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T ’ –
ginocchio, l’ascesso a un dente, una lieve sco atura –, dunque
riteniamo di conoscerla o perlomeno di averne un’idea abbastanza
precisa. In realtà, il conce o di infiammazione è molto più complesso di
quanto possiamo credere e rappresenta un campo ancora da esplorare anche
per medici e biologi, poiché so o questa «etiche a» rientra una varietà
enorme di fenomeni assai diversi tra loro.
L’infiammazione, infa i, è uno dei modi in cui il sistema immunitario
esercita la sua funzione di difesa e riparazione dei tessuti e dunque è un
meccanismo che agisce per contrastare le situazioni di pericolo, dai microbi
«patogeni» agli eventi traumatici. In genere, abbiamo l’errata percezione che
l’infiammazione sia un fenomeno locale: ci sfugge, invece, il fa o che le
mala ie infiammatorie abbiano manifestazioni sistemiche, cioè a carico
dell’intero organismo. Per esempio, quando abbiamo la febbre pensiamo più
a una mala ia che alla risposta infiammatoria volta ad affrontare un pericolo.
Negli anni, la ricerca immunologica ha dimostrato l’esistenza di una
componente infiammatoria anche in patologie con cui si pensava non avesse
niente a che fare: le mala ie cardiovascolari, come aterosclerosi e ictus, quelle
neurodegenerative e persino le mala ie infe ive, causate da virus o ba eri.
Infine, anche i tumori sono sostenuti da alcune cellule dell’immunità che,
comportandosi come «polizio i corro i», invece di comba ere e arrestare il
nemico lo aiutano a crescere e proliferare.
Con parole semplici e chiare, il professor Alberto Mantovani guida il
le ore in un percorso per imparare a riconoscere da una parte i diversi
aspe i dell’infiammazione, dall’altra gli strumenti più idonei per spegnere
un incendio che rischia di dilagare e diventare incontrollabile, me endo
seriamente in pericolo la nostra salute.
L’autore
IL FUOCO INTERIORE
Il sistema immunitario e l’origine delle mala ie
Il fuoco interiore
Chi di noi non ha mai fa o i conti con una sco atura, più o meno
lieve? O con un ginocchio gonfio e dolorante? O ancora con un
ascesso? Tu i, dunque, abbiamo almeno un’idea di cosa sia
l’infiammazione. O, perlomeno, ci illudiamo di averla, perché il
conce o di infiammazione è in realtà molto più complesso di quanto
immaginiamo. Non è perfe amente chiaro neppure a chi si occupa
di biologia e medicina: perché, so o questa etiche a, si classificano e
si raccolgono fenomeni molto differenti fra loro. E, spesso, la
diversità e il significato generale dell’infiammazione ci sfuggono.
Infiammazione o risposta infiammatoria è quella che vediamo
apparire sulla nostra pelle dopo una sco atura. Ma è anche una
manifestazione allergica, dalla più lieve, come uno starnuto, alla più
grave, come l’asma allergica.
Per capire perché le risposte infiammatorie possano essere fra loro
così diverse, è importante so olineare un conce o chiave:
l’infiammazione è una manifestazione dell’immunità. In altre parole,
è uno dei modi con cui il sistema immunitario – ovvero il nostro
naturale sistema di protezione dalle mala ie – esercita la sua
funzione di difesa e riparazione dei tessuti. Nella storia della vita sul
pianeta, dunque, l’infiammazione nasce come meccanismo
vantaggioso, di protezione, per contrastare situazioni di pericolo. È
l’espressione della risposta immunitaria che deve affrontare
problemi assai differenti, dai microbi patogeni agli eventi traumatici.
E, dunque, si a iva in modo diverso.
Contrastare uno dei ba eri extracellulari definiti «Gram-positivi»,
che di solito causano ascessi dentali, è certamente ben diverso dal
fronteggiare un grande parassita intestinale. Vivendo in una società
ricca, tendiamo a dimenticarci perfino dell’esistenza dei vermi
p
intestinali, ma solo cento anni fa erano un problema molto grave, che
peraltro ancora persiste in alcune aree del mondo: per comba erli, il
nostro sistema immunitario scatena risposte che si manifestano come
infiammazione.
In questo esempio la diversità è facilmente percepibile. E
analizzando queste due situazioni al microscopio, vedremo che nella
risposta a un verme entrano in gioco globuli bianchi che chiamiamo
«eosinofili». Non li ritroveremo invece in un ascesso causato da un
ba erio Gram-positivo, dove vedremo i neutrofili, cellule di difesa
specializzate in un compito diverso. In altre situazioni – pensiamo al
caso dell’artrite reumatoide, che si manifesta con un’infiammazione
delle articolazioni, o alle mala ie infiammatorie dell’intestino – la
differenza può apparire meno ovvia. Eppure esiste sempre.
In genere abbiamo la – errata! – percezione che l’infiammazione
sia un fenomeno locale: ci sfugge, invece, il fa o che le mala ie
infiammatorie abbiano manifestazioni sistemiche, ovvero a carico
dell’intero organismo. Per esempio, quando abbiamo la febbre
pensiamo più a una mala ia che a un meccanismo di difesa e alla
manifestazione di una risposta infiammatoria messa in a o dal
sistema immunitario per affrontare un pericolo.
Ancora, ci sfugge che la risposta infiammatoria possiede sistemi
di controllo molto sofisticati: paragonandola a una potente
automobile, l’infiammazione ha acceleratori e freni localizzati non
solo a livello delle cellule dell’immunità o degli organi (le cavità
articolari, per esempio), ma anche a livello del nostro cervello,
dunque del sistema nervoso centrale. Questo significa che c’è una
stre a connessione fra cervello e sistema immunitario nel regolare la
risposta infiammatoria, il suo inizio, la sua intensità e il suo termine.
Negli anni, ci si è accorti dell’esistenza di una componente
infiammatoria anche in mala ie che si pensava non avessero niente a
che fare con l’infiammazione: è il risultato della ricerca
immunologica, strumento prezioso per aiutarci a guardare le varie
patologie con un’o ica nuova.
Pensiamo per esempio alle mala ie cardiovascolari: sappiamo
tu i che, fondamentalmente, sono legate all’aterosclerosi, ossia alla
presenza di placche di lipidi, primo fra tu i il colesterolo, che
p p p p
induriscono e ostruiscono le pareti delle arterie. Tu i associamo
queste mala ie al colesterolo e al metabolismo, dunque anche a
un’alimentazione scorre a. In realtà, le mala ie del cuore sostenute
da aterosclerosi – al pari di quelle del sistema nervoso centrale come
ictus o stroke – hanno un’altissima componente infiammatoria.
L’identificazione dell’infiammazione quale componente
fondamentale dell’aterosclerosi e delle mala ie a essa legate è stato il
risultato di ricerche condo e da diversi medici e ricercatori, fra cui
Russell Ross a Sea le, Mark Pepys a Londra, A ilio Maseri a Londra
e poi a Boston, Paul Ridker a Boston. Si è innanzitu o scoperto che la
lesione causata dall’aterosclerosi (de a lesione ateromatosa o
ateroma) presente per esempio nelle arterie coronarie del cuore o
nella parete dell’aorta è in realtà una forma di risposta infiammatoria
al danno vascolare. Successivamente, si è scoperto che marcatori
circolanti di stato infiammatorio erano associati al rischio
cardiovascolare: l’aterosclerosi, quindi, non innesca solo una risposta
infiammatoria locale al danno, ma anche uno stato infiammatorio
sistemico, che coinvolge l’intero organismo. A ualmente sono in
corso studi per il trasferimento alla clinica di questo grande
cambiamento di paradigma. Su questa base è stato condo o un
esteso studio internazionale cooperativo con oltre 10.000 pazienti (lo
studio CANTOS , di cui parleremo nel X capitolo), il cui obie ivo era
diminuire le complicanze dell’aterosclerosi bloccando un mediatore
infiammatorio.
Anche le mala ie neurodegenerative, come pure quelle legate ad
alcune patologie psichiatriche – in primis la depressione –, per molto
tempo sono state viste esclusivamente come patologie delle cellule
del sistema nervoso centrale. All’interno del sistema nervoso
centrale, però, ci sono anche cellule (che in gergo scientifico
definiamo «microglia») e mediatori del sistema immunitario: via via
nel tempo ci si è accorti che la componente infiammatoria e
immunologica è una determinante importante di tu e le patologie di
questo distre o.
Persino le mala ie infe ive, causate da virus o ba eri, hanno un
legame con l’infiammazione, in quanto scatenano una reazione che
prosegue poi nel tempo in modo incontrollato: per esempio, l’epatite
cronica successiva alle epatiti.
Ancora, ci si è accorti che il tumore non è fa o solamente da
cellule tumorali, ma anche da una nicchia ecologica che lo protegge e
lo sostiene, creando intorno a esso le condizioni migliori per crescere
e proliferare. Di questa nicchia fanno parte alcune cellule
dell’immunità, in particolare i macrofagi, componente fondamentale
della reazione infiammatoria: questi si comportano come «polizio i
corro i», che invece di comba ere e arrestare il nemico, ossia il
cancro, lo aiutano a crescere e proliferare, stimolando la formazione
di vasi sanguigni per nutrirlo e creare metastasi.
Dunque l’infiammazione appare trasversale a tu e queste
mala ie. E per questo viene considerata una sorta di
«metanarrazione» della medicina contemporanea. Ma c’è di più.
Oggi sappiamo che i nostri comportamenti – dall’alimentazione al
fumo, dall’a ività fisica al consumo di alcol – possono incidere sulla
probabilità di sviluppare determinate patologie. Ebbene, la ricerca
biomedica ci ha dimostrato che anche il legame che esiste fra stile di
vita e rischio di mala ia è in larga misura de ato dal modo in cui le
nostre abitudini influenzano il nostro sistema immunitario e le
risposte infiammatorie.
Infine, l’invecchiamento: è senza dubbio parte della vita, ma può
avvenire con maggiore o minore successo. Tu i noi invecchiamo sia
come organismi complessi sia a livello delle singole cellule. La
grande scoperta degli ultimi vent’anni è che questo fenomeno è
associato a cambiamenti della risposta infiammatoria orchestrata dal
sistema immunitario, che hanno un effe o molto profondo sul modo
in cui invecchiamo. Questa visione generale dell’invecchiamento
viene chiamata inflammaging, 1 termine che unisce le due parole
inglesi inflammation (infiammazione) e aging (invecchiamento), e
teorizza una connessione tra i processi fisiologici che portano
all’invecchiamento e un’infiammazione lieve ma persistente
(cronica), che magari non ha sintomi visibili ma a lungo andare
produce effe i sistemici su tu o l’organismo: l’invecchiamento del
nostro cervello, per esempio.
Il percorso che ci proponiamo di fare insieme, in questo libro, è
imparare a riconoscere da una parte le diverse fiamme del fuoco
infiammatorio, dall’altra quali sono i fiammiferi e i carburanti che le
innescano e le alimentano, mantenendo vivo il «fuoco interiore»
della risposta infiammatoria.
Parte prima
CHE COS’È L’INFIAMMAZIONE
I
L’infiammazione nella storia
Dall’aspirina ai «FANS »
La storia dei farmaci antinfiammatori è molto antica, come abbiamo
visto nel I capitolo, e risale inizialmente all’uso della corteccia del
salice, alla scoperta dei salicilati e alla successiva messa a punto
dell’aspirina. 1
Primo farmaco specifico contro l’infiammazione, realizzato alla
fine dell’O ocento, l’aspirina rappresenta un po’ il paradigma di una
grande classe di farmaci antinfiammatori chiamati NSAID (Non-
Steroidal Anti-Inflammatory Drugs) o FANS (farmaci antinfiammatori
non steroidei).
