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SOTTO GLI OCCHI DELL’ORIENTE

PARTE 1

CAPITOLO 1 → Verso i porti d’oriente

L’Oriente più vicino: un laboratorio per la modernizzazione del viaggio e del turismo

Per l’evoluzione del turismo, l’Oriente, a partire da quello affacciato sul Mediterraneo, rappresentò un
luogo laboratoriale in cui trovarono spazio diversi processi di modernizzazione ed organizzazione,
determinati dalle innovazioni introdotte nella cultura del viaggio. Diversi temi del viaggio materiale
trovarono un punto di arrivo e di partenza nel viaggio in Oriente. Ma il fascino esercitato da queste località
esotiche generò, di conseguenza, un percorso di trasformazione e di adattamento sociale ed economico
delle stesse. Queste trasformazioni, sostenute dalla crescita della politica coloniale in Africa e in Asia, ebbe
come risultato la costruzione di diversi microcosmi, frutto della stessa correlazione tra spazi fisici e
comportamenti sociali.
Alla metà del XIX secolo iniziò perciò a manifestarsi pienamente questa trasformazione del viaggio in
Oriente. Fino a quel momento, raggiungere le sponde orientali del Mediterraneo era stata un’avventura
lunga e rischiosa e, ovviamente, riservata a pochi. Ma, come tutti fenomeni connessi al viaggio, anche
quello in Oriente si ampliò velocemente, soprattutto grazie ai mezzi di trasporto che si diffusero su larga
scala. Si realizzò così un ampliamento dell’orizzonte del viaggio europeo, fino ad allora delineato dalle
sicure vie del Grand Tour. Le notizie relative agli itinerari, alle difficoltà, alle attrattive religiose, culturali e
artistiche dell’Oriente, corsero ben presto per i salotti europei: personaggi di rango più o meno elevato si
mossero, andando oltre il Mediterraneo.

Nel bisogno del viaggio in Oriente da parte del viaggiatore europeo sfumarono lentamente gli elementi
formativi e di conoscenza, per lasciare spazio a quelli maggiormente ludici e legati alla distinzione sociale. I
viaggiatori richiesero sempre più ambienti riservati, caratterizzati dalla presenza di comodità e servizi, il cui
livello qualitativo doveva avvicinarsi a quello dell’ospitalità europea. L’interazione sociale risultò racchiusa
in una sfera che esclude la popolazione locale coinvolta solo in attività di servizio. Gli alberghi furono la
struttura che rappresentò al meglio la divisione fra turisti e gente del posto: erano spazi chiusi, protetti
dalle insidie climatiche dell’esterno. Nello spazio ristretto dell’albergo, caratterizzato da una forte vicinanza,
i viaggiatori ebbero la possibilità di sperimentare una maggiore eguaglianza e mescolanza sociale. La
capacità di distinguere i livelli dell’ospitalità ricevuta, a partire da quella gratuita, per poi passare a quella a
pagamento, definì un’altra tappa importante del cammino di formazione, rappresentato dal viaggio. Il
diramarsi di un’economia dell’ospitalità anche al di là del Mediterraneo, riflesse il mutamento, che
potremmo definire turistico, del territorio. Nell’albergo orientale, il viaggiatore si sentì subito chiamato a
dare delle valutazioni e fornire delle riflessioni relative al modo di fare turismo in Oriente. L’obiettivo del
resoconto era quello di lasciare un ricordo per sé e per la cerchia di amici e conoscenti del viaggio
compiuto, porsi come strumento didattico utile per offrire al lettore un incremento della conoscenza del
mondo ed essere utilizzato come una guida utile a chi volesse ripercorrere lo stesso itinerario. Inoltre,
questa tipologia di testo letterario è in grado di fornire informazioni ben più ampie sulle dinamiche interne
alla società dei viaggiatori. Questo è possibile perché il punto di vista adottato dall’autore, coincide con
quello di chi il viaggio l’ha vissuto dall’interno, in un momento storico ben definito. Tale testo scritto si
colloca come una fonte di natura primaria, sia esso in edito o edito. In quest’ultimo caso, può essere stato
dato alle stampe, mirando ad un largo pubblico di lettori. Esaminando il documento-resoconto, ci si deve
ricordare che esso permette di ricevere molteplici informazioni, unite anche a spunti critici in merito a:
descrizioni dei luoghi, osservazioni sulle attività economiche presenti, forme di interazione sociale,
descrizione degli itinerari, mezzi di trasporto, economie dell’ospitalità.
Infine, essendo il viaggiatore un osservatore interno, questo gli permette di cogliere i molteplici aspetti del
viaggio materiale, i quali non potrebbero essere notati da un osservatore esterno. Sotto il profilo del testo
prodotto, i viaggiatori utilizzano una sorta di griglia analitica, che gli permette di avere ben chiari gli aspetti
a cui dedicare attenzione e da tenere sotto controllo: attrattive, descrizioni degli altri viaggiatori, mezzi di
trasporto, strutture ricettive, interazione con la popolazione locale. Si può quindi affermare che, attraverso
i dati forniti dei resoconti, si può fondare un’indagine sulle trasformazioni del viaggio materiale in Oriente.

Il viaggio in Oriente e la sua dimensione sociale

Con l’inaugurazione del Canale di Suez, avvenne anche il riposizionamento del Mar Mediterraneo, chiamato
a svolgere una funzione centrale sulla via d’acqua per l’Oriente. Inaugurato il 17 novembre 1869, il canale
marittimo di Suez, sul Mar Rosso, creò un nuovo sistema tra tre continenti. In questo nuovo frangente,
l’Oriente indicò un cambio di rotta ai viaggiatori e poi ai turisti occidentali. La tradizionale destinazione
geografica settecentesca, l’Italia e il Sud del continente europeo, si estesero ulteriormente, caricandosi di
un nuovo esotismo romantico, alimentato dalla lettura e dalla pittura, in direzione del Mediterraneo
orientale. La stagione del viaggio di formazione si esaurì invece con l’Antico Regime. La Grecia,
Costantinopoli, la Terra Santa e l’Egitto divennero le mete di un nuovo itinerario verso Sud. Tale
spostamento si identificò in una definizione onnicomprensiva: il Voyage en Orient, il quale identifica
un’avventura, uno stimolo culturale per l’Occidente, una risorsa dell’immaginario e una proiezione onirica.
Le immagini idilliache e i sogni romantici celavano però una realtà fatta di condizioni climatiche disagevoli,
aspetti sanitari precari, ospitalità poco invitante. Mentre per i viaggiatori inglesi l’Oriente era più
rappresentato dall’India, effettivo possedimento della Corona, per i francesi, al contrario, esso era
rappresentato da tutta l’area attorno al Mediterraneo. Le dinamiche espansive che caratterizzarono la
nuova tradizione dei viaggi in Oriente, interessarono anche le guide cartacee, le quali divennero sempre più
essenziali (togliendo le note e i commenti dei grandi viaggiatori del passato), limitandosi a fornire le
informazioni tecniche.

Il viaggiatore, una volta informatosi sul paese che avrebbe visitato, veniva poi condotto lungo degli itinerari
specifici, descritti utilizzando un linguaggio accessibile e preciso. La continuità tra forme del viaggio e del
soggiorno europee e orientali stava nell’estensione dell’imitazione sociale. Partendo dalla necessità di
utilizzare il turismo come fattore di distinzione sociale, si deve constatare che risultò sempre possibile
mostrare il proprio status sociale attraverso il viaggio e la villeggiatura. Si trattò di un consumo che
necessitava di essere ostentato sullo scenario sociale. Essere presente nella stagione giusta ed usufruire dei
servizi più ricercati e costosi, certificò l’avvenuta inclusione tra i membri della classe agiata. Per la classe
agiata di derivazione aristocratica, nel momento in cui si era indebolita di ricchezza e di potere, l’unico
modo rimasto per segnare la distanza con la classe borghese emergente era il prestigio sociale. La
consapevolezza di essere un modello da imitare rafforzò la convinzione dell’aristocrazia europea di poter
dettare ancora le mode. Il primo modo di imitare fu quello interno agli inclusi, chiamati a seguire i
comportamenti dei gruppi leader; il secondo riguarda invece gli esclusi, i quali ambirono ad utilizzare il
turismo come un ascensore sociale, per rendere manifesta l’avvenuta mobilità sociale in ascesa. La
diffusione delle pratiche turistiche e l’aumento della frequentazione di una destinazione però, finirono
inesorabilmente per abbassarne il prestigio sociale, causando un danno di immagine e un danno
economico. In sintesi, la destinazione/pratica, diluì la sua capacità di attrarre i comportamenti imitativi. I
gruppi leader invece, continuamente alla ricerca di distinzione sociale, finirono per dirigersi verso
destinazioni geografiche ancora non conosciute o verso pratiche turistiche nuove. La fuga in avanti delle
classi agiate però si manifestò sempre in maniera piuttosto articolata, andando così al di là della distinzione
determinata solo dalla lontananza geografica. In particolare fu il soggiorno presso i grandi alberghi ad
elevare maggiormente i gruppi leader rispetto agli imitatori. L’imitazione e l’inclusione/esclusione sono
quindi due meccanismi utilizzabili anche come efficaci strumenti di promozione turistica, sia della
destinazione che delle singole imprese, a partire da quelle alberghiere. Poste queste premesse, si può
affermare che l’effetto di spinta, per definite destinazioni e pratiche turistiche, insito nell’imitazione
sociale, sarà presente in Oriente a partire dagli ultimi decenni dell’800 e dalla prima parte del ‘900. Fino alla
fine dell’800, lo sguardo dei viaggiatori europei, scortati dalla ricerca di immagini romantiche, di sensazioni
poetiche e autentiche, si posò su: strade prive di occidentali, edifici che mostrarono loro l’usura del tempo,
vestigia del passato, tra le quali si aggiravano sporadici forestieri. All’aprirsi del 900, le ricognizioni dei
viaggiatori si richiamarono per supportare le loro osservazioni critiche a questa perduta “età dell’oro”. Le
presenze ascendenti dei viaggiatori in Levante furono un contributo determinante alla costante riduzione
della possibilità di poter interagire socialmente con individui e collettività locali, in modo autentico e non
facendo riferimento solo a quello mediato dalle organizzazioni turistiche. Chi soggiornò in Oriente lamentò
in primo luogo la progressiva democratizzazione del Levante, e in secondo luogo il dissolvimento
dell’autenticità delle sue esperienze in confronto a quelle di chi l’aveva preceduto. Louis Bertrand scrisse
una serie di articoli frutto dell’osservazione di un anno di soggiorno in Oriente. Egli identificò subito nella
progressiva facilitazione del viaggio (velocità e comodità dei mezzi di trasporto) la prima causa della perdita
di autenticità. In secondo luogo, l’organizzazione e la programmazione dei viaggi, come quelli in Egitto,
impedirono ai gruppi che raggiungevano comodamente le rive orientali del Mediterraneo, di allontanarsi
realmente dalle abitudini europee, senza potersi mescolare nel contesto locale. Allo stesso tempo, Bertrand
condannò anche la progressiva trasformazione del paesaggio egiziano. Il viaggio orientale diventava così un
prodotto sempre più standardizzato, rivolto a turisti sempre più interessati ad un’esperienza ludica da
svolgersi in gruppo, movendosi solo in porzioni di ambiente adattate ai gusti occidentali. Bertrand voleva
quindi certificare una sorta di fine dell’Oriente, in cui risultava ormai impossibile cogliere lo spirito del
luogo.

