal 1950 cominciarono una serie di riqualificazioni turistiche volte a promuovere il turismo
internazionale greco ma anche quello interno, con un aumento delle manovre con l'instaurazione
del regime dittatoriale. Con la costituzione del governo dittatoriale nel 1967 la promozione del
turismo acquisì una maggiore importanza perché divenne il modo di costruirsi una rispettabilità
internazionale. Ci fu anche un aumento degli investimenti pubblici in infrastrutture e
sull’incentivazione dell’iniziativa privata, anche straniera, attraverso agevolazioni fiscali. Una volta
caduta la dittatura vennero lanciati i piani quinquennali per lo sviluppo turistico, incentrati
sull’incentivazione degli investimenti locali e delle strutture ricettive di piccola dimensione.
Senz'altro le manovre hanno avuto effetto, ma al costo di moltissime problematiche a livello
ambientale ed economico (i turisti stranieri spendono poco in servizi greci e pertanto non vi è un
consistente apporto di capitale estero). Per quanto riguarda il turismo culturale, a esso fu sempre
prestata poca attenzione perché lo si riteneva in grado di attrarre solo flussi nazionali e
internazionali anche senza una mirata politica turistica, sia perché la sua valorizzazione implicava
fortissimi investimenti per la qualità urbana e per la realizzazione di infrastrutture almeno della
città più importante, Atene. Cominciò ad espandersi solo dal 2004.

Seychelles e Maldive: le isole del successo fra integrazione e isolamento

Le piccole isole hanno spesso ottenuto successo e sono riuscite a fare del turismo un vero e proprio “engine
of growth” a dispetto dell’instabilità politica e della diversità esistente sul piano sia culturale che economico
fra turisti e residenti. In particolare ci concentriamo su due casi: le Seychelles in Africa e le Maldive in Asia.
Si tratta di due realtà che non avevano alcuna tradizione col turismo e nelle quali questa attività economica
è arrivata sia per opera di tour operator intraprendenti sia grazie a un’attenta politica di sviluppo messa in
atto dai rispettivi governi. Entrambe hanno avviato lo sfruttamento economico nello stesso periodo, ma,
mentre per le Seychelles l’integrazione fra visitatori e abitanti è stata la chiave del successo turistico, nelle
Maldive il governo ha preferito realizzare una sorta di enclave in modo da limitare i contatti tra turisti e
residenti.
Maldive → l’arcipelago comprende 1190 isole di cui solamente 204 disabitate e conta meno di 200mila
abitanti. È stato sempre politicamente autonomo tranne in un breve periodo di 15 anni nel quale fu sotto il
dominio portoghese. Nel 1887 accettò di diventare protettorato inglese, ma conservò il controllo completo
sugli affari interni. La popolazione è di religione musulmana. L’economia dell’arcipelago è sempre stata
collegata al mare e il settore dei trasporti e la pesca hanno sempre avuto un ruolo centrale. Negli anni ’70 il
turismo mosse i primi passi: nel 1972 venne realizzata la prima stazione balneare e a partire dal 1978 sono
diventati sempre più importanti gli investimenti dei tour operator europei (italiani e tedeschi). Nel 1981
venne completato l’aeroporto di Male in modo da consentire l’arrivo diretto dei voli charter dall’Europa.
Inoltre vennero selezionate alcune piccole isole disabitate e concesse agli investitori perché le
trasformassero in stazioni balneari. Fra le isole abitate solo Male venne dotata di alcuni alberghi. La scelta
fu quindi quella di sviluppare una netta separazione fra residenti e turisti. Il rovescio della medaglia è che i
grandi investimenti, spesso finanziati dal governo, la moderna rete di infrastrutture aeree e i tanti servizi
predisposti per i turisti, sono inaccessibili alla popolazione locale. Seychelles → arcipelago di 94 isole
nell’Oceano Indiano, con circa 70mila abitanti. L’inizio del turismo moderno risale all’apertura
dell’aeroporto internazionale di Mahé nel 1971; nel giro di un anno la nuova infrastruttura permise di
passare da 3 a 15mila arrivi turistici all’anno, segnando l’avvio di un lungo periodo di crescita. Negli anni ’90
il turismo aveva una posizione di primo piano nell’economia e partecipava per il 50% alla formazione del
PIL. Questo fu il risultato di un approccio positivo da parte della popolazione nei confronti dell’attività
turistica. Gli abitanti delle Seychelles fanno parte di un vero e proprio “cocktail etnico”. All’epoca della loro
scoperta queste isole erano disabitate, in seguito, nel Settecento, si insediarono i francesi che portarono i
loro schiavi africani, successivamente arrivarono gli indiani e i cinesi e infine gli inglesi. Quello che
caratterizza la popolazione è la tolleranza razziale e l’apertura verso le culture diverse dalla propria. I
contatti con la cultura europea sono continuati nel Novecento e l’economia delle isole è passata dalla
semplice monocoltura di noci di cocco e attività di pesca a un’attività basata fondamentalmente sugli arrivi
turistici. I turisti delle Seychelles non vivono in enclave, ma si possono spostare liberamente e avere
contatti con la popolazione locale. Anche gli stessi servizi offerti ai turisti (acqua potabile, trasporti,
educazione di base e sanità) sono usufruibili dalla stessa popolazione locale. Questo ha evitato la
formazione di quartieri degradati. Infine, il governo ha deliberatamente optato per un turismo di elite e del
ceto medio, evitando quegli insediamenti che avrebbero attratto turisti poco predisposti a spendere. Gli
elementi di debolezza riguardano il fatto che oggi come oggi il turismo è diventato la nuova monocoltura
dell’arcipelago e quindi, se questo entrasse in crisi, il paese tornerebbe povero; inoltre, l’immagine che le
Seychelles hanno creato è quella di vacanza di sole, mare e spiagge e la mancanza di differenziazione è
all’origine della scarsissima fedeltà dei turisti.

CAPITOLO 6→ L’ITALIA: UN PAESE A TURISMO DIFFUSO

L’Italia è un paese con un’antichissima tradizione turistica e nel corso dei secoli è stata attraversata da ogni
tipo di viaggiatori: pellegrini, grandtouristi, aristocratici inglesi e ceto medio tedesco. Questo le ha
permesso di costruire nel tempo un’offerta molto diversificata. Il turismo ha preceduto l’industrializzazione
e ha contribuito al riequilibrio della bilancia dei pagamenti durante il decollo economico. Il turismo termale
e culturale conobbero una rinascita e un primo sviluppo tra medioevo e rinascimento, in anticipo o
contemporaneamente ai paesi più ricchi, mentre invece, il turismo moderno venne importato imitando il
modello della Gran Bretagna molto tardi, nell’Ottocento. Nelle forme già consolidate, come il turismo
culturale, l’Italia conservò il suo primato anche nel periodo della generale crisi tra Seicento e Settecento.

L’Italia dal Grand Tour al turismo culturale

L’Italia è sempre stata una tradizionale meta turistica: all’epoca dei pellegrinaggi non solo Roma, ma anche
località come San Michele sul Gargano e Loreto seppero attirare flussi internazionali. Il Grand Tour non
sarebbe stato concepibile senza un lungo soggiorno nel nostro paese. Il viaggio iniziava a Genova o Torino
per poi toccare Firenze e Siena; il periodo delle festività natalizie e del primo dell’anno si trascorreva a
Roma, subito dopo si partiva per il sud, diretti a Napoli, città che rappresentava il confine meridionale del
viaggio e anche della civiltà. Da qui si iniziava a risalire la penisola diretti all’Emilia e al Veneto. È solamente
dalla seconda metà del Settecento che inizia una rivalutazione dell’Italia meridionale con nuove mete come
la Sicilia, Puglia e Calabria. La scoperta del sud è guidata dall’emergere di tre nuove motivazioni di viaggio
che si diffondono nel periodo romantico: l’amore per il paesaggio, l’interesse antropologico per un popolo
considerato primitivo e la passione per l’archeologia. A metà Ottocento l’intera penisola si era ormai
rivelata ai viaggiatori e anche la parte meridionale era diventata una meta importante.

