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CAPITOLO 1: LE STRAFICAZIONI DELL’ARCIPELAGO TURISTICO .


Guido Gozzano parla dell’isola non trovata. La ricerca non deve necessariamente condurre ad una scoperta, è l’impulso
ad andare che motiva la partenza. L’esplorazione di luoghi sconosciuti è lo scopo di qualunque esperienza geografica:
oggi la consapevolezza della vastità del mondo è il principale stimolo all’esplorazione. Prima la ricerca di terre
sconosciute che potevano essere utili o sfruttabili era un fattore di spinta per i viaggi ma era più pericoloso; oggi c’è la
certezza che le terre esistano, sono disegnate sulla carta e l’esplorazione può essere anche virtuale (software) ma non
è detto che il viaggiatore possa davvero trovarle e scoprire qualcosa. Tutte le esperienze oggi raccontate in librerie,
editorie, internet alimentano la voglia di esplorare: l’epoca d’oro dei viaggi non è stata quella delle scoperte ma oggi.
Saramago parla della ricerca dell’isola sconosciuta. L’ignoto non è più solo oggettivo ma soggettivo perché dipende
dalla percezione del viaggiatore; l’altrove non è più assoluto e indipendentemente dalla distanza si possono avere
esperienze appaganti dal punto di vista dell’esplorazione. La ricerca geografica oggi è una necessità del soggetto:
l’altrove è prossimo dal punto di vista spaziale ma è tanto lontano da consentire lo sviluppo dell’essenza del viaggio,
la scoperta di sé, di entrare in relazione con gli altri. Con il viaggio ci si confronta con la propria essenza e si può
indossare una maschera.
Oggi si parla di turismo sia per flussi nazionali e internazionali sia per escursioni di giornata (brevi): questi appagano le
esigenze legate al benessere psicofisico e alla curiosità. La definizione data dalle nazioni unite nel 1963 (pag 22) oggi
non è più esaustiva perché il turismo è un fenomeno in evoluzione, stimola cambiamenti nelle società, economie,
spazi, ambienti, paesaggi. Oggi il turismo è una stratificazione di pratiche, progetti, movimenti, percezioni: il filo
conduttore è la ricerca di un altrove per appagare esigenze soggettive legate all’esplorazione dello spazio e a bisogni
emotivi o fisici. L’isola sconosciuta e non trovata sono metafore complementari: l’esperienza turistica non si compie
necessariamente mettendo piede sull’isola sconosciuta ma l’opportunità di muovere verso l’isola non trovata rimane
fondamentale. Le isole sconosciute e non trovate formano un vasto arcipelago all’interno del quale ci sono diversi
livelli di alterità con cui l’esperienza turistica fa confrontare.

L’arcipelago turistico è il risultato della sovrapposizione di layers concettuali che aggregano tematismi diversi in un
unico fenomeno: si può studiare ciò come una struttura definita all’interno della quale si sviluppano dinamiche
socioeconomiche con effetti territoriali; ciascun layer può essere studiato anche indipendentemente dagli altri in base
ai peculiari tratti del fenomeno turistico. La stratificazione può essere verticale o orizzontale. Quella verticale indica la
stratificazione storica di pratiche e approcci al fenomeno turistico, realizzata nel lungo periodo e nelle diverse regioni
della terra, dando vita a contesti geo turistici peculiari; essa consente di cercare nell’evoluzione storica il senso dei
processi contemporanei: la storia del turismo ha dato senso al turismo contemporaneo anche se sono sorte
consuetudini e approcci diversi, alcune pratiche sono state superate, si sono sovrapposte e hanno creato cambiamenti
ma non hanno cessato di esistere (es strutture termali -> centri benessere: appagamento di esigenze soggettive); così
possiamo quindi studiare la molteplicità di valori e significati che si proiettano sulla contemporaneità: studio
dell’evoluzione diacronica del fenomeno per comprenderne le articolazioni attuali. La lettura orizzontale guida alla
scoperta delle diverse isole che lo compongono per coglierne il senso attuale: il carattere generale può essere colto
osservandolo da lontano per individuare tendenze e valori; una lettura alla piccola scala invece permette di cogliere
elementi di continuità e discontinuità che oggi ha tale fenomeno e di confrontarlo con temi della contemporaneità;
ma ci permette anche di riflettere sul suo rapporto con la globalizzazione e la modernità; ci fa interrogare sul senso
della coppia antinomica abitante/viaggiatore e sui modi con cui gli individui si confrontano con l’alterità e l’altrove.
Possiamo così ragionare sulle modalità con cui le rappresentazioni delle località turistiche incidono sul fenomeno
turistico stesso. La piccola scala però non ci fa cogliere aspetti che possiamo cogliere con la lettura orizzontale:
adottando quindi un approccio transcalare possiamo studiare i layers scendendo a scale sempre più dettagliate -> per
fare ciò bisogna puntare sull’autenticità per gestire i rischi dei processi di omogeneizzazione e omologazione derivanti
dalla globalizzazione; con la grande scala quindi possiamo approfondire temi particolari (es rapporto tra innovazione
e tradizione, naturalità e artificialità, questioni etiche). Con una scala ancora maggiore possiamo analizzare valori
soggettivi dei nuovi turisti, dando attenzione a pratiche e fruizioni contemporanee.
Turista come costruttore di geografie soggettive e collettive che trascendono in parte l'oggettività del dato spaziale,
attribuendo ai luoghi valori e significati culturali non necessariamente derivanti dalle caratteristiche del territorio;
identità del turista contemporaneo come instabile e in continua ridefinizione sulla base di processi non
necessariamente connessi al fenomeno turistico stesso. Il turista assume quindi un ruolo in quanto consumatore di
luoghi turistici mercificati: questi diventano spazi volti ad appagare le esigenze che di volta in volta emergono; alcuni
turisti sviluppano un senso di responsabilità per il raggiungimento di una soddisfazione personale e per la salvaguardia
del patrimonio. Turismo contemporaneo come espressione dei processi di globalizzazione iniziati con la scoperta
dell’America (1492) che ha posto le basi per una società fondata sulla mobilità e sull’interconnessione. I grandi viaggi
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di scoperta sono gli antenati del turismo contemporaneo che ha perso alcuni tratti e ne ha acquisiti di nuovi ma
continua ad essere un motore anche della globalizzazione. Il turismo di oggi e i viaggi sono diversi, non c’è più
possibilità di svolgere esperienze autentiche: oggi il turismo è una sorta di normalizzazione dell’esperienza del viaggio
nel contesto della globalizzazione ma non è solo una derivazione sminuita del viaggio eroico; c’è delusione per
l’appiattimento delle differenze dovuto alla globalizzazione ma c’è ancora l’aspirazione alla fatica del viaggio come
strumento di crescita e di superamento del sé; questo porta all’ampliamento della base sociale e culturale del viaggio
e costruisce una nuova classe sociale cosmopolita e trasversale. Ciò indebolisce la possibilità di confrontarsi con il
mistero dell’isola non trovata ma favorisce l’occasione di partire in cerca dell’isola sconosciuta.

CAPITOLO 2: TEORIE E PRATICHE DEL TURISMO DI IERI E DI OGGI .


Il turismo è un fenomeno che si è evoluto nel tempo in modo funzionale alle esigenze delle diverse classi sociali e alle
pratiche turistiche: queste però non sono sempre state definite turistiche e anche il termine turista nasce in epoca
napoleonica (fine 18°). Le pratiche turistiche però sono sempre state causa diretta o indiretta di innovazioni e
trasformazioni. 4 pratiche costituiscono le matrici portanti del fenomeno: viaggio, esplorazione e scoperta; cure per
corpo, mente, salute; divertimento; shopping e consumismo contemporaneo; c’è una 5° cioè desiderio dell’incontro e
natura sociale degli individui. Esse si svolgono in contesti geografici specifici. C’è una fase storica prototuristica che
precede quella della presa di coscienza in epoca moderna, e che va studiata.

Nelle epoche più remote i popoli sono entrati in contatto con altri individui e territori per vari motivi (guerre,
esplorazioni, esigenze commerciali): prototurismo quando questi scambi si intensificano. In epoca classica questo
riguarda soprattutto Asia, medio Oriente, bacino del Mediterraneo: in India per purificarsi si compivano pellegrinaggi
verso i templi sui fiumi sacri; gli Egiziani compivano pellegrinaggi religiosi verso i templi (prima forma attestata,
sviluppo delle prime forme commerciali: souvenir e prodotti tipici; ma anche impatti negativi es graffiti che
deturpavano i templi); a Israele (2° millennio aC) si facevano viaggi per scopi religiosi nel tempio di Gerusalemme
(grandi masse di fedeli) ma c’erano anche feste religiose.
Nel mondo ellenico antico (1° millennio aC) ci si spostava per motivi ludici, religiosi e di salute (giochi olimpici, oracoli,
templi) nonostante i problemi legati a strade, comunicazione via mare, attrezzature ricettive. Nell’antica Roma (6°
secolo aC - 5° secolo dC) si sviluppa il turismo legato alla diffusione della cultura epicurea e stoica del tempo libero che
esaltava l’otium (in campagna nobili e anziani per stare tranquilli, dedicarsi a campi e giardini, organizzare feste; al
mare i giovani organizzavano feste nelle ville), questo ha i primi impatti sull’edilizia (costruzione di alloggi), economia
(ruota intorno alle ville), libertà di consumi, stile di vita lussuoso ed edonistico. Dal 2° secolo aC si sviluppa il termalismo
(erede dei bagni a vapore egiziani, gymnasium greco, idea dell’otium romano): costruzione di ampi spazi per le cure e
il divertimento di patrizi e plebei. C’era anche il viaggio culturale per la formazione dei giovani nobili in Grecia o Oriente
(culle di filosofia e arte).
In epoca medievale c’è un cambiamento perché a causa delle invasioni barbariche ci sono più pericoli: i poveri vanno
a piedi, nobili ed ecclesiastici a cavallo; i viaggi per mare sono pericolosi a causa di tempeste e pirati. Nell’alto medioevo
(5-10 secolo) si sviluppano i pellegrinaggi cristiani: percorsi impervi verso i luoghi simbolo della cristianità, c’è
ospitalità da parte di chiese e conventi (anche assistenza medica). Nel pieno medioevo (11-13 secolo) il turismo
religioso si rafforza grazie a nuovi luoghi di culto e all’istituzionalizzazione del giubileo a Roma nel 1300 (ogni 25 anni):
nascono strutture ricettive, forme di protocomunicazione turistica per la promozione di santuari, vendita di reliquie e
indulgenze. I pellegrinaggi si affermano anche nel mondo islamico: dal 7° secolo verso la Mecca, Medina e
Gerusalemme. Nel medioevo si affermano anche i viaggi di affari es il viaggio dei Polo verso il Catai attraverso l’Asia,
raccontato nel Milione di Marco Polo; Cristoforo Colombo nel 1492 arriva in un nuovo continente convinto che siano
le Indie. Nel medioevo ci sono anche viaggi culturali e ricevono impulso le comunità goliardiche delle università (dove
studenti e prof vivevano insieme). Il turismo termale ha un declino perché la chiesa condanna questi comportamenti
di lussuria ed edonismo.
Se nel basso medioevo Gerusalemme e Santiago sono considerati le finis terrae, nel 1500 viene scoperto il nuovo
mondo, meta privilegiata per viaggi esplorativi; il Mediterraneo invece è meta di formazione culturale da parte di
britannici, francesi, tedeschi, nordeuropei. Tra il 1500-1800 si sviluppa anche il grand tour: turismo formativo che
puntava a una conoscenza enciclopedia (GB, Francia, Svizzera, Italia) ma anche per conoscere diverse realtà naturali,
fisiche e antropiche. La meta preferita fu l’Italia, con conseguenze positive e negative: trafugamento di resti
archeologici, nuovi luoghi turistici, ammodernamento, strutture di accoglienza, emancipazione delle donne, nuovi
mestieri.
Tra 1600-1800 torna di moda il termalismo in stazioni termali antiche e nuove: ora ha anche una valenza sociale (prova
di uno status economico elevato), è visto positivamente dalla medicina, per renderlo più piacevole ci sono strutture
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ricreative (teatri, caffè, ristoranti). Dal 18° si sviluppa la villeggiatura in città balneari dei mari freddi (Manica, mare del
nord, mar baltico) perché la rivoluzione industriale aveva creato città inquinate e disordinate, questi erano spazi
alternativi per la vacanza e l’otium raggiungibili con la ferrovia. Dal 18° anche la montagna diventa meta (≠ antichi:
montagna luogo primordiale e selvaggio): ora c’è il gusto romantico di visitare società arretrate, di sperimentare il
sublime, e l’illuminismo la rende un ambiente da studiare scientificamente.

Il turismo moderno nasce nel 18-19 secolo: la 1° rivoluzione industriale crea servizi e infrastrutture dedicate e nasce
la parola turista. Il grand tour assume i caratteri di viaggio turistico come testimoniato dalla letteratura di viaggio (19°)
che non ha più un approccio enciclopedico del mondo: i resoconti si basano ora su 4 elementi -> paesaggio, patrimonio
artistico e architettonico, dimensione della antichità, dimensione sociale e stili di vita di una determinata popolazione.
Inizia così il turismo culturale: oltre ai resoconti su Italia e Grecia, ci sono quelli sui territori del vuoto (spiagge e
montagne).
Nella 1° metà del 19° c’è ancora il turismo di matrice romantica (ricerca di orrido, sublime, bello); nella 2° metà il
turismo è più realista e ci sono descrizioni più oggettive. La montagna diventa posto per professionisti (alpinisti e
scalatori) ma quando nascono le strutture attira nuovi turisti per il divertimento. Nella 1° metà prosegue la passione
per i centri balneari inglesi, francesi e poi anche spagnoli, ma si affermano soprattutto le coste del Mediterraneo:
Spagna, Francia e Italia che nella 2° metà sostituiranno progressivamente le località balneari dei mari freddi; gli
investimenti stranieri si concentreranno sulle coste francesi e liguri, ma si affermeranno anche le località statunitensi
e le località lacuali europee.
Nel 1800 grazie alla 1° e 2° rivoluzione industriale ci sono importanti mutamenti: media borghesia come nuova classe
sociale interessata al turismo, rete ferroviaria e navi a vapore (tempi minori), agenzie di viaggi e guide turistiche. Alla
fine del 19° il settore turistico si è integrato con il tessuto produttivo tradizionale.