Un viaggio paradigmatico in Oriente: Stanislao Grimaldi del Poggetto

Verso la fine del XIX secolo, il nobile piemontese Grimaldi del Poggetto mise mano ai suoi quaderni di
viaggio per dar vita alla relazione dei suoi due viaggi in Oriente. Dopo aver partecipato nel 1862 alla
Missione italiana in Persia, il conte fece nuovamente ritorno in Oriente. Le pagine scritte dal viaggiatore
piemontese in merito ai suoi viaggi orientali tesero continuamente a sdoppiarsi, mostrando così al lettore
un duplice volto: il primo fu quello di un affresco del mondo orientale, comunque intriso di problematiche;
il secondo fu quello di illustrare al meglio gli splendori degli scenari levantini in cui diverse civiltà si erano
espresse. Fu però il resoconto del suo secondo viaggio ad avere oggi un valore paradigmatico: prima di
tutto perché il conte faceva parte della società elitaria ottocentesca, con la quale condivideva l’interesse
per il viaggio in Oriente; in seguito, poiché si dimostrò sempre attento a cogliere i tanti elementi
caratterizzanti le diverse località; infine, perché la sua testimonianza fornisce una serie di osservazioni
molto schiette sul modo in cui un membro di classe agiata si confrontava con le dinamiche storiche, sociali
ed economiche del Levante. La differenza sostanziale tra i suoi due viaggi è la motivazione, infatti in Persia
si recò per un impegno ufficiale, mentre il suo secondo viaggio (Costantinopoli, Gerusalemme e Alessandria
d’Egitto) fu dettato dall’interesse per la scoperta dell’Oriente. L’itinerario scelto per arrivare in Oriente era
quello più lento e che si snodava via terra, proprio perché il conte era interessato a conoscere regioni
nuove. Il 10 settembre 1872 partì da Torino, attraversò Verona, Trento e il Brennero e arrivò ad Innsbruck
in compagnia di un amico. Partì poi alla volta di Monaco di Baviera, raggiunta in treno e visitata nell’arco di
quattro giorni, per poi proseguire per Vienna. Con un viaggio di sette ore in treno raggiunse Budapest. Qui
prese un comodo battello sul Danubio, che lo condusse fino a Belgrado, in Serbia, per poi proseguire fino a
Bazias, dove effettuò il cambio di imbarcazione prima di attraversare le Porte di ferro. La navigazione
proseguì poi tra Valacchia e Bulgaria, dove ebbe le prime suggestioni dell’Oriente. Arrivò poi a Bucarest,
città dai tratti già orientali, capace di alternare lusso e miseria. Ritornò poi in Bulgaria, area balcanica
ancora dominata dall’Impero ottomano e conteso dalla Russia, e in particolare a Varna, punto di partenza
per i battelli diretti a Costantinopoli. Il viaggiatore non registrò cambiamenti nella città sul Bosforo a
distanza di 10 anni. Il viaggio proseguì via mare alla volta di Beirut, ma prima fece uno scalo a Rodi, che gli
consentì di ammirare la Contrada dei cavalieri. Beirut fu una sosta importante per il viaggio: all’ingresso nel
porto scorse piacevolmente la bandiera italiana appartenente ad una piccola imbarcazione con a bordo il
conte Donato. I preparativi per il prosieguo del viaggio, da farsi con una carovana giunta da Gerusalemme,
non potevano attendere. Al gruppetto si aggiunse anche il portoghese José Ferrao. Il palcoscenico
dell’Oriente si apriva così il 19 ottobre 1872. Durante i primi giorni, incontrarono le rovine di un antico
edificio che Grimaldi indicò come il Tempio del Sole di Baalbek. Un tortuoso sentiero di montagna
accompagnò la carovana fino in Siria, a Damasco. Il cammino nella Valle del Giordano, viaggiando nella
direzione del lago di Tiberiade, durò due giorni, mentre quello in Palestina, proseguendo alla volta di
Nazareth, sì intersecò con i ricordi biblici. Già in questa fase cominciarono ad emergere le prime difficoltà
legate al viaggio, al clima, all’assenza di comodità e soprattutto alla monotonia. La Terrasanta apparve
quindi al conte come una terra desolata, bel lontana dal fascino di Costantinopoli. L’arrivo a Gerusalemme
ripagò Grimaldi e il suo gruppo dalle fatiche del cammino. L’ospitalità venne assicurata dal convento dei
francescani chiamato “Casa nuova”. La visita alla Città Santa avvenne ponendo attenzione all’itinerario
classico: dalla Via Dolorosa, al Muro del Pianto, dalle mosche alla Chiesa del Santo Sepolcro, da Betlemme
al Monte Oliveto. Il giorno della partenza per il ritorno fu il 13 novembre 1872, quando il conte, salutato il
gruppo di amici che lo aveva ospitato, si recò a Giaffa (odierna Tel Aviv) e salpò alla volta dell’Occidente.
Prima di tornare in Italia però, seguendo l’itinerario classico dei viaggiatori in Levante, approdò in Egitto,
nel porto di Alessandria. Il porto si presentava come un ambiente cosmopolita, pieno di vascelli con
bandiere di diverse nazionalità. In questo luogo emergeva la ricchezza portata dai viaggiatori nel momento
in cui si registrava la disuguaglianza economica esistente tra essi e il territorio che li accoglieva. Il conte
trovò Alessandria una città del tutto occidentale. Dopo altri quattro giorni di navigazione, arrivò a Messina,
poi a Napoli e infine a Genova. Il 28 novembre 1872 fece infine ritorno a Torino.

CAPITOLO 2 → Navi e treni per l’oriente

Solcando il Mediterraneo: linee di navigazione e vita sociale a bordo

La diffusione della navigazione a vapore fu un momento cruciale della storia del turismo, in quanto
ridisegnò l’orizzonte del viaggio, inserendovi velocemente l’Oriente, da Alessandria a Singapore e oltre. In
particolare, la maggiore rapidità del trasporto marittimo di merci e persone rese più stretti i rapporti tra i
continenti. Dare la possibilità di solcare il Mediterraneo assicurando comodità e velocità diventò un punto
di forza per le principali compagnie di navigazione europea, impegnate sempre più in competizione. In
questa competizione giocò un ruolo di primo piano la francese Compagnie des Messageries Maritimes, nata
nel 1852 come Compagnie des services maritimes, che avviò le prime quattro linee di navigazione
mediterranea con navi in partenza da Marsiglia e dirette a Malta, Costantinopoli, Beirut ed Alessandria
d’Egitto. Costituito invece a Trieste nel 1836, il Lloyd Austriaco portava principalmente ad Alessandria. Il
punto di forza del porto di Trieste era il fatto che il percorso era molto più breve rispetto a Marsiglia. Nel
1895 il piroscafo Cleopatra, che raggiunse Alessandria, si caratterizzava per due fattori: il lusso e la velocità.
La linea per Alessandria rimase importante anche dopo l’apertura del Canale di Suez. Le compagnie di
navigazione si impegnarono ad accrescere la comodità della navigazione, mettendo a disposizione della
clientela un equipaggio numeroso, un medico, camerieri esperti e pasti abbondanti e ricercati. La seconda
metà dell’800 fu caratterizzata da un significativo ampliamento della clientela, mentre nel periodo tra fine
800 e primi anni ‘30 del ‘900 fu la diversificazione degli spazi comuni a caratterizzare maggiormente la
trasformazione delle navi. I luoghi dedicati alla socialità furono i ponti, il fumoir e i saloni. Le attività dei
passeggeri nelle parti condivise, al di là delle escursioni a terra e del momento dei pasti, risultavano essere
le passeggiate sul ponte, la conversazione, la lettura e i giochi a carte. Velocità del percorso e comodità
offerte si connotarono come i tratti peculiari in grado di differenziare itinerari, porti, navi e compagnie di
navigazione. Gli spazi comuni dedicati alla prima classe però sottolinearono la distinzione anche a bordo
delle varie classi sociali. Anche sulla nave risultava importante vedere ed essere visti. Una delle opere che
fece dialogare i due mezzi di trasporto, treni e piroscafi, assurti a simboli della modernità, fu la realizzazione
della Valigia delle Indie, che assunse presto un valore paradigmatico del fascino orientale.
Per terra e per mare: la Valigia delle Indie

Per valigia delle Indie si intende la posta che, assieme a casse con merci orientali, diverse volte al mese
viaggiava tra Europa, India, Oriente e Australia. Fino al 1839, tale servizio seguì la via del Capo di Buona
Speranza per un viaggio, da Londra a Bombay, di circa quattro mesi. Con l’apertura del Canale di Suez nel
1869, ad essere favorito fu il percorso attraverso il Mar Rosso, Suez e il Mediterraneo. Il dato che colpisce,
nei paesaggi da un itinerario all’altro e da un mezzo di trasporto all’altro (si dovevano percorrere alcuni
tratti in carovana o a dorso di cammelli), fu la costante ricerca, più che della comodità, della riduzione dei
tempi di percorrenza. Inizialmente si pensò di inserire il porto di Brindisi in una sorta di interconnessione
con il trasporto ferroviario. Il primo passaggio venne realizzato dal Regno d’Italia, tra il 1863 e il 1865, dalla
Società delle Ferrovie Meridionali, che realizzò le tratte ferroviarie Ancona-Pescara-Foggia, Foggia-Bari e
Bari-Brindisi. La presenza di una rete ferroviaria in Italia indusse il governo inglese a valutare la possibilità di
far transitare la Valigia delle Indie proprio del porto brindisino. Con questo cambio di itinerario, il percorso
riduceva a 147 ore il viaggio verso l’India, contro le 176 di quello tradizionale attraverso Marsiglia. La Valigia
avrebbe utilizzato i piroscafi della Peninsular and Oriental Steam Navigation Company (P&O).

Il percorso della Valigia attraverso l’Italia venne inaugurato nel 1870 e coincide con la realizzazione di
grandi opere infrastrutturali: il Canale di Suez e il traforo ferroviario del Frejus. L’arrivo a Bombay del
piroscafo comportava lo smistamento della posta portato a terra dai rimorchiatori. A Brindisi la nuova
opportunità si rivelò con un potenziale elemento di centralità geografica ed economica. Allo stesso tempo,
la città, grazie alla ferrovia, crebbe comunque come centro marittimo internazionale. Fondata nel 1840, in
accordo con il governo di Sua Maestà, la compagnia di Brodie Wilcox e Arthur Anderson, la dinamica P&O
ottenne la concessione a svolgere i servizi postali commerciali tra Londra, l’Egitto, l’India, l’Oriente e
l’Australia. Nello stesso anno si fuse con la storica East India Company al fine di assicurare il servizio tra
Calcutta e Suez. La P&O, nel 1871, possedeva 38 navi e vapore, la maggioranza delle quali era impiegata
nella tratta ad Aden (Yemen) a Sydney. Verso gli anni 80 dell’800 si entra in una seconda fase segnata da
una competizione sempre maggiore con Marsiglia. La Francia si era resa conto del prestigio derivante dal
passaggio della Valigia presso le sue acque, prestigio momentaneamente perduto in favore di Brindisi. Ci si
rese conto che le opportunità economiche sarebbero state colte solo nel momento in cui le città portuali
francesi fossero riuscite a dotarsi di quelle strutture, a partire dagli alberghi, necessarie per attrarre
l’interesse dei viaggiatori in transito. Dal momento in cui, però, Brindisi e il Regno d’Italia non riuscirono più
ad accompagnare il flusso di viaggiatori e merci, i britannici ridussero gradualmente il servizio a vantaggio di
Marsiglia. Nello stesso periodo di fine secolo, il viaggio in treno si rese progressivamente autonomo dal
legame dialettico che lo univa al semplice servizio di trasporto. Grazie all’introduzione dei treni di lusso,
esso divenne un oggetto emblematico della modernità. Il vettore ferroviario entrò così in diretta
competizione tra Marsiglia e Brindisi. La parte del viaggio in treno contribuì a far riportare al centro il porto
francese, inizialmente messo fuori gioco dalla guerra franco-prussiana.

Sul versante dell’ospitalità andrà invece evidenziato il contributo dato dalla Compagnie des Wagons-Lits
(CIWL) alla modernizzazione e allo sviluppo del settore ricettivo brindisino, senza tralasciare l’effetto
promozionale e d’immagine, ottenuto con l’apertura del nuovo albergo. La CIWL promosse la costruzione di
una struttura qualitativamente all’altezza degli altri hotel-terminus, distribuiti nei punti chiave della rete
ferroviaria servita dai treni di lusso della compagnia. In questo caso si trattò del treno denominato
Peninsular Express da Calais a Brindisi, via Parigi e Modane. Il Grand Hotel International di Brindisi iniziò
così ad accogliere i passeggeri in transito dal 1893, passeggeri diretti in Oriente e nel Levante. Ma una
nuova convenzione stipulata con la Francia il 4 giugno 1897 segnò il definitivo declino della via di Brindisi.
Dal 1898 il servizio venne infatti assicurato da due piroscafi, Isis e Osiris, dotati però di poche cabine di
prima classe e di spazi esigui per i sempre meno numerosi passeggeri. Con l’aprirsi del 900, la Valigia delle
Indie si identifica sempre più con la Malle des Indes. Alla valigia della Prima guerra mondiale, la Valigia fornì
ancora una flebile traccia della sua presenza a Brindisi. L’avventura della Valigia delle Indie dimostrò tutta la
debolezza di un sistema economico, amministrativo, infrastrutturale e turistico che non seppe migliorare il
prodotto offerto per rispondere proprio alle richieste di viaggiatori diretti in Oriente.

Un nuovo modo di viaggiare: il treno

Al di là del Mediterraneo, i binari iniziarono a risalire il Nilo verso Città del Capo o l’Anatolia, oppure
ridiscesero i Balcani per arrivare più velocemente a Costantinopoli. Contrariamente a quello in carrozza,
scandito dal ritmo lento imposto da strade dissestate e dal cambio dei cavalli nelle stazioni di sosta, che
offriva al viaggiatore momenti per l’interazione sociale, il viaggio in treno ebbe due caratteristiche ben
definite: la velocità e la rigida regolamentazione sia del percorso, sia dello status sociale dei passeggeri. La
differenziazione del prezzo del biglietto, determinata in base al livello di servizio offerti, pose anche un
tassello fondamentale nel processo di democratizzazione del viaggio, rendendolo così accessibile ad un
numero più elevato di persone. La dimensione romantica del viaggio, con la possibilità di immergersi
liberamente nei paesaggi scegliendo l’itinerario, fu così drasticamente annullata dalla fissità del tracciato
ferroviario.

Negli ultimi decenni dell’800, la costruzione delle ferrovie, che in Europa aveva già contribuito al successo
di diverse destinazioni termali nel XIX secolo, giocò così un ruolo chiave anche nel viaggio in Oriente:

• In primo luogo > migliorò il collegamento tra Parigi e Costantinopoli, rendendo meno arduo e più
rapido l’accesso ad una delle città simbolo dell’Oriente;
• In secondo luogo > mise in evidenza la costante necessità di studiare delle risposte efficaci al
problema dell’accoglienza dei viaggiatori stranieri > per essere attraente, il viaggio venne proposto,
grazie anche al mezzo della stampa, come un’esperienza unica anche per la sua dimensione
mondana;
• Inoltre > favorì la realizzazione di una grande impresa, in cui confluirono capacità imprenditoriali,
innovazione e comunicazione, che dalla storia entrò nella leggenda riassumendo in sé alcuni dei
temi del viaggio in oriente: l’Orient Express.

