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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Descrizione sintetica del corso FAD

APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Lorenzo Novellino

APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
STRUMENTARIO
Alessandro Maturo

APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
RACCOMANDAZIONI E LINEE GUIDA
Alessandro Maturo

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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Descrizione sintetica del corso FAD

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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Descrizione sintetica del corso FAD

È per certi aspetti sorprendente che, mentre la colecistectomia laparoscopica è


generalmente accettata come “standard terapeutico”, il dibattito resti aperto
per l’appendicectomia laparoscopica, nonostante evidenze quantitativamente e
qualitativamente forse anche più significative. La gestione del paziente con
appendicite acuta deve ovviamente essere personalizzata, eventualmente
valutando l’opportunità, in assenza di complicazioni, di una “osservazione
attiva” (antibioticoterapia). L’opzione chirurgica resta tuttavia preferenziale
anche nei casi non complicati e la procedura laparoscopica emerge sempre più
come la scelta migliore, soprattutto nell’incertezza diagnostica, quando è
fortemente raccomandata come ultimo atto diagnostico e primo atto
terapeutico, in particolare nelle donne in età fertile.
Obiettivi prioritari della FAD sono:
- il punto sulla tecnica chirurgica, in particolare sugli aspetti più controversi
(ad esempio, la gestione del moncone), che vuole essere anche un
contributo alla standardizzazione della procedura, premessa necessaria
per una sua compiuta implementazione nella pratica clinica quotidiana;
- l’aggiornamento delle evidenze, con riferimento in particolare alle linee
guida internazionali, sostanzialmente orientate a indicare
l’appendicectomia laparoscopica come procedura di scelta anche per
l’appendicite complicata.
Su questi obiettivi è stato scelto il materiale didattico online che, oltre alle
presentazioni video, comprende:
- la dispensa che riassume l’esperienza di un pioniere della chirurgia
laparoscopica in Italia, il prof. Lorenzo Novellino: un “how to do it” di
assoluto valore referenziale;
- un primo allegato sullo strumentario, con un approfondimento sulle
caratteristiche degli strumenti elettrificati e sulla tecnologia ad
ultrasuoni;
- un secondo allegato sulle evoluzione delle linee guida internazionali, che
vuole essere anche un aggiornamento bibliografico essenziale;
- il “Manuale (molto) pratico di chirurgia laparoscopica” di Bruno Benini,
proposto nella sua interezza perché ricco di considerazioni generali
insolite e di suggerimenti (molto) pratici di valore formativo anche per
l’operatore più esperto.

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Il questionario di valutazione finale, elaborato secondo le regole ministeriali,
mira a richiamare l’attenzione del discente sulle problematiche più significative
discusse nel materiale didattico.

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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Prof. Lorenzo Novellino

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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Prof. Lorenzo Novellino

INTRODUZIONE
L'appendicectomia è uno degli interventi chirurgici più frequenti e
rappresenta - per relativa semplicità di esecuzione, almeno nei casi non
complicati - una vera palestra di apprendimento per lo specialista in
formazione. Sempre più diffusa è la procedura laparoscopica, da molti oggi
considerata il gold standard per l’asportazione dell’appendice. Anche in
chirurgia mini-invasiva l’appendicectomia ha una peculiare valenza didattica
come atto formativo propedeutico ad altri più complessi. La tecnica
laparoscopica deve essere dunque conosciuta dal chirurgo generale e dovrebbe
far parte del suo “bagaglio minimo” di competenze operative.

1 - CENNI STORICI
La prima descrizione tramandataci di un'appendicectomia risale al
dicembre 1735. Claudius Amyand, medico della regina Anna e di altri sovrani
inglesi e fondatore del St. George's Hospital a Londra, operò un ragazzo di
undici anni affetto da ernia scrotale di antica data e da fistola stercoracea
inguinale. Attraverso un’incisione scrotale, constatò la presenza nel sacco
erniario di un'appendice perforata da uno spillo e coperta dall'omento. Amyand
asportò l'omento e l'appendice e la fistola si chiuse nel postoperatorio. "Un
intervento tanto doloroso per il paziente quanto estenuante per me":
l'operazione, in effetti, durò più di mezz'ora, e questo basta a testimoniare il
coraggio del ragazzo!
Nel 1880, il chirurgo inglese Robert Lawson Tait resecò con successo
l'appendice gangrenata in un ragazzo di 17 anni; egli optò per la doppia
invaginazione del moncone appendicolare (doppia borsa di tabacco), un
metodo ancora in uso ai nostri giorni. Il 10 maggio 1883 Abraham Groves, di
Fergus nell'Ontario (Canada), figlio di un immigrato irlandese, eseguì –
probabilmente è il primo caso - un'appendicectomia "precoce" (prima cioè dello
stadio gangrenoso o perforativo dell’appendicite) in un ragazzo di 12 anni che
lamentava dolore ricorrente nel quadrante addominale inferiore destro;
l'esperienza dell'Autore fu riportata solo in un'autobiografia pubblicata nel
1934.
Nel 1889 venne pubblicato il primo di numerosi lavori di Charles
McBurney, di New York. Da allora l'appendicectomia per appendicite acuta (con
la canonica incisione eponimica) si diffuse largamente negli Stati Uniti e in
Europa. Nel 1904, il dottor John B. Murphy, di Chicago, riferì una personale
esperienza di 2.000 appendicectomie eseguite dal 2 marzo 1880 al 22 giugno
1903. Nel 1926 LeGrand Guerry illustrò 2.959 casi personali di chirurgia
dell'appendice.

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Nella bibliografia russa viene rivendicata a Dmitry Oscarovich Ott -
famoso ginecologo di San Pietroburgo, fondatore dell’Istituto che oggi porta il
suo nome - la realizzazione nel 1906 della prima appendicectomia per via
vaginale (colpotomia posteriore) nel corso di un intervento di
isteroannesectomia completato, come di routine per la sua pionieristica Scuola,
da una “ventroscopia”: quello del chirurgo russo potrebbe quindi essere
considerato il primo caso di NOTES (Natural Orifices Transluminal Endoscopic
Surgery). La prima appendicectomia video-assistita sarebbe stata realizzata
nel 1977 dall’olandese Hans J. De Kok, la cui priorità resta sostanzialmente
misconosciuta per la scarsa diffusione della rivista nazionale su cui pubblicò. Fu
comunque Kurt Semm, ginecologo di Kiel (Germania), ad illustrare in due
lavori successivi (giugno 1982 e gennaio 1983) la tecnica dell'appendicectomia
laparoscopica, adattando e modificando quella classica open, così come
descritta e realizzata inizialmente da McBurney. Semm, tuttavia, non riteneva
indicata la procedura laparoscopica nei casi di appendicite acuta, come ribadì in
una pubblicazione su Endoscopy (1983), senza comunque riportare alcuna
personale casistica o esperienza e così esponendosi a non poche critiche. In
effetti, nel 1987 il connazionale Jorg H. Schreiber, di Dusseldorf, pubblicò il
primo consistente report di 70 casi in circa 5 anni (67 dei quali con tecnica
videolaparoscopica; 7 con quadro di appendicite acuta catarrale o
flemmonosa), rivendicando di aver effettuato la prima appendicectomia
laparoscopica nel giugno del 1982.

Da allora il numero delle pubblicazioni è in costante crescita. Sempre più


numerosi sono gli studi comparativi prospettici che dimostrano la validità e la
sicurezza della procedura laparoscopica, che offre significativi vantaggi (minori
infezioni di ferita, ridotta somministrazione di analgesici, più precoce ritorno
alle normali attività e altri). La procedura laparoscopica si dimostra sicura
anche in casi complicati con peritonite diffusa, dove tra l’altro consente un
accurato lavaggio del cavo addominale, evitando così la laparotomia.
L’appendicectomia laparoscopica appare quindi destinata a diventare
unanimemente il gold standard per il trattamento delle appendicopatie acute
complicate, analogamente a quanto già avvenuto per la colecistectomia
laparoscopica per la calcolosi.

Bibliografia per un approfondimento della storia dell’appendicectomia


Amyand C. Of an inguinal rupture, with a pin in the appendix caeci, incrusted with
stone; and some observations on wounds in the guts. Philosophical Transactions,
1736; 39: 329-336.
McBurney C. Experience with early operative interference in cases of disease of the
vermiform appendix. NY Med J. 1889; 50: 676–684.
Murphy JB. Two thousand operations for appendicitis, with deductions from his
personal experience. Am J Med Sci 1904;128:187-211.

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Oloviannyĭ VE, et al. [To 100-years of first ventroscopic appendectomy]. Khirurgiia
(Mosk). 2007;(6):74-5 (vedi anche in http://www.laparoscopy.ru/doktoru/71010-
ott.html).
Guerry LeG. A study of the mortality in appendicitis. Ann Surg. 1926; 84 (2): 283–
287.
Harris CW. Abraham Groves of Fergus: the first elective appendectomy? Can J Surg.
1961 Jul; 4: 405-10.
de Kok HJ. A new technique for resecting the non-inflamed not-adhesive appendix
through a mini-laparotomy with the aid of the laparoscope. Arch Chir Neerl.
1977;29(3):195-8.
Seal A. Appendicitis: a historical review. Can J Surg. 1981 Jul; 24(4): 427-33.
Semm K. Endoscopic appendectomy. Endoscopy 1983; 15: 59-64.
Schreiber JH. Early experience with laparoscopic appendectomy in women. Surgl
Endosc. 1987; 1 (4): 211-216.
Morgenstern L. Charles McBurney (1845-1913). Afield from the appendix. Surg
Endosc. 1996 Apr; 10(4): 385-6.

2 – ANATOMIA: UNA PROSPETTIVA LAPAROSCOPICA


Anatomia tipica
L'appendice vermiforme (o appendice ciecale) ha la forma di un
prolungamento cilindrico del cieco, del diametro esterno di circa 0,8 centimetri
e di lunghezza media compresa fra 6 e 12 centimetri (1 - 20 centimetri come
valori estremi). Il cieco, situato nella fossa iliaca destra, è completamente
rivestito dal peritoneo viscerale ed è quindi mobile. L'appendice si impianta sul
margine postero-mediale del cieco, 2-3 centimetri al di sotto della confluenza
dell'ultima ansa ileale, nel punto d'incontro delle tenie anteriore, postero-
laterale e postero-mediale. L’impianto appendicolare si proietta sulla parete
anteriore addominale nel punto di McBurney, ovvero all'unione del terzo
laterale con il terzo medio della linea che unisce l'ombelico alla spina iliaca
anteriore superiore destra (Fig. 1). L'impianto sul cieco rappresenta il punto
fisso dell'appendice. La sua parte mobile, rivestita interamente dal peritoneo
viscerale, è tipicamente disposta, rispetto al punto fisso d'impianto, in
posizione discendente latero-ciecale mediale (o latero-interna) (Fig. 2).
Il meso appendicolare o mesenteriolo è una piega peritoneale tesa dalla
faccia posteriore del mesentere della porzione terminale dell'ileo alla tenia
postero-mediale del cieco e all'appendice; è per lo più triangolare e di regola si
estende lungo l'appendice senza raggiungerne la punta. Questa piega modifica
il suo aspetto in rapporto alla lunghezza, alla disposizione e alla situazione
dell'appendice. Nel mesenteriolo scorrono l'arteria, le vene e i linfatici
appendicolari.

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Fig. 1 - Proiezione cutanea della base d'impianto appendicolare.

Fig. 2 - Disposizione tipica dell'appendice con il mesenteriolo.


L'arteria appendicolare origina dall'arcata ileocolica o dall'arteria ciecale
posteriore, decorre dietro l'ultima ansa ileale e quindi penetra nel mesenteriolo
seguendone il margine libero; si avvicina progressivamente alla parete
dell'appendice che raggiunge a livello della punta. Dà origine ai rami
appendicolari e all'arteria cieco-appendicolare; quest'ultima nutre il fondo

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ciecale a livello della zona d'impianto dell'appendice e si anastomizza con un
ramo dell'arteria ciecale posteriore (Fig. 3).

Fig. 3 - Vascolarizzazione della regione ileo-cieco-appendicolare: 1 arteria ileo-


colica - 2 arcata ileo-colica - 3 arteria ciecale anteriore - 4 arteria ciecale
posteriore - 5 arteria appendicolare - 6 ramo cieco-appendicolare - 7 rami
appendicolari.

Le vene appendicolari seguono a ritroso il decorso arterioso e sono tributarie


della vena mesenterica superiore. I linfatici appendicolari, come quelli ciecali,
sono tributari di un gruppo linfonodale del mesentere in corrispondenza della
biforcazione dell'arteria ileocolica.
I principali rapporti chirurgici dell'apparato cieco-appendicolare sono (Fig.
4):
− medialmente, l'uretere e i vasi iliaci esterni;
− lateralmente, il muscolo psoas “incrociato” dal nervo femorale (il nervo
emerge dal bordo laterale del grande psoas e decorre nel solco tra
questo e il muscolo iliaco).

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Fig. 4 - Rapporti della regione cieco-appendicolare: 1 vasi spermatici - 2
uretere destro - 3 arteria iliaca esterna destra - 4 vena iliaca esterna destra - 5
dotto deferente destro - 6 nervo femorale - 7 muscolo grande psoas.

Variazioni di numero e forma dell'appendice


L'appendice rappresenta, da un punto di vista embriologico, una diretta
continuazione del cieco; un’agenesia (eccezionale) della porzione terminale del
cieco si accompagna quindi a ipoplasia o agenesia appendicolare. Sono
descritti inoltre rarissimi casi (0,004%) di appendice duplice (due appendici
separate, con base d'impianto comune o originanti da un cieco biloculato).
Nella prima infanzia l'appendice si presenta di forma conica e l’impianto
(“ortotopico”) ha una base ancora larga: il cieco appare continuarsi
“insensibilmente” nella sua appendice. Questa conformazione anatomica, che
può talora creare qualche difficoltà di distinzione intraoperatoria, rende ragione
della rarità della flogosi appendicolare in questa fascia di età e, per contro,
della gravità del quadro clinico di un’eventuale perforazione: infatti, l’ampia
base di impianto evita di fatto il ristagno nel lume appendicolare del contenuto
entero-fecale ma, d’altra parte, favorisce un’abbondante e continua
contaminazione della cavità peritoneale in caso di rottura dell’appendice. In
rari casi (0,5 %) l'impianto dell’appendice è sul polo inferiore del cul de sac
ciecale (“eterotopico”), derivandone una peculiare conformazione anatomica, la
cosiddetta appendice "a imbuto" (Fig. 6). Un diverticolo appendicolare è
riscontrabile nell'1% dei casi.

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Fig. 5 - Conformazione dell'appendice infantile.

Fig. 6 - Appendice “a imbuto”.

Variazioni di situazione e posizione del cieco


Nel corso dello sviluppo embrio-fetale il cieco ruota in senso antiorario,
progredendo verso la sua collocazione definitiva: in altri termini, il cieco occupa
successivamente l'ipocondrio sinistro, la regione sotto-epatica e raggiunge
infine la fossa iliaca destra.

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SIUAZIONE E POSIZIONE
IN ANATOMIA TOPOGRAFICA

In anatomia topografica la completa descrizione di un


organo presuppone che se ne definiscano situazione,
orientamento, posizione e rapporti, mezzi di fissazione e
proiezioni relative. In particolare, “situazione” (o sito o
situazione spaziale) si riferisce propriamente alla
collocazione di un organo rispetto ad un determinato
spazio corporeo (ad esempio, la cavità peritoneale),
mentre “posizione” è la collocazione dell’organo rispetto ai
piani anatomici di riferimento.

La rotazione/migrazione embrio-fetale può subire un arresto o, al contrario,


proseguire fino alla fossa iliaca sinistra, con conseguenti più o meno gravi
anomalie congenite. D’altra parte, nell’ambito della normale variabilità
anatomica, l’accrescimento corporeo post-natale e le fisiologiche modificazioni
somatiche età-correlate dell’adulto condizionano situazione e posizione del
cieco. In altri termini, soprattutto nei primi anni di vita è possibile un cieco
“alto” (prerenale o sottoepatico), mentre in età avanzata il viscere può essere
particolarmente mobile ed impegnarsi fin nella piccola pelvi, con proiezione
verso la linea mediana, o anche risalire verso l'alto, al davanti del colon
ascendente. Schematicamente possiamo quindi distinguere, nell’ambito di una
variabilità topografica che potremmo definire normale:
− un cieco in posizione iliaca o tipica (85% nel bambino, 55% nell'adulto);
− un cieco in posizione alta, sottoepatica (3% negli adulti);
− un cieco in posizione bassa, pelvica (30% nella donna, 16% nell'uomo).
Ovviamente, nei rari casi di mancata o incompleta rotazione embrio-fetale
del grosso intestino, il cieco può trovarsi in una qualsiasi sede anomala
dell'addome, tra la fossa iliaca destra e la regione sottosplenica (Fig. 7). Nel
situs inversus il cieco è nell’addome inferiore sinistro. Infine, in presenza di
mesenterium commune il cieco, estremamente mobile, può essere repertato in
qualsiasi situazione/posizione nella cavità addominale. Di regola cieco e
appendice sono dunque “liberi” nella fossa iliaca destra: un cieco mobile,
completamente rivestito da peritoneo viscerale, flottante e nella fossa iliaca
destra è riscontrabile nell'80% dei casi. Raramente il cieco risulta
completamente accollato alla parete addominale dando così l'aspetto di organo
retroperitoneale.

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Fig. 7 - Variazioni di posizione del cieco: 1 sottosplenica - 2 sottoepatica - 3
pre-renale - 4 iliaca (tipica) - 5 pelvica.

Variazioni di situazione e posizione dell'appendice


Premesso che fenomeni flogistici ricorrenti possono condizionarne una
secondaria fissazione, l'appendice è intraperitoneale nell'87% dei casi,
sottosierosa nell'8% dei casi ed extraperitoneale nel 5% dei casi. Ai fini
operativi, è fondamentale conoscere le possibili posizioni dell’appendice
rispetto al cieco (Fig. 8), ovvero:
a. discendente latero-ciecale mediale - è la posizione tipica, riscontrabile in
circa il 70% dei casi;
b. ascendente retro-ciecale (Fig. 9), nel 25% circa dei casi - con tre possibili
varianti:
− appendice intraperitoneale - libera nel recesso retrociecale,
apparentemente fissa per accollamento del suo peritoneo viscerale e
del peritoneo parietale retrociecale o realmente fissa per fenomeni
flogistici recidivanti;
− appendice sottoperitoneale (o sottosierosa);
− appendice extraperitoneale;

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Fig. 8 - Variazioni di posizione dell'appendice ciecale (vedi testo).

Fig. 9 - Appendice ascendente retro-ciecale.

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c. discendente pelvica (Fig. 10), nel 4% circa dei casi - l'appendice, con
cieco situato in fossa iliaca destra, si affaccia o discende nel piccolo
bacino, lungo i vasi iliaci, fino talora a raggiungere la regione otturatoria
o giungere a contatto con la vescica, il retto, l'utero, l'ovaio destro, il
legamento largo di destra;

Fig. 10 – Appendice discendente pelvica.

d. mediale o meso-celiaca (Fig. 11), in meno dell’1% dei casi - l'appendice


si porta medialmente, anteriormente all'ultima ansa ileale, tra le ultime
anse ileali (situazione intraperitoneale) o posteriormente all'ultima ansa
ileale (situazione extraperitoneale);

Fig. 11 - Appendice mediale o meso-celiaca.


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e. ascendente latero-ciecale laterale o latero-esterna (Fig. 12), anch’essa
molto rara - con decorso ascendente laterale tra il cieco e la spina iliaca
anteriore superiore (situazione intraperitoneale).

Fig. 12 - Appendice latero-esterna.

3 – STRUMENTARIO: APPARECCHIATURE E MATERIALE D’USO


Il mercato, in continua evoluzione tecnologica, offre un’ampia scelta di
apparecchiature e dispositivi (vedi anche Modulo “Strumentario” e “Manuale” di
Bruno Benini). Vale la pena ricordare che, con l’incremento costante delle
procedure mini-invasive video-assistite per patologie diversificate, appare
indispensabile la dotazione di almeno due set completi. Ciò consente sia di
evitare la conversione per guasti delle apparecchiature, con i conseguenti
prolungati fermi dell'attività per le necessarie riparazioni, sia di ridurre i “tempi
morti” per la loro ordinaria manutenzione.
Nella scelta del set laparoscopico è consigliabile orientarsi su:
− una moderna telecamera bidimensionale ad alta risoluzione con triplo
CCD (Charge-Coupled Device, dispositivo ad accoppiamento di carica) e
provvista di una fonte luminosa ad alta potenza;
− un insufflatore per lo pneumoperitoneo con capacità di almeno 9
litri/minuto.
Particolare attenzione va posta, inoltre, nella scelta delle ottiche che, per
consentire di affrontare in modo efficace e sicuro ogni situazione, devono
essere una del diametro di 10 mm, con visione angolata di 25°-30°, una di tipo
operativo e una del calibro di 5 mm, meglio se con visione angolata (Foto 1).

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Di altrettanto fondamentale importanza per la corretta esecuzione
dell’appendicectomia laparoscopica sono la scelta e la preparazione del
materiale d’uso sia ordinario che straordinario

Materiale d’uso ordinario


E’ il materiale indispensabile all'esecuzione di un intervento tipo (standard),
ovvero quello che può essere considerato sufficiente all'esecuzione di un
intervento semplice (Foto 2). Tutto il materiale d’uso ordinario deve essere ben
disposto sul tavolo di servizio in maniera tale da favorire una gestualità
operativa precisa e rapida. Il materiale d’uso ordinario comprende i seguenti
strumenti:
− n. 1 ago di Veress – si consiglia l'utilizzo di uno strumento monouso che
garantisce un'ottimale affilatura della punta, con conseguente più facile
penetrazione attraverso la parete, ed evita i rischi di infezione da una
non accurata pulizia;
− n. 3 trequarti (trocar), due da 10 mm ed uno da 5 mm (Foto 3 e 4) –
tutti devono essere provvisti di viti di ancoraggio poiché, nel corso di
appendicectomia laparoscopica, è utile posizionare la punta del trequarti
“a filo di peritoneo”; è preferibile che il primo da introdurre sia del tipo a
vista (trocar ottico), così da rendere la manovra più sicura anche in
pazienti obesi o in presenza di cicatrici da pregressi interventi; in pazienti
pediatrici si possono utilizzare un solo trequarti da 10 mm e due da 5
mm, ovviamente accertandosi della disponibilità di un'ottica da 5 mm;
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− n. 2 strumenti da presa - devono essere avere una presa larga e
morbida, preferibilmente con dispositivo di blocco su un’impugnatura
ergonomica, devono essere rotanti sul proprio asse e conduttori di
corrente, possibilmente con attacco dell'elettrodo perpendicolare
all'impugnatura per una presa più agevole (Foto 5 e 6);

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− n. 1 forbici – con caratteristiche di impugnatura e trasporto di corrente
analoghe agli strumenti da presa; è preferibile che siano curve con
movimento di entrambe le lame, così da poter operare secondo una linea
di taglio variabile per angolazione e controllabile per efficacia di
penetrazione nei tessuti (Foto 7);

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− n. 1 pinza per coagulazione bipolare, per un'emostasi ottimale a basso
costo del mesenteriolo - poiché lo strumento tende facilmente a
deteriorarsi diventando inefficace, è opportuno averne a disposizione più
di una; sono comunque consigliabili quelle monouso (Foto 8 e 9);

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− n. 3 endoloops o cappi – per la corretta legatura della base
dell’appendice;
− n. 2 strumenti di palpazione, uno da 5 ed uno da 10 mm;
− n. 1 strumento da 5 mm per l’irrigazione/aspirazione;
− n. 1 endobag per l’estrazione dellappendice.

Materiale d’uso straordinario


È quel materiale che si può rendere necessario in corso di
un'appendicectomia difficile/complicata (Foto 10). Deve essere sempre
disponibile in camera operatoria, necessariamente pronto sul tavolo di servizio
quando l’intervento è in urgenza, ovvero in un setting frequente nel quale – in
accordo con le evidenze disponibili - la procedura laparoscopica si dimostra
particolarmente vantaggiosa, in termini di efficacia e sicurezza, rispetto alla
procedura laparotomica (vedi Modulo “Raccomandazioni e linee guida”).