L’invenzione delle città d’acqua: la falsa partenza del Trecento

Parallelamente ai pellegrinaggi e al Grand Tour si era sviluppato anche il turismo termale, in genere
praticato dagli stessi italiani. Tra 1300 e 1400 si verificò una generale rifioritura del rito termale: personaggi
famosi, artisti e uomini di potere ripresero a frequentare queste località per motivi terapeutici, ma anche
per diletto. La rinascita è ben documentata nell’Italia centrale, grazie alle numerose descrizioni
tramandateci da medici e uomini di lettere. In Toscana avevano un grande splendore le terme di
Montecatini, i bagni di Pisa e di Petriolo; in Emilia Romagna era famosa Porretta; nelle Marche ci si recava
ai bagni di Ascoli mentre in Lazio a Viterbo. Molti cambiamenti sociali e culturali contribuirono alla rinascita
di un’abitudine che non era mai scomparsa del tutto. Quello principale fu la rivalutazione della cura del
corpo, ma anche se le motivazioni di tipo terapeutico predominavano il divertimento divenne presto
importante. La giornata presso le terme era scandita da dettami medici: si faceva una vita piuttosto ritirata
e le giornate trascorrevano fra i frequenti bicchieri d’acqua, i rari bagni e qualche passeggiata, mentre
poche erano le strutture dedicate ai divertimenti. Sia le novelle sia i trattati medici elencavano divertimenti
di tipo agreste, resi possibili dal contesto naturale di queste località piuttosto che dagli investimenti
realizzati. I centri termali italiani del Trecento e Quattrocento anticiparono le città d’acqua inglesi del
Seicento, senza però farsi portatrici di quel modello di specializzazione turistica, di città dei divertimenti che
si affermerà solamente dopo la rivoluzione industriale.

Lo sviluppo del turismo moderno in un paese ritardatario

In Italia la prima forma di turismo moderno fu quella termale, che conobbe il suo massimo sviluppo con un
secolo di ritardo rispetto alle principali località inglesi. Solamente tra la fine dell’Ottocento e la prima
guerra mondiale la villeggiatura alle terme divenne un fenomeno socialmente ed economicamente
importante. Un primo sviluppo si ebbe quando si affermò un modello termale del tutto analogo a quello dei
nuovi centri del loisir che sin dalla prima metà del Seicento avevano cominciato a svilupparsi in Gran
Bretagna e in Europa continentale. Anche in questo caso la triade composta da Grand Hotel, strutture per i
divertimenti e stabilimento termale, divenne il tratto distintivo delle località di successo. L’Italia riuscì a
creare pochissimi centri termali di rinomanza internazionale e in genere prevalse la dimensione regionale. I
tratti comuni alle città che si affermarono come mete di villeggiatura sono:

• amministrazione locale disposta a fare investimenti per dotare la città di strutture ricreative e di un
assetto urbanistico adatto al consumo di tempo libero;
• ceto imprenditoriale locale o straniero disposto a investire;
• stretto legame con l’università in grado di garantire elevati standard qualitativi e adeguato prestigio
alle cure mediche.

Bagni di Pisa: nel 1766 riorganizzarono la struttura termale e ricettiva. Si dispose la bonifica del terreno
circostante, si attrezzò il Palazzo regio con sale da ballo e per il gioco che affiancarono le stanze per la cura
del corpo e vennero aperte botteghe, locande e osterie. I gentiluomini toscani si recavano alle terme per
motivi di salute, ma spesso si portavano dietro tutta la famiglia. Nel Settecento soggiornarono presso le
terme di Pisa i re di Svezia, di Danimarca, di Inghilterra, i Bonaparte e i poeti Shelley, Goethe e Byron.
L’aspetto interessante di questi bagni è che furono un vero e proprio laboratorio sul ruolo dello stato nello
sviluppo turistico e sull’importanza del turismo per l’economia nazionale. Il rilancio dei Bagni di Pisa si
completerà nell’Ottocento con l’affluire di investimenti privati.
Montecatini: iniziò il suo rilancio termale con un certo anticipo rispetto alle altre città italiane, tra 1765 e
1784 per volontà di Pietro Leopoldo. Venne avviato il risanamento delle acque per eliminare il problema
della malaria e la creazione di nuove e più moderne strutture termali, fra cui le famose Terme leopoldine.
Bagni di Lucca: nel corso del Settecento cercò di riproporsi come centro di villeggiatura dopo la crisi del
Seicento. Ci fu la costruzione del teatro. La svolta si ebbe nell’Ottocento quando la cittadina entrò a far
parte del principato napoleonico dei Baciocchi e a seguito delle trasformazioni e degli investimenti, iniziò a
proporsi come centro del loisir abbandonando la vecchia immagine di centro di cura. Nel 1808 con un
decreto si fece obbligo all’impresario che aveva in gestione i bagni di organizzare feste, balli e di non far
mancare nella sala comune i giornali di Francia, Milano e Lucca. Si costruirono poi alberghi per ospitare la
clientela agiata. Nel 1838-39 venne costruito il Regio casinò con sale da gioco, letture, caffè e un vasto
salone per le feste. L’epoca d’oro terminò verso la metà del secolo, prima con la proibizione dei giochi
d’azzardo nel 1853 e poi con la perdita del turismo internazionale nel corso del decennio successivo.
Porretta: rimasta fino al 1797 un feudo dei conti Ranuzzi di Bologna, i quali non si fecero mai sostenitori di
una grande piano di rinascita termale, conobbe il suo maggior successo con la costruzione del teatro, la cui
stagione di prosa e le numerose feste divennero uno dei motivi di massimo richiamo presso il pubblico
bolognese. Per quanto riguarda il complesso termale, le sue strutture di base non furono mai modificate.

Un bilancio alla vigilia della prima guerra mondiale


All’inizio del Novecento il fenomeno turistico era già presente in tutte le sue manifestazioni, soprattutto
nella parte settentrionale del paese: se le terme stavano vivendo il loro periodo d’oro, il turismo balneare
poteva già contare su una clientela affezionata, mentre quello montano muoveva i primi passi. Le ferrovie
avevano fornito un collegamento rapido fra le località. In quest’epoca il turismo era ancora un fenomeno
marcatamente aristocratico e altoborghese sia per i flussi internazionali sia per il turismo locale. Il turismo
nazionale, che stava lentamente crescendo nelle città termali e in alcuni centri balneari e montani, era un
fenomeno di piccole dimensioni ancora. La promozione del settore fu lasciata alla libera iniziativa degli
imprenditori privati, all’operato delle associazioni volontarie e all’impegno delle società ferroviarie. Nel
1907 la società delle Ferrovie dello stato ideò e curò la prima guida regionale italiana ottenendo un
contributo finanziario del Touring Club italiano.
Touring Club → nacque nel 1894 a Milano, esso fu uno dei più strenui promotori del turismo in Italia e con
le sue pubblicazioni contribuì alla valorizzazione sia dei beni culturali sia delle risorse naturali.
Cai → nacque nel 1863 a Torino, la sigla sta per Club Alpino Italiano; inizialmente perseguì fini scientifici e
solo successivamente si interessò dell’attività più specificamente turistico-sportiva. Al Cai va il merito di
aver rivelato la montagna agli italiani.

