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NELLA TELA

DEL RAGNO
NEUROFISIOLOGIA E PSICOBIOLOGIA
DELLE DIPENDENZE
ANDREAS ACERANTI
ADOLFO BONFORTE
ANTONIO FERRANTE
SIMONETTA VERNOCCHI

Andrea De Giorgio
Ombretta Grassi
Angelica Pezzi
Edizioni Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche - eFBI
Parlare di dipendenze non è mai facile. Se ne parla da sempre e se ne
parlerà per sempre. Un 'opera di questo genere è stata una sfida.
L'abbiamo accettata con gioia ma nel percorso gli ostacoli sono stati tanti.

Alla fine siamo riusciti ad arrivare alla fine grazie alle persone speciali che
ci hanno sostenuto in questo cammino.

Diversamente da altre opere in cui abbiamo ringraziato chi ci ha sostenuto


dall'esterno, questi ringraziamenti vanno a coloro che hanno reso possibile
questo libro.

Un grazie di cuore ad Andrea, Ombretta, Angelica, Erica, Federica e


Roberta per aver lavorato senza sosta a ritmi pressanti per restare nei
tempi. Senza di voi non ce l'avremmo mai fatta.

I curatori
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta,
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I Edizione
Dicembre 2014
Casa Editrice: Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore -
eFBI
www.fbi-bau.eu
Via Piercapponi 83, 21013 Gallarate (VA)
Tel. +39 (0)331 - 142.05.42 Fax. +39 (0)331 - 142.05.39
ISBN 978-88-98559-07-7
Copyright © Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore -
eFBI
Tutti i diritti sono riservati

Revisori: Federica Monte, Erika Pagliaro, Roberta Tonini


INDICE

INTRODUZIONE - A. ACERANTI
Chi controlla chi? Pag. 7

PARTE PRIMA

CAPITOLO I - A. ACERANTI, A. FERRANTE, S. VERNOCCHI


Le dipendenze: un overview Pag. 13

CAPITOLO II - A. ACERANTI, S. VERNOCCHI


Le cause e le tipologie Pag. 27

CAPITOLO III - A. ACERANTI, A. FERRANTE, S. VERNOCCHI


Funzioni e caratteristiche delle dipendenze Pag. 43

CAPITOLO IV - O. GRASSI
Anatomo-fisiologia del Sistema Nervoso Pag. 53

CAPITOLO V - A. ACERANTI, A. DE GIORGIO, S. VERNOCCHI


Neurobiologia della dipendenza Pag. 73

PARTE SECONDA

CAPITOLO VI - A. PEZZI
Dipendenze: tra schiavitù e crimine Pag. 103

CAPITOLO VII - A. ACERANTI, A. FERRANTE, S. VERNOCCHI


Sessodipendenza e sesso compulsivo Pag. 143

CAPITOLO VIII - A. FERRANTE


Le ludopatie e il gioco d'azzardo patologico Pag. 195

CAPITOLO IX - A. ACERANTI, A. FERRANTE, S. VERNOCCHI


Le sostanze d'uso-abuso Pag. 225

CAPITOLO X - A. ACERANTI, A. DE GIORGIO, A. FERRANTE, S. VERNOCCHI


Le dipendenze da sostanze Pag. 307

CAPITOLO XI - A. FERRANTE
Tecniche e strumenti riabilitativi Pag. 325

CAPITOLO XII - A. BONFORTE


L'uomo, il gioco e l'azzardo - aspetti giuridici Pag. 341
INTRODUZIONE

Chi controlla chi?

ANDREAS ACERANTI

Nel mondo attuale per libertà s'intende la licenza,


mentre la vera libertà consiste in un calmo dominio di se stessi.
Fëdor Dostoevskij

NEUROSCIENZE E COMPORTAMENTO

Il dibattito tra nature or nurture (ciò tra ciò che è naturale - nature - e ciò
che è appreso - nurture) è ormai stato talmente usato e abusato da aver
invaso ogni campo della vita umana. Dal comportamento alle relazioni, dal
sesso all’alimentazione, dall’obesità al diabete (ovviamente quello di tipo
2).

Tuttavia la domanda rimane e, visto che spesso durante i nostri corsi ce la


sentiamo fare, vorrei affrontare velocemente la spinosa questione del quanto
di ciò che facciamo, di come ci sentiamo, di ciò che pensiamo e di come ci
comportiamo ci è passato dai nostri ascendenti genetici e quanto, invece,
viene modellato dall’ambiente in cui cresciamo e dalle nostre esperienze.

La verità credo stia nel mezzo.


Ad esempio, uno squilibrio neurochimico può essere sia genetico, sia
congenito sia essere causato dallo stile di vita. Pensiamo per esempio al
diabete. Può essere congenito e quindi il bimbo nasce già diabetico, può
essere genetico e attivarsi a un certo momento della vita (generalmente
entro i primi 20 anni di vita), oppure può essere la conseguenza di una
pancreatite data da una grossa indigestione.

Quando si parla di dipendenze a volte le nostre azioni sono dettate da una


scelta volontaria, altre volte invece l’azione è il frutto di una vera e propria
schiavitù.

Il nostro patrimonio genetico, il DNA, è custodito in 46 cromosomi divisi in


23 coppie. Al momento del concepimento il bambino riceve 23 cromosomi
(1 per coppia) dal padre e altrettanto dalla madre. Così si formano le sue 23
coppie ed il suo patrimonio genetico, unico e irripetibile, è il frutto
dell’unione dei due genitori. Tra le infinite informazioni che il DNA porta
con sé ci sono anche quelle su come, quanto, quando e per quanto i sistemi
di neurotrasmissione devono svilupparsi.

NEUROTRASMETTITORI E PERSONALITÀ

Come il nostro cervello è organizzato così come l’equilibrio dei


neurotrasmettitori e delle loro interazioni gli uni con gli altri hanno
un’importanza essenziale nel determinare le nostre azioni e le ragioni che le
sostengono.

Il lettore avrà già intuito che il cervello funziona più o meno come il
processore di un computer con il Fascicolo proencefalico mediale come
cardine centrale. La genetica essenzialmente determina la qualità del
sistema di neurotrasmissione (hardware) che attiva diversi processi di volta
in volta (software). Il lobo temporale conserva le informazioni (RAM) e
tutto ciò che apprendiamo durante le nostre esperienze, l’educazione, la
formazione, la famiglia, le conseguenze, i tentativi e gli errori che facciamo
viene immagazzinato nei lobi temporali (ROM). A turno tutto ciò che ci
accade contribuisce a formare chi siamo.
Altri fattori che influenzano la nostra personalità sono:
a) Come interpretiamo il mondo intorno a noi (cioè come lo percepiamo e
quali filtri vi applichiamo) e come interagiamo con esso
b) Come interpretiamo noi stessi (cioè come ci percepiamo e quali filtri
applichiamo) e questo plasma i nostri pensieri e le nostre motivazioni.
Noi apprendiamo l’etica, la morale, la abitudini sociali attraverso le nostre
esperienze di vita e attraverso le diverse situazioni in cui veniamo a
trovarci. Come reagiamo alle situazioni e il contributo degli altri a queste
situazioni plasmano chi siamo e chi diventiamo. Ma tutto ciò dipende
strettamente da come noi processiamo, interpretiamo e assimiliamo che le
informazione che acquisiamo dal mondo esterno e sono fortemente
influenzate dall’hardware di cui disponiamo (cioè dalle predisposizioni
genetiche e dai “doni” che abbiamo ricevuto alla nascita).

DEPRESSIONE E DIPENDENZA

La depressione è ben più di una semplice incapacità di affrontare le


situazioni e le sofferenze della vita. La corteccia prefrontale è una delle aree
più interessate dalla depressione e viene attivata è disattivata dai sistemi
serotoninergico e noradrenergico. La serotonina sembra, infatti, attivare la
corteccia prefrontale mentre la noradrenalina la disattiva. La depressione
porta all’isolamento, causa sentimenti di colpa, di disgusto verso se stessi e
di introversione; sintomi esacerbati dall’inabilità di interagire con le
persone dell’ambiente esterno. Purtroppo la depressione procede mano nella
mano con le dipendenze e le compulsioni perché queste ultime riescono a
sollevare i livelli di serotonina e degli altri neurotrasmettitori che nei
depressi sono solitamente bassi.

UNA TELA SENZA TESSITORE?

Nella mia vita ho avuto la fortuna di avere grandi maestri dai quali ho
potuto imparare molto più di quello che avrei anche solo potuto desiderare.
Uno di questi, il Dr. Attilio Cocchini, che ho avuto la fortuna di conoscere
quando nel 2009 ho lavorato per il SerTD (Servizio per le
TossicoDipendenze) a Monza.
Ricordo ancora cosa mi disse il primo giorno in cui abbiamo lavorato
insieme. Eravamo al bar, prima del turno, e mi chiese “Qual è secondo te
l’intervento più importante con un tossicodipendente?”. La mia risposta fu
immediata e sicura: “Interventi rieducativi e motivazione”. Lui sorrise –
sapeva che avrei risposto così – e mi disse “sicuramente la parte educativa è
importante ma l’errore che molti fanno quando si parla di dipendenze è che
si crede il dipendente abbia bisogno di un maggiore autocontrollo. Ma
niente è più lontano dalla verità. Spesso questo è proprio il più grande
ostacolo al recupero: contare sulla forza di volontà, da sola, non basta. La
forza di volontà ti terrà lontano dall’alcool, dalla droga, dallo shopping, dal
sesso per una settimana, o un mese, a volte anni. Ma prima o poi, quando la
pressione della vita diventerà importante, la possibilità di ricordare sarà
sempre più concreta. Puoi vincere una dipendenza con la forza di volontà
solo per scoprire che l’hai sostituita con un’altra”.

Dentro di me non ero persuaso, anzi ero convinto del fatto opposto:
rimanevo della mia idea. Solo col passare dei giorni, delle settimane, dei
mesi ho capito chi era lui ad avere ragione. Impiegai quasi otto mesi a
capire cosa avesse cercato di dirmi quella mattina: con la forza di volontà si
possono controllare i sintomi della dipendenza ma si resta comunque
vulnerabili alla ricaduta e ci si espone a nuovi comportamenti compulsivi
fintanto che non sopraggiunge una profonda presa di coscienza e un
importante mutamento interiore.

La forza di volontà non basta perché trae la sua origine dalla stessa aria
ferita di cui si alimenta la dipendenza, ovvero la falsa credenza che ci sia
una risposta semplice e veloce ai nostri disagi interiori, alle nostre
sofferenze, una cura istantanea o autogestibile delle nostre ferite.

Tentare di usare la vera forza di volontà per liberarsi da una dipendenza è


ciò che viene chiamato “cambiamento di ordine uno”. Non funziona mai
molto bene perché la “soluzione”, come detto poco fa, segue la stessa
dinamica del problema. Una volta perso il controllo del meccanismo di
upping (letteralmente sollevamento del morale) come possiamo pensare che
funzioni un’altra dinamica di controllo? Nei cambiamenti di "ordine due" il
problema e la soluzione vengono affrontati attraverso diversi set di concetti
e credenze. Il cambiamento di "ordine 2" implica non cercare di controllare
la dipendenza con un braccio di ferro di volontà quanto piuttosto attraverso
la resa, l’alzare le mani di ammettere la sconfitta, ammettere di non avere il
controllo della situazione.

Per un dipendente ammettere la sconfitta e mandar giù il rospo è dura.

Quando Attilio cercava di farmi capire queste cose la mia prima risposta fu
“sostanzialmente diciamo loro di arrendersi? Di abbandonare la lotta? Non
dovremmo fare l’opposto?”

In realtà l’esperienza mi ha spiegato ciò che il mio mentore intendeva:


esattamente quello che dobbiamo fare. Provare sempre di più e con sforzi
ogni giorno maggiori di essere abbastanza bravi, di essere accettati, di avere
performance migliori, dimostrare a tutti che abbiamo controllo; di essere
“normali” è parte del processo che rende le persone fragili, vulnerabili.
Soprattutto alle dipendenze.

È solo quando si smette di provarci da soli, ci si accetta così come si è


(anche dipendenti!) E si ammette di non avere il controllo che inizia il vero
percorso che permette di acquisire il controllo.

Può sembrare un paradosso, ma funziona proprio così. La vera e unica


chiave contro la dipendenza non è l’autocontrollo ma l’auto-accettazione. E
la voglia di cambiare accettando aiuto. Solo quando una persona accetta se
stessa completamente così com’è, smettendo di cercare di controllare come
le cose appaiono comprendendo a fondo la distruttività di un approccio
troppo semplicistico e ammettendo onestamente che la sua situazione non
gli sta bene potrà sperare di uscire dal tunnel.
Dal punto di vista sociale, la lotta, la dipendenza è un eclatante tentativo di
cambiamento di "ordine uno" ed è, in effetti, l’approccio sociale al
problema. La strategia classica è quella di cercare di controllare il mercato
(della droga, ad esempio) e di imporre un controllo proibizionista, anche
legale, indipendentemente dal fatto che le persone vogliono il controllo.
Può sembrare superfluo parlare ma se nessuno comprasse la droga, gli
spacciatori scomparirebbero. Se nessuno si rivolgesse alle prostitute queste
non ci sarebbero e così via. È la legge della domanda e dell’offerta.
Ciò che serve davvero è una “auto-osservazione” e l'onestà.

Lo stesso governo e le forze dell’ordine rifiutano di ammettere che questi


tentativi di controllare l’epidemica diffusione delle dipendenze non
funzionano e che il problema si sta allargando e la situazione peggiorando.
Invece di essere onesti e ammettere la verità si cercano soluzioni
alternative, che fungono solo da palliativo, per incrementare il controllo.
Ma così facendo eludiamo il problema principale: che molti italiani cercano
scorciatoie per avere tutto subito.

Sarebbe come cercare di impedire a un adolescente (o anche a un uomo


adulto) di guardare film o visitare siti pornografici bloccando il computer, o
il telefono o il decoder. Purtroppo il cosiddetto parental control non
funziona (a parte per i bambini più piccoli che potrebbero imbattersi in certi
programmi per errore) perché il problema non è la disponibilità del
prodotto, una mancanza di informazioni. Se l’adolescente, o un adulto,
vuole vedere un porno, bere, giocare d’azzardo troverà il modo di farlo
perché questa è la natura della dipendenza: è una schiavitù ed è compulsiva.

Quello che serve è un cambiamento di "ordine due" e un modello per poter


comprendere la natura della dipendenza. Non di una dipendenza o di
un’altra, separatamente ma comprenderle come espressione che sgorga
dalla sorgente del problema stesso. E speriamo che questo libro posso
aiutare il lettore a vedere con una mente più aperta per iniziare a
comprendere il problema è smettere di giudicare chi nella dipendenza c’è
caduto. Nessuno conosce la vera natura delle dipendenze e nessuno può
sapere con certezza cosa fare. Quello che noi ci proponiamo è di offrire al
lettore nuovi approcci e punti di vista per studiare il problema.

Ma se il lettore si ritiene già un esperto in materia; se pensa di conoscere il


mondo delle dipendenze e se crede di sapere come uscirne o, peggio, come
aiutare qualcuno ad uscirne, allora è meglio che si fermi qui e si dedichi ad
altro.
CAPITOLO I

Le dipendenze: un overview

ANDREAS ACERANTI - ANTONIO FERRANTE - SIMONETTA VERNOCCHI

Ti rovinano, tua madre e tuo padre.


Forse non vorrebbero, ma lo fanno.
Ti trasmettono i loro difetti
e ne aggiungono degli altri adatti a te.
Philip Larkin.

Fermandoci ad ascoltare la storia di qualcuno che abbia un’esperienza di


dipendenza, la cosa che colpisce di più è che sono pochissime quelle da cui
emerge il classico stereotipo del dipendente: noi siamo solitamente portati a
concepire il dipendente come qualcuno lontano, sfigato, emarginato,
derelitto, il risultato di un progressivo impoverimento devastante o
qualcuno mentalmente disturbato in modo evidente. Il dipendente non è uno
come me, qualcuno funzionale e funzionante in modo più o meno normale
nella società. Il dipendente non sono io, non è mio fratello, non è mio padre,
non è mia madre, non è mia sorella, non è mio figlio.

Ma questa idea distorta di chi è il dipendente, forma le basi per un’idea


ancora peggiore, che è quella che solo alcuni siano vulnerabili alla
dipendenza. È ora di smetterla di nascondersi dietro un dito e iniziare ad
accettare il fatto che tutti siamo vulnerabili.
L’epidemia di comportamenti compulsivi degli ultimi anni non sta avendo
luogo solo nei ghetti urbani, o tra i popoli, o gli ignoranti o all’interno di
una certa denominazione razziale. Avviene ovunque: dalle metropoli ai
villaggi montani; da sotto i ponti fin dentro alle ville dei più noti VIP; dal
gruppo di sbandati che a malapena hanno finito la scuola dell’obbligo
(ammesso che ci siano riusciti) alle feste di alto borgo delle caste
professionali più elevate.

La dipendenza è un fenomeno trasversale che colpisce gente di ogni razza,


sesso, colore e strato sociale. Volete trovare un dipendente? Nel più difficile
dei casi dovrete cercare nel vostro palazzo (nel vostro quartiere se abitate in
una casa singola). Sennò sarà sufficiente guardare sul vostro pianerottolo o,
ancora più semplicemente, dentro casa vostra.

Ciò che cambia, da dipendenza a dipendenza, da caso a caso, da persona a


persona è come il disturbo, la patologia, si manifesti. Vi sono dipendenze
che sono espressamente ed evidentemente più pericolose e distruttive di
altre. Ad esempio i danni diretti all’organismo di una dipendenza da cocaina
sono molto più facilmente visibili anche da un profano rispetto ad una
dipendenza dal lavoro o dalla performance. O che una dipendenza
compulsiva pedofila per cui il soggetto non può fare a meno di molestare
bambini è estremamente più dannosa dello shopping compulsivo.

Ciò che rende difficile per un dipendente riconoscersi come tale è proprio il
fatto che di dipendenze ne esistono talmente tante che non gli sarà difficile
trovare una compulsione più grave e più distruttiva di cui non è schiavo e
questo lo porterà a rispondere ad un’eventuale osservazione più o meno
così:

“Marco... ti rendi conto che lo sport è per te come una droga? Sei
dipendente!”
“Ma va! Lo faccio solo per sfogarmi. E poi non faccio male a nessuno. Non
fumo, non bevo, non mi drogo...”

o così
“Capisci che se tutte le volte che Marco apre bocca tu diventi
accondiscendente, perdi la ragione e ti trasformi in una banderuola, non è
una cosa da niente? In ogni discorso appena lui apre bocca tu cambi il tuo
punto di vista, ritratti tutto quello che hai detto fino a quel momento e gli
dai ragione. Hai una dipendenza”
“Lo so. Me ne accorgo. Ma non riesco a uscirne.”
“Beh forse è il caso di lavorarci un po’... magari insieme!”
“Che bella giornata. Ciao io vado al lago....”

È solo se abbiamo il coraggio di considerare in modo serio anche ciò che


non ci sembra importante (come lo stacanovismo, lo shopping, la palestra
ecc...) che riusciremo davvero a notare e scoprire che le persone intorno a
noi non solo si autocastrano impedendo a sé stessi di raggiungere il loro
vero potenziale, ma che ne soffrono immensamente. Ma poiché la loro
dipendenza è, spesso, socialmente accettata, o accettabile, o tollerabile,
allora la necessità di farsi aiutare è sempre meno pressante.

Credo che uno dei fattori del dilagare delle dipendenze, soprattutto tra i
giovani, non sia tanto il fatto che ci sia troppo permessivismo. Ma più che
altro è che tutti hanno bisogno di sapere che la loro compulsione è accettata.
E più dipendenze vengono accettate meno desiderio di cambiamento ci sarà.

Cercherò adesso di dare al lettore una veloce panoramica delle diverse facce
che la dipendenza può assumere.

I VOLTI DELLA DIPENDENZA

Credo di esprimere un pensiero condiviso da molti dicendo che ci siamo


ritrovati velocemente ad essere un popolo di dipendenti compulsivi e che le
nuove generazione sono sempre meno “naturali” e sempre più “chimiche e
informatiche”.

Quando parliamo di dipendenze spesso tendiamo a pensare alle droghe


illegali quali cocaina, eroina, crack ecc.. ma il problema più grande riguardo
alle dipendenze sono le droghe lecite o, peggio quelle obbligatorie. E non
mi riferisco ai grandi classici quali il tabacco e l’alcol su cui ormai sono
stati scritti fiumi d’inchiostro, ma alle dipendenze nuove, quelle che la
società non solo accetta ma promuove: dai videogames al sesso, dalla
cucina elaborata al cinema, dalla moda al voyerismo e così via.

Secondo il dizionario Treccani la “dipendenza” è una:

condizione, in cui un individuo si trova, di incoercibile bisogno di


un prodotto o di una sostanza, soprattutto farmaci, alcol,
stupefacenti, a cui si sia assuefatto, e la cui astinenza può
provocare in lui uno stato depressivo, di malessere e di angoscia
(d. psichica), e talora turbe fisiche più o meno violente, cioè
nausea, dolori diffusi, contrazioni, ecc. (d. fisica): d. da
medicinali, da sostanze psicotrope, dalla droga; […] la situazione
di subordinazione dell’Io rispetto alle esigenze del mondo esterno,
dell’Es e del Super-Io, o anche la posizione inconscia di non-
autonomia che si manifesta nel nevrotico adulto.

Ne deduciamo quindi che è considerabile come dipendenza qualsiasi


comportamento di cui una persona non riesce a liberarsi nonostante i
risvolti negativi e le cattive conseguenze di questo.

Il “mangiare dal nervoso” altro non è che una compulsione che porta la
persona a vedersi autodistruggere ed andare in contro a una serie illimitata
di problemi di salute se il comportamento non viene corretto.

I sessodipendenti usano il sesso come mezzo della loro ricerca senza fine
per trovare sollievo, distrazione, conforto, eccitazione o senso di potere,
tutti effetti che hanno ben poco a che fare col sesso in sé. Alla ricerca di ciò
che nemmeno loro conoscono passano da un partner all’altro nonostante le
continue insoddisfazioni, giocano al gioco della seduzione (come chi è
affetto dal complesso di Don Juan), si intrattengono con prostitute o
frequentano locali promiscui o cedono alla masturbazione compulsiva. Se la
dipendenza è severa possiamo arrivare fino a fenomeni come
l’esibizionismo, il voyerismo, il sadismo, il masochismo o il
sadomasochismo. Quando la compulsione e la forza interiore sono
incontrollabili allora possiamo arrivare anche al dominio con la forza come
nei casi di stupro o violenza sessuale. Secondo le statistiche circa un quarto
degli americani (60.000.000 di persone) sono vittime di un abuso sessuale
prima del loro diciottesimo compleanno.

Un’altra forma fortemente diffusa e comune di dipendenza è la “dipendenza


nella relazione”. Il rapporto dipendente (il lettore ricorderà forse l'articolo
“Il Paradigma di Red & Toby" sulla rivista "Luci e Ombre" Speciale San
Valentino 2014). Generalmente in un rapporto (amorosa, di amicizia, di
lavoro ecc...) con una dipendenza un partner non fornisce all’altro i comfort
usuali di una relazione quali sicurezza, intimità, consistenza, perché in
genere lui stesso è dipendente da qualcos’altro. Generalmente perché si
abbia un vero rapporto di dipendenza uno dei due (o il leader del gruppo)
deve essere un narcisista apparentemente sicuro di sé, che ostenta sicurezza
ma senza basi fondate, può essere una persona di successo ma questo è da
imputare alle opere di altri (ad esempio dirige un’azienda creata dal padre,
fa parte di uno studio legale che vince le cause grazie ad altri avvocati,
porta avanti progetti di successo grazie ad altri consulenti ecc..). L’altro (o
gli altri) è una persona fragile, insicura, probabilmente vessata che si trova
ben accolta nella misura in cui venera l’altro o comunque gli fornisce spunti
sufficienti perché quest’ultimo possa continuare a lustrare il proprio ego.
Questo tipo di relazione soddisferà entrambi perché il primo è dipendente
da sé stesso, il secondo è prono nel suo ruolo di abusato. Sicuramente la
relazione è funzionale. Lungi però dall’essere “amore” o “amicizia”. È una
dipendenza a tutti gli effetti in cui entrambe le parti vivono il continuo
incubo “io non sono abbastanza”.

I ludopati, o giocatori patologici, sono molto più di quanti possiamo


immaginare. In America nel 2012 erano 12.000.000 ed altri 50.000.000 di
persone (come mogli, mariti, figli ecc...) erano influenzati dal problema di
gioco compulsivo di qualcun altro. Purtroppo le statistiche italiane non sono
ancora tali da fornire dati cospicui. Il ludopate mette in gioco ben più del
proprio denaro: il 38% sviluppa problemi cardiovascolari da stress (Hall,
2012) e il tasso di suicidi in questa categoria di dipendenti è del 20%
superiore alle altre. Visti i tempi di crisi che stiamo attraversando, ora più
che mai, ogni problematica e ogni compulsione che ha a che fare con la
sfera economica acquisisce un’importanza ben maggiore di quanta ne
avesse in passato. Il debito pubblico continua ad aumentare e il dilagare di
questa dipendenza riflette, almeno in parte, la crescente preoccupazione per
la situazione economica. La maggior parte degli oggetti che acquistiamo
non servono per sostituire utensili ormai obsoleti e non più funzionanti ma
sono il frutto dello “shopping around” (lett. comprare in giro) ovvero sono
oggetti che compriamo nella speranza che ci riempiano e ci facciano sentire
meglio. Più tempo dedichiamo al lavoro, al pendolarismo e ai problemi,
meno tempo dedichiamo a noi stessi, alla nostra famiglia, agli amici e
questo comporta un declino in termini di salute, vita sociale e joie de vivre.
Per mantenere questo standard economico, o almeno provarci, stiamo
diventando sempre più dipendenti anche dal lavoro.