Nel materiale d’uso straordinario si comprendono:


− n. 1 trequarti da 5 mm - nei casi difficili/complicati può infatti rendersi
utile un quarto accesso;
− n. 1 trequarti da 15 o 20 mm – da impiegare in alternativa al trequarti da
10 mm per estrarre un’appendice flogosata di dimensioni marcatamente
aumentate (Foto 11);
− n. 1 pinza da presa di tipo a coccodrillo - permetterà una più sicura presa
dell'appendice in fase di estrazione;
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− n. 1 set per sutura (Foto 12) – può rendersi necessario per
l'affondamento del moncone appendicolare in presenza di tessuto
necrotico alla base dell'appendice; il set è composto da:
porta-aghi, possibilmente con impugnatura ergonomica e
dispositivo di blocco a cremagliera con agevole sblocco;
fili di sutura corti (per suture intracorporee) e lunghi (per
annodamenti singoli di tipo extracorporeo);

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− n. 1 suturatrice meccanica - lo strumento può rendersi indispensabile per
portare a termine l'intervento nei casi eccezionalmente complessi con
base appendicolare in necrosi; si raccomanda di garantirsi la disponibilità
di alcune ricariche sia di tipo vascolare, sia di tipo viscerale (Foto 13);
− n. 1 aspiratore da 10 mm – lo strumento garantirà una più accurata e
rapida pulizia del cavo peritoneale in caso di grave peritonite purulenta
diffusa (Foto 14).

4 - Tecnica chirurgica standard


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La sistematizzazione/standardizzazione di una tecnica chirurgica, senza
tener conto dell’evoluzione della tecnologia, poggia di fatto sull’esperienza
qualificata di singoli operatori con elevati volumi di attività, che spesso
condizionano la caratterizzazione di scuole chirurgiche. Ne consegue una
diversificazione - di regola marginale - delle tecniche e, soprattutto, delle
tattiche operatorie, che si concretizza in scelte preferenziali su singoli aspetti
della procedura, peraltro non sempre unanimemente condivise, o anche in
cosiddetti trucchi e suggerimenti (tips and tricks), che possono invece avere
un’indubbia utilità pratica. Ai fini didattici valgono, per così dire, le regole
generali codificate in linee guida basate sulle evidenze disponibili (vedi Modulo
“Raccomandazioni e linee guida”).

Di seguito si descrive la tecnica chirurgica standard di appendicectomia


laparoscopica così come realizzata da un operatore esperto con alto volume di
attività (prof. Lorenzo Novellino). Si dà comunque conto di alcune
“controversie” esistenti su aspetti specifici della procedura. Nel successivo
capitolo si descrivono invece le “tattiche” per affrontare i casi
difficili/complicati, cercando di fornire strumenti di conoscenza, compresi tips
and tricks, che potranno essere utili soprattutto per i chirurghi orientati a
trattare routinariamentee e “di principio” per via laparoscopica l’appendicite
acuta.

Posizionamento del paziente sul tavolo operatorio


Controllo della strumentazione e posizionamento del paziente sul tavolo
operatorio sono momenti fondamentali della preparazione all’intervento di
appendicectomia laparoscopica, tra l’altro individuati come key steps nel
processo di insegnamento e apprendimento della procedura. È opportuno che
l’operatore, anche il più esperto, se ne curi personalmente, controllando il
corretto operato del personale di sala prima di procedere all’operazione.
Il paziente è posto supino sul letto chirurgico, con gli arti inferiori uniti e
bloccati. L'arto superiore destro viene esteso lateralmente (abduzione a 90°) in
modo da permettere all'anestesista un facile accesso vascolare e altri possibili
controlli di parametri vitali; il braccio sinistro, completamente addotto, viene
invece fissato al corpo (Fig. 13). Durante l'intervento chirurgico potranno
rendersi necessari dei cambiamenti di posizione (Trendelenburg, anti-
Trendelenburg, inclinazione laterale sinistra o destra) che presuppongono
quindi un buon ancoraggio del paziente al tavolo operatorio, tanto più accurato
quanto più grave è il quadro clinico. In caso di grave peritonite, infatti, il
lavaggio del cavo peritoneale è agevolato proprio dalla possibilità di variare in
sicurezza la posizione del paziente.

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Fig. 13 - Posizione del paziente sul tavolo operatorio.

Disposizione dell’équipe chirurgica,


del personale di sala e dello strumentario
L'équipe chirurgica è costituita dall'operatore, dall'aiuto e dallo
strumentista. Quest'ultimo si dispone sul lato sinistro del paziente con
l'operatore alla sua destra, mentre l'aiuto, inizialmente disposto a destra del
paziente, si sposterà anch’egli a sinistra, tra operatore e strumentista, dopo
l’inserimento dei trequarti.
Il tavolo di servizio è allestito sopra i piedi del paziente, alla sinistra dello
strumentista. Sul tavolo va disposto quanto occorre per l'intervento, compreso,
quando necessario, il materiale d’uso straordinario. E’ opportuno tenere a
portata di mano un set essenziale di strumenti chirurgici "tradizionali" per
l’eventuale conversione laparotomica.
L'elettrobisturi è collocato sul lato sinistro del paziente, alle spalle dei due
operatori. La colonna o “torre” laparoscopica (rack), che accoglie il
videoregistratore, il monitor e le centraline per l'insufflazione, per l'irrigatore-
aspiratore, per la telecamera, è disposta sulla destra del paziente, all'altezza
della regione inguinale (Fig. 14).
Di assoluta importanza è poi la disposizione rispetto al campo operatorio
dei cavi di raccordo, che vanno posizionati secondo uno schema
standardizzato, così da impedire fastidiosi grovigli e nel contempo agevolare la
gestualità dei chirurghi. Quindi, dopo aver disinfettato la cute ed aver disposto

28
opportunamente i telini di copertura (“esponendo” regione ombelicale e
quadranti inferiori dell’addome), si passano all'infermiere di sala i raccordi in
modo tale che (Fig. 15):
− il cavo luce (“caudale”), il cavo della telecamera (intermedio) ed il cavo
di insufflazione (“craniale”) raggiungano il pube del paziente decorrendo
affiancati lungo il suo arto inferiore destro;
− i cavi dell'aspirazione (“caudale”) e dell'irrigazione (“craniale”) decorrano,
sempre affiancati, lungo il lato destro dell’addome per terminare sul
petto del paziente;
− il cavo elettrico giunga alla regione pubica provenendo dalla coscia
sinistra del paziente.
Questa disposizione dei cavi di raccordo, il cui decorso è sempre centripeto
verso i rispettivi trequarti, ne evita l’aggrovigliamento ma anche
l’attraversamento del campo operatorio delimitato dai telini.

Fig. 14 - Disposizione dell’équipe chirurgica, del personale di sala e dello


strumentario: 1 operatore - 2 aiuto - 3 strumentista - 4 anestesista - M
monitor (nel rack) - E elettrobisturi - TS tavolo di servizio

29
Fig. 15 - Posizione dei cavi di raccordo rispetto al campo operatorio: 1 cavo
luce - 2 cavo telecamera - 3 cavo d'insufflazione - 4 cavo d'aspirazione - 5
cavo d'irrigazione - 6 cavo elettobisturi.

Tempi operatori
Di seguito si descrivono i tempi dell'intervento di appendicectomia
laparoscopica anterograda in un malato "ideale", ovvero normotipo e con
anamnesi negativa per pregressi interventi chirurgici addominali.

A. Introduzione dell'ago di Veress ed induzione dello pneumoperitoneo


In tutta prossimità del margine distale dell’ombelico (di fatto in regione sotto-
ombelicale), l'operatore pratica con il bisturi, sulla linea mediana, un'incisione
puntiforme della cute attraverso cui introduce l'ago di Veress con la mano
destra, mentre la sua mano sinistra e la destra dell'aiuto esercitano una
trazione sulla parete addominale. L'ago va inserito con una modesta
inclinazione, ovvero con un angolo di incidenza di circa 60° rispetto alla
superficie cutanea e punta verso la pelvi, mantenendo una traiettoria mediana,
lungo la linea ombelico-pubica (Foto 15). Un aumento dell’angolo di incidenza,
in altri termini una penetrazione più vicina alla perpendicolare, incrementa la
possibilità di lesioni interne; al contrario, la sua riduzione, ovvero un’eccessiva
inclinazione, potrebbe favorire la penetrazione “tangenziale” dell'ago
anteriormente alla fascia posteriore della parete addominale, con conseguente
pre-pneumoperitoneo. Durante l'attraversamento della parete addominale si
devono percepire due successivi "cedimenti": uno imputabile al passaggio
attraverso la fascia aponeurotica esterna, il secondo imputabile al passaggio
attraverso la fascia interna ed il peritoneo, che risultano in questa sede

30
strettamente accollati. La possibilità di muovere senza resistenza la punta
dell'ago di Veress in senso interno-esterno e latero-laterale ne conferma la
corretta posizione intracavitaria e la verosimile assenza di aderenze sotto-
ombelicali.

Foto 15 - Angolo corretto (60° circa) di penetrazione dell'ago di Veress in


addome.

Si induce quindi lo pneumoperitoneo con flusso del gas di 1 litro/minuto,


fino al raggiungimento della pressione preselezionata desiderata, di regola
circa 12-14 mmHg. Con un’appropriata gestione anestesiologica del blocco
muscolare profondo, sono possibili pressioni inferiori, fino addirittura a 8
mmHg, senza pregiudizio per le dimensioni della camera di lavoro. Con la
percussione e la palpazione è possibile verificare l'ottimale distribuzione del
gas nel cavo addominale. È necessario monitorarne il flusso, che deve restare
costante per tutta la durata dell’intervento. Il settaggio della centralina per
l'insufflazione su un alto flusso di CO2 garantisce il mantenimento della
pressione desiderata dello pneumoperitoneo, consentendo un rapido reintegro
del gas in caso di perdite.

B. Introduzione dei trequarti


L'operatore, dopo aver estratto l'ago di Veress, amplia l'incisione sotto-
ombelicale fino ad una lunghezza di circa 1 cm (qualche millimetro in più, se si
prevede l'uso di un fissatore a spirale). Il primo trequarti, da 10 mm, viene
impugnato dall'operatore con la mano destra e introdotto attraverso l’incisione
31
allargata con la stessa angolatura usata per il Veress; nello stesso tempo viene
effettuata una controtrazione (mano sinistra dell'operatore, mano destra
dell'aiuto) sulla parete addominale. Si consiglia di utilizzare sempre, in questa
prima fase, un trocar ottico di ultima generazione, perché consente di
controllare la sua penetrazione attraverso i vari strati della parete, con
conseguenti minori rischi di traumi viscerali; la particolare punta conica dello
strumento previene anche il rischio di sanguinamento (Foto 16 e 17). Se è
vero che per il trocar “a vista” è ottimale un'ottica con visione a 0 gradi, che ne
centralizza la visione, questa è comunque accettabile con un'ottica da 25 o 30
gradi, con cui la punta del trequarti apparirà decentrata.

Foto 16 - Introduzione del primo trequarti del tipo “a vista” (trocar ottico).

Foto 17 - Sequenza della penetrazione nei tessuti del trocar ottico.


32
Il trequarti sotto-ombelicale ospiterà l'ottica laparoscopica nella prima fase
esplorativa dell'intervento e, successivamente, verrà utilizzato come trocar
operativo per il passaggio di pinze da presa, cappi premontati e irrigatore-
aspiratore, oltre che per l'estrazione dell'appendice; i diversi strumenti
introdotti verranno gestiti dalla mano destra dell'operatore.
Il secondo trequarti, monouso da 5 mm, viene posizionato dalla mano
destra dell'aiuto (che è ancora di fronte all'operatore) in regione sovrapubica,
sulla linea mediana. Il posizionamento deve avvenire con controllo visivo
laparoscopico (ottica nel trequarti sotto-ombelicale gestita dalla mano destra
dell'operatore), per impedire lesioni vescicali. Il trequarti sovrapubico è un
trocar essenzialmente operativo che ospiterà la pinza bipolare, le forbici, il
“bottone” per l'elettrocoagulazione, la cannula per l'aspirazione-irrigazione da 5
mm, il palpatore da 5 mm. Tutti questi strumenti sono gestiti dalla mano
sinistra dell'operatore, tranne la pinza da presa sull'appendice nel momento del
confezionamento dei loops (cappi), che verrà allora affidata all'aiuto.
Il terzo trequarti, monouso da 10 mm, viene inserito dalla mano sinistra
dell'operatore in fossa iliaca sinistra, alcuni centimetri medialmente alla spina
iliaca anteriore superiore e lateralmente ai vasi epigastrici inferiori. Per evitare
di lederli, anche la sua introduzione deve avvenire sotto controllo visivo
laparoscopico ed eventuale transilluminazione. Il trocar iliaco, nel rispetto della
regola di garantirsi una triangolazione ottimale (vedi di seguito), ospiterà
l'ottica laparoscopica (inizialmente inserita, in fase esplorativa, nel trocar
sotto-ombelicale) e, nella fase conclusiva dell'intervento (e talora in fase
esplorativa), un palpatore da 10 mm. È possibile utilizzare, ed è opportuno in
pazienti pediatrici, un trequarti di calibro minore con un'ottica da 5 mm (Foto
18).

Foto 18 - Posizione finale dei trequarti.


33
Va notato, come “regola generale”, che ogni qualvolta si utilizza la porta sotto-
ombelicale per fa passare strumenti operativi, l’ottica va comunque spostata
nel trequarti in fossa iliaca sinistra, e viceversa.
L'introduzione del secondo trequarti in regione sovrapubica a volte
presenta delle difficoltà; il peritoneo parietale può infatti facilmente distaccarsi
dai piani muscolari così che la punta del trocar non lo trapassa di netto ma, per
così dire, lo trascina in cavità addominale. È consigliabile quindi, controllando
la manovra attraverso l'ottica posta nel primo trequarti, procedere al
posizionamento del trequarti in fossa iliaca sinistra in seconda battuta e non in
terza; attraverso il trocar iliaco si potrà così introdurre una pinza per esercitare
pressione sul peritoneo parietale dall'interno all'esterno, facilitando in tal modo
la penetrazione del trocar sovrapubico senza distacco e trascinamento della
sierosa.

C. Fase esplorativa
La prima esplorazione del cavo addominale avviene attraverso l’ottica
inserita nel trequarti sotto-ombelicale (Foto 19), prima quindi dell'inserimento
degli altri due trequarti; questa fase esplorativa consente di valutare un
eventuale quadro peritonitico, di effettuare un'esplorazione del fegato, di
identificare visivamente l'appendice (grazie al riconoscimento di alcuni reperi
anatomici laparoscopici), e – come già detto - di inserire sotto visione gli altri
trocar. Fondamentali reperi anatomici sono: l'ultima ansa ileale, la confluenza
delle tenie ciecali, il cieco, i vasi iliaci esterni di destra, l'orifizio inguinale
interno destro.

Foto 19 - Visione della regione ciecale attraverso il trequarti ombelicale.

34
L'esplorazione, inizialmente condotta con l'ottica introdotta nel trocar
sotto-ombelicale, deve essere completata attraverso il trequarti in fossa iliaca
sinistra (Foto 20), per individuare la sede d'impianto sul cieco dell'appendice,
che appare come la prua di una nave, ed eseguire quindi l'intervento con
minori difficoltà. Strumenti di palpazione inseriti nei trequarti consentiranno
infine un'esplorazione più accurata alla ricerca di eventuali altre patologie
“causali”, se l’appendice appare normale (“bianca”/“innocente”), o
concomitanti alla confermata appendicopatia (ernie inguinali, patologie istero-
annessiali, adenome-senteriti, diverticolite di Meckel).

Foto 20 - Visione della regione ciecale attraverso il trequarti in fossa iliaca


sinistra.

D. Trazione dell'appendice e visualizzazione del mesenteriolo


Identificata l'appendice, la si afferra in prossimità della punta con una
pinza da presa, dotata di sistema di blocco, inserita nel trequarti sotto-
ombelicale (l'ottica è stata intanto spostata nel trocar in fossa iliaca sinistra);
una delicata trazione verso l'alto effettuata dalla mano destra dell'operatore
consente di porre in tensione il meso appendicolare: l'appendice, se in
posizione tipica latero-interna, apparirà da questa angolazione come una barca
con vela spiegata ripresa dalla prua.

E. Coagulazione e sezione del mesenteriolo


Inserita la pinza bipolare nel trocar sovrapubico, l'operatore procede,
utilizzando la mano sinistra, alla diatermocoagulazione del mesenteriolo, che
avviene per prese successive, intervallate dalla sezione dei tratti coagulati con
forbici introdotte sempre nel trequarti sovrapubico. Questa tecnica permette
35
sempre una perfetta gestione dell'emostasi in quanto viene mantenuta la
corretta posizione del mesenteriolo ed un eventuale sanguinamento viene
controllato dalle successive coagulazioni bipolari (Foto 21 e 22).

Foto 21 - Diatermocoagulazione del mesenteriolo.

Foto 22 - Sezione del mesenteriolo.

F. Legatura della base appendicolare


Con l'appendice completamente liberata dal mesenteriolo fino alla sua
base d'impianto ciecale (Foto 23), si introduce attraverso il trocar sotto-
ombelicale un cappio (loop) premontato su bacchetta e, con la pinza da presa

36
spostata nel trocar sovrapubico e “infilata” nel cappio, si afferra nuovamente
per la punta l’appendice e la si fa passare passata attraverso il loop (Foto 24);
si realizza quindi la prima legatura a livello della base d'impianto, sezionando il
capo del filo con forbici introdotte nello stesso trequarti attraverso il quale è
stato fatto passare. Analogamente, si confeziona un secondo loop in stretta
vicinanza del primo (Foto 25).

Foto 23 - Appendice totalmente isolata.

Foto 24 - Posizionamento del primo loop alla base dell’appendice.

37
Foto 25 - Posizionamento del secondo loop.

G. Sezione ed estrazione dell'appendice


A questo punto, con la pinza da presa inserita nel trequarti sotto-
ombelicale, si afferra l'appendice un centimetro circa distalmente ai due loops
confezionati: è una manovra importante, che impedisce, durante la sezione
dell'appendice (con forbici nel trequarti sovrapubico), la fuoriuscita del
contenuto endoluminale (Foto 26). Di fatto la pinza da presa sarà quindi
ortogonale all'asse appendicolare e il pezzo operatorio sarà quindi estraibile
dallo stesso trequarti sotto-ombelicale (da 10 mmm) solo se di piccole
dimensioni. Se l'appendice è troppo voluminosa, il trocar può essere sostituito
con uno più largo (sono disponibili trequarti da 15 e 20 mm). In alternativa
all’endobag – di comune utilizzo -, l’estrazione attraverso il trocar di calibro
adeguato evita che l'appendice sezionata venga a contatto con la parete
addominale, diminuendo così il rischio di infezione della ferita (Foto 27).
Se le dimensioni volumetriche dell’appendice sezionata non ne consentono
l'estrazione immedita, si passerà il viscere da una pinza ad un'altra, in maniera
da poter “riprendere” la base appendicolare in asse, così da ridurne l’ingombro;
la manovra deve essere condotta con la massima prudenza per evitare
spandimenti di materiale fecale in cavità addominale. In alternativa, sempre
per evitare l’inquinamento, si può confezionare un terzo loop “di sicurezza”.

38
Foto 26 - Sezione della base appendicolare.

Foto 27 - Estrazione dell'appendice attraverso trocar.

H. Diatermocoagulazione della mucosa del moncone appendicolare


Si procede alla diatermocoagulazione della mucosa del moncone
appendicolare con elettrodo “a bottone” introdotto nel trequarti sotto-
ombelicale (Foto 28). Questa manovra, che deve essere condotta con leggere
toccature per impedire che la trasmissione di calore possa indebolire gli
endoloops, riduce la possibilità di formazione di un mucocele e sicuramente

39
anche quelle di inquinamento del cavo peritoneale (per la gestione del
moncone appendicolare vedi anche Modulo “Raccomandazioni e linee guida”).

Foto 28 - Diatermocoagulazione del moncone appendicolare.

I. Ricerca del diverticolo di Meckel


Come nell'intervento di appendicectomia per via laparotomica, si esegue
sempre la ricerca di un eventuale diverticolo di Meckel. Si utilizzano a questo
scopo due pinze da presa atraumatiche introdotte attraverso i trequarti sotto-
ombelicale e sovrapubico. La ricerca sistematica inizia dall'ultima ansa ileale e
procede oralmente per circa un metro, con “prese” successive sul piccolo
intestino, sempre verificando visivamente che il morso delle pinze non abbia
determinato lesioni parietali (Foto 29).

J. Verifica dell'emostasi e toilette del cavo peritoneale


La verifica dell'emostasi (soprattutto per quanto riguarda il mesenteriolo)
e la toilette vengono effettuate mediante un irrigatore-aspiratore, introdotto
nel trequarti sovra-pubico, e un palpatore da 10 mm, introdotto invece nel
trequarti sotto-ombelicale. Il paziente va posizionato in lieve anti-
Trendelenburg, in modo da favorire il raccogliersi del liquido di lavaggio nel
Douglas. Il liquido verrà quindi aspirato, esercitando nella donna un
contemporaneo sollevamento del fondo uterino con il palpatore da 10 mm
(Foto 30).

40
Foto 29 - Ricerca del diverticolo di Meckel.

Foto 30 - Sollevamento del fondo dell’utero con visione delle ovaie.

K. Posizionamento di drenaggio addominale


Se si ritiene opportuno lasciare un drenaggio, questo viene introdotto di
regola attraverso il trequarti sovrapubico e posizionato nella sede desiderata
(doccia parieto-colica destra, scavo pelvico) con una pinza da presa inserita nel
trocar sotto-ombelicale.

41
L. Estrazione dei trequarti
La manovra di estrazione dei trequarti va sempre condotta sotto visione
per verificare la perfetta emostasi dei fori d'accesso.

M. Sintesi della parete


Le piccole brecce cutanee sono chiuse con punti staccati. La fascia in sede
ombelicale è ricostruita con filo riassorbibile solo nei casi in cui si utilizzino
trocar da 18 o 20 mm.

La Tavola 1 è riassuntiva dei trequarti posizionati e del uso nei vari tempi
operatori in corso di appendicectomia laparoscopica per appendicite non
complicata.

42
43
5 - Aspetti pratici (tips and tricks) e tattica operatoria
nei casi complicati

L'intervento di appendicectomia è di regola il primo intervento


"importante" con il quale un chirurgo si cimenta all'inizio della carriera. Non
sempre però l’intervento è facile, sia perché l'appendice presenta spesso
varianti anatomiche di posizione/situazione, sia perché la flogosi può essere
grave. Le possibili e non sempre prevedibili difficoltà sono maggiori quando
l'intervento di appendicectomia viene condotto con tecnica laparoscopica.
Questo non può essere un valido motivo per evitare la procedura
laparoscopica, soprattutto se essa – come conferma una mole crescente di
evidenze - può apportare significativi vantaggi al paziente. La casistica di
“situazioni complesse” è estremamente diversificata e non è quindi possibile
descrivere un intervento "complesso" standard. A fini pratici, per affrontare al
meglio le tante possibili difficoltà, è utile invece proporre, in particolare allo
specialista in formazione, alcuni “suggerimenti e trucchi” (tips and tricks)
maturati dall’esperienza personale di colleghi esperti (vedi anche “Manuale” di
Bruno Benini). In sintesi si espongono alcune tra le problematiche più
frequenti, seguendo un ordine che ricalca i tempi operatori già descritti e in
forma di risposte ai possibili quesiti e dubbi propri, in particolare, del chirurgo
generale che decide di dedicarsi anche alla procedura laparoscopica e/o ne va
completando la curva di apprendimento.

È bene cateterizzare il paziente?


No, in quanto la presenza di un modesto quantitativo di urina in vescica
non disturba l'esecuzione dell'appendicectomia laparoscopica. È però sempre
consigliabile fare urinare il paziente immediatamente prima dell'intervento,
perché la vescica piena impedisce un corretto lavaggio dello scavo pelvico e,
nella donna, l'osservazione di utero e annessi. Il catetere verrà quindi
posizionato solo in caso di necessità clinica di monitorare la diuresi, ad esempio
in presenza di grave peritonite.

Il paziente deve essere sempre ancorato saldamente al tavolo operatorio?


