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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Prof. Lorenzo Novellino

INTRODUZIONE
L'appendicectomia è uno degli interventi chirurgici più frequenti e
rappresenta - per relativa semplicità di esecuzione, almeno nei casi non
complicati - una vera palestra di apprendimento per lo specialista in
formazione. Sempre più diffusa è la procedura laparoscopica, da molti oggi
considerata il gold standard per l’asportazione dell’appendice. Anche in
chirurgia mini-invasiva l’appendicectomia ha una peculiare valenza didattica
come atto formativo propedeutico ad altri più complessi. La tecnica
laparoscopica deve essere dunque conosciuta dal chirurgo generale e dovrebbe
far parte del suo “bagaglio minimo” di competenze operative.

1 - CENNI STORICI
La prima descrizione tramandataci di un'appendicectomia risale al
dicembre 1735. Claudius Amyand, medico della regina Anna e di altri sovrani
inglesi e fondatore del St. George's Hospital a Londra, operò un ragazzo di
undici anni affetto da ernia scrotale di antica data e da fistola stercoracea
inguinale. Attraverso un’incisione scrotale, constatò la presenza nel sacco
erniario di un'appendice perforata da uno spillo e coperta dall'omento. Amyand
asportò l'omento e l'appendice e la fistola si chiuse nel postoperatorio. "Un
intervento tanto doloroso per il paziente quanto estenuante per me":
l'operazione, in effetti, durò più di mezz'ora, e questo basta a testimoniare il
coraggio del ragazzo!
Nel 1880, il chirurgo inglese Robert Lawson Tait resecò con successo
l'appendice gangrenata in un ragazzo di 17 anni; egli optò per la doppia
invaginazione del moncone appendicolare (doppia borsa di tabacco), un
metodo ancora in uso ai nostri giorni. Il 10 maggio 1883 Abraham Groves, di
Fergus nell'Ontario (Canada), figlio di un immigrato irlandese, eseguì –
probabilmente è il primo caso - un'appendicectomia "precoce" (prima cioè dello
stadio gangrenoso o perforativo dell’appendicite) in un ragazzo di 12 anni che
lamentava dolore ricorrente nel quadrante addominale inferiore destro;
l'esperienza dell'Autore fu riportata solo in un'autobiografia pubblicata nel
1934.
Nel 1889 venne pubblicato il primo di numerosi lavori di Charles
McBurney, di New York. Da allora l'appendicectomia per appendicite acuta (con
la canonica incisione eponimica) si diffuse largamente negli Stati Uniti e in
Europa. Nel 1904, il dottor John B. Murphy, di Chicago, riferì una personale
esperienza di 2.000 appendicectomie eseguite dal 2 marzo 1880 al 22 giugno
1903. Nel 1926 LeGrand Guerry illustrò 2.959 casi personali di chirurgia
dell'appendice.

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Nella bibliografia russa viene rivendicata a Dmitry Oscarovich Ott -
famoso ginecologo di San Pietroburgo, fondatore dell’Istituto che oggi porta il
suo nome - la realizzazione nel 1906 della prima appendicectomia per via
vaginale (colpotomia posteriore) nel corso di un intervento di
isteroannesectomia completato, come di routine per la sua pionieristica Scuola,
da una “ventroscopia”: quello del chirurgo russo potrebbe quindi essere
considerato il primo caso di NOTES (Natural Orifices Transluminal Endoscopic
Surgery). La prima appendicectomia video-assistita sarebbe stata realizzata
nel 1977 dall’olandese Hans J. De Kok, la cui priorità resta sostanzialmente
misconosciuta per la scarsa diffusione della rivista nazionale su cui pubblicò. Fu
comunque Kurt Semm, ginecologo di Kiel (Germania), ad illustrare in due
lavori successivi (giugno 1982 e gennaio 1983) la tecnica dell'appendicectomia
laparoscopica, adattando e modificando quella classica open, così come
descritta e realizzata inizialmente da McBurney. Semm, tuttavia, non riteneva
indicata la procedura laparoscopica nei casi di appendicite acuta, come ribadì in
una pubblicazione su Endoscopy (1983), senza comunque riportare alcuna
personale casistica o esperienza e così esponendosi a non poche critiche. In
effetti, nel 1987 il connazionale Jorg H. Schreiber, di Dusseldorf, pubblicò il
primo consistente report di 70 casi in circa 5 anni (67 dei quali con tecnica
videolaparoscopica; 7 con quadro di appendicite acuta catarrale o
flemmonosa), rivendicando di aver effettuato la prima appendicectomia
laparoscopica nel giugno del 1982.

Da allora il numero delle pubblicazioni è in costante crescita. Sempre più


numerosi sono gli studi comparativi prospettici che dimostrano la validità e la
sicurezza della procedura laparoscopica, che offre significativi vantaggi (minori
infezioni di ferita, ridotta somministrazione di analgesici, più precoce ritorno
alle normali attività e altri). La procedura laparoscopica si dimostra sicura
anche in casi complicati con peritonite diffusa, dove tra l’altro consente un
accurato lavaggio del cavo addominale, evitando così la laparotomia.
L’appendicectomia laparoscopica appare quindi destinata a diventare
unanimemente il gold standard per il trattamento delle appendicopatie acute
complicate, analogamente a quanto già avvenuto per la colecistectomia
laparoscopica per la calcolosi.

Bibliografia per un approfondimento della storia dell’appendicectomia


 Amyand C. Of an inguinal rupture, with a pin in the appendix caeci, incrusted with
stone; and some observations on wounds in the guts. Philosophical Transactions,
1736; 39: 329-336.
 McBurney C. Experience with early operative interference in cases of disease of the
vermiform appendix. NY Med J. 1889; 50: 676–684.
 Murphy JB. Two thousand operations for appendicitis, with deductions from his
personal experience. Am J Med Sci 1904;128:187-211.

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 Oloviannyĭ VE, et al. [To 100-years of first ventroscopic appendectomy]. Khirurgiia
(Mosk). 2007;(6):74-5 (vedi anche in http://www.laparoscopy.ru/doktoru/71010-
ott.html).
 Guerry LeG. A study of the mortality in appendicitis. Ann Surg. 1926; 84 (2): 283–
287.
 Harris CW. Abraham Groves of Fergus: the first elective appendectomy? Can J Surg.
1961 Jul; 4: 405-10.
 de Kok HJ. A new technique for resecting the non-inflamed not-adhesive appendix
through a mini-laparotomy with the aid of the laparoscope. Arch Chir Neerl.
1977;29(3):195-8.
 Seal A. Appendicitis: a historical review. Can J Surg. 1981 Jul; 24(4): 427-33.
 Semm K. Endoscopic appendectomy. Endoscopy 1983; 15: 59-64.
 Schreiber JH. Early experience with laparoscopic appendectomy in women. Surgl
Endosc. 1987; 1 (4): 211-216.
 Morgenstern L. Charles McBurney (1845-1913). Afield from the appendix. Surg
Endosc. 1996 Apr; 10(4): 385-6.

2 – ANATOMIA: UNA PROSPETTIVA LAPAROSCOPICA


Anatomia tipica
L'appendice vermiforme (o appendice ciecale) ha la forma di un
prolungamento cilindrico del cieco, del diametro esterno di circa 0,8 centimetri
e di lunghezza media compresa fra 6 e 12 centimetri (1 - 20 centimetri come
valori estremi). Il cieco, situato nella fossa iliaca destra, è completamente
rivestito dal peritoneo viscerale ed è quindi mobile. L'appendice si impianta sul
margine postero-mediale del cieco, 2-3 centimetri al di sotto della confluenza
dell'ultima ansa ileale, nel punto d'incontro delle tenie anteriore, postero-
laterale e postero-mediale. L’impianto appendicolare si proietta sulla parete
anteriore addominale nel punto di McBurney, ovvero all'unione del terzo
laterale con il terzo medio della linea che unisce l'ombelico alla spina iliaca
anteriore superiore destra (Fig. 1). L'impianto sul cieco rappresenta il punto
fisso dell'appendice. La sua parte mobile, rivestita interamente dal peritoneo
viscerale, è tipicamente disposta, rispetto al punto fisso d'impianto, in
posizione discendente latero-ciecale mediale (o latero-interna) (Fig. 2).
Il meso appendicolare o mesenteriolo è una piega peritoneale tesa dalla
faccia posteriore del mesentere della porzione terminale dell'ileo alla tenia
postero-mediale del cieco e all'appendice; è per lo più triangolare e di regola si
estende lungo l'appendice senza raggiungerne la punta. Questa piega modifica
il suo aspetto in rapporto alla lunghezza, alla disposizione e alla situazione
dell'appendice. Nel mesenteriolo scorrono l'arteria, le vene e i linfatici
appendicolari.

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Fig. 1 - Proiezione cutanea della base d'impianto appendicolare.

Fig. 2 - Disposizione tipica dell'appendice con il mesenteriolo.


L'arteria appendicolare origina dall'arcata ileocolica o dall'arteria ciecale
posteriore, decorre dietro l'ultima ansa ileale e quindi penetra nel mesenteriolo
seguendone il margine libero; si avvicina progressivamente alla parete
dell'appendice che raggiunge a livello della punta. Dà origine ai rami
appendicolari e all'arteria cieco-appendicolare; quest'ultima nutre il fondo

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ciecale a livello della zona d'impianto dell'appendice e si anastomizza con un
ramo dell'arteria ciecale posteriore (Fig. 3).

Fig. 3 - Vascolarizzazione della regione ileo-cieco-appendicolare: 1 arteria ileo-


colica - 2 arcata ileo-colica - 3 arteria ciecale anteriore - 4 arteria ciecale
posteriore - 5 arteria appendicolare - 6 ramo cieco-appendicolare - 7 rami
appendicolari.