Sono farmaci di classe e stru ura molecolare molto diverse, oltre
20, che comprendono acido acetilsalicilico, ibuprofene, diclofenac,
ketoprofene, indometacina e altri. Hanno cambiato ne amente la
salute dell’uomo perché sono in grado di controllare il dolore, la
febbre e altre manifestazioni dell’infiammazione.
L’aspirina viene utilizzata ormai da anni anche per la prevenzione
delle mala ie cardiovascolari. Inoltre, oggi è ogge o di ricerca e
diba ito il suo uso per la prevenzione dei tumori, come vedremo
meglio nel XII capitolo. In un certo senso, la storia di questo farmaco
è infinita…
Tu i i farmaci FANS/NSAID hanno in comune l’inibizione di un
enzima importante – la cicloossigenasi, de a COX – e dei mediatori
da esso prodo i.
La cicloossigenasi utilizza un acido grasso, l’acido arachidonico, e
insieme ad altri enzimi lo trasforma in un mondo variegato di
metaboliti: una vera e propria «cascata» con molti rami. Fra i
metaboliti dell’acido arachidonico, particolarmente importanti sono
le prostaglandine, i trombossani e la prostaciclina, che come
abbiamo visto hanno effe i su diverse cellule coinvolte nelle reazioni
infiammatorie. 2
La cicloossigenasi e i suoi metaboliti sono un universo molto
complesso. In particolare si è osservato che accanto a una
cicloossigenasi «costitutiva» (chiamata di tipo 1, COX-1 ), ne esiste
anche una di tipo 2 o «inducibile» (COX-2 ). Ci sono dunque due
cicloossigenasi, che svolgono funzioni in qualche misura diverse.
Schematicamente, COX-1 ha funzioni omeostatiche: è presente per
esempio in condizioni normali nella parete del tra o
gastrointestinale, dove le prostaglandine hanno un ruolo fisiologico
di promuovere l’integrità dell’epitelio che fa da rivestimento
prote ivo all’intestino; COX-2 è invece indo a da citochine
infiammatorie come interleuchina-1, che orchestrano
l’infiammazione cronica e sono alla base delle mala ie infiammatorie
di questo tipo: si è dunque pensato che avere farmaci specificamente
dire i contro la cicloossigenasi di tipo 2 – diversamente da quelli
tradizionali non sele ivi – avrebbe consentito di bloccare
l’infiammazione in modo più mirato a livello del tra o
gastrointestinale, evitando gli effe i collaterali, in particolare il
sanguinamento dovuto a ulcere della mucosa.
In realtà questa via non ha dato tu i i vantaggi sperati: si è
scoperto, infa i, che all’utilizzo di farmaci mirati alla cicloossigenasi
di tipo 2, chiamati genericamente «coxib», si associava un aumento
di rischio di complicanze vascolari. A tu ’oggi, dunque, questi
farmaci non hanno avuto l’impa o sperato sulle patologie
infiammatorie, anche se la ricerca in questo se ore continua.
Il percorso che è partito dalla corteccia del salice ha dato luogo
dunque a una vera e propria cascata di mediatori e di farmaci che,
oltre a migliorare sensibilmente la salute dell’uomo e la qualità della
vita, ci hanno aiutato a comprendere meglio il funzionamento delle
nostre difese immunitarie e dell’infiammazione. Una storia infinita
che, come vedremo, continua.
Gli antistaminici
Un’altra importante classe di farmaci antinfiammatori è costituita dai
cosidde i antistaminici, rivolti contro uno dei primi mediatori
liberati nelle fasi iniziali di una risposta infiammatoria acuta,
l’istamina. Alla maggior parte di noi, se non a tu i, è capitato di
utilizzare una crema contenente un antistaminico in seguito a una
puntura di inse o o a una sco atura. Ancora, usiamo farmaci
antistaminici per esempio per controllare una rinite allergica, o un
raffreddore da fieno che ci affligge a ogni primavera. Questi farmaci
non inibiscono la produzione e la liberazione di istamina da parte
dei mastociti, ma ne bloccano l’azione. In che modo? Occupando
quegli «interru ori molecolari», de i rece ori, presenti sulle cellule-
bersaglio dell’istamina, come le cellule endoteliali. Esistono diverse
classi di «interru ori» e solo alcuni sono importanti per la risposta
infiammatoria. La ricerca farmacologica ha generato inibitori
dell’istamina sempre più specifici, che per esempio danno meno
sonnolenza legata all’azione di questo mediatore infiammatorio nel
sistema nervoso centrale.
La scoperta dei farmaci antistaminici ha visto il contributo
fondamentale di un biochimico svizzero naturalizzato italiano,
Daniel Bovet, premio Nobel per la medicina nel 1957 e troppo spesso
dimenticato. Bovet, che aveva già avuto un ruolo importantissimo
nell’identificazione del principio a ivo delle preparazioni di
sulfamidici (i farmaci antiba erici disponibili prima degli
antibiotici), a partire dalla stru ura chimica del loro capostipite
scoprì il primo farmaco antistaminico. Su quella stru ura originale si
è basata la messa a punto dei farmaci antistaminici, che ancora oggi
costituiscono un caposaldo della farmacologia dell’infiammazione.
I cortisonici
Una terza classe di farmaci antinfiammatori è costituita dalle
versioni farmacologiche di un ormone, il cortisone, che di nuovo ha
avuto un impa o straordinario sulla salute dell’uomo. Il cortisone –
come si è de o – rappresenta un freno naturale dell’infiammazione.
Fa parte di una famiglia di ormoni naturali e sintetici, i
corticosteroidi, prodo i dal surrene, ghiandola endocrina situata
sopra il rene. Tali ormoni regolano funzioni diverse, che vanno
dall’equilibrio dei sali minerali al metabolismo, al sistema
immunitario.
Di per sé ina ivo, il cortisone fa da precursore a un ormone a ivo,
il cortisolo, che ha importanti proprietà antinfiammatorie e
immunosoppressive. La sintesi chimica e le modifiche introdo e
nella stru ura di base del cortisone hanno consentito di passare
dall’uso di estra i di surrene – poco efficaci e non standardizzabili,
o enuti da animali come i bovini – a molecole ben definite e
affidabili, più potenti e più sele ive.
Gli effe i dei cortisonici sul sistema immunitario e
sull’infiammazione sono complessi. I corticosteroidi interagiscono
con un rece ore «nucleare», ossia posto all’interno della cellula (e
non sulla membrana), che cambia il programma genetico della
cellula stessa accendendo e spegnendo molti geni, alcuni dei quali
importanti per le risposte infiammatorie. In questo modo, i
corticosteroidi interferiscono con il programma genetico che sostiene
l’infiammazione: spengono geni che costituiscono le lampadine rosse
dell’infiammazione (in particolare il fa ore trascrizionale NF- kB, COX-
2, citochine, chemochine e altri ancora) e accendono le lampadine
verdi delle molecole antinfiammatorie. Così, prendendo per esempio
il complesso sistema di IL-1 , i corticosteroidi non solo spengono la
citochina infiammatoria, ma aumentano l’espressione del gene e la
produzione del decoy receptor, la trappola molecolare che frena IL-1 .
In altre parole, bloccano l’acceleratore e a ivano il freno
dell’infiammazione.
Data la complessità dei loro effe i e dal momento che agiscono su
tantissimi organi e cellule, l’uso dei corticosteroidi ha rischi ed effe i
collaterali che vanno valutati con estrema a enzione, soppesandoli
rispe o ai benefici. Tendono forse ad avere una ca iva fama, ma non
dobbiamo dimenticare che i cortisonici continuano a costituire un
cardine delle terapie in se ori diversi, dalle mala ie infiammatorie
all’immunosoppressione, al cancro.
I farmaci biologici
Tu i i farmaci di cui abbiamo parlato finora, così come altri che non
abbiamo menzionato (per esempio il metotrexate per l’artrite
reumatoide), sono per così dire «tradizionali», ossia sono composti
chimici semplici, piccole molecole. Accanto a questi, più di recente
ne sono stati sviluppati altri, che chiamiamo «biologici».
Non dobbiamo però farci trarre in inganno dal loro nome.
Diversamente da quanto accade nel mondo del cibo, dove
«biologico» è considerato sinonimo di «naturale» – in quanto
proveniente da un sistema di produzione che limita il ricorso a
prodo i chimici ed esclude l’uso di organismi geneticamente
modificati –, i farmaci biologici sono solo molecole complesse
(proteine, diverse decine di volte più grandi di un composto chimico
semplice) e rappresentano il risultato delle conoscenze raggiunte nel
campo delle biotecnologie. Vengono prodo i a partire da geni che
codificano proteine naturali, come gli anticorpi. Spesso queste
proteine vengono modificate utilizzando approcci di ingegneria
genetica al fine di migliorarne le proprietà. Insomma, mentre per il
cibo l’agge ivo «biologico» è sinonimo di «non geneticamente
modificato», per i farmaci questa definizione implica pressoché
sempre modificazioni genetiche e l’utilizzo di organismi
geneticamente modificati per la produzione.
La storia dei farmaci biologici inizia con la scoperta delle
citochine, «parole» dell’infiammazione, e delle molecole che guidano
«il traffico» dei globuli bianchi all’interno del nostro organismo.
Fra le citochine, come abbiamo visto, interleuchina-1 (IL-1 ) è stata
la prima a essere stata identificata. Uno dei suoi padri, Charles
Dinarello, studiandola si accorse anche dell’esistenza di una
molecola che la inibiva: tecnicamente, la definiamo un «antagonista
rece oriale», che blocca «l’interru ore» da cui si accende
l’infiammazione (rece ore) impedendo al dito (IL-1 ) di azionarlo.
Quest’osservazione di Dinarello, che risale agli anni O anta, si è
trado a successivamente nello sviluppo di farmaci – un antagonista
rece oriale e anticorpi monoclonali – oggi utilizzati in clinica,
particolarmente importanti nella terapia delle mala ie
autoinfiammatorie (come vedremo nel capitolo a esse dedicato).
Una delle strategie alla base dei farmaci biologici è bloccare,
a raverso antagonisti rece oriali, falsi rece ori (che intrappolano il
dito che tenta di accendere l’interru ore dell’infiammazione) e
anticorpi mirati alle parole dell’immunità «sbagliate» o de e al
momento sbagliato, che tengono acceso il fuoco dell’infiammazione
quando non dovrebbero. Gli anticorpi o falsi rece ori oggi più
utilizzati sono dire i contro TNF, IL-1, IL-6, IL-17, IL-4, IL-5 e IL-23 .
Vengono utilizzati nella terapia di uno spe ro molto vasto di
mala ie autoimmuni e autoinfiammatorie, dall’artrite reumatoide
alle mala ie infiammatorie intestinali, alla psoriasi.
Ancora, dal momento che l’infiammazione è causata dai globuli
bianchi che vengono richiamati ed entrano numerosi in un tessuto
danneggiato, sono stati sviluppati farmaci biologici – anticorpi – che
bloccano alcune parti del «codice di avviamento postale» della zona
in cui devono recarsi i globuli bianchi, facendo perdere loro
l’orientamento e impedendo che arrivino sul posto. Questi farmaci
hanno trovato uso, per esempio, nelle mala ie infiammatorie
intestinali.
Infine, dal momento che – come avremo modo di vedere meglio –
l’infiammazione è spesso la manifestazione di una mala ia
autoimmune, hanno trovato uso clinico anticorpi che uccidono, o
bloccano, i linfociti T, strateghi delle nostre difese immunitarie, e i
linfociti B, che producono anticorpi e autoanticorpi. Oggi, per
esempio, utilizziamo anticorpi anti-CD20 (che eliminano i linfociti B)
per tra are i pazienti con mala ie autoimmuni come l’artrite
reumatoide. Inoltre, ci sono dati ancora preliminari ma
impressionanti dell’ultimo anno che mostrano come tra are con
anticorpi mirati contro i linfociti T possa prevenire l’insorgenza del
diabete di tipo 1 in sogge i geneticamente ad alto rischio.
