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Il libro

T ’ –
ginocchio, l’ascesso a un dente, una lieve sco atura –, dunque
riteniamo di conoscerla o perlomeno di averne un’idea abbastanza
precisa. In realtà, il conce o di infiammazione è molto più complesso di
quanto possiamo credere e rappresenta un campo ancora da esplorare anche
per medici e biologi, poiché so o questa «etiche a» rientra una varietà
enorme di fenomeni assai diversi tra loro.
L’infiammazione, infa i, è uno dei modi in cui il sistema immunitario
esercita la sua funzione di difesa e riparazione dei tessuti e dunque è un
meccanismo che agisce per contrastare le situazioni di pericolo, dai microbi
«patogeni» agli eventi traumatici. In genere, abbiamo l’errata percezione che
l’infiammazione sia un fenomeno locale: ci sfugge, invece, il fa o che le
mala ie infiammatorie abbiano manifestazioni sistemiche, cioè a carico
dell’intero organismo. Per esempio, quando abbiamo la febbre pensiamo più
a una mala ia che alla risposta infiammatoria volta ad affrontare un pericolo.
Negli anni, la ricerca immunologica ha dimostrato l’esistenza di una
componente infiammatoria anche in patologie con cui si pensava non avesse
niente a che fare: le mala ie cardiovascolari, come aterosclerosi e ictus, quelle
neurodegenerative e persino le mala ie infe ive, causate da virus o ba eri.
Infine, anche i tumori sono sostenuti da alcune cellule dell’immunità che,
comportandosi come «polizio i corro i», invece di comba ere e arrestare il
nemico lo aiutano a crescere e proliferare.
Con parole semplici e chiare, il professor Alberto Mantovani guida il
le ore in un percorso per imparare a riconoscere da una parte i diversi
aspe i dell’infiammazione, dall’altra gli strumenti più idonei per spegnere
un incendio che rischia di dilagare e diventare incontrollabile, me endo
seriamente in pericolo la nostra salute.
L’autore

Alberto Mantovani, milanese, medico, è Professore


Emerito di Patologia Generale presso Humanitas
University, ateneo dedicato alla medicina e alle scienze
della vita, e dire ore scientifico dell’IRCCS Istituto
Clinico Humanitas. In passato ha lavorato in
Inghilterra e negli Stati Uniti, ed è stato capo del Dipartimento di
Immunologia dell’Istituto Mario Negri di Milano. Ha contribuito al
progresso delle conoscenze nel se ore immunologico sia formulando nuovi
paradigmi sia identificando nuove molecole e funzioni. È il ricercatore
italiano più citato nella le eratura scientifica internazionale. Per la sua
a ività di ricerca ha o enuto numerosi premi e riconoscimenti nazionali e
internazionali. Da Mondadori ha pubblicato: Immunità e vaccini (2016) e
Bersaglio mobile (2018).
Alberto Mantovani

IL FUOCO INTERIORE
Il sistema immunitario e l’origine delle mala ie
Il fuoco interiore

Ai medici e al personale sanitario


che, con dedizione e competenza,
sono impegnati a spegnere
l’incendio Covid-19
Introduzione

Chi di noi non ha mai fa o i conti con una sco atura, più o meno
lieve? O con un ginocchio gonfio e dolorante? O ancora con un
ascesso? Tu i, dunque, abbiamo almeno un’idea di cosa sia
l’infiammazione. O, perlomeno, ci illudiamo di averla, perché il
conce o di infiammazione è in realtà molto più complesso di quanto
immaginiamo. Non è perfe amente chiaro neppure a chi si occupa
di biologia e medicina: perché, so o questa etiche a, si classificano e
si raccolgono fenomeni molto differenti fra loro. E, spesso, la
diversità e il significato generale dell’infiammazione ci sfuggono.
Infiammazione o risposta infiammatoria è quella che vediamo
apparire sulla nostra pelle dopo una sco atura. Ma è anche una
manifestazione allergica, dalla più lieve, come uno starnuto, alla più
grave, come l’asma allergica.
Per capire perché le risposte infiammatorie possano essere fra loro
così diverse, è importante so olineare un conce o chiave:
l’infiammazione è una manifestazione dell’immunità. In altre parole,
è uno dei modi con cui il sistema immunitario – ovvero il nostro
naturale sistema di protezione dalle mala ie – esercita la sua
funzione di difesa e riparazione dei tessuti. Nella storia della vita sul
pianeta, dunque, l’infiammazione nasce come meccanismo
vantaggioso, di protezione, per contrastare situazioni di pericolo. È
l’espressione della risposta immunitaria che deve affrontare
problemi assai differenti, dai microbi patogeni agli eventi traumatici.
E, dunque, si a iva in modo diverso.
Contrastare uno dei ba eri extracellulari definiti «Gram-positivi»,
che di solito causano ascessi dentali, è certamente ben diverso dal
fronteggiare un grande parassita intestinale. Vivendo in una società
ricca, tendiamo a dimenticarci perfino dell’esistenza dei vermi
p
intestinali, ma solo cento anni fa erano un problema molto grave, che
peraltro ancora persiste in alcune aree del mondo: per comba erli, il
nostro sistema immunitario scatena risposte che si manifestano come
infiammazione.
In questo esempio la diversità è facilmente percepibile. E
analizzando queste due situazioni al microscopio, vedremo che nella
risposta a un verme entrano in gioco globuli bianchi che chiamiamo
«eosinofili». Non li ritroveremo invece in un ascesso causato da un
ba erio Gram-positivo, dove vedremo i neutrofili, cellule di difesa
specializzate in un compito diverso. In altre situazioni – pensiamo al
caso dell’artrite reumatoide, che si manifesta con un’infiammazione
delle articolazioni, o alle mala ie infiammatorie dell’intestino – la
differenza può apparire meno ovvia. Eppure esiste sempre.
In genere abbiamo la – errata! – percezione che l’infiammazione
sia un fenomeno locale: ci sfugge, invece, il fa o che le mala ie
infiammatorie abbiano manifestazioni sistemiche, ovvero a carico
dell’intero organismo. Per esempio, quando abbiamo la febbre
pensiamo più a una mala ia che a un meccanismo di difesa e alla
manifestazione di una risposta infiammatoria messa in a o dal
sistema immunitario per affrontare un pericolo.
Ancora, ci sfugge che la risposta infiammatoria possiede sistemi
di controllo molto sofisticati: paragonandola a una potente
automobile, l’infiammazione ha acceleratori e freni localizzati non
solo a livello delle cellule dell’immunità o degli organi (le cavità
articolari, per esempio), ma anche a livello del nostro cervello,
dunque del sistema nervoso centrale. Questo significa che c’è una
stre a connessione fra cervello e sistema immunitario nel regolare la
risposta infiammatoria, il suo inizio, la sua intensità e il suo termine.
Negli anni, ci si è accorti dell’esistenza di una componente
infiammatoria anche in mala ie che si pensava non avessero niente a
che fare con l’infiammazione: è il risultato della ricerca
immunologica, strumento prezioso per aiutarci a guardare le varie
patologie con un’o ica nuova.
Pensiamo per esempio alle mala ie cardiovascolari: sappiamo
tu i che, fondamentalmente, sono legate all’aterosclerosi, ossia alla
presenza di placche di lipidi, primo fra tu i il colesterolo, che
p p p p
induriscono e ostruiscono le pareti delle arterie. Tu i associamo
queste mala ie al colesterolo e al metabolismo, dunque anche a
un’alimentazione scorre a. In realtà, le mala ie del cuore sostenute
da aterosclerosi – al pari di quelle del sistema nervoso centrale come
ictus o stroke – hanno un’altissima componente infiammatoria.
L’identificazione dell’infiammazione quale componente
fondamentale dell’aterosclerosi e delle mala ie a essa legate è stato il
risultato di ricerche condo e da diversi medici e ricercatori, fra cui
Russell Ross a Sea le, Mark Pepys a Londra, A ilio Maseri a Londra
e poi a Boston, Paul Ridker a Boston. Si è innanzitu o scoperto che la
lesione causata dall’aterosclerosi (de a lesione ateromatosa o
ateroma) presente per esempio nelle arterie coronarie del cuore o
nella parete dell’aorta è in realtà una forma di risposta infiammatoria
al danno vascolare. Successivamente, si è scoperto che marcatori
circolanti di stato infiammatorio erano associati al rischio
cardiovascolare: l’aterosclerosi, quindi, non innesca solo una risposta
infiammatoria locale al danno, ma anche uno stato infiammatorio
sistemico, che coinvolge l’intero organismo. A ualmente sono in
corso studi per il trasferimento alla clinica di questo grande
cambiamento di paradigma. Su questa base è stato condo o un
esteso studio internazionale cooperativo con oltre 10.000 pazienti (lo
studio CANTOS , di cui parleremo nel X capitolo), il cui obie ivo era
diminuire le complicanze dell’aterosclerosi bloccando un mediatore
infiammatorio.
Anche le mala ie neurodegenerative, come pure quelle legate ad
alcune patologie psichiatriche – in primis la depressione –, per molto
tempo sono state viste esclusivamente come patologie delle cellule
del sistema nervoso centrale. All’interno del sistema nervoso
centrale, però, ci sono anche cellule (che in gergo scientifico
definiamo «microglia») e mediatori del sistema immunitario: via via
nel tempo ci si è accorti che la componente infiammatoria e
immunologica è una determinante importante di tu e le patologie di
questo distre o.
Persino le mala ie infe ive, causate da virus o ba eri, hanno un
legame con l’infiammazione, in quanto scatenano una reazione che
prosegue poi nel tempo in modo incontrollato: per esempio, l’epatite
cronica successiva alle epatiti.
Ancora, ci si è accorti che il tumore non è fa o solamente da
cellule tumorali, ma anche da una nicchia ecologica che lo protegge e
lo sostiene, creando intorno a esso le condizioni migliori per crescere
e proliferare. Di questa nicchia fanno parte alcune cellule
dell’immunità, in particolare i macrofagi, componente fondamentale
della reazione infiammatoria: questi si comportano come «polizio i
corro i», che invece di comba ere e arrestare il nemico, ossia il
cancro, lo aiutano a crescere e proliferare, stimolando la formazione
di vasi sanguigni per nutrirlo e creare metastasi.
Dunque l’infiammazione appare trasversale a tu e queste
mala ie. E per questo viene considerata una sorta di
«metanarrazione» della medicina contemporanea. Ma c’è di più.
Oggi sappiamo che i nostri comportamenti – dall’alimentazione al
fumo, dall’a ività fisica al consumo di alcol – possono incidere sulla
probabilità di sviluppare determinate patologie. Ebbene, la ricerca
biomedica ci ha dimostrato che anche il legame che esiste fra stile di
vita e rischio di mala ia è in larga misura de ato dal modo in cui le
nostre abitudini influenzano il nostro sistema immunitario e le
risposte infiammatorie.
Infine, l’invecchiamento: è senza dubbio parte della vita, ma può
avvenire con maggiore o minore successo. Tu i noi invecchiamo sia
come organismi complessi sia a livello delle singole cellule. La
grande scoperta degli ultimi vent’anni è che questo fenomeno è
associato a cambiamenti della risposta infiammatoria orchestrata dal
sistema immunitario, che hanno un effe o molto profondo sul modo
in cui invecchiamo. Questa visione generale dell’invecchiamento
viene chiamata inflammaging, 1 termine che unisce le due parole
inglesi inflammation (infiammazione) e aging (invecchiamento), e
teorizza una connessione tra i processi fisiologici che portano
all’invecchiamento e un’infiammazione lieve ma persistente
(cronica), che magari non ha sintomi visibili ma a lungo andare
produce effe i sistemici su tu o l’organismo: l’invecchiamento del
nostro cervello, per esempio.
Il percorso che ci proponiamo di fare insieme, in questo libro, è
imparare a riconoscere da una parte le diverse fiamme del fuoco
infiammatorio, dall’altra quali sono i fiammiferi e i carburanti che le
innescano e le alimentano, mantenendo vivo il «fuoco interiore»
della risposta infiammatoria.
Parte prima
CHE COS’È L’INFIAMMAZIONE
I
L’infiammazione nella storia

Questo non ha certo la pretesa di essere un libro di storia della


medicina, e il le ore interessato potrà approfondire le sue curiosità
su testi dedicati e specifici, anche con l’aiuto delle referenze riportate
nelle pagine finali. Ritengo tu avia possa essere interessante
ripercorrere insieme almeno le tappe fondamentali che hanno
scandito il cammino della ricerca e della medicina sul fronte
dell’infiammazione, portando a grandi cambiamenti di visione
generale.
L’infiammazione è un conce o noto già nell’antica civiltà egizia,
come testimoniato da un glifo che rappresenterebbe proprio questo
termine. È stato tu avia un medico dell’antica Roma, Galeno di
Pergamo, 1 a descriverla scientificamente nel II secolo d.C.
cristallizzandone la definizione che ancora oggi, a distanza di oltre
duemila anni, rimane valida, tanto che continuo a insegnarla così ai
miei studenti che si apprestano a diventare medici.

Glifo egizio che rappresenterebbe il termine «infiammazione».


Rubor, calor, tumor, dolor e functio lesa sono i termini latini con cui
Galeno descrive l’infiammazione. Pensiamo a una – anche banale –
sco atura: la zona interessata, una mano per esempio, si arrossa, si
gonfia, diventa calda, fa male, e facciamo fatica a utilizzarla
corre amente. La cristallizzazione della definizione è la prima tappa
storica fondamentale sul fronte dell’infiammazione.
L’infiammazione, in realtà, come vedremo più avanti, è ben più di
un fenomeno esclusivamente locale. Necessita di una componente
vascolare, come ha chiarito la scoperta, nel 1616, della circolazione
sanguigna a opera di William Harvey, medico inglese formatosi a
Cambridge e all’Università di Padova, dove l’incontro con l’italiano
Girolamo Fabrici d’Acquapendente lo spinse ad approfondire i suoi
studi in quest’ambito.
Abbiamo traccia dell’infiammazione e delle manifestazioni
infiammatorie lungo tu a la storia umana. Pensiamo, fra le mala ie
infiammatorie più presenti nella le eratura e nei ricordi storici, alla
go a, che colpisce le articolazioni. Secondo un gioco di parole
anglosassone, «gout is the king of diseases and the disease of Kings»: la
go a è la sovrana delle mala ie e la mala ia dei sovrani. Ha affli o,
in passato, un numero impressionante di personaggi famosi, che
l’hanno a loro modo resa celebre: re e papi, le erati e artisti. Fra i più
noti Alessandro Magno, O aviano Augusto, Ovidio e Marziale;
Carlo Magno e Napoleone, i Medici di Firenze e i Borbone di
Francia, Giulio II, Galileo Galilei, Leonardo da Vinci, Michelangelo,
Isaac Newton, Benjamin Franklin, Charles Darwin, Martin Lutero,
Immanuel Kant.
Un altro nodo cruciale dal punto di vista storico risale alla prima
metà dell’O ocento, quando si passa da una medicina popolare,
basata su erbe e prodo i vegetali, che si era accorta che la corteccia
del salice 2 aveva proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche,
all’identificazione del principio a ivo dotato di queste
cara eristiche: è stata una scoperta fa a a più mani, anche dallo
scienziato italiano Raffaele Piria, che ha coniato il termine «acido
salicilico». Il passaggio successivo, la sintesi dell’acido acetilsalicilico
(più noto con il nome commerciale di aspirina 3), è stato opera di
diversi ricercatori in Francia (Charles Gerhardt) e Germania (Felix
Hoffmann e Arthur Eichengrün).
L’aspirina è un farmaco, il primo, che interferisce con
l’infiammazione. Una pietra miliare, sia perché da essa deriveranno
altri farmaci antinfiammatori, sia perché vive un’eterna giovinezza
dovuta alle continue scoperte legate ai meccanismi con cui
interferisce. Ne studiamo ancora oggi le proprietà, definendone e
ampliandone via via le applicazioni: per il dolore, ma anche per
prevenire l’infarto. Dunque l’aspirina, sintetizzata a fine O ocento,
rappresenta un pilastro nella storia dell’infiammazione, non solo per
la terapia delle mala ie, ma anche per il suo contributo alla
comprensione dei meccanismi di sviluppo dell’infiammazione. Da
che cosa dipenda l’a ività infiammatoria di questo farmaco è stato
svelato solo alla fine degli anni Sessanta-Se anta del Novecento
presso il William Harvey Research Institute di Londra dal
biochimico e farmacologo britannico John Vane, premio Nobel per la
medicina nel 1982 proprio per questa scoperta, e dai suoi due
collaboratori sudamericani Salvador Moncada e Sergio Ferreira, che
tu avia – come spesso accade – non riceve ero lo stesso
riconoscimento scientifico. L’aspirina agisce inibendo la sintesi di
piccole molecole de e «prostaglandine», che orchestrano
infiammazione, febbre e molto altro.
Un’altra tappa fondamentale nella storia dell’infiammazione è
stata l’identificazione del cortisone, negli anni Trenta e Quaranta. La
sua scoperta e la sua applicazione al le o del paziente incrociano – in
modo affascinante e quasi romanzesco – ricerca clinica e
sperimentale, studi accademici e big pharma, pace e guerra,
comunicazione scientifica e giornalistica, successo terapeutico
straordinario e frustrazione.
Alla radice della scoperta del cortisone e della famiglia di
molecole e farmaci antinfiammatori che ne sono derivati c’è
innanzitu o un’osservazione clinica. Nel 1855 il medico londinese
Thomas Addison descrive il decorso di una grave mala ia che
distrugge i surreni e che oggi porta il suo nome (morbo di Addison).
A lui va il merito di aver capito per primo il collegamento tra
sintomi come anemia, debolezza, affaticamento e cambiamenti
patologici delle ghiandole surrenali. Da qui, una serie di studi che
identificano il ruolo cruciale dei surreni come organo endocrino, e
quindi la caccia all’ormone responsabile. I protagonisti di questa
caccia sono numerosi: alla statunitense Mayo Clinic un medico che si
occupa di artrite, Philip S. Hench, e un chimico-fisiologo con cui
collabora, Edward C. Kendall. In parallelo, in Svizzera, il biochimico
polacco Tadeusz Reichstein, che dà un contributo fondamentale
all’identificazione chimica di questo ormone. Poi una big pharma,
Merck. E infine… la guerra, che imprime una spinta decisiva
all’a ività di ricerca.
All’inizio degli anni Quaranta, infa i, nonostante i vari sforzi la
molecola non era ancora stata identificata. Tu avia, si sapeva che era
essenziale per resistere a condizioni di stress estremo. Quando
l’intelligence degli Stati Uniti scopre che i sommergibili tedeschi
importano clandestinamente dall’Argentina grandi quantità di
surreni bovini, si fa strada l’idea che i piloti della Luftwaffe, per
resistere all’ipossia e viaggiare ad alta quota, facciano uso di una
sostanza estra a da tali organi: quella che sarebbe poi diventata il
cortisone.
L’identificazione del cortisone diviene così il principale obie ivo
di ricerca in guerra: prima ancora della penicillina! Le grandi risorse
messe in campo dagli Stati Uniti portano i risultati sperati.
Dapprima il ricercatore della Mayo Clinic Edward Kendall isola
dalle ghiandole surrenali o o composti cristallini e scopre che uno di
loro possiede un elevato potere antinfiammatorio. Poi finalmente,
nel 1944, il chimico Lewis H. Sare , della casa farmaceutica Merck,
dopo un complesso processo produ ivo arriva alla sintesi del
cortisone. Di cui, però, paradossalmente non si sa che cosa fare! Fino
a quando, nel 1948, Philip Hench sperimenta la nuova sostanza in
una paziente ventinovenne, chiamata «Mrs. G», immobilizzata
perché affe a da qua ro anni e mezzo da una grave forma di artrite
reumatoide. Il farmaco, che è un potente antinfiammatorio, fa subito
effe o: in pochi giorni la paziente migliora, fino a ritrovare poi
completamente la mobilità perduta. Al punto da andare persino in
bicicle a…
Al seminario interno alla Mayo Clinic in cui vengono presentati
gli impressionanti risultati – poi pubblicati su una rivista di se ore –
è presente anche William Laurence, reda ore scientifico del «New
York Times». Di qui la fama mediatica – che nel 1949 porta il Lasker
Award per il giornalismo medico a Laurence – e scientifica di quella
che viene soprannominata wonder drug, farmaco miracoloso, che vale
a Hench, Kendall e Reichstein il premio Nobel per la medicina nel
1950.
I problemi emersi nel fra empo, le paure e le frustrazioni legate,
per esempio, all’a ività mineralcorticoide del cortisone, che riveste
un ruolo importante nella regolazione della funzione renale,
vengono presto superati grazie alla ricerca, che porta allo sviluppo
di composti di sintesi analoghi (prednisone e altri) ma più sele ivi,
con elevata a ività antinfiammatoria e trascurabile azione
mineralcorticoide.
Il cortisone e i suoi derivati hanno avuto un impa o straordinario
sia dal punto di vista terapeutico – tu ora restano un pilastro nella
cura delle mala ie infiammatorie – sia dal punto di vista conoscitivo,
perché hanno aperto nuove porte per capire i meccanismi
dell’infiammazione e della sua regolazione (acceleratori e freni, sui
quali torneremo più avanti). Il cortisone ha avuto anche una
notevole enfasi mediatica negli anni Cinquanta, quando un filmato
mostrò come, grazie a terapie a base di questo ormone, i pazienti
affe i da artrite reumatoide e costre i in sedia a rotelle tornassero a
camminare normalmente.
Un’ulteriore tappa della storia dell’infiammazione è legata alla
scoperta delle citochine, negli anni O anta. Ma cosa sono le
citochine? Sono proteine che, nel sistema immunitario, si
comportano come «parole», ossia segnali di comunicazione:
all’interno delle nostre stesse difese, e fra queste e gli altri organi. Le
citochine dell’infiammazione sono numerosissime – e avremo modo
di vederle più avanti – ma è interessante ricordare che la prima a
essere stata identificata (interleuchina-1, IL-1 ) è stata scoperta in vari
modi, da scienziati diversi che studiavano aspe i differenti
dell’infiammazione, quali la febbre e le risposte immunitarie. Fra
loro ha avuto un ruolo importante Charles Dinarello, considerato
uno dei padri di questa citochina (di cui parleremo più
approfonditamente nel III capitolo).
La scoperta di IL-1 è fondamentale perché ha portato a un
cambiamento di visione: una «parola» del sistema immunitario, a
concentrazioni bassissime, a iva risposte importanti sia nelle cellule
del sistema nervoso centrale (febbre), sia nelle articolazioni (artrite),
sia nelle cellule che svolgono il ruolo di «dire ori» dell’orchestra
immunologica (i linfociti T) e, di conseguenza, in tu o il sistema
immunitario. IL-1 svolge dunque un ruolo centrale in mala ie molto
diverse, da quelle definite autoimmuni (che tra eremo nell’VIII
capitolo) alle autoinfiammatorie, fino all’infarto e al cancro.
Ancora, un passo importantissimo nella storia dell’infiammazione
è legato a un’altra citochina, TNF (Tumor Necrosis Factor), che ha
aperto un nuovo mondo: quello delle terapie biologiche per le
mala ie infiammatorie, e in particolare per l’artrite reumatoide
(come vedremo ancora nell’VIII capitolo).
La scoperta che le citochine sono alla base dell’infiammazione e
delle sue manifestazioni ha portato a una visione generale per cui
queste molecole, e più in generale infiammazione e immunità,
vengono oggi considerate una sorta di metanarrazione della
medicina contemporanea, perché ci aiutano a capire situazioni
fisiologiche e patologiche anche molto diverse fra loro.
Così, se le radici storiche ci riportano alle civiltà più antiche –
greci, latini ed egiziani –, oggi più che mai l’infiammazione ci appare
proie ata nel futuro, perché ha in serbo nuove scoperte e progressi
al servizio della salute.
II
Un meccanismo di difesa

L’infiammazione è un meccanismo dell’immunità innata, uno dei


modi con cui le nostre difese immunitarie ci proteggono,
contrastando situazioni di pericolo: è una risposta a un germe
potenzialmente pericoloso, così come a un danno tissutale di tipo
chimico (veleni), fisico (traumi, radiazioni, alte o basse temperature)
o biologico (virus, ba eri).
Prima di entrare nel mondo dell’infiammazione, dunque, è
indispensabile conoscere un po’ più da vicino il sistema
immunitario: che cos’è esa amente? E come funziona? Vediamolo
insieme.

Il sistema immunitario: com’è fa o e come funziona


Il sistema immunitario è il nostro naturale sistema di difesa dalle
mala ie: un apparato estremamente complesso e sofisticato, con due
compiti fondamentali.
Il primo è proteggerci da sostanze e cellule estranee nocive, per
esempio ba eri, virus e funghi: i cosidde i «microrganismi
patogeni». Per questo il nostro sistema immunitario è un po’ come
un esercito, organizzato militarmente con gerarchie e
specializzazioni, in cui tu i i componenti, localizzati in aree diverse
dell’organismo, svolgono un compito ben definito e preciso.
Numerose e molto diverse tra loro – tanto che non abbiamo ancora
finito di identificarle tu e –, le cellule dell’immunità, come soldati,
pa ugliano instancabilmente e senza sosta il nostro organismo. Sono
i cosidde i «globuli bianchi» o «leucociti», un nome generico che
comprende svariati tipi di cellule di difesa. Fra queste i macrofagi,
che si trovano negli organi e nei tessuti; i neutrofili, che circolano nel
sangue; le cellule dendritiche, che danno l’allarme – come sentinelle
– in presenza di un agente estraneo; i linfociti, divisi in B e T, due
classi diverse, ciascuna con specifiche funzioni.
Perché questa varietà di cellule? Il motivo è semplice. Il nostro
sistema di difesa si trova ad affrontare problemi fra loro anche molto
differenti – dai grossi parassiti come i vermi intestinali ai piccoli
virus invisibili perfino al microscopio –, contro i quali, dunque, non
è efficace utilizzare le stesse armi.
«Riconoscimento» e «comunicazione» sono le parole chiave alla
base dei meccanismi di funzionamento del sistema immunitario:
«riconoscimento» perché è necessario saper distinguere fra microbi
buoni e ca ivi e individuare la presenza di nemici da aggredire,
senza però danneggiare componenti e cellule dell’organismo;
«comunicazione» perché per fare questo è indispensabile un
adeguato ed efficace sistema di trasmissione delle informazioni. I
sistemi di comunicazione hanno un ruolo fondamentale fra le cellule
dell’immunità, e nel dialogo fra immunità e altri organi, quali fegato
e cervello.
Il secondo compito del sistema immunitario è di riparare i danni
causati dagli agenti estranei e dalla risposta immunitaria stessa.
Difendere e riparare hanno il significato generale di garantire la
stabilità e l’equilibrio – che viene definito «omeostasi» –
dell’organismo, anche di fronte a mutamenti esterni o aggressioni.
Una stabilità necessaria per evitare che le nostre stesse difese
«impazziscano» e si trasformino in un temibile nemico. Una risposta
ai patogeni eccessiva o mal dire a, infa i, può danneggiare
l’organismo e causare svariate mala ie, da quelle autoimmuni ai
tumori. In questo senso, possiamo paragonare il sistema
immunitario a un’orchestra, con i dire ori (i linfociti T) che
sovrintendono all’armonico funzionamento degli orchestrali e degli
strumenti che la compongono, ovvero delle diverse cellule di difesa,
che, pur con compiti distinti, lavorano tu e insieme, in sintonia, per
proteggerci nella maniera migliore.
Immunità innata e ada ativa
Contro i microrganismi estranei, il sistema immunitario me e in
funzione due linee fondamentali di difesa: l’immunità innata, de a
anche «non specifica», e l’immunità specifica o ada ativa (o, ancora,
acquisita).
L’immunità innata è la nostra «prima linea» contro le infezioni, ed
è basata su un particolare tipo di globuli bianchi, i fagociti. Il loro
nome (che deriva dal greco phagein, mangiare, e kytos, cellula) ne
descrive perfe amente le cara eristiche: alla le era, significa «cellule
che mangiano». I fagociti sono infa i capaci di inglobare al proprio
interno molti agenti che causano mala ie, neutralizzandoli. Ogni
giorno ne muoiono circa 100 milioni per tenere so o controllo ba eri
e altri microbi: sono un po’ i «militi ignoti» del sistema immunitario,
a lungo so ovalutati, se non quasi dimenticati, dalla ricerca
immunologica.
I fagociti sono capaci di riconoscere l’allarme innescato dal danno
ai tessuti. Ogni volta che ci feriamo o ci sco iamo, per esempio, dalle
zone interessate vengono rilasciate particolari molecole che le cellule
dell’immunità innata riconoscono come segnali di pericolo. Prende il
via in questo modo la risposta infiammatoria.
Quando, invece, la prima linea di difesa dell’immunità innata –
che nella maggior parte dei casi risolve i nostri problemi senza che
neppure ce ne accorgiamo – viene superata, entra in gioco un
sistema di difesa più complesso e sofisticato, che vede l’azione di
cellule specializzate: sono i linfociti B e T. I linfociti B (o cellule B)
producono specifiche armi di difesa de e anticorpi, che «si
a accano» al patogeno e consentono al sistema immunitario di
distruggerlo. I linfociti T, invece – che come abbiamo visto sono i
dire ori dell’orchestra immunologica –, quando veniamo a conta o
con agenti microbici diventano gli strateghi delle nostre difese.

L’infiammazione come manifestazione dell’immunità innata


L’infiammazione è dunque una manifestazione dell’a ività del
sistema immunitario e, in particolare, della sua parte più primitiva:
in essa, perciò, i principali a ori in gioco sono le cellule
dell’immunità innata.
Ma che cos’è esa amente? È un complesso sistema di reazioni, che
vanno dal reclutamento dei globuli bianchi alla produzione di
mediatori dell’infiammazione, fino al coinvolgimento del sistema
vascolare con la vasodilatazione, che induce la zona interessata ad
arrossarsi, dolere, scaldarsi e gonfiarsi.
Gli stimoli che a ivano una risposta infiammatoria possono essere
molto diversi. Innanzitu o il riconoscimento di agenti microbici: è
quanto accade, per esempio, nella maggior parte delle mala ie, dalle
più banali come la febbre e il mal di gola alle più serie come il
morbillo o la tubercolosi.
Anche la percezione di un danno ai tessuti può a ivare la risposta
infiammatoria: per esempio quando ci esponiamo troppo al sole
oppure veniamo a conta o con una superficie che sco a, la nostra
pelle diventa rossa e si forma una bolla. La risposta infiammatoria, in
questi casi, è dire amente proporzionale all’entità del danno: per
questo, in caso di incidente d’auto con gravi traumi, la risposta che si
a iva è sistemica (Systemic Inflammatory Response Syndrome, SIRS ),
ovvero coinvolge tu o l’organismo, e può essere talmente forte da
portare perfino alla morte.
Più di recente abbiamo scoperto che anche errori o alterazioni del
metabolismo 1 possono a ivare la risposta infiammatoria. Facciamo
qualche esempio per capire meglio. Avete presente il colesterolo? È
legato al metabolismo: tu i noi una volta almeno nella vita ne
abbiamo misurato i valori, perché sappiamo che, in concentrazioni
elevate, può creare problemi a livello dei vasi inducendo
aterosclerosi. Per molto tempo non ne abbiamo capito il motivo: in
realtà, il colesterolo forma dei cristalli che le cellule del sistema
immunitario percepiscono come potenzialmente dannosi, a ivando
di conseguenza una risposta infiammatoria che è alla base
dell’aterosclerosi. È quanto succede anche nella go a: l’acido urico
forma cristalli che danno inizio alla risposta infiammatoria. Le
cellule del sistema immunitario hanno infa i dei sensori che
riconoscono la presenza di queste alterazioni metaboliche: lo
vedremo meglio più avanti.
La risposta infiammatoria «tipica» segue una precisa sequenza. Il
primo passo è la dilatazione dei vasi, motivo per cui arriva più
sangue nella zona interessata e si manifesta il rossore. Il secondo
passo è la fuoriuscita di liquidi dai vasi sanguigni (essudato), che nel
caso di una sco atura possono dare origine a una bolla. Infine, si ha
la fuoriuscita dal torrente ematico di molecole e cellule contenute nel
sangue. Tu o questo è indispensabile per portare il giusto numero di
molecole e cellule che contribuiscono alla difesa e alla riparazione
dei tessuti esa amente nel luogo in cui abbiamo una situazione di
allarme o pericolo. Inizialmente arrivano le truppe di emergenza, i
neutrofili, rappresentativi di un’infiammazione acuta.
Successivamente arrivano le truppe corazzate – monociti e macrofagi
– e le squadre di intelligence, i linfociti T, strateghi delle nostre
difese.
Pensiamo per esempio a quando facciamo una vaccinazione: a
volte, il punto dove abbiamo effe uato l’iniezione duole, si gonfia e
si indurisce. Altre volte addiri ura ci viene la febbre, che è una
manifestazione sistemica dell’infiammazione. Questo perché il
vaccino contiene sostanze (de e «adiuvanti») che danno un segnale
di allarme al sistema immunitario, necessario per me ere in moto le
sue centrali operative e i suoi generali.
Possiamo riassumere il significato della risposta infiammatoria in
tre parole chiave: difesa, riparazione, mobilizzazione. Difesa perché
le cellule dell’immunità si a ivano per eliminare gli agenti microbici
entrati nel nostro organismo. Riparazione in quanto le nostre difese
si me ono in moto per sanare il tessuto danneggiato, per esempio in
caso di ferite o ustioni, riportando l’organismo in una situazione di
equilibrio. Mobilizzazione perché le cellule dell’immunità vengono
richiamate nel luogo e nella quantità giusti per bloccare l’a acco
nemico. Fra queste, anche cellule che, nel nostro apparato di difesa,
sono specializzate nel dare l’allarme alla parte più sofisticata
dell’immunità, quella ada ativa: sono le cellule dendritiche, che
viaggiano a raverso i vasi fino alle centrali operative dell’immunità
ada ativa – i linfonodi e la milza – e lì istruiscono l’intelligence delle
nostre difese, ossia i linfociti T.
La risposta infiammatoria è dunque non solo la manifestazione
dell’a ività dell’immunità innata, ma anche la premessa necessaria
per l’innesco dei meccanismi più sofisticati dell’immunità.
Non dovremmo dimenticarcene nella nostra vita di tu i i giorni.
La febbre legata a un’infezione alla gola o un lieve gonfiore nella
sede di una vaccinazione altro non sono che i segni tangibili del fa o
che i nostri soldati immunologici sono entrati in azione!
III
Gli a ori dell’infiammazione

Le cellule e le molecole protagoniste dell’infiammazione sono


numerose e assai diverse tra loro. Alcune molecole sono
normalmente già presenti nel nostro organismo. Altre, invece, si
formano nel momento in cui servono.
Nel loro insieme possiamo paragonarle a una cascata, o meglio a
una serie di cascate: un po’ come quelle famose dell’Iguazú, in
Brasile, che hanno un tronco comune ma percorsi e panorami molto
diversi. Come abbiamo già de o e come vedremo ancora meglio,
infa i, una risposta infiammatoria a un polline o a un parassita è ben
differente rispe o a quella che causa una colite ulcerosa.

I primi salti della cascata


Se immaginiamo l’inizio di una risposta infiammatoria acuta, come
una sco atura da sole, i primi a ori che entrano in azione, i
mediatori infiammatori, sono molecole preformate, ovvero già
esistenti, che aspe ano solo di essere rilasciate in seguito a un
segnale di allarme del nostro organismo. Il sistema immunitario,
quindi, non ha bisogno di sintetizzare ex novo questi mediatori, già
presenti in cellule diffuse in tu i i tessuti, come i mastociti, e
normalmente immagazzinati nei loro granuli.
I granuli dei mastociti contengono molecole diverse, alcune
responsabili di manifestazioni immediate, altre che preparano eventi
successivi. Fra le prime, particolarmente rilevante è l’istamina,
contenuta nei mastociti e rilasciata, per esempio, nel momento in cui
ci esponiamo troppo al sole o abbiamo problemi di allergia.
L’istamina è responsabile di alcune delle manifestazioni più evidenti
legate all’infiammazione: dal rossore all’essudato, fino ai vari sintomi
del raffreddore da fieno. Causa la dilatazione dei vasi e l’apertura
delle giunzioni endoteliali che li rivestono.
I neutrofili, le prime cellule che arrivano in una sede di
infiammazione acuta, contengono vari tipi di granuli con repertori
diversi di molecole. In generale, hanno la funzione di contribuire
all’uccisione dei microrganismi che vengono fagocitati; in
un’infiammazione fuori controllo, tu avia, causano danno ai tessuti
circostanti, le eralmente digerendoli con sistemi enzimatici.
Un’altra sorgente di mediatori preformati sono le piastrine,
frammenti cellulari che si trovano in circolo nel sangue e giocano un
ruolo centrale nell’emostasi – ossia l’insieme di processi che perme e
di arrestare il sanguinamento e al contempo di mantenere il sangue
fluido in condizioni fisiologiche – e nella coagulazione. 1 Non solo.
Costituiscono una sorta di ponte fra coagulazione e infiammazione. I
granuli delle piastrine contengono sia citochine preformate e pronte
per essere liberate, come IL-1 – che a loro volta, come vedremo,
a ivano l’intera cascata della coagulazione e inducono la produzione
di altre citochine e chemochine –, sia chemochine in grado di a irare
nuovi globuli bianchi nella sede di infiammazione.
Le piastrine interagiscono con il rivestimento dei vasi sanguigni,
costituito, come fossero delle piastrelle, dalle cellule endoteliali. Per
lungo tempo viste come un semplice rivestimento passivo delle
pareti dei vasi sanguigni, dotato solo della proprietà in senso
negativo di non far coagulare il sangue, in realtà le cellule endoteliali
– localizzate in modo strategico fra sangue e tessuti 2 – sono in grado
di «riprogrammare» il loro asse o genetico in un contesto
infiammatorio e di trombosi, a ivando programmi genetici
complessi (proinfiammatorio e protrombotico) legati all’immunità e
all’infiammazione. 3
Di nuovo, come le piastrine, le cellule endoteliali sono ponti fra
emostasi, infiammazione e immunità. L’importanza di queste
connessioni emergerà ne amente quando parleremo della risposta
infiammatoria sistemica più drammatica, la sepsi.
Mastociti e piastrine, come anche i fagociti (in particolare i
granulociti o leucociti polimorfonucleati), sono dunque la sorgente
di mediatori preformati dell’infiammazione, cruciali per le prime fasi
di una risposta acuta, pronti ad agire in pochi minuti. A seguire,
entrano in gioco nuovi a ori dell’infiammazione, che devono essere
sintetizzati ex novo, ma le cui «macchine di produzione», i sistemi
enzimatici, sono già pronte per diversi tipi cellulari, in particolare
nei fagociti.
Un primo e fondamentale sistema enzimatico metabolizza l’acido
arachidonico, un acido grasso presente nelle membrane cellulari. I
metaboliti dell’acido arachidonico appartengono a classi molecolari
diverse (prostaglandine di vari tipi, trombossani, leucotrieni e altri) e
hanno effe i differenti. Le prostaglandine e i leucotrieni sono
mediatori centrali dell’infiammazione: promuovono l’a ivazione
delle piastrine e dell’endotelio, nonché – in particolare i leucotrieni –
il reclutamento di diverse classi di globuli bianchi.
Sempre i fagociti, sopra u o i leucociti polimorfonucleati,
contengono nei granuli una varietà di molecole antimicrobiche: la
risposta infiammatoria ha infa i – non dimentichiamolo! – una
funzione essenziale di prima linea di difesa nei confronti di
infezioni, in particolare da parte di ba eri. Le molecole
antimicrobiche nei granuli dei fagociti sono sia preformate sia
prodo e al bisogno. Fra queste ultime, sono cruciali alcuni
metaboliti dell’ossigeno, generato durante la cosidde a «esplosione
respiratoria» («burst ossidativo», 4 termine che indica un’esplosione
del consumo di ossigeno della cellula). Dopo aver ingerito i microbi
– confinandoli in vescicole de i «fagosomi» – per neutralizzarli i
fagociti respirano molto velocemente trasformando la grande
quantità di ossigeno che consumano in sostanze tossiche chiamate
«intermedi rea ivi dell’ossigeno», che le eralmente uccidono i
ba eri. Alcune di queste sostanze ci sono familiari: le usiamo per
disinfe are le ferite o per pulire vestiti e mobili. Sono l’acqua
ossigenata e l’ipoclorito di sodio, più noto come varechina o
candeggina.
Ancora, al bisogno i fagociti possono produrre grandi quantità di
metaboliti dell’azoto. Metaboliti dell’ossigeno e dell’azoto
g
costituiscono una sorta di arma letale, fondamentale per uccidere per
esempio ba eri intracellulari quali il germe della tubercolosi. Come
tu e le armi letali, tu avia, usata fuori contesto – in questo caso
l’interno di un globulo bianco – può causare gravi danni: una
lezione, questa, imparata ancora una volta alla scuola dei pazienti.
Le persone affe e da una patologia genetica che comprome e la
produzione dei metaboliti tossici dell’ossigeno (la mala ia
granulomatosa cronica), infa i, hanno gravi problemi a controllare le
infezioni di alcuni ba eri.