Le vene appendicolari seguono a ritroso il decorso arterioso e sono tributarie


della vena mesenterica superiore. I linfatici appendicolari, come quelli ciecali,
sono tributari di un gruppo linfonodale del mesentere in corrispondenza della
biforcazione dell'arteria ileocolica.
I principali rapporti chirurgici dell'apparato cieco-appendicolare sono (Fig.
4):
− medialmente, l'uretere e i vasi iliaci esterni;
− lateralmente, il muscolo psoas “incrociato” dal nervo femorale (il nervo
emerge dal bordo laterale del grande psoas e decorre nel solco tra
questo e il muscolo iliaco).

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Fig. 4 - Rapporti della regione cieco-appendicolare: 1 vasi spermatici - 2
uretere destro - 3 arteria iliaca esterna destra - 4 vena iliaca esterna destra - 5
dotto deferente destro - 6 nervo femorale - 7 muscolo grande psoas.

Variazioni di numero e forma dell'appendice


L'appendice rappresenta, da un punto di vista embriologico, una diretta
continuazione del cieco; un’agenesia (eccezionale) della porzione terminale del
cieco si accompagna quindi a ipoplasia o agenesia appendicolare. Sono
descritti inoltre rarissimi casi (0,004%) di appendice duplice (due appendici
separate, con base d'impianto comune o originanti da un cieco biloculato).
Nella prima infanzia l'appendice si presenta di forma conica e l’impianto
(“ortotopico”) ha una base ancora larga: il cieco appare continuarsi
“insensibilmente” nella sua appendice. Questa conformazione anatomica, che
può talora creare qualche difficoltà di distinzione intraoperatoria, rende ragione
della rarità della flogosi appendicolare in questa fascia di età e, per contro,
della gravità del quadro clinico di un’eventuale perforazione: infatti, l’ampia
base di impianto evita di fatto il ristagno nel lume appendicolare del contenuto
entero-fecale ma, d’altra parte, favorisce un’abbondante e continua
contaminazione della cavità peritoneale in caso di rottura dell’appendice. In
rari casi (0,5 %) l'impianto dell’appendice è sul polo inferiore del cul de sac
ciecale (“eterotopico”), derivandone una peculiare conformazione anatomica, la
cosiddetta appendice "a imbuto" (Fig. 6). Un diverticolo appendicolare è
riscontrabile nell'1% dei casi.

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Fig. 5 - Conformazione dell'appendice infantile.

Fig. 6 - Appendice “a imbuto”.

Variazioni di situazione e posizione del cieco


Nel corso dello sviluppo embrio-fetale il cieco ruota in senso antiorario,
progredendo verso la sua collocazione definitiva: in altri termini, il cieco occupa
successivamente l'ipocondrio sinistro, la regione sotto-epatica e raggiunge
infine la fossa iliaca destra.

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SIUAZIONE E POSIZIONE
IN ANATOMIA TOPOGRAFICA

In anatomia topografica la completa descrizione di un


organo presuppone che se ne definiscano situazione,
orientamento, posizione e rapporti, mezzi di fissazione e
proiezioni relative. In particolare, “situazione” (o sito o
situazione spaziale) si riferisce propriamente alla
collocazione di un organo rispetto ad un determinato
spazio corporeo (ad esempio, la cavità peritoneale),
mentre “posizione” è la collocazione dell’organo rispetto ai
piani anatomici di riferimento.

La rotazione/migrazione embrio-fetale può subire un arresto o, al contrario,


proseguire fino alla fossa iliaca sinistra, con conseguenti più o meno gravi
anomalie congenite. D’altra parte, nell’ambito della normale variabilità
anatomica, l’accrescimento corporeo post-natale e le fisiologiche modificazioni
somatiche età-correlate dell’adulto condizionano situazione e posizione del
cieco. In altri termini, soprattutto nei primi anni di vita è possibile un cieco
“alto” (prerenale o sottoepatico), mentre in età avanzata il viscere può essere
particolarmente mobile ed impegnarsi fin nella piccola pelvi, con proiezione
verso la linea mediana, o anche risalire verso l'alto, al davanti del colon
ascendente. Schematicamente possiamo quindi distinguere, nell’ambito di una
variabilità topografica che potremmo definire normale:
− un cieco in posizione iliaca o tipica (85% nel bambino, 55% nell'adulto);
− un cieco in posizione alta, sottoepatica (3% negli adulti);
− un cieco in posizione bassa, pelvica (30% nella donna, 16% nell'uomo).
Ovviamente, nei rari casi di mancata o incompleta rotazione embrio-fetale
del grosso intestino, il cieco può trovarsi in una qualsiasi sede anomala
dell'addome, tra la fossa iliaca destra e la regione sottosplenica (Fig. 7). Nel
situs inversus il cieco è nell’addome inferiore sinistro. Infine, in presenza di
mesenterium commune il cieco, estremamente mobile, può essere repertato in
qualsiasi situazione/posizione nella cavità addominale. Di regola cieco e
appendice sono dunque “liberi” nella fossa iliaca destra: un cieco mobile,
completamente rivestito da peritoneo viscerale, flottante e nella fossa iliaca
destra è riscontrabile nell'80% dei casi. Raramente il cieco risulta
completamente accollato alla parete addominale dando così l'aspetto di organo
retroperitoneale.

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Fig. 7 - Variazioni di posizione del cieco: 1 sottosplenica - 2 sottoepatica - 3
pre-renale - 4 iliaca (tipica) - 5 pelvica.

Variazioni di situazione e posizione dell'appendice


Premesso che fenomeni flogistici ricorrenti possono condizionarne una
secondaria fissazione, l'appendice è intraperitoneale nell'87% dei casi,
sottosierosa nell'8% dei casi ed extraperitoneale nel 5% dei casi. Ai fini
operativi, è fondamentale conoscere le possibili posizioni dell’appendice
rispetto al cieco (Fig. 8), ovvero:
a. discendente latero-ciecale mediale - è la posizione tipica, riscontrabile in
circa il 70% dei casi;
b. ascendente retro-ciecale (Fig. 9), nel 25% circa dei casi - con tre possibili
varianti:
− appendice intraperitoneale - libera nel recesso retrociecale,
apparentemente fissa per accollamento del suo peritoneo viscerale e
del peritoneo parietale retrociecale o realmente fissa per fenomeni
flogistici recidivanti;
− appendice sottoperitoneale (o sottosierosa);
− appendice extraperitoneale;

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Fig. 8 - Variazioni di posizione dell'appendice ciecale (vedi testo).

Fig. 9 - Appendice ascendente retro-ciecale.

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c. discendente pelvica (Fig. 10), nel 4% circa dei casi - l'appendice, con
cieco situato in fossa iliaca destra, si affaccia o discende nel piccolo
bacino, lungo i vasi iliaci, fino talora a raggiungere la regione otturatoria
o giungere a contatto con la vescica, il retto, l'utero, l'ovaio destro, il
legamento largo di destra;

Fig. 10 – Appendice discendente pelvica.

d. mediale o meso-celiaca (Fig. 11), in meno dell’1% dei casi - l'appendice


si porta medialmente, anteriormente all'ultima ansa ileale, tra le ultime
anse ileali (situazione intraperitoneale) o posteriormente all'ultima ansa
ileale (situazione extraperitoneale);

Fig. 11 - Appendice mediale o meso-celiaca.

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e. ascendente latero-ciecale laterale o latero-esterna (Fig. 12), anch’essa
molto rara - con decorso ascendente laterale tra il cieco e la spina iliaca
anteriore superiore (situazione intraperitoneale).

Fig. 12 - Appendice latero-esterna.

3 – STRUMENTARIO: APPARECCHIATURE E MATERIALE D’USO


Il mercato, in continua evoluzione tecnologica, offre un’ampia scelta di
apparecchiature e dispositivi. Vale la pena ricordare che, con l’incremento
costante delle procedure mini-invasive video-assistite per patologie
diversificate, appare indispensabile la dotazione di almeno due set
completi. Ciò consente sia di evitare la conversione per guasti delle
apparecchiature, con i conseguenti prolungati fermi dell'attività per le
necessarie riparazioni, sia di ridurre i “tempi morti” per la loro ordinaria
manutenzione.
Nella scelta del set laparoscopico è consigliabile orientarsi su:
− una moderna telecamera bidimensionale ad alta risoluzione con triplo
CCD (Charge-Coupled Device, dispositivo ad accoppiamento di carica) e
provvista di una fonte luminosa ad alta potenza;
− un insufflatore per lo pneumoperitoneo con capacità di almeno 9
litri/minuto.
Particolare attenzione va posta, inoltre, nella scelta delle ottiche che, per
consentire di affrontare in modo efficace e sicuro ogni situazione, devono
essere una del diametro di 10 mm, con visione angolata di 25°-30°, una di tipo
operativo e una del calibro di 5 mm, meglio se con visione angolata (Foto 1).

