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ANTROPOLOGIA 20/04/2023

La cultura appartiene a tutti gli esseri umani per l’antropologo, un codice che ci permette di interagire che
comprende tanti modelli culturali diversi. Le culture sono tante e diverse, senza che una sia migliore di
un’altra. Il concetto di identità è complicato da stabilire sia a livello individuale che nazionale, ognuno di noi
ha tante stratificazioni di identità, un museo non racconta la verità su un determinato tema ma la
rappresentazione che degli studiosi hanno su quel tema (esempio museo di antropologia Firenze con le
popolazioni africane, mostrate come primitive) al giorno d’oggi è sbagliato credere che una cultura sia
superiore all’altra.

Per patrimonio culturale si intende un qualcosa che va oltre al valore universale o capolavoro, un insieme
significativo di testimonianze materiali e immateriali, espressione di una cultura nelle sue diverse
manifestazioni. Il patrimonio viene costantemente ricostruito, reinterpretato e ricontestualizzato e può
esser inteso sotto tante forme non sempre materiali in cui molto spesso culture al di fuori dell’Europa non si
riconoscono, la cultura islamica ad esempio non prevede l’uso di manufatti ma di danze e musiche. Anche il
paesaggio è parte di patrimonio. Il patrimonio è anche polivalente perché i componenti del patrimonio sono
portatori di significato e valori plurimi, interdisciplinare e complesso perché oggetto di studio e risorsa
formativa di molteplici discipline. Indennitario e storico perché connesso alla percezione di sé che hanno le
collettività umane.

ANTROPOLOGIA 28/04/202

La cultura secondo E. Tylor (1871 primo a pubblicare un libro sull’antropologia chiamato cultura primitiva) è
intesa come un insieme complesso che include le conoscenze, e credenze, l’arte, la morale, il diritto e il
costume e qualche altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società.
Definizione ormai per molti superata. La cultura è una facoltà nostra, degli esseri umani e poi ci sono le
culture che appartengono a un determinato gruppo di essere umani, intesi anche come microcolture con
degli schemi comportamentali da seguire. Molti aspetti culturale si imparano per impregnazione. Con il
corso del tempo si impara a confermarsi. Per molti il gioco è un mezzo per imparare i modelli culturali:
distinzioni giocattoli femminili e maschili. La cultura è distinta dalla natura, ma contribuisce a modellarla. È
natura dover mangiare per sopravvivere ed è così in tutto il modo, ma le modalità, i tempi e i cibi sono
diversi; cibi a cui si attribuisce un significato simbolico e spesso anche religioso. Stessa cosa per il bere,
attribuendo significati diversi alle bevande e alle occasioni in cui berle. Anche il dormire è una attività
naturale ma viene eseguita in modo diverso nelle varie culture, la siesta spagnola, il riposino post pranzo in
molte culture non è previsto.

La cultura si basa su dei simboli ai quali spesso si dà dei significati diversi e porta magari a scontri o a
situazioni imbarazzanti, e in quanto tali si apprendono vivendo dentro quella cultura. La cultura nella stra
maggioranza dei casi si apprende non i un contesto istituzionale formale come la scuola, ma in modo
quotidiano partenendo dai primi anni di vita. Le culture si trasformano continuamente anche attraverso la
globalizzazione ovvero un intenso scambio di merci e informazioni tra popoli e culture.

Il metodo dell’antropologia si chiama ricerca sul campo, Malinowski nel 1922 pubblica un libro intitolato
argonauti nel pacifico dove viene presentata una ricerca condotta nei pressi dell’arcipelago Trobrian. Egli fu
tra i primi antropologi a usare questa metodologia con un approccio olistico, stretto contato con gli indigeni
in un periodo prolungato di almeno un anno

ANTROPOLOGIA 04/05/2023

In un mondo globalizzato dove le differenze culturali sembrano sparire, l’antropologo ricerca proprio quello
la diversità culturale. Le interviste sono il mezzo principale attraverso ci un antropologo acquisisce dati. La
ricerca multi situata si svolge in più paesi e nasce con l’avvento del mondo moderno che si fa sempre di più
globalizzato; le persone si muovono e portano con sé cultura e quindi per studiare un determinato
fenomeno al giorno d’oggi non basta più analizzare il suo luogo di origine ma è importante analizzare i suoi
mutamenti che spesso nascono da spostamenti e migrazioni di un gran numero di persone che lasciano il
loro paese natale per andare a vivere in altri contesti immersi in una cultura diversa. L’incontro tra la cultura
di partenza e quella d’arrivo suggerisce punti di studio molto importante per l’antropologo. Per
comprendere tratti culturali diversi dai propri è essenziale immergersi in essi allontanando i pregiudizi, non
bisogna perciò analizzarli guardandoli dall’esterno e avendo soprattutto come base di giudizio il proprio
modello culturale. Spesso capita che individuo parta con il presupposto secondo cui la propria cultura sia
superiore, questo aspetto si chiama etnocentrismo. La convenzione sulla protezione del Patrimonio
Mondiale del 1972 limitava al patrimonio culture a un insieme di beni esclusivamente monumentali e
materiali che esclude a priori tutto ciò che non è tangibile come la musica e il teatro propri di altre culture
che furono in questo modo escluse. Tale convinzione è fortemente etnocentrica perché accredita
importanza culturale solo all’occidente come se le altre parti del mondo non producessero cultura. Nel 2003
la convezione di patrimonio venne allargata anche ai beni non materiali pretendo finalmente in
considerazione anche il resto del mondo. In Italia è largamente diffusa l’idea che la maggior parte del
patrimonio culturale mondiale sia presente all’interno dei confini italiani perché lo si limita a tutto ciò che è
materiale, tale idea è quindi NATURALIZZATA e socialmente accettata da gran parte della popolazione che è
indirizzata a un approccio relativistico e di superiorità con le altre culture.

05/05/2023

Il capitolo tre del libro Harrison: “il patrimonio culturale” parla della storia del concetto di patrimonio, la
quale si divide in tre fasi.

