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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Descrizione sintetica del corso FAD
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Lorenzo Novellino
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
STRUMENTARIO
Alessandro Maturo
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
RACCOMANDAZIONI E LINEE GUIDA
Alessandro Maturo
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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Descrizione sintetica del corso FAD
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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Descrizione sintetica del corso FAD
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Il questionario di valutazione finale, elaborato secondo le regole ministeriali,
mira a richiamare l’attenzione del discente sulle problematiche più significative
discusse nel materiale didattico.
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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Prof. Lorenzo Novellino
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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
Prof. Lorenzo Novellino
INTRODUZIONE
L'appendicectomia è uno degli interventi chirurgici più frequenti e
rappresenta - per relativa semplicità di esecuzione, almeno nei casi non
complicati - una vera palestra di apprendimento per lo specialista in
formazione. Sempre più diffusa è la procedura laparoscopica, da molti oggi
considerata il gold standard per l’asportazione dell’appendice. Anche in
chirurgia mini-invasiva l’appendicectomia ha una peculiare valenza didattica
come atto formativo propedeutico ad altri più complessi. La tecnica
laparoscopica deve essere dunque conosciuta dal chirurgo generale e dovrebbe
far parte del suo “bagaglio minimo” di competenze operative.
1 - CENNI STORICI
La prima descrizione tramandataci di un'appendicectomia risale al
dicembre 1735. Claudius Amyand, medico della regina Anna e di altri sovrani
inglesi e fondatore del St. George's Hospital a Londra, operò un ragazzo di
undici anni affetto da ernia scrotale di antica data e da fistola stercoracea
inguinale. Attraverso un’incisione scrotale, constatò la presenza nel sacco
erniario di un'appendice perforata da uno spillo e coperta dall'omento. Amyand
asportò l'omento e l'appendice e la fistola si chiuse nel postoperatorio. "Un
intervento tanto doloroso per il paziente quanto estenuante per me":
l'operazione, in effetti, durò più di mezz'ora, e questo basta a testimoniare il
coraggio del ragazzo!
Nel 1880, il chirurgo inglese Robert Lawson Tait resecò con successo
l'appendice gangrenata in un ragazzo di 17 anni; egli optò per la doppia
invaginazione del moncone appendicolare (doppia borsa di tabacco), un
metodo ancora in uso ai nostri giorni. Il 10 maggio 1883 Abraham Groves, di
Fergus nell'Ontario (Canada), figlio di un immigrato irlandese, eseguì –
probabilmente è il primo caso - un'appendicectomia "precoce" (prima cioè dello
stadio gangrenoso o perforativo dell’appendicite) in un ragazzo di 12 anni che
lamentava dolore ricorrente nel quadrante addominale inferiore destro;
l'esperienza dell'Autore fu riportata solo in un'autobiografia pubblicata nel
1934.
Nel 1889 venne pubblicato il primo di numerosi lavori di Charles
McBurney, di New York. Da allora l'appendicectomia per appendicite acuta (con
la canonica incisione eponimica) si diffuse largamente negli Stati Uniti e in
Europa. Nel 1904, il dottor John B. Murphy, di Chicago, riferì una personale
esperienza di 2.000 appendicectomie eseguite dal 2 marzo 1880 al 22 giugno
1903. Nel 1926 LeGrand Guerry illustrò 2.959 casi personali di chirurgia
dell'appendice.
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Nella bibliografia russa viene rivendicata a Dmitry Oscarovich Ott -
famoso ginecologo di San Pietroburgo, fondatore dell’Istituto che oggi porta il
suo nome - la realizzazione nel 1906 della prima appendicectomia per via
vaginale (colpotomia posteriore) nel corso di un intervento di
isteroannesectomia completato, come di routine per la sua pionieristica Scuola,
da una “ventroscopia”: quello del chirurgo russo potrebbe quindi essere
considerato il primo caso di NOTES (Natural Orifices Transluminal Endoscopic
Surgery). La prima appendicectomia video-assistita sarebbe stata realizzata
nel 1977 dall’olandese Hans J. De Kok, la cui priorità resta sostanzialmente
misconosciuta per la scarsa diffusione della rivista nazionale su cui pubblicò. Fu
comunque Kurt Semm, ginecologo di Kiel (Germania), ad illustrare in due
lavori successivi (giugno 1982 e gennaio 1983) la tecnica dell'appendicectomia
laparoscopica, adattando e modificando quella classica open, così come
descritta e realizzata inizialmente da McBurney. Semm, tuttavia, non riteneva
indicata la procedura laparoscopica nei casi di appendicite acuta, come ribadì in
una pubblicazione su Endoscopy (1983), senza comunque riportare alcuna
personale casistica o esperienza e così esponendosi a non poche critiche. In
effetti, nel 1987 il connazionale Jorg H. Schreiber, di Dusseldorf, pubblicò il
primo consistente report di 70 casi in circa 5 anni (67 dei quali con tecnica
videolaparoscopica; 7 con quadro di appendicite acuta catarrale o
flemmonosa), rivendicando di aver effettuato la prima appendicectomia
laparoscopica nel giugno del 1982.
8
Oloviannyĭ VE, et al. [To 100-years of first ventroscopic appendectomy]. Khirurgiia
(Mosk). 2007;(6):74-5 (vedi anche in http://www.laparoscopy.ru/doktoru/71010-
ott.html).
Guerry LeG. A study of the mortality in appendicitis. Ann Surg. 1926; 84 (2): 283–
287.
Harris CW. Abraham Groves of Fergus: the first elective appendectomy? Can J Surg.
1961 Jul; 4: 405-10.
de Kok HJ. A new technique for resecting the non-inflamed not-adhesive appendix
through a mini-laparotomy with the aid of the laparoscope. Arch Chir Neerl.
1977;29(3):195-8.
Seal A. Appendicitis: a historical review. Can J Surg. 1981 Jul; 24(4): 427-33.
Semm K. Endoscopic appendectomy. Endoscopy 1983; 15: 59-64.
Schreiber JH. Early experience with laparoscopic appendectomy in women. Surgl
Endosc. 1987; 1 (4): 211-216.
Morgenstern L. Charles McBurney (1845-1913). Afield from the appendix. Surg
Endosc. 1996 Apr; 10(4): 385-6.
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Fig. 1 - Proiezione cutanea della base d'impianto appendicolare.
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ciecale a livello della zona d'impianto dell'appendice e si anastomizza con un
ramo dell'arteria ciecale posteriore (Fig. 3).
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Fig. 4 - Rapporti della regione cieco-appendicolare: 1 vasi spermatici - 2
uretere destro - 3 arteria iliaca esterna destra - 4 vena iliaca esterna destra - 5
dotto deferente destro - 6 nervo femorale - 7 muscolo grande psoas.
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Fig. 5 - Conformazione dell'appendice infantile.
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SIUAZIONE E POSIZIONE
IN ANATOMIA TOPOGRAFICA
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Fig. 7 - Variazioni di posizione del cieco: 1 sottosplenica - 2 sottoepatica - 3
pre-renale - 4 iliaca (tipica) - 5 pelvica.
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Fig. 8 - Variazioni di posizione dell'appendice ciecale (vedi testo).
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c. discendente pelvica (Fig. 10), nel 4% circa dei casi - l'appendice, con
cieco situato in fossa iliaca destra, si affaccia o discende nel piccolo
bacino, lungo i vasi iliaci, fino talora a raggiungere la regione otturatoria
o giungere a contatto con la vescica, il retto, l'utero, l'ovaio destro, il
legamento largo di destra;
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Di altrettanto fondamentale importanza per la corretta esecuzione
dell’appendicectomia laparoscopica sono la scelta e la preparazione del
materiale d’uso sia ordinario che straordinario
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− n. 1 forbici – con caratteristiche di impugnatura e trasporto di corrente
analoghe agli strumenti da presa; è preferibile che siano curve con
movimento di entrambe le lame, così da poter operare secondo una linea
di taglio variabile per angolazione e controllabile per efficacia di
penetrazione nei tessuti (Foto 7);
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− n. 1 pinza per coagulazione bipolare, per un'emostasi ottimale a basso
costo del mesenteriolo - poiché lo strumento tende facilmente a
deteriorarsi diventando inefficace, è opportuno averne a disposizione più
di una; sono comunque consigliabili quelle monouso (Foto 8 e 9);
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− n. 3 endoloops o cappi – per la corretta legatura della base
dell’appendice;
− n. 2 strumenti di palpazione, uno da 5 ed uno da 10 mm;
− n. 1 strumento da 5 mm per l’irrigazione/aspirazione;
− n. 1 endobag per l’estrazione dellappendice.
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− n. 1 suturatrice meccanica - lo strumento può rendersi indispensabile per
portare a termine l'intervento nei casi eccezionalmente complessi con
base appendicolare in necrosi; si raccomanda di garantirsi la disponibilità
di alcune ricariche sia di tipo vascolare, sia di tipo viscerale (Foto 13);
− n. 1 aspiratore da 10 mm – lo strumento garantirà una più accurata e
rapida pulizia del cavo peritoneale in caso di grave peritonite purulenta
diffusa (Foto 14).
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Fig. 13 - Posizione del paziente sul tavolo operatorio.
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opportunamente i telini di copertura (“esponendo” regione ombelicale e
quadranti inferiori dell’addome), si passano all'infermiere di sala i raccordi in
modo tale che (Fig. 15):
− il cavo luce (“caudale”), il cavo della telecamera (intermedio) ed il cavo
di insufflazione (“craniale”) raggiungano il pube del paziente decorrendo
affiancati lungo il suo arto inferiore destro;
− i cavi dell'aspirazione (“caudale”) e dell'irrigazione (“craniale”) decorrano,
sempre affiancati, lungo il lato destro dell’addome per terminare sul
petto del paziente;
− il cavo elettrico giunga alla regione pubica provenendo dalla coscia
sinistra del paziente.
Questa disposizione dei cavi di raccordo, il cui decorso è sempre centripeto
verso i rispettivi trequarti, ne evita l’aggrovigliamento ma anche
l’attraversamento del campo operatorio delimitato dai telini.
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Fig. 15 - Posizione dei cavi di raccordo rispetto al campo operatorio: 1 cavo
luce - 2 cavo telecamera - 3 cavo d'insufflazione - 4 cavo d'aspirazione - 5
cavo d'irrigazione - 6 cavo elettobisturi.
Tempi operatori
Di seguito si descrivono i tempi dell'intervento di appendicectomia
laparoscopica anterograda in un malato "ideale", ovvero normotipo e con
anamnesi negativa per pregressi interventi chirurgici addominali.
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strettamente accollati. La possibilità di muovere senza resistenza la punta
dell'ago di Veress in senso interno-esterno e latero-laterale ne conferma la
corretta posizione intracavitaria e la verosimile assenza di aderenze sotto-
ombelicali.
Foto 16 - Introduzione del primo trequarti del tipo “a vista” (trocar ottico).
C. Fase esplorativa
La prima esplorazione del cavo addominale avviene attraverso l’ottica
inserita nel trequarti sotto-ombelicale (Foto 19), prima quindi dell'inserimento
degli altri due trequarti; questa fase esplorativa consente di valutare un
eventuale quadro peritonitico, di effettuare un'esplorazione del fegato, di
identificare visivamente l'appendice (grazie al riconoscimento di alcuni reperi
anatomici laparoscopici), e – come già detto - di inserire sotto visione gli altri
trocar. Fondamentali reperi anatomici sono: l'ultima ansa ileale, la confluenza
delle tenie ciecali, il cieco, i vasi iliaci esterni di destra, l'orifizio inguinale
interno destro.
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L'esplorazione, inizialmente condotta con l'ottica introdotta nel trocar
sotto-ombelicale, deve essere completata attraverso il trequarti in fossa iliaca
sinistra (Foto 20), per individuare la sede d'impianto sul cieco dell'appendice,
che appare come la prua di una nave, ed eseguire quindi l'intervento con
minori difficoltà. Strumenti di palpazione inseriti nei trequarti consentiranno
infine un'esplorazione più accurata alla ricerca di eventuali altre patologie
“causali”, se l’appendice appare normale (“bianca”/“innocente”), o
concomitanti alla confermata appendicopatia (ernie inguinali, patologie istero-
annessiali, adenome-senteriti, diverticolite di Meckel).
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spostata nel trocar sovrapubico e “infilata” nel cappio, si afferra nuovamente
per la punta l’appendice e la si fa passare passata attraverso il loop (Foto 24);
si realizza quindi la prima legatura a livello della base d'impianto, sezionando il
capo del filo con forbici introdotte nello stesso trequarti attraverso il quale è
stato fatto passare. Analogamente, si confeziona un secondo loop in stretta
vicinanza del primo (Foto 25).
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Foto 25 - Posizionamento del secondo loop.
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Foto 26 - Sezione della base appendicolare.
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anche quelle di inquinamento del cavo peritoneale (per la gestione del
moncone appendicolare vedi anche Modulo “Raccomandazioni e linee guida”).
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Foto 29 - Ricerca del diverticolo di Meckel.
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L. Estrazione dei trequarti
La manovra di estrazione dei trequarti va sempre condotta sotto visione
per verificare la perfetta emostasi dei fori d'accesso.
La Tavola 1 è riassuntiva dei trequarti posizionati e del uso nei vari tempi
operatori in corso di appendicectomia laparoscopica per appendicite non
complicata.
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5 - Aspetti pratici (tips and tricks) e tattica operatoria
nei casi complicati
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Fig. 16 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrici nei quadranti inferiori distali: O - primo accesso per l'ottica operativa
(o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.
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Fig. 17 - Posizione dei trequarti, utili alla lisi di aderenze, in presenza di
cicatrice sovra- e sotto-ombelicale (xifo-pubica): O - primo accesso per l'ottica
operativa (o diagnostica); Ө - secondo accesso per strumenti da dissezione.
Qual è il posizionamento ottimale dei trequarti?
Attualmente la disposizione standard è quella precedentemente descritta,
che è ancora la preferita dalla gran parte degli operatori e che prevede,
nell’ordine di inserimento: un trequarti sotto-ombelicale, uno in fossa iliaca
sinistra appena sopra il legamento inguinale ed uno sovrapubico sulla linea
mediana (Fig.18).
