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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Prof. Lorenzo Novellino
INTRODUZIONE
L'appendicectomia è uno degli interventi chirurgici più frequenti e
rappresenta - per relativa semplicità di esecuzione, almeno nei casi non
complicati - una vera palestra di apprendimento per lo specialista in
formazione. Sempre più diffusa è la procedura laparoscopica, da molti oggi
considerata il gold standard per l’asportazione dell’appendice. Anche in
chirurgia mini-invasiva l’appendicectomia ha una peculiare valenza didattica
come atto formativo propedeutico ad altri più complessi. La tecnica
laparoscopica deve essere dunque conosciuta dal chirurgo generale e dovrebbe
far parte del suo “bagaglio minimo” di competenze operative.
1 - CENNI STORICI
La prima descrizione tramandataci di un'appendicectomia risale al
dicembre 1735. Claudius Amyand, medico della regina Anna e di altri sovrani
inglesi e fondatore del St. George's Hospital a Londra, operò un ragazzo di
undici anni affetto da ernia scrotale di antica data e da fistola stercoracea
inguinale. Attraverso un’incisione scrotale, constatò la presenza nel sacco
erniario di un'appendice perforata da uno spillo e coperta dall'omento. Amyand
asportò l'omento e l'appendice e la fistola si chiuse nel postoperatorio. "Un
intervento tanto doloroso per il paziente quanto estenuante per me":
l'operazione, in effetti, durò più di mezz'ora, e questo basta a testimoniare il
coraggio del ragazzo!
Nel 1880, il chirurgo inglese Robert Lawson Tait resecò con successo
l'appendice gangrenata in un ragazzo di 17 anni; egli optò per la doppia
invaginazione del moncone appendicolare (doppia borsa di tabacco), un
metodo ancora in uso ai nostri giorni. Il 10 maggio 1883 Abraham Groves, di
Fergus nell'Ontario (Canada), figlio di un immigrato irlandese, eseguì –
probabilmente è il primo caso - un'appendicectomia "precoce" (prima cioè dello
stadio gangrenoso o perforativo dell’appendicite) in un ragazzo di 12 anni che
lamentava dolore ricorrente nel quadrante addominale inferiore destro;
l'esperienza dell'Autore fu riportata solo in un'autobiografia pubblicata nel
1934.
Nel 1889 venne pubblicato il primo di numerosi lavori di Charles
McBurney, di New York. Da allora l'appendicectomia per appendicite acuta (con
la canonica incisione eponimica) si diffuse largamente negli Stati Uniti e in
Europa. Nel 1904, il dottor John B. Murphy, di Chicago, riferì una personale
esperienza di 2.000 appendicectomie eseguite dal 2 marzo 1880 al 22 giugno
1903. Nel 1926 LeGrand Guerry illustrò 2.959 casi personali di chirurgia
dell'appendice.
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Nella bibliografia russa viene rivendicata a Dmitry Oscarovich Ott -
famoso ginecologo di San Pietroburgo, fondatore dell’Istituto che oggi porta il
suo nome - la realizzazione nel 1906 della prima appendicectomia per via
vaginale (colpotomia posteriore) nel corso di un intervento di
isteroannesectomia completato, come di routine per la sua pionieristica Scuola,
da una “ventroscopia”: quello del chirurgo russo potrebbe quindi essere
considerato il primo caso di NOTES (Natural Orifices Transluminal Endoscopic
Surgery). La prima appendicectomia video-assistita sarebbe stata realizzata
nel 1977 dall’olandese Hans J. De Kok, la cui priorità resta sostanzialmente
misconosciuta per la scarsa diffusione della rivista nazionale su cui pubblicò. Fu
comunque Kurt Semm, ginecologo di Kiel (Germania), ad illustrare in due
lavori successivi (giugno 1982 e gennaio 1983) la tecnica dell'appendicectomia
laparoscopica, adattando e modificando quella classica open, così come
descritta e realizzata inizialmente da McBurney. Semm, tuttavia, non riteneva
indicata la procedura laparoscopica nei casi di appendicite acuta, come ribadì in
una pubblicazione su Endoscopy (1983), senza comunque riportare alcuna
personale casistica o esperienza e così esponendosi a non poche critiche. In
effetti, nel 1987 il connazionale Jorg H. Schreiber, di Dusseldorf, pubblicò il
primo consistente report di 70 casi in circa 5 anni (67 dei quali con tecnica
videolaparoscopica; 7 con quadro di appendicite acuta catarrale o
flemmonosa), rivendicando di aver effettuato la prima appendicectomia
laparoscopica nel giugno del 1982.
