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ETICA DEL TURISMO – CORRADO DEL BO’

 UNA BREVISSIMA ANALISI FILOSOFICA DEL TURISMO


Filosofia: spesso vista come la materia che tenta di rispondere alle grandi domande o che ricerca verità
ultime  idee stereotipate della filosofia. In questo contesto si può dare qualche indicazione su cosa la
filosofia può anche essere per dare una lettura filosofica del fenomeno turistico.

La filosofia è analisi concettuale: tentativo di chiarire che cosa davvero significhino le parole di cui ci
serviamo; per parlare di qualcosa è necessario intendersi sul significato delle parole che usiamo per
descriverlo. Fare una buona analisi concettuale significa anche costruire una buona mappa concettuale del
mondo che ci consenta di orientarci nei discorsi in cui esprimiamo la nostra comprensione teorica della
realtà. Quindi, filosofia del turismo  ambito della riflessione filosofica in cui si tenta di rispondere a
domande quali ‘che cos’è il turismo? Chi è il turista?’ (per parlare di turismo bisogna avere la stessa
concezione del suo significato). L’analisi concettuale può anche essere caratterizzazione teorica in quanto
non si limita a registrare/catalogare delle ricorrenze di usi linguistici più o meno condivisi, ma si muove alla
ricerca di quelle proprietà che si ritengono essenziali per circoscrivere l’estensione di quel termine.
Non sempre questa attività possiede una spendibilità immediata: alcuni problemi che consentono di
risolvere appaiono speculazioni fini a se stesse; a volte però anche un’utilità pratica (es: definire o no ‘opera
d’arte’ un quadro può avere effetti diretti di stampo economico).
Ci sono comunque diversi modi di intendere la filosofia, uno di questi è l’idea che essa sia una disciplina
umanistica: area di indagine all’interno della quale cerchiamo di comprendere il senso che hanno per noi le
cose del mondo e le nostre attività intellettuali. Da questo punto di vista, il turismo è un’attività umana e
realizzarne un’analisi filosofica tenendo conto dell’idea di ‘disciplina umanistica’, non è che il tentativo di
comprendere il senso di questa attività per noi esseri umani.

IL TURISMO COME FENOMENO STORICO

turista semplice  persona/e che si spostano per andare a vedere posti diversi da quelli in cui risiedono o
per fare cosa differenti da quelle quotidiane e che possono fare tutto ciò, nei modi in cui lo fanno,
solamente dal XX secolo a seguito di evoluzioni economiche, sociali, culturali e tecnologiche. Nei secoli
precedenti non mancavano persone che si spostavano, ma erano in numero limitato e si muovevano con
modalità differenti.
Etimologia di ‘turista’: tour-ist  riferimento al Grand Tour. Tra tutte le sue caratteristiche, era un viaggio
che poteva essere compiuto solo da un’elitè ristretta che possedeva i mezzi economici (1% della
popolazione inglese del XVI sec). Metà XIX secolo  le industrie inglesi concedono un giorno libero ai
propri operai  Thomas Cook organizza per le famiglie delle gite in treno fuori città, avviando un’attività
che in poco tempo si diffuse in tutto il mondo.
Grand Tour + Thomas Cook = avanguardie storiche del turismo di massa: costoro erano essenzialmente
persone che viaggiavano per il gusto di farlo  cambiamento del paradigma del viaggio:

 Antichi: il viaggio aveva valore in quanto spiegava il fato umano e la necessità, era visto come una
sofferenza e serviva per dimostrare la posizione che essi avevano nella società;
 Moderni: viaggio come manifestazione della libertà, come fuga dalla necessità e dello scopo, un
piacere, porta alla ‘scoperta’ che permette di accedere a qualcosa di nuovo/originale

Fine ‘800 – inizio ‘900  inizia un processo che determina l’affermarsi di una serie di condizioni per cui il
turismo può essere alla portata di tutti, trasformandosi in una vera e propria industria, strutturata secondo
principi di efficienza e di massimizzazione del profitto, presidiata da professionisti del settore (tour

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operator). Diventa possibile compiere viaggi comodi, rapidi e sicuri grazie a informazioni sempre più
dettagliate e all’evoluzione dei mezzi di trasporto.
Tra la IGM e la 2GM si diffusero nei paesi europei legislazioni che limitavano l’orario di lavoro giornaliero e
introducevano un periodo di vacanza annuale retribuito  nascita del tempo libero inteso come leisure e
non solo più come free time (esiste quindi un periodo non lavorativo pagato, a volte lungo). Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo (1948): ogni individuo ha diritto al riposo e allo svago, comprendendo in ciò
una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite. Nel ‘900 la giornata lavorativa
giunse ad avere un numero fisso di ore, la settimana venne divisa in giorni feriali e festivi e l’anno lavorativo
iniziò ad essere interrotto da alcune settimane di vacanza  turismo visto come epifania e apogeo della
società capitalista 900esca.

Il turismo è un fenomeno storico e quando ne parliamo dobbiamo sempre tenere a mente a quale turismo
di stiamo riferendo. Possiamo distinguere 4 epoche di turismo:

 PROTOTURISMO  va dalla Roma antica alla Rivoluzione industriale, turismo come appannaggio di
una elitè e non esistevano strutture specializzate;
 TURISMO MODERNO  ‘500 – ‘900, turismo come fenomeno di elitè ma con le prime strutture
specializzate;
 TURISMO DI MASSA  novecentesco, tutti i ceti sociali ne hanno accesso;
 TURISMO GLOBALE  fine del ‘900 in cui tutto è già stato scoperto e la differenza tra i turisti si
gioca su una differenza delle loro esperienze turistiche.

Il turismo è nato in una certa fase dell’umanità, ma il periodo preciso non è facilmente individuabile perchè
non sappiamo individuare con sicurezza il periodo storico (incertezza connaturata dai fenomeni sociali
perché essi sono caratterizzati dalla gradualità della loro insorgenza) e perché è oggetto di controversia
cosa dobbiamo considerare turismo.

CONCETTUALIZZARE IL TURISMO

Ciò che oggi consideriamo ‘turismo’ è emerso progressivamente da fenomeni contigui che hanno con esso
somiglianze/differenze significative; in base a cosa decidiamo di valorizzare siamo spinti a classificare come
fenomeno turistico una cosa piuttosto che un’altra. Quale sia la nostra preferenza discende da una vera e
propria scelta filosofica che discende da assunzioni generali su quali siano i tratti essenziali de fenomeno
turistico.
Definizione della OMT:

un turista è chiunque viaggi in paesi diversi da quello in cui ha la sua residenza abituale, al di fuori del
proprio ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte ma non superiore ad un anno e il cui
scopo abituale sia diverso dall’esercizio di ogni attività remunerata all’interno del paese visitato. Sono
inclusi coloro che viaggiano per: svago, riposo, vacanza; visitare amici e parenti; motivi di affari e
professionali; motivi di salute; motivi religiosi/pellegrinaggio.

È una definizione molto generale che comprende tutti i tipi di turista. Le uniche restrizioni riguardano lo
spostamento, la sua durata e lo scopo. Vi sono quindi 3 requisiti fondamentali (singolarmente presi non
sono sufficienti per individuare il fenomeno turistico, es: migranti):
1) La mobilità:
2) Il dormire fuori (distingue il turista dall’escursionista);
3) Uno scopo diverso dall’esercizio di un’attività remunerata.
Parlando di scopi, la definizione ne individua 5. Tra questi è possibile osservare come il turismo degli affetti,
d’affari e sanitario si compiono sotto la pressione di un vincolo esterno/costrizione, laddove il turismo in
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senso proprio sembra avere a che fare con spostamenti compiuti per diletto. Spostarsi per diletto significa
che lo spostamento ha valore instrinseco, cioè ha valore in sé e non strumentale, indipendente quindi dal
valore che ha il fine di cui è mezzo. Lo svago e il divertimento sono forme di diletto che hanno valore
intrinseco e se abbinati allo spostamento, definiscono il diletto che identifica l’elemento centrale del
turismo (uno scopo è turistico se comprende un’idea di svago e divertimento, ossia di diletto). Obiezione:
svago e divertimento di possono raggiungere in tanti modi diversi; Valene Smith distingue tra:

 TURISMO ETNICO  l’obiettivo è il contatto con le comunità locali;


 TURISMO CULTURALE  l’interesse è rivolto alle tradizioni e al folklore locale;
 TURISMO STORICO  va alla ricerca di testimonianze del passato;
 TURISMO AMBIENTALE  l’attenzione è focalizzata sugli aspetti naturalistici e paesaggistici;
 TURISMO RICREATIVO  si mira al relax e al divertimento.
In tutti, il valore è intrinseco e non strumentale (Cohen sottolinea come il viaggiatore sia volontario,
temporaneo e viaggia con l’aspettativa del piacere derivato da novità e cambiamento).
Mobilità e diletto fanno la specificità del fenomeno turistico.