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Di altrettanto fondamentale importanza per la corretta esecuzione
dell’appendicectomia laparoscopica sono la scelta e la preparazione del
materiale d’uso sia ordinario che straordinario

Materiale d’uso ordinario


E’ il materiale indispensabile all'esecuzione di un intervento tipo (standard),
ovvero quello che può essere considerato sufficiente all'esecuzione di un
intervento semplice (Foto 2). Tutto il materiale d’uso ordinario deve essere ben
disposto sul tavolo di servizio in maniera tale da favorire una gestualità
operativa precisa e rapida. Il materiale d’uso ordinario comprende i seguenti
strumenti:
− n. 1 ago di Veress – si consiglia l'utilizzo di uno strumento monouso che
garantisce un'ottimale affilatura della punta, con conseguente più facile
penetrazione attraverso la parete, ed evita i rischi di infezione da una
non accurata pulizia;
− n. 3 trequarti (trocar), due da 10 mm ed uno da 5 mm (Foto 3 e 4) –
tutti devono essere provvisti di viti di ancoraggio poiché, nel corso di
appendicectomia laparoscopica, è utile posizionare la punta del trequarti
“a filo di peritoneo”; è preferibile che il primo da introdurre sia del tipo a
vista (trocar ottico), così da rendere la manovra più sicura anche in
pazienti obesi o in presenza di cicatrici da pregressi interventi; in pazienti
pediatrici si possono utilizzare un solo trequarti da 10 mm e due da 5
mm, ovviamente accertandosi della disponibilità di un'ottica da 5 mm;

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− n. 2 strumenti da presa - devono essere avere una presa larga e
morbida, preferibilmente con dispositivo di blocco su un’impugnatura
ergonomica, devono essere rotanti sul proprio asse e conduttori di
corrente, possibilmente con attacco dell'elettrodo perpendicolare
all'impugnatura per una presa più agevole (Foto 5 e 6);

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− n. 1 forbici – con caratteristiche di impugnatura e trasporto di corrente
analoghe agli strumenti da presa; è preferibile che siano curve con
movimento di entrambe le lame, così da poter operare secondo una linea
di taglio variabile per angolazione e controllabile per efficacia di
penetrazione nei tessuti (Foto 7);

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− n. 1 pinza per coagulazione bipolare, per un'emostasi ottimale a basso
costo del mesenteriolo - poiché lo strumento tende facilmente a
deteriorarsi diventando inefficace, è opportuno averne a disposizione più
di una; sono comunque consigliabili quelle monouso (Foto 8 e 9);

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− n. 3 endoloops o cappi – per la corretta legatura della base
dell’appendice;
− n. 2 strumenti di palpazione, uno da 5 ed uno da 10 mm;
− n. 1 strumento da 5 mm per l’irrigazione/aspirazione;
− n. 1 endobag per l’estrazione dellappendice.

Materiale d’uso straordinario


È quel materiale che si può rendere necessario in corso di
un'appendicectomia difficile/complicata (Foto 10). Deve essere sempre
disponibile in camera operatoria, necessariamente pronto sul tavolo di servizio
quando l’intervento è in urgenza, ovvero in un setting frequente nel quale – in
accordo con le evidenze disponibili - la procedura laparoscopica si dimostra
particolarmente vantaggiosa, in termini di efficacia e sicurezza, rispetto alla
procedura laparotomica.

Nel materiale d’uso straordinario si comprendono:


− n. 1 trequarti da 5 mm - nei casi difficili/complicati può infatti rendersi
utile un quarto accesso;
− n. 1 trequarti da 15 o 20 mm – da impiegare in alternativa al trequarti da
10 mm per estrarre un’appendice flogosata di dimensioni marcatamente
aumentate (Foto 11);
− n. 1 pinza da presa di tipo a coccodrillo - permetterà una più sicura presa
dell'appendice in fase di estrazione;

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− n. 1 set per sutura (Foto 12) – può rendersi necessario per
l'affondamento del moncone appendicolare in presenza di tessuto
necrotico alla base dell'appendice; il set è composto da:
 porta-aghi, possibilmente con impugnatura ergonomica e
dispositivo di blocco a cremagliera con agevole sblocco;
 fili di sutura corti (per suture intracorporee) e lunghi (per
annodamenti singoli di tipo extracorporeo);

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− n. 1 suturatrice meccanica - lo strumento può rendersi indispensabile per
portare a termine l'intervento nei casi eccezionalmente complessi con
base appendicolare in necrosi; si raccomanda di garantirsi la disponibilità
di alcune ricariche sia di tipo vascolare, sia di tipo viscerale (Foto 13);
− n. 1 aspiratore da 10 mm – lo strumento garantirà una più accurata e
rapida pulizia del cavo peritoneale in caso di grave peritonite purulenta
diffusa (Foto 14).

4 - Tecnica chirurgica standard

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La sistematizzazione/standardizzazione di una tecnica chirurgica, senza
tener conto dell’evoluzione della tecnologia, poggia di fatto sull’esperienza
qualificata di singoli operatori con elevati volumi di attività, che spesso
condizionano la caratterizzazione di scuole chirurgiche. Ne consegue una
diversificazione - di regola marginale - delle tecniche e, soprattutto, delle
tattiche operatorie, che si concretizza in scelte preferenziali su singoli aspetti
della procedura, peraltro non sempre unanimemente condivise, o anche in
cosiddetti trucchi e suggerimenti (tips and tricks), che possono invece avere
un’indubbia utilità pratica. Ai fini didattici valgono, per così dire, le regole
generali codificate in linee guida basate sulle evidenze disponibili.

Di seguito si descrive la tecnica chirurgica standard di


appendicectomia laparoscopica così come realizzata da un operatore esperto
con alto volume di attività (prof. Lorenzo Novellino). Si dà comunque
conto di alcune “controversie” esistenti su aspetti specifici della
procedura. Nel successivo capitolo si descrivono invece le “tattiche”
per affrontare i casi difficili/complicati, cercando di fornire strumenti di
conoscenza, compresi tips and tricks, che potranno essere utili soprattutto
per i chirurghi orientati a trattare routinariamentee e “di principio” per via
laparoscopica l’appendicite acuta.

Posizionamento del paziente sul tavolo operatorio


Controllo della strumentazione e posizionamento del paziente sul tavolo
operatorio sono momenti fondamentali della preparazione all’intervento di
appendicectomia laparoscopica, tra l’altro individuati come key steps nel
processo di insegnamento e apprendimento della procedura. È opportuno che
l’operatore, anche il più esperto, se ne curi personalmente, controllando il
corretto operato del personale di sala prima di procedere all’operazione.
Il paziente è posto supino sul letto chirurgico, con gli arti inferiori uniti e
bloccati. L'arto superiore destro viene esteso lateralmente (abduzione a 90°) in
modo da permettere all'anestesista un facile accesso vascolare e altri
possibili controlli di parametri vitali; il braccio sinistro, completamente
addotto, viene invece fissato al corpo (Fig. 13). Durante l'intervento
chirurgico potranno rendersi necessari dei cambiamenti di posizione
(Trendelenburg, anti-Trendelenburg, inclinazione laterale sinistra o
destra) che presuppongono quindi un buon ancoraggio del paziente al tavolo
operatorio, tanto più accurato quanto più grave è il quadro clinico. In caso
di grave peritonite, infatti, il lavaggio del cavo peritoneale è agevolato
proprio dalla possibilità di variare in sicurezza la posizione del paziente.

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Fig. 13 - Posizione del paziente sul tavolo operatorio.

Disposizione dell’équipe chirurgica,


del personale di sala e dello strumentario
L'équipe chirurgica è costituita dall'operatore, dall'aiuto e dallo
strumentista. Quest'ultimo si dispone sul lato sinistro del paziente con
l'operatore alla sua destra, mentre l'aiuto, inizialmente disposto a destra del
paziente, si sposterà anch’egli a sinistra, tra operatore e strumentista, dopo
l’inserimento dei trequarti.
Il tavolo di servizio è allestito sopra i piedi del paziente, alla sinistra dello
strumentista. Sul tavolo va disposto quanto occorre per l'intervento, compreso,
quando necessario, il materiale d’uso straordinario. E’ opportuno tenere a
portata di mano un set essenziale di strumenti chirurgici "tradizionali" per
l’eventuale conversione laparotomica.
L'elettrobisturi è collocato sul lato sinistro del paziente, alle spalle dei due
operatori. La colonna o “torre” laparoscopica (rack), che accoglie il
videoregistratore, il monitor e le centraline per l'insufflazione, per l'irrigatore-
aspiratore, per la telecamera, è disposta sulla destra del paziente, all'altezza
della regione inguinale (Fig. 14).
Di assoluta importanza è poi la disposizione rispetto al campo operatorio
dei cavi di raccordo, che vanno posizionati secondo uno schema
standardizzato, così da impedire fastidiosi grovigli e nel contempo agevolare la
gestualità dei chirurghi. Quindi, dopo aver disinfettato la cute ed aver disposto

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opportunamente i telini di copertura (“esponendo” regione ombelicale e
quadranti inferiori dell’addome), si passano all'infermiere di sala i raccordi in
modo tale che (Fig. 15):
− il cavo luce (“caudale”), il cavo della telecamera (intermedio) ed il cavo
di insufflazione (“craniale”) raggiungano il pube del paziente decorrendo
affiancati lungo il suo arto inferiore destro;
− i cavi dell'aspirazione (“caudale”) e dell'irrigazione (“craniale”) decorrano,
sempre affiancati, lungo il lato destro dell’addome per terminare sul
petto del paziente;
− il cavo elettrico giunga alla regione pubica provenendo dalla coscia
sinistra del paziente.
Questa disposizione dei cavi di raccordo, il cui decorso è sempre centripeto
verso i rispettivi trequarti, ne evita l’aggrovigliamento ma anche
l’attraversamento del campo operatorio delimitato dai telini.

Fig. 14 - Disposizione dell’équipe chirurgica, del personale di sala e dello


strumentario: 1 operatore - 2 aiuto - 3 strumentista - 4 anestesista - M
monitor (nel rack) - E elettrobisturi - TS tavolo di servizio

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Fig. 15 - Posizione dei cavi di raccordo rispetto al campo operatorio: 1 cavo
luce - 2 cavo telecamera - 3 cavo d'insufflazione - 4 cavo d'aspirazione - 5
cavo d'irrigazione - 6 cavo elettobisturi.

Tempi operatori
Di seguito si descrivono i tempi dell'intervento di appendicectomia
laparoscopica anterograda in un malato "ideale", ovvero normotipo e con
anamnesi negativa per pregressi interventi chirurgici addominali.