3
Oloviannyĭ VE, et al. [To 100-years of first ventroscopic appendectomy]. Khirurgiia
(Mosk). 2007;(6):74-5 (vedi anche in http://www.laparoscopy.ru/doktoru/71010-
ott.html).
Guerry LeG. A study of the mortality in appendicitis. Ann Surg. 1926; 84 (2): 283–
287.
Harris CW. Abraham Groves of Fergus: the first elective appendectomy? Can J Surg.
1961 Jul; 4: 405-10.
de Kok HJ. A new technique for resecting the non-inflamed not-adhesive appendix
through a mini-laparotomy with the aid of the laparoscope. Arch Chir Neerl.
1977;29(3):195-8.
Seal A. Appendicitis: a historical review. Can J Surg. 1981 Jul; 24(4): 427-33.
Semm K. Endoscopic appendectomy. Endoscopy 1983; 15: 59-64.
Schreiber JH. Early experience with laparoscopic appendectomy in women. Surgl
Endosc. 1987; 1 (4): 211-216.
Morgenstern L. Charles McBurney (1845-1913). Afield from the appendix. Surg
Endosc. 1996 Apr; 10(4): 385-6.
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Fig. 1 - Proiezione cutanea della base d'impianto appendicolare.
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ciecale a livello della zona d'impianto dell'appendice e si anastomizza con un
ramo dell'arteria ciecale posteriore (Fig. 3).
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Fig. 4 - Rapporti della regione cieco-appendicolare: 1 vasi spermatici - 2
uretere destro - 3 arteria iliaca esterna destra - 4 vena iliaca esterna destra - 5
dotto deferente destro - 6 nervo femorale - 7 muscolo grande psoas.
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Fig. 5 - Conformazione dell'appendice infantile.
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SIUAZIONE E POSIZIONE
IN ANATOMIA TOPOGRAFICA
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Fig. 7 - Variazioni di posizione del cieco: 1 sottosplenica - 2 sottoepatica - 3
pre-renale - 4 iliaca (tipica) - 5 pelvica.
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Fig. 8 - Variazioni di posizione dell'appendice ciecale (vedi testo).
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c. discendente pelvica (Fig. 10), nel 4% circa dei casi - l'appendice, con
cieco situato in fossa iliaca destra, si affaccia o discende nel piccolo
bacino, lungo i vasi iliaci, fino talora a raggiungere la regione otturatoria
o giungere a contatto con la vescica, il retto, l'utero, l'ovaio destro, il
legamento largo di destra;
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e. ascendente latero-ciecale laterale o latero-esterna (Fig. 12), anch’essa
molto rara - con decorso ascendente laterale tra il cieco e la spina iliaca
anteriore superiore (situazione intraperitoneale).
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Di altrettanto fondamentale importanza per la corretta esecuzione
dell’appendicectomia laparoscopica sono la scelta e la preparazione del
materiale d’uso sia ordinario che straordinario
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− n. 2 strumenti da presa - devono essere avere una presa larga e
morbida, preferibilmente con dispositivo di blocco su un’impugnatura
ergonomica, devono essere rotanti sul proprio asse e conduttori di
corrente, possibilmente con attacco dell'elettrodo perpendicolare
all'impugnatura per una presa più agevole (Foto 5 e 6);
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− n. 1 forbici – con caratteristiche di impugnatura e trasporto di corrente
analoghe agli strumenti da presa; è preferibile che siano curve con
movimento di entrambe le lame, così da poter operare secondo una linea
di taglio variabile per angolazione e controllabile per efficacia di
penetrazione nei tessuti (Foto 7);
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− n. 1 pinza per coagulazione bipolare, per un'emostasi ottimale a basso
costo del mesenteriolo - poiché lo strumento tende facilmente a
deteriorarsi diventando inefficace, è opportuno averne a disposizione più
di una; sono comunque consigliabili quelle monouso (Foto 8 e 9);
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− n. 3 endoloops o cappi – per la corretta legatura della base
dell’appendice;
− n. 2 strumenti di palpazione, uno da 5 ed uno da 10 mm;
− n. 1 strumento da 5 mm per l’irrigazione/aspirazione;
− n. 1 endobag per l’estrazione dellappendice.