Il treno per Costantinopoli: l’Orient Express

Ad aprire una nuova frontiera per il viaggio in treno fu l’imprenditore belga Georges Nagelmackers (1845 –
1905) che, dopo un soggiorno negli Stati Uniti, iniziò ad immaginare di far correre anche sui binari europei
dei treni di lusso. Nel 1872, insieme a William d’Alton Mann, fondò la Georges Nagelmackers et Cie -
Compagnie des Wagons-Lits (CIWL) che, quattro anni dopo, controllerà totalmente. Nel 1884, essa diventò
la Compagnie Internationale des Wagons-Lits et des Grandes Express Européennes. L’imprenditore belga si
ispirò alle carrozze letto che vide negli Stati Uniti, puntando in primo luogo sulla comodità. Questa
introduzione permise anche ai viaggiatori europei di spostarsi velocemente senza dover rinunciare a riposo
e al comfort. Ben presto alle carrozze letto si sarebbero aggiunte quelle dedicate ad accogliere il ristorante.
Il primo viaggio fu inaugurato da un treno di sole vetture letto, che in 28 ore collegò Parigi a Vienna. Fu
sull’onda di questa crescita che si affacciò l’ipotesi di estendere il raggio d’azione verso il Levante. In
occasione del viaggio inaugurale Nagelmackers invitò a bordo anche dei giornalisti, per fare in modo che
essi pubblicizzassero attraverso la stampa il nuovo convoglio, definito il Grand Express d’Orient. I viaggiatori
avevano così la possibilità di spostarsi da un paese all’altro, vivendo a bordo di un treno come a casa
propria: pranzando, cenando e dormendo comodamente. Inoltre, il nuovo collegamento che attraversava
una decina di Stati, quasi annullò anche il controllo dei passaporti. Il 4 ottobre 1883 l’Orient Express si lascio
alle spalle per la prima volta la gare de Strasbourg di Parigi, dando inizio al suo viaggio inaugurale verso
Costantinopoli. Il convoglio era formato da due vagoni di servizio, due carrozze letto (da 20 posti ciascuna),
due toilette e un vagone ristorante. Durante il suo tragitto, il treno attraversò il regno di Baviera, l’impero
d’Austria e Ungheria, il regno di Serbia e quello di Romania, per poi arrivare nell’Impero ottomano. Il
convoglio passò dai 70 km/h iniziali ai 45 km/h dell’Ungheria, per poi finire ai 30 km/h della Romania. A
catturare principalmente l’attenzione dei passeggeri fu la novità offerta dall’albergo di lusso viaggiante. Le
vetture vennero valorizzate al massimo, grazie all’elegante allestimento degli spazi interni e all’eccellente
servizio a bordo. Col passare degli anni il tempo di percorrenza della tratta si ridusse di 14 ore, portandosi a
67 ore circa.

L’età di maggior prestigio dell’Orient Express, che si protrasse fino agli anni 30 del ‘900, ebbe un grande
impatto economico e sociale nell’evoluzione del turismo moderno, dimostrando l’importanza di rendere un
viaggio veloce e comodo, e migliorando l’accessibilità geografica delle destinazioni orientali. Inoltre,
l’esperienza su questo treno era anche una modalità di socializzazione per la società elegante. La rete
ferroviaria agevolò l’accessibilità dell’Oriente ma, allo stesso tempo, dimostrò anche quanto una zona di
arrivo e di transito avesse bisogno di un contestuale sviluppo del settore ricettivo di alto livello, per non
lasciare l’esperienza del viaggio in treno di lusso parzialmente incompiuta.

CAPITOLO 3 → La porta di tutti gli orienti: Costantinopoli

Il gran teatro dell’Oriente

Per molti viaggiatori europei il palcoscenico dell’Oriente si apriva con la visione di Costantinopoli. Chi
arrivava dall’Europa però, il vero centro della vita politica, economica e sociale della città, lo identificava
con il quartiere di Pera, sovrastante quello di Galata: l’emblema più evidente della modernizzazione.
Situato oltre il Ponte di Galata, il quartiere di Pera divenne uno degli snodi diplomatici più importanti del
mondo, grazie alla presenza crescente dei simboli del mondo occidentale. La pesante influenza delle
potenze europee attive a Pera, con le loro ambasciate e le loro residenze, impose una modernizzazione del
quartiere, dotato di una municipalità indipendente, che passò dall’illuminazione a gas, alla pavimentazione
a pavés delle strade principali e l’apertura di nuove vie carrozzabili. Nei quartieri di Pera e Galata, i servizi
necessari ai forestieri risultarono tutti presenti: hotel, ristoranti, banche, ambasciate, consolati, uffici
postali. Lo scrittore francese Pierre Loti, evidenziò il fatto che Pera mescolasse in un unico spazio il volto
della modernizzazione occidentale in corso a Costantinopoli e nell’Impero ottomano, con iniziative, come
quelle del settore ricettivo, volte ad adattare l’ambiente levantino alla frequentazione dei viaggiatori
europei.

In cerca delle comodità europee: il Pera Palace

La costruzione del Pera Palace rappresentò un caso particolare ed articolato nel contesto del viaggio in
Oriente. Con l’arrivo dell’Orient Express, l’assenza di un grand hotel che fosse al livello di quelli attivi nelle
capitali e nelle stazioni termali europee, si rivelò essere un punto di debolezza. La frequentazione di un
hotel di alta categoria era, per l’élites europee, un modo per esternare il proprio status elevato, la cui
ostentazione non poteva fare a meno della frequentazione di spazi appannaggio della classe agiata. Nella
città-enclave di Pera si decise così di sperimentare un modello di ospitalità già diffuso in Europa: l’hotel-
terminus. Fin dai primi anni del XIX secolo si inizia infatti ad associare l’albergo di lusso alla grande stazione
ferroviaria. Questi alberghi si collocarono nello stesso edificio della stazione, occupando i piani superiori e
lasciando il pianterreno solo per i servizi di accoglienza e per gli uffici. Sotto il profilo finanziario, la crescita
di tali alberghi fu determinata dal fatto che le compagnie ferroviarie investirono abbondantemente nel
settore alberghiero. Il Pera Palace, inaugurato nel 1892, si configurò come una struttura caratterizzata da
una tecnologia molto avanzata (ascensore, bagni, docce, illuminazione elettrica e riscaldamento a vapore) e
da un aspetto esterno di richiamo neoclassico. Nell’albergo, fisicamente staccato dalla stazione di Sirkeci,
interagirono l’élites ottomane, il cui sguardo era rivolto ad Occidente, con l’eterogenea comunità straniera,
rafforzata dalla crescente presenza dei viaggiatori. L’appartenenza della struttura ricettiva ad un gruppo
diffuso di alberghi di alto livello, situati nella località chiave per il movimento dei flussi europei (Nizza,
Montecarlo), offrì un forte valore aggiunto alla struttura ricettiva. Il desiderio di essere inclusi nella ristretta
società dei viaggiatori trovò così nel soggiorno al Pera Palace uno dei suoi strumenti più efficaci ed
emblematici.
PARTE 2

CAPITOLO 1→ Il simbolo dell’ospitalità in oriente: il caravanserraglio

Dove comincia l’Oriente

Nella società dell’800, l’Oriente era visto come un modo affascinante ma, allo stesso tempo, incuteva paura
per la lontananza e la diversità. Tale mondo orientale iniziava, di fatto, già dall’Europa balcanica e il suo
simbolo più tangibile era il caravanserraglio. Sulle strade del Levante, i viaggiatori cominciarono a trovare
rifugio proprio nei caravanserragli. I khan, nei centri urbani, proponevano invece un servizio maggiormente
curato con spazi più ampi. Il caravanserraglio, nato per dare ricovero ai viaggiatori in sostituzione degli
alberghi, si presentò come una struttura a forma quadrata o rettangolare, disposta attorno ad una corte
centrale. Mediante una leggera retribuzione, essi davano ricovero ai commercianti di passaggio, alle loro
merci, carovane e animali. Formati da spaziosi cortili, vasti magazzini e ampie gallerie, non garantivano
lusso e agiatezza, ma sicuramente riparo dalle intemperie del deserto. il viaggiatore era tenuto a procurarsi
da sé tutto l’occorrente per il vitto e a cucinarselo, in quanto gli veniva garantito solo il ricovero per
dormire. La permanenza all’interno del caravanserraglio era caratterizzata da un bagno in comune, pareti
spoglie e senza finestre, ambienti senza mobili, eccetto per i giacigli di paglia sui quali si mangiava e si
dormiva. I ricchi e poveri erano sistemati insieme. La possibilità di conoscere la realtà locale era invece
messa a disposizione delle case private: un angolo di case modeste, dove il viaggiatore stendeva il proprio
materasso. Una maggiore comodità riguardava la solidarietà proposta da persone di rango più elevato, in
particolare presso i conventi (dov’era fornito anche il vino), nei quali, pur essendo l’ospitalità offerta
gratuita, venivano spesso richiesti dei compensi fissi. L’ospitalità alberghiera ricevette un rinnovato impulso
in Siria e in Palestina, grazie alla presenza, nelle città di Beirut, Damasco e Gerusalemme, di alberghi gestiti
assicurando un livello qualitativo del servizio ritenuto accettabile. Chi non voleva dormire in tenda, poteva
scegliere tra il solito khan e l’accoglienza privata. Secondo le riflessioni dell’agronomo inglese Young, non
bastavano ponti e strade per stimolare la mobilità, ma la presenza di infrastrutture come alberghi, mercati,
i quali avrebbero incrementato il flusso di viaggiatori. Partendo da queste premesse, la necessità di rendere
veloce e comoda la pratica del viaggio in tutte le sue componenti, per affrancarla dalle carenze e dalle
scomodità che tanto spaventavano il viaggiatore europeo in Oriente, sarà uno snodo imprescindibile, anche
per lo sviluppo del turismo e per la sua democratizzazione al di là del Mediterraneo.

Come in Occidente, anche in Oriente il XIII secolo segnò il passaggio dell’ospitalità gratuita a quella a
pagamento. Il crescere dei traffici lungo le piste carovaniere rese presto insufficienti le risorse messe
gratuitamente a disposizione per obbligo sacro e dovere sociale da espletare nei confronti dei viandanti.
Mezzo secolo prima di Grimaldi, lo scrittore piemontese Carlo Vidua identificò, tra gli elementi più
significativi di Damasco, oltre ai bazar e ai bagni, proprio i khan, rimarcandone la solidità e la bellezza della
costruzione. Essi, formati da una corte interna che fungeva da vestibolo d’albergo, erano ambienti deputati
a favorire l’interazione tra gli ospiti e gli scambi commerciali. Il khan, frequentato da Vidua, viene descritto
come una corte quadrata, attorno alla quale erano disposte tante piccole camere mal illuminate e spoglie,
se non per una stuoia e un vaso pieno d’acqua. Il caravanserraglio si rivelò un mondo protetto, ma anche
chiuso, separato dal territorio e dalla popolazione che lo viveva. Anche in questo caso, come sarà per gli
alberghi, agì il principio dell’enclave, della separazione tra viaggiatori e popolazione locale. In sintesi,
possiamo osservare che nei primi decenni dell’800, in un Levante che registravo una larga assenza di
alberghi in stile europeo, la sistemazione offerta dei caravanserragli, da un lato non accontentò troppo i
viaggiatori, che finirono in una realtà piuttosto prosaica, dove erano esposti a condizioni climatiche avverse,
rischi di epidemie e qualità dell’acqua poco sicura; dall’altro invece, queste strutture rappresentarono un
efficace osservatorio della società dei viaggiatori presenti in Oriente. Allo scadere dell’800, anche il francese
Pierre Loti, percorrendo la Terrasanta, sostò in un caravanserraglio. Lo scrittore dipinse un vivace affresco
della società dei viaggiatori in Levante, dove la dimensione egualitaria, frutto della forzata condivisione di
uno spazio ristretto e non gerarchizzato, si sommò a dei fugaci tentativi di socializzazione tra individui
appartenenti a mondi lontani, postisi in viaggio per motivi di diversa natura: religiosa, commerciale e
turistica. In questo contesto, emergono i tre modelli di ospitalità, dei quali si servirono i viaggiatori europei
ed i pellegrini, dal XVIII al XX secolo:

1. Modello occidentale che sfocerà nell’albergo orientale > caratterizzato da una valenza sociale
capace di marcare, in modo ben visibile dall’esterno, la distinzione determinata dallo status.
L’albergo orientale di alto livello sarà quindi un luogo per il riposo e per la vita sociale, mentre il
soggiorno diventerà un momento per dare e ricevere informazioni, sia sul luogo che sull’itinerario,
un momento per socializzare con gli altri viaggiatori, godendo di una condizione sostanzialmente
paritaria;
2. Caravanserraglio > modello più diffuso, in cui l’ospitalità gratuita si intreccia con la ricerca dell’utile
economico;
3. Ospitalità religiosa > essa continuò garantire un rifugio sicuro a tutti i viaggiatori, senza distinguerli
in base alla loro disponibilità economica

Poteva anche succedere che il viaggiatore, una volta arrivato in Oriente, si dovesse accampare sistemandosi
attorno al fuoco del bivacco e trascorrendo la notte all’aperto. Il bivacco fu quindi una sistemazione
adottata quando non c’erano altre soluzioni disponibili, anche per gruppi più numerosi di viaggiatori, il cui
profilo si avvicinava sempre più a quello dei turisti. Lo scrittore Clemens riservò alcune pagine del suo
ampio resoconto di viaggio in Oriente, per descrivere questa tipologia di sistemazione. Egli racconta che,
per gli 8 viaggiatori, furono messi a disposizione 19 domestici e 26 muli, e che tutti formarono la carovana,
che si trasformò in un accampamento composto da 5 tende, con all’interno 8 letti, provvisti di materassi e
coperte. Il personale di servizio provvide ad illuminare l’accampamento e furono anche allestite delle sale
da pranzo.