Sono descritte almeno tre varianti. La prima, di fatto abbandonata, adotta
sistematicamente quattro porte d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca
destra, in fianco destro e sovrapubica mediana (Figura 19a); era la scelta
preferenziale agli albori della storia dell'appendicectomia laparoscopica, per
così dire di prudenza, ovvero suggerita da un’inesperienza “primaria” nella
chirurgia addominale laparotomica. La seconda variante adotta tre vie
d'accesso: sotto-ombelicale, in fossa iliaca destra e sovrapubica mediana (Fig.
19b); anch'essa è oggi abbandonata, poiché dettata dall’errato convincimento,
proprio dell’approccio laparotomico, che almeno una porta d'accesso debba
essere “aperta” in corrispondenza della proiezione cutanea dell’appendice. La
terza variante prevede il posizionamento di tre trequarti: uno sotto-ombelicale
e due sulla linea sovrapubica trasversa, spostando verso destra quello mediano
della disposizione standard (Fig. 19c), a fini essenzialmente estetici, con
motivazioni facilmente intuibili.
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Fig. 18 - Posizionamento standard dei trequarti.
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sfavorevole sul decorso postoperatorio e che, viceversa, la bimanualità
operativa garantisce comunque maggior sicurezza, soprattutto negli interventi
difficili.
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dall'irrigatore-aspiratore che consente di dissecare le aderenze e
contemporaneamente di detergere l'intera regione.
In tutti i casi complicati per flogosi grave, l'emostasi del mesenteriolo deve
essere condotta obbligatoriamente con diatermocoagulazione bipolare, la sola
modalità che garantisca l'emostasi ottimale di un meso di regola marcatamente
ispessito. Se l'appendice è in grave necrosi, si eviterà inoltre qualsiasi trazione
su di essa e la si asporterà in frammenti; una scelta solo apparentemente
azzardata, perché la nostra esperienza conferma che la “frammentazione” non
aggrava assolutamente la peritonite in atto. Asportata l’appendice, il cieco
potrà essere correttamente esposto per la legatura/affondamento della
base/moncone appendicolare con la tecnica ritenuta più sicura. Il moncone va
chiuso con doppio loop solo se non è interessato da processi di necrosi,
altrimenti è obbligatorio ricorrere a una suturatrice lineare (del tipo "taglia e
cuci"), facendo in modo, per una tenuta più sicura, che la linea di sutura
coinvolga parzialmente il cieco; da sottolineare che qualsivoglia sutura in filo
non garantisce una tenuta altrettanto sicura in presenza di grave flogosi.
Il lavaggio finale della cavità addominale deve essere particolarmente
accurato. I punti migliori di raccolta del liquido di lavaggio sono lo scavo
pelvico e la regione latero-epatica. Non si trascuri di esplorare alla fine
dell'intervento anche la loggia splenica. Nei casi complessi è doveroso il
posizionamento di uno o due drenaggi: se unico, il drenaggio va collocato nel
Douglas o in latero-ciecale, introducendolo attraverso la porta sovrapubica
mediana; se si decide per due drenaggi, il primo va posizionato ancora nel
Douglas, ma introdotto attraverso il trequarti posto in fossa iliaca sinistra,
mentre si lascia il secondo, introdotto dal trequarti sovrapubico, nel recesso
latero-colico (per la gestione dei casi complicati vedi anche Modulo
“Raccomandazioni e linee guida”).
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Alcuni autori utilizzano la coagulazione monopolare, mantenendosi in
stretta prossimità della parete dell’appendice, ovvero lungo un margine in cui
l'arteria appendicolare è ormai “sfioccata” nei suoi piccoli rami terminali. Altre
possibilità di gestione del mesenteriolo sono la legatura extracorporea con
laccio e la legatura con clips metalliche. Si tratta di modalità che, nei casi
semplici, sostanzialmente si equivalgono, fatta eccezione per le clips che
tendono facilmente a cadere; ovviamente, la diatermocoagulazione bipolare
resta la scelta più semplice e, soprattuto, la più sicura in presenza di grave
flogosi e/o mesenteriolo ispessito.
Quale tecnica si deve utilizzare per ottenere un lavaggio ottimale della cavità
addominale?
Per il lavaggio è ovviamente necessario un adeguato quantitativo di
liquido, che di regola è semplice soluzione fisiologica; nei casi di grave
peritonite ne servono circa 6-8 litri. Inizialmente è bene disporre il paziente in
anti-Trendelenburg spinto e irrigare tutta la matassa intestinale infilando la
punta dell'irrigatore tra le anse. Si riduce quindi l’anti- Trendelenburg e si
aspira il liquido raccolto nel Douglas. In questa fase iniziale, l'ottica è nel trocar
sotto-ombelicale, l'irrigatore nel trequarti sovrapubico, mentre il palpatore da
10 mm – necessario per spostare le anse e, nella donna, per sollevare l’utero -
è introdotto nel trequarti in fossa iliaca sinistra.
Nel tempo successivo, che prevede il lavaggio della loggia
sottodiaframmatica destra, il paziente va posto in Trendelenburg con rotazione
sul fianco destro, mantenendo il tavolo operatorio. In tal modo il liquido di
lavaggio si raccoglierà, a seconda dell'inclinazione cranio-caudale, nel Douglas
o nella regione latero-epatica, sedi che ne consentono comunque un'ottimale
aspirazione (vedi anche Modulo “Raccomandazioni e liee guida”).
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Il diverticolo di Meckel va sempre ricercato e come deve essere eventualmente
trattato?
Il diverticolo di Meckel deve sempre essere ricercato in ogni intervento di
appendicectomia. La manovra è di semplice esecuzione: con prese successive,
il tenue deve essere esplorato per circa un metro dalla valvola ileo-ciecale. La
trazione sull’ansa deve essere ovviamente delicata e sempre sul versante
antimesenterico. Ogni presa intestinale deve essere eseguita in visione per
evitare di misconoscere possibili lesioni iatrogeniche.
Il trattamento di un eventuale diverticolo è condizionato dalla dimensione
della sua base d'impianto: se stretta, è sufficiente la sua legatura con un
semplice endoloop; se la base è ampia e/o il diverticolo ha dimensioni
importanti, è preferibile ricorrere a una suturatrice lineare "taglia e cuci".
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questi casi è quindi da proscrivere qualsiasi atto aggiuntivo a quello finalizzato
a rimuovere la causa e lo stato in essere della peritonite.
Nell’ambito di una casistica esemplificativa, la circostanza più frequente è
l’evidenza all’esplorazione iniziale di una patologia annessiale. Se l’appendice è
indenne e la patologia ginecologica è la verosimile causa del quadro clinico, si
ritiene opportuna che quest’ultima venga trattata, evitando ogni manovra
sull'appendice “innocente” e posizionando quindi i trequarti in modo corretto
per l'atto da eseguire. Di relativo frequente riscontro è la coesistenza con la
flogosi appendicolare di calcolosi della colecisti o di ernia inguinale. In tali casi
la strategia operatoria va modificata (per approfondimenti vedi Modulo
“Raccomandazioni e linee guida”).
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Fig. 21 - Accessi per l'esecuzione di colecistectomia associata a una
programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la colecistectomia,
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Fig. 22 - Accessi per l'esecuzione di ernioplastica inguinale destra associata a
una programmata appendicectomia. --> corridoi d'azione per la ernioplastica;
→ corridoi d'azione per l'appendicectomia.
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6 - Considerazioni finali
La chirurgia laparoscopica si propone all'attenzione generale come tecnica
veramente innovativa alla fine degli anni Ottanta con l'intervento di
colecistectomia; successivamente abbiamo assistito alla sua applicazione per
patologie sempre più diversificate, anche tumorali, con evidenze di efficacia e
sicurezza crescenti. Attualmente l'intervento di colecistectomia laparoscopica
resta la procedura laparoscopica più diffusa e, di fatto, ancora l'unica con una
sistematizzazione condivisa dei tempi e dei gesti operativi, oltre che delle
indicazioni. Per l’appendicectomia laparoscopica il processo di codificazione
metodologica non è ancora compiuto, come emerge dalle questioni irrisolte (su
specifici aspetti di indicazione e di tecnica) segnalate anche nelle attuali linee
guida (vedi Modulo “Raccomandazioni e linee guida”).
È tuttavia opinione comune che, analogamente a quanto avvenuto per la
colecistectomia, l’appendicectomia laparoscopica sia comunque destinata a
diventare un gold standard sia per la ripetibilità e la semplicità dei gesti
(almeno nei casi non complessi), sia per la mole crescente di evidenze sui reali
vantaggi per il paziente rispetto alla procedura laparotomica (in particolare:
minor dolore, ridotta degenza, più rapida ripresa).
Appare inoltre opportuno riflettere su quelli che appaiono come “limiti”
dell’intervento tradizionale:
− la relativa elevata incidenza di appendici cosiddette bianche, anche per
l’impossibilità di una preliminare esplorazione della cavità addominale
possibile in laparoscopia (fase diagnostica preliminare);
− l’erronea convinzione che un’incisione cutanea corta corrisponda al rispetto
delle strutture parietali: è dimostrato che la divaricazione della parete
addominale causa lacerazioni muscolari, con conseguente dolore
postoperatorio e possibili aderenze viscerali;
− un campo operatorio a visione ristretta, che può creare difficolta in
presenza di anomala posizione/situazione dell’appendice e comunque non
consente di “dominare” la cavità addominale, ovvero:
di ricercare ed eventualmente trattare altre patologie causali, se
l’appendice è “bianca”, e/o coesistenti (ad esempio, le frequenti
patologie annessiali nella donna);
di procedere alla necessaria toilette in presenza di peritonite.
D’altra parte, la chirurgia laparoscopica è stata anche definita, per la sua
minore invasività, la “chirurgia del rispetto”. In effetti, tre fori - anche se la
somma delle incisioni cutanee è di circa 2.5 cm - non equivalgono affatto alla
minima incisione cutanea di McBurney, poiché in laparoscopia la muscolatura,
la vascolarizzazione e l'innervazione della parete vengono completamente
preservate, con la conseguenza evidente ed immediata di un minor dolore
postoperatorio. “Chirurgia del rispetto” significa anche evitare un intervento
non necessario: se in passato era lecito, anzi doveroso, asportare l'appendice
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“bianca” o “innocente”, una volta deciso l’intervento nell’incertezza diagnostica,
oggi la possibilità offerta dalla laparoscopia di una preliminare esplorazione
diagnostica di fatto impone di asportare un’appendice sicuramente sana (per il
dibattitto su questo tema – togliere o non un’appendice normale in assenza di
altra patologia causale – si rimanda al Modulo “Raccomandazioni e linee
guida”).
La procedura laparoscopica appare preferibile anche in presenza di una
grave appendicite purulenta con peritonite più o meno generalizzata,
considerando che:
− lo schema standard di accesso per i casi semplici risulta sufficiente per
trattare in piena sicurezza i casi veramente complessi; in “tomia”
l’alternativa al tradizionale McBurney sono ampie incisioni di
allargamento, incisioni paramediane o addirittura mediane;
− la “scopia” permette l'esplorazione del cavo, il lavaggio accurato di ogni
recesso ed il posizionamento ottimale di eventuali drenaggi, prevendo
così ogni contaminazione della parete, spesso causa di lunghi periodi di
ospedalizzazione e possibili laparoceli post-chirurgici; la laparotomia non
appare garantire una toilette altrettanto accurata.
È ovvio che i risultati ottimali dell’appendicectomia laparoscopica
presuppongono esperienza con la procedura, anche e soprattutto in casi
complessi/complicati. È d’altra parte opinione sempre più diffusa che
l’appendicectomia, e non la colecistectomia, sia l’intervento privilegiato per
l'apprendimento della metodica laparoscopica, essenzialmente per tre motivi:
− l'appendicectomia laparoscopica espone il paziente a rischi, e quindi
complicanze, assai meno gravi rispetto a quelli di una colecistectomia;
− l'appendicectomia laparoscopica è una palestra eccezionale per apprendere
manovre impegnative, servendosi con la stessa competenza e spesso in
rapida alternanza di entrambe le mani; questo training gestuale tornerà
estremamente utile nell’affrontare patologie più gravi;
− l’estrema variabilità di posizione, situazione e di rapporti di cieco-appendice
impone repentini cambi di tattica che sicuramente rafforzano la
decisionalità e affinano la gestualità.
Principale critica alla procedura laparoscopica sono i costi. Premesso che il
diritto alla salute, in un’ampia accezione di benessere psico-fisico, e il diritto
alle cure migliori disponibili sono prioritari e inalienabili, è indiscutibilmente
vero che un intervento di appendicectomia laparotomica ha costi inferiori
rispetto a quello in laparoscopia. Tuttavia, nella valutazione comparativa di
regola non si tiene conto dei costi di degenza e del materiale utilizzato per le
medicazioni, dei costi correlati a mancata produttività, dei costi di eventuali
interventi per complicanze anche tardive (ad esempio, occlusioni da aderenze)
e di tanti altri costi indiretti. Da una comparazione più accurata, e
considerando anche minori invasività e dolore postoperatorio, emerge che
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l'appendicectomia laparoscopica è realmente vantaggiosa per il paziente e
anche per amministratori alla prese con una progressiva restrizione delle
risorse economiche.
In conclusione, è opinione sempre più diffusa, peraltro basata su evidenze
crescenti, che l’appendicectomia sia da annoverare tra gli interventi che
devono essere eseguiti sempre per via laparoscopica, essenzialmente per tre
ragioni:
− in mani esperte, il trattamento laparoscopico emerge in assoluto come la
migliore opzione chirurgica da proporre al paziente affetto da
appendicopatia anche complicata;
− l'appendicectomia laparoscopica “semplice”, oltre ad essere vantaggiosa
per il paziente, è la procedura ideale, anche in termini di sicurezza, per
l'apprendimento di competenze e tecniche laparoscopiche fondamentali;
l’intervento deve quindi entrare nella routine operatoria, così da
consentire all'équipe dedicata, ed in particolare ai componenti in
formazione, una più rapida e proficua curva di apprendimento, con
conseguente incremento della sicurezza e dell’efficienza della sala
operatoria;
− nel dubbio clinico, l’approccio laparoscopico consente la diagnosi corretta
e quindi un atto terapeutico mirato, con ulteriori innegabili vantaggi per il
paziente, in particolare nelle donne (vedi Modulo “Raccomandazioni e
liee guida”).