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− n. 1 set per sutura (Foto 12) – può rendersi necessario per
l'affondamento del moncone appendicolare in presenza di tessuto
necrotico alla base dell'appendice; il set è composto da:
porta-aghi, possibilmente con impugnatura ergonomica e
dispositivo di blocco a cremagliera con agevole sblocco;
fili di sutura corti (per suture intracorporee) e lunghi (per
annodamenti singoli di tipo extracorporeo);
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− n. 1 suturatrice meccanica - lo strumento può rendersi indispensabile per
portare a termine l'intervento nei casi eccezionalmente complessi con
base appendicolare in necrosi; si raccomanda di garantirsi la disponibilità
di alcune ricariche sia di tipo vascolare, sia di tipo viscerale (Foto 13);
− n. 1 aspiratore da 10 mm – lo strumento garantirà una più accurata e
rapida pulizia del cavo peritoneale in caso di grave peritonite purulenta
diffusa (Foto 14).
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La sistematizzazione/standardizzazione di una tecnica chirurgica, senza
tener conto dell’evoluzione della tecnologia, poggia di fatto sull’esperienza
qualificata di singoli operatori con elevati volumi di attività, che spesso
condizionano la caratterizzazione di scuole chirurgiche. Ne consegue una
diversificazione - di regola marginale - delle tecniche e, soprattutto, delle
tattiche operatorie, che si concretizza in scelte preferenziali su singoli aspetti
della procedura, peraltro non sempre unanimemente condivise, o anche in
cosiddetti trucchi e suggerimenti (tips and tricks), che possono invece avere
un’indubbia utilità pratica. Ai fini didattici valgono, per così dire, le regole
generali codificate in linee guida basate sulle evidenze disponibili.
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Fig. 13 - Posizione del paziente sul tavolo operatorio.
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opportunamente i telini di copertura (“esponendo” regione ombelicale e
quadranti inferiori dell’addome), si passano all'infermiere di sala i raccordi in
modo tale che (Fig. 15):
− il cavo luce (“caudale”), il cavo della telecamera (intermedio) ed il cavo
di insufflazione (“craniale”) raggiungano il pube del paziente decorrendo
affiancati lungo il suo arto inferiore destro;
− i cavi dell'aspirazione (“caudale”) e dell'irrigazione (“craniale”) decorrano,
sempre affiancati, lungo il lato destro dell’addome per terminare sul
petto del paziente;
− il cavo elettrico giunga alla regione pubica provenendo dalla coscia
sinistra del paziente.
Questa disposizione dei cavi di raccordo, il cui decorso è sempre centripeto
verso i rispettivi trequarti, ne evita l’aggrovigliamento ma anche
l’attraversamento del campo operatorio delimitato dai telini.
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Fig. 15 - Posizione dei cavi di raccordo rispetto al campo operatorio: 1 cavo
luce - 2 cavo telecamera - 3 cavo d'insufflazione - 4 cavo d'aspirazione - 5
cavo d'irrigazione - 6 cavo elettobisturi.
Tempi operatori
Di seguito si descrivono i tempi dell'intervento di appendicectomia
laparoscopica anterograda in un malato "ideale", ovvero normotipo e con
anamnesi negativa per pregressi interventi chirurgici addominali.
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strettamente accollati. La possibilità di muovere senza resistenza la punta
dell'ago di Veress in senso interno-esterno e latero-laterale ne conferma la
corretta posizione intracavitaria e la verosimile assenza di aderenze sotto-
ombelicali.