La cascata delle citochine


Tra i mediatori preformati contenuti nei granuli delle cellule del
sistema immunitario troviamo le citochine, una grandissima famiglia
di molecole che gioca un ruolo fondamentale perché a iva, governa
e orienta la risposta infiammatoria. Si tra a di proteine anche molto
diverse fra loro, appartenenti a classi molecolari differenti: le
interleuchine (che vanno dalla numero 1 fino alla 36), i fa ori di
necrosi tumorale e le molecole con esso imparentate, gli interferoni, i
fa ori di crescita emopoietici.
Come abbiamo de o, le citochine costituiscono uno dei sistemi di
comunicazione del sistema immunitario: il loro compito, infa i, è
portare messaggi sia all’interno del sistema immunitario, sia tra
questo e altre parti dell’organismo. Possiamo pensare alle citochine
come a «parole molecolari» in grado di agire su varie cellule
provocando risposte diverse: proprio come il significato delle parole
può cambiare a seconda della frase in cui sono inserite o di chi le
ascolta, così la medesima citochina può trasme ere alle cellule
dell’immunità il messaggio di a ivarsi, ma può anche dire alle
cellule tumorali di morire, e così via.
Possiamo paragonare le citochine a una sorta di «comando
vocale», in grado di accendere o spegnere l’interru ore
dell’infiammazione (de o «rece ore»), richiamando i globuli bianchi
nel luogo, nel momento e nella quantità giusti. Un compito tanto
importante quanto delicato: se in quantità eccessiva o quando non
sono necessari, infa i, i globuli bianchi possono diventare dannosi.
La scoperta dei sistemi di comunicazione del sistema immunitario
ha portato grande beneficio terapeutico in diverse aree della
medicina, perché ha aperto la strada allo sviluppo di strategie di
cura mirate a utilizzare quelle stesse parole o a bloccarle quando è
necessario fermare l’a ività del sistema immunitario, come nelle
mala ie autoimmuni: lo vedremo meglio nei capitoli dedicati.
Le citochine coinvolte nell’infiammazione costituiscono una vera e
propria cascata, o meglio una delle tante so ocascate. Ne vedremo i
componenti via via nel corso di questo libro, ma ora è importante
darne una visione generale. A monte, le molecole che innescano la
cascata sono le citochine primarie dell’infiammazione: TNF, IL-1 e IL-6 ,
un vero e proprio trio che di regola compare e agisce in questa
precisa sequenza. In un tessuto infiammato, i componenti del trio
inducono un secondo salto della cascata, ovvero la produzione di
molecole secondarie – le chemochine e le molecole adesive, descri e
nel prossimo paragrafo – che fanno arrivare i globuli bianchi. Si
amplifica così l’armata dei difensori e si prepara lo scenario per
l’intervento dei generali, i linfociti T, che orientano all’uso delle armi
più ada e per risolvere problemi diversi.
Il trio agisce non solo localmente, ma anche a livello dell’intero
organismo, scatenando la componente sistemica dell’infiammazione
protagonista del IV capitolo.
Infine, il trio a iva anche un terzo salto della cascata: la
produzione di citochine antinfiammatorie, falsi rece ori e ormoni
che hanno il compito di frenare e regolare la risposta, limitando i
danni del «fuoco amico».
Nella storia della scoperta delle citochine, derivata da percorsi di
ricerca differenti e a volte fra loro molto lontani, un momento
fondamentale è stato l’identificazione di interleuchina-1 (IL-1 ), prima
parola molecolare identificata. Come per molte scoperte, non è
semplice a ribuirne la paternità: non è raro infa i che diversi
scienziati giungano al medesimo risultato in tempi più o meno
simili, anche se spesso in modi differenti. Per questo i «padri» delle
citochine sono diversi. Fra loro Charles Dinarello, professore di
medicina presso la University of Colorado a Denver, ha giocato un
ruolo centrale. Ed è stato proprio lui a darle il nome: negli anni
Sessanta, in una birreria di Interlaken, in Svizzera, dove si trovava
per un convegno scientifico. Un nome forse ispirato alla località in
cui si trovava, ma che formalmente richiama la funzione di segnale
di comunicazione «fra i leucociti» (inter-leuco) di IL-1 .
IL-1 è una «parola» dell’immunità che causa la febbre, perché
trasme e al nostro sistema nervoso centrale il segnale di alzare la
temperatura corporea. È una molecola importantissima, perché
amplifica la risposta dell’immunità innata e dell’immunità
ada ativa, quindi ci perme e di sconfiggere meglio i patogeni.
Tu avia, quando è fuori controllo, diventa causa di mala ie:
autoinfiammatorie, come l’artrite reumatoide giovanile, o genetiche
febbrili (che avremo modo di vedere meglio nell’VIII capitolo).
Forse per questo, altre citochine hanno il compito di tenerla so o
controllo: sono le cosidde e «citochine antinfiammatorie», veri e
propri «freni» che bloccano IL-1 stoppandone l’azione. Pensiamo
all’interleuchina-1 – ma più in generale a tu e le citochine – come a
un dito, che può accendere o spegnere l’interru ore
dell’infiammazione, ossia il «rece ore». Quest’ultimo riconosce il
dito e dà il via alla reazione infiammatoria. Per arrestare
l’infiammazione è necessario fermare il dito, impedendogli di
premere l’interru ore: è quanto fanno i cosidde i «antagonisti
rece oriali», che occupano l’interru ore, oppure i falsi rece ori
(decoy), che intrappolano il dito. Perfino all’interno della centrale
operativa del nostro sistema immunitario, costituita dai linfociti T,
accanto a cellule che a ivano le risposte e le indirizzano
corre amente ci sono cellule che inibiscono queste stesse risposte.
Sono le cellule T regolatorie. Ancora, le stesse cellule T hanno al loro
interno dei freni, de i checkpoints. Sono freni molecolari che vengono
a ivati subito dopo una grande accelerazione.
Cellule T regolatorie, checkpoints e, più in generale, citochine
antinfiammatorie fanno sì che la risposta immunitaria sia
equilibrata, ossia svolga la sua corre a azione di difesa senza eccessi,
dunque senza causare danno ai tessuti.

Traffico cellulare a cascata: un «codice di avviamento postale» per i


globuli bianchi
L’uscita dei globuli bianchi dal torrente ematico e la loro entrata nei
tessuti costituiscono una componente essenziale dell’infiammazione
e delle mala ie infiammatorie.
I globuli bianchi entrano nei tessuti – di nuovo – a cascata, con
una precisa sequenza: prima i neutrofili, soldati semplici del nostro
esercito immunitario, poi i monociti e i macrofagi, che potremmo
paragonare ai carristi, infine le cellule T, i generali delle nostre
difese. Ma questi soldati che instancabilmente pa ugliano e
proteggono il nostro organismo non sono tu i uguali. Sono
specializzati con competenze e compiti specifici: comba ere e
orchestrare il sistema di difesa a livello dell’intestino è infa i un
problema diverso rispe o a esercitare la stessa funzione a livello
della cute, dove c’è una barriera fisiologica composta dagli strati
della nostra pelle. E affrontare un ba erio Gram-positivo come lo
streptococco che causa il mal di gola è differente dall’affrontare un
parassita intestinale. Dunque in questi diversi luoghi e condizioni
vediamo arrivare popolazioni di globuli bianchi differenti, ada e al
compito che hanno, dunque specializzate.
Ma in che modo i globuli bianchi più idonei vengono indirizzati
nel luogo giusto? A raverso segnali stradali che hanno la funzione
di regolare e dirigere il traffico: le chemochine, ovvero una classe di
citochine, e particolari molecole «appiccicose», chiamate «adesive»,
localizzate sulle cellule endoteliali che rivestono internamente i vasi
sanguigni. Se le chemochine rientrano nella famiglia delle parole
dell’immunità, le molecole adesive rappresentano una specie di
stre a di mano fra i nostri soldati e l’endotelio. La combinazione di
chemochine e molecole adesive costituisce una sorta di codice di
avviamento postale (CAP ) che determina il percorso dei globuli
bianchi.
Le chemochine 5 sono una grande famiglia di molecole, codificate
nell’uomo da ben 46 geni. Con un pizzico di orgoglio posso dire che,
all’inizio degli anni O anta, anche il mio laboratorio ha contribuito
alla loro scoperta, fru o del lavoro di diversi scienziati che hanno
seguito strade differenti. Partendo dallo studio dei globuli bianchi
presenti all’interno dei tumori – i macrofagi, polizio i corro i che
anziché comba ere il cancro ne aiutano la crescita – e cercando i
messaggi molecolari utilizzati dalle cellule cancerose per richiamare
i macrofagi, con il mio team ho identificato una molecola capace di
a rarre solo un particolare tipo di globuli bianchi, i monociti: una
cara eristica unica in quel momento storico.
Guardando più in profondità, possiamo vedere che le chemochine
guidano i globuli bianchi a ivando i rece ori presenti sulla loro
superficie, diversi a seconda della loro funzione. Da sole, però, non
bastano, perché non sono in grado di far fuoriuscire i globuli bianchi
dal sangue, dunque dai vasi e dall’endotelio. Questo compito viene
svolto dalle molecole adesive, che vengono riconosciute da molecole
complementari presenti sulla superficie dei nostri soldati: per
lasciare il flusso sanguigno, i globuli bianchi rotolano sulla parete
del vaso, vi si appiccicano ed escono dal vaso stesso.
Ancora una volta, la scoperta dei meccanismi del sistema
immunitario si è confermata una delle frontiere più prome enti per
lo sviluppo di nuove terapie, su uno spe ro di mala ie molto ampio.
Le molecole adesive consentono il reclutamento dei globuli
bianchi in situazioni in cui è necessario difendere o riparare un
tessuto: tu avia, a volte, lo stesso reclutamento – se inappropriato
per sedi, tempi o quantità – può causare danni. Per esempio al
sistema nervoso, come accade nella sclerosi multipla. Gli studi sulle
molecole adesive hanno dunque portato alla produzione di alcuni
anticorpi monoclonali in grado di bloccare la loro azione (inibitori),
oggi utilizzati per controllare mala ie infiammatorie quali quelle
intestinali e la sclerosi multipla. Nel caso della mala ia
infiammatoria intestinale, il farmaco blocca sulla superficie dei
globuli bianchi la molecola de a alfa-4-beta-7 (o «integrina»), che
riconosce il CAP «intestino».
Anche gli studi sulle chemochine hanno avuto ricadute
importanti per la cura dei pazienti. Gli inibitori di chemochine non si
sono – per ora – dimostrati efficaci nelle patologie infiammatorie, ma
hanno portato benefici in oncologia e nella cura dell’HIV . Per
esempio, la scoperta che alcuni rece ori per chemochine (CCR5 e
CXCR4 ) vengono utilizzati dal virus HIV come una porta d’ingresso
nelle cellule del sistema immunitario (linfociti T, macrofagi, cellule
dendritiche), ha portato allo sviluppo di farmaci che bloccano questa
entrata, impedendo l’accesso al virus.

Cambiare il programma genetico della cascata: sensori e


programmatori
Superate le prime fasi della risposta infiammatoria, in cui sono
protagonisti mediatori preformati o prodo i da fabbriche molecolari
già pronte, avviene una profonda riprogrammazione delle cellule
infiammatorie, sopra u o macrofagi ed endotelio vascolare. A
innescarla sono alcuni sensori, paragonabili ad antenne, de i pa ern
recognition receptors: strategicamente localizzati sulla superficie delle
cellule, nell’apparato digestivo (compartimento endosomiale) e nel
citoplasma, consentono di identificare e riconoscere danni,
modificazioni dei tessuti, alterazioni metaboliche e presenza di
microbi.
Questi sensori appartengono a classi molecolari diverse: la più
significativa è costituita senza dubbio dai rece ori della famiglia
Toll. Un nome tedesco, che in quella lingua significa «meraviglioso»,
«stupefacente». La scoperta di questi geni, infa i, ha avuto
conseguenze straordinarie sulla nostra conoscenza del sistema
immunitario.
La storia dei rece ori Toll inizia in un laboratorio in Germania,
una ma ina di Pasqua: Christiane Nüsslein-Volhard, 6 studiando i
geni coinvolti nello sviluppo di Drosophila melanogaster, il moscerino
della fru a, si accorge di un’alterazione molto strana e perciò chiama
il gene responsabile «Toll». Studi successivi hanno dimostrato che il
medesimo gene è essenziale per la difesa del moscerino della fru a
contro gli agenti infe ivi.
Nei mammiferi i geni Toll (de i Toll-like receptors o TLR , ossia
rece ori simili a Toll) sono assai diversi rispe o a Drosophila. Il
merito di averne identificato con precisione la funzione va a Bruce
Beutler, 7 immunologo statunitense. Localizzati su molte cellule di
difesa, i Toll-like receptors sono sensori della presenza di microbi e di
un eventuale danno a un tessuto. Innescando un segnale d’allarme
nelle cellule dendritiche – sentinelle dell’immunità innata
specializzate nel dare l’allarme al sistema immunitario – a ivano la
risposta dell’immunità specifica e, dunque, l’azione dei linfociti T e
B.
Sensori diversi dai rece ori Toll perme ono invece il
riconoscimento sia di microbi o componenti microbici che entrano
nella cellula, sia di particelle come i cristalli di colesterolo, asbesto e
amiloide. Si tra a di complessi molecolari definiti «inflammosomi».
L’inflammosoma – inizialmente scoperto da un pediatra, come
vedremo nell’VIII capitolo – è formato dall’incastro di tante
molecole, che assemblandosi in una sorta di complessa «astronave»
iniziano a produrre un mediatore centrale di interleuchina-1, IL-1
beta.
Fin qui i sensori associati alle cellule infiammatorie. Accanto a
essi, però, ci sono anche molecole di riconoscimento presenti nei
liquidi biologici, per esempio a livello del rivestimento degli alveoli
polmonari, del tra o intestinale, nel sangue. Si tra a di molecole
solubili. Fra loro, la prima a essere identificata è stata la proteina C-
rea iva. Una scoperta che nasce dal tentativo di risolvere un
problema clinico.
Siamo negli anni Quaranta, epoca in cui non esistevano ancora gli
antibiotici. Un medico canadese, Oswald Theodore Avery, 8
affrontava una mala ia allora drammatica, la polmonite, studiando
sia lo pneumococco che la causava, sia la risposta dell’ospite contro il
germe. Si accorge così della presenza, nel plasma dei pazienti affe i
da polmonite, di una quantità molto elevata di una molecola: la
proteina C-rea iva (PCR ). 9 Notando che questa proteina, simile a un
anticorpo (ossia, in gergo, «simil-anticorpale»), si legava allo
pneumococco e aveva a che vedere con le difese contro di esso,
Avery descrive per la prima volta un sensore dell’immunità innata.
La sua descrizione precede infa i cronologicamente la scoperta dei
rece ori Toll.
PCR è una molecola della famiglia delle pentrassine, proteine che
svolgono un ruolo fondamentale nella risposta infiammatoria e nel
sistema immunitario innato. Le pentrassine sono molte e
costituiscono una famiglia di molecole. Anzi, una superfamiglia, con
una so oclasse di molecole corte come PCR e una di molecole molto
più lunghe che si dividono il lavoro. Il mio laboratorio ha scoperto il
primo membro della famiglia delle pentrassine lunghe, PTX3 , che ha
in generale un ruolo di difesa, di biomarcatore nelle patologie
infiammatorie e di fa ore di rischio genetico nei pazienti
immunocompromessi a rischio di infezioni fungine. 10 Pentrassine –
corte e lunghe – e altre molecole presenti nei liquidi biologici sono
degli antenati degli anticorpi: si legano ai tessuti danneggiati, a
cellule che devono essere eliminate, destinate a morire, a microbi e –
proprio come fanno gli anticorpi – a ivano meccanismi di
eliminazione, facilitano il riconoscimento e l’ingestione da parte dei
macrofagi e a ivano una cascata di morte, de a «complemento». Il
complemento è un meccanismo di difesa complesso, che da una
parte recluta e fa arrivare globuli bianchi, dall’altra produce vere e
proprie pallo ole che le eralmente fanno dei buchi nelle cellule-
bersaglio, con il duplice compito di uccidere dire amente il nemico e
aiutare i globuli bianchi a riconoscerlo.
Nella visione delle cascate dell’Iguazú, la so ocascata del
complemento ha una grande rilevanza clinica: dife i genetici del
complemento sono infa i associati a mala ie infe ive e
infiammatorie, e sono state sviluppate strategie terapeutiche (basate
su anticorpi) per bloccare la sua azione inappropriata.
PCR – e più in generale tu e le pentrassine – insieme ad altre
famiglie di molecole costituisce il braccio umorale dell’immunità
innata, composto da molecole libere nel sangue e nei liquidi, che
a iva e regola la cascata infiammatoria. Un braccio che si unisce a
quello delle cellule che hanno la medesima funzione (braccio
cellulare), ed è estremamente importante dal punto di vista medico e
diagnostico. PCR oggi è il marcatore di infiammazione più utilizzato
al mondo, nel maggior numero di esami: viene usata per valutare la
presenza e l’entità della risposta infiammatoria, e il monitoraggio dei
suoi livelli nel sangue aiuta a determinare il progresso della mala ia
e l’efficacia della terapia. La sua utilità va ben al di là delle sole
mala ie infiammatorie e immunologiche: è stato proposto e si è
diffuso, per esempio, il suo uso come marcatore di rischio
cardiovascolare, in quanto spia della connessione tra infiammazione
e rischio di infarto del miocardio.
Ma in che modo i sensori e le molecole di riconoscimento
riprogrammano le cellule infiammatorie? A valle di tu i loro ci sono
molecole, definite «fa ori trascrizionali», che proprio come fili
collegati a un interru ore accendono o spengono una serie di
lampadine, i geni. A ogni interru ore corrispondono lampadine
diverse: in altre parole, i geni che vengono accesi o spenti dai fa ori
trascrizionali sono differenti a seconda del rece ore che li comanda.
I fa ori trascrizionali appartengono a diverse famiglie. Il più
importante è NF -kB (acronimo di Nuclear Factor kappa-light-chain-
enhancer of activated B cells): scoperto in origine nei linfociti B da
David Baltimore, è importante in realtà sopra u o nei macrofagi e
nell’infiammazione, a valle di rece ori di diverse famiglie, TLR, IL-1,
TNF . Che cosa fa esa amente NF -kB ? Va al nucleo delle cellule e
accende una serie di geni. Così, per esempio, nell’endotelio vascolare
a iva un programma pro-coagulante: la coagulazione ha funzioni
diverse, fra cui quella importantissima di produrre molecole che
vanno a formare una «maglia di fibrina», una sorta di impalcatura
che fornisce la base della riparazione e della ricostituzione finale dei
tessuti. Ancora, NF -kB accende un programma pro-infiammatorio. Fa
comparire nuove molecole di adesione, parte del CAP necessario per
far arrivare nel posto giusto i globuli bianchi. Inoltre, induce la
cicloossigenasi di tipo 2, che, come vedremo nel VI capitolo, fa
produrre più prostaglandine. Induce poi un sistema enzimatico, NOS ,
che produce ossido nitrico, utilizzato (oltre a essere alla base della
vasodilatazione) dai globuli bianchi per uccidere ba eri. Sempre NF -
kB induce la produzione di citochine infiammatorie: IL-1 alfa e IL-1
beta, IL-6, TNF . In sintesi, dunque, NF -kB riprogramma le cellule in un
senso pro-infiammatorio, e nel caso dell’endotelio anche pro-
coagulante.
NF -kB non è l’unico fa ore di trascrizione in grado di a ivare i
programmi genetici dell’infiammazione. Citochine varie, coinvolte in
risposte differenti, utilizzano fili e lampadine diverse, fondamentali
per l’infiammazione. In particolare, un altro sistema di trascrizione
molto importante è JAK/STAT , composto da proteine Janus chinasi 11
(JAK s) e da STAT s (Signal Transducer and Activator of Transcription,
ovvero trasdu ori del segnale e a ivatori della trascrizione),
numerose e differenti, utilizzate a seconda del problema da
affrontare.
In generale, non dimentichiamo il significato di tu a questa
cascata di mediatori dell’infiammazione: preformati e liberati
immediatamente, sintetizzati naturalmente, prodo i dopo una
riprogrammazione profonda delle cellule endoteliali e dei globuli
bianchi, hanno la funzione di contenere il più possibile il danno a
livello locale.
IV
Infiammazione acuta, cronica e sistemica

Dopo aver fa o il suo corso o enendo lo scopo per cui è insorta –


ossia favorire la guarigione del tessuto danneggiato o eliminare gli
agenti patogeni che hanno a accato il nostro organismo –,
generalmente l’infiammazione si spegne. In questo caso viene
definita «acuta», per l’inizio brusco e la risoluzione rapida.
Se, però, l’infiammazione acuta non risolve il problema che l’ha
originata o se, comunque, i suoi freni naturali (molecole del sistema
immunitario che hanno lo specifico compito di tenerla so o
controllo, come fossero dei pompieri) non riescono a spegnerla,
allora il nostro fuoco interno continua a bruciare, e la risposta
infiammatoria diventa «cronica». Un problema trasversale so eso
alle mala ie del terzo millennio, che vedremo più da vicino nella
seconda parte del libro.
Le molecole dell’immunità che cara erizzano la fase acuta e
quella cronica dell’infiammazione sono diverse: nel primo caso
predominano i leucociti polimorfonucleati, i neutrofili, mentre nella
fase cronica troviamo perlopiù macrofagi e linfociti.
La differenza fondamentale fra i due tipi di risposta
infiammatoria è che mentre quella acuta non lascia alcuna traccia
nell’organismo, quella cronica lo fa. Pensiamo per esempio a un
polmone. In caso di infezione da pneumococco, i globuli bianchi, in
maggioranza neutrofili, innescati dalla risposta immune e
infiammatoria acuta lo invadono completamente; ma, una volta
passata l’infiammazione, il polmone guarisce senza conservare
traccia di questo episodio. Invece, un’infiammazione cronica come
quella causata dalla tubercolosi, sostenuta dalla risposta continua del
nostro organismo a un agente microbico che non viene eliminato,
contiene il danno ma lascia cicatrici nel polmone.
p
La tubercolosi è il più grande killer della storia dell’umanità: ha
mietuto oltre 1 miliardo di vi ime. Per tu o l’O ocento e per buona
parte del Novecento ha colpito ricchi e poveri, cancellando i confini
tra le classi sociali. È stata raccontata e resa celebre come «il mal
so ile» da molte opere, le erarie e musicali. Ne soffrirono Viole a
della Traviata e Mimì della Bohème, la cugina Be e dell’omonimo
romanzo di Honoré de Balzac. Ne furono colpiti anche gli stessi
artisti, come Čechov e Chopin, e scri ori come Ka a, Emily Brontë,
Orwell.
La natura esa a della TBC è rimasta sconosciuta fino a quando il
medico tedesco Robert Koch riuscì a isolarne il bacillo
(Mycobacterium tubercolosis) che da lui poi prese il nome: bacillo di
Koch. Quasi un terzo della popolazione mondiale porta in sé questo
germe, che il sistema immunitario tiene so o controllo: di queste
persone – circa 2 miliardi –, 10 milioni si ammalano, 2 milioni
muoiono. Perché? Cosa accade esa amente?
Il micoba erio della TBC , riconosciuto come potenzialmente
pericoloso dalle nostre difese, viene di norma ingerito dai macrofagi.
Quando questi non riescono a eliminare il germe, il sistema
immunitario, per bloccarlo e contenerlo, organizza una stru ura
molto complessa in cui numerosissime cellule di difesa formano una
sorta di palizzata intorno alle cellule infe ate: questa stru ura viene
chiamata granuloma (nello specifico, «granuloma tubercolare»).
Si tra a di un’azione che corrisponde a una logica generale del
sistema immunitario e dell’infiammazione cronica: se non riescono a
uccidere il patogeno, le nostre difese gli costruiscono intorno una
barriera per bloccarlo e impedirgli di contagiare o nuocere ad altre
cellule. Accade anche con le mala ie parassitarie, in cui linfociti T
specializzati, de i TH2 , ed eosinofili formano un vero e proprio
«muro fibroso» che circonda e contiene il parassita. Granulomi e
muri fibrosi sono dunque la manifestazione di un’infiammazione
cronica.
Oltre che ai microrganismi, l’infiammazione cronica può essere
legata a sostanze chimiche, quali il silicio o l’asbesto. I cristalli di
silicio e le fibre di asbesto vengono percepiti da quello che abbiamo
visto essere un sensore dell’immunità innata, l’inflammosoma: la
grave reazione infiammatoria che scatena sfocia in patologie quali la
silicosi e il mesotelioma, un particolare tumore del polmone. Si
profila così all’orizzonte l’importanza del rapporto tra
infiammazione e cancro, che vedremo meglio più avanti.
Ancora, ci sono situazioni di infiammazione cronica diverse, che
per molto tempo sono state scambiate per altro: si tra a appunto del
cancro, ma anche dell’aterosclerosi e delle mala ie degenerative del
sistema nervoso centrale… Ne parleremo nella seconda parte del
libro.

Quando la risposta infiammatoria coinvolge l’intero organismo


L’infiammazione dunque è costituita da un insieme di meccanismi
che hanno il significato generale di contenere il danno nella sede in
cui ha avuto origine, o il microrganismo nel luogo in cui è stato
identificato come patogeno. A seconda della gravità della situazione,
però, l’infiammazione può non limitarsi alla sola sede interessata,
ma evocare una risposta in organi lontani: midollo osseo, cervello e
fegato. Si parla allora di «risposte sistemiche», con cui l’intero
organismo risponde a un segnale di allarme che parte da un
incendio infiammatorio locale.
Una prima risposta sistemica avviene a livello del midollo osseo.
Lo stato di allarme rende infa i necessari nuovi soldati, diversi a
seconda del tipo di pericolo. Così, dal sito infiammatorio partono dei
segnali, i fa ori di crescita (Colony-Stimulating Factors), citochine che
a livello del midollo fanno produrre più globuli bianchi: neutrofili,
eosinofili o linfociti. Neutrofili se, per esempio, abbiamo
un’infezione da germi extracellulari come lo pneumococco, in cui
questo tipo di globuli bianchi sono fondamentali; eosinofili in caso di
infezione da parassiti; linfociti se abbiamo a che fare con un virus.
I fa ori di crescita sono stati identificati in modo indipendente da
due colleghi, Leo Sachs all’Istituto Weizmann per le Scienze in
Israele e Donald Metcalf in Australia (Australian Academy of
Science). La loro scoperta ha cambiato la medicina: oggi, per
esempio, utilizziamo i fa ori di crescita durante la chemioterapia per
rendere più sopportabili i farmaci che riducono la produzione di
globuli bianchi. Un uso inappropriato di un fa ore di crescita
specifico, l’eritropoietina, in un contesto sportivo ha come
conseguenza dire a un maggiore apporto di ossigeno ai muscoli, il
che consente di correre, pedalare, nuotare più veloci.
L’aumento e il cambiamento dei globuli bianchi circolanti indo o
dai fa ori di crescita costituiscono la prima manifestazione sistemica
dell’infiammazione, e sono indicatori importanti che aiutano i
medici a fare una corre a diagnosi, orientandoli nelle scelte
terapeutiche.
Un’ulteriore manifestazione sistemica dell’infiammazione è
costituita dalla febbre. La febbre è un importante meccanismo di
difesa del nostro organismo: con l’aumento della temperatura
corporea, infa i, i nostri globuli bianchi si muovono più
rapidamente e funzionano meglio. Per questo, solitamente, i pediatri
– e più di recente anche le raccomandazioni dell’Organizzazione
mondiale della Sanità – consigliano di non sopprimere subito la
febbre. Certamente, come tu i i meccanismi del sistema
immunitario, è un’arma a doppio taglio: quando è troppo elevata
può portare a convulsioni, perciò va comunque tenuta so o
controllo ed entro certi limiti. Le centrali di regolazione della febbre
sono situate nel cervello: le citochine infiammatorie, dunque, dal sito
di infiammazione si spostano al sistema nervoso centrale,
innescando una serie di cambiamenti (oltre a febbre, sonnolenza e
inappetenza, anche meccanismi diversi di regolazione
dell’infiammazione) che vedremo meglio nell’XI capitolo.
La terza manifestazione sistemica dell’infiammazione ha a che
vedere con il fegato, che è un po’ come una grande fabbrica che
produce enormi quantità e varietà di proteine. Quando la risposta
infiammatoria supera un certo limite, al fegato arrivano dei segnali –
in particolare le citochine IL-6 e IL-1 – che ne riorientano il
programma di produzione. Così, per esempio, diminuisce la
generazione di proteine come l’albumina e aumenta la quantità di
molecole utili alla difesa: la proteina C-rea iva e i fa ori del
complemento, che abbiamo visto essere pallo ole contro il nemico,
molecole come il fibrinogeno che aiutano la coagulazione e la
riparazione di tessuti, inibitori di enzimi che degradano i tessuti per
evitare che subiscano danni eccessivi. Ancora, cambia il metabolismo
del ferro: poiché molti microrganismi lo utilizzano, ne vengono
abbassati i livelli in modo tale da me ere i patogeni in difficoltà, in
una sorta di immunità metabolica.
Questo insieme molto complesso e coordinato di cambiamento di
asse o del fegato, definito «risposta di fase acuta», ha una grande
rilevanza diagnostica: alcuni parametri che il medico osserva (la
proteina C-rea iva, i livelli di fibrinogeno e così via) sono il riflesso
della cascata delle citochine dell’infiammazione sistemica e della
messa in a o di meccanismi di difesa, riparazione e limitazione del
danno.
Tu e le manifestazioni sistemiche che abbiamo visto fin qui sono
risposte a un’infiammazione locale, dunque a un fuoco circoscri o.
A volte, però, l’infiammazione stessa diventa sistemica: il fuocherello
si trasforma in un vero e proprio incendio esteso, violento e potente,
che genera situazioni cliniche gravissime. Lo vedremo nel VII
capitolo.
V
Spegnere l’incendio: la risoluzione dell’infiammazione

La risoluzione è un passaggio fondamentale della risposta


infiammatoria. Per lungo tempo abbiamo pensato che fosse un
processo passivo, ovvero naturalmente legato alla scomparsa del
patogeno e del danno che hanno innescato l’infiammazione.
In altre parole, in caso per esempio di un’infezione alla gola, dopo
che i nostri globuli bianchi hanno fagocitato e ucciso i ba eri, questi
scompaiono e perciò finisce la risposta infiammatoria. Ancora, se ci
siamo sco ati e non ci esponiamo più al sole o alla causa della
bruciatura, la mancanza dello stimolo che ha causato il danno dà
luogo alla risoluzione dell’infiammazione.
In realtà, questo vecchio paradigma è stato recentemente messo in
discussione, e la nostra visione dello spegnimento dell’incendio è
cambiata profondamente: si è scoperto che la risoluzione
dell’infiammazione è un processo a ivo, organizzato, cui sono
so esi specifici programmi genetici.
Entrano in campo, infa i, da una parte una serie di molecole che
fanno da freno al sistema immunitario e alle sue risposte, dall’altra
parte alcuni mediatori che a ivano i meccanismi di spegnimento
dell’infiammazione, per esempio aumentando la capacità delle
cellule immunitarie che fungono da «spazzini», i macrofagi. Durante
le fasi di risoluzione dell’infiammazione, proprio i macrofagi
cambiano il loro programma genetico, e ne accendono uno nuovo
che prevede molte fasi.
Da bravi spazzini del sistema immunitario, i macrofagi
innanzitu o devono eliminare i resti della ba aglia avvenuta. In
particolare, devono far sparire i cadaveri rimasti sul campo: le cellule
morte, per esempio i nostri soldati di prima linea, i neutrofili, che
hanno comba uto con onore per difenderci. Spe a ai macrofagi il
p p g
compito di eliminarli, ma devono farlo in modo da non creare
conseguenze, ossia evitando un’ulteriore risposta infiammatoria.
Come? Da una parte le eralmente mangiando i neutrofili, ossia
inglobandoli al loro interno. Dall’altra parte, diffondendo intorno a
sé segnali che inviano alle cellule del sistema immunitario un chiaro
messaggio: «Non c’è nessun pericolo o danno, è tu o so o controllo.
I neutrofili sono stati eliminati solo perché giunti al termine naturale
del loro ciclo vitale».
La morte cellulare è infa i una parte fondamentale della
risoluzione dell’infiammazione: deve essere programmata. Perché le
cellule, proprio come noi, possono morire in molti modi. Ma una fine
violenta o inaspe ata, definita «necrosi», innesca conseguenze,
ovvero a iva una risposta infiammatoria. Un fine vita naturale,
invece, no. Questa morte indolore viene definita «apoptosi», dal
greco apó, «da», e ptòsis, «caduta», 1 termine che indicava la
fisiologica caduta dei petali dei fiori.
Ma quali sono i segnali diffusi dai macrofagi per tranquillizzare il
sistema immunitario? Sono una serie di citochine e di mediatori
antinfiammatori, che da micce incendiarie si trasformano nelle lance
dei pompieri: sono per esempio interleuchina-10, che spegne la
produzione dei vari mediatori infiammatori; TGF -beta, una molecola
che fra le sue tante funzioni ha un ruolo di spegnimento
dell’infiammazione; l’antagonista rece oriale di interleuchina-1; il
falso rece ore, decoy, di interleuchina-1.
Una delle scoperte più recenti ha a che fare con il metabolismo
dell’acido arachidonico: abbiamo accennato come questo produca
molecole e mediatori (le prostaglandine, i trombossani, i leucotrieni)
con diverse funzioni che favoriscono l’infiammazione, a livello sia
locale sia sistemico. Il collega di origine indiana Charles Serhan, che
lavora a Harvard, e altri fra cui Mauro Perre i a Londra, hanno
dimostrato che alcuni metaboliti dell’acido arachidonico hanno un
ruolo a ivo nel promuovere la risoluzione dell’infiammazione, in un
delicato gioco di Yin-Yang tipico del sistema immunitario. Si tra a di
molecole con nomi pi oreschi: resolvine, maresine… Un mondo
estremamente complicato, fondamentale nel programma di
risoluzione dell’infiammazione.
Questo grande cambiamento di visione ha aperto uno scenario
diverso anche dal punto di vista terapeutico: me ere a punto
strategie innovative e farmaci che favoriscono la risoluzione
dell’infiammazione. Perché il suo mancato spegnimento, e dunque la
trasformazione da acuta a cronica, costituisce uno dei motivi alla
base di alcune delle mala ie più diffuse del nostro tempo, sostenute
dal fuoco fuori controllo: da quelle infiammatorie croniche, come
l’artrite reumatoide, al cancro 2 e alle patologie degenerative, come
avremo modo di vedere nella seconda parte del libro.
VI
Dalla corteccia del salice ai farmaci biologici

Abbiamo visto quanto e come siano diverse e complesse le facce


dell’infiammazione e i suoi mediatori: non stupisce, dunque, che
anche il mondo dei farmaci antinfiammatori sia altre anto
complicato. Il focus di questo libro non è certamente la farmacologia,
ma per dare un quadro completo del mondo infiammatorio è
doveroso ricordare almeno i cardini principali delle terapie
antinfiammatorie: un elenco che non può e non vuole essere
completo. Inoltre, è doveroso ricordare che questi farmaci, proprio
come qualsiasi altro intervento medico, possono essere assunti solo
dopo averne valutato a entamente, di volta in volta, il rapporto
rischi-benefici.

Dall’aspirina ai «FANS »
La storia dei farmaci antinfiammatori è molto antica, come abbiamo
visto nel I capitolo, e risale inizialmente all’uso della corteccia del
salice, alla scoperta dei salicilati e alla successiva messa a punto
dell’aspirina. 1
Primo farmaco specifico contro l’infiammazione, realizzato alla
fine dell’O ocento, l’aspirina rappresenta un po’ il paradigma di una
grande classe di farmaci antinfiammatori chiamati NSAID (Non-
Steroidal Anti-Inflammatory Drugs) o FANS (farmaci antinfiammatori
non steroidei).
Sono farmaci di classe e stru ura molecolare molto diverse, oltre
20, che comprendono acido acetilsalicilico, ibuprofene, diclofenac,
ketoprofene, indometacina e altri. Hanno cambiato ne amente la
salute dell’uomo perché sono in grado di controllare il dolore, la
febbre e altre manifestazioni dell’infiammazione.
L’aspirina viene utilizzata ormai da anni anche per la prevenzione
delle mala ie cardiovascolari. Inoltre, oggi è ogge o di ricerca e
diba ito il suo uso per la prevenzione dei tumori, come vedremo
meglio nel XII capitolo. In un certo senso, la storia di questo farmaco
è infinita…
Tu i i farmaci FANS/NSAID hanno in comune l’inibizione di un
enzima importante – la cicloossigenasi, de a COX – e dei mediatori
da esso prodo i.
La cicloossigenasi utilizza un acido grasso, l’acido arachidonico, e
insieme ad altri enzimi lo trasforma in un mondo variegato di
metaboliti: una vera e propria «cascata» con molti rami. Fra i
metaboliti dell’acido arachidonico, particolarmente importanti sono
le prostaglandine, i trombossani e la prostaciclina, che come
abbiamo visto hanno effe i su diverse cellule coinvolte nelle reazioni
infiammatorie. 2
La cicloossigenasi e i suoi metaboliti sono un universo molto
complesso. In particolare si è osservato che accanto a una
cicloossigenasi «costitutiva» (chiamata di tipo 1, COX-1 ), ne esiste
anche una di tipo 2 o «inducibile» (COX-2 ). Ci sono dunque due
cicloossigenasi, che svolgono funzioni in qualche misura diverse.
Schematicamente, COX-1 ha funzioni omeostatiche: è presente per
esempio in condizioni normali nella parete del tra o
gastrointestinale, dove le prostaglandine hanno un ruolo fisiologico
di promuovere l’integrità dell’epitelio che fa da rivestimento
prote ivo all’intestino; COX-2 è invece indo a da citochine
infiammatorie come interleuchina-1, che orchestrano
l’infiammazione cronica e sono alla base delle mala ie infiammatorie
di questo tipo: si è dunque pensato che avere farmaci specificamente
dire i contro la cicloossigenasi di tipo 2 – diversamente da quelli
tradizionali non sele ivi – avrebbe consentito di bloccare
l’infiammazione in modo più mirato a livello del tra o
gastrointestinale, evitando gli effe i collaterali, in particolare il
sanguinamento dovuto a ulcere della mucosa.
In realtà questa via non ha dato tu i i vantaggi sperati: si è
scoperto, infa i, che all’utilizzo di farmaci mirati alla cicloossigenasi
di tipo 2, chiamati genericamente «coxib», si associava un aumento
di rischio di complicanze vascolari. A tu ’oggi, dunque, questi
farmaci non hanno avuto l’impa o sperato sulle patologie
infiammatorie, anche se la ricerca in questo se ore continua.
Il percorso che è partito dalla corteccia del salice ha dato luogo
dunque a una vera e propria cascata di mediatori e di farmaci che,
oltre a migliorare sensibilmente la salute dell’uomo e la qualità della
vita, ci hanno aiutato a comprendere meglio il funzionamento delle
nostre difese immunitarie e dell’infiammazione. Una storia infinita
che, come vedremo, continua.

Gli antistaminici
Un’altra importante classe di farmaci antinfiammatori è costituita dai
cosidde i antistaminici, rivolti contro uno dei primi mediatori
liberati nelle fasi iniziali di una risposta infiammatoria acuta,
l’istamina. Alla maggior parte di noi, se non a tu i, è capitato di
utilizzare una crema contenente un antistaminico in seguito a una
puntura di inse o o a una sco atura. Ancora, usiamo farmaci
antistaminici per esempio per controllare una rinite allergica, o un
raffreddore da fieno che ci affligge a ogni primavera. Questi farmaci
non inibiscono la produzione e la liberazione di istamina da parte
dei mastociti, ma ne bloccano l’azione. In che modo? Occupando
quegli «interru ori molecolari», de i rece ori, presenti sulle cellule-
bersaglio dell’istamina, come le cellule endoteliali. Esistono diverse
classi di «interru ori» e solo alcuni sono importanti per la risposta
infiammatoria. La ricerca farmacologica ha generato inibitori
dell’istamina sempre più specifici, che per esempio danno meno
sonnolenza legata all’azione di questo mediatore infiammatorio nel
sistema nervoso centrale.
La scoperta dei farmaci antistaminici ha visto il contributo
fondamentale di un biochimico svizzero naturalizzato italiano,
Daniel Bovet, premio Nobel per la medicina nel 1957 e troppo spesso
dimenticato. Bovet, che aveva già avuto un ruolo importantissimo
nell’identificazione del principio a ivo delle preparazioni di
sulfamidici (i farmaci antiba erici disponibili prima degli
antibiotici), a partire dalla stru ura chimica del loro capostipite
scoprì il primo farmaco antistaminico. Su quella stru ura originale si
è basata la messa a punto dei farmaci antistaminici, che ancora oggi
costituiscono un caposaldo della farmacologia dell’infiammazione.

I cortisonici
Una terza classe di farmaci antinfiammatori è costituita dalle
versioni farmacologiche di un ormone, il cortisone, che di nuovo ha
avuto un impa o straordinario sulla salute dell’uomo. Il cortisone –
come si è de o – rappresenta un freno naturale dell’infiammazione.
Fa parte di una famiglia di ormoni naturali e sintetici, i
corticosteroidi, prodo i dal surrene, ghiandola endocrina situata
sopra il rene. Tali ormoni regolano funzioni diverse, che vanno
dall’equilibrio dei sali minerali al metabolismo, al sistema
immunitario.
Di per sé ina ivo, il cortisone fa da precursore a un ormone a ivo,
il cortisolo, che ha importanti proprietà antinfiammatorie e
immunosoppressive. La sintesi chimica e le modifiche introdo e
nella stru ura di base del cortisone hanno consentito di passare
dall’uso di estra i di surrene – poco efficaci e non standardizzabili,
o enuti da animali come i bovini – a molecole ben definite e
affidabili, più potenti e più sele ive.
Gli effe i dei cortisonici sul sistema immunitario e
sull’infiammazione sono complessi. I corticosteroidi interagiscono
con un rece ore «nucleare», ossia posto all’interno della cellula (e
non sulla membrana), che cambia il programma genetico della
cellula stessa accendendo e spegnendo molti geni, alcuni dei quali
importanti per le risposte infiammatorie. In questo modo, i
corticosteroidi interferiscono con il programma genetico che sostiene
l’infiammazione: spengono geni che costituiscono le lampadine rosse
dell’infiammazione (in particolare il fa ore trascrizionale NF- kB, COX-
2, citochine, chemochine e altri ancora) e accendono le lampadine
verdi delle molecole antinfiammatorie. Così, prendendo per esempio
il complesso sistema di IL-1 , i corticosteroidi non solo spengono la
citochina infiammatoria, ma aumentano l’espressione del gene e la
produzione del decoy receptor, la trappola molecolare che frena IL-1 .
In altre parole, bloccano l’acceleratore e a ivano il freno
dell’infiammazione.
Data la complessità dei loro effe i e dal momento che agiscono su
tantissimi organi e cellule, l’uso dei corticosteroidi ha rischi ed effe i
collaterali che vanno valutati con estrema a enzione, soppesandoli
rispe o ai benefici. Tendono forse ad avere una ca iva fama, ma non
dobbiamo dimenticare che i cortisonici continuano a costituire un
cardine delle terapie in se ori diversi, dalle mala ie infiammatorie
all’immunosoppressione, al cancro.