TURISMO RELIGIOSO E TURISMO SESSUALE

Il turismo religioso non pare dipendere da qualche forma di circoscrizione interna o esterna e quello
sessuale pare porsi su un piano diverso al turismo comunemente inteso.
turismo religioso  ricade in una forma di spostamento che contiene elementi di costrittività, una forma di
turismo ‘spuria’, benchè la costrizione sia di tipo interno: è l’obbligazione verso Dio che fa spostare le
persone verso un luogo di devozione religiosa e che fa compiere un pellegrinaggio (l’adempimento di un
dovere verso Dio è lo scopo dello spostamento). Ciò permette di sfuggire ad un esito nichilista in tema di
scopi turistici: in realtà non esisterebbero gli scopi turistici in senso proprio, ma soltanto gli scopi in ragione
dei quali le persone si spostano (che sia di tipo artistico, storico ..).
turismo sessuale  la perplessità nasce dal fatto che non è chiaro se il diletto che orienta l’attività turistica
debba comprendere o meno anche il sesso: la scelta delle mete turistiche fondata sulle opportunità sessuali
fa si che questi spostamenti ricadano nel perimetro delle attività turistiche? Questo scopo è pari allo scopo
storico, artistico e così via? Si. La nostra resilienza a comprendere il turismo sessuale al pari degli altri tipi di
turismo dipende da una valutazione morale negativa, che riguarda anche le sue modalità di svolgimento. È
illiceità morale di specifiche forme di turismo che ci porta alla tesi per cui questo tipo di turismo si scontra
con gli obiettivi fondamentali del turismo e costituisce la negazione dello stesso. La questione è una: può
essere moralmente sbagliato, ma è sempre turismo.
Insistere sullo scopo del diletto ci ricorda che l’agire umano non è mero comportamento, ma agire
orientato allo scopo.
Il turismo quindi implica astensione dall’attività lavorativa, e se essa è temporanea si parla di vacanza. La
vacanza però non implica turismo (ci si può astenere dal lavoro restando a casa). Si può lavorare mentre si
fanno i turisti o fare i turisti mentre si lavora  turismo intermittente

LA TURISTOFOBIA E LA DISTINZIONE FRA TURISTA E VIAGGIATORE

turistofobia  può avere due accezioni: a) paura dei turisti (paura di trovarsi in mezzo ai turisti); b) paura di
essere scambiati per turisti. In ogni caso il turista non gode di buona stampa, ciò detto per alcune sue
caratteristiche: il turista è un collezionista di ricordi che raccoglie compulsivamente, invade e rovina i luoghi
che visita, si muove in massa e crede a tutto ciò che vede. il viaggiatore visita i luoghi, è rispettoso, curioso,
mentre il turista invade i luoghi, è indiscreto e corrompe le forme di vita autoctone.
Ma ha senso distinguere viaggiatore e turista?

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Da alcune concezioni, pare che il turista parta con il biglietto di ritorno e il viaggiatore senza sapere quando
tornerà. Ma da una valutazione nel mondo empirico, è possibile pensare che oggi ci sia spazio per
quest’ultima definizione? Esiste il viaggiatore così inteso nel mondo reale?
Da un lato, esistono ancora persone che viaggiano senza sapere quando torneranno. Dall’altro, il numero
dei viaggiatori è oggi ridotto e in questo numero non rientra nessuno di quanti si professano viaggiatori per
non confondersi con la ‘massa di turisti’. Casomai costoro cercano di fare un turismo meno standardizzato,
ma rimangono comunque persone che sanno la data di ritorno del viaggio.
L’affermarsi dell’industria turistica ha fatto si che anche i pochi viaggiatori rimasti abbiano dei punti di
contatto con la carovana di turisti che si muove per il mondo: è arduo ormai sfuggire ai servizi usati anche
dai comuni ‘turisti’. In tempi, poi, in cui il globo è pressochè tutto conosciuto non vi è più nulla da scoprire.
Questa interazione tra viaggiatori e turisti vale anche nella direzione opposta. Se in passato certi luoghi
erano uno spazio esclusivo del viaggiatore, oggi ha solo più una priorità cronologica, sempre che riesca a
sottrarsi all’industria turistica. Finisce per ricordare l’esploratore del passato ma con una differenza: se
l’esploratore era l’avanguardia della civiltà, ora il viaggiatore può al massimo essere l’avanguardia
dell’industria turistica  paradosso: il viaggiatore diventa colui che facilita l’arrivo dei turisti.
In conclusione, possiamo dire che oggi il viaggiatore è praticamente scomparso ed è giunto il tempo di
accettare il nostro destino da turisti, senza ricoprilo della magia del viaggiatore.

 IL TURISMO COME QUESTIONE ETICA

L’etica ha a che fare con il come dobbiamo agire e dà indicazioni su ciò che va fatto (giusto/buono) e ciò che
non va fatto (sbagliato/cattivo), indipendentemente dal fatto che le azioni possano avere conseguenze
svantaggiose dal punto di vista economico, sociale o politico. L’etica è quindi un ambito dell’agire e allo
stesso tempo un ambito del discorso (in particolare del discorso filosofico) nella misura in cui è una
riflessione teorica finalizzata a individuare perché una condotta possa essere considerata corretta. Secondo
questo punto di vista parliamo di etica pratica opposta alla metaetica ossia l’analisi su concetti che
impieghiamo nella riflessione etica. Queste due aree chiamano in cause competenze diverse:
 PRATICA  tradizionale e pertinenza della filosofia morale, indagine della struttura del discorso
etico e dei concetti che esso impiega, nonché le sue applicazioni ontologiche e epistemologiche;
 METAETICA  lo studioso dei temi sopra citati diventa anche un ‘esperto morale’, ossia una
persona che è in grado di dare una risposta fondata su problemi che coinvolgono tutti; il problema
infatti è decidere il ‘da farsi’ su cosa è giusto o sbagliato, non distinguere le due cose, e lui
possiederà un bagaglio di competenze più adeguato.

All’etica pratica appartengono:


 ETICA NORMATIVA  riguarda l’individuazione dei principi dell’agire morale e l’elaborazione di
teorie etiche in grado di offrire criteri di comportamento alle persone; è prescrittiva, ossia detta
criteri morali per l’azione;
 ETICA APPLICATA  concerne la definizione di procedure e conclusioni normative in questioni
morali concrete; è la più vicina alla nostra esperienza quotidiana (è consueto interrogarsi sulla
giustificabilità di un avvenimento); essa mantiene comunque un carattere teorico, in quanto
organizza le intuizioni morali in schemi di pensiero e propone linee di azione in virtù di argomenti
prodotti attraverso il ragionamento astratto per poi, eventualmente, impiegare tali argomenti per
decidere il caso concreto. Dipende dalla NORMSTIVA cui si aderisce.
Il disaccordo che emerge sulla valutazione morale di un avvenimento può essere di tipo diverso: basato su
un disaccordo di fatti che portano quindi ad un disaccordo morale, oppure un mero disaccordo morale che
sottolinea punti di vista differenti.

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In entrambe le visioni, la riflessione etica è una richiesta di giustificazione: offerta di ragioni a sostegno di
certi criteri di scelta tra diverse linee di azione, spiega cioè perché un’azione deve essere compiuta, diversa
dalla motivazione che spiega invece perché un’azione moralmente corretta venga compiuta e come si può
essere spinti a compierla. Tornando alla giustificazione, essa è una tecnica argomentativa e come tale non
garantisce lo stesso grado di certezza di dimostrazioni matematiche (anche se alcuni principi morali sono
difficilmente contestabili, è complicato assumere una verità etica che possiamo definire ‘di ragione’ o ‘di
fatto’). L’argomentazione in etica tenta per di più di individuare soluzioni alle questioni morali che possano
trovare un elevato livello di condivisione. Le ragioni di cui si nutre la riflessione etica spingono in una
direzione e quanto più sono solide, tanto più forte sarà la spinta che esercitano. Ci potrebbero però essere
pro e contro e si potrebbe precipitare in un dilemma ( = situazione in cui non è possibile decidere).