La scoperta dell’importanza delle citochine e del modo con cui i
rece ori – ricordiamolo, gli interru ori che accendono le risposte
cellulari – funzionano, ha aperto la strada allo sviluppo di composti
chimici semplici che, per così dire, tagliano i fili a valle
dell’interru ore: scientificamente, si dice che bloccano la via di
trasduzione del segnale. È questo il caso degli inibitori di enzimi
de i JAK , a valle di alcune citochine come IL-6 . Di nuovo, il percorso
verso l’applicazione terapeutica è partito da un’osservazione clinica,
fa a nel nostro paese. Negli anni Novanta Anna Villa, Paolo Vezzoni
e Luigi Notarangelo hanno scoperto che un dife o genetico di JAK
causa una profonda immunodeficienza in alcuni bimbi. Questa
scoperta clinica ha aperto una porta che, dopo vent’anni, ha portato
allo sviluppo di nuovi farmaci, ora utilizzati per la cura di tumori
ematologici e mala ie infiammatorie.
Seppur rapidamente, fin qui abbiamo visto una panoramica
dell’universo a uale dei farmaci che abbiamo a disposizione e del
loro meccanismo di azione. Si tra a tu avia di un universo in
continua evoluzione, in cui è ragionevole aspe arsi, in futuro,
ulteriori novità e, si spera, successi.
Non sempre – vale la pena ricordarlo – le novità sono legate a
farmaci di per sé del tu o nuovi: a volte, si scopre un utilizzo
diverso di farmaci già esistenti. Così, per esempio, usiamo come
antinfiammatori alcuni farmaci che non sono nati come tali: fra
questi il Metotrexate, vero e proprio cardine della terapia dell’artrite
reumatoide. Originariamente nato come antimetabolita, ossia in
grado di bloccare una via metabolica, e come antitumorale,
successivamente – a dimostrazione dei tanti e diversi percorsi di
ricerca che si incrociano nel progresso della medicina – ha rivelato
importanti proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive.
Ancora, gli anticorpi anti-CD20 che eliminano i linfociti B sono stati
pensati inizialmente per la cura dei linfomi, ma si sono poi
dimostrati utili anche per la cura di mala ie autoimmuni come
l’artrite reumatoide. Integrare nuove conoscenze e farmaci con le
strategie da lungo tempo in uso costituisce una delle sfide da
affrontare anche in un’o ica di personalizzazione delle terapie.
Parte seconda
I TANTI VOLTI DELL’INFIAMMAZIONE
VII
Organismo in fiamme: la sepsi e lo shock se ico
La scoperta dell’autoimmunità
Vale la pena, a questo punto, ripercorrere la storia che ha portato alla
scoperta e alla definizione dell’autoimmunità: un conce o oggi
ormai assodato ma a lungo diba uto e contrastato. Paul Ehrlich, uno
dei grandi padri della medicina, microbiologo e immunologo
tedesco della metà dell’O ocento, afferma che un sistema
immunitario che aggredisce se stesso è inconcepibile, quindi conia il
termine di horror autotoxicus (orrore dell’autotossicità) per definire
l’impossibilità che il sistema immunitario, nato per difenderci, possa
rivolgersi contro noi stessi.
Questo dogma ha dominato la scienza immunologica per circa
cinquant’anni: così, nonostante ci fossero osservazioni cliniche di
mala ie autoimmuni già nei primi anni del secolo scorso,
sostanzialmente fino agli anni Cinquanta abbiamo assistito a una
sorta di eclissi dell’autoimmunità. Il «rinascimento» degli studi in
questo campo si deve nel 1948 a Malcolm Hargraves, Helen
Richmond e Robert Morton della Mayo Clinic di Rochester negli
USA , che studiando una grave mala ia, il lupus eritematoso
sistemico, si accorgono che nel sangue dei pazienti che ne sono
affe i sono presenti «autoanticorpi», ovvero anticorpi dire i contro
alcuni componenti propri dell’organismo stesso (antinucleo). Da qui
rinasce il conce o di autoimmunità, ossia di reazione dire a contro i
costituenti propri dell’organismo.
Pochi anni prima, in Europa il medico norvegese Erik Waaler si
era accorto che nel sangue dei pazienti affe i da mala ie reumatiche
erano presenti anticorpi capaci di riconoscere e a accare i loro stessi
anticorpi (anti-anticorpi): aveva così scoperto quello che ora
chiamiamo «fa ore reumatoide» (RF ) e che utilizziamo per effe uare
diagnosi di artrite reumatoide.
Waaler, tu avia, non aveva proseguito queste osservazioni e nel
1948, negli USA , Henry Rose scopre in maniera indipendente il
fa ore reumatoide, per caso e studiando tu ’altro: la ricke siosi,
mala ia infe iva causata da un ba erio (Ricke sia). Analizzando il
sangue di un suo tecnico affe o da questa mala ia, ma anche da
artrite, si accorge infa i della presenza di anticorpi dire i contro gli
anticorpi dell’organismo. Sulla base di queste osservazioni, viene
messo a punto il test di Waaler-Rose, un esame di laboratorio che
evidenzia la presenza, nel sangue del paziente, del fa ore
reumatoide e che è stato a lungo utilizzato per la diagnosi dell’artrite
reumatoide.
Un altro passo importante sulla strada dell’autoimmunità è
costituito dalla conoscenza più approfondita delle mala ie che
colpiscono la tiroide (Autoimmune Thyroid Diseases, ATD ), prototipo
delle patologie autoimmuni cosidde e «organo specifiche», ovvero
che interessano un solo organo. E che, come in realtà la maggior
parte delle patologie autoimmuni, colpiscono in prevalenza il sesso
femminile.
Nel 1936, a Londra, Ivan Roi scopre che nel sangue dei pazienti
affe i da tiroidite di Hashimoto, mala ia che causa ipotiroidismo
(ossia diminuisce la funzionalità della tiroide), sono presenti
anticorpi contro la tiroide (anti-tiroglobulina). In parallelo, in Nuova
Zelanda, i due ricercatori Herbert D. Purves e Duncan D. Adams,
studiando una patologia tiroidea che causa l’effe o contrario, ovvero
l’ipertiroidismo (la tirotossicosi o mala ia di Graves), scoprono la
presenza di anticorpi che, invece di inibire, stimolano le cellule della
tiroide a produrre ormoni tiroidei.
Queste tappe fondamentali hanno aperto la strada
all’identificazione e alla diagnosi di un grande spe ro di mala ie, in
cui il sistema immunitario aggredisce il nostro stesso organismo.
I bersagli dell’autoimmunità
Come abbiamo de o, definiamo antigeni i bersagli contro cui
reagiscono le nostre difese immunitarie. Nelle mala ie autoimmuni
parliamo di «autoantigeni», che vengono riconosciuti da linfociti T
e/o da autoanticorpi prodo i dalle cellule B. Non abbiamo ancora
scoperto tu i i bersagli contro cui sono dire e le risposte
autoimmuni, né sappiamo quali di questi siano davvero importanti.
Nel diabete di tipo 1, per esempio, i bersagli sono le cellule beta
del pancreas, che tengono so o controllo i livelli di zuccheri nel
sangue secernendo l’insulina, ormone ipoglicemizzante, in risposta a
un aumento della glicemia. Probabilmente la molecola riconosciuta è
l’insulina stessa modificata.
Nella tiroidite autoimmune, invece, il bersaglio è il rece ore
dell’ormone che stimola la funzione della tiroide.
Ancora, nella psoriasi un antigene contro cui è dire a la risposta
immunitaria, in una parte dei pazienti, è stato identificato da un
italiano, Antonio Costanzo, 5 responsabile di dermatologia all’Istituto
Humanitas. Si tra a di LL37 (un peptide antimicrobico), dimostratosi
importante per un approccio terapeutico mirato nell’o ica di una
medicina sempre più di precisione.
Nel caso dell’artrite reumatoide abbiamo visto che ci sono
anticorpi dire i contro i nostri stessi anticorpi (fa ore reumatoide),
ma questi non sono la vera causa della mala ia; sono stati identificati
altri autoantigeni, in particolare proteine citrullinate, 6 e anticorpi
contro queste molecole sono utili strumenti diagnostici, ma chi sia il
vero colpevole dell’infiammazione articolare non è ancora del tu o
chiaro.
Nelle mala ie autoimmuni che invece colpiscono più organi,
come il lupus, gli antigeni bersaglio sono molti, e non ancora tu i
noti. Nel lupus compaiono per esempio anticorpi dire i contro acidi
nucleici, che di per sé non causano la mala ia, ma che sono utili
marcatori diagnostici.
Insomma, l’identificazione delle molecole bersaglio
dell’autoimmunità continua a rappresentare una sfida, tanto più
importante in una prospe iva di medicina di precisione.
I fa ori di rischio
Gli studi epidemiologici e le ricerche immunologiche suggeriscono
che alcuni fa ori aumentano il nostro rischio di sviluppare mala ie
autoimmuni, anche se non comprendiamo ancora fino in fondo in
che modo, né conosciamo tu i i determinanti. Fra questi il sesso, i
geni «sbagliati», lo stile di vita, le infezioni.
SESSO E ORMONI
LO STILE DI VITA
LE INFEZIONI
Le cause
Sorge spontaneo, a questo punto, chiedersi a che cosa servano le
risposte allergiche, dal momento che ci causano un danno.
Il senso della loro esistenza, in realtà, è diametralmente opposto.
Nascono infa i come un meccanismo di difesa a tu i gli effe i,
importantissimo in condizioni naturali, ossia in un contesto di vita
senza medicine e con scarsa igiene. La loro funzione è difenderci da
alcune tossine contenute nei veleni e dai vermi intestinali come gli
elminti, che oggi non sono più un problema nei paesi ricchi ma
continuano a esserlo, a livello drammatico, nei paesi in via di
sviluppo.
Dunque la morte del faraone Menes nel 2600 a.C. in seguito a una
puntura di vespa, raffigurata in un geroglifico egiziano, è il risultato
di un eccesso di difesa. E questo vale un po’ per tu i i tipi di allergia.
Ironia della sorte, lo stesso Sergio Romagnani – che come abbiamo
visto ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della scoperta dei
meccanismi allergici – ha avuto uno shock anafila ico in seguito a
una puntura d’inse o.
Ma perché si verifica questo eccesso di difesa? Le cause non sono
del tu o note o dimostrate, ma certamente geni, ambiente e stile di
vita giocano un ruolo fondamentale.
Iniziamo dai geni. Abbiamo visto come già nel 1923 Coca si fosse
accorto che l’atopia tende a raggrupparsi in famiglie. Non c’è dubbio,
quindi, che ci sia in qualche modo una predisposizione genetica
all’allergia. Non esiste però un unico gene responsabile di questo
problema: sono piu osto tante varianti genetiche, e di geni diversi,
che insieme aumentano il rischio di sviluppare mala ie allergiche. È
il motivo, per esempio, per cui nonostante io sia allergico come mia
madre, non tu i i miei figli hanno ereditato lo stesso problema.
I geni responsabili dell’aumento di susce ibilità alle allergie
ricadono fondamentalmente in tre categorie: quelli associati
all’immunità innata e alla regolazione del sistema immunitario,
quelli legati alle cellule TH2 e alla loro funzione, e quelli che hanno a
che vedere con i tessuti in cui si manifestano le mala ie allergiche,
quindi geni dell’immunità delle mucose, geni associati alla funzione
del polmone e delle vie aeree, e così via.
Il secondo determinante è l’ambiente. Numerosi dati dimostrano
che l’allergia è un fenomeno correlato alle società moderne. Prima
del XIX secolo era un evento raro. Oggi, il numero di persone che ne
soffrono è in aumento ogni anno nei paesi economicamente
sviluppati, ma non per esempio nei villaggi dei paesi poveri.