Turismo termale

La Belle Époque rappresentò il momento di maggior splendore delle località termali italiane, non tanto in
termini di visitatori, quanto per l’immagine di centri di loisir che esse riuscirono ad affermare. Il grande
successo è segnalato anche dalla creazione di stabilimenti termali in località che potevano attirare turisti in
altro modo e che nel corso del secolo seguiranno una diversa specializzazione (Courmayeur, Merano, Riva
del Garda). Nel 1907 sono individuabili una capitale, Montecatini, e diversi centri di eccellenza: San
Pellegrino, Recoaro, Terme euganee, gli stabilimenti napoletani, Santa Cesaria Terme, Livorno. Una delle
località che più di altre può incarnare l’invenzione turistica nel settore termale è Salsomaggiore la quale,
assolutamente priva di tradizioni, nell’arco di 70 anni si trasformò da piccolo villaggio dipendente
dall’estrazione del sale in centro di grande fascino. I fattori che hanno permesso il suo sviluppo furono
sicuramente la vicinanza con Milano, la pubblica amministrazione interventista e il legame con l’università
di Parma. Durante il suo sviluppo termale seguirono anche numerosi interventi pubblici, dai viali ai giardini.
Un’altra area che aveva registrato una forte crescita fu quella di Napoli. L’isola di Ischia attirava 23.000
visitatori, Castellammare 15.000, Pozzuoli 20.000 e Napoli 27.000. Ischia, già meta del Grand Tour, riuscì a
conservare un carattere internazionale. Questa fiorente stagione del turismo si fermò nel 1883 a causa del
terremoto che distrusse gran parte dell’isola.

Turismo montano

A inizio Novecento neanche questa categoria mancava all’appello, nonostante un ritardo di oltre 50 anni
rispetto a Svizzera, Francia e Austria. La prima regione italiana interessata al fenomeno fu la Valle d’Aosta,
la quale partecipò alla grande corsa alle scalate delle Alpi occidentali. I versanti italiani del Monte Bianco,
del Cervino e del Monte Rosa furono tutti scalati pur se con un certo ritardo. Gli anni d’oro dell’alpinismo
italiano vanno dal 1855 al 1885, periodo entro il quale vennero scalate tutte le grandi cime delle Alpi
occidentali. Negli ultimi decenni del secolo l’interesse degli scalatori si spostò verso il versante orientale in
generale e le Dolomiti in particolare. L’alpinismo contribuì a inventare percorsi di viaggio alternativi a quelli
del Grand Tour. Per la prima volta l’attenzione era portata alla montagna, ai suoi sentieri, alle sue cime e ai
suoi ghiacciai. In Valle d’Aosta mancavano però ancora le strade che permettessero ai viaggiatori di
raggiungere la regione e inoltre mancavano le locande e quelle poche presenti (4 o 5) godevano di pessima
fama. Dal 1860 in poi vennero costruiti i primi alberghi dotati dei moderni comfort che ben presto
attrassero un gran numero di visitatori. Questa svolta non fu trainata dalle grandi imprese alpinistiche, ma
dal turismo termale già presentein località come Courmayeur, Pre-Saint-Didier e Saint-Vincent. Il
promotore del turismo termale fu Auguste Argentier, il quale dedicò parte della sua vita a pubblicizzare e a
far conoscere la valle anche all’esterno. Il lancio delle località montane fu in gran parte possibile grazie alla
realizzazione del sistema viario e ferroviario, in particolare dei passi del Sempione, del Moncenisio e del
Monginevro (Alpi Occidentali) e del Brennero (Alpi Orientali); inoltre fu anche la stagione dei trafori
ferroviari: il Frejus aperto nel 1871 e il Gottardo nel 1882. Gli sport invernali si diffusero solo nel Novecento
ed, esattamente nel 1900 a Cortina si svolse la prima gara di sci. La pratica dello sci rimaneva alla portata di
pochi, sia per il costo elevato, sia perché richiedeva molto sforzo fisico per la risalita della montagna.

Il turismo balneare

L’Italia, non avendo sbocchi sui mari del nord, non prestò attenzione alla moda dei bagni di mare finchè essi
vennero associati all’acqua fredda. La penisola italiana si avviò a questo tipo di turismo con la scoperta del
mare d’inverno e successivamente a quella trasformazione culturale, medica e del gusto estetico che
cambiò l’immagine del Mediterraneo in Europa, rivelando le proprietà terapeutiche del sole. Inoltre, gli
ostacoli delle vacanze al mare, in un primo periodo, erano causati dalla malaria, presente in molte zone del
litorale. Nel nostro paese esisteva una certa consuetudine al bagno nei mesi estivi, sia per trovare refrigerio
sia per diletto, ma la pratica spesso non era ben vista dai visitatori stranieri. Solamente all’inizio
dell’Ottocento alcune località cominciarono a realizzare piccoli stabilimenti balneari, utilizzati per lo più dai
residenti nei giorni di festa: Viareggio, Rimini, Livorno, Lido di Venezia, Alghero e Cagliari. La costa ligure
derivò la sua fortuna dalla frequentazione internazionale, soprattutto inglese, e dalla vicinanza con la Costa
Azzurra. Lo sviluppo di Sanremo fu legato all’intraprendenza di alcuni personaggi che riuscirono a inserirla
nei circuiti turistici dell’epoca. Il turismo sanremese fu simile a quello di Nizza: in entrambi i casi gli
investimenti intervennero su un’area economicamente arretrata e dedita all’agricoltura e i turisti tesero a
costruire comunità molto chiuse e a ignorare la popolazione locale. Nacquero vere e proprie colonie
straniere con ville, grandi alberghi, impianti sportivi e si diffusero negozi, agenzie immobiliari e banche. Nel
decennio 1880-1890 ormai il mare d’inverno non era più una cura, ma una vera e propria moda dilagante
tra le élites europee. A contribuire allo sviluppo di Sanremo ci fu anche la realizzazione di una rete adeguata
di comunicazioni e il prolungamento della ferrovia Parigi-Lione-Mediterraneo. Sino allo scoppio della prima
guerra mondiale lo sviluppo del sanremese continuò senza sosta, tanto che i 35 alberghi ospitavano un
numero di turisti superiore alla popolazione locale. La prima località a contare su una clientela quasi
esclusivamente italiana e a basare il suo sviluppo sulle vacanze estive fu Viareggio. Nel 1828 vennero
costruiti i primi stabilimenti balneari, ma solo dopo il 1860 si può parlare di sviluppo vero e proprio. La
località attraeva in particolare l’alta borghesia e la nobiltà toscana. Scendendo verso sud, lungo la costa
tirrenica, si incontrava una sola area interessata dal turismo balneare: la costiera sorrentino-amalfitana.
Capri era un’isola poverissima che aveva visto arrivare il primo straniero, un inglese sofferente di asma, nel
1745. La prima locanda aprì solo nel 1826, mentre fino ad allora l’ospitalità era stata garantita dalle famiglie
ricche. Vennero poi realizzati investimenti per migliorare i collegamenti marittimi con la terraferma. Nel
1905 le presenze erano ben oltre 30mila, costituite soprattutto da tedeschi, i quali avevano sostituito gli
inglesi. All’inizio del Novecento, l’isola era anche diventata una delle mete del turismo sessuale. Sorrento e
Capri si proposero quindi per un turismo essenzialmente invernale e di élite. Per quanto riguarda l’Adriatico
qualche insediamento turistico era presente solo lungo la riviera triestina e nel litorale vicino a Venezia.
Grado era a inizio Novecento una delle spiagge più rinomate dell’impero asburgico. Scendendo verso il
centro si incontrava poi qualche piccola località come Rimini, mentre a sud delle Marche il turismo era
pressoché inesistente.