I farmaci biologici
Tu i i farmaci di cui abbiamo parlato finora, così come altri che non
abbiamo menzionato (per esempio il metotrexate per l’artrite
reumatoide), sono per così dire «tradizionali», ossia sono composti
chimici semplici, piccole molecole. Accanto a questi, più di recente
ne sono stati sviluppati altri, che chiamiamo «biologici».
Non dobbiamo però farci trarre in inganno dal loro nome.
Diversamente da quanto accade nel mondo del cibo, dove
«biologico» è considerato sinonimo di «naturale» – in quanto
proveniente da un sistema di produzione che limita il ricorso a
prodo i chimici ed esclude l’uso di organismi geneticamente
modificati –, i farmaci biologici sono solo molecole complesse
(proteine, diverse decine di volte più grandi di un composto chimico
semplice) e rappresentano il risultato delle conoscenze raggiunte nel
campo delle biotecnologie. Vengono prodo i a partire da geni che
codificano proteine naturali, come gli anticorpi. Spesso queste
proteine vengono modificate utilizzando approcci di ingegneria
genetica al fine di migliorarne le proprietà. Insomma, mentre per il
cibo l’agge ivo «biologico» è sinonimo di «non geneticamente
modificato», per i farmaci questa definizione implica pressoché
sempre modificazioni genetiche e l’utilizzo di organismi
geneticamente modificati per la produzione.
La storia dei farmaci biologici inizia con la scoperta delle
citochine, «parole» dell’infiammazione, e delle molecole che guidano
«il traffico» dei globuli bianchi all’interno del nostro organismo.
Fra le citochine, come abbiamo visto, interleuchina-1 (IL-1 ) è stata
la prima a essere stata identificata. Uno dei suoi padri, Charles
Dinarello, studiandola si accorse anche dell’esistenza di una
molecola che la inibiva: tecnicamente, la definiamo un «antagonista
rece oriale», che blocca «l’interru ore» da cui si accende
l’infiammazione (rece ore) impedendo al dito (IL-1 ) di azionarlo.
Quest’osservazione di Dinarello, che risale agli anni O anta, si è
trado a successivamente nello sviluppo di farmaci – un antagonista
rece oriale e anticorpi monoclonali – oggi utilizzati in clinica,
particolarmente importanti nella terapia delle mala ie
autoinfiammatorie (come vedremo nel capitolo a esse dedicato).
Una delle strategie alla base dei farmaci biologici è bloccare,
a raverso antagonisti rece oriali, falsi rece ori (che intrappolano il
dito che tenta di accendere l’interru ore dell’infiammazione) e
anticorpi mirati alle parole dell’immunità «sbagliate» o de e al
momento sbagliato, che tengono acceso il fuoco dell’infiammazione
quando non dovrebbero. Gli anticorpi o falsi rece ori oggi più
utilizzati sono dire i contro TNF, IL-1, IL-6, IL-17, IL-4, IL-5 e IL-23 .
Vengono utilizzati nella terapia di uno spe ro molto vasto di
mala ie autoimmuni e autoinfiammatorie, dall’artrite reumatoide
alle mala ie infiammatorie intestinali, alla psoriasi.
Ancora, dal momento che l’infiammazione è causata dai globuli
bianchi che vengono richiamati ed entrano numerosi in un tessuto
danneggiato, sono stati sviluppati farmaci biologici – anticorpi – che
bloccano alcune parti del «codice di avviamento postale» della zona
in cui devono recarsi i globuli bianchi, facendo perdere loro
l’orientamento e impedendo che arrivino sul posto. Questi farmaci
hanno trovato uso, per esempio, nelle mala ie infiammatorie
intestinali.
Infine, dal momento che – come avremo modo di vedere meglio –
l’infiammazione è spesso la manifestazione di una mala ia
autoimmune, hanno trovato uso clinico anticorpi che uccidono, o
bloccano, i linfociti T, strateghi delle nostre difese immunitarie, e i
linfociti B, che producono anticorpi e autoanticorpi. Oggi, per
esempio, utilizziamo anticorpi anti-CD20 (che eliminano i linfociti B)
per tra are i pazienti con mala ie autoimmuni come l’artrite
reumatoide. Inoltre, ci sono dati ancora preliminari ma
impressionanti dell’ultimo anno che mostrano come tra are con
anticorpi mirati contro i linfociti T possa prevenire l’insorgenza del
diabete di tipo 1 in sogge i geneticamente ad alto rischio.
La scoperta dell’importanza delle citochine e del modo con cui i
rece ori – ricordiamolo, gli interru ori che accendono le risposte
cellulari – funzionano, ha aperto la strada allo sviluppo di composti
chimici semplici che, per così dire, tagliano i fili a valle
dell’interru ore: scientificamente, si dice che bloccano la via di
trasduzione del segnale. È questo il caso degli inibitori di enzimi
de i JAK , a valle di alcune citochine come IL-6 . Di nuovo, il percorso
verso l’applicazione terapeutica è partito da un’osservazione clinica,
fa a nel nostro paese. Negli anni Novanta Anna Villa, Paolo Vezzoni
e Luigi Notarangelo hanno scoperto che un dife o genetico di JAK
causa una profonda immunodeficienza in alcuni bimbi. Questa
scoperta clinica ha aperto una porta che, dopo vent’anni, ha portato
allo sviluppo di nuovi farmaci, ora utilizzati per la cura di tumori
ematologici e mala ie infiammatorie.
Seppur rapidamente, fin qui abbiamo visto una panoramica
dell’universo a uale dei farmaci che abbiamo a disposizione e del
loro meccanismo di azione. Si tra a tu avia di un universo in
continua evoluzione, in cui è ragionevole aspe arsi, in futuro,
ulteriori novità e, si spera, successi.
Non sempre – vale la pena ricordarlo – le novità sono legate a
farmaci di per sé del tu o nuovi: a volte, si scopre un utilizzo
diverso di farmaci già esistenti. Così, per esempio, usiamo come
antinfiammatori alcuni farmaci che non sono nati come tali: fra
questi il Metotrexate, vero e proprio cardine della terapia dell’artrite
reumatoide. Originariamente nato come antimetabolita, ossia in
grado di bloccare una via metabolica, e come antitumorale,
successivamente – a dimostrazione dei tanti e diversi percorsi di
ricerca che si incrociano nel progresso della medicina – ha rivelato
importanti proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive.
Ancora, gli anticorpi anti-CD20 che eliminano i linfociti B sono stati
pensati inizialmente per la cura dei linfomi, ma si sono poi
dimostrati utili anche per la cura di mala ie autoimmuni come
l’artrite reumatoide. Integrare nuove conoscenze e farmaci con le
strategie da lungo tempo in uso costituisce una delle sfide da
affrontare anche in un’o ica di personalizzazione delle terapie.
Parte seconda
I TANTI VOLTI DELL’INFIAMMAZIONE
VII
Organismo in fiamme: la sepsi e lo shock se ico

Abbiamo visto come la risposta infiammatoria, in generale, abbia un


obie ivo di difesa e riparazione del danno a livello locale, seppur a
volte con manifestazioni sistemiche quali la febbre, il cambiamento
dei livelli dei globuli bianchi e la risposta del fegato.
Ci sono tu avia casi in cui l’infiammazione stessa diventa
sistemica: si parla in questo caso di SIRS (Systemic Inflammatory
Response Syndrome). Accade quando vengono coinvolte un po’ tu e
le cellule del sistema immunitario, in una sorta di «allarme rosso».
Per esempio, in risposta al diffondersi di ba eri in tu o
l’organismo. Quest’ultimo – non dimentichiamolo – è composto per
oltre il 90 per cento da microbi: la maggior parte di questi nostri
strani compagni di viaggio, fra loro anche molto diversi, è
generalmente localizzata nell’intestino, dove il sistema immunitario
impara a convivere con loro, tenendoli so o controllo e distinguendo
gli amici dai potenziali nemici. Fra le diverse popolazioni di microbi
che abitano in noi, la più numerosa è costituita dai cosidde i ba eri
«Gram-negativi», dei quali il più comune – oltre che noto – è
l’Escherichia coli. Ebbene, uno dei componenti della parete esterna dei
ba eri Gram-negativi, una sostanza chiamata lipopolisaccaride (LPS
o endotossina), viene riconosciuto come pericolo da alcuni sensori
delle cellule del sistema immunitario, in particolare da un rece ore
della famiglia Toll, TLR4 . Se, dunque, i ba eri Gram-negativi
improvvisamente dall’intestino si spostano un po’ in tu o
l’organismo, o se in seguito a un’infezione locale i germi che ne sono
responsabili entrano nel circolo sanguigno, il loro LPS viene
percepito come un pericolo diffuso dalle «antenne» TLR4 del sistema
immunitario, poste sopra u o sui macrofagi: si scatena così una
risposta infiammatoria aggressiva nell’intero organismo.
Ancora, quando subiamo un danno molto esteso ai tessuti, per
esempio in seguito a un violento impa o con conseguenti traumi
fisici in un incidente stradale, si a iva un quadro di infiammazione
generale chiamato Crush Syndrome (sindrome da schiacciamento). In
questo caso, il danno causato a livello muscolare, determinato dalla
compressione prolungata di masse muscolari e di altri organi, con
conseguente compromissione della circolazione locale, si ripercuote
su tu o l’organismo: ancora si tra a di una risposta infiammatoria
sistemica, perché i sensori delle cellule immunitarie, della famiglia
TLR e non solo, percependo un danno diffuso ai tessuti, dunque un
allarme rosso, a ivano una reazione rapida e violenta dappertu o.
Quando la risposta dell’organismo a un’infezione o a una lesione
ai tessuti diventa eccessiva, danneggiando a sua volta i tessuti e gli
organi, e i germi sono presenti in circolo, si verifica la sepsi, una
condizione clinica molto grave che colpisce 700.000 persone ogni
anno solo in Europa, e in un caso su cinque è mortale.
Studiando questo quadro gravissimo, come abbiamo de o, negli
anni O anta l’immunologo statunitense Bruce Beutler scopre quello
che è stato il primo sensore di allarme rosso a essere identificato: il
rece ore della famiglia Toll che riconosce LPS, TLR4 . Come si diceva a
quel tempo, in epoca «pre-genomica», Bruce Beutler studiava le
ragioni alla base della naturale immunità di un topolino alla sepsi
«camminando sui suoi cromosomi» per individuare il gene
responsabile di tale resistenza, pensando alla potenziale importanza
clinica. Imba endosi in un gene molto simile al Toll coinvolto nel
sistema di difesa del moscerino della fru a (la Drosophila che
abbiamo già incontrato nel III capitolo), capisce di aver trovato ciò
che cercava. Identifica così con precisione la funzione di un’intera
famiglia di molecole (nell’uomo ce ne sono 10), i Toll-Like Receptors
(TLR ).
La sepsi rappresenta il quadro più grave di infiammazione
sistemica fuori controllo. Una situazione estrema cui l’organismo
risponde in un modo altre anto estremo: la sepsi deteriora le
funzioni degli organi e, in un crescendo, si arriva allo shock se ico (o
se icemico) che può portare alla morte. Ma che cosa accade
esa amente?
Innanzitu o, all’allarme rosso generalizzato del sistema
immunitario corrisponde la produzione di quantità industriali di
citochine infiammatorie: IL-1, TNF e IL-6 , che abbiamo imparato a
conoscere. Questo «trio», a livello di tu i gli organi – in particolare
del cuore, dei reni e del fegato –, prodo o in quantità così massiccia
causa un grave danno, che si manifesta in ultima analisi come
insufficienza d’organo.
In secondo luogo, a livello dell’endotelio vascolare, di nuovo il
trio IL1, TNF e IL-6 causa vasodilatazione e coagulazione fuori
controllo.
Infine, paradossalmente, a questa risposta violenta e incontrollata
segue la paralisi del sistema immunitario stesso. In gergo scientifico,
diciamo che alla SIRS , risposta infiammatoria sistemica, segue una
SARS , ossia un quadro antinfiammatorio sistemico. Un vero e proprio
blocco del sistema immunitario che, dopo aver schiacciato troppo
l’acceleratore, tentando di frenare (di nuovo, in modo eccessivo) si
ferma del tu o.
Questo quadro così drammatico ha rappresentato un’area di
intervento terapeutico costellata purtroppo di fallimenti, seppur non
totali perché hanno portato benefici molto importanti in se ori
diversi.
Sulla base di quanto si era capito dei meccanismi alla base della
sepsi, ci si aspe ava che bloccare le citochine infiammatorie – IL-1 e
TNF , due delle citochine fondamentali del famigerato trio – sarebbe
stato risolutivo per i pazienti. In realtà, le sperimentazioni cliniche
condo e non si sono rivelate efficaci: perché, di fa o, si arriva
quando l’incendio è ormai troppo esteso e spegnere le torce che
l’hanno provocato non serve più. La diagnosi di shock se ico viene
infa i formulata quando l’infiammazione è già dilagata.
Paradossalmente, però, in questo fallimento ritroviamo una delle
radici del successo delle terapie anticitochine nel campo delle
mala ie autoimmuni e autoinfiammatorie: dalla disponibilità di
anticorpi anti-TNF prodo i per la sperimentazione clinica contro la
sepsi e non più utilizzati è nata infa i la terapia dell’artrite
reumatoide.
La sepsi rappresenta sempre un’emergenza: le possibilità di
sconfiggerla sono tanto maggiori quanto prima viene riconosciuta e
tra ata. Febbre, brividi, difficoltà respiratorie, pressione bassa e
svenimenti, riduzione della produzione di urine, confusione mentale
o disorientamento rappresentano i sintomi più comuni che portano
al sospe o e alla successiva diagnosi di sepsi, sostenuta dalla
presenza, negli esami del sangue, di alterazioni indicative di danni
d’organo.
Una volta individuata la sede da cui è partita l’infezione, occorre
identificare il germe responsabile. La terapia consiste nel tra are
l’infezione con antibiotici mirati e aiutare gli organi eventualmente
danneggiati.
Solitamente, i pazienti più a rischio sono quelli che hanno un
sistema immunitario compromesso, affe i da cancro o da infezioni
fuori controllo. Ma non è sempre così. A volte un’infiammazione
sistemica può essere causata dalle tossine prodo e da ba eri
solitamente innocui.
Molti certamente ricordano quanto accaduto in Nord Europa nel
2011, quando decine di persone sono morte in seguito alla comparsa
– tra l’inizio di maggio e la fine di luglio in Germania e a giugno in
Francia – di due focolai infe ivi di un raro ceppo di Escherichia coli,
ba erio normalmente presente nella flora intestinale di tu i gli esseri
umani e gli animali, in questo caso dannoso perché produ ore della
tossina di Shiga. Tale ceppo di Escherichia coli ha causato diarrea
emorragica e, in una percentuale particolarmente elevata di pazienti,
anche sindrome emolitico-uremica, legata al fa o che la tossina di
Shiga va a colpire l’endotelio di reni e cervello, causando una
risposta infiammatoria eccessiva.
Anche particolari ceppi di staffilococchi, ba eri Gram-positivi,
producono tossine che vengono viste dal sistema immunitario come
super-antigeni. In parole più semplici, sono riconosciuti non – come
accade normalmente – da alcune (poche!) cellule T che poi scatenano
la risposta infiammatoria richiamando tu i i soldati necessari, ma da
un’enorme quota di linfociti T, che si accendono e si scatenano.
Causando un’infiammazione sistemica.
Il fa ore-tempo resta a tu ’oggi determinante nella cura della
sepsi, l’unico realmente in grado di cambiare la prognosi dei
pazienti.
È stata un’esperienza molto particolare, per me, quella
recentemente vissuta a Bangui, dove ho tenuto un corso di
immunologia presso l’ospedale pediatrico locale, nell’ambito di un
proge o guidato dal Bambino Gesù di Roma, cui Humanitas
University partecipa.
Ho sempre insegnato l’infiammazione sistemica agli studenti di
medicina, ma è stato ben diverso farlo in un ospedale pediatrico
della Repubblica Centrafricana: nella stanza accanto erano ricoverati
bambini con sepsi o shock se ico, e la discussione del caso clinico è
stata fa a su un paziente realmente presente, non su un caso
d’archivio. E davvero non è la stessa cosa.
VIII
Quando il sistema immunitario sbaglia bersaglio

A volte il sistema immunitario, così complesso e sofisticato, sbaglia:


colpendo lo stesso organismo di cui è parte (il cosidde o «se stesso»
o self) o – come vedremo nel prossimo capitolo – obie ivi del tu o
innocui.
Il «fuoco amico», ossia l’a acco delle nostre difese contro il nostro
organismo, è alla base di quella che definiamo autoimmunità e
autoinfiammazione.
Per capire meglio questo fenomeno mi piace partire da due
immagini, che ho spesso utilizzato facendo lezione ai miei studenti.
La prima ritrae Claude Monet da anziano. Mostrandola, chiedo ai
futuri medici che cosa vedono e la risposta, solitamente, è: «una
diagnosi di artrite reumatoide». Le mani della persona ritra a,
infa i, sono tipiche di un paziente affe o da questa mala ia. Da
amante della pi ura non posso non chiedermi quanto questo
problema dell’artista ne abbia influenzato il modo di dipingere da un
certo momento in poi… L’artrite reumatoide di cui soffriva Monet è
una mala ia autoimmune causata dalla parte più evoluta del sistema
immunitario, quella ada ativa.
Un’altra immagine che mi fa pensare all’autoaggressione del
sistema immunitario è il quadro Amorino dormiente dipinto da
Caravaggio (1608), straordinario artista i cui modelli erano spesso
reali. Questo Amore dormiente – che ha ali, arco e frecce per colpire,
ma ha anche un addome con un gonfiore tipico di una milza
ingrossata, e lesioni cutanee che indicano problemi di coagulazione –
è con tu a probabilità un bimbo morto a causa di un’artrite
reumatoide giovanile, una mala ia autoinfiammatoria sistemica. In
questo caso, è la parte più primitiva delle nostre difese, l’immunità
innata, a scatenare il danno. Oggi, grazie ai progressi della medicina
gg g p g
e in particolare della ricerca in immunologia, la vita dei pazienti con
artrite reumatoide è molto migliorata, e i bambini affe i dalla forma
giovanile di questa mala ia non muoiono più.

La scoperta dell’autoimmunità
Vale la pena, a questo punto, ripercorrere la storia che ha portato alla
scoperta e alla definizione dell’autoimmunità: un conce o oggi
ormai assodato ma a lungo diba uto e contrastato. Paul Ehrlich, uno
dei grandi padri della medicina, microbiologo e immunologo
tedesco della metà dell’O ocento, afferma che un sistema
immunitario che aggredisce se stesso è inconcepibile, quindi conia il
termine di horror autotoxicus (orrore dell’autotossicità) per definire
l’impossibilità che il sistema immunitario, nato per difenderci, possa
rivolgersi contro noi stessi.
Questo dogma ha dominato la scienza immunologica per circa
cinquant’anni: così, nonostante ci fossero osservazioni cliniche di
mala ie autoimmuni già nei primi anni del secolo scorso,
sostanzialmente fino agli anni Cinquanta abbiamo assistito a una
sorta di eclissi dell’autoimmunità. Il «rinascimento» degli studi in
questo campo si deve nel 1948 a Malcolm Hargraves, Helen
Richmond e Robert Morton della Mayo Clinic di Rochester negli
USA , che studiando una grave mala ia, il lupus eritematoso
sistemico, si accorgono che nel sangue dei pazienti che ne sono
affe i sono presenti «autoanticorpi», ovvero anticorpi dire i contro
alcuni componenti propri dell’organismo stesso (antinucleo). Da qui
rinasce il conce o di autoimmunità, ossia di reazione dire a contro i
costituenti propri dell’organismo.
Pochi anni prima, in Europa il medico norvegese Erik Waaler si
era accorto che nel sangue dei pazienti affe i da mala ie reumatiche
erano presenti anticorpi capaci di riconoscere e a accare i loro stessi
anticorpi (anti-anticorpi): aveva così scoperto quello che ora
chiamiamo «fa ore reumatoide» (RF ) e che utilizziamo per effe uare
diagnosi di artrite reumatoide.
Waaler, tu avia, non aveva proseguito queste osservazioni e nel
1948, negli USA , Henry Rose scopre in maniera indipendente il
fa ore reumatoide, per caso e studiando tu ’altro: la ricke siosi,
mala ia infe iva causata da un ba erio (Ricke sia). Analizzando il
sangue di un suo tecnico affe o da questa mala ia, ma anche da
artrite, si accorge infa i della presenza di anticorpi dire i contro gli
anticorpi dell’organismo. Sulla base di queste osservazioni, viene
messo a punto il test di Waaler-Rose, un esame di laboratorio che
evidenzia la presenza, nel sangue del paziente, del fa ore
reumatoide e che è stato a lungo utilizzato per la diagnosi dell’artrite
reumatoide.
Un altro passo importante sulla strada dell’autoimmunità è
costituito dalla conoscenza più approfondita delle mala ie che
colpiscono la tiroide (Autoimmune Thyroid Diseases, ATD ), prototipo
delle patologie autoimmuni cosidde e «organo specifiche», ovvero
che interessano un solo organo. E che, come in realtà la maggior
parte delle patologie autoimmuni, colpiscono in prevalenza il sesso
femminile.
Nel 1936, a Londra, Ivan Roi scopre che nel sangue dei pazienti
affe i da tiroidite di Hashimoto, mala ia che causa ipotiroidismo
(ossia diminuisce la funzionalità della tiroide), sono presenti
anticorpi contro la tiroide (anti-tiroglobulina). In parallelo, in Nuova
Zelanda, i due ricercatori Herbert D. Purves e Duncan D. Adams,
studiando una patologia tiroidea che causa l’effe o contrario, ovvero
l’ipertiroidismo (la tirotossicosi o mala ia di Graves), scoprono la
presenza di anticorpi che, invece di inibire, stimolano le cellule della
tiroide a produrre ormoni tiroidei.
Queste tappe fondamentali hanno aperto la strada
all’identificazione e alla diagnosi di un grande spe ro di mala ie, in
cui il sistema immunitario aggredisce il nostro stesso organismo.

Le cause del fuoco amico


Se è vero che Ehrlich aveva in un certo senso ragione, ritenendo
inconcepibile che un organismo aggredisca se stesso, allora perché il
sistema immunitario, a volte, si comporta così?
Quando ci autoaggredisce, il sistema immunitario lo fa perché
sbaglia nella distinzione fra se stesso (self) e il mondo esterno (non-
self). Il perché di questa sorta di autolesionismo è ancora oggi in
larga misura sconosciuto, ma i progressi della ricerca hanno via via
chiarito i meccanismi fondamentali che ne sono alla base.
Fra questi, la selezione delle cellule T che avviene a livello del
timo, ghiandola del sistema linfatico e organo centrale del sistema
immunitario, situata nel torace dietro allo sterno. A lungo, tu avia,
non si è capito a cosa servisse, tanto che si era persino ipotizzato che
fosse una sorta di cuscine o meccanico posto tra cuore e sterno, un
po’ come un airbag utile in caso di traumi per proteggere gli organi
del mediastino.
Chi ha cambiato in modo radicale questa visione è un ricercatore
australiano di origine francese, Jacques Miller. Studiando l’origine
delle leucemie, fa un’osservazione ina esa: scopre che il timo è un
organo centrale per il sistema immunitario, una sorta di scuola in cui
vengono educati e addestrati i linfociti T, dire ori dell’orchestra
immunologica. La sua è stata una scoperta straordinariamente
importante, tant’è che nel 2019 Miller riceve, insieme a Max Cooper,
il prestigioso Lasker Award per il contributo scientifico nella ricerca
medica di base. Pediatra dedito alla ricerca preclinica in ambito
immunologico, Cooper ha definito, all’interno del sistema
immunitario, il ruolo dei linfociti B e T, che difendono il nostro
organismo in modo diverso: mentre i linfociti B producono anticorpi,
quelli T svolgono il duplice ruolo di dire ori dell’orchestra
immunologica e di killer che eliminano le cellule infe ate dai virus.
Ma cosa succede, esa amente, nel timo?
In quest’organo arrivano e maturano le cellule T che si formano
nel midollo osseo: nel timo imparano a riconoscere il mondo esterno,
acquistando il senso dell’autocoscienza (del self), e ad arrestare il
sistema immunitario che, esa amente come un’automobile, per
fermarsi ha bisogno di freni. Tra questi, le cellule T «regolatorie»
(Treg), che hanno proprio la funzione di frenatori professionisti.
Senza dimenticare che le stesse cellule T sono dotate di freni
molecolari (checkpoints) che ne regolano la funzione.
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Una volta addestrati, i linfociti T dal timo migrano verso altri
organi linfatici periferici, i linfonodi e la milza (de i anche «organi
linfoidi»), dove vengono orchestrate le risposte immunitarie.
Sempre nel timo, vengono condannate a morire ed eliminate le
cellule T cosidde e «autorea ive», ossia che reagiscono contro il
nostro stesso organismo, a raverso un sistema estremamente
complicato che gli immunologi hanno impiegato decine di anni a
identificare. Diane Mathis a Boston ha scoperto che nel timo
vengono presentate ai linfociti T molte delle molecole che poi
incontreranno pa ugliando l’organismo: i linfociti che reagiscono
contro di esse non passano l’esame, vengono bocciati. Una bocciatura
che si traduce in morte cellulare. Si tra a di un sistema efficiente ma
non perfe o: una parte di cellule autorea ive sfugge infa i al
meccanismo di autoeliminazione nel timo. Per questo è importante,
di nuovo, il ruolo dei nostri guardiani presenti nei tessuti e negli
organi periferici: i linfociti T con i loro checkpoints e le cellule T
regolatorie, che quando necessario frenano il sistema immunitario e
sopprimono le cellule autorea ive.
Di regola, dunque, una buona educazione nel timo, frenatori
professionisti e freni molecolari impediscono il fuoco amico.
Tu avia, per quanto meravigliosa ed estremamente potente, la
macchina del nostro sistema immunitario non è perfe a. Ecco perché
a volte veniamo comunque bersagliati da un fuoco amico che causa
le mala ie autoimmuni.

L’universo delle mala ie autoimmuni


Queste patologie sono numerose, e anche molto differenti tra loro:
artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, sclerosi multipla
sono forse tra le più note. Colpiscono in prevalenza le donne, e in
giovane età. Il lupus, per esempio, affligge il sesso femminile con
frequenza di circa 9 volte superiore al sesso maschile. Una differenza
che aumenta fino a 20 volte di più per alcune mala ie autoimmuni
del fegato. Per questo le patologie autoimmuni costituiscono il
paradigma della cosidde a «medicina di genere», che si fa carico
delle differenze legate al sesso: la gestione come paziente di una
donna giovane, in età fertile, pone problemi del tu o particolari,
quali l’importanza di garantirle la possibilità di avere figli, nonché di
controllare gli effe i della gravidanza e della post-gravidanza sulla
mala ia stessa.
Alcune mala ie autoimmuni sono molto frequenti, altre molto
rare o rarissime. Quelle che colpiscono muscoli e scheletro
rappresentano un grave problema di salute, perché costituiscono la
seconda causa di «anni vissuti con disabilità» (Years Lived with
Disability, YLD , un criterio per misurare l’impa o della disabilità
provocata da una mala ia). 1 L’artrite reumatoide ne costituisce un
esempio paradigmatico. Si stima, sulla base di un’analisi del Global
Burden of Disease (uno studio che valuta l’effe o di patologie e
fa ori di rischio sulla popolazione mondiale), 2 che al mondo ne
soffrano quasi 20 milioni di persone. L’analisi epidemiologica offre
importanti elementi di riflessione. L’incidenza di questa mala ia, che
aumenta con l’età, è almeno due volte più frequente nel sesso
femminile. Ancora, la frequenza di artrite reumatoide è molto più
alta in paesi nordeuropei, e in particolare in Gran Bretagna, e
relativamente più bassa in Italia. Inoltre, è maggiore nei paesi più
ricchi. Infine, esaminando i dati dal 1990 al 2017, emerge con
evidenza un importante aumento a livello globale, stimato fra il 7 e
l’8 per cento.
Un aumento simile, con una maggiore diffusione nei paesi più
ricchi (ma non prevalente nel sesso femminile) si osserva anche per
le mala ie infiammatorie intestinali. 3
Di nuovo, invece, più diffusa tra le donne è la tiroidite
autoimmune, presente nel 5-15 per cento della popolazione
femminile con un rapporto di 5 a 1 rispe o ai maschi.
Le mala ie autoimmuni sono tradizionalmente classificate in
organo-specifiche e non organo-specifiche. Le prime colpiscono un
solo organo: sono, per esempio, le mala ie della tiroide, l’artrite
reumatoide, che affligge soltanto le articolazioni, il diabete, che
colpisce le cellule beta del pancreas, o la sclerosi multipla, che
riguarda il sistema nervoso. Altre, invece, coinvolgono tanti organi:
come il lupus, che affligge le articolazioni, i vasi sanguigni, la pelle, i
reni. In questo caso, l’autoimmunità si scatena contro bersagli
diversi.
Ancora, tu avia, non conosciamo completamente l’universo
complesso e variegato delle mala ie autoimmuni: così, scopriamo
che alcune patologie a causa ignota hanno in realtà alla loro base
l’autoimmunità.
Per esempio, recentemente una collega e amica, Federica Sallusto
(docente all’Università della Svizzera italiana a Bellinzona e alla
Scuola politecnica federale di Zurigo), ha scoperto che un raro e
grave disordine del sonno ha una base autoimmune. 4 Si tra a della
narcolessia, cara erizzata da a acchi di sonno nel corso della
giornata. Se ne sospe ava una componente autoimmune a causa
della sua chiara associazione genetica con geni del «complesso
maggiore di istocompatibilità» (HLA ), la nostra carta di identità
immunologica. Federica ha scoperto che la narcolessia è mediata dai
linfociti T, che aggrediscono i neuroni produ ori di uno specifico
neurotrasme itore, l’ipocretina.
In modo simile, una rara vasculopatia e alcune forme di morbo di
Parkinson sono associate a mutazioni genetiche che a ivano un
sensore dell’immunità innata chiamato Sting.
Infine, l’immunoterapia del cancro – di cui parleremo nel XII
capitolo –, basata su inibitori dei checkpoints, ha spesso come effe o
collaterale la comparsa di sintomi di autoimmunità.
Insomma, il complesso universo dell’autoimmunità è tu ora in
espansione.
Una sfida posta dai pazienti, che va al di là delle classificazioni
tradizionali, è costituita dal fa o che circa il 20 per cento delle
persone affe e da una mala ia a base immunologica in un organo
(intestino, cute, polmone, articolazioni, ecc.) ha anche problemi che
coinvolgono altri distre i corporei. Per esempio, a volte chi soffre di
psoriasi, mala ia autoimmune della pelle, sviluppa artrite: la
cosidde a «artrite psoriasica». Per questo alcune istituzioni a livello
internazionale, fra cui Humanitas, hanno costituito centri
specializzati (immuno center) in cui la presenza di competenze
differenti – dall’immunologo all’allergologo, dal reumatologo al
dermatologo, dal gastroenterologo allo pneumologo e così via –
consente di offrire un approccio integrato di ricerca e assistenza
clinica a 360 gradi.

I bersagli dell’autoimmunità
Come abbiamo de o, definiamo antigeni i bersagli contro cui
reagiscono le nostre difese immunitarie. Nelle mala ie autoimmuni
parliamo di «autoantigeni», che vengono riconosciuti da linfociti T
e/o da autoanticorpi prodo i dalle cellule B. Non abbiamo ancora
scoperto tu i i bersagli contro cui sono dire e le risposte
autoimmuni, né sappiamo quali di questi siano davvero importanti.
Nel diabete di tipo 1, per esempio, i bersagli sono le cellule beta
del pancreas, che tengono so o controllo i livelli di zuccheri nel
sangue secernendo l’insulina, ormone ipoglicemizzante, in risposta a
un aumento della glicemia. Probabilmente la molecola riconosciuta è
l’insulina stessa modificata.
Nella tiroidite autoimmune, invece, il bersaglio è il rece ore
dell’ormone che stimola la funzione della tiroide.
Ancora, nella psoriasi un antigene contro cui è dire a la risposta
immunitaria, in una parte dei pazienti, è stato identificato da un
italiano, Antonio Costanzo, 5 responsabile di dermatologia all’Istituto
Humanitas. Si tra a di LL37 (un peptide antimicrobico), dimostratosi
importante per un approccio terapeutico mirato nell’o ica di una
medicina sempre più di precisione.
Nel caso dell’artrite reumatoide abbiamo visto che ci sono
anticorpi dire i contro i nostri stessi anticorpi (fa ore reumatoide),
ma questi non sono la vera causa della mala ia; sono stati identificati
altri autoantigeni, in particolare proteine citrullinate, 6 e anticorpi
contro queste molecole sono utili strumenti diagnostici, ma chi sia il
vero colpevole dell’infiammazione articolare non è ancora del tu o
chiaro.
Nelle mala ie autoimmuni che invece colpiscono più organi,
come il lupus, gli antigeni bersaglio sono molti, e non ancora tu i
noti. Nel lupus compaiono per esempio anticorpi dire i contro acidi
nucleici, che di per sé non causano la mala ia, ma che sono utili
marcatori diagnostici.
Insomma, l’identificazione delle molecole bersaglio
dell’autoimmunità continua a rappresentare una sfida, tanto più
importante in una prospe iva di medicina di precisione.

I fa ori di rischio
Gli studi epidemiologici e le ricerche immunologiche suggeriscono
che alcuni fa ori aumentano il nostro rischio di sviluppare mala ie
autoimmuni, anche se non comprendiamo ancora fino in fondo in
che modo, né conosciamo tu i i determinanti. Fra questi il sesso, i
geni «sbagliati», lo stile di vita, le infezioni.

SESSO E ORMONI

In generale abbiamo visto come le mala ie autoimmuni colpiscano


maggiormente il sesso femminile, e costituiscano dunque un
problema grave per una medicina che tiene conto delle differenze di
genere.
Non sappiamo esa amente perché le donne siano un bersaglio
predile o per le mala ie autoimmuni. Certamente sono diversi i
motivi che concorrono a questo fuoco amico rosa: innanzitu o una
componente ormonale, perché gli ormoni contribuiscono a regolare
il sistema immunitario. Jean-François Bach e Lucienne Chatenoud, a
Parigi molti anni fa, hanno dimostrato infa i che gli ormoni
maschili, gli androgeni, proteggevano topolini predisposti al lupus.
In secondo luogo, la specificità legata al fa o che il sistema
immunitario della donna deve essere predisposto ad affrontare
eventi che non toccano l’uomo, come la gravidanza. Il prodo o del
concepimento, per metà, ha geni del padre, quindi estranei alla
mamma: dunque, è un po’ come se fosse un trapianto. Tu avia deve
essergli assicurata protezione, sia evitando il rige o mediato da
cellule T sia garantendogli la presenza di anticorpi in grado di
proteggere il neonato nei primi mesi di vita.
LA COMPONENTE GENETICA

Un’altra componente alla base dell’autoaggressione del sistema


immunitario è quella genetica. Tu avia, se da una parte è dimostrato
che il nostro asse o genetico condiziona il rischio di avere mala ie
autoimmuni, dall’altra parte non siamo affa o in grado di predire se
una persona svilupperà o meno questo tipo di patologie.
Per molte mala ie autoimmuni avere un gene sbagliato fra quelli
del sistema immunitario – e in particolare fra quelli del
riconoscimento, ossia del complesso maggiore di istocompatibilità
MHC (Major Histocompatibility Complex), che perme ono alle nostre
difese di distinguere fra self e non-self – aumenta il rischio di
sviluppare queste patologie. Vale per esempio per il diabete, per la
spondilite anchilosante, una mala ia rara che colpisce la spina
dorsale, per l’artrite reumatoide, per la psoriasi e così via. Perché?
Perché dal momento che i geni del complesso MHC sono un po’ lo
specchio dentro cui il sistema immunitario vede che cosa colpire,
avere uno specchio «dife oso» fa sì che le nostre difese sbaglino più
facilmente.
Un altro fa ore di rischio possono essere geni sbagliati di altre
molecole del sistema immunitario, per esempio di citochine come IL-
2, IL-21 e IL-23 , che guidano la crescita e la specializzazione delle
cellule T, o come IL-10 , un freno della risposta immunitaria.
Un esempio che ci aiuta a capire come e perché i geni del sistema
immunitario possono condizionare il nostro rischio di sviluppare
mala ie autoimmuni viene dalla Sardegna, dove è localizzato un
centro di eccellenza scientifica in genetica del Consiglio nazionale
delle ricerche (CNR ), guidato da Francesco Cucca. Da tempo
sappiamo che la frequenza di alcune mala ie autoimmuni (lupus,
sclerosi multipla) è più elevata in questa regione. Un team di
ricercatori impegnati ad analizzare la genetica della popolazione
autoctona ha scoperto che qui più persone hanno un particolare
asse o genetico (genotipo) in un gene della famiglia di una delle
parole del sistema immunitario (TNF , Tumor Necrosis Factor): BAFF ,
ossia B-Cell Activating Factor, fa ore che a iva i linfociti B.
Ma – viene da chiedersi – perché nel corso dell’evoluzione
abbiamo mantenuto, nel nostro genoma, geni che aumentano il
rischio di sviluppare mala ie autoimmuni? La spiegazione più
probabile è che tali geni, in qualche modo, abbiano costituito per noi
un vantaggio dal punto di vista della resistenza alle mala ie
infe ive. Avere un sistema immunitario che funziona di più, seppur
con il rischio di sbagliare bersaglio, può essere un bene quando si
vive in condizioni selvagge, dove per esempio non esistono i vaccini
e nulla si può fare per prevenire le mala ie infe ive.
Di nuovo, gli studi di Francesco Cucca ci forniscono un esempio
illuminante. La Sardegna era particolarmente flagellata dalla
malaria. BAFF è un gene importante nella resistenza immunitaria alla
malaria e, probabilmente, ad altri agenti infe ivi: un BAFF
«sbagliato», dunque, ha dato un vantaggio sele ivo agli individui
che lo possiedono.

LO STILE DI VITA

Un altro fa ore di rischio per lo sviluppo delle mala ie autoimmuni


ha a che vedere con il nostro stile di vita. In particolare, Jean-
François Bach, un collega francese che abbiamo già citato, aveva
evidenziato come negli ultimi decenni si fosse verificato un aumento
della frequenza di mala ie autoimmuni in parallelo con l’aumento di
allergie. 7 Un’affermazione che vedremo meglio nel IX capitolo e che
continua a trovare conferma. Anche per le mala ie autoimmuni si è
dunque proposta un’ipotesi dell’igiene: la nostra mancata
esposizione a componenti del mondo microbico, non
necessariamente patogeni, fa sì che il sistema immunitario non
impari a utilizzare i freni. Proprio come nelle allergie. In un certo
senso, quindi, l’aumento delle mala ie autoimmuni è il prezzo che
paghiamo al cambiamento di stile di vita, di cui l’igiene è una
componente.
Le nostre conoscenze sono in continuo divenire: per esempio, è
stata avanzata l’ipotesi che il cambiamento di abitudini alimentari
abbia modificato il mondo microbico che ci accompagna, il
microbioma, che rappresenta la palestra in cui il nostro sistema
immunitario impara a usare freni e acceleratori in modo
appropriato.

LE INFEZIONI

A volte alcune patologie autoimmuni compaiono in seguito a


mala ie infe ive. È il caso della mala ia reumatica o delle miocarditi
successive ad alcune infezioni virali. In questi casi il bersaglio è
giusto, ma le molecole microbiche contro cui è dire a la risposta
immunitaria hanno una stru ura simile a quella di componenti
normali dell’organismo. Un fenomeno definito «mimesi molecolare»
(molecular mimicry).
L’infezione da streptococco beta-emolitico di tipo A che causa
tonsillite e faringite, se non adeguatamente controllata, può causare
mala ia reumatica, che porta a insufficienza valvolare a livello del
cuore, nefrite a livello del rene e artrite. I soffi al cuore per cui i
giovani venivano riformati ai tempi del servizio militare obbligatorio
erano in larga misura un lascito di questa infezione. Oggi gli
antibiotici hanno cambiato la storia naturale di questa mala ia, che
non è più un problema per noi che viviamo nel mondo «ricco». Ma il
mio amico Jorge Kalil, che ha dire o l’Istituto Butantan in Brasile, mi
ricorda sempre che da loro e nei paesi poveri le infezioni da
streptococco beta-emolitico – e il segno che lasciano al cuore –
continuano a essere un problema gravissimo. Questo richiama la
nostra a enzione sulla necessità di condividere armi terapeutiche
come antibiotici e vaccini con il resto del mondo. Un vaccino efficace,
su cui poco si investe, risolverebbe il problema in larga misura.