L’etica può riguardare la sfera individuale (individua i criteri dell’azione corretta che sono validi per il
comportamento degli individui) o la sfera pubblica (fissa i criteri validi nella sfera pubblica, riguardo a
istituzioni pubbliche e regole che disciplinano la vita associata).
Le etiche possono essere generali (riguardano tutti gli esseri umani) o di ruolo (riguardano specifici individui
in quanto titolari di un particolare ruolo al quale appartengono diritti/doveri specifici). All’etiche di ruolo
appartengono le morali professionali che sono proprie di quelle persone che esercitano una determinata
professione: in virtù della professione, sono vincolati da certi tipi di comportamento  solitamente si
traduce nella creazione di un codice deontologico, ossia un insieme di regole di autodisciplina la cui
violazione è giudicata da organi interni alla professione. Talvolta è creata anche un comitato etico che vigila
sul rispetto del codice.

CODICI MORALI E CODICI GIURIDICI

‘ognuno ha la propria etica’  idea che ognuno di noi possieda alcune convinzioni morali e che siano gli
individui a essere chiamati a compiere le scelte morali. Questa però è una tesi falsa in quanto l’etica è un
fenomeno intersoggettivo, le cui coordinate generali sono definite dal codice morale di una società, ossia
l’insieme di regole morali comunemente accettate in un dato contesto che costituiscono la moralità
positiva (o moralità convenzionale) di quella società. Ai codici morali si può aderire o no, qui entra in gioco
la dimensione individuale  l’adesione è un fenomeno individuale proprio perché esiste l’etica, cioè uno
specifico codice morale, come fenomeno intersoggettivo.
I codici morali possono variare a seconda di tempi e luoghi; nel tempo si possono però constatare elementi
di continuità e l’esistenza delle differenze apre il problema del relativismo morale. Questi codici non sono
formalizzati allo stesso modo dei codici civili o penali e ciò dipende dalla differenza tra diritto e morale: non
esiste un’autorità morale che possa creare/abrogare una norma morale. La produzione di regole morali ha
un percorso diverso di quella delle regole giuridiche. La diversità tra questi due elementi dipende anche dal
tipo di sanzione nella quale si incorre alla violazione delle rispettive regole. Vi è comunque un nesso di
carattere storico (non è raro che norme giuridiche e morali abbiano lo stesso contenuto). La tesi storica
differisce da quella concettuale: l’immorale non può essere legale e norme giuridiche che non rispettano la
giustizia o violano principi morali fondamentali non possono essere considerate diritto).
La diversa natura tra diritto e morale genera distinzione tra ciò che è morale/immorale e ciò che è
legale/illegale.

FA’ LA COSA GIUSTA

Agire in maniera eticamente corretta non sempre è un’operazione agevole; ci sono alcune regole per cui
non c’è controversia, ma altre risultano problematiche perché non sempre è chiaro quale sia la cosa giusta
da fare. Esperimento mentale filosofico: caso del carrello impazzito (pp 42-43). Emerge che le questioni

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morali non sempre hanno una soluzione ovvia e che, anche quando lo sembra, possono essere ideati nuovi
argomenti che lo mettono in discussione.
Dobbiamo distinguere tra due tipi di teorie etiche:
 CONSEQUENZIALISTE  affermano che la valutazione morale delle azioni deve essere fatta sulla
base della bontà delle conseguenze che esse producono (positive=azione giusta; negative=azione
sbagliata);
 DEONTOLOGICHE  fanno riferimento a principi e che ritengono che non sia la natura delle
conseguenze a definire un’azione giusta o sbagliata.
A volte le consequenzialiste sono definite teleologiche poiché prima stabiliscono che cosa sia il bene e poi
definiscono il giusto come ciò che massimizza il bene. Ciò emerge dall’utilitarismo (fondatore Jeremy
Bentham), le quali azioni umane sono giudicate sulla base dell’utilità che producono. Utilità: proprietà di
produrre piacere o di prevenire il dolore; la doverosità delle azioni è valutata alla luce del fatto che
massimizzassero l’utilità complessiva. Molte obiezioni, la più nota è che questo principio potrebbe
richiedere il sacrificio di una singola persona, per cui l’utilitarismo non rispetterebbe a sufficienza gli
individui.
Una via d’uscita può essere quella di abbandonare l’utilitarismo dell’atto (quello sopra spiegato) e
abbracciare l’utilitarismo della regola che induce che il calcolo di utilità debba riguardare la regola: devo
quindi individuare le regole che massimizzano l’utilità sociale e a queste conformare i propri atti.
Strada diversa è abbandonare l’utilitarismo e abbracciare una variante di etica deontologica che ponga al
centro della valutazione morale l’idea di diritti individuali (etica dei diritti). Avere un diritto in ambito
morale significa godere di una posizione moralmente tutelata che detta alle persone come agire; i diritti
allora definiscono un perimetro che protegge gli individui e segnano lo spazio disponibile per le azioni
altrui. Quest’idea molto spesso è utilizzata in chiave antiutilitarista: significa escludere che considerazione
di utilità generale possano comportare il sacrificio di uno o più individui.
Esistono comunque diversi ‘conflitti’ che dipendono dal fatto che esiste una frammentazione del valore tale
per cui si genera una pluralità di fattori che costituiscono fonti del valore (valutazioni sulla base dei diritti,
delle conseguenze, dell’intenzione … ). Dare prevalenza a uno di questi fattori vuol dire sacrificarne altri
(può portare al disaccordo morale che può essere incrementato dal pluralismo dei valori, ossia il
riconoscimento dell’esistenza di una pluralità di beni intrinseci incompatibili.

L’ETICA DEL TURISMO E IL SUO CODICE

L’etica è pervasiva. Esistono però etiche di ambito (particolari) e ognuna può essere composta da etiche
ancora più specifiche. Lo sviluppo entro quell’ambito di una vera e propria disciplina di studio autonoma
dipende dalla combinazione dell’urgenza sociale di certi problemi e del loro grado di tecnicità.
Il rapporto tra le etiche di ambito e quelle generali è meno ovvio di quello che sembra, si può essere portati
a pensare che le morali specifiche di un certo ambito vengono risolte ricorrendo a teorie più ampie con gli
opportuni adattamenti (legate all’ambito alla quale appartengono). Il rapporto in realtà è più complesso e
non è unidirezionale: le etiche di ambito posso incidere su quelle generali modificandole/influenzandole.
L’etica del turismo è un ambito particolare all’interno del quale svolgiamo una riflessione, non è ancora una
disciplina autonoma in quanto molti problemi/elementi sono declinazioni in ambito turistico di problemi
che si trovano anche in altri ambiti (es: l’iniquità dei rapporti economici tra le diverse parti coinvolte nei
rapporti turistici è legata all’iniquità degli scambi commerciali, che ricade in altri ambiti come la giustizia
distributiva e commutativa).
L’etica del turismo è dotata di un Codice di riferimento: il Codice mondiale di etica del turismo (1999,
UNWTO). È un documento di soft law, che non vincola gli stati membri dell’organizzazione ma raccomanda
loro certi comportamenti; unico effetto giuridico: effetto di liceità. L’importanza del Codice è relativa
all’impatto che può avere nella definizione degli scopi del turismo, le modalità di realizzazione e valori e

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principi che l’attività turistica è tenuta a rispettare. È composto da un preambolo e da 10 articoli (principi)
(p49 per i titoli degli articoli e i punti fondamentali, p50 per le idee-chiave).

 IL TURISMO RESPONSABILE

Dichiarazione di Cape Town sul turismo responsabile (2002)  il turismo responsabile:


 Minimizza gli impatti negativi da un punto di vista economico, ambientale e sociale;
 Genera grandi benefici economici per le popolazioni locali e favorisce il benessere delle comunità
ospitanti; migliora le condizioni di lavoro;
 Coinvolge la popolazione locale in decisioni che si ripercuotono sulla vita;
 Contribuisce alla conservazione dei patrimoni naturali e culturali;
 Offre ai turisti esperienze più ricche, con contatti con le popolazioni locali e conoscenza della loro
cultura;
 Fornisce accesso alle persone diversamente abili;
 È culturalmente sensibile, promuove il rispetto tra ospite e turista e contribuisce alla crescita
dell’orgoglio e fiducia locali.