Nei casi previsti semplici - per la scarsa sintomatologia clinica e/o per la
normalità della costituzione corporea (spesso le appendicectomie vengono
eseguite in pazienti giovani e quindi normotipi) - non si rende di regola
necessario un particolare ancoraggio del paziente sul tavolo operatorio, perché
eventuali variazioni di posizione (Trendelenburg, anti-Trendelenburg,
inclinazioni laterali) si limiteranno a pochi gradi.
Un ancoraggio rafforzato è invece estremamente importante in caso di
sospetta grave peritonite e sempre nei pazienti obesi. Si realizza con reggi-
spalle, oltre che con la cinghia passante al disopra delle cosce; in alcuni casi
può rendersi utile un reggi-fianco da posizionare contro il torace sinistro.
44
L’ancoraggio nei casi complicati è giustificato dal fatto che, in particolare nei
tempi operatori di isolamento e sezione dell'appendice, è opportuno porre il
tavolo operatorio in Trendelenburg anche spinta con rotazione sinistra; in
questa posizione la matassa del piccolo intestino cade verso la regione
splenica, consentendo un’ottimale esposizione del cieco e dell’ultima ansa
ileale. Inoltre, in fase di lavaggio del cavo peritoneale possono rendersi
necessarie inclinazioni del tavolo operatorio tanto più marcate quanto più
grave è il processo peritonitico: in altri termini, quanto più saldo sarà
l’ancoraggio, tanto più le inclinazioni potranno essere accentuate a tutto
vantaggio di un’ottimale toilette della cavità addominale (vedi più avanti).

Come comportarsi in caso di cicatrici da pregressi interventi chirurgici?


Le cicatrici post-chirurgiche presenti sulla parete addominale impongono una
maggiore attenzione nella fase di induzione dello pneumoperitoneo e spesso
possono richiedere l'esecuzione di una corretta lisi preliminare di aderenze
endoaddominali.
Per l'induzione dello pneumoperitoneo ed il posizionamento del primo
trequarti, è possibile optare in questi casi per un accesso aperto (open) con
trocar di Hasson (a punta smussa, non tagliente) da posizionarsi in sede sotto-
ombelicale, in tutta prossimità del margine distale dell’ombelico. Molti, con
varie motivazioni condivisibili, preferiscono comunque l’accesso chiuso che, più
dell’open, impone una valutazione critica delle cicatrici in rapporto
essenzialmente alla loro sede.
Le cicatrici nei quadranti prossimali dell'addome (sottocostali o xifo-
ombelicali) non creano praticamente alcun disturbo, al contrario di quelle
presenti nei quadranti distali. Infatti, una cicatrice ombelico-pubica impone
l'induzione dello pneumoperitoneo con ago di Veress, da introdurre in regione
sopra-ombelicale, ovvero in tutta prossimità del margine prossimale
dell’ombelico; attraverso la stessa “porta” può essere introdotto anche il primo
trequarti, purché del tipo a vista. Da notare che anche le cicatrici mediane che
si interrompono subito al disotto dell'ombelico permettono, di regola, un
accesso sicuro alla cavità addominale attraverso l’approccio sopra-ombelicale.
La lisi di eventuali aderenze è realizzata, attraverso il primo trocar, con
introduzione di un'ottica operativa; se questa non è disponibile, è opportuno
procedere al posizionamento del secondo trequarti in prossimità della fossa
iliaca sinistra, così da avere la possibilità, introducendovi uno strumento da
dissezione, di escidere le aderenze e disporre nel contempo di una porta
operativa per l’intervento (Fig. 16).

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Fig. 16 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrici nei quadranti inferiori distali: O - primo accesso per l'ottica operativa
(o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.

Una cicatrice trasversale sovrapubica non pone alcun problema per


l’induzione dello pneumoperitoneo, ma di regola richiede un'accurata lisi delle
aderenze, preliminare all’introduzione del trocar sovrapubico. Nel caso di
cicatrice mediana sopra- e sotto-ombelicale (xifo-pubica), si procede dapprima
al posizionamento dell'ago di Veress e poi all'introduzione di un primo trequarti
(rigorosamente del tipo ottico) in fossa iliaca sinistra, ma in una sede appena
un po’ più prossimale di quella standard per il secondo trequarti nell’intervento
“semplice”. Si aggrediscono quindi le eventuali aderenze con un'ottica
operativa seguendo una direzione “centripeta”, intendendo per “centro” la
regione cieco-appendicolare. Anche in questo caso, in assenza dell'ottica
operativa si dovrà introdurre un secondo trequarti nel punto d'incontro tra la
linea ombelicale trasversa e la linea emiclaveare; questa seconda porta
permette, dopo la lisi delle aderenze, di continuare l'intervento chirurgico
senza necessità di “aprirei” anche una porta ombelicale (Fig. 17).
In conclusione, è sempre fortemente consigliabile un'accurata lisi di tutte le
aderenze presenti nell’addome distale, anche se l'appendice è visibile e quindi
apparentemente aggredibile senza difficoltà. La lisi sistematica di tutte le
aderenze è importantissima in chirurgia laparoscopica perché garantisce di
poter affrontare rapidamente, e con una visione ottimale, improvvise e
imprevedibili complicanze, soprattutto emorragiche.

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Fig. 17 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrice sovra- e sotto-ombelicale (xifo-pubica): O - primo accesso per l'ottica
operativa (o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.
Qual è il posizionamento ottimale dei trequarti?
Attualmente la disposizione standard è quella precedentemente descritta,
che è ancora la preferita dalla gran parte degli operatori e che prevede,
nell’ordine di inserimento: un trequarti sotto-ombelicale, uno in fossa iliaca
sinistra appena sopra il legamento inguinale ed uno sovrapubico sulla linea
mediana (Fig.18).
Sono descritte almeno tre varianti. La prima, di fatto abbandonata, adotta
sistematicamente quattro porte d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca
destra, in fianco destro e sovrapubica mediana (Figura 19a); era la scelta
preferenziale agli albori della storia dell'appendicectomia laparoscopica, per
così dire di prudenza, ovvero suggerita da un’inesperienza “primaria” nella
chirurgia addominale laparotomica. La seconda variante adotta tre vie
d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca destra e sovrapubica mediana (Fig.
19b); anch'essa è oggi abbandonata, poiché dettata dall’errato convincimento,
proprio dell’approccio laparotomico, che almeno una porta d'accesso debba
essere “aperta” in corrispondenza della proiezione cutanea dell’appendice. La
terza variante prevede il posizionamento di tre trequarti: uno sotto-ombelicale
e due sulla linea sovrapubica trasversa, spostando verso destra quello mediano
della disposizione standard (Fig. 19c), a fini essenzialmente estetici, con
motivazioni facilmente intuibili.

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Fig. 18 - Posizionamento standard dei trequarti.

Fig. 19 - Varianti di posizionamento dei trequarti.

Se l'appendicectomia è semplice, la procedura sarà completata con


relativa facilità indipendentemente dalle scelte di posizionamento dei trequarti.
In caso di intervento difficile/complicato, occorrono invece valutazioni
comparative delle possibili varianti caso per caso. Il posizionamento standard
emerge come la scelta migliore, con un vantaggioso compromesso tra esigenze
operative ed esigenze estetiche. E’ infatti comunque necessario, nel rispetto
48
della regola della triangolazione, che gli strumenti giungano sul punto focale
dell'intervento (in questo caso l'appendice) formando un angolo di 90°, con
l'ottica posta a bisettrice: in tal modo sono garantiti i corridoi d’azione di tutti
gli strumenti, la facilità di manovrarli senza impedimenti e, in definitiva, la
possibilità di fatto di completare con successo tutti gli interventi (Fig. 20).

Fig. 20 - Schema corporeo in corso di appendicectomia laparoscopica con


posizionamento standard dei trequarti in triangolazione ottimale (nell’inserto,
visione schematica sul monitor del campo operatorio).

D’altra parte, il trequarti posizionato in fossa iliaca destra, in


corrispondenza cioè della presunta sede dell'appendice, è assolutamente non
funzionale, poiché viene a ridursi in maniera inaccettabile lo spazio operativo
tra appendice e parete addominale e l'angolo di visione degli strumenti
introdotti non è assolutamente corretto, impedendo di fatto ogni utile schema
operativo.

È possibile eseguire l'appendicectomia con due o anche solo un trequarti?


Nei casi semplici è sicuramente possibile eseguire l’intervento con due o un
solo trequarti (vedi anche, per la tecnica “single-port” e la NOTES, il Modulo
“Raccomandazioni e linee guyida”). In ogni caso uno di essi, o l’unico utilizzato,
deve essere necessariamente posizionato in fossa iliaca destra per agganciare
la punta dell’appendice ed esteriorizzarla: la legatura/sezione del mesenteriolo
e della base appendicolare e la successiva sezione del viscere sono infatti
extracorporei. E’ ovvio che una simile procedura non va nemmeno presa in
considerazione in caso di sospetta appendicite acuta in stadio avanzato. Si
consideri inoltre che un accesso in più non ha di regola alcun impatto

49
sfavorevole sul decorso postoperatorio e che, viceversa, la bimanualità
operativa garantisce comunque maggior sicurezza, soprattutto negli interventi
difficili.

Come comportarci in caso di mancata visualizzazione dell'appendice?


Posizionato il primo trequarti, occorre prioritariamente e sistematicamente
individuare il cieco: una sua posizione/situazione anomala obbliga infatti a
modificare la sede del secondo e del terzo trequarti, per mantenere comunque
l’ottimale schema di triangolazione che prevede un angolo di 90° tra i due
strumenti operatori con l'ottica a bisettrice (Fig. 20). Posizionati tutti i
trequarti, la ricerca dell’appendice deve essere condotta con l'ausilio di
strumenti da presa. La sua mancata visualizzazione è generalmente legata alla
posizione/situazione del viscere in ascendente retro-ciecale, quindi
sottoperitoneale o, ancor peggio, extraperitoneale; in questi casi si rende
necessario lo scollamento completo del cieco dalla parete addominale, in modo
da esporre correttamente il recesso sottociecale e quindi isolare totalmente
l’appendice. Questa manovra è di regola di facile esecuzione. Non è
infrequente che un ascesso retrociecale “nasconda” l’appendice: va gestito
senza ansie, con un’accorta toilette, soprattutto evitando spandimento del pus
in cavità peritoneale.

Come gestire l'intervento nel caso di appendicite complicata?


Per appendicite complicata intendiamo propriamente quei casi che
giungono all'osservazione con peritonite purulenta o stercoracea da necrosi o
perforazione del viscere e che, quindi, sono complessi da gestire; le appendiciti
acute con peritonite sierosa non impongono invece particolari variazioni di
tecnica rispetto a quella standard descritta.
Nei casi complicati è bene iniziare con un primo accurato lavaggio della
cavità addominale, che mira essenzialmente ad evitare che, durante i
successivi necessari cambiamenti di posizione del paziente, la contaminazione
possa diffondersi in addome. Se necessario, si può introdurre un quarto
trequarti generalmente in fianco destro sulla linea ombelicale trasversa; questa
ulteriore porta d'accesso consentirà di trazionare l'ultima ansa ileale, per
dissecarla cautamente (per via smussa) dall'appendice flogosata con la quale
tende a contrarre aderenze, espressione della “copertura” o “sbarramento”
peritoneale del processo infettivo. La liberazione dell’appendice dalle aderenze
può essere particolarmente impegnativa se il processo suppurativo data da più
giorni. Soprattutto in questi casi una buona e sicura trazione dell'ansa - con
pinza introdotta nel trocar sovrapubico o nel quarto posizionato all’occorrenza
in fianco destro - è premessa fondamentale per una sicura e completa lisi delle
aderenze, da realizzare con l'ausilio di un palpatore da un centimetro introdotto
attraverso il trequarti ombelicale. Il palpatore può essere sostituito

50
dall'irrigatore-aspiratore che consente di dissecare le aderenze e
contemporaneamente di detergere l'intera regione.
In tutti i casi complicati per flogosi grave, l'emostasi del mesenteriolo deve
essere condotta obbligatoriamente con diatermocoagulazione bipolare, la sola
modalità che garantisca l'emostasi ottimale di un meso di regola marcatamente
ispessito. Se l'appendice è in grave necrosi, si eviterà inoltre qualsiasi trazione
su di essa e la si asporterà in frammenti; una scelta solo apparentemente
azzardata, perché la nostra esperienza conferma che la “frammentazione” non
aggrava assolutamente la peritonite in atto. Asportata l’appendice, il cieco
potrà essere correttamente esposto per la legatura/affondamento della
base/moncone appendicolare con la tecnica ritenuta più sicura. Il moncone va
chiuso con doppio loop solo se non è interessato da processi di necrosi,
altrimenti è obbligatorio ricorrere a una suturatrice lineare (del tipo "taglia e
cuci"), facendo in modo, per una tenuta più sicura, che la linea di sutura
coinvolga parzialmente il cieco; da sottolineare che qualsivoglia sutura in filo
non garantisce una tenuta altrettanto sicura in presenza di grave flogosi.
Il lavaggio finale della cavità addominale deve essere particolarmente
accurato. I punti migliori di raccolta del liquido di lavaggio sono lo scavo
pelvico e la regione latero-epatica. Non si trascuri di esplorare alla fine
dell'intervento anche la loggia splenica. Nei casi complessi è doveroso il
posizionamento di uno o due drenaggi: se unico, il drenaggio va collocato nel
Douglas o in latero-ciecale, introducendolo attraverso la porta sovrapubica
mediana; se si decide per due drenaggi, il primo va posizionato ancora nel
Douglas, ma introdotto attraverso il trequarti posto in fossa iliaca sinistra,
mentre si lascia il secondo, introdotto dal trequarti sovrapubico, nel recesso
latero-colico (per la gestione dei casi complicati vedi anche Modulo
“Raccomandazioni e linee guida”).

È possibile utilizzare la tecnica retrograda?


Sì, è possibile utilizzarla anche in laparoscopia. Si procede con un'
“apertura” alla radice del mesenteriolo, attraverso cui sono fatti passare i lacci,
che verranno quindi annodati sulla base dell’appendice, con procedura
extracorporea. L'intervento prosegue con la dissecazione dell’appendice dal
cieco e, infine, con la diatermocoagulazione del mesenteriolo.
In laparotomia si ricorre preferenzialmente alla tecnica retrograda quando,
non essendo visualizzabile la punta dell’appendice, si vuole evitare
l'allargamento dell’incisione cutanea. È una motivazione che in laparoscopia
ovviamente non sussiste, poiché le manovre di identificazione, isolamento ed
esposizione dell’appendice possono essere realizzate in maniera ottimale anche
quando il viscere è retro-ciecale con punta sottoepatica.

Qual è la modalità ottimale di gestione del mesenteriolo?

51
Alcuni autori utilizzano la coagulazione monopolare, mantenendosi in
stretta prossimità della parete dell’appendice, ovvero lungo un margine in cui
l'arteria appendicolare è ormai “sfioccata” nei suoi piccoli rami terminali. Altre
possibilità di gestione del mesenteriolo sono la legatura extracorporea con
laccio e la legatura con clips metalliche. Si tratta di modalità che, nei casi
semplici, sostanzialmente si equivalgono, fatta eccezione per le clips che
tendono facilmente a cadere; ovviamente, la diatermocoagulazione bipolare
resta la scelta più semplice e, soprattuto, la più sicura in presenza di grave
flogosi e/o mesenteriolo ispessito.

Quale tecnica si deve utilizzare per ottenere un lavaggio ottimale della cavità
addominale?
Per il lavaggio è ovviamente necessario un adeguato quantitativo di
liquido, che di regola è semplice soluzione fisiologica; nei casi di grave
peritonite ne servono circa 6-8 litri. Inizialmente è bene disporre il paziente in
anti-Trendelenburg spinto e irrigare tutta la matassa intestinale infilando la
punta dell'irrigatore tra le anse. Si riduce quindi l’anti- Trendelenburg e si
aspira il liquido raccolto nel Douglas. In questa fase iniziale, l'ottica è nel trocar
sotto-ombelicale, l'irrigatore nel trequarti sovrapubico, mentre il palpatore da
10 mm – necessario per spostare le anse e, nella donna, per sollevare l’utero -
è introdotto nel trequarti in fossa iliaca sinistra.
Nel tempo successivo, che prevede il lavaggio della loggia
sottodiaframmatica destra, il paziente va posto in Trendelenburg con rotazione
sul fianco destro, mantenendo il tavolo operatorio. In tal modo il liquido di
lavaggio si raccoglierà, a seconda dell'inclinazione cranio-caudale, nel Douglas
o nella regione latero-epatica, sedi che ne consentono comunque un'ottimale
aspirazione (vedi anche Modulo “Raccomandazioni e liee guida”).

Esistono accorgimenti particolari nei pazienti di età pediatrica?


Più che l'età, conta il peso del paziente. In quelli piccoli per mole somatica
è consigliabile che il trequarti sotto-ombelicale sia da 10 mm, per una comoda
e sicura estrazione dell'appendice, e gli altri due da 5 mm, con conseguente
necessità di un'ottica da 5 mm. Per una gestualità operativa più facile e precisa
è utile l’impiego di pinze più corte di quelle usuali (per approfondimenti di
tecnica nella popolazione pediatrica vedi anche Modulo “Raccomandazioni e
linee guida”).
In chirurgia laparoscopica pediatrica è opportuna, infine, la disponibilità
del riscaldatore del gas per lo pneumoperitoneo, così da evitare l’ipotermia; in
assenza del dispositivo, può essere sufficiente far transitare il tubo del gas, a
foggia di serpentina, in un recipiente contenente acqua calda.

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Il diverticolo di Meckel va sempre ricercato e come deve essere eventualmente
trattato?
Il diverticolo di Meckel deve sempre essere ricercato in ogni intervento di
appendicectomia. La manovra è di semplice esecuzione: con prese successive,
il tenue deve essere esplorato per circa un metro dalla valvola ileo-ciecale. La
trazione sull’ansa deve essere ovviamente delicata e sempre sul versante
antimesenterico. Ogni presa intestinale deve essere eseguita in visione per
evitare di misconoscere possibili lesioni iatrogeniche.
Il trattamento di un eventuale diverticolo è condizionato dalla dimensione
della sua base d'impianto: se stretta, è sufficiente la sua legatura con un
semplice endoloop; se la base è ampia e/o il diverticolo ha dimensioni
importanti, è preferibile ricorrere a una suturatrice lineare "taglia e cuci".

Un'eventuale altra patologia coesistente può e deve essere trattata


contestualmente?
È indiscutibile che la tecnica laparoscopica abbia notevolmente cambiato
l’approccio a questa particolare problematica. In era pre-laparoscopica si
considerava l’opportunità di trattare un'eventuale patologia associata solo se
l’incisione per la via d'accesso lo consentiva: ad esempio, in corso di
appendicectomia tramite incisione in fossa iliaca destra, era assolutamente
esclusa la possibilità di gestire altre patologie, se non la resezione di un
eventuale diverticolo di Meckel. È ormai opinione condivisa che l'approccio
laparoscopico offre una stupenda finestra per raggiungere agevolmente ogni
recesso addominale con pochi minimi accessi. E’ quindi oggi legittima la
problematica proposta e, in pratica, il trattamento di patologie associate è
generalmente fattibile senza particolari difficoltà, purché si conoscano
esattamente quali accessi utilizzare e come integrarli in un piano operativo
unico, efficace e soprattutto sicuro.
È quindi di fondamentale importanza la prima fase della procedura
laparoscopica, ovvero l'esplorazione accurata della cavità addominale dopo
l’inserimento del solo trequarti sotto-ombelicale. In altri termini, è la fase
diagnostica di conferma del sospetto clinico. Soprattutto se si dispone di
un’ottica operativa, sarà facile accertarsi dell’appendicopatia o, in assenza, di
altre patologie causa della sintomatologia; ovviamente, è possibile anche che
l’esplorazione evidenzi patologie per così dire “incidentali”, cioè non
responsabili della sintomatologia in atto e non diagnosticate nel preoperatorio.
L’accertamento esplorativo iniziale condiziona quindi necessariamente la scelta
del tipo di intervento da realizzare e la conseguente disposizione dei trequarti.
È bene comunque premettere che in presenza di grave appendicite acuta con
peritonite generalizzata, l'atto chirurgico deve essere esclusivamente
focalizzato sulla malattia in corso, che può avere complicanze anche mortali; in

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questi casi è quindi da proscrivere qualsiasi atto aggiuntivo a quello finalizzato
a rimuovere la causa e lo stato in essere della peritonite.
Nell’ambito di una casistica esemplificativa, la circostanza più frequente è
l’evidenza all’esplorazione iniziale di una patologia annessiale. Se l’appendice è
indenne e la patologia ginecologica è la verosimile causa del quadro clinico, si
ritiene opportuna che quest’ultima venga trattata, evitando ogni manovra
sull'appendice “innocente” e posizionando quindi i trequarti in modo corretto
per l'atto da eseguire. Di relativo frequente riscontro è la coesistenza con la
flogosi appendicolare di calcolosi della colecisti o di ernia inguinale. In tali casi
la strategia operatoria va modificata (per approfondimenti vedi Modulo
“Raccomandazioni e linee guida”).

Coesistenza di calcolosi della colecisti


È preferibile procedere alla colecistectomia dopo aver asportato
l'appendice. Preliminarmente si deve comunque valutare la possibilità di
eseguire l'appendicectomia mediante l'uso di tre trequarti: uno sotto-
ombelicale (utile anche per l'esecuzione della colecistectomia), uno da 5 mm in
regione sovrapubica mediana (utile esclusivamente per l'esecuzione
dell'appendicectomia) ed uno in fianco destro sulla linea ombelicale trasversa
(utile per la colecistectomia e spesso, nei casi non complessi, adeguato anche
per l'appendicectomia). Se questo posizionamento si dimostra fattibile,
andranno successivamente inseriti altri due trequarti, necessari per la
colecistectomia: uno in regione sottoxifoidea ed uno para/sopra-ombelicale
sinistro (Fig. 21).
Se l'intervento di appendicectomia dovesse risultare complesso, e quindi
richiedere il posizionamento standard dei tre trequarti, si renderanno
necessarie in totale sei porte d'accesso per completare l'intervento combinato.
Il trocar in fianco destro, inutile all'esecuzione dell'appendicectomia, sarà
infatti necessario per la colecistectomia.

Coesistenza di ernia inguinale


È ovvio che si potrà realizzare anche la plastica erniaria soltanto in
assenza assoluta di segni anche minimi di peritonite, di fatto quindi soltanto
nei casi di cosiddetta appendicopatia cronica o comunque “non acuta”. Una
contaminazione anche minima della cavità addominale può pregiudicare infatti
il successo dell’impianto protesico. Se dunque le condizioni sono
eccezionalmente favorevoli, l’appendicectomia precede comunque
l’ernioplastica, che sarà realizzata solo e soltanto solo se l’intervento di
asportazione dell’appendice si è concluso in maniera corretta e senza
inquinamento anche minimo. L’intervento di plastica va realizzato con un
nuovo set di forbici, pinze e altri strumenti operativi.

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Fig. 21 - Accessi per l'esecuzione di colecistectomia associata a una
programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la colecistectomia,

→ corridoi d'azione per l'appendicectomia ; o trequarti per l'ottica nello


schema standard per l'appendicectomia.

Se l'ernia è destra si dovranno posizionare quattro trequarti: uno sotto-


ombelicale (utile per entrambi gli interventi), uno sovrapubico mediano da 5
mm per l'appendicectomia, uno in fianco destro da 5 mm (utile per
l'esecuzione dell'ernioplastica) ed uno in fossa iliaca sinistra, tre dita trasverse
sotto la linea ombelicale trasversa (utile per l'esecuzione di entrambi gli
interventi); quest'ultimo trequarti deve permettere il passaggio di una
suturatrice meccanica per ernia (Fig. 22).
Se l'ernia è sinistra, il posizionamento dei trocar è lo stesso per numero e
sede delle porte, ma con due piccole varianti: il trequarti in fianco destro
dovrà essere “abbassato”, ovvero posizionato due dita trasverse al disotto
della linea ombelicale trasversa, e avere un calibro adeguato all'introduzione
della suturatrice; il trequarti in fossa iliaca sinistra dovrà invece essere “alzato”
di poco, tanto quanto basta per l’adeguato inserimento dell'ottica per
l'appendicectomia e, successivamente, della pinza per l’ernioplastica (Fig. 23).
In entrambi i casi, durante l'appendicectomia la visione è penalizzata, poiché il
trequarti in fossa iliaca sinistra risulta più in alto rispetto alla norma, ma
l'intervento può essere reso più agevole utilizzando anche il trequarti inserito in
fianco destro.