A. Introduzione dell'ago di Veress ed induzione dello pneumoperitoneo


In tutta prossimità del margine distale dell’ombelico (di fatto in regione sotto-
ombelicale), l'operatore pratica con il bisturi, sulla linea mediana, un'incisione
puntiforme della cute attraverso cui introduce l'ago di Veress con la mano
destra, mentre la sua mano sinistra e la destra dell'aiuto esercitano una
trazione sulla parete addominale. L'ago va inserito con una modesta
inclinazione, ovvero con un angolo di incidenza di circa 60° rispetto alla
superficie cutanea e punta verso la pelvi, mantenendo una traiettoria mediana,
lungo la linea ombelico-pubica (Foto 15). Un aumento dell’angolo di incidenza,
in altri termini una penetrazione più vicina alla perpendicolare, incrementa la
possibilità di lesioni interne; al contrario, la sua riduzione, ovvero un’eccessiva
inclinazione, potrebbe favorire la penetrazione “tangenziale” dell'ago
anteriormente alla fascia posteriore della parete addominale, con conseguente
pre-pneumoperitoneo. Durante l'attraversamento della parete addominale si
devono percepire due successivi "cedimenti": uno imputabile al passaggio
attraverso la fascia aponeurotica esterna, il secondo imputabile al passaggio
attraverso la fascia interna ed il peritoneo, che risultano in questa sede

25
strettamente accollati. La possibilità di muovere senza resistenza la punta
dell'ago di Veress in senso interno-esterno e latero-laterale ne conferma la
corretta posizione intracavitaria e la verosimile assenza di aderenze sotto-
ombelicali.

Foto 15 - Angolo corretto (60° circa) di penetrazione dell'ago di Veress in


addome.

Si induce quindi lo pneumoperitoneo con flusso del gas di 1 litro/minuto,


fino al raggiungimento della pressione preselezionata desiderata, di regola
circa 12-14 mmHg. Con un’appropriata gestione anestesiologica del blocco
muscolare profondo, sono possibili pressioni inferiori, fino addirittura a 8
mmHg, senza pregiudizio per le dimensioni della camera di lavoro. Con la
percussione e la palpazione è possibile verificare l'ottimale distribuzione del
gas nel cavo addominale. È necessario monitorarne il flusso, che deve restare
costante per tutta la durata dell’intervento. Il settaggio della centralina per
l'insufflazione su un alto flusso di CO2 garantisce il mantenimento della
pressione desiderata dello pneumoperitoneo, consentendo un rapido reintegro
del gas in caso di perdite.

B. Introduzione dei trequarti


L'operatore, dopo aver estratto l'ago di Veress, amplia l'incisione sotto-
ombelicale fino ad una lunghezza di circa 1 cm (qualche millimetro in più, se si
prevede l'uso di un fissatore a spirale). Il primo trequarti, da 10 mm, viene
impugnato dall'operatore con la mano destra e introdotto attraverso l’incisione

26
allargata con la stessa angolatura usata per il Veress; nello stesso tempo viene
effettuata una controtrazione (mano sinistra dell'operatore, mano destra
dell'aiuto) sulla parete addominale. Si consiglia di utilizzare sempre, in questa
prima fase, un trocar ottico di ultima generazione, perché consente di
controllare la sua penetrazione attraverso i vari strati della parete, con
conseguenti minori rischi di traumi viscerali; la particolare punta conica dello
strumento previene anche il rischio di sanguinamento (Foto 16 e 17). Se è
vero che per il trocar “a vista” è ottimale un'ottica con visione a 0 gradi, che ne
centralizza la visione, questa è comunque accettabile con un'ottica da 25 o 30
gradi, con cui la punta del trequarti apparirà decentrata.

Foto 16 - Introduzione del primo trequarti del tipo “a vista” (trocar ottico).

Foto 17 - Sequenza della penetrazione nei tessuti del trocar ottico.

27
Il trequarti sotto-ombelicale ospiterà l'ottica laparoscopica nella prima fase
esplorativa dell'intervento e, successivamente, verrà utilizzato come trocar
operativo per il passaggio di pinze da presa, cappi premontati e irrigatore-
aspiratore, oltre che per l'estrazione dell'appendice; i diversi strumenti
introdotti verranno gestiti dalla mano destra dell'operatore.
Il secondo trequarti, monouso da 5 mm, viene posizionato dalla mano
destra dell'aiuto (che è ancora di fronte all'operatore) in regione sovrapubica,
sulla linea mediana. Il posizionamento deve avvenire con controllo visivo
laparoscopico (ottica nel trequarti sotto-ombelicale gestita dalla mano destra
dell'operatore), per impedire lesioni vescicali. Il trequarti sovrapubico è un
trocar essenzialmente operativo che ospiterà la pinza bipolare, le forbici, il
“bottone” per l'elettrocoagulazione, la cannula per l'aspirazione-irrigazione da 5
mm, il palpatore da 5 mm. Tutti questi strumenti sono gestiti dalla mano
sinistra dell'operatore, tranne la pinza da presa sull'appendice nel momento del
confezionamento dei loops (cappi), che verrà allora affidata all'aiuto.
Il terzo trequarti, monouso da 10 mm, viene inserito dalla mano sinistra
dell'operatore in fossa iliaca sinistra, alcuni centimetri medialmente alla spina
iliaca anteriore superiore e lateralmente ai vasi epigastrici inferiori. Per evitare
di lederli, anche la sua introduzione deve avvenire sotto controllo visivo
laparoscopico ed eventuale transilluminazione. Il trocar iliaco, nel rispetto della
regola di garantirsi una triangolazione ottimale (vedi di seguito), ospiterà
l'ottica laparoscopica (inizialmente inserita, in fase esplorativa, nel trocar
sotto-ombelicale) e, nella fase conclusiva dell'intervento (e talora in fase
esplorativa), un palpatore da 10 mm. È possibile utilizzare, ed è opportuno in
pazienti pediatrici, un trequarti di calibro minore con un'ottica da 5 mm (Foto
18).

Foto 18 - Posizione finale dei trequarti.

28
Va notato, come “regola generale”, che ogni qualvolta si utilizza la porta sotto-
ombelicale per fa passare strumenti operativi, l’ottica va comunque spostata
nel trequarti in fossa iliaca sinistra, e viceversa.
L'introduzione del secondo trequarti in regione sovrapubica a volte
presenta delle difficoltà; il peritoneo parietale può infatti facilmente distaccarsi
dai piani muscolari così che la punta del trocar non lo trapassa di netto ma, per
così dire, lo trascina in cavità addominale. È consigliabile quindi, controllando
la manovra attraverso l'ottica posta nel primo trequarti, procedere al
posizionamento del trequarti in fossa iliaca sinistra in seconda battuta e non in
terza; attraverso il trocar iliaco si potrà così introdurre una pinza per esercitare
pressione sul peritoneo parietale dall'interno all'esterno, facilitando in tal modo
la penetrazione del trocar sovrapubico senza distacco e trascinamento della
sierosa.

C. Fase esplorativa
La prima esplorazione del cavo addominale avviene attraverso l’ottica
inserita nel trequarti sotto-ombelicale (Foto 19), prima quindi dell'inserimento
degli altri due trequarti; questa fase esplorativa consente di valutare un
eventuale quadro peritonitico, di effettuare un'esplorazione del fegato, di
identificare visivamente l'appendice (grazie al riconoscimento di alcuni reperi
anatomici laparoscopici), e – come già detto - di inserire sotto visione gli altri
trocar. Fondamentali reperi anatomici sono: l'ultima ansa ileale, la confluenza
delle tenie ciecali, il cieco, i vasi iliaci esterni di destra, l'orifizio inguinale
interno destro.

Foto 19 - Visione della regione ciecale attraverso il trequarti ombelicale.

29
L'esplorazione, inizialmente condotta con l'ottica introdotta nel trocar
sotto-ombelicale, deve essere completata attraverso il trequarti in fossa iliaca
sinistra (Foto 20), per individuare la sede d'impianto sul cieco dell'appendice,
che appare come la prua di una nave, ed eseguire quindi l'intervento con
minori difficoltà. Strumenti di palpazione inseriti nei trequarti consentiranno
infine un'esplorazione più accurata alla ricerca di eventuali altre patologie
“causali”, se l’appendice appare normale (“bianca”/“innocente”), o
concomitanti alla confermata appendicopatia (ernie inguinali, patologie istero-
annessiali, adenome-senteriti, diverticolite di Meckel).

Foto 20 - Visione della regione ciecale attraverso il trequarti in fossa iliaca


sinistra.

D. Trazione dell'appendice e visualizzazione del mesenteriolo


Identificata l'appendice, la si afferra in prossimità della punta con una
pinza da presa, dotata di sistema di blocco, inserita nel trequarti sotto-
ombelicale (l'ottica è stata intanto spostata nel trocar in fossa iliaca sinistra);
una delicata trazione verso l'alto effettuata dalla mano destra dell'operatore
consente di porre in tensione il meso appendicolare: l'appendice, se in
posizione tipica latero-interna, apparirà da questa angolazione come una barca
con vela spiegata ripresa dalla prua.

E. Coagulazione e sezione del mesenteriolo


Inserita la pinza bipolare nel trocar sovrapubico, l'operatore procede,
utilizzando la mano sinistra, alla diatermocoagulazione del mesenteriolo, che
avviene per prese successive, intervallate dalla sezione dei tratti coagulati con
forbici introdotte sempre nel trequarti sovrapubico. Questa tecnica permette

30
sempre una perfetta gestione dell'emostasi in quanto viene mantenuta la
corretta posizione del mesenteriolo ed un eventuale sanguinamento viene
controllato dalle successive coagulazioni bipolari (Foto 21 e 22).

Foto 21 - Diatermocoagulazione del mesenteriolo.

Foto 22 - Sezione del mesenteriolo.