‘responsabile’ inteso come sinonimo di ‘etico’  responsabile: chi agisce in maniera eticamente corretta.
H.L.A. Hart distingue la responsabilità:
 PER RUOLO  derivante dall’assegnazione di un compito, in virtù di una norma;
 CAUSALE  l’attribuzione di un nesso causale tra due eventi;
 SOGGEZIONE GIURIDICA  l’essere assoggettabile a certe condizioni che assieme ad altre
determinano conseguenze giuridiche;
 CAPACITA’  il riconoscimento della capacità di comprensione e ragionamento.
L’idea di turismo responsabile presuppone la prima, ma ne richiama una quinta: quanti operano nel settore
turistico devono essere consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni e devono essere disponibili a
modificare il proprio comportamento nel caso esso abbia effetti negativi su altre persone.
Max Weber  distingue tra etica dell’intenzione e etica della responsabilità e chiedeva a chi si occupava di
politica di non farsi travolgere da una prospettiva per cui la realizzazione della giustizia potesse non curarsi
delle conseguenze.
Hans Jonas  si interroga sul rischio che la capacità tecnologica degli esseri umani potesse avere effetti
devastanti sulla biosfera e sugli esseri umani.
Corporate social responsibility  le imprese sono soggetti economici che si devono tener conto degli
interessi degli stakeholders (gruppi o individui che possono influenzare/essere influenzati dal
conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione). Dopo alcune evoluzioni, il modello si concentrava anche
sul fatto che anche gli stakeholders hanno responsabilità (verso l’azienda e gli altri stakeholders). L’impresa
agisce responsabilmente se previene/evita danni, se migliora l’esistente, facendosi carico dei problemi
adoperandosi di risolverli; la responsabilità diventa una sorta di catena: lega quanti opera e li vincola nel
comportamento. Il turismo responsabile diventa una categoria attraverso la quale perseguire scopi di
miglioramento delle condizioni economiche, ambientali e sociali dei luoghi dove si fa turismo.

I DANNI DA TURISMO

4 tipi di danni da turismo responsabile (di natura diversa e con risposte diverse, più o meno semplici):
 INEVITABILI  quelli coessenziali alla pratica turistica, l’unico modo per non produrli è non fare
turismo; talvolta legati alle caratteristiche particolati dei luoghi;

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 DA ECCESSO DI TURISMO  ossia un’eccessiva quantità di turisti oppure non legati alla quantità ma
dipendono dal tipo di turismo (es: crociere, incidono sugli ecosistemi e viene a volte praticato in
zone non adatte ad ospitarlo);
 DA COMPORTAMENTI INDIVIDUALI OGGETTIVAMENTE SBAGLIATI  si dividono in comportamenti
IMMEDIATAMENTE sbagliati (es: cartacce) e CUMULATIVAMENTE sbagliati (es: spiaggia rosa);
 DA COMPORTAMENTI INDIVIDUALI CONTINGENTIVAMENTE SBAGLIATI  comportamenti che
normalmente sono corretti ma per via del particolare contesto turistico in cui si verificano sono
sbagliati.

IL TURISMO SESSUALE

Un tipo di turismo che sembra intrinsecamente sbagliato ma che nell’immediato produce effetti positivi.
Considerato negativamente sul piano morale, riferendoci nello specifico a quelle situazioni in cui il percorso
turistico è scelto in funzione del poter usufruire nel servizio sessuale fornito da persone in condizioni di
disagio socioeconomico. Difficile tracciare il confine rispetto all’essere o no in una situazione di disagio (es:
quartieri di Amsterdam). La valutazione etica viene bensì fatta su persone che palesano questo disagio.
A primo impatto, il sesso a pagamento è un gioco in cui vincono tutti: il turista ottiene ciò per cui ha pagato,
la persona presta i propri servizi per migliorare la propria situazione economica rispetto ad una situazione
in cui nessuno fosse disposto a pagare per quei servizi; scambio che realizza gli interessi di entrambi.
3 linee di attacco:
1. I danni di medio/lungo periodo sulle persone che si prostituiscono sono maggiori rispetto ai
vantaggi del breve periodo; per queste persone però la prostituzione rimane l’unica alternativa;
2. Chi definiamo ‘volontario’ non è realmente tale, dal momento che non ha alternative; oppure
questa obiezione segnala che chi si prostituisce è vittima di uno sfruttamento, inteso come una
situazione in cui qualcuno tra ingiusto vantaggio da una situazione di debolezza altrui;
3. Si valuta la qualità delle azioni stesse, l’idea è che certe azioni disonorino l’umanità sia di chi le
chiede che di chi le concede, in qualche modo l’umanità ne esce ferita perché le persone che
offrono prestazioni sessuali vengono trattati da chi ne fa domanda come semplici mezzi e non come
fini in sé  idea che risale a Kant, oggi declinata nella richiesta di pari dignità.
Nozione di dignità: serve a fissare il valore intrinseco delle persone, esse non devono essere considerate
solamente per quanto possono esserci utili né possono essere sacrificate per fini altrui; il turismo
responsabile si farà allora carico di evitare i comportamenti che hanno come effetto una violazione del
rispetto dovuto alle persone e della loro dignità.

IL BUONO, IL BRUTTO E IL CATTIVO

Critica morale: violazione di qualche regola che definisce l’agire corretto ≠ critica estetica: violazione di un
qualche canone di bellezza (es: lucchetti sul ponte Milvio a Roma). Come fare quando, con il passare del
tempo, i significati sociali dei luoghi/monumenti si modificano/pluralizzano e ciò impedisce di tutelarli tutti?
La tutela del patrimonio artistico rientra nei compiti dell’amministrazione pubblica, per tutela si intende
anche la sua valorizzazione talvolta impedita dalla deturpazione. Ma la difesa del ‘bello’ in relazione a
questi luoghi è solo una questione estetica o anche morale? C’è una moralità intrinseca nel rispetto di certe
esigenze estetiche quando riguardano siti di interesse turistico? Dipende da quale significato diamo al
patrimonio storico-artistico e ai valori che riteniamo possa veicolare se tutelato e valorizzato. Se il
patrimonio aiuta gli esseri umani ad autocomprendersi, allora la sua tutela non può essere considerata solo
nell’ottica estetica: c’è una moralità nel bello che consente la capacità di coltivare la nostra umanità.
Deturpare un luogo è quindi uccidere un pezzo della nostra umanità.

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BOICOTTARE I CATTIVI?

Se ci siamo trovati male in un luogo, di norma, non ci torniamo più; i numerosi strumenti di condivisione
hanno assolto questa funzione. Questi strumenti ci pongono però un problema morale: dopo aver avuto
un’esperienza negativa, ho il dovere di segnalarlo ad altri? Oppure, se lo facciamo, stiamo facendo qualcosa
che va oltre il nostro dovere? O stiamo compiendo qualcosa di sbagliato perché le esperienze sono
individuali e soggettive? L’idea che il turismo responsabile veicola è che il turista responsabile deve pensarci
due volte se andare in strutture turistiche nelle quali vengono violate gravemente certe regole morali, ossia
si parla di boicottaggio (come minimo smetto di andarci). La situazione si complica se si tratta di
boicottaggio di intere località o paesi  Birmania. La questione di oggi è: nonostante non vi sia più la
dittatura dietro alla gestione turistica, posso utilizzare comunque le strutture? Da cosa deriva il nostro
disagio nel fare ciò e che non provo andando a vedere le piramidi? Risposta: coloro che hanno costruito,
come schiavi, gli alberghi in Birmania sono nostri contemporanei, rispetto all’Egitto in cui invece la distanza
temporale rende distanti le nostre preoccupazioni morali; lo scorrere del tempo costituisce una sorta di
lavacro.

 IL TURISMO SOSTENIBILE

L’insistenza sulla sostenibilità comprende due fattori:


 Generale: riguarda la progressiva affermazione di una più diffusa coscienza ambientalista, in forza
della quale ci si è resi conto di quanto fosse fragile uno sviluppo che non teneva conto della
variabile ambiente;
 Specifico: il turismo di massa ha un impatto per nulla trascurabile sugli ecosistemi e sulle comunità.