Ma qual è il vantaggio nella dipendenza compulsiva dal lavoro? Perché lo


facciamo? Le regioni fondamentali sono 2:
1. per acquisire un senso di competenza e di potere; la tendenza
sociale è quella di farci sentire sempre più inadeguati, fuori luogo e
insicuri nella vita pubblica come in quella privata;
2. per guadagnare abbastanza per pagare i container di roba inutile
di cui ci circondiamo convinti che sia fondamentale per la nostra
sopravvivenza, ben sapendo che quel nuovo paio di scarpe di
cristallo non lo userò perché non andrò mai a un ballo a casa della
Regina Elisabetta, col nuovo videogame non giocherò perché non
sono mai a casa, il nuovo decespugliatore ultimo modello
arrugginirà in garage perché non ho una siepe da potare e così via.

Questa dipendenza è, tra tutte, forse la più difficile da riconoscere perché è


attivamente incoraggiata e socialmente ben ricompensata nella nostra
cultura. Così come la dipendenza dalla forma fisica, sempre più stereotipata
ed incoraggiata anche dai media.

L’esercizio fisico fa bene. Lo sostenevano anche gli antichi: mens sana in


corpore sano. Ma quando questo porta una persona a farsene un chiodo
fisso...beh allora non è più sano. Gli sportivi compulsivi spesso si fanno
male e questo incide sulle loro vite familiari e anche la qualità delle loro
relazioni e del loro lavoro può risentire del loro pensiero
unidirezionalmente rivolto alla palestra, alla corsa ecc... Ciò che distingue
la dipendenza dal lavoro da quella da esercizio fisico è che quest’ultimo ha
come fine ultimo il superare il limite (correre un chilometro in più,
sollevare un chilo in più, guadagnare un centimetro di massa in più, pesare
un ettogrammo in meno, stringere un buco in più della cintura, mettere i
pantaloni di una taglia più piccoli e così via). Nella dipendenza da esercizio
fisico è raro trovare qualcuno che si alleni per ragioni di salute, come un
obeso che decide di cambiare stie di vita, la maggior parte di questi
dipendenti compulsivi come tutti gli altri dipendenti non ne hanno mai
abbastanza. Semplicemente perché non sentono di essere o valere
abbastanza. Ma questo non deve stupirci: la nostra società è improntata
sull’immagine. Ed è proprio questa necessità di conformarsi allo stereotipo
sociale di immagine che ha favorito, negli ultimi anni, la nascita e
l’espansione della dipendenza da bisturi.

Sempre più persone ricorrono alla medicina e alla chirurgia estetiche per
alterare il proprio aspetto. Botulino, lifting, rinoplastiche, blefaroplastiche,
mastoplastiche, addominoplastiche, liposuzioni, creme, lozioni, massaggi:
tutto è lecito per essere più belli. Almeno per un po’ poi ci si abitua e il
ciclo ricomincia perché non si è mai abbastanza belli. Ma la bellezza non è
solo quella esteriore. Esiste anche quella interiore. Essere belli dentro è
fondamentale e questo ci porta ad un altro tipo di dipendenza.

La dipendenza dalla religione o dalle pratiche spirituali è una delle


dipendenze che si stanno spandendo più velocemente. Anche grazie alla
libertà di culto secondo la quale ciascuno può credere in ciò che vuole,
come vuole e quando vuole. Al contrario di coloro che nutrono una fede, o
un credo, sana nel divino, i dipendenti religiosi (che non vanno confusi con
i fanatici) utilizzano la propria chiesa, o culto, e le loro attività non per una
crescita interiore personale ma come strumenti compulsivi di controllo della
vita, propria e altrui. Questo spesso perché essi stessi si sentono persi e allo
sbaraglio senza confini netti e definiti. E come tutte le altre dipendenze è un
ottimo strumento per controllare gli altri, cercare comprensione e sentirsi a
posto e nel giusto.

ABITUDINE O DIPENDENZA?

Quando un’abitudine diventa dipendenza? Dov’è la sottile linea che


delimita il normale dal patologico?
Molti pensano che un dipendente sia un poveraccio che soffre di astinenza e
il cui craving aumenta esponenzialmente nelle 24 ore se non supplisce in
continuazione alla propria compulsione. Generalmente il criterio su cui la
maggior parte dei profani si basa per definire una dipendenza è: se lo fai
tutti i giorni probabilmente sei dipendente. Ma la cosa più pericolosa di
questo assioma è la sua inferenza opposta: se non lo fai tutti i giorni non è
possibile che sia una dipendenza.
Ma la realtà è che la quotidianità dell’evento non è un indice affidabile per
la determinazione di una dipendenza. La maggior parte dei dipendenti,
infatti, non hanno una compulsione quotidiana, né fanno uso quotidiano di
droghe, non fanno shopping tutti i giorni ecc, ma indulgono in binge (binge
indica sporadici o “occasionali” comportamenti compulsivi alternati a
periodi di astinenza o di controllo).

È importante comprendere questo perché, basandosi sull’idea errata di cui


sopra, molti dipendenti trovano in essa un conforto e una rassicurazione, per
sé e per altri, che non sono dipendenti.
Addirittura, con alcune droghe e alcune attività, è persino teoricamente
possibile, anche se improbabile, che qualcuno ne faccia uso quotidiano
senza per questo esserne dipendente. Con molte sostanze quali ad esempio
nicotina, caffeina, zucchero, cocaina e alcol, l’uso quotidiano spesso porta
alla dipendenza. L’uso frequente di una sostanza ad alta risposta di
assuefazione, ad esempio la cocaina, sarebbe sostanzialmente impossibile
senza diventarne dipendente a causa dei suoi effetti sul cervello.

La frequenza è spesso irrilevante. Una persona può essere un alcolista, ad


esempio, bevendo appena un paio di bicchieri al giorno; ciò che definisce la
dipendenza è l’urgenza di agire la compulsione quando questa si presenta e
l’incapacità di smettere nonostante i danni che questa comporta.

Un altro punto chiave nel discernimento tra abitudine e dipendenza è lo


scopo per cui viene utilizzata la sostanza o l’attività. Se bere serve a ridurre
la tensione interiore, ad esempio, esistono delle buone opportunità che non
sia una semplice “bevuta in compagnia”. Se fare sesso serve per distrarsi da
sentimenti intollerabili più che per un’espressione sessuale, probabilmente è
una dipendenza. Se la ragione per cui una persona intrattiene una relazione
affettiva, o di amicizia, è il non rimanere sola, è verosimilmente una
dipendenza.

In breve, se la sostanza o l’attività servono come upper (per alzare l’umore)


perché l’umore è basso o perché le pressioni interiori sono intollerabili,
allora questa sostanza o questa attività è verosimile che conducano nella
direzione della dipendenza.

I QUATTRO PUNTI CARDINE DELLA DIPENDENZA

Potremmo azzardare l’ipotesi che esista una dipendenza quasi per qualsiasi
cosa. I segni e sintomi possono essere riconosciuti, descritti e decodificati.
Come per tutte le patologie, anche per le dipendenze, esiste un momento in
cui questa non c’è ed uno successivo in cui c’è e si è strutturata. Il problema
nella diagnosi delle dipendenze, al contrario delle patologie metaboliche e
fisiche, è che la diagnosi migliore viene dal soggetto stesso ma se questi
non è pronto per affrontare la situazione è verosimile che nasconda segni o
sintomi, che sfugga il confronto o che si risenta del tentativo di
“etichettatura”. Sfortunatamente il dipendente è solitamente l’ultimo a
riconoscere il problema anche per effetto del meccanismo di negazione (il
lettore può trovare ulteriori dettagli sul funzionamento del meccanismo di
negazione nella nostra opera Stelle e Stalle). E cercare di convincere
qualcuno che non vuole sentire che ha una dipendenza è un tentativo inutile
e un futile spreco di energie.
La miglior cosa che si può pensare di fare è di fornire alla persona un
rimando di realtà riguardo ai suoi comportamenti e alle sue compulsioni.
Cercheremo ora di fornire al lettore un quadro d’insieme dei quattro sintomi
e segni fondamentali che caratterizzano una dipendenza.

1. Ossessione
Il comportamento dipendente è estremamente compulsivo e distruttivo.
Quando una persona è dipendente da qualcosa, o da qualcuno, il pensiero è
talmente intrusivo che difficilmente l’oggetto del desiderio può essere
estromesso o ignorato e diventa impossibile non pensare alla prossima
“dose” o alla prossima occasione per compiacerlo.
All’avvicinarsi del momento in cui sarà possibile riattivare la compulsione
si mescolano sentimenti di ansia e di eccitazione che continuano a creare
una tensione interiore fino al momento del rilascio di endorfine per aver
assecondato la compulsione. Se per qualche ragione diviene impossibile
assecondare la compulsione emergerà una sensazione di frustrazione, nei
casi più gravi di panico. In generale l’ossessione tende ad invadere la
maggior parte del tempo e del pensiero.

Se si è dipendenti si tende, automaticamente e inconsciamente, ad


aggiustare le proprie abitudini di vita e la propria agenda in modo da
facilitare l’attuazione della compulsione. Questi aggiustamenti sono
direttamente dipendenti dal tipo di dipendenza e possono andare
dall’assicurarsi che i soldi investiti nella dipendenza non siano tracciabili
all’evitare interferenze durante l’atto; dal portare vino a casa di amici per
essere sicuri che durante la serata non manchi l’alcol al proteggere le
“scorte” ad ogni costo.

Parlando con molti pazienti, ma anche amici che sono stati ingabbiati in una
o più dipendenze, la sensazione che descrivono è più o meno sempre la
stessa: una sorta di “comando interiore”, di necessità a cui non si può far a
meno di rispondere. È una forza che spinge oltre ogni considerazione
razionale.

2. Conseguenze negative
Immaginate di poter far colazione, ogni giorno, con la cosa che vi piace di
più. È talmente buona che presto diventerà un’abitudine. E il giorno in cui
non potrete averla vi mancherà. È una dipendenza? Direi di no. Direi che
questo esempio ricada nell’abitudine, uno schema ripetitivo da cui traiamo
alcuni benefici senza conseguenze negative.

Ciò che fa di una dipendenza una dipendenza è che prima o poi si rivolge
contro il dipendente. Si inizia per i benefici che se ne traggono, proprio
come per le abitudini, ma poi il comportamento compulsivo inizia a sortire
effetti negativi sulla vita della persona che, però, continua a portare avanti
la sua compulsione. I comportamenti dipendenti producono soddisfazione,
piacere, sollievo ed altri benefici nel breve periodo ma portano dolore,
sofferenza ed altri problemi sul lungo periodo.

Secondo Stanton Peele il criterio che definisce se un soggetto sia o meno


dipendente è la prevalenza di conseguenze negative per l’individuo. Queste
conseguenze possono includere la limitazione di altre forme di
gratificazione, la percezione da parte dell’individuo che quel
comportamento sia necessario a un suo buon funzionamento e la non
accettazione della privazione dell’oggetto della compulsione da parte della
società, della scienza o altre cause di forza maggiore.

Le conseguenze negative correlate alla dipendenza possono influenzare


molte aree della vita della persona, ad esempio:

Relazioni: un dipendente spesso sottrae tempo agli amici e alla famiglia per
perseguire la sua compulsione e questo può traslarsi in progetti che saltano
all’ultimo momento; disinteresse sessuale; liti e fraintendimenti;
risentimento crescente. La comunicazione si rompe e il dipendente diventa
emotivamente distante nel tentativo inconscio di ridurre ogni interferenza.
La fiducia cala via via che la dipendenza prende piede e lascia il posto alla
diffidenza creando un’atmosfera per cui nessuna relazione può sopravvivere
in modo lineare. Estraniazione, separazione, fuga, divorzio sono alcune tra
le conseguenze a lungo termine.

Lavoro: la persona affetta da una dipendenza potrebbe iniziare a risentirne


sul lavoro, chiedendo uscite anticipate, sottraendo tempo al lavoro,
arrivando tardi, calando la produzione o la qualità del lavoro, generando
tensioni coi colleghi e, a volte, perdendo il lavoro stesso.

Finanze: canalizzando le proprie risorse economiche nella dipendenza (sia


essa la droga, le scommesse, il gioco d’azzardo, lo shopping, il sesso,
un’altra persona ecc..) il dipendente ha sempre meno denaro a disposizione
per altre attività. Nei casi più gravi si ha il prosciugamento dei risparmi,
all’aumento dei prestiti e ai debiti insoluti.

Salute mentale: chi è affetto da dipendenza spesso sviluppa una serie di


conseguenze psicologiche che vanno dalla deflessione dell’umore
all’irritabilità; dallo stile difensivo alla bassa autostima; dai sensi di colpa
alla vergogna. Sebbene molti di questi aspetti psicologici possano venir
coperti e non essere immediatamente visibili o riconoscibili il loro esistere
nel profondo genera importanti cambiamenti di cui difficilmente il
dipendente si accorge, ed ecco perché è difficile che una persona riesca a
riconoscere la sua condizione di dipendente. È come se la persona non fosse
mai abbastanza e man mano che le conseguenze negative della dipendenza
prendono piede la sua autostima cala in modo direttamente proporzionale
all’aumento dei problemi. Abbiamo chiarito prima che uno dei punti focali
nella dipendenza è il controllo, o meglio l’incapacità di mantenere il
controllo delle situazioni; e poiché al dipendente sembra di non essere mai
abbastanza in controllo, man mano che la situazione gli sfugge di mano
sentimenti quali fallimento, impotenza, depressione e disperazione fanno la
loro comparsa. Da qui il processo è circolare: queste sensazioni portano una
maggiore necessità di aderire alla compulsione che si fa sempre più forte
per fuggire dalla sofferenza.

Giudizio e comportamento: nella morsa della dipendenza le persone si


comportano in modi in cui non si comporterebbero normalmente, perché la
compulsione prende il sopravvento. Come risultato il dipendente viene
spesso considerato egoista ed egocentrico, qualcuno a cui non importa altri
che di sé stesso. Sebbene questo possa essere vero superficialmente, non è
certo una spiegazione accurata del suo comportamento che è motivato più
dalla disperazione interiore che dalla mancanza di rispetto verso gli altri.
L’uomo che sta affogando – scrive il famoso addittivologo Leon Wurmser –
ha poco interesse in questioni etiche e di integrità. È bene sottolineare che
la disperazione interiore che il dipendente prova e che lo spinge alla
compulsione molto spesso non è percepita dalla persona che si sente invece
in pieno controllo della situazione, serena, felice e in grado di “smettere
quando vuole”. Quando la persona si accorge che qualcosa non va è perché
il problema è diventato più pervasivo di quanto lei possa psicologicamente
(inconsciamente) gestire.

Salute fisica: lo scopo compulsivo di un upper – qualunque esso sia –


spesso sfocia in problemi fisici. Questo combinato con le modificazioni
date dal crescente stress interiore può facilmente portare a sintomi fisici
quali disturbi dell’appetito, ulcera, ipertensione, insonnia, stanchezza solo
per nominarne alcuni. Ma la cosa interessante dei sintomi fisici è che spesso
non sono correlabili per natura alla dipendenza stessa. Ad esempio: se è
facile supporre che un alcolista sviluppi una cirrosi epatica, non è altrettanto
immediato correlare il mal di schiena a una dipendenza emotiva verso un
narcisista; se è di facile intuizione come fumare possa indurre un carcinoma
polmonare, non è altrettanto semplice correlare il bisogno compulsivo di
approvazione a una perdita di peso o all’incapacità di aumento della massa
muscolare.
3. Mancanza di controllo
Purtroppo, nonostante le conseguenze negative, se una persona è dipendente
sarà incapace di fermare o controllare la compulsione. Una volta premuto il
grilletto (bevuto il primo drink; piazzata la prima scommessa; ottenuto il
primo riconoscimento ecc..) nonostante qualsiasi buona intenzione,
promessa voto o fioretto fatti a sé stessi, ad altri o persino a Dio, la
compulsione continuerà e sarà impossibile fermarla. Il vero marchio
distintivo della dipendenza è, come dicevamo prima, che la forza di volontà
non è abbastanza. La compulsione controlla la persona e non il contrario.

Ma il fattore “forza di volontà” a volte può risultare confusionario perché il


dipendente riesce ad esercitare un certo livello di controllo per un
determinato periodo di tempo, e questo non fa altro che alimentare
l’illusione che il problema non ci sia. Potrebbe ad esempio essere una
negazione mascherata da disciplina o da dogma (un sesso dipendente che si
unisca ad una religione che impone l’astinenza non risolve il problema, lo
nega mascherandolo con un dogma) o sostituendo la dipendenza con
un’altra compulsione (un fumatore che smette di fumare e mangia in
continuazione non ha risolto il problema, sostituisce una compulsione con
un’altra) o soffocando la compulsione temporaneamente (un mangiatore
compulsivo che si mette a dieta e resiste al regime restrittivo sta
semplicemente soffocando la pulsione con una compulsione di ordine
maggiore – il dover resistere per dimostrare qualcosa).

Se la persona non guarisce internamente, nel profondo, un ritorno alla


compulsione primaria o a un suo sostituto di ordine uguale o superiore è
inevitabile. Ma un ritorno alla compulsione creerà sentimenti di fallimento e
di perdita ben superiori a quelli esistenti in precedenza. Anche qui il
soggetto potrà far subentrare meccanismi di difesa specifici ma questo non
farà altro che aumentare ulteriormente la compulsione. E così via.

4. Negazione
Man mano che la compulsione si rafforza e la dipendenza si radica, i
problemi iniziano ad accumularsi. E via via che questo accade la persona
dipendente inizierà a negare due cose:
1. che la dipendenza è un problema che non può controllare;
2. che le conseguenze negative nella sua vita abbiano alcuna
correlazione con la sua compulsione.
La negazione assume molte forme, le più comuni secondo la classificazione
di Terence Gorski sono:
1. negazione assoluta: “Io non ho alcun problema!”;
2. minimizzazione: “Ma va... Non è grave come sembra!”;
3. evitamento: cambiare discorso, evitare di parlare dell’argomento
ecc.;
4. colpevolizzazione: “Certo che lo faccio! Anche tu lo faresti se
dovessi convivere con mia moglie/figli/ lavoro ecc..”;
5. razionalizzazione e intellettualizzazione: “Beh io non sono messo
male come Marco..” oppure “ma in fin dei conti la mia relazione con
Marco non mi dà dipendenza”.
Poiché la negazione è un fenomeno dissociativo, attivando un meccanismo
simile la persona diviene letteralmente distaccata dalla realtà. Nel momento
in cui, ad esempio, Marco decide di continuare a giocare incurante del fatto
di essere rimasto senza soldi con la convinzione che “la prossima volta
andrà meglio” o quando Mario decide di provare nuovamente a fare colpo
su Luca sapendo che comunque non funzionerà allora sia Marco sia Mario
sono letteralmente in uno stato dissociativo che li rende distaccati dalla
realtà e questo interferisce con le loro capacità razionali e cognitive.

Nell’interpretazione della negazione come un effettivo punto di rottura con


la realtà, accettando il suggerimento della psichiatra di Harvard Margaret
Bean-Bayog, questo meccanismo può essere visto come una vera e propria
“micro-psicosi”. Secondo la Bean-Bayog nella psicosi si osserva una
scissione che separa la persona dalla realtà con un’intensità molto simile al
processo di negazione che si osserva in un dipendente. Lei la definisce
“micro-psicosi” perché il soggetto non si trova costantemente in una
situazione psicotica ma il dipendente ha questo livello di rottura psicotico
con la realtà che è circostanziato e funzionale ad un unico scopo: mantenere
attiva la compulsione.

Il punto chiave di questa situazione è che un dipendente non si limita a


cercare di manipolare le situazione e “farla franca” ma, nel momento della
negazione, è convinto realmente di dire la verità. Le ragioni e le evidenze
che indirizzerebbero le sue attenzioni e le sue funzioni cognitive altrove
vengono bloccate alla fonte: in un certo senso il dipendente sta dicendo “se
la realtà è fonte di sofferenza io non voglio vederla, quindi chiudo gli occhi
e me ne vado”. Per questo l’interazione con un dipendente da parte di un
estraneo può essere estenuante.

A meno di una profonda comprensione del meccanismo di negazione come


sintomo della dipendenza e della potenza della pressione inconscia che
questo può esercitare, si può rimanere molto confusi e a volte scoraggiati
davanti al confronto con un dipendente. Le argomentazioni e i ragionamenti
del dipendente possono essere talmente convincenti che potremmo arrivare
a mettere in dubbio persino la nostra posizione.

La funzione principale della negazione è di tenere lontano qualsiasi cosa


che possa interferire con la compulsione. Il dipendente deve evitare di
vedere i problemi che la dipendenza gli crea perché qualora li vedesse
dovrebbe far qualcosa per porvi rimedio ed il solo pensiero di dover
interferire con la compulsione è insopportabile. Il dipendente nega, quindi,
perché la cosa è funzionale e, come sottolinea Gorski, funziona molto bene
nel breve periodo; che è quello che al dipendente interessa. Poiché la
dipendenza crea situazioni incontrollabili nella vita del soggetto, la
negazione lo aiuta a rimanere loro estraneo e a perpetrare l’illusione che
tutto sia a posto, che il controllo sia in mano sua. La negazione permette al
soggetto di mantenere buoni sentimenti riguardo a sé stesso e a mantenere
un certo livello di autostima impedendo la presa di coscienza del livello di
caos che sta crescendo dentro di lui. Come un muro che si erge a difendere
il suo Io, la negazione è un meccanismo necessario e obbligatorio per il
dipendente per evitare di essere travolto dall’impeto della realtà che lo
assale e per impedire il prender forma dei sentimenti di fallimento,
vergogna e umiliazione.

La negazione rappresenta lo sforzo per ottenere l’auto protezione


fondamentale per il dipendente per mantenere intatti le proprie idee e i
propri credo riguardo sé stesso e il mondo esterno. È un tentativo di
mantenere un certo livello di integrità del Sé, indipendentemente da tutto. Il
dipendente agisce sotto l’effetto di un falso sistema di credenze e non si
rende conto che
1. non solo non è necessario ma è addirittura impossibile essere
perfetti;
2. la soluzione nel breve periodo non è risolutiva;
3. che è possibile avere aiuto dagli altri.

L’effetto maggiormente distruttivo della negazione è che impedisce


l’intervenire di una correzione del comportamento. Sebbene i problemi del
dipendente crescano di giorno in giorno e i segnali della dipendenza
diventino sempre più evidenti, lui non riesce a percepire questa realtà. Non
sta semplicemente ignorando la cosa, la negazione gli impedisce di vedere i
segnali e quindi il quadro è per lui perfettamente normale.

Quello che il lettore a questo punto potrebbe ragionevolmente chiedersi è:


“Com’è possibile che una persona media che non è in un ovvio stato di
sofferenza psichica, il cui funzionamento è buono sia al lavoro sia nella vita
quotidiana, diventi dipendente e non se ne accorga?”

Uno dei fattori fondamentali è che non è necessario che una persona
presenti tutti i segni e i sintomi della personalità dipendente o compulsiva e
non è necessario che sia psicologicamente o emotivamente disturbata per
cadere nella trappola della dipendenza. Cercheremo tuttavia, nei prossimi
capitoli, di dare una risposta a questa domanda.
CAPITOLO II

Le cause e le tipologie

ANDREAS ACERANTI - SIMONETTA VERNOCCHI

Non troverai mai te stesso finché


non affronterai la realtà
Pearl Bailey.

I comportamenti da “accumulo” o da superamento dei limiti sono comuni


tra moltissime persone. Che questo sia accumulare libri, mangiare cibo,
dedicarsi giorno e notte agli animali, non buttare mai nulla, collezionare
lattine, i comportamenti compulsivi sono difficili da comprendere da parte
di chi osserva dall’esterno.

Il comportamento compulsivo e quanto ad esso correlato può essere


estremamente difficile da comprendere ed è altrettanto difficile da spiegare
senza ricorrere a complessi termini specialistici. Cercheremo in quest’opera
di essere quanto più semplici e dettagliati possibile; ci scuserà il lettore se di
tanto in tanto cadremo in qualche tecnicismo di non proprio immediata
comprensione.

Il quadro compulsivo implica pensieri e comportamenti che sono intrusivi,


ridondanti, anali o abituali che esulano dal controllo della persona e ne
limitano il funzionamento.
Un esempio di quadro compulsivo lieve può essere una persona che deve
avere tutti gli oggetti sulla sua scrivania ordinati e sistemati secondo un
ordine stabilito. La persona potrebbe non mostrare altri sintomi a parte
questa peculiarità.
Un esempio, invece, di quadro compulsivo severo può essere una persona
che si ferisce in un incidente automobilistico poiché non riesce a resistere
alla tentazione di passare col semaforo rosso.

Persino l’industria cinematografica ha scoperto quanto il disturbo


compulsivo attiri l’attenzione del pubblico; il film “As good as it gets”
(tradotto in italiano in “Qualcosa è cambiato”) del 1997 metteva in evidenza
le caratteristiche del disturbo ossessivo compulsivo in una esilarante
commedia con Jack Nicholson.

Anche la serie televisiva “Monk” (tradotta in italiano in “Detective Monk”)


in onda dal 2002 al 2009 dava un’interpretazione positiva del disturbo
dimostrando come un detective potesse trarre vantaggio dalla sua
ossessione compulsiva per risolvere i casi che gli venivano proposti. Anche
questa serie era a sfondo comico.

Quando per la prima volta studiai questo disturbo mi chiesi perché tante
persone lo trovassero buffo e divertente?

