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La città mediterranea e il turismo di massa,

tra loisir e nuove paure


Flussi di persone attraversano oggi i centri urbani e occupano interi quartieri di
moltissime città del Mediterraneo per turismo culturale e di divertimento. La vocazione
turistica diviene strategica specie come risorsa economica all’indomani dei processi di
dismissione industriale, di modo che la riconversione di numerosi comparti urbani a fini
turistici è stata una pratica ricorrente da Barcellona a Istanbul, passando per Genova,
Marsiglia e decine di centri urbani lungo le coste. Dalla singola casa per vacanze
passando per la cultura dei villaggi turistici “all inclusive” fino a una colonizzazione
metropolitana delle linee di costa, possiamo leggere il XX e XXI secolo come una
trasformazione radicale del paesaggio mediterraneo a fini turistici. Alcune delle
alterazioni più evidenti dettate dal turismo di massa sono i fenomeni di espulsione
sociale (gentrifugation) delle zone centrali che, insieme alla creazione di interi quartieri
di appartamenti in affitto (airb&b), stanno producendo vere e proprie comunità
turistiche protette in cui loisir, commercio e accoglienza ridefiniscono i caratteri urbani
e della costa.
A questi temi si è aggiunto recentemente quello della sicurezza che sta diventando un
vero elemento di trasformazione e progettazione del territorio anche delle città del
Mediterraneo. Le gated communities coincidenti con molti villaggi turistici soprattutto
lungo le coste africane, o i processi di messa in sicurezza a seguito degli attentati
terroristici dei centri urbani frequentati soprattutto dai turisti, attraverso barriere per i
mezzi su ruote o telecamere, sono oggi alcuni dei risvolti drammaticamente più
evidenti.
Secondo un’ottica interdisciplinare, la sessione ha raccolto contributi che hanno
indagato progetti, piani e politiche formulati per generare fenomeni di trasformazione
urbana a fini turistici nelle contemporanee città del mediterraneo lungo tutto l’arco del
Novecento, fino ai nostri giorni. Dalle singole architetture, passando per le lottizzazioni
e i villaggi turistici fino alle rigenerazioni urbane, i paper hanno attraversato tutto il
Mediterraneo: la Grecia, il Portogallo, Nizza, Beirut, Barcellona, fino ai luoghi
campani, come la costiera sorrentina, Salerno, il Litorale Domitio.
Federico Ferrari ha posto l’accento sulla complessità dei concetti di autentico e naturale,
mettendo in evidenza come il paesaggio naturale sia dopotutto un luogo mitico
ricostruito mediante una serie di dispositivi visivi. La relazione di Barbara Bertoli ha
dato l’opportunità di osservare, anche mediante preziose immagini d’archivio, la
trasformazione della linea di costa della penisola sorrentina, dalle cave degli anni Venti
del XX secolo, fino ad oggi, passando per il boom turistico del dopoguerra. Il caso di
Beirut presentato da Luisa Bravo ha invece posto al centro la complessità delle
rigenerazioni dei quartieri centrali da parte delle multinazionali private, nonché i
processi di riappropriazione degli spazi urbani da parte degli abitanti, in questo caso
arabi. Claudio Milan ha centrato il suo intervento, invece, sul tema della “turismofobia”
a Barcellona, vale a dire sulle opposizioni, da parte sia dell’amministrazione che degli
stessi abitanti, nei confronti del turismo.
Un filo rosso che ha legato i vari interventi è sicuramente il tema dell’identità urbana
contrapposto alle pratiche di disneyfication o di globalizzazione economica e in genere
delle problematiche connesse con il mercato immobiliare: la città come “luna-park” (da

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cui prende spunto anche l’intervento di Antonio Mastrogiacomo su Salerno) diventa
sempre più attrattiva nelle dinamiche del turismo internazionale. La città si riduce ad un
brand, diviene cartolina e tutto quello che non crea appeal o è rimosso o è edulcorato,
fino ad arrivare al paradosso dei giri turistici nelle favelas o nei “bassi” napoletani.
Le relazioni hanno inoltre offerto interessanti spunti di riflessioni e approfondimenti su
alcune delle capitali mondiali oggi colpite dagli attacchi terroristici. L’intervento su
Nizza di Giovanni Gugg ha messo in evidenza come il binomio turismo/terrorismo sia
strettamente interrelato, di modo che i turisti, come fruitori delle zone centrali, diventino
spesso gli obiettivi degli attentati, come nel caso della Promenade della città francese. Il
paper di Emiliano Bugatti e Luca Orlandi su Istanbul si è concentrato sui cambiamenti
della composizione dei flussi turistici in seguito ai vari eventi terroristici di cui ha
fornito un’interessante mappatura cronologica. Complessivamente la città è risultata un
luogo oggi più che mai conflittuale, dove forse proprio la radicalizzazione delle identità
locali, insita nelle modalità post-moderne di interpretazione e progettazione degli spazi
urbani, anche in vista di un loro sfruttamento turistico, comporta l’aumentare degli
attentati terroristici, localizzati non a caso in zone altamente simboliche.
Ci auguriamo che i diversi punti di vista dei vari relatori, che appartengono ad ambiti
disciplinari diversi, dalle discipline architettoniche, e non solo storiche, alla sociologia,
all’antropologia, fino ai settori letterari, ci aiutino a restituire al fenomeno la sua
intrinseca complessità, anche all’interno di una pubblicazione specifica sul tema, che
possa rappresentare un ulteriore momento di approfondimento.
Chiara Ingrosso, Luca Molinari

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I complessi turistici Xenía – Grecia.
La rete turistica culturale progettata negli anni ’50
secondo un piano nazionale, una potenzialità da riscoprire
Eleni Gkrimpa
Aristotle University of Thessaloniki – Salonicco – Grecia
Silvia Gron
Politecnico di Torino – Torino – Italia
Parole chiave: Turismo in Grecia, Aris Konstantinidis, Architettura moderna

Il turismo è per la Grecia uno dei fattori determinanti per lo sviluppo dell’economia nazionale
e contribuisce sostanzialmente a superare la crisi economica del dopoguerra. Il progetto
turistico degli anni cinquanta di iniziativa pubblica denominato Xenía, parola che in greco
antico significa ospitalità, è il primo passo per distribuire equamente le risorse sull’intero
territorio costruendo nuove strutture alberghiere.
Un progetto ambizioso attento alla dimensione paesaggistica, la grande risorsa del paese.
Per il sopravvento del turismo di massa queste strutture purtroppo oggi non sono più conformi
alle richieste di mercato, sono nella maggior parte dei casi in stato di degrado, una situazione
che impone una riflessione sulla loro salvaguardia o integrazione con nuove forme turistiche
rispettose dell’ambiente. Nel mettere in evidenza il grande progetto politico e architettonico
diretto da Aris Konstantinidis si cerca pertanto di evidenziare nuove opportunità di fruizione e
gestione turistica valutando le compatibilità con la crisi economica attuale.

1. Il programma Xenía
L’Ente Nazionale per il Turismo Ellenico (Ελληνικός Οργανισµός Τουρισµού, EOT) è
reintrodotto d’urgenza nel 1950 con la legge n. 1560/501 come Agenzia di Stato sotto l’egida
del Ministero dell’Economia (poi del Turismo). L’EOT è istituito con un ruolo importante
non solo per incentivare la promozione turistica ma per delineare azioni di priorità nazionale
utili al miglioramento della fruizione del proprio patrimonio fortemente compromesso e
indebolito economicamente dalla seconda guerra mondiale e da quella civile che ne fece
seguito. Per attivare l’economia l’EOT configura una nuova rete turistica culturale
predisponendo una serie di programmi atti ad aumentare la fruizione del territorio garantendo
in primo luogo l’accessibilità, dotando la nazione di nuovi collegamenti e trasporti ma anche
organizzando la visita dei siti archeologici, costruendo nuovi servizi e musei, impegnandosi in
modo diffuso a pubblicizzare il proprio paese e attrezzare l’intero territorio di strutture
alberghiere. È proprio attraverso il progetto nazionale di iniziativa pubblica, denominato
Xenía2, che l’EOT prevede la realizzazione di alberghi in prossimità dei siti archeologici o di
grande valore naturalistico un’attività considerata fra i più grandi e ambiziosi progetti di
infrastrutture della Grecia moderna. Agli hotel, motel e ostelli si aggiungono anche strade,
piazze, stazioni di servizio, padiglioni turistici e altre attrezzature che rendono abitabili parti
di territorio sino ad allora isolate o inaccessibili. Non solo gli Xenía ricoprono un ruolo
funzionale per la Grecia ma sotto la direzione di Aris Kostantinidis (1913-1993) dal 1957 al

1
L’art. 2 specifica i compiti dell’EOT: “L’obiettivo è la promozione del turismo in Grecia mediante il recupero di tutte le
possibilità esistenti. Per questo obiettivo si istituisce e si attua un programma finalizzato ad attrarre visitatori stranieri e
rafforzare le risorse nazionali attraverso lo sviluppo del turismo nei centri e nei siti, migliorandone le condizioni tramite i
trasporti, la dotazione alberghiera, il rafforzamento delle organizzazioni turistiche e della pubblicità”.
2
Nel primo periodo del progetto Xenía (1950-1956) sono realizzati 8 Hotel, sei dall’architetto Charálambos Sfaéllos – alla
guida del progetto – fra questi il primo è un prototipo a Kastoria (1953) ma anche un hotel a opera di D. Pikionis a Delfi
(1953) e uno di C. Spanos a Samothrace (1954).

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19673 gli Xenía, distribuiti su tutto il territorio nazionale, diventano un esempio di buona
pratica diffusa del buon costruire, per come i singoli edifici riescano a interpretare e trasferire
l’identità di un luogo che passa attraverso la forma, i colori e i materiali impiegati.
1.1. Gli Xenía di Aris Kostantinidis
Kostantinidis nel periodo di incarico nell’EOT realizza a suo nome 11 strutture alberghiere ad
Andros 1957-58; Lárissa 1958-59; Igoumenitsa 1958-59; Mykonos 1958-60; Kalambáka
1958-62; Epidauro 1959-60; Olympia 1 1959-63; Paliouri 1960-62; Poros 1961-64; Heraklion
1962-66; Olympia 2 1964-66; un padiglione per gli attori del teatro di Epidauro 1957-58; il
museo archeologico di Ioánnina 1961-66; il museo archeologico di Komotinì 1966-67.
Il programma attraverso le sue opere acquisisce concretezza e visibilità anche attraverso la
pubblicistica europea ed è lo stesso Kostantinidis con il testo L’architettura degli hotel Xenía
(1966)4 che ne descrive principi e metodo attraverso la lettura delle sue opere.
La prima componente che emerge è l’attenzione per lo studio del territorio e delle sue
valenze, il progettista è così incaricato sin dalla scelta del sito di intervento valutando le
disponibilità di ciascuna regione, la forma del terreno, l’orientamento (migliore a est o a sud)
e la pendenza, la veduta paesaggistica (naturale o sulle antiche rovine) e la vicinanza con una
strada. La scelta del terreno è il compito più difficile perché deve coniugare le caratteristiche
fisiche del luogo con l’afflusso turistico valutato attraverso le elaborazioni statistiche fornite
dal Ministero, l’accessibilità al luogo e la disponibilità da parte degli abitanti ad accogliere la
nuova struttura. L’inserimento paesaggistico dell’edificio diventa poi il compito prioritario
con l’intento di restituire una “forma armonica con il paesaggio naturale, mostrandolo come
se fosse sempre stato in quel luogo, là dove oggi viene costruito”5.

Hotel Xenía a Paliouri 1960-62

Per consolidare questo rapporto con la natura Kostantinidis è attento che l’ospite si senta
immerso nel paesaggio per questo lavora molto sulla disposizione e forma dell’edificio ma
anche sulla scelta dei materiali impiegati come le pietre locali componente che con l’utilizzo
della struttura in c.a. (per la semplicità costruttiva) e altri elementi standardizzati (come per
3
Il gruppo di architetti che lavora con Kostantinidis è formato da: K. Kitsikis, J. Triantafillidis, C. Bugatsas, G.
Nikoletopoulos, D. Zivas, P. Vokos, K. Stamatis, K. Bitsios, K. Dialisma che realizzano dal 1957 al 1966 a loro firma 22
edifici.
4
A. Konstantinidis, «L’architettura degli hotel Xenia», in World Architecture 3, J. Donat (a cura di), London, Studio Vista,
1966, pp. 202-207, tratto da: A. Konstantinidis, Για την αρχιτεκτονική, Δηµοσιεύµατα σε εφηµερίδες, σε περιοδικά και σε
βιβλία 1940-1982, Atene, Agra, 1987, 20112 (traduzione Eleni Gkrimpa).
5
Ivi, p. 203.

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gli arredi) abbassa i costi di costruzione. Per trovare armonia e adeguatezza l’edificio si
frantuma in più corpi di fabbrica che si dimensionano rispetto a un modulo preciso (4x4 m poi
4x6 m) disponendosi su di una griglia ordinatrice proponendo diverse configurazioni che si
adattano al sito.
Kostantinidis è attento anche alla funzionalità così “le camere sono disposte in padiglioni,
liberi nello spazio”6 distanti dalle aree pubbliche dell’accoglienza o del ristorante quali spazi
dedicati anche agli abitanti del luogo, questa diversificazione consente al turista di godere di
spazi tranquilli per il riposo ma al tempo stesso interagire con la popolazione locale. Nella
disposizione dei corpi di fabbrica l’unità organica è garantita dall’utilizzo della griglia che
concretizza quelle relazioni geometriche e funzionali utili soprattutto per tenere saldo il
rapporto fra l’interno dei manufatti e l’esterno, il paesaggio, attraverso cortili, terrazze, patii e
grandi finestre che lo incorporano “portando vicino a lui”, il turista, “il calore del sole e la
luce splendente della terra greca, i meravigliosi contorni delle colline e montagne, pianure e
mari, ma anche lo stesso cielo”7. Gli edifici si presentano così di semplice fattura da uno a tre
piani in modo da seguire il profilo di ciò che ci sta intorno senza mai prevalere, con un piano
terra solitamente molto permeabile, il colore del cemento a vista e della pietra nei muri contro
terra e del lastricato fa da fondo ai pannelli cementizi dei balconi dai colori tenui e ai profili in
ferro che corrono ritmicamente sulle facciate di color minio utilizzati non per decorare ma
“per rendere più chiara la successione degli elementi portati e portanti, facendo apparire con
più chiarezza lo scheletro”8.

Hotel Xenía a Kalambáka 1958-62

Confrontando alcune opere di Kostantinidis è possibile stupirsi della diversificazione fra le


diverse strutture, per come gli edifici si adattano al luogo anche utilizzando evidenti
ricorrenze nella modularità e nella standardizzazione di alcuni elementi. Passando in rassegna
i suoi disegni e le fotografie dell’epoca appare chiaro come “la pianta e la sezione sono la
sostanza dell’idea di architettura poiché in esse sono sintetizzati i principi d’ordine della
composizione” 9 in particolare mentre la pianta evidenzia l’ordine, la sezione delinea il
rapporto fra edificio e suolo ma anche l’articolazione dei volumi. L’hotel Xenía a Poros è
quello che più di ogni altro esemplifica questa abilità del comporre, se lo schema adottato in
pianta è congruente a quanto già attuato nelle precedenti esperienze, la sezione mostra tutta la
sua complessità nell’articolazione dei volumi, restituendo la mutevolezza del rapporto dei
6
Ivi, p. 205.
7
Ibidem.
8
A. Kostantinidis, «A few words», Projects+Buildings, Atene, Agra, 1981, p. 270.
9
P. Cofano, Aris Konstantinidis. La figura e l’opera, Milano, Libraccio, 2012, p. 9.

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pieni e vuoti differenziando la distribuzione ai piani, realizzando ambientazioni sempre
diverse che aprono visuali inaspettate. Nell’esaminare i progetti emergono poi alcuni temi
compositivi che caratterizzano l’opera di Kostantinidis elaborati dai suoi studi sul patrimonio
vernacolare come l’utilizzo della copertura a unica falda inclinata o l’inserimento del patio
che incornicia una vista nel concretizzare “un’architettura realmente contemporanea capace
tuttavia di instaurare un rapporto di continuità ed equilibrio con lo spirito naturale e storico
dell’ambiente circostante”10.

Hotel Xenía a Poros 1961-64

2. Il patrimonio degli Xenía


A seguito del golpe (1967) Kostantinidis interrompe la sua attività all’interno dell’EOT per
trasferirsi in Svizzera come docente e il programma Xenía progressivamente si conclude con
l’ultimazione delle opere già avviate11 (1974).
Il disinteresse per gli Xenía si attiva con la fine degli anni sessanta, con le leggi sul turismo
promosse dalla dittatura 12 che incentivano la costruzione accelerata di nuove strutture
alberghiere rivolte al turismo di massa. Se prima il turismo era considerato un veicolo di
modernizzazione del paese e pertanto politicamente sostenuto dallo Stato anche se rivolto a
un pubblico più d’élite interessato al patrimonio storico e naturalistico, con la metà degli anni
settanta si asseconda l’arrivo e la distribuzione di nuovi turisti che chiedono sempre più
attrezzature e servizi. Il grande impatto di queste nuove strutture calpesta l’identità del paese
che non mostra capacità di reazione come ben racconta Kostantinidis: “Disperazione e strazio
ti assalgono quando vedi che il paese sfiorisce perché vogliamo organizzare una industria del
turismo senza lasciare in piedi niente d’intatto e d’incontaminato (…) Per spalancare le
10
A. Scarano, Identità e differenze nell’architettura del Mediterraneo, Roma, Gangemi, 2006, p. 229.
11
Il progetto è inattivo dal 1974 ma si chiuderà formalmente nel 1983.
12
La legge 543/68 incentiva e massifica la costruzione alberghiera entro il 1975.

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braccia a tutti i turisti, alle folle che con il passare del tempo diventano orde, aggressive e
implacabili. E ciò che abbiamo fatto fino ad oggi nella nostra quotidiana attività edilizia (case,
sobborghi, ecc.), con la quale abbiamo disseminato alla rinfusa (…), bruttezza e scompiglio e
affollamento, lo trasferiamo adesso anche alle opere turistiche, con gli insediamenti turistici,
su montagne, coste e isole, in fortezze e antiche città, ignorandone la storia e lo spirito,
accanto a inestimabili siti archeologici”13.
Con l’entrata in Europa (1981) e il programma di sviluppo economico e sociale degli anni
ottanta il turismo assume proporzioni gigantesche. Esaminando i dati riguardanti gli arrivi si
quantifica l’entità del problema, se nel 1950 gli arrivi sono 33.300 aumentando nel 1961 a
494.191 e nel 1971 a 2,3 Milioni, con il 1980 la crescita diventa esponenziale con 5,6 M di
presenze, nel 1991 con 8,2 M e nel 2000 con 12,5 M, con una dotazione alberghiera che in
cinquant’anni decuplica. La Grecia oggi si posiziona nel ranking nelle prime dieci posizioni
per destinazione europea (2013-2017). Nell’attuale periodo di crisi (dati dal 2009 al 2013) le
presenze annue si assestano intorno ai 15,5 milioni con 9.600 strutture alberghiere che
accolgono circa 80.000 turisti all’anno confermando una preferenza per gli hotel di lusso14.
In questo contesto per gli Xenía ci si può chiedere oltre a quale ne sia stata la sorte, se
possono essere una risorsa e opportunità ancora oggi per il paese.
Gli Xenía che già soffrivano di difficoltà gestionali presto vengono dismessi per la
predominanza e competizione delle nuove strutture dedicate al turismo di massa. Le opere di
Kostantinidis nella situazione attuale15 risultano: 1 demolita (Lárissa), 4 abbandonate, in
pessime condizioni dove spesso il vandalismo ha saccheggiato ogni tipo di arredo o infisso
(Andros, Kalambáka, Paliouri, Heraklion), 3 ristrutturate (Mykonos, Epidauro, Poros) e 3
ristrutturate con nuova destinazione (Igoumenitsa, Olympia 1, Olympia 2); la situazione
complessiva riguardante l’intero patrimonio Xenía mostra che il 50% degli edifici Xenía oggi
risultano demoliti o abbandonati.

Hotel Paliouri nella situazione attuale 2017

L’Associazione degli Architetti Greci SADAS dal 2003 si prende cura degli Xenía inviando
petizioni agli organismi competenti per la loro tutela con il risultato che ben 5 degli edifici

13
A. Kostantinidis, Architettura e “turismo”, in Για την αρχιτεκτονική, Δηµοσιέυµατα σε εφηµερίδες, σε περιοδικά και σε
βιβλία 1940-1982, Atene, Agra, 1987, 20112; traduzione tratta da P. Cofano, cit., p. 10.
14
Cfr. http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Tourism_statistics_-_top_destinations&oldid=298049
(accessed 26 giugno 2017).
15
K. N. Papaoikonomou, Xenia Reloaded, The Travelogue in the foot steps of Aris Konstantinidis, MArchD Research Led
Design thesis, Oxford Brookes University, 2014, consultabile in: https://issuu.com/knpapaoikonomou/docs/b___xenia_
reloaded___the_dissertati/238 (accessed 8 aprile 2017).

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elencati vengono classificati e inseriti nella lista nazionale del Ministero della cultura come
beni Monumentali Moderni (2008)16. Purtroppo gli interventi di ripristino riguardano solo
alcuni edifici come casi isolati 17 mentre per questa tipologia di beni necessiterebbe un
progetto generale che riconfiguri la rete Xenía nel ripercorrere il territorio secondo quei
parametri turistici che assimilino l’alto valore architettonico delle opere con il paesaggio.

3. Conclusioni
Come è già stato descritto oltre a segnalare i singoli edifici come oggetti da salvaguardare per
il loro valore storico e architettonico ma anche sociale occorre pensare che solo attraverso la
messa a sistema degli Xenía sia possibile pensare concretamente alla loro sopravvivenza.
Configurare però una rete non significa solo organizzare collegamenti funzionali (reali o
virtuali) fra le diverse strutture, ma bensì predisporre un progetto più ampio che sia in grado
di valutare le priorità d’intervento, il dimensionamento delle funzioni e attività ma soprattutto
identificare quei principi di valore ambientale sottesi alle singole opere per farne un bene
comune. La rete mentre orienta il recupero delle singole strutture alberghiere originarie deve
costruire un piano gestionale dalla manutenzione all’individuazione di attività che possono
interagire con le attitudini dei territori. In questo modo il turismo non viene vissuto come una
cosa a sé estraniata dal contesto che consuma tutte le risorse disponibili, ma diventa
integrazione con il territorio e la gente che lo abita.

Bibliografia
Σ. Βαρβαρέσος , Τουρισµός έννοιες, µεγέθη, δοµές, Αθήνα, Προποµπός, 2000.
P. Cofano, D. Konstantinidis, Aris Konstantinidis 1913-1993, Milano, Electa, 2010.
P. Cofano, Aris Konstantinidis. La figura e l’opera, Milano, Libraccio, 2012.
Z. Georgiadou, D. Frangou, D. Marnellos, «Xenía Hotels in Greece: A Holistic Approach to
Modern Cultural Heritage», in Journal of Civil Engineering and Architecture, 9, 2015, pp.
130-140.
Χ. Κοκκώσης και Τσάρτας Π, Βιώσιµη τουριστική ανάπτυξη και περιβάλλον, Αθήνα, Κριτική,
2001.
A. Konstantinidis, Projects+Buildings, Agra, Atene, 1981.
A. Konstantinidis, Για την αρχιτεκτονική, Δηµοσιεύµατα σε εφηµερίδες, σε περιοδικά και σε
βιβλία 1940-1982, Atene, Agra, 1987, 2011.
K. N. Papaoikonomou, Xenía Reloaded, The Travelogue in the foot steps of Aris
Konstantinidis, MArchD Research Led Design thesis, Oxford Brookes University, 2014.
Π. Παυλόπουλος, Το Μέγεθος και η Δυναµική του Τουριστικού Τοµέα, Ι.Τ.Ε.Π, Αθήνα 1999.
D. Philippidis, Πεντε δοκιµια για τον Αρη Κωνσταντινιδη, Atene, Libro, 1997.
A. Scarano, Identità e differenze nell’architettura del Mediterraneo, Roma, Gangemi, 2006.