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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
STRUMENTARIO
Alessandro Maturo
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APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
STRUMENTARIO
INTRODUZIONE
Lo strumentario per la chirurgia mini-invasiva video-assistita è in continua
evoluzione tecnologica. È opportuno premettere che non sempre la novità
coincide con una innovazione sostanziale. Da un punto di vista formativo
pratico, più che descrivere nel dettaglio gli strumenti di più recente
commercializzazione – stilando un elenco che in tempi più o meno rapidi
risulterebbe non aggiornato – appare utile sintetizzare le caratteristiche e le
funzionalità che rendono un dispositivo affidabile e funzionale, nel contempo
indicandone l’utilizzo più appropriato, che ovviamente presuppone la
conoscenza di principi di endomeccanica (aghi di Veress, trocar, suturatrici
meccaniche), di elettrochirurgia (elettrobisturi e, più in generale, strumenti
elettrificati) e di ultrasonologia in chirurgia (bisturi ad ultrasuoni).
A.
AGO DI VERESS, ALTRI STRUMENTI PER L’INDUZIONE
DELLO PNEUMOPERITONEO E TROCAR A LAMA
Lo pneumoperitoneo può essere indotto, utilizzando preferibilmente
dispositivi monouso, con tre metodiche differenti:
con ago di Veress, introdotto attraverso una piccola incisione con bisturi
a freddo;
con trocar di Hasson, tramite laparotomia (open laparoscopy);
con trocar senza lama e sotto visione (trocar ottico).
Sempre meno utilizzato, di fatto sconsigliato per la sua pericolosità, è l’accesso
“alla francese”, ovvero diretto, alla cieca, con trocar a lama.
1 - Ago di Veress
Sviluppato da Johann Veress nel 1938, il dispositivo ha subito alcune
modifiche che ne hanno migliorato affidabilità e sicurezza. Nelle versioni più
evolute (ad esempio, Pneumoneedle e UltraVeress della serie Endopath® della
Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson), l’avvenuto ingresso in cavità viene
controllato con il test di Palmer (drop test), che consiste nel far cadere per
gravità alcuni millilitri di soluzione fisiologica nell’ago attraverso l’attacco
universale luer-lock (a scatto): se la soluzione defluisce velocemente (di fatto è
aspirata in addome) vuol dire che siamo all’interno della cavità peritoneale. Un
sistema particolare, ovvero una pallina rossa inserita in un serbatoio alloggiato
nell’estremità di raccordo del dispositivo, facilita la verifica del test: iniettando
la soluzione fisiologica, la pallina galleggiante documenta infatti il rapido
deflusso della soluzione fisiologica, segno della penetrazione dell’ago in cavità.
E’ inoltre presente un indicatore ottico di posizione del mandrino/stiletto di
sicurezza che, in posizione ferma, segna verde: durante l’inserzione, il
61
mandrino si retrae esponendo la punta tagliente della cannula e l’indicatore
passa al rosso; non appena entrato in cavità addominale, il mandrino torna in
posizione di protezione e l’indicatore segna verde. Atri sistemi opzionali, oltre
all’indicatore ottico, restituiscono un feedback uditivo e tattile quando, con
meccanismo a molla, il mandrino stesso scatta a proteggere la punta dell’ago,
subito dopo aver forato il peritoneo parietale (ingresso in cavità addominale).
Da notare che la sensazione uditiva dello scatto è amplificata dalla forma
conica dell’impugnatura (Fig. 1).
‘
Fig. 1 - Ago UltraVeress Endopath®.
63
sistema li drena radialmente, per effetto capillare, e li trattiene all'interno di
un anello spugnoso assorbente. Il trocar rimane pulito e l'ottica non si sporca
quando viene reinserita nello stesso. Con i trocar bladless i tessuti non
vengono incisi, bensì separati per via smussa, e non è necessario effettuare la
chiusura della fascia. Ne consegue un minor traumatismo della parete
addominale, che riduce i rischi di difetti fasciali e di erniazioni da trocar. Da
notare, inoltre, che la cannula ha fori che evitano l'erniazione accidentale di
visceri o mesentere per trascinamento all'interno di essa.
I trocar ottici possono essere utilizzati come primo accesso in cavità
addominale (quindi senza pneumoperitoneo preventivamente instaurato)
soltanto dopo un adeguato training di utilizzo come trocar secondari. In
pratica, nella fase di addestramento il trocar bladless va utilizzato come porta
secondaria dopo induzione dello pneumoperitoneo, così da esercitarsi
nell’identificazione e nella differenziazione dei vari strati di tessuto trapassati.
Acquisita sufficiente esperienza, sarà possibile utilizzare i trocar ottici anche
per l’induzione dello pneumoperitoneo.
***
I trocar a lama, sconsigliati per un accesso “primario” alla cieca (ovvero, per
l’induzione dello pneumoperitoneo), sono ovviamente utilizzati per gli accessi
“secondari” in cavità peritoneale. Ne sono esempi innovativi quelli della serie
Endopath® Xcel™ D-Tip della Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson (Fig. 2).
Si tratta di dispositivi monouso a lama piatta con punta dilatante (D-Tip,
dilating-tip) e scudo di protezione/sicurezza; la lama piatta permette incisioni
limitate e la punta dilatante separa il tessuto tagliato dal bisturi per aprire la
strada alla cannula che rimarrà in situ. In particolare, questi trocar:
− sono completamente trasparenti (e radiotrasparenti), per favorirne il
controllo in tutte le fasi della procedura chirurgica;
− hanno un connettore luer-lock standard per l’insufflatore;
− alloggiano nella parte prossimale della cannula il meccanismo valvolare di
tenuta dello pneumoperitoneo e, tranne che negli strumenti da 5mm, il
riduttore universale con guarnizione basculante, che può essere rimosso
in qualsiasi fase dell’intervento azionando, in senso antiorario, una leva
di sgancio situata lateralmente – da notare che anche il riduttore, che
concorre al meccanismo di tenuta della valvola interna a becco di papera,
è completamente trasparente per permettere di distinguere i D-Tip dai
Bladeless.
− hanno la lama affilata monolateralmente, per un migliore controllo della
B.
SUTURATRICI MECCANICHE ENDOSCOPICHE
Esiste un’ampia disponibilità di suturatrici meccaniche endoscopiche
(endocutter). Per illustrarne le caratteristiche tecniche principali ed i princìpi di
funzionamento, appare opportuno fare riferimento a strumenti diffusamente
utilizzati in laparoscopia come gli stapler lineari della piattaforma Echelon™
(Endopath® Linear Cutters) della Ethicon Endo-Surgery-Johnson&Johnson,
disponibili sia nella versione retta (straight) che articolabile
(articulating/Flex™) (Figg. 3 e 4).
66
azionamenti per strumento). Caratteristiche peculiari delle suturatrici Echelon™
sono:
− l’elevata compressione tra le ganasce (sistem-wide compression) con
incudine monoblocco rinforzata, che garantisce una corretta ed uniforme
formazione del punto lungo tutta la linea di sutura ed evita lo
scivolamento in avanti del tessuto (tissue milk) durante l’attivazione;
− un meccanismo a tre punti di controllo (E-beam design), che garantisce
un corretto allineamento agrafe/incudine e una corretta calibrazione del
punto (altezza uniforme) lungo tutta la linea di sutura – il sistema
mantiene allineate incudine, ganascia inferiore e ricarica, evitando
disallineamenti trasversali del bisturi attraverso il tessuto, in particolare
se spesso;
− la lama sagomata a “C”, realizzata in monoblocco con acciaio chirurgico
inossidabile serie 400 ad alto grado di resistenza.
In definitiva, la combinazione di incudine rinforzata, sistema E-beam e lama a
“C” consente di ottenere una corretta formazione e uniforme apposizione dei
punti metallici lungo tutta la linea di sutura e una sezione precisa e sicura del
tessuto. Ad efficacia, precisione e sicurezza contribuiscono:
− l’ampia apertura delle ganasce (fino a 22 mmm), per un agevole
posizionamento ed una facile manipolazione del tessuto;
− l’ampia gamma di ricariche, distinte da colori diversi (grigio, bianco, blu,
oro e verde) a seconda della lunghezza della gamba (da 2 a 4.1 mm) e
dell’altezza del punto (da 0.75 a 2 mm) – è così garantita la scelta del
punto migliore per un perfetto equilibrio tra emostasi ottimale e
vascolarizzazione adeguata del tessuto;
− il sistema di sicurezza lock-out, che impedisce l’azionamento della
suturatrice se la ricarica è stata già utilizzata, è malposizionata o è
assente;
− l’indicatore della posizione della lama del bisturi, per un maggior
controllo della procedura ad ogni azionamento dello stapler;
− il posizionamento di 2 agrafe di sicurezza distali la linea di taglio e 1,5
agrafe prossimali – da notare che tutte le agrafe sono costituite da una
lega di titanio (titanio 94.5%, alluminio 3%, vanadio 2.5%) che,
restando compatibile con la risonanza magnetica, è più resistente del
titanio puro e quindi richiede più forza per deformarsi e più forza per
presentare l’effetto “spring back”, a garanzia di una migliore tenuta della
linea di sutura;
− la chiusura distale con effetto di grasping e la possibilità quindi di
afferrare e manipolare il tessuto senza necessità di un secondo
strumento.
Da notare, inoltre, che l’elevata compressione delle ganasce, oltre ad evitare il
tissue milking, consente il deflusso dei liquidi extra-cellulari (attendendo 15
67
secondi secondo i criteri della SoTM, Science of Tissue Management – vedi la
pagina web dedicata della Ethicon nella sezione “Formazione”), riducendo lo
spessore del tessuto (per una sutura ottimale) e restituendo un feedback
tattile all’operatore proprio sulla quantità (spessore) del tessuto compresso.
La serie Flex™ della piattaforma Echelon™ è assolutamente innovativa,
consentendo all’operatore di manovrare effettivamente lo stapler con una sola
mano. La migliore manovrabilità, che permette al chirurgo di focalizzarsi sulla
linea di resezione e posizionare le ganasce esattamente dove desidera, è
garantita da un meccanismo di articolazione naturale a 45° su 7 posizioni (-
45°, -30°, -15°, 0°, 15°, 30°, 45°), con giunto di articolazione 2.5 cm più
vicino alla linea di taglio rispetto ai precedenti strumenti articolati. Nella Figura
5 è sintetizzata la procedura di articolazione naturale con stapler Flex™.
Fig. 5 - Procedura di articolazione naturale con una sola mano con stapler Flex™.
C.
ELETTROBISTURI E ALTRI STRUMENTI ELETTRIFICATI
68
L’evoluzione della tecnologia offre oggi al chirurgo un’ampia gamma di
strumenti che, sfruttando l’energia elettromagnetica (elettrobisturi e altri
strumenti elettrificati, laser) o quella meccanica (bisturi ad ultrasuoni, con
trasformazione dell’energia elettrica in vibrazioni meccaniche), gli consentono
di centrare al meglio, in ogni situazione, l’obiettivo prioritario della sua
gestualità: l’equilibrio ottimale tra rapidità e sicurezza dell’emostasi e
appropriata dissezione/sezione dei tessuti.
L’uso del calore per coagulare risale agli antichi Egizi, con applicazione di
un pezzo di metallo surriscaldato sulla ferita (cauterio): il controllo del
sanguinamento è ottenuto a costo di gravi danni tissutali. Solo nel XIX secolo,
l’avvento dell’energia elettrica segna l’inizio dell’elettrochirurgia e della sua
rapida evoluzione: dall’elettrocauterio (riscaldamento di un ferro chirurgico con
il passaggio di corrente elettrica attraverso una resistenza) alla elettrificazione
degli strumenti con corrente elettrica alternata, inizialmente utilizzati in
modalità monopolare poi, tra il 1940 e il 1960, anche in modalità bipolare.
L'elettrochirurgia moderna ha inizio nel 1891, quando il fisico e medico
francese Jacques-Arséne d'Arsonval dimostrò che la corrente alternata ad alta
frequenza applicata ai tessuti viventi determinava effetti termici senza causare
la stimolazione muscolo-nervosa. Agli inizi del Novecento il fisico William Bowie
inventò il generatore per elettrochirurgia. Il primo utilizzo clinico di un
elettrobisturi monopolare, in grado di tagliare e coagulare i tessuti, si deve al
neurochirurgo statunitense Harvey Williams Cushing, che il 1° ottobre 1926 se
ne servì per asportare una massa tumorale dal tessuto celebrale. Il nuovo
strumento consentiva di operare in tutta sicurezza anche su lesioni altamente
vascolarizzate, affrancando l’operatore dal rischio di gravi e incontrollabili
emorragie. La continua evoluzione della tecnologia elettrochirurgica, fino alla
computerizzazione, ha reso via via disponibili sistemi che garantiscono una
coagulazione ottimale con minimo traumatismo tissutale e massima sicurezza.
Princìpi di elettrochirurgia
L’elettrochirurgia è l’applicazione di corrente elettrica alternata ad alta
frequenza (HF, genericamente detta radiofrequenza) su tessuto biologico per
realizzare il taglio e/o la coagulazione in modo rapido, sicuro e semplice.