Per quale motivo? A lungo si è pensato che tale incremento fosse
legato a fa ori esclusivamente ambientali, in particolare
all’inquinamento. Tu avia, molti dati contraddicono questa visione.
Per esempio, da un confronto tra popolazioni con lo stesso
background genetico, effe uato dalla ricercatrice Erika von Mutius
in Germania all’epoca della divisione politica del paese, è emerso che
la frequenza di mala ie allergiche non è affa o correlata con il livello
di inquinamento: i bambini provenienti dalla parte Est, decisamente
più inquinata, avevano infa i meno reazioni allergiche e casi di asma
rispe o a quelli della Germania Ovest.
Arriviamo così al terzo elemento fondamentale per la maggiore
susce ibilità alle allergie: lo stile di vita. Nel 1989 David Strachan, in
un articolo pubblicato sul «British Medical Journal», formula per
primo la cosidde a «ipotesi dell’igiene» per spiegare l’aumentata
insorgenza di asma allergica nei bimbi inglesi. Osservando che i figli
unici erano più frequentemente asmatici, spiega questo dato con la
loro rido a esposizione ai patogeni (virus, ba eri e parassiti).
Fra le tante conferme dell’ipotesi di Strachan, nel 2016 uno studio
pubblicato sul «New England Journal of Medicine» »3 ha rilevato che
i tassi di asma sono inferiori nei bambini Amish rispe o ai bambini
Hu eriti. Entrambi i gruppi hanno un background genetico e stili di
vita simili, tu avia gli Amish usano solo tecniche agricole
tradizionali, e quindi hanno più conta i con gli animali da fa oria
rispe o agli Hu eriti, che utilizzano metodi di allevamento più
moderni.
L’ipotesi igiene, dunque, associa l’aumento delle allergie allo stile
di vita in un ambiente troppo pulito e privo di germi. In altre parole,
la riduzione del numero e del tipo di microbi che il nostro sistema
immunitario incontra nel corso della vita potrebbe causare una
reazione eccessiva quando viene a conta o con sostanze
normalmente innocue.
In parallelo, l’analisi dei meccanismi fondamentali con cui opera il
sistema immunitario ha spiegato e fornito una base alle osservazioni
epidemiologiche. Gli studi condo i in particolare da Sergio
Romagnani hanno messo in luce come i dire ori dell’orchestra
immunologica, i linfociti T, si specializzino a dirigere repertori
diversi di risposte immunitarie. In particolare, le cellule TH1 sono
responsabili della resistenza a microbi come il micoba erio della
tubercolosi, le cellule TH17 della resistenza a ba eri extracellulari
come lo stafilococco, mentre le cellule TH2 orchestrano la risposta a
parassiti come i vermi intestinali.
Me endosi in moto contro i diversi patogeni, le cellule TH
mandano anche segnali di stop agli altri comandanti, la cui
interazione darebbe solo fastidio. Riducendo drasticamente il nostro
incontro con i patogeni e controllando le infezioni ba eriche grazie
agli antibiotici, a iviamo sempre meno le cellule TH1 e, di
conseguenza, facciamo mancare un freno alle cellule TH2 . Che,
ritrovandosi a comba ere non più dannosi parassiti ma perlopiù
nemici innocui e disarmati come i pollini, sostengono le reazioni
allergiche.
Da grandi studi epidemiologici emergono dati impressionanti a
sostegno del fa o che esporre i bambini a una maggiore quantità di
microrganismi non patogenetici, ossia che di per sé non causano
mala ia (per esempio quelli che derivano dal conta o con gli
animali e con i loro escrementi, il consumo di la e non
pastorizzato…), riduce il rischio di sviluppare asma e allergie.
Per esempio, sono stati condo i due studi europei trasversali:
uno, PARSIFAL (Prevention of Allergy – Risk Factors for Sensitisation in
Children Related to Farming and Anthroposophic Lifestyle), ha coinvolto
bambini che abitavano in fa orie ed erano dunque a conta o con le
stalle. L’altro, denominato GABRIELA (uno studio multidisciplinare
che aveva l’obie ivo di individuare le cause genetiche e ambientali
alla base dell’asma), è stato effe uato su bambini che vivevano in
ci à. I dati emersi hanno evidenziato che l’esposizione continua ai
microbi, da parte dei bambini delle fa orie, era associata a un rischio
rido o di sviluppare asma e allergie.
I dati epidemiologici e immunologici suggeriscono dunque che
l’aumento di mala ie allergiche è il prezzo che paghiamo al successo
avuto nel comba ere le mala ie infe ive, che – ricordiamolo –
costituivano, e ancora costituiscono nei paesi poveri, un vero
flagello.
Ma che implicazioni hanno studi di questo tipo? In che modo
possiamo stimolare il sistema immunitario dei bambini che non
vivono nelle fa orie o hanno conta i rido i con microbi non
patogenetici?
È popolare l’uso di probiotici (dal greco pró bios, «a favore della
vita»), ovvero microrganismi (sopra u o ba eri) vivi e a ivi,
contenuti in determinati alimenti o integratori in un numero
sufficiente per esercitare un effe o positivo sulla salute
dell’organismo, rafforzando in particolare l’equilibrio della flora
ba erica intestinale. I dati che suggeriscono una loro azione di
potenziamento del sistema immunitario non sono tu avia
conclusivi, al momento. I microrganismi sono armi di protezione che
non abbiamo ancora imparato a usare: questo costituisce una
frontiera di ricerca importante.
Sono in corso ricerche anche sull’utilità di pre- e postbiotici. I
prebiotici sono sostanze, come gli oligosaccaridi a base di gala osio
e fru osio, contenute in natura in alcuni alimenti, che promuovono
nell’intestino la crescita di specie ba eriche utili allo sviluppo della
microflora probiotica, e potrebbero perciò favorire un certo tipo di
ambiente microbico al nostro interno. Dati suggestivi indicano che il
loro uso può ridurre, nei bambini, il rischio di sviluppare dermatite
atopica, prima manifestazione della marcia allergica.
C’è poi un mondo – in cui è impegnata a ivamente Humanitas, in
particolare il team di Maria Rescigno – che guarda ai postbiotici,
ossia i prodo i metabolici (metaboliti) di alcuni ceppi microbici:
sostanze che agiscono in maniera indire a sui tessuti dell’organismo
ospite e su altri ba eri, contribuendo così a veicolare gli effe i
positivi dei probiotici stessi. Ma questi postbiotici possono diventare
una strategia per modificare le risposte immunitarie? Di nuovo, per
ora non ci sono dati certi. È dunque necessario approfondire le
ricerche in questo se ore certamente di frontiera.
Al momento, in mancanza di dati che indicano una strategia di
prevenzione sicura, posso dire che quando vedo tre dei miei nipoti
giocare con i loro ga i Giuseppe e Anita, mi piace pensare che
quest’abitudine – oltre a farli divertire e a insegnare il rispe o per gli
animali – dia loro una qualche protezione nei confronti della
tendenza genetica a sviluppare mala ie allergiche.
Sono trascorsi ormai più di dieci anni. Prima della seconda guerra
del Golfo e dell’invasione dell’Iraq, il presidente degli Stati Uniti
George W. Bush si so opone a un controllo periodico al National
Naval Medical Center, istituto della marina statunitense che si trova
accanto al più grande campus di ricerca biomedica del mondo, i
National Institutes of Health (NIH ) di Bethesda. Al termine, il suo
portavoce riferisce che il presidente sta bene e la sua salute
cardiovascolare non corre rischi, anche i livelli di proteina C-rea iva
nel sangue sono bassi.
L’episodio testimonia come la proteina C-rea iva – PCR , marcatore
di infiammazione che abbiamo imparato a conoscere nel III capitolo
– negli Stati Uniti si sia diffusa, e sia ormai riconosciuta, quale
indicatore di salute cardiovascolare.
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: quale relazione
esiste fra l’infiammazione e le mala ie cardiovascolari?
Le patologie cardiovascolari, che costituiscono la prima causa di
morte nel mondo occidentale, sono molte e diverse fra loro. Vanno
da quella che ci è più familiare, l’infarto del miocardio, all’angina,
dallo scompenso cardiaco all’ictus (di cui però parleremo nel
capitolo sul cervello), agli aneurismi dell’aorta in periferia, e così via.
A tu e, so ostà lo stesso meccanismo fondamentale che le
accomuna, l’aterosclerosi: a livello delle arterie, in particolare di
alcune di esse, si forma un accumulo di cellule e grassi (lipidi) tra i
quali il colesterolo, che dà luogo a vere e proprie placche (de e
«ateromi») all’interno delle pareti dei vasi.
Pur essendo le mala ie vascolari tipiche dei paesi ricchi,
l’aterosclerosi che le causa è una degenerazione della parete
vascolare osservata già nelle mummie egizie. 1 Inoltre, benché le
conseguenze dell’aterosclerosi si manifestino di regola nell’età
adulta, le fasi iniziali della lunga storia naturale di questa patologia
si sono osservate già nei bambini.
È una conoscenza comune e assodata che un grasso, il colesterolo,
sia un fa ore di rischio importante per tu e le patologie causate
dall’aterosclerosi. Perciò nei paesi ricchi è estremamente diffusa la
misurazione dei livelli di colesterolo nel sangue e, in particolare, dei
valori di quello «buono» (HDL ) e «ca ivo» (LDL ).
Il ruolo dei grassi nella patologia cardiovascolare è noto da molto
tempo grazie a grandi studi clinici che hanno coinvolto migliaia di
persone, generando anche, purtroppo, ossessioni ed esami del
sangue a volte ingiustificati. Tu avia, in questo se ore negli anni
O anta abbiamo assistito a un grande cambiamento di paradigma:
pioniere ne è stato Russell Ross a Sea le, che nel 1976, con un lavoro
pubblicato sul «New England Journal of Medicine» ha aperto la
discussione sulla natura dell’aterosclerosi proponendo la teoria della
«risposta alla lesione»: secondo tale ipotesi, so esa al processo di
aterosclerosi c’è una risposta a un danno all’endotelio e alle cellule
della parete dei vasi. Un danno indo o dall’accumulo di lipidi, che
innesca una cascata di rimodellamento della parete vascolare.
Dunque, agli a ori per così dire «tradizionali» del processo
aterosclerotico e delle sue complicanze – ovvero le cellule delle
pareti vascolari (l’endotelio che riveste i vasi e le cellule muscolari
lisce) e le piastrine che aggregandosi facilitano coagulazione e
trombosi nella sede della lesione – se ne affiancano di nuovi:
macrofagi e linfociti T.
Si scopre infa i che il primo evento riconoscibile nella storia
naturale dell’aterosclerosi è l’arresto dei monociti circolanti, che nei
tessuti diventano macrofagi, il loro rotolamento sulle pareti vascolari
e la successiva entrata nella parete dei vasi delle arterie, come
abbiamo visto nei primi capitoli. I macrofagi si dimostrano dunque
cellule fondamentali nella storia naturale dell’aterosclerosi, così
come in generale in tu i i processi infiammatori cronici.
Un collega svedese al Karolinska Institutet, Göran Hansson,
scopre che anche i linfociti T sono presenti in questa mala ia e
giocano un ruolo. Insomma, in una lesione aterosclerotica ritroviamo
tu i gli a ori principali di una risposta infiammatoria cronica, che
qui assume le cara eristiche peculiari dell’ateroma: una placca
formata da grassi, proteine e tessuto fibroso che si forma nella parete
delle arterie.