CAPITOLO 2 → un’ospitalità europea in Levante

Da Beirut a Damasco

L’evoluzione dell’ospitalità offrirà un solido punto di partenza per i viaggiatori che effettueranno le loro
incursioni nel mondo che si affacciava sulle coste del Mediterraneo orientale. Due erano i requisiti
fondamentali ricercati dai viaggiatori europei: le comodità e la possibilità di interazione sociale, simile a
quella praticabile nei paesi europei. Inoltre, nel contesto architettonico dell’edificio, era indispensabile la
presenza di alcuni richiami, necessari a proiettare l’ospite europeo nella tanto ricercata dimensione
orientale.

Beirut, tra i principali porti di approdo per il Vicino Oriente, tra il 1832 e il 1840 cominciò a subire le
conseguenze dell’arrivo della cultura e dell’economia occidentali. La strategia di diffusione delle strutture
ricettive di stile europeo tenne contro, prima di tutto, della presenza dei viaggiatori. Nella prima metà
dell’800, al di là di Costantinopoli e Alessandria d’Egitto, gli occidentali poterono incontrare la presenza di
alcuni alberghi moderni solo a Smirne, Beirut e Damasco. Proprio a Beirut gli occidentali cominciarono ad
alloggiare al Grand Hotel d’Orient, costruito attorno al 1860 da Bassoul, o all’Hotel Bellevue. Qualche anno
dopo, a Baalbek, sito archeologico e prima tappa per le diligenze provenienti da Damasco, fu costruito
l’Hotel Palmyra. Lo sviluppo del porto e il miglioramento dei collegamenti stradali e ferroviari con Damasco
accrebbero l’importanza di Beirut, come una delle porte dell’Oriente. Una delle caratteristiche di questi
nuovi alberghi orientali fu quella di usare l’italiano come lingua franca (sia per l’antico commercio con le
repubbliche di Pisa, Venezia e Genova, sia per il lavoro svolto dai missionari francescani).

Damasco, punto di partenza per il deserto, tardò ad essere raggiunta dai viaggiatori, aprendosi solo in
seguito all’occupazione egiziana della Siria. La città copriva una vasta estensione ed era attorniata da molte
case con ampi giardini. Fin dalla prima metà del XIX secolo, iniziò a uscire lentamente dall’isolamento
attraverso una maggiore disponibilità di alloggi in grado di soddisfare le richieste dei viaggiatori europei.
L’Hotel Dimitri può essere considerato il primo albergo in stile moderno della città. Un altro albergo tipico
era l’Hotel de Palmyre, anche conosciuto come la Locanda.

Lontano dalla Cittadella: l’Hotel Baron di Aleppo

Il numero degli europei in viaggio sulle strade del Levante si fece più consistente a partire dalla seconda
metà del XIX secolo. La diffusione di un’ospitalità di stile europeo non seguì però di pari passo tale
incremento, lasciando i viaggiatori privi di una sistemazione adeguata, sia per ristorarsi, che per mitigare le
fatiche del viaggio. Fu a partire dai primi decenni del ‘900 che il quadro dell’ospitalità mutò anche in
Oriente. Per dotare la città siriana di Aleppo del suo primo albergo, fu scelta la zona della sua Cittadella,
fuori dalla vecchia città. La scelta consentì infatti agli ospiti di godere di migliori condizioni igieniche e
sanitarie, approfittando di un paesaggio ancora poco urbanizzato. L’Hotel Baron era posizionato in un’area
boschiva a poche centinaia di metri dalle mura di Aleppo e non troppo lontano dalla stazione ferroviaria,
inaugurata nel 1912. L’albergo, aperto nel 1911, fu progettato dei fratelli Mazloumian, i quali volevano
portare la città siriana ai livelli delle altre concorrenti. Si poté così osservare come, anche ad Aleppo,
l’incremento degli europei avesse comportato un profondo cambiamento della concezione alberghiera, a
partire dalle comodità, dal servizio e dalla cucina, di ispirazione francese. Pochi anni dopo l’apertura
dell’hotel, la carta del Levante venne ridisegnata a partire dall’accordo anglo-francese, noto come “Sykes-
Picot”, dal nome dei due plenipotenziari, datato 1916. Tale accordo prevedeva che, dal 1 settembre 1920,
data l’imminente dissoluzione dell’Impero ottomano, la Francia potesse creare un protettorato sul Libano.
Il territorio della Siria, sotto mandato francese, fu invece suddiviso in entità. Questo controllo condusse
l’élites locali, da un lato ad assorbire la cultura francese, dall’altro ad avviare un cammino di indipendenza
che avrebbe condotto, nel 1942, alla proclamazione della Siria come stato indipendente. Il Regno Unito
ottenne invece il mandato sulla Mesopotamia, denominata Iraq, che conservò fino al 1936. In questo
contesto, negli anni 30 del ‘900, viaggiò la scrittrice inglese Agatha Christie in compagnia del suo secondo
marito, l’archeologo Max Mallowan, lasciandoci il resoconto del suo itinerario.

Palmira e oltre

Palmira, la città nel deserto posta tra il Mediterraneo e l’Eufrate, rivelata ai viaggiatori occidentali dalle
spedizioni inglesi nei secoli iniziali del I millennio, fu un emporio dove confluirono le merci più pregiate
provenienti dall’Arabia, dalla Mesopotamia, dalla Persia e dalla Cina. Ma l’attrazione principale del sito di
Palmira era l’insieme di rovine antiche che si stagliano in mezzo al deserto, il Tempio di Baal Shamin. In
questa località, la società di investimenti siriana Kettaneh e quella britannica Nair Eastern Transport
Company Ambas finanziarono la costruzione dell’Hotel Kettaneh, inaugurato nel 1924, su progetto dello
spagnolo Fernando de Aranda. L’albergo avrebbe dovuto accogliere i viaggiatori in transito lungo la futura
strada Damasco-Bagdad-Teheran. Due fattori rappresentavano i veri punti di forza di questa struttura
architettonica, comunque modesta negli spazi interni e con camere piuttosto piccole:

➢ La collocazione a pochi passi dal Tempio di Baal Shamin;


➢ Il fatto di essere l’unico albergo in tutta quell’area.

Nel 1930 l’avventuriera e viaggiatrice francese Marguerite Clérisse, sposa di Pierre d’Andurain, acquistò la
struttura dell’albergo per 150.000 franchi, iniziando così un enorme attività imprenditoriale. La Contessa
intraprese subito una profonda opera di trasformazione degli ambienti interni, per adeguarli alle esigenze
degli europei i quali, piano piano, si stavano affacciando su Palmira. Il modello di ospitalità di riferimento
l’offrirono gli alberghi orientali presenti ormai a Damasco e Beirut. Inoltre, la Contessa cambiò il nome
dell’albergo in Zenobia (da una leggendaria regina del III secolo). Gli interni vennero arredati con sobri
mobili in stile basco, ai quali vennero accostati oggetti sia antichi che orientali. La struttura si stava
trasformando in un ambiente confortevole, perdendo quella desolazione che aveva avuto inizialmente. Le
camere erano all’avanguardia ed erano fornite di ventilatori a pale, alimentati da un potente generatore
eolico, situato a poca distanza dall’albergo. Il Zenobia presentava inoltre un luminoso salone-ristorante,
utilizzato anche come bar, e all’esterno era presente un’ampia veranda, dove gli ospiti potevano
socializzare, gustando un pranzo totalmente occidentale e ammirando le rovine del sito archeologico. La
Contessa si occupò della conduzione dell’hotel fino al 1933. Partendo lei stessa dalla classe agiata,
Marguerite seppe infatti capire le richieste della sua domanda, dimostrandosi in grado di soddisfare al
meglio le attese dei suoi ospiti. Chiunque potesse economicamente permetterselo, trovandosi a viaggiare
in Levante, non mancò di soggiornare in qualcuno dei grandi alberghi orientali caratterizzati da ambienti
spaziosi, comodità, giardini ombreggiati e soprattutto dalla possibilità di consolidare il proprio status
sociale. Tornando a Beirut, un altro esempio di ambiente cosmopolita e di intensa vita sociale ebbe il suo
naturale punto d’incontro sulla terrazza dell’Hotel Saint-Georges, aperto nel 1932, con l’intento di
rivaleggiare con le strutture europee e con quelle dell’Egitto. L’hotel, caratterizzato da ottima posizione, da
un ambiente dotato di una sua specifica identità, da attenzione al servizio in tutte le forme e cura del
ristorante, decretò in poco tempo il successo internazionale.

Gerusalemme

Una collezione di alberghi diversi, ma di segno unitario, caratterizzò l’ospitalità di Gerusalemme a partire
dalla

seconda metà del XIX secolo. Il modello alberghiero si fondò sull’intreccio tra attività imprenditoriale e
ricerca

religiosa, senza però tralasciare la componente del loisir.

Alla rete di accoglienza dei pellegrini, messa in atto da monasteri e case di accoglienza, si affiancò quella
offerta da

alberghi moderni in grado di dare un servizio più elevato. In una Gerusalemme avvolta dal vortice del
cambiamento,

innescato dall’incremento dell’arrivo dei pellegrini-turisti, la presenza di nuovi alberghi, di agenti di viaggio,

ristoranti, caffè e guide, non passà di certo inosservata. Vero simbolo del successo del settore furono le
strutture

ricettive, a partire dal Jerusalem Hotel o dal Grand Hotel, presso la porta di Giaffa, capace di ospitare un
centinaio di

persone ed arredato con stile inglese.

Una vicenda intima di famiglia, ospitalità e dimensione religiosa si trovò alla base della vicenda
dell’American Colony

Hotel. La scelta dei coniugi Spafford, originari di Chicago, di trasferirsi a Gerusalemme, avvenne dopo la
morte dei

loro figli nel naufragio del 1873, che coinvolse il transatlantico Ville de le Havre. Dal 1881 la loro casa della
città

vecchia cominciò ad accogliere un’American Colony, dedita alla preghiera e alle opere di carità. Pochi anni
dopo, la

colonia si trasferì in una residenza più grande, ubicata poco al di fuori delle mura della città vecchia. La
svolta, che

sfociò nella nascita di un albergo destinato a diventare un punto di riferimento per l’ospitalità di
Gerusalemme,
avvenne con l’aprirsi del XX secolo. L’occasione per espandersi ed avviare anche un’attività economica fu
colta nel 1902, quando il barone Von Ustinov ebbe la necessità di alloggiare a Gerusalemme, in compagnia
di alcuni suoi ospiti europei e statunitensi. Ecco che per la prima volta la colonia americana si aprì
all’ospitalità a pagamento. Uno straordinario affaccio sulla città vecchia e sulla porta di Giaffa lo fornì il King
David Hotel. Esso fu pensato inizialmente per accogliere i pellegrini e i turisti, in seguito per consolidare il
prestigio politico e le potenzialità economiche di Gerusalemme. Il tema architettonico di riferimento per il
nuovo albergo prese le mosse dal modello costituito dalla Svizzera. A dar forma all’hotel provvide anche
l’architetto svizzero Vogt, che scelse una soluzione a pianta rettangolare con ingresso centrale e due ali
laterali sporgenti. L’hotel fu inaugurato ufficialmente il 20 gennaio 1931. Il tratto caratterizzante, vera e
propria icona distintiva dell’albergo, fu la sua configurazione interna, poiché si staccava nettamente
dall’immagine tradizionale dell’albergo orientale: fu infatti concepita come un tributo alle civiltà del vicino
Oriente antico: egizia, assira, fenicia, ittita ed ebraica.

CAPITOLO 3 → tra oriente e occidente: gli alberghi del Cairo

Una veranda sull’Egitto: l’Hotel Shepheard’s

In Egitto, la stagione turistica si apriva a novembre per proseguire fino ad aprile. Qui si succedevano lunghi
periodi trascorsi al Cairo, poi a Luxor e ad Aswan, usufruendo di una villeggiatura di tipo climatico. Dopo
l’interesse per l’archeologia, il soggiorno curativo da trascorrere in un winter resort, fornì il secondo
rilevante contributo alla costruzione dell’identità turistica egiziana. Nell’universo molteplice e unitario del
Cairo, la presenza di viaggiatori non tardò a modellare il territorio, a partire dalle piazze di stile europeo. In
merito ad alberghi, quello più in grado di competere con i celebri alberghi europei era l’Hotel Shepheard.
Fin dalla sua apertura nel 1841, il più antico albergo del Cairo concentrò la vita sociale ed esotismo in uno
spazio, che assunse presto i tratti di un avere propria leggenda dell’Egitto. Esso costituiva una delle tappe
obbligate, sia per chi si fermava al Cairo per poi risalire il Nilo, che per quanti desideravano proseguire alla
volta dell’India o dell’estremo Oriente. Nei primi anni di attività, l’albergo aveva tutte le carte in regola per
far sentire i suoi ospiti immersi in un mondo orientaleggiante. La situazione cambiò nel 1889, quando la
gestione venne presa dal giovane svizzero Baehler, il quale si accorse fin da subito delle immense
potenzialità non sfruttate a fondo. Baehler focalizzò la sua attenzione di imprenditore sulla fornitura di
strutture in grado di soddisfare le richieste di una domanda orientata a considerare l’Egitto una
destinazione climatica elitaria, adatta ai lunghi soggiorni invernali. Il consistente intervento di ricostruzione
e ampliamento che coinvolse lo Shepheard fu un’operazione imposta dalla necessità di riposizionare
l’albergo all’interno di un contesto dell’ospitalità cairota, fattosi maggiormente competitivo. Se all’esterno
predominarono le linee classiche, all’interno della struttura ricettiva accolse viaggiatori occidentali con uno
stile che traeva larga ispirazione dalla civiltà dei faraoni. Nelle altre parti in comune spiccarono invece
decorazioni raffinate e tappeti persiani. Negli ultimi anni dell’800, la proprietà contribuì a dare forma non
solo alla nuova struttura, ma anche a potenziarne l’aspetto igienico e il sistema di areazione degli spazi
comuni. L’illuminazione elettrica posizionò la struttura all’avanguardia non solo in Egitto, ma nell’intera
Africa. Nella hall, gli ospiti avevano disposizione il telegrafo e l’ufficio postale, mentre si potevano rilassare
nelle sale di lettura, scrittura e musica, e cenare nella sala per le cene private. Ma la sala che più animava lo
Shepheard era il “fumoir” o “smoking room”, molto frequentata dagli uomini dopo la cena. Nonostante
l’accentuata dimensione mondana dell’hotel, molte testimonianze riportano il fatto che in esso regnava
sempre un’atmosfera di calma e tranquillità. Nella veranda antistante ruotava una parte significativa della
vita mondana di stile occidentale del Cairo: sedie, tavolini e palme facevano da cornice ad uno spazio
sociale elitario e cosmopolita, caratterizzato da un alto valore di distinzione e oggetto di un viavai continuo
di turisti di tutte le nazionalità.
Un altro simbolo della città egiziana è il Gezira Palace, fatto edificare per la moglie di Napoleone III. Il
palazzo, costruito sull’isola del Nilo di Gezira, fu inizialmente pensato per dare ospitalità agli invitati alla
cerimonia per l’inaugurazione del Canale di Suez. Il palazzo, immerso in un grande giardino, si caratterizzò
per unire gli elementi architettonici di ispirazione occidentale con dei modelli orientaleggianti, riprodotti
partendo dallo studio delle testimonianze arabesche. L’albergo fu inaugurato nel 1869, ma è dal 1890 che
iniziò la sua seconda vita di albergo di lusso, dotato di 250 camere, fornito di illuminazione elettrica, sala da
ballo e teatro.