Spesso questi comportamenti risultano peculiari a chi non li sperimenta di


persona. Una persona che avverte la necessità di contare quante volte
mastica il cibo prima di deglutire, spesso risulta “strana”, così come una che
ha la necessità di avere l’intero guardaroba ordinato per colore.

Ma l’ossessione compulsiva, per definizione, ha in sé due tratti


fondamentali: l’ossessione e la compulsione. Sebbene all’occhio del
profano questi due termini possano sembrare simili sono, invece,
profondamente diversi. L’ossessione, generalmente, si riferisce a pensieri
intrusivi che la persona sperimenta; la compulsione, d’altro canto, descrive
il comportamento e le azioni della persona. Ovviamente possiamo avere
anche il caso in cui una persona manifesti solo l’ossessione o solo la
compulsione anche se, in generale quando c’è l’una è presupponibile che a
un certo livello vi sia anche l’altra.

Una volta chiariti alcuni concetti sull’ossessione e sulla compulsione


cerchiamo di indagare queste dinamiche più in profondità cercando di
fornire una risposta alla domanda che ci siamo posti nel capitolo
precedente: “Com’è possibile che una persona media che non è in un ovvio
stato di sofferenza psichica, il cui funzionamento è buono sia al lavoro sia
nella vita quotidiana, diventi dipendente e non se ne accorga?”. Cercheremo
di indagare le cause del comportamento compulsivo e dei sintomi associati
sia alla compulsione sia all’ossessione.

CAUSE
Le neuroscienze hanno recentemente dimostrato che una causa
dell’ossessione e della compulsione può essere biologica, psicologica o
addirittura evolutiva. Esamineremo le cause in quest’ordine cercando di
darne spiegazione al lettore al meglio di quanto disponibile alla conoscenza
attuale. Le cause biologiche possono includere la genetica, anomalie
cerebrali e anomalie correlate ai neurotrasmettitori o ai neuro-recettori. Le
cause psicologiche includono comportamenti che possono essere appresi,
condizionamenti cognitivi e il tentativo di sopprimere le ossessioni. In fine,
i benefici evolutivi che potrebbero non essere più necessari.

a. Genetica
Abbiamo, ad oggi, ragionevoli motivazioni per credere che ossessioni e
compulsioni abbiano, almeno in parte, una causa genetica. La prima
indagine in questa direzione ebbe inizio quando diversi studi vennero
pubblicati dimostrando che i soggetti che mostravano disturbi ossessivo
compulsivi avevano in famiglia ascendenti con la stessa diagnosi. Gli studi
evidenziavano che la familiarità per la diagnosi oscillava tra il 3% e il 12%
negli immediati ascendenti. Studi sui gemelli che confrontano gemelli
omozigoti e gemelli eterozigoti evidenziano forti correlazioni che
sostengono la tesi genetica[1]. Sebbene non sembri esistere un vero e proprio
gene responsabile dell’ossessione e della compulsione, alcune anomalie
genetiche aumentano la vulnerabilità dell’individuo[2]. Uno dei geni, testato
negli studi sui topi, correlato alle compulsioni di pulizia personale (ad
esempio la necessità di lavarsi continuamente le mani) è il gene SAPAPA3.
Per poter esprimere un parere sugli esseri umani saranno necessarie ulteriori
ricerche poiché questo gene da solo non spiega i pensieri ossessivi e
intrusivi[3].

È importante comprendere che le ossessioni e le compulsioni, come la


maggior parte delle produzioni psichiche, sono il prodotto di fattori sia
biologici sia ambientali. Una persona potenzialmente vulnerabile al disturbo
ossessivo compulsivo potrebbe, in realtà, non manifestare mai alcun
sintomo[4]. Pertanto, per quanto i fattori genetici siano importanti perché gli
scienziati possano comprendere come aggiustare il trattamento
farmacologico e terapeutico, essere portatori di un’anomalia genetica non
deve mai essere visto come una maledizione o qualcosa da temere.

b. Anomalie cerebrali
Ossessioni e compulsioni, come molti altri disturbi, possono essere
collegate ad una o più anomalie cerebrali e col progredire della tecnologia,
della medicina e delle neuroscienze le nostre capacità di indagare il cervello
e le sue eventuali anomalie crescono in modo ad esse direttamente
proporzionale. Molte parti del cervello mostrano attività maggiori nei
soggetti affetti da ossessioni e compulsioni. Queste attività possono
generare specifiche compulsioni come quelle correlate alla paura delle
contaminazioni o alla paura di far male ad altri[5]

GEMELLI MONOZIGOTI (O MONOVULARI)

I gemelli monozigoti (anche detti gemelli monovulari o


semplicemente identici) derivano da una singola cellula uovo
fecondata da uno spermatozoo. Il Più Grande (o vecchio) è quello che
ha secondi o minuti in Più dell'altro. Durante le prime fasi della
moltiplicazione cellulare avviene la separazione dell'unica massa di
cellule presente in quel momento in due masserelle separate, dette
morule. I gemelli monovulari possono condividere la stessa placenta
(gemelli monovulari monocoriali), o possono sviluppare due placente
distinte (gemelli monovulari bicoriali). I due gemelli risultano di sesso
uguale e fortemente somiglianti nell'aspetto, dato che gli individui che
si originano da questo evento casuale, possiedono lo stesso patrimonio
genetico e sono quindi identici: hanno lo stesso sesso, gli stessi occhi,
gli stessi capelli, lo stesso gruppo sanguigno, cioè gli stessi caratteri
somatici.

Questi casi vengono studiati molto attentamente giacché


rappresentano l'unico caso di identità genetica umana naturale, ovvero
è l'unico caso di uguaglianza, fra individui distinti, di genotipo e DNA.
Questa situazione permette di capire quanto l'ambiente influisca sullo
sviluppo del comportamento di un individuo rispetto al patrimonio
genetico. Le uniche differenze che possiamo riscontrare sono le
seguenti:

mutazioni somatiche: durante la vita essi accumulano delle


mutazioni che dipendono sia dall'ambiente che circonda ciascun
gemello sia da mutazioni casuali (sporadiche)
DNA mitocondriale: ereditato dalla madre, il primo gemello può
ereditare la maggior parte dei mitocondri con alcune mutazioni mentre
l'altro gemello avrà una situazione normale (le differenze però sono in
realtà minime)[2]
dermatoglifi: differiscono per le creste delle impronte digitali
inattivazione cromosoma X (femmine): i gemelli di sesso femminile
possono disattivare in modo diverso l'uno o l'altro cromosoma X

GEMELLI DIZIGOTI (O BIOVULARI)

I gemelli dizigoti sono più comuni, assommando a circa i 2/3 di tutti i


parti gemellari. Derivano dalla fecondazione di due diverse cellule-
uovo da parte di due diversi spermatozoi e quindi si originano da due
zigoti diversi. I gemelli dizigoti sono quindi fratelli che condividono
l'utero materno durante lo stesso periodo di gravidanza. Possono
quindi divergere anche notevolmente tra loro, alla stregua di quello
che capita tra i comuni fratelli, che possono essere molto diversi tra
loro, prima di tutto come sesso, e poi per tutti i caratteri genetici e
fenotipici (o somatici).
La fecondazione avviene per la presenza contemporanea di due ovuli
nella stessa tuba, che pertanto vengono fecondati da due spermatozoi
diversi. La credenza per cui il gemello che esce per primo dall'utero
materno è anagraficamente più vecchio, ma presenta in realtà un'età
biologica minore, è sbagliata in quanto non appena un ovulo viene
fecondato e si deposita nell'utero, quest'ultimo si chiude al mondo
esterno, per impedire qualsiasi contaminazione del feto. Inoltre da quel
momento in poi si interrompe nella donna il ciclo mestruale e pertanto
non saranno più disponibili ovuli da fecondare fino al termine della
gravidanza.

GEMELLI SIAMESI

I gemelli siamesi sono gemelli monozigoti che alla nascita presentano


organi o tegumenti in comune. L'evento dipende dalla divisione tardiva
dell'embrione. Le cause del ritardo nella scissione, al momento non
sono scientificamente accertate, ma si ipotizza che sia influenzato da
alcuni fattori ambientali e dall'attivazione di determinati programmi
genici; tuttavia non sembra essere un carattere ereditario.

La nascita di gemelli siamesi è comunque un'eventualità molto rara,


dall'incidenza statistica di circa 1:120.000. Spesso porta a morti
premature, a causa delle malformazioni degli organi interni anche se è
noto il caso di Lazzaro e Giovanbattista Colloredo, gemelli siamesi del
XVII secolo. Le tipologie cambiano a seconda delle parti in cui sono
uniti e degli organi che hanno in comune: solitamente vengono distinti
quelli che non coinvolgono il cuore e l'ombelico.

A parte sono classificate quelle "anomale", in cui uno dei due embrioni
è malformato o interno all'altro. Anche in epoca moderna, non sempre
è possibile separare i due corpi, come dimostra il caso di Ladan e
Laleh Bijani, morte durante l'intervento per separarle.

GEMELLI SEMI-IDENTICI

Un tipo di gemelli recentemente scoperto sono i gemelli bizigoti.


Questi gemelli nascono da una cellula uovo fecondata da due
spermatozoi. Il primo caso conosciuto è quello di due gemelli francesi
nati nel 2002, un maschio e un ermafrodita (nato con entrambi i sessi),
cresciuto come una femmina. Il caso è stato riconosciuto ufficialmente
nel 2005.

Fonte: wikipedia

c. Anomalie correlate ai neurotrasmettitori o ai neuro-recettori


In modo similare alle anomalie cerebrali, ve ne sono alcune che possono
essere individuate nei processi di neurotrasmissione o correlate ai
neurotrasmettitori. Un neurotrasmettitore (o “neuromediatore”) è una
sostanza che veicola le informazioni fra le cellule componenti il sistema
nervoso, i neuroni, attraverso la trasmissione sinaptica. All’interno del
neurone, i neurotrasmettitori sono contenuti in vescicole, dette vescicole
sinaptiche, che sono addensate alle estremità distali dell’assone nei punti in
cui esso forma rapporto sinaptico con altri neuroni.
Nel momento in cui il neurone viene raggiunto da uno stimolo, le vescicole
sinaptiche si fondono per esocitosi con la membrana pre-sinaptica,
riversando il proprio contenuto nello spazio sinaptico o fessura inter-
sinaptica. I neurotrasmettitori rilasciati si legano a recettori o a canali ionici
localizzati sulla membrana post-sinaptica. L’interazione fra i
neurotrasmettitore e il recettore/canale ionico scatena una risposta
eccitatoria o inibitoria nel neurone post-sinaptico.
Diversi neurotrasmettitori sono stati riconosciuti avere un ruolo nelle
compulsioni e nelle ossessioni ma tra tutti prevale l’importanza della
serotonina. Un calo della serotonina può risultare, infatti, in un disturbo
ossessivo compulsivo tanto quanto nella depressione. I farmaci possono
essere d’aiuto nei casi di carenza di serotonina, in particolare gli SSRI. La
sigla SSRI (acronimo per selective serotonin reuptake inhibitors - inibitori
selettivi della ricaptazione della serotonina) sta ad indicare l’insieme di
molecole farmacologiche che rientrano nell’ambito degli inibitori selettivi
della ricaptazione della serotonina ovvero dei cosiddetti antidepressivi non
triciclici.
Le sei principali molecole appartenenti alla categoria dei farmaci SSRI
sono: fluoxetina, sertralina, citalopram, escitalopram, fluvoxamina e
paroxetina. Ovviamente, come per tutti i farmaci, l’utilizzo degli SSRI ha
un costo, non solo economico ma anche in termini di effetti collaterali
anche se, fortunatamente, nella grande maggioranza dei casi gli effetti
collaterali sono di lieve entità e autolimitanti, rientrando per lo più
nell’ambito della cefalea e dei disturbi gastrointestinali. Gli effetti
collaterali più frequenti sono: cefalea, nausea, perdita dell’appetito (in
alcuni casi ciò induce a utilizzare questi farmaci nella terapia di alcuni
disturbi alimentari), aumento dell’appetito, insonnia, tremori, disturbi della
sessualità (ad esempio eiaculazione ritardata nell’uomo e l’anorgasmia nella
donna).
In alcuni casi è stato dimostrato che anche queste molecole, come i farmaci
triciclici, possono dare un prolungamento dell’intervallo QT nell’ECG e
provocare aritmie. Generalmente l’assunzione di questi farmaci - in
particolare della fluoxetina - è fortemente sconsigliata in gravidanza e
allattamento; nel caso sia necessario proseguire la terapia anche in questa
fase, la scelta ricade di norma sulla sertralina o su altre molecole. In ogni
caso deve sempre essere fatta dallo psichiatra in collaborazione con la
paziente, una attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio nell’utilizzo
in gravidanza di questi farmaci.
Effetti collaterali molto indicativi sono quelli a carico della sfera sessuale
che vengono riassunti nella cosiddetta PSSD (ovvero Post-SSRI sexual
dysfunction - disfunzione sessuale post-SSRI) un insieme di disfunzioni
sessuali che, secondo recenti ricerche, sarebbero causate dall’assunzione di
SSRI.
Questa sindrome, che rientra nel più ampio insieme della sindrome da
sospensione degli SSRI, può perdurare nel tempo (nella pratica clinica tali
disturbi rientrano nel breve periodo) dopo l’interruzione dell’assunzione del
farmaco. Alcuni dei principali sintomi di questa sindrome sono:
diminuzione o assenza di libido; impotenza o ridotta lubrificazione
vaginale; difficoltà ad eccitarsi o mancanza di erezione; eccitazione
persistente pur in assenza di stimoli; orgasmo ritardato o assente
(anorgasmia); anedonia o mancanza di piacere pur sussistendo l’orgasmo;
difficoltà nell’iniziare e mantenere l’erezione; eiaculazione precoce o molto
ritardata con scarsa emissione di sperma; ridotta sensibilità degli organi
sessuali, ovvero sensazione di anestesia; riduzione della viscosità e del
volume dello sperma; priapismo.
È facile anche per il lettore poco esperto di psicofarmaci e di psichiatria
comprendere come, soprattutto nei casi di ossessioni e compulsioni
correlate al sesso, l’utilizzo degli SSRI sia estremamente delicato.
Tuttavia, eventuali anomalie correlate ai neurotrasmettitori o ai neuro-
recettori non sono sufficienti per causare un disturbo ossessivo compulsivo
ma quando supportate da fattori genetici o ambientali allora il loro effetto
diventa imprescindibile.

d. Ossessioni e compulsioni apprese


Per mera mancanza di una definizione migliore possiamo dire che
ossessioni e compulsioni si “autoalimentano”. Le persone attivano le
compulsioni perché così facendo riducono i livelli di ansia derivanti dalle
ossessioni. Ad esempio: una persona ossessionata dall’essere contaminata
da germi e batteri troverà conforto nel lavarsi le mani. Ma essendo l’uomo
un essere esperienziale, ovvero che apprende dalle proprie esperienze (o
almeno dovrebbe), la persona apprende che utilizzare certe compulsioni
riduce l’ansia e quindi si può arrivare ad un punto in cui il soggetto attiva la
compulsione prima che l’ossessione si presenti in modo da prevenirla.
Questa potrebbe essere una delle ragioni del fallimento dei trattamenti di
questi disturbi.

e. Evoluzione
Per quanto possa sembrare strano, ossessioni e compulsioni possono aver
giocato un ruolo fondamentale nella selezione naturale nei secoli passati. A
causa dell’elevato tasso di correlazione tra i membri familiari è diffusa
l’idea che manifestazioni ossessive e compulsivo siano correlate
all’evoluzione.

Pettinarsi e lavarsi riducono lo stress ma hanno anche il vantaggio di


mantenere elevati gli standard igienici, cosa che sicuramente ha preservato
coloro che avevano questo tipo di compulsione da diverse infezioni nei
secoli scorsi. Inoltre non riteniamo sia completamente assurda l’idea che, in
periodi in cui le malattie erano facilmente trasmesse durante le attività
quotidiane, coloro che prestavano particolare attenzione all’igiene vivessero
e, quindi, si siano riprodotti.
A quei tempi, il lavarsi continuamente e avere una cura maniacale per
l’igiene erano probabilmente visti come atti utili e coscienziosi e non come
un disturbo.

1. Segni premonitori
Non ci sono veri e propri segni premonitori che possono far intuire che la
persona sia vittima di ossessioni o, peggio, di un disturbo ossessivo-
compulsivo; come detto, infatti, la persona sviluppa questi comportamenti
in modo graduale e la situazione diventa patologica col tempo. Tutti i
sintomi e i segni percepibili sono indicativi del fatto che il quadro
ossessivo/compulsivo si stia formando o che stia progredendo. Tuttavia i
sintomi possono aumentare o regredire nel tempo, per cui la situazione può
apparire più grave in alcuni momenti e meno intensa in altri.

2. Segni, sintomi e comportamento


Segni, sintomi e comportamento variano a seconda dell’ossessione che
affligge la persona e della compulsione che questa attua per trovare
sollievo. Cercheremo ora di investigare i segni e i sintomi più classici.

a. Paura della contaminazione


La paura della contaminazione si esterna generalmente con la paura di
germi e batteri su se stessi, sugli altri, sulle cose e nell’ambiente.
Un’ossessione collegata a questa paura può essere un pensiero ossessivo
che riguarda il numero di batteri che possono circondare la persona o la
sensazione di avere “qualcosa” sulla pelle o sottocute. Le compulsioni più
tipiche collegate a questo tipo di ossessione includono:
i. Lavarsi più volte al giorno senza motivo
ii. Pretendere che altri si dedichino a particolari pratiche igieniche e
di pulizia
iii. Pulire gli oggetti con un determinato detergente, con una certa
tecnica o un certo numero di volte
iv. Lavarsi le mani ripetutamente

La semplice paura della contaminazione non è sufficiente per una diagnosi


di psicosi ma se il soggetto sperimenta formicazione[6] o fenomeni simili è
consigliabile rivolgersi al più presto a uno specialista.
b. Controllo
Il controllo costante è un’altra forma ossessiva caratterizzata da
comportamenti compulsivi tipici che portano la persona a controllare più
volte la stessa cosa. Ad esempio: accertarsi più volte che la porta sia chiusa,
che il fuoco della cucina sia spento ecc.. Questi comportamenti tendono ad
esacerbarsi in concomitanza all’uso di oggetti o al presentarsi di circostanze
che possono essere considerati pericolosi.

Spesso questo comportamento è perfettamente comprensibile e giustificato


dal semplice fatto che la persona non ricordi di aver già controllato. A tutti
capita di andare a letto e alzarsi per controllare che la porta d’ingresso sia
chiusa, per il solo fatto che non ricordiamo se dopo essere usciti per buttare
la spazzatura l’abbiamo richiusa o meno.

Tuttavia la differenza tra la dimenticanza e la compulsione sta nella


motivazione e nel modo per e in cui la porta viene chiusa. L’ossessione
porta la persona a determinati processi mentali e comportamentali per
accertarsi che la porta sia chiusa (ad esempio aprirla e chiuderla più volte).
Il pensiero può protrarsi anche dopo che il controllo è stato fatto fintanto
che non viene messa in atto la compulsione relativa che seda, quindi, la
tensione interiore.

c. Contare
Il contare è un sintomo di qualcosa che va oltre la semplice ossessione o
compulsione. Solitamente è indicativo di un disturbo ossessivo-
compulsione importante che richiede attenzione da parte di uno specialista,
meglio se specializzato in disturbi di personalità o ossessivo-compulsivi.
Quando affetto da questo tipo di disturbo, la persona conta. Può contare
quante volte mastica il cibo, quante volte entra ed esce dalla stessa porta,
quante volte accende e spegne la luce, o aver bisogno di accendere e
spegnere la luce un certo numero di volte prima di poter uscire dalla stanza.
Generalmente il numero è costante anche se può leggermente aumentare col
tempo. Un mio paziente, ad esempio, quando mi è stato portato la prima
volta qualche anno fa per un consulto aveva come numero il 3. Girava la
maniglia della porta 3 volte prima di aprirla, accendeva spegneva il gas tre
volte prima di essere tranquillo, beveva tre bicchieri d’acqua a pranzo e così
via. Decise poi di non farsi seguire, l’ho rivisto di recente e il suo numero di
costante è salito a 9.

Questo tipo di disturbo può diventare particolarmente pericoloso nei casi,


ad esempio, in cui una persona debba aspettare che il semaforo diventi
verde tre volte prima di passare. Anche se questi esempi possono sembrare
estremi vi garantisco che non sono i peggiori né i più bizzarri.

d. Ordinare e sistemare
L’ordinare e il sistemare possono manifestarsi in qualsiasi campo della vita
della persona. Dai vestiti nell’armadio alle penne sulla scrivania. Non mi
fraintenda il lettore: c’è differenza tra ordine e ossessione/compulsione. C’è
differenza tra l’essere organizzati e l’essere ossessivi/compulsivi.

e. Comportamenti reiterati
La reiterazione del comportamento è spesso associata al controllo.
Un mio paziente ad esempio, quando mangia, deve masticare due volte coi
premolari e due volte coi molari ogni boccone che mette in bocca.
L’ossessione, come abbiamo detto, fa sì che la compulsione debba essere
messa in atto quando un certo stimolo colpisce la persona. Lo stimolo può
essere una parola, un certo cibo, una canzone ecc.. La persona percepisce
l’azione associata alla compulsione come un obbligo da cui non può
sottrarsi.
La compulsione è l’indulgere della persona nel comportamento reiterato,
che questo sia il modo di masticare, il dover scioccare le dita, ripetere
alcune parole ecc.

f. Paura di causare danno ad altri


In alcuni casi la persona può sviluppare una paura terrificante ed
ingiustificata di poter far male ad altri, specialmente a coloro che ama. O di
causare un incidente o ferire un pedone che attraversa la strada; ovviamente
tutti i guidatori hanno, o dovrebbero avere, una leggera tensione di base che
aumenta l’attenzione durante la guida ma nel caso di un’ossessione di
questo tipo la paura è tale da limitare il funzionamento della persona.
Questo tipo di ossessione può essere molto più seria del semplice temere di
perdere il controllo e, spesso, alla base ci sono una o più superstizioni.
Tra i ragazzini contemporanei la violenza, soprattutto rivolta verso i
genitori o i caregiver in generale, è molto più diffusa che nelle generazioni
precedenti. In soggetti particolarmente sensibili o con un ridotto equilibrio
psico-emotivo questa può diventare un vero e proprio terrore ossessivo.
Questi soggetti di solito sviluppano la concomitante ossessione opposta,
ovvero il non dover perdere la calma, mai.
Nei casi più gravi questo tipo di ossessione si associa a un pensiero magico
per cui la persona potrebbe credere, ad esempio, che il figlio si ammalerà
gravemente o morirà se non dice le preghiere in modo corretto ogni giorno.
Non conta quanto la fede della persona sia salda e quanto cosciente essa sia
del fatto che questa sua convinzione sia errata, sarà comunque portata a
compiere l’azione compulsiva (sia essa il pregare o l’obbligare il figlio a
pregare) nel tentativo di impedire che l’altro venga colpito dal male.
L’ossessione si manifesta come paura costante della malattia, incidente o
morte di qualcuno caro alla persona, per mano diretta di quest’ultima (es.
impazzire e uccidere la moglie) o per una omissione di quest’ultima (es. Il
figlio si ammala perché la madre non ha pregato abbastanza).
La compulsione, invece, si manifesta in comportamenti che la persona
considera fondamentali per esorcizzare il male come accendere la luce,
recitare un incantesimo, farsi il segno di croce ecc.

g. Simmetria
Alcune persone sviluppano un’ossessione per la simmetria. Ad esempio
volere che le penne sulla scrivania siano disposte in un’unica fila o
continuare a riscrivere qualcosa perché le lettere sono troppo disomogenee.
In questo caso l’ossessione è collegata all’ordine e alla precisa disposizione
degli oggetti in un determinato contesto mentre la compulsione si esterna
nell’atto di dover sistemare tali oggetti.
Questa ossessione è sempre correlata al controllo e può essere
estremamente frustrante e distruttiva.

h. Ossessioni sessuali
L’ossessione sessuale non è una mera fantasia poiché quest’ultima è
generalmente vissuta come piacevole mentre la prima genera ansia e, a
volte, senso di colpa. Spesso queste ossessione sono strettamente correlate
ad altri tipi di ossessioni indagate nelle pagine precedenti.
Oggetto dell’ossessione può essere un tabù come indulgere in atti sessuali
con animali, bambini o usare violenza contro il partner. Questi pensieri sono
intrusivi, indesiderati, non voluti e possono generare importanti ansie, stress
e sensi di colpa.
Oppure, la persona potrebbe decidere di non chiedere aiuto per paura di
essere derisa, giudicata, condannata o perché semplicemente si convince
che non può fidarsi di nessuno.
Questo tipo di ossessione può portare a una profonda depressione.

i. Ossessioni religiose
Le ossessioni religione non vanno mai confuse con la devozione. Ricordi il
lettore che una delle caratteristiche dell’ossessione è l’ansia per cui viene
attivata la compulsione.
Le ossessioni religiose più comuni vanno dal timore che la persona ha di
offendere inavvertitamente Dio dicendo la cosa sbagliata, saltando un
attività correlata al proprio culto o recitando la preghiera sbagliata o in
modo errato al temere di aver commesso qualcosa di immorale anche senza
essersene resa conto.
Hanno la necessità di essere convinte di star compiacendo Dio
costantemente e questo può portare la persona all’esaurimento, al delirio o
all’attuazione compulsiva di un rituale.

j. Rituali
Di rituali, chi segue i nostri seminari e i nostri corsi, è ormai esperto ma per
il profano cercheremo di dare un’idea di cosa si intenda con questo termine.

Il dizionario Treccani descrive così il rituale:


Precisa e ben delineata successione di atti che persone con
nevrosi ossessiva debbono compulsivamente compiere, anche in
modo ripetuto, per rimuovere l’insicurezza e l’ansia di fronte a
determinate situazioni, o prima di intraprendere un’abituale
attività.