Nella 1° metà del 1900 il turismo d’élite in Europa e nord America continua ad esserci e ad espandersi: turismo
balneare, lacuale, termale, montano (anche turismo bianco: pattinaggi e sci, anche d’inverno quindi potenziamento
del settore). Dopo la pausa della 1GM, negli anni 20-30 in USA si afferma il turismo di massa legato a 2 fattori:
estensione delle ferie per gli operai, modello di produzione fordista (quindi diffusione dell’automobile) -> aumentano
i turisti, i servizi turistici si diversificano, si amplia la rete dei trasporti, la pubblicità si occupa anche di turismo. Dopo
la 2GM ci sono dei cambiamenti legati alle migliorate condizioni di vita, dei trasporti, e il turismo di massa si afferma
anche nel vecchio continente soprattutto sulle cose del Mediterraneo: seconde case, villaggi, hotel, luoghi del
prototurismo che diventano centri turistici di massa.
Il turismo ha grande impulso grazie ad internet che crea il turismo fai da te: esso ha posto in nuova luce il rapporto tra
fenomeno turistico, ambiente e patrimonio -> il deterioramento delle risorse naturali deve confrontarsi con la
conservazione del patrimonio ambientale e culturale. Dagli anni 90 si parla di turismo postmoderno/globale: il turista
può viaggiare quasi ovunque alla ricerca di esperienze sempre più sofisticate, e nascono nuove pratiche turistiche
(rivisitazioni di pratiche prototuristiche es turismo rurale, enogastronomico, sportivo). Tutto ciò implica nuove sfide
economiche, politiche, culturali e sociali, ed è una prova dei cambiamenti in atto legati alla globalizzazione che ha
modificato i concetti di tempo, spazio, lavoro, religione, tempo libero. In questi spazi definiti c’è una rottura con le
norme sociali dei luoghi di residenza e con la routine per soddisfare il proprio edonismo, assaporare emozioni insolite
o effimere (de-routinisation).

CAPITOLO 3: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ DI UN FENOMENO ARTICOLATO .


Turismo e globalizzazione oggi sono interconnessi e dipendenti. Il turismo ha un ruolo di 1° piano nelle geografie delle
mobilità: oggi gli spostamenti non possono essere ricondotti a categorie statiche; il turismo fa parte delle mobilità
contemporanee ma deve essere studiato in modo autonomo: non è solo una tipologia di mobilità ma un fenomeno
ampio e articolato, è un processo in cui si intersecano fattori economici, politici, sociali, culturali, ambientali e
territoriali; esso influenza le dinamiche territoriali e la vita quotidiana degli individui (cit John Urry). È un fenomeno
trasversale: al centro c’è il viaggio, ma bisogna studiare anche ciò che sta prima, durante e dopo il viaggio, e
considerare il punto di vista di chi riceve il turista (individui e spazi).
La geografia del turismo contemporaneo non può limitarsi allo studio degli impatti spaziali e ambientali né allo spazio
visitato, ma deve avere una prospettiva olistica: questa necessità è stata colta da tutte le scienze sociali, infatti è stata
criticata la definizione di turismo data nel 1995 dall’UNWTO perché bisogna avere un approccio più ampio e articolato.
È nata la scienza della turismologia per superare le visioni parziali e il frazionamento del sapere: bisogna partire della
natura economica del turismo ma considerare anche le ricadute politiche, sociali, culturali e territoriali, narrazioni,
stereotipi e miti.
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L’approccio geografico è utile: sul ruolo della geografia è stata condotta una riflessione a fine anni 90 dal MIT che vede
il tempo del turismo e del loisir come un corrispettivo del tempo del lavoro -> la natura dei luoghi non può essere
definita a priori ma dipende dall’uso che di essi viene fatto nel tempo del lavoro o nel tempo libero: entrambi sono
legati al tempo libero, ma il loisir è legato al tempo libero settimanale, quotidiano, ferie; il turismo solo a periodi di
vacanza, è connesso ad uno spostamento ma non è per forza finalizzato a un’attività precisa. Il rapporto con lo spazio
quindi è fondamentale perché il turismo crea luoghi funzionali ad usi turistici: bisogna condurre un’indagine degli
effetti di questo fenomeno sullo spazio ma riflettere anche sulla grammatica umanistica cioè gli individui che agiscono
sullo spazio. La geografia tenta un approccio olistico al turismo all’interno del quale agiscono e interagiscono fattori
naturali e antropici oggettivi e soggettivi che danno vita a forme di territorializzazione e narrazioni varie. Nel turismo
agisce l’homo geographicus che diventa homo turisticus (cit Turco): al centro degli studi geografici non devono esserci
solo gli spazi del turismo (coprotagonisti) ma soprattutto la relazione tra questi e i soggetti che agiscono in essi.

Oggi occupano posizione centrale le città e gli spazi metropolitani: dal 2007 è aumentato il numero degli abitanti delle
città rispetto ad aree non urbane (era già così in Europa e America, il protagonista è stato l’estremo oriente asiatico).
Questo ha effetti sul turismo che viene definito turismo urbano ma non c’è una definizione perché si compiono studi
sul turismo in città più che sul turismo urbano in generale, e solo negli ultimi anni sono aumentate le ricerche centrate
sul turismo urbano e sulle pratiche ad esso relative (essendo studi recenti non sono ancora completi). Questi studi
sono conseguenza della consapevolezza che il turismo è un’attività economica a sé stante e non solo un elemento del
settore 3°. Valussi nel 1989 ha sottolineato la funzione urbana del turismo che esercita un’attrazione centripeta ed ha
caratteristiche che dipendono dell’identità dei nuovi turisti; questa identità è sospesa tra l’interiorizzazione di modelli
di vita urbani e la necessità di evadere da tali modelli.
La situazione è paradossale: la città diventa oggetto di flussi turistici ma è anche lo spazio da cui fuggire (routine).
Turismo nelle aree urbane ≠ turismo urbano: Page fa un elenco delle tipologie di turismo nelle aree urbane (es città
capitali, capitali culturali, metropoli, città balneari, montane ecc) ma esso è incompleto. Nelle aree urbane si possono
fare diversi tipi di esperienze (conseguenza della globalizzazione): non solo fruire del patrimonio storico culturale ma
anche moda, shopping, incontrare diversi gruppi sociali ecc. Il turismo è articolato anche come conseguenza del
capitalismo: ciò è legato alla finanziarizzazione dell’economia capitalista da cui deriva l’urbanesimo neoliberale e da
cui dipende la competitività dei centri urbani -> le città che stanno al vertice della gerarchia sono specializzate nel fire
sector. Molti centri urbani hanno avviato politiche di city marketing e city branding per valorizzare, anche dal punto di
vista dell’immagine, il legame tra patrimonio immobiliare e finanziario: molti spazi urbani sono stati trasformati per
ridefinire l’immagine globale delle città (quartieri che erano in degrado, aree industriali trasformate in luoghi con
vocazione turistica e commerciale). Tra le pratiche più diffuse c’è la gentrification: processo di trasformazione sociale
dei quartieri, rivalutazione del valore degli immobili e rigenerazione dal punto di vista estetico per valorizzare queste
come aree del turismo (strutture a disposizione anche degli abitanti ma a volte i cittadini si autoescludono perché
disprezzano lo snaturamento).
Turismo urbano: più di metà della popolazione mondiale vive oggi in città, è una massa eterogenea dal punto di vista
socioeconomico quindi c’è un crescente divario tra ricchi e poveri -> nelle città abitano i più abbienti (> disponibilità di
tempo libero e denaro). Quindi molti turisti vengono dai centri urbani e visitano centri urbani perché hanno abitudini
di un certo tipo: sono vettori di urbanità e di valori quindi, insieme ai mezzi di comunicazione, i turisti hanno un ruolo
chiave nella globalizzazione culturale. Contano però anche gli effetti sullo spazio e sul paesaggio derivanti dai processi
antropici: l’omologazione di oggi porta ad adeguare l’offerta turistica ai gusti e aspettative dei visitatori, le località
turistiche cercano di adeguarsi. Per questo oggi quasi tutto il turismo è urbano.

Sistema turistico e globale si alimentano a vicenda: il turismo ha effetti potenziali sulle altre scale geografiche e sulle
generazioni future -> un approccio sostenibile dovrebbe limitarne gli effetti negativi sul sistema antropo fisico.
Globalizzazione: crescente interconnessione e interdipendenza tra persone e luoghi in tutto il mondo, è il risultato
storico di un processo di lungo periodo cominciato in epoca antica e alimentato dallo sviluppo di mezzi di trasporto e
comunicazione e dall’allargamento a scala mondiale di relazioni politiche, sociali, economiche, culturali. Le innovazioni
dei trasporti hanno reso le relazioni produttive e commerciali più intense diminuendo i costi, così si è creata una
compressione spazio temporale (cit Harvey)(effetti anche sul turismo) tramite cui è possibile spiegare come la
tecnologia permette di modificare la distanza relativa riducendo i tempi (riduzione materiale e percettiva, mondo
appare più piccolo: effetti sul turismo -> questa idea favorisce l’attivazione della domanda).
Questa compressione ha anche un significato in termini socioterritoriali e culturali ed è connessa con la condizione
postmoderna: essa deriva da un’accelerazione e da una mondializzazione anche nei consumi di beni e servizi, c’è una
massificazione dei consumi (moda). Anche il turismo diventa una forma di consumo globalizzata e condizionata dal
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marketing: le località turistiche vengono consumate in modo istantaneo, sono facilmente sostituibili (mutamenti di
tendenze) e quindi gli operatori devono essere flessibili. La pubblicità quindi è fondamentale per manipolare desideri
e gusti: l’immagine turistica stabilisce l’identità sul mercato per la località turistica; dal punto di vista spazio temporale
si verifica quindi un’accelerazione del tempo (riproposizione di immagini effimere per costruire il senso di una località).
La popolarità deriva da questo: la località deve essere omogenea dal punto di vista di gusti e aspettative, deve
promuovere la ricerca di novità ma garantire al turista di sentirsi parte di una comunità con cui condividere esperienze.
La volatilità dell’esperienza postmoderna viene ricercata ma genera spaesamento quindi si ritorna a valori tradizionali:
l’omogeneizzazione della globalizzazione si contrappone alla polarizzazione su valori tradizionali fondamentali per la
stabilità psicologica e sociale dell’individuo. Da ciò deriva anche il bisogno del turista di tornare a casa (consuetudini).
Come conseguenza di questo processo le località turistiche si trovano più vicine tra loro, c’è più competizione, sono
più prossime al luogo di residenza (viene meno il fascino della distanza); a questo è anche connessa la necessità di
comunicare di essere stati in un luogo (blog, social), non importa che l’esperienza sia autentica, e su questo incide
anche il marketing e la moda (si preferiscono località esotiche ad altre italiane identiche): l’obiettivo del turista non è
il luogo in sé ma l’idea del luogo, sta cambiando il significato che attribuiamo allo spazio. Ne deriva il paradosso
centrale di Harvey (p 61).
La compressione favorisce scambi e contaminazione delle pratiche, omologando i gusti: attraverso l’esperienza
turistica postmoderna gli individui ricercano un’identità soggettiva o collettiva che garantisca stabilità nell’instabilità,
vogliono trovare il proprio posto nel mondo, essere altro per un breve periodo -> bisogno edonistico come
conseguenza dell’alienazione socioterritoriale generata dall’accelerazione del tempo e dalla riduzione dello spazio. La
globalizzazione contemporanea è compenetrata di processi economici, politici, sociali, culturali e territoriali quindi ha
dimensione verticale: non c’è solo un’espansione su scala globale di flussi e connessioni, ma un radicamento nel locale
di processi globalizzati -> glocalizzazione cioè interazione dinamica tra attori globali e locali fondata sulla riscoperta
del valore della dimensione locale che si proietta nel globale. Nel turismo quindi le dimensioni ambientali e
socioculturali (radicate di solito in un luogo) assumono un ruolo rilevante nella globalizzazione, cioè fenomeni che si
sviluppano in una regione del mondo e hanno effetti su tutto il globo (transcalarità). L’impatto della globalizzazione
deriva quindi non solo dai condizionamenti imposti da grandi processi mondiali, ma anche dalla trasformazione delle
località che si adattano per essere attrattive e competitive. Il locale non è uno spazio limitato ma è abitato da persone
che hanno uno specifico senso del luogo, modo di vivere, visione del mondo -> es agenzie promuovono il territorio e i
suoi valori rendendolo appetibile per i turisti; il glocalismo quindi è un elemento decisivo per il successo delle località
turistiche, perché può esserci un’autorappresentazione realistica basata sui valori o un’eterorappresentazione
orientata al business e diffusa da attori non locali.