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Fig. 22 - Accessi per l'esecuzione di ernioplastica inguinale destra associata a
una programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la ernioplastica;
→ corridoi d'azione per l'appendicectomia.

Fig. 23 - Accessi per l'esecuzione di ernioplastica inguinale sinistra associata a


una programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la ernioplastica;
→ corridoi d'azione per l'appendicectomia.

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6 - Considerazioni finali
La chirurgia laparoscopica si propone all'attenzione generale come tecnica
veramente innovativa alla fine degli anni Ottanta con l'intervento di
colecistectomia; successivamente abbiamo assistito alla sua applicazione per
patologie sempre più diversificate, anche tumorali, con evidenze di efficacia e
sicurezza crescenti. Attualmente l'intervento di colecistectomia laparoscopica
resta la procedura laparoscopica più diffusa e, di fatto, ancora l'unica con una
sistematizzazione condivisa dei tempi e dei gesti operativi, oltre che delle
indicazioni. Per l’appendicectomia laparoscopica il processo di codificazione
metodologica non è ancora compiuto, come emerge dalle questioni irrisolte (su
specifici aspetti di indicazione e di tecnica) segnalate anche nelle attuali linee
guida (vedi Modulo “Raccomandazioni e linee guida”).
È tuttavia opinione comune che, analogamente a quanto avvenuto per la
colecistectomia, l’appendicectomia laparoscopica sia comunque destinata a
diventare un gold standard sia per la ripetibilità e la semplicità dei gesti
(almeno nei casi non complessi), sia per la mole crescente di evidenze sui reali
vantaggi per il paziente rispetto alla procedura laparotomica (in particolare:
minor dolore, ridotta degenza, più rapida ripresa).
Appare inoltre opportuno riflettere su quelli che appaiono come “limiti”
dell’intervento tradizionale:
− la relativa elevata incidenza di appendici cosiddette bianche, anche per
l’impossibilità di una preliminare esplorazione della cavità addominale
possibile in laparoscopia (fase diagnostica preliminare);
− l’erronea convinzione che un’incisione cutanea corta corrisponda al rispetto
delle strutture parietali: è dimostrato che la divaricazione della parete
addominale causa lacerazioni muscolari, con conseguente dolore
postoperatorio e possibili aderenze viscerali;
− un campo operatorio a visione ristretta, che può creare difficolta in
presenza di anomala posizione/situazione dell’appendice e comunque non
consente di “dominare” la cavità addominale, ovvero:
di ricercare ed eventualmente trattare altre patologie causali, se
l’appendice è “bianca”, e/o coesistenti (ad esempio, le frequenti
patologie annessiali nella donna);
di procedere alla necessaria toilette in presenza di peritonite.
D’altra parte, la chirurgia laparoscopica è stata anche definita, per la sua
minore invasività, la “chirurgia del rispetto”. In effetti, tre fori - anche se la
somma delle incisioni cutanee è di circa 2.5 cm - non equivalgono affatto alla
minima incisione cutanea di McBurney, poiché in laparoscopia la muscolatura,
la vascolarizzazione e l'innervazione della parete vengono completamente
preservate, con la conseguenza evidente ed immediata di un minor dolore
postoperatorio. “Chirurgia del rispetto” significa anche evitare un intervento
non necessario: se in passato era lecito, anzi doveroso, asportare l'appendice

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“bianca” o “innocente”, una volta deciso l’intervento nell’incertezza diagnostica,
oggi la possibilità offerta dalla laparoscopia di una preliminare esplorazione
diagnostica di fatto impone di asportare un’appendice sicuramente sana (per il
dibattitto su questo tema – togliere o non un’appendice normale in assenza di
altra patologia causale – si rimanda al Modulo “Raccomandazioni e linee
guida”).
La procedura laparoscopica appare preferibile anche in presenza di una
grave appendicite purulenta con peritonite più o meno generalizzata,
considerando che:
− lo schema standard di accesso per i casi semplici risulta sufficiente per
trattare in piena sicurezza i casi veramente complessi; in “tomia”
l’alternativa al tradizionale McBurney sono ampie incisioni di
allargamento, incisioni paramediane o addirittura mediane;
− la “scopia” permette l'esplorazione del cavo, il lavaggio accurato di ogni
recesso ed il posizionamento ottimale di eventuali drenaggi, prevendo
così ogni contaminazione della parete, spesso causa di lunghi periodi di
ospedalizzazione e possibili laparoceli post-chirurgici; la laparotomia non
appare garantire una toilette altrettanto accurata.
È ovvio che i risultati ottimali dell’appendicectomia laparoscopica
presuppongono esperienza con la procedura, anche e soprattutto in casi
complessi/complicati. È d’altra parte opinione sempre più diffusa che
l’appendicectomia, e non la colecistectomia, sia l’intervento privilegiato per
l'apprendimento della metodica laparoscopica, essenzialmente per tre motivi:
− l'appendicectomia laparoscopica espone il paziente a rischi, e quindi
complicanze, assai meno gravi rispetto a quelli di una colecistectomia;
− l'appendicectomia laparoscopica è una palestra eccezionale per apprendere
manovre impegnative, servendosi con la stessa competenza e spesso in
rapida alternanza di entrambe le mani; questo training gestuale tornerà
estremamente utile nell’affrontare patologie più gravi;
− l’estrema variabilità di posizione, situazione e di rapporti di cieco-appendice
impone repentini cambi di tattica che sicuramente rafforzano la
decisionalità e affinano la gestualità.
Principale critica alla procedura laparoscopica sono i costi. Premesso che il
diritto alla salute, in un’ampia accezione di benessere psico-fisico, e il diritto
alle cure migliori disponibili sono prioritari e inalienabili, è indiscutibilmente
vero che un intervento di appendicectomia laparotomica ha costi inferiori
rispetto a quello in laparoscopia. Tuttavia, nella valutazione comparativa di
regola non si tiene conto dei costi di degenza e del materiale utilizzato per le
medicazioni, dei costi correlati a mancata produttività, dei costi di eventuali
interventi per complicanze anche tardive (ad esempio, occlusioni da aderenze)
e di tanti altri costi indiretti. Da una comparazione più accurata, e
considerando anche minori invasività e dolore postoperatorio, emerge che

58
l'appendicectomia laparoscopica è realmente vantaggiosa per il paziente e
anche per amministratori alla prese con una progressiva restrizione delle
risorse economiche.
In conclusione, è opinione sempre più diffusa, peraltro basata su evidenze
crescenti, che l’appendicectomia sia da annoverare tra gli interventi che
devono essere eseguiti sempre per via laparoscopica, essenzialmente per tre
ragioni:
− in mani esperte, il trattamento laparoscopico emerge in assoluto come la
migliore opzione chirurgica da proporre al paziente affetto da
appendicopatia anche complicata;
− l'appendicectomia laparoscopica “semplice”, oltre ad essere vantaggiosa
per il paziente, è la procedura ideale, anche in termini di sicurezza, per
l'apprendimento di competenze e tecniche laparoscopiche fondamentali;
l’intervento deve quindi entrare nella routine operatoria, così da
consentire all'équipe dedicata, ed in particolare ai componenti in
formazione, una più rapida e proficua curva di apprendimento, con
conseguente incremento della sicurezza e dell’efficienza della sala
operatoria;
− nel dubbio clinico, l’approccio laparoscopico consente la diagnosi corretta
e quindi un atto terapeutico mirato, con ulteriori innegabili vantaggi per il
paziente, in particolare nelle donne (vedi Modulo “Raccomandazioni e
liee guida”).

59
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
STRUMENTARIO
Alessandro Maturo

60
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
STRUMENTARIO

INTRODUZIONE
Lo strumentario per la chirurgia mini-invasiva video-assistita è in continua
evoluzione tecnologica. È opportuno premettere che non sempre la novità
coincide con una innovazione sostanziale. Da un punto di vista formativo
pratico, più che descrivere nel dettaglio gli strumenti di più recente
commercializzazione – stilando un elenco che in tempi più o meno rapidi
risulterebbe non aggiornato – appare utile sintetizzare le caratteristiche e le
funzionalità che rendono un dispositivo affidabile e funzionale, nel contempo
indicandone l’utilizzo più appropriato, che ovviamente presuppone la
conoscenza di principi di endomeccanica (aghi di Veress, trocar, suturatrici
meccaniche), di elettrochirurgia (elettrobisturi e, più in generale, strumenti
elettrificati) e di ultrasonologia in chirurgia (bisturi ad ultrasuoni).

A.
AGO DI VERESS, ALTRI STRUMENTI PER L’INDUZIONE
DELLO PNEUMOPERITONEO E TROCAR A LAMA
Lo pneumoperitoneo può essere indotto, utilizzando preferibilmente
dispositivi monouso, con tre metodiche differenti:
con ago di Veress, introdotto attraverso una piccola incisione con bisturi
a freddo;
con trocar di Hasson, tramite laparotomia (open laparoscopy);
con trocar senza lama e sotto visione (trocar ottico).
Sempre meno utilizzato, di fatto sconsigliato per la sua pericolosità, è l’accesso
“alla francese”, ovvero diretto, alla cieca, con trocar a lama.

1 - Ago di Veress
Sviluppato da Johann Veress nel 1938, il dispositivo ha subito alcune
modifiche che ne hanno migliorato affidabilità e sicurezza. Nelle versioni più
evolute (ad esempio, Pneumoneedle e UltraVeress della serie Endopath® della
Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson), l’avvenuto ingresso in cavità viene
controllato con il test di Palmer (drop test), che consiste nel far cadere per
gravità alcuni millilitri di soluzione fisiologica nell’ago attraverso l’attacco
universale luer-lock (a scatto): se la soluzione defluisce velocemente (di fatto è
aspirata in addome) vuol dire che siamo all’interno della cavità peritoneale. Un
sistema particolare, ovvero una pallina rossa inserita in un serbatoio alloggiato
nell’estremità di raccordo del dispositivo, facilita la verifica del test: iniettando
la soluzione fisiologica, la pallina galleggiante documenta infatti il rapido
deflusso della soluzione fisiologica, segno della penetrazione dell’ago in cavità.
E’ inoltre presente un indicatore ottico di posizione del mandrino/stiletto di
sicurezza che, in posizione ferma, segna verde: durante l’inserzione, il
61
mandrino si retrae esponendo la punta tagliente della cannula e l’indicatore
passa al rosso; non appena entrato in cavità addominale, il mandrino torna in
posizione di protezione e l’indicatore segna verde. Atri sistemi opzionali, oltre
all’indicatore ottico, restituiscono un feedback uditivo e tattile quando, con
meccanismo a molla, il mandrino stesso scatta a proteggere la punta dell’ago,
subito dopo aver forato il peritoneo parietale (ingresso in cavità addominale).
Da notare che la sensazione uditiva dello scatto è amplificata dalla forma
conica dell’impugnatura (Fig. 1).


Fig. 1 - Ago UltraVeress Endopath®.

2 - Trocar di Hasson (open laparoscopy)


In generale caratteristiche ee funzioni di un trocar per laparoscopia sono
quelle di:
uno strumento di accesso in cavità;
uno strumento ermetico (a tenuta) per mantenere lo pneumoperitoneo;
un “condotto” idoneo al passaggio di altri strumenti di calibro variabile
(5mm, 10/11mm e 10/12mm) – i trocar sono dotati di valvole/riduttori
(riduttori valvolati) che consentono l’impiego di strumenti di calibro
inferiore evitando la desufflazione del gas immesso in cavità.
Qualsiasi trocar è quindi costituito da due componenti:
l’otturatore (o mandrino), con lama tagliente o punta smussa o
comunque un’estremità idonea alla penetrazione (con eventuale scudo di
protezione);
la cannula (o camicia esterna) dotata di rubinetto di
insufflazione/desufflazione, sistema di tenuta stagna (con una o più
valvole, ovviamente non necessarie in toracoscopia) e dispositivo di
ancoraggio alla parete addominale.
Relativamente al calibro, la dicitura “10/11” o “10/12” sta a indicare che il
trocar è in grado di accogliere, senza desufflare la CO2 immessa nella cavità
addominale, strumenti di diametro minimo di 10 mm e massimo di 11 o 12
62
mm, rispettivamente. I trocar da 11 e 12 mm della linea Endopath® Xcel™
della Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson sono dotati di una valvola
esterna che funge da riduttore universale e si definiscono quindi 5/11 e
5/12mm, potendo ospitare strumenti da 5 mm di diametro fino a 11 o 12 mm,
rispettivamente. Da notare che i trocar per toracoscopia non hanno valvole, in
quanto la cavità toracica non necessita di insufflazione di CO2 (in pratica la
cavità in cui si lavora si forma automaticamente con il collasso del polmone,
mentre la parete toracica è mantenuta in posizione dalla gabbia toracica). Per
questo motivo i calibri dei trocar per toracoscopia indicano sempre il calibro
massimo degli strumenti endoscopici che possono ospitare, mentre qualsiasi
calibro inferiore può essere utilizzato senza problemi.
Per l’induzione dello pneumoperitoneo con metodica open laparoscopy si
utilizza il trocar di Hasson a punta smussa (blunt tip - senza lama, bladeless).
Il chirurgo pratica una piccola incisione servendosi del bisturi a lama fredda,
dell’elettrobisturi e di forbici, fino ad arrivare al peritoneo parietale e penetrare
quindi in cavità addominale. Attraverso l’incisione è posizionato il trocar di
Hasson, che viene assicurato alla parete addominale con svariati sistemi di
fissaggio, che garantiscono l'ottimale tenuta sulla parete addominale.
L’addome viene quindi insufflato direttamente tramite il rubinetto e l’attacco
luer-lock presenti sul trocar. I moderni trocar di Hasson (ad esempio,
l’Endopath® Xcel™ della Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson) hanno un
corpo totalmente trasparente (tranne il riduttore incorporato, che può essere
rimosso), una caratteristica che ne migliora sicurezza e versatilità,
consentendo di individuare facilmente reperti, aghi, fili e tutto ciò che possa
restare accidentalmente al suo interno. Infine, la cannula a becco di flauto e
rastremata distalmente offre minore resistenza durante l'inserimento e quindi
la possibilità di reinserirla facilmente se si dislocasse verso l'esterno.

3 - Trocar senza lama sotto visione (trocar ottico)


Alcuni trocar senza lama (blunt tip, bladless) hanno in punta una lente
conica, utilizzabile con un’ottica endoscopica a 0°, che permette di visualizzare
le fasi di penetrazione dello strumento attraverso i vari strati della parete fino
al peritoneo parietale. Un esempio di questi trocar, definiti ottici, è l’Endopath®
Xcel™ Bladeless della Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson, la cui lente -
che ha anche delle alette bilaterali in plastica arretrate che agevolano la
penetrazione e nel contempo riducono il rischio di traumi viscerali - è
trasparente e rastremata, così da ottimizzare la visibilità dei singoli strati di
tessuto attraversati. Da notare che anche il corpo del trocar è completamente
trasparente (e radiotrasparente) e concorre quindi all’ottimizzazione della
visione operativa. Inoltre, i trocar da 5 mm della serie Xcel™ sono dotati di
tecnologia Optiview, ovvero di un sistema di detersione dello stelo dell'ottica
da fluidi e residui organici, che si accumulano in fase di penetrazione; il

63
sistema li drena radialmente, per effetto capillare, e li trattiene all'interno di
un anello spugnoso assorbente. Il trocar rimane pulito e l'ottica non si sporca
quando viene reinserita nello stesso. Con i trocar bladless i tessuti non
vengono incisi, bensì separati per via smussa, e non è necessario effettuare la
chiusura della fascia. Ne consegue un minor traumatismo della parete
addominale, che riduce i rischi di difetti fasciali e di erniazioni da trocar. Da
notare, inoltre, che la cannula ha fori che evitano l'erniazione accidentale di
visceri o mesentere per trascinamento all'interno di essa.
I trocar ottici possono essere utilizzati come primo accesso in cavità
addominale (quindi senza pneumoperitoneo preventivamente instaurato)
soltanto dopo un adeguato training di utilizzo come trocar secondari. In
pratica, nella fase di addestramento il trocar bladless va utilizzato come porta
secondaria dopo induzione dello pneumoperitoneo, così da esercitarsi
nell’identificazione e nella differenziazione dei vari strati di tessuto trapassati.
Acquisita sufficiente esperienza, sarà possibile utilizzare i trocar ottici anche
per l’induzione dello pneumoperitoneo.

***

I trocar a lama, sconsigliati per un accesso “primario” alla cieca (ovvero, per
l’induzione dello pneumoperitoneo), sono ovviamente utilizzati per gli accessi
“secondari” in cavità peritoneale. Ne sono esempi innovativi quelli della serie
Endopath® Xcel™ D-Tip della Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson (Fig. 2).
Si tratta di dispositivi monouso a lama piatta con punta dilatante (D-Tip,
dilating-tip) e scudo di protezione/sicurezza; la lama piatta permette incisioni
limitate e la punta dilatante separa il tessuto tagliato dal bisturi per aprire la
strada alla cannula che rimarrà in situ. In particolare, questi trocar:
− sono completamente trasparenti (e radiotrasparenti), per favorirne il
controllo in tutte le fasi della procedura chirurgica;
− hanno un connettore luer-lock standard per l’insufflatore;
− alloggiano nella parte prossimale della cannula il meccanismo valvolare di
tenuta dello pneumoperitoneo e, tranne che negli strumenti da 5mm, il
riduttore universale con guarnizione basculante, che può essere rimosso
in qualsiasi fase dell’intervento azionando, in senso antiorario, una leva
di sgancio situata lateralmente – da notare che anche il riduttore, che
concorre al meccanismo di tenuta della valvola interna a becco di papera,
è completamente trasparente per permettere di distinguere i D-Tip dai
Bladeless.
− hanno la lama affilata monolateralmente, per un migliore controllo della

fase d’introduzione, e un efficace scudo di sicurezza che viene


preliminarmente armato dal cursore posto nell’impugnatura (click di
conferma): durante l’introduzione, la punta dilatante dello scudo incontra
la resistenza del tessuto e si ritrae, scoprendo la lama; nel momento in
64
cui viene oltrepassato il peritoneo parietale, la lama non incontra più
alcuna resistenza e scatta il meccanismo di sicurezza che permette allo
scudo di avanzare e coprire la lama, minimizzando il rischio di lesioni
viscerali.

Fig. 2 - Trocar Endopath® Xcel™ dilating-tip (D-tip).

Nell’uso pratico, nella fase di introduzione attraverso l’incisione cutanea è


importante esercitare sul trocar una pressione costante ma controllata: mano a
mano che lo scudo si ritrae, esponendo la punta tagliente, il cursore di
armamento si porta in posizione originale. Se non si è certi della penetrazione
in cavità, lo strumento deve essere rimosso e, prima di essere reintrodotto,
occorre premere il cursore per riportarlo in posizione attivata (click). Una volta
in cavità, si premono i pulsanti di bloccaggio per rimuovere il gruppo
otturatore/impugnatura, lasciando la cannula in posizione; il meccanismo di
tenuta interno della cannula si chiude automaticamente alla ritrazione
dell’otturatore. La cannula, dotata di fori anti-erniazione, è a becco di flauto e
rastremata distalmente per una minore resistenza durante l’inserimento e un
più facile reinserimento in caso di parziale dislocazione verso l’esterno. Il
riduttore universale può essere rimosso per estrarre reperti bioptici di una
certa dimensione. Il duplice dispositivo di tenuta stagna (solo nei calibri 5/11 e
5/12mm; il calibro 5mm ha una sola valvola a becco di papera) garantisce
65
un’ottima tenuta dello pneumoperitoneo anche in fase di introduzione o
estrazione degli strumenti. Da notare che, grazie all’invito ad imbuto
dell’alloggiamento del riduttore, la punta degli strumenti viene subito
indirizzata all’interno della cannula: di fatto lo strumento trova da sé la strada
del trocar e il chirurgo lo manovra con movimenti minimi di precisione,
concentrandosi completamente sull’intervento, potendo inoltre procedere ad un
suo agevole e sicuro cambio con una mano sola.

B.
SUTURATRICI MECCANICHE ENDOSCOPICHE
Esiste un’ampia disponibilità di suturatrici meccaniche endoscopiche
(endocutter). Per illustrarne le caratteristiche tecniche principali ed i princìpi di
funzionamento, appare opportuno fare riferimento a strumenti diffusamente
utilizzati in laparoscopia come gli stapler lineari della piattaforma Echelon™
(Endopath® Linear Cutters) della Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson,
disponibili sia nella versione retta (straight) che articolabile
(articulating/Flex™) (Figg. 3 e 4).

Fig. 3 - Suturatrice Echelon™ Endopath® retta.

Fig. 4 - Suturatrice Echelon™ Endopath® del tipo articolabile.

Si tratta di strumenti sterili e monouso, con specifiche ricariche da


montare prima dell’uso, che applicano due doppie o triple file di punti sfalsati e
contemporaneamente sezionano il tessuto (fino a un massimo di 12

66
azionamenti per strumento). Caratteristiche peculiari delle suturatrici Echelon™
sono:
− l’elevata compressione tra le ganasce (sistem-wide compression) con
incudine monoblocco rinforzata, che garantisce una corretta ed uniforme
formazione del punto lungo tutta la linea di sutura ed evita lo
scivolamento in avanti del tessuto (tissue milk) durante l’attivazione;
− un meccanismo a tre punti di controllo (E-beam design), che garantisce
un corretto allineamento agrafe/incudine e una corretta calibrazione del
punto (altezza uniforme) lungo tutta la linea di sutura – il sistema
mantiene allineate incudine, ganascia inferiore e ricarica, evitando
disallineamenti trasversali del bisturi attraverso il tessuto, in particolare
se spesso;
− la lama sagomata a “C”, realizzata in monoblocco con acciaio chirurgico
inossidabile serie 400 ad alto grado di resistenza.
In definitiva, la combinazione di incudine rinforzata, sistema E-beam e lama a
“C” consente di ottenere una corretta formazione e uniforme apposizione dei
punti metallici lungo tutta la linea di sutura e una sezione precisa e sicura del
tessuto. Ad efficacia, precisione e sicurezza contribuiscono:
− l’ampia apertura delle ganasce (fino a 22 mmm), per un agevole
posizionamento ed una facile manipolazione del tessuto;
− l’ampia gamma di ricariche, distinte da colori diversi (grigio, bianco, blu,
oro e verde) a seconda della lunghezza della gamba (da 2 a 4.1 mm) e
dell’altezza del punto (da 0.75 a 2 mm) – è così garantita la scelta del
punto migliore per un perfetto equilibrio tra emostasi ottimale e
vascolarizzazione adeguata del tessuto;
− il sistema di sicurezza lock-out, che impedisce l’azionamento della
suturatrice se la ricarica è stata già utilizzata, è malposizionata o è
assente;
− l’indicatore della posizione della lama del bisturi, per un maggior
controllo della procedura ad ogni azionamento dello stapler;
− il posizionamento di 2 agrafe di sicurezza distali la linea di taglio e 1,5
agrafe prossimali – da notare che tutte le agrafe sono costituite da una
lega di titanio (titanio 94.5%, alluminio 3%, vanadio 2.5%) che,
restando compatibile con la risonanza magnetica, è più resistente del
titanio puro e quindi richiede più forza per deformarsi e più forza per
presentare l’effetto “spring back”, a garanzia di una migliore tenuta della
linea di sutura;
− la chiusura distale con effetto di grasping e la possibilità quindi di
afferrare e manipolare il tessuto senza necessità di un secondo
strumento.
Da notare, inoltre, che l’elevata compressione delle ganasce, oltre ad evitare il
tissue milking, consente il deflusso dei liquidi extra-cellulari (attendendo 15

67
secondi secondo i criteri della SoTM, Science of Tissue Management – vedi la
pagina web dedicata della Ethicon nella sezione “Formazione”), riducendo lo
spessore del tessuto (per una sutura ottimale) e restituendo un feedback
tattile all’operatore proprio sulla quantità (spessore) del tessuto compresso.
La serie Flex™ della piattaforma Echelon™ è assolutamente innovativa,
consentendo all’operatore di manovrare effettivamente lo stapler con una sola
mano. La migliore manovrabilità, che permette al chirurgo di focalizzarsi sulla
linea di resezione e posizionare le ganasce esattamente dove desidera, è
garantita da un meccanismo di articolazione naturale a 45° su 7 posizioni (-
45°, -30°, -15°, 0°, 15°, 30°, 45°), con giunto di articolazione 2.5 cm più
vicino alla linea di taglio rispetto ai precedenti strumenti articolati. Nella Figura
5 è sintetizzata la procedura di articolazione naturale con stapler Flex™.