L’elettrobisturi utilizza corrente elettrica alternata con frequenze dell’ordine
delle centinaia di kHz, comunque non inferiori ai 300-400 kHZ (rischio di
stimolazione di nervi e muscoli – cosiddetto effetto faradico) e non superiori ai
2 MHz (rischio progressivo di danni da dispersione). Nel range di frequenze
utilizzate in chirurgia, la corrente induce soltanto effetto termico (effetto Joule)
nel tessuto che attraversa e non effetto faradico, né effetto elettrolitico
(possibile con corrente continua). L’ effetto Joule dipende dalla resistenza
elettrica specifica del tessuto, nonché dalla densità della corrente e dal tempo
69
di applicazione. L'effetto termico della corrente induce differenti modificazioni
sulle cellule, a seconda della temperatura raggiunta:
− a una temperatura inferiore ai 100 °C si produce l'evaporazione
dell'acqua contenuta nelle cellule (liquido intracellulare) e di conseguenza
la coagulazione;
− oltre i 100 °C, si ottiene l’esplosione della cellula e la contemporanea
scissione delle proteine (pirolisi proteica) e quindi il taglio del tessuto;
− con temperature di molto superiori ai 100 °C si ottiene la carbonizzazione
del tessuto, con conseguente occlusione dei vasi ed emostasi
(cauterizzazione propriamente detta).
Quindi, per ottenere le diverse modalità di azione dell’elettrobisturi
(sezione/taglio, coagulo o mista), il generatore deve essere in grado di erogare
correnti di diverse forme d'onda e di diversa potenza all’elettrodo attivo (il
bisturi o altro strumento attivo nelle mani del chirurgo); la corrente elettrica,
attraverso il corpo del paziente, “ritorna” al generatore attraverso un elettrodo
passivo/neutro ad ampia superficie (piastra). Le dimensioni ridotte degli
elettrodi attivi fanno sì che la densità di corrente nella zona di contatto sia
assai elevata, sviluppando una grande quantità di calore in un tempo
brevissimo. In pratica, scegliendo opportunamente tipo/dimensioni
dell’elettrodo attivo, velocità di movimento, intensità della corrente e forma
d’onda si possono ottenere:
− effetto di taglio dei tessuti (temperatura inferiore ai 100 °C);
− effetto coagulo (temperatura superiore ai 100 °C);
− effetto combinato di taglio e coagulo (temperatura di molto superiore ai
100 °C).
La corrente elettrica può essere applicata in modalità:
− monopolare, per mezzo di un elettrodo attivo di piccola superficie e di un
elettrodo neutro di ritorno ad ampia superficie - nel caso di apparecchi
con potenza nominale d'uscita inferiore a 50W non si utilizza l’elettrodo
neutro;
− bipolare, per mezzo di un solo elettrodo bipolare, ad esempio una pinza
le cui branche (i due elettrodi) sono isolate l'una dall'altra.
Elettrobisturi monopolare
Nei sistemi monopolari la corrente fluisce, attraverso il paziente, da un
elettrodo attivo di piccole dimensioni (il bisturi) a un elettrodo neutro,
cosiddetto di ritorno, ad ampia superficie (la piastra - 150-200 cm2) e collegato
a massa (Fig. 6).
70
Fig. 6 - Circuito elettrochirurgico monopolare
72
operatorio a contatto con la terra; ai fluidi per la disinfezione che bagnano la
teleria; alle zone a più forte traspirazione, per esempio tra estremità e corpo
(braccio-tronco) o tra le estremità ( coscia-coscia). In pratica, è fondamentale:
− accertarsi del corretto e sicuro fissaggio dell’elettrodo neutro, il più vicino
possibile al campo operatorio, per tutta la durata dell’intervento - le vie
di passaggio della corrente nel corpo debbono essere il più possibile corte
e in direzione longitudinale o diagonale (la corrente non deve trapassare
il corpo trasversalmente);
− verificare che i cavi di collegamento degli elettrodi ad alta frequenza, e
specialmente quello dell’elettrodo neutro, siano il più possibile corti e
privi di arrotolamenti, per evitare che vengano a contatto col paziente o
con altri cavi;
− evitare di utilizzare l’elettrodo attivo in prossimità degli elettrodi del
cardiografo: la distanza utile è di almeno 150 mm.
Elettrobisturi bipolare
In un circuito bipolare gli elettrodi (attivo e di ritorno) sono le branche dello
strumento (normalmente a forma di pinza o forbice) utilizzato dal chirurgo. La
distanza fra l’elettrodo attivo e quello di ritorno è pertanto molto ravvicinata e
il paziente è parte del circuito solo per quella porzione di tessuto compreso tra
le branche (Fig. 8), senza possibilità di dispersione della corrente nel corpo del
paziente, né necessità della piastra.
73
Gli strumenti bipolari tradizionali forniscono un’erogazione ininterrotta e
continua di energia ai tessuti: quando il dispositivo viene attivato, la corrente
viene erogata per tutta la durata dell’azione. L’essiccazione del tessuto (che
perde contenuto acquoso) aumenta la resistenza al passaggio degli elettroni
che, come detto, ricercano un percorso a minore resistenza; ne consegue la
formazione di una zona sferica di danno termico (effetto balooning) intorno agli
elettrodi, con possibili danni termici oltre i punti di contatto dello strumento.
Gli strumenti bipolari avanzati integrano un meccanismo per determinare
l’impedenza e interrompere l’erogazione di energia (tecnologia delle bipolari
avanzate), prevenendo o comunque limitando il danno termico laterale. Questo
può essere invece anche esteso con gli strumenti bipolari tradizionali, con i
quali i chirurghi possono gestire l’erogazione di energia soltanto attraverso il
controllo visivo, che non garantisce un’individuazione rapida e precisa del
possibile danno.
***
Tra gli strumenti laparoscopici elettrificati (vedi anche Sezione E), oltre
ovviamente al bisturi, particolarmente importanti sono le forbici multifunzione
che consentono la presa e il taglio (e anche la dissezione per via smussa) dei
tessuti, nel contempo garantendo un’emostasi sicura (di vasi fino a 7 mm), per
azione del calore generato dalla corrente elettrica e della compressione
meccanica del morso. In tal modo è agevolata la gestualità dell’operatore,
riducendosi la necessità di cambiare o invertire gli strumenti all’interno dei
trocar nel corso della procedura.
Gli elettrogeneratori di ultima generazione leggono ed avvertono
l’impedenza del tessuto e/o del vaso situati all’interno del morso dello
strumento, regolando di conseguenza la tensione di uscita necessaria per la
sezione e la coagulazione completa e permanente del tessuto – la cosiddetta
fusione o sintesi tessutale, con fusione irreversibile del collagene e dell’elastina
della parte intimale del vaso (sigillo). In altri termini, mentre in un generatore
standard (anche detto ad alta frequenza, HF) la potenza della radiofrequenza è
prestabilita dall’operatore (settaggio), applicata permanentemente e interrotta
al termine del sanguinamento, nei generatori più evoluti – propriamente detti a
radiofrequenza (RF) – un sofisticato algoritmo di misurazione dinamica e
differenziale dell’impedenza del tessuto autoseleziona la potenza necessaria da
erogare e segnala acusticamente la fine del ciclo sezione/coagulo nel momento
in cui è rilevata la formazione di un sigillo di coagulazione efficace, nel
contempo interrompendo l’erogazione. Da notare che l’attivazione
dell’erogazione di corrente avviene con una semplice pressione del pulsante
posto sul manipolo e che l’erogazione può essere interrotta in qualsiasi
momento premendo nuovamente il pulsante, garantendo un controllo totale
74
dello strumento e un’operatività in piena sicurezza. In pratica, il generatore RF
produce una alta intensità di corrente a basso voltaggio, che corrisponde a
quantità molto inferiori rispetto ad un generatore HF standard, ovvero funziona
a temperature relativamente “fredde” (< 80°C), con una sintesi dei vasi e dei
tessuti che avviene senza carbonizzazione e con una minima diffusione termica
ai tessuti adiacenti; ne consegue, tra l’altro, una migliore e più rapida
guarigione rispetto ai generatori HF, in cui la riparazione tissutale è rallentata
dalla necrotizzazione e dal danno termico laterale associati.
D.
BISTURI E ALTRI STRUMENTI AD ULTRASUONI
Nel 1880 i fratelli Curie sono stati i primi a dimostrare l’effetto piezoelettrico
inverso: eccitando con corrente alternata alcuni tipi di cristalli, questi andavano
incontro a vibrazione (alternanza di dilatazioni/compressioni), generando
un’onda meccanica. Tuttavia, soltanto un secolo dopo l’evoluzione della
tecnologia (amplificatori di impedenza, trasduttore avanzati, ecc.) ha
consentito di convertire l’energia elettrica in un’affidabile oscillazione
meccanica, rendendo così disponibili i primi strumenti chirurgici ad ultrasuoni
per taglio ed emostasi (Ultracision Harmonic Scalpel® della Ethicon Endo-
Surgery-Johnson&Johnson).
Tenendo conto delle specificità di indicazione e di applicazione pratica, il
passaggio da energia elettrica ad energia meccanica ha rappresentato
indubbiamente un progresso, quanto meno in termini di sicurezza: la
possibilità di utilizzare gli ultrasuoni evita di portare elettricità nel corpo del
paziente, affrancando il chirurgo dalla problematiche e dai rischi correlati
all’utilizzo di elettrobisturi mono- e bipolare.
Emostasi
La coagulazione ultrasonica è simile a quello dell’elettrochirurgia: i vasi
sono compressi ed il calore generato dalla vibrazione meccanica denatura le
proteine, generando un sigillo emostatico. La differenza sta nella temperatura
di azione: gli strumenti ad ultrasuoni sono in grado di ottenere l’emostasi a
temperature inferiori ai 100°C. L’emostasi con Harmonic Scalpel® passa infatti
attraverso due fasi successive:
− nella prima fase, detta di fusione proteica, la vibrazione della lama
provoca la denaturazione delle strutture quaternarie e terziarie delle
proteine: il tessuto proteico si fonde in un collagene vischioso che
occlude i vasi più piccoli - le temperature raggiunte in questa fase vanno
dai 37°C ai 63°C;
− in una seconda fase, ovvero prolungando l’applicazione dell’energia
meccanica (frizione), la temperatura supera i 63°C, completandosi la
denaturazione proteica con rottura dei legami idrogeno e delle strutture
secondarie delle proteine, in particolare del collagene – raffreddandosi, le
proteine denaturate creano un sigillo (coaptazione) in grado di occludere
anche i vasi maggiori (Fig. 11).
−
Cavitazione
77
Il movimento della lama dello strumento Harmonic® crea un'area
transitoria di bassa pressione, che causa la vaporizzazione dei fluidi
intracellulari anche basse temperature. Di fatto, si ottiene l’evaporazione dei
liquidi intracellulari a temperature ben al di sotto dei 100°C e già a 40°C i
vapori generati si espandono tra gli strati tissutali e agevolano la dissezione dei
piani anatomici. L’effetto cavitazione ottimizza le condizioni di visualizzazione e
di operatività in generale.
Taglio
Il taglio può essere ottenuto simultaneamente alla coagulazione grazie alla
compartecipazione di effetti, quali calore, compressione e vibrazione meccanica
della lama che seziona i tessuti oltre il loro limite elastico. L’effetto meccanico
di taglio è ottenuto con maggiore efficacia su tessuti ad alta densità proteica
come i muscoli e, in generale, su tutti i tessuti ricchi di collagene.
78
Fig. 12 - Bisturi a ultrasuoni Harmonic®. Parametri di controllo per il
bilanciamento degli effetti di coagulazione e sezione.
Strumentazione Harmonic®
Generatore (Gen11)
È una piattaforma tecnologica che combina insieme, in un unico
apparecchio, le tecnologie ad ultrasuoni (serie Harmonic®) e quella bipolare
avanzata a radiofrequenza (serie EnSeal®). Tale peculiarità garantisce
flessibilità all’operatore, che potrà scegliere la tecnologia da utilizzare in
funzione del contesto chirurgico e delle preferenze.
E.
STRUMENTARIO LAPAROSCOPICO DI BASE
Gli strumenti laparoscopici, prima ancora che per il tipo di energia erogata
(elettrica monopolare, elettrica bipolare, meccanica ultrasonica), possono
essere classificati in base alla natura e ciclo di vita, alla loro destinazione d’uso
(taglio, presa, dissezione) e al calibro (Tab. 1).
Relativamente a natura e ciclo di vita, si distinguono strumenti e dispositivi
monouso, poliuso e semidisposable (ossia soluzioni miste/ibride), ognuno
caratterizzato da specifiche peculiarità, vantaggi e “punti di debolezza”. La
scelta del tipo di strumento più adeguato alle variabili esigenze cliniche, deve
essere quindi ponderata attentamente, considerandone non soltanto le
caratteristiche tecniche e qualitative, ma anche e – soprattutto in una
congiuntura di risparmio delle risorse - il rapporto costi-benefici dell’uso di un
dispositivo monouso, poliuso o semidisposable. L’adozione di strumentario
monouso è cresciuta in maniera esponenziale nel tempo grazie alla maggiore
efficienza garantita a prestazione, all’abbattimento dei costi di lavaggio e
sterilizzazione, oltre che del rischio di infezioni (HIV, epatite C, ecc.). Per
contro, gli strumenti poliuso hanno specifici vantaggi, tra cui principalmente
una riduzione dei costi di acquisto e di smaltimento degli strumenti monouso,
considerati rifiuti speciali infetti. Gli svantaggi dei monouso sono invece legati
82
al processo ciclico di lavaggio, disinfezione e sterilizzazione che richiede lunghe
tempistiche, attrezzatura specializzata e personale dedicato, con conseguente
incremento del rischio di errore umano e, più genericamente, di infezioni del
paziente e degli operatori sanitari. Come soluzione per così dire di
compromesso, sono stati immessi in commercio anche prodotti “ibridi”, i
cosiddetti semidisposable: il loro design modulare consente di sostituire solo
alcuni componenti monouso, potenzialmente con un ottimo rapporto
costo/beneficio, assommando i vantaggi del monouso, quali efficienza,
affidabilità e sicurezza operativa, a quelli di convenienza economica dei
poliuso.