Rapporto Brundtland (1987)  lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente
senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni; si focalizza
sull’esigenza di un uso equo delle risorse disponibili. Questa nozione è giunta ad abbracciare anche aspetti
economici e sociali dello sviluppo: è sostenibile quello sviluppo che diminuisce le pressioni sull’ecosistema
ma si preoccupa della tutela dei diritti umani. Anche l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile intende la
sostenibilità nella dimensione ambientale, sociale e economica, anche se può accadere che il
perseguimento della sostenibilità sia in conflitto con queste 3 dimensioni.
La sostenibilità è interpretabile come sostenibilità forte (esiste l’impegno di tramandare le stesse risorse) o
debole (l’impegno è lasciare alle generazioni future risorse equivalenti, secondo il principio di sostituibilità).
1988, UNWTO  la sostenibilità del turismo riguarda 4 dimensioni (ambientale, artistica, sociale e
economica), vincola l’impatto delle attività turistiche per non alterare quello che c’è già e impedire lo
sviluppo di altro, la vitalità delle attività non deve avere limiti temporali. Questi concetti già emergevano
nella ‘Carta di Lanzarote’ (p74 per i punti precisi).
Capacità di carico turistica: numero massimo di persone che può visitare una località, nello stesso periodo
senza compromettere le sue caratteristiche ambientali, fisiche, economiche e socioculturali e senza ridurre
la soddisfazione dei turisti. Collegati a ciò abbiamo: la capacità fisica (la quantità di turisti che possono
essere accolti senza impatti negativi) e la percezione di capacità (la quantità di turismo accettabile prima
che cali la soddisfazione).
Qui turismo responsabile e sostenibile incontrano aree condivisibili, anche se quello responsabile è una
richiesta di essere consapevoli delle proprie azioni e di essere disposti a modificarle, si pone il problema
della sostenibilità ed è disposto a correre il tiro, fissa come dimensione morale quella delle conseguenze del
proprio agire e definisce l’accettabilità di queste conseguenze sulla base della sostenibilità.

EFFETTO TORREMOLINOS, IBIZZAZIONE, RAPALLIZZAZIONE

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Effetto Torremolinos: circolo vizioso che si crea nelle dinamiche turistiche, soprattutto in relazione al
turismo balneare, per cui un certo luogo diventa per qualche ragione popolare e questa popolarità genera
sovraffollamento, traffico, inquinamento e superato un certo limite, le persone lo abbandonano per andare
in un altro luogo e instaurare lo stesso schema. Lascito duplice: grandi strutture turistiche antiestetiche
(rapallizzazione) e una clientela costituita da persone interessate esclusivamente alla vita notturna
(ibizzazione).
Rapallizzazione  deriva dalla città di Rapallo, e segnala uno sviluppo edilizio selvaggio e indiscriminato; è
comunque vero che dove cresca la popolazione e la richiesta è necessaria la costruzione di nuove
abitazioni.
Ibizzazione  rimanda a Ibiza, indica il fatto che alcune località balneari diventano meta di una clientela
giovane che ricerca divertimento; i servizi turistici si adeguano, allontanando un tipo di clientela (famiglie)
con effetti collaterali negativi dal punto di vista della sicurezza, reale e percepita, e finisce per abbassare la
soglia dell’attenzione verso il rispetto di questi luoghi.
Es: Matala e Los Santos  4 fasi che si manifestano quando i turisti entrano in contatto con i locali:
 IDILLO  pochi turisti perfettamente inseriti nella società ospitante;
 CONFLITTO  locali e turisti si spartiscono le infrastrutture;
 SEPARAZIONE  locali e turisti che accedono a infrastrutture distinte;
 ASSIMILAZIONE/’GENOCIDIO’  i turisti prevalgono sui locali che finiscono per allontanarsi.
Il turismo quindi incide sui luoghi non solo per l’impatto ambientale, far scoprire infatti un luogo molto
bello significa essere responsabili di farlo entrare nei circuiti turistici, esponendolo al rischio di una
metamorfosi rispetto ai tratti originari.

LA TUTELA DEI BENI DI INTERESSE TURISTICO: QUALE GIUSTIFICAZIONE?

Un bene turistico è un bene idoneo a soddisfare un bisogno turistico.


Le attività turistiche sono sostenibili laddove si sviluppano illimitatamente nel tempo (buona cosa dal punto
di vista morale), al contrario se non si riesce a garantire questa continuità sembra stia accadendo qualcosa
di sbagliato. Le attività possono avere una fine, che l’idea è che la progettazione e la realizzazione non
devono essere di corto respiro. Perché la sostenibilità nel tempo ha un valore? Un primo elemento è quello
economico, anche se c’è qualcosa di più. Tali beni/luoghi hanno un valore intrinseco e distruggerli rende la
nostra umanità più povera. L’idea è che il patrimonio artistico, culturale e naturale garantisca una sorta di
filo rosso per le generazioni ed è per questo che il suo valore esorbita la sua fruibilità per ragioni
economiche/scientifiche: il patrimonio culturale è incluso nel modo in cui l’umanità ha percepito se stessa e
di come vuole tramandarsi.
I siti patrimonio UNESCO seguono questa filosofia. Quando è stata stilata questa lista, l’esigenza di
protezione era legata essenzialmente al deterioramento dei monumenti causa il passare del tempo; oggi
tiene conto anche della demolizione intenzionale (inserito tra i crimini di guerra). Asservire alcune esigenze
umane alla tutela dei monumenti diventa un modo per impedire di perdere un pezzo di comprensione di
noi stessi e del modo in cui intendiamo costruire il nostro futuro.

ABBIAMO DOVERI VERSO LE GENERAZIONI FUTURE?

Il rapporto Brundtland apre il tema del comportamento che dobbiamo tenere per chi verrà dopo di noi
(‘diritti delle generazioni future’). Perché è necessario e a volte è difficile farlo? Tra chi vive oggi e chi
domani manca la contemporaneità e viene meno la reciprocità dei rapporti. La possibilità delle generazioni
future di poter godere di un certo bene dipende da come quelle prima si sono comportate, ma il
comportamento di quest’ultime non può essere influenzato dal comportamento di quelle: è richiesto di

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veicolare il proprio comportamento unilateralmente). Ciò pone le basi su quali possono essere le
motivazioni che spingano a farlo. Inoltre, come regolarci se il nostro interesse entra in conflitto con quello
di chi vivrà tra due secoli? Accanto al problema di motivazionale vi è anche quello relativo al fondamento
normativo (giustificazione morale). Riguardo a ciò ho due risposte (poste rispetti ai doveri verso le gen.
future):
 PRINCIPIO DI RECIPROCITA’  le persone hanno l’obbligo di restituire agli altri quanto loro hanno
ricevuto, meglio definita come reciprocità indiretta in quanto riceviamo da chi è passato prima e
doniamo a chi arriva dopo (metafora del rifugio di montagna). Definita anche RECIPROCITA’
DISCENDENTE divisa in:
o Giustificativa: la generazione attuale deve qualcosa a quella successiva perché ha ricevuto
dalla precedente;
o Sostanziale: la generazione attuale deve trasmettere alla successiva un capitale almeno
equivalente a quello ereditato.
 Terra non come eredità dei padri, ma come prestito dei figli. Ciò implica il dovere di non lasciare in
condizione di svantaggio o peggiori delle nostre chi verrà dopo di noi: non deve essere discriminato
l’ordine cronologico con cui sono giunte ad esistenza.
Nozick: ribadisce la clausola condizionale sull’appropriazione privata delle risorse, la quale non deve
peggiorare la condizione di chi resta escluso. Indipendentemente da quando nasciamo, dobbiamo
possedere una certa quota di bene altrettanto buona, nessuno deve essere penalizzato
nell’appartenere ad una generazione ‘venuta dopo’.
Risparmiare per domani, vuol dire restringere la quantità di risorse disponibili oggi (rinuncio alla possibilità
di far star meglio chi sta peggio oggi). Gli sprechi intergenerazionali (la generazione da alla successiva un
carico minore di quello che ha ereditato) colpiscono le popolazioni future, mentre gli sprechi generazionali
(la generazione da alla successiva un carico maggiore) penalizzano chi è svantaggiato nella generazione
attuale, ciò crea un conflitto. Idea finale sarebbe proibire entrambi, in quanto la generazione attuale è
tenuta a dare alla successiva un carino non maggiore e non minore di quanto ha ereditato.