Camera con vista sulle Piramidi: il Mena House

Il punto di forza del Mena House fu sicuramente la sua impagabile vista sulle piramidi di Giza. Tra il 1884 e il
1886 nacque lo sfarzoso hotel, ristrutturato dei coniugi Head. Nel progettare l’edificio, l’architetto Favarger
trasse ispirazione dalle costruzioni della città vecchia del Cairo. L’architetto esaltò al massimo la vista sulle
piramidi, grazie alla terrazza e al giardino che vi si affacciano direttamente. Allo stesso tempo, l’uso
abbondante di elementi architettonici arabeggianti e moreschi creò la giusta cornice per attrarre gli ospiti
occidentali. Nel 1890 venne introdotta la piscina: un evento rivoluzionario che permise di dare il via alla
stagione estiva del Mena House. Come in Europa, lungo le coste del Mediterraneo o tra le montagne della
Svizzera, il lungo soggiorno all’estero trovò dalla seconda metà del XIX secolo la sua giustificazione sociale
negli effetti terapeutici insiti nella destinazione. L’accessibilità del luogo fu inoltre agevolata dal processo di
modernizzazione in corso al Cairo, ben simboleggiato dal tramway elettrico che, dal 1899, collegò
regolarmente la piana di Giza con la zona di Gezira. Fin dagli ultimi decenni del XIX secolo il rendimento
economico e la richiesta di nuovi servizi attrassero dunque gli imprenditori, a partire da quelli del settore
ricettivo che, grazie alla loro abilità nell’estrarre prodotti turistici, dimostrarono la raggiunta maturità del
turismo, come fatto di natura economica e non solo come fenomeno sociale.

L’albergo orientale come spazio sociale

Lo sviluppo della veranda, come già stato accennato, sarà fondamentale non solo in Egitto, nell’evoluzione
dell’ospitalità orientale, dato che essa consentì ai viaggiatori occidentali di osservare l’Oriente, rimanendo
però saldamente ancorati alle sicurezze dell’Occidente. Nell’insieme, a partire dal Cairo e dall’Egitto, il
diffondersi dei grandi alberghi si colloca in un arco di tempo racchiuso tra gli ultimi decenni dell’800 ed i
primi del ‘900, in una cornice di garanzia dei valori occidentali, diventando una sorta di monumento
dell’avventura coloniale europea. Gli alberghi orientali furono, in primo luogo, un rifugio per evadere, per
conversare ed intrecciare delle relazioni con gli altri europei di passaggio. In secondo luogo, gli alberghi
costituivano un mondo elitario, ad accesso in qualche modo regolamentato, come in un club, in cui poter
assaporare il lusso, l’eleganza, i comportamenti raffinati caratterizzanti le lontane città e stazioni climatiche
europee. Nel Grand Hotel europeo, in genere, gli spazi deputati per la vita sociale sono prevalentemente
quelli interni, mentre la promenade provvede alla socialità esterna. Nel Grand Hotel d’Oriente invece,
spetta alla veranda esterna il ruolo di vetrina sociale. Essa sostituisce in un certo senso la hall, rappresenta
un luogo di congiunzione tra interno ed esterno e soddisfa il desiderio degli ospiti di avere uno spazio
esterno in cui vivere all’aria aperta. La terrazza rialzata stacca poi fisicamente l’ospite dalle insidie del
territorio, come calore e polvere, offrendogli un “porto sicuro”. È come se la vita della città scorresse a
pochi passi dall’ospite, ma sembrasse in realtà molto lontana. Il viaggio in Oriente è una pratica che non
richiede di abbandonare le proprie abitudini.

In conclusione, possiamo affermare come l’albergo si delinei come un mondo a parte, un universo
separato: il punto di ritrovo dell’elegante élite occidentale. La veranda è il posto in cui è necessario essere
presenti per “vedere ed essere visti”.

PARTE 3

CAPITOLO 1 → organizzare il viaggio: dal grand tour all’oriente

Nella prima metà dell’800 prese sempre più corpo la convinzione che occorresse mettere a disposizione dei
viaggi di tipo turistico anche una serie di servizi. Su questa idea, si innestò la prospettiva imprenditoriale
che vide l’avvio della diffusione delle imprese di viaggio: agenzie ed organizzatori per gruppi, più o meno
numerosi. L’idea del viaggio, inteso come un’impresa, germogliò già nel ‘700, quando i vetturini avviarono
una prima trasformazione. La figura del vetturino riassunse così una chiara convergenza tra la funzione del
vettore e quella di chi offre al viaggiatore alcuni servizi, in aggiunta a quello del trasporto. Si trattò di
un’impresa che forniva ai viaggiatori un insieme di servizi, a partire dal noleggio di una carrozza per
compiere un determinato percorso, con l’obiettivo di riempirla con maggior numero di grandturisti
possibile. Ad essi, il vetturino forniva anche vitto e alloggio. La vettura, inoltre, procedendo con
un’andatura moderata, consentì ai viaggiatori di ammirare il paesaggio e di entrare in contatto con la
popolazione dei luoghi attraversati. Secondo i resoconti di molti viaggiatori che usufruirono di questo
servizio, appare evidente che molto spesso le vetture non venivano riempite del tutto. Risulta quindi
importante, per il vetturino, fare una scelta obbligata: trovare un numero elevato di passeggeri prima di
mettersi in marcia. Va inoltre sottolineato come, a causa dell’alta concorrenza, ci fu un eccesso di offerta,
che finì così per limitare i guadagni dei vetturini. Il riposo dei cavalli era poi un altro aspetto chiave: nel
corso delle soste, i cavalli venivano rifocillati e strigliati. Nel processo di costruzione del turismo moderno,
l’impresa del vetturino, nonostante la concorrenza delle ferrovie e delle diligenze, continuò la sua attività
anche ad ‘800 inoltrato. Tra i suoi punti di forza ci furono sia la comodità, che il prezzo moderato del
servizio: due fattori che compensarono la ridotta velocità della vettura.

Il crescente uso del treno velocizzò e migliorò le condizioni del viaggio, ma finì per essere percepito come
un modo di muoversi privo della libertà di scoprire il territorio. Infine, si può affermare che il viaggiatore
stipulava con vetturino una sorta di contatto, l’equivalente moderno del “pacchetto di viaggio”. Il vetturino
si impegnava a condurre i viaggiatori per un determinato numero di giorni, prendendosi anche cura dei loro
bagagli. I viaggiatori avevano poi una serie di servizi a carico del vetturino: l’alloggio in un albergo di prima
qualità, la cena di 6 portate, pedaggi, mance e altre spese. A partire dagli anni del Grand Tour, la
testimonianza relativa al viaggio materiale data dall’attività imprenditoriale del vetturino, che trovò il suo
spazio anche nelle diverse guide di viaggio, risultò molto importante. Si iniziò pensare, proprio in questa
fase, che l’organizzazione del viaggio avrebbe potuto dischiudere nuovi orizzonti economici. L’impresa di
viaggio del vetturino allo stesso tempo rese geograficamente accessibili nuove destinazioni. Se il lavoro del
vetturino rimase sempre circoscritto ad una dimensione di impresa individuale, collocata in un contesto
spaziale limitato, a ricomporre la frammentazione, portando questo modello di impresa turistica ad una
dimensione organizzativa più ampia e articolata, provvide Thomas Cook.

Realizzare il sogno del viaggio: Thomas Cook

Colui che, con il suo cammino di innovazione, contribuì alla trasformazione del turismo moderno,
posizionandolo verso una dimensione economica non solo in grado di rispondere alle richieste del mercato,
ma anche di crearle, fu Thomas Cook. Nato nel 1808, visse tutta la sua gioventù nella contea inglese del
Derbyshire, sempre molto attivo nella Chiesa Battista. Il 5 luglio 1841 organizzò un viaggio, utilizzando il
treno, per 570 lavoratori di Leicester che, viaggiando in terza classe e su vagoni scoperti, raggiunsero
Loughbourough, distante meno di 15 miglia. Lo scopo era assistere ad un meeting antialcolista della
Temperance Society. Cook ragionò, al pari del vetturino, sulle potenzialità di ridurre i costi e offrire così a
più persone possibile (anche a coloro che erano rimasti esclusi dagli orizzonti del viaggio), l’opportunità di
spostarsi e viaggiare. Cook, dimostrandosi un abile uomo d’affari, aveva infatti convinto i responsabili della
Midland CountrIes Railway ad emettere dei biglietti a prezzo ridotto, avendo come garanzia l’alto numero
di passeggeri assicurati sul convoglio. Egli, data anche la sua formazione personale sorretta dei valori della
religione cristiana, scorse nella pratica del viaggio la possibilità di dare dei benefici positivi, di tipo morale,
ricreativo e di contatto con la vita all’aria aperta, ai membri delle classi lavoratrici. Thomas Cook ebbe
perciò una visione chiara della società del suo tempo, in cui la trasformazione delle convenzioni stava
introducendo il crescente bisogno di viaggiare. Unendo l’aspetto economico con quello sociale, egli seppe
definire un modello di fondo che avrebbe caratterizzato nei decenni successivi il sistema turistico. Una serie
di eventi successivi, a partire dalla Grande Esposizione Universale del 1851, simboleggiata dal Crystal
Palace, permise a Cook di andare più lontano. Negli anni 50 del XIX secolo, i viaggi organizzati da Cook si
estesero a macchia d’olio sul territorio del Regno Unito, mentre il passo successivo lo portò ad attraversare
la Manica in cerca di nuovi scenari, come Parigi, le Alpi svizzere e l’Italia. Il suo modello di business, a partire
dagli anni 60, si focalizzò sui viaggi in Europa. Cook si servì anche di uno strumento che oggi definiremmo
marketing e comunicazione, pensato per informare i potenziali clienti delle proposte di viaggio: The
Excursionist. Il giornale è uscito per la prima volta in occasione dell’esposizione londinese. L’intensa opera
persuasiva andò di pari passo con il perfezionamento dell’organizzazione dei viaggi e con il contestuale
incremento dei servizi offerti. L’allargamento dell’offerta fu supportato dal miglioramento nella stipula dei
contratti con i vettori per il trasporto e con le strutture ricettive. Nel 1856 Cook trasferì la sua sede a
Londra, conservando comunque l’ufficio di Leicester e adoperandolo per stampare le guide e le brochure.
Dell’ufficio londinese iniziò ad occuparsene il figlio John Mason, il quale manifestò presto di avere una
visione differente dei viaggi organizzati: meno orientata all’idealismo religioso e più alla redditività
economica. Dal 1871 debutto la Thomas Cook & Son, controllata dal figlio. La rete di destinazione si estese
all’Egitto, alla Terrasanta, alla Scandinavia, all’India, all’Australia e agli Stati Uniti. Tra il 1872 e il 1873 venne
addirittura organizzato il primo giro del mondo per una durata di 222 giorni. Nella costruzione del percorso
di avvicinamento ad un’idea di turismo comunemente intesa, un primo valore importante lo acquisì
l’invenzione del biglietto circolare, il quale raggruppava in un unico biglietto sia quelli emessi dalle diverse
compagnie ferroviarie, che quelli di altri vettori come carrozze o imbarcazioni. Una seconda invenzione per
rendere più veloci e agevoli gli spostamenti, furono i coupon. Cook cominciò così a negoziare in anticipo
con gli albergatori di diverse strutture ricettive diffuse nelle aree interessate dal viaggio il prezzo fisso per i
servizi di pernottamento, colazione e cena. I servizi inclusi furono così stampati sui singoli coupon, in modo
tale che il cliente sapesse in anticipo quanto era effettivamente compreso. Alla fine del XIX secolo, gli
alberghi inseriti nel circuito dei coupon arrivarono a quota 2000. L’impresa di Cook non si limitò solo ad
offrire una serie di servizi, ma si adoperò anche per organizzare degli itinerari guidati. Cook finì per
addomesticare il viaggio, soprattutto all’estero, rendendolo fruibile a chi non avrebbe mai lasciato gli agi
domestici per affrontare l’ignoto. I Cook saranno quindi i pionieri di quello che sarà poi definito viaggio
combinato, in quanto metteva in connessione un certo numero di imprese legate adesso, e guidato. Il
viaggio organizzato andò progressivamente a differenziarsi da quelli del passato: esso divenne uno svago,
un momento di rigenerazione e di allontanamento dei ritmi incalzanti della società industriale. Si verificò
una crescita della domanda dei viaggi che, opportunamente sollecitata con prezzi bassi e prodotti
appositamente concepiti, finì per essere di forte stimolo per la crescita dell’offerta proposta da chi
cominciò ad organizzare itinerari. Il viaggiatore ebbe così a sua disposizione una struttura imprenditoriale in
grado di offrirgli sia la possibilità di preparare il viaggio individuale, sia l’opportunità di aggregarsi ad una
comitiva. Affascinata dei resoconti del Gran Tour, la borghesia si accostò con entusiasmo e convinzione ad
una pratica sociale nuova, la quale, nel corso degli anni si trasformò in una pratica abituale, strettamente
collegata al progresso tecnico dei mezzi di trasporto e del raggiungimento di nuove mete. Con i costi però,
calò anche il prestigio sociale dei viaggi, che da elevati ed elitari momenti di formazione, trovarono nella
loro democratizzazione e nei gruppi guidati un forte abbassamento del valore. Nella seconda metà del ‘900,
con l’affermarsi del turismo di massa, i tour operator finiranno per ricalcare itinerari e forme organizzative
dei viaggi di Cook, abbattendo però notevolmente i costi ed ampliando ulteriormente la società dei
viaggiatori, nella quale saranno progressivamente incluse le classi inferiori.