Forbici laparoscopiche
Le forbici possono essere rette, curve ad uncino, con punte aguzze o
arrotondate. Devono prevedere la possibilità di essere collegate
all’elettrogeneratore attraverso un attacco (monopolare standard o bipolare)
posto a 45° sul retro dell'impugnatura a pistola. Ampiamente utilizzate per la
83
loro versatilità, permettono di coagulare e sezionare mediante l’impiego
dell’elettricità, ma anche di isolare e preparare le strutture mediante una
dissezione precisa e accurata, puramente meccanica, grazie alle punte sottili e
delicate. Le forbici più utilizzate sono quelle di tipo Metzembaum,
caratterizzate da lama curva da 5 mm, con stelo antiriflesso lungo circa 310
mm completamente isolato e dotato di ghiera rotante a 360°.
Le forbici possono essere monouso, poliuso o semidisposable; in
quest’ultimo caso la componente operativa (asta) è monouso, mentre
l'impugnatura è riutilizzabile e senza cremagliera. Data la loro versatilità d’uso,
occorre considerare che le forbici poliuso vengono sottoposte ad innumerevoli
sollecitazioni che potrebbero ridurre nel tempo la loro performance (in
particolare, la capacità di taglio), rendendo necessaria un’eventuale riparazione
e/o nuova affilatura. Le forbici monopolari monouso o semidisposable, al
contrario, hanno il vantaggio di garantire sempre ottime prestazioni grazie a
lame sempre “nuove”, perfettamente taglienti e affilate.
Crochet
Altro strumento indispensabile in laparoscopica è il crochet, noto anche
come elettrodo coagulante a uncino. La tipologia di più comune utilizza un
elettrodo ad uncino con angolatura J; altre forme sono a spatola, sferico o ad
84
ago intercambiabile sulla stessa impugnatura.
Il crochet comune presenta impugnatura ergonomica coassiale, attacco
monopolare standard, calibro di 5 mm, stelo isolato lungo 360 mm circa e,
appunto, terminale a uncino. E’ ampiamente utilizzato per la sua versatilità, in
quanto permette coagulazione, dissezione elettrica o meccanica con il dorso,
con la punta o la sua parte concava. Nello specifico, con il dorso è possibile
spatolare i tessuti ed eseguire una dissezione smussa, mentre con la punta e la
parte concava si possono sottendere e sezionare strutture per trazione,
allontanandole e isolandole da quelle contigue.
85
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
RACCOMANDAZIONI E LINEE GUIDA
Alessandro Maturo
86
APPENDICECTOMIA LAPAROSCOPICA
RACCOMANDAZIONI E LINEE GUIDA
1
SICE-SIC-SICUT-SICOP-EAES. Approccio laparoscopico all’addome acuto - Consensus
Development Conference. In “Linee guida e documenti EBM delle società scientifiche” nella
sezione “Altri documenti evidence based” del Sistema Nazionale per le Linee Guida dell’Istituto
Superiore di Sanità (link diretto, ultimo accesso agosto 2015, http://www.snlg-
iss.it/cms/files/CC_laparoscopia_addome_sinossi.pdf)
2
Agresta F, et al. Laparoscopic approach to acute abdomen from the Consensus Develop-
ment Conference of the Società Italiana di ChirurgiaEndoscopica e nuove tecnologie (SICE),
Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI), Società Italiana di Chirurgia (SIC),
Società Italiana di Chirurgia d'Urgenza e del Trauma (SICUT), Società Italiana di Chirur-
gia nell'Ospedalità Privata (SICOP), and the European Association for Endoscopic Surgery
(EAES). Surg Endosc. 2012 Aug;26(8):2134-64.
87
conoscenza con quelle riportate nella più diversa Letteratura,
contestualizzando il tutto alla specifica situazione ed al singolo paziente”.
“Flessibilità” e “contestualizzazione” delle linee guida sono in qualche modo
ulteriormente ribadite dai risultati degli studi NOTA (Non Operative Treatment
for Acute Appendicitis) e APPAC (Appendicitis Acuta Trial). Il NOTA è uno
studio multicentrico italiano prospettico osservazionale, pubblicato su Annals of
Surgery nel 20143, il cui obiettivo primario era di verificare l’efficacia di una
gestione terapeutica non chirurgica (NOM, nonoperative management), ovvero
dell’antibioticoterapia (amoxicillina/acido clavulanico), in adulti con sospetta
appendicite acuta. Sulla base dei risultati nei 159 pazienti arruolati, gli Autori
concludono per l’efficacia e la sicurezza dell’atteggiamento conservativo: a
breve termine (7 giorni) la terapia antibiotica è in effetti risultata efficace in
quasi il 90% dei casi e al follow-up a 2 anni meno del 14% dei pazienti non
operati ha manifestato una recidiva del dolore in regione iliaca destra, che
peraltro può essere efficacemente trattato ancora con antibiotici. Nelle
conclusioni si sottolinea quindi che l’approccio NOM consentirebbe di evitare
appendicectomie non necessarie e, di conseguenza, ridurrebbe i rischi
chirurgici e i costi totali. In commenti successivi 4,5, si sono fatti notare alcuni
possibili bias dello studio italiano (ad esempio, assenza di randomizzazione,
diagnosi preoperatoria clinica e non strumentale con possibile sovrastima dei
casi, prevalenza di donne) e la necessità quindi di ulteriori conferme. Anche lo
studio finlandese APPAC - multicentrico, open-label e randomizzato -,
pubblicato in uno degli ultimi numeri di JAMA 6. Lo studio finlandese –– ha in
effetti dimostrato che nell’adulto con appendicite acuta non complicata,
accertata con TC, una terapia antibiotica sequenziale (ertapenem per 3 giorni,
poi levofloxacina per altri 7 giorni) ha evitato il trattamento chirurgico nel
70% circa dei pazienti così trattati. Al follow-up a 1 anno l’appendicectomia si è
comunque resa necessaria in quasi il 30% dei soggetti randomizzati al
trattamento conservativo. Pur considerando che nei pazienti sottoposti a
intervento chirurgico ritardato non si sono registrate complicanze significative
(in particolare, ascessi endoaddominali), i risultati non hanno dimostrato la
“non inferiorità” della antibioticoterapia rispetto all’appendicectomia: infatti,
l’endpoint primario di efficacia per il braccio in trattamento conservativo - cioè
la risoluzione della flogosi appendicolare senza necessità di intervento
3
Di Saverio S, et al. The NOTA Study (Non Operative Treatment for Acute Appendicitis):
prospective study on the efficacy and safety of antibiotics (amoxicillin and clavulanic acid) for
treating patients with right lower quadrant abdominal pain and long-term follow-up of
conservatively treated suspected appendicitis. Ann Surg. 2014 Jul;260(1):109-17.
4
Lubrano J, et al. The NOTA (Non Operative Treatment for Acute Appendicitis) Study: One
Step Beyond or Nearby? Ann Surg. 2014 Sep 10. [Epub ahead of print].
5
Foell D, et al. The Non Operative Treatment for Acute Appendicitis (NOTA) Study: Is Less
Surgery Better Surgery? Ann Surg. 2015 Jun 23. [Epub ahead of print].
6
Salminen P, et al. Antibiotic Therapy vs Appendectomy for Treatment of Uncomplicated Acute
Appendicitis: The APPAC Randomized Clinical Trial. JAMA. 2015 Jun 16;313(23):2340-8.
88
chirurgico a 1 anno dalla dimissione – non è stato centrato nel 27.3% dei
pazienti, una percentuale più alta del 24% predefinito come limite di “non
inferiorità”.
Appare dunque azzardato concludere che, analogamente alla prassi
comune per la diverticolite acuta non complicata, anche per l’appendicite acuta
non complicata l’intervento chirurgico non debba più essere considerato il
trattamento “routinario”, “standard” o “di scelta”. E’ verosimile che un
atteggiamento conservativo (o, meglio, di “osservazione attiva”) possa – di
pari passo con l’affinamento della diagnostica strumentale - ridurre le
appendicectomie non necessarie e, più in generale, i costi per il sistema
sanitario, ma occorrono più robuste conferme sui reali vantaggi per il paziente
di una simile scelta. Nel loro commento allo studio finlandese, gli esperti
dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” (link) contestano, di
principio, l’approccio metodologico di “non inferiorità", facendo notare che, nel
caso specifico, un potenziale vantaggio per il paziente (evitare l’intervento) si
associa a uno svantaggio di fatto non accettabile, ovvero una percentuale
assolutamente non trascurabile di fallimento dell’antibioticoterapia, in assenza
oltretutto di dimostrati sostanziali benefici in termini, ad esempio, di incidenza
di complicanze (peritoniti, ascessi endoaddominali, ecc.), che è poi quello che
interessa realmente al paziente. Lo studio finlandese, fallendo la dimostrazione
di “non inferiorità” dell’antibioticoterapia e non dimostrandone sostanziali
benefici clinici rispetto all’appendicectomia, conferma di fatto che la chirurgia
resta la scelta preferenziale nel paziente adulto con appendicite acuta anche
non complicata. Da notare, inoltre, che nello studio APPAC le appendicectomie
sono state realizzate con procedura laparotomica (OA, open appendectomy).
È quindi ipotizzabile una “superiorità” ancora più marcata della scelta
chirurgica (vs antibioticoterapia), considerando i dimostrati vantaggi
dell’appendicectomia laparoscopica (minore dolore postoperatorio, minore
durata della degenza, più rapida ripresa delle attività quotidiane, minore
incidenza di infezioni della ferita, ecc.)7. Una superiorità tendenziale della LA
sulla OA è stata recentemente confermata anche da una “revisione delle
revisioni sistematiche” (overview of SRs)8, una nuova metodologia di analisi
introdotta dalla Cochrane Collaboration. L’overview di 9 revisioni sistematiche
(con limite di ricerca ad agosto 2014, per un totale di oltre 70 studi clinici
controllati randomizzati) ha inoltre evidenziato che l’appendicectomia resta il
trattamento standard nei pazienti con sospetta appendicite acuta e che un
atteggiamento conservativo (antibioticoterapia) è proponibile in casi selezionati
7
Wise J. Routine appendectomy could be abandoned for uncomplicated appendicitis, study fin-
ds. BMJ. 2015 Jun 16;350:h3246.
8
Jaschinski T, et al. Laparoscopic versus open appendectomy in patients with sus-
pected appendicitis: a systematic review of meta-analyses of randomised controlled trials. BMC
Gastroenterol. 2015 Apr 15;15:48.
89
e/o in presenza di controindicazioni all’intervento chirurgico9. Una ancora più
robusta conferma della superiorità dell’approccio laparoscopico (vs open) è
nell’analisi del NIS (Nationwide Inpatient Sample) statunitense, un database
unico per numerosità: oltre 1.000 Centri ospedalieri per un totale di circa 8
milioni di degenze. In estrema sintesi, i dati (fino alla dimissione) di oltre 2,5
milioni di pazienti (di tutte l’età) sottoposti tra il 2004 e il 2011 ad
asportazione dell’appendice per flogosi acuta, senza o con perforazione,
evidenziano10:
- il costante e significativo incremento delle appendicectomie
laparoscopiche (LA): dal 43.3% del 2004 al 75% del 2011;
- una percentuale complessiva di conversione del 6.3%, con un
decremento dal 7.2% del 2004 al 5.6% nel 2011;
- la superiorità della LA rispetto alla OA, anche in presenza di perforazione,
per tutti gli outcomes considerati: morbidità e mortalità postoperatorie,
durata dell’ospedalizzazione, costo medio totale della degenza.
Pur in presenza di bias (studio retrospettivo, assenza di dati su durata
dell’intervento e di follow-up post-dimissione, ecc.), appaiono condivisibili le
“perentorie” conclusioni degli esperti statunitensi, ovvero che l’appendicetomia
laparoscopica “is safe and effective in the management of perforated and
nonperforated appendicitis, and should be considered the procedure of choice
in acute appendicitis in all groups of patients”.
Di pari passo con la crescita di una diversa “cultura chirurgica”, con
specifiche competenze ed abilità, e con la sempre più diffusa disponibilità h24
delle apparecchiature, l’appendicectomia laparoscopica sta dunque diventando
la procedura standard di scelta in tutti i pazienti con appendicite acuta, come è
evidente anche dall’evoluzione nel tempo delle linee guida. D’altra parte,
fondamentali per l’affermarsi definitivo dell’approccio laparoscopico sono
proprio le linee guida e il loro costante aggiornamento sulle evidenze, con
l’obiettivo ultimo di una progressiva standardizzazione della tecnica e, di
conseguenza, delle modalità del suo apprendimento. La standardizzazione è
importante anche per migliorare la qualità degli studi clinici
sull’appendicectomia laparoscopica.
Prima di una sintetica esposizione delle raccomandazioni per l’adulto,
meritano un cenno quelle indirizzate alla popolazione pediatrica. Di riferimento
restano le guidelines elaborate nel 2008 dall’International Pediatric
9
Jaschinski T, et al. Laparoscopic versus open appendectomy in patients with sus-
pected appendicitis: a systematic review of meta-analyses of randomised controlled trials. BMC
Gastroenterol. 2015 Apr 15;15:48.
10
Masoomi H, et al. Laparoscopic appendectomy trends and outcomes in the United States:
data from the Nationwide Inpatient Sample (NIS), 2004-2011. Am Surg. 2014
Oct;80(10):1074-7.
90
Endosurgery Group (IPEG), disponibili nel sito (www.ipeg.org)11. Premesso che
nell’infanzia e nella prima adolescenza la diagnosi può essere tardiva e che la
clinica può lasciare dubbi sulla progressione della malattia (con perforazione,
ascesso appendicolare e/o ascesso endoaddominale, quest’ultimo
verosimilmente favorito dalla ridotta componente adiposa dell’omento), è
significativo – alla luce soprattutto dei risultati del citato studio APPAC - il
richiamo alle opinioni divergenti sull’opportunità di un approccio iniziale
conservativo, con terapia antibiotica per almeno 24 ore, seguita dall’intervento
chirurgico. In casi selezionati può essere indicato il drenaggio percutaneo eco-
o TC-guidato dell’ascesso appendicolare. Nei casi complicati e inizialmente
trattati in maniera conservativa, l’intervento può eventualmente essere
differito fino a 2-3 mesi (cosiddetta interval appendectomy “in elezione”). In
realtà, se l’approccio conservativo è risultato efficace, l’“appendicectomia di
intervallo” è diventata obsoleta, ovvero non è più indicata “di routine”,
soprattutto perché è dimostrato che la “recidiva” della flogosi appendicolare è
rara e, se compare (generalmente entro l’anno), ha di regola un decorso
“benigno”.