Fig. 5 - Procedura di articolazione naturale con una sola mano con stapler Flex™.

In caso di difficoltà ad articolare lo strumento occorre assicurarsi che:


− l’aletta di articolazione sia stata tirata;
− le ganasce siano aperte - lo strumento non si articola con le ganasce chiuse;
− il giunto di articolazione sia completamente fuoriuscito dal trocar, ovvero
che non ci siano ostruzioni all’articolazione (tessuto, trocar,...).
La serie Flex™ presenta altre due significative caratteristiche addizionali:
− il sistema di attivazione a 4 fasi (uno aggiuntivo per retrarre il bisturi) – in
tal modo l’operatore ha il controllo anche sul ritorno del bisturi;
− l’indicatore conteggio del ciclo, che segnala un eventuale lock-out.

Si rimanda al sito della Ethicon e degli altri produttori e soprattutto ai relativi


foglietti illustrativi per il corretto utilizzo degli stapler e le opportune manovre in
caso di inconvenienti tecnici.

C.
ELETTROBISTURI E ALTRI STRUMENTI ELETTRIFICATI

68
L’evoluzione della tecnologia offre oggi al chirurgo un’ampia gamma di
strumenti che, sfruttando l’energia elettromagnetica (elettrobisturi e altri
strumenti elettrificati, laser) o quella meccanica (bisturi ad ultrasuoni, con
trasformazione dell’energia elettrica in vibrazioni meccaniche), gli consentono
di centrare al meglio, in ogni situazione, l’obiettivo prioritario della sua
gestualità: l’equilibrio ottimale tra rapidità e sicurezza dell’emostasi e
appropriata dissezione/sezione dei tessuti.
L’uso del calore per coagulare risale agli antichi Egizi, con applicazione di
un pezzo di metallo surriscaldato sulla ferita (cauterio): il controllo del
sanguinamento è ottenuto a costo di gravi danni tissutali. Solo nel XIX secolo,
l’avvento dell’energia elettrica segna l’inizio dell’elettrochirurgia e della sua
rapida evoluzione: dall’elettrocauterio (riscaldamento di un ferro chirurgico con
il passaggio di corrente elettrica attraverso una resistenza) alla elettrificazione
degli strumenti con corrente elettrica alternata, inizialmente utilizzati in
modalità monopolare poi, tra il 1940 e il 1960, anche in modalità bipolare.
L'elettrochirurgia moderna ha inizio nel 1891, quando il fisico e medico
francese Jacques-Arséne d'Arsonval dimostrò che la corrente alternata ad alta
frequenza applicata ai tessuti viventi determinava effetti termici senza causare
la stimolazione muscolo-nervosa. Agli inizi del Novecento il fisico William Bowie
inventò il generatore per elettrochirurgia. Il primo utilizzo clinico di un
elettrobisturi monopolare, in grado di tagliare e coagulare i tessuti, si deve al
neurochirurgo statunitense Harvey Williams Cushing, che il 1° ottobre 1926 se
ne servì per asportare una massa tumorale dal tessuto celebrale. Il nuovo
strumento consentiva di operare in tutta sicurezza anche su lesioni altamente
vascolarizzate, affrancando l’operatore dal rischio di gravi e incontrollabili
emorragie. La continua evoluzione della tecnologia elettrochirurgica, fino alla
computerizzazione, ha reso via via disponibili sistemi che garantiscono una
coagulazione ottimale con minimo traumatismo tissutale e massima sicurezza.

Princìpi di elettrochirurgia
L’elettrochirurgia è l’applicazione di corrente elettrica alternata ad alta
frequenza (HF, genericamente detta radiofrequenza) su tessuto biologico per
realizzare il taglio e/o la coagulazione in modo rapido, sicuro e semplice.
L’elettrobisturi utilizza corrente elettrica alternata con frequenze dell’ordine
delle centinaia di kHz, comunque non inferiori ai 300-400 kHZ (rischio di
stimolazione di nervi e muscoli – cosiddetto effetto faradico) e non superiori ai
2 MHz (rischio progressivo di danni da dispersione). Nel range di frequenze
utilizzate in chirurgia, la corrente induce soltanto effetto termico (effetto Joule)
nel tessuto che attraversa e non effetto faradico, né effetto elettrolitico
(possibile con corrente continua). L’ effetto Joule dipende dalla resistenza
elettrica specifica del tessuto, nonché dalla densità della corrente e dal tempo

69
di applicazione. L'effetto termico della corrente induce differenti modificazioni
sulle cellule, a seconda della temperatura raggiunta:
− a una temperatura inferiore ai 100 °C si produce l'evaporazione
dell'acqua contenuta nelle cellule (liquido intracellulare) e di conseguenza
la coagulazione;
− oltre i 100 °C, si ottiene l’esplosione della cellula e la contemporanea
scissione delle proteine (pirolisi proteica) e quindi il taglio del tessuto;
− con temperature di molto superiori ai 100 °C si ottiene la carbonizzazione
del tessuto, con conseguente occlusione dei vasi ed emostasi
(cauterizzazione propriamente detta).
Quindi, per ottenere le diverse modalità di azione dell’elettrobisturi
(sezione/taglio, coagulo o mista), il generatore deve essere in grado di erogare
correnti di diverse forme d'onda e di diversa potenza all’elettrodo attivo (il
bisturi o altro strumento attivo nelle mani del chirurgo); la corrente elettrica,
attraverso il corpo del paziente, “ritorna” al generatore attraverso un elettrodo
passivo/neutro ad ampia superficie (piastra). Le dimensioni ridotte degli
elettrodi attivi fanno sì che la densità di corrente nella zona di contatto sia
assai elevata, sviluppando una grande quantità di calore in un tempo
brevissimo. In pratica, scegliendo opportunamente tipo/dimensioni
dell’elettrodo attivo, velocità di movimento, intensità della corrente e forma
d’onda si possono ottenere:
− effetto di taglio dei tessuti (temperatura inferiore ai 100 °C);
− effetto coagulo (temperatura superiore ai 100 °C);
− effetto combinato di taglio e coagulo (temperatura di molto superiore ai
100 °C).
La corrente elettrica può essere applicata in modalità:
− monopolare, per mezzo di un elettrodo attivo di piccola superficie e di un
elettrodo neutro di ritorno ad ampia superficie - nel caso di apparecchi
con potenza nominale d'uscita inferiore a 50W non si utilizza l’elettrodo
neutro;
− bipolare, per mezzo di un solo elettrodo bipolare, ad esempio una pinza
le cui branche (i due elettrodi) sono isolate l'una dall'altra.

Elettrobisturi monopolare
Nei sistemi monopolari la corrente fluisce, attraverso il paziente, da un
elettrodo attivo di piccole dimensioni (il bisturi) a un elettrodo neutro,
cosiddetto di ritorno, ad ampia superficie (la piastra - 150-200 cm2) e collegato
a massa (Fig. 6).

70
Fig. 6 - Circuito elettrochirurgico monopolare

L’elettrodo attivo, di piccole dimensioni, produce maggiori concentrazioni di


corrente. L'elettrodo di ritorno dissipa la corrente su un’area più vasta con
conseguenti concentrazioni di corrente inferiori. Il chirurgo attivando
l’elettrobisturi (elettrodo attivo) concentra l’intero flusso di corrente su piccole
porzioni di tessuto per raggiungere gli effetti clinici di taglio ed emostasi; il
flusso di corrente seguirà poi il percorso a minor resistenza per raggiungere
l’elettrodo di ritorno (piastra), la cui superficie di contatto e sufficientemente
grande da minimizzare la densità di corrente e non produrre alcun effetto
clinico. L’elettrodo neutro (piastra) deve caratterizzarsi per ampiezza, alta
conduttività elettrica e sicura fissazione.
La corrente monopolare produce tre diversi effetti sui tessuti:
coagulazione (essiccazione), taglio e folgorazione (coagulazione spray). La
corrente da taglio è il risultato di una corrente alternata ad alta frequenza
continua, che vaporizza il fluido contenuto nelle cellule al fine di ottenere un
taglio “puro” del tessuto; per ottenere l’effetto di taglio, la punta dell’elettrodo
attivo deve essere tenuta leggermente lontana del tessuto interessato. La
corrente da coagulazione è il frutto di una corrente alternata ad alta frequenza
non continua ma interrotta o ”smorzata”, che provoca la rottura e non il
collasso delle cellule; per ottenere l’essicazione, la punta dell’elettrodo deve
essere a contatto con il tessuto interessato. Nella coagulazione, la penetrazione
in profondità del calore può essere dannosa per il tessuto circostante. La
folgorazione o coagulazione spray produce una forma d’onda interrotta che
causa il collasso e non la rottura delle cellule; il calore rimane in superficie e
può causare bruciature. Per ottenere la folgorazione l’elettrodo attivo è tenuto
2-3 cm lontano dal tessuto e si inviano scariche elettriche ad alta frequenza,
creando l’emostasi su un’area ampia più rapidamente di quanto avvenga con
la coagulazione. Nella modalità monopolare diverse variabili possono alterare il
risultato dell’effetto elettrochirurgico sul tessuto:
− il tempo (un’attivazione prolungata provoca una lesione al tessuto più
estesa e profonda);
− la potenza;
− la geometria e le dimensioni dell’elettrodo attivo: maggiore è la
superficie, più ampia è l’area di coagulazione;
71
− le caratteristiche del paziente che determinano l’entità dell’impedenza
incontrata dalla corrente per completare il circuito, attraverso l’elettrodo
di ritorno, verso il generatore.
Il ritorno di corrente dall'elettrodo attivo alla piastra (elettrodo di ritorno) non è
in effetti mai costante o prevedibile, poiché il percorso del flusso di elettroni è
quello che presenta una minore resistenza tra i due elettrodi. Nei tessuti umani
questa resistenza è direttamente proporzionale al contenuto di liquidi, fattore
che viene ad essere modificato dalla disidratazione ed essiccazione causata dal
passaggio di corrente. L’essiccazione porterà ad un aumento della resistenza
(ostruzione al flusso degli elettroni) in quel punto, conducendo a percorsi
alternativi (Fig. 7), ovvero a dispersione della corrente.

Fig. 7 – Imprevedibilità del flusso elettronico attraverso i tessuti del paziente.

L’imprevedibilità del flusso elettronico è tra i fattori correlati ai rischi


dell’elettrochirurgia monopolare, ovvero:
− accoppiamento capacitivo diretto - avviene quando, inavvertitamente, il
chirurgo mette a contatto l’elettrodo attivo dell’elettrobisturi con uno
strumento conduttore, portando trasmissione di calore in zone non
desiderate;
− accoppiamento capacitivo indiretto - avviene quando, nell’attraversare i
tessuti, la corrente elettrica, seguendo percorsi con impedenze più basse,
lascia quello previsto/prevedibile e tende, in piccola parte, a scaricarsi su
materiali conduttivi adiacenti ma non a diretto contatto (trocar metallici,
pacemaker,…) - è ovviamente favorito da un malposizionamento
dell’elettrodo di ritorno;
− danneggiamento degli isolamenti elettrici del sistema – perlopiù dovuti a
rottura o lesione degli steli degli strumenti;
− ustioni del paziente per percorsi difformi – possibili soprattutto se
l’elettrodo di ritorno (piastra) non è posizionato correttamente, ma
possono concorrervi un settaggio errato della potenza, cavi danneggiati
e, non ultimo, correnti “vaganti” per inadeguato isolamento della sala
operatoria.
Altri rischi per il paziente sono legati: ai componenti metallici del tavolo

72
operatorio a contatto con la terra; ai fluidi per la disinfezione che bagnano la
teleria; alle zone a più forte traspirazione, per esempio tra estremità e corpo
(braccio-tronco) o tra le estremità ( coscia-coscia). In pratica, è fondamentale:
− accertarsi del corretto e sicuro fissaggio dell’elettrodo neutro, il più vicino
possibile al campo operatorio, per tutta la durata dell’intervento - le vie
di passaggio della corrente nel corpo debbono essere il più possibile corte
e in direzione longitudinale o diagonale (la corrente non deve trapassare
il corpo trasversalmente);
− verificare che i cavi di collegamento degli elettrodi ad alta frequenza, e
specialmente quello dell’elettrodo neutro, siano il più possibile corti e
privi di arrotolamenti, per evitare che vengano a contatto col paziente o
con altri cavi;
− evitare di utilizzare l’elettrodo attivo in prossimità degli elettrodi del
cardiografo: la distanza utile è di almeno 150 mm.

Elettrobisturi bipolare
In un circuito bipolare gli elettrodi (attivo e di ritorno) sono le branche dello
strumento (normalmente a forma di pinza o forbice) utilizzato dal chirurgo. La
distanza fra l’elettrodo attivo e quello di ritorno è pertanto molto ravvicinata e
il paziente è parte del circuito solo per quella porzione di tessuto compreso tra
le branche (Fig. 8), senza possibilità di dispersione della corrente nel corpo del
paziente, né necessità della piastra.

Fig. 8 - Circuito elettrochirurgico bipolare

L’elettrochirurgia bipolare, poiché gli elettrodi sono ravvicinati, utilizza alte


concentrazioni di corrente (frequenza) e basse tensioni (potenza). L’effetto di
coagulazione avviene per essiccazione del tessuto a contatto con le branche
dello strumento; non è quindi necessaria la piastra neutra. L’elettrochirurgia
bipolare riduce, di fatto azzera, alcuni dei rischi associati all’elettrochirurgia
monopolare, quali l'accoppiamento capacitivo e le lesioni da
malposizionamento della piastra. La modalità bipolare è particolarmente
efficace e sicura per emostasi in aree “delicate”.

73
Gli strumenti bipolari tradizionali forniscono un’erogazione ininterrotta e
continua di energia ai tessuti: quando il dispositivo viene attivato, la corrente
viene erogata per tutta la durata dell’azione. L’essiccazione del tessuto (che
perde contenuto acquoso) aumenta la resistenza al passaggio degli elettroni
che, come detto, ricercano un percorso a minore resistenza; ne consegue la
formazione di una zona sferica di danno termico (effetto balooning) intorno agli
elettrodi, con possibili danni termici oltre i punti di contatto dello strumento.
Gli strumenti bipolari avanzati integrano un meccanismo per determinare
l’impedenza e interrompere l’erogazione di energia (tecnologia delle bipolari
avanzate), prevenendo o comunque limitando il danno termico laterale. Questo
può essere invece anche esteso con gli strumenti bipolari tradizionali, con i
quali i chirurghi possono gestire l’erogazione di energia soltanto attraverso il
controllo visivo, che non garantisce un’individuazione rapida e precisa del
possibile danno.

***

Tra gli strumenti laparoscopici elettrificati (vedi anche Sezione E), oltre
ovviamente al bisturi, particolarmente importanti sono le forbici multifunzione
che consentono la presa e il taglio (e anche la dissezione per via smussa) dei
tessuti, nel contempo garantendo un’emostasi sicura (di vasi fino a 7 mm), per
azione del calore generato dalla corrente elettrica e della compressione
meccanica del morso. In tal modo è agevolata la gestualità dell’operatore,
riducendosi la necessità di cambiare o invertire gli strumenti all’interno dei
trocar nel corso della procedura.
Gli elettrogeneratori di ultima generazione leggono ed avvertono
l’impedenza del tessuto e/o del vaso situati all’interno del morso dello
strumento, regolando di conseguenza la tensione di uscita necessaria per la
sezione e la coagulazione completa e permanente del tessuto – la cosiddetta
fusione o sintesi tessutale, con fusione irreversibile del collagene e dell’elastina
della parte intimale del vaso (sigillo). In altri termini, mentre in un generatore
standard (anche detto ad alta frequenza, HF) la potenza della radiofrequenza è
prestabilita dall’operatore (settaggio), applicata permanentemente e interrotta
al termine del sanguinamento, nei generatori più evoluti – propriamente detti a
radiofrequenza (RF) – un sofisticato algoritmo di misurazione dinamica e
differenziale dell’impedenza del tessuto autoseleziona la potenza necessaria da
erogare e segnala acusticamente la fine del ciclo sezione/coagulo nel momento
in cui è rilevata la formazione di un sigillo di coagulazione efficace, nel
contempo interrompendo l’erogazione. Da notare che l’attivazione
dell’erogazione di corrente avviene con una semplice pressione del pulsante
posto sul manipolo e che l’erogazione può essere interrotta in qualsiasi
momento premendo nuovamente il pulsante, garantendo un controllo totale

74
dello strumento e un’operatività in piena sicurezza. In pratica, il generatore RF
produce una alta intensità di corrente a basso voltaggio, che corrisponde a
quantità molto inferiori rispetto ad un generatore HF standard, ovvero funziona
a temperature relativamente “fredde” (< 80°C), con una sintesi dei vasi e dei
tessuti che avviene senza carbonizzazione e con una minima diffusione termica
ai tessuti adiacenti; ne consegue, tra l’altro, una migliore e più rapida
guarigione rispetto ai generatori HF, in cui la riparazione tissutale è rallentata
dalla necrotizzazione e dal danno termico laterale associati.

D.
BISTURI E ALTRI STRUMENTI AD ULTRASUONI
Nel 1880 i fratelli Curie sono stati i primi a dimostrare l’effetto piezoelettrico
inverso: eccitando con corrente alternata alcuni tipi di cristalli, questi andavano
incontro a vibrazione (alternanza di dilatazioni/compressioni), generando
un’onda meccanica. Tuttavia, soltanto un secolo dopo l’evoluzione della
tecnologia (amplificatori di impedenza, trasduttore avanzati, ecc.) ha
consentito di convertire l’energia elettrica in un’affidabile oscillazione
meccanica, rendendo così disponibili i primi strumenti chirurgici ad ultrasuoni
per taglio ed emostasi (Ultracision Harmonic Scalpel® della Ethicon Endo-
Surgery-Johnson&Johnson).
Tenendo conto delle specificità di indicazione e di applicazione pratica, il
passaggio da energia elettrica ad energia meccanica ha rappresentato
indubbiamente un progresso, quanto meno in termini di sicurezza: la
possibilità di utilizzare gli ultrasuoni evita di portare elettricità nel corpo del
paziente, affrancando il chirurgo dalla problematiche e dai rischi correlati
all’utilizzo di elettrobisturi mono- e bipolare.

Princìpi della tecnologia da ultrasuoni


Le onde sonore sono onde di pressione meccanica longitudinale che si possono
propagare nei solidi, nei liquidi o nei gas. Possono essere classificate in base
alla loro frequenza:
− le onde con frequenza compresa fra i 20 e i 20.000 Hz sono quelle
percepibili dall’orecchio umano e per questo motivo vengono dette udibili
-tali onde possono stimolare il cervello e l’orecchio umano alla
sensazione dell’udito;
− le onde con frequenza inferiore a 20 Hz, come quelle provocate da un
terremoto, sono chiamate infrasoniche;
− le onde con frequenza superiore a quelle udibili dall’orecchio umano sono
chiamate onde ultrasoniche o ultrasuoni .
La generazione degli ultrasuoni è basata sul principio della piezoelettricità
“inversa”, cioè sulla capacità di alcuni cristalli naturali (quarzo) o artificiali
(ceramica, titanio di zinco) di oscillare meccanicamente se stimolati da
corrente elettrica. La frequenza di oscillazione del cristallo piezoelettrico
75
dipende dal suo spessore; ad esempio, gli effetti di taglio ed emostasi
dell’Ultracision Harmonic Scalpel® si ottengono a frequenze di vibrazione di
55,5 kHz (Fig. 9).

Fig. 9 – Classificazione delle onde sonore.

L’esempio del sistema HARMONIC®


Il bisturi ad ultrasuoni Ultracision Harmonic Scalpel® è integrato in un sistema
proprietario, genericamente definito Harmonic®, composto da un generatore,
un manipolo trasduttore ed una serie di strumenti. Il manipolo trasduttore è il
nucleo centrale del sistema, in esso è alloggiato il cristallo piezoelettrico
mantenuto sotto pressione da due cilindri di metallo (Fig. 10). La funzione del
manipolo è di generare, amplificare e rilasciare energia ultrasonica ai tessuti.

Fig. 10 - Schema del manipolo trasduttore dell’Ultracision Harmonic Scalpel®

Il generatore fornisce potenza sotto forma d’impulso elettrico al sistema


acustico; il manipolo trasforma l’energia elettrica del generatore in energia
meccanica. Un microprocessore controlla che il trasferimento d’energia sia
sempre tale da mantenere la frequenza costante (armonica). Il moto
meccanico viene trasferito dal manipolo allo strumento, che a seconda delle
necessità del chirurgo e del tipo di intervento può avere forme e lunghezza
differenti.
Harmonic è un sistema di dissezione/sezione ed emostasi a energia
meccanica (ultrasuoni), che opera alla frequenza di risonanza con massima
76
sicurezza, precisione e controllo senza l’applicazione di energia elettrica sul
paziente. Gli effetti degli ultrasuoni sui tessuti sono ottenuti con meccanismi
che si diversificano da quelli dell’elettricità.

Emostasi
La coagulazione ultrasonica è simile a quello dell’elettrochirurgia: i vasi
sono compressi ed il calore generato dalla vibrazione meccanica denatura le
proteine, generando un sigillo emostatico. La differenza sta nella temperatura
di azione: gli strumenti ad ultrasuoni sono in grado di ottenere l’emostasi a
temperature inferiori ai 100°C. L’emostasi con Harmonic Scalpel® passa infatti
attraverso due fasi successive:
− nella prima fase, detta di fusione proteica, la vibrazione della lama
provoca la denaturazione delle strutture quaternarie e terziarie delle
proteine: il tessuto proteico si fonde in un collagene vischioso che
occlude i vasi più piccoli - le temperature raggiunte in questa fase vanno
dai 37°C ai 63°C;
− in una seconda fase, ovvero prolungando l’applicazione dell’energia
meccanica (frizione), la temperatura supera i 63°C, completandosi la
denaturazione proteica con rottura dei legami idrogeno e delle strutture
secondarie delle proteine, in particolare del collagene – raffreddandosi, le
proteine denaturate creano un sigillo (coaptazione) in grado di occludere
anche i vasi maggiori (Fig. 11).

Fig. 11 – Fasi dell’azione degli ultrasuoni sui tessuti.

Da notare che le più alte temperature prodotte dall’elettrochirurgia causano


una denaturazione proteica che spesso degenera in una modificazione della
struttura primaria della proteina e nell’alterazione della sua natura; inoltre, le
alte temperature causano effetti di carbonizzazione dei tessuti e conseguente
necrosi.

Cavitazione
77
Il movimento della lama dello strumento Harmonic® crea un'area
transitoria di bassa pressione, che causa la vaporizzazione dei fluidi
intracellulari anche basse temperature. Di fatto, si ottiene l’evaporazione dei
liquidi intracellulari a temperature ben al di sotto dei 100°C e già a 40°C i
vapori generati si espandono tra gli strati tissutali e agevolano la dissezione dei
piani anatomici. L’effetto cavitazione ottimizza le condizioni di visualizzazione e
di operatività in generale.

Taglio
Il taglio può essere ottenuto simultaneamente alla coagulazione grazie alla
compartecipazione di effetti, quali calore, compressione e vibrazione meccanica
della lama che seziona i tessuti oltre il loro limite elastico. L’effetto meccanico
di taglio è ottenuto con maggiore efficacia su tessuti ad alta densità proteica
come i muscoli e, in generale, su tutti i tessuti ricchi di collagene.