F. Legatura della base appendicolare


Con l'appendice completamente liberata dal mesenteriolo fino alla sua
base d'impianto ciecale (Foto 23), si introduce attraverso il trocar sotto-
ombelicale un cappio (loop) premontato su bacchetta e, con la pinza da presa

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spostata nel trocar sovrapubico e “infilata” nel cappio, si afferra nuovamente
per la punta l’appendice e la si fa passare passata attraverso il loop (Foto 24);
si realizza quindi la prima legatura a livello della base d'impianto, sezionando il
capo del filo con forbici introdotte nello stesso trequarti attraverso il quale è
stato fatto passare. Analogamente, si confeziona un secondo loop in stretta
vicinanza del primo (Foto 25).

Foto 23 - Appendice totalmente isolata.

Foto 24 - Posizionamento del primo loop alla base dell’appendice.

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Foto 25 - Posizionamento del secondo loop.

G. Sezione ed estrazione dell'appendice


A questo punto, con la pinza da presa inserita nel trequarti sotto-
ombelicale, si afferra l'appendice un centimetro circa distalmente ai due loops
confezionati: è una manovra importante, che impedisce, durante la sezione
dell'appendice (con forbici nel trequarti sovrapubico), la fuoriuscita del
contenuto endoluminale (Foto 26). Di fatto la pinza da presa sarà quindi
ortogonale all'asse appendicolare e il pezzo operatorio sarà quindi estraibile
dallo stesso trequarti sotto-ombelicale (da 10 mm) solo se di piccole
dimensioni. Se l'appendice è troppo voluminosa, il trocar può essere sostituito
con uno più largo (sono disponibili trequarti da 15 e 20 mm). In alternativa
all’endobag – di comune utilizzo -, l’estrazione attraverso il trocar di calibro
adeguato evita che l'appendice sezionata venga a contatto con la parete
addominale, diminuendo così il rischio di infezione della ferita (Foto 27).
Se le dimensioni volumetriche dell’appendice sezionata non ne consentono
l'estrazione immedita, si passerà il viscere da una pinza ad un'altra, in maniera
da poter “riprendere” la base appendicolare in asse, così da ridurne l’ingombro;
la manovra deve essere condotta con la massima prudenza per evitare
spandimenti di materiale fecale in cavità addominale. In alternativa, sempre
per evitare l’inquinamento, si può confezionare un terzo loop “di sicurezza”.

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Foto 26 - Sezione della base appendicolare.

Foto 27 - Estrazione dell'appendice attraverso trocar.

H. Diatermocoagulazione della mucosa del moncone appendicolare


Si procede alla diatermocoagulazione della mucosa del moncone
appendicolare con elettrodo “a bottone” introdotto nel trequarti sotto-
ombelicale (Foto 28). Questa manovra, che deve essere condotta con leggere
toccature per impedire che la trasmissione di calore possa indebolire gli
endoloops, riduce la possibilità di formazione di un mucocele e sicuramente

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anche quelle di inquinamento del cavo peritoneale.

Foto 28 - Diatermocoagulazione del moncone appendicolare.

I. Ricerca del diverticolo di Meckel


Come nell'intervento di appendicectomia per via laparotomica, si esegue
sempre la ricerca di un eventuale diverticolo di Meckel. Si utilizzano a questo
scopo due pinze da presa atraumatiche introdotte attraverso i trequarti sotto-
ombelicale e sovrapubico. La ricerca sistematica inizia dall'ultima ansa ileale e
procede oralmente per circa un metro, con “prese” successive sul piccolo
intestino, sempre verificando visivamente che il morso delle pinze non abbia
determinato lesioni parietali (Foto 29).

J. Verifica dell'emostasi e toilette del cavo peritoneale


La verifica dell'emostasi (soprattutto per quanto riguarda il mesenteriolo)
e la toilette vengono effettuate mediante un irrigatore-aspiratore, introdotto
nel trequarti sovra-pubico, e un palpatore da 10 mm, introdotto invece nel
trequarti sotto-ombelicale. Il paziente va posizionato in lieve anti-
Trendelenburg, in modo da favorire il raccogliersi del liquido di lavaggio nel
Douglas. Il liquido verrà quindi aspirato, esercitando nella donna un
contemporaneo sollevamento del fondo uterino con il palpatore da 10 mm
(Foto 30).

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Foto 29 - Ricerca del diverticolo di Meckel.

Foto 30 - Sollevamento del fondo dell’utero con visione delle ovaie.

K. Posizionamento di drenaggio addominale


Se si ritiene opportuno lasciare un drenaggio, questo viene introdotto di
regola attraverso il trequarti sovrapubico e posizionato nella sede desiderata
(doccia parieto-colica destra, scavo pelvico) con una pinza da presa inserita nel
trocar sotto-ombelicale.

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L. Estrazione dei trequarti
La manovra di estrazione dei trequarti va sempre condotta sotto visione
per verificare la perfetta emostasi dei fori d'accesso.

M. Sintesi della parete


Le piccole brecce cutanee sono chiuse con punti staccati. La fascia in sede
ombelicale è ricostruita con filo riassorbibile solo nei casi in cui si utilizzino
trocar da 18 o 20 mm.

La Tavola 1 è riassuntiva dei trequarti posizionati e del uso nei vari tempi
operatori in corso di appendicectomia laparoscopica per appendicite non
complicata.

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5 - Aspetti pratici (tips and tricks) e tattica operatoria
nei casi complicati

L'intervento di appendicectomia è di regola il primo intervento


"importante" con il quale un chirurgo si cimenta all'inizio della carriera. Non
sempre però l’intervento è facile, sia perché l'appendice presenta spesso
varianti anatomiche di posizione/situazione, sia perché la flogosi può essere
grave. Le possibili e non sempre prevedibili difficoltà sono maggiori quando
l'intervento di appendicectomia viene condotto con tecnica laparoscopica.
Questo non può essere un valido motivo per evitare la procedura
laparoscopica, soprattutto se essa – come conferma una mole crescente di
evidenze - può apportare significativi vantaggi al paziente. La casistica di
“situazioni complesse” è estremamente diversificata e non è quindi possibile
descrivere un intervento "complesso" standard. A fini pratici, per affrontare al
meglio le tante possibili difficoltà, è utile invece proporre, in particolare allo
specialista in formazione, alcuni “suggerimenti e trucchi” (tips and
tricks) maturati dall’esperienza personale di colleghi esperti. In sintesi si
espongono alcune tra le problematiche più frequenti, seguendo un ordine
che ricalca i tempi operatori già descritti e in forma di risposte ai possibili
quesiti e dubbi propri, in particolare, del chirurgo generale che decide di
dedicarsi anche alla procedura laparoscopica e/o ne va completando la curva
di apprendimento.

È bene cateterizzare il paziente?


No, in quanto la presenza di un modesto quantitativo di urina in vescica
non disturba l'esecuzione dell'appendicectomia laparoscopica. È però sempre
consigliabile fare urinare il paziente immediatamente prima dell'intervento,
perché la vescica piena impedisce un corretto lavaggio dello scavo pelvico e,
nella donna, l'osservazione di utero e annessi. Il catetere verrà quindi
posizionato solo in caso di necessità clinica di monitorare la diuresi, ad esempio
in presenza di grave peritonite.

Il paziente deve essere sempre ancorato saldamente al tavolo operatorio?


Nei casi previsti semplici - per la scarsa sintomatologia clinica e/o per la
normalità della costituzione corporea (spesso le appendicectomie vengono
eseguite in pazienti giovani e quindi normotipi) - non si rende di regola
necessario un particolare ancoraggio del paziente sul tavolo operatorio, perché
eventuali variazioni di posizione (Trendelenburg, anti-Trendelenburg,
inclinazioni laterali) si limiteranno a pochi gradi.
Un ancoraggio rafforzato è invece estremamente importante in caso di
sospetta grave peritonite e sempre nei pazienti obesi. Si realizza con reggi-
spalle, oltre che con la cinghia passante al disopra delle cosce; in alcuni casi
può rendersi utile un reggi-fianco da posizionare contro il torace sinistro.

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L’ancoraggio nei casi complicati è giustificato dal fatto che, in particolare nei
tempi operatori di isolamento e sezione dell'appendice, è opportuno porre il
tavolo operatorio in Trendelenburg anche spinta con rotazione sinistra; in
questa posizione la matassa del piccolo intestino cade verso la regione
splenica, consentendo un’ottimale esposizione del cieco e dell’ultima ansa
ileale. Inoltre, in fase di lavaggio del cavo peritoneale possono rendersi
necessarie inclinazioni del tavolo operatorio tanto più marcate quanto più
grave è il processo peritonitico: in altri termini, quanto più saldo sarà
l’ancoraggio, tanto più le inclinazioni potranno essere accentuate a tutto
vantaggio di un’ottimale toilette della cavità addominale (vedi più avanti).

Come comportarsi in caso di cicatrici da pregressi interventi chirurgici?