16
Di questi 3 sono di A. Kostantinidis a Paliouri, Kalambaka e Igoumenitsa, uno di F. Vokos a Platamonas e uno di K.
Bitsiou a Vitina.
17
Cfr. N. C. Samaras, V. D. Chrysina, Maintenance and Restoration of “Xenía Motel Zeus II” in Ancient Olympia: an
approach for the sustainable existence of Xenia Hotels, works of Aris Konstantinidis, 1st International GEOMAPPLICA
Conference, 8-11 settembre 2014, Skiathos, K. Perakis (a cura di), 2014 in: https://www.academia.edu/31709080/Maintenance
_and_Restoration_of_Xenia_Motel_Zeus_II_in_Ancient_Olympia_an_approach_for_the_sustainable_existence_of_Xenia_
Hotels_works_of_Aris_Konstantinidis (consultato il 20 luglio 2017).

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L’immagine della costa Lubrense,
tra incanto e alterazione del paesaggio
Barbara Bertoli
Consiglio Nazionale delle Ricerche – IBAF– Napoli – Italia
Parole chiave: Paesaggio costiero, Massa Lubrense, cave, turismo, lottizzazioni.

1. Premessa
Il contributo, che nasce dalle esperienze di studio del gruppo di ricerca Il Paesaggio in
Laboratorio (CNR – IBAF), assume il tema proposto dalla sessione sulla città mediterranea e
il turismo di massa, tra loisir e nuove paure. Tema vasto e “spigoloso” che si presta a
molteplici interpretazioni e riflessioni critiche. Alla luce della ricca documentazione rinvenuta
nel corso della ricerca, per limiti dettati dalla brevità del contenuto del paper, in questa sede ci
si limiterà all’analisi di casi studio esemplificativi solo per il tratto costiero insistente nel
golfo di Napoli. I suggestivi venti chilometri della costa di Massa Lubrense, che si estendono
dalla baia di Puolo al fiordo di Crapolla, sono l’unico tratto costiero campano ad abbracciare i
due golfi, quello di Napoli e quello di Salerno, divisi naturalmente dalla Punta Campanella.
I due versanti risultano profondamente diversi dal punto di vista morfologico1.
La terra di Ulisse e delle Sirene è un luogo seducente e misterioso che per secoli ha
affascinato viaggiatori e letterati. L’unicità ed il mito del luogo nascono sia dalla varietà delle
bellezze naturali e paesaggistiche che dalla presenza di un denso e stratificato patrimonio
culturale qui custodito2. L’immagine della costa Lubrense, diventata attraverso i racconti dei
travellers vero e proprio mito letterario ed estetico, “cade” in un profondo declino
progressivamente nel corso del Novecento3.

2. Dalla Marina di Puolo alla baia di Mitigliano, la costa che cambia nel
corso del Novecento
L’estrazione calcarea legata all’uso della pietra di Massa in edilizia, che nel passato di questo
territorio aveva rappresentato un’attività economica marginale, nei primi anni Venti si
trasforma in un’attività intensiva4. La scomparsa delle attività estrattive tradizionali a favore
di un sfruttamento più intensivo ha generato danni irreparabili, finanche morfologici al
paesaggio costiero5. Solo nei confini comunali di Massa Lubrense furono aperti sette
stabilimenti per l’estrazione calcarea: la cava Merlino a Puolo, la Chianella a Capo Massa,
quella Vitale a Marcigliano, le cave del Cenito e di Mitigliano insistenti nel golfo di Napoli,
ed infine Jeranto e Recommone insistenti nel golfo di Salerno. In pochi anni il materiale
lapideo proveniente dalla costa, letteralmente “divorata”, fu trasportato da imbarcazioni alla
volta degli altiforni dell’ILVA (poi Italsider) di Bagnoli, per essere trasformato nei blocchi
cementizi con i quali furono realizzate le barriere frangiflutti disseminate nel Golfo di Napoli.
Le maestranze locali e i tantissimi immigrati qui giunti, lavorarono senza sosta ed in
condizioni disumane nelle numerose cave che punteggiarono la costa6.
1
Cfr. R. Pane, Sorrento e la sua costa, Napoli, E.S.I.,1955, p. 31.
2
Per la lettura delle stratificazione paesistica e storica e della pressione turistica delle fasce costiere si veda M.
Mautone, M. Ronza, B. Bertoli, Pressione Turistica, Quadri ambientali e Morfogenesi paesistica: La gestione
delle qualità territoriali nei sistemi costieri della Campania, Gangemi Editore, Roma, 2009, p. 87.
3
Cfr. C. de Seta, Il sacco della penisola sorrentina, in Id., Città territorio e mezzogiorno in Italia, Torino,1977,
p. 100.
4
Cfr. R. Filangieri di Candida, Storia di Massa Lubrense, 1910, p. 738.
5
Per la bibliografia sull’argomento significativo G. Pignatelli, Le cave dismesse sulla costa sorrentina tra storia
locale danni ambientali e forme di riuso, in: « Bollettino della società geografica Italiana », Roma, 2014, p. 595.
6
P. Esposito, S. Ruocco, La Lobra culla della Città di Massa Lubrense, Castellammare di Stabia, 2000, p. 173.

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La lottizzazione ad opera della Società Immobiliare S.P.A. nel promontorio di Riviera di San
Montano, i primi villini in costruzione.
Foto d’epoca da Archeoclub di Massa Lubrense
Le cave sorsero nei punti più belli e riparati del tratto costiero, strategicamente facilmente
raggiungibili dalle imbarcazioni da carico7. Dopo la crisi dagli anni Quaranta, tale settore
economico sotto il peso dei costi altissimi di una gestione farraginosa entrò in crisi. Le
attività legate alla coltivazione delle cave cessarono definitivamente negli anni Settanta.
La costa liberatasi dall’azione distruttrice delle attività estrattive fu quindi investita da nuove
problematiche e dinamiche legate alla riconversione delle cave dismesse. La prima baia
insistente nei confini comunali di Massa Lubrense ad essere profondamente modificata
dall’estrazione calcarea fu quella di Puolo, piccola marina che deve il suo toponimo alla
presenza della villa di Pollio Felice8. Il luogo abitato da pochi pescatori e protetto
naturalmente da due promontori, conservò inalterate le sue pregevoli caratteristiche
paesaggistiche fino agli inizi dell’Ottocento quando, a seguito dell’apertura di due forni per la
produzione di calce subì gravi trasformazioni9. La situazione si aggravò ancor di più quando
negli anni Venti nella montagna a ridosso della spiaggia vennero scavate due cave, quella ad
est sul promontorio detto della Calcarella, e quella a ovest appartenente alla famiglia
Merlino10. La baia fu snaturata dalla presenza di strutture industriali funzionali allo
svolgimento delle attività di estrazione e trasporto del materiale calcareo.
Quando alla metà degli anni Settanta, la ditta Merlino cessò definitivamente le proprie
attività, l’area di cava ormai dismessa fu oggetto di un tentativo di speculazione edilizia
avanzato della società privata da poco costituitasi “Cala di Puolo”11.
La società portò avanti un progetto speculativo denominato “Marina Verde” che, se realizzato,
avrebbe attentato nuovamente al paesaggio costiero già deturpato dalle attività estrattive

7
Cfr. G. Pignatelli, op. cit., p. 596.
8
Cfr. R. Filangieri di Candida, op. cit., p. 40.
9
Il poeta Publio Papilio Stazio nei due Carmi: “Villa Sorrentina Polii Felis” e il “Hercules Surrintinus Polli
Felicis, descrive il luogo prima dell’edificazione della Villa di Pollio come: “una spiaggia desolata che serviva
solo da riparo dei marinai di passaggio”.
10
La ditta Merlino acquisirà la zona della Cala di Puolo nel 1927.
11
Nel Marzo del 1978 la società privata “Cala di Puolo”, richiede all’amministrazione la concessione
quindicennale di un’area marittima nella località Cala di Puolo, per destinarvi un approdo turistico. La licenza di
concessione fu rilasciata nel 1979, anche per la parte demaniale dell’ex cava, ma contestualmente si rese
necessario provvedere alla delimitazione tra la proprietà privata e demaniale.

1390
finanche nella struttura morfologica 12. Fortunatamente tale progetto fu ostacolato dalle
associazioni di tutela del paesaggio e da alcuni gruppi politici che impedirono l’arbitraria
privatizzazione delle pertinenze demaniali della baia. Si voleva preservare la pubblica
fruizione dell’unico arenile libero di lì fino ad Amalfi. Attualmente la vasta spianata dell’area
di cava, sottostante il costone roccioso scavato, ospita un parcheggio privato mentre i pontili e
le banchine sono occupati da attrezzature balneari.
Proseguendo lungo la costa, dopo la piccola insenatura della Chianella, che ospitava una serie
di modeste cave per la produzione di brecciolino, si arriva alla baia di Marcigliano dove già
dagli anni Dieci, con l’apertura della Cava Vitale, si era iniziato ad erodere irreversibilmente
l’alto costone roccioso. Anche a Marcigliano, così come avvenne per molte altre delle baie
lungo la costa, la cava fu riconvertita negli anni Sessanta ad uso turistico. Qui in breve tempo
fu realizzato un complesso turistico con stabilimento balneare denominato “Conca Azzurra”.
La struttura alberghiera, di modesto valore architettonico, che si sviluppa su tre piani e
l’annesso parcheggio sorsero nella spianata della cava, mentre un terrapieno a ridosso del
mare ospita le piscine. Nelle piccole spiaggette ancora oggi sono ben visibili le “brutali”
strutture in cemento parzialmente erose
dal mare che risultano ancora altamente
invadenti nella linea di costa. Va
ricordato che a partire dagli anni
Cinquanta lungo la maggioranza dei
litorali costieri italiani si assiste ad una
crescita sregolata. Svariati i fattori
storico-culturali e socio-economici che
determinarono l’assalto delle nostre
coste. La progressiva occupazione delle
aree costiere si definì nel corso del
secondo Novecento attraverso modelli
di sviluppo insostenibili che portarono
ad un crescente consumo del suolo e
delle risorse naturali 13. Anche la costa
Progetto di abitazione, Riviera San Montano, Ing. M. Lubrense non fu risparmiata da tali
Mosca, da ACML
dinamiche. Numerose le lottizzazioni
autorizzate che sfociarono poi in casi emblematici di speculazione edilizia. Episodio
significativo di questo nuovo modo insostenibile di occupazione del territorio costiero è
rappresentato dalla lottizzazione avviata nel 1957 nella località di Riviera San Montano 14. Il
piccolo promontorio, delimitato ad est dalla cava Vitale di Marcigliano ad ovest dalla Marina
della Lobra, alla fine degli anni cinquanta si presentava come una collina degradante sul mare,
con macchia mediterranea ed uliveti priva di abitazioni e strade di collegamento 15. Dallo
studio della consistente documentazione archivistica rinvenuta, è stato possibile ricostruire le

12
Cfr. Senato della Repubblica Assemblea n.26 del 9/10/1979. Nella seduta Parlamentare il Senatore PCI
Fermariello rivolgendosi al Ministro della Marina Mercantile, denunciava le mire speculative della società Cala
di Puolo che intendeva realizzare un progetto turistico “faraonico”.
13
Negli anni Sessanta di fronte all’intensificarsi dei fenomeni speculativi e l’apertura di nuove arterie stradali, si
rese urgente la redazione da parte del Ministero dei Lavori Pubblici di un Piano Territoriale. La commissione
presieduta da R. Pane e L. Piccinato, portò a compimento i lavori nel 1968, malgrado l’impegno profuso non si
riuscirono ad arginare gli interventi scriteriati lungo la penisola.
14
Cfr. Progetto di Lottizzazione Riviera San Montano Archivio Comune di Massa Lubrense (d’ora in poi
ACML), servizio n. 8 Urbanistica e Lavori Pubblici, pratiche: n. 48, lotto 42, n. 60 lotto n. 3, n. 61 lotti nn. (4-5
-6), n. 62 lotto 18, n. 63 lotto n. 19, n. 68 lotto 13, n. 69 lotto16, n. 70 lotto17, n. 71 lotto n. 23, n.72 lotto 35,
n. 118 lotto n. 14, n. 119 lotto n. 12, n. 120 lotto n. 8.
15
Cfr. Planimetria Generale e progetti Lottizzazione Riviera di San Montano in ACML.

1391
tappe di una articolata vicenda che in pochi anni aveva portato alla realizzazione di una delle
più grandi lottizzazioni insistenti
sulla costa di Massa Lubrense. La vicenda ebbe inizio nel 1956 quando la Sig.ra Maria di
Leva in Pontelli acquistò una particella di terreno in una località da lei denominata Riviera di
San Montano (dal nome dell’antica chiesetta esistente nel luogo) per costruirvi una propria
abitazione16. Appare evidente che le intenzioni, fin dal principio, fossero nei fatti quelle di
realizzare una lottizzazione a sfondo speculativo. La richiesta di concessione edilizia fu
presentata al Comune nel 1957 e la posa della prima pietra avvenne nel marzo del 195817. I
progetti delle ville, a firma dell’Ing. Matteo
Mosca e dell’Arch. Gino d’Andrea, furono
concepiti inizialmente nel rispetto delle
visuali panoramiche e seguendo un piano
generale d’insieme armonico.
Successivamente la lottizzazione sfociò in
un’attività speculativa mai vista fino a quel
momento nei territori comunali. Alla fine del
1959 erano già state realizzate quindici
villette, la strada, l’acquedotto, l’elettrodotto
ed il lungomare, ma già l’anno seguente si
era arrivati alla costruzione di trenta villette.
Nonostante il Progetto di Lottizzazione
insistesse su un fondo non vincolato, la
Soprintendenza cercò di ostacolare il
progetto. Nel 1960 fu emesso un ordine di
sospensione dei lavori presto revocato in
virtù di una sanatoria18. Alla fine la
lottizzazione si attuò comunque con un
numero di costruzioni superiore alle
concessioni ottenute. Proseguendo lungo la
costa, passata la Marina della Lobra e
doppiato Capo Corbo, un’altra significativa
lottizzazione fu avviata a Punta Lagno19. È
Poster Turistico del Giardino Romantico,
il periodo in cui la costruzione della seconda
realizzato dall’artista Paolo Ricci, 1971,
collezione privata casa per la vacanza estiva, diventata alla
portata di una larga fascia della popolazione,
generò l’aggressione delle zone di maggior pregio paesaggistico; in particolare lungo le fasce
costiere campane, furono realizzate abitazioni di scarso pregio e perpetuati abusi edilizi di
ogni tipo.

16
Maria Di Leva in Pontelli, figurerà successivamente in qualità di amministratore unico della Società
Immobiliare Sorrentina s.p.a.
17
Cfr. con la Relazione Tecnica Società Immobiliare Sorrentina. (S.I.S.) del 21/09/1957, in ACML. Il Progetto di
Lottizzazione Riviera San Montano, prevedeva la divisione della zona in 65 lotti, e unitamente la costruzione di
una strada carrozzabile, di circa 20 villette, una chiesetta, un lungomare, ed una scogliera di protezione della
spiaggia sottostante.
18
Cfr. telegrammi n. 9075-10068-10069, in ACML. I lavori furono sospesi in applicazione art. 9 della legge
29/6/1939 n. 1497.
19
Cfr. Progetto di lottizzazione in località Punta Lagno del fondo rustico di proprietà del Dott. Perusino Perusini
in località Punta Lagno a firma dell’Ing. R. de Rosa, per il quale fu rilasciata la concessione edilizia nel 1966 in:
ACML, Archivio Storico, classificazione provvisoria, S2-R2-n. 8, Lottizzazione pratiche varie lettere a-b-c.

1392
Progetto Villaggio Turistico Giardino Romantico, Planimetria Generale,1968, da ACML

Inoltre durante gli anni Sessanta ebbe inizio una generale presa di coscienza rispetto al
potenziale delle località turistiche italiane, accompagnata da un’intensa fase di costruzione per
migliorare ed incrementare l’offerta turistica. Molte furono le iniziative di società e di
imprenditori privati lungo la costa Lubrense. In aree costiere rocciose impervie, dove in
passato appariva impossibile costruire, sorsero nuovi insediamenti turistici che deturparono il
paesaggio. Nella baia delimitata ad ovest dalla Punta San Lorenzo, nella località denoninata
Gesiglione, Guglielmo La Via per conto della società Olandese S.N.V. Hotel Maatashappij,
costruì nella via Nastro d’Oro l’Hotel Delfino20. Il complesso alberghiero a picco sul mare,
ancora in uso e recentemente ampliato, ha alterato profondamente lo skyline della baia. Altro
caso emblematico della riconversione di una cava in una struttura turistica è rappresentato dal
“Giardino Romantico”, villaggio turistico di Pasquale Ricci realizzato nella cava del Cenito. Il
complesso insisteva in un vasto suolo che comprendeva i due promontori che delimitano la
baia, ad est quello di Marciano ad ovest e ad ovest quello di Punta Baccoli21. Realizzato in un
sito scenografico della penisola sorrentina che si apre sul panorama dell’Isola di Capri, nei
primi anni Sessanta divenne una struttura à la page. Il progetto approvato in sanatoria nel
1968, prevedeva la costruzione di centotrentasei bungalows in legno e uno stabilimento
balneare con impianti stabili per i servizi22. In seguito la proprietà ottenne un aumento del
numero di bungalows che salì a duecento23, contestualmente presentò un’istanza per sostituire
cento bungalows in legno con cinquanta villette unifamiliari, istanza che fu respinta nel marzo

20
Cfr. Progetto per la piscina Hotel Delfino, a firma Arch. Francesco Scarpato in ACML, Archivio Storico,
classificazione provvisoria, S2-R2-n. 8, Lottizzazione pratiche varie lettere a-b-c.
21
Prima dell’insediamento della Cava sul promontorio di Punta Baccoli, si ergeva una torre di avvistamento
costiero, come testimoniato delle immagini d’epoca precedenti gli anni Venti.
22
Cfr. Planimetria, relazioni tecniche, foto d’epoca, in ACML, Archivio Storico, classificazione provvisoria.
Fascicolo n. 1970, Pratica 350/14905. L’approvazione in sanatoria escluse la realizzazione del molo presente
negli elaborati grafici.
23
Cfr. Progetto di variante aggiuntiva a firma dell’Arch. Carlo Lapegna, approvato il 4/07/1969 n. 3985, in
ACML, Archivio Storico, classificazione provvisoria. Fascicolo n. 1970, Pratica 350/14905.

1393
del 1969. Nel 1970 fu richiesto ed ottenuto di realizzare le costruzioni in muratura con
rivestimento in legno, materiale previsto nelle precedenti autorizzazioni.
Fortunatamente Italia Nostra sollecitò il Comune di Massa Lubrense a fornire informazioni
dettagliate in merito al progetto. A questo punto la Soprintendenza emise ben due ordini di
sospensione nel 1970 e nel 1971 e bloccò l’ulteriore sviluppo del progetto che peraltro
rischiava di compromettere seriamente la paesaggistica del versante che si apriva sulla cala di
Mitigliano già devastata per l’apertura della strada di accesso. Attualmente la baia ospita la
struttura balneare “Baia delle Sirene”, e lungo la strada rimangono ben visibili alcune delle
villette in muratura ormai dismesse. Anche a Mitigliano dove sorgeva una cava per
l’estrazione e lavorazione della breccia, un piccolo pontile da carico fa da sfondo alla linea di
costa.

3. Conclusioni
Prima le attività legate alla estrazione calcarea, poi la progressiva degradazione derivante da
un disordine edilizio generato dallo sfruttamento della vocazione turistica del luogo negli anni
del boom economico, quindi l’invadenza delle tante iniziative private e la mancanza di
strumenti urbanistici hanno contribuito ad una progressiva ed irreversibile degradazione del
paesaggio costiero24.

Bibliografia
A. Berrino, Storia del Turismo in Italia, Bologna, Il Mulino, 2011.
Paesaggio Costiero e sviluppo turistico sostenibile, a cura di A. Calcagno Maniglio, Roma,
Gangemi Editore, 2009.
I centri storici della provincia di Napoli struttura, forma, identità urbana, a cura di C. de
Seta A. Buccaro, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2009.
Nell’arco del golfo. Da Napoli a Massa Lubrense fotografie 1890-1910, a cura di B. Filangieri
di Candida, S. Ruocco, A. Filangieri di Candida, Castellammare di Stabia, Nicola Longo
Edizioni, 2006.
F. Mautone, Massa e il territorio Lubrense dal XVI al XIX secolo, ESI, Napoli, 1999.

24
Si Ringraziano la Sig.ra Assunta Mascolo del Comune di Massa Lubrense per il prezioso contributo al
reperimento della documentazione e Stefano Ruocco Presidente Archeoclub Lubrense, per i preziosi consigli in
qualità di profondo conoscitore della materia.

1394
Paesaggi reazionari
Lo sguardo turistico e il mondo come immagine
Federico Ferrari
École Nationale Supérieure d’Architecture di Paris-Malaquais – Paris – France
Parole chiave: turismo, narrazione, immagine, natura, paesaggio, postmodernità, estetica.

1. Parole e immagini
In questo intervento si tratterà del rapporto complesso fra parole – costruzione del discorso –
e immagini – produzione di estetiche. Ciò nella convinzione che le modalità con le quali
raccontiamo e rappresentiamo il mondo strutturino il progetto con il quale da sempre tentiamo
di modificarlo (Farinelli 2003). Tanto più che oggi, nella costruzione di luoghi reali, la nostra
percezione è sempre più condizionata non tanto dall’esperienza diretta che ne facciamo,
quanto dalla circolazione immateriale di questi luoghi sotto forma di immagini.
I luoghi del turismo sono naturalmente un campo privilegiato per osservare questo fenomeno.
In essi si invera precocemente una dinamica oggi egemone, vale a dire il dominio della vista
su tutti gli altri sensi e l’esperienza dei luoghi sulla base di un’aspettativa creata
precedentemente dalla fruizione di immagini. Scrive Mark Twain nel 1869: «andammo alla
cattedrale di Notre-Dame. Ne avevamo già sentito parlare. Qualche volta mi stupisce pensare
quanto conosciamo e quanto siamo intelligenti. Riconoscemmo la sua mole gotica in un
momento. Era proprio come nelle immagini» (cit. in d’Eramo 2017, p. 34). Un fenomeno
definito sightseeing, letteralmente il «vedere le viste» (d’Eramo 2017, pp. 35-39).
La «visione» – intesa come dispositivo epistemologico fondativo della Modernità (Farinelli
2003) – è intimamente legata al tema del linguaggio come elemento creatore, vale a dire come
strumento più normativo che descrittivo. Wilhelm von Humboldt parla del linguaggio come
«organo formativo del pensiero» (Jakob 2008, p. 26): «il linguaggio è a livello dei sensi lo
strumento grazie al quale l’uomo si forma, così come il mondo che abita» (cit. in Jakob 2008,
p. 26). Immagini e parole : due elementi decisivi nella costruzione dei luoghi. Limitandoci
all’epoca contemporanea, la città si è vieppiù definita come «spazio narrativo» (Secchi 1984).
Il discorso sulla e della città ha per lungo tempo costituito una potente rappresentazione di
progetti sociali, spesso sotto il segno dell’utopia. Tuttavia, con la fine dell’industrialismo e la
crisi dell’idea di progresso, la nozione di nostalgia ha assunto una nuova centralità (Paquot
1996, p. 67). L’utopia sembra esser stata sostituita dalla «retrotopia» (Bauman 2017). Questo
ripiegamento verso il passato ha trovato alimento nella crescente importanza dello
storytelling, versione settoriale e «commerciale» delle ormai defunte grandi narrazioni
(Lyotard 1979). I luoghi turistici sono un campo privilegiato per comprendere questa
«fictionnalizzazione» dello spazio, oggi indispensabile non solo per la vendita di qualsivoglia
progetto, ma soprattutto per la costruzione concreta di luoghi protetti ad alto potenziale
seduttivo, il marketing urbano. Si può dire infatti che l’epoca postmoderna accentui e
radicalizzi il dispositivo visivo/narrativo caratteristico dei luoghi del loisir turistico, già
osservabile nei primi esempi risalenti all’Inghilterra di fine Settecento, e generalizzatosi in
tutta l’Europa continentale con la diffusione della villeggiatura borghese nel corso
dell’Ottocento (Toulier 2016).