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allargata con la stessa angolatura usata per il Veress; nello stesso tempo viene
effettuata una controtrazione (mano sinistra dell'operatore, mano destra
dell'aiuto) sulla parete addominale. Si consiglia di utilizzare sempre, in questa
prima fase, un trocar ottico di ultima generazione, perché consente di
controllare la sua penetrazione attraverso i vari strati della parete, con
conseguenti minori rischi di traumi viscerali; la particolare punta conica dello
strumento previene anche il rischio di sanguinamento (Foto 16 e 17). Se è
vero che per il trocar “a vista” è ottimale un'ottica con visione a 0 gradi, che ne
centralizza la visione, questa è comunque accettabile con un'ottica da 25 o 30
gradi, con cui la punta del trequarti apparirà decentrata.
Foto 16 - Introduzione del primo trequarti del tipo “a vista” (trocar ottico).
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Il trequarti sotto-ombelicale ospiterà l'ottica laparoscopica nella prima fase
esplorativa dell'intervento e, successivamente, verrà utilizzato come trocar
operativo per il passaggio di pinze da presa, cappi premontati e irrigatore-
aspiratore, oltre che per l'estrazione dell'appendice; i diversi strumenti
introdotti verranno gestiti dalla mano destra dell'operatore.
Il secondo trequarti, monouso da 5 mm, viene posizionato dalla mano
destra dell'aiuto (che è ancora di fronte all'operatore) in regione sovrapubica,
sulla linea mediana. Il posizionamento deve avvenire con controllo visivo
laparoscopico (ottica nel trequarti sotto-ombelicale gestita dalla mano destra
dell'operatore), per impedire lesioni vescicali. Il trequarti sovrapubico è un
trocar essenzialmente operativo che ospiterà la pinza bipolare, le forbici, il
“bottone” per l'elettrocoagulazione, la cannula per l'aspirazione-irrigazione da 5
mm, il palpatore da 5 mm. Tutti questi strumenti sono gestiti dalla mano
sinistra dell'operatore, tranne la pinza da presa sull'appendice nel momento del
confezionamento dei loops (cappi), che verrà allora affidata all'aiuto.
Il terzo trequarti, monouso da 10 mm, viene inserito dalla mano sinistra
dell'operatore in fossa iliaca sinistra, alcuni centimetri medialmente alla spina
iliaca anteriore superiore e lateralmente ai vasi epigastrici inferiori. Per evitare
di lederli, anche la sua introduzione deve avvenire sotto controllo visivo
laparoscopico ed eventuale transilluminazione. Il trocar iliaco, nel rispetto della
regola di garantirsi una triangolazione ottimale (vedi di seguito), ospiterà
l'ottica laparoscopica (inizialmente inserita, in fase esplorativa, nel trocar
sotto-ombelicale) e, nella fase conclusiva dell'intervento (e talora in fase
esplorativa), un palpatore da 10 mm. È possibile utilizzare, ed è opportuno in
pazienti pediatrici, un trequarti di calibro minore con un'ottica da 5 mm (Foto
18).
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Va notato, come “regola generale”, che ogni qualvolta si utilizza la porta sotto-
ombelicale per fa passare strumenti operativi, l’ottica va comunque spostata
nel trequarti in fossa iliaca sinistra, e viceversa.
L'introduzione del secondo trequarti in regione sovrapubica a volte
presenta delle difficoltà; il peritoneo parietale può infatti facilmente distaccarsi
dai piani muscolari così che la punta del trocar non lo trapassa di netto ma, per
così dire, lo trascina in cavità addominale. È consigliabile quindi, controllando
la manovra attraverso l'ottica posta nel primo trequarti, procedere al
posizionamento del trequarti in fossa iliaca sinistra in seconda battuta e non in
terza; attraverso il trocar iliaco si potrà così introdurre una pinza per esercitare
pressione sul peritoneo parietale dall'interno all'esterno, facilitando in tal modo
la penetrazione del trocar sovrapubico senza distacco e trascinamento della
sierosa.