È facile quindi intendere che col termine “rituale” si intendono molte delle
compulsioni fin qui descritte, dal contare quante volte si accende una luce al
dover avere i capi ordinati in un certo modo nel guardaroba, e così via. Ma
questa è la forma più evidente del rituale. Questo può, infatti, essere anche
mentale.
I rituali mentali includono il passare ore a rivedere mentalmente ogni
dettaglio di una situazione prima di prendere una decisione o il cercare di
eliminare dalla memoria dettagli di un evento che si vuole dimenticare. Può
includere anche il contare o le liste ripetute senza proferir parola.
Molte persone hanno rituali mattutini del tipo: alzarsi dal letto à fare la
doccia à bere il caffè à vestirsi à andare al lavoro. Sempre nello stesso
ordine e con le stesse tempistiche.
Già per una persona “normale” è stressante vedere il proprio rituale
interrotto (pensate ad esempio ad un ospite inaspettato che si presenta a
sorpresa mentre state facendo il vostro bagno serale, mentre vi godete il
caffè della colazione ecc..), a maggior ragione lo è per un soggetto
ossessivo/compulsivo, per il quale un rituale interrotto può portare a un
break-down del resto della giornata, delle vacanze o, nei casi peggiori, del
resto di un determinato periodo della vita. Nei casi di
ossessioni/compulsioni importanti il livello di ansia che scaturisce da un
rituale fallito o interrotto può essere devastante.
Il vantaggio dei rituali è che sono prevedibili, controllabili, pianificabili e
questo conferisce loro un altissimo potere sedativo sull’ansia e sulle
tensioni interiori ma, allo stesso tempo, proprio per queste loro
caratteristiche una loro interruzione (perché il soggetto viene interrotto) o il
loro fallimento (perché la persona “sbaglia” qualche passaggio) rende le
loro conseguenze molto più distruttive e molto più preoccupanti del
fallimento/interruzione di qualsiasi altra compulsione, perché la persona
magari stava aspettando da ore o giorni il momento per “officiare” il rituale
in questione.

k. Altre ossessioni e compulsioni


Sebbene fino ad ora abbiamo cercato di dare al lettore l’idea di diversi tipi
di compulsioni e ossessioni, essi sono troppi per poter essere discussi in
modo esaustivo anche in un’intera enciclopedia. Questo non implica, in
alcun modo, che le ossessioni e le compulsioni che qui non abbiamo citato
siano meno importanti o richiedano meno attenzioni ma semplicemente che,
almeno in Italia e in Europa, siano meno diffuse e meno comuni.
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[5] Butcher, J.N., Mineka S., Hooley J.M.(2010); Abnormalities psychology,

14th ed. Boston, Allyn & Bacon pp. 206-216


[6] La formicazione o la parestesia è un'alterazione della sensibilità degli arti

o di altre parti del corpo. In particolare, il termine descrive una condizione


caratterizzata da fenomeni sensitivi a livello locale, più frequentemente
descritti come formicolio.
CAPITOLO III

Funzioni e caratteristiche delle dipendenze

ANDREAS ACERANTI - ANTONIO FERRANTE - SIMONETTA VERNOCCHI

Non mi preoccupa che siate caduti.


Mi preoccupa che vi rialziate
Abraham Lincoln.

Storicamente il termine “dipendenza” (o addiction in inglese) veniva usato


per le dipendenze da sostanze quali l’alcol, il tabacco, l’eroina e le altre
droghe mentre recentemente le dipendenze psicologiche sono state
riconosciute come non solo un fattore di rischio ma un fondamento
preponderante nello sviluppo delle dipendenze di tipo diverso (Miller,
2005).

La cognizione di attività come “dipendenza” è relativamente recente ma la


distinzione tra “dipendenza da sostanze” e “dipendenza comportamentale”
(o “compulsione comportamentale”) sta diventando sempre più comune ed
accettata nel mondo scientifico (Courtright, 1982; Dickson, Derevensky and
Gupta, 2002; Rosenthal, 1992; Taber et al., 1987).

Tuttavia il termine “dipendenza” è ancora in fase di definizione per cui


spesso si sente parlare di “abuso da videogame”; “gioco d’azzardo
patologico”; “indebitamento compulsivo” e così via. Ma, in fin dei conti,
sia il soggetto affetto dal problema sia il terapeuta sia la famiglia useranno
di volta in volta il termine che più loro aggrada, spesso quello che suona
meno “patologico” o più carico di speranza; credo che la terminologia sia
poco importante finché viene offerto ed accettato l’aiuto giusto.

Come classifichiamo una condizione, come società, non è solo una


questione di salute pubblica o privata, ma è una questione di soldi e di
politica. Il DSM è il manuale più diffuso ed utilizzato per il riconoscimento
e la definizione di determinate condizioni. Quando un quadro rientra nel
DSMIV allora esiste formalmente. E se esiste formalmente allora il
pubblico ha il diritto si chiedere che venga trattato nel modo corretto.
Nel mondo delle dipendenze spesso nasce il dibattito se una determinata
sostanza o un determinato comportamento siano o meno inclusi nel DSM
come associabili a una dipendenza. Ma proviamo a pensare, se la
dipendenza da pornografia fosse inserita nel DSM, quanto costerebbe al
governo dover mettere in atto programmi di riabilitazione e di prevenzione
dei pornofili e di controllo della pornografia.
I dipendenti da gioco d’azzardo, come vedremo, esistono dalla notte dei
tempi. Ma solo ora che il gambling patologico è entrato nel DSM viene
riconosciuto come problema e vengono stanziati fondi per risolverlo.

È interessante notare che la Sindrome di Asperger non fu inserita nel DSM


fino al 1994 mentre l’omosessualità ne fu rimossa solo negli anni ’70.
Quindi chiunque, fino a qualche anno fa, fosse gay veniva considerato come
se avesse una qualche patologia mentale (non che oggi le cose siano molto
diverse, ma almeno sulla carta dovrebbe esserlo) mentre chi fosse affetto, o
avesse in famiglia qualcuno affetto, dalla Sindrome di Asperger non trovava
supporto né fondi che lo aiutassero.
Venire etichettato con una determinata condizione o un certo problema può
risultare sia in una benedizione sia in una maledizione. Per alcuni, infatti, la
definizione chiara ed “etichettante” del problema li aiuta a comprendere che
stanno lottando con qualcosa che causa problemi anche ad altri e che quindi
non sono soli. Lo stigma può essere rimosso, superato e le energie fisiche e
psichiche possono essere focalizzate verso il superamento del problema
piuttosto che verso il senso di colpa. Ma l’altro lato della medaglia di ciò è
che per alcuni l’etichetta diventa un peso insopportabile da cui rimangono
schiacciati senza riuscire a liberarsene e contro cui non hanno alcun potere.

LA FUNZIONE DELLA DIPENDENZA

Per comprendere qualsiasi forma di dipendenza dobbiamo comprendere e


renderci conto che è ben più di una cattiva abitudine. La dipendenza ha una
funzione, uno scopo psicologico (Dodes, 2002). Alcuni si riferiscono alla
dipendenza come un comportamento anestetico, un modo per uscire dal
mondo. Altri si riferiscono alla dipendenza come un comportamento
edonistico; un modo per cercare un piacere continuo. Nella maggior parte
dei casi entrambe gli approcci sono validi. O almeno quello è il modo in cui
tutto inizia, poi la dipendenza e il suo oggetto, sia esso l’alcol, la droga, il
sesso, il gioco ecc.., creano i veri problemi e anziché portare piacere nel
momento in cui la compulsione viene attivata, portano sofferenza quando
questa non può trovare soddisfazione.

Alcuni potrebbero opporre il fatto che tutto il comportamento umano è


basato sul piacere personale e che tutto ciò che facciamo è mirato ad
aumentare le sensazioni positive ed arginare quelle negative. Che noi siamo
programmati per ricercare il piacere ed evitare il dolore. Questa è la ragione
per cui nello studio del medico si è soliti trovare riviste di ogni genere,
comprese quelle di abiti da sposa: piuttosto che concentrarci sul nostro stato
fisico, sull’ansia o sulla noia, possiamo distrarci con letture che distolgano
il nostro pensiero con cose meno impegnative e più frivole. Ciascuno di noi
ha molteplici meccanismi e un’infinità di metodi per risollevarsi il morale e
calmarsi quando è agitato. Nella maggior parte dei casi sono meccanismi
innocui, come la preghiera, lo sport, il cucinare, il fare le pulizie e cosi via.
Le persone che sviluppano una dipendenza non sono diverse,
semplicemente l’oggetto della loro dipendenza è diventato l’unico sistema
di coping che hanno e tende ad attivarsi sempre più spesso e con stimoli
sempre minori. Diventa l’unico modo per sopravvivere in un mondo che,
diversamente, sarebbe insopportabile.

NEUROBIOCHIMICA DELLA DIPENDENZA


Il piacere non è qualcosa di semplicemente psicologico, ma è un processo
fisiologico che viene attivato da alcuni neurotrasmettitori nel cervello. In
primis la dopamina, seguita dalle endorfine e dall’adrenalina. Questi veicoli
chimici hanno una “vita propria” ma nella persona che ha sviluppato una
dipendenza, semplicemente, si attivano più velocemente e in modo più
diretto rispetto a chi la dipendenza non ce l’ha. È un po’ come avere un
dispenser nel cervello e poterlo attivare quando si vuole attraverso l’azione
o semplicemente attraverso la fantasia dell’azione.

Esperienze sessuali diverse attivano circuiti e neurotrasmettitori diversi


(Crenshaw, 1996). Più o meno tutte alzano i livelli di serotonina prima e
dopamina poi mentre altre si focalizzano sull’adrenalina, sul testosterone,
sull’ossitocina o sulle endorfine. Per cui sebbene tutte le esperienze sessuali
risultino piacevoli, per alcuni il rischio, il dolore, l’umiliazione e altre
sistemazioni contingenti stimolano ulteriori neurotrasmettitori che
aggiungeranno al mero piacere sessuale anche l’evocazione di una o più
emozioni aggiuntive.

Come vedremo il cervello è formato da milioni di connessioni attraverso cui


passano i messaggi che ci permettono di pensare, sentire, agire e ci sono reti
specifiche per il trasporto di specifiche informazioni, tra cui il piacere. Se
noi attiviamo la “via del piacere” sempre nello stesso modo questa
diventerà sempre più efficiente, forte e veloce rispetto ad altri circuiti che
invece andranno indebolendosi. Ma mentre i primi circuiti si rinforzano e si
stabilizzano diventano anche più resistenti per cui il dipendente si troverà a
doverli stimolare sempre di più è sempre con maggior forza per ottenere lo
stesso effetto (Blum et al, 2002; Duvauchelle et al, 2000). Questo è ciò che
chiamiamo “tolleranza e scalata”.

Per un attimo compariamo il sesso al cibo e proviamo a immaginare una


situazione in cui l’unico alimento disponibile fosse il cioccolato. O
qualunque altro alimento vi piaccia. E ora immaginiamo di mangiarne in
continuazione, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Ci vorrà poco
perché iniziamo a stancarci e cerchiamo di cambiare marca, tipo o qualsiasi
altra variante. Più cioccolato mangiamo meno questo vi renderà felici. Ora,
immaginiamo che qualcuno ci offra una mela e ci consigli di mangiarla al
posto del cioccolato. Ci viene l’acquolina in bocca al pensiero di poter
mangiare qualcosa di diverso e di fresco ma il nostro circuito “della frutta”
è stato rimpiazzato da quello “del cioccolato” per cui quando mangiamo la
mela questa sa di segatura e non ci suscita alcuna sensazione. Cosa
faremmo?

Questo è il dilemma del dipendente. La loro dipendenza ha creato una sorta


di scorciatoia per alzare la dopamina e la serotonina attraverso il circuito
specifico dell’oggetto della loro compulsione, mentre gli altri circuiti sono
andati via via spegnendosi. Ad esempio chi è dipendente dal sesso può
apprezzare la buona musica, o lo stare con gli amici ma niente è
equiparabile all’atto sessuale. Tuttavia ogni volta che indulge nella propria
compulsione per provare piacere non fa altro che indebolire ulteriormente
gli altri sistemi e circuiti.

Ma la neurobiologia della dipendenza riguarda ben più che i semplici


circuiti della ricompensa. Chi soffre di una dipendenza sperimenta problemi
nella gestione degli impulsi, non sono in grado di valutare oggettivamente i
pericoli (soprattutto quelli direttamente collegati alla dipendenza) e si vede
compromessi tutti i processi che implicano la corteccia frontale e la materia
bianca. Queste aree del cervello vengono alterate dalla dipendenza,
soprattutto nell’adolescenza durante la quale sono ancora in via di sviluppo,
e questo è il motivo per cui si crede che un’esposizione giovanile sia un
fattore di rischio significativo per lo sviluppo di una dipendenza (Addiction
Today, Dicembre 2011).

È stato recentemente sottolineato come anche internet possa interferire con


la chimica del nostro cervello (Hudson Allez, 2009) poiché sembra che le
immagini proiettate da computer attivino particolari circuiti del cervello. Da
questo deriva la sensazione di perdita di contatto col passare del tempo e
con lo spazio che molti sperimentano mentre navigano.

Ora se mettiamo insieme quanto detto sulla dipendenza e il fenomeno


estraniante dovuto a internet diventa facilmente comprensibile come un
pornofilo o un sesso-dipendente vede il proprio piacere amplificato e
accelerato e possa trascorrere ore davanti al PC quando guarda un porno
online o indulgere nel sesso virtuale.
La dipendenza è una condizione mentale e cerebrale che altera i circuiti del
cervello e sfida le nostre capacità di controllo. Un uso continuo di sostanze,
farmaci o compulsioni altera la chimica nel nostro cervello ed il cervello
diviene letteralmente dipendente da quella sostanza o azione, che
lentamente diviene l’unico modo per attivare il piacere e ridurre il dolore.

Le neuroscienze e la genetica molecolare, soprattutto negli ultimi anni,


stanno dando un contributo enorme alla comprensione dei processi di
dipendenza.
Esistono evidenze scientifiche massive, derivanti dagli studi sia sugli
animali sia sugli esseri umani, che spiegano come la dipendenza abbia un
aspetto biochimico che coinvolge uno squilibrio del ciclo del piacere (il
Fascicolo proencefalico mediale), che si trova nel lobo mesolimbico del
cervello.
La dopamina è uno dei maggiori neurotrasmettitori coinvolti nelle attività
del Fascicolo proencefalico mediale. In questo capitolo cercheremo di
fornire al lettore un modello ispirato alle ricerche (o, come si suol chiamarlo
in linguaggio tecnico un evidence-based model) delle cause chimiche e
biochimiche della dipendenza.

Un importante errore riguardo le cause della dipendenza e le persone che ne


sviluppano una o più si è sviluppato e diffuso negli anni. Stigmi, pregiudizi
ed errori hanno portato una diffusione dell’idea di cui abbiamo parlato nei
capitoli precedenti riguardo ai dipendenti, che sono persone stupide, o
mentalmente instabili, “sfigate” ecc.. Ma l’aspetto peggiore di questa idea è
che porta in sé, implicitamente e subdolamente, la convinzione che chi è
affetto da una dipendenza sia cattivo o “sbagliato” e che la cosa che deve
fare è diventare buono, rinsavire e diventare una persona migliore. Questa
convinzione è anche alla base, secondo alcuni, della carenza di fondi
elargiti per la causa della lotta alle dipendenze. Credere che i fondi stanziati,
o donati, vadano a persone che non li meritano, che non “vogliono” stare
bene o che comunque ci ricascheranno è un forte disincentivo al
trattamento, all’intervento, al recupero e alla ricerca.

Nella quinta edizione del DSM-V, il capitolo (riveduto rispetto all’edizione


precedente) riguardo alle dipendenze include innovazioni sostanziali sia
sulle definizioni sia sui criteri diagnostici.

1. Disturbo da uso di sostanze[1]: questa voce combina le ex-


categorie (secondo il DSM-IV) di abuso da sostanze e dipendenza da
sostanze, facendole convergere in un’unica diagnosi che si basa sulla
durata della compulsione, la frequenza e la gravità che può andare da
minore fino a gravissima. Ad ogni specifica sostanza (con eccezione
della caffeina che non rientra tra le sostanze d’abuso – ma non si
capisce il perché di questa eccezione) ci si riferisce con una diagnosi
specifica (es. Disturbo da uso di alcol; Disturbo da uso di stimolanti
ecc..) ma i criteri di valutazione del disturbo e di diagnosi sono più o
meno gli stessi indipendentemente dalla sostanza.

Nel disturbo generale i criteri non sono stati combinati tra loro ma,
piuttosto, rafforzati. Cerchiamo di spiegarci meglio: se prima, per la
diagnosi di uso di sostanze poteva essere sufficiente un solo criterio, il
“Disturbo da uso di sostanze – Lieve” del nuovo DMS-V richiede in
minimo di due, ed un massimo di tre, sintomi tra quelli elencati (undici in
tutto). Anche il craving (sintomi da astinenza, in particolare il desiderio
irrefrenabile di procurarsi la sostanza o indulgere in una compulsione) è
stato aggiunto alla lista dei sintomi mentre i problemi con la giustizia e le
forze dell’ordine sono stati tolti dall’elenco perché a causa delle divergenti
leggi nei diversi Paesi del mondo era difficile applicare questo criterio
diagnostico in modo unanime in tutto il mondo.

Nel DSM-IV la differenza tra abuso e dipendenza era basata sul concetto di
abuso come fase lieve o esordiente mentre la dipendenza includeva le
manifestazioni più gravi. In pratica i criteri di abuso erano a volte piuttosto
severi e gravi. La diagnosi riveduta, così come appare nel DMS-V, una
diagnosi unica, permetterà una maggiore e migliore aderenza ai sintomi
sperimentati dal soggetto.
In oltre, la diagnosi di dipendenza causava parecchia confusione. La
maggior parte delle persone collega la dipendenza alla tossicomania
quando, come vedremo, a volte la dipendenza è semplicemente la risposta
fisiologica dell’organismo a una determinata sostanza o compulsione.
2. Disturbo da compulsione[2]: questa sezione include le ludopatie, il
gambling (gioco d’azzardo) e il tabagismo (sì, avete letto bene: il
fumare è criterio per la diagnosi di dipendenza!). In realtà il gambling
appariva già nel DSM-IV ma in una sezione differente. Il cambio di
sezione e l’utilizzo del termine specifico gambling riflettono le
scoperte più recenti che mostrano come il gambling sia molto simile,
(sia sui piani clinico, comportamentale e neurochimico sia per
fisiologia, comorbidità e trattamento), ai disturbi da abuso di sostanze
e ai disturbi compulsivi. Così come la dipendenza da internet e dai
videogames.
Il riconoscimento di queste somiglianze potrebbe aiutare le persone affette
da queste nuove dipendenze e compulsioni a trarre vantaggio dalle terapie e
dagli aiuti forniti e le altre persone potrebbero meglio comprendere le sfide
costanti che vivono in queste nuove dipendenze e che devono affrontare
ogni giorno.

Mentre il gambling è l’unica condizione che secondo il DSM-V è


considerata diagnosticabile, le dipendenze da internet e videogames-online
vengono inserite nella Sezione III del Manuale.

Le condizioni elencate nella Sezione III richiedono ulteriori


approfondimenti e sono ancora in fase di studio prima di poter essere
annoverate come patologiche. Queste condizioni vengono incluse per
riflettere le evidenze scientifiche correlate all’uso persistente e ricorrente di
internet e dei giochi online e la correlata preoccupazione generale riguardo
le conseguenze potenziali quali indebolimento, menomazione o danni
psico-fisici (soprattutto carico delle capacità relazionali e degli occhi) o
situazioni di stress emotivo e depressione. La maggior parte degli studi
sull’isolamento (come per il fenomeno degli Hikikomori) e sui disturbi da
internet provengono dai paesi asiatici e sono ora in fase di revisione da
parte degli altri paesi del mondo.

3. Altre condizioni: Come detto il DSM-V[3] non include l’uso di


caffeina sebbene le ricerche dimostrino che un’assunzione di soli 2-3
caffè possa generare un effetto di astinenza che porta come sintomi
stanchezza e tendenza all’assopimento. Ci sono sufficienti evidenze
scientifiche per supportare l’idea che la caffeina generi una condizione
simile a quella di altre sostanze ma ancora, secondo i redattori del
DSM-V non esiste una definizione chiara di quale consumo sia
clinicamente significativo per considerarla una condizione patologica o
una dipendenza. La caffeina rientra, anch’essa, nella Sezione III.

Alcune tra le dipendenze e compulsioni comuni e diffuse sono: cibo,


shopping, dipendenza affettiva, esercizio fisico, lavoro, pornografia,
masturbazione compulsiva, menzogna compulsiva, cleptomania, piromania,
video games, libri, televisione, rabbia, adrenalina.

È chiaro ora, o almeno dovrebbe esserlo, che quando parliamo di abuso


intendiamo una scelta cosciente e volontaria mentre, d’altra parte il termine
dipendenza indica una condizione in cui il controllo della persona è in
qualche modo compromesso.

Tuttavia riteniamo fondamentale fare un paio di precisazioni. L’abuso


volontario, soprattutto di alcol e di sesso, è uno dei maggiori problemi in
Italia e nel resto del mondo occidentale ed è la causa primaria di incidenti,
spesa sanitaria, calo della produttività e abusi familiari.

Inoltre, l’abuso di alcol e altre sostanze ha un impatto devastante sul fisico


dell’abusante quali cirrosi epatica, problemi cardiovascolari e psichici.

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[1] Substance Use Disorder. Non essendo ancora disponibile il DSM-V in
lingua italiana al momento della redazione del presente capitolo, faccio
riferimento alla versione in inglese. Le traduzioni dei disturbi e dei criteri
potrebbero variare, linguisticamente parlando, una volta che il DSM-V sarà
pubblicato in italiano.
[2] Addictive Disorder

[3] Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, noto anche con la

sigla DSM derivante dall'originario titolo dell'edizione statunitense


Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è uno dei sistemi
nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzato da medici,
psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella pratica clinica che
nell'ambito della ricerca. Nel corso degli anni il manuale, arrivato alla 5ª
edizione, si è progressivamente evoluto, aggiornato, migliorato e arricchito
in linea con l'attuale sviluppo e i risultati della ricerca psicologica e
psichiatrica in numerosi campi, modificando e introducendo nuove
definizioni di disturbi mentali: la sua ultima edizione classifica un numero
di disturbi mentali pari a tre volte quello della prima edizione.
CAPITOLO IV

Anatomo-fisiologia generale del Sistema Nervoso

OMBRETTA GRASSI

Corpo e anima
non possono essere separati per scopi terapeutici
perché sono una cosa sola e indivisibile.
Le menti malate devono essere curate come i corpi malati.
Dottor Jeff Miller

1.1 IL SISTEMA NERVOSO: PREMESSA

Il sistema nervoso per comodità si distingue in sistema nervoso centrale e


sistema nervoso periferico. Il sistema nervoso centrale, SNC, è così
composto: l’encefalo o telencefalo suddiviso in lobi, frontale, temporale,
parietale e occipitale, comprendente anche il midollo allungato o bulbo, il
ponte, il mesencefalo, il diencefalo, e il cervelletto, e dal midollo spinale

L'encefalo è contenuto nella scatola cranica mentre il midollo spinale è


contenuto nel canale vertebrale.

La funzione del SNC è quello di integrare e coordinare gli stimoli


provenienti dall’esterno e dall’interno del corpo e di elaborare delle risposte
motorie che attivino e/o modulino la risposta di specifici organi come i
muscoli e le ghiandole. L’encefalo è la sede di funzioni cognitive superiori
come l’intelligenza, la memoria, l’apprendimento e le emozioni.
Il SNC è rivestito da 3 membrane, dette meningi, quella più esterna detta
dura madre è spessa e robusta ed è a diretto contatto con le ossa della
scatola cranica e vertebrale, la seconda è detta aracnoide, più sottile e
delicata, separata dalla membrana più interna da uno spazio liquido detto
cefalo-rachidiano, che protegge l’encefalo dagli urti e favorisce lo scambio
di sostanze con le cellule nervose. Quella più interna, pia madre, è a diretto
contatto con la superficie del SNC.

L’unità strutturale del sistema nervoso sono le cellule nervose che si


chiamano neuroni, e cellule di sostegno, che si chiamano glia.
Il neurone è composto da un corpo cellulare noto anche come soma, da
dendriti e da un assone. Il corpo cellulare contiene il nucleo, il citoplasma e
gli organuli intracitoplasmatici come i mitocondri, i ribosomi; i dendriti
hanno origine dal corpo del neurone e l’assone è un prolungamento del
corpo cellulare in grado di propagare l’impulso elettrico (potenziale
d’azione).
Gli assoni stabiliscono un contatto con altri neuroni dando origine alla
sinapsi.

A livello della sinapsi si trova un neurone presinaptico che attraverso il


proprio assone invia il messaggio a un neurone postsinaptico che lo riceve.
La comunicazione tra i due neuroni avviene per rilascio a livello
presinaptico di una sostanza chimica detta neurotrasmettitore in grado di
interagire con specifici recettori sul neurone postsinaptico. La cellula
postsinaptica può anche essere una fibra muscolare e in questo caso non si
chiamerà sinapsi ma giunzione neuromuscolare o placca motrice.

Per essere più precisi, entriamo nei dettagli.

Ci sono diversi tipi di neuroni.

Anatomicamente si riconoscono i neuroni multipolari che hanno numerosi


dendriti e un solo assone, il neurone pseudounipolare o a T che dal cui
corpo cellulare si diparte un unico e corto prolungamento che si divide in
due rami.