2. Una reazione culturalista


Questa radicalizzazione del dispositivo visivo trova nuova linfa nel travagliato percorso che
ha rimesso in discussione la cultura modernista a partire dagli anni Settanta. Già nei primi
anni Ottanta, il dibattito pareva strutturarsi attorno a due correnti: una progressista, l’altra
culturalista (Colquhoun 1981; Choay 1965, p. 16). Se il progetto moderno si nutriva di

1395
rappresentazioni di società, quello postmoderno si nutre di immagini, da cui è espunta ogni
nozione di conflitto. L’affermarsi, alla metà degli anni Ottanta, degli eterogenei e spesso
contraddittori revival neo storicisti, accomunati da un approccio architettonico formalista, ne
è un esempio significativo. Dapprima nel campo della critica architettonica (Jencks 1988) e
successivamente in ambito filosofico (Jameson 2007, Harvey 1997), diverse analisi –
soprattutto anglosassoni – hanno sottolineato il ripiegamento conservatore delle istanze
sinceramente progressiste partorite all’epoca della contestazione : «ciò che hanno sognato i
postmoderni, l’hanno realizzato i populisti, e nel passaggio dal sogno alla realtà si è capito
davvero di cosa si trattava» (Ferraris 2012, p. 6).
Nel 1984, Peter Eisenman, sancendo il tramonto dell’idea di classico in architettura, sottolinea
come esso significhi The End of the Begining, the End of the End (Eisenmann 1984), una
formula che sembra richiamare quella della «fine della storia», di lì a poco formulata sulla
scorta degli avvenimenti del 1989 (Fukuyama 1989). Sembra ormai possibile parlare di
«presentismo» come caratteristica peculiare di un nuovo regime di storicità (Hartog 2003), il
quale si sostanzia a livello retorico in una visione banalizzata e consolatoria di un passato
idealizzato. L’affermarsi del neostoricismo sembra essere l’unico risultato davvero coerente
della spesso contraddittoria polemica contro il modernismo portata avanti dagli eterogenei
sostenitori del -post. L’affermazione di questa corrente stilistica sarà tuttavia effimera e molti
dei suoi sostenitori revocheranno in dubbio le proprie certezze, primi fra tutti Charles Jencks,
principale alfiere del postmodernismo nelle forme anarchico-sovversive dell’«eclettismo
radicale»1. Questo «ritorno all’ordine» si mostra però coerente – e funzionale – con un altro
fenomeno, ben più pervasivo e di lunga durata: la riconquistata supremazia della facciata in
campo architettonico, in altre parole la riduzione dell’architettura a mero strumento
comunicativo (Ferrari 2013, pp. 185-233). Il ritrovato significato simbolico della facciata,
lungi dal realizzare la rinnovata empatia con le masse agognata da Robert Venturi, viene
strumentalizzato dalle logiche del marketing. La versione banalizzata della storia, della
memoria, del luogo e delle radici – i progetti di Leon Krier ne sono il prototipo, ma
innumerevoli sono le repliche successive più commerciali – diventano un formidabile
strumento di seduzione2. E cosi il popolare si fa populista. La causa di tutto ciò è di ordine
fondamentalmente epistemologico, ed è strettamente legata ancora una volta al dominio
dell’immagine e alla conseguente dicotomia tra significato e significante – o tra funzione ed
estetica (Colquhoun 1978) – come tratto costitutivo del «facciatismo mercantilista»: «le
postmodernisme, en se focalisant exclusivement sur l’image, en séparant la signification des
autres questions institutionnelles, ne s’est-il pas délibérément livré aux forces de la
marchandisation, stimulant même son expansion dans le domaine de l’architecture?»
?? (McLeod 1989). Ciò conferma il carattere fondamentalmente ambiguo della critica portata al
modernismo e con esso alla Modernità (Habermas 1981). Negli anni Ottanta, la vittoria del
postmodernismo nella sua versione mediatico-populista rappresenta uno dei segni più
tangibili del successo del postmoderno, per quanto ne perverta alcuni degli obiettivi
politicamente più importanti: «i danni non sono venuti direttamente dal postmoderno, il più
delle volte animato da ammirevoli aspirazioni emancipative, bensì dal populismo, che ha

1
La parabola di Jencks è in tal senso emblematica: dopo un iniziale entusiasmo per le teorie del Principe Carlo e
la sua polemica contro il Modernist Establishment in nome di un ritorno alla tradizione e alle forme locali,
Jencks criticherà l’eccessiva rigidità del neostoricismo di declinazione inglese, paventando il rischio di un nuovo
riduzionismo totalitario uguale e contrario a quello modernista (Jencks 1989, pp. 24-29; Jencks 1979, p. 128;
Ferrari 2013, pp. 101-133)
2
A tal proposito, Jürgen Habermas distingue fra il «travestitismo pop» di Venturi e Léon Krier, appartenente
invece agli «antimodernisti radicali». Questi ultimi contestano alla radice la società industriale e le sue
conseguenze sul progetto e la costruzione, con l’esplicito obiettivo di omogeneizzare la cultura architettonica,
eliminandone le differenze: «quello che per i primi era un problema di stile, per i secondi è piuttosto una
questione di ricostruzione di un mondo che è stato distrutto» (Habermas 1982, pp. 22-31).

1396
beneficiato di un potente anche se in buona parte involontario fiancheggiamento ideologico da
parte del postmoderno» (Ferraris 2012, p. 6).

3. L’omnipaysage e la sparizione dell’architettura


L’atteggiamento nostalgico seguito alla morte dell’utopia – il ritorno all’ordine, ad una città di
media dimensione e dalla forma controllabile e definita – è perfettamente coerente con la
visione turistica del mondo: l’ossessiva ricerca dell’autentico – del primitivo, del genuino, del
non addomesticato – tipica del turista ha nella «religione del naturale» uno dei suoi cardini
retorici (D’Eramo 2017, pp. 65-70). Contrapposti alla realtà urbana, molti dei luoghi
dell’evasione – dell’altrove – sono stati il primo campo di sperimentazione di un certo tipo di
narrazione incentrata sul tema della nostalgia della natura. L’omnipaysage (Jakob 2008, p. 7)
– la presenza in tutti i campi e in tutti i registri del discorso, da quello specialistico a quello
più popolare, del termine paesaggio – ne è un segnale emblematico. In questo senso, si può
definire il paesaggio come una «figura» – metafisica influente, descrittiva e performativa –
della realtà contemporanea (Secchi 1984). Nel momento in cui il territorio, alla fine del XX
secolo, diventa progressivamente più frammentario e illeggibile – tanto da un punto di vista
concettuale che da un punto di vista amministrativo – (Jakob 2008, p. 10), l’idea di paesaggio
assume un importanza centrale. Trattandosi di un dispositivo essenzialmente visivo, esso
risponde al sentimento di perdita definitiva del legame con la natura, radicalizzando una
nuova percezione sintetico-emozionale dei luoghi. La «tutela» del paesaggio diviene una
strategia per ridefinire – e rendere dunque in qualche modo percepibili – delle realtà altrimenti
eterogenee e inafferrabili.
Da un punto di vista più banalmente architettonico, oggi non esiste progetto che non faccia
ricorso ad un’estetica evocante la natura. L’urgenza, ovviamente giustificata, della questione
ambientale ha potenziato questa tendenza, legittimando una serie di proposte e di
realizzazioni che promettono di rendere la città di domani più accogliente e armoniosa grazie
ad architetture sempre più «naturali»: muri vegetali, boschi verticali, orti urbani, agricoltura
periurbana sono solo alcuni esempi fra i tanti possibili. Il discorso che accompagna questi
progetti è desunto integralmente dal campo semantico della natura. L’habillage vert occulta
l’architettura in quanto oggetto artificiale, sottoponendola ad una sorta di green washing. In
questo senso, l’occultamento dell’architettura sembrerebbe inverare un fenomeno già descritto
da Manfredo Tafuri come tipico della Postmodernità, vale a dire la trascurabilità dell’oggetto
architettonico3: «l’architettura, da oggetto assoluto diviene valore relativo» (Tafuri 1974,
p. 96).

4. Il turismo e l’estetizzazione del mondo


I luoghi turistici sono un campo d’osservazione privilegiato, poiché in essi si invera in modo
radicale – e dunque banale – una dinamiche ormai pervasiva: la banalizzazione del discorso
ecologista, trasformato in semplice strumento di marketing. Cosa intendiamo però
esattamente per luoghi turistici? È possibile circoscriverli? O non è piuttosto utile riconoscere
che queste dinamiche sono costitutive della modernità e che il dispositivo turistico è
profondamente connaturato alle nostre modalità di percezione del mondo?
Si tratta ormai di un fenomeno percettivo e performativo strutturante qualsivoglia realtà
costruita: dai centri storici da cartolina alla proliferazione di festival, strategie accomunate
dalla necessità di «raccontare» i luoghi attraverso immagini tipizzate e dunque seduttive, una
narrazione localista – e perciò tipicamente culturalista – sperimentata un tempo in luoghi
«eterotopici» e circoscritti, è oggi dilagata non solo al di fuori dei classici luoghi del loisir
3
Un capitolo di Progetto e Utopia è interamente dedicato alla questione: L’architettura come oggetto
trascurabile e la crisi dell’attenzione critica (Tafuri 1974, pp. 91-116).

1397
borghese Ottocentesco, ma anche al di là delle località del turismo di massa tipiche del
dopoguerra.
L’Italia, paese turistico per eccellenza, è in tal senso un punto di osservazione privilegiato.
L’egemonia retorica della nostalgia precedentemente richiamata è nel nostro paese
particolarmente flagrante, basti pensare al refrain del Belpaese «snaturato dalla Modernità».
Certamente, il problema ambientale è oggi centrale nell’elaborazione di un nuovo modello di
sviluppo e il suo rapporto con il progetto architettonico e urbano è ovviamente decisivo.
Tuttavia, la tutela dei centri storici e tutto l’armamentario legislativo messo in campo a partire
dagli anni Settanta – per ragioni all’epoca assolutamente condivisibili – ha prodotto troppo
spesso un approccio formalista al problema. Il green washing poc’anzi citato e oggi dilagante
è l’altra faccia della stessa medaglia : tutela del patrimonio storico e vegetalizzazione delle
nuove costruzioni rivelano un attitudine che tende a sottovalutare – se non ad ignorare – le
ben più importanti e decisive questioni economiche e sociali che concorrono alla produzione
dello spazio.
La deriva «estetizzante» è insomma un sintomo evidente, tanto più grave in un ambito
«militante» come quello ecologista e della tutela, dell’espulsione del politico dalla sfera del
progetto. La questione è infatti profondamente politica: la natura livella e omogeneizza, in un
sogno di egualitarismo. A proposito del recente progetto per una città di 1.400.000 abitanti in
Cina, concepito da Stefano Boeri Architetti e denominato Liuzhou Forest City, scrive Marco
Biraghi: “la città senza architettura di Boeri Architetti è una città (apparentemente) priva di
differenze di ‘classe’, di distinzione di ceto economico o sociale, di discriminazioni di
qualsiasi tipo. In quanto città ‘fatta’ di natura, tale città supera le disuguaglianze insite negli
(arte)fatti umani, per accedere a una sorta di ‘democraticità’ della natura” (Biraghi 2017).
Una risposta ricorrente a quest’accusa di estetizzazione superficiale è che si tratti di una
banalizzazione del pensiero ecologista, così come del progetto di tutela dei beni architettonici.
È vero che, almeno a partire dagli anni Ottanta, si è affermata una nuova coscienza, biologica
ed evolutiva – più «scientifica» – della questione, apparentemente lontana dall’atteggiamento
contemplativo in auge dalla metà del XIX secolo. L’uso del termine ambiente in luogo di
paesaggio ne sarebbe un esempio. Lontana dalla nozione «estetizzante» che qui si vuole
criticare, questa evoluzione sarebbe testimoniata anche dal susseguirsi della legislazione.
Dalla prima legge organica di «protezione delle bellezze naturali» (1922) alla legge recante
«disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale», più
conosciuta come legge Galasso (1985), si può osservare lo spostamento da un paradigma
artistico e contemplativo a uno in cui la natura e il centro storico sono pensati come un valore
biologico e ambientale (D’Angelo 2012, pp. 155-156). Ed è vero che nelle dichiarazioni e
prese di posizione pubbliche del mondo dell’associazionismo – da Italia Nostra al WWF –
questo secondo approccio è esplicitamente affermato e difeso. In realtà – faccio mie le parole
di Paolo d’Angelo – si tratta di una giustificazione a posteriori, che nasconde – per quanto in
buona fede – la persistenza del paradigma estetico di fine Ottocento incentrato sulla nozione
di monumento: «[…] con tutta probabilità, quell’interesse estetico nei confronti della natura
attestato dall’associazionismo [e dalla legislazione poc’anzi citata, n. d. a.] di inizio secolo ha
solo mutato vesti, e ora larvatus prodit, si dissimula e si nasconde sotto le spoglie
ambientaliste. L’interesse per l’ecologia è molto spesso un interesse estetico déguisé. La
difesa della natura buona è spesso una difesa della natura bella, che però ritiene più
produttivo, più serio, più adeguato alla drammaticità della situazione non confessare le
proprie radici estetiche» (D’Angelo 2012, pp. 156 e ssgg.). Il successo presso il grande
pubblico è dovuto esattamente a questo inconfessato dispositivo estetico: il ricorso ad una
serie di immagini nostalgiche sostenute da una narrazione tipicamente culturalista si mostra
molto più seduttivo ed efficace di un freddo discorso biologico-politico.

1398
5. Un dispositivo reazionario
La retorica consensuale oggi imperante ha trovato nell’estetizzazione del discorso ecologista e
della tutela un formidabile strumento, che unisce al genius loci il mito seducente del ritorno
allo stato originario. Tutto ciò si basa un sostanziale fraintendimento della nozione di
paesaggio, che prescinde dalla sua genealogia storica : se il paesaggio rappresenta lo stato di
natura – una natura naturata in cui ci si rifiuta di vedere il ruolo decisivo del dato antropico –
la strategia messa in campo non può che essere quella della tutela, mantra invocato
incessantemente per rispondere ai guasti di un modello di sviluppo ormai obsoleto. Ma questo
approccio impedisce di pensare al paesaggio in termini progettuali. A ben vedere, tutto ciò è
conseguenza della trasformazione in oggetto del paesaggio, della sua reificazione. Il
paesaggio è al contrario una modalità di percezione. Esso è nato e si è sviluppato dal XV
secolo – prima come genere di pittura e successivamente come categoria descrittiva – e si
definisce come «natura percepita attraverso una cultura» (D’Angelo 2014, pp.14-15). Inoltre,
la riduzione del paesaggio a «cosa da tutelare» provoca la scomparsa delle nozione, ben più
evolutiva, di territorio. La più vera essenza del territorio, così come stabilita dalla tradizione
geografica classica, è invece l’impossiblità di dissociare la dimensione spaziale da quella
temporale: « Les constructions territoriales sont avant tout du temps consolidé » (Roncayolo
1997, p. 20).
La fissità formalista dello sguardo turistico nega questo divenire, attraverso la produzione di
immagini fortemente identitarie, dunque a-politiche. L’estetizzazione del dato politico
(Farinelli 2012, p. 14), caratteristica della Postmodernità, sembrerebbe insomma
indissociabile dalla costruzione turistica della realtà : «il reale si cristallizza, è un oggetto da
contemplare, immodificabile. Per questa via l’estetizzazione della politicità del paesaggio si
realizza in una paradossale operazione anestetica. Il dato politico diventa invisibile,
estetizzandosi» (Assennato/Masiero 2015, p. 18). L’approccio formalista si configura
insomma come una vera e propria «utopia regressiva» (Tafuri 1974, pp. 40-47).
Basterebbe poco per rendersi conto che il paesaggio è invece una costruzione storica
complessa, in cui il dato estetico, la sua «forma», è frutto di un’operazione di «iconizzazione»
effettuata a posteriori. Emilio Sereni, nel suo celebre studio sulla nascita e l’evoluzione del
paesaggio agrario italiano, descrive il paesaggio tosco-umbro-marchigiano, sottolineando
come nella sua genesi i fattori economico-produttivi si intreccino a questioni simbolico-
rappresentative, in una sintesi mirabile – ma instabile e in costante evoluzione, dunque ben
lontana dall’immagine sterilmente cristallizzata dei suoi «difensori» odierni – tra fattori
antropici e naturali (Sereni 1961). In nome della valorizzazione e della tutela e in reazione a
una stagione in cui senza dubbio il nostro paese è stato vittima di scempi urbanistico-
ambientali, il rischio è grande : cristallizzare i nostri paesaggi in immagini ad alto potenziale
seduttivo significa ridurre la profondità del reale ad un quadro immobile, una situazione di
impasse di cui testimoniano le ormai centinaia di siti Unesco, emblematici delle
contraddizioni insite in un tale approccio. Ridurre il paesaggio a «cosa» significa insomma
consegnarlo alle dinamiche di valorizzazione commerciale e accentuarne la deriva turistica a
parole tanto deplorata. Il nostro paesaggio è invece frutto di un equilibrio instabile fra natura
ed artificio ed è inscritto in una storia economica e produttiva che richiede di essere
interpretata alla luce di una modernità tutta da reinventare. Tutto ciò comporta un progetto
agli antipodi rispetto ad una semplicistica tutela che, rifugiandosi in un passato tanto
affascinante quanto irreale, tradisce un approccio che è difficile non definire reazionario.

Bibliografia
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1399
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1400
Istanbul: apogeo e declino di una ‘capitale’ del turismo
(2010-2017)
Emiliano Bugatti
Yeditepe University of Istanbul – Istanbul – Turkey
Luca Orlandi
Istanbul Technical Univesity – Istanbul – Turkey
Parole chiave: Istanbul, turismo, terrorismo, cultura, turismo medico, centri commerciali.

1. Introduzione
‘Da Istancool a Istanboh?’, questo potrebbe essere ironicamente, ma forse anche
tragicamente, il tema principale di questo contributo, in cui si cerca di sintetizzare gli eventi e
gli sviluppi di Istanbul nel corso degli anni passati, considerando il potenziale turistico di cui
ha goduto per un breve periodo e la crescente paura innescata dai tragici e recenti eventi
terroristici. Questo contributo vuole quindi riflettere sul tipo di turismo a Istanbul, i suoi flussi
e le sue mete, e implicitamente, sulle conseguenze portate al settore dagli attacchi terroristici
tra il 2010 e il 2017, cercandole di analizzare attraverso i dati raccolti in questa prospettiva.
Recentemente si é riscontrato un cambiamento del panorama turistico in città, meno affluenza
in certi quartieri, una volta ambiti, e cambio radicale della provenienza dei flussi dei turisti
stessi. Partendo da questo dato percettivo ci siamo chiesti come i drammatici eventi che si
sono concentrati soprattutto dal 2015 in poi abbiano portato o meno a questa metamorfosi,
aiutati in qualche modo da un paese che ha a sua volta, dall’ascesa del partito di governo AKP
nel 2002, impresso un voluto cambiamento nella società turca contemporanea. Consultando
principalmente le fonti primarie delle statistiche fornite dalle istituzioni statali turche 1,
abbiamo cercato di analizzare criticamente i flussi turistici confrontandoli con la mappatura
degli avvenuti attacchi terroristici. La percezione iniziale che il turismo fosse calato si è
rivelata corretta ma il flusso turistico non si può dire che sia crollato come poteva sembrare; il
turismo di Istanbul è cambiato notevolmente, e il terrorismo ha contribuito alla forte riduzione
della presenza degli occidentali, ma contemporaneamente ha portato altri flussi di turismo - in
prevalenza provenienti da paesi musulmani – come i paesi arabi e quelli medio-orientali ma
anche dell’area centro asiatica, che stanno contribuendo a definire un nuovo panorama
turistico, non più culturale ma legato al commercio ed al settore medico2.

2. 2010 Istanbul Capitale Europea della Cultura


Già a partire dagli inizi degli anni 2000 si aveva il sentore che la città stava uscendo da una
fase durata decenni di chiusura per entrare a pieno titolo tra le grandi metropoli del mondo,
riflesso di economie e politiche globali, che l’avrebbero portata negli anni avvenire, a
diventare un vero hub tra culture diverse per tradizione e storia. Pur essendo, almeno dal
secolo scorso, una meta di destinazione turistica, Istanbul ha avuto in tempi recenti un
crescente interesse per il turismo culturale che aveva favorito l’afflusso proveniente dai paesi
occidentali. Turismo non solamente legato ai classici stereotipi orientalisti, ossia di venire in
città per deliziarsi di atmosfere esotiche ed orientali fatte di viste di tramonti sul Bosforo, di
cupole, di minareti svettanti e di odori di spezie. Al contrario, a partire dall’inizio degli anni

1
I dati sui flussi turistici attingono dalle statistiche del T.C. Kültür Ve Turizm Bakanliği - Istanbul Il Kültür Ve
Turizm Müdürlüğü, (Direzione Generale del Ministero della Cultura e del Turismo).
(http://www.istanbulkulturturizm.gov.tr/TR,71515/turizm-istatistikleri.html)
2
Per quanto riguarda il cosiddetto turismo legato esclusivamente allo shopping e al benessere, inteso come
cliniche per la salute e per la chirurgia estetica, si veda riferimenti alla nota 22 e 23.

1401
2000 si era visto un crescente interesse per la città che riguardava gli aspetti culturali legati ad
una Istanbul più contemporanea, una città che in pochi anni sarebbe diventata la città più cool
del mondo3.
Tra gli eventi di quegli anni basta ricordare il congresso internazionale di architettura UIA
2005, il cui tema principale era proprio il Gran Bazaar dell’architettura4, con il riferimento
agli scambi culturali tra Est e Ovest, seguito a due anni di distanza dall’apertura verso
Istanbul e la cultura del design contemporaneo turco al Salone di Milano edizione 2007 con la
mostra “İlk in Milano”, vera carta da visita di quanto stava accadendo in campo culturale in
quegli anni. Un forte contributo arrivò anche da altri settori, come nel caso del cinema, dove il
film “Crossing the Bridge. The Sound of Istanbul” del regista turco-tedesco Fatih Akın
presentò ad un pubblico prevalentemente occidentale il variegato e multicolore soundscape
della città; oppure nel caso dello scrittore Orhan Pamuk, che vinse il Premio Nobel per la
Letteratura proprio nel 2006, aumentando l’interesse per Istanbul e per la Turchia in genere a
livello mondiale5. Nel 2008 è la mostra “Becoming Istanbul” al DAM di Francoforte che
suscita parecchio interesse per i contenuti con i quali vengono presentati tutti gli aspetti,
anche quelli più contraddittori, legati alla città e alle sue dinamiche6.
Nel 2010 Istanbul è quindi pronta per essere la protagonista indiscussa di una serie di eventi a
carattere culturale di altissima risonanza avviate da una delle più prestigiose organizzazioni
internazionali: Capitale Europea della Cultura. Fortemente voluta dalle amministrazioni locali
si realizza finalmente il sogno, iniziato nel 2006, di veder riconosciuta la ex capitale
ottomana, romana e bizantina, come città simbolo della cultura del Mediterraneo e
dell’Europa stessa, in un periodo di grandi aspettative e di distensione tra l’Unione Europea e
la Repubblica di Turchia. In quell’anno si decuplicano le attività culturali e l’offerta sembra
non avere fine: accanto a tutte le iniziative pubbliche si aggiungono gli eventi voluti da nuove
piattaforme culturali come il progetto Istancool o Istanbul’74, legati all’International Art &
Culture Festival che formalmente coordinava tutte le iniziative durante quell’anno ad
Istanbul7. Bisogna osservare che con il 2010 non si esaurisce ancora la spinta al crescente
flusso turistico determinato da quanto la città continua ad offrire e, anche in seguito agli
eventi legati alla rivolta cosiddetta di Gezi Park, sembra che il turismo sia ancora in crescita,
malgrado la piega irreversibile di nuova chiusura che ormai il paese sembra aver preso8. Una
analisi precisa di quello che avviene subito dopo Gezi Park e la successiva repressione e
cambio di regia nella guida del paese, con inevitabili conseguenze sul turismo culturale, viene

3
Secondo molte riviste di tendenza e di immagine di quegli anni Istanbul era riconosciuta come una capitale per
gli eventi notturni, per i locali più alla moda, per i nuovi fenomeni legati soprattutto a moda, design.ed arte
contemporanea. Si veda Newsweek del 29 agosto 2005 con tutto uno speciale su Istanbul dal titolo “Cool
Istanbul” e la guida Wallpaper* Istanbul City Guide, pubblicata da Phaidon nel 2006. Nel Maggio 2007 éinvece
una rivista prestigiosa di architettura e design, Abitare, a dedicare un intero numero monografico alla città sul
Bosforo.
4
Il congresso fu voluto dalla International Union of Architects ed ebbe un grande eco a livello mediatico sia sul piano
nazionale che internazionale. (http://www.uia-architectes.org/en/participer/congres/5748# WWisu OlLdPY)
5
A seguito di questo successo a livello mondiale di Orhan Pamuk, subito tradotto in moltissime lingue, la
Turchia vide il riconoscimento nel campo letterario nel 2008, come Ospite d’Onore della prestigiose Buch Messe
di Francoforte, in Germania. (http://www.buchmesse.de/de/fbm/)
6
La mostra, curata da Pelin Derviş, Bülent Tanju e Uğur Tanyeli, ebbe grande successo e portò in seguito alla
sua replica ad Istanbul con una pubblicazione dallo stesso titolo “Becoming Istanbul, an encyclopedia” ed una
serie di eventi ed incontri realizzati presso l’istituzione culturale SALT Galata.
7
Per tutte le informazioni riguardanti le attività, le statistiche ed i risultati di Istanbul 2010 Capitale Europea
della Cultura, si veda il lavoro: A. Aksoy, Z. Enlil. Cultural Economy Compendium. Istanbul 2010, Istanbul
Bilgi Press 360, Istanbul, 2011.
8
The Guardian pubblica una nuova guida “Istanbul city Guide” nel 2012, definendo la città come ‘the coolest
city in Europe’ e secondo il ranking di Trip Advisor ancora nel 2014 Istanbul é la migliore destinazione al
mondo. Si veda Dailymail.co.uk dell’8 aprile 2014.