Le cellule infiammatorie nella lesione ateromatosa ne orchestrano
lo sviluppo e l’eventuale ro ura. I macrofagi, spazzini di professione
dotati di rece ori de i scavenger, vere e proprie scope molecolari,
trovandosi a fronteggiare l’eccesso di lipidi presenti nel sangue
circolante ingrassano, inglobando al loro interno troppi grassi che
non riescono a gestire. E il sistema immunitario, davanti a un
problema che è incapace di risolvere, come di consueto risponde
costruendo un muro fibroso, per isolare e contenere il danno: la
placca ateromatosa aumenta dunque di volume e tende a ostruire il
vaso. Non solo. Gli enzimi digestivi di cui sono ricche le cellule
infiammatorie contribuiscono alla ro ura della placca, con
conseguente trombosi e chiusura del vaso, che porta all’infarto.
A partire dagli anni O anta del secolo scorso diversi ricercatori
iniziano a definire le basi molecolari dei meccanismi infiammatori
fondamentali nella storia naturale dell’aterosclerosi e delle sue
complicanze. Per esempio, a Boston il gruppo di Michael Gimbrone,
Peter Libby e altri, e in parallelo Elisabe a Dejana al Mario Negri di
Milano, con cui ho collaborato per molti anni, scoprono che IL-1 e
altre citochine infiammatorie – che abbiamo visto essere prodo e
principalmente da macrofagi – rimodellano profondamente le cellule
della parete vascolare, per esempio producendo molecole adesive e
chemochine, che costituiscono il codice di avviamento postale dei
monociti circolanti.
Cellule e mediatori infiammatori vengono dunque riconosciuti
come componenti fondamentali della storia naturale
dell’aterosclerosi e delle sue manifestazioni cliniche. Ma quali sono i
sensori (rece ori) che conne ono eccesso e qualità dei grassi, oppure
anche il danno vascolare causato per esempio dal fumo, con la
cascata dei mediatori infiammatori? Evidenze di tipo sperimentale e
correlazioni genetiche hanno indicato che rece ori appartenenti a
diverse classi – fra cui TLR e scavenger, che «vedono» lipidi ossidati –
giocano un ruolo. Più recentemente, si è scoperto che il colesterolo in
eccesso depositato nella parete vascolare forma cristalli, che vengono
«visti» – come abbiamo de o – da appositi sensori (inflammosomi)
che avviano la produzione di interleuchina-1.
A questo cambiamento di visione della natura e dei meccanismi
dell’aterosclerosi e delle sue complicanze cliniche hanno fa o eco i
risultati di piccoli e grandi studi clinici che ne hanno confermato la
validità. Per esempio si è osservato che l’effe o di riduzione dei
livelli di colesterolo indo o dalle statine, farmaci largamente
utilizzati, di per sé non è sufficiente a spiegare la protezione contro
gli eventi cardiovascolari. E alcuni laboratori, fra cui il mio, hanno
rilevato che tali farmaci riducono la produzione di chemochine e
citochine infiammatorie.
A chiarire il rapporto tra l’infiammazione e le sue complicanze ha
dato un contributo importante un avanzamento tecnologico in sé
piccolo, ma di grande impa o. Paul Ridker, a Boston, me e a punto
un test a elevata sensibilità per valutare la presenza di proteina C-
rea iva, monitorando i suoi livelli nel sangue. Grandi studi clinici
cooperativi, come JUPITER , 2 condo o su oltre 17.000 pazienti, hanno
dimostrato che l’utilizzo di proteina C-rea iva come spia o
biomarcatore perme e di identificare uno stato infiammatorio
subclinico – che si manifesta appunto con livelli elevati di PCR nel
sangue –, che rappresenta un importante fa ore di rischio per le
complicanze dell’aterosclerosi, in particolare per l’infarto del
miocardio. Per questo negli Stati Uniti la proteina C-rea iva si è
diffusa come marcatore da tenere so o controllo per il rischio
cardiovascolare, esa amente come il colesterolo.
PCR è un marcatore di infiammazione ma non gioca un ruolo nella
storia naturale della patologia aterosclerotica. Al contrario un suo
lontano parente, PTX3 , 3 è molto più di uno spe atore innocente: oltre
a essere un biomarcatore di rischio e di danno cardiaco, contribuisce
alla patogenesi della mala ia aterosclerotica. 4
La scoperta del legame tra infiammazione e aterosclerosi ha posto
le basi per una grande sperimentazione terapeutica, di nuovo grazie
a Peter Libby e Paul Ridker.
Le evidenze di laboratorio che abbiamo menzionato sopra
suggerivano che uno dei mediatori dell’infiammazione,
interleuchina-1, giocasse un ruolo fondamentale nell’accendere e nel
tener vivo il processo infiammatorio legato all’aterosclerosi. Così, su
questa base è stato disegnato e condo o il grande studio clinico
cooperativo internazionale denominato CANTOS 5 in oltre 10.000
pazienti a rischio di complicanze da aterosclerosi, con proteina C-
rea iva elevata. CANTOS ha dimostrato che bloccando interleuchina-1
si riducono in modo notevole le complicanze dell’aterosclerosi. Non
si tra a ancora di una terapia approvata, per motivi di bilancio
rischi-benefici, ma i pazienti tra ati con anti-interleuchina-1
risultano prote i non solo dalle complicanze dell’aterosclerosi, ma
anche da altre mala ie che nulla hanno a che vedere con il se ore
cardiovascolare: patologie classicamente infiammatorie come le
artriti, e anche il cancro del polmone. Lo studio evidenzia, in qua ro
anni, nei pazienti tra ati con anti-IL-1 beta, una riduzione di oltre il
60 per cento dell’incidenza del cancro del polmone e del 70 per cento
della mortalità da questo tipo di tumore. Sul significato di questo
dato torneremo nel capitolo sul cancro.
È interessante notare come, invece, studi clinici condo i su
pazienti con artrite reumatoide 6 e in cui viene bloccata un’altra
citochina infiammatoria, TNF , abbiano dimostrato protezione nei
confronti di aterosclerosi. Tu avia, l’insufficienza cardiaca è una
controindicazione all’uso di anti-TNF in artrite reumatoide. Ancora
una volta, dunque, impariamo dai pazienti. E vediamo che il fuoco
infiammatorio è so eso a mala ie molto diverse.
La storia del rapporto tra mala ie del sistema cardiovascolare e
infiammazione è ancora in divenire: molti dati, per esempio,
indicano una componente infiammatoria anche nello scompenso
cardiaco, patologia oggi in aumento in parte come conseguenza della
miglior curabilità dell’infarto, e dunque della minor mortalità 7
legata a esso. Lo scompenso cardiaco può avere anche base
genetica, 8 ma i meccanismi infiammatori sono una delle torce che lo
mantengono vivo. Le evidenze suggeriscono che in particolare
citochine come TNF e IL-1 giochino un ruolo importante nella
progressione di questa mala ia: tu avia, le sperimentazioni cliniche
basate su farmaci anti-TNF hanno fallito. Probabilmente perché –
esa amente come per la sepsi – il loro utilizzo è troppo tardivo:
quando l’incendio è già esteso, spegnere il fiammifero che lo ha
originato serve a poco.
La storia, però, continua. Da una parte infa i sono ogge o di
studio strategie differenti mirate a bloccare le citochine che
sostengono l’infiammazione, dall’altra si fa strada una visione nuova
delle cellule dell’immunità all’interno del cuore. Abbiamo sempre
considerato e analizzato il cuore come un muscolo che si contrae in
modo ritmico. In realtà, abbiamo scoperto che al suo interno, nel
tessuto cardiaco, sono presenti cellule del sistema immunitario:
linfociti T e monociti-macrofagi. Oggi diversi laboratori, negli Stati
Uniti ma anche in Italia, si stanno concentrando su questo aspe o. 9
Ci a endiamo quindi che dall’analisi della diversità e complessità
delle cellule del sistema immunitario all’interno del cuore derivino
nuove strategie terapeutiche per la cura delle mala ie
cardiovascolari.
Per dirla all’inglese, «Jury is still out», la giuria è fuori, ossia la
sentenza deve ancora essere emessa. La storia del legame tra
infiammazione e mala ie del cuore continua…
XI
Fuoco al cervello
L’ictus
Fino a ora abbiamo visto mala ie tipiche e specifiche del sistema
nervoso centrale. A carico del cervello, però, ci sono anche patologie
sistemiche in cui il fuoco infiammatorio ha un ruolo preponderante.
Fra queste in particolare lo stroke (l’ictus), patologia vascolare di
straordinario impa o sulla salute. Il danno iniziale al cervello legato
a questa mala ia – l’anossia, ovvero il mancato o rido o apporto di
ossigeno a cellule e tessuti, di cui risentono particolarmente le cellule
del sistema nervoso centrale – può essere causato da una trombosi,
ossia un vaso sanguigno che si chiude, o al contrario da
un’emorragia conseguente alla ro ura di un vaso. A monte di questi
due eventi può esserci un dife o congenito del vaso (aneurisma)
oppure l’aterosclerosi, di cui abbiamo parlato nel X capitolo.
Al di là del danno iniziale al sistema nervoso centrale causato
dall’ictus, la sua successiva estensione è legata alla risposta
infiammatoria che si innesca in seguito al danneggiamento dei
tessuti. In altre parole, i meccanismi infiammatori rappresentano la
benzina che alimenta il danno al cervello.
Al momento, questa visione non si è ancora trado a in un
approccio farmacologico universalmente acce ato ed entrato nella
pratica clinica, ma si tra a di un fronte aperto. Studi clinici condo i
da Nancy Rothwell, nota in Inghilterra non solo per la sua a ività
scientifica ma anche per le sue doti divulgative, hanno o enuto
risultati prome enti bloccando una citochina centrale
dell’infiammazione (IL-1 ) con il suo antagonista rece oriale.
Ansia e depressione
Un’ultima categoria di mala ie a carico del sistema nervoso centrale
sono quelle che causano ansia e depressione. Non organiche,
costituiscono una vera e propria emergenza sul piano di salute
globale, riconosciuta come tale dall’Organizzazione mondiale della
Sanità. Si tra a di mala ie circondate da uno stigma sociale, per
questo i dati sono certamente so ostimati: quello che vediamo,
dunque, è solo la punta dell’iceberg.
Un’analisi dell’Organizzazione mondiale della Sanità su
«depressione e altri disturbi mentali» pubblicata nel 2017 6 ha
rivelato che circa 300 milioni di persone nel mondo sono affe e da
depressione, con un aumento di oltre il 18 per cento verificatosi tra il
2005 e il 2015.
La depressione è considerata dall’OMS la maggior causa di
disabilità su scala globale. 7 Secondo le stime, solo in Italia ne
soffrono 2,8 milioni di persone sopra i 15 anni. Se aggiungiamo
anche l’ansia, arriviamo a 3,7 milioni di persone. 8
L’OMS ha inoltre identificato forti legami tra depressione e altre
mala ie non trasmissibili, incluso l’aumento del rischio di disturbi
nell’uso di sostanze come la marijuana, nonché di mala ie quali il
diabete e le patologie cardiache.
Sorprendentemente, oggi abbiamo motivi per pensare che anche
questo genere di mala ie abbia una componente di tipo
immunologico e infiammatorio. Un’osservazione ripetuta, dunque
solida, è che a patologie come la depressione si associa uno stato
pro-infiammatorio: in altre parole, aumentano i marcatori
infiammatori in circolo. 9 Non sappiamo se questi siano la
manifestazione di un problema o se, invece, contribuiscano alla sua
insorgenza. Certamente, però, quest’osservazione costituisce una
spia di a enzione, e ci ricorda il costante e continuo dialogo tra i
nostri due «massimi sistemi».