Parametri di controllo del sistema


Gli effetti sinergici di cavitazione, fusione proteica, coagulazione e taglio
possono essere indotti singolarmente sul tessuto o in modo combinato. Per un
uso corretto del sistema Harmonic® è necessario conoscere quali fattori
influenzano la performance dello strumento ad ultrasuoni. In sintesi:
1. Livello di potenza del generatore (power level - da 1 a 5), che correla con
l’escursione della lama - un’escursione maggiore (livello 5 e attivazione
massima, MAX) corrisponde ad una velocità di taglio superiore a
discapito della coagulazione; viceversa, l’attivazione minima (MIN)
ottiene un effetto emostatico più efficace con tempi di taglio più lenti;
2. Tensione/trazione esercitata sul tessuto (tissue tension) - maggiore sarà
la tensione e più veloce sarà il taglio; tessuti vascolarizzati vanno trattati
con la minima tensione possibile;
3. Compressione esercitata sul tessuto (blade pressure) - l’effetto della
pressione sul tessuto è simile a quello della tensione, sebbene gli
strumenti più avanzati (serie ACE®, ad energia/emostasi avanzata)
abbiano un meccanismo di regolazione della compressione del tessuto tra
le branche che ottimizza la “prestazione” emostatica dello strumento
anche a pressioni elevate (ATT, Adaptive Tissue Technology);
4. Profilo affilato della lama dello strumento utilizzato (blade sharpness) -
un profilo affilato taglia più velocemente, un profilo smusso ha una
maggiore efficacia emostatica.
5. Posizione del tessuto tra le branche (disposizione della lama, blade
location) – in pratica, il piano di contatto tra lama attiva e tessuto: la
parte distale della lama taglia più velocemente della parte prossimale
(Fig. 12).

78
Fig. 12 - Bisturi a ultrasuoni Harmonic®. Parametri di controllo per il
bilanciamento degli effetti di coagulazione e sezione.

In altri termini, incrementare la compressione e/o la tensione/trazione sul


tessuto o il livello di potenza, così come scegliere di operare con la parte
distale della lama attiva, rende più rapida la sezione tissutale (con minore
produzione di calore). Al contrario ci si dovrà comportare se si desidera
sfruttare al meglio le potenzialità emostatiche dello strumento. In ogni caso si
dovrà tener conto ovviamente del tempo di applicazione degli ultrasuoni, oltre
che del tipo e dello spessore del tessuto

Strumentazione Harmonic®
Generatore (Gen11)
È una piattaforma tecnologica che combina insieme, in un unico
apparecchio, le tecnologie ad ultrasuoni (serie Harmonic®) e quella bipolare
avanzata a radiofrequenza (serie EnSeal®). Tale peculiarità garantisce
flessibilità all’operatore, che potrà scegliere la tecnologia da utilizzare in
funzione del contesto chirurgico e delle preferenze.

Forbici coagulanti multifunzione


Questi strumenti rappresentano i primi nati della tecnologia Harmonic®. Le
forbici vengono definite multifunzione perché consentono le funzioni di taglio,
emostasi di vasi fino a 7 mm di diametro, presa e dissezione, dando
all'operatore la sensazione di impugnare contemporaneamente e
costantemente quattro strumenti. La punta si compone di una branca attiva e
una inerte: la prima vibra a contatto con il tessuto e produce gli effetti fin qui
descritti; la seconda ha la funzione di comprimere il tessuto sulla lama attiva
facilitando emostasi, presa e dissezione. Le forbici più avanzate hanno una più
79
efficiente conformazione tridimensionale delle lame (curved shears); in
particolare, il Laparoscopic Coagulating Shears (LCS-5) Harmonic Scalpel® è
stato il primo strumento da 5 mm di diametro e con lama curva per una
migliore dissezione.
Recentemente si è reso disponibile uno strumento ancora più evoluto della
serie ACE®: l’Harmonic ACE®+7 Shears With Advanced Hemostasis (Fig. 13).

Fig. 13 - Harmonic ACE®+7 Shears. È evidente sul manipolo il bottone verde


della modalità advanced hemostasis.

Attraverso due algoritmi di controllo della potenza erogata, lo strumento è in


grado di controllare la temperatura e di sigillare efficacemente vasi fino a 7
mm di diametro. Il primo algoritmo è l’ATT, ovvero la tecnologia che si adatta
al tessuto, una tecnologia intelligente in grado di reagire a quanto sta
avvenendo tra le branche dello strumento e di intervenire per controllare
l’aumento della temperatura. La fase di taglio di Harmonic ACE®+7 Harmonic®
si associa in effetti ad un aumento del calore generato, poiché tra le branche
dello strumento il tessuto è molto assottigliato. Un sistema di comunicazione
tra strumento e generatore (l’ATT, appunto) è in grado di riconoscere questa
fase e di abbassare la potenza erogata per controllare l’aumento della
80
temperatura. Il danno termico, già molto basso rispetto all’elettrobisturi, viene
ridotto ulteriormente. Inoltre, un sistema di feedback acustico avvisa
l’operatore del raggiungimento della fase conclusiva del ciclo di taglio-
emostasi. Il segnale acustico riporta la concentrazione dell’operatore sulle
branche in azione dello strumento e consente quindi di migliorarne l’efficienza
(Fig. 14).

Fig. 14 - Diagramma dell’algorimo ATT (Adaptive Tissue Technology) integrato


nell’ Harmonic ACE®+7 Shears per il controllo della temperatura nel fase finale
del ciclo taglio-emostasi.

La superiore capacità emostatica dell’Harmonic ACE®+7 Shears deriva da


un secondo algoritmo intelligente. Questo è in grado di controllare l’erogazione
della potenza durante tutto il ciclo di taglio-emostasi (e non soltanto nella fase
conclusiva, come l’ATT). L’innovativo strumento ha infatti un’ulteriore modalità
di attivazione (oltre a MAX e MIN potenza) denominata “advanced hemostasis
mode”, che è suddivide il ciclo emostatico di un vaso in tre fasi e di modulare,
di conseguenza, la potenza del generatore. In una prima fase, detta di
surriscaldamento (pre-heating), la potenza erogata sarà elevata, per
consentire al tessuto di raggiungere i 63°C che “innescano” la denaturazione
proteica. Raggiunta questa temperatura, la potenza viene abbassata per
consentire al sistema di ottenere l’emostasi (vessel sealing) rallentando
l’effetto di taglio. La fase finale è quella della transezione (transection): una
volta ottenuto un sigillo sicuro ed efficace la potenza viene alzata col solo fine
di tagliare (Fig. 15).
81
Fig. 15 - Diagramma dell’algoritmo della modalità advanced hemostasis
integrato nell’ Harmonic ACE®+7 Shears per il controllo della potenza (power)
in tutte le fasi del ciclo taglio-emostasi (time).

E.
STRUMENTARIO LAPAROSCOPICO DI BASE
Gli strumenti laparoscopici, prima ancora che per il tipo di energia erogata
(elettrica monopolare, elettrica bipolare, meccanica ultrasonica), possono
essere classificati in base alla natura e ciclo di vita, alla loro destinazione d’uso
(taglio, presa, dissezione) e al calibro (Tab. 1).
Relativamente a natura e ciclo di vita, si distinguono strumenti e dispositivi
monouso, poliuso e semidisposable (ossia soluzioni miste/ibride), ognuno
caratterizzato da specifiche peculiarità, vantaggi e “punti di debolezza”. La
scelta del tipo di strumento più adeguato alle variabili esigenze cliniche, deve
essere quindi ponderata attentamente, considerandone non soltanto le
caratteristiche tecniche e qualitative, ma anche e – soprattutto in una
congiuntura di risparmio delle risorse - il rapporto costi-benefici dell’uso di un
dispositivo monouso, poliuso o semidisposable. L’adozione di strumentario
monouso è cresciuta in maniera esponenziale nel tempo grazie alla maggiore
efficienza garantita a prestazione, all’abbattimento dei costi di lavaggio e
sterilizzazione, oltre che del rischio di infezioni (HIV, epatite C, ecc.). Per
contro, gli strumenti poliuso hanno specifici vantaggi, tra cui principalmente
una riduzione dei costi di acquisto e di smaltimento degli strumenti monouso,
considerati rifiuti speciali infetti. Gli svantaggi dei monouso sono invece legati
82
al processo ciclico di lavaggio, disinfezione e sterilizzazione che richiede lunghe
tempistiche, attrezzatura specializzata e personale dedicato, con conseguente
incremento del rischio di errore umano e, più genericamente, di infezioni del
paziente e degli operatori sanitari. Come soluzione per così dire di
compromesso, sono stati immessi in commercio anche prodotti “ibridi”, i
cosiddetti semidisposable: il loro design modulare consente di sostituire solo
alcuni componenti monouso, potenzialmente con un ottimo rapporto
costo/beneficio, assommando i vantaggi del monouso, quali efficienza,
affidabilità e sicurezza operativa, a quelli di convenienza economica dei
poliuso.

Tab. 1 – Classificazione generale degli strumenti laparoscopici.

Relativamente alla destinazione d’uso, si distinguono varie tipologie di


strumenti laparoscopici con differente configurazione del morso, a seconda del
tipo di indicazione e del tessuto interessato. Oltre alla forbici laparoscopiche
(vedi anche sezioni precedenti), indispensabili sono le pinze da presa e il
crochet.

Forbici laparoscopiche
Le forbici possono essere rette, curve ad uncino, con punte aguzze o
arrotondate. Devono prevedere la possibilità di essere collegate
all’elettrogeneratore attraverso un attacco (monopolare standard o bipolare)
posto a 45° sul retro dell'impugnatura a pistola. Ampiamente utilizzate per la
83
loro versatilità, permettono di coagulare e sezionare mediante l’impiego
dell’elettricità, ma anche di isolare e preparare le strutture mediante una
dissezione precisa e accurata, puramente meccanica, grazie alle punte sottili e
delicate. Le forbici più utilizzate sono quelle di tipo Metzembaum,
caratterizzate da lama curva da 5 mm, con stelo antiriflesso lungo circa 310
mm completamente isolato e dotato di ghiera rotante a 360°.
Le forbici possono essere monouso, poliuso o semidisposable; in
quest’ultimo caso la componente operativa (asta) è monouso, mentre
l'impugnatura è riutilizzabile e senza cremagliera. Data la loro versatilità d’uso,
occorre considerare che le forbici poliuso vengono sottoposte ad innumerevoli
sollecitazioni che potrebbero ridurre nel tempo la loro performance (in
particolare, la capacità di taglio), rendendo necessaria un’eventuale riparazione
e/o nuova affilatura. Le forbici monopolari monouso o semidisposable, al
contrario, hanno il vantaggio di garantire sempre ottime prestazioni grazie a
lame sempre “nuove”, perfettamente taglienti e affilate.

Pinze da presa e dissezione


Come criterio generale si può affermare una pinza deve avere una presa
più delicata possibile, per ridurre il traumatismo tissutale, ma al tempo stesso
assicurare una buona tenuta e manipolazione del tessuto. Ad esempio, per la
manipolazione delle anse intestinali risulta particolarmente indicate pinze tipo
Dorsey, Croce/Olmi o Johan i cui morsi sono ampi, fenestrati e presentano una
zigrinatura sottile e ravvicinata che garantisce una presa sicura e delicata,
adeguata anche a tessuti fragili. Per strutture meno delicate, ad esempio la
parete gastrica, risultano più indicate le pinze di Babcock, che consentono una
presa più decisa ma sempre atraumatica. Infine, per afferrare la colecisti (o
altro viscere/tessuto) per l’estrazione dall’addome si può impiegare una pinza
da presa con denti, senz’altro “traumatica” ma che garantisce una tenuta
ottimale (pinza tipo grasper non fenestrata o endoclinch). Tra le tante pinze
laparoscopiche in commercio, si fa ampio utilizzo di pinze da dissezione tipo
Maryland, che hanno il vantaggio di avere una presa molto sottile, fine e
precisa che permette di afferrare con delicatezza poco tessuto, in modo da
isolarlo dalle strutture circostanti.
Infine, largo impiego trovano le pinze/forbici bipolari monouso multifunzione,
che offrono la possibilità di combinare in un unico strumento coagulo,
dissezione, presa e taglio a freddo, riducendo notevolmente i tempi operatori
della procedura.

Crochet
Altro strumento indispensabile in laparoscopica è il crochet, noto anche
come elettrodo coagulante a uncino. La tipologia di più comune utilizza un
elettrodo ad uncino con angolatura J; altre forme sono a spatola, sferico o ad

84
ago intercambiabile sulla stessa impugnatura.
Il crochet comune presenta impugnatura ergonomica coassiale, attacco
monopolare standard, calibro di 5 mm, stelo isolato lungo 360 mm circa e,
appunto, terminale a uncino. E’ ampiamente utilizzato per la sua versatilità, in
quanto permette coagulazione, dissezione elettrica o meccanica con il dorso,
con la punta o la sua parte concava. Nello specifico, con il dorso è possibile
spatolare i tessuti ed eseguire una dissezione smussa, mentre con la punta e la
parte concava si possono sottendere e sezionare strutture per trazione,
allontanandole e isolandole da quelle contigue.

85
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
RACCOMANDAZIONI E LINEE GUIDA
Alessandro Maturo

86
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
RACCOMANDAZIONI E LINEE GUIDA

Una sintetica esposizione delle più recenti linee guida per


l’appendicectomia laparoscopica (LA, laparoscopic appendectomy) non può
prescindere da alcune breve considerazioni preliminari e, nel contempo, dalla
segnalazione di alcune ultime evidenze che offrono nuovi motivi di discussione
su questioni, per così dire, di principio (in pratica, le indicazioni
all’appendicectomia) e su aspetti specifici e controversi della procedura
laparoscopica.
E’ quindi opportuno premettere che, come di regola sottolineato dagli stessi
redattori, le linee guida vanno considerate degli strumenti “flessibili” e in
evoluzione. In altri termini, si tratta più propriamente di raccomandazioni
elaborate da autorevoli esperti nell’ambito di consensus
(development/statement) conferences, quindi tradotte in guidelines quanto
più possibile condivise e, soprattutto, aggiornate sulle evidenze disponibili. Ad
esempio, all’ultimo Congresso della Società Italiana di Chirurgia Endoscopica e
Nuove Tecnologie (SICE) sono stati presentati i risultati dell’indagine
conoscitiva nazionale sull’approccio laparoscopico alle urgenze addominali.
L’audit - che è un progetto comune di SICE, Associazione Chirurghi Ospedalieri
Italiani (ACOI), Società Italiana di Chirurgia (SIC), Società Italiana di Chirurgia
d’Urgenza e del Trauma (SICUT) e Società Italiana di Chirurgia nell’Ospedalità
Privata (SICOP) – è il primo fondamentale passo per una valutazione dell’
“impatto clinico” e per un update delle Linee Guida Nazionali sull'Approccio
Laparoscopico nelle Urgenze Addominali (ovvero nell’Addome Acuto),
pubblicate nel 2012 anche con gli “auspici” dell' European Association for
Endoscopic Surgery (EAES). A tal proposito, è significativo che, sia nella
versione sinottica italiana (disponibile in Internet, nella sezione del sito
dell’Istituto Superiore di Sanità dedicata al Sistema Nazionale per le Linee
Guida - SNLG)1 sia nella relativa pubblicazione in inglese2, si ribadisca che le
guidelines proposte vogliono essere di “aiuto ai chirurghi nel difficile cammino
decisionale delle urgenze (…). Un aiuto, non una Bibbia, perché è
responsabilità del singolo professionista integrare la propria esperienza e

1
SICE-SIC-SICUT-SICOP-EAES. Approccio laparoscopico all’addome acuto - Consensus
Development Conference. In “Linee guida e documenti EBM delle società scientifiche” nella
sezione “Altri documenti evidence based” del Sistema Nazionale per le Linee Guida dell’Istituto
Superiore di Sanità (link diretto, ultimo accesso agosto 2015, http://www.snlg-
iss.it/cms/files/CC_laparoscopia_addome_sinossi.pdf)
2
Agresta F, et al. Laparoscopic approach to acute abdomen from the Consensus Develop-
ment Conference of the Società Italiana di ChirurgiaEndoscopica e nuove tecnologie (SICE),
Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI), Società Italiana di Chirurgia (SIC),
Società Italiana di Chirurgia d'Urgenza e del Trauma (SICUT), Società Italiana di Chirur-
gia nell'Ospedalità Privata (SICOP), and the European Association for Endoscopic Surgery
(EAES). Surg Endosc. 2012 Aug;26(8):2134-64.

87
conoscenza con quelle riportate nella più diversa Letteratura,
contestualizzando il tutto alla specifica situazione ed al singolo paziente”.
“Flessibilità” e “contestualizzazione” delle linee guida sono in qualche modo
ulteriormente ribadite dai risultati degli studi NOTA (Non Operative Treatment
for Acute Appendicitis) e APPAC (Appendicitis Acuta Trial). Il NOTA è uno
studio multicentrico italiano prospettico osservazionale, pubblicato su Annals of
Surgery nel 20143, il cui obiettivo primario era di verificare l’efficacia di una
gestione terapeutica non chirurgica (NOM, nonoperative management), ovvero
dell’antibioticoterapia (amoxicillina/acido clavulanico), in adulti con sospetta
appendicite acuta. Sulla base dei risultati nei 159 pazienti arruolati, gli Autori
concludono per l’efficacia e la sicurezza dell’atteggiamento conservativo: a
breve termine (7 giorni) la terapia antibiotica è in effetti risultata efficace in
quasi il 90% dei casi e al follow-up a 2 anni meno del 14% dei pazienti non
operati ha manifestato una recidiva del dolore in regione iliaca destra, che
peraltro può essere efficacemente trattato ancora con antibiotici. Nelle
conclusioni si sottolinea quindi che l’approccio NOM consentirebbe di evitare
appendicectomie non necessarie e, di conseguenza, ridurrebbe i rischi
chirurgici e i costi totali. In commenti successivi 4,5, si sono fatti notare alcuni
possibili bias dello studio italiano (ad esempio, assenza di randomizzazione,
diagnosi preoperatoria clinica e non strumentale con possibile sovrastima dei
casi, prevalenza di donne) e la necessità quindi di ulteriori conferme. Anche lo
studio finlandese APPAC - multicentrico, open-label e randomizzato -,
pubblicato in uno degli ultimi numeri di JAMA 6. Lo studio finlandese –– ha in
effetti dimostrato che nell’adulto con appendicite acuta non complicata,
accertata con TC, una terapia antibiotica sequenziale (ertapenem per 3 giorni,
poi levofloxacina per altri 7 giorni) ha evitato il trattamento chirurgico nel
70% circa dei pazienti così trattati. Al follow-up a 1 anno l’appendicectomia si è
comunque resa necessaria in quasi il 30% dei soggetti randomizzati al
trattamento conservativo. Pur considerando che nei pazienti sottoposti a
intervento chirurgico ritardato non si sono registrate complicanze significative
(in particolare, ascessi endoaddominali), i risultati non hanno dimostrato la
“non inferiorità” della antibioticoterapia rispetto all’appendicectomia: infatti,
l’endpoint primario di efficacia per il braccio in trattamento conservativo - cioè
la risoluzione della flogosi appendicolare senza necessità di intervento

3
Di Saverio S, et al. The NOTA Study (Non Operative Treatment for Acute Appendicitis):
prospective study on the efficacy and safety of antibiotics (amoxicillin and clavulanic acid) for
treating patients with right lower quadrant abdominal pain and long-term follow-up of
conservatively treated suspected appendicitis. Ann Surg. 2014 Jul;260(1):109-17.
4
Lubrano J, et al. The NOTA (Non Operative Treatment for Acute Appendicitis) Study: One
Step Beyond or Nearby? Ann Surg. 2014 Sep 10. [Epub ahead of print].
5
Foell D, et al. The Non Operative Treatment for Acute Appendicitis (NOTA) Study: Is Less
Surgery Better Surgery? Ann Surg. 2015 Jun 23. [Epub ahead of print].
6
Salminen P, et al. Antibiotic Therapy vs Appendectomy for Treatment of Uncomplicated Acute
Appendicitis: The APPAC Randomized Clinical Trial. JAMA. 2015 Jun 16;313(23):2340-8.
88
chirurgico a 1 anno dalla dimissione – non è stato centrato nel 27.3% dei
pazienti, una percentuale più alta del 24% predefinito come limite di “non
inferiorità”.
Appare dunque azzardato concludere che, analogamente alla prassi
comune per la diverticolite acuta non complicata, anche per l’appendicite acuta
non complicata l’intervento chirurgico non debba più essere considerato il
trattamento “routinario”, “standard” o “di scelta”. E’ verosimile che un
atteggiamento conservativo (o, meglio, di “osservazione attiva”) possa – di
pari passo con l’affinamento della diagnostica strumentale - ridurre le
appendicectomie non necessarie e, più in generale, i costi per il sistema
sanitario, ma occorrono più robuste conferme sui reali vantaggi per il paziente
di una simile scelta. Nel loro commento allo studio finlandese, gli esperti
dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” (link) contestano, di
principio, l’approccio metodologico di “non inferiorità", facendo notare che, nel
caso specifico, un potenziale vantaggio per il paziente (evitare l’intervento) si
associa a uno svantaggio di fatto non accettabile, ovvero una percentuale
assolutamente non trascurabile di fallimento dell’antibioticoterapia, in assenza
oltretutto di dimostrati sostanziali benefici in termini, ad esempio, di incidenza
di complicanze (peritoniti, ascessi endoaddominali, ecc.), che è poi quello che
interessa realmente al paziente. Lo studio finlandese, fallendo la dimostrazione
di “non inferiorità” dell’antibioticoterapia e non dimostrandone sostanziali
benefici clinici rispetto all’appendicectomia, conferma di fatto che la chirurgia
resta la scelta preferenziale nel paziente adulto con appendicite acuta anche
non complicata. Da notare, inoltre, che nello studio APPAC le appendicectomie
sono state realizzate con procedura laparotomica (OA, open appendectomy).
È quindi ipotizzabile una “superiorità” ancora più marcata della scelta
chirurgica (vs antibioticoterapia), considerando i dimostrati vantaggi
dell’appendicectomia laparoscopica (minore dolore postoperatorio, minore
durata della degenza, più rapida ripresa delle attività quotidiane, minore
incidenza di infezioni della ferita, ecc.)7. Una superiorità tendenziale della LA
sulla OA è stata recentemente confermata anche da una “revisione delle
revisioni sistematiche” (overview of SRs)8, una nuova metodologia di analisi
introdotta dalla Cochrane Collaboration. L’overview di 9 revisioni sistematiche
(con limite di ricerca ad agosto 2014, per un totale di oltre 70 studi clinici
controllati randomizzati) ha inoltre evidenziato che l’appendicectomia resta il
trattamento standard nei pazienti con sospetta appendicite acuta e che un
atteggiamento conservativo (antibioticoterapia) è proponibile in casi selezionati

7
Wise J. Routine appendectomy could be abandoned for uncomplicated appendicitis, study fin-
ds. BMJ. 2015 Jun 16;350:h3246.
8
Jaschinski T, et al. Laparoscopic versus open appendectomy in patients with sus-
pected appendicitis: a systematic review of meta-analyses of randomised controlled trials. BMC
Gastroenterol. 2015 Apr 15;15:48.