CAPITOLO 2 → viaggiare in Levante

Il dragomanno

Fin dagli albori del viaggio al di là del Mediterraneo la figura di riferimento per rendere accessibili agli
europei i territori dell’Oriente fu il dragomanno: un vero e proprio mediatore tra i viaggiatori e la realtà
locale. Interprete e mediatore tra due culture, il dragomanno simboleggiò l’incontro tra il mondo
occidentale e quello orientale. Egli svolse, accanto al fondamentale ruolo di interprete e di guida, anche
quello di referente locale, in grado di risolvere tutti problemi, sia di natura organizzativa e culturale. Il
dragomanno, oltre a svolgere la funzione di facilitatore, iniziò ad affinare le sue capacità imprenditoriali,
costruendo una sorta di pacchetto turistico. Ad esso si affidavano anche i gruppi di pellegrini, con i
rappresentanti dei quali il dragomanno sottoscriveva anche un dettagliato contratto. Per prima cosa, egli
provvedeva alle tende (quelle per dormire, per consumare i pasti), in seguito alla cucina e ai tavoli, ai letti
muniti di coperte, lenzuola, cuscini e asciugamani. Agli ordini del dragomanno agirono cavallari, mulattieri,
camerieri e cuochi. Dato il suo ruolo chiave, la scelta del dragomanno da parte dei viaggiatori doveva tener
conto non solo della tariffa giornaliera pro-capite richiesta, e di quanto vi era incluso, ma anche delle
indicazioni fornite dei singoli consoli, dei religiosi e dagli albergatori. La sua attività può essere letta come
una declinazione originale e specifica di un modello di impresa di viaggio, tarato sia sulle esigenze dei
viaggiatori, che sulle peculiarità di territori sostanzialmente privi delle strutture basilari per renderlo
accessibile senza ricorrere a forme di mediazione. Con la sua azione, il dragomanno consentì il
superamento di una serie di limiti linguistici ed ambientali. Al contempo, egli introdusse delle inedite
valenze moderne, che troveranno la loro naturale evoluzione con l’incremento dei servizi, a partire da quelli
dell’ospitalità. La carovana utilizzata dal dragomanno fu quindi una sorta di microcosmo, un’enclave mobile
dove un gruppo chiuso, protetto da una rete di comodità, percorreva spazi desertici, senza però sentire le
fatiche ad essi connesse.

Navigare sul Nilo a bordo di una Dahabiya

Il tema dell’accessibilità dei siti archeologici sarà decisivo per estendere l’azione delle imprese di viaggio
verso l’alto Egitto. Prima dell’affermarsi delle crociere proposte dalla Thomas Cook & Son, l’immaginario del
viaggiatore si tradusse in realtà grazie alla possibilità di navigare sul Nilo, offerta da una vera e propria
proto industria dei viaggi, attiva in Egitto e costruita attorno ad un’imbarcazione: la Dahabiya.
L’imbarcazione, caratterizzata dalla sua ampia vela, punteggiava il corso del Nilo da tempo immemore,
prima di essere utilizzata per produrre l’idea di un modello di impresa per i viaggiatori occidentali. La
Dahabiya agevolò la relazione tra i suoi passeggeri e il paesaggio circostante, offrendo ai viaggiatori la
possibilità di fruire di un ambiente confortevole, sia negli spazi interni che in quelli comuni. Il microcosmo
della Dahabiya rese evidenti le dinamiche della vita sociale presente in un viaggio che, anticipando la
crociera, alternava le soste per le visite guidate ai siti archeologici, ai lunghi momenti della navigazione sul
Nilo, accompagnati dall’osservazione della vita che scorreva lungo le sue rive. Il dragomanno, fin dal Cairo,
poteva organizzare l’itinerario in barca a vela. Egli si impegnava a provvedere un’imbarcazione spaziosa ed
equipaggiata sia con gli arredi necessari, che con le provviste per pranzi e cene ai passeggeri di prima
classe. I passeggeri sarebbero stati condotti dal Cairo ad Aswan, per poi fare ritorno alla capitale, dove
avrebbero avuto disposizione diversi giorni da trascorrere liberamente; inoltre, avrebbero pagato la metà
del compenso pattuito con il dragomanno alla partenza e il resto al ritorno al Cairo. Esisteva anche un altro
servizio fluviale, quello dei battelli a vapore: una soluzione che consentiva di risparmiare tempo e denaro,
senza rinunciare ad un approccio generale al Nilo. Alcuni spazi delle imbarcazioni a vapore erano pensati
proprio in funzione del trasporto di europei che viaggiassero individualmente e fossero dotati di cabine
singole e sale di intrattenimento forniti di pianoforte. A bordo erano presenti, oltre al capitano e al maître
d’hotel, anche un intendente, un dragomanno, camerieri, personale di servizio e una scorta militare. Per
tutta la stagione invernale, i battelli a vapore salpavano del Cairo, diretti alla prima cateratta del Nilo ogni
20 giorni. I due modelli di impresa di viaggio erano differenti:

➢ Dahabiya > era maggiormente elitaria e riservata agli appartenenti della classe agiata
➢ Battello a vapore > era più adatto a dei passeggeri con una composizione sociale più eterogenea e
forniti di una minore capacità di spesa.

Entrambe le attività erano però accomunate dalla presenza del dragomanno.


CAPITOLO 3 → nelle terre della bibbia

Thomas Cook in Levante

Nell’autunno 1868, Cook andò ad esplorare la sponda orientale del Mediterraneo, recandosi a
Costantinopoli, Beirut, Giaffa ed Alessandria. Nelle varie tappe raccolse informazioni in merito ai trasporti,
alla stagione migliore, agli alberghi, alle guide, alla competitività dei prezzi e alla sostenibilità del viaggio per
i turisti occidentali. Nel 1869 partì alla volta della Terrasanta, che si pronunciava come il naturale
proseguimento del viaggio in Egitto. La fede cristiana di Cook e la sua naturale inclinazione per
l’organizzazione si incontrarono perfettamente nella visita di luoghi santi. Dal 1870, L’impresa di Cook
metterà a disposizione un viaggio di 100 giorni includente Il Cairo, il Nilo e la Terrasanta, accanto ad uno più
breve di 70 giorni, senza l’Egitto. La forza del modello di Cook indebolì sul mercato del Levante il peso del
dragomanno, il quale aveva già proposto lo stesso modello di tour, basato su un servizio tutto compreso fin
dai secoli precedenti. Ma, nonostante il progressivo ampliamento del modello della Thomas Cook & Son,
allo spegnersi del XIX secolo, i pellegrinaggi continuarono a far riferimento ai più economici servizi offerti
dal dragomanno. Una scelta determinata soprattutto dai costi proibitivi dei tour in Terrasanta. Il
posizionamento alto nel segmento dell’offerta, che permetterà a Cook di soddisfare le esigenze dei
viaggiatori con un’elevata capacità di spesa, sarà riscontrabile nelle strategie utilizzate per conferire una
dimensione di esclusività al proprio prodotto. Sotto questo profilo, la soluzione offerta dall’accampamento
venne scelta anche dalla Thomas Cook & Son per accompagnare i propri turisti in Levante. Si trattava però
di accampamenti forniti di tutte le comodità possibili, molto più all’avanguardia di quelli dei dragomanni.
L’impresa di Cook seppe infatti coniugare gli elementi della tradizione con quelli della modernità e della
comodità. La carovana si richiamò ad un modello il più possibile europeo di viaggio facilmente
identificabile, grazie ai chiari elementi di distinzione sociale e di esclusività presenti. Il gruppo di viaggio alle
seguenti caratteristiche:

• È un insieme di individui che interagiscono tra loro condividendo obiettivi, interessi e valori comuni;
• Vige l’annullamento delle distanze sociali, si è tutti semplicemente viaggiatori;
• I singoli componenti mantengono un forte legame con le abitudini del loro paese;
• I rapporti con gli abitanti del luogo sono praticamente deboli o inesistenti, tutto è mediato
dall’accompagnatore;
• All’interno del gruppo si instaura una forma di comunicazione referenziale, si ha uno scambio di
informazioni con il mondo esterno, senza però relazionarsi con esso.

Il declino dell’impresa indipendente del dragomanno

Anche l’attività del dragomanno subì le conseguenze delle nuove azioni messe in atto da Thomas Cook,
tanto che nel 1874 un gruppo di essi scrisse al Times di Londra per protestare riguardo al fatto che
l’imprenditore inglese stesse monopolizzando il turismo egiziano. La Thomas Cook & Son, nell’arco di un
decennio, finì per imporsi in un mercato fattosi sempre più appetibile e competitivo. I margini dell’azione
imprenditoriale del dragomanno si ridussero notevolmente ed egli si trovò in una posizione di debolezza,
non riuscendo più ad avere il controllo della filiera. Egli si trovò in una condizione di debolezza, non essendo
in grado di gestire i trasferimenti dal bacino di provenienza dei flussi, l’Europa, al luogo in cui viaggiatori
avrebbero comprato i servizi da lui offerti. Thomas Cook adattò quindi un modello di imprese di viaggio già
esistente, dimensionandolo per dei numeri di viaggiatori in espansione ed alimentandolo con i canali della
comunicazione. Secondo molte testimonianze di viaggiatori, prima della compagnia di Cook, il dragomanno
era un signore e una potenza, mentre ora la sua impresa era rovinata, perché ormai tutti gli inglesi
viaggiavano con Cook; la loro unica funzione rimasta era quella di essere delle guide e dei ciceroni, ma
niente di più.
Nelle terre della Bibbia: il viaggio in gruppo dei pellegrini italiani

Un discorso differente da quello dei normali turisti va fatto per quanto riguarda i pellegrini europei. Per
questi, la motivazione religiosa si affiancò a quella culturale, sia dei viaggiatori indipendenti che dei turisti di
Cook. Per quanto riguarda la funzione del dragomanno, possiamo osservare che sia i pellegrini che i
viaggiatori individuali continuarono a servirsene, mentre i turisti ricorsero alla rete di agenti e guide della
Thomas Cook & Son. I pellegrini necessitarono di una Terrasanta addomesticata, capace di incoraggiarli ad
iniziare un viaggio lungo e faticoso, la cui motivazione era quella della fede. Trattandosi di comitive di
viaggiatori esperti, risultò indispensabile addomesticare il più possibile il lungo itinerario nei luoghi biblici. Il
risultato finale fu quindi la facilitazione del pellegrinaggio e la sua accessibilità sociale e psicologica. La
prima carovana italiana partì da Genova il 15 febbraio 1870, per farvi ritorno il 17 aprile. La carovana,
composta da sei pellegrini, attraversò la Giudea, la Samaria, la Galilea e la Fenicia, guidata dal francescano
fra Lavinio. I pellegrini stipulavano un contratto col dragomanno che era composto da circa 10 articoli:

1. Il 1° forniva la definizione precisa dei giorni richiesti dal viaggio, strutturato secondo un itinerario
scandito da una serie di tappe;
2. Il 2° stabiliva invece il vero e proprio itinerario preciso;
3. Il 3° garantiva al dragomanno il rimborso di tutte le spese in caso di assenza o interruzione di un
pellegrino
4. Il 6° e il 7° > stabilivano il processo di controllo del viaggio e quanto il dragomanno avrebbe fornito
alla comitiva (tende, letti, etc.);
5. L’8° > catalogava con precisione le diverse uscite previste e comprese nel prezzo del viaggio;
6. Il 9° > era dedicato a disciplinare l’erogazione dei pasti previsti nel corso dell’itinerario;
7. Il 10° > concludeva con il prezzo complessivo di tutto il pellegrinaggio pro-capite.