In base alla funzione si riconoscono i

-neuroni sensitivi (o di senso) che sono in grado di recepire stimoli di varia


natura; sono neuroni pseudounipolari o a T; il loro corpo cellulare si trova
nei gangli, quindi al di fuori del SNC. L’assone raggiunge la periferia e li
riceve stimoli sensoriali di varia natura mentre, il ramo centrale dell’assone
si dirige verso il SNC. I neuroni sensitivi sono detti somatici se
percepiscono stimoli provenienti dall’esterno del corpo o viscerali se
percepiscono stimoli provenienti dall’interno dell’organismo:

- neuroni motori (o di moto o effettori): trasmettono ordini motori in


risposta ad uno stimolo. La forma anatomica può essere varia ma mai
pseudo unipolari o a T. Questi neuroni trasportano informazioni dal SNC
verso i muscoli scheletrici e si dice neurone motore somatico o
somatomotore; o neurone visceroeffettore se il neurone di moto raggiunge i
muscoli lisci o le ghiandole;

- neuroni associativi (o interneuroni): sono interposti tra i neuroni motori e


quelli sensitivi; anche in questo caso la forma può essere varia ma mai
pseudounipolari. Nell’uomo questi neuroni associativi sono oltre il 90% di
tutti i neuroni. Grazie alle loro funzioni siamo in grado di elaborazione
degli stimoli provenienti dal mondo esterno ed elaborare risposte complesse
da mettere in atto di conseguenza.

1.2 TELENCEFALO E DIENCEFALO

Costituiscono il cervello, detto anche encefalo, che nell’adulto pesa circa


1,4 Kg e ha un volume di circa 1200 cc. La superficie dei due ampi emisferi
cerebrali presenta scissure e solchi, rilievi e depressioni. E’ la sede delle
funzioni come il pensiero complesso. La sostanza grigia del telencefalo è
localizzata nella corteccia cerebrale e nei nuclei della base, posti
profondamente ed immersi nella sostanza bianca posta al di sotto della
corteccia.

La corteccia cerebrale, fortemente convoluta, aumenta la superficie degli


emisferi cerebrali e quindi il numero di neuroni che vi si trovano. I due
emisferi cerebrali sono quasi del tutto tra loro separati dalla scissura
longitudinale; essi rimangono uniti grazie ad una striscia di sostanza bianca
detta corpo calloso.

Ogni emisfero può essere suddiviso in lobi, separati tra loro dalla presenza
di solchi. Ogni emisfero riceve vie sensitive dalla porzione contro-laterale
del corpo e ogni emisfero invia comandi di moto alla parte contro-laterale
del corpo. I due emisferi hanno funzioni diverse. Ogni regione della
corteccia cerebrale svolge più di una funzione.

Nelle prime fasi dell’embriogensi il SNC è un tubo cavo detto tubo neurale
cavo e nella parte centrale stretta e allungata vi è un fluido. L’estremità
craniale del tubo neurale durante la gestazione si espande formando il
proencefalo, mesencefalo e romboencefalo. Il proencefalo darà origine al
telencefalo e al diencefalo; il mesencefalo resterà indiviso, mentre il
romboencefalo si suddividerà in cervelletto, ponte e bulbo. La cavità
iniziale contenuta nel tubo neurale, darà origine a delle ampie cavità dette
ventricoli, rivestiti da cellule della glia dette cellule ependimali. Ogni
emisfero telencefalico contiene un ampio ventricolo laterale noto come I e
II ventricolo, il ventricolo presente nel diencefalo si dice III ventricolo; i
due ventricoli laterali comunicano con il III ventricolo grazie ad un foro
detto forame interventricolare di Monro.

La sostanza bianca del telencefalo si trova al di sotto della corteccia


cerebrale ed è composta da fibre che possono essere:
- associative: collegano diverse aree della corteccia tra loro
-commessurali: consentono la comunicazione tra i due emisferi
(compongono il corpo calloso)
- proiettive: collegano il telencefalo al diencefalo, al tronco encefalico, al
cervelletto e al midollo spinale; le fibre ascendenti e quelle discendenti
appaiono del tutto uguali e tale ammasso di fibre si dice capsula interna.
II nuclei della base sono masse di sostanza grigia poste nella parte profonda
di ciascun emisfero cerebrale, immersi nella sostanza bianca. Comprendono
il nucleo caudato e il nucleo lenticolare (composto dal globus pallidus e dal
putamen). I nuclei della base intervengono sui movimenti in corso di
svolgimento (specialmente quelli a carico dei muscoli del tronco e dell’arto
superiore) controllandone il ritmo e lo schema generale. I nuclei della base
ricevono principalmente informazioni di moto dalla corteccia cerebrale, le
elaborano e le inviano al talamo, da qui i nuclei talamici inviano le
informazioni alle aree della corteccia pertinenti.

La corteccia cerebrale è costituita da aree motorie e sensitive. La corteccia


motoria primaria si trova nella circonvoluzione frontale ascendente del lobo
frontale; i neuroni piramidali sono responsabili dei movimenti volontari
coordinando i motoneuroni del tronco encefalico e del midollo spinale.

Le aree sensitive della corteccia cerebrale ricevono informazioni


provenienti dalla periferia, ogni sede riceve informazioni provenienti da una
precisa parte del corpo. La corteccia sensitiva primaria del lobo parietale
riceve informazioni dai recettori tattili, pressori, dolorifici, di vibrazione e
termici che sono state inviate dai nuclei talamici. Dal lobo occipitale
riceviamo le sensazioni visive, dal lobo temporale le sensazioni uditive,
mentre le olfattive e gustative dal lobo frontale e nel lobo dell’insula. Le
aree motorie e sensitive della corteccia sono connesse tra loro da aree
associative, deputate all’interpretazione delle sensazioni in ingresso o al
coordinamento di impulsi motori in uscita.

Le aree associative possono essere sensitive o somatiche. Le aree


associative di tipo sensitivo ricevono e interpretano tutti gli impulsi
sensitivi in arrivo come il tatto, la pressione, la vibrazione, il dolore e la
temperatura.

Aree associative di tipo sensitivo ricevono anche stimoli più specifici come
quelli visivi e quelli uditivi . La capacità di riconoscere le lettere
dell’alfabeto dando loro un significato quando formano le parole è possibile
per la presenza di aree associative visive della corteccia; l’area associativa
uditiva ci consente di associare il suono alle parole. Le risposte motorie
sono dovute dalla presenza di aree motorie della corteccia che coordinano le
risposte. Una zona particolare della corteccia premotoria è l’area visiva
frontale, controlla il movimenti degli occhi es. durante la lettura.

Una lesione di queste aree fa sì che non vi sia più la capacità di leggere per
l'impossibilità di seguire le righe scritte e dare un significato alle lettere.
Danni a carico delle aree corticali sede del linguaggio e della parola si
manifestano con l’afasia; i soggetti affetti da tale patologia sono incapaci di
parlare, di leggere o di capire.

I centri integrativi sono aree della corteccia che ricevono informazioni da


aree associative e coordinano risposte complesse; essi sono localizzati in
aree della corteccia cerebrale di entrambi gli emisferi ad eccezione di
alcune aree.

L’area di Wernicke che ha funzioni di tipo gnosico e interpretativo riceve


informazioni solo dall’emisfero sinistro sede dalle aree associative di tipo
sensitivo. Condiziona la personalità dell’individuo, integra informazioni di
tipo sensitivo con la memoria uditiva e visiva; un danno in tale area causa
una incapacità di comprendere il significato delle parole sia verbali che
visive, ossia si può comprendere il significato singolo della parola ma non il
significato all’interno di un periodo, oppure si comprende il significato
della parola ma non si è in grado di riconoscere un oggetto e dargli il nome
corretto.

L’ area di Broca è il centro del linguaggio si trova vicino dell’area di


Wernicke quindi nell’emisfero sinistro. Tale area coordina l’attività dei
muscoli respiratori, faringei, linguali, delle guance, delle labbra e della
mandibola, dà il ritmo alla respirazione e alla fonazione dei suoni del
linguaggio parlato, una lesione al centro del linguaggio si manifesta con
l’incapacità di emettere vere e proprie parole. Problemi di integrazione tra
stimoli uditivi e visivi si possono invece manifestare con la dislessia, in cui
si riconosce una difficoltà a scrivere e leggere sebbene le altre funzioni
intellettive siano del tutto normali.

La corteccia prefrontale del lobo frontale coordina le informazioni


provenienti dalle aree associative generando sensazioni di ansietà,
frustrazione e tensione; una lesione di tale area comporta una difficoltà
nello stabilire relazioni temporali tra due eventi distinti. In passato si
effettuava la lobotomia prefrontale per trattare comportamenti asociali e
comportamenti eteroaggressivi.
Nel 1909 Brodmann, un neurologo tedesco, elaborò una mappa della
corteccia cerebrale; sappiamo che l’area 44 di Brodmann corrisponde al
centro del linguaggio; l’area 41 alla corteccia uditiva; l’area 4 alla corteccia
motoria primaria.

Ogni emisfero cerebrale svolge funzioni specifiche che non sono svolte
dall’emisfero controlaterale; fenomeno noto come lateralizzazione
emisferica. Nella maggior parte della popolazione nell’emisfero sinistro
sono localizzate le capacità di leggere, scrivere e parlare, la capacità di
calcolo matematico e di logica; per tali motivi si dice emisfero dominante.
L’area associativa somatomotrice o corteccia premotoria, coinvolta nei
movimenti della mano destra per i destrimani, è molto più estesa rispetto a
quella dei soggetti mancini.
L’emisfero cerebrale destro mette in relazione l’individuo con l’ambiente
che lo circonda e vi si trovano i centri interpretativi che ci consentono di
identificare oggetti familiari attraverso i sensi, conferendo emozioni alle
frasi dando significati diversi alle stesse espressioni verbali.

L’elettroencefalogramma è uno strumento di studio dell’attività elettrica


cerebrale che si modifica continuamente in base alla stimolazione di aree
corticali o di nuclei. La rappresentazione grafica dell’attività elettrica
dell’encefalo ci indica le variazioni di campo elettrico, le onde cerebrali,
che si attivano. Un attacco epilettico, accompagnato da movimenti anomali,
sensazioni anomale e comportamento inappropriato; se l’area interessata è
di tipo motorio i sintomi saranno principalmente di tipo motorio; se la
regione interessata è ad esempio quella uditiva il soggetto potrà ad esempio
avvertire suoni strani.

Il diencefalo, è la parte più profonda dell’encefalo, controlla e integra


informazioni sensitive, emozioni, ed ha funzioni endocrine. Svolge anche
funzioni involontarie. Il diencefalo ha lo scopo di integrare sensazioni,
consce ed inconsce, con le risposte motorie. E’ composto dall’epitalamo,
talamo, e l’ipotalamo.
L’epitalamo produce il liquor cefalorachidiano, e posteriormente ad esso si
trova la ghiandola pineale o epifisi produttrice di melatonina, importante
ormone coinvolto nella regolazione dei ritmi circadiani. L’ipotalamo situato
tra i due emisferi cerebrali controlla in modo subcosciente risposte alla
rabbia, al dolore, al piacere con contrazioni della muscolatura scheletrica,
funzioni autonome/involontarie come il battito cardiaco, la pressione
sanguigna, la respirazione e la digestione attraverso informazioni con il
bulbo e il ponte; controlla il sistema endocrino inibendo o stimolando le
cellule dell’ipofisi mediante liberazione o inibizione della secrezione di
ormoni da parte delle ghiandole endocrine; produce ormoni dal nucleo
sopraottico come l'ormone antidiuretico che determina il riassorbimento di
acqua a livello dei tubuli renali e il nucleo paraventricolare che produce
ossitocina che stimola la contrazione della parete uterina e la secrezione
della ghiandola mammaria; regola il centro della fame e della sete; coordina
le funzioni volontarie ed automatiche; regola la temperatura corporea, i
ritmi circadiani e le attività legate al ritmo giorno/notte; riceve impulsi dalla
retina. Condiziona gli stati emozionali, regola le funzioni intellettive
conscie e quelle automatiche ed inconscie del tronco encefalico, facilita
l’apprendimento e la memorizzazione.

Numerose vie di senso ascendenti provenienti dal midollo spinale o dal


tronco encefalico e dirette alla corteccia cerebrale incrociano i nuclei del
talamo prima di arrivare a destinazione, pertanto il talamo è un filtro nei
confronti delle informazioni sensitive che arrivano.

Si riconoscono cinque diversi gruppi di nuclei talamici: gruppo anteriore


che appartiene al sistema limbico deputato al controllo delle emozioni;
gruppo mediale che controlla gli stati che controlla gli stati emotivi consci
stabilendo connessioni con l’ipotalamo e con i lobi frontali degli emisferi
telencefalici; il gruppo ventrale che ricevendo informazioni dai nuclei della
base e del cervelletto di tipo tattile, pressorio, dolorifico, e propriocettivo a
sua volta invia informazioni di moto ad alcune aree della corteccia
cerebrale, il gruppo posteriore che comprende il pulvinar che agisce
integrando le sensazioni prima di inviare i dati alla corteccia telencefalica, il
nucleo genicolato laterale che riceve informazioni visive dai tratti ottici e
proietta al lobo occipitale degli emisferi telencefalici e al mesencefalo e il
nucleo genicolato mediale che riceve e invia informazioni uditive
provenienti dall’orecchio interno alle aree della corteccia, il gruppo laterale
che controlla gli stati emotivi integrando le informazioni di senso.

1.3 VASCOLARIZZAZIONE DELL’ENCEFALO

Il sangue raggiunge l’encefalo grazie alle arterie carotidi interne e alle


arterie vertebrali; il sangue venoso viene drenato dalla vena giugulare
interna. Il mancato arrivo di sangue arterioso all’encefalo determina una
temporanea (TIA) o persistente (ictus o infarto cerebrale) lesione al tessuto
nervoso.

Anatomicamente posteriormente e in basso rispetto al cervello si trova il


cervelletto; controlla i movimenti, integra l’impulsi in arrivo (vedi figura
nella pagina a fianco).
fonte:
http://medicinapertutti.altervista.org/anatomia_normale/apparato_cardiovas
colare/img_app_cardiovascolare/circolo_di_willis.jpg
1.4 IL TRONCO ENCEFALICO

Il tronco encefalico è composto dal bulbo o midollo allungato, dal ponte e


dal mesencefalo è situato tra il diencefalo e il midollo spinale, elabora
informazioni che trasmette al cervelletto, al diencefalo e all'encefalo.
Il bulbo prosegue verso il basso nel midollo spinale e verso l'alto nel IV
ventricolo (che vedremo tra poco). Il bulbo permette la connessione tra il
midollo spinale e il cervello e il cervelletto. Il bulbo è formato da nuclei:
- nuclei sensitivi e nuclei motori dei nervi cranici. Sono nuclei associati ai
cinque nervi cranici VIII, IX, X, XI e XII hanno la funzione di coordinare e
controllare la muscolatura scheletrica della faringe, del collo, del dorso, la
muscolatura liscia degli organi toracici e della cavità peritoneale; l’VIII
paio di nervi cranici invia informazioni uditive provenienti dall’orecchio
interno;
- nuclei gracile e cuneato trasferiscono informazioni somatiche di senso al
talamo, le fibre originate in questi nuclei si incrociano e decorrono nella
parte opposta a quella di origine; tale incrocio si dice decussazione;
- il nucleo solitario riceve informazioni viscerali di senso e le trasmette al
bulbo e poi del SNC;
- il nucleo olivare trasmette informazioni somatomotrici provenienti dai
centri motori superiori e li connette alla corteccia cerebellare;
- sostanza reticolare. È costituita da tanti nuclei dispersi nel bulbo e
ricevono impulsi dai nervi cranici, dalla corteccia cerebrale e dal tronco
encefalico e a loro volta inviano risposte che controllano o aggiustano le
attività dei centri periferici. Qui si controlla la frequenza cardiaca, la forza
di contrazione cardiaca, il flusso di sangue ai tessuti periferici mentre il
centro del respiro controlla la frequenza e l’intensità degli atti respiratori.

1.5 I NERVI CRANICI

Sono dodici paia e sono connessi alla superficie ventrale del tronco
encefalico. Sono identificati con numeri romani, dal I al XII e sono
sensoriali, motori o misti. I nervi cranici solo di senso sono deputati a
raccogliere stimoli tattili, pressori, di vibrazione, termica e dolorifica o della
sensibilità specifica come il gusto, la vista, l’ udito e l’ equilibrio e li
inviano al tronco encefalico. I nervi cranici di moto portano informazioni
di moto dal tronco encefalico ai muscoli scheletrici, ai muscoli lisci o alle
ghiandole. I nervi cranici misti presentano sia la componente di senso che
quella di moto.

Per essere più precisi, entriamo nei dettagli.

Nervo olfattivo (I)


I recettori olfattivi sono localizzati nella cavità nasale e nel setto. Attraverso
la lamina cribrosa dell’etmoide penetrano nella scatola cranica e
raggiungono i bulbi olfattivi del lobo frontale.
Nervo ottico (II)
Invia informazioni visive provenienti dalle cellule gangliari della retina,
attraversa i fori ottici al chiasma ottico dove le fibre dalla parte nasale della
retina si incrociano con quelle controlaterali raggiungendo l’emisfero
opposto, poi proseguono verso il corpo genicolato laterale del diencefalo
creando la sinapsi. I neuroni postsinaptici formano la radiazione ottica e si
proiettano alla corteccia visiva del lobo occipitale. Da quanto descritto si
deduce che dall’ incrocio delle fibre nel chiasma ottico, ogni emisfero
riceve informazioni visivi provenienti dalla metà temporale dell’occhio
dello stesso lato e dalla metà nasale dell’occhio del lato opposto.

Nervo Oculomotore (III)


E’ un nervo solo di moto, muove le palpebre superiore, regola il diametro
pupillare in base all’intensità della luce e l’ accomodazione del cristallino
per la messa a fuoco degli oggetti.
I nuclei contenenti i neuroni si trovano nel mesencefalo.

Nervo trocleare (IV)


E’ un nervo solo di moto che controlla la contrazione del muscolo trocleare
del bulbo oculare. Il nucleo di tale nervo si trova nel mesencefalo.

Nervo abducente (VI)


E’ un nervo solo di moto che controlla il muscolo retto laterale dell’occhio.
Il nucleo di origine si trova nel mesencefalo e si dirige verso la fessura
orbitaria superfiore fino alla faccia posteriore del bulbo oculare.

Nervo trigemino (V)


E’ un nervo misto; raccoglie la sensibilità somatica della testa e del volto e
controlla i movimenti dei muscoli masticatori. I neuroni del nervo trigemino
si trovano nel ponte, mentre i corpi dei neuroni somatosensitivi si trovano
nel ganglio semilunare o di Gasser, posto in corrispondenza della piramide
dell’osso temporale.
Il nervo trigemino raggiunge la periferia mediante tre branche:
- branca oftalmica, di senso, dalla fessura dell’orbita, raggiunge le cavità
nasali, la cute della fronte, la palpebra superiore, le sopracciglia e parte del
naso;
- branca mascellare anch’essa di senso attraversando il foro rotondo,
raggiunge la palpebra inferiore, il labbro superiore, le gengive, i denti, le
guance, il naso, il palato e la lingua;
- branca mandibolare (solo di moto): attraversando il foro ovale, raggiunge i
muscoli masticatori;
Gli assoni raggiungere la periferia, passano attraverso alcuni gangli del
Sistema Nervoso Autonomo.

Nervo facciale (VII)


E’ un nervo misto: riceve le informazioni gustativa dai 2/3 anteriori della
lingua e controlla la contrazione dei muscoli mimici del volto, e la
secrezione della ghiandola lacrimale, delle ghiandole della mucosa nasale,
delle ghiandole sottomandibolari e sottolinguali.

Nervo vestibolococleare o statoacustico (VIII)


E’ un nervo solo di senso: esso raccoglie la sensibilità uditiva e quella
relativa all’equilibrio emerge a livello del solco bulbopontino, quindi si
dirige verso l’orecchio interno.
Il nervo vestibolococleare è composto da due branche:
- branca vestibolare
- branca cocleare

Nervo glossofaringeo (IX)


E’ un nervo misto che emerge dal bulbo. La componente di senso gustativa
riceve dai 2/3 posteriori della lingua e del palato.

Nervo vago (X)


E’ un nervo misto e raccoglie informazioni di senso dalla faringe, dal
padiglione auricolare, dal canale uditivo esterno, dal diaframma e dagli
organi della cavità toracica, addominale e pelvica. I neuroni sensitivi sono
localizzati nel ganglio giugulare superiore e nel ganglio nodoso. Il nervo
vago raccoglie anche informazioni viscerali provenienti da recettori posti
nell’esofago, nell’apparato respiratorio, nei visceri addominali e nella parte
distale dell’intestino crasso, ha una componente somatomotrice per i
muscoli del palato, della faringe, dell’apparato digerente, respiratorio e
cardiovascolare.
La componente visceroeffettrice controlla la motilità di muscoli lisci come
il cuore e le ghiandole a livello di stomaco, intestino e colecisti.
Nervo accessorio (XI)
Il nervo accessorio è solo di moto.
Emerge dal bulbo e dai primi cinque segmenti del midollo spinale, ed esce
attraverso il foro giugulare; si divide nel ramo vagale che unendosi al
n.vago innerva i muscoli della faringe e della laringe e nel ramo spinale che
innerva i muscoli trapezio e sternocleidomastoideo.

Nervo ipoglosso (XII)


E’ un nervo solo di moto, dal canale ipoglosso innerva i muscoli
scheletrici, volontari, della lingua.

La differenza tra i nervi spinali e i nervi cranici sta nel fatto che i nervi
spinali sono sempre nervi misti con una radice posteriore di senso e da una
radice anteriore di moto.

1.6 IL MESENCEFALO , BULBO, PONTE E CERVELLETTO

Il Mesencefalo
Il mesencefalo è attraversato da un canale sottile detto acquedotto
mesencefalico di Silvio che mette in comunicazione il III ventricolo con il
IV ventricolo che si estende tra bulbo, ponte e cervelletto. Nella parte
inferiore del bulbo, il IV ventricolo si restringe e prosegue con il canale
ependimale contenuto nella parte centrale del midollo spinale. Le cellule
che tappezzano la superficie interna di alcune parti dei ventricoli sono in
grado di produrre il liquido cerebrospinale che riempie i ventricoli,
l’acquedotto mesencefalico e il canale ependimale presentano i fori di
Lusca e di Magendie localizzati nel IV ventricolo così che il fluido
cerebrospinale passa nello spazio subaracnoideo delle meningi. Per mezzo
di estroflessioni dell’aracnoide dette villi aracnoidei che perforano la dura
madre, si verifica il riassorbimento del liquido cerebrospinale nel torrente
circolatorio. Il liquido cerebrospinale protegge le cellule nervose, sostiene
l’encefalo e trasporta nutrienti, messaggeri chimici e prodotti di rifiuto.
Il mesencefalo è di piccole dimensioni, contiene due nuclei pari, il nucleo
rosso che riceve informazioni dal cervelletto e invia comandi motori
influenzando la posizione degli arti superiori e il tono muscolare e la
sostanza nera. Si trova inoltre il sistema attivante la formazione reticolare
che regola l’attenzione e di allerta. I peduncoli cerebrali contengono fibre
discendenti che arrivano al cervelletto trasportano ordini motori volontari
provenienti dagli emisferi cerebrali.

Il Bulbo

E' la diretta prosecuzione del midollo spinale in l’alto, sbocca nel IV


ventricolo. Il bulbo è una la via attraverso la quale il midollo spinale è
collegato al cervello e al cervelletto. Ci sono dei nuclei:

- nuclei sensitivi e nuclei motori dei nervi cranici sono associati ai cinque
nervi cranici VIII, IX, X, XI e XII e controllano la muscolatura scheletrica
della faringe, del collo, del dorso, la muscolatura liscia degli organi toracici
e della cavità peritoneale; l’VIII paio di nervi cranici trasporta informazioni
sensitive dall’orecchio interno.
- Il nucleo gracile e cuneato trasferiscono informazioni somatiche di senso
al talamo. Le fibre che hanno origine in questi nuclei si incrociano
decorrendo nella parte opposta a quella di origine.
- Il nucleo solitario riceve invece informazioni viscerali di senso e le
trasmette alle aree del bulbo e poi del SNC.
- Il nucleo olivare è connesso alla corteccia cerebellare centro motore
superiore.
- La sostanza reticolare è sostanza grigia che riceve impulsi dai nervi
cranici, dalla corteccia cerebrale e dal tronco encefalico e invia impulsi che
controllano o perfezionano le attività periferiche.

Il Ponte
Il ponte contiene diversi nuclei.
- Nuclei sensitivi e motori dei nervi cranici quali V, VI, VII e VIII che
innervano i muscoli masticatori, la cute del volto, uno dei muscoli estrinseci
dell’orecchio e gli organi di senso dell’orecchio interno.
- Nuclei coinvolti nel controllo della respirazione.
- Nuclei e vie che si collegano a doppio senso con il cervelletto.
- Vie ascendenti, discendenti e traverse che mettono in connessione aree del
SNC.

Il Cervelletto
Ha una superficie molto convoluta con due emisferi cerebellari una parte
centrale detta verme ed una porzione detta lobulo flocculonodulare. La
sostanza grigia detta corteccia cerebellare è composta da numerosi tipi
cellulari di cui il più particolare sono le cellule di Purkinje. Nel suo interno
si trova la sostanza bianca con nuclei grigi.

Il cervelletto riceve informazioni, attraverso il midollo spinale, provenienti


dalle ossa, dai muscoli e dalle articolazioni relative alla sensibilità ed ha il
compito di controllare tutte le sensazioni propriocettive, visive, tattili, di
equilibrio e uditive che riceve dall’encefalo.