I progressi nella terapia


Dall’analisi dei meccanismi del sistema immunitario coinvolti
nell’autoimmunità sono derivate nuove terapie: a quelle più
tradizionali – i farmaci immunosoppressivi come il metotrexato per
l’artrite reumatoide, i glucocorticoidi o cortisonici, e così via – se ne
sono associate altre, farmaci de i «biologici» e farmaci mirati contro
molecole ben definite che sono responsabili della risposta
immunitaria.
La storia dello sviluppo di anticorpi e di falsi rece ori che
bloccano TNF illustra bene il percorso che ha portato a nuove terapie
basate sulle armi del sistema immunitario. Gli anti-TNF hanno
radicalmente cambiato la vita dei pazienti affe i da artrite
reumatoide e, successivamente, da altre mala ie autoimmuni. Per
capire meglio facciamo un passo indietro e vediamo che cos’è,
esa amente, TNF .
Il Tumor Necrosis Factor, o fa ore di necrosi tumorale, è una parola
del sistema immunitario, una citochina, che – proprio come la prima
citochina scoperta, IL-1 – è stata identificata in vari modi, da studiosi
diversi. Individuata inizialmente come molecola responsabile della
necrosi emorragica di alcuni tumori, 8 ha avuto un’applicazione
clinica limitatissima a causa della sua eccessiva tossicità.
In parallelo, è stata scoperta come molecola che causa cachessia 9
(veniva chiamata «cachessina»), lo stato di grave malnutrizione e
conseguente deperimento fisico generalmente dovuto a mala ie
infe ive o tumorali croniche.
Ancora, è stato dimostrato che il TNF è uno dei responsabili dello
shock se ico che abbiamo incontrato nel capitolo precedente. Da qui
lo sviluppo – da parte di molti, in particolare di Ján Vilček 10 alla
New York University – e la sperimentazione clinica di anticorpi per
bloccare il TNF . Seguito però, come abbiamo visto, da una delusione:
gli anticorpi anti-TNF non si sono rivelati efficaci nella cura della
sepsi.
Parallelamente a questo fallimento, in Inghilterra l’immunologo
Marc Feldmann identifica il TNF come responsabile della cascata di
parole sbagliate del sistema immunitario in grado di provocare un
danno alle articolazioni nell’artrite reumatoide. Insieme a Fionula
Brennan, sua giovane collaboratrice, e Ravinder Nath Maini,
reumatologo clinico, sperimenta gli anticorpi anti-TNF – proprio gli
stessi che avevano fallito nella sepsi! – per la cura dell’artrite
reumatoide. E o iene un successo straordinario, che da allora in poi
ha radicalmente cambiato la vita dei pazienti affe i da questa
mala ia. C’è un filmato in cui si vede una paziente tra ata con le
terapie tradizionali: è in carrozzella, fatica a muoversi. E dopo la
terapia con anti-TNF si alza e sale le scale normalmente.
L’impa o clinico di questo successo è andato molto al di là della
cura dell’artrite reumatoide: per la prima volta, infa i, è stato
dimostrato che una strategia terapeutica volta a bloccare le parole
dell’immunità poteva essere efficace. Le scoperte di laboratorio fa e
da numerosi immunologi sono dunque arrivate fino al paziente.
Oggi gli anticorpi anti-TNF vengono utilizzati per la cura di diverse
mala ie infiammatorie e autoimmuni: oltre all’artrite reumatoide, le
patologie infiammatorie dell’intestino come la mala ia di Crohn e la
re ocolite ulcerosa.
In parallelo, sono state create grazie ad approcci di ingegneria
genetica delle «trappole molecolari» per TNF : non solo anticorpi
dunque, ma anche rece ori «falsi» (decoy receptors). E anche questi si
sono rivelati a ivi in clinica. Questa storia ha quindi le eralmente
aperto un mondo, quello dell’uso di farmaci biologici nelle mala ie
autoimmuni e autoinfiammatorie.
Oltre al TNF , oggi siamo capaci di bloccare con successo anche
ulteriori parole del sistema immunitario: IL-1, IL-4, IL-13, IL-17, IL-23 . E
gli studi proseguono a ivamente.
Non solo. Un’altra strategia terapeutica rivelatasi valida è bloccare
la produzione degli autoanticorpi che sostengono le mala ie
autoimmuni.
Il percorso seguito per arrivare a questo risultato parte dal cancro.
A monte, innanzitu o, c’è uno sforzo colle ivo condo o, per lunghi
anni, dagli immunologi di tu o il mondo, volto a identificare le
molecole che stanno sulla superficie dei globuli bianchi. La
condivisione di scoperte che da sempre contraddistingue gli
immunologi ha consentito negli anni di avere una descrizione
accurata e costantemente aggiornata della superficie dei linfociti:
come fosse un paesaggio, con tu i i suoi elementi naturali – gli
antigeni – via via scoperti e classificati con un nome specifico. Nel
1982, durante la prima Conferenza mondiale sugli antigeni di
differenziazione leucocitaria (Conference on Human Leukocyte
Differentiation Antigens, HLDA ), che aveva l’obie ivo di classificare i
vari anticorpi monoclonali – prodo i da laboratori di tu o il mondo
– in grado di riconoscere antigeni di superficie dei linfociti, è stato
introdo o il termine CD , ovvero Cluster of Differentiation. Questo
sforzo colle ivo continua ormai da oltre vent’anni so o gli auspici
della International Union of Immunological Societies. 11
Fra i vari elementi sulla superficie dei linfociti, ne è stato
identificato uno presente solo sui linfociti B (ovvero quelli che
producono anticorpi) e sui linfomi che da essi derivano: CD20 . Nel
decennio successivo è stato generato un anticorpo che è in grado di
eliminare le cellule sulla cui superficie si trova CD20 e che ha
cambiato la storia naturale dei pazienti affe i da tumori delle cellule
B.
Di tu o questo ha beneficiato anche la lo a contro le mala ie
autoimmuni: l’anticorpo anti-CD20 , infa i, si è aggiunto come arma
per la terapia di queste patologie perché in grado di fermare i
linfociti B, che producono gli autoanticorpi.
Un’altra strategia terapeutica introdo a di recente ha avuto una
lontana origine nello studio delle immunodeficienze congenite. Gli
enzimi JAK , ricordiamolo, sono componenti della complessa cascata
che a valle dei rece ori di membrana di alcune citochine trasme e il
segnale che riprogramma la cellula. Inibitori di JAK sono ora entrati
in uso clinico, dopo un percorso a volte tortuoso fra
immunodeficienze congenite, cancro e mala ie autoimmuni.
Ancora, molto recentemente sono entrati nella pratica clinica
anticorpi in grado di bloccare il codice di avviamento postale che –
come abbiamo visto – perme e alle cellule diversamente
specializzate del sistema immunitario che pa ugliano l’organismo di
recarsi in un determinato posto. Alfa-4-beta-7, una molecola adesiva
de a «integrina», è una componente essenziale del codice di
avviamento postale dell’intestino. Sulla base di questa scoperta si
sono sviluppati anticorpi che la bloccano, ora rivelatisi utili nella
terapia delle mala ie infiammatorie intestinali.
Negli ultimi decenni, dunque, grazie alla ricerca l’armamentario a
disposizione dei medici contro le mala ie autoimmuni si è arricchito
straordinariamente. Tu avia, il problema dell’autoimmunità è ben
lontano dall’essere risolto, in particolare perché, a tu ’oggi, non
siamo capaci di rieducare il sistema immunitario a non
autoaggredirci: abbiamo fa o progressi nel controllare le mala ie,
ma non sappiamo ancora guarirle.
Inoltre, non tu i i pazienti rispondono alle terapie messe a punto,
di cui vanno a entamente valutati – come per qualsiasi intervento
medico – rischi e benefici. Bloccare il sistema immunitario, seppur in
parte, può essere infa i pericoloso. Così, per esempio, pazienti
tra ati con anti-TNF devono essere sorvegliati con estrema a enzione
perché possono diventare bersaglio di infezioni da micoba erio della
tubercolosi: TNF è una parola del sistema immunitario fondamentale
per controllare questo tipo di infezioni. Ovviamente si tra a di un
rischio basso, più che controbilanciato dal vantaggio di restituire
mobilità ai pazienti.
Tu avia, questo ci fa comprendere come sia indispensabile
proseguire le ricerche sul sistema immunitario, per comprendere
fino in fondo in che modo si inneschi una patologia autoimmune,
coltivando il sogno di correggere il problema alla radice e arrivare a
me ere a punto terapie in grado non solo di bloccare, ma sopra u o
di rieducare corre amente le nostre difese a cessare il fuoco amico.

Un nuovo mondo dell’autoimmunità: le mala ie autoinfiammatorie


Ancora oggi, dunque, le patologie autoimmuni rappresentano per la
medicina e la ricerca una sfida aperta e in continua evoluzione. In
questo millennio, dalla cura dei pazienti sono nate una nuova
versione e visione dell’autoimmunità: le mala ie cosidde e
«autoinfiammatorie». Un nuovo mondo di patologie in cui è la parte
più primitiva dell’immunità, quella innata – dei macrofagi, delle
citochine infiammatorie e dell’infiammazione –, a scatenare la
risposta delle nostre difese.
Ovviamente non si tra a di nuove mala ie comparse dal nulla,
quanto piu osto di patologie che, grazie ai progressi della ricerca,
abbiamo imparato a identificare – e in seguito curare –
corre amente. Come si è arrivati a questa scoperta? Dallo studio di
una serie di mala ie genetiche febbrili che colpiscono i bambini, di
cui non si conosceva l’origine.
Sono mala ie dai nomi strani, come Nomid, Muckle Wells Syndrome
e così via. I pazienti accusano febbre non spiegata, spesso scatenata
dall’esposizione al freddo, problemi alle articolazioni e alla pelle,
vasculiti e, a volte, problemi del sistema nervoso centrale.
Per tantissimo tempo non si è capito quale fosse la base di queste
mala ie. Fino a quando, circa dieci-quindici anni fa, si sono
incrociate due linee di ricerche: quella clinica condo a in particolare
negli USA da un pediatra, Hal M. Hoffman, e quella di laboratorio
condo a da Jürg Tschopp in Svizzera e da Gabriel Nuñez negli USA
sui meccanismi immunologici fondamentali di riconoscimento del
mondo esterno da parte dell’immunità innata.
Hoffman identifica il gene che causa alcune di queste mala ie
autoinfiammatorie, fondamentale per il comportamento di uno dei
componenti dell’inflammosoma – già incontrato nel III capitolo –,
che riconoscendo microbi o componenti microbici che entrano nella
cellula, particelle come i cristalli di colesterolo o di acido urico (per
esempio nella go a), a iva una «forbice molecolare» de a «caspasi-
1», che porta alla liberazione di un mediatore centrale
dell’infiammazione, interleuchina-1.
La scoperta del minimo comune denominatore di queste mala ie
genetiche febbrili si è trado a, nel giro di pochissimo tempo, in una
terapia 12 che ha cambiato la vita dei piccoli pazienti, consentendo
per esempio – ed è il caso più estremo – a bambini considerati
mentalmente ritardati di tornare a scuola.
A volte, a lezione mostro una fotografia donatami dal do or
Hoffman, in cui lui stesso cura una madre, Arlene Fowler, e le sue
due figlie Cathy e Cindy affe e da una mala ia autoinfiammatoria,
la Familial Cold Autoinflammatory Syndrome. Migliorandone la vita.
La consulenza di Hoffman è stata richiesta anche per un episodio
della famosa serie tv «Do or House», in cui il protagonista
diagnostica la Mukle Wells Syndrome: solitamente utilizzo questo
filmato per introdurre il tema ai miei studenti. Ebbene, il paziente
virtuale del do or House, così come i pazienti reali di Hoffman e del
mio amico e collega dell’ospedale Gaslini di Genova Alberto Martini,
un pioniere del se ore, hanno tra o straordinario giovamento dalla
ricerca immunologica.
Queste mala ie genetiche sono state un po’ la punta dell’iceberg
del nuovo mondo delle mala ie autoinfiammatorie. Si ritiene che
siano tali anche le mala ie infiammatorie intestinali, come la
re ocolite ulcerosa. Ancora, è autoinfiammatoria la mala ia cui
abbiamo accennato all’inizio del capitolo, l’artrite reumatoide
sistemica giovanile (Systemic Juvenile Rheumatoid Arthritis)
dell’Amorino dormiente di Caravaggio. Una patologia sostenuta, di
nuovo, da interleuchina-1: grazie ai progressi della scienza, però,
oggi i bambini sopravvivono a questa mala ia, e non si
so opongono più a interventi chirurgici devastanti sulle
articolazioni.
La sfida, dunque, continua.
IX
Fuoco allergico

Tu i noi abbiamo una qualche esperienza, personale o familiare,


dire a o indire a, dell’allergia e di qualcuno che ne soffre.
Ma che cos’è esa amente? L’allergia è una reazione inappropriata
o eccessiva del sistema immunitario contro sostanze – de e allergeni
– solitamente innocue presenti nell’ambiente, per esempio nell’aria
(polline, polvere), o negli alimenti che l’organismo riconosce come
estranee e potenzialmente pericolose, dunque meritevoli di un
a acco che le neutralizzi. Nel caso di una puntura di inse o, come
una vespa, si tra a di una risposta eccessiva a un pericolo.
In altre parole, l’allergia è uno dei casi in cui il sistema
immunitario sbaglia bersaglio, colpendo degli innocenti.
A seconda che l’allergene sia ingerito, inspirato o ci sia conta o
dire o, l’allergia può interessare differenti apparati e manifestarsi
con vari livelli di gravità: le più note sono il cosidde o raffreddore
da fieno (rinite allergica), l’asma, le allergie da conta o, le allergie
alimentari oppure a farmaci o alle punture di inse o. Le
manifestazioni possono essere lievi e tollerabili – starnuti, aumento
delle secrezioni nasali, prurito –, oppure più gravi, fino all’asma non
controllata e alle gravi dermatiti. E, a volte, persino letali, come lo
shock anafila ico.
Negli ultimi anni le allergie sono decisamente aumentate.
Affermarlo in modo rigoroso non è semplice, perché i criteri
diagnostici sono migliorati consentendoci di scoprire numerose
forme che prima non riuscivamo a individuare. Ma c’è comunque
consenso scientifico pressoché unanime sul fa o che le mala ie
allergiche abbiano fa o registrare un incremento importante. Oggi
ne soffre circa il 20 per cento della popolazione.
Tra le varie mala ie allergiche, l’aumento costante dell’incidenza
di quelle respiratorie osservato negli ultimi decenni coinvolge sia i
paesi industrializzati sia quelli in via di sviluppo. Secondo i dati
dell’OMS , 1 la prevalenza si a esta tra il 10 e il 40 per cento della
popolazione, a seconda delle zone e dei periodi dell’anno. Si stima
che, nel mondo, 400-500 milioni di persone soffrano di rinite
allergica e che il 10-20 per cento di loro lamenti disturbi non
adeguatamente controllati, nonostante l’utilizzo di farmaci
sintomatici. In Europa diverse società scientifiche e associazioni dei
malati calcolano una prevalenza delle riniti allergiche del 10-20 per
cento, con un trend in crescita. Dati identici sono riportati anche in
Italia.
Nel tempo la prevalenza e la natura dei disturbi spesso cambiano
nelle persone allergiche. Per questo si parla di «marcia allergica»:
nella prima fase della vita si è più sogge i a patologie come la
dermatite atopica e le allergie alimentari, che tendono a scomparire
con l’età, mentre parallelamente cresce l’incidenza dell’asma
bronchiale e, successivamente, della rinite allergica.

Storia di un nome sbagliato


La storia dell’allergia comincia nel Novecento, con il pediatra
viennese Clemens von Pirquet. 2
Erano i tempi in cui si iniziava a me ere a punto e somministrare
gli anticorpi, specifiche armi di difesa prodo e da particolari cellule
del sistema immunitario (i linfociti B o cellule B) in seguito alla
stimolazione di sostanze estranee, gli antigeni, che entrano
nell’organismo. Erano i cosidde i «antisieri», ovvero sieri contenenti
anticorpi specifici tra i perlopiù dai cavalli, per la cura per esempio
della difterite. Von Pirquet nota che il siero, nei bambini cui viene
somministrato più volte, induce nell’organismo non solo protezione
nei confronti della mala ia (immunità) ma anche ipersensibilità,
ovvero sintomi sistemici e locali: febbre, rash cutaneo, gonfiore dei
linfonodi…
Comprende così che il siero, un agente esterno, induce nel sistema
immunitario una rea ività in qualche modo dannosa o alterata, per
cui propone il nome allergy (dal greco: allos, altro, ed ergon, lavoro).
Von Pirquet conia questo termine, dunque, per definire una mala ia
che, in realtà, non è propriamente allergica.
Chi davvero identifica le allergie è Arthur Fernandez Coca, che
nel 1923 insieme a Robert Cooke introduce il termine «atopia» per
definire un gruppo di mala ie a incidenza familiare, cara erizzate
da sensibilizzazione nei confronti di sostanze presenti comunemente
nell’ambiente. Anche «atopia» deriva dal greco (a-tópos, fuori posto)
e significa «manifestazioni con cara eristiche insolite».
La familiarità è uno dei tra i delle allergie: se guardo al mio caso
personale, per esempio, mia madre soffriva di raffreddore allergico
come me, mentre due dei miei figli e due dei miei nipoti hanno
problemi di allergie. Il nome atopia, tu avia, seppur più corre o,
non ha mai sostituito il termine allergie, che rimane tu ora di uso
comune.
Un’altra tappa fondamentale della storia delle allergie è la
scoperta di una classe di anticorpi responsabili delle manifestazioni
allergiche o atopiche: le IgE, presenti in quantità relativamente bassa
nel sangue circolante. La loro identificazione risale al 1967, quando i
coniugi giapponesi Kimishige e Teruko Ishizaka dimostrano come le
IgE vengano prodo e in risposta all’esposizione ripetuta ad
allergeni.
Facciamo a questo punto un passo indietro per capire meglio
come agiscono gli anticorpi. Chiamati anche immunoglobuline,
hanno la precisa funzione di riconoscere gli antigeni e a accarsi a
essi per renderli maggiormente visibili e susce ibili all’azione delle
cellule del sistema immunitario, come mastociti, neutrofili e
macrofagi. Possiamo pensare agli anticorpi come a missili o
pallo ole, assai più intelligenti di quelle vere sparate dalle armi da
fuoco: con l’aiuto di un sistema di proteine complicato chiamato
«complemento» possono creare veri e propri buchi nella cellula
bersaglio, sia essa una cellula tumorale o un ba erio. Gli anticorpi
sono presenti nel sangue, sono suddivisi in cinque diverse classi
(IgA, IgD, IgE, IgG e IgM) e spesso si cercano come traccia per capire
se una persona è stata infe ata da un particolare patogeno.

Gli a ori del fuoco allergico


Una volta capito che cos’è il fuoco allergico, chi lo accende e lo
mantiene vivo? La miccia che lo innesca è rappresentata dagli
anticorpi della classe IgE, che si legano ad allergeni come i
componenti del polline. A conta o con questo nemico in realtà
innocuo, si moltiplicano diventando una sorta di antenne per i
mastociti, cellule specializzate presenti in tu i i tessuti e in
particolare nei pressi dei piccoli vasi e delle terminazioni nervose,
nella cute e negli apparati cardiovascolare, gastroenterico e
respiratorio. Così, quando il polline arriva a livello dell’albero
respiratorio, viene riconosciuto da IgE e mastociti, che rilasciano
all’esterno alcune sostanze contenute nei loro granuli, fra cui
l’istamina, mediatore di infiammazione tipico delle allergie. Che, per
esempio, ci fa starnutire. Per questo contro le allergie assumiamo i
cosidde i «antistaminici», oltre a farmaci appartenenti a classi
diverse come i cortisonici.
La reazione dei mastociti e il rilascio dell’istamina richiamano
altre cellule specializzate, peculiari globuli bianchi che svolgono
un’azione difensiva in particolare contro parassiti come i vermi
intestinali. Li abbiamo incontrati nel IV capitolo: sono gli eosinofili,
che una volta raggiunto il tessuto interessato liberano i loro granuli.
La concentrazione di questo fuoco causa fondamentalmente un
danno al tessuto. In una fase successiva, l’infiammazione di natura
allergica può dare luogo a un rimodellamento del tessuto stesso: un
po’ come in altre situazioni – in specie nella risposta ai parassiti –,
non riuscendo a eliminare il nemico, il sistema immunitario lo isola
con una sorta di muro. Non dimentichiamo, però, che nel caso delle
allergie non c’è un vero nemico: il muro (il tessuto fibroso) dunque,
causa molti problemi, per esempio respiratori.
Dunque IgE, mastociti ed eosinofili sono i primi responsabili del
fuoco allergico. Tu avia, sono degli esecutori. Sono la miccia che
viene accesa per dar luogo all’incendio. Ma chi accende questa
miccia? In altre parole, chi istruisce le cellule B a produrre anticorpi
IgE? E chi dà il segnale che a ira nel tessuto gli a ori della risposta
allergica, come mastociti ed eosinofili?
Sono i dire ori dell’orchestra allergica, ovvero i linfociti T
chiamati helper, adiuvanti. In particolare i cosidde i TH2 : come nelle
vere orchestre, anche in quella delle nostre difese naturali il
repertorio cambia a seconda di chi le dirige.
A due immunologi statunitensi, Tim R. Mosmann e Robert L.
Coffman, spe a il merito di aver identificato, nel 1986, i dire ori
dell’orchestra immunologica responsabili del fuoco allergico: un
so otipo di linfociti T helper, TH2 , solitamente specializzati nel
dirigere le risposte immunitarie contro parassiti intestinali come gli
elminti. Una scoperta effe uata nei topolini, la cui effe iva rilevanza
per l’uomo diventa chiara solo quando, a Firenze, Sergio Romagnani
e il suo team dimostrano il ruolo fondamentale dei linfociti TH2 nella
regolazione della sintesi di IgE.
Questi dire ori d’orchestra, a raverso parole precise – le
citochine IL-4, IL-5 o IL-13 –, comunicano alle cellule B di produrre gli
anticorpi IgE e ai mastociti di rilasciare istamina. E a ivano la
produzione di molecole (le chemochine) che a loro volta a irano
mastociti ed eosinofili nei tessuti, nella pelle, nell’albero respiratorio,
aumentando la secrezione di muco, a livello gastrointestinale e così
via. Infine, gli stessi dire ori si spostano concentrandosi nella sede
della risposta allergica, raggiungendo gli esecutori. Fra questi ultimi,
anche chi ha un ruolo importante non tanto per le manifestazioni
immediate dell’allergia (gli starnuti, le secrezioni nasali, la crisi di
asma) quanto per quelle che si verificano a seguire. Sono i macrofagi,
truppe corazzate che a raverso le parole IL-4, IL-5 o IL-13 ricevono
l’istruzione di diventare macrofagi di tipo M2 , specializzati nel
rimodellare il tessuto e orchestrare la fibrosi, ossia lo sviluppo di
conne ivo fibroso per riparare il danno. Oltre a riparare il danno, il
tessuto fibroso può costituire un vero e proprio muro nei confronti
di patogeni che non si riescono a eliminare. Il rimodellamento del
tessuto bronchiale, per esempio, è un danno a lungo termine
dell’asma e costituisce forse il problema principale di questa mala ia
allergica.
Ancora non abbiamo finito di identificare tu i gli a ori della
risposta allergica. È recente, per esempio, la scoperta di cellule più
primitive delle TH2 , de e ILC (Innate Limphoid Cells), a loro volta
fondamentali nel far partire la risposta allergica.
Approfondire la ricerca è dunque, come sempre, importante e
necessario. Anche per aprire nuove strade terapeutiche. La scoperta
di alcuni meccanismi so esi alle risposte allergiche ha infa i portato
allo sviluppo di terapie innovative, quali molecole che bloccano le
IgE o le citochine coinvolte nell’allergia (IL-4 e IL-5 ).

Le cause
Sorge spontaneo, a questo punto, chiedersi a che cosa servano le
risposte allergiche, dal momento che ci causano un danno.
Il senso della loro esistenza, in realtà, è diametralmente opposto.
Nascono infa i come un meccanismo di difesa a tu i gli effe i,
importantissimo in condizioni naturali, ossia in un contesto di vita
senza medicine e con scarsa igiene. La loro funzione è difenderci da
alcune tossine contenute nei veleni e dai vermi intestinali come gli
elminti, che oggi non sono più un problema nei paesi ricchi ma
continuano a esserlo, a livello drammatico, nei paesi in via di
sviluppo.
Dunque la morte del faraone Menes nel 2600 a.C. in seguito a una
puntura di vespa, raffigurata in un geroglifico egiziano, è il risultato
di un eccesso di difesa. E questo vale un po’ per tu i i tipi di allergia.
Ironia della sorte, lo stesso Sergio Romagnani – che come abbiamo
visto ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della scoperta dei
meccanismi allergici – ha avuto uno shock anafila ico in seguito a
una puntura d’inse o.
Ma perché si verifica questo eccesso di difesa? Le cause non sono
del tu o note o dimostrate, ma certamente geni, ambiente e stile di
vita giocano un ruolo fondamentale.
Iniziamo dai geni. Abbiamo visto come già nel 1923 Coca si fosse
accorto che l’atopia tende a raggrupparsi in famiglie. Non c’è dubbio,
quindi, che ci sia in qualche modo una predisposizione genetica
all’allergia. Non esiste però un unico gene responsabile di questo
problema: sono piu osto tante varianti genetiche, e di geni diversi,
che insieme aumentano il rischio di sviluppare mala ie allergiche. È
il motivo, per esempio, per cui nonostante io sia allergico come mia
madre, non tu i i miei figli hanno ereditato lo stesso problema.
I geni responsabili dell’aumento di susce ibilità alle allergie
ricadono fondamentalmente in tre categorie: quelli associati
all’immunità innata e alla regolazione del sistema immunitario,
quelli legati alle cellule TH2 e alla loro funzione, e quelli che hanno a
che vedere con i tessuti in cui si manifestano le mala ie allergiche,
quindi geni dell’immunità delle mucose, geni associati alla funzione
del polmone e delle vie aeree, e così via.
Il secondo determinante è l’ambiente. Numerosi dati dimostrano
che l’allergia è un fenomeno correlato alle società moderne. Prima
del XIX secolo era un evento raro. Oggi, il numero di persone che ne
soffrono è in aumento ogni anno nei paesi economicamente
sviluppati, ma non per esempio nei villaggi dei paesi poveri.
Per quale motivo? A lungo si è pensato che tale incremento fosse
legato a fa ori esclusivamente ambientali, in particolare
all’inquinamento. Tu avia, molti dati contraddicono questa visione.
Per esempio, da un confronto tra popolazioni con lo stesso
background genetico, effe uato dalla ricercatrice Erika von Mutius
in Germania all’epoca della divisione politica del paese, è emerso che
la frequenza di mala ie allergiche non è affa o correlata con il livello
di inquinamento: i bambini provenienti dalla parte Est, decisamente
più inquinata, avevano infa i meno reazioni allergiche e casi di asma
rispe o a quelli della Germania Ovest.
Arriviamo così al terzo elemento fondamentale per la maggiore
susce ibilità alle allergie: lo stile di vita. Nel 1989 David Strachan, in
un articolo pubblicato sul «British Medical Journal», formula per
primo la cosidde a «ipotesi dell’igiene» per spiegare l’aumentata
insorgenza di asma allergica nei bimbi inglesi. Osservando che i figli
unici erano più frequentemente asmatici, spiega questo dato con la
loro rido a esposizione ai patogeni (virus, ba eri e parassiti).
Fra le tante conferme dell’ipotesi di Strachan, nel 2016 uno studio
pubblicato sul «New England Journal of Medicine» »3 ha rilevato che
i tassi di asma sono inferiori nei bambini Amish rispe o ai bambini
Hu eriti. Entrambi i gruppi hanno un background genetico e stili di
vita simili, tu avia gli Amish usano solo tecniche agricole
tradizionali, e quindi hanno più conta i con gli animali da fa oria
rispe o agli Hu eriti, che utilizzano metodi di allevamento più
moderni.
L’ipotesi igiene, dunque, associa l’aumento delle allergie allo stile
di vita in un ambiente troppo pulito e privo di germi. In altre parole,
la riduzione del numero e del tipo di microbi che il nostro sistema
immunitario incontra nel corso della vita potrebbe causare una
reazione eccessiva quando viene a conta o con sostanze
normalmente innocue.
In parallelo, l’analisi dei meccanismi fondamentali con cui opera il
sistema immunitario ha spiegato e fornito una base alle osservazioni
epidemiologiche. Gli studi condo i in particolare da Sergio
Romagnani hanno messo in luce come i dire ori dell’orchestra
immunologica, i linfociti T, si specializzino a dirigere repertori
diversi di risposte immunitarie. In particolare, le cellule TH1 sono
responsabili della resistenza a microbi come il micoba erio della
tubercolosi, le cellule TH17 della resistenza a ba eri extracellulari
come lo stafilococco, mentre le cellule TH2 orchestrano la risposta a
parassiti come i vermi intestinali.
Me endosi in moto contro i diversi patogeni, le cellule TH
mandano anche segnali di stop agli altri comandanti, la cui
interazione darebbe solo fastidio. Riducendo drasticamente il nostro
incontro con i patogeni e controllando le infezioni ba eriche grazie
agli antibiotici, a iviamo sempre meno le cellule TH1 e, di
conseguenza, facciamo mancare un freno alle cellule TH2 . Che,
ritrovandosi a comba ere non più dannosi parassiti ma perlopiù
nemici innocui e disarmati come i pollini, sostengono le reazioni
allergiche.
Da grandi studi epidemiologici emergono dati impressionanti a
sostegno del fa o che esporre i bambini a una maggiore quantità di
microrganismi non patogenetici, ossia che di per sé non causano
mala ia (per esempio quelli che derivano dal conta o con gli
animali e con i loro escrementi, il consumo di la e non
pastorizzato…), riduce il rischio di sviluppare asma e allergie.
Per esempio, sono stati condo i due studi europei trasversali:
uno, PARSIFAL (Prevention of Allergy – Risk Factors for Sensitisation in
Children Related to Farming and Anthroposophic Lifestyle), ha coinvolto
bambini che abitavano in fa orie ed erano dunque a conta o con le
stalle. L’altro, denominato GABRIELA (uno studio multidisciplinare
che aveva l’obie ivo di individuare le cause genetiche e ambientali
alla base dell’asma), è stato effe uato su bambini che vivevano in
ci à. I dati emersi hanno evidenziato che l’esposizione continua ai
microbi, da parte dei bambini delle fa orie, era associata a un rischio
rido o di sviluppare asma e allergie.
I dati epidemiologici e immunologici suggeriscono dunque che
l’aumento di mala ie allergiche è il prezzo che paghiamo al successo
avuto nel comba ere le mala ie infe ive, che – ricordiamolo –
costituivano, e ancora costituiscono nei paesi poveri, un vero
flagello.
Ma che implicazioni hanno studi di questo tipo? In che modo
possiamo stimolare il sistema immunitario dei bambini che non
vivono nelle fa orie o hanno conta i rido i con microbi non
patogenetici?
È popolare l’uso di probiotici (dal greco pró bios, «a favore della
vita»), ovvero microrganismi (sopra u o ba eri) vivi e a ivi,
contenuti in determinati alimenti o integratori in un numero
sufficiente per esercitare un effe o positivo sulla salute
dell’organismo, rafforzando in particolare l’equilibrio della flora
ba erica intestinale. I dati che suggeriscono una loro azione di
potenziamento del sistema immunitario non sono tu avia
conclusivi, al momento. I microrganismi sono armi di protezione che
non abbiamo ancora imparato a usare: questo costituisce una
frontiera di ricerca importante.
Sono in corso ricerche anche sull’utilità di pre- e postbiotici. I
prebiotici sono sostanze, come gli oligosaccaridi a base di gala osio
e fru osio, contenute in natura in alcuni alimenti, che promuovono
nell’intestino la crescita di specie ba eriche utili allo sviluppo della
microflora probiotica, e potrebbero perciò favorire un certo tipo di
ambiente microbico al nostro interno. Dati suggestivi indicano che il
loro uso può ridurre, nei bambini, il rischio di sviluppare dermatite
atopica, prima manifestazione della marcia allergica.
C’è poi un mondo – in cui è impegnata a ivamente Humanitas, in
particolare il team di Maria Rescigno – che guarda ai postbiotici,
ossia i prodo i metabolici (metaboliti) di alcuni ceppi microbici:
sostanze che agiscono in maniera indire a sui tessuti dell’organismo
ospite e su altri ba eri, contribuendo così a veicolare gli effe i
positivi dei probiotici stessi. Ma questi postbiotici possono diventare
una strategia per modificare le risposte immunitarie? Di nuovo, per
ora non ci sono dati certi. È dunque necessario approfondire le
ricerche in questo se ore certamente di frontiera.
Al momento, in mancanza di dati che indicano una strategia di
prevenzione sicura, posso dire che quando vedo tre dei miei nipoti
giocare con i loro ga i Giuseppe e Anita, mi piace pensare che
quest’abitudine – oltre a farli divertire e a insegnare il rispe o per gli
animali – dia loro una qualche protezione nei confronti della
tendenza genetica a sviluppare mala ie allergiche.

Nuove strategie terapeutiche: l’orizzonte della medicina


personalizzata
Le classi di farmaci maggiormente utilizzati nella cura delle allergie
sono antistaminici, cortisonici per uso generale o locale e
l’adrenalina, farmaco salvavita nella terapia dell’anafilassi.
La comprensione dei meccanismi immunologici fondamentali del
fuoco allergico ha aperto la strada allo sviluppo di strategie
innovative, non solo diagnostiche (per esempio i test per
l’individuazione delle allergie) ma anche terapeutiche.
Sono stati sviluppati anticorpi anti-IgE per bloccarli. Oggi
vengono utilizzati per curare mala ie allergiche che non rispondono
– o rispondono male – ai tra amenti tradizionali: l’asma allergica
severa, l’orticaria cronica, la mastocitosi sistemica, la dermatite
atopica…
Ancora, sono diventate bersagli terapeutici le citochine, ossia le
parole che i dire ori dell’orchestra immunologica utilizzano per
scatenare le allergie: sono stati sviluppati e approvati per uso clinico
in alcune patologie allergiche anticorpi che le bloccano (per esempio
dire i contro IL-5 e il due o IL-4 e IL-13 ) e sono in a o
sperimentazioni per fermare altre molecole coinvolte nella patologia
allergica.
Le strategie mirate contro questi meccanismi infiammatori si sono
di recente rivelate efficaci anche per mala ie molto diverse dalle
allergie, e solo apparentemente banali. È il caso per esempio della
rinosinusite cronica con polipi nasali, associata ad asma. Ebbene,
due studi pubblicati nel 2019 su «Lancet» 4 hanno mostrato che
bloccare il rece ore di IL-4 e IL-13 porta un beneficio ai pazienti.
In generale, davanti a noi abbiamo un orizzonte di medicina
personalizzata. Ci si è accorti, infa i, che definiamo «asma» – giusto
per fare un esempio di mala ia allergica non banale – patologie
sostenute da meccanismi diversi, anche se con manifestazioni
sostanzialmente simili. Personalizzare la terapia sulla base della
specifica mala ia del singolo paziente è dunque una delle frontiere.
È questa la visione del Centro di medicina personalizzata: Asma e
allergologia guidato da Walter Canonica all’Istituto Humanitas.
X
Fuoco al cuore

Sono trascorsi ormai più di dieci anni. Prima della seconda guerra
del Golfo e dell’invasione dell’Iraq, il presidente degli Stati Uniti
George W. Bush si so opone a un controllo periodico al National
Naval Medical Center, istituto della marina statunitense che si trova
accanto al più grande campus di ricerca biomedica del mondo, i
National Institutes of Health (NIH ) di Bethesda. Al termine, il suo
portavoce riferisce che il presidente sta bene e la sua salute
cardiovascolare non corre rischi, anche i livelli di proteina C-rea iva
nel sangue sono bassi.
L’episodio testimonia come la proteina C-rea iva – PCR , marcatore
di infiammazione che abbiamo imparato a conoscere nel III capitolo
– negli Stati Uniti si sia diffusa, e sia ormai riconosciuta, quale
indicatore di salute cardiovascolare.
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: quale relazione
esiste fra l’infiammazione e le mala ie cardiovascolari?
Le patologie cardiovascolari, che costituiscono la prima causa di
morte nel mondo occidentale, sono molte e diverse fra loro. Vanno
da quella che ci è più familiare, l’infarto del miocardio, all’angina,
dallo scompenso cardiaco all’ictus (di cui però parleremo nel
capitolo sul cervello), agli aneurismi dell’aorta in periferia, e così via.
A tu e, so ostà lo stesso meccanismo fondamentale che le
accomuna, l’aterosclerosi: a livello delle arterie, in particolare di
alcune di esse, si forma un accumulo di cellule e grassi (lipidi) tra i
quali il colesterolo, che dà luogo a vere e proprie placche (de e
«ateromi») all’interno delle pareti dei vasi.
Pur essendo le mala ie vascolari tipiche dei paesi ricchi,
l’aterosclerosi che le causa è una degenerazione della parete
vascolare osservata già nelle mummie egizie. 1 Inoltre, benché le
conseguenze dell’aterosclerosi si manifestino di regola nell’età
adulta, le fasi iniziali della lunga storia naturale di questa patologia
si sono osservate già nei bambini.
È una conoscenza comune e assodata che un grasso, il colesterolo,
sia un fa ore di rischio importante per tu e le patologie causate
dall’aterosclerosi. Perciò nei paesi ricchi è estremamente diffusa la
misurazione dei livelli di colesterolo nel sangue e, in particolare, dei
valori di quello «buono» (HDL ) e «ca ivo» (LDL ).
Il ruolo dei grassi nella patologia cardiovascolare è noto da molto
tempo grazie a grandi studi clinici che hanno coinvolto migliaia di
persone, generando anche, purtroppo, ossessioni ed esami del
sangue a volte ingiustificati. Tu avia, in questo se ore negli anni
O anta abbiamo assistito a un grande cambiamento di paradigma:
pioniere ne è stato Russell Ross a Sea le, che nel 1976, con un lavoro
pubblicato sul «New England Journal of Medicine» ha aperto la
discussione sulla natura dell’aterosclerosi proponendo la teoria della
«risposta alla lesione»: secondo tale ipotesi, so esa al processo di
aterosclerosi c’è una risposta a un danno all’endotelio e alle cellule
della parete dei vasi. Un danno indo o dall’accumulo di lipidi, che
innesca una cascata di rimodellamento della parete vascolare.
Dunque, agli a ori per così dire «tradizionali» del processo
aterosclerotico e delle sue complicanze – ovvero le cellule delle
pareti vascolari (l’endotelio che riveste i vasi e le cellule muscolari
lisce) e le piastrine che aggregandosi facilitano coagulazione e
trombosi nella sede della lesione – se ne affiancano di nuovi:
macrofagi e linfociti T.
Si scopre infa i che il primo evento riconoscibile nella storia
naturale dell’aterosclerosi è l’arresto dei monociti circolanti, che nei
tessuti diventano macrofagi, il loro rotolamento sulle pareti vascolari
e la successiva entrata nella parete dei vasi delle arterie, come
abbiamo visto nei primi capitoli. I macrofagi si dimostrano dunque
cellule fondamentali nella storia naturale dell’aterosclerosi, così
come in generale in tu i i processi infiammatori cronici.
Un collega svedese al Karolinska Institutet, Göran Hansson,
scopre che anche i linfociti T sono presenti in questa mala ia e
giocano un ruolo. Insomma, in una lesione aterosclerotica ritroviamo
tu i gli a ori principali di una risposta infiammatoria cronica, che
qui assume le cara eristiche peculiari dell’ateroma: una placca
formata da grassi, proteine e tessuto fibroso che si forma nella parete
delle arterie.
Le cellule infiammatorie nella lesione ateromatosa ne orchestrano
lo sviluppo e l’eventuale ro ura. I macrofagi, spazzini di professione
dotati di rece ori de i scavenger, vere e proprie scope molecolari,
trovandosi a fronteggiare l’eccesso di lipidi presenti nel sangue
circolante ingrassano, inglobando al loro interno troppi grassi che
non riescono a gestire. E il sistema immunitario, davanti a un
problema che è incapace di risolvere, come di consueto risponde
costruendo un muro fibroso, per isolare e contenere il danno: la
placca ateromatosa aumenta dunque di volume e tende a ostruire il
vaso. Non solo. Gli enzimi digestivi di cui sono ricche le cellule
infiammatorie contribuiscono alla ro ura della placca, con
conseguente trombosi e chiusura del vaso, che porta all’infarto.
A partire dagli anni O anta del secolo scorso diversi ricercatori
iniziano a definire le basi molecolari dei meccanismi infiammatori
fondamentali nella storia naturale dell’aterosclerosi e delle sue
complicanze. Per esempio, a Boston il gruppo di Michael Gimbrone,
Peter Libby e altri, e in parallelo Elisabe a Dejana al Mario Negri di
Milano, con cui ho collaborato per molti anni, scoprono che IL-1 e
altre citochine infiammatorie – che abbiamo visto essere prodo e
principalmente da macrofagi – rimodellano profondamente le cellule
della parete vascolare, per esempio producendo molecole adesive e
chemochine, che costituiscono il codice di avviamento postale dei
monociti circolanti.
Cellule e mediatori infiammatori vengono dunque riconosciuti
come componenti fondamentali della storia naturale
dell’aterosclerosi e delle sue manifestazioni cliniche. Ma quali sono i
sensori (rece ori) che conne ono eccesso e qualità dei grassi, oppure
anche il danno vascolare causato per esempio dal fumo, con la
cascata dei mediatori infiammatori? Evidenze di tipo sperimentale e
correlazioni genetiche hanno indicato che rece ori appartenenti a
diverse classi – fra cui TLR e scavenger, che «vedono» lipidi ossidati –
giocano un ruolo. Più recentemente, si è scoperto che il colesterolo in
eccesso depositato nella parete vascolare forma cristalli, che vengono
«visti» – come abbiamo de o – da appositi sensori (inflammosomi)
che avviano la produzione di interleuchina-1.
A questo cambiamento di visione della natura e dei meccanismi
dell’aterosclerosi e delle sue complicanze cliniche hanno fa o eco i
risultati di piccoli e grandi studi clinici che ne hanno confermato la
validità. Per esempio si è osservato che l’effe o di riduzione dei
livelli di colesterolo indo o dalle statine, farmaci largamente
utilizzati, di per sé non è sufficiente a spiegare la protezione contro
gli eventi cardiovascolari. E alcuni laboratori, fra cui il mio, hanno
rilevato che tali farmaci riducono la produzione di chemochine e
citochine infiammatorie.
A chiarire il rapporto tra l’infiammazione e le sue complicanze ha
dato un contributo importante un avanzamento tecnologico in sé
piccolo, ma di grande impa o. Paul Ridker, a Boston, me e a punto
un test a elevata sensibilità per valutare la presenza di proteina C-
rea iva, monitorando i suoi livelli nel sangue. Grandi studi clinici
cooperativi, come JUPITER , 2 condo o su oltre 17.000 pazienti, hanno
dimostrato che l’utilizzo di proteina C-rea iva come spia o
biomarcatore perme e di identificare uno stato infiammatorio
subclinico – che si manifesta appunto con livelli elevati di PCR nel
sangue –, che rappresenta un importante fa ore di rischio per le
complicanze dell’aterosclerosi, in particolare per l’infarto del
miocardio. Per questo negli Stati Uniti la proteina C-rea iva si è
diffusa come marcatore da tenere so o controllo per il rischio
cardiovascolare, esa amente come il colesterolo.
PCR è un marcatore di infiammazione ma non gioca un ruolo nella
storia naturale della patologia aterosclerotica. Al contrario un suo
lontano parente, PTX3 , 3 è molto più di uno spe atore innocente: oltre
a essere un biomarcatore di rischio e di danno cardiaco, contribuisce
alla patogenesi della mala ia aterosclerotica. 4
La scoperta del legame tra infiammazione e aterosclerosi ha posto
le basi per una grande sperimentazione terapeutica, di nuovo grazie
a Peter Libby e Paul Ridker.
Le evidenze di laboratorio che abbiamo menzionato sopra
suggerivano che uno dei mediatori dell’infiammazione,
interleuchina-1, giocasse un ruolo fondamentale nell’accendere e nel
tener vivo il processo infiammatorio legato all’aterosclerosi. Così, su
questa base è stato disegnato e condo o il grande studio clinico
cooperativo internazionale denominato CANTOS 5 in oltre 10.000
pazienti a rischio di complicanze da aterosclerosi, con proteina C-
rea iva elevata. CANTOS ha dimostrato che bloccando interleuchina-1
si riducono in modo notevole le complicanze dell’aterosclerosi. Non
si tra a ancora di una terapia approvata, per motivi di bilancio
rischi-benefici, ma i pazienti tra ati con anti-interleuchina-1
risultano prote i non solo dalle complicanze dell’aterosclerosi, ma
anche da altre mala ie che nulla hanno a che vedere con il se ore
cardiovascolare: patologie classicamente infiammatorie come le
artriti, e anche il cancro del polmone. Lo studio evidenzia, in qua ro
anni, nei pazienti tra ati con anti-IL-1 beta, una riduzione di oltre il
60 per cento dell’incidenza del cancro del polmone e del 70 per cento
della mortalità da questo tipo di tumore. Sul significato di questo
dato torneremo nel capitolo sul cancro.
È interessante notare come, invece, studi clinici condo i su
pazienti con artrite reumatoide 6 e in cui viene bloccata un’altra
citochina infiammatoria, TNF , abbiano dimostrato protezione nei
confronti di aterosclerosi. Tu avia, l’insufficienza cardiaca è una
controindicazione all’uso di anti-TNF in artrite reumatoide. Ancora
una volta, dunque, impariamo dai pazienti. E vediamo che il fuoco
infiammatorio è so eso a mala ie molto diverse.
La storia del rapporto tra mala ie del sistema cardiovascolare e
infiammazione è ancora in divenire: molti dati, per esempio,
indicano una componente infiammatoria anche nello scompenso
cardiaco, patologia oggi in aumento in parte come conseguenza della
miglior curabilità dell’infarto, e dunque della minor mortalità 7
legata a esso. Lo scompenso cardiaco può avere anche base
genetica, 8 ma i meccanismi infiammatori sono una delle torce che lo
mantengono vivo. Le evidenze suggeriscono che in particolare
citochine come TNF e IL-1 giochino un ruolo importante nella
progressione di questa mala ia: tu avia, le sperimentazioni cliniche
basate su farmaci anti-TNF hanno fallito. Probabilmente perché –
esa amente come per la sepsi – il loro utilizzo è troppo tardivo:
quando l’incendio è già esteso, spegnere il fiammifero che lo ha
originato serve a poco.
La storia, però, continua. Da una parte infa i sono ogge o di
studio strategie differenti mirate a bloccare le citochine che
sostengono l’infiammazione, dall’altra si fa strada una visione nuova
delle cellule dell’immunità all’interno del cuore. Abbiamo sempre
considerato e analizzato il cuore come un muscolo che si contrae in
modo ritmico. In realtà, abbiamo scoperto che al suo interno, nel
tessuto cardiaco, sono presenti cellule del sistema immunitario:
linfociti T e monociti-macrofagi. Oggi diversi laboratori, negli Stati
Uniti ma anche in Italia, si stanno concentrando su questo aspe o. 9
Ci a endiamo quindi che dall’analisi della diversità e complessità
delle cellule del sistema immunitario all’interno del cuore derivino
nuove strategie terapeutiche per la cura delle mala ie
cardiovascolari.
Per dirla all’inglese, «Jury is still out», la giuria è fuori, ossia la
sentenza deve ancora essere emessa. La storia del legame tra
infiammazione e mala ie del cuore continua…
XI
Fuoco al cervello

Il sistema nervoso centrale è l’organo più complesso del nostro


organismo e, più in generale, di tu o il mondo vivente. Il cervello è
l’essenza del nostro essere uomini, e rappresenta un enorme
investimento dal punto di vista biologico: basti pensare, per
esempio, che assorbe circa il 20 per cento dell’energia (20 wa ) che
consumiamo a riposo.
Pesa in media 1 chilogrammo e mezzo, ed è un sistema
estremamente complicato, costituito da circa 2 milioni di chilometri
di «fili» di connessione. Le sue cellule (9 × 10 10) sono in perenne
conta o le une con le altre: è come se si baciassero in continuazione,
e i loro baci si chiamano «sinapsi». Se ne contano all’incirca 10 14. 1
Il sistema immunitario non è da meno come peso (oltre 1
chilogrammo), numero di cellule (2 × 12 12 contando solo i linfociti),
quantità di connessioni (non calcolabili perché transitorie, chiamate
«sinapsi immunologiche» per analogia con il sistema nervoso) e
investimento dal punto di vista biologico.
Parafrasando Galileo Galilei, sistema nervoso centrale e sistema
immunitario costituiscono i due nostri «massimi sistemi»: fra loro c’è
un dialogo continuo, che sappiamo essere fondamentale in
situazioni sia di salute sia di mala ia, anche se ne conosciamo ancora
in modo molto imperfe o gli elementi.