Il “Comitato Italiano per il pellegrinaggio in Terrasanta” non tralasciò di sostenere le proprie carovane con
una strategia di comunicazione, dimostrando di saper agire unendo alla visione religiosa quella
imprenditoriale. Nel 1874, per promuovere la Sesta carovana italiana, non mancò un chiaro intento
promozionale a mezzo stampa, che si tradusse nella pubblicazione di un opuscolo. L’Opuscolo sottolineò,
con riferimenti storici e letterari, il richiamo esercitato dall’Oriente e le emozioni suscitate, per i cristiani,
dai luoghi biblici. La promozione del pellegrinaggio continuò poi ponendo l’accento sul fatto che gli aspetti
pratici di un percorso lungo e faticoso avrebbero potuto suscitare delle inquietudini. Non mancò il cenno
alle difficoltà alle quali sarebbero andati incontro i viaggiatori individuali. Infine, l’Opuscolo indicò quanto
era previsto nella quota richiesta ad ogni singolo partecipante: tutte le spese di viaggio via mare, via terra,
andata e ritorno, di diritti, di mance, di mantenimento e di alloggio. La provenienza geografica dei pellegrini
italiani era per lo più settentrionale e la maggior parte di essi erano preti o sacerdoti, seguiti da professori e
professionisti, mentre le donne erano escluse dei gruppi. In conclusione, pur con le opportune cautele e di
riferimento alla Terrasanta, potremmo parlare di una polarizzazione di tipo economico e sociale, tra il
modello di impresa di viaggio del dragomanno, rivolta ai viaggiatori pellegrini, e la variante di questo
modello innovata da Thomas Cook, che l’adattò più nei servizi offerti che nell’itinerario seguito e
nell’organizzazione, alle esigenze di viaggiatori in larga parte appartenenti alla classe agiata.

CAPITOLO 4 → una prima sintesi del viaggio oltre l’Europa

Risalire il Nilo

Per diversi decenni, l’Egitto costituirà un orizzonte privilegiato sia per le vicende imprenditoriali della
Thomas Cook & Son, che per il consolidamento e la democratizzazione del turismo moderno. L’accresciuta
accessibilità del viaggio in Oriente, seguita all’apertura del Canale di Suez, permise infatti a Thomas Cook e
poi al figlio John Mason, di guardare oltre l’orizzonte continentale. Per la Thomas Cook & Son la risalita del
Nilo fu una scelta strategica determinante, finalizzata a massimizzare lo sfruttamento turistico di una
destinazione completa. Nel 1869, il primo viaggio organizzato da Cook dal Cairo a Costantinopoli, visitando
la Palestina e la Siria, ebbe così tanto successo che indusse Thomas a metterne in cantiere un secondo. La
meta identificata fu il Canale di Suez, anche in occasione della sua inaugurazione. Per l’occasione affittò due
battelli, per far fare al suo gruppo una crociera sul Nilo: così nel giro di una decina d’anni la crociera sul Nilo
divenne il prodotto faro della Thomas Cook & Son. Fu proprio in questo periodo che subentrò il figlio di
Cook, in seguito al pensionamento del fondatore della compagnia. John Mason siglò un accordo che gli
assicurò il completo controllo degli steamers (imbarcazioni per crociere) che percorrevano il Nilo. L’aspetto
più interessante fu il fatto che incluse come servizio a bordo anche quello postale e si svincolò dal controllo
governativo. Nel contratto si era infatti stabilito che, mentre al capitano e al personale di bordo avrebbe
provveduto il governo, cuochi, camerieri e altri membri dell’equipaggio erano a carico del giovane Cook. Il
tragitto in nave dal Cairo ad Aswan si ridusse a circa due mesi e diminuì anche il costo. A Luxor (l’antica
Tebe), per la visita alla Valle dei Re, data la mancanza di alberghi confortevoli, i clienti di Cook dovettero
ancora far ricorso a dei campi tendati. I battelli, non potendo essere interamente costruiti nel Regno Unito
per questioni logistiche, venivano completati ed assemblati nel cantiere navale di Boulaq, al Cairo. I nuovi
battelli, veri e propri alberghi galleggianti, inaugurarono l’età dell’oro delle crociere sul Nilo. In questo
contesto, il turismo divenne la maggiore impresa economica in Egitto, andando di pari passo con l’interesse
verso l’egittologia come disciplina e con l’espansione del controllo britannico su tutto il paese.
Indubbiamente, data l’assenza di infrastrutture turistiche, l’Egitto oltre il Cairo rappresentò un terreno
ideale per l’applicazione di nuovi principi e modelli di business. La funzione curativa affidata alle stazioni
climatiche continuò, anche nella fase della Seconda rivoluzione industriale, ad essere un fattore di richiamo
per gli europei affetti da tubercolosi. John Mason non tardò perciò ad accorgersi che le potenzialità curative
presenti nelle stazioni climatiche potevano tranquillamente fornirle, accanto al Cairo, anche altre due
località in cui la sua impresa avrebbe potuto agire in un contesto di debole concorrenza: Luxor e Aswan.

Una stazione invernale quasi europea: Luxor e il Winter Palace

A Luxor, stazione invernale da dicembre ad aprile, gli ospiti trascorrevano le giornate nelle occupazioni
tipiche delle località del loisir: conversazione, scambi di visite, attività sportive o escursioni nei siti
archeologici. La geografia del territorio, in pochi anni, subì una trasformazione radicale. L’aspetto
maggiormente interessante fu quello dell’appartenenza dei turisti all’elitaria società dei viaggiatori, una
società che, guidata dalle leggi di imitazione e dal proprio status, finiva per frequentare gli stessi luoghi, con
l’obiettivo di trovarvisi sempre nella stagione migliore per essere notati. Il piccolo villaggio adagiato lungo il
Nilo, accanto ai templi di Luxor e Karnak, si era intanto trasformato in una destinazione cosmopolita di
richiamo internazionale per la società degli hivernants. In questo angolo, la Thomas Cook & Son ne
approfittò subito per costruire un prodotto completo ed integrato nella gestione: il Winter Palace. Luxor si
rivelò un punto chiave per lo sviluppo del turismo nell’alto Egitto, privo fino ad allora di alberghi adatti a
soddisfare la domanda di servizi ricettivi di tipo occidentale. John Mason già possedeva due hotel nella
cittadina, l’Hotel Luxor e l’Hotel Karnak, ma entrambi facevano fatica a contenere la domanda di turisti.

Il Winter Palace si presentava con un grande albergo con una facciata in stile vittoriano, situato lungo le
coste del Nilo. L’ingresso porticato era contornato da due scalinate di accesso, che davano su una lunga
terrazza, la quale consentiva agli ospiti di fruire, rimanendo in una posizione sopraelevata e protetta da
polvere e rumori, della bellezza del Nilo. All’interno dell’hotel, camere e spazi comuni condividevano la
vista del fiume. Il grande giardino, posto nella parte posteriore dell’edificio, assicurò la fresca tranquillità
richiesta degli ospiti di ritorno delle visite ai siti archeologici. La presenza di elementi art nouveau
aggiungeva poi un tocco di raffinatezza alla scenografia. Il sontuoso albergo fu inaugurato il 19 gennaio
1907.

Verso Sud

Il viaggiatore che a fine ‘800 risaliva il Nilo, diretto ad Aswan, utilizzando i battelli della Thomas Cook & Son,
non si trovava più davanti ad una visione romantica del paesaggio, ma di fronte a nuovi edifici segnati dal
gusto internazionale, che testimoniavano l’adattamento del territorio al flusso turistico. Il Rameses, battello
costruito in Francia nel 1826 e poi acquistato dalla Thomas Cook & Son, iniziò ad operare tra il Cairo ed
Aswan nel 1887. Fino al 1911 era la nave più lunga della flotta: i 70 passeggeri erano alloggiati tra 25 cabine
doppie e 20 singole. Il cuore del Rameses risultò lo spazio comune ubicato al centro del ponte superiore:
una grande hall con tavoli, poltrone, chaise lounge e tappeti orientali. La vita sociale a bordo rivestì
un’importanza non marginale, l’interazione tra i crocieristi a partire da spazi più piccoli, come la biblioteca e
il fumoir, convergeva sul ponte sia dopo i pasti che per l’immancabile afternoon tea. Con il territorio
egiziano, i crocieristi mantennero però sempre un rapporto privo di interazione, gradirono rimanere ben
lontani da un contatto con la realtà che andasse al di là di quello loro riservato nei punti di attracco delle
navi. La nave fu una perfetta enclave in costante movimento. Infatti, una volta arrivati a destinazione, i
crocieristi potevano trovare rifugio nei sicuri, comodi e freschi alberghi accuratamente approntati ad
accoglierli, senza entrare in contatto con la popolazione locale. All’interno della nave stessa però, era
possibile ritrovare una sorta di microcosmo in cui si evidenziavano le differenze di status sociale dei
passeggeri. Le cabine di prima classe venivano ubicate sul ponte superiore, lasciando quello inferiore alla
seconda classe. Dei campanelli elettrici permettevano agli ospiti di chiamare il personale di servizio. I bagni
in comune furono collocati, per le donne, sul ponte inferiore e, per gli uomini, su quello superiore. Il
raffinato menù servito a bordo era lo stesso che veniva servito nei grandi alberghi. Insomma, la clientela
delle crociere di lusso, per le prime decadi del ‘900, sarà ancora composta da aristocratici, diplomatici,
uomini d’affari, archeologi ed appassionati di egittologia.

L’inverno oltre il Mediterraneo: Aswan

Il motivo centrale che spinse i turisti a scegliere Aswan come meta di villeggiatura fu principalmente il
fattore climatico. Il contesto ambientale di Aswan favorì inoltre lo sviluppo di un’intensa sociabilità, grazie
alle relazioni di tipo culturale e mondano instaurate nella stazione climatica della Nubia. Il fatto di
condividere gli stessi spazi comuni unificò molti gruppi di persone di nazionalità diverse. Un fatto
emblematico della modernizzazione dell’Egitto sarà la costruzione, poco più a sud di Aswan, di uno
sbarramento artificiale fatto per sviluppare l’agricoltura e la coltivazione del cotone. Nella città, da un lato
sorgevano gli alberghi e negozi (tutti all’europea), dall’altro la ferrovia. Nel 1892 John Mason fece costruire
l’Hotel Assuan, poi rinominato Grand Hotel d’Assuan ed infine Grand Hotel. La ricettività di livello europeo
fu rapidamente identificata non solo come un fattore di consolidamento di un forte segmento d’affari, ma
venne anche visto come un fattore di differenziazione del prodotto. L’albergo di lusso offrì infatti un forte
elemento di incremento del vantaggio competitivo della Thomas Cook & Son nei confronti di un forte
concorrente affacciatosi sul Nilo, l’Anglo-American, la quale aprì nel 1900 l’Hotel Savoy sull’isola Elefantina.
Nel 1899 la Thomas Cook & Son e l’architetto Favarger inaugurarono l’Hotel Cataract, dotato di 120
camere, la maggior parte delle quali con vista sul Nilo. Il Cataract valorizzò al massimo sia l’aspetto della
vista che quello fornito da uno stile architettonico di interni di ispirazione islamico-ottomana, che risultò
essere molto gradito. La posizione unica dell’albergo, condizione necessaria per fruire del paesaggio e del
luogo, si sommò alla creazione di uno spazio privilegiato adibito ad un consumo ostentato, legato al
bisogno di affermare il proprio status.

Lo sguardo dei turisti moderni sull’Egitto

Malgrado la presenza dei viaggiatori europei in Egitto fosse un dato accelerato fin dalla prima metà del XIX
secolo, l’arrivo delle imprese di viaggio costituì una vera e propria rivoluzione. Molto spesso, la sensibilità
dei viaggiatori risultava urtata dall’ossessionante richiesta del Bakscish (la mancia) da parte dei locali.
Inoltre, molti viaggiatori notarono le trasformazioni negative che la capitale egiziana aveva subito: viene
descritta come un luogo lasciato all’incuria e al sudiciume, insomma, una città trascurata. Un altro aspetto
che colpì i viaggiatori fu quello dell’isolamento, della separazione messa in atto tra i turisti e il territorio.
L’incremento della navigazione sul Nilo e quello delle ferrovie favorì nel paese la diffusione di strutture
alberghiere di pregio. Gli edifici, appositamente costruiti per l’ospitalità, adottarono dei canoni di matrice
europea, finalizzati sia ad essere competitivi, che a soddisfare le richieste dei membri di un movimento dei
forestieri in continua ascesa. La crescita del settore alberghiero fu allora, accanto alla rete dei trasporti ed
al ruolo delle imprese di viaggio, a partire dalla Thomas Cook & Son, un fattore determinante per tracciare
l’avvenire turistico dell’Egitto. Bisogna infine ricordare che le strutture ricettive vennero quasi sempre
costruite grazie alla disponibilità di risorse umane e finanziarie non locali. L’Egitto ebbe la capacità di
attrarre capitali e imprenditori, che divennero i protagonisti dei notevoli miglioramenti introdotti nel
settore ricettivo. Per concludere, lo sviluppo alberghiero andò di pari passo con la direzione dei flussi lungo
il territorio egiziano.