La prima ha origine nel periodo illuministico con la nascita della sfera pubblica e i suoi primi tentativi di
conservare oggetti e luoghi del patrimonio. Tra il XVII e il XIX infatti, quasi come risposta all’avvento
industriale, nasce e si sviluppa una maggiore attenzione alla conservazione dell’ambiente culturale e
naturale. Tale conservazione era affidata alla sfera pubblica, la quale iniziò a sentire il bisogno di preservare
gli oggetti del passato.

La seconda fase va dal XIX secolo fino al XX secolo; fase che vede l’affermazione del controllo statale sul
patrimonio, con una burocratizzazione e professionalizzazione del patrimonio e ciò contribuisce a creare
l’idea del patrimonio come un qualcosa appannaggio solo da esperti e conoscenti della storia. Mettendo
così le basi per l’idea comune secondo cui la cultura sia qualcosa di esclusivamente passato e non presente.
Il bisogno di tutela del patrimonio è esploso negli ultimi tempi che si fanno sempre più frenetici e veloci
anche a causa del capitalismo perché per non sentirsi smarriti in seguito a questo gran numero di
cambiamenti e il patrimonio rappresenta una possibilità per rimanere ancorati al passato in cui potersi
riconoscere, mantenendo così salda la propria identità.

L’ultima fase nasce e si sviluppa al termine della Seconda guerra mondiale con la creazione dell’UNESCO nel
1945, nel 54 il sentimento di vulnerabilità e di pericolo porta alla visione secondo cui distruggere
monumenti e opere simbolo di una nazione equivalga ad uccidere civili. L’UNESCO garantì un’unione di stati
nella salvaguardia del patrimonio culturale che iniziò a essere inteso come mondiale non limitando i beni
non soltanto ai confini nazionali in cui sono conservati, ma rendendoli di interesse nazionale un esempio è
la campagna per la salvaguardia di Abu Simbel un tempio che venne salvato, fu diviso in blocchi e spostato
60 metri più alto e circa cento più a nord per salvarlo da probabile distruzione, essendo vicino ai lavori per
la costruzione della diga di Assuan, costruzione voluta per contenere le inondazioni annue del Nilo.
L’operazione di spostamento del tempio fu finanziata da vari stati, tra cui l’Italia, ma in realtà vi erano dietro
delle ragioni economiche e politiche di profitto. Le loro azioni erano mosse da uno scambio ben preciso:
finanziamenti per pezzi egizi, alcuni di essi oggi conservati al museo di Torino. Spesso in occidente
distinguiamo la natura dalla cultura cose che in oriente non fanno dove spesso natura e cultura convivono.
Vi sono numerosi monti ancora tutt’oggi ritenuti sacri da numerose popolazioni. In occidente l’idea radicata
di patrimonio prevede che esso debba essere una cosa tutelare e al massimo visitare, non si tende a viverlo
perché lo consideriamo lontano da noi ed esclusivamente legato al passato. Il concetto di patrimonio è
mutevole nel tempo.

In alcuni musei candesi sono presenti delle stanze apposite per la fumigazione degli oggetti sacri di
popolazioni indigene che non devono essere analizzati in chiave occidentale e quindi riposti semplicemente
in una vetrina riportandoci una targhetta sotto perché spesso si tratta di oggetti animati e devono essere
tratti come tali

08/05/2023

In Giappone esiste il complesso templare ise grand shrine sun shrine che viene abbattuto e ricostruito. Il
complesso templare però non viene inteso come patrimonio perché si tratta di un complesso architettonico
ma perché nella sua sacralità comprende una serie di tecniche che vengono considerate patrimonio anche
per il modo in cui il tempio viene distrutto e ricostruito.

Rodney Harrison ha analizzato l’Australia nella sua realtà postcoloniale, la quale è uno di quei tanti territori
che si vuole liberare della sua identità coloniale. Il post-colonialismo è l’era in cui noi viviamo adesso, era
che cerca di rifarsi alla propria identità precedente all’arrivo dei colonizzatori. Tale obbiettivo è molto
difficile da realizzare dal momento che bisognerebbe adattare il mondo indigeno al modernissimo XXI
secolo. La rivendicazione delle terre è il primo step che le comunità indigene stanno cercando di attuare
insieme al diritto alla caccia e alla pesca in Canada e in Sudamerica. Anche il diritto di autodefinirsi è uno
degli obbiettivi principali che le comunità indigene locali vogliono raggiungere, spogliarsi dei nomi e delle
definizioni che sono state date loro dall’esterno, dai colonizzatori appunto.

Harrison parla di tarda modernità dove il presente e la quotidianità sono pervasi dalla presenza del passato.
Il patrimonio ha più a che fare con il presente e non con il passato da cui viene preso ciò che deve essere
tutelato in rapporto con il futuro. Il passato viene definito da Herrison come aspetto pervasivo. La crisi
finanziaria globale dei primi anni 2000, insieme alla diffusione del senso di incertezza, ha portato tutti ad
attaccarsi all’accumulabile e al superfluo nel nome del “ricordo” perché in un mondo sempre più frenetico e
veloce come il nostro il senso di nostalgia aumenta costantemente. Nostalgia a cui l’esser umano si
aggrappa per sopravvivere a questo ritmo così incalzato, il quale è dato anche dall’avvento della tecnologia
che ha influenzato il mondo sociale, comportando al suo interno una serie di cambiamenti. Sembra che
ormai tutto possa essere percepito come patrimonio.