Le cicatrici post-chirurgiche presenti sulla parete addominale impongono una
maggiore attenzione nella fase di induzione dello pneumoperitoneo e spesso
possono richiedere l'esecuzione di una corretta lisi preliminare di aderenze
endoaddominali.
Per l'induzione dello pneumoperitoneo ed il posizionamento del primo
trequarti, è possibile optare in questi casi per un accesso aperto (open) con
trocar di Hasson (a punta smussa, non tagliente) da posizionarsi in sede sotto-
ombelicale, in tutta prossimità del margine distale dell’ombelico. Molti, con
varie motivazioni condivisibili, preferiscono comunque l’accesso chiuso che, più
dell’open, impone una valutazione critica delle cicatrici in rapporto
essenzialmente alla loro sede.
Le cicatrici nei quadranti prossimali dell'addome (sottocostali o xifo-
ombelicali) non creano praticamente alcun disturbo, al contrario di quelle
presenti nei quadranti distali. Infatti, una cicatrice ombelico-pubica impone
l'induzione dello pneumoperitoneo con ago di Veress, da introdurre in regione
sopra-ombelicale, ovvero in tutta prossimità del margine prossimale
dell’ombelico; attraverso la stessa “porta” può essere introdotto anche il primo
trequarti, purché del tipo a vista. Da notare che anche le cicatrici mediane che
si interrompono subito al disotto dell'ombelico permettono, di regola, un
accesso sicuro alla cavità addominale attraverso l’approccio sopra-ombelicale.
La lisi di eventuali aderenze è realizzata, attraverso il primo trocar, con
introduzione di un'ottica operativa; se questa non è disponibile, è opportuno
procedere al posizionamento del secondo trequarti in prossimità della fossa
iliaca sinistra, così da avere la possibilità, introducendovi uno strumento da
dissezione, di escidere le aderenze e disporre nel contempo di una porta
operativa per l’intervento (Fig. 16).

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Fig. 16 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrici nei quadranti inferiori distali: O - primo accesso per l'ottica operativa
(o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.

Una cicatrice trasversale sovrapubica non pone alcun problema per


l’induzione dello pneumoperitoneo, ma di regola richiede un'accurata lisi delle
aderenze, preliminare all’introduzione del trocar sovrapubico. Nel caso di
cicatrice mediana sopra- e sotto-ombelicale (xifo-pubica), si procede dapprima
al posizionamento dell'ago di Veress e poi all'introduzione di un primo trequarti
(rigorosamente del tipo ottico) in fossa iliaca sinistra, ma in una sede appena
un po’ più prossimale di quella standard per il secondo trequarti nell’intervento
“semplice”. Si aggrediscono quindi le eventuali aderenze con un'ottica
operativa seguendo una direzione “centripeta”, intendendo per “centro” la
regione cieco-appendicolare. Anche in questo caso, in assenza dell'ottica
operativa si dovrà introdurre un secondo trequarti nel punto d'incontro tra la
linea ombelicale trasversa e la linea emiclaveare; questa seconda porta
permette, dopo la lisi delle aderenze, di continuare l'intervento chirurgico
senza necessità di “aprirei” anche una porta ombelicale (Fig. 17).
In conclusione, è sempre fortemente consigliabile un'accurata lisi di tutte le
aderenze presenti nell’addome distale, anche se l'appendice è visibile e quindi
apparentemente aggredibile senza difficoltà. La lisi sistematica di tutte le
aderenze è importantissima in chirurgia laparoscopica perché garantisce di
poter affrontare rapidamente, e con una visione ottimale, improvvise e
imprevedibili complicanze, soprattutto emorragiche.

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Fig. 17 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrice sovra- e sotto-ombelicale (xifo-pubica): O - primo accesso per l'ottica
operativa (o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.
Qual è il posizionamento ottimale dei trequarti?
Attualmente la disposizione standard è quella precedentemente descritta,
che è ancora la preferita dalla gran parte degli operatori e che prevede,
nell’ordine di inserimento: un trequarti sotto-ombelicale, uno in fossa iliaca
sinistra appena sopra il legamento inguinale ed uno sovrapubico sulla linea
mediana (Fig.18).
Sono descritte almeno tre varianti. La prima, di fatto abbandonata, adotta
sistematicamente quattro porte d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca
destra, in fianco destro e sovrapubica mediana (Figura 19a); era la scelta
preferenziale agli albori della storia dell'appendicectomia laparoscopica, per
così dire di prudenza, ovvero suggerita da un’inesperienza “primaria” nella
chirurgia addominale laparotomica. La seconda variante adotta tre vie
d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca destra e sovrapubica mediana (Fig.
19b); anch'essa è oggi abbandonata, poiché dettata dall’errato convincimento,
proprio dell’approccio laparotomico, che almeno una porta d'accesso debba
essere “aperta” in corrispondenza della proiezione cutanea dell’appendice. La
terza variante prevede il posizionamento di tre trequarti: uno sotto-ombelicale
e due sulla linea sovrapubica trasversa, spostando verso destra quello mediano
della disposizione standard (Fig. 19c), a fini essenzialmente estetici, con
motivazioni facilmente intuibili.

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Fig. 18 - Posizionamento standard dei trequarti.

Fig. 19 - Varianti di posizionamento dei trequarti.

Se l'appendicectomia è semplice, la procedura sarà completata con


relativa facilità indipendentemente dalle scelte di posizionamento dei trequarti.
In caso di intervento difficile/complicato, occorrono invece valutazioni
comparative delle possibili varianti caso per caso. Il posizionamento standard
emerge come la scelta migliore, con un vantaggioso compromesso tra esigenze
operative ed esigenze estetiche. E’ infatti comunque necessario, nel rispetto

43
della regola della triangolazione, che gli strumenti giungano sul punto focale
dell'intervento (in questo caso l'appendice) formando un angolo di 90°, con
l'ottica posta a bisettrice: in tal modo sono garantiti i corridoi d’azione di tutti
gli strumenti, la facilità di manovrarli senza impedimenti e, in definitiva, la
possibilità di fatto di completare con successo tutti gli interventi (Fig. 20).

Fig. 20 - Schema corporeo in corso di appendicectomia laparoscopica con


posizionamento standard dei trequarti in triangolazione ottimale (nell’inserto,
visione schematica sul monitor del campo operatorio).

D’altra parte, il trequarti posizionato in fossa iliaca destra, in


corrispondenza cioè della presunta sede dell'appendice, è assolutamente non
funzionale, poiché viene a ridursi in maniera inaccettabile lo spazio operativo
tra appendice e parete addominale e l'angolo di visione degli strumenti
introdotti non è assolutamente corretto, impedendo di fatto ogni utile schema
operativo.

È possibile eseguire l'appendicectomia con due o anche solo un trequarti?


Nei casi semplici è sicuramente possibile eseguire l’intervento con due o un
solo trequarti. In ogni caso uno di essi, o l’unico utilizzato, deve essere
necessariamente posizionato in fossa iliaca destra per agganciare la punta
dell’appendice ed esteriorizzarla: la legatura/sezione del mesenteriolo e della
base appendicolare e la successiva sezione del viscere sono infatti
extracorporei. E’ ovvio che una simile procedura non va nemmeno presa in
considerazione in caso di sospetta appendicite acuta in stadio avanzato. Si
consideri inoltre che un accesso in più non ha di regola alcun impatto

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sfavorevole sul decorso postoperatorio e che, viceversa, la bimanualità
operativa garantisce comunque maggior sicurezza, soprattutto negli interventi
difficili.

Come comportarci in caso di mancata visualizzazione dell'appendice?


Posizionato il primo trequarti, occorre prioritariamente e sistematicamente
individuare il cieco: una sua posizione/situazione anomala obbliga infatti a
modificare la sede del secondo e del terzo trequarti, per mantenere comunque
l’ottimale schema di triangolazione che prevede un angolo di 90° tra i due
strumenti operatori con l'ottica a bisettrice (Fig. 20). Posizionati tutti i
trequarti, la ricerca dell’appendice deve essere condotta con l'ausilio di
strumenti da presa. La sua mancata visualizzazione è generalmente legata alla
posizione/situazione del viscere in ascendente retro-ciecale, quindi
sottoperitoneale o, ancor peggio, extraperitoneale; in questi casi si rende
necessario lo scollamento completo del cieco dalla parete addominale, in modo
da esporre correttamente il recesso sottociecale e quindi isolare totalmente
l’appendice. Questa manovra è di regola di facile esecuzione. Non è
infrequente che un ascesso retrociecale “nasconda” l’appendice: va gestito
senza ansie, con un’accorta toilette, soprattutto evitando spandimento del pus
in cavità peritoneale.

Come gestire l'intervento nel caso di appendicite complicata?


Per appendicite complicata intendiamo propriamente quei casi che
giungono all'osservazione con peritonite purulenta o stercoracea da necrosi o
perforazione del viscere e che, quindi, sono complessi da gestire; le appendiciti
acute con peritonite sierosa non impongono invece particolari variazioni di
tecnica rispetto a quella standard descritta.
Nei casi complicati è bene iniziare con un primo accurato lavaggio della
cavità addominale, che mira essenzialmente ad evitare che, durante i
successivi necessari cambiamenti di posizione del paziente, la contaminazione
possa diffondersi in addome. Se necessario, si può introdurre un quarto
trequarti generalmente in fianco destro sulla linea ombelicale trasversa; questa
ulteriore porta d'accesso consentirà di trazionare l'ultima ansa ileale, per
dissecarla cautamente (per via smussa) dall'appendice flogosata con la quale
tende a contrarre aderenze, espressione della “copertura” o “sbarramento”
peritoneale del processo infettivo. La liberazione dell’appendice dalle aderenze
può essere particolarmente impegnativa se il processo suppurativo data da più
giorni. Soprattutto in questi casi una buona e sicura trazione dell'ansa - con
pinza introdotta nel trocar sovrapubico o nel quarto posizionato all’occorrenza
in fianco destro - è premessa fondamentale per una sicura e completa lisi delle
aderenze, da realizzare con l'ausilio di un palpatore da un centimetro introdotto
attraverso il trequarti ombelicale. Il palpatore può essere sostituito

45
dall'irrigatore-aspiratore che consente di dissecare le aderenze e
contemporaneamente di detergere l'intera regione.
In tutti i casi complicati per flogosi grave, l'emostasi del mesenteriolo deve
essere condotta obbligatoriamente con diatermocoagulazione bipolare, la sola
modalità che garantisca l'emostasi ottimale di un meso di regola marcatamente
ispessito. Se l'appendice è in grave necrosi, si eviterà inoltre qualsiasi trazione
su di essa e la si asporterà in frammenti; una scelta solo apparentemente
azzardata, perché la nostra esperienza conferma che la “frammentazione” non
aggrava assolutamente la peritonite in atto. Asportata l’appendice, il cieco
potrà essere correttamente esposto per la legatura/affondamento della
base/moncone appendicolare con la tecnica ritenuta più sicura. Il moncone va
chiuso con doppio loop solo se non è interessato da processi di necrosi,
altrimenti è obbligatorio ricorrere a una suturatrice lineare (del tipo "taglia e
cuci"), facendo in modo, per una tenuta più sicura, che la linea di sutura
coinvolga parzialmente il cieco; da sottolineare che qualsivoglia sutura in filo
non garantisce una tenuta altrettanto sicura in presenza di grave flogosi.
Il lavaggio finale della cavità addominale deve essere particolarmente
accurato. I punti migliori di raccolta del liquido di lavaggio sono lo scavo
pelvico e la regione latero-epatica. Non si trascuri di esplorare alla fine
dell'intervento anche la loggia splenica. Nei casi complessi è doveroso il
posizionamento di uno o due drenaggi: se unico, il drenaggio va collocato nel
Douglas o in latero-ciecale, introducendolo attraverso la porta sovrapubica
mediana; se si decide per due drenaggi, il primo va posizionato ancora nel
Douglas, ma introdotto attraverso il trequarti posto in fossa iliaca sinistra,
mentre si lascia il secondo, introdotto dal trequarti sovrapubico, nel recesso
latero-colico.