C. Fase esplorativa
La prima esplorazione del cavo addominale avviene attraverso l’ottica
inserita nel trequarti sotto-ombelicale (Foto 19), prima quindi dell'inserimento
degli altri due trequarti; questa fase esplorativa consente di valutare un
eventuale quadro peritonitico, di effettuare un'esplorazione del fegato, di
identificare visivamente l'appendice (grazie al riconoscimento di alcuni reperi
anatomici laparoscopici), e – come già detto - di inserire sotto visione gli altri
trocar. Fondamentali reperi anatomici sono: l'ultima ansa ileale, la confluenza
delle tenie ciecali, il cieco, i vasi iliaci esterni di destra, l'orifizio inguinale
interno destro.
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L'esplorazione, inizialmente condotta con l'ottica introdotta nel trocar
sotto-ombelicale, deve essere completata attraverso il trequarti in fossa iliaca
sinistra (Foto 20), per individuare la sede d'impianto sul cieco dell'appendice,
che appare come la prua di una nave, ed eseguire quindi l'intervento con
minori difficoltà. Strumenti di palpazione inseriti nei trequarti consentiranno
infine un'esplorazione più accurata alla ricerca di eventuali altre patologie
“causali”, se l’appendice appare normale (“bianca”/“innocente”), o
concomitanti alla confermata appendicopatia (ernie inguinali, patologie istero-
annessiali, adenome-senteriti, diverticolite di Meckel).
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sempre una perfetta gestione dell'emostasi in quanto viene mantenuta la
corretta posizione del mesenteriolo ed un eventuale sanguinamento viene
controllato dalle successive coagulazioni bipolari (Foto 21 e 22).
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spostata nel trocar sovrapubico e “infilata” nel cappio, si afferra nuovamente
per la punta l’appendice e la si fa passare passata attraverso il loop (Foto 24);
si realizza quindi la prima legatura a livello della base d'impianto, sezionando il
capo del filo con forbici introdotte nello stesso trequarti attraverso il quale è
stato fatto passare. Analogamente, si confeziona un secondo loop in stretta
vicinanza del primo (Foto 25).
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Foto 25 - Posizionamento del secondo loop.
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Foto 26 - Sezione della base appendicolare.
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anche quelle di inquinamento del cavo peritoneale.
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Foto 29 - Ricerca del diverticolo di Meckel.
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L. Estrazione dei trequarti
La manovra di estrazione dei trequarti va sempre condotta sotto visione
per verificare la perfetta emostasi dei fori d'accesso.
La Tavola 1 è riassuntiva dei trequarti posizionati e del uso nei vari tempi
operatori in corso di appendicectomia laparoscopica per appendicite non
complicata.
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5 - Aspetti pratici (tips and tricks) e tattica operatoria
nei casi complicati
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L’ancoraggio nei casi complicati è giustificato dal fatto che, in particolare nei
tempi operatori di isolamento e sezione dell'appendice, è opportuno porre il
tavolo operatorio in Trendelenburg anche spinta con rotazione sinistra; in
questa posizione la matassa del piccolo intestino cade verso la regione
splenica, consentendo un’ottimale esposizione del cieco e dell’ultima ansa
ileale. Inoltre, in fase di lavaggio del cavo peritoneale possono rendersi
necessarie inclinazioni del tavolo operatorio tanto più marcate quanto più
grave è il processo peritonitico: in altri termini, quanto più saldo sarà
l’ancoraggio, tanto più le inclinazioni potranno essere accentuate a tutto
vantaggio di un’ottimale toilette della cavità addominale (vedi più avanti).
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Fig. 16 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrici nei quadranti inferiori distali: O - primo accesso per l'ottica operativa
(o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.
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Fig. 17 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrice sovra- e sotto-ombelicale (xifo-pubica): O - primo accesso per l'ottica
operativa (o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.
Qual è il posizionamento ottimale dei trequarti?
Attualmente la disposizione standard è quella precedentemente descritta,
che è ancora la preferita dalla gran parte degli operatori e che prevede,
nell’ordine di inserimento: un trequarti sotto-ombelicale, uno in fossa iliaca
sinistra appena sopra il legamento inguinale ed uno sovrapubico sulla linea
mediana (Fig.18).