Il cervelletto attraverso tre paia di peduncoli cerebellari superiori si collega


al mesencefalo, al diencefalo e al telencefalo; i peduncoli cerebellari medi
lo collegano al ponte e i peduncoli cerebellari inferiori lo collegano al bulbo
e al midollo spinale, e al tronco encefalico. Le funzioni principali del
cervelletto sono quelle di controllo della postura e di programmazione dei
movimenti. I movimenti rapidi, automatici e il mantenimento dell’equilibrio
dipendono dal controllo del cervelletto sulla muscolatura scheletrica. Il
cervelletto confronta gli impulsi motori con le informazioni propriocettive e
mette in moto ogni aggiustamento necessario per rendere il movimento
fluido.

1.7 IL MIDOLLO SPINALE

Il midollo spinale ha una lunghezza di 40 - 45 cm nell’adulto con una


struttura cilindrica lunga; è contenuto nel canale vertebrale terminando
all’altezza della I - II vertebra lombare. Il diametro del midollo spinale non
è uniforme, ci sono due rigonfiamenti a livello cervicale e a livello lombare
ove sono presenti nervi spinali destinati agli arti superiori ed inferiori. Sotto
il rigonfiamento lombare il midollo spinale diventa sottile e termina con il
filum terminale che prosegue ancorandosi al coccige. Il midollo spinale
continua ad accrescersi in lunghezza fino al IV anno di età; le radici
anteriori e posteriori sono molto corte poi le vertebre continuano il loro
accrescimento mentre il midollo spinale si arresta e la corrispondenza tra
segmenti vertebrali e spinali viene così persa. Le radici dei nervi spinali
decorreranno obliquamente verso il basso, le ultime radici, saranno quasi
verticali, e formano la cauda equina. Il midollo spinale può essere suddiviso
in 31 segmenti: 8 cervicali indicati con C seguito dal numero
corrispondenre, 12 toracici – indicati con T seguito dal numero
corrispondente, 5 lombari – indicati con L e il numero corrispondente, 5
sacrali indicati con S e il numero corrispondente, e 1 coccigeo. A livello di
ciascun segmento si trovano due gangli spinali, uno a destra e uno a sinstra,
che contengono il corpo cellulare dei neuroni.

I neuroni sensitivi pseudounipolari o a T raggiungono la periferia e


ricevono gli stimoli tattili, termici, dolorifici, dalla cute, dai muscoli, dalle
articolazioni, e degli organi. Un secondo ramo che si dirige verso il midollo
spinale forma sinapsi con neuroni associativi che si trovano nella sostanza
grigia del midollo spinale
I neuroni motori delle corna anteriori del midollo spinale si distinguono in
somatici e viscerali; i neuroni motori somatici detti motoneuroni sono
suddivisi in alfa, che innervano le fibre muscolari striate, gamma, che si
portano ai fusi neuromuscolari dei muscoli striati. Gli assoni dei
motoneuroni e dei neuroni motori viscerali vengono detti visceroeffettori e
fuoriescono insieme dal corno anteriore del midollo spinale e formano la
radice anteriore del nervo spinale. Da questi neuroni viscero-effettori del
corna anteriori del midollo spinale originano assoni che si portano verso i
visceri; ma formano una sinapsi prima di raggiungere l’organo bersaglio,
così formano il sistema nervoso autonomo (SNA). Le radici anteriori e
posteriori dei nervi spinali emergono dai fori intervertebrali. Subito dopo la
loro emergenza dal midollo spinale, le radici si uniscono per formare il
nervo spinale. I 31 paia di nervi proprio perchè composti dall’unione di due
radici con diverso significato sono detti nervi misti.

Il midollo spinale in sezione trasversale presenta una fessura mediana


anteriore e un solco mediano posteriore che lo dividono in due metà: destra
e sinistra

Esaminando il midollo spinale in sezione trasversale é inoltre possibile


riconoscervi due parti:
- una parte centrale detta sostanza grigia
- una parte periferica detta sostanza bianca
Un danno esteso del midollo spinale all’altezza della V vertebra cervicale o
più in alto può causare una paralisi sensitiva e motoria degli arti superiori
ed inferiori detta tetraplegia; la perdita del controllo dei soli arti inferiori
invece viene definita paraplegia, mentre danni minori possono colpire il
midollo spinale causando perdita di sensibilità o paralisi motoria a carico
della sola area innervata dai neuroni posti in quel determinato segmento
spinale danneggiato.

Resta da capire tutta questa anatomia come si rispecchia in ciò che noi
facciamo ogni attimo.

L’arco riflesso.
Appoggiando la mano su una superficie calda. Lo stimolo attiva il recettore
e quindi un neurone sensitivo. Attraverso la radice posteriore
l’informazione passa al midollo spinale che la comunica all’encefalo che
attiva la risposta, che arrivando alla radice anteriore del midollo spinale,
attiva il moto neurone che fa togliere la mano.

Quindi l’arco riflesso inizia a livello di un recettore (nel nostro caso situato
sulla mano) sensibile alle variazioni chimiche o fisiche della pelle, del
muscolo, delle articolazioni e termina su un effettore periferico come un
muscolo. La stimolazione del recettore periferico genera un potenziale
d’azione che si propaga lungo l’assone del neurone sensitivo, così
raggiunge le radici posteriori dei nervi spinali la sostanza grigia delle corna
posteriori del midollo spinale e da qui la sinapsi con il collegamento assone
del neurone sensitivo con l’assone di un neurone associativo raggiungendo
un neurone motorio posto nella sostanza grigia delle corna anteriori del
midollo spinale che trasporta il potenziale d’azione verso la periferia e,
entrando a far parte della radice anteriore del nervo spinale, raggiunge il
muscolo. La zona di contatto tra l’assone del neurone di moto e la
superficie della fibra muscolare è detta giunzione neuromuscolare o placca
motrice che rilascia un neurotrasmettitore.
Il riflesso è una risposta allo stimolo iniziale. Il riflesso si dice
monosinaptico quando un neurone sensitivo sinapta direttamente su un
neurone motorio; come il riflesso rotuleo, ma se tra il neurone sensitivo e
quello motorio si interpongono uno o più neuroni associativi il riflesso si
dice polisinaptico; ad esempio è il riflesso tendineo.
Da qui possiamo capire che abbiamo quindi delle vie di senso e di moto

I recettori ci permettono di capire cosa succede fuori e dentro di noi. La


stimolazione di un recettore attiva una serie di informazioni che arrivano al
SNC mediante potenziali d’azione che si muovono lungo l’assone del
neurone sensitivo. Se le informazioni sono sensitive somatiche ovvero
provengono dal mondo esterno, dai muscoli e dalle articolazioni arrivano
alla corteccia sensitiva cerebrale, mentre se l’ informazione è sensitiva
viscerale arriva al diencefalo e al tronco encefalico.
Il compartimento efferente, ossia che risponde agli stimoli, del sistema
nervoso è composto dai nuclei e dagli assoni dei neuroni di moto,
somatomotori o visceroeffettori, così che le vie motrici somatiche
controllano i muscoli scheletrici mentre le vie viscero effettrici controllano
il comportamento degli organi come la risposta ormonale delle ghiandole o
la contrazione delle pareti dello stomaco. I comandi viscero effettori
decorrono mediante il SNA.
I recettori della sensibilità generale raccolgono informazioni provenienti
dall’ambiente esterno, dai muscoli scheletrici e dalle articolazioni e
dall’interno sullo stato funzionale dei visceri.

In base al tipo di stimolo percepito possiamo classificarli in:


- nocicettori: recettori dolorifici.
- termocettori: recettori termici.
- meccanocettori: recettori di distorsione.
- chemocettori: recettori di concentrazione chimica.

Si possono trovare sulla cute o nei visceri.


Un approfondimento sui Meccanocettori in quanto capaci di percepire
stimoli localizzati in diverse parti periferiche del corpo, i dischi di Merkel,
presenti sulla cute, i Corpuscoli di Meissner: presenti sulle palpebre, labbra,
polpastrelli, capezzoli e genitali esterni, quelli di Pacini: sono sensibili a
pressioni e a vibrazioni ad alta intensità e si trovano nel derma, nella
ghiandola mammaria, nei genitali esterni, nelle capsule articolari, nel
pancreas, nelle pareti degli ureteri e della vescica, infine i Corpuscoli di
Ruffini percepiscono stimoli di pressione e distorsione.
I Barocettori percepiscono le variazioni di pressione, sono terminazioni
nervose libere che si trovano nel tessuto elastico che compone le tonache di
organi distendibili come i vasi o parti dell’apparato digerente, respiratorio e
urinario
I Propriocettori che controllano la posizione e lo stato dei muscoli e delle
articolazioni, dei tendini e dei legamenti e si trovano nei fusi
neuromuscolari che controllano la lunghezza dei muscoli scheletrici e
scatenano riflessi da stiramento, negli organi del Golgi che si trovano tra il
muscolo scheletrico e il tendine di inserzione del muscolo stesso, e per
finire i recettori delle capsule articolari che avverte informazioni circa la
tensione e il movimento. Queste informazioni rimangono inconsce.
I Chemocettori rispondono a elementi chimici disciolti nei fluidi, nel
bulbo, nelle sedi deputate alle funzioni respiratorie e quelle dell’apparato
cardiovascolare si percepiscono variazioni della concentrazione di ioni H+
(pH) e di anidride carbonica disciolta nel liquido cerebrospinale. Tali
informazioni raggiungono il tronco encefalico ma non l’encefalo quindi
rimane anche in questo caso a livello inconscio. A livello dell’arteria
carotide interna e nell’arco aortico si trovano rispettivamente il glomo
carotideo e il glomo aortico che sono chemocettori che inviano
informazioni ai centri respiratori grazie al nervo glossofaringeo (IX) e vago
(X).

Le vie sensitive:
a) somatiche: trasportano informazioni sensitive dalla cute e dalla
muscolatura delle pareti corporee, della testa, del collo e degli arti. Si
riconoscono tre vie principali; esse sono composte da fasci che occupano
posizioni simmetriche nel midollo spinale a livello della colonna posteriore,
anterolaterale e spino cellulare.
b) viscerali: sono informazioni raccolte da nocicettori, termocettori,
barocettori che controllano gli organi della cavità toracica, addominale e
pelvica. Le informazioni provenienti dal palato, dalla bocca, dalla trachea,
dall’esofago, dalla faringe, dalla laringe, e dai vasi e ghiandole associate,
attraverso i nervi cranici V, VII, IX e X raggiungono il nucleo solitario del
bulbo. Le radici posteriori dei nervi spinali ricevono informazioni dalla
sensibilità viscerale proveniente dai recettori posti negli organi addominali
e pelvici
c) motrici somatiche: siamo a livello del muscolo scheletrico. A questo
livello ci sono coinvolti due neuroni: un motoneurone della corteccia
telencefalica e uno nella sostanza grigia del tronco encefalico o nel midollo
spinale che con il proprio assone arriva al muscolo. Il controllo sui
muscolo scheletrici avviene attraverso:
- la via corticospinale o piramidale: ha origine centrale dalla corteccia
motoriaàtronco encefalico o midollo spinaleàmotoneurone.
- la via del cordone mediale: che controlla il tono muscolare e movimenti
non fini del collo e del tronco oltre che degli arti. I motoneuroni originano
nei nuclei vestibolari che ricevono informazione dal nervo vestibolare che
origina dai recettori dell’ orecchio interno e si proiettano verso il midollo
spinale formando i fasci vestibolospinali.
- la via del cordone laterale : controllano i movimenti fini dei muscoli degli
arti.

1.8 SISTEMA NERVOSO AUTONOMO (SNA)

Coordina le funzioni dei vari apparati e organi: cardiovascolari, respiratorie,


digestive, urinarie e riproduttive. Le viscero-effettrici controllano, tramite il
SNA, la muscolatura liscia degli organi e delle ghiandole che secernano
ormoni.
Questa via vanta di neuroni visceroeffettori posti nel SNC e detti
pregangliari, i cui assoni si dicono fibre pregangliari che escono dal SNC e
raggiungono i neuroni visceroeffettori da qui le fibre postgangliari
raggiungono gli organi bersaglio periferici. Il sistema autonomo consta del
Sistema simpatico e del Sistema parasimpatico con effetto opposto anche se
non è sempre vero, dal momento che alcuni organi sono innervati solo da
uno dei due e possono stimolare indipendentemente l’uno dall’altro.

L’attivazione del sistema nervoso simpatico comporta aumento del


metabolismo basale, dello stato di allerta e di attenzione dell’individuo,
aumenta la frequenta degli atti respiratori, comporta una dilatazione delle
vie aeree, un aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca,
attiva le ghiandole sudoripare e porta ad una minor attività dell’apparato
digerente e urinario. Il sistema nervoso parasimpatico ha neuroni
visceroeffettori pregangliari posti nel tronco encefalico e nei segmenti
sacrali del midollo spinale non in quelli cervicali del midollo spinale, le
fibre escono dal SNC e fanno sinapsi vicino all’organo bersaglio. Le fibre
postgangliari che emergono dal ganglio, raggiungono l’organo da innervare.
Il sistema nervoso parasimpatico rallenta il metabolismo basale, diminuisce
la frequenta cardiaca, la pressione sanguigna, e aumenta la secrezione delle
ghiandole salivari, dell’apparato digerente, stimola la defecazione e la
minzione.

Facciamo un esempio dei due sistemi: il cuore, le fibre postgangliari


parasimpatiche causano una riduzione della frequenza del battito cardiaco
con la liberazione di acetilcolina mentre il sistema nervoso simpatico
rilascia la noradrenalina aumentando la frequenza cardiaca. Il diametro dei
vasi è controllato solo dal compartimento simpatico.
CAPITOLO V

Neurobiologia della dipendenza

ANDREAS ACERANTI - ANDREA DE GIORGIO - SIMONETTA VERNOCCHI

Gli uomini non sono prigionieri del destino,


ma prigionieri delle loro menti.
Franklin Delano Roosevelt

GENETICA
Molti di quelli che intraprendono un percorso di recupero ricordano
vividamente la prima volta che hanno provato la cocaina, hanno bevuto il
primo superalcolico o la prima birra, la prima volta che hanno fatto sesso, il
loro primo amore o il loro primo videogioco. Altri ricordano che dovevano
“prendere o lasciare” al momento del primo approccio dopo di che la scelta
non era più un’opzione. Questo concetto del ridotto controllo sulla
compulsione è, ora, una delle caratteristiche definenti la dipendenza.

La domanda che, come scienziati e come medici, ci sentiamo spesso


rivolgere è come la menomazione del controllo subentri e quale sia il
percorso di sviluppo della dipendenza e cosa questa provochi nel cervello.

Alcune ricerche (Cloninger, 1999) sulla dipendenza da alcol suggeriscono


che la tendenza all’abuso di alcol possa essere ereditaria. Questa tendenza
potrebbe insorgere da un’alterata funzionalità genetica che porterebbe a
un’alterazione delle proteine cerebrali. Quando vi è un’anomalia genetica,
gli enzimi che si trovano nel cervello ed altre proteine che sono coinvolte
nelle funzioni dei neurotrasmettitori possono risultare alterate o anomale.
Ad esempio, la sintesi (produzione) o il metabolismo (distruzione) della
dopamina è responsabilità di diversi enzimi. Se la persona è affetta da un
difetto genetico tale da compromettere l’attività di sintesi o metabolismo
della dopamina, allora la concentrazione di quest’ultima nel cervello sarà
alterata. Oppure la risposta del sistema dopaminergico della persona agli
stimoli ambientali potrebbe essere compromessa o alterata. Alterazioni del
sistema dopaminergico o nel metabolismo della dopamina a livello del lobo
mesolimbico possono portare ad alterazioni dell’umore o alterazioni del
sistema piacere/ricompensa come il non trarre godimento (o trarne poco)
dalle esperienze positive o il percepire dolore esagerato (o amplificato) da
quelle negative.
Una persona affetta da un difetto genetico simile è più vulnerabile di altre
alle dipendenze che portano un aumento della dopamina come l’uso di
cocaina.

NEUROCHIMICA

I neurotrasmettitori, come abbiamo detto, sono messaggeri chimici che


mediano i messaggi lungo il sistema nervoso e, in particolare, nel cervello.
Alcune sostanze, che hanno un alto potenziale chimico di generare
dipendenza, sono simili ai neurotrasmettitori. Ad esempio, la cocaina ha
un’affinità con la dopamina poiché è in grado di aumentare la
concentrazione di quest’ultima nel cervello. L’eroina è molto simile ad
alcune sostanze simil-morfinoidi (le endorfine) poiché l’eroina mima gli
effetti delle endorfine nei recettori specifici. L’etanolo (alcol) è
particolarmente fastidioso perché apparentemente è affine e mima diversi
neurotrasmettitori; l’alcol, infatti, produce effetti importanti sulla serotonina
e il sistema serotoninergico, sul GABA (acido γ-amminobutirrico),
sull’acido glutammico, sull’acetilcolina, sulla dopamina e, ovviamente,
sulle endorfine.
Ovviamente, le cellule cerebrali (i neuroni) hanno diverse interconnessioni
tra loro, le sinapsi. Ogni sistema cerebrale, ad esempio quello del piacere, è
formato da molti neuroni che rilasciano dopamina, serotonina, endorfine,
acido glutammico, GABA, acetilcolina, endorfine e molti altri
neurotrasmettitori. Questo significa che in fin dei conti, molte differenti
sostanze possono sortire effetti attraversi diversi sistemi di
neurotrasmissione.

RIQUADRO SINAPSI

Ad esempio, molti scienziati sono concordi nel ritenere che esista un


“sistema comune” che le sostanze che danno dipendenza usano per produrre
effetti sul sistema doparminergico mesolimbico[1], noto anche come il
Fascicolo proencefalico mediale perché attraversa la parte centrale della
base del cervello dai corpi cellulari profondi del mesencefalo fino ad
innervare molte strutture della parte anteriore del cervello (lobo frontale).
La figura 1 mostra queste connessioni.

Ciò che è importante è che il sistema dopaminergico raggiunge la parte del


cervello che è direttamente coinvolta nelle emozioni, nel piacere, nella
memoria di eventi emotivamente rilevanti e nell’abilità di prendere
decisioni correlate ad eventi emotivamente significanti. Inoltre, diverse
sostanze che danno dipendenza possono interferire col sistema
dopaminergico in diversi modi: possono rilasciare dopamina, aumentare la
dopamina nel lobo frontale, o alterare l’azione della dopamina verso i
recettori specifici.

La cocaina, ad esempio, aumenta la dopamina mesolimbica già con una


singola assunzione. Assunzioni ripetute di cocaina possono portare ad un
adattamento (assuefazione) nel cervello dell’utilizzatore. Questo provoca
una modificazione essenzialmente permanente nelle connessioni del
cervello della persona. In queste condizioni una relativa “normalità”
nell’attività dopaminica e di funzioni del Fascicolo proencefalico mediale
vengono raggiunte solo sotto effetto della cocaina.
SENSIBILIZZAZIONE

Possiamo ragionevolmente assumere che coloro che diventano dipendenti


da giovani e/o con una minima esposizione a ciò da cui sono diventati
dipendenti siano i più pesantemente predisposti geneticamente alla
dipendenza. Questi soggetti possono essere portatori di più di un difetto
nello stesso gene e, forse, anche portatori di un difetto che fa produrre loro
meno dopamina cerebrale del necessario. In alternativa, queste persone
potrebbero avere diversi difetti minori in più geni; in questo caso la persona
potrebbe sia produrre livelli di dopamina anormali (troppi bassi) sia avere
un metabolismo che distrugge la dopamina troppo velocemente. E questo
porterebbe, in entrambi i casi, a una severa riduzione dei livelli di dopamina
nel cervello. Per queste persone, una singola assunzione di cocaina potrebbe
cambiare la loro vita grazie all’incredibile capacità della cocaina di alzare i
livelli di dopamina.

Questo accade perché la dopamina viene normalmente rimossa dai recettori


specifici e “riassorbita” al neurone che l’ha prodotta attraverso un processo
chiamato reuptake. La cocaina blocca questo processo; cioè una volta che la
dopamina viene rilasciata per effetto di uno stimolo nervoso, i suoi livelli
continuano a salire nella fessura sinapsi. Per le persone in cui i difetti
genetici impediscono di sperimentare normali emozioni, la prima “sniffata”
di cocaina potrebbe essere la prima volta in cui i loro livelli di dopamina si
alzano e loro si sentono “normali”.

Altri tipi di compulsioni e di droghe possono richiedere settimane, mesi o


addirittura anni prima di intaccare il controllo che il soggetto può esercitare
sulla compulsione. Alcune persone potrebbero essere portatrici di difetti
genetici minori o più subdoli e che una combinazione di fattori, inclusa
l’esposizione all’agente assuefante, agisca in concerto per attivare il
Fascicolo proencefalico mediale. Durante questo periodo una serie di
adattamenti agisce nel cervello della persona e nei suoi sistemi chimici.
Questi adattamenti includono variazioni nella sintesi, secrezione e rilascio
dei neurotrasmettitori; nell’interazione coi recettori; nella loro azioni sui
neuroni e sul loro metabolismo. Queste variazioni rappresentano il tentativo
del cervello di adattarsi alle nuove esperienze e ai nuovi livelli di dopamina
che queste provocano.
Un’ipotesi particolarmente intrigante è che i neuroni del Fascicolo
proencefalico mediale che sono responsabili del piacevole, del piacere e del
craving si possono ri-regolare adattandosi ai nuovi livelli di
neurostrasmettitore raggiunti dovuti all’esposizione alla sostanza o alla
compulsione. Questo incremento dell’attività neuronale è detto
sensibilizzazione[2]. Questi sistemi, o percorsi, diventano sempre più attivi e
sensibili al ripetersi dell’esposizione alla sostanza o alla ripetizione della
compulsione.

Tuttavia c’è un costo per questi adattamenti. I momenti di high (di


eccitazione, di ipertimia) sono seguiti da momenti di low (di deflessione
dell’umore, di depressione). Infatti, i livelli di dopamina nel cervello, nel
periodo di low sembrano essere più bassi dei livelli originari per un periodo
in cui la sostanza viene eliminata (escreta) dall’organismo o la compulsione
termina i suoi effetti (tempo di cooling off). Poiché gli high possono essere
incrementati con la ripetizione dell’esposizione, alla sostanza o alla
compulsione, come risultato della sensibilizzazione anche i low vengono
amplificati. Questo effetto è chiamato rebound ed è il tentativo del cervello
di ripristinare, nel tempo, i livelli di dopamina al livello originario.

L’esposizione alla sostanza o alla compulsione, struttura una memoria


molecolare dell’effetto della sostanza o della compulsione; in particolare
una domanda o urgenza amplificate (sensibilizzate) per un high possono
essere le responsabili dell’attivazione dei processi compulsivi[3]. A sostegno
di questa ipotesi i dipendenti spesso riferiscono che “hanno bisogno” di
compiere una determinata azione (sia essa assumere una sostanza o attivare
una compulsione) e che l’obbligo è una pressione interna, come se il corpo
richiedesse che la compulsione venga attivata per poter funzionare
normalmente, esattamente come quando si prova fame, sete, sonno o
bisogno d’aria.

Questo ha senso se comprendiamo che il Fascicolo proencefalico mediale


viene mediato (o passa attraverso) dall’ipotalamo – un organo che contiene
centri di regolazione critici quali i centri responsabili del mangiare, del bere
e del respirare.
APPRENDIMENTO EMOTIVO

Il modello di cui abbiamo parlato è il cosiddetto “modello di controllo


limitato del Fascicolo proencefalico mediale” che si focalizza su una parte
del sistema limbico. Altri lavori[4] vedono implicata l’amigdala estesa, un
sistema del cervello le aree discusse qui sopra e, in aggiunta, l’amigdala.
Secondo queste teorie, l’amigdala regola la memoria emotiva, e registra la
significatività dell’uso di una sostanza o dell’attivazione di una
compulsione. Cosa significa questo? Significa che, nell’esempio di un
utilizzatore di cocaina, oltre ad una sensibilizzazione del soggetto alla
sostanza (aumentando progressivamente i livelli di dopamina nelle aree
interessate dal Fascicolo proencefalico mediale) il cervello “impara” che la
compulsione può soddisfare un bisogno o una carenza.

L’amigdala estesa può giocare un ruolo importante o ausiliario nella


dipendenza chimica. Tuttavia la ricerca deve ancora progredire per riuscire
a chiarire in modo definitivo e dettagliato quali aree del cervello siano
coinvolte e come queste interagiscano nella genesi e nello sviluppo della
dipendenza.

I NEUROTRASMETTITORI

Fino ad ora abbiamo parlato di neurotrasmettitori e dei loro sistemi. Credo


sia giunto il momento di presentare al lettore qualche dettaglio in più su
questi meravigliosi sistemi di comunicazione. Dopo averne compreso
l’importanza, infatti, sono certo che l’attenzione del lettore sarà più attratta
da questo argomento che ai più potrebbe risultare complesso o noioso.

Insieme i sistemi di neurotrasmissione agiscono come una rete di


comunicazione globale che segue direttive e ordini in modo impeccabile...
È proprio questo tipo di prevedibilità nella comunicazione e nel
comportamento dei neurotrasmettitori e dei sistemi che ci permettono di
delineare i segni premonitori e impostare le terapie.
Il cervello, come abbiamo detto, contiene miliardi di neuroni, ognuno dei
quali si connette agli altri in un modo particolare, più o meno come fanno
due persone le cui mani stanno vicine l’una all’altra ma senza toccarsi,
possono sentire il calore dell’altro anche senza un contatto. Immaginate che
la mano di uno dei due possa produrre una sostanza chimica in grado di
“saltare” verso la mano dell’altra stimolandola in qualche modo e, una volta
fatto ciò, la sostanza viene riassorbita dal palmo della mano della persona
che l’aveva originariamente prodotta. Questi messaggeri chimici, i
neurotrasmettitori, sono i responsabili della trasmissione degli stimoli
nervosi nelle sinapsi del sistema nervoso. Il “palmo” trasmittente che
rilascia i neurotrasmettitori si rappresenta il neurone presinaptico; lo spazio
tra i due palmi rappresenta la fessura sinaptica ed il palmo ricevente che
viene stimolato rappresenta quello che viene chiamato neurone
postsinaptico.