Nell’esperienza di tu i, lo stress induce ansia. Recentissimi dati
preclinici suggeriscono che la connessione fra stress e ansia sia
stabilita da mediatori immunologici. Dati clinici ancora più ne i, che
illustrano questo conce o di cara ere generale, derivano da uno
studio pubblicato circa due anni fa sulla prestigiosa rivista «PNAS -
Proceedings of the National Academy of Sciences», confermato
successivamente da numerose ricerche. 10 Lo studio ha dimostrato
l’importanza di una vita sociale a iva nella popolazione anziana: a
parità dell’apparente stato di salute, analizzando con le migliori
tecnologie a disposizione il sistema immunitario degli anziani, il
confronto tra coetanei – da una parte persone con un’intensa vita di
relazione, dall’altra chi vive in completo isolamento – mostra senza
ombra di dubbio che l’isolamento comporta un aumento ne o dei
marcatori infiammatori in circolo. Un «fuoco interiore» decisamente
più intenso, dunque. Al contrario, la socialità aiuta il corre o
funzionamento del sistema immunitario.
Questo – al di là dell’auspicabilità di una vita di relazione per tu i
gli anziani – ci ricorda come tanti aspe i della nostra vita, anche
quelli di ambito non stre amente medico, testimonino il dialogo tra
cervello e immunità, dai quali dipende il nostro stato di benessere.
XII
Le relazioni pericolose tra infiammazione e cancro
Il ruolo dell’infiammazione
Dunque l’invecchiamento – sia del sistema immunitario, sia
biologico, sia cellulare – comporta una risposta infiammatoria. Per
questo si è di fa o affermata una teoria generale, universalmente
acce ata, definita con un termine inglese: inflammaging, crasi tra
inflammation e aging, ossia invecchiamento infiammatorio. Il termine
è stato coniato da un italiano, Claudio Franceschi, 9 che ha sempre
studiato l’invecchiamento del sistema immunitario lavorando, negli
anni, fra Bologna, Modena e Ancona.
Fondamentali, in questi studi, sono stati i «Matusalemme» dei
nostri giorni, gli ultracentenari. In Italia ne è ricca, come abbiamo
de o, la Sardegna. Studi analoghi sono stati condo i in popolazioni
molto diverse e distanti, per esempio in Oriente, in particolare in
Giappone dove l’aspe ativa di vita è molto alta e gli ultracentenari
sono numerosi. Ne è emerso che i determinanti dell’invecchiamento
con successo sono complessi ma, in generale, l’infiammazione ne
costituisce una componente fondamentale. Tenere so o controllo
l’infiammazione consente, quindi, di invecchiare meglio.
Il perché lo abbiamo in un certo senso visto nei capitoli
precedenti: infiammazione fuori controllo è sinonimo, alla lunga, di
mala ia. Come una piccola brace che cova so o la cenere e si
propaga in tu o l’organismo, finché si manifesta a raverso una delle
principali patologie croniche correlate all’età: dal cancro
all’aterosclerosi, fino alla neurodegenerazione.
Ma che cosa determina il tono infiammatorio, così importante per
invecchiare con successo? Dagli studi effe uati è emerso
sostanzialmente che i determinanti sono sia di tipo genetico, sia
legati al mondo microbico che ci accompagna, sia correlati agli stili
di vita. Anche in questo caso la giuria deve ancora eme ere il
verde o finale: i dati sui polimorfismi genetici, per esempio,
evidenziano grandi differenze in popolazioni diverse. È dunque
ragionevole pensare che il nostro genotipo abbia un’influenza che
varia a seconda dell’ambiente: in altre parole, i geni importanti per
un invecchiamento con successo in Italia non sono gli stessi in un
ambiente totalmente differente come il Giappone, con stili di vita e
abitudini alimentari completamente diversi. Ma il minimo comune
denominatore rimane comunque la componente infiammatoria.
E se sulla componente genetica non possiamo agire in alcun modo
– così come sulla fortuna, che rappresenta un altro determinante
dell’invecchiamento con successo e, più in generale, dell’intera vita
–, possiamo però intervenire, e molto, sullo stile di vita (come
vedremo meglio nel prossimo capitolo). E possiamo farlo a
prescindere dall’età: il fumo e gli eccessi di alcol, troppe calorie e
alcuni cibi come i grassi idrogenati, il sovrappeso, la sedentarietà,
tanto per fare alcuni esempi, favoriscono l’infiammazione. Anche lo
stress cronico può destabilizzare l’equilibrio immunitario. Mente e
corpo sono collegati: studi recenti – lo abbiamo visto nel capitolo
dedicato al cervello – evidenziano come persone anziane che, a
parità di stato socio-economico e culturale, hanno una vita sociale
intensa hanno parametri infiammatori più bassi, dunque un tono
infiammatorio migliore e più controllato rispe o a loro coetanei che
vivono isolati. In un certo senso, quindi, andare al cinema e a teatro,
frequentare persone, crescere i nipotini e così via, oltre a essere
piacevole, fa bene anche al nostro sistema immunitario. E ci aiuta a
invecchiare con maggiore successo.
XIV
Ambiente e stili di vita
L’ambiente
Ambiente vuol dire ci à e luoghi in cui abitiamo, ma anche posti in
cui lavoriamo. Smog, polveri so ili, asbesto… l’inquinamento
ambientale porta pesanti conseguenze a livello di salute, con un
aumento di patologie polmonari e cardiovascolari 1 oltre che di
mortalità. La cronaca ce lo ricorda in continuazione.
Facciamo un passo indietro nel tempo, fino al 1952. Siamo a
Londra. Fra il 5 e il 9 dicembre di quell’anno, a causa dell’inversione
termica 2 la capitale del Regno Unito viene avvolta da una nuvola di
smog nerastro. Un fenomeno che dura pochi giorni, ma che porta
con sé un aumento di mala ie e mortalità fino al mese di febbraio
dell’anno successivo, con una stima di almeno 12.000 decessi. Un
numero ancora più impressionante se si considera che i
bombardamenti tedeschi, ai tempi della seconda guerra mondiale,
avevano causato la morte di circa 30.000 londinesi in cinque anni!
Una vera e propria emergenza ambientale, dunque, che porta
all’approvazione, per la prima volta nel 1956 da parte del Parlamento
britannico, del Clean Air Act, una legge per ridurre le emissioni di
sostanze inquinanti divenuta una pietra miliare nella lo a contro
l’inquinamento.
In realtà i precedenti storici sono assai antichi: già nell’Atene del V
secolo a.C. e nella Roma del I secolo d.C. ci si lamentava della qualità
dell’aria a causa delle fonderie, dei ceramisti, dei camini. E oggi,
nelle grandi ci à, siamo ormai abituati ai provvedimenti di blocco
del traffico o di circolazione delle auto a targhe alterne quando il
livello di smog – dunque il particolato che respiriamo – supera la
soglia di sicurezza.
I componenti principali dell’inquinamento atmosferico sono le
polveri, in particolare le più piccole (PM10 e PM2,5 , il cosidde o
nanoparticolato), il biossido di azoto (NO 2 ), il biossido di zolfo (SO 2 ) e
l’ozono (O 3 ). Tu avia, non si può dimenticare in questo elenco
l’asbesto, responsabile nel nostro paese di vere e proprie tragedie
come l’alta incidenza di mesoteliomi a Casale Monferrato, storico
sito di produzione di amianto 3 (un materiale che dal punto di vista
mineralogico appartiene appunto alla famiglia degli asbesti). Il
mesotelioma 4 – tumore delle cellule che rivestono la cavità pleurica
dove sono racchiusi i polmoni – è una mala ia dalla prognosi
perlopiù infausta: molto rara nella popolazione generale, è
riconducibile nella quasi totalità dei casi all’esposizione
professionale o ambientale ad amianto.
I dati parlano chiaro: nel 2016 l’OMS ha stimato che
l’inquinamento atmosferico abbia provocato circa 3 milioni di morti.
Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, nei paesi UE sono 436.000
le morti premature causate dal PM2,5 , 68.000 quelle legate al NO 2 ,
16.000 quelle dovute a O 3.
Perché? Cosa accade esa amente? L’inquinamento atmosferico
aumenta il rischio di aggravare o sviluppare mala ie diverse, a
breve e a lungo termine. La composizione degli inquinanti
atmosferici è complessa e variabile in condizioni diverse. È perciò
difficile definire fino in fondo quali siano i meccanismi di sviluppo
delle patologie associate all’inquinamento ambientale, ma
certamente la risposta infiammatoria gioca un ruolo cruciale.
Il nanoparticolato presente nello smog che respiriamo si
distribuisce in tu o il nostro organismo: alcuni specifici sensori –
della grande famiglia degli inflammosomi, che abbiamo incontrato
nei capitoli precedenti – riconoscendo la presenza di particelle
inducono la produzione di interleuchine, e promuovono così la
risposta infiammatoria.
Il primo organo a risentire degli effe i dell’inquinamento
atmosferico – come prevedibile – è il polmone. Molto ben studiato e
certo è il rapporto fra inquinamento e manifestazioni dell’asma
bronchiale, in particolare nei bambini, ma anche altre mala ie, quali
le polmoniti e le intensificazioni di una patologia cronica del
polmone, la broncopatia cronica ostru iva (BPCO ), aumentano in
relazione con l’esposizione all’inquinamento.
Un altro organo-bersaglio è il cuore. È noto da molto tempo che,
in coincidenza con i picchi di inquinamento, aumentano i ricoveri
per infarto, angina e scompenso cardiaco. Il particolato più fine,
infa i, a iva una risposta infiammatoria a livello della parete dei
vasi sanguigni che è alla base dell’aumentato rischio di infarto, ictus
e trombosi. Si stima che per ogni 5 microgrammi per metro cubo in
più di PM2,5 il rischio di infarto aumenti del 13 per cento.
Infine, non vi è dubbio che l’inquinamento atmosferico aumenti il
rischio di sviluppare tumori, in particolare del polmone: un’apposita
agenzia internazionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità
chiamata IACR (International Agency for Research on Cancer) 5 lo ha
classificato come «carcinogeno di tipo 1», ovvero come accertata
causa primaria di cancro.
Lo stile di vita
Complementare all’ambiente, lo stile di vita non è meno importante
per la nostra salute. Ed è un tema ogge o, oggi, di grande a enzione
ed enfasi.
Fumo di sigare a e vaping, tipo di alimentazione, quantità di cibo
mangiato – e di conseguenza sovrappeso – e qualità
dell’alimentazione intesa come dieta corre a, esercizio fisico:
l’insieme dei comportamenti che definiamo «stile di vita»
rappresenta un fa ore di rischio per l’insorgenza di numerose
patologie a base infiammatoria. Un fa ore di rischio tanto
importante quanto modificabile.
LOTTA ALL’ALCOL
LA VITA SOCIALE
I farmaci
Uno dei nostri obie ivi per gli anni a venire è lo sviluppo di nuovi
farmaci, ancora più efficaci e in grado di curare sempre più mala ie.
In questo se ore, una prima frontiera è costituita dalla messa a
punto di strumenti diversi per interferire con il sistema immunitario,
bloccando il suo fuoco quando non è necessario o, addiri ura, si
rivela dannoso. In altre parole, grandi sforzi sono tesi a realizzare
nuovi farmaci biologici capaci di frenare l’immunità.
Abbiamo visto come, bloccando le parole sbagliate (le citochine) e
i «codici di avviamento postale» che richiamano i soldati
responsabili del fuoco amico, la vita dei pazienti sia notevolmente
migliorata. È dunque ragionevole pensare che l’approfondimento
delle nostre conoscenze e la scoperta di nuove cellule e molecole
coinvolte possano darci ulteriori armi terapeutiche. Anticorpi contro
le citochine ma non solo. Dobbiamo prendere in considerazione
anche altre molecole, note ma non ancora utilizzate: per esempio IL-
37 , citochina con a ività immunosoppressiva della famiglia di
interleuchina-1. A lungo quasi dimenticata per via dei problemi di
instabilità con cui gli scienziati si scontravano, in questo momento è
ogge o di numerosi studi mirati a verificarne l’effe ivo potenziale.