Sono descritte almeno tre varianti. La prima, di fatto abbandonata, adotta
sistematicamente quattro porte d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca
destra, in fianco destro e sovrapubica mediana (Figura 19a); era la scelta
preferenziale agli albori della storia dell'appendicectomia laparoscopica, per
così dire di prudenza, ovvero suggerita da un’inesperienza “primaria” nella
chirurgia addominale laparotomica. La seconda variante adotta tre vie
d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca destra e sovrapubica mediana (Fig.
19b); anch'essa è oggi abbandonata, poiché dettata dall’errato convincimento,
proprio dell’approccio laparotomico, che almeno una porta d'accesso debba
essere “aperta” in corrispondenza della proiezione cutanea dell’appendice. La
terza variante prevede il posizionamento di tre trequarti: uno sotto-ombelicale
e due sulla linea sovrapubica trasversa, spostando verso destra quello mediano
della disposizione standard (Fig. 19c), a fini essenzialmente estetici, con
motivazioni facilmente intuibili.
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Fig. 18 - Posizionamento standard dei trequarti.
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della regola della triangolazione, che gli strumenti giungano sul punto focale
dell'intervento (in questo caso l'appendice) formando un angolo di 90°, con
l'ottica posta a bisettrice: in tal modo sono garantiti i corridoi d’azione di tutti
gli strumenti, la facilità di manovrarli senza impedimenti e, in definitiva, la
possibilità di fatto di completare con successo tutti gli interventi (Fig. 20).
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sfavorevole sul decorso postoperatorio e che, viceversa, la bimanualità
operativa garantisce comunque maggior sicurezza, soprattutto negli interventi
difficili.
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dall'irrigatore-aspiratore che consente di dissecare le aderenze e
contemporaneamente di detergere l'intera regione.
In tutti i casi complicati per flogosi grave, l'emostasi del mesenteriolo deve
essere condotta obbligatoriamente con diatermocoagulazione bipolare, la sola
modalità che garantisca l'emostasi ottimale di un meso di regola marcatamente
ispessito. Se l'appendice è in grave necrosi, si eviterà inoltre qualsiasi trazione
su di essa e la si asporterà in frammenti; una scelta solo apparentemente
azzardata, perché la nostra esperienza conferma che la “frammentazione” non
aggrava assolutamente la peritonite in atto. Asportata l’appendice, il cieco
potrà essere correttamente esposto per la legatura/affondamento della
base/moncone appendicolare con la tecnica ritenuta più sicura. Il moncone va
chiuso con doppio loop solo se non è interessato da processi di necrosi,
altrimenti è obbligatorio ricorrere a una suturatrice lineare (del tipo "taglia e
cuci"), facendo in modo, per una tenuta più sicura, che la linea di sutura
coinvolga parzialmente il cieco; da sottolineare che qualsivoglia sutura in filo
non garantisce una tenuta altrettanto sicura in presenza di grave flogosi.
Il lavaggio finale della cavità addominale deve essere particolarmente
accurato. I punti migliori di raccolta del liquido di lavaggio sono lo scavo
pelvico e la regione latero-epatica. Non si trascuri di esplorare alla fine
dell'intervento anche la loggia splenica. Nei casi complessi è doveroso il
posizionamento di uno o due drenaggi: se unico, il drenaggio va collocato nel
Douglas o in latero-ciecale, introducendolo attraverso la porta sovrapubica
mediana; se si decide per due drenaggi, il primo va posizionato ancora nel
Douglas, ma introdotto attraverso il trequarti posto in fossa iliaca sinistra,
mentre si lascia il secondo, introdotto dal trequarti sovrapubico, nel recesso
latero-colico.
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Alcuni autori utilizzano la coagulazione monopolare, mantenendosi in
stretta prossimità della parete dell’appendice, ovvero lungo un margine in cui
l'arteria appendicolare è ormai “sfioccata” nei suoi piccoli rami terminali. Altre
possibilità di gestione del mesenteriolo sono la legatura extracorporea con
laccio e la legatura con clips metalliche. Si tratta di modalità che, nei casi
semplici, sostanzialmente si equivalgono, fatta eccezione per le clips che
tendono facilmente a cadere; ovviamente, la diatermocoagulazione bipolare
resta la scelta più semplice e, soprattuto, la più sicura in presenza di grave
flogosi e/o mesenteriolo ispessito.