La globalizzazione del turismo può essere studiata in base ai flussi turistici internazionali (aumentati dopo la 2GM).
Un ruolo fondamentale nel processo di globalizzazione del turismo è stato giocato dagli stati nazionali che possono
favorire i flussi nei propri confini e verso l’esterno, ma anche ostacolarli (norme giuridiche)(es Bhutan politica
restrittiva con tassa di soggiorno alta, Vietnam favorisce gli ingressi applicando un’esenzione per l’ottenimento del
visto). Un ruolo rilevante hanno le organizzazioni internazionali: la banca mondiale e il fondo monetario internazionale
danno poco sostegno finanziario ai progetti turistici, ma le nazioni unite nel 1975 hanno creato l’organizzazione
mondiale del turismo per promuovere il turismo nel mondo. Sono importanti anche associazioni e attori privati: non
è un fenomeno nuovo, es nel 19° secolo c’era la Thomas Cook e figli che creò le prime rotte extraeuropee; nel 20°
secolo nascono le catene di hotel che creano una rete di strutture ricettive; oggi sono importanti es airbnb e tripadvisor
che stanno ridefinendo il concetto di ricettività e mobilità.
Da un punto di vista economico le entrate derivanti da attività connesse direttamente al turismo stanno aumentando
ma questi dati non sono del tutto attendibili perché si concentra l’attenzione soprattutto su paesi che ricevono i flussi
(e non su quelli di provenienza o attraversati), e non si considera il diverso potere d’acquisto delle varie monete. Per
far fronte a queste difficoltà bisogna considerare il fenomeno in maniera transcalare tenendo conto dell’inerzia
spaziale (in nessuna regione c’è una crescita o un crollo repentino: nel 2016 l’Europa è stata la più importante metà,
al 2° l’America; nel lungo periodo anche la regione Asia-Pacifico sta guadagnando posizioni soprattutto Cina, Giappone,
Corea. Quindi si sta spostando il centro dei flussi turistici mondiali verso le regioni emergenti sull’Oceano Pacifico, così
come quello delle attività economiche. Ciò non avviene in Africa e Medio Oriente: instabilità socioeconomica, tensioni
politiche e religiose, guerre, eccezione per Marocco, Arabia Saudita e Emirati Arabi. Comunque il continente africano
ha buone prospettive per il futuro).
La globalizzazione del turismo quindi deriva da una espansione e diversificazione spaziale, che però non deriva solo da
flussi intercontinentali ma soprattutto regionali (4 arrivi su 5) grazie alla prossimità: lo sviluppo dei mezzi di trasporto
permette di raggiungere tutto il globo (es linea Londra-Perth) ma i problemi sono costi, giorni di ferie, viaggi lunghi,
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fusi orari. (es in Thailandia si stanno sviluppando gli spostamenti regionali e ciò ha anche effetti economici; i paesi di
provenienza sono diversi: non più solo Europa ma anche Cina, Russia, Giappone, Corea). Il turismo quindi è motore
della globalizzazione e rafforza soprattutto l’integrazione regionale istituendo anche aree di libero scambio (es UE ha
favorito ciò con gli accordi di Schengen e la moneta unica, l’ASEAN ci sta provando e si hanno risultati soprattutto a
Singapore, Thailandia, Vietnam). Un ultimo fattore sono i fusi orari: no movimenti lungo le linee dei paralleli, ma si
lungo le linee dei meridiani e verso fusi orari più vicini (es europei verso l’Africa); incide anche il fattore climatico (es
verso regioni tropicali, clima mite) e la stagionalità invertita tra regioni di emisferi diversi. Viene inoltre messo in
discussione il modello centro periferia tradizionalmente utilizzato secondo cui i flussi turistici riprodurrebbero il
rapporto di dominazione tra paesi ricchi emettitori e poveri ricevitori (epoca coloniale): ma oggi sta aumentando
l’importanza crescente dell’Asia Pacifico quindi non è così; c’è una moltiplicazione dei centri e una dispersione delle
periferie che cessano di essere tali (sono aree di ricezione ed emissione al tempo stesso). Questa logica porta alla
definizione di luoghi specifici (es patrimonio unesco e metropoli): pressione turistica in essi ma luoghi prossimi
rimangono marginali, scelta selettiva dei luoghi turistici e non estensione areale.

Sono importanti anche i flussi turistici nazionali che sono più probabili e più frequenti per costi limitati, comodità,
sistema normativo noto, facilità linguistica, e sono le principali modalità di impiego del tempo libero. Si tratta
soprattutto di vacanze brevi (max 4 giorni, weekend e ponti). Anche i viaggi internazionali degli italiani hanno come
meta paesi vicini dell’area Schengen (flussi di prossimità).
Le regioni italiane più visitate sono Toscana, Emilia, Lazio, Veneto, Lombardia e Campania; in estate Emilia e Puglia
(turismo estivo balneare), in inverno Trentino (turismo invernale montano, sci): nonostante si cerchi di adeguare la
propria offerta alle richieste, persistono forme di turismo = a quelle degli albori (perché troviamo i requisiti di base es
del turismo balneare cioè le 4 s: sea, sand, sex, sun). Un turismo ordinario quindi domina dal punto di vista quantitativo
i flussi nazionali, ma è dinamico perché c’è una crescente domanda di innovazione e di diversificazione dell’offerta. Il
turismo nazionale domina a livello mondiale a causa della crisi economica e della divergenza tra classi: il ceto medio
sta sparendo, c’è una ristretta classe agiata e una classe povera con = abitudini del ceto medio ma meno disponibilità
economica e lavoro instabile, quindi si preferiscono mete nazionali abbordabili e meno rischiose. Inoltre si sta creando
interesse per il turismo nazionale da parte dei governi.

Il turismo è importante a livello geopolitico: già dal 19° secolo incide sugli equilibri di potere che regolano le relazioni
tra gli stati, è influenzato dalla politica interna ed estera dei paesi ma incide anche sulle scelte iniziali del turista e sulle
destinazioni. Inoltre nella 2° metà del 1800 era evidente la relazione tra colonialismo e turismo: era una pratica
funzionale al controllo e sfruttamento del territorio; inoltre il turismo intercontinentale ha seguito le rotte tracciate
dal colonialismo sfruttando le infrastrutture create e rinforzandole. Tra fine 1800/inizio 1900 l’immaginario coloniale
e quello turistico si sono sovrapposti: hanno usato le stesse strutture egemoniche di pensiero ispirate all’orientalismo
per creare immagini fondate sull’esotismo, spingendo le persone a compiere viaggi costosi, faticosi e pericolosi in terre
lontane. Questo mainstream in parte sopravvive ancora oggi grazie al marketing turistico: gli stereotipi non sono
superati ma non si fondano più sulle stesse strutture di pensiero. La rivista Herodote parla di teatro geopolitico.
Il turismo ha impatto sui territori ma è anche influenzato dalle relazioni di potere tra gli stati: questo ruolo deriva dalle
rappresentazioni che vengono costruite in funzione del marketing turistico e che hanno effetti su processi territoriali,
località e aree. C’è anche un rapporto tra turismo e geopolitica che riguarda il tema del terrorismo: esso è presente in
tutto il mondo quindi regioni differenti e distanti si confrontano con l’articolazione delle reti terroristiche ma esse sono
di ostacolo alla diffusione di modelli di vita mobili. Il terrorismo oggi ha caratteristiche in parte nuove: ci sono
organizzazioni ispirate all’estremismo islamico (es isis), il bersaglio sono spesso attività di tempo libero e divertimento,
mezzi di trasporto, siti correlati con il turismo con alta concentrazione di civili (difficili da proteggere), vittime sono
persone comuni. Per questi motivi l’impatto emotivo che questi eventi hanno nell’opinione pubblica è alto ed è
enfatizzato anche dall’azione dei media che aggiungono dettagli ma così trasmettono i messaggi degli attentatori
(fanno il loro gioco). Questi hanno impatto sui flussi turistici perché scoraggiano investitori e visitatori, colpendo 3
obiettivi nevralgici: comunicazione, stili di vita, economia. È necessario poi attendere un periodo di latenza che ha
durata mutevole, poi i flussi riprendono a crescere rapidamente. L’instabilità politica o militare condiziona il turismo
ma non arresta la mobilità da e per quelle regioni, invece è più rilevante la rappresentazione che di essa viene prodotta
attraverso il web dopo una crisi (quando riprendono immagini positive, i flussi ripartono).
In alcuni casi processi geopolitici complessi assumono attraverso il turismo una forma visibile ed evidente; il turismo
è connesso alla politica perché è basato sullo sfruttamento delle differenze culturali, sociali, economiche e normative;
esso è un terreno fertile per studiare i rapporti di potere tra gli stati ed ha un ruolo centrale perché gli attori politici
nazionali e internazionali promuovono specifiche ideologie decretando quali luoghi sono degni di tutela e fruizione
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turistica (es unesco e unwto). es parco archeologico di Angkor (Cambogia) è un sito UNESCO dal 92: gli arrivi turistici
sono aumentati, e c’è stato un effetto economico e spaziale (anche in proiezione)(posti di lavoro); ciononostante la
provincia in cui si trova è molto povera perché lo sviluppo turistico non ha coinvolto la comunità locale: i villaggi sono
in condizioni critiche, ci sono stati squilibri per gli abitanti e l’ambiente (es mercato ortofrutticolo e dei souvenir si
affida a produttori esteri, l’ipersfruttamento delle falde acquifere può causare danni ai templi). Il ruolo politico del
turismo è interessante anche su scala nazionale: ci sono interventi strutturali per infrastrutture e servizi, e questi
possono avvenire gradualmente o grazie ad una politica diretta. Attraverso lo sviluppo turistico gli stati possono
rafforzare il loro controllo politico sul territorio: ci può essere una crescita dell’autonomia locale oppure il contrario.
Ci sono benefici dal punto di vista economico ma rischi territoriali a causa della monospecializzazione e monocultura
turistica.

CAPITOLO 4: ABITANTI E VIAGGIATORI NELL’ECUMENE TURISTICO CONTEMPORANEO .


Oggi il turismo è causa e conseguenza di molti processi e progressivamente si sta allargando coinvolgendo ampi strati
della popolazione ed entrando nelle pratiche comuni. I cambiamenti hanno causato una differenziazione delle pratiche
e dei luoghi turistici, e ci sono nuovi attori. I processi socioterritoriali stanno costruendo un vasto ecumene turistico
(grazie alla pervasività di questo fenomeno). Il punto di partenza è il viaggio: il turismo presuppone uno spostamento
per un periodo più o meno lungo; però la formazione di un’ecumene turistico globale rende il viaggio turistico sempre
meno eccezionale (≠ grand tour), quindi i confini tra sedentarietà e mobilità sono sempre più sottili.
Abitante e viaggiatore sono una coppia antinomica oggi messa in discussione: l’abitante nel 20° era l’essenza del
radicamento territoriale degli individui, era caratteristico di un’epoca preindustriale e aveva valori puri e genuini (non
corrotti dalla contemporaneità; ne parla Pavese pg 86). Il geografo francese Le Lannou definisce l’abitante come colui
che si appropria dello spazio in cui vive; Fremont afferma che l’abitante ha una casa e le attribuisce dei valori (conosce
luoghi e limiti), fa parte di questo spazio e ad esso associa un’identità, ha una determinata concezione del tempo (cioè
lungo periodo). La categoria dell’abitante è tradizionalmente connessa al mondo contadino per distinguerla da diverse
forme di mobilità (nomadi, cacciatori ecc): l’inizio della modernità è la vittoria dell’uomo abitante sull’uomo mobile.
Oggi questo concetto è riduttivo: la dimensione dell’abitante era legata alla fissità delle società rurali, l’uomo
contemporaneo dovrebbe essere un homo mobilis -> secondo Fremont anche nel mondo contadino la fissità è più
apparente che reale. La condizione dell’abitante non si fonda necessariamente sull’assenza di movimento ma su altri
concetti: non è per forza connessa alla sedentarietà quindi oggi non può essere esclusa. Il senso dell’abitare va
ricercato nella relazione tra gli individui e tra essi e i luoghi: le persone hanno oggi bisogno di radicamento a causa
della precarietà causata dalla mobilità. Oggi la categoria dell’abitante è fondamentale: il turista non è solo un
viaggiatore ma soprattutto una persona che risiede stabilmente in un luogo, è un cittadino. Il senso dell’esperienza
turistica va cercato nelle relazioni della persona con lo spazio in cui vive abitualmente. L’atteggiamento dell’individuo
che diventa turista è il riflesso del bisogno di appropriazione dello spazio, di relazione sociale e scambio culturale che
trova una 1° applicazione nei contesti quotidiani.
L’abitare non è direttamente associato all’ecumene turistico, il viaggio si: oggi la mobilità è fondamentale ma non
siamo tutti viaggiatori solo perché ci spostiamo; questa è l’epoca della mobilità ma non per forza anche del viaggio
(epoca dei viaggiatori tra 15°-19°, poche centinaia di uomini). L’uomo ha sempre viaggiato in ogni epoca quindi questo
dimostra che il viaggio è connaturato alla natura dell’uomo, = il bisogno di radicamento: anche gli esploratori si sono
appropriati delle terre che hanno visitato, è solo una ≠ forma di appropriazione. Abitare e viaggiare sono quindi 2
agenti fondamentali (anche se diversi) del processo di territorializzazione.
Oggi siamo tutti abitanti viaggiatori: gli spazi si fanno sempre più ampi, polimorfici, polisemici. Secondo Leed non
possiamo sfuggire alla civiltà globale che nasce dal viaggiare ed esiste da generazioni: il viaggio è diventato turistico e
il turismo è la modalità con cui oggi si esprime il senso dell’abitante viaggiatore. Il rapporto tra viaggiatore e turista si
esprime spesso in maniera conflittuale perché il turista vuole evitare i turisti e i posti in cui vanno: egli percepisce la
propria natura di viaggiatore e vive consapevolmente in una società globale, ma vive in un paradosso perché il viaggio
è ormai una consuetudine, è qualcosa di ordinario quindi è qualcosa di nuovo proprio perché è diventato la norma.
Esso ha perso significato perché non è più un evento estraniante o formativo, non comporta più una rottura
temporanea dei legami con il luogo di origine, né sofferenza o incertezza: il viaggio come concetto ha gli = valori di un
tempo ma le modalità pratiche sono diverse -> i turisti avvertono questa discrasia e provano insoddisfazione e
inadeguatezza.
Il turismo rimane però una tipologia di viaggio che risponde a bisogni soggettivi di scoperta e avventura: da questo
nasce il paradosso dell’abitante viaggiatore turista -> l’individuo non riesce mai ad appagare il proprio bisogno di
affermazione di sé attraverso il viaggio quindi continua a ripetere l’esperienza turistica. Il paradosso si esplica anche
nella relazione con i luoghi: da sempre il contatto con culture altre ha generato scambi e ibridazioni, il turismo non fa
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eccezione -> i turisti si muovono in masse consistenti e invadono regioni remote e spazi fragili (≠ primi esploratori).
Non c’è differenza tra viaggiatore e turista: il 2° è una tipologia del 1°. C’è conflitto quando il turista scopre che
l’esperienza che sta vivendo non è straordinaria ma preparata per sodisfare le sue esigenze e anche gli altri lo fanno.
Il turismo è anche una particolare modalità di consumo del tempo libero, è un bene di consumo ma su di esso si
riversano le aspettative connesse al viaggio nella sua forma ideale. Si trascura il fatto che il tempo libero e il denaro
sono limitati quindi bisogna soddisfare le proprie esigenze in poco tempo e spendendo poco: in questo però si cerca
di confrontarsi con la diversità e per ottenere ciò si accettano diversi gradi di fatica/stress, perché il livello di
soddisfazione ottenibile è soggettivo (non è detto che l’individuo sia consapevole di questo compromesso imposto dal
paradosso).
Schema per spiegare il rapporto tra autenticità e rischio: la curva non può originarsi all’intersezione degli assi perché
non c’è esperienza a rischio 0 né un rischio infinito che porta autenticità assoluta. Passo di Colombo: è consapevole
che sono inferiori ma è iperprotettivo, ha esigenza di uno scambio culturale (che all’inizio è materiale ma tende ad uno
immateriale). Sul modello dell’alpinismo (schema) possiamo analizzare diversi tipi di turista: escursionisti che
frequentano la montagna e scopo ristorativo, vanno in macchina e camminano poco a piedi (bassa autenticità, basso
rischio); escursionista che sceglie percorsi ben segnalati con qualche ora di cammino oppure sentieri poco frequentati;
chi si arrampica sulla roccia usando attrezzature artificiali o solo le proprie forze (massima autenticità, massimo
rischio). Tra questi tipi non ci sono differenze perché tutto dipende dal soggetto e dalle sue aspettative: si può
raggiungere il proprio scopo attraverso l’esperienza che si sceglie di compiere perché la piena soddisfazione deriva da
un bisogno personale e dalla percezione che si ha dei luoghi. Il problema nasce quando nonostante gli sforzi il turista
contemporaneo va incontro a una delusione perché si aspetta differenza ma trova l’uguale (impotenza).