89
e/o in presenza di controindicazioni all’intervento chirurgico9. Una ancora più
robusta conferma della superiorità dell’approccio laparoscopico (vs open) è
nell’analisi del NIS (Nationwide Inpatient Sample) statunitense, un database
unico per numerosità: oltre 1.000 Centri ospedalieri per un totale di circa 8
milioni di degenze. In estrema sintesi, i dati (fino alla dimissione) di oltre 2,5
milioni di pazienti (di tutte l’età) sottoposti tra il 2004 e il 2011 ad
asportazione dell’appendice per flogosi acuta, senza o con perforazione,
evidenziano10:
- il costante e significativo incremento delle appendicectomie
laparoscopiche (LA): dal 43.3% del 2004 al 75% del 2011;
- una percentuale complessiva di conversione del 6.3%, con un
decremento dal 7.2% del 2004 al 5.6% nel 2011;
- la superiorità della LA rispetto alla OA, anche in presenza di perforazione,
per tutti gli outcomes considerati: morbidità e mortalità postoperatorie,
durata dell’ospedalizzazione, costo medio totale della degenza.
Pur in presenza di bias (studio retrospettivo, assenza di dati su durata
dell’intervento e di follow-up post-dimissione, ecc.), appaiono condivisibili le
“perentorie” conclusioni degli esperti statunitensi, ovvero che l’appendicetomia
laparoscopica “is safe and effective in the management of perforated and
nonperforated appendicitis, and should be considered the procedure of choice
in acute appendicitis in all groups of patients”.
Di pari passo con la crescita di una diversa “cultura chirurgica”, con
specifiche competenze ed abilità, e con la sempre più diffusa disponibilità h24
delle apparecchiature, l’appendicectomia laparoscopica sta dunque diventando
la procedura standard di scelta in tutti i pazienti con appendicite acuta, come è
evidente anche dall’evoluzione nel tempo delle linee guida. D’altra parte,
fondamentali per l’affermarsi definitivo dell’approccio laparoscopico sono
proprio le linee guida e il loro costante aggiornamento sulle evidenze, con
l’obiettivo ultimo di una progressiva standardizzazione della tecnica e, di
conseguenza, delle modalità del suo apprendimento. La standardizzazione è
importante anche per migliorare la qualità degli studi clinici
sull’appendicectomia laparoscopica.
Prima di una sintetica esposizione delle raccomandazioni per l’adulto,
meritano un cenno quelle indirizzate alla popolazione pediatrica. Di riferimento
restano le guidelines elaborate nel 2008 dall’International Pediatric

9
Jaschinski T, et al. Laparoscopic versus open appendectomy in patients with sus-
pected appendicitis: a systematic review of meta-analyses of randomised controlled trials. BMC
Gastroenterol. 2015 Apr 15;15:48.
10
Masoomi H, et al. Laparoscopic appendectomy trends and outcomes in the United States:
data from the Nationwide Inpatient Sample (NIS), 2004-2011. Am Surg. 2014
Oct;80(10):1074-7.
90
Endosurgery Group (IPEG), disponibili nel sito (www.ipeg.org)11. Premesso che
nell’infanzia e nella prima adolescenza la diagnosi può essere tardiva e che la
clinica può lasciare dubbi sulla progressione della malattia (con perforazione,
ascesso appendicolare e/o ascesso endoaddominale, quest’ultimo
verosimilmente favorito dalla ridotta componente adiposa dell’omento), è
significativo – alla luce soprattutto dei risultati del citato studio APPAC - il
richiamo alle opinioni divergenti sull’opportunità di un approccio iniziale
conservativo, con terapia antibiotica per almeno 24 ore, seguita dall’intervento
chirurgico. In casi selezionati può essere indicato il drenaggio percutaneo eco-
o TC-guidato dell’ascesso appendicolare. Nei casi complicati e inizialmente
trattati in maniera conservativa, l’intervento può eventualmente essere
differito fino a 2-3 mesi (cosiddetta interval appendectomy “in elezione”). In
realtà, se l’approccio conservativo è risultato efficace, l’“appendicectomia di
intervallo” è diventata obsoleta, ovvero non è più indicata “di routine”,
soprattutto perché è dimostrato che la “recidiva” della flogosi appendicolare è
rara e, se compare (generalmente entro l’anno), ha di regola un decorso
“benigno”.
Relativamente alla procedura, l’IPEG, in un’epoca per così dire di rapida
transizione, riteneva “reasonable” che la LA potesse essere considerata “at
least equivalent” alla open. L’approccio laparoscopico era particolarmente
indicato nei casi in cui la diagnosi preoperatoria è incerta. Le conclusioni
“datate” dell’IPEG, pur sostanzialmente a favore dell’appendicectomia
laparoscopica – che, rispetto alla open, ha gli stessi vantaggi dimostrati nella
popolazione adulta - appaiono dunque ancora “incerte” sulla sua indicazione in
presenza di appendicite complicata. D’altra parte, non c’è dubbio che
soprattutto l’ascesso appendicolare possa comportare qualche difficoltà tecnica
per uno specialista con esperienza laparoscopica non completa. Relativamente
alla tecnica “raccomandata” dall’IPEG, di regola a tre trocar di opportuno
calibro, si segnalano:
− la frequente introduzione dell’ottica attraverso la porta del quadrante
addominale inferiore destro, in-line con l’appendice;
− la possibilità di legatura/sezione extracorporea della base appendicolare,
estraendo l’appendice attraverso una cannula di 5 mm passata ancora
nella porta del quadrante addominale inferiore destro.
Nella pratica quotidiana, i soggetti di età inferiore ai 14 anni con sospetta
appendicite acuta sono di regola affidati, se possibile, alla gestione del chirurgo
pediatra, almeno in Italia. Il work-up diagnostico e terapeutico è in effetti
differente da quello dell’adulto e, di conseguenza, le evidenze disponibili non
sono reciprocamente estrapolabili. Ne consegue che le linee guida per la
popolazione adulta, di seguito sinteticamente esposte, debbono essere quanto

11
IPEG Standard and Safety Committee. IPEG guidelines for appendectomy. J Laparoendosc
Adv Surg Tech A. 2009 Feb;19(1):vii-ix.
91
meno criticamente considerate dallo specialista “non dedicato” che si trovasse
a gestire, per necessità contingenti, un soggetto non adulto.
Tornando all’adulto, il criterio cronologico di esposizione delle linee guida
fa risaltare l’evoluzione delle opinioni e delle pratiche, a conferma che la
laparoscopia ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per la chirurgia.

A.
Linee guida della Society of American Gastrointestinal and Endoscopic
Surgeons (SAGES - www.sages.org) – 200912
Nel “Preambolo” la SAGES sottolinea che, pur in presenza di una mole
crescente di evidenze favorevoli, le opinioni restano controverse sui vantaggi
dell’approccio laparoscopico, in particolare nell’appendicite complicata. Segue
subito una decisa “esclusione di responsabilità” (disclaimer), peraltro implicita
per tutte le raccomandazioni delle varie società scientifiche: le linee guida
hanno validità temporanea, debbono sempre essere intese in maniera flessibile
ed è il chirurgo che deve comunque scegliere l’approccio migliore per il singolo
caso e nello scenario “reale” in cui si trova ad operare. In sintesi, si elencano le
conclusioni più significative della SAGES:
− una pregressa laparotomia non è una controindicazione assoluta alla
procedura laparoscopica;
− per l’appendicite non complicata la LA è certamente (qualità/livello di
evidenza - LoE I; forza/grado della raccomandazione- GoR A)
un’alternativa efficace e sicura alla OA;
− secondo le evidenze, non di “primo livello”, disponibili al momento, la LA
può essere realizzata in sicurezza e addirittura potrebbe essere
(possibly) la scelta preferenziale anche in pazienti con malattia
complicata;
− in riferimento soprattutto all’incidenza di ascessi pelvici postoperatori, nei
pazienti con appendicite complicata la scelta della procedura
laparoscopica è ovviamente correlata all’esperienza specifica del team –
si consideri che, in alcune serie, una tecnica regolata (con lavaggio
peritoneale) ha significativamente ridotto la percentuale di ascessi
endoaddominali dopo una learning curve di 20 casi; la standardizzazione
della tecnica è d’altra parte premessa importante per ridurre tempi
operatori, complicanze e costi;
− l’approccio laparoscopico è da preferire (LoE I, GoR A) nella donna in età
fertile con sospetta appendicite, poiché – rispetto all’open - migliora
l’accuratezza diagnostica, consentendo con maggior frequenza
l’accertamento definitivo della patologia; LoE e GoR sono inferiori per
pazienti anziani, donne in gravidanza e soggetti obesi – per la

12
Korndorffer JR Jr, et al. SAGES guideline for laparoscopic appendectomy. Surg Endosc. 2010
Apr;24(4):757-61.
92
laparoscopia diagnostica, di cui si tratterà ancora, vedi anche le
specifiche linee guida della SAGES disponibili online13;
− relativamente agli aspetti tecnici, si ribadisce il principio base della
triangolazione nel posizionamento dei trocar: la porta iniziale è
ombelicale (10-12 mm), mentre le secondarie sono lasciate alla
preferenza del chirurgo; si fa comunque notare che, con due “porte di
lavoro” in quadranti addominali adiacenti (ad esempio, distale sinistro e
soprapubico), l’operatore può agire “a due mani”, senza necessità di
affidarsi ad un aiuto che assicuri la retrazione mentre procede alla
dissezione.
Nelle linee guida della SAGES si affronta anche un tema tuttora dibattuto,
ovvero cosa fare se alla laparoscopia l’appendice appare indenne. La decisione
va presa caso per caso, ma la raccomandazione è sostanzialmente a favore
dell’exeresi di principio, considerando che un’appendice macroscopicamente
normale può non esserlo a livello istopatologico fin nel 40% dei casi. Da notare
che nelle linee guida del 2006 dell’European Association for Endoscopic Surgery
(EAES - www.eaes-eur.org), dedicate all’impiego della laparoscopia nelle
urgenze/emergenze addominali (addome acuto)14, lo statement – di seguito
riportato nella versione inglese originale – era alquanto difforme: “Patients
with symptoms and diagnostic findings suggestive of acute appendicitis should
undergo diagnostic laparoscopy (GoR A) and, if the diagnosis is confirmed,
laparoscopic appendectomy (GoR A). If diagnostic laparoscopy shows that
symptoms cannot be ascribed to appendicitis, the appendix may be left in situ
(GoR B)”. La raccomandazione all’exeresi non è comunque di livello massimo.
In altri termini, la scelta di non asportare l’appendice apparentemente “non
colpevole” appare senz’altro corretta se si evidenzia un’altra causa del quadro
clinico (evenienza non infrequente nella donna), ma è opinabile se segni e
sintomi sono fortemente suggestivi di un’appendicopatia acuta che l’indagine
laparoscopica potrebbe aver colto in una fase precoce, ovvero con
infiammazione limitata agli strati “intramurali” della parete del viscere
(cosiddetta appendicite endoluminale o endoappendicite). Una più recente
indagine internazionale di SAGES, SFCE (Société Française de Chirurgie
Endoscopique) e SICE (Società Italiana di Chirurgia Endoscopica)15 ha
confermato che la maggioranza dei chirurghi (il 70% circa) che hanno risposto
al questionario asporta di principio l’appendice normale anche nei soggetti
maschili, con varie motivazioni (49% “per possibile appendicite endoluminale”,

13
Hori Y; SAGES Guidelines Committee. Diagnostic laparoscopy guidelines. Surg Endosc. 2008
May;22(5):1353-83.
14
Sauerland S, et al. Laparoscopy for abdominal emergencies: evidence-based guidelines of
the European Association for Endoscopic Surgery. Surg Endosc. 2006 Jan;20(1):14-29.
15
Jaunoo SS, et al. An international survey of opinion regarding investigation of possible
appendicitis and laparoscopic management of a macroscopically normal appendix. Ann R Coll
Surg Engl. 2012 Oct;94(7):476-80.
93
37% “per prevenire una futura appendicite”, 15% “per evitare future
incertezze del paziente sull’avere ancora o non avere più l’appendice”). In
assenza di una linea guida univoca, le conclusioni sono per l’asportazione
dell’appendice apparentemente sana se non vi è altra spiegazione per la
sintomatologia riferita dal paziente. Un altro dato interessante emerso
dall’indagine è la preferenza dei membri SAGES per la tomografia
computerizzata (TC) per risolvere il dubbio diagnostico in un paziente con
dolore acuto in regione iliaca destra; al contrario, per la maggioranza dei soci
SFCE e SICE la prima scelta è la laparoscopia, in particolare nella donna.
Infine, meritano un cenno – in riferimento ancora a quelle coeve della
SAGES già riassunte - le linee guida per la diagnosi e la gestione delle infezioni
intra-addominali pubblicate nel 2010 dalla Surgical Infection Society (SIS -
www.sisna.org) e dalla Infectious Diseases Society of America (IDSA -
www.idsociety.org)16, di cui peraltro è in corso l’aggiornamento. Le specifiche
raccomandazioni sono elencate e discusse in due sezioni (“Pathways for the
Diagnosis and Management of Patients with Suspected Acute Appendicitis” e
“What Are the Key Elements that Should Be Considered in Developing a Local
Appendicitis Pathway?). In sintesi:
− la TC spirale (con contrasto endovenoso) è la procedura di imaging
raccomandata in pazienti con sospetta appendicite non confermata dal
routinario work-up clinico e di laboratorio; in particolare, va presa in
considerazione in tutte le donne (previo test di gravidanza, se in età
fertile) e anche nei bambini di età < 3 anni, nei quali ultimi l’ecografia
può essere una ragionevole alternativa per evitare le radiazioni
ionizzanti;
− la laparoscopia diagnostica resta una “seconda scelta” (TC non
risolutiva e/o condizioni cliniche che non migliorano);
− il sospetto clinico deve in ogni caso guidare le scelte gestionali,
indipendentemente da laboratorio e imaging, e la TC, che può dare
falsi negativi, non appare comunque indicata negli uomini con età < 40
anni e quadro clinico tipico;
− l’intervento chirurgico per appendicite acuta non perforata va realizzato
appena “ragionevolmente” possibile, ma può essere differito per un
breve periodo;
− LA e OA sono procedure entrambe accettabili e la scelta, se
ovviamente le apparecchiature laparoscopiche sono disponibili, è
condizionata soltanto dall’esperienza dell’operatore (LoE I, GoR A) – si
noti che i due approcci sono giudicati “alla pari”;

16
Solomkin JS, et al. Diagnosis and management of complicated intra-abdominal infection in a-
dults and children: guidelines by the Surgical Infection Society and the Infectious Diseases So-
ciety of America. Clin Infect Dis. 2010 Jan 15;50(2):133-64.
94
− un atteggiamento conservativo (con antibioticoterapia) può essere
preso in considerazione, in particolare nel soggetto maschile, soltanto
se si constata un marcato miglioramento del quadro clinico prima del
programmato intervento o comunque entro 24 ore dall’inizio della
terapia farmacologica;
− i pazienti con appendicite perforata debbono essere sottoposti ad
intervento chirurgico urgente per un adeguato controllo della fonte di
infezione;
− l’appendicectomia è di regola differita in presenza di ascesso peri-
appendicolare ben circoscritto, che può essere drenato con minori
rischi per via percutanea o chirurgica;
− in pazienti selezionati (ricovero tardivo, dopo alcuni giorni dall’esordio
del processo flogistico, e/o con ascesso di limitate dimensioni) è
possibile un atteggiamento analogo a quello messo in atto per la
diverticolite acuta, evitando qualsiasi procedura invasiva; resta
controverso il ricorso all’appendicectomia di intervallo, che alcune
evidenze dimostrano non essere necessaria nel 75% e fino al 90% dei
casi trattati con successo in maniera conservativa (si vedano, a
proposito, le critiche allo studio APPAC).

B.
Linee guida dell’ Associazione dei Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI -
www.acoi.it) – 2010-201117
Si citano doverosamente poiché sono le prime in Europa ad aggiornare le
guidelines EAES del 2006 - e ad aggiungersi, con significative differenziazioni,
a quelle della SAGES - e, soprattutto, perché costituiscono una premessa
fondamentale, una sorta di ponte o, se si vuole, di work in progress verso la
forma più compiuta della Consensus Development Conference sull’addome
acuto del 2012, multisocietaria (con la partecipazione della stessa EAES) e
multidisciplinare (vedi Sezione C). E’ significativo che le linee guida dell’ACOI
siano state promosse ed elaborate dalla “Commissione Giovani”
dell’Associazione, in risposta a una crescente domanda formativa. Se ne
raccomanda la lettura della stesura finale – pubblicata solo in italiano e
disponibile online sia nel sito associativo (link, cui si fa riferimento) che in
quello dell’Istituto Superiore di Sanità (link) - perché integrata da un’ulteriore
revisione sistematica della letteratura disponibile fino a gennaio 2010, oltre che
da interessanti capitoli di storia ed epidemiologia. Sulla base di un audit
informativo su 460 reparti chirurgici nazionali (pubblicato online nel marzo

17
Vettoretto N, et al.; Italian Association of Hospital Surgeons (Associazione dei Chirurghi
Ospedalieri Italiani). Consensus conference on laparoscopic appendectomy: development
of guidelines. Colorectal Dis. 2011 Jul;13(7):748-54.
95
2011)18, sono state definiti 14 quesiti proposti a un panel di 21 esperti
(chirurghi laparoscopisti e non), scelti dal Consiglio Direttivo dell’ACOI. Le
risposte, previa analisi motivata degli esperti, referaggio anche esterno e
vaglio finale di un auditorio congressuale (Consensus Conference, Olbia maggio
2009), hanno infine preso la forma di statements, con la premessa introduttiva
che “l’appendicectomia laparoscopica è un intervento su cui ancora si dibatte, e
la qualità dei dati è insufficiente per fornire validità ai fini di definirla il gold
standard”. In sintesi, le raccomandazioni più significative sono (vedi Tabella
per relativi LoE e GoR):
− la diagnosi di appendicite acuta è fondamentalmente clinica, benché
l’ecografia dell’addome sia un utile completamento per la diagnosi
differenziale con altre patologie (LoE IIB, GoRB);
− la tomografia computerizzata (TC) dell’addome è da considerare un
esame di seconda scelta da riservare a casi selezionati, in particolare
anziani e obesi, per escludere altre patologie (ad esempio, neoplasia
colica) e non solo per confermare la patologia appendicolare (LoE IIB,
GoR B); l’uso routinario della TC non migliora sostanzialmente la
percentuale di appendiciti “negative” all’esplorazione;
− nelle donne in età fertile sono raccomandati una visita ginecologica e un
test di gravidanza preoperatori (LoE IV, GoR C) – da notare che tuttora
non c’è consenso unanime sull’appendicectomia laparoscopica nelle
donne in gravidanza (rischio aborto maggiore che per OA);
− nel dolore addominale acuto in regione iliaca destra si raccomanda una
laparoscopia come ultimo atto diagnostico e primo atto terapeutico (LoE
IA, GoR A), in particolare nei casi di diagnosi incerta con sintomatologia
dolorosa che dati da meno di 7 giorni;
− in assenza di specifiche controindicazioni, l’approccio laparoscopico si
considera preferibile nelle donne in età fertile (LoE IA, GoR A) e, sia pur
con evidenze meno robuste, anche negli uomini (LoE III, Gor C) e in
pazienti obesi (LoE III, GoR C); la procedura laparoscopica è applicabile
anche agli anziani, previo accurato work-up diagnostico (LoE IIB, GoR
C);
− in caso di appendice macroscopicamente normale non si raggiunge un
consenso relativo alla sua conservazione, tranne che in presenza di altre
patologie che giustifichino il quadro clinico (LoE IIB, GoR B); la
maggioranza degli esperti è comunque a favore della rimozione per la
possibilità di endoappendicite e anche per il riscontrato miglioramento in
alcuni casi della sintomatologia dolorosa;

18
Vettoretto N, et al.; Young Surgeons' Committee, Italian Associaton of Hospital Surgeons.
Diffusion of laparoscopic appendectomies in Italy: a national audit. Minim Invasive Ther Allied
Technol. 2012 Mar;21(2):101-7.

96
− peritonite, ascesso, appendicite gangrenosa o perforazione non sono
indicazioni alla conversione di principio; ogni situazione deve essere
valutata singolarmente, sulla base dell’esperienza dell’operatore (LoE IB,
GoR A) - l’indicazione alla laparoscopia nell’appendicite complicata è
tuttora dibattuta, ma le evidenze indicano che, in mani esperte e con
tecnica standardizzata (esplorazione metodica, lavaggio completo),
anche in questi casi gli outcomes sono migliori dell’approccio open;
− gli accessi dei trocar ombelicale, sovrapubico e in fossa iliaca sinistra
sono considerati i migliori per consentire un’ottimale triangolazione: è la
disposizione privilegiata dalla Scuola italiana, ma non c’è evidenza che
impatti favorevolmente sugli outcomes rispetto ad altre modalità di
accesso (LoE V, GoR D) – da notare che per la tecnica “single-port”, di
cui si tratterà in seguito insieme con la NOTES (attraverso orifizi
naturali), il dibattito è in continua evoluzione;
− il panel di esperti considera la coagulazione bipolare come la tecnica più
economica ed affidabile per la sezione del mesenteriolo (LoE V, GoR D) e
privilegia l’uso del loop per la sezione del viscere (LoE IA, GoR A),
ritenendo che, anche per i costi elevati, l’uso delle suturatrici meccaniche
sia appropriato soltanto in presenza di gangrena estesa alla base
dell’appendice, includendo nella sezione un “francobollo” di tessuto
ciecale per aumentare la sicurezza di tenuta (LoE III, GoR C);
− è indicato (LoE III, GoR C) l’uso routinario di una protezione del pezzo
operatorio durante l’estrazione (endobag, intra-trocar, altri presidi), pena
l’incremento di incidenza di infezioni della ferita e altre possibili più rare
complicanze (ad esempio, port site metastases);
− non è indicato l’uso routinario del drenaggio (LoE IA, GoR A), che può
essere addirittura dannoso, ma che è comunque accettato in presenza di
peritonite diffusa o ascessi e/o in casi selezionati a rischio (terapia
steroidea, patologie croniche, ecc.);
− la learning curve richiede un minimo di 20 procedure, ma le evidenze non
sono comunque di livello elevato (LoE III, GoR C).

Tabella – Livelli di evidenza e grado della raccomandazione nelle linee


guida ACOI 2010-2011 per l’appendicectomia laparoscopica.

QUALITÁ/LIVELLI DI EVIDENZA (LoE)


E FORZA/GRADO DELLE RACCOMANDAZIONI (GoR)

97
Livelli di evidenza

Ia - Review sistematica (con omogeneità) di RCTs (randomized controlled trial)


Ib - RCT singolo (con intervallo di confidenza ristretto)
Ic - Studi basati sul “tutti o nessuno”
IIa - Review sistematica (con omogeneità) di studi di coorte
IIb - Studio di coorte singolo, incluso RCT di bassa qualità (ad esempio, follow-up<80%)
IIc - Ricerca sugli esiti (outcome research); studi epidemiologici descrittivi (ecologici)
IIIa - Review sistematica (con omogeneità) di studi caso-controllo
IIIb - Studio caso-controllo singolo
IV - Report di casi clinici (e studi di coorte e caso-controllo di scadente qualità)
V - Opinione di esperti senza valutazione critica esplicita o basata su fisiologia, ricerca
comparata o principi di fisiopatologia

Gradi di raccomandazione

A- Studi di livello 1
B- Studi di livello 2 o 3 oppure estrapolazioni da studi di livello 1
C- Studi di livello 4 o estrapolazioni da studi di livello 2 o 3

D - Livello 5 di evidenza o studi non conclusivi o dubbi di qualunque livello

Dalle linee guida ACOI è dunque possibile trarre alcune significative


conclusioni, ovvero:
− l’appendicetomia laparoscopica non può essere ancora considerata
unanimemente il “gold standard”, ma… si avvia ad esserlo, anche per
l’appendicite complicata (in mani esperte e con tecnica standardizzata);
− l’approccio laparoscopico è fortemente raccomandato, in particolare se la
diagnosi è incerta e nelle donne in età fertile, come ultimo atto
diagnostico e primo atto terapeutico - da notare che in soggetti a rischio
(anziani, obesi) e nelle donne in età fertile il sospetto clinico può
cambiare nel 30% circa dei casi.
I risultati del nuovo audit dell’ACOI, oltre a verificare l’implementazione delle
linee guida a livello nazionale, potranno confermarne la validità e suggerirne i
necessari aggiornamenti sulla base delle nuove evidenze.