Quale tecnica si deve utilizzare per ottenere un lavaggio ottimale della cavità
addominale?
Per il lavaggio è ovviamente necessario un adeguato quantitativo di
liquido, che di regola è semplice soluzione fisiologica; nei casi di grave
peritonite ne servono circa 6-8 litri. Inizialmente è bene disporre il paziente in
anti-Trendelenburg spinto e irrigare tutta la matassa intestinale infilando la
punta dell'irrigatore tra le anse. Si riduce quindi l’anti- Trendelenburg e si
aspira il liquido raccolto nel Douglas. In questa fase iniziale, l'ottica è nel trocar
sotto-ombelicale, l'irrigatore nel trequarti sovrapubico, mentre il palpatore da
10 mm – necessario per spostare le anse e, nella donna, per sollevare l’utero -
è introdotto nel trequarti in fossa iliaca sinistra.
Nel tempo successivo, che prevede il lavaggio della loggia
sottodiaframmatica destra, il paziente va posto in Trendelenburg con rotazione
sul fianco destro, mantenendo il tavolo operatorio. In tal modo il liquido di
lavaggio si raccoglierà, a seconda dell'inclinazione cranio-caudale, nel Douglas
o nella regione latero-epatica, sedi che ne consentono comunque un'ottimale
aspirazione.
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Il diverticolo di Meckel va sempre ricercato e come deve essere eventualmente
trattato?
Il diverticolo di Meckel deve sempre essere ricercato in ogni intervento di
appendicectomia. La manovra è di semplice esecuzione: con prese successive,
il tenue deve essere esplorato per circa un metro dalla valvola ileo-ciecale. La
trazione sull’ansa deve essere ovviamente delicata e sempre sul versante
antimesenterico. Ogni presa intestinale deve essere eseguita in visione per
evitare di misconoscere possibili lesioni iatrogeniche.
Il trattamento di un eventuale diverticolo è condizionato dalla dimensione
della sua base d'impianto: se stretta, è sufficiente la sua legatura con un
semplice endoloop; se la base è ampia e/o il diverticolo ha dimensioni
importanti, è preferibile ricorrere a una suturatrice lineare "taglia e cuci".
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questi casi è quindi da proscrivere qualsiasi atto aggiuntivo a quello finalizzato
a rimuovere la causa e lo stato in essere della peritonite.
Nell’ambito di una casistica esemplificativa, la circostanza più frequente è
l’evidenza all’esplorazione iniziale di una patologia annessiale. Se l’appendice è
indenne e la patologia ginecologica è la verosimile causa del quadro clinico, si
ritiene opportuna che quest’ultima venga trattata, evitando ogni manovra
sull'appendice “innocente” e posizionando quindi i trequarti in modo corretto
per l'atto da eseguire. Di relativo frequente riscontro è la coesistenza con la
flogosi appendicolare di calcolosi della colecisti o di ernia inguinale. In tali
casi la strategia operatoria va modificata.
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Fig. 21 - Accessi per l'esecuzione di colecistectomia associata a una
programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la colecistectomia,
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Fig. 22 - Accessi per l'esecuzione di ernioplastica inguinale destra associata a
una programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la ernioplastica;
→ corridoi d'azione per l'appendicectomia.
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6 - Considerazioni finali
La chirurgia laparoscopica si propone all'attenzione generale come tecnica
veramente innovativa alla fine degli anni Ottanta con l'intervento di
colecistectomia; successivamente abbiamo assistito alla sua applicazione per
patologie sempre più diversificate, anche tumorali, con evidenze di efficacia e
sicurezza crescenti. Attualmente l'intervento di colecistectomia laparoscopica
resta la procedura laparoscopica più diffusa e, di fatto, ancora l'unica con una
sistematizzazione condivisa dei tempi e dei gesti operativi, oltre che delle
indicazioni. Per l’appendicectomia laparoscopica il processo di codificazione
metodologica non è ancora compiuto, come emerge dalle questioni irrisolte (su
specifici aspetti di indicazione e di tecnica) segnalate anche nelle attuali linee
guida.