Una comunicazione a tre vie


I nostri due massimi sistemi comunicano fra loro almeno in tre modi
differenti.
Innanzitu o, all’interno del nostro sistema nervoso centrale sono
presenti cellule del sistema immunitario e mediatori
dell’infiammazione, che qui giocano un ruolo fondamentale in
condizioni «normali». Le cellule cosidde e «microgliali» sono un
costituente essenziale del tessuto nervoso: in realtà, sono macrofagi
che si localizzano nel cervello durante la vita embrionale, e qui
contribuiscono alla formazione e funzione del tessuto nervoso in
condizioni normali e patologiche.
Ancora a titolo di esempio, nel sistema nervoso centrale sono
presenti alcuni componenti della cascata del «complemento» – di cui
abbiamo parlato nei capitoli precedenti – fondamentali per il
cosidde o pruning: quando si formano le connessioni del sistema
nervoso centrale, avviene una sorta di «potatura». Senza il
complemento, questa non si verifica. E fra le citochine è presente
interleuchina-1, importante per la maturazione di «spine»
indispensabili per la memoria.
In entrambi questi casi, un mediatore che associamo a una
situazione infiammatoria ha un ruolo fisiologico fondamentale per la
maturazione e la corre a funzione del sistema nervoso centrale.
In secondo luogo, esiste un legame tra l’infiammazione, anche se
localizzata «in periferia», e il nostro cervello. Pensiamo, per esempio,
a quando abbiamo l’influenza, magari con disturbi respiratori, o
un’infezione intestinale. Febbre, disturbi dell’appetito, ritmo del
sonno diverso dal solito (sonnolenza continua e sonno poco
profondo): sono tu e manifestazioni orchestrate dal nostro sistema
nervoso centrale in una situazione di infiammazione lontana. In che
modo? Che cosa accade esa amente?
Come abbiamo visto nel IV capitolo, dal tessuto infiammato –
l’albero respiratorio, l’intestino – in cui si è sviluppato un incendio
fuori controllo partono segnali che arrivano nell’ipotalamo. Si tra a
di citochine infiammatorie come IL-1 e IL-6 o, nel caso di un’infezione
virale, come gli interferoni.
Non abbiamo ancora avuto modo di incontrarli fin qui: gli
interferoni 2 sono una grande famiglia di proteine prodo e da tu e le
cellule del nostro sistema immunitario, in particolare dai globuli
bianchi (e, fra loro, perlopiù dalle cellule dendritiche plasmacitoidi).
Fanno parte della grande famiglia delle citochine, sono quindi
segnali di comunicazione che consentono alle nostre difese di
funzionare e ne regolano la risposta. Possono avere effe i diversi:
antivirale, antitumorale e di stimolazione del sistema immunitario,
a ivando i macrofagi e i linfociti Natural Killer (NK , che ritroveremo
nel prossimo capitolo).
Queste proteine naturali sono assai numerose e possono essere
catalogate in tre classi: tipo I (alfa e beta), tipo II (gamma) e tipo III
(lambda e omega), scoperto più di recente. Gli alfa e beta, prodo i
dalle cellule stimolate da un virus, conferiscono la capacità di
resistere all’invasore. L’interferone gamma, prodo o invece
sopra u o da linfociti T e cellule Natural Killer, segnala al sistema
immunitario l’esigenza di reagire ad agenti infe ivi o alla crescita di
un tumore. Alcuni interferoni sono specializzati nella difesa di
specifici distre i anatomici, come l’utero nella donna.
Molti globuli bianchi sono al tempo stesso produ ori e bersaglio
degli interferoni, in un circuito di amplificazione della risposta
immunitaria.
L’individuazione dei geni responsabili della produzione degli
interferoni e la loro successiva riproduzione in vitro (clonaggio)
hanno rappresentato un passaggio epocale nella storia della
medicina, perché hanno consentito di disporne in grandi quantità
così da poter effe uare sperimentazioni cliniche ampie e rigorose.
Oggi vengono utilizzati per comba ere alcune infezioni virali,
come le epatiti B e C, per curare alcuni tipi di tumori come il
melanoma e per stimolare il sistema immunitario in alcune
situazioni di immunodeficienza congenita. Ma la loro storia
prosegue: la scoperta più recente degli interferoni lambda e omega
(tipo III), che stanno vivendo una delicata fase di passaggio
all’applicazione clinica e di verifica della loro efficacia terapeutica,
apre ulteriori orizzonti e speranze.
In parallelo, se ne continuano a studiare i meccanismi molecolari
di funzionamento e il ruolo nelle diverse mala ie. Sappiamo che le
varie classi di interferoni hanno un’a ività infiammatoria
decrescente, così da garantire un giusto bilancio tra infiammazione,
immunità e danno. Ma ci si è anche accorti che gli interferoni non
svolgono solo una funzione prote iva, possono essere causa di
patologie: per esempio, gli alfa sostengono l’autoimmunità. Si
aprono perciò nuove sfide, prima fra tu e la messa a punto di
strategie terapeutiche in grado di bloccarli.
Dunque interferoni e citochine prodo i in risposta a
un’infiammazione locale arrivano nell’ipotalamo. Da quest’area del
sistema nervoso centrale, in comunicazione con il sangue circolante,
parte un segnale che regola un «termostato» che funziona un po’
come quelli che tu i noi abbiamo in casa. Normalmente fisso sui 37
gradi circa, in questi casi la sua temperatura viene cambiata dal
nostro cervello. Perciò ci viene la febbre, un meccanismo di
infiammazione sistemica che – come abbiamo visto nel IV capitolo –
aiuta le nostre difese immunitarie. Anche il cambiamento del ritmo
del sonno e la mancanza di appetito solitamente conseguenti alla
febbre sono orchestrati in quest’o ica. Perché, in una situazione di
vita «naturale» e primitiva, la mancanza di appetito non spingeva
l’uomo – poco in forze e dunque poco in grado di ba ersi contro
belve feroci – a cacciare, e la sonnolenza lo costringeva a rimanere al
sicuro in un momento in cui non era fisicamente forte.
Esiste poi una terza via di comunicazione fra i nostri due massimi
sistemi. Dal sistema nervoso centrale, infa i, durante una risposta
infiammatoria partono meccanismi diversi di regolazione
dell’infiammazione di nuovo indo i dalle citochine.
Per esempio, viene a ivata l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene: dal
sistema nervoso centrale arriva al surrene un segnale che lo spinge a
produrre ormoni della famiglia del cortisone, in grado di a ivare
particolari difese immunitarie sul breve periodo e di sopprimere
un’infiammazione eccessiva a medio-lungo termine. Un po’ come se
facessimo un’iniezione di cortisone.
Più recentemente, si sono individuati altri meccanismi di
interazione fra sistema nervoso centrale e periferico e sistema
immunitario, un mondo che continua a riservare sorprese con nuove
scoperte. Per esempio, che il nervo vago stimola alcuni rece ori di
un neurotrasme itore, l’acetilcolina, con un’a ività
antinfiammatoria: un collega negli USA sta cercando di sviluppare
farmaci che mimino questa modalità di frenare l’infiammazione.
Ancora, chi ha un familiare affe o da asma sa bene che, in
situazioni di stress, questa mala ia si inasprisce. Il collega di origine
indiana Vijay Kuchroo, che lavora a Harvard, ha scoperto il perché:
alcune fibre particolari del sistema nervoso arrivano proprio a
toccare fisicamente alcune cellule specializzate dell’immunità innata,
de e innate lymphoid cells, che si trovano nella mucosa bronchiale,
stimolandole a produrre mediatori che inducono una risposta di
broncocostrizione e asma. Inoltre, fibre nervose presenti nei tessuti
mandano un segnale anticipatorio ai nostri soldati immunologici che
si trovano nei pressi, me endoli in stato di allerta.
Si tra a insomma di un mondo che ha ancora in serbo scoperte
sorprendenti, di cui parleremo anche alla fine di questo capitolo.

Le mala ie autoimmuni che colpiscono il cervello: non solo sclerosi


multipla
Il modo in cui dialogano infiammazione, sistema immunitario e
sistema nervoso centrale si rifle e certamente sulle mala ie che
colpiscono quest’ultimo. Fra esse, patologie autoimmuni,
infiammatorie e degenerative. Un esempio è la sclerosi multipla: una
mala ia autoimmune in cui i linfociti T autoaggrediscono alcune
componenti del sistema nervoso centrale. Storicamente è stata la
prima patologia autoimmune in cui si è dimostrato, in modelli
preclinici, che erano proprio i linfociti T ad a ivare e orchestrare una
risposta dire a contro il sistema nervoso centrale.
La sclerosi multipla è una mala ia infiammatoria demielinante. In
parole più semplici significa che, in seguito a una risposta
infiammatoria, le fibre nervose perdono la guaina di mielina che le
ricopre. La sclerosi multipla è una mala ia di genere, con un
rapporto femmine-maschi di 3 a 1, che si presenta in forme anche
molto diverse e con andamenti spesso ondulanti (relapsing-remi ing,
recidivante-remi ente). Nel mondo occidentale industrializzato, la
sclerosi multipla rappresenta la prima causa di disabilità neurologica
in persone giovani.
Non sappiamo che cosa causi questa mala ia. Di certo, sappiamo
tu avia che le fake news che la me ono in correlazione con le
vaccinazioni sono assolutamente delle bufale!
Grandi progressi sono stati fa i nel definire i fa ori di rischio
genetico che aumentano le probabilità di svilupparla. Da molto
tempo è noto che alcuni geni del complesso maggiore di
istocompatibilità – incontrato nei capitoli precedenti – che codificano
il nostro codice di riconoscimento immunologico sono associati a
sclerosi multipla, così come anche ad altre mala ie autoimmuni. Un
grande sforzo collaborativo internazionale 3 ha ora consentito di
avere un quadro più completo dei geni associati a sclerosi multipla.
Lo scenario è complesso e interessa geni coinvolti nella funzione non
solo delle cellule T ma anche di un po’ tu i i membri dell’orchestra
immunologica, inclusa la microglia. Come a dire, insomma, che in
questa mala ia quasi tu i gli orchestrali stonano.
Non solo. È anche coinvolto il cromosoma X, quello del sesso
femminile, il che offre probabilmente una base genetica all’incidenza
maggiore nelle donne.
La ricerca immunologica ha aperto la strada all’uso di nuove armi
nella lo a contro la sclerosi multipla. 4 Il primo intervento
terapeutico è stato messo a punto in Israele partendo dalle ricerche
di base effe uate negli anni Sessanta e Se anta da Michael Sela, che
è stato anche dire ore dell’Istituto Weizmann. Insieme a Ruth
Arnon, era interessato allo studio di antigeni sintetici per
comprendere le basi molecolari della risposta immunitaria. Ricordo
bene quando, da giovane studente di medicina che preparava
l’esame di immunologia, su segnalazione del mio docente ho
assistito a una conferenza di Sela alla Fondazione Carlo Erba a
Milano. Ne sono rimasto profondamente colpito: è stato, questo, il
primo seme del mio innamoramento di una vita per l’immunologia.
Sulla base degli studi di Sela e Arnon sugli antigeni sintetici viene
sviluppato un composto, glatiramer acetato, che offre un primo
beneficio ai pazienti. In verità, a tu ’oggi non capiamo bene il
meccanismo di azione di questo vecchio composto, ma si tra a di un
primo intervento di regolazione del sistema immunitario.
Un altro approccio terapeutico parte invece dalle citochine: uno
dei farmaci in uso clinico dimostratisi efficaci nei confronti della
sclerosi multipla è l’interferone di tipo beta, che ha un’a ività di
modulazione del sistema immunitario.
Con l’avvento degli anticorpi monoclonali sono stati sviluppati
anticorpi che eliminano i linfociti B (anti-CD20 ) o parte di essi e dei
linfociti T (anti-CD52 ), o ancora che ne inibiscono la proliferazione
(anti-CD25 ).
L’identificazione delle molecole che guidano il traffico dei globuli
bianchi (i codici di avviamento postale) ha poi portato allo sviluppo
di nuove strategie terapeutiche. Anti-integrina alfa-4-beta-1 blocca
l’entrata di linfociti e monociti nei tessuti infiammati. In questo caso,
il beneficio va bilanciato con il rischio di infezione da un virus (JC )
che può colpire il sistema nervoso centrale in seguito al mancato
pa ugliamento da parte dei nostri polizio i immunologici. Un altro
farmaco rivelatosi efficace (FTY 720 , Fingolimod) impedisce l’uscita
dei linfociti dal linfonodo. I linfociti che sono responsabili
dell’autoimmunità restano così intrappolati nelle centrali operative
immunologiche, e non possono raggiungere il bersaglio nervoso.
Certo, è onesto dirlo, non possiamo essere soddisfa i di queste
armi: per quanto siano indubbiamente migliorati il controllo e il
monitoraggio della mala ia, così come la diagnosi e il supporto ai
malati – importante quanto la cura! –, i pazienti non guariscono. In
realtà, questo vale per tu e le mala ie autoimmuni, ma la
drammaticità della sclerosi multipla acuisce la mancanza di una cura
risolutiva.
Non possiamo, a questo punto, non chiederci se, a oggi, è definito
il quadro delle mala ie autoimmuni che colpiscono specificatamente
il sistema nervoso. In altre parole, le abbiamo scoperte tu e?
La storia recente della narcolessia – raccontata nel capitolo
dedicato alle mala ie autoimmuni –, riconosciuta solo da poco come
patologia mediata dai linfociti T, dimostra che non è affa o così.
Rimane dunque il forte sospe o che ci sia ancora molto da scoprire
sull’esistenza di reazioni dell’immunità ada ativa (dei linfociti T e B)
che causano mala ie nel sistema nervoso centrale.

Demenze e mala ie degenerative


Ci sono poi mala ie del sistema nervoso centrale in cui la
componente infiammatoria non rappresenta la causa della patologia,
ma gioca un ruolo fondamentale. Fra queste, le più importanti sono
le demenze – in particolare il morbo di Alzheimer – e altre mala ie
neurodegenerative, fra cui un complesso di patologie che
conosciamo ancora poco, de e «del motoneurone» perché
colpiscono specificatamente questo tipo di cellule nervose deputate
al controllo dei muscoli volontari: fra le più note la SLA , sclerosi
laterale amiotrofica, e l’atrofia muscolare progressiva. Nelle mala ie
del motoneurone, una risposta infiammatoria fuori controllo a livello
del sistema nervoso centrale non è la chiave che avvia il motore della
mala ia, ma è benzina che lo tiene acceso.
Quando, osservando Auguste Deter, una cinquantenne affe a da
demenza, il do or Alois Alzheimer descrive per la prima volta il
morbo che perciò da lui prende il nome, questa mala ia era un caso
raro. Oggi, invece, i numeri sono cresciuti moltissimo: con
l’invecchiamento della popolazione la demenza costituisce un grave
problema sociale. In Canada, secondo i dati ne sono affe e il 10-15
per cento delle persone di età compresa fra gli 80 e gli 84 anni. Una
percentuale che sale al 25-30 per cento fra gli 84 e i 90 anni, e al 50
per cento oltre i 90 anni. Le proiezioni stimano che, nel 2050, in USA
ci saranno 16 milioni di persone affe e da mala ie
neurodegenerative (incluso il Parkinson), con un costo correlato di
1000 miliardi di dollari all’anno. In Italia, il 5 per cento della
popolazione oltre i 60 anni, circa 500.000 persone, soffre di
Alzheimer. 5
Le cause del morbo di Alzheimer sono complesse: genetiche,
epigenetiche e ambientali. In rarissimi casi di demenza che compare
in età giovanile, questa condizione è causata da mutazioni di tre
geni, APP (Amyloid Precursor Protein), preselinin-1 e preselinin-2. La
mala ia è cara erizzata dalla formazione di aggregati della proteina
beta-amiloide (per la precisione, aggregati di peptide processati di
beta-amiloide) e dalla presenza di placche nel sistema nervoso
centrale. Il tu o sembra essere legato a un malfunzionamento di
un’altra proteina, chiamata «tau»: per questo a volte si parla di
«taupatie» per definire patologie diverse che la coinvolgono.
La proteina tau presente nei neuroni forma dei filamenti
(neurofibrille) che facilitano l’espulsione di proteine potenzialmente
tossiche, instradandole verso l’esterno. Se non funziona
corre amente, si formano come dei «grovigli», in inglese tangles, di
neurofibrille: così si accumulano diverse proteine, fra cui la beta-
amiloide. Gli aggregati di beta-amiloide a ivano i macrofagi
residenti nel sistema nervoso centrale (microglia), che a loro volta
causano e sostengono il danno al sistema nervoso centrale. Il sensore
che, nelle cellule microgliali, a iva l’infiammazione che amplifica il
danno è una forma di inflammosoma.
Nonostante gli sforzi, non abbiamo una terapia mirata per le
demenze. L’unica salvaguardia è lo stile di vita: controllo del peso e
alimentazione equilibrata, esercizio fisico, astensione dal fumo e vita
socialmente e intelle ualmente a iva sono generalmente associati a
una riduzione del rischio di sviluppare queste mala ie.

L’ictus
Fino a ora abbiamo visto mala ie tipiche e specifiche del sistema
nervoso centrale. A carico del cervello, però, ci sono anche patologie
sistemiche in cui il fuoco infiammatorio ha un ruolo preponderante.
Fra queste in particolare lo stroke (l’ictus), patologia vascolare di
straordinario impa o sulla salute. Il danno iniziale al cervello legato
a questa mala ia – l’anossia, ovvero il mancato o rido o apporto di
ossigeno a cellule e tessuti, di cui risentono particolarmente le cellule
del sistema nervoso centrale – può essere causato da una trombosi,
ossia un vaso sanguigno che si chiude, o al contrario da
un’emorragia conseguente alla ro ura di un vaso. A monte di questi
due eventi può esserci un dife o congenito del vaso (aneurisma)
oppure l’aterosclerosi, di cui abbiamo parlato nel X capitolo.
Al di là del danno iniziale al sistema nervoso centrale causato
dall’ictus, la sua successiva estensione è legata alla risposta
infiammatoria che si innesca in seguito al danneggiamento dei
tessuti. In altre parole, i meccanismi infiammatori rappresentano la
benzina che alimenta il danno al cervello.
Al momento, questa visione non si è ancora trado a in un
approccio farmacologico universalmente acce ato ed entrato nella
pratica clinica, ma si tra a di un fronte aperto. Studi clinici condo i
da Nancy Rothwell, nota in Inghilterra non solo per la sua a ività
scientifica ma anche per le sue doti divulgative, hanno o enuto
risultati prome enti bloccando una citochina centrale
dell’infiammazione (IL-1 ) con il suo antagonista rece oriale.

Ansia e depressione
Un’ultima categoria di mala ie a carico del sistema nervoso centrale
sono quelle che causano ansia e depressione. Non organiche,
costituiscono una vera e propria emergenza sul piano di salute
globale, riconosciuta come tale dall’Organizzazione mondiale della
Sanità. Si tra a di mala ie circondate da uno stigma sociale, per
questo i dati sono certamente so ostimati: quello che vediamo,
dunque, è solo la punta dell’iceberg.
Un’analisi dell’Organizzazione mondiale della Sanità su
«depressione e altri disturbi mentali» pubblicata nel 2017 6 ha
rivelato che circa 300 milioni di persone nel mondo sono affe e da
depressione, con un aumento di oltre il 18 per cento verificatosi tra il
2005 e il 2015.
La depressione è considerata dall’OMS la maggior causa di
disabilità su scala globale. 7 Secondo le stime, solo in Italia ne
soffrono 2,8 milioni di persone sopra i 15 anni. Se aggiungiamo
anche l’ansia, arriviamo a 3,7 milioni di persone. 8
L’OMS ha inoltre identificato forti legami tra depressione e altre
mala ie non trasmissibili, incluso l’aumento del rischio di disturbi
nell’uso di sostanze come la marijuana, nonché di mala ie quali il
diabete e le patologie cardiache.
Sorprendentemente, oggi abbiamo motivi per pensare che anche
questo genere di mala ie abbia una componente di tipo
immunologico e infiammatorio. Un’osservazione ripetuta, dunque
solida, è che a patologie come la depressione si associa uno stato
pro-infiammatorio: in altre parole, aumentano i marcatori
infiammatori in circolo. 9 Non sappiamo se questi siano la
manifestazione di un problema o se, invece, contribuiscano alla sua
insorgenza. Certamente, però, quest’osservazione costituisce una
spia di a enzione, e ci ricorda il costante e continuo dialogo tra i
nostri due «massimi sistemi».
Nell’esperienza di tu i, lo stress induce ansia. Recentissimi dati
preclinici suggeriscono che la connessione fra stress e ansia sia
stabilita da mediatori immunologici. Dati clinici ancora più ne i, che
illustrano questo conce o di cara ere generale, derivano da uno
studio pubblicato circa due anni fa sulla prestigiosa rivista «PNAS -
Proceedings of the National Academy of Sciences», confermato
successivamente da numerose ricerche. 10 Lo studio ha dimostrato
l’importanza di una vita sociale a iva nella popolazione anziana: a
parità dell’apparente stato di salute, analizzando con le migliori
tecnologie a disposizione il sistema immunitario degli anziani, il
confronto tra coetanei – da una parte persone con un’intensa vita di
relazione, dall’altra chi vive in completo isolamento – mostra senza
ombra di dubbio che l’isolamento comporta un aumento ne o dei
marcatori infiammatori in circolo. Un «fuoco interiore» decisamente
più intenso, dunque. Al contrario, la socialità aiuta il corre o
funzionamento del sistema immunitario.
Questo – al di là dell’auspicabilità di una vita di relazione per tu i
gli anziani – ci ricorda come tanti aspe i della nostra vita, anche
quelli di ambito non stre amente medico, testimonino il dialogo tra
cervello e immunità, dai quali dipende il nostro stato di benessere.
XII
Le relazioni pericolose tra infiammazione e cancro

Il cancro del polmone è il killer numero uno tra tu i i tipi di tumori:


in Italia è la prima causa di morte oncologica tra gli uomini e la terza
nelle donne. 1 Senza il fumo di sigare a, tu avia, sarebbe una
mala ia rara.
È il nostro stesso comportamento, dunque, a rendere questa
mala ia un big killer: almeno l’80 per cento dei cancri del polmone,
infa i, è causato dal fumo di sigare a. Una percentuale che sale oltre
il 90 per cento se consideriamo anche il fumo passivo. Così, mentre i
casi di morte per questo cancro sono in diminuzione nel sesso
maschile per via della riduzione del fumo, nel sesso femminile la
tendenza è opposta, perché oggi le donne fumano di più rispe o a
un tempo.
In un simile scenario, lo studio CANTOS – del quale abbiamo
parlato nel X capitolo – pubblicato di recente su «Lancet» e condo o
su un campione di oltre 10.000 pazienti, ha dimostrato che bloccando
un mediatore centrale dell’infiammazione (interleuchina-1), in un
arco di tempo di circa qua ro anni, si osserva una riduzione di oltre
il 60 per cento dell’incidenza di cancro del polmone e una
diminuzione della mortalità per questa patologia del 75 per cento.
Il risultato è straordinario e, seppur da confermare ed estendere,
fa prevedere implicazioni molto vaste. Ed è particolarmente
significativo per me, che negli anni Se anta-O anta, nuotando
controcorrente, ho proposto per primo l’idea che alcune cellule
infiammatorie (i macrofagi) presenti nei tumori promuovessero il
cancro anziché proteggerci dalla mala ia. All’epoca, con il mio
gruppo, ci eravamo chiesti se anche interleuchina-1, prodo a dai
macrofagi, favorisse il tumore: con Raffaella Giavazzi ed Elisabe a
Dejana avevamo dimostrato che IL-1 promuoveva il cancro al
polmone. Oggi questo risultato, dopo vento o anni, ha
un’applicazione clinica.
Lo studio CANTOS , dunque, ricorda in modo importante la
connessione che esiste tra infiammazione e cancro.
Il primo a intuire questo legame, ipotizzando la presenza di
cellule infiammatorie all’interno dei tumori, è uno dei padri
fondatori della medicina moderna, Rudolf Virchow. La sua
intuizione pionieristica è rimasta sostanzialmente dimenticata per
circa un secolo prima di essere riaffermata, in particolare dal mio
gruppo, 2 con la scoperta che i macrofagi nel cancro si comportano
come polizio i corro i: non solo non difendono il nostro organismo
come dovrebbero, colpendo e distruggendo il tumore, ma
addiri ura aiutano quest’ultimo a crescere e diffondersi
indisturbato.
Sono diversi i modi in cui i macrofagi favoriscono il cancro.
Innanzitu o agevolano la formazione di vasi sanguigni che
costituiscono le sue vie di rifornimento, portando il nutrimento.
Ancora, aumentano la crescita delle cellule malate e disorientano i
linfociti T, inibendo la loro funzione di difesa. Infine, favoriscono la
formazione delle metastasi, sia promuovendo l’uscita delle cellule
tumorali dalla sede originaria sia preparando nicchie infiammatorie
ada e e pronte ad accoglierle negli organi e nei tessuti lontani.

Il sistema immunitario contro il cancro: il paradigma delle tre E


Al di là dei macrofagi che si comportano come polizio i corro i, il
nostro sistema immunitario che ci difende continuamente dalle
aggressioni di agenti esterni come virus e ba eri è in grado di
proteggerci anche dal cancro? Ossia da cellule dannose che
appartengono al nostro stesso organismo?
La risposta è «sì». Il sistema immunitario sorveglia di continuo il
nostro organismo, identificando ed eliminando le cellule tumorali
che via via si formano. Se così non fosse, nel corso della nostra vita
svilupperemmo molti più tumori.
Oggi lo sappiamo con certezza, ma non è sempre stato così. Per
giungere a questa conclusione ci sono voluti lunghi anni di studi e
ricerche, in laboratorio e al le o del paziente.
La teoria di una sorveglianza immunologica contro il cancro (o
meglio la rinascita dell’idea inizialmente formulata tra gli anni
Cinquanta e Sessanta da sir Frank Macfarlane Burnet a Melbourne,
in Australia) è dovuta in larga misura al lavoro condo o a St. Louis,
negli USA , da Robert Schreiber e dai suoi collaboratori, e nel nostro
paese da numerosi scienziati fra cui Guido Forni a Torino, che hanno
cristallizzato il cosidde o «paradigma delle tre E». Una formula
schematica che riassume in queste tre le ere il ruolo essenziale delle
nostre difese naturali contro il cancro.
«E» è l’iniziale, in inglese, delle tre fasi chiave della lo a fra
immunità e tumore: elimination, equilibrium, escape, ossia
«eliminazione», «equilibrio» e «fuga». La prima fase vede il
predominio ne o delle nostre difese: quando una cellula ha subito
alterazioni genetiche che causano cancro, o è a rischio di diventare
cancerosa, il sistema immunitario la riconosce e la elimina. Questa
eliminazione è mediata da diverse cellule dell’immunità, che
collaborano ognuna con il proprio ruolo e la propria specificità: gli
strateghi delle nostre difese (i linfociti T), le parole dell’immunità
(citochine e interferoni), i nostri «polizio i», ossia i macrofagi, e i
killer professionisti del nostro esercito naturale (le cellule NK ). Tu i
insieme eliminano le cellule cancerose non appena si formano.
Il cancro, però, è cara erizzato da instabilità genetica: a poco a
poco prende le misure delle nostre difese e sviluppa varianti più
forti, capaci di fronteggiare il sistema immunitario, stabilendo una
condizione di equilibrio (equilibrium). In questa fase il nostro
apparato di difesa riesce ancora a tenere so o controllo il tumore. A
conferma di ciò, studi condo i in molti paesi – in Francia da Jérôme
Galon e in Italia dai ricercatori dell’Istituto Humanitas – hanno
dimostrato come la presenza di un numero elevato di linfociti T ai
margini del tumore del colon consenta di predire un andamento
clinico favorevole della mala ia. Si tra a di una cara eristica
generale valida per diversi tumori: una presenza marcata di cellule T
– in particolare di una specifica tipologia: CD8 che uccidono cellule
cancerose – è associata a una prognosi migliore per i pazienti. 3
Nella terza fase della guerra è però il cancro a prendere il
sopravvento, sfuggendo completamente al controllo del sistema
immunitario (escape). Come? Generando varianti di cellule ancora
più aggressive e me endo in a o strategie di «deviazione».
In questo contesto di tumore avanzato, i macrofagi, come de o
poco sopra, non arrestano le cellule tumorali ma anzi le aiutano,
a ivando una serie di freni per fermare le nostre difese: producono
citochine antinfiammatorie (immunosoppressive) e richiamano
all’interno dei tumori le cellule T regolatorie, che hanno il preciso
compito di frenare la risposta immunitaria. Così, i linfociti T che
dovrebbero comandare il nostro esercito vengono bloccati,
disorientati e narcotizzati dal cancro e dalle cellule infiammatorie. È
interessante notare come – al contrario di quanto accade per i
linfociti T – più alto è il numero dei macrofagi presenti nei tumori, in
generale peggiore è l’andamento clinico della mala ia.

Il ruolo del microambiente infiammatorio


La capacità di bloccare e addiri ura volgere a proprio favore le
risposte immunitarie, così come l’abilità di costruire intorno a sé un
ambiente infiammatorio favorevole che ne promuove la crescita sono
ormai universalmente acce ate come due cara eristiche tipiche del
cancro.
Non era così anche solo vent’anni fa: nel 2000, quando i due
grandi scienziati Douglas Hanahan e Robert Weinberg distillano
l’essenza di un secolo di ricerca sul cancro cristallizzandone le
cara eristiche tipiche in sei «sigilli» (hallmarks) sulla rivista
scientifica «Cell», le peculiarità del cancro erano tu e intrinseche alla
cellula tumorale: la capacità di crescere in continuazione;
l’insensibilità ai segnali dell’organismo che bloccano la
proliferazione cellulare (freni molecolari); l’abilità di sfuggire ai
segnali di morte indispensabili per l’equilibrio del nostro organismo;
l’immortalità, diversamente dalle cellule normali dei tessuti; l’a ività
angiogenetica, ossia la capacità di creare nuovi vasi sanguigni che
favoriscono la crescita del tumore; l’invasione dei tessuti circostanti e
la creazione di metastasi, cellule maligne che lasciano il luogo
d’origine per migrare in altri organi.
Il fa o che fra queste peculiarità mancasse la risposta immunitaria
rifle eva lo sce icismo diffuso fra gli oncologi nei confronti
dell’importanza del nostro sistema di difesa contro i tumori. Una
visione cambiata in modo radicale nei dieci anni successivi, alla luce
del progresso delle conoscenze. Al punto che, nel 2011, Hanahan e
Weinberg rivedono il paradigma centrale dell’essenza del cancro, da
una parte aggiungendo altre cara eristiche intrinseche alla cellula
tumorale, dall’altra dando grande spazio alle risposte immunitarie e,
in particolare, al microambiente infiammatorio che circonda il
tumore e ne perme e la crescita. Da qui nasce un’a enzione
crescente a questa nicchia ecologica nella quale, e grazie alla quale, il
cancro prolifera.
Tra infiammazione e cancro esiste un duplice legame: la cellula
tumorale, per esempio nel caso della mammella, per crescere crea
a orno a sé un ambiente infiammatorio. Viceversa, alcune forme
croniche di infiammazione in determinati organi favoriscono
l’insorgere del cancro: la colite ulcerativa rappresenta un terreno
favorevole per l’insorgenza del tumore del colon-re o, così come
l’epatite cronica per il cancro del fegato.
Tali conoscenze hanno aperto la strada a strategie alternative di
lo a al cancro, mirate a colpire il microambiente infiammatorio che
circonda la cellula tumorale. Dati recenti suggeriscono che in alcuni
tumori (come il cancro del colon e della mammella, o il linfoma di
Hodgkin) osservare e definire le peculiarità della nicchia ecologica
potrà in futuro aiutare a cara erizzare meglio la mala ia e dunque a
personalizzare la terapia.

L’immunoterapia: un sogno che si avvera


Questo grande cambiamento di visione dell’essenza del cancro è
stato accompagnato dallo sviluppo di nuove strategie dal punto di
vista sia diagnostico sia terapeutico.
In generale l’immunoterapia, ovvero l’insieme degli approcci
terapeutici basati sull’immunità, è entrata a pieno titolo a far parte
dell’arsenale a nostra disposizione contro il cancro. Affiancandosi –
non sostituendola! – a quella che ancora oggi, insieme a chirurgia e
radioterapia, rimane un’arma fondamentale: la chemioterapia, con la
sua evoluzione costituita da terapie targeted, ossia «mirate», che
colpiscono le alterazioni genetiche all’origine del cancro.
L’utilizzo delle armi del sistema immunitario contro il cancro
rappresenta l’avverarsi di un sogno antico: uno dei primi a
formularlo, oltre cent’anni fa, è stato il microbiologo tedesco Paul
Ehrlich, pioniere della medicina moderna e padre della
chemioterapia. 4 Oggi l’immunoterapia ha cambiato la storia naturale
di molti tipi di tumori, del sangue e solidi, e in futuro ci aspe iamo
abbia un impa o ancora maggiore sulla terapia.
Sono numerose le armi del sistema immunitario che usiamo nella
lo a ai tumori. Innanzitu o gli anticorpi che, come missili puntati
contro le cellule tumorali, hanno rivoluzionato la cura dei linfomi e
di alcuni tumori solidi quali mammella e colon. E ci auguriamo che,
grazie alla ricerca, migliorino sempre più la vita dei pazienti: tra i
nuovi farmaci in sperimentazione, uno su tre è un anticorpo.
L’ultima frontiera, poi, è coniugare agli anticorpi i farmaci
chemioterapici, veicolandoli dire amente contro il cancro e
riducendone la tossicità sui tessuti sani.
Anche le cellule dell’immunità sono entrate a far parte
dell’arsenale terapeutico contro i tumori. Siamo capaci di prelevarle,
farle crescere, educarle a un determinato scopo e poi reinfonderle nei
pazienti: le terapie cellulari stanno muovendo i primi passi in clinica
con risultati incoraggianti nei tumori ematologici.
Ancora, abbiamo imparato a utilizzare i vaccini: sono già realtà
quelli preventivi (contro l’epatite B e i cancri del fegato causati dal
virus che ne è responsabile, e contro il Papilloma virus, che provoca il
tumore della cervice uterina), mentre quelli terapeutici sono una
speranza su cui si sta lavorando in tu o il mondo.
Infine, dalla consapevolezza che il sistema immunitario viene in
un certo senso corro o o addormentato dal cancro stanno derivando
approcci terapeutici mirati a togliere alle nostre difese i «freni» che il
tumore a iva. Tantissimi e di natura molto diversa, essi costituiscono
una sfida per il trasferimento alla clinica di ciò che abbiamo
imparato sul sistema immunitario.
Sostanzialmente, i freni possono essere distinti in due differenti
tipologie: frenatori professionisti e segnali di stop. Questi ultimi
sono costituiti da alcune «parole» dell’immunità, le citochine
antinfiammatorie (come TGF -beta o interleuchina-10), e ordinano alle
cellule del sistema immunitario di fermarsi, come veri e propri
segnali di stop. Di regola, tali segnali vengono prodo i quando il
sistema immunitario ha svolto il suo compito di difesa e, se
continuasse a colpire, potrebbe causare danni collaterali. I frenatori
professionisti, invece, sono cellule di diversi tipi, fra cui le cosidde e
«cellule T regolatorie», presenti sui linfociti T.
I freni agiscono a tu i i livelli della risposta immunitaria: al
momento stesso dell’avvio, stoppando le sentinelle delle nostre
difese (le cellule dendritiche) che hanno dato l’allarme; nella centrale
operativa del sistema immunitario – gli organi linfoidi, da dove
parte il nostro esercito allertato dalle sentinelle – fermando i soldati
non necessari; infine sul campo di ba aglia, ossia nei tessuti dove si
esercita la funzione del sistema immunitario. Anche all’interno dei
tumori, dunque: in questo caso, il pedale che aziona il freno può
essere tanto sulla cellula tumorale quanto sulle cellule del
microambiente. In particolare, sui macrofagi. Per esempio PD-1, 5 che
funziona sopra u o nei tessuti, viene a ivato da pedali diversi: la
cellula tumorale stessa o i macrofagi passati al nemico. Nel linfoma
di Hodgkin, la capacità di schiacciare il freno è intrinseca alla cellula
tumorale, che in questo modo elude le nostre difese. In alcuni tumori
solidi, invece, l’evidenza suggerisce che i principali frenatori sono i
macrofagi corro i.
La scoperta e la maggior conoscenza dei freni dell’immunità
hanno aperto la strada all’idea di eliminarli per far ripartire la
risposta del nostro sistema di difesa contro i tumori. James Allison, 6
negli Stati Uniti, ha dato un contributo fondamentale: utilizzando
anticorpi monoclonali mirati contro il freno CTLA-4 , che ricoprendolo
lo «mascherano» impedendogli di essere riconosciuto dal pedale che
deve a ivarlo, ha dimostrato che nei modelli preclinici togliere
questo freno ai linfociti T induce una risposta terapeutica, la
regressione del tumore. Tale dimostrazione ha portato alla
sperimentazione clinica di anticorpi monoclonali che bloccano CTLA-
4 nel melanoma avanzato, tumore estremamente aggressivo per cui
all’epoca non esistevano strategie terapeutiche risolutive. E per cui,
parallelamente, si erano da tempo accumulate evidenze di
regressioni spontanee e della presenza di antigeni tumorali
potenzialmente riconoscibili dal sistema immunitario. È stato il
melanoma, dunque, a fornire la prova di principio che la strategia
terapeutica basata sull’eliminazione dei freni del sistema
immunitario poteva funzionare.
La risposta clinica a questo tipo di immunoterapia ha
cara eristiche diverse rispe o alle cure tradizionali come
chemioterapia o targeted therapies. Non è rapida, perché il sistema
immunitario ha bisogno di tempo per me ersi nuovamente in moto
e ricominciare a svolgere corre amente il proprio lavoro. Inoltre,
dura a lungo: circa il 20 per cento dei pazienti con melanoma
avanzato tra ati con anti-CTL-4 mostra risposte terapeutiche di oltre
dieci anni, potendosi pertanto considerare «guarito». A ualmente si
stima che le guarigioni possano arrivare a circa il 40 per cento dei
pazienti così tra ati.
Da qui in avanti, i successivi progressi sono stati veloci. Si è
arrivati in breve tempo alla sperimentazione clinica di anticorpi che
inibiscono un altro freno, PD-1, o il pedale che lo a iva (il suo
«ligando», ovvero la molecola che si lega a esso, PD-L1 ). Il successo di
questi studi si è trado o in benefici clinici e in farmaci per la cura di
uno spe ro sorprendentemente ampio di tumori: dal melanoma al
cancro del polmone, dal cancro della vescica ai linfomi.
Come tu i gli interventi medici, anche questo tipo di
immunoterapia non è certo priva di effe i collaterali. Togliere i freni
al sistema immunitario espone al rischio di sviluppare
autoimmunità o autoinfiammazione. Si tra a però di un prezzo che,
a fronte del beneficio clinico – la guarigione o la sopravvivenza a
lungo termine –, vale la pena di pagare. Anche perché le eventuali
manifestazioni autoimmuni si riescono comunque a controllare con
efficacia. Tu avia, non possiamo ancora dirci soddisfa i. Queste
terapie, infa i, sono sì efficaci, ma solo in un paziente su cinque: gli
altri o non rispondono o non lo fanno come vorremmo. La strada,
dunque, seppur prome ente, è molto lunga.