 TURISMO ED EQUITA’

Troviamo due sensi di equità in diretto collegamento con l’idea di giustizia:


 Giustizia del caso concreto vs giustizia generale astratta: quando una soluzione applicativa della
legge dà luogo ad esiti che ci appaiono ingiusti, affermiamo che occorre derogare alla legge per
realizzare l’equità;
 La distribuzione dei benefici sociali e economici per poter essere considerata giusta, deve essere
equilibrata;
Le associazioni aderenti al WFTO cercano di sviluppare un atteggiamento attento a chi è coinvolto nella rete
commerciale, detto consumo critico: consumo in grado di distribuire i proventi dell’attività commerciale che
non sia svantaggiosa per coloro che sono posti in posizioni di debolezza contrattuale.
L’idea di equità mette in gioco l’idea di giustizia e nello specifico la giustizia degli scambi commerciali.
Questo punto è già stato affrontato più volte nella storia, da Aristotele (distingue la giustizia come legalità,
equità e commutativa) e da Tommaso D’Aquino (idea del giusto prezzo: il prezzo rispecchia il valore
oggettivo del bene). È comunque complicato fissare il giusto prezzo  prezzo che chi compra è disposto a
pagare a un venditore che a quel prezzo è disposto a vendere: l’equivalenza sta nel fatto che le due parti si
accordano per realizzare lo scambio, implicitamente dando pari valore a quel che scambiano. Giusto prezzo
≠ prezzo di mercato  nello scambio reale, il prezzo su cui ci si accorda più dipendere da asimmetrie del
potere. Sfruttamento: una certa transazione avviene in virtù di una situazione di vulnerabilità, da cui di
discendono esiti contributivi che sono percepiti come iniqui. In alcune situazioni ciò dipende dalle scelte

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individuali quindi è difficile applicare il termine ‘sfruttamento’, anche se a volte tali scelte sono determinate
da fattori indipendenti dalla loro volontà  non possiamo quindi tenere conto delle condizioni ‘all’interno’.

IL TURISMO E’ DAVVERO UN VANTAGGIO PER TUTTI?

Il turismo non è per tutti, riguarda una porzione molto piccola di abitanti del mondo, la parte rimanente che
si sposta lo fa per pressione o altre necessità. La distribuzione della libertà effettiva di fare il turista è quindi
disuguale e tale iniquità è censurata del Codice mondiale di etica del turismo, art.7 ‘Diritti del turismo’. (p90
per le specifiche).
Consideriamo la spartizione dei proventi del turismo: i flussi economici generati dal turismo sono interni al
mondo sviluppato (i tour operator vendono pacchetti in posti del mondo gestiti da loro)  ‘leakage’
(fuoriuscita del paese dei redditi prodotti dal turismo) molto elevato. Le comunità locali sono beneficiate in
maniera marginale e devono subire la privatizzazione del loro territorio al quale le persone del posto non
hanno più libero accesso (ciò accade nonostante art. 9 del Codice). L’immagine dei villaggi turistici come
enclave di benessere in mezzo a luoghi dove la povertà è diffusa appare una contraddizione al turismo
globale che contiene l’iniquità nella distribuzione dei vantaggi del turismo (nonostante art. 5). Iniquità
evidente nei rapporti lavorativi (da lavoro, ma nelle mansioni più umili, con salario più basso del dovuto).
Es: scherpa nepalesi  interrogativi di carattere morale: è equo che queste persone svolgano un lavoro
rischioso senza essere assicurate e senza che sia garantito un futuro ‘economico’ alle famiglie in caso di
tragedie? È equo che la scelta di questo lavoro così pericolo sia fatta sotto la pressione economica? Si
sollevano problemi di equità interna (rapporto di lavoro non bilanciato che si instaura tra scalatore e
sherpa, agenzie e sherpa) e esterna (chissà se è moralmente accettabile che l’industria turistica approfitti di
questa situazione di disagio economico per spingere persone ad accettare di svolgere lavori così rischiosi).
Un altro tema è la differenza economica che sussiste tra i turisti e le popolazioni locali (quando
appartengono al Sud del mondo). Non si può evitare un’ostentazione, seppur involontaria, di una ricchezza
relativa.

LA CONGESTIONE DEI LUOGHI

Questioni di giustizia allocativa: l’assegnazione di un certo bene, tipicamente in quantità finita e


insufficiente alla richiesta. Qui l’iniquità consiste nell’attribuire il bene secondo criteri appropriati e senza
che vi sia un’esclusione arbitraria. Esiste in queste situazioni un ente che ha titolo di decidere a chi spetta
cosa, l’equità opera a livello di:
 METODO  stabilendo i criteri di attribuzione, stilando una graduatoria che premia chi li soddisfa;
 MERITO  fissando criteri che siano giustificabili nel loro contenuto.
Vi sono quindi esigenze di imparzialità e richieste di non discriminazione.
Alcuni problemi nascono anche se il bene è abbondante: potrebbe essere eterogeneo (non ogni sua parte
può essere ugualmente fruibile); anche se è scarso, potrebbe invece essere divisibile (il suo frazionamento
consente comunque la sua fruizione). Se questi elementi sono combinati e il fine risulta essere quello di una
non possibile ‘buona’ fruizione. Trasferendo il ragionamento in ambito turistico, possiamo avere un bene a
cui non tutti quelli che lo vorrebbero possono accedere: devo creare un criterio di selezione equo. La
scarsità il più delle volte non ha a che fare con la reale disponibilità del bene, ma della sua fruizione in
condizioni ottimali (una presenza eccessiva di turisti rende l’esperienza meno gradevole, problema: non
superare la capacità di carico turistica).
Questo discorso non vale per tutte le località, in quanto alcuni luoghi sono destinazione turistica proprio
perché c’è congestione (fossero deserti nessuno ci andrebbe).

SELEZIONE ALL’INGRESSO

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Ci sono essenzialmente due strategie per risolvere il problema della congestione:
 Ridurre il numero di turisti: molto spesso usa la leva dei prezzi, ciò disincentiva chi non è realmente
interessato. Ci sono però due incovenienti:
o Se il prezzo è troppo basso molti sarebbero comunque disposti a pagare senza essere
realmente interessati (problema non risolto);
o Se il prezzo è troppo alto, alcuni non potrebbero sostenerlo anche se fossero davvero
interessati;
 Diluirli nel tempo, ossia un contingentamento dei flussi, per cui una volta che si è raggiunto il
numero massimo di persone giudicato appropriato non si fa più entrare nessuno (si crea la coda). I
costi in questo caso sono in termini di tempo (per saggiare l’interesse effettivo del visitatore), ma
allo stesso tempo non è detto che chi voglia davvero vedere il luogo abbia a disposizione la quantità
di tempo necessaria.
Per ovviare alle problematiche del tempo, oggi esistono sistemi di prenotazione, il che implica che il tempo
della visita è limitato  idea che è meglio vedere un bene per un tempo prestabilito ma in migliori
condizioni di fruizione. Nel primo caso l’idea è invece quella in cui viene privilegiata la durata e la libertà
della fruizione indipendentemente dalla sua qualità. Entrambe non generano iniquità. Il problema morale
emerge quando i criteri producono meccanismi discriminatori (anche se criteri di questo tipo potrebbero
risolvere il problema del sovraffollamento).
Neanche assegnare il bene a ‘chi prima arriva’ è però equo: la coda favorisce chi ha più tempo. Un sistema
adottato sono le code prioritarie per chi è disposto a pagare un prezzo maggiore oppure l’ingaggiamento di
un ‘line-standers’ (famoso degli USA), ossia qualcuno che faccia la coda al posto nostro. Questa correzione
dal punto di vista temporale crea però una problematica economica. La coda possiede una sua moralità
intrinseca: ci rende tutti uguali e alterarla con meccanismi di mercato genera iniquità economica
(peggioramento morale).
La soluzione ottimale pare essere il sorteggio.
L’elemento economico altera sempre il piano morale, come emerge anche dal fenomeno del bagarinaggio.
Il bagarino acquista il biglietto e poi lo rivende più caro a chi non ha avuto tempo/voglia di dedicare del
tempo all’acquisto in prima persona. Anche se chi è disposto a pagare una cifra più alta non è per forza la
stessa persona che da un alto valore all’evento: iniquità. È quindi un problema sia per questo aspetto ma
anche perché alle volte introduce una relazione di mercato in un ambito che invece dovrebbe essere
preservato (es: acquisto dei biglietti per assistere a funzioni religiose).