La relazione ibrida tra abitante, viaggiatore e turista ha un corrispettivo nella dialettica del vicino e lontano: c’è il
bisogno di un radicamento territoriale e il desiderio di porsi in una condizione di sradicamento temporaneo (avvertito
+/- consciamente) per rompere i ritmi ciclici della quotidianità e porsi in relazione con gli altri per migliorare la
conoscenza di sé. Semplici dice che il viaggio è al tempo stesso la sintesi e il contrario di tutto perché è un atto
volontario verso l’ignoto. L’individuo vive in un’eterna sospensione tra il desiderio di andare e di restare. Oltre
l’orizzonte si trova un altrove nei confronti del quale il viaggiatore costruisce un immaginario che lo affascina e lo
spinge alla partenza ma che necessariamente lo delude perché la realtà non è mai esattamente come pensiamo.
L’altrove è abitato da un altro individuo che non necessariamente ricambia la nostra curiosità, a volte può anche essere
ostile: questo genera insoddisfazione ed è uno stimolo a tornare a casa con volti familiari e accoglienti, oppure a
ripartire verso un altro orizzonte (speranza). Altro, altrove e casa sono i vertici di un triangolo in cui si definisce la
dinamica del viaggio.
L’altrove non ha un significato in sé, esprime un senso di doppiezza spaziale, di indeterminazione, il suo significato è
soggettivo, è un luogo fisico e della mente. In esso risiede l’esotico che ha fascino perché lontano, ignoto e diverso e
su di esso abbiamo delle aspettative. Gli altri possono essere interessanti in virtù delle loro differenze, ma non è detto
che siano anche gradevoli: nel confronto ci concentriamo sulle differenze più che sulle similitudini. L’altro e l’altrove
devono rimanere ben localizzati a distanza dalla dimora abituale perché solo così possono essere guardati con sguardo
umanitario e non percepiti come una minaccia (confinati in un tempo e spazio eccezionali).
L’altrove esiste solo in rapporto alla casa: essa è un luogo cioè uno spazio che assume significati in relazione alle
esperienze vissute e all’affettività. Abitare è un atto geografico a partire dal quale gli individui cominciano ad
appropriarsi degli spazi, a modificarli, organizzarli e attribuirgli significati. La casa esprime sicurezza e in virtù di essa
possiamo pensare al viaggio e prepararlo: il desiderio di partire dipende dalla certezza di avere una casa e dalla sua
stabilità (può anche essere un atto di ribellione, ma nel viaggio turistico la casa rimane un punto di riferimento). La
casa è importante prima del viaggio per favorire la partenza, dopo per rielaborare l’esperienza ma anche durante:
quando facciamo tesoro di oggetti, emozioni o ricordi, vogliamo portarli con noi per custodirli o condividerli. La casa
fa parte del viaggio, il turista (abitante viaggiatore) la porta con sé e attraverso essa interpreta l’altrove e gli altri che,
al momento dell’incontro, stanno abitando la propria casa (così c’è il confronto che può causare attrazione o
repulsione). È importante alla partenza: senza una dimora sicura e stabile, non diventeremmo turisti (no disponibilità
economica, no sicurezza sufficiente per sperimentare un’esperienza precaria, insicura, instabile); è importante al
ritorno quando si ritrovano oggetti, abitudini e persone, si prova un misto di piacere e nostalgia, si mettono a fuoco le
differenze con un misto di soddisfazione e rammarico. Tornando al tempo domestico i luoghi cambiano significato e
lo spazio non ha più la stessa forma. Al ritorno l’esperienza assume il suo significato definitivo cioè attraverso il
confronto con le proprie abitudini e la propria casa.
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La fotografia delle 3 cime di Lavaredo (massiccio più famoso delle Dolomiti di Sesto, nei pressi del rifugio Locatelli) le
isola rispetto alle forme circostanti e le coglie al massimo della loro verticalità e unicità: da nessuna altra prospettiva
hanno uguale imponenza; questa foto ne descrive una possibile prospettiva, la più efficace dal punto di vista
comunicativo per la promozione turistica di tutte le Dolomiti (Trentino, Veneto, Friuli) e non solo di queste 3 cime. È
un simbolo della realtà territoriale ed è rappresentativa del tutto. Essa è un fattore chiave nella scelta della regione
dolomitica come destinazione in cui trascorrere le vacanze: con essa si costruisce un immaginario collettivo -> i
paesaggi calcarei sono tutti contraddistinti dalla contrapposizione tra fondivalle verdeggianti e con forme morbide e
pareti verticali che si stagliano verso il cielo, ma qualunque paesaggio simile viene spesso definito dolomitico in virtù
di politiche di marketing che hanno fatto installare questa idea nell’immaginario collettivo.
L’efficacia della foto funziona come stimolo al viaggio e come strumento di costruzione delle aspettative, quindi come
metro di misurazione della soddisfazione dopo il viaggio: il viaggio si trasforma in una sorta di ricerca delle 3 cime. Se
le osserviamo dal lago di Misurina l’inquadratura è ≠ quindi non soddisfa le aspettative; per soddisfare l’esigenza sono
stati creati itinerari turistici specificamente dedicati alla ricerca del perfetto punto di osservazione: anche se la foto
poi è uguale a tante altre nel web, c’è il gusto di acquisirla personalmente e condividerla in tempo reale, e gli operatori
del settore valorizzano ciò anche dal punto di vista economico; senza questa immagine il viaggio perde senso perché
il sito turistico esiste in virtù di quella rappresentazione.
Nel 2009 9 sistemi montuosi dolomitici sono diventati patrimonio UNESCO per il loro valore estetico e paesaggistico e
per l’importanza a livello geologico e geomorfologico: così si è rafforzata un’immagine unitaria delle Dolomiti
nonostante le loro differenze; è nata la fondazione dolomiti UNESCO per una gestione coordinata e collaborativa di
rilievi tra loro distanti: alcuni gruppi sono stati esclusi quindi questo è frutto di una selezione che ha interessi
sociopolitici ed economici, ed è volto alla promozione turistica e alla tutela del patrimonio ambientale e culturale. Il
logo della fondazione riporta schematicamente le forme delle 3 cime rappresentate in forme postmoderne, sembrano
quasi grattacieli: parallelismo tra l’urbanizzazione della montagna dolomitica e la sua promozione turistica. Il logo
diventa il simbolo di ciò che le Dolomiti vorrebbero diventare per i turisti contemporanei cioè momento di puro
godimento estetico del paesaggio senza abbandonare i comfort della vita quotidiana urbana. Nel logo però le 3 cime
sono 4: il disegno evoca le forme delle Lavaredo ma non le rappresenta esattamente, la prospettiva non è la stessa; il
suo scopo è la coesione fra territori tra loro distanti e la valorizzazione turistica, quindi altera la realtà attribuendole
valori proiettati verso il futuro. Miossec già negli anni 70 aveva compreso le potenzialità delle strategie di branding
turistico. Una strategia di comunicazione efficace dovrebbe attirare l’interesse, catturare l’attenzione, far crescere il
desiderio e stimolare un’azione di acquisto, ma pochi messaggi ci riescono a causa di problemi legati al contenuto,
struttura del messaggio, forma della comunicazione. Il logo della fondazione è efficace perché influenza il
comportamento, stimola il desiderio e fornisce indicazioni su ciò che si dovrebbe guardare; quindi influenza anche
l’esperienza stessa: il turismo è futura memoria (Crang) e già nel 18° secolo a proposito durante il Grand Tour era nato
il genere letterario del viaggio pittoresco.
Rappresentazione dei luoghi e pratica turistica sono quindi connessi: questo bisogno di omologazione e ripetizione è
in apparente contrasto con la ricerca dell’alterità e dell’altrove, in realtà ne è una conferma. La performance turistica
deriva da stimoli cui l’individuo è sottoposto durante la routine quotidiana (tv, riviste, racconti) quindi il viaggio da
scoperta diventa verifica di ciò. Il marketing territoriale ha una funzione decisiva di raccordo tra il sistema dell’offerta
e quello della domanda, è riduzione strategica della complessità socioterritoriale e ambientale. L’immagine diventa
anche uno strumento fondamentale nella messa in scena dell’autenticità: i turisti accettano più o meno
consapevolmente di prendere parte a una messa in scena promossa da operatori del settore, ma non subiscono ciò
passivamente perché, attraverso performance individuali, cercano di comprendere la realtà e fare proprie le immagini
delle località visitate. La fotografia quindi è rilevante perché cristallizza la realtà, testimonia la presenza e si può
condividere con altri. Essa quindi interagisce con l’esperienza turistica prima del viaggio come strumento di marketing
territoriale; durante influenzando il comportamento (es cercando specifiche inquadrature); dopo attraverso
l’osservazione che può portare a condivisione, reinterpretazione, rinnegamento. Ciò viene definito circolo
ermeneutico della rappresentazione turistica.

Le immagini erano importanti nel passato e questa importanza è cresciuta in linea con lo sviluppo dei mezzi tecnici che
si è svolto in parallelo con lo sviluppo del turismo e ne ha condizionato l’evoluzione: l’affermazione del turismo come
pratica globale ha tra le sue cause principali lo sviluppo delle tecnologie legate alle rappresentazioni visuali (Urry: si
fotografa ciò che è degno di nota, si rende degno di nota ciò che si fotografa). Oggi è importante lo sviluppo delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione digitale che incide sui processi di autorappresentazione individuale
e di eterorappresentazione. Il WWW e gli smartphone ci permettono di essere connessi sempre e in ogni luogo
indebolendo i confini tra vita online e offline, e ci rendono parte dell’infosfera globale. Tutte le nostre attività sono
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oggi influenzate dalla tecnologia (lavoro, tempo libero, relazioni). Le ICT coinvolgono tutte le sfere sociali ed
economiche (relazioni, affettività, conoscenza e cultura: creano spazi di partecipazione ed esclusione).
Il turismo ha subito un cambiamento grazie a smartphone con fotocamere potenti, tariffe a basso costo, social perché
ciò ci permette di inviare foto in tempo reale: siamo ininterrottamente connessi, non c’è più separazione tra sfera
domestica, amicale, delle conoscenze, lavorativa. Le ICT costruiscono vite mobili ma ridimensionano gli impatti
negativi della mobilità: condividendo immagini il soggetto ritrova un senso di sicurezza e aumenta la gratificazione. Si
crea inoltre il passaparola digitale cioè l’influencer marketing (piccoli o grandi gestori che influenzano le decisioni di
acquisto degli utenti; si può fare anche in cerchie ristrette per rafforzare il senso di fiducia dei consumatori che sono
rassicurati dal giudizio di persone loro pari). Le destinazioni turistiche diventano brand, si usano hashtag per
raggiungere più persone, e si scelgono promoter adatti. I social quindi sono anche strumenti di promozione turistica:
Facebook ma soprattutto Instagram influenza gusti e aspettative e costruisce mirate campagne di marketing. Il tema
del viaggio è ricorrente su instagram (tutti postano foto di viaggi) ma esistono anche profili travel appositamente
creati per condividere esperienze di viaggio di privati o aziende che trasmettono informazioni relative a località
turistiche in tutto il mondo: non sono solo suggestioni di viaggio, ma questi influenzano anche il comportamento dei
viaggiatori tramettendo messaggi che indirizzano il dove e il come si viaggia (= riviste di viaggio ma non a pagamento).
Instagram è anche un mezzo per generare reddito: trasformare una foto in uno spot pubblicitario attraverso lo
shoutout (menzione a pagamento per stimolare una corrispondenza con i followers) oppure individuare una specifica
nicchia di mercato. Esempi: morethanphuket che promuove il turismo in Thailandia; adventurebagcrew di Jackson
Groves che si ritrae con sacchetti di immondizia raccolta durante viaggi in spazi naturali, ha tono ecologista e vuole
stimolare un comportamento responsabile ed è riuscito a influenzare tante persone nel mondo. Instagram inoltre
permette anche di interagire direttamente con compagnie aeree o tour operators per prenotare o acquistare viaggi e
soggiorni in tempo reale (direct) incrementando guadagni per loro e per instagram. In realtà in generale con gli
smartphone si possono effettuare ricerche, scoprire offerte, effettuare prenotazioni: gli operatori del turismo quindi
devono tenere in considerazione le potenzialità dei canali di comunicazione.