Il patrimonio non è un processo passivo di conservazione di cose del passato che rimangono, ma di un
processo attivo di assemblaggio di una serie di oggetti, luoghi e pratiche che scegliamo di rappresentare
come specchio del presente, associato a un particolare insieme di valori che desideriamo portare con noi
nel futuro. Noi infatti scegliamo attivamente cosa conservare, in base a quanto consideriamo significativo
quel bene per noi. Herrison mette in mostra che a partire dagli anni 70 c’è stata l’esplosione dei musei
perché appunto sentiamo il bisogno di attaccarci al patrimonio in risposta a questo mondo frenetico che
produce in noi un grosso senso di incertezza in relazione al futuro per questo rivendichiamo costantemente
il nostro passato. Spesso l’idea di rischio è connessa all’idea di patrimonio in particolar modo nelle pratiche
UNESCO che appunto si mettono alla salvaguardia di tutto c’ò di patrimoniale che si sta estinguendo.
11/05

Patrimonio intangibile

L’UNESCO nasce sul finire della Seconda guerra mondiale nel 45 appunto, significa letteralmente
“l’organizzazione delle nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura, si tratta di un’agenzia
specializzata delle nazioni unite creata con lo scopo di promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni
attraverso l’istruzione, la scienza, la cultura, l’educazione e l’informazione per promuovere il rispetto
universale per la giustizia.” Qualche anno dopo, negli anni 50, nasce la branchia esclusivamente italiana,
UNESCO ITALIA. L’ideale di garantire la pace trae origine proprio dalla volontà di far rinascere il mondo dagli
orrori causati dalla guerra. La conoscenza e lo studio delle culture vengono finalmente riconosciute a livello
universale come mezzi per garantire la pace.

Secondo l’UNESCO il patrimonio culturale immateriale (ICH=INTANGIBLE CULTURAL HERITAGE) è un insieme


di prassi, rappresentazioni, espressioni, know how (saper fare)… questo patrimonio culturale immateriale
trasmesso di in generazione e generazione è costantemente ricreato dalla comunità e dai gruppi in risposta
al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e à loro un senso di identità e di
continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

Anche se si tratta di patrimonio intangibile esso comprende oggetti, i manufatti e spazi culturali, tali
elementi, pur essendo materiali e toccabili, se immersi in un contesto in cui agiscono persone con
determinate competenze, diventano patrimonio intangibile; un esempio sono gli strumenti da
lavoro(oggetti) botteghe (spazi culturali) che rappresentano il raggio d’azione di un artigiano che ha
acquisito nel tempo le abilità di creare dei prodotti culturali.

La convenzione è un documento che compone di una serie di articoli e paragrafi, nel paragrafo uno vengono
specificate le forme in cui si manifesta il patrimonio immateriale come ad esempio:

a) Tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio, che muta
costantemente grazie l’introduzione continua di vocaboli nuovi magari provenienti da altre lingue

b) le arti dello spettacolo (il canto a tenore sardo o anche forme di teatro come l’opera dei pupi siciliani...)

c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali festivi (processioni religiose, il palio di Siena, il calcio storico
fiorentino...)

d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo (la coltivazione della vite a Pantelleria

e) l’artigianato tradizionale (l’arte dei pupi siciliani, l’arte dei lutai a Cremona…)

Il concetto di ICH è recente e di origine orientale. La maggior parte dei paesi occidentali, infatti, si è fino ad
oggi rivolto alla tutela delle persistenze materiali (beni mobili e immobili) di interesse storico e artistico. Tale
concezione è stata ritenuta insufficiente perché non è sempre valida, o per lo meno non è valida ovunque in
quanto soprattutto ad oriente la cultura non è sempre veicolata da mezzi materiali di origine antica da
proteggere a ogni costo.

Nel 72 l’UNESCO promuove delle liste in cui iscrivere numerosi siti, l’Italia è il paese con maggior numero di
siti inscritti nelle liste. L’Italia insieme al resto di molti altri paesi europei come la Francia costituiscono i
nomi maggiormente presenti in queste liste, la cui produzione nasce appunto dagli anni 70 e il fatto che
l’Europa è al centro di queste liste fa capire come la cultura venisse intesa in modo molto etnocentrico.

La convezione del 72 veniva considerata fortemente pericolosa dagli antropologi sotto vari punti di vista. Si
teme infatti la fossilizzazione dovuta alla eccesiva musealizzazione che può provocare spettacolarizzazione e
mercificazione; tali fenomeni sono fortemente connessi al turismo che tende a muoversi nei luoghi che
l’UNESCO promuove come patrimonio, producendo a volte effetti negativi sulle comunità locali.
Un determinato elemento per essere riconosciuto come patrimonio deve superare numerosi processi
burocratici.

12/05

Il calcio storico

Dario Nardini, professore dell’università di Pisa, ha condotto una ricerca sul calcio storico fiorentino, inteso
come patrimonio non tangibile. Il patrimonio in quanto tale non comprende semplicemente ciò che ha
origine dal passato ma un determinato bene o periodo storico deve subire un processo specifico di
selezione e canonizzazione il cui risultato deve essere un prodotto in cui la comunità locale si riconosce
come nel caso del calcio storico a Firenze. Questa tradizione venne introdotta nel 1930 in pieno periodo
fascista come revocazione che si rifaceva alla partita dell’assedio svoltasi nella Firenze repubblicana del
1530; assedio promosso dai medici che riuscirono a rientrare in città e a riprendersi il controllo del governo
provocando grande povertà tra i cittadini, che nonostante fossero stremati a causa di quel assedio decidono
di giocare la partita per dimostrare che il loro spirito fiorentino non era stato compromesso ma che anzi
continua a persistere più forte che mai. Tale evento storico si sposava perfettamente con la retorica razzista
del fascismo che promuoveva la diffusione e la presa di consapevolezza del proprio valore, della propria
forza che deve essere usata per opporsi agli invasori, venne perciò strumentalizzata da Mussolini. Il calcio
storico nel periodo rinascimentale era nato come un evento esclusivamente popolare ma che con i medici
diventa occasione per sfoggiare il loro proprio sfarzo perché vi facevano coincidere le loro feste e i loro
matrimoni.