Relativamente alla procedura, l’IPEG, in un’epoca per così dire di rapida
transizione, riteneva “reasonable” che la LA potesse essere considerata “at
least equivalent” alla open. L’approccio laparoscopico era particolarmente
indicato nei casi in cui la diagnosi preoperatoria è incerta. Le conclusioni
“datate” dell’IPEG, pur sostanzialmente a favore dell’appendicectomia
laparoscopica – che, rispetto alla open, ha gli stessi vantaggi dimostrati nella
popolazione adulta - appaiono dunque ancora “incerte” sulla sua indicazione in
presenza di appendicite complicata. D’altra parte, non c’è dubbio che
soprattutto l’ascesso appendicolare possa comportare qualche difficoltà tecnica
per uno specialista con esperienza laparoscopica non completa. Relativamente
alla tecnica “raccomandata” dall’IPEG, di regola a tre trocar di opportuno
calibro, si segnalano:
− la frequente introduzione dell’ottica attraverso la porta del quadrante
addominale inferiore destro, in-line con l’appendice;
− la possibilità di legatura/sezione extracorporea della base appendicolare,
estraendo l’appendice attraverso una cannula di 5 mm passata ancora
nella porta del quadrante addominale inferiore destro.
Nella pratica quotidiana, i soggetti di età inferiore ai 14 anni con sospetta
appendicite acuta sono di regola affidati, se possibile, alla gestione del chirurgo
pediatra, almeno in Italia. Il work-up diagnostico e terapeutico è in effetti
differente da quello dell’adulto e, di conseguenza, le evidenze disponibili non
sono reciprocamente estrapolabili. Ne consegue che le linee guida per la
popolazione adulta, di seguito sinteticamente esposte, debbono essere quanto
11
IPEG Standard and Safety Committee. IPEG guidelines for appendectomy. J Laparoendosc
Adv Surg Tech A. 2009 Feb;19(1):vii-ix.
91
meno criticamente considerate dallo specialista “non dedicato” che si trovasse
a gestire, per necessità contingenti, un soggetto non adulto.
Tornando all’adulto, il criterio cronologico di esposizione delle linee guida
fa risaltare l’evoluzione delle opinioni e delle pratiche, a conferma che la
laparoscopia ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per la chirurgia.
A.
Linee guida della Society of American Gastrointestinal and Endoscopic
Surgeons (SAGES - www.sages.org) – 200912
Nel “Preambolo” la SAGES sottolinea che, pur in presenza di una mole
crescente di evidenze favorevoli, le opinioni restano controverse sui vantaggi
dell’approccio laparoscopico, in particolare nell’appendicite complicata. Segue
subito una decisa “esclusione di responsabilità” (disclaimer), peraltro implicita
per tutte le raccomandazioni delle varie società scientifiche: le linee guida
hanno validità temporanea, debbono sempre essere intese in maniera flessibile
ed è il chirurgo che deve comunque scegliere l’approccio migliore per il singolo
caso e nello scenario “reale” in cui si trova ad operare. In sintesi, si elencano le
conclusioni più significative della SAGES:
− una pregressa laparotomia non è una controindicazione assoluta alla
procedura laparoscopica;
− per l’appendicite non complicata la LA è certamente (qualità/livello di
evidenza - LoE I; forza/grado della raccomandazione- GoR A)
un’alternativa efficace e sicura alla OA;
− secondo le evidenze, non di “primo livello”, disponibili al momento, la LA
può essere realizzata in sicurezza e addirittura potrebbe essere
(possibly) la scelta preferenziale anche in pazienti con malattia
complicata;
− in riferimento soprattutto all’incidenza di ascessi pelvici postoperatori, nei
pazienti con appendicite complicata la scelta della procedura
laparoscopica è ovviamente correlata all’esperienza specifica del team –
si consideri che, in alcune serie, una tecnica regolata (con lavaggio
peritoneale) ha significativamente ridotto la percentuale di ascessi
endoaddominali dopo una learning curve di 20 casi; la standardizzazione
della tecnica è d’altra parte premessa importante per ridurre tempi
operatori, complicanze e costi;
− l’approccio laparoscopico è da preferire (LoE I, GoR A) nella donna in età
fertile con sospetta appendicite, poiché – rispetto all’open - migliora
l’accuratezza diagnostica, consentendo con maggior frequenza
l’accertamento definitivo della patologia; LoE e GoR sono inferiori per
pazienti anziani, donne in gravidanza e soggetti obesi – per la
12
Korndorffer JR Jr, et al. SAGES guideline for laparoscopic appendectomy. Surg Endosc. 2010
Apr;24(4):757-61.
92
laparoscopia diagnostica, di cui si tratterà ancora, vedi anche le
specifiche linee guida della SAGES disponibili online13;
− relativamente agli aspetti tecnici, si ribadisce il principio base della
triangolazione nel posizionamento dei trocar: la porta iniziale è
ombelicale (10-12 mm), mentre le secondarie sono lasciate alla
preferenza del chirurgo; si fa comunque notare che, con due “porte di
lavoro” in quadranti addominali adiacenti (ad esempio, distale sinistro e
soprapubico), l’operatore può agire “a due mani”, senza necessità di
affidarsi ad un aiuto che assicuri la retrazione mentre procede alla
dissezione.
Nelle linee guida della SAGES si affronta anche un tema tuttora dibattuto,
ovvero cosa fare se alla laparoscopia l’appendice appare indenne. La decisione
va presa caso per caso, ma la raccomandazione è sostanzialmente a favore
dell’exeresi di principio, considerando che un’appendice macroscopicamente
normale può non esserlo a livello istopatologico fin nel 40% dei casi. Da notare
che nelle linee guida del 2006 dell’European Association for Endoscopic Surgery
(EAES - www.eaes-eur.org), dedicate all’impiego della laparoscopia nelle
urgenze/emergenze addominali (addome acuto)14, lo statement – di seguito
riportato nella versione inglese originale – era alquanto difforme: “Patients
with symptoms and diagnostic findings suggestive of acute appendicitis should
undergo diagnostic laparoscopy (GoR A) and, if the diagnosis is confirmed,
laparoscopic appendectomy (GoR A). If diagnostic laparoscopy shows that
symptoms cannot be ascribed to appendicitis, the appendix may be left in situ
(GoR B)”. La raccomandazione all’exeresi non è comunque di livello massimo.
In altri termini, la scelta di non asportare l’appendice apparentemente “non
colpevole” appare senz’altro corretta se si evidenzia un’altra causa del quadro
clinico (evenienza non infrequente nella donna), ma è opinabile se segni e
sintomi sono fortemente suggestivi di un’appendicopatia acuta che l’indagine
laparoscopica potrebbe aver colto in una fase precoce, ovvero con
infiammazione limitata agli strati “intramurali” della parete del viscere
(cosiddetta appendicite endoluminale o endoappendicite). Una più recente
indagine internazionale di SAGES, SFCE (Société Française de Chirurgie
Endoscopique) e SICE (Società Italiana di Chirurgia Endoscopica)15 ha
confermato che la maggioranza dei chirurghi (il 70% circa) che hanno risposto
al questionario asporta di principio l’appendice normale anche nei soggetti
maschili, con varie motivazioni (49% “per possibile appendicite endoluminale”,
13
Hori Y; SAGES Guidelines Committee. Diagnostic laparoscopy guidelines. Surg Endosc. 2008
May;22(5):1353-83.
14
Sauerland S, et al. Laparoscopy for abdominal emergencies: evidence-based guidelines of
the European Association for Endoscopic Surgery. Surg Endosc. 2006 Jan;20(1):14-29.
15
Jaunoo SS, et al. An international survey of opinion regarding investigation of possible
appendicitis and laparoscopic management of a macroscopically normal appendix. Ann R Coll
Surg Engl. 2012 Oct;94(7):476-80.
93
37% “per prevenire una futura appendicite”, 15% “per evitare future
incertezze del paziente sull’avere ancora o non avere più l’appendice”). In
assenza di una linea guida univoca, le conclusioni sono per l’asportazione
dell’appendice apparentemente sana se non vi è altra spiegazione per la
sintomatologia riferita dal paziente. Un altro dato interessante emerso
dall’indagine è la preferenza dei membri SAGES per la tomografia
computerizzata (TC) per risolvere il dubbio diagnostico in un paziente con
dolore acuto in regione iliaca destra; al contrario, per la maggioranza dei soci
SFCE e SICE la prima scelta è la laparoscopia, in particolare nella donna.
Infine, meritano un cenno – in riferimento ancora a quelle coeve della
SAGES già riassunte - le linee guida per la diagnosi e la gestione delle infezioni
intra-addominali pubblicate nel 2010 dalla Surgical Infection Society (SIS -
www.sisna.org) e dalla Infectious Diseases Society of America (IDSA -
www.idsociety.org)16, di cui peraltro è in corso l’aggiornamento. Le specifiche
raccomandazioni sono elencate e discusse in due sezioni (“Pathways for the
Diagnosis and Management of Patients with Suspected Acute Appendicitis” e
“What Are the Key Elements that Should Be Considered in Developing a Local
Appendicitis Pathway?). In sintesi:
− la TC spirale (con contrasto endovenoso) è la procedura di imaging
raccomandata in pazienti con sospetta appendicite non confermata dal
routinario work-up clinico e di laboratorio; in particolare, va presa in
considerazione in tutte le donne (previo test di gravidanza, se in età
fertile) e anche nei bambini di età < 3 anni, nei quali ultimi l’ecografia
può essere una ragionevole alternativa per evitare le radiazioni
ionizzanti;
− la laparoscopia diagnostica resta una “seconda scelta” (TC non
risolutiva e/o condizioni cliniche che non migliorano);
− il sospetto clinico deve in ogni caso guidare le scelte gestionali,
indipendentemente da laboratorio e imaging, e la TC, che può dare
falsi negativi, non appare comunque indicata negli uomini con età < 40
anni e quadro clinico tipico;
− l’intervento chirurgico per appendicite acuta non perforata va realizzato
appena “ragionevolmente” possibile, ma può essere differito per un
breve periodo;
− LA e OA sono procedure entrambe accettabili e la scelta, se
ovviamente le apparecchiature laparoscopiche sono disponibili, è
condizionata soltanto dall’esperienza dell’operatore (LoE I, GoR A) – si
noti che i due approcci sono giudicati “alla pari”;
16
Solomkin JS, et al. Diagnosis and management of complicated intra-abdominal infection in a-
dults and children: guidelines by the Surgical Infection Society and the Infectious Diseases So-
ciety of America. Clin Infect Dis. 2010 Jan 15;50(2):133-64.
94
− un atteggiamento conservativo (con antibioticoterapia) può essere
preso in considerazione, in particolare nel soggetto maschile, soltanto
se si constata un marcato miglioramento del quadro clinico prima del
programmato intervento o comunque entro 24 ore dall’inizio della
terapia farmacologica;
− i pazienti con appendicite perforata debbono essere sottoposti ad
intervento chirurgico urgente per un adeguato controllo della fonte di
infezione;
− l’appendicectomia è di regola differita in presenza di ascesso peri-
appendicolare ben circoscritto, che può essere drenato con minori
rischi per via percutanea o chirurgica;
− in pazienti selezionati (ricovero tardivo, dopo alcuni giorni dall’esordio
del processo flogistico, e/o con ascesso di limitate dimensioni) è
possibile un atteggiamento analogo a quello messo in atto per la
diverticolite acuta, evitando qualsiasi procedura invasiva; resta
controverso il ricorso all’appendicectomia di intervallo, che alcune
evidenze dimostrano non essere necessaria nel 75% e fino al 90% dei
casi trattati con successo in maniera conservativa (si vedano, a
proposito, le critiche allo studio APPAC).
B.
Linee guida dell’ Associazione dei Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI -
www.acoi.it) – 2010-201117
Si citano doverosamente poiché sono le prime in Europa ad aggiornare le
guidelines EAES del 2006 - e ad aggiungersi, con significative differenziazioni,
a quelle della SAGES - e, soprattutto, perché costituiscono una premessa
fondamentale, una sorta di ponte o, se si vuole, di work in progress verso la
forma più compiuta della Consensus Development Conference sull’addome
acuto del 2012, multisocietaria (con la partecipazione della stessa EAES) e
multidisciplinare (vedi Sezione C). E’ significativo che le linee guida dell’ACOI
siano state promosse ed elaborate dalla “Commissione Giovani”
dell’Associazione, in risposta a una crescente domanda formativa. Se ne
raccomanda la lettura della stesura finale – pubblicata solo in italiano e
disponibile online sia nel sito associativo (link, cui si fa riferimento) che in
quello dell’Istituto Superiore di Sanità (link) - perché integrata da un’ulteriore
revisione sistematica della letteratura disponibile fino a gennaio 2010, oltre che
da interessanti capitoli di storia ed epidemiologia. Sulla base di un audit
informativo su 460 reparti chirurgici nazionali (pubblicato online nel marzo
17
Vettoretto N, et al.; Italian Association of Hospital Surgeons (Associazione dei Chirurghi
Ospedalieri Italiani). Consensus conference on laparoscopic appendectomy: development
of guidelines. Colorectal Dis. 2011 Jul;13(7):748-54.