Il periodo fra le due guerre

In questo periodo cominciò a maturare una maggiore consapevolezza del ruolo che il turismo poteva
svolgere nell’economia nazionale. Nel 1919 venne costituito l’Enit (Ente nazionale delle industrie turistiche)
che rappresentò il primo intervento dello stato. Da una parte il paese accoglieva un flusso considerevole di
turisti stranieri, ma dall’altra il settore non brillava di modernità. L’industria turistica sembrava ancora nella
fase di infanzia. L’Italia doveva organizzarsi rendendo usufruibili le proprie bellezze artistiche e attraenti sul
piano ricreativo le località sulla costa, ma occorreva anche promuovere l’immagine del paese all’estero e
rendere di moda una vacanza nelle sue località balneari o montane. Era dunque necessario un intervento
da parte dello stato. Bisogna considerare che gran parte del ceto medio non era mai andato in vacanza e
poco diffusi erano anche i viaggi per conoscere le regioni italiane. Da questo punto di vista gli anni ’20 e ’30
rappresentarono una svolta perché il ceto medio italiano cominciò ad “andare in ferie” rafforzando la
domanda interna. Lo stesso Enit promosse la creazione di scuole pratiche per il turismo tanto che nel 1928
diverse città italiane potevano vantarne almeno una: Torino, Rapallo, Venezia, Roma, Palermo e Bolzano.
Un altro intervento dell’Enit fu la formazione di un Consorzio italiano per gli uffici di viaggio e turismo con il
compito di associare e coordinare le iniziative di enti, società e ditte coinvolte nell’attività turistica. In un
primo tempo le agenzie appositamente create svolsero tanto i normali compiti quanto l’attività di
promozione e propaganda; nel 1927 si decise invece di conservare solo quest’ultima funzione, mentre le
attività di agenzia furono affidate a una società autonoma, la Cit. Il terzo intervento dell’Enit riguardò
l’avvio delle statistiche sul turismo, grazie alle quali divenne possibile tracciare un quadro generale del
fenomeno nel nostro paese e valutare la consistenza della presenza italiana. Dopo la prima guerra mondiale
la temuta interruzione degli arrivi non si verificò e i turisti tedeschi e austriaci tornarono a costituire il
principale flusso verso l’Italia, seguiti da inglesi e americani. L’attività turistica mostrò un andamento molto
ciclico, in sintonia con quanto avveniva per l’economia nel suo complesso: vi fu un aumento rapidissimo tra
il 1923 e il 1925 che attirò un gran numero di pellegrini; la successiva caduta dovuta alla rivalutazione della
lira e alla recessione; nel 1929 vi fu una seconda ripresa.

Turismo balneare

Negli anni ’30 erano presenti 3 tipologie di offerta:

• le mete del turismo internazionale (costa ligure, costiera amalfitana, Taormina, Lido di Venezia);
• le mete del turismo estivo italiano (costa tirrenica e adriatica);
• le località dove si era sviluppato solo il turismo domenicale dei residenti.

Le località che tra la primavera e l’inverno accoglievano villeggianti da tutta Europa in estate si aprivano al
turismo locale, che negli anni ’20 cominciò a essere piuttosto fiorente. Accanto ai prestigiosi hotel fiorirono
alberghi e pensioni dai prezzi contenuti.

Turismo montano e lacuale

Nel periodo fra le due guerre alcune località cominciarono a contare su un flusso significativo di
appassionati di sci e avviarono la costruzione dei primi impianti di risalita al servizio di piste da discesa. Il
primato spetta a Cortina, seguita poi da Sestriere, e da Breuil. Irrilevante era il flusso nelle località
dell’Appennino. Per quanto riguarda il turismo lacuale, concentrato nella regione dei laghi (Maggiore, di
Varese, di Como, di Iseo e di Garda), nel 1929 rappresentava appena il 4 % delle presenze, ma diverse
località erano molto famose e con una clientela prevalentemente straniera.

Turismo termale

Le terme si proposero sempre più come luogo di cura, mentre l’aspetto ludico e ricreativo passò in secondo
piano. Tre provvedimenti ne segnarono la crescita:

• l’approvazione della legge sull’invalidità che pose in primo piano la concessione delle terapie
idrotermali;
• l’estensione di tale legge riguardo le cure per evitare, eliminare o ritardare uno stato invalidante
(l’Inps cominciò a gestire direttamente gli stabilimenti);
• i contratti di lavoro del ’36-39 che inserirono fra le prestazioni contro le malattie anche l’erogazione
delle cure balneo-termali, prima agli impiegati, poi anche agli operai del comparto industriale.
Le stazioni idrotermali erano numerose, ma di piccole dimensioni, generalmente frequentate da italiani.
Montecatini e Salsomaggiore si confermavano i due centri più importanti. Negli anni ’20 e ’30 il turismo non
era più un fenomeno d’élite e aveva acquisito una maggiore importanza economica. Solo la classe medio-
alta poteva permettersi una vacanza. I motivi che hanno favorito lo sviluppo della domanda interna furono:
il processo di industrializzazione e urbanizzazione; l’attività di promozione dello stato (es. iniziativa dei
“treni popolari” con riduzioni fino al 50% sui viaggi per comitive); la disponibilità del tempo libero.
Complessivamente, rispetto alle dimensioni che assumerà nel secondo dopoguerra, possiamo dire che il
turismo degli anni ’30 si limitò a esprimere le sue potenzialità accogliendo una parte di ceto medio.

L’Italia nell’epoca del turismo di massa: 1950-1990

Tra il 1965 e il 1968 l’Italia superò tutti gli altri paesi europei per entità delle entrate turistiche, piazzandosi
alle spalle solo degli Stati Uniti. I punti di forza furono due: la diversificazione dell’offerta che consentì di
proporre sui mercati internazionali un nuovo tipo di turismo, quello balneare e la rapidità con la quale gli
operatori turistici ripresero la loro attività. Flussi importanti nel nostro paese erano costituiti da tedeschi,
austriaci, francesi, svizzeri, inglesi e statunitensi. La grande novità del secondo dopoguerra fu rappresentata
dalla dimensione dei flussi, non confrontabili con quelli degli anni ’30. Inoltre, negli anni ’50 e ’60 le vacanze
entrarono a far parte delle abitudini delle famiglie italiane, cosicché anche nel nostro paese fu reso
possibile il passaggio da turismo di élite a turismo di massa. Alla fine degli anni ’60 gli italiani che andavano
in vacanza erano di ben tre volte superiori a quelli degli anni ’30. Insieme all’automobile e agli
elettrodomestici, le vacanze divennero uno dei simboli del boom economico. A trarre maggiori benefici
furono le aree delle Dolomiti, l’alto Tirreno, la riviera ligure, la Versilia, l’alto Adriatico e località come
Sorrento e Capri. Al contrario, ampie fasce di mezzogiorno continuarono a incontrare difficoltà a
intercettare questi nuovi flussi turistici. Le imprese di riferimento di questo periodo sono quelle di tipo
famigliare.

Turismo balneare

Dagli anni ’50 agli anni ’70 furono proprio le località balneari a guidare la crescita del settore, attirando
anche gran parte degli stranieri. La forza dell’Italia fu nella sua capacità di creare prima degli altri un livello
minimo di strutture turistiche e di presentarsi sul mercato con un’offerta ricettiva molto diversificata, in
grado di soddisfare le tante fasce di reddito che stavano scoprendo il turismo. Si trattava di sistemazioni
con una dotazione minima di servizi, ricavate da ex ville o palazzi, ma che costituirono l’ossatura della
struttura alberghiera italiana. La crescita continuò sino al 1963-64, quando si registrò la prima contrazione
nelle correnti tedesche e svizzere, in quanto nuove coste si stavano affacciando sul mercato turistico. Si
trattava della Spagna, Jugoslavia, Grecia, Libano e Turchia, le quali intrapresero massicce campagne
promozionali e offrirono prezzi vantaggiosi per i soggiorni. A questo fatto si aggiungeva anche una certa
insoddisfazione da parte dei turisti stranieri per il livello qualitativo degli alberghi italiani. Quindi dalla metà
degli anni ’60 in poi l’Italia iniziò a confrontarsi con pericolosi competitori ai quali fu costretta a cedere
quote crescenti di mercato, pur conservando la posizione di primo piano. La situazione divenne critica negli
anni ’70 quando, a causa della crisi petrolifera, si verificò un forte rallentamento nella crescita degli arrivi di
stranieri in tutto il Mediterraneo. Fu proprio in questo periodo che gli operatori turistici e gli amministratori
pubblici avviarono un lungo e laborioso lavoro di ristrutturazione dell’offerta alberghiera, caratterizzato
dalla diminuzione del numero degli esercizi, dall’aumento della loro dimensione media e dal miglioramento
del livello qualitativo. Dagli anni ’80 in poi si intensificò l’associazionismo, cioè lo sviluppo di aggregazioni
volontarie con varie configurazioni e funzioni. Si cercò di allargare l’offerta dei servizi: il mare e il sole
vennero affiancati da locali da ballo, sale da gioco, cinema, teatri, attività sportive sia sulle spiagge sia in
strutture dedicate.