Esso prevede due squadre composte da 27 calcianti che si sfidano tra loro per vedere chi tra loro riesce a
realizzare il maggior numero di quelli che sarebbero l’equivalente dei goal, il “goal” viene chiamato caccia.
Le associazioni di colore sono quelle che gestiscono le 4 squadre rappresentative di contrade e quartieri; la
Firenze medievale, infatti, era diviso in 4 quartieri ognuna delle quali conteneva le chiese di riferimento che
danno i nomi al quartiere. A partire dagli anni 50 nasce appunto un torneo tra queste 4 squadre, ognuna
delle quali ha un colore e una divisa ben precisa, l’unica squadra che si allena veramente nel quartiere
d’origine con sportivi nati lì è Santo Spirito. Negli anni 2000 inizia a essere oggetto d’interesse anche da
paesi esteri, ciò che cattura l’attenzione esterna è l’estrema violenza dello sport che non prevede chissà
quante regole per contenere la brutalità che viene costantemente giudicata dal giornalismo che vive grazie
allo scalpore, l’intento dell’antropologia non è questo, non è quello di dare un giudizio ma di analizzare la
cultura che riguarda il contesto del calcio storico, il quale non è semplicemente u torneo fino a se stesso
perché se appunto venisse estrapolato dal suo contesto, se smettesse di svolgersi nel centro storico della
città dove viene supportato dallo spirito cittadino, ma se invece si svolgesse in un palazzetto perderebbe di
valore. Gli antropologi non possono giudicare il gesto in sé perché esso è estremamente connesso al
contesto, un pugno che si dà sul ring e un pugno che invece viene dato a qualcuno in contesto non sportivo
ma ad esempio in un contesto accademico non possono essere giudicati allo stesso modo. La violenza del
calcio storico ha un’importanza ben precisa perché il corteo che si rifà all’esercito della repubblica fiorentina
del 500, accompagnato dall’orchestra cittadina, mette in mostra il carattere e l’identità del popolo fiorentino
che con la sua fierezza nel 500 è riuscita a riprendersi e a dimostrare il loro valore nei confronti
dell’invasore, i calcianti quindi riattualizzano i caratteri di quella identità lì per rimarcare che i fiorenti sono
ancora così, dotati ancora di quella forza e di quel grande spirito cittadino di una Firenze, che pur
dividendosi in 4 quattro contrade in realtà è come se si riavvicinasse più che mai grazie a quello spirito
tipicamente connesso alle classi lavoratrici che si mettono in gioco principalmente in quelle attività
lavorative estremamente fisiche anche per rimarcare la propria mascolinità che assume una grande
importanza negli scambi relazionali del calcio storico, i cui calcianti sono estremamente forti, grossi e
mascolini che nell’immaginario comune assumano anche le sembianze di eroi locali.
Non a caso lo spirito cittadino si riaccende nei giorni del calcio storico, il motivo principale è che al giorno
d’oggi gran parte dei fiorentini non abita più nelle case e nelle vie del centro, il quale venendo riconosciuto
nel 1982 come patrimonio Unesco nella sua totalità, ha provocato l’arrivo di un gran numero di turisti che
fanno sentire quasi espropriati gli abitanti locali che oramai vivono nei quartieri più periferici per una serie
dei motivi: il costo troppo elevato degli affitti degli edifici in centro, poche possibilità di muoversi a causa del
forte flusso turistico; il calcio storico è come se desse quindi ai Fiorentini la possibiltà di riappropriarsi di
quel senso di appartenenza alla propria città che per la maggior parte dell’anno sembra mancare o per lo
meno diventare marginale. I fiorenti rivendicano la propria storia e il proprio passato grazie al calcio storico
che è un mezzo per rimarcare la propria identità in opposizione a quel turismo di opere d’arte che sembra
svendere Firenze. In poche parole, i fiorentini vogliono sentirsi nuovamente padroni della propria città e non
degli estranei e il calcio storico rappresenta un mezzo per immergersi in quelle fierezza e forza che ha da
sempre contraddistinto Firenze.

Il calcio storico può anche essere preso in oggetto per capire come il concetto di patrimonio sia, al contrario
di come credono tutti, fortemente attuale e non passato, perché esso si evolve e cambia costantemente.
Negli anni del fascismo esso venne strumentalizzato come propaganda politica che promuoveva l’idea di
uomo italiano grande e forte che si oppone agli invasori; invece, dopo la liberazione d’Italia, dopo appunto
gli anni 40, il significato attribuito al calcio storico cambia e viene inteso come espressione dell’identità
fiorentina. Tale significato oggi è più attuale che mai perché appunto a causa del turismo la comunità locale
è entrata in crisi e sente quindi il bisogno di mostrare sé stessa.

15/05

Le parole chiave della convenzione del 2003

-SALVAGUARDIA non intesa come protezione materiale, perché nel caso del patrimonio non tangibile non
è possibile, ma intesa come atto sociale di creazione e rielaborazione che ne permette la produzione e la
pratica.

-RIFIUTO DEL CONCETTO DI AUTENTICITA’ Il concetto di autenticità è sempre stato un ostacolo in passato
per le candidature di siti non occidentali, il quali spesso non hanno a che fare con patrimoni materiali da
sempre custoditi. Nel rifiuto di tale concetto c’è un approccio meno culturalista.

-RIFIUTO DELL’IDEA DELL’ECCELLENZA Anche il criterio d’eccellenza non viene più preso in considerazione
perché viene meno anche il concetto di valore universale eccezionale; ma rispetto a cosa? Cosa rende
capolavoro un bene rispetto ad un altro?

-ISTITUZIONE DI UNA LISTA le liste rappresentative elimina l’idea dell’eccellenza alla base dei “Capolavori
del Patrimonio orale e immateriale dell’umanità, tuttavia l’esistenza di una lista, seppure rappresentativa,
implica processi di selezione e di esclusione che potrebbe portare alla nascita di rivalità tra le varie culture

-ENFASI SULLA COMUNITA’  nel 2003 il riconoscimento dell’importanza del patrimonio, specialmente non
tangibile, smette di essere attributo all’esperto o allo studioso per essere affidato invece alla comunità
locale che deve riconoscersi in quella determinata forma di patrimonio. Il termine comunità in realtà è
molto ambiguo, perché le comunità non sono sempre omogenee con al suo interno componenti tutti uguali.
Nella realtà le comunità come quelle UNESCO non esistono perché spesso esistono fazioni al loro interno,
spesso gli antropologi parlano di comunità di carta che esistono appunto solo dal punto di vista teorico

-PROPRIETA’ INTELLETTUALE  per il patrimonio intangibile stabilire la proprietà è molto difficile, non si
può stabilire un autore come nel caso di un’opera materiale, non si può riconoscere infatti l’individualità di
una festa o di una forma culturale non materiale.
18/05/2023