1402
infine espresso in una pubblicazione che sembra proprio porre fine ad un’epoca9, per lasciarne
intravvedere un’altra che si affaccia in maniera violenta e radicale a partire dalla seconda
metà del 2015 e che ancora – purtroppo – interessa le dinamiche interne del paese.

3. Attentati terroristici e flussi turistici 2010-2017


Nel 2010 il ricordo degli attacchi terroristici è relativamente lontano. Gli ultimi risalgono al
2003 e al 200810. L’anno in cui Istanbul è Capitale Europea della Cultura scorre senza
tensioni sino all’autunno quando il 31 ottobre un kamikaze appartenente all’organizzazione
secessionista curda TAK si fa esplodere nella centrale piazza Taksim vicino ad un presidio di
Polizia, si contano 32 feriti11. Alla fine del 2010 il bilancio sull’arrivo di turisti in città non è
esaltante, leggermente al di sotto delle cifre del 2009 (6 960 980 contro i 7 509 741 dell’anno
precedente). Da questo momento sino al 2015 si registra però un notevole incremento del
flusso turistico che sale costantemente: nel 2011 con 8 057 879 visitatori, nel 2012 con 9 381
670, nel 2013 con 10 474 867, nel 2014 con 11 842 983 e infine nel 2015 con 12 414 677
presenze. In questi cinque anni la città si consolida come meta globale del turismo. Il 2015
segna diversi attacchi. L’intervento turco nella guerra in Siria rendono Istanbul un obiettivo
sensibile per la destabilizzazione del paese. Il primo attentato del 6 gennaio 2015 porta la
firma dell’ISIS e colpisce la stazione di polizia di Sultanahmet12.
Lo stesso anno nel mese di dicembre viene colpita la stazione della metropolitana di
Bayrampaşa, nella vicina periferia ad ovest della penisola storica senza nessuna vittima, e
poche settimane dopo un esplosione interessa il secondo aeroporto della città sul lato asiatico
Sabiha Gökçen, si l’attentatore come unica vittima13. Il 2016 è l’anno nero. Vengono colpite
diverse aree della città, tra cui alcuni luoghi simbolo del turismo. Nello stesso anno la città è
scossa dal tentato golpe del 15 luglio. Il 12 gennaio 2016 nell’ippodromo di Sultanhamet
vicinissimo all’obelisco di Teodosio un kamikaze dell’ISIS si fa esplodere in mezzo ad una
comitiva di turisti, 13 persone uccise, 12 tedeschi14. Inizia un inesorabile calo del turismo
culturale. La vulnerabilità del sistema di sicurezza spaventa soprattutto gli europei. Due mesi
dopo, il 19 marzo un kamikaze dell’ISIS si fa esplodere nella via Istiklal, principale arteria
storica e commerciale del quartiere di Beyoğlu, 4 vittime (tre israeliani e un iraniano) e 36
feriti15. Un altro simbolo del turismo viene colpito.
9
Ci si riferisce al testo prodotto proprio sulle testimonianze a caldo degli eventi dell’estate del 2013, in cui
vengono denunciati i grandi cambiamenti che porteranno così tanti problemi al già fragile stato turco. D. Özkan
(ed.), Cool Istanbul. Urban Enclosures and Resistances, transcript Verlag, Bielefeld 2015.
10
Nel mese di novembre del 2003, diverse autobomba attaccarono a distanza di pochi giorni due sinagoghe e
successivamente il Consolato Britannico nel centrale quartiere di Beyoğlu e Galata e la sede della banca HSBC a
Levent, con un bilancio di 53 persone uccise e centinaia di feriti (attentati rivendicati da Al Quaeda). Il
successivo attentato risale all’estate del 2008 quando nel quartiere europeo di Güngören due esplosioni hanno
ucciso 17 persone (attentato non rivendicato ma attribuito dalle autorità al PKK).
11
“Istanbul suicide blast injures 32, including 15 police” (http://www.bbc.co.uk/news/world-europe- 11660795).
BBC News Online. London. 31 ottobre 2010. Archived (https://web.archive.org/web/2010110
1055420/http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-11 660795 dall’originale de 1 novembre 2010.
12
Una donna cecena si fa esplodere nel quartiere turistico per eccellenza della città, solo due agenti vengono
feriti. “BBC News - Turkey bombing: Female suicide attacker hits Istanbul police station” (http://www.bbc.
com/news/world-europe-30701483). BBC News. 6 gennaio 2015.
13
https://www.theguardian.com/world/2015/dec/27/kurdish-rebels-claim-responsiblity-for-deadly-istanbul-
airport-blast. “BBC News - Istanbul metro blast ‘causes injuries’ - Turkey media” (http://www.bbc.com/news/
world-eu rope -349782329. BBC News. 1 dicembre 2015.
14
“Explosion in Istanbul Turkey causes casualties in tourist-heavy Sultanahmet district” (http://www.cbs
news.com/new s/explosion-istanbul-turkey-casualties-sultanahmet-district-tourists/). www.cbs news. com. 12
gennaio 2016.
15
“Istanbul Bomber Identified as Militant With Links to IS” (https://www.nytimes.com/
aponline/2016/03/20/world/euro pe/ap-eu-turkey-explosion.html). New York Times. AP. 20 March 2016. 20
marzo 2016.

1403
Fig. 1. mappatura degli attacchi terroristici tra il 2010 e il 2017: 1_Taksim 2010; 2_Sultanahmet
2015; 3_Bayrampaşa 2015; 4_Aeroporto Sabiha Gökçen; 5_ Sultanahmet 2016; 6_Istiklal 2016;
7_Vezneciler 2016; 8_Aeroporto Internazionale Atatürk;9_Beşiktaş 2016; 10 Reina 2016.
(diagramma degli autori)
Il 7 giugno un autobomba attacca un autobus della polizia nel quartiere di Vezneciler, nel
cuore della penisola storica, vicinissimo alla fermata della nuova linea metropolitana.
L’attentato viene rivendicato alcuni giorni dopo dai separatisti curdi del TAK, 13 persone
rimangono uccise e una cinquantina ferite. La facciata dell’hotel Celal Aga SPA viene
completamente sfigurata e la vicina Istanbul University viene chiusa. Nello stesso mese di
giugno viene colpito l’Aeroporto Internazionale Atatürk, principale approdo turistico della
città. Un commando di centro asiatici appartenenti all’ISIS entra nell’aeroporto con armi
automatiche e pronti a farsi esplodere. Bilancio di 48 morti, metà dei quali turchi, e 230
feriti.16 A peggiorare la situazione per gli arrivi di turisti è il tentato golpe del 15 luglio; oltre
alle violenze urbane, l’Aeroporto Internazionale Atatürk viene occupato dall’esercito e
migliaia di turisti rimangono bloccati in aeroporto accampati alla bene meglio per tutta la
notte. L’anno si conclude con un attacco rivendicato dai curdi del TAK ad un presidio di
polizia vicino allo stadio del Beşiktaş, due potenti esplosioni scuotono e illuminano la notte
della città con un bilancio di 48 morti di cui 38 agenti e 166 feriti. Alla fine del 2016 il flusso
di visitatori scende a 9 203 987 unità con una perdita di più di tre milioni di turisti rispetto al
2015. Il 2016 finisce e inizia il 2017 con l’attentato al Reina locale notturno affacciato sul
Bosforo vicino al borgo di Ortakoy. L’attentatore entra nel locale durante il veglione di
Capodanno e apre il fuoco sulle persone festanti, 39 morti e 70 feriti. Non ci sono europei tra
le vittime, dei 39, 19 sono turchi e 22 provengono da diversi paesi arabi, anche se si contano
alcuni feriti occidentali. Questo dato bene fotografa il cambio di profilo dei turisti e del
turismo di Istanbul come verrà sviluppato nel prossimo capitolo.

4. Turismo culturale vs turismo commerciale/medico


Tra il 2010 e il 2017 avviene un cambio del profilo del turista, sia per paese di origine sia per
obiettivi della visita.

16
M. Winsor. “Turkey Identifies Two of the Three Suicide Bombers in Istanbul Airport Attack”
(http://abcnews.go.com/International/turkey-identifies-suicide-bombers-istanbul-airport-
attack/story?id=40274048). abcnew.go.com. ABC News. 2 settembre 2016.

1404
Fig. 2. Flussi turistici, segue anno, numero complessivo ingressi e principali paesi di provenienza.
2010, 6 960 980, di cui 892 968 tedeschi, 407 431 russi, 403 579 italiani; 2011, 8 057 879, di cui
986 099 tedeschi, 489 766 russi, 444 894 statunitensi; 2012, 9 381 670, di cui 1 071 427 tedeschi, 537
784 russi, 485 086 statunitensi; 2013, 10 474 867, di cui 1 179 397 tedeschi, 503 019 statunitensi.
Le grandezze dei cerchi sono proporzionali alle quantità dei flussi. (diagramma degli autori)

Come si evidenzia dai diagrammi (figg. 2,3) i tedeschi restano per gli anni presi in
considerazione la prima presenza di turisti.17 Tra 2011 e il 2013 dopo i tedeschi troviamo i
russi e gli statunitensi con cifre intorno al mezzo milione di arrivi ciascuno. Dal 2014
qualcosa inizia a cambiare e dietro ai tedeschi compaiono gli iraniani che si confermano
seconda presenza cittadina sino al 2016. Nel 2015, dopo la crisi diplomatica causata
dall’abbattimento di un caccia russo da parte dei turchi, si registra una flessione degli arrivi
dei russi con una diminuzione di -32%. Nel 2016 i tedeschi rimangono i principali visitatori,
al secondo posto sempre gli iraniani con 648 176 presenze seguiti dai sauditi con 476 561
presenze. Gli attentati terroristici e la tensione nel paese spaventano principalmente gli
occidentali: per esempio le presenze italiane scendono nel 2016 a 168 083, -52%, quelle
statunitensi a 319 273, -43%. Tra i pochi turisti in aumento rispetto al 2015, spicca il dato dei
sauditi, + 15%, e dei giordani, +20%18.

Fig. 3. Flussi turistici, segue anno, numero complessivo ingressi e principali paesi di provenienza.
2014, 11 842 983, di cui 1 205 976 tedeschi, 590 920 iraniani, 589 950 russi; 2015, 12 414 677, di
cui 1 298 235 tedeschi, 755 707 iraniani, 562 377 statunitensi; 2016, 9 203 987, di cui 1 006 495
tedeschi, 648 176 iraniani, 476 561 sauditi. Le grandezze dei cerchi sono proporzionali alle quantità
dei flussi. (diagramma degli autori)

17
I tedeschi rimangono sempre in testa agli arrivi sino al 2017, infatti, dobbiamo considerare in queste cifre non
solo i turisti ma anche le visite saltuarie degli immigrati turchi alle loro famiglie
18
Dati del Ministero della Cultura e del Turismo. http://www.istanbulkulturturizm.gov.tr/TR,166187/istanbul-
turizm-istatistikleri-2016.html

1405
I dati sugli ingressi nei musei pubblici ci permette di valutare la pesante flessione del turismo
culturale nel 2016. Tra il 2011 e il 2015 il numero di ingressi per il museo di Santa Sofia e per
il palazzo del Topkapi sono sempre superiori ai tre milioni, con il picco del 2015 di 3 466 638
ingressi per Santa Sofia e di 3.252.524 per il Topkapi19. Nel 2016 gli ingressi a Santa Sofia
crollano a 1 225 677 e quelli del Topkapi a 1 250 25120. Questi dati assumono un significato
molto interessante per gli obiettivi di questo articolo se consideriamo che il numero totale
degli arrivi in città nel 2016 è però di poco superiore a quello del 2012. I visitatori della città
nel 2016 optano per altro tipo di turismo rispetto a quello culturale. Due sono i motivi
principali per visitare Istanbul: le cure mediche e la chirurgia estetica e lo shopping. In
entrambi i settori la città è diventata nell’ultimo decennio una meta globale. La Turchia è
diventata una delle mete più importante del continente asiatico per il turismo medico21.
Considerando che la maggioranza delle cliniche sono localizzate a Istanbul, circa mezzo
milione di turisti per motivi medici ha visitato la città nel 2014 22. Lo shopping che in passato
coinvolgeva i quartieri tradizionali del commercio, come il gran bazar, oggi si riversa quasi
completamente sui numerosi e avveniristici centri commerciali e outlet della città, chiamati
AVM.23 Costruiti in prossimità delle fermate della metropolitana o accessibili dalle
autostrade, il numero di queste strutture è impressionante, supera il centinaio, e come recita
orgoglioso il sito ufficiale dell’Istanbul Shopping Festival, il più importante evento per
attrazione del turismo dello shopping, il numero di centri commerciali a Istanbul è superiore a
quello complessivo di molti paesi europei.

Fig. 3. Diversi simboli di piazza Taksim, la nuova moschea in costruzione e il dismesso AKM pronto
per la demolizione. (foto degli autori)

19
Dati del Ministero della Cultura e del Turismo. http://www.kulturvarliklari.gov.tr/TR,43336/muze-istatistikleri.html
20
Dati del Ministero della Cultura e del Turismo. http://www.istanbulkulturturizm.gov.tr/Eklenti/49299,muze-
ziyaretci-sayilarimiz-2016pdf.pdf?0
21
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22
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www.hurriyetdailynews.com/turkey-sees-rise-in-medical-tourism—.aspx?
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23
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turkeys-largest-city-became-a-hub-for-arab-tourists.aspx PageID=238&NID=87876&NewsCatID=349

1406
5. Conclusioni
Il cambio del panorama turistico in città riflettere anche il cambiamento della società turca. Il
terrorismo e la recente svolta autoritaria della nazione ha fatto diminuire il turismo
occidentale. L’idea di creare una città cool che aveva potuto permettere Istanbul 2010 è
evaporata dopo il 2013 e gli eventi di Gezi Park. Questa tendenza non ha soltanto cambiato il
panorama umano dei nuovi turisti ma ha permesso l’inizio della trasformazione della città.
Una nuova attitudine orientalista con accenti islamisti sta emergendo e costruendo i suoi
simboli come nel caso eclatante della piazza Taksim, luogo degli scontri di Gezi Park del
2013 e simbolo della repubblica turca a partire dal 1923, dove il teatro dell’opera e centro
culturale polivalente AKM, dopo anni di (voluto) abbandono verrà probabilmente demolito.
Come a dimostrazione della tabula rasa delle istanze repubblicane e kemaliste a cui il partito
alla guida del paese da 15 anni ambisce, sul lato opposto della piazza verrà finalmente
costruita la nuova moschea neo-ottomana a ribadire, semmai ce ne fosse ancora il dubbio, la
nuova rotta intrapresa.

1407
La Promenade degli Angeli. Antropologia urbana
del post-attentato terroristico di Nizza
Giovanni Gugg
Università di Napoli Federico II – Napoli – Italia
Parole chiave: Antropologia Urbana, Attentato, Cordoglio collettivo, Disastro, Resilienza, Terrorismo, Turismo.

1. Introduzione: l’attentato terroristico come disastro urbano


Consultando la voce “disastro” nei recenti dizionari di scienze umane (da quelli di sociologia
e antropologia a quelli di filosofia, geografia e psicologia), si trovano definizioni piuttosto
ampie, per quanto concettualmente definite, in cui emergono alcuni elementi essenziali: la
presenza di vittime e di danni, lo shock, il senso di smarrimento e il processo sociale che tutto
ciò mette in atto. Nell’interpretazione fornita da Pietro Saitta, «quel termine, disastro, indica
generalmente una variegata e disomogenea serie di avvenimenti, accomunati dalla capacità di
produrre la percezione di una duratura e sostanziale frattura dell’ordine sociale, delle routine,
delle condizioni materiali e del senso di sicurezza propri di «comunità» di estensione
variabile, talvolta persino coincidenti col globo» (Saitta 2015, p. 9). Come si evince da queste
parole, la classificazione che distingue l’agente d’impatto all’origine del disastro in naturale e
antropico può avere un’importanza secondaria; ne ha certamente per ricostruire le dinamiche
dell’accaduto, per attribuire le responsabilità politico-giudiziarie e per l’elaborazione
collettiva che si avrà successivamente, ma per la crisi di senso che produce, un disastro è tale
se causato invariabilmente dalla natura, da un incidente tecnologico-industriale o da un atto
terroristico. Dal momento che si tratta di eventi per lo più improvvisi e brutali, la sensazione
di urgenza, il dolore, la disperazione che generano, ma anche l’incredulità e lo spaesamento
sono percezioni e sentimenti che accompagnano l’esperienza di tutti coloro che vivono un
disastro: la difficoltà di riconoscere ciò che sta accadendo e la fatica di credere ai propri occhi
(Cohen 2008, p. 37) sono turbamenti dei singoli e della collettività che pongono profonde
questioni esistenziali: come evidenzia Ariel Dorfman in un resoconto sul terremoto che ha
colpito il Cile nel 2010, «la tragedia che ci ha travolto è un’opportunità per chiederci chi
siamo veramente. Sarà questa la cosa più importante quando cominceremo a ricostruire, non
solo i nostri ospedali crollati o le autostrade bloccate, ma anche la nostra precaria identità»
(Dorfman 2010).
Dopo la perturbazione causata dall’evento nefasto, perché si avvii una fase resiliente, ossia di
riassorbimento dello shock e delle funzioni ordinarie (Cyrulnik, Malaguti 2005), deve prima
completarsi il cosiddetto “periodo di latenza” (Djament-Tran, Reghezza-Zitt 2012), che è di
durata mutevole e dipende da numerosi fattori fisici e sociali: dalla gravità del danno
all’intensità della vulnerabilità, dalle retoriche mediatiche e politiche alla minaccia di ulteriori
rischi. In questo periodo di inerzia, osserva Pierre George, sembra che «ogni paese
[contempli] con stupore l’immensità delle sue rovine» (George 1960, p. 2).
Nel pieno di questa fase in cui il tempo sembra sospeso si trova la città di Nizza, capoluogo
della Costa Azzurra, sconvolta nel suo luogo simbolo – la Promenade des Anglais – la sera
del 14 luglio 2016 da uno degli attentati terroristici più sanguinosi che la Francia abbia subito
nel secondo dopoguerra. Gli effetti di quell’atto sono molteplici e a vari livelli, sia sugli
individui che sulla collettività. Da una prospettiva antropologico-urbana, le conseguenze più
dirette sulla città sono state almeno tre: di ordine sociale, in quanto la coesistenza delle
minoranze cittadine ha avuto delle ripercussioni negative; di natura economica, giacché si è
registrata una sostanziale flessione del comparto turistico, prima voce del bilancio
dipartimentale; di tipo urbanistico, dal momento che è aumentata la già cospicua

1409
videosorveglianza pubblica e, soprattutto, sono state erette numerose barriere fisiche sul
celebre lungomare e nelle piazze principali.
Esattamente come dopo un disastro naturale, il trauma collettivo nizzardo ha avviato quello
che Marc Augé chiama “oblio di suspens”, ossia un tempo del rinvio in cui c’è una
dilatazione ad libitum del presente al fine di posticipare il riconoscimento di ciò che sta
accadendo o che è appena accaduto (Augé 2010, p. 77). L’incredulità e il disorientamento
provocano uno stato di incertezza, di attesa, di dubbi: l’ampiezza e la profondità dello shock
spezza la continuità tra il passato e il futuro, induce un disordine che può provocare un
perdersi e che, dunque, per essere scongiurato e per ricucire la frattura, non può che far
ricorso alle istituzioni culturali specifiche con cui la comunità ha costruito la sua storia, le sole
che possono garantire la continuità (Signorelli 1992). Così a Nizza, per riassorbire la
perturbazione inflitta dal terrorismo e per elaborare il cordoglio collettivo, in un anno si sono
ripetutamente avute delle celebrazioni – spontanee e istituzionali, (inter)religiose e laiche – e
l’associazione dei parenti delle vittime ha assunto il nome di “Promenade des Anges”, ossia
“Promenade degli Angeli”. Allo stesso tempo, però, si sono anche ripresi e ribaditi alcuni
elementi ritenuti fondanti del vivere nizzardo o, in termini economico-turistici, considerati
caratterizzanti il suo brand, che, infatti, sono divenuti l’ossatura di una strategia istituzionale
di marketing territoriale volta a riconquistare il suo appeal di località del loisir: il forte
legame che gli abitanti hanno con la città, le sue bellezze panoramiche, le attività all’aria
aperta. Nelle pagine che seguono si illustreranno le principali direttrici seguite dalla città, in
questi primi mesi post-attentato, per rispondere al bisogno di tornare a guardare al futuro,
superando paure e chiusure e, al contempo, recuperando un’immagine internazionale di
bonheur che, inevitabilmente, quella sera d’estate del 2016 è stata compromessa.

2. La strage del 14 luglio 2016 e la blindatura urbana


Il lungomare di Nizza è di circa 8 km ed assume diversi nomi, ma decine di migliaia di
persone sono solite riunirsi la sera della festa nazionale de la République soprattutto sui 2-3
km prossimi al centro cittadino, ossia nel tratto più celebre e antico: la Promenade des
Anglais. La sera del 14 luglio 2016, durante i fuochi artificiali 30.000 persone, tra famiglie
francesi e gruppi di turisti, erano presenti su quella strada antistante la spiaggia. Alle 22h40
un camion di 19 tonnellate ha superato le transenne di blocco del traffico automobilistico ed
ha investito la folla per 1,7 km: in 4’17” di serpeggiamento ha ucciso 86 persone di 19
nazionalità diverse, ferito in maniera spesso grave e irreversibile 458 persone e coinvolto
almeno altri 1500 individui, tra infortunati più lievi e traumatizzati psicologicamente.
L’attacco, di matrice islamista, è stato perpetrato da Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, un tunisino
31enne domiciliato a Nizza da dieci anni, padre di tre figli e in attesa di divorzio, descritto
come violento e psicologicamente fragile, ma non come un religioso musulmano. Pertanto,
sebbene fosse noto alla polizia per episodi di delinquenza fin dal 2010, non era tuttavia
conosciuto per radicalizzazione, né era nell’elenco dipartimentale dei segnalati “S”
(abbreviazione di «sûreté de l’État»), ossia coloro che sono sorvegliati speciali perché
sospettati di attentare allo Stato.
L’eccidio sulla Promenade è stato possibile per una serie di concause, dalla singolarità con cui
è stato realizzato, è il primo in Europa in cui un veicolo è utilizzato come un’arma, alla
leggerezza della sorveglianza, ma soprattutto per la conformazione urbanistica dello spazio in
cui ha avuto luogo per il quale è difficile limitare l’accesso.
Da allora sono trascorsi dodici mesi di cordoglio e tristezza: la costernazione è stato il
sentimento collettivo più diffuso, più dello sconcerto, della paura o della rabbia. Tristezza
significa che memoriali spontanei o ufficiali, piccoli o grandi, sono sorti in numerosi angoli
della città, ma soprattutto che non si sono tenuti più concerti all’aperto, né gare sportive, né
cinema sotto le stelle, né celebrazioni religiose in luoghi pubblici e spettacoli di fuochi

1410
d’artificio; tutti eventi frequentissimi prima del massacro. Le uniche eccezioni sono
manifestazioni che hanno potuto aver luogo in spazi estremamente ristretti e controllati,
economicamente sostenibili solo da organizzatori in grado di affrontare il costo di un servizio
di sicurezza conforme alle direttive cittadine. Al contempo, ha progressivamente assunto
sempre più importanza il discorso sulla «sécurisation» della città. Nelle due piazze principali,
place Masséna e place Garibaldi, sono stati apposti numerosi grossi vasi con alberi d’olivo e
altre grandi piante, paletti e dissuasori in cemento o altri materiali: servono a regolamentare il
traffico, o meglio, servono a delimitare gli spazi pedonali. Entrambe le piazze sono solo
lambite dal flusso automobilistico e l’unico corridoio aperto alla circolazione motorizzata è
quello del tram, ai bordi del quale sono spuntate, appunto, tali “barriere”: quelli che prima
erano ampi spazi aperti, non solo al movimento ma anche alla vista, ora sono luoghi
perimetrati, per certi versi chiusi.
Tra le due piazze si distende la grande area verde della Promenade du Paillon, 12 ettari di
parco urbano (che è anche giardino botanico e parco giochi) inaugurato nel 2013: quel parco
ha rivoluzionato il centro cittadino, riempiendosi di centinaia di famiglie che passano lì i
pomeriggi tra jogging, passeggio, giochi d’acqua e pic-nic sul prato. La “Coulée verte” –
denominazione alternativa che ha assunto nel tempo – è forse lo spazio più multietnico della
città, ben più della famosa spiaggia, dove non tutti accedono, al contrario di quanto hanno
lasciato intendere i provvedimenti “anti-burkini” dell’agosto 2016. Le cancellate d’ingresso
del parco, in precedenza sempre spalancate, in seguito all’attentato sono state chiuse e,
attualmente, solo un’ala è aperta per lasciar entrare e uscire le persone.
L’amministrazione comunale ha messo in campo anche altri strumenti: una squadra di
ispettori ha analizzato circa 400 edifici pubblici (scuole, asili, musei, strutture sportive…) per
individuare le ulteriori misure di sicurezza (pulsanti d’allerta, allarmi anti-intrusione…) che
possono essere adottate per ciascuna realtà specifica; sono state installate 250 videocamere
nelle zone di accesso alle scuole (ricordo che Nizza era già prima del 14 luglio 2016 la città
francese più videosorvegliata, in base al numero di abitanti); inoltre, è stato deciso di
affiancare agenti di sicurezza ai nonni che aiutano ad attraversare la strada agli scolari. Tra le
altre misure previste dall’amministrazione ci sono l’installazione di «portiques électroniques»
(ovvero i metal-detector aeroportuali) e di «bornes rétractables» (cioè paracarri a scomparsa, o
pilomat), nonché la piantumazione di nuovi alberi, specie palme. Per la Promenade des
Anglais erano già stati destinati 16 milioni di euro nella prospettiva di rafforzarne la
candidatura a patrimonio dell’umanità dell’Unesco, ma già nell’immediato post-attentato, a
tale investimento sono stati aggiunti 3,4 milioni di euro finalizzati ad una «meilleure
sécurisation»: i lavori di ristrutturazione si sono conclusi in occasione del primo anniversario
della strage. Inoltre, è stato realizzato un memoriale (una «œuvre du souvenir»), attualmente
installato in via provvisoria nei giardini del museo civico “Masséna”, ma simbolicamente
inaugurato il 14 luglio 2017 in presenza di tre Presidenti della Repubblica: Macron, Hollande
e Sarkozy.