Il cervello contiene miliardi si queste sinapsi e queste formano un sistema


comunicativo ampio ed estremamente complesso. Sebbene alcuni di questi
“gruppi” di neurotrasmettitori, detti sistemi, sono distribuiti in tutto il
cervello, altri sono locati in aree specifiche, e tutti sono connessi l’uno agli
altri in un modo o nell’altro.

A tutt’oggi la scienza ha iniziato solo a raschiare la superficie di ciò che


accade nel cervello durante i gesti intimi. Il cervello è sicuramente l’organo
più studiato e meno compreso del nostro corpo con i suoi oltre
100.000.000.000 di neuroni che si intrecciano in un numero ancora
maggiore di sinapsi. 100 miliardi di neuroni e molte altre nevroglia (o
cellule gliali), che servono a sostenere e proteggere i neuroni. Ogni neurone
può essere collegato fino a 10.000 di altri neuroni, passandosi segnali a
vicenda fino a 1.000 trilioni di connessioni sinaptiche. La capacità di
memoria del cervello umano può arrivare fino ad un corrispondente di
1.000 terabyte (per dare al lettore un metro di confronto, i 19.000.000 di
volumi della Biblioteca del Congresso statunitense rappresenta circa 10
terabyte di dati). Anche se diversi neuroni trasmettono a diverse velocità,
come stima approssimativa è ragionevole stimare che un neurone possa
attivarsi circa una volta ogni 5 millisecondi, ovvero circa 200 volte al
secondo. Il numero di cellule a cui ogni neurone è collegato varia anche, ma
come una stima approssimativa è ragionevole dire che ogni neurone si
collega, come detto sopra, a 10.000 altri neuroni. Se mettiamo insieme
questi dati otteniamo
100 miliardi di neuroni X 200 attivazioni al secondo x 10.000 connessioni
sinaptiche = 2 miliardi di miliardi di calcoli al secondo, (secondo altre
statistiche le informazioni, al secondo, trasmesse ai neuroni sono “solo” 200
milioni di miliardi).

Ci sono forti connessioni tra i dodici sistemi basilari di neurotrasmissione


che svolgono un ruolo fondamentale nella dipendenza.

Nelle prossime pagine cercheremo di aiutare il lettore nel familiarizzare con


questi sistemi fondamentali, cioè i sistemi che si occupano di:
• Serotonina
• Dopamina
• GABA
• Acido glutammico
• Oppiati
• Noradrenalina
• Endocannabinoidi
• Acetilcolina
• Istamina
• Catecolamine
• Neuropeptide Y
• Peptidi

Ciascuno di questi sistemi è formato dai neurotrasmettitori stessi, dai


recettori e, infine, dai neuroni. Insieme questi sistemi agiscono come un
sistema di informazione che assomiglia molto ad internet: una rete globale e
complessa che funziona in modo ineccepibile (quando funziona!), ciascuno
dei quali ha un proprio linguaggio ed esegue funzioni specifiche.
Ad esempio, il sistema degli oppiati è strettamente legato al sistema del
GABA e più avanti spiegheremo come si possa manipolare un sistema ed
ottenere una risposta positiva e rimarchevole da un altro. È proprio questo
tipo di comunicazione e di comportamenti dei sistemi di neurotrasmissione,
prevedibili e strutturati, che rende alcuni sistemi di trattamento delle
dipendenze particolarmente efficaci.

Qualora il lettore fosse un neofita delle neuroscienze potrebbe trovare


questo capitolo un po’ complesso e ricco di informazioni concentrate ma
vorremmo rassicurarlo che man mano che progredirà nella lettura i vari
pezzi del mosaico troveranno il loro posto e alla fine, anche se non
diventerà un neuro scienziato, sarà sicuramente in grado di orientarsi nel
mondo dei neurotrasmettitori.

Il sistema serotoninergico
Il sistema serotoninergico è regolato dalla serotonina ed è quello che
apparentemente è più coinvolto nei disturbi ossessivo-compulsivi e nella
depressione; tuttavia è limitato per dimensione e per connessioni globali
totali. È locato al margine del Fascicolo proencefalico mediale o centro del
cervello ma della serotonina si trovano tracce nel tratto intestinale e nelle
piastrine.

Al momento le varianti della serotonina identificate sono 22 di cui 7 sono le


varianti principali e vengono identificate numericamente ad esempio 5-
idrossitriptamina 1 (abbreviato in 5-HT1), 5-idrossitriptamina 2 (abbreviato
in 5-HT2) e così via fino ad arrivare alla 5-idrossitriptamina 7 (abbreviato
in 5-HT7). Ciò che ci porta ad un totale di 22 sono i sottotipi delle 7 varianti
principali, ad esempio 5-HT1a, 5-HT1b ecc.. Questi sottotipi svolgono
funzioni complesse nella chimica del cervello che però non approfondiremo
perché esulano dall’argomento di quest’opera.

La variante che interessa al lettore per comprendere il problema della


dipendenza è la 5-idrossitriptamina 3 (abbreviato in 5-HT3) vista la sua
importante azione propria e dei suoi sottotipi che influiscono su
depressione, ansia, funzionalità intestinale e per i loro effetti sulla dopamina
ed altre funzioni complesse.
Per cercare di farci un’immagine mentale del sistema serotoninergico
possiamo immaginare una tastiera di un pianoforte, lunga 22 tasti, in cui
ciascun tasto rappresenta una variante o un sottotipo di serotonina: ad un
certo punto della melodia alcuni tasti sono sollevati mentre altri sono
abbassati, altri non ci sono nemmeno. Capire esattamente quali siano le
posizioni e le incidenze di ciascuna variante nel cervello di una persona in
un dato momento è tutt’ora impossibile senza ricorrere a una biopsia. I
livelli di serotonina di alcune persone restano bassi per tutta la vita perché
la situazione è congenita (cioè sono nati così) per le ragioni che abbiamo
precedentemente indagato (vedi Cap XXXX per maggiori dettagli) mentre
altri possono soffrire di cali sporadici o occasionali. Questo è possibile
perché i nostri sistemi di neurotrasmissione sono dinamici e i loro livelli
vengono influenzati da un numero elevato di fattori quali ormoni, altre
sostanze biochimiche, droghe, farmaci e in alcuni casi perfino alimenti.

Un esempio di fluttuazione comune che avviene nel sistema serotoninergico


è quella di cui tutti gli uomini della terra sono vittime ricorrenti: la
Sindrome Premestruale nella donna. Le fluttuazioni dell’umore della donna
durante la Sindrome Premestruale sono correlate ai livelli di estrogeni (un
ormone) che produce un deficit temporaneo di serotonina. Durante
l’ovulazione i livelli di estrogeni secreti dalle ovaie salgono
progressivamente. Più estrogeni significano più serotonina poiché agiscono
nelle sinapsi serotoninergiche come neuromodulatori agonisti (cioè che
stimolano) modificando le quantità di serotonina che vengono rilasciate
nella sinapsi; in parole povere fanno sì che il neurone presinaptico “butti
fuori” più serotonina di quello che farebbe di solito. Tuttavia quando la
donna non rimane incinta il livello degli estrogeni crolla e, a seconda della
persona, questo crollo si ha in genere in un periodo che oscilla tra una
settimana prima del ciclo mestruale dal momento in cui il ciclo mestruale
inizia. Questo crollo di estrogeni implica che non si abbia più una
iperstimolazione del neurone presinaptico per il rilascio di serotonina ed
ecco apparire i sintomi della Sindrome Premestruale. Molte alcoliste sulla
via del recupero soffrono di una ricaduta a causa di questo crollo mensile e
concomitante di estrogeni e serotonina. Purtroppo non ci sono studi che
indaghino la possibilità che le donne che soffrono di sintomi severi (più
severi del normale) da Sindrome Premestruale abbiano familiarità di
alcolismo (cioè se ci sono degli alcolisti in famiglia), ma è logico pensare
che ci sia una correlazione.

La deficienza di serotonina è comunemente associata a depressione e ansia.


Molti antidepressivi, dalla fluoxetina (es. Prozac) al citalopram (es. Celexa)
aumentano i livelli delle diverse varianti della serotonina in diversi modi.

Aumentare i livelli di serotonina funziona bene nel trattamento degli


alcolisti, nei disordini da ansia generalizzata, negli attacchi di panico, nella
depressioni di diversa origine, nella Sindrome Premestruale e a volte nei
disturbi bipolari.

Il sistema dopaminergico
La dopamina è divertente, mi piace la dopamina. In alcuni paesi è anche
acquistabile online; in alcuni paesi si possono anche acquistare recettori
dopaminici online. Vengono usati nella ricerca. Negli ultimi anni,
ricercatori e scienziati hanno sviluppato un interesse sempre più crescente
verso il sistema dopaminergico. Le ricerche e le pubblicazioni scientifiche
che riguardano la dopamina e il suo sistema, le loro implicazioni nella
dipendenza e nell’alcolismo, nella compulsione e nel sistema
piacere/ricompensa (per maggiori dettagli sul sistema piacere/ricompensa il
lettore veda il capitolo VI) si moltiplicano come funghi.

La comprensione del sistema dopaminergico è strettamente collegata a


quella dei sistemi GABAergico e oppiodergico; infatti agire sul sistema
dopaminergico si è dimostrato particolarmente efficace nel trattamento di
pazienti dipendenti da oppiacei o da alcol.

Molti ricercatori sostengono che la dopamina si concentri nel Locus


coeruleus, nel nucleo accumbens e si diffonda nel sistema limbico. Quello
dopaminergico è l’unico sistema di neurotrasmissione che non è isolato in
alcune parti inferiori del cervello (come ad esempio il Locus coeruleus) ma
si estende fino alla sostanza nigra. Una cosa interessante e importante è che
sentimenti e stati d’animo quali la depressione e l’euforia sono entrambi
strettamente correlati ai livelli di dopamina. Gli scienziati hanno portato
avanti ricerche per mezzo della tomografia ad emissione di positroni (PET)
per determinare se i centri della dopamina si “accendano” quando il
soggetto viene esposto a determinate immagini. Ad esempio, mostrando la
foto del cane domestico di cui il soggetto studiato è il padrone, tutto il
sistema dopaminergico si “accende”; mostrando la foto della suocera non si
“accende” nulla.

Come abbiamo detto per la serotonina, anche la dopamina ha una serie di


varianti, cinque in tutto: D1, D2, D3, D4 e D5. Tuttavia gli studi
suggeriscono che possano esistere ulteriori varianti. La metanfetamina è un
agonista dello stimolo D1 e, per alcuni siti, D2. La cocaina aumenta D2 e,
in alcuni casi, D3 provocando nella persona una sensazione di felicità e di
euforia. Quando i livelli di D2 e di D3 in una persona sono troppo alti può
scaturire una psicosi; negli schizofrenici, infatti, sono noti i problemi dati da
una carenza di D4 e un eccesso di funzione dei recettori D2. Ricerche
recenti sembrano aver trovato un collegamento tra D4 e l’ADHD (o
Sindrome da deficit di attenzione e iperattività).

Come per serotonina, una persona potrebbe avere un difetto congenito o


genetico di una o più varianti di dopamina ed esistono farmaci che possono
aumentare i livelli di dopamina secreti nel cervello. L’aripiprazolo (es.
Abilify), un antipsicotico, è uno stimolante della D2; il bupropione (es.
Wellbutrin) è un agonista parziale della D2. Gli oppiati causano il rilascio di
dopamina in aree importanti del cervello come il nucleo accumbens e il
Locus coeruleus.. Esistono anche diversi antagonisti che bloccano i diversi
sottotipi e risultano particolarmente utili per il trattamento dei soggetti
psicotici o schizofrenici o che sono sull’orlo di diventarlo. Ad esempio
l’aloperidolo (es. Serenase) è un antipsicotico che viene impiegato nella
disintossicazione da alcol ed è un inibitore della D2.

Ovviamente l’impiego di determinati farmaci deve essere riservato agli


specialisti in materia psichiatrica, neuropsichiatrica, tossicologica o altre
specialità affini perché le conseguenze sul sistema dopaminergico
dell’utilizzo di determinati farmaci possono essere tanto positive quanto
negative, fino a produrre allucinazioni o peggiorare il quadro clinico.
Quando si decide di intraprendere una terapia che agisca sul sistema
dopaminergico (sia agonista sia antagonista), lo psichiatra deve fare
attenzione alla posologia al fine di evitare una iper stimolazione iatrogena
che può provocare agitazione, paranoia e comportamenti bizzarri.

Molti dipendenti (non solo da sostanze ma anche da compulsioni diverse


quali ad esempio i videogames) cercano inconsapevolmente un rialzo dei
livelli di dopamina. Negli studi sui ratti si è visto che i soggetti normali
mostrano un vero e proprio high quando viene somministrata loro cocaina
poiché questa, come detto prima, agisce sui recettori D2. Alcuni ratti, però,
non mostrano alcun segno da assunzione di cocaina a causa di una
deficienza dei recettori D2. Sappiamo, inoltre, che le persone che fanno uso
di cocaina possono sviluppare una psicosi cocaino-indotta a causa
del’ipersecrezione di dopamina nel cervello. Allo stesso modo, nell’utilizzo
di metanfetamine una psicosi simile può risultare dagli alti livelli di
dopamina e noradrenalina.

La dopamina gioca un ruolo chiave nella gestione dei problemi e il suo


squilibrio può esacerbare il problema tanto quanto aiutare a giungere a una
soluzione. La depressione non responsiva ai trattamenti classici con agonisti
della serotonina mostra spesso beneficio nell’associazione con farmaci D2-
stimolanti. Il disturbo bipolare e la schizofrenia sembrano entrambi essere
collegati a uno scompenso della dopamina.

Quindi, per dirla in parole povere, troppa dopamina porta allucinazioni o


psicosi, ma poca implica la depressione. C’è una sottile linea di confine tra
quanta dopamina è necessaria per un buon funzionamento e per sentirsi
bene e quanta rende la persona instabile. I farmaci (e le sostanze o le
compulsioni) che stimolano la dopamina devono essere tenuti strettamente
sotto controllo per evitare gli effetti collaterali di cui abbiamo parlato. Le
due cose più importanti che il lettore deve comprendere sono:
1. quello dopaminergico è uno dei tre sistemi di neurotrasmissione
centrali collegati alla depressione;
2. la dopamina è un neurotrasmettitore vitale e estremamente efficace
nel trattamento delle dipendenze.

Il sistema GABAergico
Il sistema GABAergico è il “calmante” del nostro cervello. Sebbene recenti
studi sui ratti rivelino che l’acido gamma-amminobutirrico (abbreviato
GABA = letteralmente gamma-amminobutirric acid) è fortemente
concentrato nello striato e nel globus pallidus, in realtà lo si trova in tutto il
cervello. Esso agisce come un freno sulle attività neurali accelerate. Quando
il GABA si attiva è come se in ogni sinapsi del cervello si accendesse un
semaforo rosso. Alcune persone hanno, geneticamente, un'alta attività
GABAergica, altre no.

Le persona affette da un Disturbo da Ansia Generalizzata (DAG) è


verosimile che non abbiano un’elevata attività GABAergica oppure
potrebbero avere una elevata attività noradrenergica o glutammatergica. Il
GABA, in pratica, bilancia gli altri neurotrasmettitori quando questi sono
iperattivi. Tra tutti i sistemi di neurotrasmissione, questo è quello più
impiegato nei trattamenti di disintossicazione o di recupero poiché è
altamente prevedibile ed estremamente funzionale.

Le neuroscienze ci insegnano che esistono almeno cinque diversi tipi di


recettori GABA ma quello che a noi interessa è il GABA1a, ed è quello a
cui farò riferimento nelle righe seguenti. Indipendentemente dal recettore
che viene attivato, il sistema GABAergico agisce da inibitore della
conduzione nervosa; esercita un’azione esattamente opposta a quella del
sistema Glutammatergico.

Somministrando diazepam (es. Valium), un farmaco ansiolitico della


famiglia delle benzodiazepine (abbreviato BNZ), vengono attivati i recettori
della variante GABA1a facendo sì che tutto il cervello si calmi. Era il 1957
quando i laboratori Roche sintetizzarono il Valium per la prima volta; ad
oggi esistono circa 300 specialità farmaceutiche che utilizzano questa
molecola e che attivano tutte (alcune più, alcune meno) i recettori GABA1a.

La reazione iniziale del cervello all’attivazione del GABA1a è altamente


prevedibile, ma dopo un po’ di tempo diviene totalmente (o comunque
fortemente) imprevedibile; fino al punto di poter causare quello che in
linguaggio tecnico viene chiamato effetto paradosso, ovvero ottenendo
l’effetto opposto, in questo caso agitando il cervello e fungendo da eccitante
anziché da calmante.
Man mano che il dosaggio aumenta ed i recettori GABA1a vengono
inondati di diazepam il sistema si adatta, come spiegato in precedenza, ed
aumenta la propria tolleranza alla sostanza (diventa, cioè, assuefatto) ed i
recettori si disattivano lasciando l’azione eccitante del sistema
glutammatergico totalmente incontrastata.

Le altre quattro varianti del GABA sono leggermente più prevedibili. I


barbiturici o il fenobarbitale sono farmaci che agiscono sul sistema
GABAergico, verosimilmente sui recettori GABA-A e il loro impiego è
utile quando si vuole disintossicare un paziente dalle benzodiazepine. Il
methocarbanol e il baclofene sono altri farmaci che sembrano agire sul
sistema GABAergico ed agiscono sui recettori GABA2 (o GABA-B a
seconda della nomenclatura). Gli altri farmaci antiepilettici come il
valproato, il topiramato, la lamotrigina e la carbamazepina attivano i
recettori GABA5. L’utilizzo di questi farmaci produce, sebbene in misure e
tempi diversi, tutti i benefici calmanti dell’attivazione del sistema
GABAergico. Il GABA1a sembra essere il più potente tra tutti i GABA, ma
lo stesso effetto si può ottenere attivando gli altri 4 recettori all’unisono.

Sebbene questa ricostruzione del sistema GABAergico, come quelle degli


altri sistemi fatte in questa trattazione, sia estremamente semplificata per
permettere al neofita di orientarsi nella materia, il lettore avrà, a questo
punto, già intuito che esistono molteplici opzioni a disposizione del
terapeuta per ottenere l’effetto calmante tipico dei GABA senza agire
direttamente sui recettori GABA1a.

Il sistema glutammatergico
L’acido glutammico è uno dei neurotrasmettitori più presenti nel cervello, è
infatti considerato ubiquitario, cioè presente ovunque, e lo si può trovare in
tutta la corteccia. Esso è il responsabile dell’agitazione cerebrale e di ogni
eccitazione. Ciò che lo tiene a freno è il sistema GABAergico e tutti i
semafori rossi che quest’ultimo accende nelle sinapsi.

Se qualcuno di voi ha due animali domestici comprenderà più facilmente


ciò che intendo. Io ho due gatti, il più grande ha due anni ed è il GABA
fatto gatto: calmo, tranquillo... Un pascià! Il piccolo invece ha poco meno
di sei mesi ed è la rappresentazione vivente dell’acido glutammico: salta,
corre, non si ferma nemmeno legandolo... per non parlare di quando arriva
la pappa! Tuttavia quando il piccolo diventa “troppo agitato” il grande si
attiva e o gli soffia o gli dà una zampata sul muso. E il piccolo si quieta.
L’azione è duplice perché il grande seda il piccolo ma il piccolo attiva il
grande.

Se una persona ha bassi livelli di acido glutammico sarà impossibile che


possa essere particolarmente attiva o agitata, soprattutto se i suoi livelli di
GABA sono normali o alti. I sistemi glutammatergico e GABAergico che
fungono da acceleratore e da freno alle montagne russe a cui il nostro
cervello e il nostro cuore sono sottoposti (per maggiori dettagli in materia il
lettore può leggere la nostra opera Stelle e Stalle – ISBN 978-88-98559-00-
8). Trovare il giusto equilibrio tra GABA e acido glutammico è
fondamentale per trovare un equilibrio nella compulsione e nella gestione
della dipendenza, soprattutto dell’alcol perché questo, nel tempo, più di
altre sostanza aumenta i livelli di acido glutammico.

I dipendenti in astinenza hanno altissimi livelli di acido glutammico e bassi


livelli di GABA ( gli alcolisti mostrano anche bassi livelli di magnesio e di
potassio; in alcuni casi quando viene iniettato magnesio intramuscolo il
paziente tende a calmarsi, come se l’acido glutammico venisse contrastato).
Nel tempo il reiterarsi della compulsione aumenta la tolleranza e porta uno
squilibrio tra GABA e acido glutammico e, gradualmente incrementa i
livelli di acido glutammico. Il GABA, dal canto suo, salta su e giù in
concomitanza all’attivazione della compulsione (vedi Fig. 2). In genere la
compulsione (soprattutto l’assunzione di alcol per un alcolista) aumenta i
livelli di GABA quasi istantaneamente e questo seda il cervello della
persona. Questo processo viene chiamato, in linguaggio tecnico, kindling.

Quando i livelli di acido glutammico sono superiori al normale il cervello


può entrare in una fase di iperagitazione indotta da questo
neurotrasmettitore tali da poter osservare, in taluni casi, crisi epilettiche,
spasmi, ictus e apoplessia; soprattutto se i livelli di acido glutammico non
sono debitamente controbilanciati da sufficienti livelli di GABA. Il kindling
indotto da una compulsione può, in effetti, alzare i livelli di GABA e questo
ci spiega perché un dipendente (a prescindere da quale sia la sua
dipendenza) deve ripetere la sua compulsione ad oltranza e, prima o poi, ne
perde il controllo: deve obbedire alla sua ossessione e perpetrare la
compulsione per poter mantenere i propri livelli di GABA a livelli adeguati
per contrastare quelli di acido glutammico. Se la compulsione non viene
attivata il GABA crolla vertiginosamente lasciando alti livelli di acido
glutammico incontrollati ed incontrastati esponendo la persona alle
potenziali conseguenze di un sistema glutammatergico iper-stimolato quali
tremori (fini o a grandi scosse), accelerazione del pensiero, sudorazione
profusa e, nei casi più gravi, convulsioni, crisi epilettiche, coma fino alla
morte.

Fig. 2 – Mentre i livelli di GABA si alzano e si abbassano ad ogni


compulsione, i livelli di acido glutammico continuano ad aumentare
rimanendo elevati anche dopo che la compulsione ha avuto luogo. Il
dipendente si ritrova a reiterare la compulsione ogni volta più intensamente
al fine di rialzare i livelli di GABA per contrastare l’acido glutammico che,
continuando ad aumentare, richiede livelli sempre maggiori di GABA per
essere contrastato

In un certo senso, il dipendente che reitera la compulsione si sta auto-


medicando per evitare l’astinenza ed i sintomi ad essa correlati. In parole
più semplici sta utilizzando la compulsione (la dipendenza) per innalzare i
livelli di GABA ed è per questo che quando un dipendente cerca di
disintossicarsi (dalla droga, dal sesso, dal fumo, dai videogames ecc..) tende
a trovare un’altra compulsione per sostituire quella originaria da cui
scaturisce la dipendenza. Ad esempio uno spostamento tipico è quello del
fumatore che smette di fumare e acquisisce l’abitudine di mangiare;
l’adolescente che smette di giocare ai videogame e inizia a bere o indulge
alla masturbazione compulsiva, e così via. Un buon sistema per aiutare un
dipendente a liberarsi dalla dipendenza è trovare un altro (o meglio più di
uno) modo per mantenere i suoi livelli di GABA alti durante il periodo della
disintossicazione fino a quando i livelli di acido glutammico non iniziano a
calare e tornare verso la normalità. Perché questo processo abbia inizio
possono occorrere dai tre giorni ai due mesi a seconda della eventuale
predisposizione genetica, dei fattori ambientali, del tipo di dipendenza e
della gravità del caso.
Alcuni farmaci di nuova generazione sembrano velocizzare la ri-
normalizzazione dell’acido glutammico (ad esempio l’acamprosato per gli
alcolisti) e ridurre i sintomi dell’astinenza. La ricerca, negli ultimi anni, si
sta concentrando sui recettori NMDA (recettori post-sinaptici dell’acido
glutammico) e la loro interazione con i recettori del magnesio, dello zinco e
del destrometorfano. Questo è importante perché l’acido glutammico è
estremamente tossico per le cellule cerebrali e, specialmente se non
contrastato dal GABA, può portare a danni cerebrali. Tuttavia il recettore
del magnesio correlato al NMDA sembra calmare l’agitazione da acido
glutammico. Le ricerche sono ancora in corso e ampiamente incomplete e
quindi non utili ai fini clinici ma ritengo che sia giusto che il lettore conosca
non solo lo stato dell’arte ma anche le strade che stanno venendo percorse.
Comunque, una cosa certa sul sistema glutammico è che sia strettamente
legato al sistema GABAergico, come abbiamo visto, ma quest’ultimo è
strettamente correlato al sistema oppioidergico.
Se il lettore, a questo punto, si sentisse confuso non tema: continui a leggere
e tutto diventerà più chiaro.