MUSEI

I musei sono luoghi del patrimonio. I musei d’antropologia sono legati ad oggetti provenienti da mondi
lontani. Il museo di antropologia a Firenze è stato fondato nel 1869 dove vi è un allestimento tipologico
caratterizzato dal mettere vicini oggetti simili tra loro. A Vancouver in Canada vi è l’University of British
Columbia che ha a sua disposizione un proprio museo: the museum of anthropology che inoltre un teaching
musuem ovvero un museo didattico, dove viene insegnato agli studenti i processi di categorizzazione ad
esempio; una maschera indigena è un manufatto etnografico o un’opera d’arte? La categorizzazione è data
dal punto di vista con cui si guarda quel determinato oggetto. La differenziazione tra i vari musei:
antropologia, d’arte, di scienza e di tecnologia è fortemente etnocentrica essa esiste ed è legittimata in
Europa, ma se viene spostata in un altro contesto viene messo. Gli indigeni, ad esempio, si sono ribellati
all’idea di vedere i propri oggetti esposti in un museo antropologico piuttosto che in un museo d’arte. Boas
afferma che senza contesto un oggetto non ha senso di essere esposto.

19/05/2023

Il mercato di San Lorenzo e il lavoro dei barrocciai

Roberto Menichetti, autore del libro “storie di barocciai”, descrive in modo quasi autobiografico il lavoro dei
barrocciai, ovvero coloro i quali trasportano le merci al mercato di san Lorenzo a Firenze. Il barroccio è un
grosso parallelepipedo, sormontato da tende, dotato di due ruote per permettere lo spostamento; coloro
che li spostano sono proprio i barrocciai, i quali lavarono soltanto in due momenti della giornata la mattina
presto e la sera tardi. Roberto Menichetti, quando era ancora uno studente, ha lavorato come barrocciaio e
nel suo libro descrive il metodo e la forza che usava per tale lavoro, descrive quindi le tecniche del corpo di
cui usufruiva. Uno dei tanti oggetti di studio per gli antropologi è la tecnica del corpo, dal momento che tutti
i lavori del mondo la prevedono, anche i meno fisici, prevedono infatti delle modalità di uso di un
determinato strumento o abilità corporea. È interesse antropologico anche lo spazio intorno a quale si
muove il mercato, il quale assume aspetti diversi durante momenti diversi della giornata, è interessante
vedere come prende vita il mercato insieme alla comunità che la compone; una comunità vivace e solidale
con i suoi componenti. È interessante scoprire quindi una parte di Firenze che spesso non viene mostrata. La
Firenze che la stramaggioranza di noi conosce è quella della “culla del rinascimento”, quella svenduta ai
turisti, una Firenze che agli occhi di tutti sembra bloccata nella sua arte e nei suoi monumenti, ma non è
solo questa. Firenze è anche una città viva, che si muove, piena di gente, composta da persone diverse e il
mercato di san Lorenzo ne è un testimone, testimone all’interno di quel centro storico, riconosciuto poi
come patrimonio UNESCO.

Menichetti descrive come lui è entrato nel mondo dei barrocciai che inizialmente, in quanto giovane
universitario, non era stato accolto a braccia aperte, gli avevano anche dato un soprannome poco
amichevole “bobo” “stupido” ma, con l’avanzare del tempo, è diventato parte integrante di quella comunità
che si allarga sempre più accogliendo gente diversa, come persone che vengono dall’altra parte del mondo
come migranti. Una comunità molto eterogenea piena di contrasti e problemi interni spesso psicologici che
per lo più caratterizzano quelle persone che ad esempio non avevano permessi di soggiorno e quindi
affrontavano molte problematiche per poter lavorare al mercato, oppure ancora persone con problemi di
droga... persone che lui stesso ha conosciuto e di cui ha descritto le storie di vita attraverso personaggi fittizi
come la signora Maura che viene descritta come una donna instabile da cui la gente stava lontano
soprattutto durante i giorni di pioggia, durante i quali diventava più irascibile del solito, oppure ancora Carin,
un uomo egiziano e musulmano che nonostante tutte le difficoltà legate all’essere straniero senza permesso
di soggiorno, riesce a integrarsi nella realtà del mercato. Il permesso gli viene poi riconosciuto quando
prestò aiuto, attraverso le sue conoscenze linguistiche alla polizia che cercava il colpevole dell’omicidio di un
uomo nordafricano, probabilmente ucciso a causa di problemi connessi alla droga, anche quelli molto
attuali e presenti nella comunità del mercato.

La collana, a cui appartiene il libro di Menichetti, è incentrata sull’antropologia, la quale però non viene
descritta nella solita ottica scientifica/divulgativa ma è calata nella realtà odierna e quotidiana strettamente
connessa al patrimonio culturale.

LEZIONE 22/05

ARGOMENTO: BESTEMMIE

Il saggio “non c’è bestemmia” scritto da Paolo de simonis e Giovanni Pieri, presentato da Isabella Gagliardi
(storica del cristianesimo) e Letizia Bezzosi(filologa). Il saggio mostra numeroso casus belli di punizioni per
delle espressioni che risultano blasfeme.

Dietro la lettura della bestemmia c’è un particolare forma di potere che passa in un’itera tessitura di
rapporti sociali e politici. Ci sono dei momenti in cui teologici usavano dei termini che oggi verrebbero
considerati blasfemi. La bestemmia non è rivolta verso la divinità in questione ma può urtare la sensibilità
dei credenti. Le bestemmie sono sempre state presenti anche nelle religioni più antiche, un esempio è la
religione egizia che comprendeva bestemmie molto pesanti. La toscana è una terra fortemente anticlericale
sin da tempi più antichi nonostante fosse piena di monasteri e conventi.

La bestemmia è una espressione averbiale: manca il verbo, abbiamo un aggettivo seguito dal nome del
soggetto. La bestemmia toscana è caratterizzata dall’inventività la quale comporta un vasto catalogo di
appellativi. In alcuni ambiti la divinità viene mascherata per attenuare l’impiatto che suscita agli ascoltatori,
un esempio è “zio” o addirittura “io”.