Turismo montano
La montagna ha conosciuto una notevole crescita che le ha permesso di conservare le posizioni acquisite
nel periodo fra le due guerre anche grazie al successo del turismo invernale. Tutte le località sciistiche
investirono in impianti di risalita sempre più confortevoli. La crescita del turismo montano estivo, ma
soprattutto invernale, stimolò la concentrazione di grandi investimenti in queste aree, per creare strutture
ricettive adeguate: in un primo tempo si trattò di alberghi, in seguito si passò alle seconde case. Il
fenomeno è particolarmente diffuso in Valle d’Aosta, ma ha raggiunto una certa diffusione anche in
Trentino.

Turismo culturale

È la forma di turismo che ha conosciuto una crescita più lenta. Il lento recupero cominciò negli anni ’80
quando, a fronte della perdita di presenze straniere registrata nelle località balneari, sia lo stato sia gli
investitori privati rivolsero l’attenzione alle città d’arte e al patrimonio culturale italiano.

L’Italia di fronte alle sfide del turismo postmoderno: 1993-2008

Negli ultimi 15 anni la perdita di quote di mercato internazionale è stata senza soluzione di continuità: essa
oggi si colloca stabilmente al quarto posto nella graduatoria internazionale delle entrate turistiche. Tale
perdita di competitività è espressa insieme a quello che viene definito il passaggio dal turismo di massa a
quello postmoderno: l’emergere di un nuovo modello organizzativo nel settore dei trasporti aerei che ha
portato all’affermazione dei voli low cost e l’emergere di nuove destinazioni. I punti di debolezza individuati
della proposta italiana sono:

➢ il rapporto qualità/prezzo;
➢ la mancata costruzione di nuovi prodotti nel segmento del turismo culturale
➢ un’insufficiente qualità urbana;
➢ reti infrastrutturali inadeguate;
➢ un livello di investimenti pubblici e privati inferiore a quello dei principali competitors.

CAPITOLO 7→ MODELLI DI SVILUPPO E PROFILI REGIONALI DEL TURISMO IN ITALIA

Il turismo delle regioni

Le località che per prime si sono proposte per il turismo balneare hanno valorizzato il mare nei mesi
invernali (Liguria) o la vicinanza con centri culturale di grande attrazione (Lido di Venezia); dove invece non
era presente nessuna di tali condizioni lo sviluppo del turismo balneare è cominciato più tardi, sfruttando la
nuova moda del sole e dell’abbronzatura (Emilia Romagna, Toscana, Marche e Veneto). Le località alpine
hanno atteso che si diffondesse l’amore per la montagna (Trentino, Valle d’Aosta, Veneto); mentre dove
invece la montagna non aveva caratteristiche di innevamento, l’opportunità è arrivata dalla creazione di
parchi nazionali (Abruzzo). Per il settore turistico si deve parlare di sviluppo diseguale: la forte crescita che
ha caratterizzato gli anni del secondo dopoguerra si è concentrata in particolari aree del paese e le regioni
complessivamente più arretrate sul piano economico hanno trovato difficoltà a proporsi come mete di
villeggiatura. Le regioni caratterizzate dal tasso di crescita più elevato sono state Sardegna, Trentino e
Umbria. Nel complesso, il boom turistico del secondo dopoguerra ha in primo luogo rafforzato le regioni
tradizionalmente impegnate in questa attività e solo in pochi casi offerto un’opportunità di sviluppo alle
zone più povere. È possibile riscontrare una relazione inversa tra turismo e industria per le regioni a più
antica industrializzazione, come Piemonte e Lombardia, nelle quali il consolidamento del tessuto industriale
ha offuscato gli altri settori, tra cui il turismo. Il turismo, che ha contribuito al riequilibrio territoriale tra il
nordovest e il nordest, non ha saputo svolgere un ruolo analogo nelle regioni meridionali. Infatti, durante la
prima fase le scarse risorse dirette al turismo meridionale furono indirizzate soprattutto alle infrastrutture
(strade e reti idriche) e ai lavori di restauro delle opere d’arte. Nella seconda fase si cercò di stimolare la
nascita di un’adeguata offerta ricettiva sia concedendo agevolazioni a un’ampia serie di piccole e medie
imprese sia sostenendo la formazione di qualche grande complesso sotto forma di villaggio turistico. Tra il
1950 e il 1980 il differenziale tra centro-nord e sud non si ridusse, nonostante il timido tentativo compiuto
dallo stato. Uno dei pochi esempi di successo è la Sardegna, dove il protagonista principale fu un consorzio
privato che operò per sviluppare un unico tratto di 35 km di costa (Costa Smeralda), con un fortissimo
investimento pubblicitario. Si possono individuare tre distinti modelli turistici:

1. Turismo di rendita → si continua a sfruttare quello che è stato creato nella fase iniziale e le risorse
che restano a disposizione. È il caso della Liguria, la quale nel secondo dopoguerra si è rivolta a un
turismo basato sulle seconde case, riducendo l’impatto economico. È il frutto dell’errata
convinzione che siano le risorse, e non gli investimenti, a garantire lo sviluppo del settore e che sia
sufficiente la proliferazione delle seconde case per formare un’offerta di servizi turistici.
2. Turismo di induzione → le risorse naturali iniziali non sono di particolare rilievo, ma sono gli
investimenti e l’attitudine imprenditoriale a determinare il successo. È il caso di Emilia Romagna e
Veneto. Turismo e manifatture si sviluppano parallelamente anche se non nelle stesse località.
3. Turismo come “engine of growth” → l’attività turistica precede lo sviluppo di quella industriale e
contribuisce a creare quel reticolo di istituzioni e di collegamenti con il mercato. E’ il caso del
Trentino, della Sardegna e dell’Abruzzo. L’avvio dell’attività turistica può essere il frutto di un
intervento esterno, come nel caso della Sardegna o del confluire dell’impegno di una estesa rete di
associazioni, imprese e istituzioni pubbliche come in Trentino.

Il primo volto del turismo veneto: il Lido di Venezia e la parabola del turismo aristocratico