Un altro orizzonte di conquista è costituito dallo sviluppo di
nuovi composti chimici semplici: i farmaci «tradizionali», che hanno
un basso costo. Storicamente quelli contro l’infiammazione, come
abbiamo visto nei capitoli precedenti, sono l’aspirina, il cortisone e
tanti altri che usiamo ogni giorno. Per lungo tempo la maggior parte
dei farmaci tradizionali è stata rivolta contro rece ori di membrana
oppure enzimi: si pensava infa i fosse difficile, se non impossibile,
che composti chimici semplici potessero bloccare le interazioni fra le
proteine, che sono molecole molto grandi. Oggi, tu avia, in un
contesto diverso – quello del cancro – per la prima volta si sta
utilizzando un farmaco tradizionale (ossia un composto chimico
semplice e non un farmaco biologico) che blocca interazioni fra le
proteine: interferisce con uno dei meccanismi, Bcl2, che fa sì che le
cellule tumorali non muoiano. Scoperto da Carlo Croce a Filadelfia
oltre trent’anni fa, Bcl2 fa in modo che le cellule di alcune leucemie
non muoiano come dovrebbero. E oggi siamo finalmente riusciti a
sviluppare un farmaco che inibisce Bcl2, a ivo contro alcune
leucemie. La visione, dunque, sta cambiando. Si apre la possibilità di
sviluppare farmaci che agiscano su meccanismi genetici ed
epigenetici.
Anche lo stesso DNA , di cui conosciamo la sequenza, costituisce
un’ulteriore frontiera dal punto di vista dello sviluppo di strategie
terapeutiche. Non possiamo infa i dimenticare che, in biologia e in
medicina, c’è un grande «buco nero»: non conosciamo la funzione di
circa il 30 per cento delle proteine codificate nel genoma. L’universo
sconosciuto del genoma è stato chiamato «ignoroma». Sulla base
della sequenza di questo mondo di molecole dalla funzione a noi
ancora sconosciuta, si è ipotizzato che ve ne siano molte druggable,
ossia possibili bersagli di intervento farmacologico. 1 Ragionevole,
dunque, pensare che ne possano esistere anche per il controllo
dell’infiammazione.
Un’altra speranza per il futuro è costituita dai meccanismi di
riparazione, che abbiamo visto essere fondamentali nella risposta
infiammatoria. In un orizzonte di medicina rigenerativa,
promuovere la riparazione costituisce una delle frontiere, già reali
grazie all’uso di nuove matrici che favoriscono la cura dei tessuti
dopo una risposta infiammatoria incontrollata: cellule
ingegnerizzate – macrofagi appropriatamente istruiti – protagonisti
nell’orchestrare la riparazione. 2 Così, se ora utilizziamo stampanti 3D
per sostituire un bronco in una fase transitoria, possiamo
immaginare un futuro in cui saremo in grado di stampare in 3D
matrici artificiali, magari con proteine naturali, in grado di riparare i
tessuti. Per esempio, in caso di lesioni associate a mala ie come il
diabete, per scongiurare il cosidde o «piede diabetico», che spesso
rende necessaria l’amputazione dell’arto.
In questo contesto non possiamo non considerare anche le cellule
staminali. Un pioniere del se ore è Giulio Cossu, oggi docente nel
Regno Unito, i cui studi si concentrano in particolare sullo sviluppo
di terapie cellulari per alcune distrofie. 3
Ritorno al futuro
Davanti a noi si aprono dunque nuove prospe ive, opportunità
diagnostiche e terapeutiche, cambiamenti di paradigmi generali. Ci
aspe ano tecnologie più avanzate, dalle quali ci auguriamo di saper
trarre sempre maggiori vantaggi, così da realizzare i sogni a lungo
inseguiti ma ancora lontani: primo fra tu i, quello di rieducare il
sistema immunitario. Certamente, però, in questo scenario non
possiamo dimenticare i fondamentali del progresso delle scienze: i
dati.
Una review di Majid Ezzati ed Elio Riboli ci ricorda che, su 55
milioni di morti ogni anno, 36 sono a ribuibili a fa ori di rischio
modificabili. 7 Oltre 2 miliardi di persone sono in sovrappeso o
obese, nonostante questo sia un accertato fa ore di rischio per
l’insorgenza di mala ie infiammatorie e cancro. Troppe poche
persone fanno esercizio fisico, nonostante riduca del 60 per cento il
rischio di sovrappeso. E troppe persone continuano a fumare – e di
recente al fumo si è aggiunto il vaping, che come abbiamo visto è
tu ’altro che innocuo –, nonostante sia dimostrato che, senza questa
dannosa abitudine, il tumore del polmone sarebbe una mala ia rara.
Guardando al futuro, dunque, dobbiamo tenere ben presenti
questi dati, e partire proprio da qui: il cardine per fermare l’incendio
del nostro «fuoco interiore» resta la prevenzione, a livello ambientale
e di stile di vita. Per dirla come gli antichi romani: faber est suae
quisque fortunae, 8 ciascuno è artefice della propria sorte. La nostra
salute, almeno in parte, è nelle mani di ognuno di noi.
Glossario
Le parole dell’infiammazione e dell’immunità
Allergene : sostanza estranea (antigene, v.) che causa allergia (v.). I diversi tipi di polline e
la polvere di casa sono gli allergeni più comuni.
Allergia : reazione eccessiva delle difese immunitarie a un conta o con sostanze estranee
(allergeni).
Anafilassi : reazione allergica estrema e molto grave. Si verifica dopo il conta o con un
allergene (v.) in un sogge o già sensibilizzato. L’anafilassi non si verifica mai al primo
conta o con l’allergene specifico. V. anche shock anafila ico.
Antigene : sostanza capace di provocare una reazione immunitaria specifica, per esempio
stimolando la produzione di anticorpi (v.). L’organismo può entrare in conta o con un
antigene in diversi modi: inalazione (pollini), ingestione (alimenti), iniezione (puntura di
inse o) o conta o. Gli antigeni vengono inoltre introdo i nell’organismo per mezzo di
iniezioni so ocutanee, trasfusioni e trapianti.
B (linfociti B o cellule B) : cellule del sistema immunitario, linfociti (v.) che producono
anticorpi.
Basofili : globuli bianchi associati perlopiù alle risposte a parassiti come i vermi intestinali
e alle allergie. Rilasciando sostanze chimiche, mediano le risposte allergiche e
infiammatorie.
Cellula dendritica : cellula del sistema immunitario, appartenente alla famiglia dei globuli
bianchi. È una sorta di «sentinella» dell’immunità: in presenza di un patogeno (v.) a iva
la risposta immunitaria specifica dei linfociti T e B. Deve il suo nome alle braccia di cui è
dotata, che assomigliano ai rami di un albero (dal greco déndron, albero).
Checkpoints : «freni» molecolari del sistema immunitario, precisi segnali di stop che gli
consentono di rallentare e, quando necessario, fermare la propria azione.
Chemochine : una delle famiglie delle citochine (v.). Hanno un ruolo fondamentale nella
risposta immunitaria e sono deputate alla regolazione del «traffico» di alcune cellule del
sistema immunitario, come i globuli bianchi.
Cirrosi biliare primitiva : mala ia autoimmune (v.), causata dall’a acco del sistema
immunitario ai do i biliari che conducono la bile dal fegato all’intestino tenue:
l’accumulo di bile danneggia il tessuto epatico.
Cromosoma : piccolissimo corpo contenuto nel nucleo delle cellule e costituito da DNA (v.)
e proteine.
DNA : sigla che indica l’acido desossiribonucleico, costituente dei cromosomi (v.). Presiede
alla conservazione, alla trasmissione e all’espressione dei geni. È formato da una doppia
elica costituita da due filamenti avvolti a spirale.
Eosinofili : globuli bianchi specializzati nella resistenza contro parassiti, tra cui i vermi
intestinali, e associati alle mala ie allergiche.
Epigenetica : l’insieme delle modificazioni del DNA (v.) o delle proteine che a questo si
associano (gli istoni), che regolano l’espressione dell’informazione contenuta nei geni (v.).
Flora ba erica : insieme di ba eri «buoni», ossia non nocivi, che aiutano la maturazione
del sistema immunitario e i processi di digestione degli alimenti. La flora ba erica è
presente in diverse parti dell’organismo: intestino, albero respiratorio, pelle.
Gene : unità del genoma (v.) localizzata in una particolare posizione di un cromosoma (v.),
porta e trasme e i cara eri ereditari. I geni possono essere sogge i a mutazioni
spontanee o dovute a virus, sostanze chimiche o agenti fisici.
Genoma : l’insieme dei geni (v.) che cara erizza ogni individuo. Il genoma rappresenta il
DNA (v.) specifico di ciascuna specie (il genoma umano, per esempio).
Globuli bianchi : cellule del sistema immunitario. Definiti anche «leucociti», hanno il
compito di difendere l’organismo. Vengono classificati in sei diverse tipologie, ciascuna
con una specifica funzione: eosinofili, basofili, neutrofili, monociti, linfociti e cellule
dendritiche (v.).
Immunodeficienza : stato di riduzione della capacità del sistema immunitario che rende
l’organismo particolarmente esposto a varie infezioni. Può essere causata da un dife o
genetico o da terapie immunosoppressive, per esempio quelle per la cura dei tumori.
Immunoglobuline : altro nome degli anticorpi (v.). Sono classificate in 5 differenti tipologie,
ciascuna delle quali è cara erizzata da una specifica funzione:
– IgG, o immunoglobuline di tipo G, che entrano in azione più tardi, quando si è già
verificato un incontro precedente con l’antigene;
– IgD, o immunoglobuline di tipo D, il cui ruolo non è ancora stato del tu o chiarito.
Immunoterapia : terapia basata sull’utilizzo di armi del sistema immunitario che agiscono
per amplificare o sopprimere le risposte immunitarie.
Interferoni : citochine prodo e dalle cellule colpite dai virus, per resistere alla loro
invasione. Si conoscono diversi tipi di interferoni: alfa, beta e gamma, a loro volta divisi
in interferoni di tipo I e di tipo II.
Interleuchine : piccole molecole appartenenti alle citochine (v.). Vengono prodo e dai
leucociti (v.), anche in seguito a infezioni ba eriche o in presenza di Tumor Necrosis Factor
(TNF , v.).
Linfociti : cellule del sistema immunitario, globuli bianchi che costituiscono il cuore delle
risposte immuni specifiche. Si distinguono in B e T.
– I linfociti B, o cellule B, producono gli anticorpi, armi specifiche di difesa che si legano
all’antigene aiutando il sistema immunitario a distruggerlo.
– I linfociti T, o cellule T (v. anche T, linfociti), sono a loro volta divisi in:
linfociti T helper (CD4 ), che dirigono l’azione di varie cellule
dell’immunità (linfociti B, T, macrofagi) e stimolano i linfociti B
a produrre anticorpi;
linfociti T citotossici (CD8 ), che sono capaci di uccidere altre
cellule.
Lupus eritematoso sistemico (LES ) : mala ia autoimmune (v.) del tessuto conne ivo
(conne ivite), cara erizzata da manifestazioni eritematose cutanee (in particolare il
tipico rash a farfalla sul volto) e mucose. È una mala ia sistemica perché coinvolge quasi
tu i gli organi e apparati (cute, articolazioni, reni, sistema nervoso centrale…).
Macrofagi : cellule del sistema immunitario, globuli bianchi che, come i fagociti (v.),
inglobano e distruggono le particelle estranee a raverso il processo della fagocitosi.
Mastociti : cellule prodo e dal midollo osseo e presenti in tu i i tessuti. A ivano risposte
infiammatorie e allergie liberando mediatori chimici, fra cui in particolare l’istamina.
Metastasi : localizzazione del tumore in organi diversi e distanti dalla sede primitiva di
origine. Le metastasi sono tipiche delle fasi più avanzate della progressione del cancro
che, crescendo, dall’organo in cui si è formato si diffonde anche in altre parti del corpo.