CAPITOLO 5: L’ALCHIMIA DEI LUOGHI TURISTICI: IL TURISMO COME COSTRUTTORE DI NUOVE GEOGRAFIE .
Per parlare di autenticità o inautenticità dei luoghi turistici bisogna considerare che esistono diversi tipi di turista
(motivazione, aspettativa, approccio). Qualunque luogo turistico ambisce al riconoscimento di autenticità ma rischia
di essere svalutato se dovesse essere scoperto come inautentico. La turisticizzazione dei luoghi può portare al
deterioramento dei valori culturali o naturali e quindi della autenticità che in molti casi però è alla base del suo
successo (meccanismo perverso). Spesso sono i turisti e gli operatori del settore che costruiscono narrazioni
sull’autenticità tramite marketing, passaparola, social. Nella maggior parte dei casi una località non esiste nemmeno
se la sua autenticità non è elaborata e narrata in modo adeguato: per la valorizzazione di un luogo non è tanto
importante la tradizione quando il riconoscimento dei turisti. Questo discorso è un campo delle 100 pertiche, cioè
domina il senso di smarrimento, è una situazione difficile a causa dell’eccesso di possibilità di scelta.
Esempio: Disneyland a Los Angeles per definire il concetto di iperrealtà, si ragiona sul rapporto tra copia e originale;
questo parco però imita opere di fantasia quindi è irrilevante il confronto con un ipotetico originale. Il suo successo è
causato perché esso è in contrasto con la vita quotidiana, si entra in un mondo di fantasia, c’è estraniamento dai ritmi
della quotidianità e si può interagire in forma attiva o passiva con le attrazioni, quindi viene meno il senso di impotenza
della vita reale. Non ci sono barriere tra ciò che è vero e ciò che è reale, e i turisti non hanno bisogno di dimostrare di
essere in un posto autentico perché ciò non è rilevante (es ci sono aspetti della cultura tradizionale americana come
le canoe di Davy Crockett, eroe della lotta per l’indipendenza degli USA, ma li troviamo anche nel parco di Parigi: potere
efficace). Troviamo qui un concetto di autenticità emergente in cui oggetti e temi costruiti come attrazioni turistiche
sono ormai riconosciuti come parti della cultura americana contemporanea, sono percepiti come autentici e in quanto
tali fruiti. Questo parco realizza uno spazio urbano utopico che offre al visitatore l'illusione della cornucopia in quanto
si tratta di uno spazio nel quale la fantasia può realmente prendere forma. Qui l’immaginazione è fondamentale per il
riconoscimento dell'autenticità di un luogo.
Il rapporto tra autenticità e immaginazione è fondamentale perché attraverso l’idea che ciascun individuo ha
sviluppato di come un luogo dovrebbe essere si definisce il grado di soddisfazione (es in Midnight in Paris di Woody
Allen attraverso un viaggio temporale onirico si mette in scena la tendenza di trasporre in un’epoca remota valori di
bellezza e fascinazione che si pensa non ci siano nella contemporaneità). Ciò che attrae è l’idea di un luogo che si è
costruita nella testa attraverso studi, esperienze, passaparola: le componenti essenziali del processo di valorizzazione
turistica sono la distanza (spazio temporale) e la verità. Questo vale per beni di tipo storico; per il patrimonio
contemporaneo un ruolo fondamentale è giocato dalla rappresentazione mentale che ogni individuo ha dei valori che
contraddistinguono la realtà quotidiana. La valorizzazione turistica consiste nel riconoscimento di un valore di
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autenticità derivante dall’autorappresentazione di sé come parte attiva delle trasformazioni del tempo attuale (es la
tourist gentrification).
Dallo studio di Boorstin del 1962 ci sono state varie riflessioni, varie interpretazioni del concetto di autenticità e varie
teorie: però dato che l’esperienza turistica è soggettiva e non generalizzabile, queste teorie sono solo ipotesi di ricerca
e non strumenti metodologici. C’è uno schema tripartito per spiegare le interpretazioni del concetto di autenticità:
secondo Monica Gilli c’è un’autenticità oggettiva, una simbolica e una esistenziale -> la 1° è di tipo museale cioè si è
spinti a verificare l’effettivo valore di una località turistica, la 2° deriva dalla constatazione che il processo di
autenticazione è il risultato di un processo di costruzione e ricostruzione sociale, la 3° serve a sottolineare il ruolo
dell'individuo come soggetto emotivamente e intellettualmente attivo nel momento della fruizione dell’esperienza.
Questi 3 livelli sono complementari: la ricerca di autenticità è la ricerca di una particolare condizione del soggetto
fruitore ma non si innesca senza un ancoraggio a un’autenticità dell’esperienza; oggi all’autenticità dell’oggetto si
preferisce la finzione quindi la ricerca diventa autentica quando il soggetto la ancora ad un oggetto che ha
caratteristiche che avverte come valore oggettivo. MacCannel parla di staged authenticity cioè la tendenza dell’offerta
a produrre settings dotati di diversi livelli di autenticità (dalla realtà simulata a quella autentica): in base alle esigenze
dei vari individui questi settings vengono esibiti per arrivare alla soddisfazione (es c’è differenza tra chi vive in quel
luogo e chi lo vive da turista, ma non dipende solo da questo). L’autenticità quindi non è un valore intrinseco di un
luogo ma è un valore culturale prodotto soggettivamente, e fa parte dell’esperienza generale degli individui nei luoghi.
Secondo qualcuno i turisti contemporanei sono più attratti dall’inautentico e preferiscono cambiare ripetutamente
sguardo nell’esperienza. Oggi è difficile verificare il valore di realtà di ciò che si osserva a causa di rappresentazioni
stereotipate dell’oggetto. Un ruolo decisivo nel processo di autenticazione è giocato dall'immaginazione: attraverso
di essa è possibile generare strumenti di godimento estetico dei luoghi e favorirne la mercificazione; essa definisce il
valore di realtà dei luoghi turistici, riconosciuti come tali dai soggetti e dalla società, indipendentemente dalla loro
effettiva autenticità o inautenticità. Essere autentico quindi è il risultato di una contrattazione sociale. Il
riconoscimento del valore non deriva solo dalla libera interpretazione dei singoli, ma tutto ciò deve essere anche calato
nella realtà. Secondo Cohen gli operatori turistici creano bolle ambientali cioè ambienti artificiali che risultino almeno
in parte familiari, quindi la distinzione tra realtà e finzione si fa sempre meno rilevante, ciò che conta è il
raggiungimento della soddisfazione (es resort in luoghi esotici che offrono servizi ~ a quelli dei paesi di origine). Ma
oggi c’è anche la realtà virtuale grazie alla quale possiamo osservare passivamente o partecipare attivamente ad
esperienze per affermare la nostra individualità, il fatto che queste siano autentiche o no importa poco.
La conferma di tutto ciò si ha a Las Vegas in cui è autentico tutto ciò che è inautentico, essa basa sulla finzione la
propria esistenza ed interpreta le esigenze dei viaggiatori contemporanei, trasformando copie in scala dei luoghi
simbolo delle principali località turistiche mondiali in veri e propri markers del proprio valore (realizza un transfer
dell’autenticità). Gli edifici realizzati a Las Vegas e l’ostentazione della loro inautenticità sono la sintesi dell’esperienza
postmoderna, invece il fatto che questo luogo sia votato solo al turismo è caratteristica moderna. Qui vive una nuova
classe operaia che opera nella catena di montaggio del turismo. L’estraniamento dalla realtà è totale, tutte le azioni
compiute qui sono sospese in un tempo e spazio iperreali. L’unica cosa reale è il denaro (investito per soddisfare
esigenze soggettive e che produce ricavi). Il significato della messa in scena dell’autenticità va ricercato quindi in forme
immateriali e nella concretezza del profitto.

In molte città ci sono gli = fattori di Las Vegas (anche se dispersi): essi mettono in discussione l’apparente solidità del
concetto di autenticità perché essa è la combinazione di un dato spaziale soggettivamente percepito e socialmente
condiviso. Esempi: marina bay sands di Singapore (piscina alta 150m) e sky Dubai (parco divertimenti sulla neve) il cui
potenziale attrattivo deriva dall’eccezionalità dell’opera architettonica e il valore deriva dal riconoscimento sociale di
un modello culturale fondato sul consumo. In molti casi non è la tradizione a favorire la valorizzazione di un luogo ma
il riconoscimento della comunità dei turisti.
Può accadere anche che la tradizione (pratiche simboliche) sia inventata es in momenti storici in cui c’è un vuoto da
riempire. Si fa riferimento a situazioni antiche o presunte tali, all’immutabilità della storia, a funzioni simboliche che
fanno da collante per la comunità. Questa invenzione ha anche un duplice scopo politico: legittimare un rapporto di
potere tra autorità e gruppo sottomesso, spingere la comunità ad accettare un sistema di valori come riferimento e
quindi un codice normativo di comportamento; così si legittima anche il concetto di nazione e il dominio dello stato
su di essa. Da questo nasce il potenziale turistico della tradizione: l’interesse per una località turistica deriva dalla
convinzione che attraverso la sua fruizione sia possibile entrare in contatto con il senso più profondo della comunità
e del territorio; il bisogno di alterità viene soddisfatto attraverso un viaggio nello spazio e nel tempo (ci si vuole
relazionare con il tempo quindi ci si sposta nello spazio, si trovano oggetti tangibili/paesaggi che trasmettano un
legame con il passato). Si parla quindi di heritage cioè patrimonio o eredità. Nella maggior parte dei casi i visitatori si
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limitano a un’osservazione superficiale, si accontentano di spiegazioni sintetiche e testimoniano il tutto con delle foto:
l’heritage quindi non è necessariamente autentico ma deve essere riferito ad un determinato momento storico a cui
sono riconosciuti determinati valori in cui la comunità si identifica. L’immaginario occidentale ci ha insegnato a leggere
la storia attraverso opere d’arte e monumenti: essa conferisce prestigio alle località turistiche ed è fondamentale per
la promozione turistica. Le tradizioni quindi sono attivatrici di domanda (autentiche o no) ma c’è dissonanza: si
attribuisce artificiosamente un’eredità a un gruppo sociale ma si disereda qualcun altro.
C’è quindi un problema legato alla preservazione del passato, ci sono 2 visioni: i restauratori pensano che la
preservazione del patrimonio debba passare da un intervento che salvaguardi i beni; gli integralisti non vogliono
nessun intervento sulle opere d’arte perché credono che una manomissione successiva ne comprometterebbe il
valore. Esempi dell’Acropoli di Atene (non toccata) e di Dubrovnik (distrutta dopo la guerra in Jugoslavia e restaurata):
i siti vengono fruiti in modo simile dai turisti indipendentemente dalla modalità a patto che il valore sia socialmente
riconosciuto. L’UNESCO (nazioni unite) si occupa della valorizzazione e preservazione di beni culturali e ambientali e li
definisce “beni patrimonio dell’umanità”: li preserva per la fruizione attuale e futura, e ad ognuno viene associata una
narrazione storica per rafforzarne il valore. L’opera dell’UNESCO è fondamentale per varie ragioni: inventa tradizioni
rendendo i siti baluardi del senso identitario dei popoli che vi risiedono; essi possono poi estraniarsi (perderebbero
benefici economici) o adeguarsi (l’invenzione diventa realtà). Es di Dresda (capitale della Sassonia) definita Firenze
della Germania che dal 2004 è anche paesaggio culturale patrimonio dell’umanità; dopo i bombardamenti del 45 è
stata ricostruita (es dipinti di Canaletto) ma non è davvero fedele a una tradizione; nel 2009 il label UNESCO è stato
ritirato perché oltre ai ponti storici sul fiume doveva esserne costruito uno nuovo ma UNESCO si è opposto perché
avrebbe deturpato il paesaggio storico (nonostante questo non sia autentico): il popolo ha preferito rinunciare al
marchio pur di avere un ponte funzionante e il turismo non è stato comunque compromesso. Es di Santiago de
Compostela: il cammino ha ricevuto il label UNESCO nel 1985; ha effetti positivi perché ha riqualificato i luoghi presenti
sul percorso, ma anche negativi per la stagionalità, affollamento in alcuni momenti, superamento della capacità dei
piccoli centri, e questo può compromettere l’integrità e il senso dell’esperienza. Esso quindi porta uno sviluppo
economico ma rischia di stimolare una generale riconversione dell’economia locale solo verso il turismo (rischiosa se
ci sarà un declino del cammino): gli abitanti vengono anche espropriati del centro storico e le attività commerciali
riconvertite. Ciò rischia di rompere i legami identitari col territorio; la tradizione tuttavia è fondata su un mito a cui si
deve credere per fede o per dare senso all’esperienza.
L’invenzione di una tradizione quindi produce risultati economici e crea soddisfazione ma se ha impatti ambientali o
socioculturali negativi è un problema. Es della città cinese di Lijiang: dopo il terremoto del 1996 è stata distrutta ma
poi, in sinergia con l’UNESCO, è stata ricostruita con un legame con la storia -> località turistica ispirata alla tradizione
e fedele agli stereotipi della cultura cinese (nonostante il legame sia stato spazzato via dal terremoto e dalla
ricostruzione), ora c’è una Lijiang nuova ma coerente con la storia. In Italia uno dei 1° esperimenti nel borgo medievale
di Grazzano Visconti (prov di Piacenza): nel 1883 Giuseppe volle reinventare il borgo dandogli nuova vita e nuova
identità ristrutturando il castello e realizzando strutture in stile medievale; oggi ospita ancora laboratori e botteghe
artigianali e la vita è organizzata come una perpetua messa in scena della vita medievale. Esempio dei villaggi canadesi
tradizionali (inserimento di elementi storici connessi alla cultura canadese): turismo in Canada basato sulla natura e
su ampi spazi naturali (≠ Europa) ma fruire di questi è difficile e anche se ci sono punti panoramici più agevoli questi
sono insoddisfacenti per alcuni turisti -> un bel panorama non è interessante in quanto tale ma solo se gli è riconosciuto
dalla comunità turistica un determinato valore. Su questo puntano i villaggi tradizionali canadesi (Canada ha una storia
solo dal 17° in poi): es Heritage park di Calgary, villaggio di coloni con abitazioni originali; Stirling agricultural village,
comunità riconosciuta come parte del patrimonio storico immateriale; Stampede indian village, evoca i popoli nativi
pellerossa prima dell’arrivo degli europei. Quindi è stato inventato un patrimonio culturale tradizionale per completare
i caratteri dell’offerta turistica e oggi c’è un mix di natura e cultura.