È possibile utilizzare la tecnica retrograda?


Sì, è possibile utilizzarla anche in laparoscopia. Si procede con un'
“apertura” alla radice del mesenteriolo, attraverso cui sono fatti passare i lacci,
che verranno quindi annodati sulla base dell’appendice, con procedura
extracorporea. L'intervento prosegue con la dissecazione dell’appendice dal
cieco e, infine, con la diatermocoagulazione del mesenteriolo.
In laparotomia si ricorre preferenzialmente alla tecnica retrograda quando,
non essendo visualizzabile la punta dell’appendice, si vuole evitare
l'allargamento dell’incisione cutanea. È una motivazione che in laparoscopia
ovviamente non sussiste, poiché le manovre di identificazione, isolamento ed
esposizione dell’appendice possono essere realizzate in maniera ottimale anche
quando il viscere è retro-ciecale con punta sottoepatica.

Qual è la modalità ottimale di gestione del mesenteriolo?

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Alcuni autori utilizzano la coagulazione monopolare, mantenendosi in
stretta prossimità della parete dell’appendice, ovvero lungo un margine in cui
l'arteria appendicolare è ormai “sfioccata” nei suoi piccoli rami terminali. Altre
possibilità di gestione del mesenteriolo sono la legatura extracorporea con
laccio e la legatura con clips metalliche. Si tratta di modalità che, nei casi
semplici, sostanzialmente si equivalgono, fatta eccezione per le clips che
tendono facilmente a cadere; ovviamente, la diatermocoagulazione bipolare
resta la scelta più semplice e, soprattuto, la più sicura in presenza di grave
flogosi e/o mesenteriolo ispessito.

Quale tecnica si deve utilizzare per ottenere un lavaggio ottimale della cavità
addominale?
Per il lavaggio è ovviamente necessario un adeguato quantitativo di
liquido, che di regola è semplice soluzione fisiologica; nei casi di grave
peritonite ne servono circa 6-8 litri. Inizialmente è bene disporre il paziente in
anti-Trendelenburg spinto e irrigare tutta la matassa intestinale infilando la
punta dell'irrigatore tra le anse. Si riduce quindi l’anti- Trendelenburg e si
aspira il liquido raccolto nel Douglas. In questa fase iniziale, l'ottica è nel trocar
sotto-ombelicale, l'irrigatore nel trequarti sovrapubico, mentre il palpatore da
10 mm – necessario per spostare le anse e, nella donna, per sollevare l’utero -
è introdotto nel trequarti in fossa iliaca sinistra.
Nel tempo successivo, che prevede il lavaggio della loggia
sottodiaframmatica destra, il paziente va posto in Trendelenburg con rotazione
sul fianco destro, mantenendo il tavolo operatorio. In tal modo il liquido di
lavaggio si raccoglierà, a seconda dell'inclinazione cranio-caudale, nel Douglas
o nella regione latero-epatica, sedi che ne consentono comunque un'ottimale
aspirazione.

Esistono accorgimenti particolari nei pazienti di età pediatrica?


Più che l'età, conta il peso del paziente. In quelli piccoli per mole somatica
è consigliabile che il trequarti sotto-ombelicale sia da 10 mm, per una comoda
e sicura estrazione dell'appendice, e gli altri due da 5 mm, con conseguente
necessità di un'ottica da 5 mm. Per una gestualità operativa più facile e precisa
è utile l’impiego di pinze più corte di quelle usuali.
In chirurgia laparoscopica pediatrica è opportuna, infine, la
disponibilità del riscaldatore del gas per lo pneumoperitoneo, così da evitare
l’ipotermia; in assenza del dispositivo, può essere sufficiente far transitare il
tubo del gas, a foggia di serpentina, in un recipiente contenente acqua calda.

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Il diverticolo di Meckel va sempre ricercato e come deve essere eventualmente
trattato?
Il diverticolo di Meckel deve sempre essere ricercato in ogni intervento di
appendicectomia. La manovra è di semplice esecuzione: con prese successive,
il tenue deve essere esplorato per circa un metro dalla valvola ileo-ciecale. La
trazione sull’ansa deve essere ovviamente delicata e sempre sul versante
antimesenterico. Ogni presa intestinale deve essere eseguita in visione per
evitare di misconoscere possibili lesioni iatrogeniche.
Il trattamento di un eventuale diverticolo è condizionato dalla dimensione
della sua base d'impianto: se stretta, è sufficiente la sua legatura con un
semplice endoloop; se la base è ampia e/o il diverticolo ha dimensioni
importanti, è preferibile ricorrere a una suturatrice lineare "taglia e cuci".

Un'eventuale altra patologia coesistente può e deve essere trattata


contestualmente?
È indiscutibile che la tecnica laparoscopica abbia notevolmente cambiato
l’approccio a questa particolare problematica. In era pre-laparoscopica si
considerava l’opportunità di trattare un'eventuale patologia associata solo se
l’incisione per la via d'accesso lo consentiva: ad esempio, in corso di
appendicectomia tramite incisione in fossa iliaca destra, era assolutamente
esclusa la possibilità di gestire altre patologie, se non la resezione di un
eventuale diverticolo di Meckel. È ormai opinione condivisa che l'approccio
laparoscopico offre una stupenda finestra per raggiungere agevolmente ogni
recesso addominale con pochi minimi accessi. E’ quindi oggi legittima la
problematica proposta e, in pratica, il trattamento di patologie associate è
generalmente fattibile senza particolari difficoltà, purché si conoscano
esattamente quali accessi utilizzare e come integrarli in un piano operativo
unico, efficace e soprattutto sicuro.
È quindi di fondamentale importanza la prima fase della procedura
laparoscopica, ovvero l'esplorazione accurata della cavità addominale dopo
l’inserimento del solo trequarti sotto-ombelicale. In altri termini, è la fase
diagnostica di conferma del sospetto clinico. Soprattutto se si dispone di
un’ottica operativa, sarà facile accertarsi dell’appendicopatia o, in assenza, di
altre patologie causa della sintomatologia; ovviamente, è possibile anche che
l’esplorazione evidenzi patologie per così dire “incidentali”, cioè non
responsabili della sintomatologia in atto e non diagnosticate nel preoperatorio.
L’accertamento esplorativo iniziale condiziona quindi necessariamente la scelta
del tipo di intervento da realizzare e la conseguente disposizione dei trequarti.
È bene comunque premettere che in presenza di grave appendicite acuta con
peritonite generalizzata, l'atto chirurgico deve essere esclusivamente
focalizzato sulla malattia in corso, che può avere complicanze anche mortali; in

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questi casi è quindi da proscrivere qualsiasi atto aggiuntivo a quello finalizzato
a rimuovere la causa e lo stato in essere della peritonite.
Nell’ambito di una casistica esemplificativa, la circostanza più frequente è
l’evidenza all’esplorazione iniziale di una patologia annessiale. Se l’appendice è
indenne e la patologia ginecologica è la verosimile causa del quadro clinico, si
ritiene opportuna che quest’ultima venga trattata, evitando ogni manovra
sull'appendice “innocente” e posizionando quindi i trequarti in modo corretto
per l'atto da eseguire. Di relativo frequente riscontro è la coesistenza con la
flogosi appendicolare di calcolosi della colecisti o di ernia inguinale. In tali
casi la strategia operatoria va modificata.

Coesistenza di calcolosi della colecisti


È preferibile procedere alla colecistectomia dopo aver asportato
l'appendice. Preliminarmente si deve comunque valutare la possibilità di
eseguire l'appendicectomia mediante l'uso di tre trequarti: uno sotto-
ombelicale (utile anche per l'esecuzione della colecistectomia), uno da 5 mm in
regione sovrapubica mediana (utile esclusivamente per l'esecuzione
dell'appendicectomia) ed uno in fianco destro sulla linea ombelicale trasversa
(utile per la colecistectomia e spesso, nei casi non complessi, adeguato anche
per l'appendicectomia). Se questo posizionamento si dimostra fattibile,
andranno successivamente inseriti altri due trequarti, necessari per
la colecistectomia: uno in regione sottoxifoidea ed uno para/sopra-
ombelicale sinistro (Fig. 21).
Se l'intervento di appendicectomia dovesse risultare complesso, e quindi
richiedere il posizionamento standard dei tre trequarti, si renderanno
necessarie in totale sei porte d'accesso per completare l'intervento combinato.
Il trocar in fianco destro, inutile all'esecuzione dell'appendicectomia, sarà
infatti necessario per la colecistectomia.