3. Tra il cordoglio collettivo e la ricostruzione dell’appeal turistico


I piani da cui osservare questo particolare disastro sono tanti e intrecciati, da quello locale a
quello internazionale, dal livello individuale a quello collettivo, dalle ripercussioni
economiche a quelle urbanistiche, dalla convivenza alla sicurezza, dal simbolico al marketing.
Come accennato in precedenza, ogni disastro, dunque anche questo di Nizza, dura nel tempo e
i suoi effetti attraversano quattro fasi, via via più lunghe (Vale, Campanella 2005): la
risposta immediata all’emergenza, il recupero di ciò che può essere rimesso in piedi o curato,
la ricostruzione (non solo fisica, ma anche sociale e psicologica) in vista di una riutilizzazione
funzionale e di una commemorazione, l’implementazione di strategie di resilienza. Questa
compitazione del disastro è un dispositivo utile a comprendere il processo sociale avviato da

1411
una calamità, ma va sottolineato che non esistono fasi nettamente definite perché, al contrario,
esse sono sempre anche mutualmente inclusive e multidimensionali (Neal 1997). In questo
senso, dunque, il presente contributo si colloca all’interno di un periodo a cavallo tra la terza e
la quarta fase, tra il cordoglio e la resilienza.
Quel che colpisce del primo anno post-attentato è innanzitutto il lutto collettivo: per mesi ci
sono stati fiori e peluche sul lungomare e un palchetto in un giardino pubblico è stato
progressivamente trasformato in memoriale spontaneo (ora trasferito altrove, in attesa di
trasformarlo in archivio-museo); la Marsigliese è stata intonata in innumerevoli occasioni e
sono stati osservati minuti di silenzio; sono state giocate partite di calcio a scopo benefico e
alcune celebrità hanno cantato per le vittime; ci sono state celebrazioni interreligiose e alcune
classi scolastiche hanno dipinto 86 pietre della spiaggia che nel luglio 2017 un gruppo di
alpinisti ha portato in cima all’Himalaya; sono stati scritti libri d’inchiesta o di memorie da
parte di politici (Estrosi, Szafran 2017), giornalisti (Morvan 2017), sopravvissuti (Charrihi,
Brunet 2017) e operatori sanitari (Magro 2017) che quella notte affrontarono un’emergenza
senza pari; nell’ottobre 2016 sulla collina del castello si è tenuto un “omaggio nazionale” con
la presenza dell’allora Presidente della Repubblica Hollande, mentre il 14 luglio 2017, per il
primo anniversario, la città si è completamente fermata in occasione di una giornata del
ricordo che si è declinata in quattro momenti topici. Il primo, di mattina, si è svolto sulla
Promenade, dove 12mila persone hanno contribuito a scrivere un messaggio («Liberté,
Egalité, Fraternité») visibile dall’alto e deciso dai familiari delle vittime; un secondo in cui si
è tenuto un corteo in place Masséna alla presenza del Presidente Macron, che ha nominato
“Cavalieri della Legion d’onore” diversi soccorritori; un terzo – denominato “omaggio
municipale” – in cui sono state ricordate tutte le vittime e i soccorritori; un quarto, infine, con
delle letture e un concerto in un parco poco distante.
Per una città che fin dalla metà dell’Ottocento ha fatto del loisir il suo segno distintivo
(Berrino 2011) e che, attualmente, ha candidato la Promenade al patrimonio mondiale
dell’Unesco1, allontanarsi dall’immagine di sofferenza e dolore per presentarsi, piuttosto,
come luogo – concreto e simbolico – di sicura e armonica convivenza, si è progressivamente
imposta, tuttavia, come una questione vitale.
Fin dai primi giorni dopo l’attentato una delle preoccupazioni principali degli amministratori
e imprenditori della Costa Azzurra è stata il calo turistico. Dei 5 milioni di visitatori annui, la
metà proviene dall’estero e, nella sola città di Nizza, produce un giro d’affari di almeno 1,5
miliardi di euro con il 40% della popolazione (circa 150000 persone) impiegata in attività
legate al turismo. Nei mesi estivi immediatamente successivi all’attentato, il giro di affari del
settore è diminuito di circa il 20% con una flessione del numero di visitatori di circa il 10%2.
La preoccupazione di rilanciare l’immagine della città (e della costa) a livello globale ha dato
il via ad una strategia di promozione dei luoghi, basata in maniera massiccia sull’uso dei
social-media.
Il dipartimento delle Alpes Maritimes, la regione PACA e tutti i comuni della città
metropolitana nizzarda hanno investito fin dai primi di agosto 2016 nella diffusione di un
hashtag (#CotedAzurNow) e un sito-web omonimo: il costo dell’operazione si è elevato a
circa 1 milione di euro. Come ha spiegato David Lisnard, presidente del Comitato Regionale
per il Turismo, dopo lo choc e a fronte dei precedenti attentati che già avevano colpito Parigi
e la Francia, era necessario «ricreare un’emozione positiva», per cui concretamente l’hashtag
aveva l’obiettivo di incitare le persone a condividere le fotografie prese durante il loro

1
Il comune di Nizza ha aperto un website espressamente dedicato alla candidatura Unesco della Promenade:
http://candidaturepatrimoinemondial.nice.fr/.
2
I dati sono tratti da documenti forniti dal “Comité Régional de Tourisme” (http://tourismepaca.fr/pros/chiffres/)
e dalla “Chambre de Commerce et Industrie” della Costa Azzurra (https://cote-azur.cci.fr/Publications). Le
pagine-web sono state consultate il 20 giugno 2017.

1412
soggiorno in Costa Azzurra, magari in occasione di uno spettacolo o semplicemente mentre si
trovavano ai tavolini all’aperto di un bar. Ai primi di novembre 2016 l’hashtag era stato
condiviso 64000 volte sui principali social-media, raggiungendo 50 milioni di persone
(Groizeleau 2016). Ad inizio settembre, a fronte del successo di questa prima campagna, se ne
è aggiunta un’altra analoga e specifica per Nizza, che ha seguito lo stesso schema:
#ILoveNice e sito web ilove.nice.fr. In questo secondo caso, l’idea è di convincere abitanti ed
ospiti a postare online un video di se stessi in cui spiegare perché si ama Nizza, e le parole
scelte per accompagnare l’operazione puntano su aspetti emotivi e coinvolgenti, quasi come
se ciò rappresentasse una forma di resilienza o di difesa psicologica dalla crisi post-
traumatica. In questo caso, all’hashtag virtuale sono stati affiancate delle sculture coi colori
della Francia, alte e lunghe diversi metri, che riproducono la scritta #IloveNice e che sono
state poste in luoghi strategici della città e sulle quali i turisti possono sedersi e farsi
fotografare con lo sfondo della città.
A questi due hashtag trainanti ne sono seguiti almeno altri due (#NiceMoments e
#FrenchMerveilles). È pertinente osservare che la strategia basata sull’uso degli hashtag e dei
social media era già stata utilizzata dalla Tunisia, quando in seguito agli attentati del museo
del Bardo e della spiaggia di Sousse del 2015, fu lanciato #TrueTunisia cui furono anche
associati una serie di video in seguito diffusi alla televisione nazionale francese. Le
suggestioni evocate dai differenti hashtag nizzardi e tunisini possono essere ascritte ad un
discorso più ampio di rappresentazione del mediterraneo sul web dove l’immaginario
collettivo del mare interno è legato ad uno storytelling di passione, mito ed identità (Bigi –
Zannin 2011).
La stagione turistica nizzarda tuttavia prescinde da quella balneare e, da circa 140 anni, ha un
evento chiave nelle sfilate organizzate per il Carnevale (Sidro 1979). Nel 2015, un attentato
previsto in concomitanza con l’evento era già stato sventato e nel 2016 la durata della
manifestazione era stata ridotta dalle tradizionali tre settimane a sole due, così rimanendo
anche per l’edizione 2017. In particolare per quest’ultima, è stato anche previsto un
cambiamento nel percorso della sfilata delle macchine festive, atto a rendere più semplice il
controllo degli accessi. Proprio il Carnevale è stato identificato dall’amministrazione cittadina
come uno dei possibili attrattori di uno specifico pubblico: quello cinese, che è ritenuto uno
dei più promettenti dal punto di vista del turismo, ma che, allo stesso tempo, è stato quello che
più ha disertato la Costa dopo il 14 luglio 2016. Sfruttando il gemellaggio già esistente con la
città di Xiamen, tra la fine di aprile e gli inizi di maggio 2017, alcuni carri allegorici nizzardi
hanno animato un carnevale di Nizza in Cina, riscuotendo un successo tale da indurre gli
organizzatori a rinnovare l’esperienza almeno per i prossimi due anni.
Se il percorso verso una ripresa del settore turistico sembra ormai avviato (gli stessi
albergatori nizzardi hanno dichiarato l’estate 2017 come quella della “resilienza”), più lunga,
invece, appare la strada per risanare la «frattura» (Kepel 2016) tra la comunità mussulmana
francese e il resto del Paese, nonché per comprendere a fondo il fenomeno della
radicalizzazione islamica o, secondo l’interpretazione, della «islamizzazione della radicalità»
(Roy 2016). In questo senso, particolarmente puntuale è l’appello di Michel Wieviorka per un
maggior impiego delle scienze sociali nel dibattito teorico e politico che, specie in Francia, è
emerso come effetto inatteso degli attacchi terroristici: grazie alla loro «capacità di illuminare
la società sulle grandi domande che la tormentano, in questo caso la violenza estrema»
(Wieviorka 2016), le discipline socio-culturali sono in grado di fornire una migliore
comprensione dei fatti, oltre ad individuare le direzioni in cui le tensioni tra terrorismo e
democrazia stanno conducendo le nostre città (Coaffee 2009).

1413
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2016: http://wieviorka.hypotheses.org/724.

1414
Joie de vivre a Beirut. Spazio pubblico, arte e turismo
nella capitale del Medio Oriente
Luisa Bravo
Università di Firenze – Firenze – Italia
Parole chiave: Beirut, Medio Oriente, spazio pubblico, arte, turismo.

1. Beirut, la città che non ti aspetti


Nel 2009 il New York Times indica Beirut come la meta più interessante da visitare tra 44
luoghi nel mondo1. Un risultato che appare straordinario, a meno di vent’anni dalla fine di una
devastante guerra civile, durata quindici anni (1975-90), che ha quasi completamente raso al
suolo il centro della capitale libanese, danneggiando seriamente circa 900 edifici, e generando
una diaspora che ha ricollocato milioni di libanesi in Europa, Stati Uniti, Canada, Sud
America e Australia2. Il processo di ricostruzione, ad opera di Solidere (acronimo di Société
Libanaise pour le Développement et la Reconstruction de Beyrouth), una compagnia privata
fondata dal primo ministro Rafik Hariri nel 1994, è stato particolarmente efficace nel
ridisegnare la morfologia urbana dell’antica città romana Berytus, un’area di circa 200 ettari,
secondo un masterplan basato non su uno zoning funzionale ma piuttosto su un mix capace di
esaltare il commercio e un’urbanità diffusa, ispirato al modello europeo e caratterizzato da
una morfologia compatta, da volumetrie controllate e attraenti spazi pubblici ad accessibilità
prevalentemente pedonale (Ciorra, 2002). Il Beirut Central District (BCD) è oggi la
destinazione più ambita del lusso, non solo per i libanesi facoltosi ma anche per gli uomini
d’affari dei Paesi del Golfo e per i turisti europei e americani. La vita mondana libanese si dà
appuntamento negli spazi pubblici e
nelle architetture del downtown
disegnati da archistars, come
l’elegante porto turistico di Zaitunay
Bay di Steven Holl, nei negozi
esclusivi di abbigliamento e
gioielleria, nei ristoranti, café alla
moda e sky bar, come il Balima
Café nel raffinato Saifi Village
progettato da François Spoerry o lo
SkyBar sulla terrazza del Palm
Beach Hotel (oggi trasferitosi sulla
terrazza di Biel – Beirut
International Exhibition and Leisure
Beirut Souks. Foto di Luisa Bravo (2015)
Center), in cui il culto del cibo si
celebra ad ogni ora del giorno e della notte. Nel 2016 Travel&Leisure3 incorona Beirut come
‘Best International City for Food’.
Ma non sono solo l’architettura à la page o i club esclusivi a caratterizzare l’attraente
ricostruzione del BCD. La filosofia di Solidere, “Beirut, ancient city of the future” (El-
Dahdah, 1998) ha avuto come risultato la valorizzazione anche del patrimonio archeologico,
come le Terme Romane, che sono state oggetto di progettazione paesaggistica integrata nel
contesto urbano ad opera dello studio inglese Gillespies, e il Giardino del Perdono, uno spazio

1
Cfr. http://www.nytimes.com/interactive/2009/01/11/travel/20090111_DESTINATIONS.html.
2
Oggi ci sono più libanesi residenti fuori dal Libano (circa 14 milioni) che residenti nel paese (circa 4 milioni).
3
Il premio viene assegnato ogni anno dai lettori di Travel&Leisure, come esito di un questionario. Nel 2016
Beirut si aggiudica la vetta, superando Parigi e diverse città italiane, come Roma, Bologna e Firenze.

1415
archeologico a cielo aperto dove sono stati rinvenuti il cardo e il decumano dell’antica città
romana Berytus e al di sotto di essi resti di età Fenicio-Persiana, per il quale è stato sviluppato
un progetto di riqualificazione dallo studio inglese Gustafson Porter (attualmente on hold),
vincitore nel 2005 del premio RIBA nella categoria ‘Commended Urban Project Unbuilt’.
Anche nel Beirut Souks, progettato da Rafael Moneo e Kevin Dash e aperto al pubblico nel
2009, l’entrata principale da sud ospita nella Imam Ouzai Square un edificio con copertura a
cupola, uno spazio di preghiera (zawiya) costruito nel 1517, che è tutto ciò che rimane del
complesso architettonico del periodo Mammalucco.
In quanto ad archeologia, il Libano vanta un diffuso e straordinario patrimonio, esito della
stratificazione di diverse civiltà, nell’arco di oltre 5.000 anni, con cinque siti inclusi nel
patrimonio Unesco, tra cui Baalbek, nella valle Bekaa, a nord-est di Beirut, in cui il tempio di
Giove è considerato il più grande edificio religioso costruito dai Romani; e Byblos una delle
più antiche città fenicie, da cui è nato e si è diffuso l’alfabeto, inclusa nelle legende e nella
storia millenaria della regione Mediterranea4, considerata fra le città più antiche del mondo,
abitata fin dal Neolitico. In un paesaggio che degrada dalle montagne al mare lungo una
striscia di terra larga da 25 a 60 chilometri, attraverso valli e contesti naturali incontaminati, i
220 chilometri di costa del Libano sono uno spettacolare affaccio sul bacino del
Mediterraneo, dove lussuosi resorts sulla spiaggia, come Eddésands Hotel & Wellness a
Byblos, e approdi per ville e ristoranti esclusivi accolgono visitatori e turisti tutto l’anno.
A Beirut la passeggiata sul
mare lungo la Corniche, lunga
4,8 chilometri, dal Saint
George Hotel – l’unico
edificio del BCD non
acquisito da Solidere, grazie
all’eroica resistenza del suo
proprietario, nonostante
l’edificio sia fortemente
Beirut, American University of Beirut, ingresso da Bliss Street.
danneggiato dalla guerra e
Foto di Luisa Bravo (2015)
l’albergo non più in attività –
fino al landmark naturalistico
Raouché, detto anche Pigeon
Beirut, American University of Beirut, ingresso da Bliss Street.
Rocks, è lo spazio pubblico di
Foto di Luisa Bravo (2015) maggior attrazione, sede di
integrazione sociale e multiculturalismo, da cui si godono tramonti che incantano.
Beirut è oggi, di nuovo, la capitale cosmopolita del Medio Oriente, destinazione ambita per il
turismo del mondo arabo ma anche per quello internazionale. Nel 2015, secondo il World
Travel & Tourism Council5, il turismo in Libano ha contribuito con 9.861 milioni di dollari al
PIL, nonostante l’instabilità politica interna e le tensioni derivanti dalla guerra in Siria;
l’aeroporto di Beirut ha registrato nello stesso anno 7,2 milioni di passeggeri, di cui più di 1,5
milioni di turisti, nonostante i severi controlli di sicurezza e la paura di attacchi terroristici.
Beirut è una città glamour, raffinata e seducente, una “metropoli araba mediterranea
occidentale”, come scriveva Samir Kassir6 (Kassir, 2006), cioè dal sapore mediorientale ma
4
Gli altri tre siti inseriti nel patrimonio Unesco sono Anjar e Tyre, a sud di Beirut (nel 1984), e la Foresta dei
Cedri di Dio nella valle sacra denominata Ouadi Qadisha (nel 1998) sul Monte Libano che si estende attraverso
l’intero paese, parallelamente alla costa.
5
Si veda il report pubblicato a giugno 2016 da Bankmed – Market and Economic Research Division, Analysis of
Lebanon’s Travel and Tourism Sector, disponibile a questo link (consultato il 23 luglio 2017):
https://www.bankmed.com.lb/BOMedia/subservices/categories/News/20160629095420404.pdf.
6
Samir Kassir era un giornalista, intellettuale e attivista libanese, editorialista del quotidiano indipendente An-
Nahar, assassinato il 2 giugno 2005 da un’autobomba ad Achrafieh, nel quartiere di religione cristiana ad est di

1416
piacevolmente contaminata dalla cultura europea – prevalentemente francese e italiana – e
americana, per la presenza nel quartiere Ain El Mraiseh dell’American University of Beirut,
punto di riferimento intellettuale nella regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa) che nel
2016 ha festeggiato 150 anni dalla sua fondazione.
Beirut, nonostante i quindici anni di terrore, distruzione e morte della guerra civile e i
successivi attentati ed episodi di violenza7, oggi scoppia di vita: una travolgente joie de vivre
è il sentimento che si respira nelle strade della città e che si legge negli occhi magnetici e
intensi dei libanesi, come un istinto irrefrenabile di voler affermare la propria sopravvivenza.
Beirut è una città appassionata, struggente, dolente, ma anche sfrenata, avida, lussuriosa, dove
tutto deve succedere in un solo giorno, come se non ci fosse un domani.

2. Beirut Central District ovvero il cluster del lusso internazionale


Il BCD rappresenta una città nella più estesa, complessa e caotica area urbanizzata di Beirut,
chiaramente delimitata dal perimetro di intervento di Solidere: progettato per riaffermare gli
antichi splendori ed attrarre il jet-set internazionale e ingenti investimenti economici, il BCD
è oggi una gated community del lusso, destinazione irrinunciabile del turismo mondano e
della buona società libanese, in cui un appartamento ha un costo medio al metro quadrato di
oltre 5.000 dollari, con metrature superiori a 200 metri quadrati. Il prezzo delle nuove
costruzioni, nell’arco di meno di dieci anni, ha raggiunto picchi del 400%, generando un
progressivo svuotamento del centro.
Oggi i libanesi di Beirut non riescono più a vivere nella loro città: secondo la World Bank, lo
stipendio medio dei libanesi è pari a circa 1.000 dollari, mentre il costo della vita per una
famiglia di quattro persone è di circa 2.700 dollari al mese, escluso l’affitto che varia da 2.500
a poco meno di 1.000 dollari, muovendosi dal centro alla periferia8. I proprietari del lusso
sono gli Arabi dell’Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo e le compagnie internazionali, ma in
maggioranza, più del 50%, sono i libanesi della diaspora, che vivono all’estero, che hanno
investito nelle azioni di Solidere. Il processo di gentrification delle aree centrali (Daher, 2007)
ha fatto sì che i circa 4.000 abitanti del BCD, riferiti al periodo precedente alla guerra civile,
oggi vivano altrove. Non solo, il desiderio di emulazione del modello urbano europeo,
largamente applicato da Solidere, ha fatto sì che alcune aree della ricostruzione, come Saifi
Village e il nuovo quartiere progetto da Giancarlo de Carlo Associati, nell’area di
completamento Mina el Hosn, adiacente a Zaitunay Bay, in stile neoclassico, siano di fatto
esempi di Disneyfication: il BCD è oggi la massima espressione di una società dello
spettacolo (Debord, 2008) che ambisce ad apparire e imporsi come icona di stile, definendosi
come modello di emancipazione dagli stereotipi occidentali riferiti al mondo arabo.

3. I luoghi dell’identità araba libanese


Tutt’intorno al Beirut Central District sono molti i luoghi dove il sapore mediorientale di
Beirut inebria gli occhi e i sensi: a est nell’elegante quartiere cristiano di Achrafieh, in cui la

Beirut. Sono ancora ignoti i mandanti del suo assassinio, ma molti pensano che sia legato alle sue idee
progressiste di democratizzazione della Siria, anche se il governo siriano ha negato qualunque forma di
coinvolgimento. Nel 2004 Kassir aveva pubblicato il libro ‘L’infelicità araba’ – l’edizione italiana è del 2006 – in
cui descriveva il senso di oppressione, di inadegutezza e impotenza del mondo arabo nei confronti del mondo
occidentale, dal punto di vista geopolitico, ideologico e culturale.
7
Tra gli avvenimenti violenti più recenti vanno ricordati la ripresa delle ostilità nel 2006, durata 34 giorni, in
seguito ad un’operazione militare attuata dall’esercito israeliano, e un duplice attacco kamikaze nel 2015,
rivendicato dall’ISIS nella periferia sud, a Bourj el-Barajneh, il più grave dalla guerra civile, con oltre 40 morti
e 200 feriti, il giorno prima della strage del Bataclan a Parigi
8
I dati sono riferiti al costo della vita a Bierut aggiornati a luglio 2017, disponibili su NUMBEO, a questo link:
https://www.numbeo.com/cost-of-living/in/Beirut (consultato il 23 luglio 2017).