La caratteristica dello sviluppo turistico del Lido di Venezia è che esso fu guidato da alcune società private e
in particolare una di queste assunse una posizione di monopolio nell’offerta turistica dell’isola. Lo sviluppo
della destinazione fu possibile grazie alle notevoli disponibilità finanziarie del mondo imprenditoriale e
bancario veneziano, ma anche dal ruolo positivo che le amministrazioni comunali scelsero di svolgere,
attraverso progetti di trasformazioni urbanistiche. Nella seconda metà dell’Ottocento la zona del Lido,
assieme a Venezia, iniziò a proporsi come una meta di villeggiatura molto singolare, che univa al turismo
culturale le cure marine. Il rapporto con Venezia era anche molto stretto sia perché le prime esperienze di
attività balneare vennero tentate proprio nella città lagunare (nel 1833 venne costruito il primo
stabilimento balneare galleggiante nel bacino di San Marco), sia perché essa esercitava una forte attrazione
su tutta l’aristocrazia europea. Nel 1857 un modesto imprenditore edile detto il Fisola ottenne la
concessione per la costruzione dello stabilimento Bagni al Lido. Dall’anno successivo lo stabilimento fu
collegato a Venezia da un battello in coincidenza con un tram a cavalli; contemporaneamente era sorto
anche un altro stabilimento dalle caratteristiche più esclusive, meta dell’alta società. Nel 1883 il Lido entrò
a far parte del comune di Venezia, ma le principali attività economiche erano la pesca e la coltivazione di
vite e ortaggi. In questa fase il lido è meta di un turismo ancora locale di tipo pendolare. Negli anni ’70
dell’Ottocento la gestione di entrambi gli stabilimenti venne assunta da una nuova società: la Società Bagni
Lido, che si impegnò nella valorizzazione del Lido creando anche una serie di chalet per alloggi, ristoranti al
teatro, giardini nei pressi degli stabilimenti balneari e ville sul Gran Viale. L’imprenditoria privata assunse
presto un ruolo centrale nello sviluppo turistico. Sarà però una nuova società, la Compagnia Alberghi Lido
(la futura Ciga) a dare il via al processo di trasformazione del Lido in meta di soggiorni alla moda in grado di
rispondere alla domanda locale e internazionale. All’inizio del Novecento, un nuovo gruppo di capitalisti
veneziani guidato da Nicolò Spada, decise di intervenire in grande stile per vincere la concorrenza della
Società dei Bagni. Il nuovo gruppo progettò sia la costruzione di una grande albergo dotato di spiaggia
privata, parchi e attrezzature ricreative, sia la realizzazione di una linea tranviaria elettrica allo scopo di
rendere facilmente accessibile il futuro albergo. Nel 1906 la Ciga subentrò alla società Bagni Lido nella
gestione degli stabilimenti, assumendo il controllo sia sugli alberghi di lusso veneziani sia sull’offerta
ricettiva del Lido. Nel 1908 venne inaugurato l’Excelsior Palace Hotel, famosissimo tra i ricchi turisti di
oltreoceano. L’isola fu lentamente trasformata in un ambiente finemente aristocratico. Il rischio che si
voleva evitare era fare del Lido un quartiere popolare di Venezia, perché non sarebbe stato compatibile con
un turismo d’élite. La strategia di evitare un eccessivo addensamento abitativo rimase una costante delle
amministrazioni comunali almeno sino alla prima guerra mondiale. Contemporaneamente si cercò di
conservare uno spazio per il turismo pendolare locale di tipo più popolare, per evitare l’insofferenza della
popolazione, attraverso la realizzazione di uno stabilimento balneare comunale. Nell’estate nel 1909
vennero così realizzate le prime capanne comunali. Tra il 1921 e il 1928 il turismo decollò, mentre negli anni
’30 si manifestarono i primi segnali di crisi. Essa scoppiò una decina d’anni dopo in quanto il Lido non
poteva diventare una meta del turismo di massa sia per la morfologia che ne rendeva difficile l’accesso, sia
perché le strutture erano dedicate a un turismo d’élite, non alla portata di tutti. Nel 1848-49 il Lido restò al
primo posto per arrivi stranieri, mentre Rimini già primeggiava per gli arrivi italiani. A partire dagli anni ’50,
in concomitanza con il boom di spiagge come Rimini, Jesolo e Sottomarina, sul Lido calò il velo dell’oblio.
Negli ultimi anni il Lido è tornato ad essere la spiaggia dei veneziani, affermandosi come quartiere
residenziale per le fasce ad alto reddito.

Rimini e il turismo di massa: il modello dell’Emilia-Romagna

La vicenda riminese presenta due elementi di grande interesse. In primo luogo incarna il modello di
riferimento dello sviluppo turistico italiano, incentrato sulla piccola imprenditoria locale alla quale si
affiancò un sistema bancario disposto a investire nel comparto turistico e un’amministrazione interventista.
In secondo luogo è importante per quanto riguarda la capacità di reinventare più volte il prodotto turistico
passando dal turismo d’élite ottocentesco a quello di massa degli anni ’70, a quello del divertimento degli
anni ’80 fino a quello congressuale degli anni ’90. Nell’Ottocento Rimini era un’area agricola con
antichissime tradizioni di insediamento urbano che viveva di proventi dell’agricoltura. Nel 1843 i conti
Baldini aprirono lo Stabilimento Privilegiato di Bagni Marittimi di Rimini con 6 camerini, collegato alla città
con una vettura a cavalli. L’iniziativa nasceva all’interno della classe agraria riminese. Ma la gestione dei
bagni, che forniva un servizio di qualità e prezzi elevati, soffrì subito di problemi finanziari. Il turismo locale
d’élite aveva una domanda troppo limitata, tanto che la città non esercitava alcun forte richiamo culturale
o ricreativo sulle aristocrazie europee. Nel 1869 intervenne il Comune, il quale assunse la gestione dello
Stabilimento e avviò un piano di investimenti con la costruzione del Kursaal, di una nuova piattaforma di
camerini, della Capanna svizzera e dello stabilimento idroterapico. In poche parole, il Comune si sostituì ai
privati nella realizzazione delle strutture balneari di base. Oltre all’amministrazione comunale l’altra
protagonista divenne la Cassa di Risparmio di Rimini la quale cercò di prestare attenzione al nuovo che si
manifestava nell’economia della città rendendosi disponibile a sostenere quelle iniziative imprenditoriali
che si muovevano verso i settori industriali o dei servizi. Uno dei problemi dell’attività turistica riminese era
legato alla mancanza di strutture ricettive. Diffusa era l’abitudine di affittare le camere. Verso la fine
dell’Ottocento i villini più grandi vennero suddivisi e affittati come camere e appartamenti. Ancora nei primi
anni del Novecento la capacità ricettiva riminese restava concentrata nel centro urbano, dove erano
localizzati anche tutti i pubblici esercizi. La marina era scarsamente dotata di alberghi, nel 1902 erano solo
3. La società riminese maturò ben presto la consapevolezza che oltre alle strutture balneari e ricettive
occorresse anche elaborare proposte per la gestione del tempo libero e fu l’associazionismo che cercò di
inventare occasioni di intrattenimento. Nel 1885 nacque la Società riminese per i divertimenti allo scopo di
rendere sempre più allettante l’offerta turistica tramite attività come feste da ballo, concerti, fuochi
d’artificio, spettacoli teatrali, corse ippiche e raduni automobilistici. Nel frattempo il passaggio dallo
Stabilimento dei Bagni privati al comune non ne aveva eliminato le difficoltà finanziarie al punto che si
dovettero richiedere appositi prestiti alla Cassa di Risparmio. Nel 1908 fu costruito il Grand Hotel, ma esso
sino agli anni ’30 fu più fonte di debito che di profitti. Questo dimostra che il turismo di lusso a Rimini non
riusciva ad essere redditizio. Di sviluppo vero e proprio si potrà parlare solo nel periodo fra le due guerre.
Nacquero rapidamente nuovi alberghi e pensioni, caratterizzati dalla formula “tutto compreso”. Furono le
strutture di lusso a fare da richiamo e a ospitare Mussolini che qui trascorse le vacanze nel periodo fra le
due guerre. I turisti di Rimini erano al 90- 95% italiani che provenivano da Emilia e Lombardia. Questa fu
anche l’epoca di diffusione delle colonie estive. La guerra interruppe lo sviluppo, ma solo
temporaneamente. Anche Rimini seguì le fasi del modello del ciclo di vita di Butler:

1. Sviluppo→ 1945-67: fortissima crescita delle presenze, soprattutto straniere. Il comune elaborò un
piano detto La Nuova Rimini con il quale si prevedeva di elaborare un piano urbanistico che
prevedesse il rassetto della marina e la creazione di nuove infrastrutture;
2. Stagnazione→ 1968-77: il riminese cominciò a risentire della concorrenza di località di più recente
creazione (Jugoslavia e Spagna) e perse buona parte di domanda estera;
3. Primo riorientamento→ 1978-88: il riminese divenne il distretto dei divertimenti con l’apertura di
numerosissime discoteche e sale da gioco. Da turismo di tipo familiare si passò a turismo per i
giovani in cerca di divertimento;
4. Shock esogeno→ 1989: il problema delle mucillagini si manifestò in tutta la sua gravità e provocò la
perdita di ben 7 milioni di presenze;
5. Secondo riorientamento, 1990-2001: si rafforzò il turismo congressuale che si affiancò a quello
balneare.