È tuttavia opinione comune che, analogamente a quanto avvenuto per la
colecistectomia, l’appendicectomia laparoscopica sia comunque destinata a
diventare un gold standard sia per la ripetibilità e la semplicità dei gesti
(almeno nei casi non complessi), sia per la mole crescente di evidenze sui reali
vantaggi per il paziente rispetto alla procedura laparotomica (in particolare:
minor dolore, ridotta degenza, più rapida ripresa).
Appare inoltre opportuno riflettere su quelli che appaiono come “limiti”
dell’intervento tradizionale:
− la relativa elevata incidenza di appendici cosiddette bianche, anche per
l’impossibilità di una preliminare esplorazione della cavità addominale
possibile in laparoscopia (fase diagnostica preliminare);
− l’erronea convinzione che un’incisione cutanea corta corrisponda al rispetto
delle strutture parietali: è dimostrato che la divaricazione della parete
addominale causa lacerazioni muscolari, con conseguente dolore
postoperatorio e possibili aderenze viscerali;
− un campo operatorio a visione ristretta, che può creare difficolta in
presenza di anomala posizione/situazione dell’appendice e comunque non
consente di “dominare” la cavità addominale, ovvero:
di ricercare ed eventualmente trattare altre patologie causali, se
l’appendice è “bianca”, e/o coesistenti (ad esempio, le frequenti
patologie annessiali nella donna);
di procedere alla necessaria toilette in presenza di peritonite.
D’altra parte, la chirurgia laparoscopica è stata anche definita, per la sua
minore invasività, la “chirurgia del rispetto”. In effetti, tre fori - anche se la
somma delle incisioni cutanee è di circa 2.5 cm - non equivalgono affatto alla
minima incisione cutanea di McBurney, poiché in laparoscopia la muscolatura,
la vascolarizzazione e l'innervazione della parete vengono completamente
preservate, con la conseguenza evidente ed immediata di un minor dolore
postoperatorio. “Chirurgia del rispetto” significa anche evitare un intervento
non necessario: se in passato era lecito, anzi doveroso, asportare l'appendice
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“bianca” o “innocente”, una volta deciso l’intervento nell’incertezza diagnostica,
oggi la possibilità offerta dalla laparoscopia di una preliminare esplorazione
diagnostica di fatto impone di asportare un’appendice sicuramente sana
(togliere o non un’appendice normale in assenza di altra patologia causale
resta un tema dibattuto).
La procedura laparoscopica appare preferibile anche in presenza di una
grave appendicite purulenta con peritonite più o meno generalizzata,
considerando che:
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l'appendicectomia laparoscopica è realmente vantaggiosa per il paziente e
anche per amministratori alla prese con una progressiva restrizione delle
risorse economiche.
In conclusione, è opinione sempre più diffusa, peraltro basata su evidenze
crescenti, che l’appendicectomia sia da annoverare tra gli interventi che
devono essere eseguiti sempre per via laparoscopica, essenzialmente per tre
ragioni:
− in mani esperte, il trattamento laparoscopico emerge in assoluto come la
migliore opzione chirurgica da proporre al paziente affetto da
appendicopatia anche complicata;
− l'appendicectomia laparoscopica “semplice”, oltre ad essere vantaggiosa
per il paziente, è la procedura ideale, anche in termini di sicurezza, per
l'apprendimento di competenze e tecniche laparoscopiche fondamentali;
l’intervento deve quindi entrare nella routine operatoria, così da
consentire all'équipe dedicata, ed in particolare ai componenti in
formazione, una più rapida e proficua curva di apprendimento, con
conseguente incremento della sicurezza e dell’efficienza della sala
operatoria;
− nel dubbio clinico, l’approccio laparoscopico consente la diagnosi corretta
e quindi un atto terapeutico mirato, con ulteriori innegabili vantaggi per il
paziente, in particolare nelle donne.
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