95
2011)18, sono state definiti 14 quesiti proposti a un panel di 21 esperti
(chirurghi laparoscopisti e non), scelti dal Consiglio Direttivo dell’ACOI. Le
risposte, previa analisi motivata degli esperti, referaggio anche esterno e
vaglio finale di un auditorio congressuale (Consensus Conference, Olbia maggio
2009), hanno infine preso la forma di statements, con la premessa introduttiva
che “l’appendicectomia laparoscopica è un intervento su cui ancora si dibatte, e
la qualità dei dati è insufficiente per fornire validità ai fini di definirla il gold
standard”. In sintesi, le raccomandazioni più significative sono (vedi Tabella
per relativi LoE e GoR):
− la diagnosi di appendicite acuta è fondamentalmente clinica, benché
l’ecografia dell’addome sia un utile completamento per la diagnosi
differenziale con altre patologie (LoE IIB, GoRB);
− la tomografia computerizzata (TC) dell’addome è da considerare un
esame di seconda scelta da riservare a casi selezionati, in particolare
anziani e obesi, per escludere altre patologie (ad esempio, neoplasia
colica) e non solo per confermare la patologia appendicolare (LoE IIB,
GoR B); l’uso routinario della TC non migliora sostanzialmente la
percentuale di appendiciti “negative” all’esplorazione;
− nelle donne in età fertile sono raccomandati una visita ginecologica e un
test di gravidanza preoperatori (LoE IV, GoR C) – da notare che tuttora
non c’è consenso unanime sull’appendicectomia laparoscopica nelle
donne in gravidanza (rischio aborto maggiore che per OA);
− nel dolore addominale acuto in regione iliaca destra si raccomanda una
laparoscopia come ultimo atto diagnostico e primo atto terapeutico (LoE
IA, GoR A), in particolare nei casi di diagnosi incerta con sintomatologia
dolorosa che dati da meno di 7 giorni;
− in assenza di specifiche controindicazioni, l’approccio laparoscopico si
considera preferibile nelle donne in età fertile (LoE IA, GoR A) e, sia pur
con evidenze meno robuste, anche negli uomini (LoE III, Gor C) e in
pazienti obesi (LoE III, GoR C); la procedura laparoscopica è applicabile
anche agli anziani, previo accurato work-up diagnostico (LoE IIB, GoR
C);
− in caso di appendice macroscopicamente normale non si raggiunge un
consenso relativo alla sua conservazione, tranne che in presenza di altre
patologie che giustifichino il quadro clinico (LoE IIB, GoR B); la
maggioranza degli esperti è comunque a favore della rimozione per la
possibilità di endoappendicite e anche per il riscontrato miglioramento in
alcuni casi della sintomatologia dolorosa;
18
Vettoretto N, et al.; Young Surgeons' Committee, Italian Associaton of Hospital Surgeons.
Diffusion of laparoscopic appendectomies in Italy: a national audit. Minim Invasive Ther Allied
Technol. 2012 Mar;21(2):101-7.
96
− peritonite, ascesso, appendicite gangrenosa o perforazione non sono
indicazioni alla conversione di principio; ogni situazione deve essere
valutata singolarmente, sulla base dell’esperienza dell’operatore (LoE IB,
GoR A) - l’indicazione alla laparoscopia nell’appendicite complicata è
tuttora dibattuta, ma le evidenze indicano che, in mani esperte e con
tecnica standardizzata (esplorazione metodica, lavaggio completo),
anche in questi casi gli outcomes sono migliori dell’approccio open;
− gli accessi dei trocar ombelicale, sovrapubico e in fossa iliaca sinistra
sono considerati i migliori per consentire un’ottimale triangolazione: è la
disposizione privilegiata dalla Scuola italiana, ma non c’è evidenza che
impatti favorevolmente sugli outcomes rispetto ad altre modalità di
accesso (LoE V, GoR D) – da notare che per la tecnica “single-port”, di
cui si tratterà in seguito insieme con la NOTES (attraverso orifizi
naturali), il dibattito è in continua evoluzione;
− il panel di esperti considera la coagulazione bipolare come la tecnica più
economica ed affidabile per la sezione del mesenteriolo (LoE V, GoR D) e
privilegia l’uso del loop per la sezione del viscere (LoE IA, GoR A),
ritenendo che, anche per i costi elevati, l’uso delle suturatrici meccaniche
sia appropriato soltanto in presenza di gangrena estesa alla base
dell’appendice, includendo nella sezione un “francobollo” di tessuto
ciecale per aumentare la sicurezza di tenuta (LoE III, GoR C);
− è indicato (LoE III, GoR C) l’uso routinario di una protezione del pezzo
operatorio durante l’estrazione (endobag, intra-trocar, altri presidi), pena
l’incremento di incidenza di infezioni della ferita e altre possibili più rare
complicanze (ad esempio, port site metastases);
− non è indicato l’uso routinario del drenaggio (LoE IA, GoR A), che può
essere addirittura dannoso, ma che è comunque accettato in presenza di
peritonite diffusa o ascessi e/o in casi selezionati a rischio (terapia
steroidea, patologie croniche, ecc.);
− la learning curve richiede un minimo di 20 procedure, ma le evidenze non
sono comunque di livello elevato (LoE III, GoR C).
97
Livelli di evidenza
Gradi di raccomandazione
A- Studi di livello 1
B- Studi di livello 2 o 3 oppure estrapolazioni da studi di livello 1
C- Studi di livello 4 o estrapolazioni da studi di livello 2 o 3
C.
Consensus Development Conference sull’addome acuto di Società
Italiana di Chirurgia Endoscopica e nuove tecnologie (SICE -
www.siceitalia.com), Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI
- www.acoi.it), Società Italiana di Chirurgia (SIC -
portale.sichirurgia.info), Società Italiana di Chirurgia d'Urgenza e del
Trauma (SICUT - www.triumphgroupinternational.com), Società
Italiana di Chirurgia nell'Ospedalità Privata (SICOP -
98
www.sicopchirurgia.it) ed European Association for Endoscopic
Surgery (EAES - www.eaes-eur.org) – 2011-201219
L’obiettivo primario delle cinque società chirurgiche nazionali (con SICE
promotrice) era di aggiornare le linee guida specifiche dell’EAES pubblicate nel
2006 (Sauerland S, et al. Surg Endosc, 2006). Nel panel erano presenti anche
radiologi (SIRM), anestesisti (SIAARTI), ginecologi (SIGO), epidemiologi,
infermieri (IPASVI), esperti dei servizi sanitari, amministratori ospedalieri
(Federsanità), medici manager ospedalieri (SIMM), esperti delle autorità
regolatorie sanitarie (ISS), responsabili di associazioni di pazienti
(Cittadinanzattiva). Le raccomandazioni, indirizzate alla popolazione adulta,
hanno quindi una peculiare autorevolezza che discende dalla collegialità
(coinvolta in pratica tutta la comunità chirurgica italiana) e dalla
multidisciplinarietà dei redattori, oltre che dal vaglio in Rete cui sono state
preliminarmente sottoposte. Inoltre, assumono una connotazione propriamente
europea per il contributo dell’EAES, in particolare nella fase di referaggio
esterno, cui ha partecipato anche l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario
Negri”. In sintesi, sulla base delle evidenze a novembre 2010 e relativamente
all’appendicite acuta, lo statement conclusivo, riportato nella versione
originale, afferma che “patients with symptoms and diagnostic findings
suggestive of acute appendicitis should undergo diagnostic laparoscopy (GoR
A) and, if the diagnosis is confirmed, laparoscopic appendectomy (GoR A)”. In
altri termini, pur considerando il miglioramento delle tecniche di imaging, la
laparoscopia diagnostica appare particolarmente utile quando è possibile anche
un trattamento laparoscopico, così come ribadito dalle precedenti linee guida
ACOI. In particolare:
− La LA può essere considerata l’intervento di scelta (gold standard) nelle
donne in pre-menopausa ed è ugualmente proponibile in soggetti
anziani, obesi e di sesso maschile – si noti la “cautela” rispetto ad una
politica “all comers”, giustificata da evidenze insufficienti di superiorità
della LA negli uomini in generale e, con grading diversificato, in altre
sottopopolazioni di pazienti;
− anche un quadro di appendicite complicata può essere affrontato per via
laparoscopica – il segnalato incremento di ascessi endo-addominali è
probabilmente correlato a esperienze iniziali e non è stato confermato
da reviews recenti;
− nonostante evidenze di sicurezza anche in gravidanza, i vantaggi della LA
appaiono inferiori al rischio di aborto, che è maggiore rispetto alla OA;
19
Agresta F, et al. Laparoscopic approach to acute abdomen from the Consensus Development
Conference of the Società Italiana di Chirurgia Endoscopica e nuove tecnologie (SICE),
Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI), Società Italiana di Chirurgia (SIC), Società
Italiana di Chirurgia d'Urgenza e del Trauma (SICUT), Società Italiana di Chirurgia
nell'Ospedalità Privata (SICOP), and the European Association for Endoscopic Surgery (EAES).
Surg Endosc. 2012 Aug;26(8):2134-64.
99
− se durante l’esplorazione della cavità addominale viene riscontrata la
presenza di una patologia alternativa, correlabile al quadro clinico,
l’asportazione di una appendice normale non è raccomandata; se
tuttavia non si riscontra nessun’altra malattia e l’appendice appare
macroscopicamente normale, è opportuno procedere alla
appendicectomia se è presente una storia clinica pregressa di dolori
appendicolari e nel caso in cui gli esami preoperatori (ecografia o TC)
abbiano rilevato la presenza di un fecalita o di contenuto fecale
all’interno dell’appendice – la raccomandazione poggia sulle evidenze
che la morbilità per appendicectomia non è significativamente superiore
a quella della laparoscopia esplorativa, per cui, se l’esperienza del
Centro è adeguata (incidenza minima di ascessi), l’exeresi del viscere è
consigliabile per prevenire il dolore ricorrente e ridurre la frequenza di
nuovo ricovero (fino al 13%), oltre che per evitare di non trattare una
possibile endoappendicite, rilevata istologicamente in una percentuale
tra l’11% ed il 26% (e fino al 40% circa in alcune casistiche) delle
appendici considerate macroscopicamente normali;
− tre porte restano ancora il gold standard per la LA, ma la disposizione è
lasciata alla scelta dell’operatore – in donne giovani due trocar
sovrapubici, oltre ovviamente all’ombelicale, sembrano dare migliori
risultati estetici, mentre da riservare a casi selezionati e non complicati
la needlescopy (con strumenti da 3 a 5 mm); la tecnica single-port è
considerata ancora inferiore alla standard, mentre la NOTES (attraverso
orifizi naturali) è realizzata e realizzabile solo in studi clinici rigidamente
controllati e/o protocolli sperimentali;
− relativamente alla chiusura del moncone, l’aumento dei costi con le
suturatrici meccaniche influenza la scelta a favore del laccio (loop), in
assenza di evidenze che provino una riduzione degli ascessi
endoaddominali con l’uso dello stapler.
Quello della gestione del moncone appendicolare è uno degli aspetti
tecnici più controversi. In attesa dei risultati di una specifica Cochrane20, la
questione offre al panel di esperti lo spunto per alcune considerazioni di più
ampio respiro. Di fatto l’appendicectomia laparoscopica è perlopiù eseguita da
chirurghi giovani e meno esperti, relativamente spesso durante le ore
pomeridiane o notturne, e quindi un gesto di esecuzione più semplice e
tecnicamente standardizzato come la sutura meccanica potrebbe rivelarsi
vantaggioso. Il “valore formativo” del ricorso alla stapler non è tuttavia
unanimemente riconosciuto; in tal senso, per molti è preferibile il
posizionamento di un loop, che richiede l’apprendimento di una specifica
20
Su Peng, et al. Appendix stump closure during laparoscopic appendectomy (Protocol).
Cochrane Database Syst Rev 2012 December 12; 2:CD006437. DOI:
10.1002/14651858.CD006437.pub2.
100
gestualità operativa tipica della procedura laparoscopica. E’ comunque opinione
condivisa che non possano essere (soltanto) i costi a condizionare indicazioni e
scelte e, soprattutto, che la standardizzazione della tecnica è di fondamentale
importanza per migliorare la qualità degli studi e anche i protocolli di
insegnamento/addestramento.
La standardizzazione può inoltre contribuire a una maggior diffusione della
LA in ambito nazionale. Sulla base del citato audit dell’ACOI, la LA è sì
realizzata in oltre il 90% delle unità di chirurgia che hanno risposto al
questionario, ma ancora in un ridotto numero di casi (30-60% delle
appendicectomie), non correlato comunque al volume complessivo di attività, e
da team laparoscopici selezionati (cui partecipano meno del 30% dei chirurghi
attivi nella stessa struttura). Pur in presenza di un incremento della
disponibilità delle necessarie attrezzature anche nelle ore notturne, l’approccio
laparoscopico appare quindi ancora lontano dall’essere considerato il gold
standard, dal momento che solo nel 45% delle strutture la maggioranza dei
pazienti affetti da appendicite acuta è trattata laparoscopicamente. Da notare,
inoltre, la sostanziale non concordanza sulle indicazioni e che la politica “all-
comers” adottata nel 48% dei centri interpellati – con inclusione, ad esempio,
di casi selezionati di soggetti oltre i 70 anni di età - non appare suffragata da
evidenze certe, come evidenziato da successive revisioni Cochrane del 2010,
2011 e 2014. Le Cochrane confermano comunque la tendenziale superiorità
della LA (versus OL)21, con vantaggi fuori discussione nella donna in età fertile
(alto valore diagnostico con riduzione delle appendicectomie “non
necessarie”)22,23. Gli imminenti risultati della nuova indagine ACOI forniranno
una “fotografia” aggiornata della situazione, da utilizzare per un eventuale
update delle linee guida e soprattutto per elaborare più efficaci strategie per la
loro omogenea implementazione.
D.
Linee guida per la gestione delle infezioni endo-addominali e position
paper sull’appendicite acuta della World Society of Emergency Surgery
(WSES - www.wses.org.uk) – 2012-201324,25
Aggiornamento di quelle del 201026, le guidelines della WSES – in cui la
componente italiana è significativa - si caratterizzano per due statements
21
Sauerland S, et al. Laparoscopic versus open surgery for suspected appendicitis. Cochrane
Database Syst Rev. 2010 Oct 6;(10):CD001546.
22
Gaitán HG, et al. Laparoscopy for the management of acute lower abdominal pain in wo-
men of childbearing age. Cochrane Database Syst Rev. 2011 Jan 19;(1):CD007683.