Lo sviluppo di metastasi si definisce «metastatizzazione».
Microbioma : insieme dei microbi presenti in ogni ambiente, compreso il corpo umano. Nel
nostro organismo i ba eri che lo compongono si collocano in zone diverse. Per esempio
nell’intestino, dove svolgono numerose funzioni: difendono l’organismo dai patogeni,
contribuiscono alla regolazione dell’assorbimento dei nutrienti, della produzione di
vitamine e di energia e delle difese immunitarie.
Midollo osseo : tessuto ricco di nutrienti, presente sopra u o a livello del bacino. È il
luogo deputato alla produzione delle cellule del sangue (globuli rossi, bianchi, piastrine),
che vanno a sostituire quelle che terminano il loro ciclo vitale e muoiono.
Monociti : sono i globuli bianchi più grandi. Prodo i all’interno del midollo osseo (v.) e poi
immessi nel flusso sanguigno, raggiungono i tessuti in cui si rende necessario il loro
intervento. Qui aumentano di dimensioni, si differenziano e diventano macrofagi. I
monociti agiscono per esempio nella risposta ai parassiti (come i vermi intestinali), o in
caso di allergia tramite fagocitosi: inglobano e distruggono le particelle estranee.
Neutrofili : sono i globuli bianchi più presenti nel sangue. Vengono prodo i nel midollo
osseo e, come i monociti (v.) e i macrofagi (v.), inglobano e distruggono organismi
estranei. La loro azione si svolge perlopiù a livello del sangue, ma se necessario possono
migrare anche nei tessuti.
Non-self : diverso da se stesso (self, v.). Termine con cui si indicano genericamente gli
agenti estranei, nei confronti dei quali si a iva la risposta immunitaria dell’organismo.
Ormone : sostanza prodo a dalle ghiandole endocrine (v.) o da determinati tessuti, capace
di stimolare l’a ività fisiologica e regolare l’equilibrio di cellule o organi.
Psoriasi : mala ia autoimmune (v.) della pelle che si manifesta con la comparsa di macchie
rosse e squame che causano prurito e, a volte, dolore. Talvolta si associa ad artrite (v.)
(artrite psoriasica).
Rece ore : stru ura delle cellule deputata a riconoscere, con alta specificità, molecole
diverse e a trasme ere un segnale alle cellule.
Sclerodermia o sclerosi sistemica : mala ia autoimmune del tessuto conne ivo, che è
presente nei diversi tessuti dell’organismo. È cara erizzata da un ispessimento della
pelle provocato dall’accumulo di collagene e da lesioni di piccole arterie.
Sclerosi multipla (SM ) : mala ia autoimmune (v.) neurodegenerativa che colpisce il sistema
nervoso centrale causando un ampio spe ro di sintomi, legati all’entità e alla sede delle
lesioni. È de a «demielinizzante» perché l’infiammazione scatenata dal sistema
immunitario danneggia la mielina (guaina che circonda e isola le fibre nervose) e le
cellule specializzate nella sua produzione.
Self : se stesso, definizione con cui si indicano l’organismo e i suoi componenti. Il sistema
immunitario ha il compito di riconoscere self e non-self (v.), reagendo solo contro
quest’ultimo.
Sepsi : grave situazione clinica cara erizzata dalla presenza di microrganismi o parti di
microrganismi. Si associa generalmente allo shock se ico, cara erizzato da una risposta
infiammatoria sistemica fortissima che porta spesso alla morte.
Shock anafila ico : reazione sistemica che si manifesta in modo molto rapido e coinvolge
diversi organi e apparati. Può portare alla perdita di conoscenza.
T, linfociti, o cellule T : cellule del sistema immunitario, globuli bianchi che costituiscono il
cuore delle risposte immuni specifiche. V. anche linfociti.
T Cell Receptor (TCR ) : rece ore delle cellule (o linfociti) T, è la loro stru ura di
riconoscimento. Consente di individuare le particelle associate a MHC (v.).
Terapie cellulari : terapie basate su cellule del sistema immunitario che vengono prelevate
dai pazienti, fa e crescere nelle cosidde e «fabbriche di cellule», istruite a compiere una
determinata azione e poi reinfuse nei pazienti con un fine preciso (per esempio colpire
un bersaglio tumorale).
TNF : acronimo di Tumor Necrosis Factor, ossia fa ore di necrosi tumorale. È una citochina
che agisce contro il tumore in modi diversi: distrugge le cellule cancerose, stimola i
macrofagi (v.) a inglobarle per annientarle e danneggia le pareti dei vasi del tumore
facendogli perdere il nutrimento sanguigno di cui ha bisogno per continuare a crescere.
– maligni: possono invadere altri organi, anche distanti (metastasi, v.) e me ere in
pericolo la vita.
– tipo istologico, a seconda del tessuto da cui hanno origine (tumori epiteliali,
mesenchimali, delle cellule del sangue o del tessuto nervoso);
Virus : agente infe ivo di dimensioni piccolissime, non visibile con i normali microscopi
o ici. Può provocare mala ie nell’uomo replicandosi all’interno delle sue cellule. I virus
oncogeni causano cancro.
Note
Introduzione
1. Il termine inflammaging è stato coniato nel 2000 dall’italiano Claudio Franceschi, studioso
dei meccanismi dell’invecchiamento presso l’Università di Bologna.
X. Fuoco al cuore
1. L’austriaco Johann Czermak è stato il primo a osservare lesioni aterosclerotiche in
popolazioni antiche. Nel 1852 ha riscontrato diverse placche calcificate nell’aorta
discendente di una mummia di donna egizia: Johann Czermak, Description and
microscopic findings of two Egyptian mummies, in «Meeting of the Academy of Science», vol.
IX, 1852, p. 27.
2. Lo studio JUPITER rappresenta, nel panorama delle ricerche recenti, uno studio dell’era
della globalizzazione, avendo coinvolto paesi dei cinque continenti.
3. PTX3 è una molecola della famiglia delle pentrassine scoperta dal gruppo di Alberto
Mantovani in collaborazione con Elisabe a Dejana e studiata per molti anni in contesto
cardiovascolare in collaborazione con Roberto Latini.
4. C. Garlanda, B. Bo azzi, E. Magrini, A. Inforzato e A. Mantovani, Physiological reviews
PTX3, a humoral pa ern recognition molecule, in innate immunity, tissue repair and cancer, in
«Physiological Reviews», 98, 2018, pp. 623-39.
5. P.M. Ridker, B.M. Evere , T. Thuren, J.G. MacFadyen, W.H. Chang, C. Ballantyne, F.
Fonseca, J. Nicolau, Koenig, W. Nicolau, S.D. Anker et al. for the CANTOS Trial Group,
Antiinflammatory therapy with canakinumab for atherosclerotic disease, in «New England
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B.M. Evere , P. Libby e R.J. Glynn for the CANTOS Trial Group, Effect of interleukin-1b
inhibition with canakinumab on incident lung cancer in patients with atherosclerosis: exploratory
results from a randomised, double-blind, placebo-controlled trial, in «Lancet», 390, 2017, pp.
1833-42.
6. Bożena Targońska-Stępniak, Mariusz Piotrowski, Robert Zwolak, Anna Drelich-Zbroja e
Maria Majdan, Prospective assessment of cardiovascular risk parameters in patients with
rheumatoid arthritis, in «Cardiovascular Ultrasound», vol. VI, 18, 2018. Lai-Shan Tam,
George D. Kitas e Miguel A. González-Gay, Can suppression of inflammation by anti-TNF
prevent progression of subclinical atherosclerosis in inflammatory arthritis?, in
«Rheumatology», 53, 6, giugno 2014, pp. 1108-19. Carlos Gonzalez-Juanatey, Tomas R.
Vazquez-Rodriguez, Jose A. Miranda-Filloy, Ines Gomez-Acebo, Ana Testa, Carlos
Garcia-Porrua, Amalia Sanchez-Andrade, Javier Llorca e Miguel A. González-Gay, Anti-
TNF-alpha-adalimumab therapy is associated with persistent improvement of endothelial function
without progression of carotid intima-media wall thickness in patients with rheumatoid arthritis
refractory to conventional therapy, in «Mediators Inflamm.», 2012, DOI:
10.1155/2012/674265.
7. Mi piace ricordare che i grandi studi cooperativi italiani, a partire da GISSI (Gruppo
italiano per lo studio della streptochinasi nell’infarto miocardico), hanno dato un
contributo fondamentale, per qualità e rigore metodologico, a ridurre in modo
importante la mortalità da infarto acuto del miocardio.
8. Le basi genetiche dello scompenso cardiaco vengono studiate oggi, in Italia, in particolare
in Humanitas da Gianluigi Condorelli e il suo gruppo e a Pavia da Silvia Priori.
9. Uno studio originale condo o in Humanitas da Marinos Kallikourdis e Gianluigi
Condorelli e pubblicato su «Circulation», la più prestigiosa rivista scientifica di
cardiologia, analizza con approcci di genomica su cellula singola tu e le diverse
tipologie di cellule del sistema immunitario presenti nel tessuto cardiaco. E. Martini, P.
Kunderfranco et al., Single-Cell Sequencing of Mouse Heart Immune Infiltrate in Pressure
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Il fuoco interiore
di Alberto Mantovani
© 2020 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Ebook ISBN 9788835701460
Copertina
L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
Il fuoco interiore
Introduzione
I. L’infiammazione nella storia
II. Un meccanismo di difesa
Il sistema immunitario: com’è fa o e come funziona
Immunità innata e ada ativa
L’infiammazione come manifestazione dell’immunità innata
III. Gli a ori dell’infiammazione
I primi salti della cascata
La cascata delle citochine
Traffico cellulare a cascata: un «codice di avviamento postale» per i globuli bianchi
Cambiare il programma genetico della cascata: sensori e programmatori
IV. Infiammazione acuta, cronica e sistemica
Quando la risposta infiammatoria coinvolge l’intero organismo
V. Spegnere l’incendio: la risoluzione dell’infiammazione
VI. Dalla corteccia del salice ai farmaci biologici
Dall’aspirina ai «FANS»
Gli antistaminici
I cortisonici
I farmaci biologici
VII. Organismo in fiamme: la sepsi e lo shock se ico
VIII. Quando il sistema immunitario sbaglia bersaglio
La scoperta dell’autoimmunità
Le cause del fuoco amico
L’universo delle mala ie autoimmuni
I bersagli dell’autoimmunità
I fa ori di rischio
I progressi nella terapia
Un nuovo mondo dell’autoimmunità: le mala ie autoinfiammatorie
IX. Fuoco allergico
Storia di un nome sbagliato
Gli a ori del fuoco allergico
Le cause
Nuove strategie terapeutiche: l’orizzonte della medicina personalizzata
X. Fuoco al cuore
XI. Fuoco al cervello
Una comunicazione a tre vie
Le mala ie autoimmuni che colpiscono il cervello: non solo sclerosi multipla
Demenze e mala ie degenerative
L’ictus
Ansia e depressione
XII. Le relazioni pericolose tra infiammazione e cancro
Il sistema immunitario contro il cancro: il paradigma delle tre E
Il ruolo del microambiente infiammatorio
L’immunoterapia: un sogno che si avvera
Sfide e nuove frontiere: terapie cellulari e CAR-T
XIII. Inflammaging: il segreto per invecchiare bene
Il fenomeno della senescenza cellulare
Il ruolo dell’infiammazione
XIV. Ambiente e stili di vita
L’ambiente
Lo stile di vita
La teoria dell’orologio epigenetico
Conclusione. La medicina del futuro
I farmaci
Altre strategie terapeutiche e preventive
Evoluzione o rivoluzione? Intelligenza artificiale e «disease trajectory»
Ritorno al futuro
Glossario
Note
Bibliografia
Copyright