Riflessione sul patrimonio naturale: il concetto di natura ha criticità derivanti dall’impostazione antropocentrica della
cultura occidentale. La natura viene spesso considerata come una categoria escludente rispetto al genere umano, in
realtà il concetto è più ampio. La geografia si occupa di studiare il significato sociale e culturale del concetto di natura:
esso vuole superare l’asimmetria del rapporto tra uomo e terra; in alcuni casi mette la natura al di sopra dell’uomo
auspicando un improbabile ritorno ad una condizione di vita primitiva e selvaggia; in altri mette l’uomo al di sopra che
domina e plasma la natura secondo la propria volontà onnipotente. La geografia vuole dimostrare che la natura è una
realtà fisica ma anche una categoria sociale derivante dal rapporto tra esseri umani e territorio.
Le località turistiche naturali sono un espediente per vivere esperienze opposte alla vita quotidiana urbanizzata,
caratterizzata da tecnologia, artificialità, ritmi di lavoro alienanti, massificazione e standardizzazione. Ma non è solo
questo: bisogna chiedersi cosa è davvero naturale. Queste esperienze dipendono da una messa in scena
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dell’autenticità (staged authenticity), spazi definiti selvaggi dai quali l’uomo è stato estromesso e in cui può trovare
una relazione intima. La natura selvaggia è connessa al concetto di wilderness, cioè natura pacifica e serena ma anche
ostile e pericolosa in cui mettersi alla prova. Concezione elaborata nel 19° dal trascendentalismo americano che
vedeva la natura come fonte di ispirazione artistica, come massima aspirazione e unica possibilità per preservare la
vita sulla terra, ma questa concezione presupponeva la separazione della natura dagli uomini. Il termine deriva
dall’inglese wildeor: luogo abitato da animali selvaggi, sensazione di paura per ciò che si trova fuori dai confini dei
centri abitati; in nord America è stato riadattato per esprimere la paura connessa al senso di smarrimento, impotenza
e solitudine di fronte alla vastità dello spazio e alla diversità dell’ambiente provata dai coloni europei. In realtà questi
spazi non erano privi di civiltà, loro non erano soli: c’erano gruppi umani che avevano strategie di interazione diverse
dalle loro ma il confronto con l’altro non fu preso in considerazione, anzi la differenza servì a disumanizzare le
popolazioni indigene e ad autorizzare l’esproprio delle loro terre (= accadde in Australia); per questo i primi parchi
nazionali nacquero proprio in USA e Australia a fini utilitaristici e nazionalistici e non di preservazione della natura (es
parco di Yellowstone: nativi estromessi, idea di natura selvaggia).
C’è un’idea di wilderness da controllare per evitare il caos e una come bene prezioso per evitare la perdita della
biodiversità. Secondo Roger la natura viene determinata dall’arte secondo 2 modi: mutevole (in visu) e stabile (in situ)
-> i parchi attribuiscono valore ai paesaggi naturali (in situ) e la wilderness dà loro un significato narrativo (in visu) che
li rende attrattivi (idea di natura selvaggia e estraniamento, poco importa se la natura è davvero primigenia o il risultato
di uno sfruttamento). La wilderness quindi è uno strumento utile per attribuire un significato culturale a paesaggi
composti solo da elementi non umani che vengono idealizzati. L’uso della parola è stato istituzionalizzato dal
Wilderness act del 1964 e dal national wilderness preservation system, sostenuto dal movimento ambientalista che
voleva la tutela degli ecosistemi naturali (≠ primi parchi nordamericani in cui la natura era preservata per favorire la
ricreazione degli esseri umani) ma c’è ancora un problema: la wilderness si fa dipendere dall’esclusione di gruppi
umani. Gli effetti si hanno soprattutto in Europa (dimensione < nord America), territorio antropizzato per millenni e
solo pochi lembi di terra non sono stati coinvolti nella territorializzazione umana (scomparsa delle foreste in Europa,
ci sono solo nella parte orientale). Sono stati proposti processi di decolonizzazione delle foreste per promuovere un
ritorno della natura ma ciò è ≠ dalla wilderness; queste iniziative potrebbero far rielaborare il concetto stesso ma per
ora non sono state attuate, anzi il concetto è usato spesso come etichetta per indicare gli spazi protetti (marketing
turistico) soprattutto da associazioni che promuovono luoghi vergini o inesplorati (es parco nazionale Val grande in
Piemonte, dal 1992 ne ha fatto il suo slogan ma c’è una storia di sfruttamento di boschi e pascoli: qui le aree wilderness
non sono naturali in senso assoluto ma indicano la relazione positiva tra uomo e natura).
Ci sono però benefici dal punto di vista psicologico perché queste aree favoriscono una immersione totale degli
individui nella natura, Wang la chiama autenticità esistenziale. La wilderness quindi è una forma di invenzione della
tradizione; la wilderness disabitata è stata creata artificialmente (via i nativi per far posto ai turisti e al loro immaginario
costruito da una retorica nazionalista): la soddisfazione deriva quindi da una specifica concezione della wilderness che
ha il fine di valorizzare turisticamente le aree dotate di valori naturali o scenari eccezionali. Ha però anche conseguenze
culturali, sociali, ambientali negative perché è uno strumento nelle mani degli operatori che hanno come obiettivo il
profitto. Questo turismo quindi non è un ritorno ad uno stato primitivo perché i turisti vogliono mantenere un
equilibrio con la loro civilizzazione, soprattutto perché sarebbe un rischio, non è possibile farlo e nemmeno
desiderabile: quindi per offrire forme di fruizione wild, l’autenticità della natura viene meno. Era così già nel 19° secolo
quando un aborigeno in Australia era considerato una bellezza naturale e un incontro con loro era al pari di snorkeling
o trekking. Non si deve quindi mettere in discussione l’utilità del concetto di wilderness che è utile alla preservazione
e alla valorizzazione turistica, ma bisogna rielaborarlo essendo consapevoli del ruolo dell’uomo e di cosa è davvero la
wilderness (anche se oggi forse non esistono più spazi autenticamente naturali).

L’autenticità, il rapporto con la wilderness e con l’alterità sono questioni etiche che possono essere ricondotte al
rapporto tra turisti e ambiente e rapporto tra turisti e comunità locali. L’etica serve a definire quali sono i
comportamenti individuali o collettivi corretti in quanto riconosciuti come tali da altri soggetti o gruppi sociali. L’etica
può riguardare la sfera individuale o pubblica, avere dimensione universale o soggettiva, ci si può adeguare ad essa
inconsapevolmente (es condizionati dal luogo in cui viviamo) o consapevolmente. Per garantire una convivenza stabile
e pacifica però le norme etiche vengono tradotte in codici giuridici indiscutibili. Ogni scelta ha possibili conseguenze
positive o negative e abbiamo etiche deontologiche e teleologiche. C’è un documento normativo relativo all’etica del
turismo adottato nel 1999 dall’UNWTO: Codice mondiale di etica del turismo -> non è un documento vincolante, sono
solo raccomandazioni per orientare il turismo verso determinati valori e principi cioè verso un sistema turistico
mondiale equo, responsabile e sostenibile (ha tono più prescrittivo che normativo). Il turismo dovrebbe essere
un’attività cooperativa, rispettosa dei valori culturali delle comunità locali e volta a favorire lo sviluppo umano in tutto
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il pianeta, bisognerebbe realizzarlo tutelando l’ambiente e il patrimonio culturale, e dovrebbe essere finalizzato alla
crescita economica dei locali (in realtà non è così); viene anche descritto come un diritto da tutelare. Gli stati
dovrebbero tradurre i principi in norme pratiche.
Viene mossa una critica al codice perché trascura volontariamente alcune dinamiche reali descrivendo piuttosto come
il turismo dovrebbe essere, sono principi validi a livello retorico più che pratico. Un’altra critica sui temi: il codice ha
impostazione teleologica che mira a definire i criteri in base a cui le conseguenze dello sviluppo turistico dovrebbero
essere valutate positivamente o negativamente; ha però impostazione deontologica perché afferma che il turismo è
un diritto di tutti e suggerisce regole per la legittimazione di pratiche in atto. Esso vuole definire a priori i criteri che
rendono positiva un’esperienza indipendentemente dalle reali conseguenze (valutabili solo a posteriori). Viene mossa
un’altra critica perché esso pretende di considerare l’etica del turismo come a sé stante e slegata dalle altre etiche su
cui si regge la convivenza tra gli individui: per quanto esistenti aspetti specifici dell’etica del turismo, essa è avvenuta
in un più ampio contesto globale (caratterizzato da interconnessione e interdipendenza). È necessario quindi un
approccio sistemico per evitare di cadere in enunciazioni vaghe e astratte, slegate da ciò che realmente accade.
Ci sono 2 macrotemi: sostenibilità e responsabilità. Si parla di sostenibilità nell’articolo 3: esso dà per scontato che gli
obiettivi della sostenibilità possano essere applicabili al turismo, ma esso spesso funge da ostacolo a ciò, e dà per
scontato che la sostenibilità sia il fine dell’agire umano. Il concetto di sviluppo sostenibile è stato introdotto nel 1972
quando si è compreso che le risorse sono limitate ed esauribili e bisogna limitarne il consumo: il rapporto MIT e la
conferenza ONU sull’ambiente di Stoccolma hanno sviluppato il concetto di ecosviluppo (Strong) cioè una strategia di
sviluppo fondata sull’uso giudizioso delle risorse locali soprattutto del 3° mondo. Con gli anni si è arrivati ad una
maggiore consapevolezza dei rischi connessi ad una eventuale crisi ambientale e la crisi petrolifera del 1973 è stata
una svolta per il consolidamento del concetto. Nel 1987 il Rapporto Bruntland propose una rielaborazione della
riflessione e si arrivò ad una definizione di sviluppo sostenibile. Il principio fondamentale è che non esistono limiti alla
crescita della popolazione o uso delle risorse: essi sono proporzionali alla capacità ecologica del pianeta di assorbirne
gli impatti e alla capacità tecnologica, economica e sociale di gestirli, rendendoli compatibili con i bisogni presenti e
futuri. Quindi lo sviluppo è sostenibile quando soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle
generazioni future di fare lo stesso. La sostenibilità non pone limiti alla crescita economica, anzi dovrebbe garantire lo
sviluppo umano attraverso la crescita economica stessa trovando strategie affinché il raggiungimento di tali obiettivi
non comprometta i valori ambientali che rappresentano il substrato su cui si fonda la crescita.
Ci sono state varie iniziative: 1992 Manifesto per una economia umana e la Dichiarazione di Rio -> proposta di creare
piani di azione per la costruzione di iniziative economiche, sociali e ambientali sostenibili in vista dell’imminente inizio
del 21° secolo; sono state approvate le Agende 21 per elaborare indicatori di sostenibilità dello sviluppo a livello locale.
Nel 2000 c’è stato il Millennium Developement goals cioè 8 obiettivi da raggiungere entro il 2015 su problemi legati
allo sviluppo umano e alla crescita economica. Nel 2012 c’è stato il The future we want con ulteriori 17 obiettivi per il
2030. La sostenibilità quindi è un concetto sempre più pervasivo ma per questo svuotato di significato, quasi al pari di
un label da apporre su qualsiasi iniziativa. Ha ricevuto 2 critiche: 1 per la banalizzazione del concetto (abuso); 2 critica
al concetto stesso che in realtà è insostenibile perché propone di trovare una soluzione a un problema connesso con
il modello di sviluppo capitalistico; secondo alcuni in realtà è solo un espediente narrativo per giustificare il continuo
sfruttamento del pianeta. Si parla di turismo sostenibile quando le attività turistiche si sviluppano per un tempo
illimitato, non alterano l’ambiente e non ostacolano lo sviluppo di altre attività economiche e sociali: la formalizzazione
di ciò si è avuta nel 1995 con la Carta di Lanzarote. Regola delle 3 E: environment, ethics, economy -> tutela delle
risorse ambientali, partecipazione delle comunità locali, attenzione alla qualità dell’esperienza. Alcuni propongono di
studiare i problemi legati alla sostenibilità del turismo cercando l’optimum turistico cioè il punto di equilibrio tra
diversi parametri naturali, socioeconomici e culturali, volto a garantire la tutela del territorio. Così si definisce a priori
il livello di equilibrio verso cui ogni località turistica dovrebbe tendere per garantire l’equilibrio tra lo sfruttamento
delle risorse e il soddisfacimento delle esigenze ma questo non tiene conto di fattori qualitativi. I benefici economici
del turismo però sono tanto forti che è impossibile rinunciare ad esso (nonostante ci siano state resistenze delle
comunità locali alla comparsa di elementi di degrado ambientale) ma ciò non è nemmeno auspicabile perché
azzererebbe il reddito e causerebbe un’altra forma di degrado.
La condizione di debolezza dei territori deriva dagli impatti che subiscono (azioni di tipo neocoloniale e predatorie:
soldi verso i paesi ricchi, invece paesi poveri e turistici devono risolvere problemi di strutture, infrastrutture e
manodopera) quindi vengono promosse forme di turismo sostenibile o responsabile (turismo naturalistico o
ecoturismo). In alcune località turistiche balneari il turismo di massa ha generato un degrado del paesaggio (es Rapallo)
quindi viene proposto l’ecoturismo, teoricamente maggiormente attento all’integrità del patrimonio; infatti sono nate
molte aree protette ma questo genera paradossi: si compromette la reale sostenibilità del territorio perché le aree
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adiacenti si attrezzano per la ricettività, il fine economico viene anteposto a quello ambientale. Il turismo sostenibile
non tutela quindi il patrimonio naturale ma vuole soddisfare le aspettative dei turisti e generare reddito.
Il turismo responsabile viene definito nel 2002 nella Dichiarazione di Cape Town: minimizza gli impatti negativi dal
punto di vista economico, ambientale e sociale, genera benefici per le popolazioni locali, migliora le condizioni di
lavoro, coinvolge le popolazioni locali nei processi decisionali, favorisce la conservazione della biodiversità naturale e
culturale, produce esperienze turistiche più complete (anche per i disabili). Segue quindi principi di giustizia sociale ed
economica nel rispetto dell’ambiente e delle culture. La pratica però è ≠ e non sempre i turisti vogliono portare benefici
alle popolazioni locali (questo è il fine dei pro poor): sono comunque viaggiatori ma sono convinti di vivere
un’esperienza più autentica rispetto agli altri, una che possa portare benefici, hanno un livello di istruzione superiore
alla media e appartengono alla classe agiata. Il loro scopo però non è necessariamente altruistico, vogliono anche
trarre vantaggi per sé. Nascondono quindi un atteggiamento neocoloniale e un approccio asimmetrico rispetto ai
locali; sono state create apposite strategie di marketing per attivare chi vuole liberare la propria coscienza e sentirsi
alternativo.