23
Gaitán HG, et al. Laparoscopy for the management of acute lower abdominal pain in wo-
men of childbearing age. Cochrane Database Syst Rev. 2014 May 22;5:CD007683.
24
Sartelli M, et al. 2013 WSES guidelines for management of intra-abdominal infections. World
J Emerg Surg. 2013 Jan 8;8(1):3.
25
Agresta F, et al. Acute appendicitis: position paper, WSES, 2013. World J Emerg Surg. 2014
Apr 7;9(1):26.
101
specifici con massimo grading (1a, ovvero – secondo Guyatt et al.27 - “forte
raccomandazione applicabile alla maggior parte dei pazienti nella maggior
parte delle circostanze senza riserve)”. Vale la pena riportarli nella versione
originale:
− “The appendectomy remains the treatment of choice for acute
appendicitis. Antibiotic therapy is a safe means of primary treatment for
patients with uncomplicated acute appendicitis, but this conservative
approach is less effective in the long-term due to significant recurrence
rates” – in pratica, l’atteggiamento conservativo è un’alternativa
possibile soltanto se la malattia non è complicata e la chirurgia è
controindicata;
− “Both open and laparoscopic appendectomies are viable approaches to
surgical treatment of acute appendicitis” – sulla LA, tendenzialmente
superiore per tutti i tradizionali outcomes, graverebbe ancora una
superiore incidenza di ascessi endo-addominali, peraltro correlabile
all’esperienza del team laparoscopico; da notare, inoltre, che il lavaggio
intraoperatorio sistematico non appare in grado di ridurre gli ascessi e
può essere evitato, ma è una “raccomandazione debole e la scelta
operativa migliore varia a seconda delle circostanze, del caso specifico,
dell’esperienza dell’operatore e di altre problematiche generali”.
Il successivo position paper rappresenta invece, in accordo con la peculiare
scientific development policy (SDP) della WSES28, il primo passo (l’opinione di
esperti “interni” derivata da una revisione sistematica delle evidenze
disponibili) per la pubblicazione entro 2-3 anni, attraverso una Consensus
Conference e il vaglio finale del Congresso societario, di linee guida aggiornate
e specifiche per l’appendicectomia laparoscopica. E’ interessante osservare che
l’obiettivo prioritario della SDP è l’innesco di un “circolo scientifico virtuoso”
mirato ad evitare – cadenzando appunto i tempi dell’update - l’obsolescenza
delle raccomandazioni: in altri termini, si tratta di mantenere il passo del
rapido e costante progresso delle conoscenze e delle tecnologie, oltre che
ovviamente delle esperienze.
Il “punto di vista” degli esperti del Board della WSES, da proporre alla
valutazione della Consensus Conference, poggia ovviamente sulle precedenti
linee guida e sulle evidenze degli ultimi 5 anni (fino al 30 aprile 2013). In
sintesi, le valutazioni/raccomandazioni più significative sono:
26
Sartelli M, et al. WSES consensus conference: Guidelines for first-line management of intra-
abdominal infections. World J Emerg Surg. 2011 Jan 13;6:2.
27
Guyatt G, et al. Grading strength of recommendations and quality of evidence in clinical gui-
delines: report from an american college of chestphysicians task force. Chest. 2006 Jan;129
(1):174-81.
28
Catena F, et al. Emergency surgeon: " last of the mohicans" 2014-2016 editorial policy
WSES- WJES: position papers, guidelines, courses, books and original research; from WJES
impact factor to WSES congress impact factor. World J Emerg Surg. 2014 Feb 3;9(1):14.
102
− l’approccio laparoscopico, come emerge anche dalle citate guidelines
2011-2012 dell’ACOI e della Consensus Development Conference
multisocietaria 2011-2012, è raccomandabile anche nelle appendiciti
complicate e, soprattutto, deve essere considerato “l’ultimo atto
diagnostico e il primo atto terapeutico” – si tenga conto, a tal
proposito, che la conversione non impatta negativamente sugli
outcomes;
− oltre che le donne in età fertile, potrebbero trarre vantaggi
dall’approccio laparoscopico anche soggetti con rischio incrementato di
complicanze, quali anziani ed obesi e anche soggetti
immunocompromessi, come confermato da numerose evidenze, tra cui
gli studi sugli ingenti database dell’American College of Surgeons
National Surgical Quality Improvement Program (ACS/NSQIP)29,30 e
dello stesso NIS31;
− in presenza di un’appendice macroscopicamente indenne è
raccomandata l’appendicectomia di principio, considerando l’elevata
percentuale di riscontro istologico di endoappendicite (fin quasi nel
30% dei casi, e anche oltre in alcune casistiche) e che comunque –
come già rilevato dalla citata Consensus Conference multisocietaria –
la morbilità dell’appendicectomia non è significativamente maggiore di
quella correlata alla laparoscopia esplorativa;
− la più elevata incidenza di ascessi endoaddominali post-LA deve essere
criticamente valutata in rapporto all’esperienza dell’operatore e
all’implementazione di una tecnica standardizzata, considerando
comunque che i costi post-dimissione sono significativamente inferiori
rispetto alla OA;
− i costi diretti della LA (versus OA) sono superiori, pur se in un ampio
range di variabilità correlato anche preferenze “tecniche” dell’operatore
(scelta dei trocar, gestione del moncone appendicolare con suturatrice
meccanica, ecc.), mentre quelli indiretti - in pratica, gli outcomes clinici
“postoperatori” (dolore, morbilità, durata degenza, ripresa delle
attività, ecc.) – sono certamente inferiori; da ribadire comunque che i
costi sono certamente un parametro importante in una congiuntura di
risorse limitate, ma non possono essere “condizionanti” e/o
29
Mason RJ, et al. Laparoscopic vs open appendectomy in obese patients: outcomes using the
American College of Surgeons National Surgical Quality Improvement Program database. J Am
Coll Surg. 2012 Jul;215(1):88-99.
30
Moazzez A, et al. Thirty-day outcomes of laparoscopic versus open appendectomy
in elderly using ACS/NSQIP database. Surg Endosc. 2013 Apr;27(4):1061-71.
31
Masoomi H, et al. Outcomes of laparoscopic and open appendectomy for acute appen-
dicitis in patients with acquired immunodeficiencysyndrome. Am Surg. 2011 Oct;77(10):1372-
6.
103
“prevalenti” sulla accessibilità universale alle “migliori cure
disponibili”32.
D’altra parte, sussistono controversie ed evidenze contrastanti, in particolare
sulla:
− chiusura del moncone appendicolare – un bias possibile nella
valutazione di ampie casistiche comparative (loop o altro versus
stapler), soprattutto relativamente all’incidenza di ascessi endo-
addominali, è che la suturatrice meccanica venga preferita in presenza
di infiammazione estesa, ovvero nei casi in cui il rischio di complicanze
infettive è maggiore;
− reale efficacia (effectiveness) della SPILA o SILA (single-port/incision
laparoscopic appendectomy) o anche SILS (single-incision laparoscopic
surgery);
− NOTES (natural orifice transluminal surgery), che resta proponibile
soltanto nell’ambito di protocolli sperimentali rigidamente controllati;
− cosiddetta needlescopy, gravata da un elevato tasso di conversioni e
da un prolungamento significativo dei tempi operatori, e che può
essere indicata soltanto in casi selezionati e non complicati.
Infine, resta argomento di accesso dibattitto – e torniamo all’inizio - se
operare o non il paziente con appendicite acuta. Una questione importante, per
alcuni addirittura la principale, alla luce anche dei risultati degli studi NOTA e
APPAC. L’opinione prevalente, in assenza sostanziale di sufficienti evidenze di
buona qualità, è che allo stato attuale la chirurgia resti il gold standard nel
trattamento dell’appendicite acuta. Significative e robuste evidenze (ad
esempio, l’analisi del NIS citata in premessa) indicano come procedura di
scelta l’appendicectomia laparoscopica anche nei casi complicati.
***
Nell’ambito di una mole di evidenze in tumultuosa crescita – con un
aggiornamento bibliografico di fatto possibile soltanto “restando connessi” – è
inevitabile anche una certa “volatilità” delle linee guida, il cui aggiornamento,
così come proposto dalla WSES, va cadenzato su ritmi temporali ristretti. E’
ovvio che la gestione del paziente con appendicite acuta debba essere
personalizzata, ma – pur in attesa di definitive conclusioni evidence-based e di
una compiuta standardizzazione della tecnica - l’approccio laparoscopico
emerge sempre più come la scelta migliore, soprattutto nell’incertezza
diagnostica, quando è fortemente raccomandato come ultimo atto diagnostico
e primo atto terapeutico, in particolare nelle donne in età fertile. Peraltro,
32
Chu T, et al. The impact of surgeon choice on the cost of performing laparoscopic appen-
dectomy. Surg Endosc. 2011 Apr;25(4):1187-91.
104
come segnalato anche in una delle più recenti metanalisi 33, è per certi aspetti
sorprendente che, mentre la colecistectomia laparoscopica è generalmente
accettata come “standard terapeutico”, per l’appendicectomia laparoscopica,
nonostante evidenze quantitativamente e qualitativamente più significative, il
dibattito resti aperto. La sussistenza di opinioni divergenti è infatti confermata
dalle conclusioni della metanalisi, di cui ci sembra opportuno riportare – come
contributo al dibattito – i practice points finali nella versione originale,
aggiungendovi brevi commenti:
− “Both LA and OA are safe and effective in treating patients with acute
appendicitis, but LA appears to have more benefits in obese and elderly
patients” – non si citano espressamente le “donne in età fertile”, ma nel
testo è sottolineato l’evidente valore aggiunto diagnostico della
laparoscopia che – come ben dimostrato – è massimo in tale
sottopopolazione di pazienti;
− “SILA appears to have no merits over conventional LA”;
− “Endo-loops, endostapler and endoclips can all be used to achieve
adequate appendiceal stump closure, although it is recommend to use
endostapler in case of severe inflammation and when the base is
involved” – nel testo è più volte segnalata l’assenza di un protocollo
uniforme (standardizzato) per la LA;
− “Extraction for the appendix during LA should follow the principle of
abdominal wall protection” – si tende a preferire sistematicamente
l’endobag (e la porta ombelicale da 10-12 mm), che per alcuni è invece
necessario soltanto se non è possibile o consigliabile estrarre l’appendice
attraverso un qualsiasi trocar (viscere di notevoli dimensioni e/o in
marcata infiammazione, con pareti fragili e/o ispessite);
− “Initial antibiotic treatment is safe and associated with less
complications, although its efficacy is lower than an appendectomy”- di
questo tema (“osservazione attiva”) si è già discusso in precedenza,
sottolineando l’opinione prevalente per la chirurgia come “prima scelta”,
almeno nell’adulto senza controindicazioni all’intervento e, di fatto
sempre, in presenza di malattia complicata.
Qualche nota aggiuntiva merita la SILA. In attesa di evidenze che
confermino se si tratti di un reale progresso o di una “esagerazione” alla
ricerca del miglior risultato estetico (chirurgia scar-less), alcune considerazioni
tecniche possono essere utili alla discussione critica. In sintesi:
− la commercializzazione e la diffusione di devices e strumenti
specificatamente progettati potrebbero ridurne gli alti costi attuali,
velocizzando, tra l’altro, la procedura e, nel contempo, favorendone la
33
Gorter RR, et al. Laparoscopic appendectomy: State of the art. Tailored approach to
the application of laparoscopic appendectomy? Best Pract Res Clin Gastroenterol. 2014
Feb;28(1):211-24.
105
necessaria standardizzazione; attualmente sono infatti descritte almeno
tre “tecniche”34:
SILA non assistita – unica incisione cutanea parietale, con unica o
multiple incisioni fasciali, utilizzando strumentario convenzionale (a
volte improvvisato, con il ricorso a un guanto chirurgico) o dedicato
(con strumenti articolati);
SILA assistita – con ricorso addizionale (”assistenza”) a suture
percutanee o fili;
SILA “ibrida” – procedura laparoscopicamente-assistita ma con
esteriorizzazione dell’appendice attraverso l’incisione cutanea e
appendicectomia “esterna” con tecnica tradizionale (open);
− difficoltà della triangolazione (la “testata d’angolo” per la laparoscopia
operativa!) e incrocio degli strumenti (“duello di spade”, sword fighting)
sono importanti problematiche, soprattutto nella fase di apprendimento;
è comunque possibile mantenere la triangolazione con l’utilizzo di
strumenti articolati (Figura 1);
− la SILA, inizialmente utilizzata nella popolazione pediatrica, non appare
proponibile a tutti; ad esempio, l’incremento della distanza tra ombelico
e “organo bersaglio” ne limita certamente l’utilizzo nei soggetti obesi;
− appare significativa l’incidenza di ernia post-incisionale (laparocele post-
laparoscopico o su trocar-site).
Un ultimo importante tema di discussione resta l’indicazione alla LA nelle
appendiciti complicate/perforate. Abbiamo già segnalato la posizione
sostanzialmente “favorevole” che emerge dalle linee guida ACOI e
“multisocietarie europee”. Nella stessa direzione vanno le conclusioni della più
volte citata analisi del NIS, che ha potuto verificare che l’incidenza di ascessi
intra-addominali è addirittura inferiore con la LA (versus open). Pur se la
questione resta dibattuta - con attenzione particolare all’opportunità e alle
modalità del lavaggio peritoneale e alla necessità del drenaggio postoperatorio
– la LA sembra dunque avviarsi ad essere il gold standard anche nei casi di
appendicite complicata.
34
Rehman H, Ahmed I. Technical approaches to single port/incision laparoscopic appendicec-
tomy: a literature review. Ann R Coll Surg Engl. 2011 Oct;93(7):508-13.
106
Figura - Gli strumenti articolati garantiscono la triangolazione nella SILA [da
Veziant J, Slim K. Laparoscopic appendectomy. J Visc Surg. 2014
Jun;151(3):223-8].
107
Aggiornamento bibliografia (febbraio 2016) FAD Appendicectomia Laparoscopica