CAPITOLO 8→ L’EVOLUZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE TURISTICA: ALBERGHI, AGENZIE DI VIAGGIO E TOUR


OPERATOR

L’epoca dell’ospitalità gratuita

La storia dell’ospitalità può anche essere sintetizzata come un lungo cammino dall’ospitalità gratuita a
quella a pagamento. La prima forma di ospitalità fu quella gratuita concessa allo straniero di passaggio,
secondo una modalità presente nella cultura primitiva e in tutte le grandi civiltà del passato. Il motivo
magico religioso era alla base della buona accoglienza riservata allo straniero. A esso non si concedeva solo
un alloggio, ma anche protezione dai pericoli; nell’antica Grecia e a Roma tale tutela arrivava sino a fornire
la rappresentanza legale presso i tribunali locali. In alcuni casi l’ospitalità gratuita era prevista dai trattati fra
gli stati: le città greche, ad esempio, la assicuravano reciprocamente ai propri cittadini come diritto-dovere.
In genere erano i cittadini facoltosi a ricevere gli stranieri, disponendo a tale funzione una parte della casa.
Questa forma di ospitalità gratuita che attraversò tutto il mondo antico era obbligatoria e rappresentava un
costo non indifferente per le comunità e i privati cittadini che dovevano concederla. Sempre in Grecia, tra il
VI e V secolo, fecero la loro comparsa anche le locande che fornivano alloggio ai viaggiatori dietro
pagamento. Anche in epoca romana l’organizzazione alberghiera si rivolse quasi esclusivamente a una
clientela umile e varia, dal mercante al soldato. Le locande erano diffuse nel centro della città o lungo le vie
principali e tutte mostravano sulla facciata esterna un’insegna. Nelle città più grandi e nei centri di
villeggiatura esistevano invece alberghi di maggiore prestigio: in genere dal punto di vista architettonico si
presentavano come lo sviluppo della casa privata, ma con un grande cortile centrale. Le camere migliori si
trovavano ai piani alti. Il passaggio della villa da centro della vita economica a luogo di vacanza è segnato
dalla trasformazione della sua architettura e del paesaggio circostante: i pavimenti delle stanze furono
ricoperti di mosaici, i muri affrescati e si introdussero marmi, porticati, statue e ornamenti di vario tipo.

La nascita dell’ospitalità professionale

Il passaggio all’ospitalità professionale avvenne nel Medioevo, in seguito allo sviluppo dell’economia di
scambio. L’ospitalità gratuita si mantenne fino all’XI secolo, quando ancora ai viaggiatori veniva fornito
alloggio, acqua, fuoco e mangime per i cavalli. Il vitto invece restava un problema dell’ospite, il quale
doveva provvedere ad acquistarlo nei mercati e nelle taverne. Nel Medioevo un’importante forma di
ospitalità gratuita era quella religiosa, praticata nei monasteri, negli ospizi e ospedali e riservata ai
pellegrini. Tale forma di ospitalità era finanziata dai vescovi o fedeli ricchi e gestite da ecclesiastici. Ben
presto tali edifici, chiamati anche xenodochia, si aprirono anche ai poveri, ai vecchi, agli orfani e ai malati,
per questa ragione il nome venne cambiato in hospitale. Andando avanti nei secoli, queste forme di
ospitalità divennero riservate sempre e solo più ai bisognosi e malati. Solamente nei passi alpini gli antichi
ospizi e ospedali, come quello sul Moncenisio o Gran San Bernardo, conservarono la funzione di ospitare i
pellegrini di passaggio di qualunque classe sociale. Il progressivo affermarsi dell’ospitalità a pagamento
avvenne tra il XII e XIV secolo. Fu nelle città dell’Italia e della Francia meridionale che l’intensificarsi dei
commerci e della mobilità delle persone spinse a individuare nuove forme di ospitalità. Iniziò a delinearsi la
figura del locandiere o oste che godeva del rispetto sociale. Una forma di ospitalità intermedia tra quella
gratuita e quella a pagamento era legata all’attività delle grandi ditte commerciali: i loro soci e impiegati
trovavano abitualmente alloggio presso le stesse persone, che in genere erano legate alla ditta e fornivano,
oltre all’alloggio ogni tipo di supporto, dai mezzi di trasporto ai servizi di intermediazione. Questi contratti
caddero in disuso attorno al Trecento, lasciando il posto alla locanda pubblica autorizzata. I clienti delle
locande non erano più considerati malfattori, ma godevano di alto rispetto. Ovviamente andando avanti
con lo sviluppo di queste forme di ospitalità sempre più avanzate, l’oste e il locandiere non potevano più
essere responsabili della sicurezza dei clienti e anche il rapporto con essi divenne sempre più neutrale. Nel
Medioevo le locande erano di diverso tipo: alcune non erano altro che una casupola in legno o pietra con
un grande fuoco centrale attorno al quale prendevano posto le persone, gli animali e le merci; altre erano
meglio attrezzate e disponevano di stanze separate per la notte e fornendo anche il vitto in un’apposita
sala da pranzo. Il giubileo, conducendo a Roma migliaia di pellegrini, richiese una particolare attenzione al
problema ricettivo: i pellegrini vennero ospitati dalla rete di istituti di beneficienza e dagli ospizi religiosi.
Un’importante istituzione romana era quella della Santissima Trinità, la quale prevedeva che i pellegrini
fossero accolti nel grande cortile interno del monastero, in seguito smistati in base alla provenienza e
seguiti da un padre spirituale che parlasse la loro lingua. La Sant. Trinità si preoccupava inoltre di garantire
una sistemazione per la notte presso una rete di case private.

Le locande ai tempi del Grand Tour

Dai diari dei viaggiatori fra il Cinquecento e il Seicento si può dedurre che rispetto all’epoca medievale
erano stati fatti pochi progressi per migliorare la qualità delle locande. Antoni Maczak ha cercato di ritrarre
le principali caratteristiche delle locande dei vari paesi europei: quelle tedesche si distinguevano per la
pulizia, quelle inglesi erano ritenute fra le migliori al mondo poiché provviste di ogni tipo di servizio e
facevano sentire “a casa propria”, in Francia erano lodate per il cibo, ma criticate per il cattivo gusto
nell’arredamento e per la mancanza di pulizie, lo stesso valeva per le locande italiane, soprattutto quelle
delle piccole città. Per quanto riguarda invece la situazione nelle grandi città come Verona, Ferrara, Bologna
e Venezia, le locande erano rinomate e spesso costose. Per quanto riguarda Roma, la situazione era diversa,
essendo la città spesso sede del Giubileo e dovendo quindi ospitare un numero straordinario di pellegrini,
oltre a vescovi, prelati e altre personalità importanti. È probabilmente questa molteplicità di viaggiatori alla
base di un sistema ricettivo piuttosto sviluppato. Nonostante la presenza di numerose locande e alberghi,
nel periodo fra il Cinquecento e il Settecento, molti viaggiatori preferirono comunque l’alloggio presso case
private. Verso la fine del Settecento molte di quelle famiglie che spesso affittavano camere ai viaggiatori,
ampliarono la propria abitazione per ospitare più di una persona contemporaneamente, dando il via alla
nascita delle pensioni. Mentre le numerose e modeste locande di passaggio avevano un prezzo del tutto
abbordabile, le tariffe degli alberghi cittadini erano troppo alte per incentivare i soggiorni prolungati. Anche
per questa ragione i grandtouristi che spesso si fermavano mesi nella stessa città cercavano sistemazioni
alternative presso case private. Il livello delle locande presso le vie di comunicazione rimase piuttosto
abbordabile, mentre gli alberghi delle grandi città erano più rivolti ad una clientela di lusso.