Sfide e nuove frontiere: terapie cellulari e CAR-T


Ora la sfida è sviluppare, con rigore, tu o il potenziale di
immaginazione che la ricerca e la tecnologia consentono.
In primo luogo, dobbiamo imparare a disegnare combinazioni
terapeutiche che ci perme ano di o enere risposte migliori in
termini di efficacia e di numero di pazienti. Togliendo più di un
freno, e in particolare quelli che corrompono le cellule
infiammatorie, per esempio, oppure combinando queste terapie con
le armi più tradizionali. Oggi sono approvate per uso clinico le
terapie anti CTLA-4, PD-1 e PD-L1 , ma i freni dell’immunità sono
davvero tantissimi, e ne scopriamo sempre di nuovi: GITR
(identificato in Italia da Carlo Riccardi), LAG3, TIM, VISTA (presente
solo sui macrofagi nei tumori), TGF -beta (una citochina), IL-1R8 ,
scoperto nei laboratori di Humanitas, che blocca la resistenza del
sistema immunitario contro il cancro e le metastasi del fegato e del
polmone.
La seconda sfida è riuscire a individuare preventivamente i
pazienti che rispondono a questo tipo di cure: a beneficio
innanzitu o di loro stessi, per evitargli effe i collaterali inutili, e poi
anche della sostenibilità, dato il costo elevatissimo di tali cure.
La terza sfida è rappresentata da uno dei nuovi capitoli delle
terapie immunologiche contro il cancro: le cosidde e «terapie
cellulari», che sono qualcosa di molto simile a una trasfusione
preceduta da un prelievo di sangue. Si estraggono dal sangue i
linfociti T, che prima di essere nuovamente infusi nel paziente
vengono ri-educati in vitro a comba ere il tumore come dovrebbero.
Una terapia prome ente ma con una tossicità molto elevata, legata al
fa o che la reazione delle cellule T reinfuse contro il tumore è così
violenta che, in un’alta percentuale di casi (circa il 40 per cento) crea
una risposta infiammatoria sistemica tanto drammatica da richiedere
il ricovero in un’Unità di cura intensiva. È un po’ quel che accade,
come abbiamo visto, nella crash syndrome in seguito a un trauma
importante: per riparare un danno fisico ai tessuti molto diffuso, il
sistema immunitario innesca una risposta infiammatoria
violentissima, e a volte incontrollata, tale da portare addiri ura al
decesso.
Una delle frontiere delle terapie cellulari basate su linfociti T è il
miglioramento della capacità di riconoscimento di queste cellule
dell’immunità. Partendo dalla constatazione che il rece ore dei
linfociti T, l’antenna con cui essi riconoscono le cellule tumorali e si
a ivano contro di loro, ha una forza di legame (in gergo «affinità»)
piu osto bassa, Zelig Eshhar presso l’Istituto Weizmann realizza un
rece ore che non esiste in natura: il cosidde o CAR , Chimeric Antigen
Receptor. È una molecola ibrida, formata dall’anticorpo che riconosce
la cellula tumorale e dalla parte intracellulare del rece ore dei
linfociti T, che li a iva. Il vantaggio cruciale del CAR-T , messo a
punto grazie a tecniche di ingegneria molecolare, è che sfru a la
grande forza di legame di un anticorpo, notevolmente maggiore
rispe o a quella dei T Cell Receptors.
Uno dei pionieri delle terapie cellulari con CAR-T è Carl June,
mosso dall’obie ivo di curare quel 15 per cento di bambini affe i da
leucemia linfatica acuta che non rispondono alla chemioterapia. La
sua perseveranza 7 nel portare alla sperimentazione clinica CAR-T si
lega anche a una motivazione personale: la perdita della moglie nel
1996 a causa di un carcinoma ovarico.
June costruisce un CAR con l’obie ivo di dotare i linfociti T di una
stru ura di riconoscimento artificiale, una nuova antenna in grado
di identificare specificatamente la cellula tumorale, in particolare
uno specifico antigene, CD19 : nasce così CART-19 . Esistono
generazioni diverse di questo CAR , che nel tempo grazie
all’ingegneria molecolare è stato o imizzato e rimodellato per
migliorarne la capacità di a ivare i linfociti T contro il cancro.
Grazie a questa nuova antenna di riconoscimento, i linfociti T
prelevati dai piccoli pazienti, fa i crescere e modificati
geneticamente in vitro, vengono ritrasferiti nei bimbi malati come
vere e proprie truppe di soldati addestrati a comba ere la leucemia.
La prima bambina tra ata con le cellule CAR-T è stata, a soli 5
anni, Emily Whitehead, affe a da leucemia linfatica acuta refra aria
a chemioterapia, dunque senza speranze. È il 2010, e il suo caso
rappresenta un punto di svolta per questa terapia. La sua storia,
però, sarebbe stata diversa senza un incrocio inaspe ato con la vita
personale di Carl June e l’immunologia.
Alla terza somministrazione di CART-19 , Emily Whitehead
sviluppa una risposta infiammatoria sistemica drammatica, che ora
sappiamo essere mediata dalla produzione di citochine
infiammatorie: definita «tempesta citochinica» (Cytokine Release
Syndrome), è una situazione di emergenza assoluta. Emily viene
so oposta a molteplici esami, fra cui la misurazione dei livelli di
cellule infiammatorie nel sangue: si riscontra così, fra le citochine
presenti in numero particolarmente elevato, una massiccia
concentrazione di IL-6 .
Carl June, interpellato per telefono, collega IL-6 a sua figlia, malata
di artrite reumatoide giovanile e in terapia proprio con un anticorpo
anti-IL-6 . Suggerisce quindi di tra are Emily in questo modo: in
poche ore la bambina esce dall’emergenza, e qualche se imana dopo
la biopsia midollare dimostra incontrovertibilmente la risposta
clinica alla terapia. Il tra amento anti-citochine IL-6 salva non solo
Emily – e tanti altri bimbi dopo di lei –, ma anche l’intero sviluppo
delle terapie cellulari basate su cellule CAR-T .
A testimonianza non solo della potenzialità, ma anche
dell’impa o emozionale di questa terapia, negli ultimi mesi del suo
mandato come presidente degli USA Obama ha ricevuto alla Casa
Bianca proprio Emily Whitehead, ormai dodicenne e guarita dalla
leucemia.
Oggi la terapia con CAR-T – cui hanno contribuito pure ricercatori
e medici italiani come Franco Locatelli e Andrea Biondi – è
approvata per uso clinico anche nel nostro paese. Senza una strategia
di controllo della Cytokine Release Syndrome, tu avia, sarebbe molto
problematico applicarla.
Siamo entrati in un mondo nuovo, quello delle terapie
immunologiche. Stiamo imparando a dirigere le nostre armi
dell’immunità e dell’infiammazione contro il nemico, il cancro. Ma
anche a spegnere il fuoco amico causato dai nostri stessi polizio i
che, superstimolati, sparano colpi all’impazzata causando incendi
devastanti.
In futuro, conoscere sempre più la macchina straordinaria delle
nostre difese ci perme erà di imparare a pilotarla al meglio contro il
cancro.
XIII
Inflammaging: il segreto per invecchiare bene

È un fenomeno fisiologico ed è una parte naturale del ciclo di vita:


con il tempo, con l’età, invecchiamo.
Le a uali – e future! – generazioni hanno il privilegio di dover
fare i conti con questa situazione, e con una popolazione sempre più
anziana. Perché – ricordiamolo – l’aspe ativa di vita sul pianeta,
negli ultimi cento anni, è cambiata radicalmente. In meglio.
Con tu o ciò che questo comporta. In un libro le o di recente, ho
riscoperto la riflessione di un grande filosofo e politico dell’antica
Roma, Seneca, sulla dimensione della vecchiaia: l’ultima età della
vita, naturale come le precedenti. 1 La questione, dunque, non è la
vecchiaia in sé, ma piu osto come la si vive e come la si raggiunge.
Una riflessione da non dimenticare sopra u o oggi, di fronte a
promesse di vita di 120 anni e oltre, alimentate anche – a torto o a
ragione – da alcune companies. 2
Da quando esiste la nostra specie di Homo Sapiens, ossia da circa
200.000 anni, l’aspe ativa di vita è stata intorno ai 40 anni: in media,
perché ovviamente le eccezioni ci sono sempre state. Pensiamo per
esempio a Matusalemme, uno dei patriarchi dell’Antico Testamento
diventato proverbiale proprio per la sua longevità, che nella
narrazione biblica ammonta a 969 anni! Ma – al di là delle leggende –
le persone che vivevano a lungo erano, appunto, solo un’eccezione.
Oggi invece, l’aspe ativa nei paesi industrializzati è di oltre 80
anni: in Italia è di 80 anni per gli uomini e 84 anni per le donne. Il
primato dei maschi più longevi spe a a Svizzera (81,3 anni) e
Islanda (81,2 anni), quello delle femmine al Giappone (86,8 anni) e
Singapore (86,1). 3 Diversa la situazione nei paesi più poveri:
l’aspe ativa di vita più bassa si registra in Sierra Leone (49,3 per gli
uomini, 50,8 per le donne) seguita da Angola (50,9-54,0) e
Repubblica Centrafricana (50,9-54,1).
In generale, a livello globale l’aspe ativa di vita è in crescita: nel
2015 era di 71,4 anni (73,8 anni per le donne e 69,1 per gli uomini). E
le stime affermano che, nel mondo, la popolazione di età superiore ai
60 anni aumenterà di oltre tre volte durante la prima metà del XXI
secolo. Entro il 2050 raggiungerà il 22 per cento (contro l’11 per cento
del 2000) e addiri ura supererà il numero dei giovani al di so o dei
15 anni. 4
Merito innanzitu o di acqua potabile e igiene, che iniziano ad
affermarsi alla fine dell’O ocento, ma anche – non meno importanti!
– delle innovazioni nel campo della medicina: dai vaccini agli
antibiotici, fino alle nuove tecnologie di diagnosi e tra amento.

Il fenomeno della senescenza cellulare


L’invecchiamento è un complesso processo biologico che ci
coinvolge a tu i i livelli – organismo, organi, cellule –, inclusi il
sistema immunitario e le risposte infiammatorie.
Il progredire dell’età causa diversi cambiamenti che portano via
via a un rallentamento delle funzioni fisiologiche. Muta per esempio
il nostro metabolismo: così, diventiamo più susce ibili al freddo.
Nulla di trascendentale certamente, ma nel mio caso, poiché amo
fare alpinismo, questo mi crea qualche problemino…
Inoltre, perdiamo neuroni e, quindi, la memoria. Insomma,
assistiamo a un progressivo decadimento dell’organismo, fino a
quella che rappresenta l’ultima tappa evolutiva: la morte, una
componente fondamentale e ineludibile della vita.
Qualcosa di molto simile accade alle nostre cellule. Anche loro
invecchiano e, infine, muoiono. Ogni giorno nel nostro organismo ne
muoiono circa 50-70 miliardi.
La cosidde a «senescenza» è una tappa naturale della vita
cellulare. 5 Nell’invecchiamento, le cellule senescenti si accumulano.
E anche lo stress psicosociale aumenta il loro numero. Per il nostro
organismo, si tra a di un problema da gestire: per questo, di recente,
alcuni scienziati – in particolare Jan Van Deursen 6 negli USA alla
Mayo Clinic – stanno lavorando su quella che viene definita
senotherapy, ovvero una strategia per fare pulizia delle cellule
senescenti. È fondamentale, infa i, che queste vengano
progressivamente eliminate in modo ordinato, perché una
senescenza fuori controllo predispone alla trasformazione maligna
delle cellule.
L’americana Judith Campisi ha scoperto l’esistenza di una stre a
connessione tra infiammazione e senescenza cellulare. Quest’ultima
è infa i associata a un programma genetico (SASP ) che innesca la
produzione di citochine infiammatorie. La sua funzione è simile a
quella della risoluzione dell’infiammazione, perché richiama i
fagociti, spazzini cellulari in grado di eliminare le cellule morte
garantendo così l’equilibrio, l’omeostasi del tessuto. Tu avia,
quando è fuori controllo – per esempio in seguito a una mutazione
di geni che favoriscono il cancro – questo programma genetico aiuta
la crescita tumorale.
Durante l’invecchiamento, inoltre, a livello del nostro DNA si
accumulano in realtà diverse mutazioni, che costituiscono uno dei
motivi dell’aumento dell’incidenza di tumori con il progredire
dell’età. In particolare, alcune mutazioni in cellule del sangue fanno
sì che queste si espandano, pur senza degenerare in vere e proprie
leucemie. È quella che viene chiamata Clonal Hematopoiesis,
ematopoiesi clonale, che nelle persone anziane può coinvolgere fino
al 20 per cento dei precursori delle cellule del sangue. L’ematopoiesi
clonale comporta un aumentato rischio di patologie cardiovascolari,
ed essa stessa può dare origine a tumori. Una citochina chiave
dell’infiammazione che abbiamo incontrato nei capitoli precedenti,
interleuchina-1, gioca un ruolo molto importante nel sostenere
questo processo. 7
L’invecchiamento coinvolge anche il sistema immunitario: il
declino e i cambiamenti cui le nostre difese naturali vanno incontro
con il progredire dell’età hanno conseguenze importanti, fra cui la
maggior susce ibilità ai tumori e agli agenti infe ivi.
Il cancro è una mala ia prevalentemente dell’età avanzata proprio
perché l’invecchiamento, unito come abbiamo visto all’accumulo di
mutazioni genetiche, non consente più al sistema immunitario di
tenere so o controllo con la stessa efficacia di un tempo le cellule che
impazziscono.
Come il sistema nervoso centrale, poi, anche le nostre difese con
l’età fanno più fatica a ricordare. La memoria è una delle
cara eristiche fondamentali del sistema immunitario: rammentando
i patogeni incontrati, quando viene nuovamente a conta o con loro,
anche a distanza di tempo, l’organismo ne risulta immune e dunque
prote o. È il motivo per cui, per esempio, se siamo stati immunizzati
contro l’epatite A, in futuro saremo prote i dal virus che trasme e
questa mala ia, ma non da quello dell’epatite B. Le vaccinazioni
sfru ano proprio la specificità e la memoria dell’immunità, in
particolare della parte più evoluta, definita ada ativa o acquisita.
Negli anni, dunque, proprio perché il sistema immunitario fa più
fatica a ricordare, è importante seguire un programma di richiamo
delle vaccinazioni, 8 come fossero esercizi per tenere sveglia la
memoria delle nostre difese. A volte accade infa i che il sistema
immunitario ricordi bene una vecchia infezione o un precedente
incontro con un patogeno, ma fatichi a costruire una nuova
memoria. Così anche i vaccini – per esempio quello contro
l’influenza – funzionano meno bene (ma sono comunque consigliati)
nell’anziano. Questo spiega inoltre perché, con l’età, siamo più
susce ibili ad alcune infezioni o alle complicanze a esse legate:
perciò, di regola, oltre i 65 anni è bene effe uare tre vaccini molto
importanti: l’antinfluenzale, quello contro lo pneumococco, patogeno
che invecchiando si fa molta più fatica a comba ere, e il vaccino
contro l’Herpes zoster, che fa soffrire molto poiché le nostre difese
tendono a dimenticare di averlo già incontrato.
Modificazioni simili avvengono anche nella parte più primitiva
del sistema immunitario, che gestisce oltre il 90 per cento dei nostri
problemi con i patogeni. Così, con l’avanzare dell’età, le cellule
dell’immunità innata – e in particolare i fagociti – da una parte fanno
più fatica a riconoscere e uccidere i microbi, e dall’altra tendono a
produrre in modo inappropriato, ossia al momento sbagliato,
p pp p g
mediatori infiammatori (gli intermedi rea ivi dell’ossigeno e le
citochine infiammatorie).

Il ruolo dell’infiammazione
Dunque l’invecchiamento – sia del sistema immunitario, sia
biologico, sia cellulare – comporta una risposta infiammatoria. Per
questo si è di fa o affermata una teoria generale, universalmente
acce ata, definita con un termine inglese: inflammaging, crasi tra
inflammation e aging, ossia invecchiamento infiammatorio. Il termine
è stato coniato da un italiano, Claudio Franceschi, 9 che ha sempre
studiato l’invecchiamento del sistema immunitario lavorando, negli
anni, fra Bologna, Modena e Ancona.
Fondamentali, in questi studi, sono stati i «Matusalemme» dei
nostri giorni, gli ultracentenari. In Italia ne è ricca, come abbiamo
de o, la Sardegna. Studi analoghi sono stati condo i in popolazioni
molto diverse e distanti, per esempio in Oriente, in particolare in
Giappone dove l’aspe ativa di vita è molto alta e gli ultracentenari
sono numerosi. Ne è emerso che i determinanti dell’invecchiamento
con successo sono complessi ma, in generale, l’infiammazione ne
costituisce una componente fondamentale. Tenere so o controllo
l’infiammazione consente, quindi, di invecchiare meglio.
Il perché lo abbiamo in un certo senso visto nei capitoli
precedenti: infiammazione fuori controllo è sinonimo, alla lunga, di
mala ia. Come una piccola brace che cova so o la cenere e si
propaga in tu o l’organismo, finché si manifesta a raverso una delle
principali patologie croniche correlate all’età: dal cancro
all’aterosclerosi, fino alla neurodegenerazione.
Ma che cosa determina il tono infiammatorio, così importante per
invecchiare con successo? Dagli studi effe uati è emerso
sostanzialmente che i determinanti sono sia di tipo genetico, sia
legati al mondo microbico che ci accompagna, sia correlati agli stili
di vita. Anche in questo caso la giuria deve ancora eme ere il
verde o finale: i dati sui polimorfismi genetici, per esempio,
evidenziano grandi differenze in popolazioni diverse. È dunque
ragionevole pensare che il nostro genotipo abbia un’influenza che
varia a seconda dell’ambiente: in altre parole, i geni importanti per
un invecchiamento con successo in Italia non sono gli stessi in un
ambiente totalmente differente come il Giappone, con stili di vita e
abitudini alimentari completamente diversi. Ma il minimo comune
denominatore rimane comunque la componente infiammatoria.
E se sulla componente genetica non possiamo agire in alcun modo
– così come sulla fortuna, che rappresenta un altro determinante
dell’invecchiamento con successo e, più in generale, dell’intera vita
–, possiamo però intervenire, e molto, sullo stile di vita (come
vedremo meglio nel prossimo capitolo). E possiamo farlo a
prescindere dall’età: il fumo e gli eccessi di alcol, troppe calorie e
alcuni cibi come i grassi idrogenati, il sovrappeso, la sedentarietà,
tanto per fare alcuni esempi, favoriscono l’infiammazione. Anche lo
stress cronico può destabilizzare l’equilibrio immunitario. Mente e
corpo sono collegati: studi recenti – lo abbiamo visto nel capitolo
dedicato al cervello – evidenziano come persone anziane che, a
parità di stato socio-economico e culturale, hanno una vita sociale
intensa hanno parametri infiammatori più bassi, dunque un tono
infiammatorio migliore e più controllato rispe o a loro coetanei che
vivono isolati. In un certo senso, quindi, andare al cinema e a teatro,
frequentare persone, crescere i nipotini e così via, oltre a essere
piacevole, fa bene anche al nostro sistema immunitario. E ci aiuta a
invecchiare con maggiore successo.
XIV
Ambiente e stili di vita

5 novembre 2019: la cronaca ci dice che, negli Stati Uniti, si contano


38 morti, oltre a un numero imprecisato di persone ricoverate con
gravi quadri polmonari su base infiammatoria, per vaping. Ovvero,
per l’inalazione di vapore a raverso la cosidde a sigare a
ele ronica. Questo episodio ci ricorda come lo stile di vita, in questo
caso il vaping – che ci è stato spacciato per anni come innocuo –,
possa avere ricadute drammatiche sulla salute.
Lo stesso vale per l’ambiente in cui viviamo. A prima vista
possono sembrare due conce i molto lontani, quello dell’ambiente e
quello dello stile di vita. In realtà non è affa o così. Ce lo dicono i
dati: se vogliamo controllare efficacemente l’infiammazione so esa
alle mala ie del terzo millennio, dobbiamo vivere in un ambiente
più sano e migliorare i nostri stili di vita.

L’ambiente
Ambiente vuol dire ci à e luoghi in cui abitiamo, ma anche posti in
cui lavoriamo. Smog, polveri so ili, asbesto… l’inquinamento
ambientale porta pesanti conseguenze a livello di salute, con un
aumento di patologie polmonari e cardiovascolari 1 oltre che di
mortalità. La cronaca ce lo ricorda in continuazione.
Facciamo un passo indietro nel tempo, fino al 1952. Siamo a
Londra. Fra il 5 e il 9 dicembre di quell’anno, a causa dell’inversione
termica 2 la capitale del Regno Unito viene avvolta da una nuvola di
smog nerastro. Un fenomeno che dura pochi giorni, ma che porta
con sé un aumento di mala ie e mortalità fino al mese di febbraio
dell’anno successivo, con una stima di almeno 12.000 decessi. Un
numero ancora più impressionante se si considera che i
bombardamenti tedeschi, ai tempi della seconda guerra mondiale,
avevano causato la morte di circa 30.000 londinesi in cinque anni!
Una vera e propria emergenza ambientale, dunque, che porta
all’approvazione, per la prima volta nel 1956 da parte del Parlamento
britannico, del Clean Air Act, una legge per ridurre le emissioni di
sostanze inquinanti divenuta una pietra miliare nella lo a contro
l’inquinamento.
In realtà i precedenti storici sono assai antichi: già nell’Atene del V
secolo a.C. e nella Roma del I secolo d.C. ci si lamentava della qualità
dell’aria a causa delle fonderie, dei ceramisti, dei camini. E oggi,
nelle grandi ci à, siamo ormai abituati ai provvedimenti di blocco
del traffico o di circolazione delle auto a targhe alterne quando il
livello di smog – dunque il particolato che respiriamo – supera la
soglia di sicurezza.
I componenti principali dell’inquinamento atmosferico sono le
polveri, in particolare le più piccole (PM10 e PM2,5 , il cosidde o
nanoparticolato), il biossido di azoto (NO 2 ), il biossido di zolfo (SO 2 ) e
l’ozono (O 3 ). Tu avia, non si può dimenticare in questo elenco
l’asbesto, responsabile nel nostro paese di vere e proprie tragedie
come l’alta incidenza di mesoteliomi a Casale Monferrato, storico
sito di produzione di amianto 3 (un materiale che dal punto di vista
mineralogico appartiene appunto alla famiglia degli asbesti). Il
mesotelioma 4 – tumore delle cellule che rivestono la cavità pleurica
dove sono racchiusi i polmoni – è una mala ia dalla prognosi
perlopiù infausta: molto rara nella popolazione generale, è
riconducibile nella quasi totalità dei casi all’esposizione
professionale o ambientale ad amianto.
I dati parlano chiaro: nel 2016 l’OMS ha stimato che
l’inquinamento atmosferico abbia provocato circa 3 milioni di morti.
Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, nei paesi UE sono 436.000
le morti premature causate dal PM2,5 , 68.000 quelle legate al NO 2 ,
16.000 quelle dovute a O 3.
Perché? Cosa accade esa amente? L’inquinamento atmosferico
aumenta il rischio di aggravare o sviluppare mala ie diverse, a
breve e a lungo termine. La composizione degli inquinanti
atmosferici è complessa e variabile in condizioni diverse. È perciò
difficile definire fino in fondo quali siano i meccanismi di sviluppo
delle patologie associate all’inquinamento ambientale, ma
certamente la risposta infiammatoria gioca un ruolo cruciale.
Il nanoparticolato presente nello smog che respiriamo si
distribuisce in tu o il nostro organismo: alcuni specifici sensori –
della grande famiglia degli inflammosomi, che abbiamo incontrato
nei capitoli precedenti – riconoscendo la presenza di particelle
inducono la produzione di interleuchine, e promuovono così la
risposta infiammatoria.
Il primo organo a risentire degli effe i dell’inquinamento
atmosferico – come prevedibile – è il polmone. Molto ben studiato e
certo è il rapporto fra inquinamento e manifestazioni dell’asma
bronchiale, in particolare nei bambini, ma anche altre mala ie, quali
le polmoniti e le intensificazioni di una patologia cronica del
polmone, la broncopatia cronica ostru iva (BPCO ), aumentano in
relazione con l’esposizione all’inquinamento.
Un altro organo-bersaglio è il cuore. È noto da molto tempo che,
in coincidenza con i picchi di inquinamento, aumentano i ricoveri
per infarto, angina e scompenso cardiaco. Il particolato più fine,
infa i, a iva una risposta infiammatoria a livello della parete dei
vasi sanguigni che è alla base dell’aumentato rischio di infarto, ictus
e trombosi. Si stima che per ogni 5 microgrammi per metro cubo in
più di PM2,5 il rischio di infarto aumenti del 13 per cento.
Infine, non vi è dubbio che l’inquinamento atmosferico aumenti il
rischio di sviluppare tumori, in particolare del polmone: un’apposita
agenzia internazionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità
chiamata IACR (International Agency for Research on Cancer) 5 lo ha
classificato come «carcinogeno di tipo 1», ovvero come accertata
causa primaria di cancro.

Lo stile di vita
Complementare all’ambiente, lo stile di vita non è meno importante
per la nostra salute. Ed è un tema ogge o, oggi, di grande a enzione
ed enfasi.
Fumo di sigare a e vaping, tipo di alimentazione, quantità di cibo
mangiato – e di conseguenza sovrappeso – e qualità
dell’alimentazione intesa come dieta corre a, esercizio fisico:
l’insieme dei comportamenti che definiamo «stile di vita»
rappresenta un fa ore di rischio per l’insorgenza di numerose
patologie a base infiammatoria. Un fa ore di rischio tanto
importante quanto modificabile.

LA SALUTE PARTE DALLA TAVOLA

Stile di vita significa innanzitu o alimentazione, dal punto di vista


della quantità e della qualità: che cosa e quanto mangiamo ha
un’importanza decisiva per la nostra salute. Una buona qualità di
vita, insomma, inizia a tavola. Una dieta equilibrata, ricca di fru a e
verdura fresche, aiutando l’armonico funzionamento del sistema
immunitario ci protegge da molte mala ie. 6
Il World Cancer Research Fund (Fondo mondiale per la ricerca sul
cancro), a conclusione di un’opera titanica di revisione degli studi
scientifici esistenti sul rapporto tra alimentazione e cancro, nel 2007
ha pubblicato un decalogo: costantemente aggiornato e disponibile
sul sito www.dietandcancerreport.org, include regole quali
mantenersi snelli per tu a la vita, limitare il consumo di alimenti
calorici, bevande zuccherate, alcol e sale.
Da tempo abbiamo la percezione che la «dieta mediterranea» – un
conce o non inventato da noi ma cristallizzato negli Stati Uniti, da
Ancel Keys – sia associata alla protezione da alcune grandi mala ie,
principalmente quelle cardiovascolari e il cancro. Oggi abbiamo
anche solidi dati a conferma, grazie in particolare a EPIC 7 (European
Prospective Investigation on Cancer and Nutrition), che costituisce la
più importante analisi prospe ica europea su cancro e nutrizione. Lo
studio coordinato da Elio Riboli ha esaminato, e continua a farlo,
520.000 persone in dieci paesi europei. 8
Dall’analisi emerge innanzitu o l’importanza della dieta
mediterranea, che grazie all’abbondante consumo di fru a e verdura
fresche e di alimenti di origine vegetale costituisce un fa ore di
protezione verso alcuni tumori. E non solo. Uno studio condo o in
estremo Oriente, a Hong Kong, mostra che, in occasione di punte di
inquinamento da microparticolato, il consumo di fru a e vegetali
freschi è associato alla protezione da mala ie respiratorie.
Non comprendiamo ancora bene i meccanismi responsabili di
questo effe o benefico: sono certamente diversi e complessi, ma
hanno parzialmente a che vedere con la presenza di molecole
antiossidanti, come gli antociani, che influenzano il sistema
immunitario e sono presenti perlopiù nella verdura fresca e nella
fru a rossa e arancione, come le arance della nostra Sicilia.
Così, alcuni componenti di fru a e verdura fresche promuovono
la maturazione e il funzionamento di cellule dell’immunità: per
esempio, alcune sostanze contenute nei broccoli – che sappiamo
avere un’azione prote iva contro il cancro del grosso intestino –
inducono lo sviluppo e la maturazione di cellule di difesa
immunitaria proprio a livello dell’intestino stesso. È un mondo
complicato, che iniziamo a scoprire soltanto adesso.
Altri tipi di alimenti, al contrario, possono aumentare il rischio di
mala ia. In particolare di cancro. L’OMS ha recentemente certificato
che un eccessivo consumo di carni rosse – sopra u o lavorate quali
salumi, insaccati e carne in scatola 9 – aumenta la probabilità di
sviluppare alcuni tumori: dell’apparato gastrointestinale, come il
cancro del colon-re o e dello stomaco, 10 e neoplasie legate agli
ormoni, come quella del seno e della prostata. L’aumento del rischio
è proporzionale alla quantità e frequenza dei consumi: un consumo
modesto di carne rossa (una o due volte alla se imana al massimo) è,
secondo gli esperti, acce abile anche per l’apporto di nutrienti
preziosi, in particolare vitamina B12 e ferro. Le carni rosse lavorate,
invece, andrebbero consumate solo saltuariamente.
I motivi per cui il consumo eccessivo di carni rosse è dannoso
sono molteplici. Fra questi, il fa o che la carne rossa è ricca di grassi
saturi, che mandano in tilt il sistema immunitario scatenando
l’infiammazione. Al contrario, come emerso anche da uno studio
recentemente pubblicato sulla rivista scientifica «Nutrition
Journal», 11 gli omega 3 di cui è ricco il pesce – per esempio il
salmone e il pesce azzurro come lo sgombro – hanno naturali
proprietà antinfiammatorie e aiutano l’organismo a controllare le
proteine in grado di riconoscere gli agenti patogeni.
Inoltre, il consumo di carne rossa dà origine a metaboliti generati
dalla flora intestinale che favoriscono l’aterosclerosi e inducono
infiammazione delle pareti intestinali: un’infiammazione prolungata
nel tempo aumenta le probabilità di sviluppare tumori al colon-re o.
Parte del danno derivato da una dieta eccessivamente ricca di carne,
quindi, è causato non dire amente dall’alimento in sé, ma dal fa o
che in qualche modo esso modifica la nostra flora ba erica. Emerge
dunque con chiarezza – e questa è solo una delle tante evidenze –
che il cosidde o «microbioma», ossia il complesso mondo microbico
che ci accompagna, influenza in qualche modo il nostro sistema
immunitario.
I microbi costituiscono una componente essenziale per noi: si
calcola che i microrganismi «estranei» che convivono all’interno del
nostro organismo, composto da 100.000 miliardi di cellule, siano
almeno 10 milioni di miliardi. Dunque dieci-cento volte più
numerosi delle nostre stesse cellule!
Per il sistema immunitario il mondo microbico costituisce una
sorta di palestra, che lo educa allenandolo a selezionare e
distinguere i componenti «buoni», che aiutano l’organismo, da quelli
«ca ivi», che invece rappresentano un pericolo e vanno dunque
eliminati. La composizione del mondo microbico che ci accompagna
è de ata da diversi fa ori, fra cui anche lo stile di vita e
l’alimentazione. 12
Ecco perché la dieta mediterranea che era tipica del nostro paese è
un toccasana per la salute. Anche per questo mi rammarica
constatare che, ultimamente, sia un po’ come un animale in via di
estinzione, nonostante se ne chiacchieri molto. Emblematico quanto
emerge dallo studio epidemiologico MOLI-SANI , condo o in Molise
da Maria Benede a Donati e Giovanni De Gaetano e orientato alle
patologie cardiovascolari: ha analizzato le abitudini alimentari degli
abitanti di questa regione del Centro Italia, scoprendo che meno del
7 per cento segue una dieta mediterranea. Un dato che stupisce. E
che, in parte, spiega l’aumento diffuso del sovrappeso fra i nostri
bambini. Il che ci porta a un’altra componente fondamentale dello
stile di vita: il controllo del peso.

OCCHIO ALLA BILANCIA!

Anni fa un’amica e collega inglese, Fran Balkwill, quando veniva a


Milano notava come tu e le persone le sembrassero «belle e in
forma». Un commento che valeva per tu i gli italiani. L’impressione
di Fran trovava riscontro nella frequenza di persone in sovrappeso:
la Gran Bretagna è uno dei paesi europei con il maggior numero di
abitanti in sovrappeso o addiri ura obesi, mentre l’Italia ha una
percentuale inferiore rispe o alla media europea (parlando di adulti,
il 10 per cento contro il 17 per cento), oltre che agli Stati Uniti.
Questo quadro purtroppo si è capovolto a livello dei nostri
bambini. Oggi i piccoli italiani in sovrappeso sono il doppio rispe o
alla media europea: il 10 per cento contro il 5 per cento. Con grandi
differenze regionali: Milano è al di so o della media, mentre le ci à
del Sud ne sono molto al di sopra. In Europa, siamo secondi solo alla
Grecia.
Dati simili valgono per l’obesità, in costante aumento, che nel
2016 è stata ufficialmente certificata dall’International Agency for
Research on Cancer come causa di cancro per almeno tredici tipi di
tumori. 13
La statua dell’obeso di un sepolcro etrusco, che ho rivisto
recentemente nello spe acolare Museo di Cerveteri durante una gita
con alcuni compagni della mia vecchia classe del liceo, mi ha
ricordato come nel mondo etrusco sovrappeso e obesità fossero una
situazione rara, che di fa o non aveva impa o sulla salute della
popolazione. Uno scenario completamente diverso da quello odierno
che, purtroppo, rappresenta una vera e propria emergenza per il
futuro del paese.
Oltre che dalla qualità del cibo, sovrappeso e obesità sono
indubbiamente indo i anche dalla quantità. Perciò è fondamentale
tenere so o controllo il proprio peso. E la bilancia diventa uno
strumento di prevenzione…
Tu i noi abbiamo sentito parlare di BMI , acronimo di Body Mass
Index, ovvero «indice di massa corporea»: è il rapporto tra peso e
quadrato dell’altezza di un individuo, e viene utilizzato come
indicatore dello stato di peso forma. In realtà si tra a di una misura
un po’ grossolana: sappiamo infa i, anche se ancora non capiamo
bene perché, che è importante non solo la quantità complessiva di
tessuto grasso, ma anche – e molto! – la sua distribuzione. In questo
se ore, le nuove tecnologie di imaging prome ono di darci un’idea
più accurata della correlazione della distribuzione del grasso con gli
aumentati fa ori di rischio di mala ia.
Tu i i dati a nostra disposizione indicano chiaramente che essere
sovrappeso o addiri ura obesi rappresenta un fa ore di rischio
importante per lo sviluppo di un’enorme varietà di patologie
croniche e degenerative: dal cancro alle degenerazioni del sistema
nervoso centrale, dalle mala ie cardiovascolari a quelle metaboliche,
che vanno dal «semplice» diabete alla più estrema sindrome
metabolica, che associa obesità, ipertensione e diabete. Una
sindrome un tempo rara ma, oggi, sempre più comune.
Di nuovo, all’obesità e all’alimentazione squilibrata – intesa come
eccessivo consumo di grassi e mancanza di vegetali – è legato per
esempio uno dei problemi più diffusi degli ultimi decenni, la
cosidde a Non-Alcoholic Steatohepatitis (epatite non alcolica da fegato
grasso), una sofferenza epatica non associata a consumo di alcol. Si
tra a di una tappa dell’epatite che sfocia poi in cirrosi e infine, in
una parte dei sogge i, in cancro epatico. Inizialmente frequente
negli USA , sta diventando una vera e propria epidemia a livello
globale.
Ma perché essere sovrappeso costituisce un fa ore di rischio di
mala ia? In altre parole: perché il grasso fa così male?
L’accumulo di grasso è una delle espressioni della nostra a ività
metabolica, ossia quel complesso di reazioni chimiche che
trasformano le proteine, gli zuccheri e i grassi contenuti nel cibo in
energia e «ma oni» per le nostre cellule.
Oggi sappiamo che nel nostro organismo sono presenti due
differenti tipi di grasso – bianco e bruno – che svolgono compiti
diversi, rispe ivamente fornendo e bruciando il «combustibile» che
fa funzionare il nostro organismo.
Per molto tempo abbiamo pensato a metabolismo e immunità
come mondi fra loro molto diversi e lontani. In realtà, sono fra loro
stre amente correlati. Il tessuto adiposo è infa i molto più di un
semplice deposito di grasso: è sorgente di ormoni, dai quali alcuni
tumori, per esempio quello della mammella, sono fortemente
influenzati. Inoltre, all’interno del tessuto adiposo sono presenti
moltissime cellule – circa la metà del totale! – del sistema
immunitario. Nel grasso in eccesso, le cellule dell’immunità formano
intorno alle cellule adipose vere e proprie «corone» (crown
structures), in verità «corone di spine» per la nostra salute.
Così i macrofagi, come frastornati dai segnali emessi dal grasso in
eccesso, diventano proinfiammatori: producono cioè mediatori
dell’infiammazione che danneggiano in modo grave il nostro
metabolismo e favoriscono lo sviluppo di mala ie legate all’eccesso
di cibo, fra cui quelle cardiovascolari, il diabete adulto e perfino il
cancro.
E i mediatori infiammatori, per esempio citochine come TNF ,
rendono le cellule del nostro organismo insensibili all’azione
dell’insulina: ecco allora spiegata l’insorgenza del diabete associato a
obesità.
Ancora, lo abbiamo visto nei capitoli precedenti, i mediatori
infiammatori giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle
patologie cardiovascolari e del sistema nervoso centrale. E – non
dimentichiamolo – le cellule infiammatorie costituiscono un
componente fondamentale del microambiente tumorale che
favorisce il cancro.
Viene spontaneo, a questo punto, chiedersi cosa possiamo fare
non solo come individui a livello personale, ma anche come società
per invertire questa pericolosa tendenza.
Un esempio virtuoso di quanto si può fare a livello locale, in una
grande ci à, è costituito dalla Food Policy di Milano, nata come
lascito dell’Expo e sostenuta dal Comune con un finanziamento di
Fondazione Cariplo. L’iniziativa si è occupata di aspe i diversi, dalla
gestione della distribuzione degli scarti fino all’offerta alimentare
delle mense scolastiche dei più piccoli, intesa sia come corre o mix
di alimenti, sia come riduzione della quantità di sale, sia come
utilizzo dell’acqua del rubine o e distribuzione di borracce per
evitare l’uso di bo iglie di plastica. Nelle scuole che aderiscono
all’iniziativa, ai bambini viene distribuita fru a al posto delle
tradizionali merendine ipercaloriche, così da incoraggiarli e educarli
al consumo di fru a e verdura fresche. E – cosa non meno
importante – si è anche rido o del 19 per cento lo spreco di cibo a
mezzogiorno.
Nel 2019, in una competizione che si è svolta in Cina, quella di
Milano è risultata la miglior politica del cibo a livello mondiale,
ba endo ci à come New York.

L’ATTIVITÀ FISICA PER ALLENARE IL NOSTRO SISTEMA IMMUNITARIO

Oltre a un’alimentazione sana e non eccessiva, un alleato prezioso


per tenere so o controllo il nostro peso – e non solo – è l’a ività
fisica. L’esercizio, infa i, aiuta a mantenere in forma sia noi sia il
nostro sistema immunitario.
Ancora non ne capiamo bene tu i i motivi, ma sono sempre più
numerosi i dati che indicano che l’a ività fisica moderata è collegata
a parametri immunologici migliori. Questo significa riduzione del
rischio di mala ie (infiammatorie, cardiovascolari, diabete, cancro)
ma anche miglior recupero da esse.
In altre parole, l’esercizio fisico svolge un’azione di regolazione
del sistema immunitario. Per questo un’a ività moderata e regolare
come camminare a lungo, correre oppure andare in palestra alcune
volte alla se imana – che io riassumo nella formula: 30 minuti di
esercizio al giorno – a lungo termine può proteggere contro
l’insorgenza di mala ie.
Nel 2016 a Ginevra, nella sede dell’Organizzazione mondiale
della Sanità, sono rimasto colpito da una scri a sulle scale che
invitava, appunto, a salirle a piedi. Successivamente ho ritrovato una
scri a analoga nella metropolitana di Brescia. A volte, in effe i,
basta davvero poco: l’esercizio fisico è l’intervento di stile di vita a
più basso costo che possiamo effe uare.
Quali sono i meccanismi alla base di questa protezione? Li stiamo
iniziando a comprendere.
L’a ività fisica è un fa ore di rischio di danno ai tessuti. Per
questo, mentre la svolgiamo, il nostro sistema immunitario produce
freni della risposta infiammatoria: un po’ come se si esercitasse a
bloccare gli acceleratori dell’infiammazione.
È forse proprio questo il motivo per cui, al contrario, lo stress
fisico estremo sopprime il sistema immunitario: oltre un certo limite
di a ività, le funzioni di difesa dell’organismo tendono a diminuire
anziché ad aumentare. In questo caso, i microtraumi causati ai
tessuti dall’esercizio a ivano i freni oltre i limiti del fisiologico: così,
a causa dei lunghi allenamenti, gli atleti professionisti – anche se
molto giovani – spesso risultano più sensibili, per esempio, alle
infezioni delle prime vie respiratorie.