CAPITOLO 6: IL TURISMO E L’AVVENTURA .


Le esperienze turistiche possono essere finalizzate al riposo ma anche all’esplorazione: in questo caso assume
importanza la performatività dei luoghi turistici e le pratiche che i soggetti mettono in atto interagendo con essi; non
è tanto importante una specifica località, anzi il luogo è secondario perché il senso del luogo viene creato attraverso
l’azione (è una forma di placemaking). Si sperimenta così una maggiore connessione con luogo, tempo, locali e ciò è
alla base del turismo d’avventura. Esso è una pratica molto antica: gruppi di avventurieri cercavano esperienze
eccezionali (es nei deserti). Oggi ha assunto caratteri in parte nuovi, c’è stata una commercializzazione e banalizzazione
per adattarlo alle esigenze del consumo di massa (disneyzzazione) e per renderlo accessibile a un pubblico più ampio.
Esso quindi ha cambiato senso ma è rimasto basato sulla totale immersione fisica nella natura per affermare le proprie
prestazioni fisiche e mentali.

Un tempo questi viaggi erano appannaggio di figure eroiche, oggi di molti che scelgono di sperimentare diversi gradi
di rischio e di avventura. L’avventura è funzionale a un percorso di crescita personale (maggiore consapevolezza di sé,
autostima, riconoscimento sociale). La geografia è connessa alla necessità ancestrale di conoscere il mondo: quando
si propone come esplorativa, riesce ad essere interessante per molte più persone.
Knell (CEO di National geographic) afferma che il successo di questa società è che siamo tutti esploratori. NG è
l’espressione più evidente del potenziale interesse che la geografia può generare nelle persone: dato che non può
esserci esplorazione senza avventura, il turismo d’avventura è di grande interesse per la geografia. L’avventura stimola
l’interesse per la geografia che nutre l’immaginazione e la curiosità per la conoscenza del mondo.
Un altro elemento distintivo è la dimensione ludica: le persone che scelgono questo turismo partecipano a un gioco,
decidono di esporsi a rischi, hanno la sensazione di sentirsi più vive e a contatto con la natura, quindi riducono lo stress
e provano forti emozioni e soddisfazione. Gioca un ruolo importante anche la narrazione dell’esperienza (attraverso
social e tv, es Discovery channel e documentari geografici). Le avventure possono essere di molti tipi ma nella maggior
parte dei casi sono ricondotte alla dimensione outdoor (all’aria aperta o in ambiente naturale). Il turista tipo è un
individuo di età media di 49 anni con una buona disponibilità economica alla ricerca di libertà, autenticità, contatto
con la cultura del luogo che visita; oggi anche famiglie.

Oggi alcuni operatori commerciali si fanno carico dell’organizzazione dell’esperienza e vendono pacchetti turistici
preconfezionati (standardizzazione) ma questo non è contraddittorio. Il turismo d’avventura come fenomeno di massa
nasce negli anni 70 del 20° secolo ma l’avventura è un’esperienza ancestrale connessa con una condizione fisiologica
in cui un individuo è esposto ad un rischio, quindi l’organismo attiva processi biologici in modo che reagisca a una
condizione di stress indotta dall’esterno (flow). Questo in origine non era ricercato, oggi invece si cerca di riprodurre
artificialmente questa condizione perché l’attivazione di quei meccanismi biologici causa sensazioni di piacere che
derivano dalla connessione totale con la natura (biophilia). L’avventura è parte della nostra essenza (anche se col
tempo è cambiata) e l’esplorazione è l’azione conseguente al bisogno di avventura (es individui che hanno colonizzato
e soggiogato tutto il mondo in passato). Condizione ~ alla guerra ma oggi siamo in una condizione di pace militare da
anni e non ci sono nemmeno terre da esplorare quindi si cercano nella natura esperienze più o meno avventurose.
Esistono diversi livelli di avventura (dipendenti anche dal contesto), quindi il senso dell’avventura è soggettivo e risiede
nella volontà di vivere esperienze eccezionali rispetto a quelle quotidiane; rischio e incertezza sono fondamentali ma
a vari livelli; inoltre con l’intermediazione di tour operator bisogna valutare anche il rapporto tra rischio reale e
percepito. È importante anche la narrazione dell’avventura e la condivisione dell’esperienza (es alpinista Matteo Della
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Bordella parla della differenza tra alpinismo esplorativo e raccontato e si confronta in maniera conflittuale con il potere
pervasivo della tecnologia: alcuni turisti potrebbero ispirarsi a modelli fuorvianti e non affidabili). Le opportunità
offerte dalla tecnologia sono molte: ha successo la fotocamera frontale che trasmette in tempo reale l’avventura dalla
prospettiva di chi la vive -> condividere diventa più importante di vivere (è per questo che si sta diffondendo questo
turismo). Ci sono quindi 2 atteggiamenti: se lo scopo è condividere un’avventura, non è importante il grado di
esposizione al rischio; per raccontare imprese più suggestive alcuni si spingono oltre i propri limiti mettendo a
repentaglio la propria vita.

Oggi c’è un allargamento della base sociale del turismo di avventura (attraverso pacchetti, aziende come Pepsi-
Max/Redbull che organizzano eventi dedicati agli sport estremi pubblicizzati sul web, programmi tv). L’avventura è
ormai entrata nell’immaginario collettivo come una possibile vacanza ed ha perso la sua componente elitaria: vengono
così sottovalutati i rischi reali ma c’è la pretesa di vivere esperienze avventurose esponendosi a un rischio controllato.
Il turismo d’avventura trae spesso origine da suggestioni esterne per vivere personalmente esperienze di cui si è venuti
a conoscenza (era così anche nella storia, es El dorado; Italia anni 50/60/70 alpinista Bonatti che metteva i suoi
reportage sul periodico Epoca).
Il rapporto tra avventura e immaginazione è stretto e c’è un esempio: il successo di un libro/film (Into the wild) che ha
dato vita a una sorta di pellegrinaggio turistico avventuroso verso il luogo simbolo della storia (regione remota
dell’Alaska). Molte persone hanno condiviso l’ideale di libertà professato da Chris e hanno voluto provare a vivere
quella esperienza: sono andate incontro (= lui) a molti rischi (alcuni sono stati soccorsi, altri morti) quindi per risolvere
il problema si è pensato di rimuovere il bus e portato a Healy (ma avrebbe perso il significato simbolico); compromesso:
in città una copia, solo chi era preparato andava a vedere l’originale. Anche grazie al messaggio finale di Chris (la felicità
è reale solo se condivisa) si capisce che al cuore del turismo di avventura sta la condivisione delle esperienze, che
altrimenti di per sé non hanno molto valore (il bus di per sé è brutto, senza valore, è un elemento di degrado ma
diventa oggetto di culto in virtù di quella storia). Paradosso: l'esperienza di fuga e di rifiuto della globalizzazione da
parte di Chris diventa, attraverso la narrazione, strumento per un processo di omologazione culturale che genera un
flusso turistico di massa volto alla riproposizione stereotipata e banalizzata della sua esperienza.

La relazione tra uomo e montagna ha un’origine antica: era un ponte tra materialità e immaterialità (dimensione
spirituale), metafora dell’ascesi spirituale; erano luoghi sacri da evitare per timore o rispetto degli dei (anche molti
vulcani). Con il tempo, pur mantenendo il suo potere espressivo, la montagna è diventata un oggetto fisico derivante
da un processo orogenetico e un soggetto interagente con una complessa geografia umana. Non c’è una definizione
di turismo in montagna: ci sono diverse pratiche e molti tipi di turismo.
Non c’è una sua origine certa: in Europa viene valorizzata l’ascesa al monte Ventoso di Petrarca (cammino nella propria
interiorità); dal Rinascimento la montagna è spazio metaforico in cui si riflettono valori esistenziali e hanno iniziato ad
esserci diverse modalità di fruizione. Un interesse concreto c’è stato dalla fine del 18° secolo dopo una fase
climaticamente avversa (piccola età glaciale: abbassamento delle temperature, crescita dei sistemi glaciali) che ha
causato paura e diffidenza e scoraggiato l’avvicinamento. Nel 1500 troviamo le origini dell’helvetisme illuministico che
è alla base dell’alpinismo. La montagna è poi gradualmente penetrata nell’immaginario collettivo (delle élite e poi
delle masse). Dal 19° non è stata più luogo del mito e della religione ma è diventata simbolo del rapporto tra natura e
uomo: durante l’illuminismo è stata teatro in cui l’uomo si confrontava con la natura. Così ha preso avvio la
valorizzazione turistica delle montagne (prima per pochi esploratori, poi alpinisti e turisti).
Il turismo in alta quota nasce nel 1778 quando un gruppo sale sul Colle del Lys e sulla Roccia della scoperta (confine
Ita-Svizzera): ciò segna la nascita dell’alpinismo. Erano mossi da uno spirito esplorativo, andavano alla ricerca della
Valle perduta e di terre fertili e verdi (≠ oggi). È stato rilevante anche il monte Bianco, raggiunto nel 1786 da Paccard
e Balmat, e poi da de Saussure. Gradualmente le ascensioni non sono più state cammino verso l’ignoto ma ripetizioni
di cammini già percorsi e descritti, e le montagne si sono affermate come località turistiche alla moda. Non tutti (=
oggi) praticano alpinismo, alcuni godono del clima fresco per soggiorni turistici o sport. Tra 19°/20° ci si è concentrati
sulle vette più difficili (relazione tra sforzo fisico e valore morale)(es pareti rocciose o ghiacciate), dibattito sull’etica
dell’alpinismo: alcuni (es Bonatti) sono sostenitori di un alpinismo by fair means cioè solo attraverso capacità fisiche e
mentali, per loro la montagna esprime un ideale di purezza e l’ascesa è un percorso di crescita interiore; altri (es
Maestri) sono disposti a usare qualsiasi mezzo artificiale perché la vedono come uno spazio per aggiungere obiettivi
personali egoistici, privo di riserve etiche, quindi portano l’urbanità lì per raggiungere i propri scopi. Nel 20° l’alpinismo
è diventato popolare (club e scuole di alpinismo, evoluzione di materiali e attrezzature) e sono aumentati i gradi di
difficoltà: es il 6° grado è diventato un vero e proprio mito e la sua epoca si è inaugurata nel 1925 sulla parete nord
ovest della Civetta; poi la scala è stata ampliata, oggi siamo al 12° grado ma le difficoltà sono alla portata di molti.
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L’alpinismo si è poi concentrato su catene montuose ≠ dalle Alpi, in tutto il mondo: sono arrivate masse di turisti (non
solo alpinisti) che grazie ai tour operator compivano cammini più sicuri in spazi impervi.
L’alpinismo quindi si sta trasformando in una pratica di consumo della montagna: essa non è più simbolo di purezza,
orrore, distacco dalla civilizzazione. Si sono aggiunte nuove pratiche tra 19°/20° (sci, termalismo ecc) e l’alpinismo è
ormai solo una pratica di consumo per fare esperienza della natura selvaggia in contesti estremi senza però
abbandonare del tutto le proprie abitudini urbane. La commercializzazione però non ha ancora colpito tutti gli spazi e
tutte le persone. Negli anni 60/70 il movimento alpinistico Nuovo mattino ha spostato l’attenzione sulle valli
(soprattutto degli USA) per mettere alla prova il proprio corpo: l’obiettivo non è più la vetta ma l’arrampicata in sé
(free climbing finalizzato all’introspezione). Oggi non c’è più una reale differenza fra free climbing e alpinismo, si
stanno fondendo perché le nuove frontiere sono quelle della velocità e della difficoltà (senza ossigeno, d’inverno).
Anche l’alpinismo femminile sta avendo riconoscimento (prodromi con la d’Angeville: monte Bianco 1838). Il senso
dell'esplorazione non deriva quindi più dalla meta raggiunta, ma dal cammino percorso, dalle motivazioni e dal
soddisfacimento del propri bisogni interiore di scoperta di se stessi e del mondo. Oggi è sempre più importante la
narrazione: così si rendono partecipi molte persone del proprio percorso esplorativo, ma si rischia di trasformare il
racconto in una messa in scena distante dalla realtà.

CAPITOLO 7: GREEN ECONOMY E GREEN TOURISM .


La green economy riguarda la protezione dell’ambiente, l’innovazione ecosostenibile, la creazione di attività e impieghi
nel settore. È un modello complementare o alternativo a quello tradizionale (invasivo per le risorse del pianeta e ad
alto impatto per la biosfera) e riguarda vari tipi di attività: quelle classiche realizzate attraverso processi meno
inquinanti, quelle sostenibili ecc. Le nazioni unite hanno definito la green economy come un’economia che genera un
miglioramento del benessere umano e della giustizia sociale e una riduzione dei rischi ambientali e delle penurie
ecologiche. Gli attori politici sono ancora poco sensibili ma dovrebbero promuovere politiche di conservazione
dell’ambiente naturale, lotta ai cambiamenti climatici, produzioni a basso consumo energetico.
Nel settore turistico questo si esprime nell’ecoturismo, turismo verde e turismo nelle aree protette. Negli ultimi anni
sono aumentate le aree protette e si sono diffuse pratiche per tutelare paesaggi e preservare le specie. Parchi e riserve
naturali non sono più solo percepire come spazi di conservazione e tutela ma anche in base alle loro caratteristiche
estetiche ed emozionali.