1417
lingua più parlata è il francese, dove il patrimonio architettonico del periodo moderno (Saliba,
1998) convive con eleganti palazzi, come il Sursock Palace, e aree commerciali, tra cui rue
Monnot, con i locali della vita notturna, e il famoso ABC mall, e lungo rue Gouraud a
Gemmayze, dove nei palazzi art déco la festa continua ininterrottamente dal giorno alla notte;
e a ovest lungo la caotica e rumorosa rue Hamra, popolare ma al tempo stesso intellettuale,
intorno a cui si è sviluppato il quartiere musulmano di lingua araba, che oggi contiene un
numero imprecisato di cantieri che stanno ridefinendo lo skyline lungo la costa, dove le
preghiere del muezzin sono intervallate dal rumore incessante dei clacson; a sud, nel quartiere
Zouqaq El-Blatt, storicamente sede dell’intellighenzia libanese nei grandiosi palazzi con il
tipico arco triplo, oggi abitato dalla classe media e visitato per i mercati di antiquariato, e nel
quartiere Mousseitbeh, periferia densamente popolata che contiene l’ippodromo costruito alla
fine del XIX secolo e il grande parco urbano di Horsh Beirut, riaperto al pubblico nel 2015,
dopo essere stato inaccessibile per 22 anni (Shayya, 2010).
Martyrs’ Square è il luogo più emblematico ed evocativo della storia della città, è lo spazio
pubblico dove risiede la memoria di un passato glorioso, quando Beirut era considerata la
Parigi del Medio Oriente. Qui sono depositate le ferite e il dramma della guerra: centro
geografico, fisico, sociale e politico
della città di Beirut (Sassine, 2015),
Martyrs’ Square è stata un vibrante
luogo di aggregazione civica negli anni
Settanta, è poi diventata nel corso della
guerra civile confine di demarcazione
tra est e ovest, tra cristiani e
musulmani, lungo la Green Line;
subito dopo la guerra, è diventata un
vuoto urbano circondato solo da
distruzione e svuotato dei suoi
significati identitari; durante la
ricostruzione ad opera di Solidere è
Beirut, Martyrs’ Square Foto di Luisa Bravo (2016) stata luogo di protesta contro la
presenza delle forze siriane in Libano,
ospitando il 14 marzo 2005, ad un mese di distanza dall’assassinio del primo ministro Rafik
Hariri, la più grande manifestazione della storia libanese con circa 1 milione di presenze;
infine ad agosto 2015 con ‘You Stink’ è stata il palcoscenico di una dura manifestazione
civile contro la classe dirigente del paese, accusata di corruzione e inefficienza, per il mancato
smaltimento di rifiuti nella capitale e nelle zone limitrofe. Oggi Martyrs’ Square è un grande
spazio di transito veicolare, circondato da cantieri, all’ombra della imponente moschea
Mohammad Al-Amin, inaugurata nel 2007, sulla cui riqualificazione Solidere a partire dal
2004 ha promosso diversi concorsi di architettura e coinvolto studi internazionali di
progettazione9.
Questa Beirut, quella che contiene i luoghi dell’identità araba libanese, che sono espressione
della parte migliore, più ricca e intensa della città, è oggi a rischio, minacciata dal potere
politico e dagli interessi privati: mentre Solidere sta tentando di incorporare nuove aree nel
masterplan di intervento, su cui replicare ed estendere le logiche di funzionamento del BCD,
il mercato immobiliare densifica massivamente interi settori urbani, occupando lo spazio
pubblico e attuando un processo di sostituzione tipologica e funzionale degli edifici disabitati

9
Una interessante visualizzazione grafica dell’evoluzione urbano-morfologica di Martyrs’ Square, dal 1891 al
2011, è disponibile a questo link: http://spatiallyjustenvironmentsbeirut.blogspot.it/2011/08/martyr-square.html
(consultato il 23 luglio 2017).

1418
e abbandonati del patrimonio culturale, divorati da un mercato immobiliare che predilige torri
moderne e cubature importanti, al fine di attrarre il turismo dei più ricchi.
Ma questa Beirut resiste, orgogliosamente, riaffermando i propri valori identitari attraverso
l’arte, lungo le strade della vita quotidiana, con graffiti, disegni e bellissimi murales di
giovani artisti, come Yazan Halwani10, e nelle numerose gallerie private, dove si promuovono
riflessioni, discussioni e nuove consapevolezze: questa resistenza è un grido struggente di
dolore e nostalgia, sofferente come chi ha perso ciò che aveva di più prezioso, che affascina e
rapisce chiunque sia in grado di ascoltarlo con il cuore spalancato (Bravo, 2017).

4. I nuovi luoghi dell’arte


L’arte è la massima espressione del dualismo di Beirut: riempie e arreda i luoghi progettati
per accogliere il lusso e il turismo internazionale e allo stesso tempo vive nei luoghi della
memoria e dell’identità libanese.
Nel 2015 Tony Salamé, uno dei principali rivenditori del lusso libanese e uno dei più
importanti collezionisti d’arte contemporanea, ha inaugurato la Aishti Foundation ad Antelias,
alle porte di Beirut: progettato dall’architetto britannico David Adjaye, l’edificio dal design
raffinato ospita spazi per l’arte su cinque piani, insieme a brand internazionali della moda,
esclusivi ristoranti e un cafè sulla terrazza con vista sul mare. L’ambizione di Salamé, che nel
2013 ha fondato la Metropolitan Art
Society (MAS) ospitata presso
l’Abdallah Bustros Palace in Acrafieh,
è di ridefinire l’attrattività di Beirut
attraverso l’arte, sostituendo le
memorie della guerra con immagini
sofisticate di nuovi luoghi del loisir.
Ma quel passato fatto di paura e
violenza ancora è presente a Beirut: è
visibile sulle facciate degli edifici
semidemoliti, che venivano utilizzati
come postazioni dai cecchini,
sforacchiati dai mortai e da miriadi di
Beirut, Holiday Inn Hotel Foto di Luisa Bravo proiettili, come l’Holiday Inn Hotel11,
(2016) imponente con i suoi 24 piani di
altezza su Zaitunay Bay, di fianco al
sontuoso Hotel Phoenicia, e la monumentale torre Burj el Murr di 40 piani (mai completata),
potente veicolo di memorie di morte e al tempo stesso inquietante monito per le nuove
generazioni che non hanno vissuto il conflitto. Anche il palazzo Barakat a Sodeco Square,
noto come ‘Yellow House’, è stato a lungo un relitto decadente lungo la Green Line, che nel
1997, a seguito di un’ordinanza emessa dal governo, era destinato ad essere demolito ma che
poi, grazie alla testarda opposizione di Mona El Hallak, nel 2003 la municipalità di Beirut ha
deciso di salvare. Dopo una ristrutturazione durata quasi 10 anni ad opera dell’architetto
Youssef Haidar, sta per essere inaugurato Beit Beirut (che significa ‘La casa di Beirut’), il
primo museo della memoria, contenuto nel palazzo Barakat che conserva ancora sulla facciata
e negli spazi interni tutti i segni della distruzione12. Il museo vuole offrire l’opportunità di

10
Si veda l’articolo su The Guardian (2015): https://www.theguardian.com/cities/2015/sep/22/beirut-graffiti-
artist-yazan-halwani-lebanese (consultato il 23 luglio 2017).
11
Si veda l’articolo su The Guardian (2015): https://www.theguardian.com/cities/2015/may/01/beirut-holiday-
inn-civil-war-history-cities-50-buildings (consultato il 23 luglio 2017)
12
Si veda l’articolo su CityLab (2016): https://www.citylab.com/equity/2016/07/finally-a-museum-
documenting-lebanons-civil-war/491246/ (consultato il 23 luglio 2017).

1419
dare sollievo alle ferite della guerra, che ancora bruciano, addolorano il cuore e influenzano
l’esistenza dei libanesi e provare a ridefinire un nuovo inizio, in cui il ricordo di ciò che è
stato possa servire a comprendere e a superare l’orrore. Il museo, che conterrà anche un centro
di ricerca e una biblioteca, rompe quindi quel processo di damnatio memoriae che Solidere e
il rampante mercato immobiliare hanno applicato per decenni, e apre una nuova speranza: da
luogo di morte Beit Beirut diventa luogo di vita, per riaffermare sempre più i valori
dell’identità libanese.

5. Chi ha paura della guerra?


Qualcosa è cambiato a Beirut: le generazioni del post-conflitto hanno avuto il coraggio e la
forza di vedere oltre i ricordi e i racconti di ciò che era e non sarà mai più. Reagendo ad un
potere politico ed economico che ha ricostruito il volto della città traendone il massimo
profitto, a beneficio dei più ricchi, i giovani libanesi hanno saputo immaginare una nuova
identità contemporanea per Beirut, non più imitando il modello occidentale, o meglio quello
americano del successo, basato sul denaro e sul lusso, ma immaginando una città che sappia
amplificare i suoi valori e i suoi tesori, che la guerra non è riuscita a distruggere. Il desiderio è
quello di far riaffiorare l’anima araba, che si agita al di sotto della luccicante superficie del
BCD13. È lì che risiede il senso profondo della joie de vivre libanese, che la maggior parte del
turismo assapora, senza gustarla pienamente.

Bibliografia
L. Bravo, «#Beirut, urbanism and me. Framing the city through space, identity and conflict»,
in Art and the City. Worlding the discussion through a critical artscape, a cura di J. Luger e J.
Ren, London-New York, Routledge, 2017, pp. 207-228.
G. Ciorra, Beirut, in La metropoli dopo, a cura di G. Ciorra, G. Mastrigli, Meltemi, Roma,
2002, pp. 57-61.
F. El-Dahdah, On Solidere’s motto: ‘Beirut, ancient city of the future’, in Projecting Beirut.
Episodes in the construction and reconstruction of a modern city, a cura di P. Rowe and H.
Sharkis, Munich, London-New York, Prestel, 1998, pp. 68-77.
R. F. Daher, Tourism in the Middle Est. Continuity, change and transformation, Clevedon-
Buffalo-Toronto, Channel View Publications, 2007.
G. Debord, La società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2008.
S. Kassir, L’infelicità araba, Torino, Einaudi, 2006.
R. Saliba, Beirut 1920-1940: Domestic Architecture between Tradition and Modernity,
Beirut, The Order of Engineers and Architects-Beirut, 1998.
R. Sassine, «Beirut’s heart. The life of a square», in Patchwork of Naratives, Färgfabriken,
2014 (http://www.eurozine.com/beiruts-heart/).
F. Shayya, At the edge of the city. Re-inhabiting public space toward the recovery of Beirut’s
Horsh Al-Sanawbar, Beirut, 53 Dots, 2010 (https://attheedgeofthecity.wordpress.com/).

13
Alcuni interessanti progetti sulla ridefinizione dell’identità libanese sono stati sviluppati da ricercatori e artisti.
Si veda l’articolo su The National (2010): https://www.thenational.ae/arts-culture/a-psychogeographic-tour-
through-beirut-1.581545 (consultato il 23 luglio 2017).

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Il litorale Domitio: dal sogno turistico al degrado attuale
Raffaele Amore
Università di Napoli Federico II – Napoli – Italia
Parole chiave: litorale Domitio, Castel Volturno, turismo, abusivismo edilizio, Coppola Pinetamare.

1. Premessa
Il litorale del Comune di Castel Volturno negli anni Settanta del secolo scorso ha
rappresentato per molti campani il mito di una vacanza a basso costo e di una residenza vicino
al mare. Un sogno alimentato da piccoli e grandi imprenditori che, grazie all’assenza di
controllo ed alla connivenza delle amministrazioni comunali del tempo, hanno realizzato
migliaia di case per le vacanze per lo più abusive. Si è trattato, però, di un sogno effimero:
oggi l’intero litorale rappresenta una delle aree campane a più alta problematicità sociale,
urbanistica ed ambientale, con una capillare presenza di criminalità organizzata.
Il sistema paesaggistico costiero di Castel Volturno rappresenta un esempio concreto di come
l’attrazione di flussi turistici, quando non è supportata da scelte volte a preservare l’identità e
l’integrità dei luoghi, nel medio lungo periodo possa contribuire a compromettere i rapporti
morfo-funzionali dei territori, alterando quei «delicati equilibri tra utilizzo delle risorse e
produttività degli ecosistemi»1.
A fronte di ciò, le iniziative locali e regionali stentano a partire2: manca un serio programma
di riqualificazione dell’area che affronti in una logica interdisciplinare le tante e distinte
vulnerabilità che essa oggi presenta. Ciò posto, il presente contributo si pone l’obiettivo,
attraverso la ricostruzione degli eventi che hanno determinato le attuali criticità, di individuare
alcune possibili strategie di riqualificazione.

2. Dal periodo romano agli inizi del Novecento


Recenti studi hanno evidenziato che l’idea di Nerone, parzialmente realizzata a partire dal 64
d.C., di collegare l’antica Ostia con Puteoli con un canale navigabile, rappresentava l’asse
portante di un piano di bonifica della pianura paludosa costiera che si estendeva tra le due
importanti città romane, per aumentare le superfici coltivabili, ripopolare le campagne ed
incrementare la cerealicoltura3. La morte dell’imperatore e la crisi economica che caratterizzò
il periodo dei due primi imperatori flavi, però, comportò l’interruzione dei lavori. Qualche
decennio più tardi Domiziano, fece costruire una nuova strada lungo il tracciato della fossa
Neronis già realizzato. La nuova via di comunicazione, denominata Domitiana, favorì il
trasporto su strada delle merci e rappresentò, insieme alle opere di bonifica compiute da
Nerone, un elemento di sviluppo per l’intera area casertana costiera.
Con la caduta dell’Impero Romano e la conseguente mancanza di manutenzione dei corsi
d’acqua e dei canali, i caratteri lacustri e paludosi del territorio ripresero il sopravvento.
Nel medioevo il piccolo insediamento di Castel Volturno di origine romana divenne il
crocevia obbligatorio per quanti, provenendo dal mare, intendevano risalire il fiume fino alle

1
M. Mautone, M. Ronza, B. Bertoli, «Pressione turistica, quadri ambientali e morfogenesi paesistica: la gestione
delle qualità territoriali nei sistemi costieri della Campania», in Paesaggio costiero, sviluppo turistico
sostenibile, a cura di A. Calcagno Maniglio, Roma, Gangeni Editore, 2009, p.87.
2
La regione Campania, nell’ambito del Programma Operativo Regionale FESR 2007-2013, ha finanziato il
Grande Progetto La Bandiera Blu del Litorale Domizio, con l’obiettivo del miglioramento della balneabilità
delle acque marine per l’area compresa tra il Comune di Castel Volturno e Sessa Aurunca, attraverso il
completamento dei sistemi fognari a servizio dell’area. Purtroppo, però i relativi lavori non sono ancora iniziati.
3
F. P. Arata, La navigabilis fossa di Nerone, in «Mélanges de l'École française de Rome – Antiquité», 126-
1|2014, messo in linea il 7 luglio 2017, consultato il 4 luglio2017. URL: http://mefra.revues.org/2114; DOI:
10.4000/mefra.2114.

1421
attuali città di Capua e di Santa Maria Capua Vetere. Per tale ragione i Longobardi nel IX sec.
eressero un castello su di una delle arcate superstiti del ponte romano4.
Agli inizi del Cinquecento furono intraprese nuove opere di bonifica idraulica dell’intera
Terra di Lavoro. La realizzazione dei Regi Lagni5 permise di migliorare in maniera sensibile
le condizioni di vaste aree interne della Campania Felix, restituendole all’agricoltura.
Nonostante tali interventi, la fascia costiera compresa tra Castel Volturno ed il Lago Patria,
però, mantenne fino a tutto l’Ottocento un aspetto paludoso, segnato dalla presenza di pinete,
di dune, di zone umide, di stagni retrodunari e di paludi che si formavano per la mancanza di
opere di irreggimentazione utili a drenare l’entroterra costiero.

Fig. 1. Paolo Giordano, «Pianta del Territorio di Castellammare del Volturno», 1803,
Napoli, Biblioteca Nazionale. Manoscritti e rari, Carte geografiche, b. 5.

Nel 1812 il compito di migliorare ed ampliare la bonifica seicentesca fu affidato alla Direzione
generale dei Ponti e Strade; a partire dal 1839 furono intrapresi lavori di sistemazione del basso
Volturno con la costruzione di nuove vie di comunicazione ed il prosciugamento e la messa in
coltura dell’Agro di Vico del Pantano, la soppressione degli stagni di Varcaturo e di Lingua di
Cane. Con la costituzione del Regno d'Italia, l'attività di bonifica fu gestita dal Ministero
dell'Agricoltura e Foreste e, successivamente, da Consorzi6.
Dunque, alla fine degli anni Cinquanta del Novecento la gran parte del territorio comunale di
Castel Volturno era destinato alla produzione agricola ed all’allevamento. La popolazione
residente ammontava a 2718 unità7.

4
A. Caprio, Castel Volturno. La storia la cultura i monumenti le famiglie, Napoli, Parresia, 1997, pp. 17-55.
5
G. Fiengo, I Regi Lagni e la bonifica della Campania felix durante il viceregno spagnolo, Biblioteca
dell'«Archivio storico italiano», vol. 24, Firenze, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1988.
6
A. Bagnulo, «La bonifica del basso Volturno», in Rassegna dei lavori pubblici, n. 10, ottobre 1957.
7
La popolazione di Castel Volturno per tutto il medioevo si era mantenuta costante sotto le quattrocento unità.
Al censimento del 1911 contava 943 anime. A. Carpio, cit., pp. 55-134.

1422
Fig. 2. La piana del Volturno, fascia costiera, particolare dell’Atlante di G.A. Rizzi Zannoni
(Real Officio Topografico del Regno di Napoli, 1808).
L’ultimazione nel 1954 della nuova Domitiana, che in parte ricalcava l’antico tracciato
romano8, ha determinato una profonda trasformazione della fascia costiera della cittadina
casertana, dividendola in due. Da un lato il centro abitato, le campagne, le masserie; dall’altro,
la pineta, le spiagge ed il mare; al centro, un’importante asse viario che, favorendo la crescita
degli insediamenti lungo i propri margini e nelle zone limitrofe, ha innescato una profonda
mutazione degli assetti e delle dinamiche di crescita del territorio. In assenza di regole e
indirizzi urbanistici capaci di governare tale processo, dunque, si concentrarono lungo la
Domitiana molteplici interventi edilizi, nonostante la linea di costa fosse stata vincolata ai
sensi dell’ex legge 1497 del 1939 con Decreto del 19/05/65, quale Area panoramica costiera,
a testimonianza che i vincoli – se non fatti rispettare e se non accompagnati da seri programmi
di trasformazione e governo del territorio – sono del tutto inutili.
8
A. Maiuri, «Lungo la via Domiziana», in Le vie d’Italia, anno XI, n. 5, maggio 1954, pp. 566-579.

1423
3. L’utopia turistica degli anni Settanta
Le condizioni di degrado che oggi caratterizzano il litorale di Castel Volturno, dunque, affondano le
loro radici nelle malgovernate dinamiche di urbanizzazione iniziate negli anni Sessanta del
Novecento. I fratelli Coppola furono tra i primi imprenditori a realizzare imponenti interventi di
trasformazione edilizia del territorio, costruendo un grande complesso turistico-residenziale
costituito da oltre dodicimila tra appartamenti e villini, scuole elementari, medie e superiori, cinema,
discoteche, ambulatori e sale congressi. I due costruttori aversani realizzarono per la classe media di
Napoli e di Caserta il sogno di vivere in una città giardino senza traffico, smog e criminalità, a pochi
chilometri dal centro di Napoli, con un porto che si vantava di essere secondo solo a quello del
capoluogo campano. Il cortometraggio pubblicitario realizzato dalla Coppola Pinetamare dal titolo
Abitare per vivere9 racconta in maniera molto interessante il modello di residenza proposto. Tutto è
rassicurante, tutto è adeguato alla vita degli abitanti, alle loro esigenze economiche (prezzi bassi e
facilitazioni d’acquisto) ed al loro benessere (verde, aria pulita, sole e mare). La voce fuori campo
che illustra le mirabolanti caratteristiche tecniche ed urbanistiche del complesso residenziale, non
manca di sottolineare che, attirati dalla salubrità della zona, molti medici vi si sono trasferiti e che la
sicurezza è garantita, oltre che dallo Stato (i Coppola costruirono anche una caserma per i
Carabinieri), da un efficiente servizio di guardiania privato.
Un sogno a buon mercato, dunque, costruito con la complicità degli amministratori locali, spazzando
via in pochi anni parte di un ecosistema millenario costituito da dune costiere, da pinete e da stagni. Un
sogno, però, che nel giro di due decenni si è dissolto, lasciandosi alle spalle un territorio ferito.
Molti altri imprenditori e tanti singoli cittadini, infatti, spinti dal ‘successo’ di ‘Pinetamare’,
edificarono ulteriori migliaia di altre costruzioni - per lo più abusive - tra la Domitiana ed il mare10,
fino al confine con il territorio di Mondragone, contribuendo a modificare negativamente i caratteri
paesaggistici del litorale. Nel giro di meno di un decennio furono realizzati villini e case per le vacanze
prive di reti di adduzioni idriche e di fognature, secondo anonimi tracciati a scacchiera, occupando
finanche le aree a ridosso del fiume. Tale urbanizzazione selvaggia ha contribuito alla devastazione del
territorio costiero di Castel Volturno al pari, se non in maniera superiore, all’insediamento dei fratelli
Coppola.
Il complesso ‘Pinetamare’, infatti, ignorando volutamente ogni possibile relazione con il luogo dove
era stato realizzato, anzi mortificandone i caratteri di unicità e di straordinarietà con una edilizia
anonima e priva di valore11, si presentava confinato entro limiti ben precisi; se fosse rimasto un caso
isolato, avrebbe avuto un impatto molto limitato sugli equilibri territoriali, rispetto a quelli causati
dall’urbanizzazione a macchia d’olio che, invece, ha contribuito a generare con la sua edificazione.

4. Il declino e l’attuale stato di degrado


L’aumento della pressione antropica, la mancanza di impianti di depurazione, le acque
inquinate sversate in mare dal fiume Volturno e dal canale di sbocco dei Regi Lagni, già a
metà degli anni Ottanta produssero un generale peggioramento della qualità delle acque del
mare del litorale. Lo spostamento dei militari statunitensi da ‘Pinetamare’ alla nuova sede di
Gricignano di Aversa ed il concomitante trasferimento sul litorale Domitio di migliaia di
sfollati a seguito del terremoto del 1980 e dei fenomeni bradisismici di Pozzuoli, segnarono
l’inizio di un veloce quanto inesorabile degrado dell’intera area. Lo smaltimento illegale di
rifiuti da parte di associazioni camorristiche nelle campagne retrostanti il litorale e la sempre
più pervicace presenza della malavita organizzata hanno ulteriormente aggravato la

9
Il video è disponibile in rete all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=OU76H7mrijQ. Visionato il 27 06 2017.
10
Nemmeno vanno dimenticate le responsabilità dei contadini locali che sin troppo facilmente alienarono le loro terre, spesso
gravate da canoni e usi civici.
11
R. Pane, «Edilizia ultraintensiva ed incubo balneare», in Napoli Nobilissima, Volume IX, fascicolo III, maggio-agosto
1970, pp. 106-110.

1424
situazione. Il vasto patrimonio immobiliare costruito ha velocemente perso di valore;
abbandono, prezzi bassi, richiesta di manodopera non qualificata a nero hanno creato le
condizioni ideali per un massiccio fenomeno di immigrazione da parte di popolazioni di
origine africana. Ormai da anni è in atto a Castel Volturno un enorme processo di filtering
sociale: migliaia di abitazioni, ormai prive di valore, sono state comprate, affittate o
semplicemente occupate da italiani troppo poveri per permettersi di risiedere altrove e da
stranieri che vivono di lavoro nero ed espedienti. Sono così nati tanti piccoli mini-quartieri in
cui risiedono migliaia di persone, spesso neanche rilevate nei numeri ufficiali (si stima che
per 25.000 abitanti censiti ne vivano altrettanti non registrati), persone ‘senza radici’ che si
trovano sul litorale di Castel Volturno ‘per caso’, in attesa di andare altrove, o semplicemente
di ‘tempi migliori’, del tutto estranee o, quantomeno indifferenti, alla realtà sociale di cui
sono parte, con legami e relazioni molto labili ed eterogenee, basate per lo più su valori di
tipo etnico. Sullo sfondo, gli affari delle organizzazioni criminali campane e della cosiddetta
mafia nigeriana12 che tra i diroccati muri dei tanti edifici abbandonati gestiscono il traffico di
stupefacenti e la prostituzione.
A poco più di quarant’anni dall’inizio della vorticosa urbanizzazione, dunque, quasi niente
rimane di quella malintesa vocazione turistica del litorale domitio di Castel Volturno. Le
villette e le costruzioni di Bagnara, di Pescopagano, di lago Piatto, di Destra Volturno e di
Baia Verde cadono a pezzi per mancanza di manutenzione; il porto di Pinetamare è rimasto
sulla carta, la darsena è senz’acqua e i locali che la circondavano sono chiusi. Solo le otto torri
costruite su suolo demaniale sono state demolite a seguito di una lunga vertenza giudiziaria
conclusasi con un accordo tra gli Enti locali ed i Coppola13. Sopravvive, immerso nella pineta
davanti alla spiaggia, solo l’hotel che ospita gli allenamenti della squadra del Napoli e un
campo da golf protetto da un recinto e dalla vigilanza privata.