 TURISMO E DIFFERENZE CULTURALI

Gli articoli 1-2 del Codice fanno conto al rispetto delle culture locali e delle loro tradizioni, delle loro
diversità. La preoccupazione che ciò non avvenga è spiegata dalla preoccupazione dell’incontro con l’altro,
tratto tipico del turista contemporaneo (problema che però non è una novità). Le scoperte geografiche
all’inizio dell’età moderna e l’incontro con le popolazioni del Nuovo Mondo stimolarono le prime riflessioni
etnografiche (studio poi dell’antropologia culturale). Idea del relativismo culturale, variante del più
generale relativismo, ossia la percezione che non esistano criteri di valutazione invariabili e indipendenti dal
contesto in cui sono formulati. È opposto all’assolutismo, dove invece i criteri di valutazione non sono
sottoposti a cambiamenti. Distinto anche dal pluralismo (non esiste un unico criterio di valutazione
corretto), dal soggettivismo (non esistono criteri di valutazione indipendenti dal soggetto) e dal
particolarismo (non esistono criteri di valutazione in cui vi sia una correttezza universale).
Relativismo morale: definizione dei corretti criteri d’azione in situazioni di disaccordo morale; in questo
discorso il disaccordo che ci interessa è quello inter-societario e riguarda l’incommensurabilità dei diversi
codici morali delle diverse culture.

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I giudizi morali non possono che essere relativi al sistema morale proprio della società in cui sono affermati
e l’unica critica accettata è quella ‘interna’, finalizzata a evidenziare che una certa pratica viola gli standard
morali propri della società. Se da un lato questo aspetto ci aiuta a evitare di assolutizzare le regole morali
della propria società, dall’altra bisogna comunque fare attenzione a non eccedere in un eccesso di
contestualismo, altrimenti si giustifica anche ciò che non è giustificabile. E un relativismo di questo tipo
trascura di considerare genesi, sviluppo e conseguenze dei codici morali. Le forme più semplicistiche del
relativismo nascono: mancando il riconoscimento della pluralità interna delle culture e la capacità di
mettersi nei panni di chi è svantaggiato da certe regole sociali, basta la presa d’atto della differenza
culturale per giustificare ogni usanza che abbia avuto forza sufficiente per affermarsi, indipendentemente
da come è avvenuto e dalle conseguenze. Non tutte le differenze culturali sono quindi accettabili.

DIFFERENTE UMANITA’ E UMANITA’ DIFFERENTE

In ambito turistico, il problema della differenza culturale non si pone per quei comportamenti che non
violano i nostri standard di comportamento ma quelli locali, perché spesso l’insorgenza di queste differenze
deriva da una mancata informazione e/o perché le restrizioni che dobbiamo adottare verso i locali sono per
lo più innocue/non costose per chi le deve praticare. Il vero punto del rapporto tra il turista e la differenza
non riguarda tanto il non rispettare gli standard altrui, ma il non rispettare i nostri standard (il mancato
rispetto dei locali avviene quindi perché fare determinate azioni sarebbe giudicato sbagliato nella società da
cui si proviene).
Il turista cerca comunque l’altro da se ed è dunque normale fotografare la diversità: il problema etico è che
rendere tutto oggetto del nostro sguardo di turista significa privare quelle pratiche dal loro significato,
mancando quindi di rispetto.
La mancanza di rispetto sta anche nell’adozione delle nostre regole non curanti che per i locali potrebbero
essercene delle altre (pecchiamo di provincialismo) e nel concretizzare regole di comportamento differenti
da quelle che pretendiamo da noi stessi (svilisco l’altro, poiché trasgrediamo quei doveri di rispetto che
riconosciamo agli esseri umani quando gli esseri umani siamo noi). Dobbiamo tenere conto della differente
umanità delle persone e che esse non appartengono ad un’umanità differente.

IL TURISMO ETNICO E L’EFFETTO ZOO

Popolazione Karen, donne Padaung: anelli al collo. Questa tradizione ha sia un carattere simbolico-religioso
(onde evitare di essere cacciate dalle famiglie) sia economico (è un’attività redditizia). È una variante del
turismo etnico, dove le persone vanno a vedere certe comunità per conoscerne usi e costumi, tradizioni
molto lontane dalle proprie. Le donne ‘giraffa’ sono un caso particolare per vari motivi. Innanzitutto, non si
è certi della volontarietà delle donne, sia perché gli anelli sono messi in età infantile sia perché esistono
pressioni sociali per cui si trovano costrette ad indossarli (pressioni endogene e esogene). Il turismo verso i
Karen indubbiamente fornisce mezzi di sussistenza ma questi proventi non vengono spartiti equamente tra
la comunità e i tour operator. Inoltre, queste donne non hanno una reale possibilità di abbandonare il
villaggio in quando sono profughe. È necessario resistere all’idea che la tradizione tutto scusa o fare
assunzioni troppo rapide sulla volontarietà.
La forza di questa tradizione risente del disagio economico di queste popolazioni e la solidità della
tradizione potrebbe essere vista solo escludendo la comunità dal circuito turistico (per vedere se è praticata
comunque). Ipotizzando che le donne siano volontarie, che non vi siano pressioni, che la distribuzione dei
proventi sia equa, ci sarebbe comunque un problema etnico? Le donne Karen sono vittime dell’effetto zoo:
trattate come animali in gabbia, lenendo alla loro dignità; questo trattamento è degradante a prescindere
da tutti i fattori sopra citati. Questo problema si pone a maggior ragione se queste donne sono radunate
tutte in un unico villaggio: il turista paga e viaggia di meno per saziare la sua sete di ‘primitivismo’ (irreale e

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fasullo). L’effetto zoo ha radici lontane: freak shows: veri e propri spettacoli/zoo umani con persone con
deformità fisiche. Tutto il turismo etnico è esposto al rischio della ‘zoologizzazione’. Oggi, i fenomeni da
baraccone dei turisti sono questi ‘gruppi incontattati’; aggravante morale in cui i contatti con queste
popolazioni isolate può esporli a rischi sanitari gravi.

IL MITO DELL’AUTENTICITA’

Alla base dei comportamenti sopra citati vi è una ricerca dell’esotico più esotico che si salda con una
nostalgia del mondo perduto e un desiderio di primitivismo. Ma i gruppi che cerchiamo sono davvero
primitivi nel modo in cui ci immaginiamo, oppure siamo di fronte a forme di elaborazione culturale che
produce una vera e propria finzione, rispetto alle quali intendiamo sospendere la nostra incredulità? La
nozione di autenticità rappresentata ci illude di partecipare ad un qualcosa di autentico e ci si convince del
fatto che ciò che si vede avvenga anche in nostra assenza, quando invece è proprio la nostra presenza a
determinare quel tipo specifico di rappresentazione di sé dei locali. Anche l’industria turistica contribuisce,
creando immagini/stereotipi. Accade quindi la complessità di una cultura sia ridotta ad un insieme ristretto
di idee generalizzate e semplicistiche che però sono poi le stesse che il turista si aspetta di vedere: il viaggio
non consiste più nel trovare un qualcosa di nuovo ma nel verificare ciò che ci è già noto. Questa messa in
scena finisce per coinvolgere anche le identità del gruppo locale (dovendo fare cose che si facevano in
passato ma in cui ora non credono più).
Questo vale anche per le località, in quando l’industria turistica seleziona i luoghi che possono essere una
maggiore attrazione turistica, creando anche in questo senso un’idea deformata dell’autenticità in quei
luoghi. Si può anche discutere su quanta deformazione sia moralmente accettabile per rendere i luoghi più
appetibili, il che non può però sconfinare nella falsificazione storica (un diritto del turista è anche avere
informazioni reali su ciò che visita).
Senza il turismo però alcune tradizioni oggi non esisterebbero più e in questo senso il turismo può creare
un valore rispetto a cosa che per i locali hanno perso d’importanza, perché ritenute sorpassate, ma è
proprio questo appartenere ad una dimensione nostalgica che le rende appetibili ai turisti.
Il concetto di autenticità soffre di una debolezza interna quando viene impiegato per descrivere le attività
umane o i loro prodotti. Se noi vediamo l’autenticità come un qualcosa di originario e implicitamente
antico, collochiamo le popolazioni in una dimensione atemporale negando una loro possibile evoluzione e
negando il fatto che possano includere nella loro cultura elementi provenienti dall’esterno e che il loro
utilizzo sia in qualche modo violazione della propria identità. L’autenticità quindi non consiste nella capacità
di mantenersi intatta ma il fatto che il suo controllo sia sempre sotto persone presso le quali è la nata la
tradizione e si è sviluppata.