In Canada la creazione e gestione delle aree protette è competenza dello stato federale, province e comunità locali.
Le più importanti sono amministrate dall’agenzia federale di Parks Canada (47 parchi regionali, 4 riserve marine, 170
siti storici; alcuni sono siti UNESCO). Parchi e riserve marine proteggono l’ambiente e le specie, i siti storici consentono
di conoscere pezzi della storia canadese e trasformazioni geografiche. Quindi sono luoghi per l’osservazione di fauna
e flora, per lo studio di processi fisici ed eventi naturali, e della memoria collettiva del paese. Dagli anni 60 attirano
masse di turisti: questo ha ricadute positive su popolazioni locali, territori, istituzioni e imprenditori privati perché è
utile alla promozione economica e allo sviluppo sociale.
I parchi nazionali più visitati sono a Ovest e ci sono anche aree protette (es Gulf Island); parchi nazionali ad est (es Gros
Morne), in Ontario (Punta Pelee, 2 aree marine nazionali: Lake Superior e Fathom Five), nel Quebec (parco delle
Mauricie con le colline, parco di Forillon con i monti; area marina del Saguenay Saint Laurent). A nord ci sono orchi
meno visitati a causa di costi, accessibilità, clima. Nei siti storici si possono osservare le tracce delle popolazioni
autoctone, i segni successivi lasciti, le trasformazioni di industrializzazione e urbanizzazione. Tutto questo è stato
influenzato dal progresso della green economy che ha permesso di creare aree protette originali, strutture ricettive
rispettose dell’ambiente, diversificare l’offerta turistica.

CAPITOLO 8: SLOW TURISM E SLOW MOBILITIES .


Lo slow tourism (turismo lento) ha un’origine recente ma ha avuto un rapido successo internazionale. Il movimento
slow nasce nel 1986 a Bra (Cuneo) e si oppone alla fast life, alla frenesia; qui viene firmato il Manifesto dello slow food
che si oppone al fast food: la sua ratifica nel 1989 a Parigi da parte di 15 paesi ha sancito l’internazionalizzazione del
movimento. L’obiettivo è il diritto ad avere cibo buono, pulito e giusto, la valorizzazione di prodotti locali (vs fast food,
junk food e abitudini di vita frenetiche), e la tutela di tradizioni agricole ed enogastronomichere regionali. Si
oppongono anche all’agricoltura intensiva e agli OGM. Critiche: agli effetti sociali perché è un movimento elitario; è
una lobby per difendere gli interessi di alcuni produttori; alcuni ne ridimensionano l’importanza. È innegabile che esso
abbia un’importanza ampia e trasversale perché sta modificando il modo di agire e pensare di molti: vuole raggiungere
un pubblico che si sente in colpa di essere abbiente e vuole fare qualcosa per lenire il disagio, vuole mangiare bene
ma stare dalla parte giusta. Sicuramente è un movimento elitario perché i prodotti valorizzati non sono
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economicamente accessibili a tutti, ma l’obiettivo è far assumere un punto di vista ≠ rispetto a quello nella
globalizzazione.
Anche nella dimensione turistica è centrale la velocità che è tipica della modernità e influenza tutti gli aspetti della
vita quotidiana: questa costante accelerazione causa alienazione, permette di risparmiare tempo ma dà l’idea di non
avere mai abbastanza tempo; si genera così un’ulteriore accelerazione spesso solo per mantenere una determinata
posizione sociale e lavorativa (patologie sociali). Il movimento slow si oppone a tutto ciò, è una reazione all’ideologia
fondata sulla velocità ma ha un atteggiamento propositivo: propone un diverso punto di vista che non è un ritorno al
passato ma si spera che nel futuro sarà possibile un modello di vita basato sulla valorizzazione della lentezza come
strumento per vivere esperienze più intense e autentiche. Questo ha effetti anche sul turismo: lo slow tourism è una
forma di consumo alternativa per vivere esperienze più autentiche e meno soggette alle dinamiche di mercato, e per
promuovere lo sviluppo locale (es piccoli operatori). Vengono promosse attività fondate sulla lentezza,
contemplazione, fruizione di prodotti locali per offrire esperienze appaganti ma opposte alla frenesia della
quotidianità. Le pratiche sono tantissime (anche tradizionali ma organizzate in modo diverso, oppure cicloturismo,
birdwatching ecc).
Lo slow tourism appare come la riposta ai problemi del turismo di massa perché è una tipologia di turismo alternativo,
oppure è solo una possibile sfumatura dell’arcipelago turistico contemporaneo: dobbiamo chiederci se davvero la
lentezza sarà l’ideale del futuro. Lo slow food non è un movimento retrogrado ma progressista, è inserito nelle
dinamiche capitaliste ma propone atteggiamenti correttivi; gli operatori mirano ad ottenere un profitto quindi spesso
sono costretti ad alzare i prezzi, = accade anche nel turismo, ma così esso rischia di diventare una pratica elitaria
anziché di cooperazione e integrazione come vorrebbe essere. Spesso anche l’autenticità viene meno perché si tende
comunque a soddisfare le aspettative dei turisti (messa in scena dell’autenticità), l’importante è esserne consapevoli.

Il turismo en plein air in camper è un settore in costante crescita in Italia e in Europa. Il turismo in camper fa parte del
turismo in campeggio ed è connesso ad una forma di associazionismo: il campeggio però non dipende dall’alloggio né
dalla mobilità. Il turismo en plein air è sempre una vacanza all’aria aperta all’insegna di un ideale di libertà ≠ dai ritmi
standardizzati delle strutture ricettive fisse e dalle abitudini urbane della vita quotidiana, ci si vuole avvicinare alla
natura. È connesso ad una forma di associazionismo e ha una storia: nel 1901 in GB nasce l’Association of cycle
campers (punto di riferimento per tutta Europa); in Italia nel 1932 nasce l’Auto campeggio club in Piemonte e nel 2000
l’ACT Italia federazione: coordinamento degli operatori del settore e ricerca di opportunità relazionali.
Questa però è anche una forma di turismo alternativo cioè una dimensione etica che ha a che fare con il luogo che si
visita e con l’identità di chi viaggia; la ricerca di alternative deriva dall’insoddisfazione del cittadino globale che vive
nella condizione postmoderna. È centrale anche la narrazione prodotta dai viaggiatori che vogliono sentirsi diversi
dalla massa e soddisfatti della propria fuga dalla realtà. L’associazionismo è paradossale: è un movimento votato alla
libertà di scelta ma costruisce di fatto un mainstream alimentato dalle pratiche stesse che incide su gusti, aspettative,
mete. In realtà quindi il fenomeno è sempre meno alternativo.
Il turismo in camper fa parte anche del drive tourism (studi sui mezzi di trasporto): bisogna studiare i soggetti
(camperisti) e i luoghi che li ospitano. I camperisti non vogliono itinerari prefissati (li creano loro); apprezzano
spontaneità, flessibilità, mobilità; cercano libertà, connessione con la natura, contatto con gli altri; vogliono far parte
di comunità alternative. Questo genera riflessioni: sono contrari alla standardizzazione ma blog e riviste li influenzano,
non prevale l’improvvisazione, non sono liberi di scegliere cosa fare e dove andare; il camper in sé è un limite (prezzi,
costi di gestione e manutenzione, è ingombrante quindi si scelgono mete raggiungibili e non ci si sposta), quindi gli
itinerari sono omologati. Il contatto con la natura è relativo: il camper inquina, la natura nei campeggi ha subito opere
di urbanizzazione per offrire servizi (anche se hanno < impatto ambientale degli hotel). È favorevole soprattutto per
famiglie numerose (costi) e bambini (giocano all’aria aperta). È favorevole per le opportunità relazionali: vivono all’aria
aperta e negli spazi comuni, entrano a far parte di comunità anche virtuali (blog e social) così sono camperisti tutto
l’anno, sempre connessi (idee, consigli), si riconoscono in un sistema di valori e spesso condividono anche il momento
del viaggio MA le comunità spesso sono guidate da operatori del settore che indirizzano gusti e aspettative. Per quanto
riguarda i luoghi, nella scelta delle mete sono condizionati dalla presenza di aree di sosta e ciò può essere fonte di
sviluppo per le piccole città che attraverso questo possono promuovere lo sviluppo turistico (es collaborazione tra
associazione dei paesi bandiera arancione e la rivista plein air: evento per visitare i borghi più belli di Italia).
Il turismo en plein air è ricondotto allo slow tourism: secondo la Molz ci sono 4 concetti chiave (immobilità, attesa,
rallentamento, ritmo). Pur essendo fondato sul movimento, viaggiano a velocità ridotta, impongono momenti di
attesa, durante i viaggi bisogna avere un atteggiamento rilassato, il viaggio ha ruolo centrale (anche più della meta).
C’è un cambio di prospettiva: l’importante è lasciare la fissa dimora e stare in movimento; bisogna stare immobili e
lasciare che il luogo visitato penetri nell’animo: c’è quindi un cambio di ritmo rispetto alla quotidianità e un contatto
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profondo con le realtà visiate. Ma come lo slow tourism in realtà non è una pratica inclusiva e sostenibile, anche quello
en plein air spesso si riduce a ripetizione di stereotipi.

CAPITOLO 9: LE NUOVE ROTTE DEL TURISMO INTERNAZIONALE .


Dagli anni 80 si sono aperte nuove rotte al turismo internazionale: oltre ad Europa e Nordamerica, anche America
Latina, Africa, Asia, Oceania. Soprattutto area Asia Pacifico e la Cina (partono e arrivano molti turisti; cause: apertura
del governo, disponibilità di denaro, curiosità).
I cinesi si rivolgono in primis verso i paesi asiatici (vicini quindi facilmente raggiungibili e costi bassi, es Hong Kong) poi
verso paesi del sud est asiatico (es Giappone) ma anche verso altre mete (es USA). Dal 2004 anche l’UE è una meta
grazie alla sottoscrizione di un accordo bilaterale con la Cina che permette di ricevere più facilmente i turisti: l’UE è
diventata la 1° area turistica sulla lunga distanza. Per questo deve adeguare le proprie strutture, offerte e strategie
per rendersi attrattiva: ha vantaggi economici ma anche potenziali effetti collaterali -> aumento costo della vita,
trasformazioni del paesaggio, conflitti con i locali. Il boom di flussi turistici dei nuovi ricchi (russi, arabi, cinesi) fa sì che
le piccole attività commerciali locali debbano fare i conti con competitor globali, rischiano di chiudere a favore di brand
conosciuti in tutto il mondo. Quindi c’è volontà di attirare i turisti cinesi (es 2018 anno europeo del turismo cinese;
vertice Europa Cina del 2016) ma c’è preoccupazione per il possibile arrivo di investitori troppo forti economicamente.
Ci sono opportunità economiche ma anche impatti ambientali, socioculturali e territoriali. Tra i paesi europei, sono
attratti dall’Italia grazie a bellezze artistiche e naturali, e anche per la sicurezza geopolitica ma per invogliarli è
necessario organizzare adeguatamente l’offerta turistica.

Il flusso di turisti cinesi in Italia negli ultimi anni è cresciuto (prima erano soprattutto europei e nordamericani): questo
ha differenziato e articolato la realtà del sistema turistico italiano ma ha anche evidenziato i punti deboli. È stato
necessario offrire nuovi servizi ad hoc in funzione delle loro aspettative (prima ci si basava solo sulla dimensione
culturale e la stagione balneare). Negli anni 90 i cinesi compivano viaggi brevi (poco tempo per visitare tanti paesi
europei) e viaggiavano in gruppo; oggi non viaggiano più solo in gruppo, fruiscono del patrimonio materiale e
immateriale, sono giovani quindi usano la tecnologia per informarsi sul nostro paese, hanno un livello culturale più
alto (spesso laureati, non viaggiano solo per divertimento ma anche per lavoro): questo ha causato
destagionalizzazione ma anche delusione in loro. Sono attratti dall’Italia per moda, beni ambientali e culturali,
enogastronomia e non più solo per le città d’arte; vogliono essere protagonisti del viaggio quindi anche le destinazioni
sono cambiate. Bisognerebbe valorizzare anche le aree protette italiane che sicuramente avrebbero successo perché
loro provengono da contesti urbani e la natura per loro ha un valore sacrale.

Un’indagine fatta nel 2016-17 ha proposto questionari a 5 categorie di operatori turistici diverse (loro sono testimoni
di aspettative e pratiche dei turisti cinesi: i tour operator dei servizi di base, i responsabili UNESCO di attività poco
valorizzate improntate al relax). Gli operatori provenivano da realtà di 2 tipi: quelle riconosciute e apprezzate e quelle
no. Lo scopo era avere un’idea più globale delle pratiche; si voleva indagare su 2 aspetti: spazi e ambienti in cui
avvengono le pratiche e i loro effetti; delineare caratteristiche e punto di vista dei turisti cinesi. I risultati hanno
evidenziato punti di forza e di debolezza. Criticità: scarsa sicurezza, congestionamento delle strade, inaffidabilità dei
mezzi di trasporto; social in cui c’è un passaparola negativo che può danneggiare l’immagine turistica dell’Italia. Il
turismo cinese non ha impatti negativi dal punto di vista ambientale ma da quello dell’accoglienza si: gli operatori li
temono perché sono ≠ dai turisti tradizionali, hanno una cultura ≠ -> una maggiore conoscenza eviterebbe le
incomprensioni che causano il deterioramento della stima e della fiducia (chi li conosce è quindi avvantaggiato). Il
turismo cinese è ormai una componente fondamentale in Italia e il suo incremento fa sì che il sistema turistico italiano
si rimetta in gioco per modificare alcuni servizi, migliorare la comunicazione turistica e raggiungere un alto grado di
autenticità (es imparare la lingua, ma non vogliono modificare le proprie abitudini e prodotti es cibo). Nei prossimi
anni quindi si dovrà adeguare l’offerta.
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