Perché si bestemmia? Perché è una espressione fortemente emotiva che racchiudono in poche parole una
grande intensità di significato. La funzione dominante di una bestemmia è spesso legata alla chiusura di un
discorso. Le bestemmie che ricorrono alla fine di un discorso non presuppongono un commento da parte
dell’interlocutore. La bestemmia può anche avere la funzione di rimarcare un concetto, può avere anche la
funzione di ricamare l’attenzione dell’interlocutore; tali funzioni fanno capire che non sono espressioni che
hanno intenzione di offendere una divinità. Ciò che rende spesso sgradevole l’ascolto della bestemmia non
è il concetto di “offensivo”, perché la maggior parte della gente che la vuole condannare la considera
volgare, non offensiva.

25/5

AMIR: è un progetto che nasce nel 2018 per poter dare voce alle persone migranti in modo tale anche da
istruirli nella condivisione del patrimonio e della cultura

Nie primi anni del 2000 il tema chiave delle istituzioni culturali era quello dello sviluppo dei pubblici che si
basava sull’idea che esistesse un oggetto neutro e questo andasse trasmesso ad un pubblico altrettanto
neutro senza intervenire nella costruzione e nella partecipazione. Amir invece cerca di formare attori
creativi per la partecipazione attiva con il patrimonio culturale per la sua trasmissione specialmente nel caso
museale

Ci sono 2 corsi di formazione che fanno leva sull’analisi dell’opera diretta e sulla sua osservazione con
l’obiettivo di proporre visite nei musei con i mediatori e l mediatrici con l’aggiunta poi di contenuti legati alle
loro esperienze e competenze

Amir significa il giovane principe ed è una parola araba, A come accoglienza, M di musei, I inclusione, R per
relazione
per ogni visita c’è un tema e vien raccontata l’opera con l’aggiunta del contesto culturale personale dei
diversi mediatori

utilizzare il patrimonio per parlare di questioni contemporanee, operazione all’inizio non immediata nel
2018

il progetto non lavora solo con musei ma anche con altri progetti e altri luoghi di cultura come l’orto
botanico o la fototeca

l’arte contemporanea riflette anche sulla classificazione che noi tendiamo a naturalizzare e a pensare che
vada bene per tutto e tutti sempre.

26/5

Domanda esame: Illustrare il senso delle rievocazioni storiche partendo da casi concreti tra quelli affrontati
dagli ospiti

la dissoluzione del museo etnologico vito lattanzi: perché si dissolve nel 21 secolo, in che senso, perché si
parla del fatto che questi musei non servono più a niente per come sono stati proposti nel 1800, che senso
hanno nel nostro secolo?

Illustrare il metodo di ricerca dell’antropologia culturale e illustrare il concetto di cultura secondo


l’antropologia

Caratteristiche del patrimonio culturale secondo la tesi numero 1

DIALOGO E SOSTENIBILITÀ DEL PATRIMONIO:

è il capitolo 9 di harrison che si può considerare la pars costruens del libro ed harrison propone il proprio
modello di patrimonio che è dialogico e ha lo scopo di essere anche più inclusivo e non solo eurocentrico

se davvero si vuol parlare di universalità del patrimonio, la sfida è quella di includere al suo interno anche i
tanti e diversi modi di concettualizzare tale patrimonio

il punto di vista occidentale è solo uno dei tanti punti di vista e non comprende le diverse visioni del mondo
e concettualizzano il patrimonio in maniera diversa e che harrison chiama prospettivismo ontologico
indigeno che è il modo di intendere l’essere e il mondo da parte dei popoli non occidentali

nei capitoli precedenti harrison ha decostruito il concetto di patrimonio e in questo propone il proprio, un
patrimonio che scaturisce dalla relazione fra una gamma di attori umani e non umani, propone di
connettere il patrimonio a temi più ampi, ambientali, sociali, politici

PATRIMONIO come ESPERIENZA DELLA MODERNITÀ

Parla nel libro della sua esperienza tra il 1996 e il 2006 quando è stato in contatto con i popoli indigeni
australiani nel curare il loro patrimonio culturale e dice che di volta in volta il tema di interconnessione tra
natura e cultura si presentava in quanto inseparabile

Relazione per harrison è la parola chiave, il prospettivismo ontologico indigeno indica un modo alternativo
di pensare la relazione tra natura e cultura portando così a spostare il focus del patrimonio verso la
relazione attiva tra umani e non umani, motivo per cui si parla di ontologia della connettività. Quindi con
modello dialogico di patrimonio si intende una produzione di patrimonio che emerga dalla relazione fra
persone, cose e il loro ambiente come parte di un dialogo per tenere il passato vivo nel presente
Questa concezione destruttura le filosofie occidentali e in un certo senso la creazione del patrimonio finisce
per essere interattiva, deriva dall’incontro di diversi attori sociali umani e non e questo esclude anche il fatto
che il patrimonio sia solo appannaggio di esperti e creazione intellettuale

Dobbiamo avere un approccio critico verso il patrimonio per osservare se ciò che stiamo creando debba
essere conservato o meno per il futuro, pensare alla sostenibilità di ciò che stiamo facendo e delle politiche
messe in atto

Harrison lega il patrimonio dialogico al museo e al peso etico degli oggetti, applicare il prospettivismo porta
a considerare gli oggetti come oggetti-persone

Museo degli innocenti: ci sono teche con gli oggetti dei bambini che venivano lasciati ai bambini
abbandonati all’ospedale e c’è la storia degli oggetti e del bambino al quale appartenevano e questo è un
esempio positivo di pratica curatoriale tra oggetto e persona

Democrazia dialogica: secondo harrison un modello dialogico di patrimonio spinge anche a considerare
modelli decisioni più dialogici e fa l’esempio dei forum ibridi che possono includere non solo esperti
burocrati ma anche non esperti, cittadini comuni e politici, persone che vivono e stanno a stretto contatto
con il patrimonio

Possibili domande sul capitolo: esponi il concetto di patrimonio dialogico e da cosa deriva?