 IL VOYEURISMO TURISTICO

Voyeurismo: parafilia che caratterizza chi ottiene eccitazione e piacere sessuale guardando o spiando
persone nude, intente a spogliarsi o impiegate nel rapporto sessuale, in senso lato è usata per identificare
quei comportamenti che traggono piacere nel ‘vedere’ le cose. Il turismo pare una forma di voyeurismo. Vi
sono comunque una serie di problemi morali legati a ciò, come gli spostamenti turistici finalizzati alla visita
dei luoghi che sono stati teatro di avvenimenti tragici (atti naturali o umani)  dark tourism, ossia l’atto di
viaggiare e visitare siti associati alla morte, alla sofferenza e a ciò che è macabro. La questione è se questa
pratica sia sbagliata o no moralmente.
Nei luoghi in cui si pratica questo tipo di turismo non si nega comunque la possibilità di fare turismo a
prescindere da questi eventi, diventa ‘macabro’ quando i flussi turistici avvengono in questi luoghi in
quanto teatri di eventi luttuosi. Il problema morale è posto se lo spostamento è portato dal desiderio di
quei luoghi perché e nella misura in cui erano teatro di tragedie. Ci sono diverse letture di questi

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spostamenti. Per quando riguarda l’andare a visitare i luoghi dello sterminio nazista non ci troviamo nella
posizione di identificare quello come turismo del macabro, nel senso che i turisti non sono attratti da questi
luoghi in quanto trovano piacere nel vedere la vestigia dell’orrore. Questa visita è un modo per ricordare,
capirne ‘visivamente’ le conseguenze e immunizzarsi rispetto al rischio che accadano ancora; è volontà di
approfondire una drammatica pagina di storia, desiderio di comprensione razionale (heritage tourism).
Anche se ciò non esclude comportamenti irrispettosi di coloro che visitano i luoghi dell’Olocausto.
Anche in questo frangente è da considerare che lo scorrere del tempo fa uscire dalla cronaca e colloca nella
storia determinate vicende, neutralizzandole emotivamente (riferimento ai percorsi turistici nei luoghi del
delitto di jack lo squartatore).

VOYEURISMO E ANTIVOYEURIMO

La distanza temporale sembra quindi fissare un criterio utile che può contribuire a distinguere il turismo
lecito e illecito: una volta che la possibilità di urtare la sensibilità delle persone sembra superata, costruire
percorsi turistici su certi fatti di sangue appare moralmente meno problematico (tempo come purificatore).
Una differenza morale sostanziale si riscontra anche nell’andare in luoghi dove muoiono delle persone o
dove sono morte. Il nostro errore sta nel fare della sofferenza altrui il nostro motivo dell’agire turistico, la
loro sofferenza diventa il nostro svago. A volte è però proprio immedesimarsi nell’altro che ci spinge a
visitare determinati luoghi, ci può sembrare un modo di esprimere empatia verso di loro. C’è da dire però
che se ci mettessimo davvero nei panni di queste popolazioni difficilmente potremmo accettare che la
dimostrazione di empatia sia fare il turista, in quanto turismo = svago. Il dovere di empatia, o il divieto di
dispatia, piò essere analizzato in un altro senso. I turisti a Lampedusa continuano a fare i turisti, nonostante
poco lontano da loro giungano persone in evidente stato di privazione, o cadaveri. È lecito fare questo
turismo? La domanda vera da porre è però quanta distanza dobbiamo avere tra noi e le tragedie perché il
nostro turismo sia considerato moralmente lecito. Anche se ‘occhio non vede, cuore non duole’ può
sembrare ipocrisia, c’è un pizzico di verità: c’è qualcosa di disumano nel fare turismo in mezzo a morte e
distruzione, ma allo stesso tempo non possiamo farci carico di tutti i mali del mondo smettendo di svagarci
in ragione della loro esistenza. Lo svago non è proibito perché avvengono tragedie, ma ci è proibito svagarci
dove vediamo con i nostri occhi il consumarci di tragedie.

TURISMO E POVERTA’

Problemi analoghi ai precedenti si pongono per i villaggi turistici, aree isolate da quello che hanno intorno,
spesso quest’ultimo in una condizione di povertà. Le persone del posto non vi entrano ma all’interno sono
consumate le loro tradizioni. Sono luoghi svuotati di elementi antropologici e fruiti solo per l’aspetto
geografico; modificati secondo le esigenze del turista e quindi privi di autenticità. Rientrano nei ‘non-
luoghi’, ossia spazi di transito stereotipati, privi di identità. È lecito fare turismo ad una distanza così ridotta
da luoghi dove si consuma la povertà? Quanta distanza deve esserci tra noi e loro? In alcuni casi, le
condizioni di povertà erano già presenti prima della costruzione dei villaggi e inserendosi a posteriori lo
fanno disinteressandosi del contesto e senza beneficiarlo, ponendosi come un’enclave di ricchezza.
Moralmente parlando, ci pare ci sia un’inversione delle priorità: investire un capitale in infrastrutture per lo
svago di turisti anziché per arricchire la popolazione povera locale; inoltre perché mescolare un’attività
ludica e la povertà ci pare ripetere il nostro disinteresse per quest’ultima.
Il rapporto turismo-povertà risulta comunque complesso. Anni ’80: diffuso il poorism (turismo della
povertà) con tour organizzati nelle favelas e le slums; qui la domanda che sorge è se sia lecito fare un
turismo che vada alla ricerca della povertà. Da un lato emerge il rischio di aumentare tendenze voyeuriste
(svagarsi con la sofferenza altrui) e dall’altro occorre tenere presente che in alcuni casi, le visite guidate

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possono essere motivo di reddito per quegli abitanti. Questi tour consentono ai ricchi turisti di prendere
coscienza dell’esistenza di questi luoghi spesso stereotipati.
Un altro problema morale è se il vantaggio economico possa essere barattabile con la sofferenza e se ciò
abbia un costo in termini di lesione della propria dignità; il secondo è se si fa un passo verso la presa di
coscienza di cui parlavamo prima o se è una ricerca dell’esotismo.

TOMBE E FOTOGRAFIE

Andare a visitare le tombe può essere descritto come una forma di turismo macabro, anche se pare
qualcosa di diverso. Non tutte le tombe sono in verità percepite come tali, in quanto appaiono monumenti.
In alcuni casi la visita può essere dettata da motivi di affetto in senso ampio, motivi storici, volontà di
rendere omaggio ad una persona che riteniamo importante. Problema: a volte vengono visitate tombe di
persone celebri le quali però meriterebbero tutt’altro che un omaggio (es: Mussolini).
E riguardo alle fotografie? Esistono due tipi di azione, fotografare e farsi fotografare. La prima immortala
una tomba che può avere un qualche rilievo storico, la seconda include qualcosa di moralmente sbagliato.
Una spiegazione potrebbe essere il ricorrere a categorie come dignità (violata) o rispetto (mancato): la
nostra presenza sulla scena potrebbe fare dimenticare che accanto a noi ci sono i resti di un morto e ci
porta a spettacolizzare la morte stessa (tutt’al più se la morte è tragica); una sorta di profanazione. Come se
vi fosse una banalizzazione di un qualcosa di cui quella tomba è testimonianza. Anche il diverso
atteggiamento fa la differenza: un’espressione compunta potrebbe esprimere il nostro ricordarle come
vittime; chi sorride finisce per occultare la dimensione emotiva di quei morti. Facciamo del male morale a
noi stessi e priviamo le persone morte del loro status esistenziale, disinteressandoci della loro morte è
come se dimenticassimo che sono state vive.
Esistono anche monumenti ‘normali’ davanti ai quali non ci pare un problema farci fotografare ma che sono
stati teatri di tragedie anni indietro (Colosseo). La risposta a queste questioni morali può di nuovo essere
porre tutto su un piano temporale: il passare del tempo anestetizza i gravi mali morali di cui è cosparsa la
storia umana; riduce la possibilità di urtare qualcuno poiché progressivamente scompaiono le persone che
ne hanno memoria personale e diminuisce quindi la nostra responsabilità per quegli eventi.

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