LOTTA ALL’ALCOL

Nel 2018 un importante studio (Global Burden of Disease Study)


sugli effe i dell’alcol – il più estensivo mai effe uato, condo o in 195
paesi fra il 1990 e il 2016 – ha dimostrato chiaramente i danni globali
di questa sostanza. 14
Nel 2016 il consumo di alcol costituiva la più grave causa di morte
prematura e disabilità fra i 15 e i 49 anni, e il se imo fa ore di
rischio sia di morte prematura (con 2,8 milioni di decessi, in
maggioranza maschi) sia di perdita di salute.
Lo studio spazza via ogni dubbio sul fa o che ci sia una soglia di
consumo al di so o del quale l’alcol non fa male o, al contrario,
addiri ura farebbe bene. Il livello di consumo di alcol che rende
minimo il rischio di danno alla salute è zero.
L’alcol è responsabile di oltre 60 mala ie, fra cui quelle
cardiovascolari, diversi tumori (per esempio mammella e fegato),
tubercolosi, diabete, patologie infiammatorie. È, dunque, una piaga
globale che si traduce in oltre 490.000 decessi all’anno per mala ie
epatiche, dalla cirrosi al cancro del fegato.
Ma in che modo questa sostanza agisce, al di là degli aspe i
comportamentali? A raverso meccanismi perlopiù di tipo
infiammatorio: provoca danno ai tessuti, che mandano un segnale di
allarme al nostro sistema immunitario; si scatena così una risposta
infiammatoria fuori controllo, che a sua volta è causa di danno ai
tessuti. Questa infiammazione fuori controllo, sostenuta dai
macrofagi, è causa – o concausa – di mala ie apparentemente molto
diverse, dai tumori alle patologie cardiovascolari.
Di fronte a noi abbiamo quindi una ba aglia culturale
importantissima da comba ere: contro il consumo di alcol – ahimè –
sempre più diffuso anche nel nostro paese. Più in generale, contro gli
eccessi e contro le droghe, illegali e non solo. Non possiamo
dimenticare, infa i, che l’alcol crea dipendenza fisica: come tale, è
una vera e propria droga. Una delle due al momento legalizzate nel
nostro paese, insieme al fumo di tabacco. Il che ci porta dire amente
al punto successivo.

NON FUMIAMOCI LA VITA!

Anche la nicotina crea dipendenza, proprio come l’alcol e le droghe.


Ecco perché non fumare è fondamentale per la nostra salute.
Il fumo – di sigare a e non solo – costituisce un vero flagello dal
punto di vista della salute globale. Su tre fumatori, uno morirà per
cause legate al fumo. Quando fumiamo, infa i, causiamo al nostro
organismo un duplice danno: da una parte introduciamo sostanze in
grado di causare cancro (carcinogeni che provocano mutazioni nel
DNA ), dall’altra induciamo uno stato infiammatorio che promuove lo
sviluppo del tumore o di altre gravi mala ie: respiratorie, come la
BPCO (broncopneumopatia cronica ostru iva), patologia
infiammatoria cronica del polmone, ma anche mala ie
cardiovascolari, cancro e degenerazione del sistema nervoso
centrale. Abbiamo visto nel capitolo dedicato al cancro come il
tumore del polmone, uno dei più pericolosi killer del nostro tempo,
senza il fumo sarebbe una mala ia rara: è associato a una risposta
infiammatoria per cui i pazienti prima sviluppano un’infiammazione
cronica del polmone e successivamente il cancro.
Negli ultimi anni ci siamo confrontati con una variante del fumo
di sigare a, il vaping. Da alcuni è stato visto inizialmente in modo
positivo, come uno strumento per sme ere di fumare.
Personalmente l’ho sempre considerato rischioso, e purtroppo oggi i
dati mi danno ragione. I 38 morti menzionati all’inizio del capitolo
sono solo la punta dell’iceberg delle tantissime persone che hanno
avuto complicanze polmonari molto gravi, di natura infiammatoria,
indo e dal vaping.
Non sappiamo bene perché questo accada, se sia a causa degli
additivi o della nicotina stessa inalata in modo cronico assieme
appunto agli additivi. La nicotina, di per sé, causa danno
cardiovascolare. Qualunque sia il meccanismo di base, tu avia, il
motivo di grandissima preoccupazione è legato al fa o che oggi
questo strumento viene reso da una parte più pericoloso – favorendo
il rapido assorbimento di nicotina che (ricordiamolo!) crea
dipendenza molto velocemente – e dall’altra parte sempre più
appetibile per le nuove generazioni con la vendita di ordigni dai
sapori graditi agli adolescenti, quali menta, vaniglia e così via. In
buona sostanza, rivedo con orrore il film di quanto accaduto nel
vecchio millennio con il fumo di sigare a, a opera di quelli che, più
che semplici produ ori, considero veri e propri mercanti di morte.
Per il nostro bene, dunque, zero sigare e, reali ed ele roniche. Ma
non solo. Anche l’uso della marijuana e dei suoi derivati va evitato,
perché causa dipendenza e danni al sistema nervoso centrale, e in
qualche modo altera il sistema immunitario. Anche se, per lo meno
al momento, non vi è alcuna dimostrazione che sia carcinogeno. Una
review pubblicata nel 2014 sul «New England Journal of Medicine» 15
fa il punto sui danni causati da marijuana e cannabinoidi:
dipendenza, difficoltà nell’apprendimento, riduzione della memoria,
compromissione della coordinazione motoria, alterazione della
capacità di giudizio, frustrazione nel raggiungimento degli obie ivi
p g gg g g
nello studio o nel lavoro e in famiglia, aumentato rischio di patologia
psichiatrica, compromissione delle difese immunitarie polmonari.
Danni tanto più gravi se l’uso inizia nell’adolescenza: è bene saperlo,
ed è fondamentale farlo sapere.
Da medico immunologo, la mia preoccupazione rispe o alla
legalizzazione di questa droga è massima: il tetraidrocannabinolo,
uno dei principi a ivi della cannabis, ha effe i profondi sul sistema
immunitario. A iva cellule (una classe di frenatori di professione)
che sopprimono le risposte immunitarie, ed è questo, probabilmente,
il motivo per cui aumenta il rischio di infezioni. E ciò che più
spaventa è che – come accaduto per alcol e fumo di sigare a – solo a
distanza di decine di anni misureremo il prezzo in salute di un
aumento del consumo di cannabis inevitabilmente associato alla
legalizzazione. E a pagare saranno sopra u o i più fragili,
adolescenti e fasce povere della popolazione.

LA VITA SOCIALE

Nell’XI capitolo abbiamo visto come, nelle persone anziane,


condurre una vita più o meno sociale influisca sui parametri
immunologici e sullo stato infiammatorio subclinico che aumenta il
rischio di sviluppo di mala ie. Non ne comprendiamo fino in fondo
i motivi, ma probabilmente si tra a di uno degli effe i del dialogo
continuo fra sistema nervoso centrale e sistema immunitario, che
emergono in modo sempre più chiaro via via che approfondiamo le
nostre conoscenze.
Alcuni dati, addiri ura, mostrano una correlazione fra pratiche
quali la preghiera e la meditazione e una sopravvivenza più lunga
dei malati con cancro. Indipendentemente dalla fede religiosa, credo
che non si tra i di un evento miracoloso quanto, piu osto, del fru o
di un diverso a eggiamento psicologico nell’affrontare la mala ia. E,
di nuovo, della conferma di come il nostro stato psichico, il modo in
cui viviamo con noi stessi, dunque il nostro sistema nervoso centrale,
comunichi con il nostro sistema immunitario. Evidenze
epidemiologiche, dunque, dicono che questi aspe i della vita sociale
sono in qualche modo prote ivi.
La teoria dell’orologio epigenetico
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea. Quali sono i
«legami molecolari», ossia i meccanismi che me ono in relazione la
nostra salute e l’ambiente, gli stili di vita e le relazioni sociali?
In alcuni casi si tra a di meccanismi semplici, sostanzialmente
ben definiti. Per esempio, sappiamo bene – e lo abbiamo visto via via
– in che modo l’esposizione alle polveri crei danno ai nostri polmoni
e alla nostra salute in generale. O in che modo l’alcol o il fumo
nuocciano al nostro organismo.
In altri casi, invece, per esempio per l’alimentazione, non
conosciamo perfe amente i passaggi intermedi tra il consumo di
fru a e verdura fresche e gli effe i prote ivi sul nostro organismo.
Tu avia, sempre più sembra emergere un denominatore comune
costituito dalle modificazioni «epigenetiche», ossia i cambiamenti
accumulati nel corso del tempo nei meccanismi di controllo dei
nostri geni, per i motivi più svariati.
Gli studi in particolare di Steve Horvath (UCLA , Los Angeles)
me ono in relazione epigenetica e aspe ativa di vita. E dimostrano
che lo stato dei cambiamenti subiti dai geni (in gergo scientifico la
«metilazione» del DNA ) viene influenzato e addiri ura modificato
dal nostro stile di vita: dal mangiare o meno fru a e verdura fresche,
dal fare oppure no a ività fisica, dal fumare o non fumare, dal
condurre una vita sociale a iva o meno. Questo si rifle e
dire amente sul rischio di sviluppo di mala ie, dunque
sull’aspe ativa di vita.
Si tra a di una serie di dati davvero impressionanti, che
costituiscono un po’ la controprova scientifica, o enuta in
laboratorio utilizzando le tecnologie più avanzate, di quanto ci
hanno insegnato gli epidemiologi. Basti pensare a uno studio fra i
tanti che, nel 2016, ha messo in luce come fa ori di rischio legati allo
sviluppo di mala ie cardiovascolari, diabete e cancro, siano in realtà
anche predi ivi, globalmente, della probabilità di morire prima. 16 I
dati lasciano poco spazio ai dubbi: persone – indifferentemente
uomini o donne – longilinee, fisicamente a ive, che seguono una
dieta equilibrata e consumano alcol solo moderatamente hanno il 92
per cento di possibilità di essere vivi a 70 anni. Al contrario, chi è in
sovrappeso e segue stili di vita scorre i ha oltre il 60 per cento di
probabilità non solo di sviluppare mala ie croniche gravi, ma anche
di morire prima dei 70 anni. In altre parole, larghezza del girovita e
longevità sono fra loro inversamente proporzionali.
Gli studi di Horvath hanno portato recentemente alla
formulazione di una teoria complementare all’inflammaging:
l’epidemiologic clock. Nel nostro organismo c’è un vero e proprio
«orologio epigenetico», legato alle modificazioni dei nostri geni:
inizia a ba ere il tempo da quando nasciamo, e il punto in cui si
trova predice quanto tempo ci separa da eventi cardiovascolari o
tumori e, di riflesso, quanto ne abbiamo davanti a noi da vivere,
benché il margine di errore sulla durata della vita sia decisamente
ampio (5-6 anni).
Com’è possibile? Non dimentichiamo che le modificazioni subite
dai geni possono inficiare la loro capacità di svolgere corre amente
il proprio compito. Per questo esistono appositi (e differenti)
meccanismi di controllo. A livello sia del sistema immunitario, che
possiede veri e propri sensori delle alterazioni dei geni, sia degli
stessi geni: si tra a di meccanismi di regolazione a due livelli. Il
primo livello verifica la presenza o l’assenza di una variante di un
determinato gene, il secondo accerta che il gene sia pronto al suo
compito.
Per capire meglio, pensiamo ai nostri geni, per esempio quelli
dell’infiammazione, come fossero libri di una biblioteca (il DNA ):
innanzitu o dobbiamo controllare se un determinato libro c’è, poi
dobbiamo vedere se è già aperto su un tavolo, dunque pronto per
essere le o, oppure chiuso e magari riposto so o ad altri volumi. Più
il nostro libro è difficile da consultare, maggiore è la possibilità che
non venga le o.
La metilazione del DNA è un’indicazione di quanto i libri del
nostro DNA siano aperti o chiusi. E, dunque, di quante probabilità
abbiamo di ammalarci: più alterazioni epigenetiche accumuliamo,
infa i, più aumenta il nostro rischio di sviluppare patologie legate
all’infiammazione. Un algoritmo, GrimAge, viene studiato proprio
come predi ore del tempo che ci separa dalle mala ie.
Si tra a, per il momento, di una frontiera. Ma anche dell’ennesima
riprova del reale impa o sul miglioramento delle aspe ative di vita
da parte di elementi – astensione dal fumo, consumo di fru a e
verdura fresche ed esercizio fisico – che da tempo sappiamo essere
associati a una riduzione della risposta infiammatoria e a protezione
da cancro e mala ie cardiovascolari.
A una recente conferenza all’Accademia dei Lincei, lo stesso
Horvath si è chiesto come, per il futuro, di fronte a un’aspe ativa di
vita di 120 anni, si possa prolungare anche il tempo epigenetico.
Certamente l’ambiente, fisico e di relazione sociale, e gli stili di vita
possono in qualche modo fermare le lance e del nostro orologio
epigenetico. Ma sarà sufficiente? Ai posteri l’ardua sentenza!
Conclusione
La medicina del futuro

Prevedere il futuro è molto difficile, se non impossibile, in ogni


se ore, e la ricerca e la medicina non fanno certo eccezione.
Gli esempi di errate previsioni sono tanti e spesso clamorosi. Uno
su tu i: solo vent’anni fa, la stragrande maggioranza degli oncologi e
dei clinici impegnati nella cura del cancro non pensava che
l’immunologia e l’infiammazione potessero avere un ruolo dal punto
di vista terapeutico. Oggi, la visione è radicalmente cambiata, e la
realtà è molto diversa da quanto ci si immaginava: l’immunoterapia
ha affiancato con successo le altre armi a nostra disposizione contro
il cancro, e sta aprendo nuove speranze e prospe ive.
Cinquant’anni fa, allo sbarco del primo uomo sulla luna, tu i
pensavano a un futuro in cui la scienza e la tecnologia fossero rivolte
verso lo spazio, ossia «l’immensamente grande». Invece – e non
credo che il mio pensiero sia viziato dal mio amore per
l’immunologia! – la vera grande rivoluzione è venuta
«nell’immensamente piccolo», ossia nella biologia e nella medicina.
Provando dunque a guardare nella sfera di cristallo e a ipotizzare
il futuro della medicina, dobbiamo essere assolutamente coscienti
dei nostri limiti rispe o alle previsioni. Premesso questo, davanti a
noi quali orizzonti, frontiere e sfide si aprono?

I farmaci
Uno dei nostri obie ivi per gli anni a venire è lo sviluppo di nuovi
farmaci, ancora più efficaci e in grado di curare sempre più mala ie.
In questo se ore, una prima frontiera è costituita dalla messa a
punto di strumenti diversi per interferire con il sistema immunitario,
bloccando il suo fuoco quando non è necessario o, addiri ura, si
rivela dannoso. In altre parole, grandi sforzi sono tesi a realizzare
nuovi farmaci biologici capaci di frenare l’immunità.
Abbiamo visto come, bloccando le parole sbagliate (le citochine) e
i «codici di avviamento postale» che richiamano i soldati
responsabili del fuoco amico, la vita dei pazienti sia notevolmente
migliorata. È dunque ragionevole pensare che l’approfondimento
delle nostre conoscenze e la scoperta di nuove cellule e molecole
coinvolte possano darci ulteriori armi terapeutiche. Anticorpi contro
le citochine ma non solo. Dobbiamo prendere in considerazione
anche altre molecole, note ma non ancora utilizzate: per esempio IL-
37 , citochina con a ività immunosoppressiva della famiglia di
interleuchina-1. A lungo quasi dimenticata per via dei problemi di
instabilità con cui gli scienziati si scontravano, in questo momento è
ogge o di numerosi studi mirati a verificarne l’effe ivo potenziale.
Un altro orizzonte di conquista è costituito dallo sviluppo di
nuovi composti chimici semplici: i farmaci «tradizionali», che hanno
un basso costo. Storicamente quelli contro l’infiammazione, come
abbiamo visto nei capitoli precedenti, sono l’aspirina, il cortisone e
tanti altri che usiamo ogni giorno. Per lungo tempo la maggior parte
dei farmaci tradizionali è stata rivolta contro rece ori di membrana
oppure enzimi: si pensava infa i fosse difficile, se non impossibile,
che composti chimici semplici potessero bloccare le interazioni fra le
proteine, che sono molecole molto grandi. Oggi, tu avia, in un
contesto diverso – quello del cancro – per la prima volta si sta
utilizzando un farmaco tradizionale (ossia un composto chimico
semplice e non un farmaco biologico) che blocca interazioni fra le
proteine: interferisce con uno dei meccanismi, Bcl2, che fa sì che le
cellule tumorali non muoiano. Scoperto da Carlo Croce a Filadelfia
oltre trent’anni fa, Bcl2 fa in modo che le cellule di alcune leucemie
non muoiano come dovrebbero. E oggi siamo finalmente riusciti a
sviluppare un farmaco che inibisce Bcl2, a ivo contro alcune
leucemie. La visione, dunque, sta cambiando. Si apre la possibilità di
sviluppare farmaci che agiscano su meccanismi genetici ed
epigenetici.
Anche lo stesso DNA , di cui conosciamo la sequenza, costituisce
un’ulteriore frontiera dal punto di vista dello sviluppo di strategie
terapeutiche. Non possiamo infa i dimenticare che, in biologia e in
medicina, c’è un grande «buco nero»: non conosciamo la funzione di
circa il 30 per cento delle proteine codificate nel genoma. L’universo
sconosciuto del genoma è stato chiamato «ignoroma». Sulla base
della sequenza di questo mondo di molecole dalla funzione a noi
ancora sconosciuta, si è ipotizzato che ve ne siano molte druggable,
ossia possibili bersagli di intervento farmacologico. 1 Ragionevole,
dunque, pensare che ne possano esistere anche per il controllo
dell’infiammazione.
Un’altra speranza per il futuro è costituita dai meccanismi di
riparazione, che abbiamo visto essere fondamentali nella risposta
infiammatoria. In un orizzonte di medicina rigenerativa,
promuovere la riparazione costituisce una delle frontiere, già reali
grazie all’uso di nuove matrici che favoriscono la cura dei tessuti
dopo una risposta infiammatoria incontrollata: cellule
ingegnerizzate – macrofagi appropriatamente istruiti – protagonisti
nell’orchestrare la riparazione. 2 Così, se ora utilizziamo stampanti 3D
per sostituire un bronco in una fase transitoria, possiamo
immaginare un futuro in cui saremo in grado di stampare in 3D
matrici artificiali, magari con proteine naturali, in grado di riparare i
tessuti. Per esempio, in caso di lesioni associate a mala ie come il
diabete, per scongiurare il cosidde o «piede diabetico», che spesso
rende necessaria l’amputazione dell’arto.
In questo contesto non possiamo non considerare anche le cellule
staminali. Un pioniere del se ore è Giulio Cossu, oggi docente nel
Regno Unito, i cui studi si concentrano in particolare sullo sviluppo
di terapie cellulari per alcune distrofie. 3

Altre strategie terapeutiche e preventive


Anche l’intervento terapeutico precoce rappresenta un orizzonte
tu o da esplorare e da conquistare. Davanti a noi inizia ad affacciarsi
la cosidde a interception, a metà fra la prevenzione e la terapia:
interventi che si effe uano quando la patologia è già presente o ad
altissimo rischio di svilupparsi, ma clinicamente invisibile.
È il caso di alcune mala ie autoimmuni. Nel diabete di tipo 1, per
esempio, la diagnosi solitamente viene effe uata quando il paziente
ha già perso la stragrande maggioranza delle cellule che producono
l’insulina (cellule beta pancreatiche) e si è dunque innescata una
situazione irreversibile, che può essere tenuta so o controllo ma non
guarita. Negli anni Novanta, in modelli preclinici, Jean-François
Bach e Lucienne Chatenoud avevano dimostrato che è possibile
bloccare lo sviluppo di diabete di tipo 1 eliminando le cellule T del
sistema immunitario, responsabili della distruzione delle cellule beta
pancreatiche. Per verificare se questa strategia fosse utile in clinica, ci
si è basati su un anticorpo monoclonale dire o contro una stru ura
(CD3 ) presente solo su quelle cellule, generato in origine da Jeff
Bluestone all’Università della California per studi di immunologia
fondamentale. Su questa base, a ualmente, in pazienti ad altissimo
rischio di sviluppare diabete di tipo 1, per esempio per motivi
genetici, sono in corso studi mirati a bloccare le cellule T, così da
riuscire a fermare la progressione del danno prima che arrivi,
appunto, a causare la mala ia. Per la prima volta esiste la prova di
principio che questa strategia possa funzionare, e che sia perciò
possibile interferire con il processo di sviluppo del diabete di tipo 1. 4
Questi risultati potrebbero aprire prospe ive nuove per bloccare
l’insorgenza di mala ie autoimmuni in sogge i ad alto rischio per
motivi genetici: un passo straordinario in una prospe iva di
medicina personalizzata.
Stiamo assistendo infa i a un cambiamento generale che va nella
direzione di una medicina cosidde a «personalizzata» o «di
precisione», ossia in grado di dare al singolo paziente la terapia più
ada a per la sua specifica mala ia. Ci aspe iamo, dunque, un futuro
in cui le terapie immunosoppressive e antinfiammatorie siano basate
sull’inquadramento dell’asse o genetico di ciascuno, del mondo
microbico che lo accompagna (microbioma) e del suo stile di vita.
Così come è già avvenuto in oncologia, dove non esistono più
mala ie «uniche» come «il tumore del polmone» o «la leucemia»,
tanto per fare due esempi. Esistono invece varie leucemie e diversi
tumori del polmone, cara erizzati da alterazioni genetiche differenti.
Ed è proprio l’identificazione dell’alterazione genetica a guidare la
strategia terapeutica.
Purtroppo a questa realtà, complessa e ancora in divenire, si
accompagna la propaganda di facili sensazionalismi e false illusioni:
una su tu e, la pretesa di definire il microbioma e, su questa base, di
definire diete che affrontano problemi diversi e mirati. Ancora i
tempi non sono affa o maturi, dunque diffidiamo di facili promesse
di salute al momento prive di qualsiasi fondamento scientifico.
All’orizzonte ci sono sviluppi basati sull’inquadramento
dell’asse o genetico anche nel se ore dell’immunità e
dell’infiammazione: alla Queen Mary University di Londra
Costantino Pi alis, con sperimentazioni cliniche rigorose, sta
cercando di «scomporre» l’artrite reumatoide – punta di diamante
dello sviluppo di terapie innovative nel se ore dell’autoimmunità –
in mala ie diverse, sulla base dell’asse o e della cara erizzazione
dei profili genetici, con l’obie ivo di disegnare terapie mirate
definite sulle cara eristiche molecolari e cellulari della mala ia del
singolo paziente. Lungo questa stessa linea, il lavoro condo o in
Humanitas da Antonio Costanzo ha mostrato come, in alcuni casi di
artrite psoriasica, basandosi sulla genetica si possano utilizzare o
meno determinati approcci terapeutici.
Un’ulteriore frontiera – che certamente potrebbe essere risolutiva
ma che, onestamente, al momento appare purtroppo ancora molto
lontana – è costituita dalla rieducazione del sistema immunitario, in
modo che impari a utilizzare i freni e a colpire i bersagli giusti.
Sarebbe l’unico modo, questo, per agire alla base dell’autoimmunità,
correggendola.
Al momento non si vede all’orizzonte una strada per farlo nel
timo, dove i linfociti vengono naturalmente addestrati a compiere il
loro dovere. Tu avia, esistono speranze legate allo studio e allo
sfru amento terapeutico delle cellule T regolatorie, che come
abbiamo visto sono specializzate nel sopprimere le risposte
inappropriate.
Parlando del diabete di tipo 1 abbiamo de o che l’eliminazione di
parte delle cellule T sembra dare grande beneficio in sogge i
geneticamente a rischio. Questa prima prova di principio, se
confermata ed estesa ad altre patologie, potrebbe diventare una
strategia di reingegnerizzazione del sistema immunitario,
eliminando i soldati corro i dalle centrali di comando. Sarebbe una
grande promessa per il futuro.
Del resto, in generale le terapie cellulari costituiscono una
frontiera importante. Pensiamo alle CAR-T nel se ore oncologico, che
oggi utilizziamo con successo nelle leucemie del bambino e in alcuni
linfomi dell’adulto: i linfociti T vengono prelevati e ingegnerizzati,
ossia fa i crescere in vitro e modificati, armandoli contro i tumori
per poi reinfonderli nei pazienti come una vera e propria truppa
d’assalto.
Per il futuro, possiamo pensare a una strategia analoga per le
mala ie autoimmuni e autoinfiammatorie: terapie cellulari basate su
quelli che abbiamo visto essere i «frenatori professionisti» del
sistema immunitario, le cellule T regolatorie e le cellule mieloidi
soppressive. Al momento non esistono terapie cellulari di questo
tipo in uso clinico e neppure in sperimentazione, perché non siamo
ancora in grado di far crescere in vitro queste cellule. La strada
dunque appare lunga, ma la direzione sembra giusta:
potenzialmente, rime ere in cabina di comando chi è professionista
nell’usare i freni potrebbe costituire una svolta importante per le
mala ie autoimmuni. Da molto tempo isolare cellule soppressive di
vario tipo, farle crescere e reinfonderle nei pazienti con
autoimmunità costituisce un sogno per gli immunologi: e a volte,
come abbiamo visto, i sogni perseguiti tenacemente si avverano! La
sfida, dunque, è più aperta che mai.
Infine, credo che una delle terre di conquista per il futuro sia la
definizione delle basi molecolari del rapporto fra sistema nervoso
centrale e sistema immunitario. Da tempo l’osservazione clinica ne
ha mostrato l’importanza per la manifestazione delle mala ie
infiammatorie, ed è ragionevole pensare che questo costituisca una
frontiera dal punto di vista non solo della ricerca, ma anche e
sopra u o dell’applicazione clinica.

Evoluzione o rivoluzione? Intelligenza artificiale e «disease


trajectory»
Parlando di frontiere, non si può non constatare che la ricerca in
generale, e in particolare in immunologia, sta cambiando in modo
radicale: oggi la tecnologia ci perme e di sezionare il sistema
immunitario a livello di singole cellule. È un po’ come se stessimo
ridisegnando la mappa del sistema immunitario: la cartina
geografica che prima vedevamo a livello di grandi ci à, ora
riusciamo a osservarla a livello del metro quadrato. Questo ci sta
perme endo di scoprire non solo nuove popolazioni cellulari, ma
anche alterazioni e cambiamenti sconosciuti del sistema
immunitario, in condizioni sia normali sia di mala ia. La
complessità e la massa di dati che emerge da tali analisi, effe uate a
livello genetico, delle proteine prodo e, del metabolismo, sono
affrontabili solo con approcci di intelligenza artificiale, data sciences,
machine e deep learning. Le ipotesi, dunque, non vengono più
formulate soltanto dalla mente del medico e dello scienziato, ma
anche dalle macchine. Per la ricerca scientifica si tra a di una vera e
propria rivoluzione.
È dunque ragionevole aspe arsi – in parte è già accaduto e sta
succedendo – che gli approcci di artificial intelligence abbiano un forte
impa o in medicina, in se ori diversi: lo vedo quotidianamente
nell’ospedale Humanitas di Rozzano (Milano), dalla diagnostica alla
terapia intensiva. Per affrontare il grave problema della sepsi, per
esempio, Maurizio Cecconi sta utilizzando e sperimentando in
protocolli clinici l’intelligenza artificiale a servizio dei pazienti. Lo
stesso accade nel Dipartimento di diagnostica per immagini, dove la
rivoluzione sta avvenendo a livello sia di tecniche radiografiche sia
di procedure in cui l’occhio del clinico fa la diagnosi: pensiamo ai
se ori delle mala ie cutanee o della colonscopia, oggi aiutati da
approcci di intelligenza artificiale. 5
Un altro grande cambiamento che è ragionevole aspe arsi dal
futuro riguarda la visione delle mala ie. Pensiamo al lavoro
innovativo del danese Søren Brunak, che ha condo o sforzi
pionieristici di machine learning in medicina e ora sta effe uando
approfondite analisi di big data, incrociando le tecniche più
sofisticate delle scienze cosidde e «omiche» (ossia le discipline
biomolecolari che presentano il suffisso -omica, come genomica,
proteomica, metabolomica, ecc.), la disponibilità di dati del Servizio
sanitario danese e aspe i di tipo sociale (economico, di istruzione, e
così via).
Gli approcci di intelligenza artificiale ci perme ono di osservare
in modo de agliato e complessivo quello che un tempo si vedeva
solo in modo frammentario. Ne sta emergendo una visione analoga
al conce o di «marcia allergica» descri a nel capitolo sulle allergie: è
la cosidde a disease trajectory, «traie oria di mala ia». L’a enzione
non si focalizza più sulla singola e specifica patologia, bensì
sull’individuo con la sua storia naturale, dunque con le varie
mala ie che sviluppa. 6 La sfida è vedere, nella traie oria di mala ia
che cara erizza una persona, se e in quale modo interventi
terapeutici, stile di vita e ambiente modificano non solo la singola
mala ia, ma complessivamente le diverse patologie che insorgono
nel tempo.

Ritorno al futuro
Davanti a noi si aprono dunque nuove prospe ive, opportunità
diagnostiche e terapeutiche, cambiamenti di paradigmi generali. Ci
aspe ano tecnologie più avanzate, dalle quali ci auguriamo di saper
trarre sempre maggiori vantaggi, così da realizzare i sogni a lungo
inseguiti ma ancora lontani: primo fra tu i, quello di rieducare il
sistema immunitario. Certamente, però, in questo scenario non
possiamo dimenticare i fondamentali del progresso delle scienze: i
dati.
Una review di Majid Ezzati ed Elio Riboli ci ricorda che, su 55
milioni di morti ogni anno, 36 sono a ribuibili a fa ori di rischio
modificabili. 7 Oltre 2 miliardi di persone sono in sovrappeso o
obese, nonostante questo sia un accertato fa ore di rischio per
l’insorgenza di mala ie infiammatorie e cancro. Troppe poche
persone fanno esercizio fisico, nonostante riduca del 60 per cento il
rischio di sovrappeso. E troppe persone continuano a fumare – e di
recente al fumo si è aggiunto il vaping, che come abbiamo visto è
tu ’altro che innocuo –, nonostante sia dimostrato che, senza questa
dannosa abitudine, il tumore del polmone sarebbe una mala ia rara.
Guardando al futuro, dunque, dobbiamo tenere ben presenti
questi dati, e partire proprio da qui: il cardine per fermare l’incendio
del nostro «fuoco interiore» resta la prevenzione, a livello ambientale
e di stile di vita. Per dirla come gli antichi romani: faber est suae
quisque fortunae, 8 ciascuno è artefice della propria sorte. La nostra
salute, almeno in parte, è nelle mani di ognuno di noi.
Glossario
Le parole dell’infiammazione e dell’immunità

Allergene : sostanza estranea (antigene, v.) che causa allergia (v.). I diversi tipi di polline e
la polvere di casa sono gli allergeni più comuni.

Allergia : reazione eccessiva delle difese immunitarie a un conta o con sostanze estranee
(allergeni).

Anafilassi : reazione allergica estrema e molto grave. Si verifica dopo il conta o con un
allergene (v.) in un sogge o già sensibilizzato. L’anafilassi non si verifica mai al primo
conta o con l’allergene specifico. V. anche shock anafila ico.

Anticorpo : prodo o dai linfociti B, è una proteina in grado di combinarsi con il


corrispondente antigene. Chiamati anche immunoglobuline (v.), gli anticorpi sono
presenti sulla superficie delle cellule B e nel sangue. Ne esistono cinque differenti classi,
ognuna con cara eristiche specifiche: IgA, IgD, IgE, IgG e IgM.

Anticorpi monoclonali (mAb) : anticorpi dotati di grande specificità (ossia in grado di


legarsi a uno e un solo antigene) e fra loro identici, in quanto prodo i da un solo tipo di
cellula immunitaria, uno specifico linfocita B.

Antigene : sostanza capace di provocare una reazione immunitaria specifica, per esempio
stimolando la produzione di anticorpi (v.). L’organismo può entrare in conta o con un
antigene in diversi modi: inalazione (pollini), ingestione (alimenti), iniezione (puntura di
inse o) o conta o. Gli antigeni vengono inoltre introdo i nell’organismo per mezzo di
iniezioni so ocutanee, trasfusioni e trapianti.

Apoptosi : processo naturale di morte programmata di una cellula, geneticamente


controllato. Le cellule che vanno incontro ad apoptosi vengono eliminate dall’organismo
senza che arrechino danni ai tessuti.

Artrite : mala ia autoimmune (v.) cara erizzata da infiammazione delle articolazioni,


dolore, gonfiore e funzioni articolari limitate. Può indurre deformazioni nelle
articolazioni.
Autoimmunità : reazione del sistema immunitario contro i componenti dell’organismo
stesso (self, v.). È alla base dello sviluppo delle mala ie autoimmuni (v.), fra cui artrite
reumatoide, lupus eritematoso sistemico, sclerosi multipla.

B (linfociti B o cellule B) : cellule del sistema immunitario, linfociti (v.) che producono
anticorpi.

Basofili : globuli bianchi associati perlopiù alle risposte a parassiti come i vermi intestinali
e alle allergie. Rilasciando sostanze chimiche, mediano le risposte allergiche e
infiammatorie.

Ba erio (o ba ere) : microrganismo in grado di riprodursi autonomamente e di vivere in


tu i gli ambienti (terra, acqua, aria), nell’uomo, negli altri esseri viventi e negli alimenti.
Nell’uomo, alcuni ba eri come quelli della flora intestinale (v.) sono indispensabili al
corre o funzionamento dell’organismo, altri invece possono causare mala ie (patogeni,
v.).

Cellula dendritica : cellula del sistema immunitario, appartenente alla famiglia dei globuli
bianchi. È una sorta di «sentinella» dell’immunità: in presenza di un patogeno (v.) a iva
la risposta immunitaria specifica dei linfociti T e B. Deve il suo nome alle braccia di cui è
dotata, che assomigliano ai rami di un albero (dal greco déndron, albero).

Cellula NK : cellula del sistema immunitario de a Natural Killer, linfocita naturalmente


capace di uccidere.

Cellule T regolatorie : particolari linfociti T (v.) che inibiscono le risposte immunitarie.

Checkpoints : «freni» molecolari del sistema immunitario, precisi segnali di stop che gli
consentono di rallentare e, quando necessario, fermare la propria azione.

Chemochine : una delle famiglie delle citochine (v.). Hanno un ruolo fondamentale nella
risposta immunitaria e sono deputate alla regolazione del «traffico» di alcune cellule del
sistema immunitario, come i globuli bianchi.

Cirrosi biliare primitiva : mala ia autoimmune (v.), causata dall’a acco del sistema
immunitario ai do i biliari che conducono la bile dal fegato all’intestino tenue:
l’accumulo di bile danneggia il tessuto epatico.

Citochine : «parole molecolari», ovvero molecole che costituiscono i meccanismi di


comunicazione all’interno del sistema immunitario e fra questo e altre cellule e organi
(cervello, vasi, ecc.). Sono classificate in so opopolazioni differenti, fra cui emopoietine
(cui appartengono fa ori di crescita, v., come l’eritropoietina e diverse interleuchine),
fa ori di necrosi tumorale (TNF , v.), interferoni (v.), interleuchine (v.) e chemochine (v.).

Cromosoma : piccolissimo corpo contenuto nel nucleo delle cellule e costituito da DNA (v.)
e proteine.

DNA : sigla che indica l’acido desossiribonucleico, costituente dei cromosomi (v.). Presiede
alla conservazione, alla trasmissione e all’espressione dei geni. È formato da una doppia
elica costituita da due filamenti avvolti a spirale.

Endotelio : tessuto costituito da cellule de e «endoteliali», forma il rivestimento interno


delle pareti del cuore, dei vasi sanguigni e linfatici.

Eosinofili : globuli bianchi specializzati nella resistenza contro parassiti, tra cui i vermi
intestinali, e associati alle mala ie allergiche.

Epatite autoimmune : mala ia cronica cara erizzata da infiammazione del fegato. È


causata da linfociti o anticorpi che, in assenza di agenti esterni, a accano le cellule
epatiche.

Epigenetica : l’insieme delle modificazioni del DNA (v.) o delle proteine che a questo si
associano (gli istoni), che regolano l’espressione dell’informazione contenuta nei geni (v.).

Fagocita : cellula del sistema immunitario in grado le eralmente di mangiare i patogeni


inglobandoli al proprio interno (a raverso un procedimento chiamato «fagocitosi»).

Farmaci biologici : proteine complesse prodo e in laboratorio con tecniche di ingegneria


genetica, proge ate per intervenire su uno specifico rece ore (v.). Si definiscono
«biologici» perché il loro principio a ivo proviene da una fonte biologica, per esempio le
cellule. I farmaci biologici (anticorpi, citochine come gli interferoni e rece ori solubili)
vengono utilizzati nella terapia del cancro, delle mala ie reumatologiche e autoimmuni.

Fa ori di crescita : proteine che regolano funzioni cellulari come la proliferazione, la


crescita, il differenziamento. I fa ori di crescita delle cellule del sangue (Colony-
Stimulating Factors, CSF ) sono particolarmente importanti e utilizzati in ambito clinico: fra
questi, alcune interleuchine (v.) e l’eritropoietina.

Flora ba erica : insieme di ba eri «buoni», ossia non nocivi, che aiutano la maturazione
del sistema immunitario e i processi di digestione degli alimenti. La flora ba erica è
presente in diverse parti dell’organismo: intestino, albero respiratorio, pelle.
Gene : unità del genoma (v.) localizzata in una particolare posizione di un cromosoma (v.),
porta e trasme e i cara eri ereditari. I geni possono essere sogge i a mutazioni
spontanee o dovute a virus, sostanze chimiche o agenti fisici.

Genoma : l’insieme dei geni (v.) che cara erizza ogni individuo. Il genoma rappresenta il
DNA (v.) specifico di ciascuna specie (il genoma umano, per esempio).

Ghiandole endocrine (o a secrezione interna) : ghiandole che secernono ormoni. Devono il


loro nome (dal greco èndon, dentro, e krino, secernere) al fa o che riversano quanto
producono all’interno del sistema circolatorio.

Globuli bianchi : cellule del sistema immunitario. Definiti anche «leucociti», hanno il
compito di difendere l’organismo. Vengono classificati in sei diverse tipologie, ciascuna
con una specifica funzione: eosinofili, basofili, neutrofili, monociti, linfociti e cellule
dendritiche (v.).

Glomerulonefrite : mala ia autoimmune (v.) che colpisce i reni.

Immunità : capacità di resistere ai microrganismi patogeni (v.). Può essere innata o


acquisita.

– L’immunità innata è la prima linea di difesa contro le infezioni, ed è il fondamento del


sistema immunitario: per difenderci dagli agenti patogeni e riparare il danno da loro
causato, il nostro corpo scatena una risposta infiammatoria.

– L’immunità acquisita (o ada ativa o specifica) è cara erizzata da specificità e memoria.


La specificità le perme e di riconoscere un determinato agente estraneo ma non altri. La
memoria le consente di ricordare i patogeni – o i vaccini – con cui viene in conta o.

Immunizzazione : processo grazie al quale un organismo acquisisce uno stato di immunità


(v.) contro un determinato antigene (v.).

Immunodeficienza : stato di riduzione della capacità del sistema immunitario che rende
l’organismo particolarmente esposto a varie infezioni. Può essere causata da un dife o
genetico o da terapie immunosoppressive, per esempio quelle per la cura dei tumori.

Immunoglobuline : altro nome degli anticorpi (v.). Sono classificate in 5 differenti tipologie,
ciascuna delle quali è cara erizzata da una specifica funzione:

– IgE, o immunoglobuline di tipo E, coinvolte nella risposta ai parassiti (per esempio i


vermi) e nell’allergia;
– IgA, o immunoglobuline di tipo A, importanti per la difesa delle mucose (bronchi e
polmoni, intestino);

– IgM, o immunoglobuline di tipo M, che intervengono per prime al conta o con un


nuovo agente estraneo;

– IgG, o immunoglobuline di tipo G, che entrano in azione più tardi, quando si è già
verificato un incontro precedente con l’antigene;

– IgD, o immunoglobuline di tipo D, il cui ruolo non è ancora stato del tu o chiarito.

Immunosoppressione : riduzione o eliminazione, indo a da agenti chimici o fisici, delle


risposte immunitarie.

Immunoterapia : terapia basata sull’utilizzo di armi del sistema immunitario che agiscono
per amplificare o sopprimere le risposte immunitarie.

Infiammazione : risposta alla presenza di agenti patogeni e di un danno di varia natura


(chimica, fisica o biologica) al tessuto. È la manifestazione dell’immunità innata. Ha
l’obie ivo di eliminare la causa del danno, riparare i tessuti lesionati e ripristinare le
normali funzioni dell’organismo. È cara erizzata da un complesso sistema di reazioni
(reclutamento dei globuli bianchi, produzione di mediatori dell’infiammazione,
vasodilatazione) che induce la zona interessata a scaldarsi, arrossarsi e gonfiarsi.

Interferoni : citochine prodo e dalle cellule colpite dai virus, per resistere alla loro
invasione. Si conoscono diversi tipi di interferoni: alfa, beta e gamma, a loro volta divisi
in interferoni di tipo I e di tipo II.

Interleuchine : piccole molecole appartenenti alle citochine (v.). Vengono prodo e dai
leucociti (v.), anche in seguito a infezioni ba eriche o in presenza di Tumor Necrosis Factor
(TNF , v.).