La nascita del turismo moderno e l’affermazione dell’hotellerie di lusso

Il turismo moderno fu essenzialmente un fenomeno d’élite, legato ai consumi delle classi sociali medio-alte.
Dal punto di vista dell’offerta ricettiva esso si espresse con l’affermazione dell’hotellerie di lusso e dei suoi
edifici monumentali: il Grand Hotel ne fu il simbolo per eccellenza. Nella storia dell’hotellerie di lusso la
svolta più importante fu tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, quando dimensione,
innovazione tecnologica e consumi di lusso si unirono per inventare un diverso modello di albergo. Sono gli
Stati Uniti a ospitare per primi queste strutture di grandissima dimensione (New York, Boston, Baltimora).
Le caratteristiche di questi hotel erano:

➢ una struttura monumentale con almeno 100 stanze;


➢ l’adozione di una forma di impresa o di soluzioni finanziarie che incutessero rispetto e sicurezza a
fronte degli elevati costi di realizzazione;
➢ l’affidamento della gestione ad albergatori professionisti in grado di utilizzare procedure non
ordinarie;
➢ un personale molto preparato e composto da uomini liberi.

In Europa il primo paese a porsi il problema di un’hotellerie di lusso fu la Francia. Il primo progetto fu la
realizzazione a Parigi dell’Hotel du Louvre nel 1854, il quale si impose per la sua magnificenza. Questo hotel
fu solo il primo ad aprire la strada per la realizzazione di molte altre strutture le quali giocavano spesso sulla
competizione. Con la costruzione di alberghi di grande dimensione aveva inizio il lungo e complesso
processo di integrazione fra i modelli europei e quelli statunitensi. Negli ultimi anni dell’Ottocento questa
tipologia di albergo si diffuse in tutte le capitali europee, da Vienna a Bruxelles, da Berlino a Budapest, da
Istanbul a Stoccolma. In seguito, anche nelle località più turistiche si diffuse la moda del Grand Hotel.
Esempi più famosi sono il Grand Hotel e il Carlton Hotel di Cannes, l’Hotel de Paris di Montecarlo, l’Excelsior
e il Negresco di Nizza, il Grand Hotel Londra e il Grand Hotel Royal di Sanremo e il Grand Hotel Excelsior del
Lido di Venezia.

Il turismo di massa e l’affermazione dell’ospitalità per il ceto medio e popolare

Il quadro dell’offerta ricettiva cominciò a cambiare radicalmente negli anni Venti e Trenta. Sia negli Stati
Uniti che in Europa iniziò l’elaborazione di nuove forme ricettive, adatte a una clientela meno esigente e
con minori disponibilità di reddito. Negli anni ’20 il rito dell’outdoor negli Stati Uniti si estese a tutto il ceto
medio e cominciò a coinvolgere una parte della classe lavoratrice. Le due strutture ricettive che
accompagnarono tale trasformazione furono da un lato i campeggi e dall’altro i motel. In entrambi i casi si
trattava di soluzioni economiche che rendevano possibile alle famiglie di reddito medio la condivisione
dell’outdoor. Il motel accoglieva i turisti che facevano il tour alla scoperta degli Stati Uniti, mentre il
campeggio si configurava come un’esperienza familiare in mezzo alla natura. Il motel conservava
l’immagine di una casa lungo la strada, di un luogo rassicurante caratterizzato da comfort, servizi e
sicurezza, ma si presentava anche come un avamposto della modernità per il profondo legame con
l’automobile. La definizione “Mom and Pop” indica proprio i motel a gestione familiare, in cui si pagava in
contanti e in cui il basso prezzo coincideva con i servizi offerti. Mentre il campeggiatore divenne uno degli
strumenti attraverso i quali superare la contraddizione fra lavoro e tempo libero, ai motel venne spesso
associata un’immagine di rilassatezza dei costumi se non addirittura di comportamenti immorali. In Europa
la creazione di nuove formule ricettive adatte a una clientela meno esigente e con minore capacità di spesa
era stata avviata a fine dell’Ottocento a Blackpool con la diffusione delle cosiddette company houses, che
rappresentavano una via di mezzo fra gli alberghi e le case in affitto: si affittava una camera e si acquistava
il cibo, ma poi lo si consegnava all’affittacamere per farlo cucinare. Nei paesi del Mediterraneo (Francia e
Italia) la formula organizzativa che accompagnò la nascita del turismo di massa fu quella delle piccole
pensioni a gestione familiare, tutto compreso. Negli anni ’60 e ’70 i modelli organizzativi del turismo di
massa vennero progressivamente superati da altri più adatti alle nuove caratteristiche della domanda e alle
opportunità che la tecnologia aveva messo a disposizione. In particolare la diffusione dei tour operator e
dei voli charter portò al superamento della piccola dimensione e all’avvio di un processo di
internazionalizzazione delle imprese ricettive. In pratica, quello che avvenne fu la nascita di alberghi di
grande dimensione pensati per il ceto medio-basso e in parallelo il rafforzamento delle catene alberghiere,
le quali cominciarono a indirizzare quote crescenti di investimenti in paesi stranieri.

L’affermarsi delle catene alberghiere

Negli Stati Uniti le catene alberghiere erano già comuni nei primi anni del Novecento. In genere queste
prime catene, che avevano una dimensione regionale, non ponevano vincoli significativi ai singoli alberghi,
che conservavano la propria identità e utilizzavano un proprio nome. Molto rari erano i casi in cui la
creazione di una catena alberghiera veniva accompagnata dall’avvio di un processo di standardizzazione
delle caratteristiche dei singoli alberghi che vi aderivano. Una delle prime catene americane fu la Statler, la
quale verrà acquistata negli anni ’60 dalla Hilton. Conrad Hilton aveva creato la sua società nel 1919,
arrivando a possedere 7 alberghi nell’arco di dieci anni. Nel 1961 era arrivato a possedere oltre 31mila
camere. La catena che formò, la Hilton Hotels International, si caratterizzò per la gestione centralizzata e
per il ricorso ad avanzati sistemi di analisi dei costi e di organizzazione dei flussi. Piuttosto simile è la
vicenda di una seconda importante catena americana, la Itt Sheraton, fondata da un banchiere tra il 1937 e
il 1939, nell’ambito di una serie di operazioni immobiliari. Negli anni ’50 avviò la sua prima espansione con
l’acquisizione non solo di singoli alberghi, ma anche di intere catene. La Sharaton non adottò mai una
strategia di standardizzazione delle caratteristiche architettoniche dei suoi alberghi, ma cercò di
valorizzarne le peculiarità. Nel 1998 è stata acquistata dalla Starwood. Nacquero anche le catene di tipo
associativo o cooperativo come la Best Western, la quale in pochi anni arrivò ad avere un hotel presso
molte delle autostrade più percorse degli Stati Uniti e inoltre contava su un alto numero di soci distribuiti in
tutti i continenti. Tali catene cominciarono la loro espansione soprattutto dopo la Seconda Guerra
Mondiale e negli anni ’60 estesero la loro attività anche in altri continenti. L’Europa, che ancora oggi è il
continente con la più elevata concentrazione di alberghi, ha sempre conservato una struttura ricettiva più
frammentata, con strutture più vecchie e di minori dimensioni rispetto agli USA. In Francia fu creato solo
negli anni ’60 il gruppo Accor, in Spagna nacque il gruppo Sol Melia nel 1956, mentre la catena NH nacque
nel 1978 a Pamplona. Oggi le catene alberghiere rappresentano una componente maggioritaria dell’offerta
alberghiera. Per quanto riguarda l’Italia, pur essendo uno fra i paesi più turistici e con l’offerta ricettiva più
frammentata, conta la minore presenza di catene. Una piccola catena italiana è la Jolly Hotel, nata nel 1949,
e finanziata dai fondi previsti dalla Cassa del Mezzogiorno. Oggi il gruppo Jolly Hotel è stato assorbito e
sostituito da quello NH.

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