Il prospettivismo ontologico è lo stesso che si rispecchia in quella ciotola indigena esposta alla national
gallery del canada che viene considerata sacra e coperta alla sera perché deve dormire

Anche nel mondo occidentale non tutto è semplicemente un oggetto, non tutto ha lo stesso valore, a volte il
portafoglio si trasforma in una sorta di archivio, alcuni oggetti assumono un significato aggiuntivo rispetto a
quello oggettivo

James luna era un’artista indigeno della california venuto a ritirare un premio a firenze nei primi anni 2000,
una delle sue performance più famose era l’artifact piece che lo vedeva seminudo esposto in una vetrina e il
suo significato era quello di mettersi in mostra come un oggetto perché era come per secoli noi occidentali
avevamo visto il suo popolo vedendolo come oggetto da mettere in vetrina e guardare e possedere con
bramosia. A firenze ha visto il museo di antropologia e quando è stato premiato ha fatto una performance
chiedendo tutti i resti umani presenti nel museo

01/06/2023

I musei visti da un antropologo

Verso la dissoluzione del museo etnologico, perché avviene? Perché è un impianto narrativo fondato
nell’epoca coloniale per cui noi raccontiamo gli altri, questo impianto nel mondo contemporaneo non ha più
senso. Cannibal tours and glass boxes. The antropology of museums è stato pubblicato da M. Ames nel 1992
in cui si parla del concetto di rappresentazione. “I musei sono rappresentazioni della società nelle quali essi
si collocano. Sono luoghi nei quali si deposita la cultura, strumenti per la ricontestualizzatine e punti di
partenza per la creazione e promozione di patrimonio culturale.” Qualunque rappresentazione è formata da
pregiudizi e preconcetti. “Studiando i musei nei loro contesti sociali e storici possiamo studiare il farsi di una
cultura nella sua concreta realtà”. Di questi musei etnografici occidentali come quello che c’è qui a Firenze si
può salvare il fatto che si tratti di una testimonianza di quella che era la nostra visione che l’occidente aveva
all’epoca delle altre culture. In Europa gran parte di questi musei si sono rimessi in discussione. Micheal
Ames considera i musei come manufatti della società, finestra e specchio per vedere cosa si può imparare
dei musei e dell’antropologia. Nel museo c’è la messa in forma di un modello teorico che è nella mente del
rappresentatore non del rappresentato. Ames individua 4 modalità espositive utilizzate in genere dagli
occidentali:

Stanza delle meraviglie accumulo di oggetti provenienti da lontano che suscitavano meraviglia e stupore
ai visitatori che erano privati, in genere queste stanze venivano allestite nelle residenze dei grandi principi
che mostravano ad altri aristocratici ciò che erano riusciti a possedere, come testimonianza della loro
ricchezza e potere che li ha portati a viaggiare in terre lontane, un esempio sono i medici dato che alcuni dei
loro oggetti di collezione sono ora conservati al museo antropologico di Firenze. l’antropologia non esisteva
ancora però siamo davanti a uno dei primissimi esempi della storia preottocentesca in cui l’occidente
racconta e rappresenta altre culture.

l’approccio storico naturalistico per cui appunto gli oggetti di una determinata cultura vengono associati
alla flora e alla fauna di quel territorio

L’approccio contestualistasignifica ricostruire un cotesto ad esempio attraverso il diorama, una specie di


ricostruzione scenica come se ci fosse un set in cui inserire i manichini che nell’insieme danno vita all’uso di
una determinata oggettistica

L’approccio estetico-formalistaesposizione di oggetti che vengono contemplati nella loro bellezza


artistica, con il trionfo della forma. Essa per la sua funzione quasi estetizzante sembra ricordare la stanza
delle meraviglie per suscitare stupore.

I musei per Lattansi non possono più avere l’ambizione o la presunzione di spiegare le altre culture ma devo
cercare il dialogo interculturale e l’incontro tra il rappresentante e il rappresentato, un forum aperto alla
didattica delle differenze.

29/5

RIEVOCAZIONI STORICHE( francesca uccella )

1 fase: affidati elenchi di rievocazioni già censite, in toscana erano già 208 e poi sono diventate 282. In
toscana poi è presente un presidente per l’associazione regionale che fa riferimento alle diverse regioni che
a loro volta hanno un presidente che fa riferimento ai diversi enti che si occupano delle diverse rievocazioni

2 fase: compilare una mappatura iniziale tramite delle schede con le quali sono stati raccolti i dati, dove ci
sono quesiti a cui rispondere per introdurre le informazioni riguardo le rievocazioni, è stata usata una
scheda sperimentale( scheda eve: evento )

3 fase: a partire dal gruppo di schede si dovevano scegliere 3 rievocazioni sulle quali fare altre schede già
utilizzate per il patrimonio immateriale in lombardia

Criteri per la scelta delle rievocazioni:

- Rappresentatività territoriale

- Riproposte da almeno 5 anni

- Rievocazioni ispirate ad un evento storico reale o percepito come tale dalla comunità

- Eventi a carattere religioso con una componente rievocativa importante

I campi della scheda eve:

- Identificazione e definizione

- Denominazione
- Dati cronologici

- Dati descrittivi

- Elenco degli elementi strutturali

- Soggetti coinvolti: associazioni o singoli

- Notizie raccolte sul luogo

- Notizie storico critiche: anche la storia del gruppo che organizza la rievocazione

- Localizzazione e georeferenziazione

- Certificazione e gestione dati

- foto

Elementi messi in evidenza:

- Epoca di riferimento e rimando esplicito ai documenti

- Anno di inizio delle rievocazioni

- Personaggio di riferimento

- Riferimento religioso

- Presenza del corteo storico

- Attenzione agli oggetti: abiti e armi principalmente e strumenti musicali a fiato e percussione

- Attenzione alla corrispondenza storica

- Presenza degli animali

- Rilevanza dell’aspetto gastronomico

Rievocazioni toscane:

- Battaglia di scannagallo, foiano e marciano della chiana: battaglia tra fiorentini appoggiati dagli
spagnoli e senesi appoggiati dai francesi per il dominio sulla toscana, avviene alla fine di luglio e comincia
con l’arrivo di tutti i rievocatori da altre parti d’italia perché il gruppo in se è costituito solo da 50 persone