5. Prospettive per il futuro


Le brevi note sin qui esposte, senza pretendere di essere esaustive della complessa vicenda
delle trasformazioni del litorale di Castel Volturno, consentono comunque di individuare
alcuni punti su cui riflettere per elaborare una profonda e costruttiva azione di riqualificazione
e rigenerazione, sociale, ambientale, urbana e, dunque, turistica dell’intero litorale.
Data la complessità delle questioni in gioco è impossibile che un tale processo possa essere
affrontato dai soli amministratori locali che, del resto, finora non hanno brillato per efficienza,
considerato che ad oggi il solo strumento urbanistico vigente è il c.d. ‘Perimetro Urbano’ al
197214 e che esistono ancora migliaia di richieste di condono edilizio inevase. Per la verità, in
questi anni sono stati adottati diversi piani urbanistici comunali ma nessuno di questi è stato
definitivamente approvato per problemi di tipo tecnico-giuridico o per il cambio di colore
politico della Giunta Municipale. L’Amministrazione in carica ha dato il via alla redazione di un
nuovo PUC, tentando di coinvolgere i cittadini con incontri pubblici e l’ausilio di piattaforme
WEB15, ma ad oggi -sebbene sia trascorso più di un anno dall’inizio delle operazioni- il piano non
è stato ancora adottato e, dunque, risulta impossibile esaminarne i contenuti e le prospettive.

12
S. Nazzaro, Castel Volturno. Reportage sulla mafia Africana, Torino, Einaudi, 2013.
13
Il Piano di riqualificazione per il risanamento ecoambientale e il rilancio socio-economico per la località
Pinetamare Comune di Castel Volturno e aree attigue firmato il 1º agosto 2003 tra la Regione Campania, la Provincia
di Caserta, il Comune di Castel Volturno, il Comune di Villa Literno e il Consorzio Rinascita prevedeva – oltre che
l’abbattimento delle torri, anche altri interventi non realizzati come il restauro del Castello e la costruzione del porto
Pinetamare per 1.200 posti barca.
14
‘Perimetro Urbano’ adottato dal Consiglio Comunale con Delibera n. 231 del 1972, in applicazione del combinato
disposto dell’art. 17 della legge n. 765/67.
15
Al riguardo è attivo un sito WEB all’indirizzo http://www.puccastelvolturno.it/index.php. Consultato il 14.07.2017.

1425
Fig. 3. La fascia litorale del comune di Castel Volturno. Elaborazione grafica
su immagine satellitare tratta da Googlemaps.

È chiaro che l’approvazione del PUC e la definizione delle domande di sanatoria edilizia sono
due condizioni ineludibili per poter immaginare un serio programma di rigenerazione del
territorio di Castel Volturno, fondato su certezze e programmi precisi. Pertanto, si spera che
l’Amministrazione proceda ad adottare il piano e a concludere a breve il suo iter di
approvazione, così come a smaltire le richieste di condono inevase. Più complesso è delineare
i punti chiave che tale strumento ci si augura abbia preso in esame e le strategie a livello

1426
sovracomunale che dovranno essere perseguite. Innanzitutto, va detto che il territorio di
Castel Volturno si è così profondamente trasformato negli ultimi quarant’anni che risulta
inimmaginabile considerare l’antico borgo storico come l’unico centro di riferimento di un
programma di rigenerazione urbana e territoriale. Conseguentemente è auspicabile che il
piano miri a potenziare la centralità di altri luoghi del territorio in una visione integrata delle
diverse parti. Ciò, a mio avviso, dovrebbe comportare anche l’esecuzione di interventi di
parziale demolizione, di recupero e di ridisegno del costruito di località come Lago Piatto,
Destra Volturno, Pescopagano, Baia Verde e dello stesso complesso ‘Pinetamare’, attraverso
specifiche progettazioni di dettaglio che interessino soprattutto le aree a ridosso delle spiagge
con interventi di architettura eco-sostenibile. È, altresì evidente che il piano debba mirare a
potenziare le aree protette della esistente Riserva naturale Foce Volturno-Costa Licola con
l’Oasi dei Variconi16, puntando sulla loro valorizzazione e migliorandone la fruizione, così
come appare improcrastinabile procedere al restauro ed alla rifunzionalizzazione del Castello
e del borgo contiguo di San Castrese, nonché alla sistemazione dell’area portuale di
Pinetamare.
Per superare gli scompensi determinatisi tra sfruttamento delle risorse e produttività del
territorio, inoltre, occorre che si proceda a riequilibrare le attività presenti sul territorio,
puntando sulla bonifica dei terreni contaminati, sull’allevamento e sull’agricoltura: la ripresa
del turismo non potrà che essere una conseguenza di tale riassetto.
Per perseguire tali obiettivi saranno ovviamente necessari progetti di qualità, ma anche
cospicue risorse economiche pubbliche e private che dovranno essere indirizzate in un serio e
preciso programma d’azione che preveda tempi e modi certi e che auspicabilmente si apra ad
una scala sovracomunale. Alla Regione Campania spetta il compito di predisporre ed attivare
finanziamenti e di vigilare affinché, innanzitutto, il primo possibile intervento di
riqualificazione, ovvero quello di cui al Grande Progetto La Bandiera Blu del Litorale
Domitio, annunciato da due governatori ma non ancora iniziato, sia portato a termine in tempi
brevi e con successo. Non va, poi, dimenticata la necessità di fare in modo che tutti gli Enti
interessati assicurino l’efficiente funzionamento degli esistenti depuratori affinché i Regi
Lagni ed il Volturno non inquinino più la costa con le loro acque, cosa che in questi anni non
è stata sempre garantita.
Tali interventi sarebbero, però, insufficienti se non accompagnati da efficienti politiche di
repressione dell’illegalità e di integrazione sociale e culturale, cui dovranno concorrere tanto
le Amministrazioni locali, quanto lo Stato, affinché vecchi e nuovi cittadini di Castel
Volturno si riconoscano in una comunità unica, con valori e obiettivi condivisi, mettendo al
centro di ogni iniziativa la salvaguardia del territorio. Si tratta di una integrazione possibile ed
auspicabile. Del resto uno dei Santi patroni di Castel Volturno, San Castrese, non era arrivato
sul litorale Domitio dall’Africa?

Bibliografia
F. P. Arata, La navigabilis fossa di Nerone, in «Mélanges de l'École française de Rome –
Antiquité», 126-1|2014, messo in linea il 7 luglio 2017, consultato il 4 luglio2017. URL:
http://mefra.revues.org/2114; DOI:10.4000/mefra.2114.
A. Bagnulo, «La bonifica del basso Volturno», in Rassegna dei lavori pubblici, n. 10, Ottobre
1957.

16
La Riserva Naturale ‘Foce Volturno-Costa Licola’ è stata istituita con Legge Regionale n. 33 del
1/9/1993 e ss.mm.ii. L’Oasi dei Variconi, che è parte della riserva, rappresenta il biotipo palustre più
importante della Campania. È classificata ‘Zona di Protezione Speciale’ ed è ‘Sito di Importanza
Comunitaria’, per l’elevato numero di uccelli migratori che vi transitano e per la presenza di habitat
prioritari di conservazione secondo la Direttiva 92/43/CEE.

1427
A. Caprio, Castel Volturno. La storia la cultura i monumenti le famiglie, Napoli, Parresia,
1997.
A. Ciambrone, «Castel Volturno, da costruzione illegale a polo turistico per lo sviluppo del
territorio diffuso in Terra di Lavoro». La Città che si rinnova. Architetture e Scienze tra storia
e attualità. Prospettive di analisi e confronto, a cura di E. Manzo, Milano, Franco Angeli,
2012, pp. 232-239.
G. Fiengo, I Regi Lagni e la bonifica della Campania felix durante il viceregno spagnolo,
Biblioteca dell'«Archivio storico italiano», v. 24, Firenze, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1988.
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paesistica: la gestione delle qualità territoriali nei sistemi costieri della Campania», in
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S. Minieri, I padroni di sabbia, Caserta, Spring 2015.
S. Nazzaro, Castel Volturno. Reportage sulla mafia Africana, Torino, Einaudi, 2013.
R. Pane, «Edilizia ultraintensiva ed incubo balneare», in Napoli Nobilissima, v. IX, fascicolo
III, maggio-agosto 1970, pp. 106-110.

1428
Sociologia del turismo cosmetico:
verso una nuova geografia dell’estetica
Salvatore Monaco
Università di Napoli Federico II –Napoli – Italia

1. Tempo libero, turismo e identità nell’epoca postmoderna


Le teorizzazioni sulla società contemporanea descrivono il sistema sociale come segmentato,
fluido, in perenne trasformazione1, nel quale vengono meno alcune certezze che hanno
caratterizzato l’epoca moderna. Riprendendo le parole di Lyotard2, ciò che distingue la
modernità dalla postmodernità è il declino delle “metanarrazioni”, grandi racconti divenuti
sempre meno credibili, al posto dei quali si sono via via insinuate narrazioni relative, tutte
sottoposte al continuo cambiamento. Nella società moderna il singolo aveva davanti a sé
tappe e riti di passaggio quasi prescritti: dall’inserimento nel gruppo dei pari al percorso
scolastico, dall’introduzione nel mondo del lavoro al pensionamento. In epoca industriale,
inoltre, la costruzione delle identità degli attori sociali nasceva dall’appartenenza di classe e si
fortificava con il lavoro. Questi due elementi definivano i confini tra individui, delineando
somiglianze e differenze.
Oggi, nella cosiddetta società dell’informazione – con l’avvento dei mass-media prima e dei
nuovi media poi – i soggetti, grazie all’uso delle nuove tecnologie, riescono ad interagire con
gli altri disponendo di risorse simboliche che altrimenti gli sarebbero precluse. Nella
contemporaneità, gli attori sociali sperimentano quindi la propria identità in maniera libera e
fluida3, al di là dei confini territoriali4. Ne consegue che si verificano dei sistemi di
appartenenze multiple che non sono più mediati dal concetto di classe5. Questi elementi,
infatti, hanno determinato un mutamento che è intervenuto nella forma della differenziazione
sociale, che non è più legata alle “gerarchie sociali”, ma, anzi, si è sviluppata partendo dai
gusti e delle aspettative dei soggetti. Si sono diffusi, di fatto, diversamente dal passato,
desideri, consumi e appartenenze “altre” dentro le stratificazioni tradizionali. Oggi più che
mai gli attori sociali sono impegnati a fare di sé un collage di elementi: la loro identità si
configura sempre più come il risultato di una scelta individuale6. L’uomo della postmodernità
appare così deciso a vivere esperienze inedite, finalizzate – per dirla alla Fabris7 – a
“stabilizzare il proprio io”, nel proprio tempo libero.
I fattori che hanno fatto sì che il tempo libero assumesse un ruolo centrale nella vita dei
soggetti sono diversi. Tra questi, certamente hanno influito maggiormente l’aumento della
disoccupazione, che ha creato una eccedenza di tempo non dedicato alle attività lavorative e la

1
Si vedano, a tal proposito, i testi Z. Bauman, Liquid Modernity, Cambridge, Polity Press, 2000; Z. Bauman, The
Individualized Society, Cambridge, Polity Press, 2001; U. Beck, World Risk Society, Cambridge, Polity Press,
1998; U. Beck, What Is Globalization?, Cambridge, Polity Press, 1999.
2
J. F. Lyotard, La Condition postmoderne. Rapport sur le savoir, Paris, éditions de Minuit, 1979.
3
E. Reid, «Text-Based Virtual Realities: Identity and the Cyborg Body», in High Noon on the Electronic
Frontier: Conceptual Issues in Cyberspace, edited by P. Ludlow, Cambridge, MIT Press, 1996, pp. 327-345; J.
Berman, A. Bruckman, «The Turing Game: Exploring Identity in an Online Environment», Convergence, 7(3),
2001, pp. 83-102; S. Turkle, Life on the Screen: Identity in the Age of the Internet, New York, Penguin Press,
1995; S. Turkle, Reclaiming Conversation. The Power of Talk in a Digital Age, New York, Penguin Press, 2015.
4
J. Meyrowitz, No sense of place: The impact of Electronic Media on Social Behaviour, Oxford, Oxford
University Press, 1985.
5
P. Canestrari, Consumi e identità: Dal consumo di immagini al consumo di valori, Roma, Edizioni Nuova
cultura, 2013.
6
F. Crespi, Identità e riconoscimento nella sociologia contemporanea, Roma, Laterza, 2004.
7
G. Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Milano, FrancoAngeli, 2003.

1429
flessibilizzazione introdotta nei processi produttivi8, che ha determinato nuovi tempi e ritmi
sociali.
La globalizzazione e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di trasporto hanno modificato
gli interessi e i gusti nell’impiego del tempo libero. Statistiche alla mano, è possibile sostenere
che l’interesse verso il settore turistico è cresciuto esponenzialmente: secondo le recenti stime
dell’Organizzazione Mondiale del Turismo9, questo comparto costituisce, infatti, il 9% del
PIL mondiale. Si tratta di un settore economico di grande rilievo sia per i Paesi più
industrializzati, sia per quelli a crescita più lenta. Gli ultimi dati prodotti dall’Eurobarometro10
rivelano che il 73% dei cittadini europei ha effettuato in media almeno un viaggio nel 201511.
La domanda turistica internazionale ha raggiunto quota 1 miliardo e 300 milioni di arrivi nel
2016. Secondo Pattuglia12 «nel tempo libero, dunque, escluso il tempo dedicato alla
nutrizione e al riposo, sicuramente i due focus principali di copertura temporale, restano il
tempo speso oggettivamente nelle attività umane (qualsiasi tipologia) e il viaggio» (p. 184).
Feifer13 definisce il turismo postmoderno un’attività che può nascere dalle motivazioni più
disparate, che dipendono dal significato che i singoli attori attribuiscono al viaggio che
intendono intraprendere. Secondo Urry14 i viaggi sono strumenti di cui si servono i turisti per
vivere esperienze significative per la costruzione della propria identità.
I dati prodotti dall’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo del Politecnico di Milano15
ci dicono che, a differenza di quanto accadeva fino a pochi anni fa, al giorno d’oggi i turisti
preferiscono concedersi tante brevi fughe (short break) nel corso dell’anno invece che
un’unica vacanza più lunga. I mini-viaggi costituiscono per i turisti momenti durante i quali si
cerca di pianificare esperienze che possano contribuire in maniera significativa alla propria
autodeterminazione.

2. Il turismo cosmetico
Nella società contemporanea la concezione di vacanza come momento di riposo ed evasione
si è via via affiancata a nuovi modelli turistici, che favoriscono dimensioni più riflessive ed
individuali. Il presente contributo ha lo scopo di descrivere una specifica forma di turismo,
quello cosmetico, finalizzato a coniugare l’esperienza del viaggio a quella della modificazione
del proprio corpo. Esiste, infatti, una parte di turisti che si sposta per ricorrere ad interventi di
chirurgia plastica o a trattamenti estetici. La costruzione dell’identità nell’età contemporanea,
infatti, passa anche attraverso il corpo, mediatore tra noi e il mondo, nonché veicolo visibile
per mostrare a sé stessi e agli altri chi si è. Il concetto di corpo estetico è un prodotto della
tarda modernità, in cui moda, medicina, sport e dietetica si intrecciano per produrre una
bellezza voluta, ricercata e calcolata16. La volontà di viaggiare per modellare o modificare il
proprio corpo si inserisce all’interno del paradigma dell’individualizzazione, in cui l’elemento
centrale è la differenziazione delle narrative sociali. Prima in America, poi gradualmente nel

8
Échange et projets, La révolution du temps choisi, Paris, Albin Michel, 1980.
9
UNWTO, Compendium of Tourism Statistics 2016 Edition, Madrid, UNWTO, 2016.
10
Servizio della Commissione europea, istituito nel 1973, che misura ed analizza le tendenze dell’opinione
pubblica in tutti gli Stati membri e nei paesi candidati.
11
Eurobarometer, Preferences of Europeans towards Tourism, Luxemburg, European Commission, 2016.
12
S. Pattuglia, «Turismo religioso e event Management», in Economia e management delle attività turistiche e
culturali. Destinazione, impresa, esperienza, contributi di ricerca, edited by P. Paniccia, P. Silvestrelli, M.
Valeri, Torino, Giappichelli Editore, 2010, pp. 181-216.
13
M. Feifer, Going Places, London, MacMillan, 1985.
14
J. Urry, The Tourist Gaze, Leisure and Travel in Contemporary Societies, London, Sage Publications, 2002.
15
Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo, Ricerca 2015 dell'Osservatorio Innovazione Digitale nel
Turismo, Milano, Politecnico di Milano, 2016.
16
B. Hughes, «Medicalized bodies», in The Body, Culture and Society, edited by Hancock P. et al., Philadelphia,
Open University Press, 2010, pp. 12-28.

1430
resto del mondo, il numero di strutture, agenzie e tour operator che combinano viaggio,
soggiorno, trattamento, convalescenza ed altre attività sul posto è esponenzialmente
cresciuto17. Come posto in evidenza in una ricerca pubblicata nel 2015 sul sito
www.WhatClinic.com, motore di ricerca che confronta prezzi, offerte e qualità delle cliniche
di tutto il mondo, un fattore che ha favorito lo sviluppo del turismo cosmetico e di altre forme
di turismo post moderno è stato il proliferare di compagnie aeree low cost che permettono
spostamenti in Paesi vicini e lontani dal proprio a prezzi contenuti.
Sono sempre più, in tutto il mondo, le strutture che confezionano esperienze turistiche
estetiche, con interpreti, cartelle cliniche nella lingua del paziente/turista, congiuntamente a
servizi navetta da e per le infrastrutture, convenzioni con grandi alberghi, tv satellitare in
camera, escursioni pre e post intervento. Tali soluzioni hanno avuto una visibilità crescente
anche grazie al ruolo giocato dalla rete e dalle nuove tecnologie, che svolgono una funzione
centrale nell’orientare i turisti; è sufficiente una rapida scorsa su un qualsiasi motore di ricerca
per trovare in tempo reale centinaia di offerte con tutte le informazioni e i chiarimenti
necessari per pianificare questo tipo di vacanza.
Da questa angolazione critica, è possibile asserire che il web ha favorito una vera e propria
“democratizzazione dei luoghi”, che si traduce in una competizione turistica a livello
mondiale che è riuscita ad aprire anche a destinazioni dapprima ignote o poco conosciute la
possibilità di potersi inserire nella concorrenza globale tra spazi locali.
I dati recentemente prodotti dalla società di consulenza internazionale Deloitte18 per la FNCP
(Federación Nacional de Clínicas Privadas) mostrano l’ampia portata del turismo cosmetico:
sono circa 7 i milioni di persone che ogni anno si spostano dal proprio Paese per prendersi
cura di sé e del proprio corpo, producendo un giro di affari di circa 100 miliardi di dollari. La
società stima che il trend è in crescita e che nel giro dei prossimi 3 anni la cifra potrebbe
maturare del 50%. Nel report si legge, inoltre, che le variabili che incidono maggiormente
sulla scelta delle destinazioni in cui praticare turismo cosmetico sono diverse: in primis, vi è
una valutazione economica. Si cerca una convenienza in termini di prezzo, considerando
contestualmente la spesa da sostenere per l’intervento insieme a quella del viaggio.
Influenzano la scelta, poi, la raggiungibilità del posto, i tempi di attesa, la qualità dell’offerta
turistica accessoria (patrimonio artistico-culturale, possibilità di fare visite, escursioni,
geografia del luogo, ecc…).
Sul turismo cosmetico, ogni anno dal 2009 la Medical Tourism Association, associazione no-
profit americana nata con lo scopo di aumentare la consapevolezza dei turisti che viaggiano
per sottoporsi ad interventi di chirurgia o a trattamenti estetici, pubblica un rapporto di ricerca
volto a monitorare il fenomeno in tutto il mondo.
I dati pubblicati nel 201519 mostrano una situazione differenziata nei diversi Paesi.
Nella tabella 1 è riportata una selezione delle informazioni più significative contenute nel
report:

17
Altri turismi. Viaggi, esperienze, emozioni, edited by E. Marra, E. Ruspini, FrancoAngeli, Milano, 2010.
18
Deloitte, 2015 Travel, Hospitality, and Leisure Outlook, New York, Deloitte US, 2015.
19
Medical Tourism Association, 2015 Medical Tourism Survey/Report, New York, MTA, 2015.

1431
Tab. 1 – Alcuni dati dal Medical Tourism Survey/Report (2015)
ASIA
Cina Ogni anno sono circa 60.000 i cinesi che viaggiano per motivi
estetici o interventi chirurgici. Le prime tre mete scelte dai
viaggiatori cinesi per praticare turismo cosmetico sono gli Stati
Uniti, il Giappone e la Germania.
Corea Il Ministero della Salute e del Welfare ha reso noto che circa
210.000 pazienti non coreani provenienti da 191 nazioni hanno
ricevuto cure mediche in Corea nel 2013. Un aumento del 32,5%
rispetto al 2012. Tra coloro che si sono rivolti alle cliniche
coreane, il 9% ha effettuato trattamenti alla pelle, l’8,6% è ricorso
a chirurgia estetica.
Filippine Ogni anno circa 200.000 persone effettuato turismo medico
estetico.

AMERICA
Argentina Le autorità fiscali in Argentina stimano che il turismo della salute
è una fonte significativa di reddito per i chirurghi estetici locali, in
quanto circa 1.000 turisti ogni mese arrivano nel Paese per
sottoporsi a trattamenti.
Canada Nel 2013, quasi l’1% dei residenti in Canada ha goduto di
trattamenti al di fuori del proprio Paese. 5.537 soggetti sono andati
all’estero per interventi di chirurgia plastica.
Costa Rica Secondo i dati prodotti dal Consiglio per la Promozione della
medicina internazionale della Costa Rica (PROMED) nel 2012, il
Paese ha attirato circa 50.000 turisti per trattamenti medici,
sanitari ed estetici (per lo più dagli Stati Uniti e Canada) e ogni
paziente ha speso mediamente 7.000 dollari. Quasi la metà di
questi viaggiatori ha dichiarato di essere partito per interventi
odontoiatrici, seguiti da turisti in viaggio per ortopedia, perdita di
peso e chirurgia plastica.

EUROPA
Inghilterra Secondo un rapporto dal NHS, gli ospedali di Londra generano
circa il 20% del loro fatturato totale dai pazienti stranieri. Il 21%
dei pazienti proviene dal Medio Oriente.
Germania Si stima che il turismo cosmetico porterà in Germania 4,6 miliardi
di euro entro la fine del 2017.

OCEANIA
Australia Il turismo cosmetico in Australia è cresciuto del 15% nel 2013.