PARTE 4

CAPITOLO 1 → dal Cairo al capo

Una linea ferroviaria per unire i domini inglesi in Africa

Un processo di trasformazione aperto anche in Africa dalla costruzione delle ferrovie agì ugualmente come
volano per lo sviluppo dei viaggi e dell’ospitalità. L’asse ferroviario, pensato dalla seconda metà dell’800,
avrebbe dovuto collegare il Cairo con Città del Capo: il sogno coloniale di Cecil Rhodes fu quello di collegare
il Nord Mediterraneo con Alessandria d’Egitto all’estremo meridionale del Capo di Buona Speranza,
rimanendo all’ombra della corona inglese. Disporre di una ferrovia significava avere la possibilità di
irradiare la propria influenza politico-economica. 5000 miglia di strada ferrata avrebbero dovuto percorrere
l’Africa, privilegiando il suo quadrante orientale per unire e controllare una vasta parte del continente. I
primi binari raggiunsero nel 1885 Kimberly (Sudafrica), città dell’industria mineraria dei diamanti, a Città del
Capo. La prosecuzione della linea arrivò a Vryburg e Mafeking tra il 1890 e il 1894. Nel 1897 la strada
ferrata arrivò fino a Victoria Falls. Chi si occupò della realizzazione pratica dell’impresa sarà l’ingegnere
inglese Pauling. Il richiamo della ferrovia, che rese più agevole il collegamento tra Città del Capo e Victoria
Falls, non tardò però a raggiungere i membri della classe agiata, in continua ricerca di nuove mete e nuove
emozioni. Lo Zambesi Express, al pari di altri treni, viaggiava a 50 km/h e assicurava un servizio comodo e
regolare. Tappa fondamentale per proseguire verso nord fu la costruzione di un ponte in acciaio, che
permise di attraversare lo Zambesi nel punto scelto da Rhodes per la sua spettacolarità: le cascate di
Victoria Falls. L’incremento del valore turistico dell’area, dato dalla costruzione della linea ferroviaria, non
sfuggì alla Thomas Cook & Son. Per percorrere i 4160 km tra Città del Capo e Bukana (Ruanda), occorrevano
circa sei giorni di viaggio. Ricalcando l’Orient Express, la linea dell’Africa meridionale offrì ai membri della
classe agiata la possibilità di fruire del viaggio, utilizzando dei treni lussuosi con gli interni curati e rifiniti. I
binari posati sul suolo africano non furono privi di un loro forte valore politico, oltre che economico. Essi
attraversarono un contesto geopolitico plasmatosi attorno agli interessi coloniali dell’impero britannico
nell’Africa meridionale e centrale. Negli ultimi decenni del XIX secolo, diversi possedimenti in Africa
occidentale, centrale e meridionale si aggiunsero al protettorato sull’Egitto, dando così forma all’impero
britannico in Africa. In realtà, la ferrovia trans africana non verrà mai completata.

L’ospitalità africana di alto livello

In questa interazione tra ambienti diversi, una delle linee da seguire sarà data dall’evoluzione dell’albergo
di livello occidentale. Si trattò di un modello insediativo, trasferito dall’Europa all’Africa più interna con
finalità di tipo politico, economico e turistico. Ovviamente, questo modello di albergo si staccò dal contesto
ambientale circostante, dando origine ad una porzione di spazio artificiale. L’effetto di protezione e di
sicuro rifugio per l’uomo occidentale verrà amplificato, fornendo agli ospiti una vera e propria bolla
ambientale, indispensabile per permettere ai turisti di scoprire le bellezze dell’Africa. Nell’orizzonte
africano, allo scadere del XIX secolo, si definirono altre due regioni turistiche poste accanto a quelle già più
note di Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Il primo ampio circuito turistico si consolidò nell’Africa australe e
riguardò tutta l’area attorno al Sudafrica; il secondo, spostandosi più a nord, interessò l’Africa orientale
britannica: stiamo parlando della zona comprendente Uganda, Tanzania e Kenya. In questo contesto di
rapida trasformazione, l’albergo coloniale africano ebbe una funzione iniziatica per i viaggiatori della classe
agiata, ben supportando la propensione alla mobilità dei rappresentanti della società europea presenti in
Africa. Il primo discorso va fatto per quanto riguarda gli alberghi coloniali, costruiti con forme
architettoniche di chiara derivazione europea, i quali si proposero come simboli della modernità
occidentale. Essi si inserirono all’interno di più ampi progetti di pianificazione urbana e risultarono favoriti
dalla vicinanza con i luoghi sia di potere, sia di comunicazione (stazioni ferroviarie). L’articolazione degli
spazi comuni interni definì invece l’albergo coloniale come un luogo chiave per le forme della vita sociale e
per i suoi rituali. Infine, tali strutture furono in grado di attuare il meccanismo di ostentazione/distinzione,
desiderato dai turisti che vi si ricavano.

Khartoum

A partire dal 1898, il territorio del Sudan finì sotto il governo congiunto della Gran Bretagna e dell’Egitto, e
Khartoum, città posta alla confluenza tra il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco, tornò ad essere la capitale. La
ferrovia, costruita inizialmente per trasportare le truppe inglesi, si rivelerà un ottimo strumento per lo
sviluppo dei viaggi e del turismo. Dal 1900 ebbe inizio la costruzione della capitale e con essa nacque anche
un’ospitalità alberghiera di tipo moderno. Il risultato fu la costruzione del Gordon Hotel, edificio a forma di
parallelepipedo con due piani che sovrastavano un porticato aperto sulla strada. Tra il 1901 e il 1902 venne
costruito anche un secondo grande albergo, il Grand Hotel Khartoum, il cui successo non fu dovuto solo
all’offerta di uno spazio protetto in grado di attrarre gli europei, ma anche dalla capacità di introdurre i
ritmi della distinzione sociale. L’albergo fu perciò un fattore chiave per la prosecuzione del viaggio verso
sud. Nel microcosmo disegnato per accogliere i viaggiatori europei nelle non certo climaticamente ospitali
contrade sudanesi, i rituali della vita sociale esercitarono pur sempre un intenso richiamo. Anche Khartoum
non sfuggì alla regola, offrendo, sebbene ad un livello inferiore rispetto al Cairo, la sua dose di mondanità.

CAPITOLO 2 → dal mare all’altopiano: Kenya ed Eritrea

Pensare al turismo, pensare all’ospitalità di alto livello: il Norfolk Hotel di Nairobi

Il Kenya si posizionò geograficamente al centro del sogno africano di Rhodes. Lo spostamento del
baricentro economico fu ben simboleggiato dalla nuova capitale Nairobi, la quale fu dotata di una ferrovia
che portò commercianti, cacciatori, missionari e avventurieri. Il primo hotel fu il Victoria, di proprietà di
Tommy Wood, fatto costruire accanto alla stazione, il quale si distaccava un po’ dei grandi alberghi
coloniali. Nel 1904 nacque il Norfolk Hotel, su commissione di Ringer, insieme al suo socio Winearls. Con il
tramonto dell’800, nell’Africa orientale britannica si diffuse l’interesse da parte dei viaggiatori per la caccia
e per l’osservazione degli animali. La presenza di questa attrattiva generò una serie di imprese finalizzate
all’offerta dei servizi organizzativi e logistici necessari per gli safari. Tornando al Norfolk, notiamo che la
solida struttura dell’albergo si caratterizzò per la presenza della fondamentale veranda. Sia la corrente
elettrica che l’acqua corrente calda e fredda risultarono presenti. Inoltre, l’hotel fu dotato anche di un
ampio deposito, adatto a contenere i bagagli degli ospiti e le eventuali conquiste di caccia.

Ai confini dell’impero britannico: l’ospitalità nell’Eritrea italiana

La colonia italiana dell’Eritrea, con capitale Asmara, si presentava come un’area divisa a metà: da un lato la
parte indigena, dall’altro la parte europea. Il percorso di valorizzazione turistica della realtà coloniale
coinvolse anche qui i possedimenti rimasti ai margini del flusso dei viaggiatori occidentali, maggiormente
richiamati dalle colonie inglesi o francesi. Un valore rilevante acquisì, ad Asmara, l’albergo Italia costruito
nel 1899. Il primo albergo della città era uno dei suoi edifici più antichi e si definì non tanto per la sua
architettura esterna, quanto per le decorazioni interne, arricchite da interessanti dettagli, come ad esempio
il bancone interno con tre archi. In perfetta sintonia con l’evoluzione architettonica dell’ospitalità di alto
livello sviluppatasi in Europa, si collocò l’albergo Hamasien. Inaugurato nel 1919, si presentava come un
miscuglio di stili architettonici di matrice eclettica. La struttura, situata nel Quartiere dei Villini, la parte più
elevata di Asmara e riservata agli insediamenti italiani, offrì un chiaro esempio di come esistesse, nel
settore alberghiero, un’interazione basata sulla condivisione di modelli ed immagini di matrice esogena, da
trapiantare in contesti ambientali e culturali totalmente differenti. In questo stesso periodo prese corpo un
percorso dell’ospitalità incentrato sulla forza attribuita, nell’ambito della strategia del governo fascista, alla
presenza di una catena alberghiera attiva in Africa orientale: la Compagnia Immobiliare Alberghi Africa
Orientale (CIAAO), avente come fine la costruzione, l’ammobigliamento, l’arredamento e l’affitto degli
alberghi. La compagnia avviò quindi un vero e proprio piano di sviluppo alberghiero coloniale, rivelatosi
comunque insufficiente a soddisfare la domanda coloniale, inserito in una visione volta a diffondere le
strutture ricettive sia nei grandi centri in quelli di minori dimensioni dell’ultimo impero coloniale europeo in
Africa. L’idea che regge lo stretto rapporto tra ospitalità e sviluppo di una destinazione turistica trovò
un’ulteriore conferma nella rappresentazione pensata per attrarre, come nell’Europa delle stazioni termali
e climatiche, i viaggiatori: in particolare, fu affidata alle etichette da apporre sui voluminosi bagagli degli
ospiti. La cattura dell’immaginario dei potenziali ospiti, ottenuta grazie all’atmosfera esotica e al fascino
emanato dal luogo, furono l’obiettivo degli artisti chiamati a dipingere le etichette, facendo poi comparire,
ma non sempre, l’immagine dell’albergo di riferimento. Il valore iconografico delle etichette infatti giovò
molto dell’effetto dato dalla riproduzione delle facciate dei grand hotel, disegnati in posizione dominante
rispetto al paesaggio circostante. Le etichette vennero pensate per assolvere alla funzione pratica di essere
applicate dai facchini delle stazioni e dei porti sui bagagli degli ospiti, in modo tale da poter esattamente
indirizzare i bauli da viaggio nei singoli alberghi. In seguito, assunsero una più complessa funzione
significativa di natura promozionale, per l’albergo, e di ostentazione e distinzione sociale per gli ospiti.
L’ospite-attore, nel momento in cui entrava in un grande albergo per recitare il suo ruolo in sintonia con lo
status, si presentava subito attraverso le etichette apposte sui suoi bagagli copiosi. L’etichetta venne quindi
ad agire come una certificazione di prestigio che il nuovo arrivato esibiva subito, al fine di dimostrare di
possedere i titoli necessari per essere incluso nell’esclusiva società ospitata nel grande albergo.

CAPITOLO 3 → nell’Africa australe

Guardando l’Europa: l’alta hotellerie in Africa meridionale

Nel take off dell’ospitalità africana di inizio ‘900, si collocò anche l’interessante vicenda del Carlton Hotel di
Johannesburg che, nella fase iniziale, ebbe tra i suoi protagonisti principali il piemontese Luigi Morelli, il cui
impegno ci offre anche un sintetico quadro delle difficoltà pratiche affrontate per dar vita ad un albergo di
alto livello lontano dall’Europa. Il Carlton fu inaugurato nel 1906 e la sua apertura si presentò come uno
degli eventi sociali più importanti della storia di Johannesburg. L’hotel sarà poi demolito nel 1964. In Africa
meridionale la crescita della popolazione europea necessitò dello sviluppo degli alberghi. Per quanto
riguarda Città del Capo, nel 1894 venne costruito il Grand Hotel che, per la sua posizione vicino al porto, si
configurava come un hotel-terminus. Il mondo londinese, ricreato in Africa australe, accolse la vita sociale
britannica ed europea.

Una nuova destinazione turistica: il caso emblematico di Victoria Falls

L’esploratore scozzese David Livingstone, nel 1855 arrivò a scoprire le Victoria Falls, formate dal fiume
Zambesi, conosciute con il più poetico nome di “il fumo che tuona”. Nei decenni successivi alla scoperta del
meraviglioso sito naturale, lo sviluppo del turismo seguì tracciati non dissimili da quelli percorsi nella
costruzione di altre destinazioni turistiche europee. Ad una prima fase di esplorazione turistica, coincidente
con la costruzione della ferrovia, succederà una seconda caratterizzata dal ruolo centrale assunto
dall’ospitalità. Gli aspetti economici, politici e di prestigio sociale emersero con forza nella visione
incentrata sullo sfruttamento coloniale della British South Africa Company. Fu quindi la costruzione della
stazione ad avviare il vero e proprio turismo verso le cascate Victoria. A differenza di altre destinazioni,
l’albergo avrà a Victoria Falls una funzione determinante, non solo sotto l’aspetto turistico: infatti, essendo
ubicato accanto alla stazione, agì anche come nucleo attorno al quale si aggregherà il nascente centro
abitato. Il Victoria Falls Hotel, aperto l’8 giugno 1904, fu inizialmente pensato per alloggiare il personale
tecnico impegnato nella costruzione del ponte ferroviario. Venne poi annesso un cottage al nucleo
originario, per alloggiare le coppie in viaggio di nozze. In questa fase di avvio, l’albergo poteva ospitare una
quarantina di persone. Dopo l’arrivo dei primi gruppi di turisti giunti a bordo dei treni di lusso, il numero dei
turisti crebbe nel 1905, rendendo necessario l’ampliamento dell’hotel. Negli anni 20 l’edificio, dotato delle
attrezzature più moderne, a partire dalla cucina, sarà ulteriormente ampliato con l’aggiunta di una nuova
ala. Nel 1928 fu aggiunta la piscina, e successivamente venne inserita una cappella privata. Il nuovo rifugio
per i viaggiatori occidentali nel cuore dell’Africa si ritagliò rapidamente un ruolo di primo piano
nell’ospitalità di alto livello non solo coloniale. Inoltre, l’area di Victoria Falls riprese anche il modello
spaziale dedicato alla vita mondana, attraverso la costruzione del kursaal e della promenade, che
permetteva di ammirare il paesaggio unico delle cascate. La strategia imprenditoriale spaziale messa in atto
a Victoria Falls si caricò quindi di un valore pragmatico: essa dimostrò infatti la possibilità di poter avviare
un processo di sviluppo e valorizzazione turistica di un territorio, anche agendo all’interno di un contesto
ambientale sfavorevole come quello caratterizzato dalla presenza della foresta pluviale.

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