- Calcio storico fiorentino

- Carnevale medievale di san casciano

- Carnevale storico di bibbiena

- Corteggio di montemurlo dove il banchetto è molto importante

- Dante ghibellino, san godenzo(FI)

- Donazione del monte della verna a san francesco, chiusi della verna

- Fiera delle messi, san gimignano

- Festa della libertà, lucca


- Giorni di san paolino, lucca

- Festa della pulenda, vernio

- Festa di san michele, carmignano

- giostra dei rioni di olmo, arezzo

- giostra del saracino di sarteano

- giostra del saracino, arezzo

- giostra dell’archidado, cortona

- gran ballo risorgimentale, livorno

- ludus balistris, volterra

- palio del diotto, scarperia e san piero: il palio è un drappo dipinto che viene dato al vincitore, diotto
significa giorno 8 perché è fatto l’8 settembre

- palio delle contrade di piancastagnaio

- palio di castel del piano: gara equestre in piazza progettata sul modello di piazza del campo di siena,
ci sono 4 contrade che organizzano anche cene propiziatorie

- palio di sant’agabito, marciana

- palio storico delle contrade di pomarance

- pistoia medioevo e rinascimento: laboratori, mercati, animali

- processione delle paniere, santa maria a monte: offerte a san michele, il patrono

- quintana cybea, massa

- un tuffo nella storia, scarperia e san piero

- volterra AD 1398

perché si fanno le rievocazioni:

- Valenza sociale e comunitaria

- Aspetto didattico delle rievocazioni

- Scambi e contatti

- Importanza della rete

Campi delle schede ICH: lavoro sul campo

- Categoria

- Denominazione

- Sezione area geografica

- Descrizione del percorso


- Sezione ricorrenza

- Sezione descrizione

- Notizie storco critiche

- Beni materiali collegati/ elementi immateriali collegati

- Persone incontrate

- Comunità

- Apprendimento e trasmissione

- Minacce e rischi

- Misure di valorizzazione e salvaguardia

- Sezione per sapere di più

- Link

- Bibliografia

- Note metodologiche

- Biografia di alcune persone incontrate

- Schede bibliografiche

La toscana è la prima ad essersi accorta dell’espetto economico, sociale e politico delle rievocazioni, in
umbria e toscana ci sono anche dei veri e propri assessori che si occupano della gestione e del
mantenimento delle rievocazioni stesse

Sembra che in italia ci siano circa 1200 rievocazioni, quindi è un fenomeno culturale al quale prestare
attenzione, il ministero e prima ancora alcuni studiosi storici e antropologi hanno cominciato a chiedersi il
perché di un numero così elevato. Si può ricollegare all’abbondanza patrimoniale di harrison? il ministero
della cultura ha cominciato a pensare di dover censire e descrivere questi fenomeni e il lavoro del ministero
si sta traducendo in un convegno e in un sito web dove l’italia sarà piena di puntini che saranno le
geolocalizzazioni delle varie rievocazioni censite. Il lavoro al ministero è partito da quella parte che si occupa
del patrimonio intangibile e immateriale( ICPI )

Domanda d’esame:

perché secondo fabio dei proliferano rievocazioni in toscana e in tutta italia

Quali sono quali i criteri per la scelta delle rievocazioni


05/06/2023

IL MUSEO COLLABORATIVO

Il museo collaborativo è per Vito Lattansi una dei possibili esiti dell’eventuali dissoluzioni dei musei
etnografici. Il museo di antropologia di Firenze nonostante nasconda numerose potenzialità per il gran
numero di oggetti e manufatti al suo interno non riesce a rendere giustizia alle popolazioni rappresentate
perché conserva ancora un impianto fuori dal tempo, con un concetto di primitivo fortemente supportato
alimentando stereotipi.

La tesi n 7 fa riferimento a:

Il diritto alla cultura come un fattore strategico di cittadinanza e di integrazione sociale

L’acquisizione della natura processuale del patrimonio e il riconoscimento delle culture quali organismi
non statici e chiusi.

Il ruolo e la responsabilità da parte delle istituzioni culturali, di quelle scolastiche e delle agenzie
formative quali agenti di cambiamento e di inclusine sociale, che devono porre in relazione la loro missione
con le esigenze e le attese della comunità.

Il ruolo e la responsabilità, in particolare da parte del museo, rispetto alla rappresentazione,
all’interpretazione e alla trasmissione delle culture “altre”.

L’approccio collaborativo inizia a diffondersi a partire dagli novanta specialmente nei paesi dal grande
passato coloniale: Australia, nuova Zelanda, America del nord perché sono i primi a ribellarsi alla narrazione
che gli occidentali vendevano di loro. Le comunità indigene iniziano a ribellarsi e richiedono il diritto di
avere voce in capitolo. L’approccio collaborativo prevede l’incontro e la collaborazione tra gli esperti
occidentali e gli esperti indigeni diventando entrambi co-curatori, cosa che non succedeva fino a pochi anni
fa dal momento che lo sguardo e la voce delle comunità locali erano completamente esclusi.

Le esposizioni collaborative richiedono molto tempo perché esse non sono gestite da un unico curatore a
capo di tutto, ma da più persone che spesso devono negoziare in modo tale da arrivare a qualcosa di
condiviso da entrambe le parti. C’è su molta enfasi sul processo che non sulla esposizione finale, non è
tanto importante la disposizione degli oggetti ma l’insieme interrelato di attività che ha luogo prima,
durante e dopo che l’esposizione ha chiuso.

L’esposizione community-based si basa sulla comunità che oltre che a essere rappresentata è rappresentate
al 100% dove il curatore magari occidentale attua completamente il volere della comunità, il rischio di tale
esposizione sta nel fatto che probabilmente con un’ottica chiusa solo alla comunità rappresentata all’occhio
esterno la sua compressione risulti fortemente difficile.

L’esposizione multivocal prevede invece l’uso di più sguardi e più interpretazioni quella del curatore
occidentale e quello dei curatori/collaboratori della comunità soggetto della mostra.

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