Leucociti : altro nome dei globuli bianchi (v.).

Linfociti : cellule del sistema immunitario, globuli bianchi che costituiscono il cuore delle
risposte immuni specifiche. Si distinguono in B e T.

– I linfociti B, o cellule B, producono gli anticorpi, armi specifiche di difesa che si legano
all’antigene aiutando il sistema immunitario a distruggerlo.

– I linfociti T, o cellule T (v. anche T, linfociti), sono a loro volta divisi in:
linfociti T helper (CD4 ), che dirigono l’azione di varie cellule
dell’immunità (linfociti B, T, macrofagi) e stimolano i linfociti B
a produrre anticorpi;
linfociti T citotossici (CD8 ), che sono capaci di uccidere altre
cellule.

Linfonodo : organo costituito principalmente da linfociti, de o perciò linfoide. La sua


archite ura facilita l’incontro dei diversi componenti dell’immunità e la loro funzione.
Oltre ai linfonodi, sono organi linfoidi anche milza e timo.

Lupus eritematoso sistemico (LES ) : mala ia autoimmune (v.) del tessuto conne ivo
(conne ivite), cara erizzata da manifestazioni eritematose cutanee (in particolare il
tipico rash a farfalla sul volto) e mucose. È una mala ia sistemica perché coinvolge quasi
tu i gli organi e apparati (cute, articolazioni, reni, sistema nervoso centrale…).

Macrofagi : cellule del sistema immunitario, globuli bianchi che, come i fagociti (v.),
inglobano e distruggono le particelle estranee a raverso il processo della fagocitosi.

Mala ie autoimmuni : mala ie cara erizzate da un’aggressione del sistema immunitario


contro i componenti dell’organismo stesso (self, v.), che non vengono riconosciuti come
parte di sé. Fra le più conosciute e diffuse l’artrite reumatoide (v.), il lupus eritematoso
sistemico (v.) e la sclerosi multipla. Le mala ie autoimmuni costituiscono il paradigma
della medicina di genere perché colpiscono in prevalenza le donne, e perlopiù in giovane
età. Il lupus, per esempio, colpisce il sesso femminile con frequenza di circa 9 volte
superiore rispe o al sesso maschile. Dati simili valgono anche per l’artrite reumatoide.

Mala ie infiammatorie intestinali : gruppo di patologie autoimmuni (v.) come mala ia di


Crohn e re ocolite ulcerosa, associate a infiammazione permanente dell’intestino. Sono
cara erizzate da sintomi quali dolore alla pancia e diarrea.

Mastociti : cellule prodo e dal midollo osseo e presenti in tu i i tessuti. A ivano risposte
infiammatorie e allergie liberando mediatori chimici, fra cui in particolare l’istamina.

Metastasi : localizzazione del tumore in organi diversi e distanti dalla sede primitiva di
origine. Le metastasi sono tipiche delle fasi più avanzate della progressione del cancro
che, crescendo, dall’organo in cui si è formato si diffonde anche in altre parti del corpo.
Lo sviluppo di metastasi si definisce «metastatizzazione».

MHC (Complesso maggiore di istocompatibilità) : acronimo di Major Histocompatibility


Complex. Insieme di geni che hanno un ruolo centrale nel meccanismo di difesa
immunitaria: perme ono al sistema immunitario di distinguere fra self (v.) e non-self (v.)
presentando, sulla superficie delle cellule, parti di antigeni (v.) che vengono riconosciuti
come tali dai linfociti T.

Microbioma : insieme dei microbi presenti in ogni ambiente, compreso il corpo umano. Nel
nostro organismo i ba eri che lo compongono si collocano in zone diverse. Per esempio
nell’intestino, dove svolgono numerose funzioni: difendono l’organismo dai patogeni,
contribuiscono alla regolazione dell’assorbimento dei nutrienti, della produzione di
vitamine e di energia e delle difese immunitarie.

Midollo osseo : tessuto ricco di nutrienti, presente sopra u o a livello del bacino. È il
luogo deputato alla produzione delle cellule del sangue (globuli rossi, bianchi, piastrine),
che vanno a sostituire quelle che terminano il loro ciclo vitale e muoiono.

Monociti : sono i globuli bianchi più grandi. Prodo i all’interno del midollo osseo (v.) e poi
immessi nel flusso sanguigno, raggiungono i tessuti in cui si rende necessario il loro
intervento. Qui aumentano di dimensioni, si differenziano e diventano macrofagi. I
monociti agiscono per esempio nella risposta ai parassiti (come i vermi intestinali), o in
caso di allergia tramite fagocitosi: inglobano e distruggono le particelle estranee.

Neutrofili : sono i globuli bianchi più presenti nel sangue. Vengono prodo i nel midollo
osseo e, come i monociti (v.) e i macrofagi (v.), inglobano e distruggono organismi
estranei. La loro azione si svolge perlopiù a livello del sangue, ma se necessario possono
migrare anche nei tessuti.

Non-self : diverso da se stesso (self, v.). Termine con cui si indicano genericamente gli
agenti estranei, nei confronti dei quali si a iva la risposta immunitaria dell’organismo.

Omeostasi : condizione di stabilità dell’organismo. Il sistema immunitario ha il compito di


mantenerla, anche a fronte del variare delle condizioni esterne.

Ormone : sostanza prodo a dalle ghiandole endocrine (v.) o da determinati tessuti, capace
di stimolare l’a ività fisiologica e regolare l’equilibrio di cellule o organi.

Patogeno : microrganismo di diversa natura (virus, ba erio o fungo) in grado di causare


una mala ia.

Plasmacellula : cellula che produce immunoglobuline. In plasmacellule si trasformano,


alla fine della loro vita, le cellule B (v.).

Probiotici : microrganismi vivi e a ivi, capaci di moltiplicarsi a livello dell’intestino e di


contribuire al mantenimento dell’equilibrio della flora ba erica (v.) intestinale. Vengono
spesso impiegati nella preparazione di alimenti (come alcuni tipi di yogurt) o di
integratori.

Psoriasi : mala ia autoimmune (v.) della pelle che si manifesta con la comparsa di macchie
rosse e squame che causano prurito e, a volte, dolore. Talvolta si associa ad artrite (v.)
(artrite psoriasica).

Rece ore : stru ura delle cellule deputata a riconoscere, con alta specificità, molecole
diverse e a trasme ere un segnale alle cellule.

Sclerodermia o sclerosi sistemica : mala ia autoimmune del tessuto conne ivo, che è
presente nei diversi tessuti dell’organismo. È cara erizzata da un ispessimento della
pelle provocato dall’accumulo di collagene e da lesioni di piccole arterie.

Sclerosi multipla (SM ) : mala ia autoimmune (v.) neurodegenerativa che colpisce il sistema
nervoso centrale causando un ampio spe ro di sintomi, legati all’entità e alla sede delle
lesioni. È de a «demielinizzante» perché l’infiammazione scatenata dal sistema
immunitario danneggia la mielina (guaina che circonda e isola le fibre nervose) e le
cellule specializzate nella sua produzione.

Self : se stesso, definizione con cui si indicano l’organismo e i suoi componenti. Il sistema
immunitario ha il compito di riconoscere self e non-self (v.), reagendo solo contro
quest’ultimo.

Sepsi : grave situazione clinica cara erizzata dalla presenza di microrganismi o parti di
microrganismi. Si associa generalmente allo shock se ico, cara erizzato da una risposta
infiammatoria sistemica fortissima che porta spesso alla morte.

Shock anafila ico : reazione sistemica che si manifesta in modo molto rapido e coinvolge
diversi organi e apparati. Può portare alla perdita di conoscenza.

Sistema immunitario : insieme di molecole e cellule che hanno il compito di difendere


l’organismo dai patogeni (v.) e di mantenerne l’omeostasi (v.).

T, linfociti, o cellule T : cellule del sistema immunitario, globuli bianchi che costituiscono il
cuore delle risposte immuni specifiche. V. anche linfociti.

T Cell Receptor (TCR ) : rece ore delle cellule (o linfociti) T, è la loro stru ura di
riconoscimento. Consente di individuare le particelle associate a MHC (v.).

Terapie cellulari : terapie basate su cellule del sistema immunitario che vengono prelevate
dai pazienti, fa e crescere nelle cosidde e «fabbriche di cellule», istruite a compiere una
determinata azione e poi reinfuse nei pazienti con un fine preciso (per esempio colpire
un bersaglio tumorale).

TNF : acronimo di Tumor Necrosis Factor, ossia fa ore di necrosi tumorale. È una citochina
che agisce contro il tumore in modi diversi: distrugge le cellule cancerose, stimola i
macrofagi (v.) a inglobarle per annientarle e danneggia le pareti dei vasi del tumore
facendogli perdere il nutrimento sanguigno di cui ha bisogno per continuare a crescere.

Tumore : dal latino tumor, «rigonfiamento». De o anche neoplasia, è una neoformazione di


tessuto costituita da cellule atipiche, ossia con un patrimonio genetico alterato, e
cara erizzata da una crescita incontrollata. I tumori posso essere:

– benigni: tendono a rimanere localizzati nell’organo in cui si formano, crescono


generalmente in modo lento e raramente sono pericolosi;

– maligni: possono invadere altri organi, anche distanti (metastasi, v.) e me ere in
pericolo la vita.

I tumori vengono classificati in base a differenti cara eristiche, principalmente:

– tipo istologico, a seconda del tessuto da cui hanno origine (tumori epiteliali,
mesenchimali, delle cellule del sangue o del tessuto nervoso);

– stadiazione (o classificazione TNM ), a seconda dello stato di avanzamento del tumore


maligno.

Vaccinazione : pratica di prevenzione delle mala ie infe ive a raverso l’immunizzazione,


ossia la stimolazione del sistema immunitario utilizzando uno o più antigeni.

Vaccino : preparazione utilizzata per indurre una risposta immunitaria. Il vaccino è


costituito da un microrganismo patogeno o da alcune sue parti o prodo i (come le
tossine), tra ati in modo da renderlo incapace di causare mala ia. Inoltre, contiene in
genere anche un adiuvante, ossia una sostanza in grado di stimolare maggiormente la
risposta immunitaria a un antigene (v.).

Vasculite : mala ia autoimmune (v.) che provoca infiammazione, ispessimento e


indebolimento delle pareti dei vasi sanguigni.

Virus : agente infe ivo di dimensioni piccolissime, non visibile con i normali microscopi
o ici. Può provocare mala ie nell’uomo replicandosi all’interno delle sue cellule. I virus
oncogeni causano cancro.
Note

Introduzione
1. Il termine inflammaging è stato coniato nel 2000 dall’italiano Claudio Franceschi, studioso
dei meccanismi dell’invecchiamento presso l’Università di Bologna.

I. L’infiammazione nella storia


1. Già il romano Celso, nel I secolo d.C., aveva descri o i qua ro sintomi tipici di una
reazione infiammatoria acuta: rubor, calor, tumor, dolor. Galeno aggiunse la perdita di
funzione (functio lesa).
2. La percezione che la corteccia del salice avesse proprietà medicinali è molto antica e
probabilmente già presente nelle civiltà sumera ed egiziana. Ippocrate, nel V secolo a.C.,
descrive la polvere della corteccia del salice come utile per controllare febbre e dolore.
3. L’a ribuzione della priorità della scoperta dell’aspirina è stata ogge o di aspra
discussione.

II. Un meccanismo di difesa


1. La parola «metabolismo» deriva dal greco e significa cambiamento, trasformazione. Il
metabolismo è l’insieme di tu i i processi biochimici che avvengono nel nostro
organismo e sono finalizzati a ricavare energia dagli alimenti, per lo svolgimento dei
processi vitali.

III. Gli a ori dell’infiammazione


1. A livello della regolazione dell’emostasi c’è una sorta di bilancia, scoperta dal ricercatore
italiano Carlo Patrono: le piastrine producono trombossano, una sostanza che le fa
aggregare, mentre le cellule endoteliali producono prostaciclina, un antiaggregante. Su
questa bilancia agisce la cosidde a «aspirine a», utilizzata per la prevenzione di mala ie
cardiovascolari.
2. Messe insieme, le cellule endoteliali costituiscono un enorme organo diffuso: in un uomo,
l’endotelio occupa una superficie delle dimensioni di un campo da calcio!
3. In questa scoperta, che risale alla metà degli anni O anta, hanno avuto un ruolo
fondamentale gli studi congiunti di Elisabe a Dejana, grande esperta di biologia
vascolare, e Alberto Mantovani: V. Rossi et al., Prostacyclin synthesis induced in vascular
cells by interleukin-1, in «Science», 229, 1985, pp. 174-76; E. Dejana, F. Breviario, G. Balconi,
V. Rossi, G. Remuzzi, G. De Gaetano e A. Mantovani, Stimulation of prostacyclin synthesis
in vascular cells by mononuclear cell products, in «Blood», 64, 1984, pp. 1280-83.
4. La ricerca italiana, in particolare Filippo Rossi a Verona, ha dato un contributo
fondamentale alla comprensione del meccanismo cellulare del «burst ossidativo».
5. Il nome «chemochine» deriva da chemotactic cytokines, ossia citochine chemota iche.
6. La scoperta dei geni Toll è stata pubblicata su «Nature» nel 1980. Per le ricerche sul
controllo genetico dello sviluppo embrionale, nel 1995 Christiane Nüsslein-Volhard,
assieme a Eric Wieschaus e Edward B. Lewis, è stata insignita del premio Nobel per la
medicina e la fisiologia.
7. Per la scoperta del ruolo dei Toll-like receptors nell’immunità e nell’infiammazione, Bruce
Beutler è stato insignito del premio Nobel nel 2011, insieme a Jules Hoffmann.
8. Oswald Theodore Avery ha speso la maggior parte della sua carriera al Rockefeller
Institute di New York: è stato un precursore che ha aperto la strada alla biologia
molecolare e un pioniere nel campo dell’immunologia. Nel 1943, insieme ai colleghi
Colin MacLeod e Maclyn McCarty, interrogandosi sul perché lo pneumococco fosse, nei
pazienti, più o meno virulento, dimostrò indiscutibilmente che era il DNA il portatore di
informazioni genetiche: oggi ci sembra scontato, ma all’epoca prevaleva la teoria che
l’informazione genetica venisse trasmessa dalle proteine. La scoperta di Avery è stata
dunque fondamentale per l’avanzamento delle conoscenze nel campo della genetica e
della biologia molecolare.
9. Identificata nel 1930 da William S. Tille e Thomas Francis jr nel siero di pazienti affe i
da polmonite da pneumococco, la proteina C-rea iva deve il suo nome al fa o che i suoi
scopritori notarono che reagiva contro l’antigene polisaccaridico C dello pneumococco.
10. B. Bo azzi, A. Doni, C. Garlanda e A. Mantovani, An Integrated View of Humoral Innate
Immunity: Pentraxins as a Paradigm, in «Annual Revew of Immunology», 28, 2010, pp. 157-
83.
11. Le JAKs, acronimo di Janus Activating Kinases, devono il loro nome a Giano bifronte,
divinità romana con due facce, perché sono capaci di guardare sia il mondo esterno sia il
mondo interno. Situate dentro le cellule, sono essenziali per il trasferimento dall’esterno
all’interno del segnale generato da alcune citochine come IL-66, che a ivano la cascata
infiammatoria. Un’altra versione, meno ufficiale, riconduce l’acronimo JAK
all’esclamazione iniziale del loro scopritore, «just another kynase», che pensava di aver
identificato semplicemente un’altra delle tante chinasi, che si è poi però rivelata
importantissima per l’infiammazione.
Quella delle JAKs è una scoperta che si sta traducendo in un grande beneficio clinico.
Ed è una storia emblematica di incrocio virtuoso tra la ricerca di laboratorio e la clinica.
In Italia una pietra miliare di questo percorso, durato vent’anni, fu posta con la scoperta
del gruppo di Luigi Notarangelo, Paolo Vezzoni e Anna Villa in un paziente che mancava
di una di queste chinasi (JAK3), un bimbo che manifestava un grave dife o di
funzionamento del sistema immunitario. Si è imparato che la mancanza di questo enzima
comprome e il sistema immunitario. Di qui, dopo anni di studio e lavoro, la messa a
punto di farmaci che inibiscono queste chinasi, oggi utilizzati per bloccare
l’infiammazione e nei tumori del sangue.

V. Spegnere l’incendio: la risoluzione dell’infiammazione


1. Il moderno significato scientifico della parola «apoptosi» si deve ai ricercatori John F.
Kerr, Andrew H. Wyllie e Alastair R. Currie (nel 1972).
2. In un importante articolo scientifico su infiammazione e cancro che Francis Balkwill e io
abbiamo pubblicato su una rivista scientifica molto autorevole, abbiamo parlato proprio
di «smoldering non resolving inflammation» come di uno dei meccanismi che sostengono
l’incendio-cancro. F. Balkwill, K.A. Charles e A. Mantovani, Smouldering and polarized
inflammation in the initiation and promotion of malignant disease, in «Cancer Cell», 7, 2005,
pp. 211-17.

VI. Dalla corteccia del salice ai farmaci biologici


1. L’acido acetilsalicilico è noto con il suo nome commerciale, «aspirina», che utilizzerò in
via del tu o eccezionale, proprio per la sua indiscutibile notorietà.
2. La «cascata» dell’acido arachidonico dà luogo anche ad altre classi di metaboliti, fra cui i
leucotrieni. Questi ultimi sono una famiglia complessa di molecole con effe i su diversi
aspe i dell’infiammazione, inclusa la broncocostrizione, che costituisce una delle
componenti fondamentali dell’asma. Sono stati sviluppati farmaci che inibiscono la
produzione dei leucotrieni o bloccano i rece ori cellulari (gli «interru ori») su cui
agiscono, che non appartengono alla grande e variegata famiglia dei FANS/NSAID.
Questi farmaci vengono utilizzati per controllare l’asma bronchiale.

VIII. Quando il sistema immunitario sbaglia bersaglio


1. GBD 2017 Disease and Injury Incidence and Prevalence Collaborators, Global, regional, and
national incidence, prevalence, and years lived with disability for 354 diseases and injuries for 195
countries and territories, 1990-2017: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study
2017, in «Lancet», 392, 10159, 10 novembre 2018, pp. 1789-1858. DOI: 10.1016/S0140-
6736(18)32279-7. E. Sebbag, R. Felten, F. Sagez, J. Sibilia, H. Devilliers, L. Arnaud, The
world-wide burden of musculoskeletal diseases: a systematic analysis of the World Health
Organization Burden of Diseases Database, in «Ann. Rheum. Dis.», 78, 6, giugno 2019, pp.
844-48. DOI: 10.1136/annrheumdis-2019-215142.
2. S. Safiri, A.A. Kolahi, D. Hoy, E. Smith, D. Be ampadi, M.A. Mansournia, A. Almasi-
Hashiani, A. Ashrafi-Asgarabad, M. Moradi-Lakeh, M. Qorbani, G. Collins, A.D. Woolf,
L. March e M. Cross, Global, regional and national burden of rheumatoid arthritis 1990-2017: a
systematic analysis of the Global Burden of Disease study 2017, in «Ann. Rheum. Dis.», 78, 11,
novembre 2019, pp. 1463-71.
3. N.A. Molodecky, I.S. Soon, D.M. Rabi, W.A. Ghali, M. Ferris, G. Chernoff, E.I. Benchimol,
R. Panaccione, S. Ghosh, H.W. Barkema e G.G. Kaplan, Increasing incidence and prevalence
of the inflammatory bowel diseases with time, based on systematic review, in
«Gastroenterology», 142, 1, gennaio 2012, pp. 46-54, e42; quiz e30. DOI:
10.1053/j.gastro.2011.10.001.
4. Daniela Latorre, Ulf Kallweit, Eric Armentani, Mathilde Foglierini, Federico Mele,
Antonino Casso a, Sandra Jovic, David Jarrossay, Johannes Mathis, Francesco Zellini,
Burkhard Becher, Antonio Lanzavecchia, Ramin Khatami, Mauro Manconi, Mehdi Tafti,
Claudio L. Basse i e Federica Sallusto, T cells in patients with narcolepsy target self-antigens
of hypocretin neurons, in «Nature», 562, 2018, pp. 63-68.
5. Roberto Lande, Elisabe a Bo i, Camilla Jandus, Danijel Dojcinovic, Giorgia Fanelli,
Curdin Conrad, Georgios Chamilos, Laurence Feldmeyer, Barbara Marinari, Susan Chon,
Luis Vence, Valeria Riccieri, Phillippe Guillaume, Alex A. Navarini, Pedro Romero,
Antonio Costanzo, Enza Piccolella, Michel Gilliet e Loredana Frasca, The antimicrobial
peptide LL37 is a T-cell autoantigen in psoriasis, in «Nature Communications», 5, 5621, 3
dicembre 2014. DOI: 10.1038/ncomms6621.
6. La citrullinazione è una modificazione delle proteine.
7. Jean-François Bach, The effect of infections on susceptibility to autoimmune and allergic diseases,
in «The New England Journal of Medicine», 347, 12, 19 se embre 2002, pp. 911-20.
8. Da Lloyd J. Old a New York alla fine degli anni Se anta.
9. Da Anthony Cerami, sempre a New York, a metà degli anni O anta.
10. Ján Vilček, profugo emigrato dalla Cecoslovacchia a quel tempo comunista, arricchitosi
grazie al breve o di questo anticorpo, ha sostenuto economicamente moltissimi giovani
scienziati che, dall’Est europeo, venivano a lavorare in Occidente.
11. Il mo o della IUIS (h ps://iuis.org/), di cui sono stato presidente nel triennio 2016-2019,
è: Immunology without Borders.
12. Si tra a di un farmaco che blocca interleuchina-1, ovvero l’antagonista rece oriale di IL-
1, anakinra, cui poi si sono aggiunti anticorpi che bloccano IL-1.

IX. Fuoco allergico


1. EPICENTRO – Il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica, a cura dell’Istituto
superiore di Sanità (www.epicentro.iss.it).
2. Clemens von Pirquet, Allergie, in «München Med. Wehnschr.», 53, 1906, p. 1457.
3. Michelle M. Stein, Cara L. Hrusch, Justyna Gozdz, Catherine Igartua, Vadim Pivniouk,
Sean E. Murray, Julie G. Ledford, Mauricius Marques dos Santos, Rebecca L. Anderson,
Nervana Metwali, Julia W. Neilson, Raina M. Maier, Jack A. Gilbert, Mark Holbreich,
Peter S. Thorne, Fernando D. Martinez, Erika von Mutius, Donata Vercelli, Carole Ober,
Anne I. Sperling et al., Innate Immunity and Asthma Risk in Amish and Hu erite Farm
Children, in «New England Journal of Medicine», 375, 2016, pp. 411-21; DOI:
10.1056/NEJMoa1508749, h p://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1508749.
4. Claus Bachert, Joseph K. Han, Martin Desrosiers, Peter W. Hellings, Nikhil Amin, Stella
E. Lee, Joaquim Mullol, Leon S. Greos, John V. Bosso, Tanya M. Laidlaw, Anders U.
Cervin, Jorge F. Maspero, Claire Hopkins, Heidi Olze, G. Walter Canonica, Pierluigi
Paggiaro, Seong H. Cho, Wytske J. Fokkens, Shigeharu Fujieda, Mei Zhang, Xin Lu,
Chunpeng Fan, Steven Draikiwicz, Siddhesh A. Kamat, Asif Khan, Gianluca Pirozzi,
Naimish Patel, Neil M.H. Graham, Marcella Ruddy, Heribert Staudinger, David
Weinreich, Neil Stahl, George D. Yancopoulos e Leda P. Mannent, Efficacy and safety of
dupilumab in patients with severe chronic rhinosinusitis with nasal polyps (LIBERTY NP
SINUS-24 and LIBERTY NP SINUS-52): Results from two multicentre, randomised, double-
blind, placebo-controlled, parallel-group phase 3 trials, in «Lancet», 19 se embre 2019, PII:
S0140-6736(19)31881-1; DOI: 10.1016/S0140-6736(19)31881-1. Johann Christian Virchow,
Piotr Kuna, Pierluigi Paggiaro, Alberto Papi, Dave Singh, Sandrine Corre, Florence
Zuccaro, Andrea Vele, Maxim Kots, George Georges, Stefano Petruzzelli e Giorgio Walter
Canonica, Single inhaler extrafine triple therapy in uncontrolled asthma (TRIMARAN and
TRIGGER): two double-blind, parallel group, randomised, controlled phase 3 trials, in «Lancet»,
30 se embre 2019, PII: S0140-6736(19)32215-9; DOI: 10.1016/S0140-6736(19)32215-9.

X. Fuoco al cuore
1. L’austriaco Johann Czermak è stato il primo a osservare lesioni aterosclerotiche in
popolazioni antiche. Nel 1852 ha riscontrato diverse placche calcificate nell’aorta
discendente di una mummia di donna egizia: Johann Czermak, Description and
microscopic findings of two Egyptian mummies, in «Meeting of the Academy of Science», vol.
IX, 1852, p. 27.
2. Lo studio JUPITER rappresenta, nel panorama delle ricerche recenti, uno studio dell’era
della globalizzazione, avendo coinvolto paesi dei cinque continenti.
3. PTX3 è una molecola della famiglia delle pentrassine scoperta dal gruppo di Alberto
Mantovani in collaborazione con Elisabe a Dejana e studiata per molti anni in contesto
cardiovascolare in collaborazione con Roberto Latini.
4. C. Garlanda, B. Bo azzi, E. Magrini, A. Inforzato e A. Mantovani, Physiological reviews
PTX3, a humoral pa ern recognition molecule, in innate immunity, tissue repair and cancer, in
«Physiological Reviews», 98, 2018, pp. 623-39.
5. P.M. Ridker, B.M. Evere , T. Thuren, J.G. MacFadyen, W.H. Chang, C. Ballantyne, F.
Fonseca, J. Nicolau, Koenig, W. Nicolau, S.D. Anker et al. for the CANTOS Trial Group,
Antiinflammatory therapy with canakinumab for atherosclerotic disease, in «New England
Journal of Medicine», 377, 2017, pp. 1119-31. P.M. Ridker, J.G. MacFadyen, T. Thuren,
B.M. Evere , P. Libby e R.J. Glynn for the CANTOS Trial Group, Effect of interleukin-1b
inhibition with canakinumab on incident lung cancer in patients with atherosclerosis: exploratory
results from a randomised, double-blind, placebo-controlled trial, in «Lancet», 390, 2017, pp.
1833-42.
6. Bożena Targońska-Stępniak, Mariusz Piotrowski, Robert Zwolak, Anna Drelich-Zbroja e
Maria Majdan, Prospective assessment of cardiovascular risk parameters in patients with
rheumatoid arthritis, in «Cardiovascular Ultrasound», vol. VI, 18, 2018. Lai-Shan Tam,
George D. Kitas e Miguel A. González-Gay, Can suppression of inflammation by anti-TNF
prevent progression of subclinical atherosclerosis in inflammatory arthritis?, in
«Rheumatology», 53, 6, giugno 2014, pp. 1108-19. Carlos Gonzalez-Juanatey, Tomas R.
Vazquez-Rodriguez, Jose A. Miranda-Filloy, Ines Gomez-Acebo, Ana Testa, Carlos
Garcia-Porrua, Amalia Sanchez-Andrade, Javier Llorca e Miguel A. González-Gay, Anti-
TNF-alpha-adalimumab therapy is associated with persistent improvement of endothelial function
without progression of carotid intima-media wall thickness in patients with rheumatoid arthritis
refractory to conventional therapy, in «Mediators Inflamm.», 2012, DOI:
10.1155/2012/674265.
7. Mi piace ricordare che i grandi studi cooperativi italiani, a partire da GISSI (Gruppo
italiano per lo studio della streptochinasi nell’infarto miocardico), hanno dato un
contributo fondamentale, per qualità e rigore metodologico, a ridurre in modo
importante la mortalità da infarto acuto del miocardio.
8. Le basi genetiche dello scompenso cardiaco vengono studiate oggi, in Italia, in particolare
in Humanitas da Gianluigi Condorelli e il suo gruppo e a Pavia da Silvia Priori.
9. Uno studio originale condo o in Humanitas da Marinos Kallikourdis e Gianluigi
Condorelli e pubblicato su «Circulation», la più prestigiosa rivista scientifica di
cardiologia, analizza con approcci di genomica su cellula singola tu e le diverse
tipologie di cellule del sistema immunitario presenti nel tessuto cardiaco. E. Martini, P.
Kunderfranco et al., Single-Cell Sequencing of Mouse Heart Immune Infiltrate in Pressure
Overload-Driven Heart Failure Reveals Extent of Immune Activation Circulation, 140, 2019, pp.
2089-2107. DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.119.041694.

XI. Fuoco al cervello


1. Gianvito Martino, Il cervello, tra cellule ed emozioni, Roma, Castelvecchi, 2017.
2. La storia degli interferoni inizia nel 1957 a Londra, presso il National Institute of Medical
Research, quando un virologo scozzese e un fisico svizzero, Alick Isaacs e Jean
Lindemann, identificano una particolare proteina prodo a dall’organismo per
comba ere i virus (antivirale). Scoprendo che il terreno di coltura di cellule infe ate da
un virus contiene un principio a ivo capace di proteggere una seconda coltura
dall’infezione virale, chiamano questa molecola interferon, chissà se ispirandosi ai nomi
tipici delle particelle scoperte in fisica, cara erizzate dal suffisso -oni (positroni, ecc.),
oppure ai fume i, visto che un farmaco proveniente dallo spazio utilizzato da Flash
Gordon per curare una misteriosa mala ia si chiamava proprio così.
3. International Multiple Sclerosis Genetics Consortium, Multiple sclerosis genomic map
implicates peripheral immune cells and microglia in susceptibility, in «Science», 365, 7188,
2019.
4. Roland Martin, Mireia Sospedra, Maria Rosito e Bri a Engelhardt, Current multiple
sclerosis treatments have improved our understanding of MS autoimmune pathogenesis, in
«European Journal of Immunology», 46, 2016, pp. 2078-90.
5. Secondo l’Istituto superiore di Sanità.
6. World Health Organization, Depression and Other Common Mental Disorders: Global Health
Estimates, 2017, h ps://apps.who.int/iris/handle/10665/254610.
7. Nel 2015 la depressione è stata responsabile del 7,5 per cento di tu i gli anni vissuti con
disabilità.
8. Dati ISTAT 2017.
9. Alison Abbo , Depression: the radical theory linking it to inflammation, in «Nature», 557,
maggio 2018, pp. 633-34.
10. K. Fan, Y. Li, H. Wang, X. Mao, J. Guo, F. Wang, L. Huang, Y. Li, X. Ma, Z. Gao et al.,
Stress-Induced Metabolic Disorder in Peripheral CD4+ T Cells Leads to Anxiety-like Behavior, in
«Cell», 179, 2019, pp. 864-79.

XII. Le relazioni pericolose tra infiammazione e cancro


1. Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), I numeri del cancro in Italia 2019. I dati
indicano come prima causa di morte oncologica il tumore del polmone (12 per cento). Fra
le diverse patologie oncologiche, per gli uomini la prima causa di morte è il tumore del
polmone (27 per cento), mentre per le donne è il tumore della mammella (17 per cento),
seguiti dai tumori del colon-re o (11 per cento tra gli uomini e 12 per cento tra le donne)
e dal tumore della prostata tra gli uomini (8 per cento) e dal tumore del polmone tra le
donne (11 per cento).
2. Il titolo di una review che ho pubblicato nel 2001 su «Lancet» insieme a Frank Balkwill
costituisce un tributo al ruolo di Virchow nell’affermazione di un legame tra
infiammazione e cancro: Inflammation and cancer: back to Virchow?
3. La validazione di questo conce o è avvenuta grazie a un consorzio internazionale cui
hanno partecipato istituzioni di tu o il mondo.
4. Paul Ehrlich è stato insignito del premio Nobel per la medicina nel 1908.
5. PD-1 viene scoperto dal giapponese Tasuku Honjo (insignito nel 2018 del premio Nobel)
nel contesto dei suoi studi sull’autoimmunità: è uno dei tanti contributi della ricerca
fondamentale in immunologia che si traduce in beneficio clinico.
6. Per i suoi studi in quest’ambito, James Allison è stato insignito del premio Nobel nel 2018
insieme a Tasuku Honjo.
7. Il percorso di Carl June è stato assai travagliato: rimasto privo di finanziamenti pubblici,
non avrebbe potuto proseguire i suoi studi senza il sostegno di un’organizzazione non
profit privata, di Barbara e Edward Ne er, motivati dalla perdita di un familiare.
XIII. Inflammaging: il segreto per invecchiare bene
1. Emily Wilson, Seneca. Biografia del grande filosofo della classicità, trad. it. Milano,
Mondadori, 2016.
2. Un esempio di queste companies è Calico, cofondata da Google: una società di ricerca e
sviluppo nata con l’obie ivo di sfru are le tecnologie avanzate per aumentare la nostra
comprensione della biologia, con particolare focus sulla durata della vita.
3. WHO, Monitoring health for the sustainable development goals, 2016.
4. I dati compaiono all’indirizzo h p://www.worldlifeexpectancy.com.
5. Vassilis Gorgoulis, Peter D. Adams, Andrea Alimonti, Dorothy C. Benne , Oliver Bischof,
Cleo Bishop, Judith Campisi, Manuel Collado, Konstantinos Evangelou, Gerardo
Ferbeyre, Jesús Gil, Eiji Hara,Valery Krizhanovsky, Diana Jurk, Andrea B. Maier, Masashi
Narita, Laura Niedernhofer e João F. Passos, Cellular senescence: Defining a path forward, in
«Cell», 179, 2019, pp. 814-27.
6. Jan Van Deursen, Senolytic therapy for healthy longevity, in «Science», 364, 2019, pp. 636-37.
7. Siddhartha Jaiswal e Benjamin L. Ebert, Clonal hematopoiesis in human aging and disease, in
«Science», 366, 2019, pp. 1-8.
8. Sul sito del ministero della Salute è possibile consultare il calendario vaccinale:
h p://www.salute.gov.it/portale/vaccinazioni/de aglioContenutiVaccinazioni.jsp?
lingua=italiano&id=4829&area=vaccinazioni&menu=vuoto.
9. Claudio Franceschi e Gianluca Storci, a cura di, «Seminars in Immunology», vol. XL,
2018, pp. 1-94.

XIV. Ambiente e stili di vita


1. Pier Mannuccio Mannucci e Margherita Fronte, Cambiamo aria!, Milano, Baldini&Castoldi,
2017.
2. Solitamente l’aria è più calda vicino al suolo terrestre, e salendo in quota si raffredda.
Nell’inversione termica, invece, l’aria è più fredda in prossimità del suolo e più calda a
quote superiori, per esempio in montagna. Accade sopra u o d’inverno e di no e
quando il suolo, rilasciando calore, diviene più freddo: di conseguenza, si raffreddano gli
strati d’aria con cui è a conta o, mentre quelli a quote maggiori rimangono caldi.
L’inversione termica può causare conseguenze anche gravi nelle zone più inquinate: dal
momento che le sostanze inquinanti rimangono a terra, la loro concentrazione aumenta.
3. Viste le sue molteplici cara eristiche, l’amianto è stato a lungo utilizzato in moltissimi
se ori: in particolare, edilizia, industria chimica e tessile, cantieri navali, mezzi di
locomozione. In tempi recenti, considerata la sua pericolosità, ne è stato vietato l’utilizzo,
anche se rimane comunque il problema della rimozione dei manufa i che lo contengono.
Poiché l’insorgenza del mesotelioma avviene fino a venti-quaranta anni dopo
l’esposizione all’asbesto, le stime prevedono che la massima incidenza di tumori
professionali correlati a esso avverrà intorno al 2020.
4. Il mesotelioma è un tumore sostenuto dai macrofagi: a raverso gli inflammasomi, queste
cellule riconoscono la presenza dell’asbesto e a ivano una massiccia risposta
infiammatoria che, alla lunga, promuove il cancro.
5. Composta da un gruppo di scienziati autorevoli, la IARC coordina e conduce ricerche
epidemiologiche e di laboratorio, riunisce grandi esperti in se ori diversi e fornisce
valutazioni che costituiscono la base per elaborare strategie di prevenzione dei tumori.
Esamina in modo critico, con criteri rigorosi, l’intera le eratura scientifica e le
conoscenze esistenti al mondo. E certifica che una sostanza o uno stile di vita causano
cancro. Ancora, l’agenzia sperimenta l’efficacia di vari metodi di controllo e di
prevenzione, e diffonde le conoscenze e le informazioni in tu o il mondo a raverso il
suo programma di educazione, di formazione e di pubblicazioni.
6. Ane e Christ, Mario Lauterbach e Eicke La , Western diet and the immune system: an
inflammatory connection, in «Immunity», 51, 2019, pp. 794-811.
7. EPIC è uno studio di grande importanza informativa. Da una parte, per l’accuratezza dei
dati raccolti su abitudini alimentari, a ività fisica, storia riprodu iva, fumo, alcol e
parametri come la pressione arteriosa, oltre alle cara eristiche cosidde e
«antropometriche» (peso, altezza, circonferenza della vita e dei fianchi) dei 520.000
ci adini europei che tiene so o osservazione. Dall’altra parte, perché, grazie alla
sistematica raccolta di campioni di sangue, ha portato alla creazione di una grande banca
biologica, che ha permesso di misurare successivamente determinati biomarcatori (come
la presenza di ormoni) e confrontare i partecipanti che si sono ammalati di tumore con
quelli che sono rimasti sani.
8. I dieci paesi europei coinvolti dallo studio EPIC comprendono aree mediterranee (Italia,
Grecia e Spagna), Stati dell’Europa centrale (Francia, Olanda e Germania) e del Nord
(Regno Unito, Danimarca, Svezia e Norvegia).
9. Nell’o obre 2015 la IACR ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena
(classe 2A della classificazione IACR) e la carne rossa lavorata (insaccati e salumi) come
sicuramente cancerogena (classe 1 della classificazione IACR).
10. Le stime indicano che il 18-21 per cento dei cancri del colon e il 3 per cento di tu i i
tumori sono probabilmente legati a una dieta ricca di carni rosse e insaccati. Nei paesi
industrializzati, dove il consumo di carni rosse è molto diffuso, quello del colon-re o è il
terzo tumore più frequente e la terza causa di morte per mala ie oncologiche.
11. P. Simplicio da Silva et al., Omega-3 supplementation on inflammatory markers in patients
with chronic chagas cardiomyopathy: A randomized clinical study, in «Nutrition Journal»,
2017, pp. 16-36.
12. Manipolare il microbioma, ossia agire su di esso al fine di modificare le risposte
immunitarie, costituisce una delle frontiere della ricerca che, potenzialmente, avrà un
grande impa o sulla salute. Resta, al momento, ancora da verificare in modo rigoroso
l’effe iva utilità clinica di sostanze come i probiotici (contenuti naturalmente, per
esempio, nei vari tipi di yogurt) per modificare il microbioma che ci accompagna
rinforzando il nostro sistema immunitario.
13. È probabile che i motivi per cui l’obesità provoca il cancro siano diversi. A lungo si è
pensato che la ragione principale fosse che induce un’iperproduzione di ormoni
(estrogeni), presenti nel tessuto adiposo. Per esempio, il cancro della mammella in
particolare può essere promosso dagli estrogeni. Oggi, invece, l’enfasi è posta
sull’infiammazione.
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Conclusione. La medicina del futuro


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5. In questi ambiti, in Humanitas in particolare sono coinvolti Arturo Chiti in proge i di
diagnostica e Alessandro Repici per la colonscopia.
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8. La locuzione si trova nella seconda delle due Epistulae ad Caesarem senem de re pubblica (De
republica, 1, 1, 2), di autenticità molto discussa anche se perlopiù a ribuite a Sallustio,
storico, politico e senatore romano del periodo repubblicano.
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Il fuoco interiore
di Alberto Mantovani
© 2020 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Ebook ISBN 9788835701460

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Indice

Copertina
L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
Il fuoco interiore
Introduzione
I. L’infiammazione nella storia
II. Un meccanismo di difesa
Il sistema immunitario: com’è fa o e come funziona
Immunità innata e ada ativa
L’infiammazione come manifestazione dell’immunità innata
III. Gli a ori dell’infiammazione
I primi salti della cascata
La cascata delle citochine
Traffico cellulare a cascata: un «codice di avviamento postale» per i globuli bianchi
Cambiare il programma genetico della cascata: sensori e programmatori
IV. Infiammazione acuta, cronica e sistemica
Quando la risposta infiammatoria coinvolge l’intero organismo
V. Spegnere l’incendio: la risoluzione dell’infiammazione
VI. Dalla corteccia del salice ai farmaci biologici
Dall’aspirina ai «FANS»
Gli antistaminici
I cortisonici
I farmaci biologici
VII. Organismo in fiamme: la sepsi e lo shock se ico
VIII. Quando il sistema immunitario sbaglia bersaglio
La scoperta dell’autoimmunità
Le cause del fuoco amico
L’universo delle mala ie autoimmuni
I bersagli dell’autoimmunità
I fa ori di rischio
I progressi nella terapia
Un nuovo mondo dell’autoimmunità: le mala ie autoinfiammatorie
IX. Fuoco allergico
Storia di un nome sbagliato
Gli a ori del fuoco allergico
Le cause
Nuove strategie terapeutiche: l’orizzonte della medicina personalizzata
X. Fuoco al cuore
XI. Fuoco al cervello
Una comunicazione a tre vie
Le mala ie autoimmuni che colpiscono il cervello: non solo sclerosi multipla
Demenze e mala ie degenerative
L’ictus
Ansia e depressione
XII. Le relazioni pericolose tra infiammazione e cancro
Il sistema immunitario contro il cancro: il paradigma delle tre E
Il ruolo del microambiente infiammatorio
L’immunoterapia: un sogno che si avvera
Sfide e nuove frontiere: terapie cellulari e CAR-T
XIII. Inflammaging: il segreto per invecchiare bene
Il fenomeno della senescenza cellulare
Il ruolo dell’infiammazione
XIV. Ambiente e stili di vita
L’ambiente
Lo stile di vita
La teoria dell’orologio epigenetico
Conclusione. La medicina del futuro
I farmaci
Altre strategie terapeutiche e preventive
Evoluzione o rivoluzione? Intelligenza artificiale e «disease trajectory»
Ritorno al futuro
Glossario
Note
Bibliografia
Copyright

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