1432
Nuova Zelanda Il turismo cosmetico in Nuova Zelanda è cresciuto del 3% nel
biennio 2013-2014.

3. Il viaggio estetico nel Mediterraneo: alcuni esempi


Una zona che sembra coniugare perfettamente l’esperienza estetica con quella turistica è
quella del Mediterraneo. Infatti, il clima mite, le bellezze storiche e naturali, congiuntamente
alla qualificazione medica fanno dell’area lo spazio ideale per godere di diversi trattamenti e,
al tempo stesso, fare vacanza.
Ciò che si sta verificando, a livello globale, così come nell’area del Mediterraneo, è la
configurazione di una sorta di “geografia dell’estetica” per cui alcune zone, più di altre,
stanno cominciando ad affermarsi come mete privilegiate per specifici trattamenti.
È il caso, ad esempio, di Malta, che negli ultimi anni ha sviluppato sensibilmente il cosiddetto
turismo dentistico. Malta, infatti, richiama molti viaggiatori, attratti sia dalle tecnologie di
avanguardia e dalle tecniche di ultima generazione utilizzate, sia dai prezzi assai contenuti se
confrontati a quelli di altri paesi, in primis l’Italia. Per quanto riguarda la Grecia, Cipro e la
Turchia, queste, invece, ormai da tempo sono le mete preferite dalle coppie che non riescono
ad accedere alle tecnologie riproduttive nel loro paese20. Si tratta, dunque, di un bacino in cui
si è affermato il cosiddetto turismo procreativo, anche grazie all’azione di alcuni attori
presenti sul territorio. Tra le altre, una realtà consolidata è rappresentata da Imithea21.
L’azienda, con sede ad Atene, è specializzata nella vendita di veri e propri pacchetti all
inclusive per single e coppie che intendono trascorrere qualche giorno di relax in Grecia e, al
tempo stesso, sottoporsi al trattamento. La società, che ha stipulato diverse convenzioni con le
strutture ospedaliere del paese, organizza il soggiorno per i viaggiatori provenienti da ogni
parte del mondo in tutte le sue componenti: dal trasporto, alla permanenza, dalle cure
mediche, alle terapie, fino alle attività da svolgere nel tempo libero. Un servizio analogo, ma
che non favorisce l’incoming, è offerto dall’impresa italiana T&S Corporation s.r.l. che
gestisce il sito www.ilportaledelturismomedico.com. Attraverso la piattaforma, i turisti
italiani che intendono sottoporsi ad un intervento all’estero hanno la possibilità di scegliere,
partendo dal trattamento desiderato, la meta più adatta. Il sito propone la Spagna come una
delle migliori destinazioni al mondo per l’oftalmologia, oltre che per la riproduzione
medicalmente assistita. Come riportato sul sito, il portale del turismo medico ha attivato una
collaborazione con il motore di ricerca di voli low cost Volagratis, per permettere ai
viaggiatori di comparare in autonomia le diverse offerte.
Anche l’Italia si inserisce nel novero di destinazioni che accolgono turisti che si muovono per
motivi estetici. Secondo i dati emersi nel 2015 dal sondaggio condotto dalla International
Society of Aesthetic Plastic Surgery (Isaps) su un campione di 35.000 chirurghi plastici di
tutto il mondo, il nostro paese è il nono a livello globale ad attirare viaggiatori che intendono
associare vacanza e trattamenti estetici. In particolare, l’Italia sembrerebbe richiamare
principalmente donne e uomini che vogliono effettuare interventi di botulino per ringiovanire
il volto. In una recente intervista rilasciata a La Repubblica, Eugenio Gandolfi, presidente
dell’Associazione italiana di chirurgia plastica estetica (Aicpe), ha dichiarato «L’Italia è
considerata un punto di riferimento mondiale nella chirurgia estetica, come dimostrano i
pazienti che arrivano anche da lontano per farsi operare dai nostri specialisti. Resta sempre la

20
Osservatorio turismo procreativo, Quarta indagine sul turismo procreativo, Milano, OTP, 2012.
21
www.imithea.com.

1433
raccomandazione a rivolgersi a professionisti qualificati: Aicpe ha siglato con Isaps una
aesthetic alliance per lo sviluppo di una chirurgia estetica di qualità e sensibile al tema
fondamentale della sicurezza del paziente»22.

4. Il turismo cosmetico tra rischi e opportunità


I dati relativi al turismo cosmetico e le previsioni future, che lasciano ben intendere che si
tratta di un fenomeno in sviluppo, fanno emergere chiaramente la necessità crescente da parte
degli attori sociali di costruzioni antropopoietiche23 (Remotti, 1996, 2002; Affergan et al.,
2005; Angioni, 2011). Sembrerebbe, infatti, esserci oggi un nesso sempre più forte tra la
volontà di definire la propria identità rispetto agli altri da parte dei soggetti e il loro impegno a
sagomare, adattare e trasformare il proprio corpo come strategia di “completamento” del sé.
Guardando alle ricadute economiche del fenomeno, è evidente che combinare la possibilità di
poter modificare il corpo mediante trattamenti chirurgici o estetici e l’offerta turistica ha
conseguenze positive sia per i turisti pazienti, sia per gli attori che fanno parte della catena
turistica. Infatti, il turismo cosmetico può rappresentare, se sostenuto da buone strategie di
marketing territoriale, uno strumento efficace per attirare consumatori con buone potenzialità
di acquisto, nonché un’opportunità di crescita per le strutture private.
Questa forma di turismo può consentire, da un lato, la valorizzazione dei luoghi che ospitano
le strutture a cui i turisti si rivolgono e, dall’altro, il superamento uno dei problemi che
storicamente attanaglia il comparto turistico, ovvero la stagionalità dei flussi, fenomeno
legato a fattori essenzialmente naturali (in primo luogo climatici) e ai tempi dettati dal lavoro
e dal tempo libero. Il turismo cosmetico, a differenza delle vacanze che tradizionalmente
vengono fatte per riposo o evasione dalla routine quotidiana, infatti, si pratica principalmente
nei periodi non festivi, in cui centri e cliniche sono attivi. Ne consegue un rilancio in termini
economici in particolar modo per quanto riguarda quelle zone che sono tradizionalmente
frequentate solo quando il clima è favorevole o durante i periodi di ferie.
Per sostenere lo sviluppo del turismo cosmetico è opportuno però che gli attori coinvolti
cooperino, coordinandosi tra loro, anche a livello internazionale, per andare incontro alle
richieste dei flussi turistici. Tra le possibili strategie da implementare ci devono essere
sicuramente operazioni di marketing e comunicazione, capaci di promuovere i servizi nel
campo dell’estetica congiuntamente alle risorse e al patrimonio presenti sul territorio. Occorre
altresì lavorare per mettere a punto valide procedure di accoglienza ed abbattere le barriere
linguistiche.
Trova legittimità in questa direzione la nascita nel mondo di diverse organizzazioni no profit e
di società di servizi che accolgono e accompagnano i turisti nella scelta delle strutture più
idonee a soddisfare le proprie esigenze. In America da diversi anni è attiva la Health Flight
Solution, società che supporta i turisti che decidono di spostarsi in qualsiasi parte del mondo
per prendersi cura di sé, della propria salute e del proprio corpo. In Spagna, invece, nel 2013
le entità turistiche e sanitarie più importanti del Paese hanno costituito Spaincares, cluster
spagnolo del turismo della salute. Ed ancora, in Italia, nel 2014 il Ministro della Salute ha
promosso l’iniziativa Italiastarbene, finalizzata a promuovere le migliori strutture ospedaliere
italiane che offrono servizi nel settore della salute, della cura e del benessere, fornendo al

22
Cfr. http://www.repubblica.it/salute/forma-e-bellezza/2016/08/01/news/chirurgia_estetica_tutti_pazzi_per_il_
botox_l_italia_nona_al_mondo_interventi-145182652/.
23
F. Remotti, Contro l¶identità, Laterza, Roma, 1996; Forme di umanità, edited by F. Remotti, Milano, Bruno
Mondadori, 2002; Figure dell’umano. Le rappresentazioni dell¶antropologia, edited by F. Affergan et al., Roma,
Meltemi, 2005; G. Angioni, Fare, dire, sentire: l¶identico e il diverso nelle culture, Nuoro, Il Maestrale, 2011.

1434
contempo tutte le informazioni necessarie relative ai possibili servizi turistici di cui possono
fruire i pazienti.
Se è vero che le nuove opportunità della società post-industriale hanno moltiplicato le
possibilità di autodefinirsi ed autorealizzarsi, allo stesso tempo il turismo cosmetico espone i
soggetti a nuovi rischi. Innanzitutto, il fatto che i trattamenti siano abbinati ad una vacanza
non deve essere un motivo per sottovalutarne l’importanza. Si tratta, infatti, di operazioni sul
corpo che richiedono la giusta convinzione. Molti interventi prevedono la formula day
hospital, con dimissione il giorno stesso dell’operazione, proprio per consentire ai pazienti di
vivere l’esperienza turistica. I tempi di riposo e convalescenza però sono diversi a seconda del
tipo di trattamento a cui si è sottoposi (è molto diverso modificare il proprio corpo facendosi
piercing o tatuaggi oppure ricorrere ad interventi di rinoplastica o mastoplastica additiva) così
come la reazione fisica non sempre è prevedibile. Il fatto che il pacchetto all inclusive
scandisca dettagliatamente i tempi di soggiorno, operazione, convalescenza, attività post
intervento, non deve vincolare il turista, che deve sentirsi sempre e comunque libero di
cambiare idea o di prendersi qualche giorno in più di riposo, indipendentemente dal fatto che
ci siano attività programmate per visitare il luogo che lo ospita o che l’aereo di ritorno sia già
prenotato. Inoltre, il corpo non sempre è pronto ad attivarsi immediatamente dopo il post-
intervento: sono pochissimi i trattamenti estetici che hanno una convalescenza così breve da
consentire di andare in spiaggia o a fare escursioni a distanza di poche ore dall’operazione.
Un caso emblematico è rappresentato quelle offerte tutto incluso che combinano liposuzioni a
safari o attività in spiaggia: il caldo forte, la sabbia e la polvere sono i primi elementi da
evitare se si hanno fasciature o suture fresche.
Inoltre, molto spesso i costi degli interventi sono più contenuti rispetto a quelli che si
sosterrebbero nel proprio Paese perché la qualità dei prodotti utilizzati è inferiore.
È opportuno quindi che chi decide di combinare l’esperienza turistica all’estetica sia quanto
mai consapevole e preparato. Alcune possibili precauzioni possono essere, in tal senso,
verificare preliminarmente la qualità della struttura ed informarsi sull’esperto che si occuperà
del corpo (che sia un tatuatore o un chirurgo), sugli studi che ha fatto e sull’esperienza
maturata. È importante, inoltre, conoscere la legislazione vigente nel Paese in cui si intende
andare in tema di tutela del paziente in caso di chirurgia plastica ed estetica. Sarebbe
appropriato, infine, stipulare una assicurazione specifica, che assista i turisti in caso di
eventuali imprevisti.

Bibliografia
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1435
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Sitografia
www.2.deloitte.com
www.healthflightssolutions.com
www.ilportaledelturismomedico.com
www.imithea.com
www.repubblica.it
www.medicaltourismassociation.com
www.whatclinic.com

1436
Luci d’Artista per città luna-park
Antonio Mastrogiacomo
Università di Napoli Federico II – Napoli – Italia
Parole chiave: Salerno, Luci d’Artista, parco a tema, turismo, economia, arte, società, politca.

1. Luci senza ombre


L’esposizione di opere d’arte luminosa installate nelle piazze, nei parchi e nelle strade della
città di Salerno prende il nome di Luci d’Artista1; ritma la vita culturale della città sull’Irno da
oltre 10 anni e nel tempo ha affermato l’elezione della città a capoluogo della regione del
Natale, in Campania.
I benefici dell’iniziativa sono evidenti tanto quanto le code sulle varie arterie stradali che
permettono di raggiungere la vecchia sede degli Arechi. Infatti, da quando la manifestazione
ha preso piede hanno aperto i loro battenti circa 400 b&b, mentre il settore alberghiero fa
registrare il tutto esaurito nei giorni di punta. I fine settimana, poi, è il momento d’elezione
per i Gran Turismo: se ne arrivano a contare anche 400. Dunque, moltiplicate questa cifra per
gli almeno 50 posti disponibili su ognuno. Aggiungete tutti coloro che preferiscono le rotaie.
Insomma, tra pendolari della domenica e turisti in residenza temporanea, le cifre sono davvero
importanti e la loro cifra sta tutta nel traffico pedonale che caratterizza le passeggiate per il
centro cittadino addobbato per le feste.
«I monumenti di una città, dopotutto, non sono sempre stati lì ad aspettare di farsi vedere dai turisti,
anzi, è stato il turismo a creare questi monumenti. È il turismo che monumentalizza una città; lo
sguardo del turista di passaggio trasforma la vita urbana perennemente fluida, in continuo mutamento,
in una monumentale immagine dell’eternità. Il crescente volume del turismo, inoltre, accelera il
processo di monumentalizzazione»2. Il turismo inoltre ha stretto un patto con la moda e la logica
dell’appuntamento interviene così a ritmare la produttività del calendario culturale.
«Ci si trovò di fronte un problema nuovo quando le nuove velocità portarono nella vita un ritmo
mutato. Anch’esso prima veniva sperimentato per così dire sotto forma di gioco. [...] Non ci si
meraviglia se un cronista fa seguire delle profezie apocalittiche, annunciando il tempo in cui gli
uomini saranno accecati dall’eccesso di luce elettrica e impazziranno a causa della velocità di
trasmissione delle notizie»3.
L’occasione delle luci d’artista offre al cronista un’occasione irrinunciabile per fare il punto
sullo stato dell’arte in materia di manifestazioni pubbliche tali da riconfigurare temporalmente
gli spazi cittadini. La città di Salerno viene infatti ridisegnata quale parco tematico che sappia
ospitare tanto il clima natalizio quanto i flussi turistici. Sono questi due elementi (la città luna-
park e il turismo effimero) a fare di Salerno il palcoscenico adatto ad un pubblico variegato
che passeggiando nel paesaggio urbano incontra l’opera.

2. Luci d¶artista
«Luci d’artista è una manifestazione culturale avviata dal comune di Torino nel 1998 e consiste, in
occasioni delle feste natalizie, nel far sì che quasi tutte le piazze e vie della città si vestono di luci, che
vanno oltre le consuete luminarie di fine anno: sono, infatti, opere concepite da artisti contemporanei,
che si qualificano per l’alto valore scenografico, per il loro valore fortemente simbolico e concettuale,
per il loro descrivere scene fiabesche di incomparabile significato fattuale.
Dall’anno 2006 la stessa iniziativa è stata adottata anche nella città di Salerno che ha avuto
l’indiscutibile merito di rielaborare e rivisitare l’iniziativa, anche a seguito del gemellaggio ideale tra le

1
Per una definizione e presentazione dell’iniziativa “Luci d’Artista” si veda il link
http://lucidartista.comune.salerno.it/static/luci_dartista2016/LUCI_D-ARTISTA_2016-170.aspx consultato in
data 12 dicembre 2016.
2
B. Groys, La città nell’era della riproduzione turistica in Art Power, Milano, 2010, p. 117.
3
W. Benjamin, Passages, Einaudi, Torino, 2010, pag. 70.

1437
due città di Torino e Salerno, elevandola ad occasione consolidata di fortissima produzione turistica e
culturale della città e del territorio circostante»4.
Così il 24 luglio 2015 scorso l’on. Gambino ha presentato l’iniziativa in consiglio ché potesse
essere varata la proposta di legge “Disposizioni per il riconoscimento e la tutela del progetto
Luci d’Artista come evento di rilevante interesse regionale”. Lo scarto tra la tutela del bene
culturale e paesaggistico stipata nelle parole assiepate nei documenti e la fabbrica del
divertimento che esercita sé stessa nella città contemporanea misura l’equilibrio dei mezzi e
dei fini messi in campo per assicurare il valore dell’iniziativa. Ancora una volta infatti si
conferma la città contemporanea come configurazione di quel «luogo in cui esistono spazi
dedicati al consumo di spettacoli, shopping alla moda, intrattenimento e distrazioni, vita
notturna e avventure culturali, occasioni in musei, gallerie d'arte, sale concerti e così via»5.

3. La città luna park


È il paesaggio urbano a rivestire la parte di protagonista: la città come museo a cielo aperto in
cui piazzare installazioni è diventata la proposta più battuta per un’idea di turismo in grado di
accogliere le masse e verso cui sono state dirette molte delle recenti iniziative in ambito di
politica culturale a marca statale.
Prima di affrontare la ridefinizione degli spazi cittadini quali attrattive di un parco tematico,
inserisco una piccola premessa metodologica. Il turismo effimero consumato si impone
all’attenzione quale esempio di ridefinizione della pratica della deriva dal sapore situazionista.
«Fra i diversi procedimenti situazionisti, la deriva si presenta come una tecnica del passaggio veloce
attraverso svariati ambienti. Il concetto di deriva è indissolubilmente legato al riconoscere effetti di
natura psicogeografica e all’affermazione di un comportamento ludico-costruttivo, ciò che da tutti i
punti di vista lo oppone alle nozioni classiche di viaggio e di passeggiata. Una o più persone che si
lasciano andare alla deriva rinunciano, per una durata di tempo più o meno lunga, alle ragioni di
spostarsi e di agire che sono loro generalmente abituali, concernenti le relazioni, i lavori e gli svaghi
che sono loro propri, per lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi
corrispondono. La parte di aleatorietà è qui meno determinante di quanto si creda: dal punto di vista
della deriva, esiste un rilievo psicogeografico delle città, con delle correnti costanti, dei punti fissi e
dei vortici che rendono molto disagevoli l’accesso o la fuoriuscita da certe zone»6.
In effetti, se non fosse per il valore di deriva – stavolta di “deriva controllata” – non potremmo
orientarci nel labirinto delle Luci d’Artista. E solo adottando questo tipo di attraversamento
possiamo riconoscere che, «secondo una nozione necessariamente inconfinabile, mobile e
liquida, il paesaggio si presenta come un dispositivo mobile e incessantemente alterabile, che
non conosce né posa, né certezze»7.
Luci d’Artista ridefinisce temporaneamente il paesaggio urbano della città di Salerno, che
accoglie l’opera per diventare monumento. La mano dell’intervento pubblico sull’iniziativa
pesa quale forma di investimento turistico attrattivo, dimentico dei valori di salvaguardia e
tutela che pur motivano l’azione pubblica. «L’efficacia di ogni tutela dipende in larghissima misura
da quanto le comunità umane si sentono degne e onorate di “abitare” il proprio patrimonio»8. Tra le
comunità umane interessate quale pubblico dell’opera, sono soprattutto le famiglie a
rintracciare in questa forma di intrattenimento una valida offerta culturale, perché in grado di

4
Per il testo completo si rimanda al link – dove è disponibile gratuitamente in formato pdf –
http://www.consiglio.regione.campania.it/cms/CM_PORTALE_CRC/servlet/Docs?dir=atti&file=RG%2035.pdf
consultato in data 13 dicembre 2016.
5
A. J. Scott, Città e regioni del nuovo capitalismo, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 43.
6
G. Debord, Parigi, Théorie de la déreive in Les Lèvres nues, n. 9, 1958. Diponibile al link
http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/docenti201/Borelli-Gu/materiali-/A-A--2015-/LETTURE-SO/Debord_La-
teoria-della-deriva1.pdf consultato in data 30 giugno 2017.
7
V. Gravano, Paesaggi attivi. Saggio contro la contemplazione, Mimesis, Milano, 2012, p. 13.
8
F. Bottari, F. Pizzicannella, I beni culturali e il paesaggio, Zanichelli, Bologna, 2007, p. 57.

1438
tenere insieme l’economia dell’intrattenimento e dei servizi. Percorrendo temporaneamente il
centro abitato ed essendo autorizzate ad una visita mordi e fuggi, il rischio di vivere nella
completa distrazione il paesaggio urbano anima costantemente l’esperienza del turista.
Ristorazione, intrattenimento, negozi e boutique: risultano presi d’assalto i servizi aggiuntivi –
se l’iniziativa pubblica funziona anche per i commercianti, funziona davvero per tutti. Infine
tutta una costellazione di appuntamenti – fatta di degustazioni e street food sul lungo mare,
aperture temporanee di siti, archeologici e non (quasi mai aperti) e rilancio della filiera
dell’intrattenimentificio serale – si lega poi a Luci d’Artista.
La trasformazione del centro cittadino in luna park è evidente già dalla mappatura dell’area
che assegna le installazioni luminose a determinati spazi pubblici definendoli quali
monumenti attrattivi. Il caso del planetario in piazza Flavio Gioia è il più evidente, senza
dimenticare la decisiva operazione di rifunzionalizzazione della villa comunale, lo spazio più
ambito per una ridefinizione dell’area in termini favolistici. Il piccolo expo dei sapori e
dell’artigianato che si consuma sul lungomare Trieste evoca la portata mercatale
dell’iniziativa, accompagnata da una filodiffusione radiofonica che immediatamente
territorializza un centro commerciale extra moenia.
Come ad autorizzare la validità del contributo redatto (almeno nel titolo) faccio riferimento
poi all’attrazione dell’edizione 2016: la ruota panoramica in Piazza della Concordia. Grazie al
disegno delle luci il centro ospita il logo della città di Salerno, realizzato nel 2011 dal
designer Massimo Vignelli, cui fu affidata la mission (dall’allora sindaco De Luca) di creare
un brand commerciale per la città. Mai immagine fu più azzeccata nel render conto
dell’impresa culturale avviata 10 anni or sono, su cui tanto si è puntato, per cui tanto si è
speso e che mai più sarà abbandonata.

4. La regione del Natale


Mentre la città di Salerno è stata in grado di reintepretare il format Luci d’Artista meglio che
la città di Torino grazie alle caratteristiche adattive di un paesaggio miramare, nella relazione
redatta, discussa e approvata in consiglio regionale vengono elencati gli obiettivi della
manifestazione, quelli raggiunti e quelli da raggiungere. La chiusa guadagna gli onori di
questa cronaca: “si realizza un percorso ideale e più articolato che delinea una linea
immaginaria di Regione del Natale che attraversa parte rilevante del territorio regionale”. In
altre parole, Salerno diventa finalmente la capitale di una regione: la regione del Natale.
Se da un lato l’area viene temporaneamente riplasmata per mezzo di questa riqualificazione, è
vero dall’altro che l’esempio Salerno rappresenta un banco di prova per tutti gli altri
capoluoghi. La torta dei 3 milioni di euro dedicati viene divisa in fettona, fette e fettine ché ad
ogni modo tutti possano partecipare alla mensa del capitale pubblico: Salerno, il 60%.
Seguono Napoli e Caserta, col 10% cadauna. Chiudono con un 4 % le altre cittadine
interessate (Baronissi, Cava dei Tirreni, Nocera inferiore, Pagani e Sarno).
Ogni realtà coinvolta si fa carico della responsabilità dell’iniziativa e garantisce la
realizzazione di eventi collaterali finalizzati a potenziare la portata turistica dell'evento.
Nel mentre la regione si impegna a promuovere l’istituzione della fondazione per l’Archivio
Campano dell’evento “Luci d’Artista” (Acla) per come considerato connesso ai canti ed alle
musiche natalizie alfonsiniane e alle figure presepiali di San Gregorio Armeno e della Reggia
di Caserta. Non vediamo l’ora di ascoltarli.

5. Conclusione
«Il processo che si compie nelle opere d’arte e che in esse viene posto in stato di quiete va pensato
come dotato dello stesso senso del processo sociale a cui le opere d’arte sono aggiogate; secondo la
formula leibniziana, esse lo rappresentano senza avere finestre. La configurazione degli elementi
dell'opera d'arte nell’intero di quest’ultima obbedisce immanentemente a leggi che sono affini a quelle

1439
della società all’esterno. Le forze produttive sociali, così come i rapporti di produzione, si ripresentano
in attinenza con la mera forma, privata della propria fattualità, nelle opere d’arte, poiché il lavoro
artistico è lavoro sociale; sempre lo sono anche i suoi prodotti»9.
Sostenuto dalla regione Campania, il dispositivo politico che l’esperienza di Luci d’Artista
mette in campo nella città di Salerno dimostra il fondamentale carattere ancipite di arte e
società che sostiene l’attuale produzione culturale. Solo il commercio garantisce il risultato
dell’operazione allestita, dimenticando il valore di tutela del patrimonio che sembra affiorare
solo a tratti nella manifestazione, pur trovando spazio in sede di presentazione dell’iniziativa.

Bibliografia
T.W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, Torino, 2009.
W. Benjamin, Passages, Einaudi, Torino, 2010.
F. Bottari, F. Pizzicannella, I beni culturali e il paesaggio, Zanichelli, Bologna, 2007.
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B. Groys, Art Power, Postmedia Books, Milano, 2010.
A. J. Scott, Città e regioni del nuovo capitalismo, Il Mulino, Bologna, 2008.

Sitografia
A. Gambino, Proposta di legge “Disposizioni per il riconoscimento e la tutela del SURJHWWR
Luci d’Artista come evento di rilevante interesse regionale”, 23 luglio 2015. Disponibile al
link: http://www.consiglio.regione.campania.it/cms/CM_PORTALE_CRC/servlet/Docs?dir=
atti&file=RG%2035.pdf.
G. Debord, Théorie de la déreive in Les Lèvres nues, n. 9, 1958. Disponibile al link:
http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/docenti201/Borelli-Gu/materiali-/A-A--2015-/LETTURE
-SO/Debord_La-teoria-della-deriva1.pdf.
Definizione e presentazione dell’iniziativa disponibile al link http://luci dartista.comune.
salerno.it/static/luci_dartista2016/LUCI_DARTISTA_2016-170.asp.

9
T.W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, Torino, 2009, p. 316.



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