Coesistenza di ernia inguinale


È ovvio che si potrà realizzare anche la plastica erniaria soltanto in
assenza assoluta di segni anche minimi di peritonite, di fatto quindi soltanto
nei casi di cosiddetta appendicopatia cronica o comunque “non acuta”. Una
contaminazione anche minima della cavità addominale può pregiudicare infatti
il successo dell’impianto protesico. Se dunque le condizioni sono
eccezionalmente favorevoli, l’appendicectomia precede comunque
l’ernioplastica, che sarà realizzata solo e soltanto solo se l’intervento di
asportazione dell’appendice si è concluso in maniera corretta e senza
inquinamento anche minimo. L’intervento di plastica va realizzato con un
nuovo set di forbici, pinze e altri strumenti operativi.

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Fig. 21 - Accessi per l'esecuzione di colecistectomia associata a una
programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la colecistectomia,

→ corridoi d'azione per l'appendicectomia ; o trequarti per l'ottica nello


schema standard per l'appendicectomia.

Se l'ernia è destra si dovranno posizionare quattro trequarti: uno sotto-


ombelicale (utile per entrambi gli interventi), uno sovrapubico mediano da 5
mm per l'appendicectomia, uno in fianco destro da 5 mm (utile per
l'esecuzione dell'ernioplastica) ed uno in fossa iliaca sinistra, tre dita trasverse
sotto la linea ombelicale trasversa (utile per l'esecuzione di entrambi gli
interventi); quest'ultimo trequarti deve permettere il passaggio di una
suturatrice meccanica per ernia (Fig. 22).
Se l'ernia è sinistra, il posizionamento dei trocar è lo stesso per numero e
sede delle porte, ma con due piccole varianti: il trequarti in fianco destro
dovrà essere “abbassato”, ovvero posizionato due dita trasverse al disotto
della linea ombelicale trasversa, e avere un calibro adeguato all'introduzione
della suturatrice; il trequarti in fossa iliaca sinistra dovrà invece essere “alzato”
di poco, tanto quanto basta per l’adeguato inserimento dell'ottica per
l'appendicectomia e, successivamente, della pinza per l’ernioplastica (Fig. 23).
In entrambi i casi, durante l'appendicectomia la visione è penalizzata, poiché il
trequarti in fossa iliaca sinistra risulta più in alto rispetto alla norma, ma
l'intervento può essere reso più agevole utilizzando anche il trequarti inserito in
fianco destro.

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Fig. 22 - Accessi per l'esecuzione di ernioplastica inguinale destra associata a
una programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la ernioplastica;
→ corridoi d'azione per l'appendicectomia.

Fig. 23 - Accessi per l'esecuzione di ernioplastica inguinale sinistra associata a


una programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la ernioplastica;
→ corridoi d'azione per l'appendicectomia.

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6 - Considerazioni finali
La chirurgia laparoscopica si propone all'attenzione generale come tecnica
veramente innovativa alla fine degli anni Ottanta con l'intervento di
colecistectomia; successivamente abbiamo assistito alla sua applicazione per
patologie sempre più diversificate, anche tumorali, con evidenze di efficacia e
sicurezza crescenti. Attualmente l'intervento di colecistectomia laparoscopica
resta la procedura laparoscopica più diffusa e, di fatto, ancora l'unica con una
sistematizzazione condivisa dei tempi e dei gesti operativi, oltre che delle
indicazioni. Per l’appendicectomia laparoscopica il processo di codificazione
metodologica non è ancora compiuto, come emerge dalle questioni irrisolte (su
specifici aspetti di indicazione e di tecnica) segnalate anche nelle attuali linee
guida.
È tuttavia opinione comune che, analogamente a quanto avvenuto per la
colecistectomia, l’appendicectomia laparoscopica sia comunque destinata a
diventare un gold standard sia per la ripetibilità e la semplicità dei gesti
(almeno nei casi non complessi), sia per la mole crescente di evidenze sui reali
vantaggi per il paziente rispetto alla procedura laparotomica (in particolare:
minor dolore, ridotta degenza, più rapida ripresa).
Appare inoltre opportuno riflettere su quelli che appaiono come “limiti”
dell’intervento tradizionale:
− la relativa elevata incidenza di appendici cosiddette bianche, anche per
l’impossibilità di una preliminare esplorazione della cavità addominale
possibile in laparoscopia (fase diagnostica preliminare);
− l’erronea convinzione che un’incisione cutanea corta corrisponda al rispetto
delle strutture parietali: è dimostrato che la divaricazione della parete
addominale causa lacerazioni muscolari, con conseguente dolore
postoperatorio e possibili aderenze viscerali;
− un campo operatorio a visione ristretta, che può creare difficolta in
presenza di anomala posizione/situazione dell’appendice e comunque non
consente di “dominare” la cavità addominale, ovvero:
 di ricercare ed eventualmente trattare altre patologie causali, se
l’appendice è “bianca”, e/o coesistenti (ad esempio, le frequenti
patologie annessiali nella donna);
 di procedere alla necessaria toilette in presenza di peritonite.
D’altra parte, la chirurgia laparoscopica è stata anche definita, per la sua
minore invasività, la “chirurgia del rispetto”. In effetti, tre fori - anche se la
somma delle incisioni cutanee è di circa 2.5 cm - non equivalgono affatto alla
minima incisione cutanea di McBurney, poiché in laparoscopia la muscolatura,
la vascolarizzazione e l'innervazione della parete vengono completamente
preservate, con la conseguenza evidente ed immediata di un minor dolore
postoperatorio. “Chirurgia del rispetto” significa anche evitare un intervento
non necessario: se in passato era lecito, anzi doveroso, asportare l'appendice

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“bianca” o “innocente”, una volta deciso l’intervento nell’incertezza diagnostica,
oggi la possibilità offerta dalla laparoscopia di una preliminare esplorazione
diagnostica di fatto impone di asportare un’appendice sicuramente sana
(togliere o non un’appendice normale in assenza di altra patologia causale
resta un tema dibattuto).
La procedura laparoscopica appare preferibile anche in presenza di una
grave appendicite purulenta con peritonite più o meno generalizzata,
considerando che:

− lo schema standard di accesso per i casi semplici risulta sufficiente per


trattare in piena sicurezza i casi veramente complessi; in “tomia”
l’alternativa al tradizionale McBurney sono ampie incisioni di
allargamento, incisioni paramediane o addirittura mediane;
− la “scopia” permette l'esplorazione del cavo, il lavaggio accurato di ogni
recesso ed il posizionamento ottimale di eventuali drenaggi, prevendo
così ogni contaminazione della parete, spesso causa di lunghi periodi di
ospedalizzazione e possibili laparoceli post-chirurgici; la laparotomia non
appare garantire una toilette altrettanto accurata.
È ovvio che i risultati ottimali dell’appendicectomia laparoscopica
presuppongono esperienza con la procedura, anche e soprattutto in casi
complessi/complicati. È d’altra parte opinione sempre più diffusa che
l’appendicectomia, e non la colecistectomia, sia l’intervento privilegiato per
l'apprendimento della metodica laparoscopica, essenzialmente per tre motivi:
− l'appendicectomia laparoscopica espone il paziente a rischi, e quindi
complicanze, assai meno gravi rispetto a quelli di una colecistectomia;
− l'appendicectomia laparoscopica è una palestra eccezionale per apprendere
manovre impegnative, servendosi con la stessa competenza e spesso in
rapida alternanza di entrambe le mani; questo training gestuale tornerà
estremamente utile nell’affrontare patologie più gravi;
− l’estrema variabilità di posizione, situazione e di rapporti di cieco-appendice
impone repentini cambi di tattica che sicuramente rafforzano la
decisionalità e affinano la gestualità.
Principale critica alla procedura laparoscopica sono i costi. Premesso che il
diritto alla salute, in un’ampia accezione di benessere psico-fisico, e il diritto
alle cure migliori disponibili sono prioritari e inalienabili, è indiscutibilmente
vero che un intervento di appendicectomia laparotomica ha costi inferiori
rispetto a quello in laparoscopia. Tuttavia, nella valutazione comparativa di
regola non si tiene conto dei costi di degenza e del materiale utilizzato per le
medicazioni, dei costi correlati a mancata produttività, dei costi di eventuali
interventi per complicanze anche tardive (ad esempio, occlusioni da aderenze)
e di tanti altri costi indiretti. Da una comparazione più accurata, e
considerando anche minori invasività e dolore postoperatorio, emerge che

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l'appendicectomia laparoscopica è realmente vantaggiosa per il paziente e
anche per amministratori alla prese con una progressiva restrizione delle
risorse economiche.
In conclusione, è opinione sempre più diffusa, peraltro basata su evidenze
crescenti, che l’appendicectomia sia da annoverare tra gli interventi che
devono essere eseguiti sempre per via laparoscopica, essenzialmente per tre
ragioni:
− in mani esperte, il trattamento laparoscopico emerge in assoluto come la
migliore opzione chirurgica da proporre al paziente affetto da
appendicopatia anche complicata;
− l'appendicectomia laparoscopica “semplice”, oltre ad essere vantaggiosa
per il paziente, è la procedura ideale, anche in termini di sicurezza, per
l'apprendimento di competenze e tecniche laparoscopiche fondamentali;
l’intervento deve quindi entrare nella routine operatoria, così da
consentire all'équipe dedicata, ed in particolare ai componenti in
formazione, una più rapida e proficua curva di apprendimento, con
conseguente incremento della sicurezza e dell’efficienza della sala
operatoria;
− nel dubbio clinico, l’approccio laparoscopico consente la diagnosi corretta
e quindi un atto terapeutico mirato, con ulteriori innegabili vantaggi per il
paziente, in particolare nelle donne.

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