C.
Consensus Development Conference sull’addome acuto di Società
Italiana di Chirurgia Endoscopica e nuove tecnologie (SICE -
www.siceitalia.com), Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI
- www.acoi.it), Società Italiana di Chirurgia (SIC -
portale.sichirurgia.info), Società Italiana di Chirurgia d'Urgenza e del
Trauma (SICUT - www.triumphgroupinternational.com), Società
Italiana di Chirurgia nell'Ospedalità Privata (SICOP -

98
www.sicopchirurgia.it) ed European Association for Endoscopic
Surgery (EAES - www.eaes-eur.org) – 2011-201219
L’obiettivo primario delle cinque società chirurgiche nazionali (con SICE
promotrice) era di aggiornare le linee guida specifiche dell’EAES pubblicate nel
2006 (Sauerland S, et al. Surg Endosc, 2006). Nel panel erano presenti anche
radiologi (SIRM), anestesisti (SIAARTI), ginecologi (SIGO), epidemiologi,
infermieri (IPASVI), esperti dei servizi sanitari, amministratori ospedalieri
(Federsanità), medici manager ospedalieri (SIMM), esperti delle autorità
regolatorie sanitarie (ISS), responsabili di associazioni di pazienti
(Cittadinanzattiva). Le raccomandazioni, indirizzate alla popolazione adulta,
hanno quindi una peculiare autorevolezza che discende dalla collegialità
(coinvolta in pratica tutta la comunità chirurgica italiana) e dalla
multidisciplinarietà dei redattori, oltre che dal vaglio in Rete cui sono state
preliminarmente sottoposte. Inoltre, assumono una connotazione propriamente
europea per il contributo dell’EAES, in particolare nella fase di referaggio
esterno, cui ha partecipato anche l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario
Negri”. In sintesi, sulla base delle evidenze a novembre 2010 e relativamente
all’appendicite acuta, lo statement conclusivo, riportato nella versione
originale, afferma che “patients with symptoms and diagnostic findings
suggestive of acute appendicitis should undergo diagnostic laparoscopy (GoR
A) and, if the diagnosis is confirmed, laparoscopic appendectomy (GoR A)”. In
altri termini, pur considerando il miglioramento delle tecniche di imaging, la
laparoscopia diagnostica appare particolarmente utile quando è possibile anche
un trattamento laparoscopico, così come ribadito dalle precedenti linee guida
ACOI. In particolare:
− La LA può essere considerata l’intervento di scelta (gold standard) nelle
donne in pre-menopausa ed è ugualmente proponibile in soggetti
anziani, obesi e di sesso maschile – si noti la “cautela” rispetto ad una
politica “all comers”, giustificata da evidenze insufficienti di superiorità
della LA negli uomini in generale e, con grading diversificato, in altre
sottopopolazioni di pazienti;
− anche un quadro di appendicite complicata può essere affrontato per via
laparoscopica – il segnalato incremento di ascessi endo-addominali è
probabilmente correlato a esperienze iniziali e non è stato confermato
da reviews recenti;
− nonostante evidenze di sicurezza anche in gravidanza, i vantaggi della LA
appaiono inferiori al rischio di aborto, che è maggiore rispetto alla OA;

19
Agresta F, et al. Laparoscopic approach to acute abdomen from the Consensus Development
Conference of the Società Italiana di Chirurgia Endoscopica e nuove tecnologie (SICE),
Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI), Società Italiana di Chirurgia (SIC), Società
Italiana di Chirurgia d'Urgenza e del Trauma (SICUT), Società Italiana di Chirurgia
nell'Ospedalità Privata (SICOP), and the European Association for Endoscopic Surgery (EAES).
Surg Endosc. 2012 Aug;26(8):2134-64.
99
− se durante l’esplorazione della cavità addominale viene riscontrata la
presenza di una patologia alternativa, correlabile al quadro clinico,
l’asportazione di una appendice normale non è raccomandata; se
tuttavia non si riscontra nessun’altra malattia e l’appendice appare
macroscopicamente normale, è opportuno procedere alla
appendicectomia se è presente una storia clinica pregressa di dolori
appendicolari e nel caso in cui gli esami preoperatori (ecografia o TC)
abbiano rilevato la presenza di un fecalita o di contenuto fecale
all’interno dell’appendice – la raccomandazione poggia sulle evidenze
che la morbilità per appendicectomia non è significativamente superiore
a quella della laparoscopia esplorativa, per cui, se l’esperienza del
Centro è adeguata (incidenza minima di ascessi), l’exeresi del viscere è
consigliabile per prevenire il dolore ricorrente e ridurre la frequenza di
nuovo ricovero (fino al 13%), oltre che per evitare di non trattare una
possibile endoappendicite, rilevata istologicamente in una percentuale
tra l’11% ed il 26% (e fino al 40% circa in alcune casistiche) delle
appendici considerate macroscopicamente normali;
− tre porte restano ancora il gold standard per la LA, ma la disposizione è
lasciata alla scelta dell’operatore – in donne giovani due trocar
sovrapubici, oltre ovviamente all’ombelicale, sembrano dare migliori
risultati estetici, mentre da riservare a casi selezionati e non complicati
la needlescopy (con strumenti da 3 a 5 mm); la tecnica single-port è
considerata ancora inferiore alla standard, mentre la NOTES (attraverso
orifizi naturali) è realizzata e realizzabile solo in studi clinici rigidamente
controllati e/o protocolli sperimentali;
− relativamente alla chiusura del moncone, l’aumento dei costi con le
suturatrici meccaniche influenza la scelta a favore del laccio (loop), in
assenza di evidenze che provino una riduzione degli ascessi
endoaddominali con l’uso dello stapler.
Quello della gestione del moncone appendicolare è uno degli aspetti
tecnici più controversi. In attesa dei risultati di una specifica Cochrane20, la
questione offre al panel di esperti lo spunto per alcune considerazioni di più
ampio respiro. Di fatto l’appendicectomia laparoscopica è perlopiù eseguita da
chirurghi giovani e meno esperti, relativamente spesso durante le ore
pomeridiane o notturne, e quindi un gesto di esecuzione più semplice e
tecnicamente standardizzato come la sutura meccanica potrebbe rivelarsi
vantaggioso. Il “valore formativo” del ricorso alla stapler non è tuttavia
unanimemente riconosciuto; in tal senso, per molti è preferibile il
posizionamento di un loop, che richiede l’apprendimento di una specifica

20
Su Peng, et al. Appendix stump closure during laparoscopic appendectomy (Protocol).
Cochrane Database Syst Rev 2012 December 12; 2:CD006437. DOI:
10.1002/14651858.CD006437.pub2.
100
gestualità operativa tipica della procedura laparoscopica. E’ comunque opinione
condivisa che non possano essere (soltanto) i costi a condizionare indicazioni e
scelte e, soprattutto, che la standardizzazione della tecnica è di fondamentale
importanza per migliorare la qualità degli studi e anche i protocolli di
insegnamento/addestramento.
La standardizzazione può inoltre contribuire a una maggior diffusione della
LA in ambito nazionale. Sulla base del citato audit dell’ACOI, la LA è sì
realizzata in oltre il 90% delle unità di chirurgia che hanno risposto al
questionario, ma ancora in un ridotto numero di casi (30-60% delle
appendicectomie), non correlato comunque al volume complessivo di attività, e
da team laparoscopici selezionati (cui partecipano meno del 30% dei chirurghi
attivi nella stessa struttura). Pur in presenza di un incremento della
disponibilità delle necessarie attrezzature anche nelle ore notturne, l’approccio
laparoscopico appare quindi ancora lontano dall’essere considerato il gold
standard, dal momento che solo nel 45% delle strutture la maggioranza dei
pazienti affetti da appendicite acuta è trattata laparoscopicamente. Da notare,
inoltre, la sostanziale non concordanza sulle indicazioni e che la politica “all-
comers” adottata nel 48% dei centri interpellati – con inclusione, ad esempio,
di casi selezionati di soggetti oltre i 70 anni di età - non appare suffragata da
evidenze certe, come evidenziato da successive revisioni Cochrane del 2010,
2011 e 2014. Le Cochrane confermano comunque la tendenziale superiorità
della LA (versus OL)21, con vantaggi fuori discussione nella donna in età fertile
(alto valore diagnostico con riduzione delle appendicectomie “non
necessarie”)22,23. Gli imminenti risultati della nuova indagine ACOI forniranno
una “fotografia” aggiornata della situazione, da utilizzare per un eventuale
update delle linee guida e soprattutto per elaborare più efficaci strategie per la
loro omogenea implementazione.

D.
Linee guida per la gestione delle infezioni endo-addominali e position
paper sull’appendicite acuta della World Society of Emergency Surgery
(WSES - www.wses.org.uk) – 2012-201324,25
Aggiornamento di quelle del 201026, le guidelines della WSES – in cui la
componente italiana è significativa - si caratterizzano per due statements
21
Sauerland S, et al. Laparoscopic versus open surgery for suspected appendicitis. Cochrane
Database Syst Rev. 2010 Oct 6;(10):CD001546.
22
Gaitán HG, et al. Laparoscopy for the management of acute lower abdominal pain in wo-
men of childbearing age. Cochrane Database Syst Rev. 2011 Jan 19;(1):CD007683.
23
Gaitán HG, et al. Laparoscopy for the management of acute lower abdominal pain in wo-
men of childbearing age. Cochrane Database Syst Rev. 2014 May 22;5:CD007683.
24
Sartelli M, et al. 2013 WSES guidelines for management of intra-abdominal infections. World
J Emerg Surg. 2013 Jan 8;8(1):3.
25
Agresta F, et al. Acute appendicitis: position paper, WSES, 2013. World J Emerg Surg. 2014
Apr 7;9(1):26.
101
specifici con massimo grading (1a, ovvero – secondo Guyatt et al.27 - “forte
raccomandazione applicabile alla maggior parte dei pazienti nella maggior
parte delle circostanze senza riserve)”. Vale la pena riportarli nella versione
originale:
− “The appendectomy remains the treatment of choice for acute
appendicitis. Antibiotic therapy is a safe means of primary treatment for
patients with uncomplicated acute appendicitis, but this conservative
approach is less effective in the long-term due to significant recurrence
rates” – in pratica, l’atteggiamento conservativo è un’alternativa
possibile soltanto se la malattia non è complicata e la chirurgia è
controindicata;
− “Both open and laparoscopic appendectomies are viable approaches to
surgical treatment of acute appendicitis” – sulla LA, tendenzialmente
superiore per tutti i tradizionali outcomes, graverebbe ancora una
superiore incidenza di ascessi endo-addominali, peraltro correlabile
all’esperienza del team laparoscopico; da notare, inoltre, che il lavaggio
intraoperatorio sistematico non appare in grado di ridurre gli ascessi e
può essere evitato, ma è una “raccomandazione debole e la scelta
operativa migliore varia a seconda delle circostanze, del caso specifico,
dell’esperienza dell’operatore e di altre problematiche generali”.
Il successivo position paper rappresenta invece, in accordo con la peculiare
scientific development policy (SDP) della WSES28, il primo passo (l’opinione di
esperti “interni” derivata da una revisione sistematica delle evidenze
disponibili) per la pubblicazione entro 2-3 anni, attraverso una Consensus
Conference e il vaglio finale del Congresso societario, di linee guida aggiornate
e specifiche per l’appendicectomia laparoscopica. E’ interessante osservare che
l’obiettivo prioritario della SDP è l’innesco di un “circolo scientifico virtuoso”
mirato ad evitare – cadenzando appunto i tempi dell’update - l’obsolescenza
delle raccomandazioni: in altri termini, si tratta di mantenere il passo del
rapido e costante progresso delle conoscenze e delle tecnologie, oltre che
ovviamente delle esperienze.
Il “punto di vista” degli esperti del Board della WSES, da proporre alla
valutazione della Consensus Conference, poggia ovviamente sulle precedenti
linee guida e sulle evidenze degli ultimi 5 anni (fino al 30 aprile 2013). In
sintesi, le valutazioni/raccomandazioni più significative sono:

26
Sartelli M, et al. WSES consensus conference: Guidelines for first-line management of intra-
abdominal infections. World J Emerg Surg. 2011 Jan 13;6:2.
27
Guyatt G, et al. Grading strength of recommendations and quality of evidence in clinical gui-
delines: report from an american college of chestphysicians task force. Chest. 2006 Jan;129
(1):174-81.
28
Catena F, et al. Emergency surgeon: " last of the mohicans" 2014-2016 editorial policy
WSES- WJES: position papers, guidelines, courses, books and original research; from WJES
impact factor to WSES congress impact factor. World J Emerg Surg. 2014 Feb 3;9(1):14.
102
− l’approccio laparoscopico, come emerge anche dalle citate guidelines
2011-2012 dell’ACOI e della Consensus Development Conference
multisocietaria 2011-2012, è raccomandabile anche nelle appendiciti
complicate e, soprattutto, deve essere considerato “l’ultimo atto
diagnostico e il primo atto terapeutico” – si tenga conto, a tal
proposito, che la conversione non impatta negativamente sugli
outcomes;
− oltre che le donne in età fertile, potrebbero trarre vantaggi
dall’approccio laparoscopico anche soggetti con rischio incrementato di
complicanze, quali anziani ed obesi e anche soggetti
immunocompromessi, come confermato da numerose evidenze, tra cui
gli studi sugli ingenti database dell’American College of Surgeons
National Surgical Quality Improvement Program (ACS/NSQIP)29,30 e
dello stesso NIS31;
− in presenza di un’appendice macroscopicamente indenne è
raccomandata l’appendicectomia di principio, considerando l’elevata
percentuale di riscontro istologico di endoappendicite (fin quasi nel
30% dei casi, e anche oltre in alcune casistiche) e che comunque –
come già rilevato dalla citata Consensus Conference multisocietaria –
la morbilità dell’appendicectomia non è significativamente maggiore di
quella correlata alla laparoscopia esplorativa;
− la più elevata incidenza di ascessi endoaddominali post-LA deve essere
criticamente valutata in rapporto all’esperienza dell’operatore e
all’implementazione di una tecnica standardizzata, considerando
comunque che i costi post-dimissione sono significativamente inferiori
rispetto alla OA;
− i costi diretti della LA (versus OA) sono superiori, pur se in un ampio
range di variabilità correlato anche preferenze “tecniche” dell’operatore
(scelta dei trocar, gestione del moncone appendicolare con suturatrice
meccanica, ecc.), mentre quelli indiretti - in pratica, gli outcomes clinici
“postoperatori” (dolore, morbilità, durata degenza, ripresa delle
attività, ecc.) – sono certamente inferiori; da ribadire comunque che i
costi sono certamente un parametro importante in una congiuntura di
risorse limitate, ma non possono essere “condizionanti” e/o

29
Mason RJ, et al. Laparoscopic vs open appendectomy in obese patients: outcomes using the
American College of Surgeons National Surgical Quality Improvement Program database. J Am
Coll Surg. 2012 Jul;215(1):88-99.
30
Moazzez A, et al. Thirty-day outcomes of laparoscopic versus open appendectomy
in elderly using ACS/NSQIP database. Surg Endosc. 2013 Apr;27(4):1061-71.
31
Masoomi H, et al. Outcomes of laparoscopic and open appendectomy for acute appen-
dicitis in patients with acquired immunodeficiencysyndrome. Am Surg. 2011 Oct;77(10):1372-
6.
103
“prevalenti” sulla accessibilità universale alle “migliori cure
disponibili”32.
D’altra parte, sussistono controversie ed evidenze contrastanti, in particolare
sulla:
− chiusura del moncone appendicolare – un bias possibile nella
valutazione di ampie casistiche comparative (loop o altro versus
stapler), soprattutto relativamente all’incidenza di ascessi endo-
addominali, è che la suturatrice meccanica venga preferita in presenza
di infiammazione estesa, ovvero nei casi in cui il rischio di complicanze
infettive è maggiore;
− reale efficacia (effectiveness) della SPILA o SILA (single-port/incision
laparoscopic appendectomy) o anche SILS (single-incision laparoscopic
surgery);
− NOTES (natural orifice transluminal surgery), che resta proponibile
soltanto nell’ambito di protocolli sperimentali rigidamente controllati;
− cosiddetta needlescopy, gravata da un elevato tasso di conversioni e
da un prolungamento significativo dei tempi operatori, e che può
essere indicata soltanto in casi selezionati e non complicati.
Infine, resta argomento di accesso dibattitto – e torniamo all’inizio - se
operare o non il paziente con appendicite acuta. Una questione importante, per
alcuni addirittura la principale, alla luce anche dei risultati degli studi NOTA e
APPAC. L’opinione prevalente, in assenza sostanziale di sufficienti evidenze di
buona qualità, è che allo stato attuale la chirurgia resti il gold standard nel
trattamento dell’appendicite acuta. Significative e robuste evidenze (ad
esempio, l’analisi del NIS citata in premessa) indicano come procedura di
scelta l’appendicectomia laparoscopica anche nei casi complicati.

***
Nell’ambito di una mole di evidenze in tumultuosa crescita – con un
aggiornamento bibliografico di fatto possibile soltanto “restando connessi” – è
inevitabile anche una certa “volatilità” delle linee guida, il cui aggiornamento,
così come proposto dalla WSES, va cadenzato su ritmi temporali ristretti. E’
ovvio che la gestione del paziente con appendicite acuta debba essere
personalizzata, ma – pur in attesa di definitive conclusioni evidence-based e di
una compiuta standardizzazione della tecnica - l’approccio laparoscopico
emerge sempre più come la scelta migliore, soprattutto nell’incertezza
diagnostica, quando è fortemente raccomandato come ultimo atto diagnostico
e primo atto terapeutico, in particolare nelle donne in età fertile. Peraltro,

32
Chu T, et al. The impact of surgeon choice on the cost of performing laparoscopic appen-
dectomy. Surg Endosc. 2011 Apr;25(4):1187-91.
104
come segnalato anche in una delle più recenti metanalisi 33, è per certi aspetti
sorprendente che, mentre la colecistectomia laparoscopica è generalmente
accettata come “standard terapeutico”, per l’appendicectomia laparoscopica,
nonostante evidenze quantitativamente e qualitativamente più significative, il
dibattito resti aperto. La sussistenza di opinioni divergenti è infatti confermata
dalle conclusioni della metanalisi, di cui ci sembra opportuno riportare – come
contributo al dibattito – i practice points finali nella versione originale,
aggiungendovi brevi commenti:
− “Both LA and OA are safe and effective in treating patients with acute
appendicitis, but LA appears to have more benefits in obese and elderly
patients” – non si citano espressamente le “donne in età fertile”, ma nel
testo è sottolineato l’evidente valore aggiunto diagnostico della
laparoscopia che – come ben dimostrato – è massimo in tale
sottopopolazione di pazienti;
− “SILA appears to have no merits over conventional LA”;
− “Endo-loops, endostapler and endoclips can all be used to achieve
adequate appendiceal stump closure, although it is recommend to use
endostapler in case of severe inflammation and when the base is
involved” – nel testo è più volte segnalata l’assenza di un protocollo
uniforme (standardizzato) per la LA;
− “Extraction for the appendix during LA should follow the principle of
abdominal wall protection” – si tende a preferire sistematicamente
l’endobag (e la porta ombelicale da 10-12 mm), che per alcuni è invece
necessario soltanto se non è possibile o consigliabile estrarre l’appendice
attraverso un qualsiasi trocar (viscere di notevoli dimensioni e/o in
marcata infiammazione, con pareti fragili e/o ispessite);
− “Initial antibiotic treatment is safe and associated with less
complications, although its efficacy is lower than an appendectomy”- di
questo tema (“osservazione attiva”) si è già discusso in precedenza,
sottolineando l’opinione prevalente per la chirurgia come “prima scelta”,
almeno nell’adulto senza controindicazioni all’intervento e, di fatto
sempre, in presenza di malattia complicata.
Qualche nota aggiuntiva merita la SILA. In attesa di evidenze che
confermino se si tratti di un reale progresso o di una “esagerazione” alla
ricerca del miglior risultato estetico (chirurgia scar-less), alcune considerazioni
tecniche possono essere utili alla discussione critica. In sintesi:
− la commercializzazione e la diffusione di devices e strumenti
specificatamente progettati potrebbero ridurne gli alti costi attuali,
velocizzando, tra l’altro, la procedura e, nel contempo, favorendone la

33
Gorter RR, et al. Laparoscopic appendectomy: State of the art. Tailored approach to
the application of laparoscopic appendectomy? Best Pract Res Clin Gastroenterol. 2014
Feb;28(1):211-24.
105
necessaria standardizzazione; attualmente sono infatti descritte almeno
tre “tecniche”34:
SILA non assistita – unica incisione cutanea parietale, con unica o
multiple incisioni fasciali, utilizzando strumentario convenzionale (a
volte improvvisato, con il ricorso a un guanto chirurgico) o dedicato
(con strumenti articolati);
SILA assistita – con ricorso addizionale (”assistenza”) a suture
percutanee o fili;
SILA “ibrida” – procedura laparoscopicamente-assistita ma con
esteriorizzazione dell’appendice attraverso l’incisione cutanea e
appendicectomia “esterna” con tecnica tradizionale (open);
− difficoltà della triangolazione (la “testata d’angolo” per la laparoscopia
operativa!) e incrocio degli strumenti (“duello di spade”, sword fighting)
sono importanti problematiche, soprattutto nella fase di apprendimento;
è comunque possibile mantenere la triangolazione con l’utilizzo di
strumenti articolati (Figura 1);
− la SILA, inizialmente utilizzata nella popolazione pediatrica, non appare
proponibile a tutti; ad esempio, l’incremento della distanza tra ombelico
e “organo bersaglio” ne limita certamente l’utilizzo nei soggetti obesi;
− appare significativa l’incidenza di ernia post-incisionale (laparocele post-
laparoscopico o su trocar-site).
Un ultimo importante tema di discussione resta l’indicazione alla LA nelle
appendiciti complicate/perforate. Abbiamo già segnalato la posizione
sostanzialmente “favorevole” che emerge dalle linee guida ACOI e
“multisocietarie europee”. Nella stessa direzione vanno le conclusioni della più
volte citata analisi del NIS, che ha potuto verificare che l’incidenza di ascessi
intra-addominali è addirittura inferiore con la LA (versus open). Pur se la
questione resta dibattuta - con attenzione particolare all’opportunità e alle
modalità del lavaggio peritoneale e alla necessità del drenaggio postoperatorio
– la LA sembra dunque avviarsi ad essere il gold standard anche nei casi di
appendicite complicata.

34
Rehman H, Ahmed I. Technical approaches to single port/incision laparoscopic appendicec-
tomy: a literature review. Ann R Coll Surg Engl. 2011 Oct;93(7):508-13.
106
Figura - Gli strumenti articolati garantiscono la triangolazione nella SILA [da
Veziant J, Slim K. Laparoscopic appendectomy. J Visc Surg. 2014
Jun;151(3):223-8].

Per ulteriori approfondimenti, soprattutto tecnici, si rimanda ad altro


materiale formativo della FAD, in particolare al Modula sulla LA del prof.
Lorenzo Novellino e al “Manuale (molto) pratico di chirurgia laparoscopica” di
Bruno Benini.
Per un aggiornamento bibliografico che sia veramente tale è necessaria la
consultazione sistematica delle banche dati e, più in generale, la regolare
navigazione in Internet. Per questo si è scelto di non proporre una bibliografia
integrativa delle voci citate, che sarebbe destinata a più o meno rapida
obsolescenza e comunque inevitabilmente esposta, ancorché essenziale, al
rischio di omissioni anche gravi.

107
Aggiornamento bibliografia (febbraio 2016) FAD Appendicectomia Laparoscopica

Per un aggiornamento bibliografico che sia veramente tale sono necessarie la


consultazione sistematica delle banche dati e, più in generale, la regolare navigazione
in Internet. Si ritiene comunque opportuno elencare di seguito 5 tra i lavori più
significativi apparsi su PubMed (stringa di ricerca “laparoscopy appendectomy” /
periodo gennaio 2015 – febbraio 2016) che – a nostro giudizio – appaiono utili ai fini
più propriamente didattici della FAD.
Per la piena comprensione dell’inglese si tenga conto che il riscorso a traduttori
automatici può generare imprecisioni anche gravi, poiché si tratta di strumenti ancora
non pienamente adeguati per l’utilizzo in ambito specialistico.

Bernhardt J, et al. Clinical NOTES appendectomy study: comparison of transvaginal


NOTES appendectomy in hybrid technique with laparosco-pic appendectomy. Int J
Colorectal Dis. 2015 Feb;30(2):259-67.

Cheng HT, et al. Laparoscopic appendectomy versus open appendectomy in


pregnancy: a population-based analysis of maternal outcome. Surg Endosc. 2015
Jun;29(6):1394-9.

Vettoretto N, et al. Acute appendicitis can be treated with single-incision laparoscopy:


a systematic review of randomized controlled trials. Colorectal Dis. 2015
Apr;17(4):281-9.

Antonacci N, et al. Laparoscopic appendectomy: Which factors are predictors of


conversion? A high-volume prospective cohort study. Int J Surg. 2015 Sep;21:103-7.

Zhao L, et al. Single-incision versus conventional laparoscopic appendicectomy in


children: a systematic review and meta-analysis. Pediatr Surg Int. 2015 Apr;31(4):347-
53.

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