Il sistema oppioidergico
Il nostro sistema oppioidergico è formato da recettori sparsi in tutto il
cervello, nel midollo spinale e nel resto del corpo. Ovviamente, il semplice
fatto che esistano dei recettori implica che il nostro corpo produca oppiati, i
neurotrasmettitori che attivano il sistema oppioidergico. Come per gli altri
neurotrasmettitori anche in questo caso esistono diverse tipologie, sottotipi
e varianti ma parliamo in modo semplice chiamiamoli in modo generico
endorfine (che è la contrazione di endogenous morphine cioè morfine
endogene). Gli stessi recettori vengono attivati anche dalla morfina, dalla
codeina e dagli oppiati sintetici. L’eroina (il cui nome scientifico è
diacetilmorfina) è un esempio di sostanza che viene metabolizzata in
morfina e codeina e trova uso tra coloro che vogliono in immediato rilascio
di oppiati.
Quando gli oppiati attivano il sistema oppioidergico attivano anche quello
GABAergico, i due stimolano a turni la produzione di dopamina. Il sistema
GABAergico è un sistema estremamente potente e dominante con una
strettissima correlazione col sistema oppioidergico infatti, per usare un
esempio, i sistemi GABAergico e oppiodergico sono come una coppia di
innamorati che si tengono per mano.

Il sistema noradrenergico
Il sistema di neurotrasmissione noradrenergico è circoscritto nel cervello ed
è fondamentale per l’apprendimento e per la formazione dei pensieri e delle
emozioni negativi, come la paura, o gli stati negativi, come l’ansia. È
correlato all’epinefrina e ai suoi effetti stimolanti ma il neurotrasmettitore
che lo attiva è la noradrenalina. È localizzato nel lobo inferiore del cervello,
precisamente nel Locus coeruleus ed ha un’azione prominente sul centro
della paura, l’amigdala. Incubi ricorrenti, tipo quelli che può avere un
soldato che continua a rivivere il campo di battaglia, provengono proprio
dall’amigdala stimolata dalla noradrenalina. In questi casi può risultare utile
l’impiego di un alfa-bloccante adrenergico per calmare l’amigdala,
intervento che spesso migliora la qualità del sonno del paziente.

La noradrenalina è di vitale importanza perché riduce il dolore, soprattutto


quello di origine fibromialgica, la lombalgia e il mal di schiena in generale,
dolore alle gambe soprattutto se diabete-correlato e dolori di altre cause
dovuti a un’attivazione impropria delle fibre nervose del dolore. Farmaci
noradrenalina-correlati sono la duloxetina (esempio il Cymbalta), la
venlafaxina (esempio l’Efexor), il milnacipran (esempio il Savella) o la
desvenlafaxina (esempio il Pristiq), e quando vengono somministrati una
cosa interessante ha luogo nel midollo spinale che rappresenta il punto di
incontro tra il Sistema Nervoso Centrale e quello Periferico. Nel midollo
spinale la noradrenalina inizia a salire ed il dolore proveniente dal sistema
nervoso periferico e veicolato attraverso le fibra nervose afferenti inizia a
calare. È affascinante osservare come questo fenomeno sia tanto semplice
quanto vitale e come sia misurabile in base alle variazioni dei livelli di
noradrenalina.

Il sistema noradrenergico è strettamente collegato a quello GABAergico;


quando vengono somministrate benzodiazepine il sistema GABAergico si
attiva e viene prodotto un effetto ansiolitico e la secrezione (cioè il rilascio)
di noradrenalina nel Locus coeruleus viene inibita. Il trazodone (es il
Trittico) ad esempio, un antidepressivo triciclico, si rivela molto utile nel
trattamento dei disturbi del sonno grazie al suo effetto inibitorio sul sistema
noradrenergico e la sua conseguente azione sedativa; motivo per cui il
trazodone e la quetiapina (esempio il Seroquel) vengono in alcuni paesi
impiegati nel trattamento degli stati di astinenza degli alcolisti e nella
disintossicazione da oppioidi.

Imparare a prevedere e divenire familiari con il sistema noradrenergico è


estremamente complesso e richiede anni di esperienza. Quando uno stato di
agitazione si manifesta, ad esempio, è difficile fare una diagnosi
differenziale per stabilire se è causato dal sistema noradrenergico o da
quello glutammatergico. Di certo possiamo affermare che la paura ha
un’origine adrenergica ma diventa difficile restare certi di questa cosa
quando assistiamo a una sindrome da astinenza alcolica o ad un attacco di
panico da parte di un paziente.

Il sistema endocannabinoide
Ebbene sì! Si chiama endocannabinoide e, come il nome può facilmente far
presumere, viene attivato, tra le altre cose, anche dalla cannabis. Ma
ricordiamoci che, come per tutti i sistemi di neurotrasmissione, il nostro
cervello produce già naturalmente i neurotrasmettitori chimici che lo
attivano. Abbiamo i recettori per l’insulina, e abbiamo insulina; abbiamo i
recettori per il GABA, e abbiamo il GABA; abbiamo recettori per gli
estrogeni, e produciamo estrogeni così via. Ci sono circa 400 tipi diversi di
recettori sulle membrane cellulari o sui nervi per cui possiamo facilmente
comprendere che il nostro corpo produca almeno 400 sostanze diverse per
attivare questi recettori. Queste sostanze si dicono endogene, cioè prodotte
dall’interno. Esistono, poi, anche sostanze quali droghe, farmaci ed altre
sostanze chimiche che attivano (agonisti) o inibiscono (antagonisti) questi
recettori e che provengono dall’esterno del corpo; questi si dicono esogeni,
cioè provenienti dall’esterno. La quantità di sostanza esogena richiesta è di
molto superiore a quella di una sostanza endogena per poter ottenere gli
stessi effetti. Ma questo il lettore sono certo non fatica a comprenderlo: una
sostanza endogena è prodotta dallo stesso corpo che ha prodotto il recettore
e funziona, quindi, come una chiave perfetta, mentre la sostanze esogena è
più “generica” e quindi meno efficace.

Esistono due tipi di endocannabioidi: CB1 e CB2, dove la sigla “CB” sta
per Cannabinoide.
I recettori CB2 sono generalmente rinvenibili nelle sezioni periferiche del
corpo e sono coinvolti nelle dinamiche del controllo del dolore.

I CB1 si trovano sparsi in tutto il cervello e sono coinvolti nella sensazione


dell’appetito; quando vengono attivati generano il fenomeno della fame
chimica. Una teoria sostiene che quando il corpo è in debito energetico
(cioè ha bisogno di energia), l’apparato digerente inizia a produrre CB1-
agonisti rilasciandoli nel sangue e questo ci fa sentire affamati. Quando la
“pancia è piena” la produzione di CB1-agonisti viene soppressa e lo stimolo
della fame termina.
I CB1 sono anche correlati ad alcune forme depressive: se vi è una
inadeguata attivazione dei CB1, la persona può sperimentare una
depressione profonda fino all’istinto suicida.
Esiste una teoria secondo la quale un intervento di bypass gastrico eseguito
secondo il metodo Roux-n-Y può portare una deficienza nell’attivazione dei
CB1 a causa del fatto che l’ansa cieca non ha più accesso al cibo e quindi
non si ha più rilascio di CB1.

Il sistema endocannabinoide è attivato anche dall’alcol e non è insolito per


pazienti con problemi gastrici e con una familiarità di alcolismo diventare
improvvisamente alcolisti. Una ragione che si crede essere dietro questo
fatto è che questi pazienti trovino sollievo nel dipendere dall’alcol per
attivare i recettori CB1 nel cervello, e questo serve a porre un limite ai
sintomi di craving che in precedenza venivano sedati col cibo. Nei tre mesi
successivi dopo aver subito un intervento di bypass gastrico, intervento con
cui lo stomaco del paziente viene chirurgicamente “risistemato”, l’alcol
sortisce un effetto molto più rapido rispetto al tempo necessario al cibo per
raggiungere il sito intestinale adeguato ed essere assorbito. Questo porta ad
una rapida implementazione dei livelli di alcol ematico (cioè i livelli di
alcol nel sangue); all’intossicazione e a un importante e imponente di
rilascio di dopamina. Diversi pazienti sottoposti a bypass gastrico
riferiscono tale esperienza soprattutto in soggetti già geneticamente proni a
disequilibri dei neurotrasmettitori. Ci sono in corso diversi studi in tutto il
mondo con cui i gastrenterologi cercano di individuare la predisposizione
ed il rischio di alcolismo attraverso indagini genetiche, familiari e
anamnestiche.

Il sistema colinergico
L’acetilcolina si trova sia nel sistema nervoso centrale sia in quello
periferico. L’acetilcolina è fondamentale nella memoria; gioca un ruolo
importantissimo nel trattamento della demenza ed è integrata negli altri
sistemi il che la rende un neurotrasmettitore fondamentale nella
comprensione dei meccanismi della dipendenza e nel loro trattamento.
L’attività dell’acetilcolina è deficitaria nel giro fusiformedei pazienti affetti
da disturbi dello spettro autistico.

Una cosa interessante è che la nicotina attiva sia l’acetilcolina, sia la


dopamina, sia la noradrenalina.

Il sistema istaminergico
I neuroni istaminergici del Nucleo tuberomammillare protendono i propri
assoni lungo tutto il sistema nervoso. Sono attivi durante le fasi di veglia
ma non durante il sonno e sono implicati nella maggior parte dei processi
che avvengono mentre siamo svegli. Esistono quattro recettori noti per
l’istamina tre dei quali locati nel cervello. Mutue interazioni con altri
sistemi aminergici (colinergico, noradrenergico, dopaminergico e
serotoninergico) e i sistemi dell’oressina (o ipocretina) sono le responsabili
della regolazione del ciclo sonno-veglia. Una inibizione GABAergica,
proveniente principalmente dall’area Preottica ventrolaterale, genera
un’azione calmante e inibisce il sistema istaminergico durante il sonno.

Gli effetti dell’istamina sono mediati nei diversi tessuti da recettori


specifici. Finora si conoscono quattro tipi di recettori, denominati da H1 a
H4.

• H1: Localizzazione prevalente: intestino, bronchi, sistema


cardiovascolare, SNC. Effetti: contrazione della muscolatura
liscia bronchiale, vasodilatazione, aumento della permeabilità
capillare, mantenimento dello stato di veglia; sono accoppiati ad
una proteina Gq e ad una G11 che agiscono tramite l’idrolisi dei
fosfoinositidi di membrana (intervento di una fosfolipasi C),
generando diacilglicerolo (DAG) ed inositolo trifosfato (IP3), che
mettono in moto vie trasduttive calcio-dipendenti.
• H2 Localizzazione prevalente: parete gastrica, sistema
immunitario, sistema cardiovascolare. Effetti: pumento della
secrezione acida dello stomaco, vasodilatazione. Attivano
l’adenilatociclasi tramite una proteina Gs e quindi le loro azioni
molecolari sono mediate dall’AMP ciclico e dalla proteina
chinasi A (PKA). L’effetto vasodilatativo avviene grazie alla
conseguente inattivazione (tramite fosforilazione) della chinasi
della miosina a catena leggera (MLCK): la miosina non può più
legarsi all’actina e la contrazione viene evitata.
• H3 Localizzazione prevalente: nel SNC. Effetti: sono
autorecettori presinaptici deputati al controllo della biosintesi e
del rilascio dell’istamina e di altri neurotrasmettitori. In
particolare l’istamina che agisce su questi recettori ha azione di
inibizione del rilascio dei neurotrasmettitori associati a quella
sinapsi. Il loro effetto si esplica attraverso una proteina G
inibitoria (Gi); quindi si ha riduzione dell’attività
dell’adenilatociclasi; i dimeri beta-gamma possono portare alla
attivazione o inibizione di alcuni canali ionici. Tramite questo
meccanismo, i recettori H3 controllano la secrezione di certi
neurotrasmettitori.
• H4 Localizzazione prevalente: midollo osseo, milza, eosinofili,
mastociti, neutrofili. Effetti: modula l’attivazione della risposta
immunitaria. La scoperta di questo sottotipo recettoriale risale al
2001.
Anche questi recettori inibiscono l’adenilatociclasi tramite una Gi.
Accessoriamente possono accoppiarsi ad una Gzero (G0), che regola i
canali del potassio e l’attivazione delle MAP chinasi tramite la PKC. È stato
riportato che possono anche attivare delle proteine G presenti
esclusivamente nelle cellule midollari, la G15 e la G16, tramite le quali
possono agire sulla mobilizzazione del calcio dai depositi intracellulari.

A livello ipotalamico l’istamina è un regolatore di altre funzioni, quali il


rilascio di vasopressina, di ossitocina, di prolattina, ACTH e beta-endorfina.
Regola pure il senso di fame e di sete: un aumento dell’istamina sopprime
queste due sensazioni, mentre antagonisti del recettore H1 agiscono
sull’ipotalamo ventromediale per stimolare l’appetito. A livello ipofisario,
negli animali, sembra che sia i recettori H1 che H2 siano implicati nella
regolazione degli ormoni locali. Nell’animale da esperimento l’istamina,
dopo micro iniezione in certe aree cerebrali, è anche un efficace soppressore
delle risposte dolorifiche, effetto che sembra mediato principalmente dai
recettori H2. Fuori dal cervello, la presenza di recettori H1 ed H3 su certi
tipi di nervi sensitivi promuove, rispettivamente, risposte pro-flogistiche/-
nocicettive ed anti-flogistiche/-nocicettive.

Il sistema adrenergico
Il sistema adrenergico (chiamato anche simpatico) è responsabile dei picchi,
alti o bassi, nella regolazione in molti meccanismi omeostatici. Le fibre del
Sistema Nervoso innervano i tessuti di tutti gli organi, fornendo le funzioni
di regolazione per le cose più diverse, dal diametro pupillare alla motilità
intestinale, dalla funzionalità del sistema urinario all’escrezione. È forse più
noto per la sua azione neuronale ed ormonale in risposta allo stress
comunemente conosciuta come la risposta lotta-o-fuga. Questa risposta è
nota anche come risposta simpatico-surrenale, quando le fibre simpatiche
pregangliari che terminano nella midollare surrenale (ma anche tutte le altre
fibre simpatiche) secernono acetilcolina, che attiva la secrezione di
adrenalina (epinefrina) e in minor misura noradrenalina (norepinefrina).
Pertanto, questa risposta che agisce principalmente sul sistema
cardiovascolare è mediata direttamente tramite impulsi trasmessi attraverso
il sistema adrenergico e indirettamente tramite le catecolamine secrete dalla
midollare del surrene.
Alcune ricerche non ancora comprovate suggeriscono che il sistema
adrenergico sia fondamentale per mantenere la sopravvivenza poiché
responsabile dell’innesco dell’azione. Un esempio di questo priming
avrebbe luogo nei momenti prima del risveglio, quando il flusso
adrenergico aumenta spontaneamente in preparazione all’azione.

La stimolazione del sistema adrenergico provoca vasocostrizione della


maggior parte dei vasi sanguigni, compresi molti di quelli nella cute,
nell’apparato digerente, e nei reni. Questo si verifica a causa
dell’attivazione dei recettori alfa-1 adrenergici della noradrenalina rilasciata
dai neuroni simpatici post-gangliari. Questi recettori si trovano in tutto il
sistema vascolare del corpo, ma sono inibiti e controbilanciati dai beta-2
adrenergici (stimolati dall’adrenalina rilasciata dalle ghiandole surrenali)
nei muscoli scheletrici, nel cuore, nei polmoni e nel cervello durante una
risposta simpatico-surrenale. L’effetto di questo è una deviazione del flusso
di sangue lontano dagli organi non necessari per la sopravvivenza
immediata dell’organismo e un aumento del flusso sanguigno a tali organi
coinvolti nella intensa attività fisica.

Il sistema NPYergico
Prove convergenti collegano il neuropeptide Y (NPY) al comportamento
ansia- e depressione- correlato. In particolare lo studio Cohen
(Neuropsychopharmacology. 2012 Jan;37(2):350-63. doi:
10.1038/npp.2011.230. Epub 2011 Oct 5.) ha cercato di valutare se vi sia
un’associazione tra le risposte comportamentali allo stress e i modelli di
NPY nelle aree cerebrali selezionate, e successivamente, se eventuali
manipolazioni farmacologiche dei livelli di NPY influenzano il
comportamento. Gli animali il cui comportamento era estremamente
perturbato (EBR) visualizzato selettivamente significativo calo del NPY
nell’ippocampo e nell’amigdala, rispetto agli animali il cui comportamento
era minimamente (MBR) o parzialmente (PBR) perturbato. Un’ora di
trattamento post-esposizione con NPY ha ridotto significativamente i tassi
di prevalenza di EBR. Il modello distintivo di riduzione dell’NPY correlata
ad EBR, nonché gli effetti comportamentali di manipolazione
farmacologica di NPY indicano una intima associazione tra NPY e le
risposte comportamentali allo stress, e potenzialmente tra i processi
molecolari e psicopatologici, che sono alla base dei cambiamenti osservati
nel comportamento.

I sistemi peptidergici
Un sistema peptidergico è un complesso funzionalmente rilevante
consistente di una cellula che sintetizza e secerne un peptide, una cellula
che risponde a quel peptide attraverso alcuni cambiamenti funzionali, ed un
mezzo attraverso cui il peptide viene trasmesso dal sito di secrezione a
quello di azione.
I peptidi identificati nel cervello sono molti e nella maggior parte dei casi la
loro localizzazione è ben nota; tuttavia una completa definizione del
sistema peptidergico richiede una più che buona conoscenza del sito e della
modalità di azione del peptide, dei meccanismi di secrezione e di
ricaptazione e di regolazione, dell’interazione con la cellula bersaglio, dei
meccanismi di inibizione del peptide e del loro ruolo fisiologico
nell’organismo.
Lo studio dei sistemi peptidergici è ancora embrionale e non è questa la
sede per approfondire ulteriormente questo argomento che rischierebbe solo
di creare ulteriore confusione nel lettore.

Se il lettore, fino a questo punto, non si è ancora demoralizzato e sta


continuando a leggere credo si meriti un premio. Per far comprendere
meglio quanto sia complesso il mondo dei neurotrasmettitori e per far
capire quanto sia stato semplificato in queste pagine riporto, nella pagine
seguente, l’elenco, diviso per tipologia ed in ordine di sintesi, dei
neurotrasmettitori comuni. Prenda nota il lettore che quelli elencati sono
quelli comuni.

Neurotrasmettitori comuni

• derivati da amminoacidi
○ acido aspartico
○ acido glutammico
○ acido gamma-amminobutirrico (GABA)
○ glicina
• monoammine (in ordine di sintesi)
○ dalla fenilalanina e dalla tirosina
□ dopamina (da)
▪ norepinefrina (o noradrenalina, ne)
▫ epinefrina (o adrenalina, epi)
○ dal triptofano
□ serotonina (o 5-idrossitriptamina, 5ht)
□ melatonina
○ dall'istidina
□ istamina
• polipeptidi (neuropeptidi)
○ neurotensina (NT)
○ galanina
○ bombesine
□ bombesina
□ peptide di rilascio della gastrina (GRP)
□ neuromedina B
○ gastrine
□ gastrina
□ colecistichinina (CCK)
○ insuline
□ insulina
○ neuroipofisiari
□ vasopressina
□ ossitocina
□ neurofisina (tipo I e II)
○ neuropeptide Y
□ neuropeptide Y (NY)
□ polipeptide pancreatico (PP)
□ peptide YY (PYY)
○ oppioidi
□ corticotropina (ACTH)
□ beta-lipotropina
□ dinorfina
□ endorfina
□ encefalina
□ leumorfina
○ secretine
□ secretina
□ motilina
□ glucagone
□ peptide vasoattivo intestinale (VIP)
□ fattore di rilascio dell'ormone della crescita (GRF)
○ somatostatine
□ somatostatina
○ tachichinine
□ neurochinina A
□ neurochinina B
□ neuropeptide A
□ neuropeptide gamma
□ sostanza P
○ ammine biogeniche
□ acetilcolina (ACh)
○ altri
□ ossido di azoto (NO)
□ ossido di carbonio (CO)
□ anandamide

INTERDIPENDENZA TRA SISTEMI E INFLUENZE

I sistemi di neurotrasmissione che abbiamo visto possono, come abbiamo


visto, essere influenzati attraverso sostanze esogene sia stimolandoli
(attraverso gli agonisti) sia inibendoli (attraverso gli inibitori). Una volta
che si è acquisita familiarità con i sistemi di neurotrasmissione diviene
facile, quando parliamo con un paziente, capire quale sia il sistema
predominante poiché ogni importante e significativa modificazione di un
determinato neurotrasmettitore diverrà evidente. Il lettore potrebbe, ad un
certo punto, rendersi conto che persino un amico, o un membro della
famiglia, manifesta comportamenti tipici di alterazioni di un sistema e
comprendere, così, più a fondo determinate situazioni che fino a poco
tempo prima considerava normali.
Ricordiamo che ogni sistema è formato da miliardi di neuroni che non sono
separati ma interconnessi tra loro anche se appartenenti a sistemi diversi.
Insomma... potremmo dare l’immagine del cervello come una grande
macedonia: ogni pezzo di frutto è separato dagli altri ma tutti insieme hanno
correlazioni gli uni con gli altri all’interno di un sistema ben efficiente.

La recente crisi dei mutui americani può essere un buon esempio di come i
sistemi di neurotrasmissione interagiscano tra loro. Prendiamo questo report
di Ester Faia (rinvenibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/crisi-dei-
mutui-subprime_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/)

La crisi finanziaria del 2007. La crisi dei mutui bancari subprime


ha avuto inizio nel febbraio del 2007 negli Stati Uniti. Causa
scatenante è stata la caduta dei prezzi delle abitazioni che, dopo
aver raggiunto un picco nel 2006, hanno iniziato una rapida e
brusca discesa. In questo contesto i mutui s. erano parte dei titoli
derivati, noti come Asset Backed Securities o mortgage backed
securities, ossia titoli i cui ritorni sono legati al flusso di cassa del
debito sottostante. Vendendo titoli le banche si rifornivano di
liquidità e acquisivano commissioni per l’intermediazione. Di
fatto, la possibilità di trasferire rischio sul mercato ha favorito
l’azzardo morale da parte degli istituti di credito, che avevano
sempre maggiore interesse nel concedere prestiti via via più
rischiosi al solo scopo di emettere nuovi asset da vendere sul
mercato. Questo ha registrato un’impennata negli anni 2000.
Quando i prezzi delle case hanno cominciato a scendere, i
prenditori di mutui, molti dei quali avevano sottoscritto contratti a
tasso variabile e con cedole di pagamento legate al valore delle
case stesse, non sono stati più in grado di ripagarli.
L’aumento del numero di mutui inesigibili e dei tassi di
delinquenza dei prenditori ha indotto molti investitori che avevano
acquistato asset backed securities a vendere i titoli, per il timore
di non poter realizzare i ritorni a essi associati. Le tranche
subprime, cioè di quei titoli i cui mutui sottostanti erano ad alto
rischio, sono state quelle che hanno subito le perdite più massicce
al principio della crisi. Il crollo dei subprime ha ridotto, da un
lato, il valore del portafoglio delle banche e di molti istituti
d’investimento e, dall’altro, la possibilità che le banche stesse
potessero rifinanziarsi sul mercato. Nel settembre del 2008, la
situazione si è fatta critica e molti istituti sono andati incontro al
fallimento. Il caso più traumatico e con le maggiori conseguenze
sul mercato finanziario è stato quello della Lehman Brothers.
Alcune banche, come la Bear Sterns e la Merrill Lynch, sono state
acquisite da compagnie concorrenti, mentre altre, come la
Goldman Sachs e la Morgan Stanley, sono state salvate
dall’intervento del governo statunitense.
L’impatto della crisi sui mercati finanziari mondiali e le misure
adottate. La crisi ha avuto pesanti ripercussioni sui Paesi sia
europei sia extraeuropei, le cui banche avevano acquistato titoli
derivati USA. La risposta della Federal Reserve statunitense e
della Banca Centrale Europea è stata immediata ed energica.
Negli ultimi mesi del 2008, infatti, le suddette banche centrali
hanno acquistato quantitativi massicci di titoli di Stato e altre
attività rischiose che risiedevano nel portafoglio delle banche
private. Varie altre misure di urgenza e non convenzionali sono
state immediatamente approvate: tra queste, la possibilità di
estendere temporalmente i prestiti alle banche, nonché quella di
accettare titoli rischiosi a garanzia degli stessi prestiti. Tra il 2008
e il 2009 anche il governo degli Stati Uniti è intervenuto,
approvando ingenti quantità di pacchetti per stimolare
l’economia. Lo stesso ha fatto la grande maggioranza di governi
europei.
Nonostante queste misure, le conseguenze sui mercati finanziari si
sono protratte a lungo. Ancora più seri sono stati gli effetti
sull’economia reale, che ha subito una forte recessione e un
incremento della disoccupazione che in alcuni Paesi ha toccato
cifre intorno al 10%, con picchi altissimi per donne e giovani.
Al fine di evitare che simili eventi si ripetano, molte misure di
riforma dei mercati finanziari sono state discusse e varate. Gli
Stati Uniti hanno approvato nel luglio 2010, il Dodd-Frank Act
per la riforma del mercato di Wall Street e per la protezione del
consumatore. In Europa è stato creato un istituto noto come
European Systemic Risk Board, che ha il compito di controllare la
stabilità dei mercati finanziari. Molto importanti sono state poi
anche le riforme sugli accordi di Basilea III: questi ultimi
prescrivono alle banche vincoli di capitale con una natura
anticiclica rispetto al rischio aggregato.

Come possiamo osservare, sebbene la crisi abbia colpito gli Stati Uniti, tutti
i paesi del mondo (o quasi) ne sono stati influenzati. Così funziona il nostro
cervello: non è possibile che un sistema di neurotrasmissione si scompensi e
gli altri non ne siano influenzati.

I sistemi di neurotrasmissione sono in costante comunicazione tra loro; un


cambiamento di equilibrio all’interno del cervello porta un conseguente
stimolo ad uno dei sistemi e, di riflesso, a tutti gli altri.
È importante che i lettore tenga ben a mente questo concetto di
interdipendenza dei sistemi di neurotrasmissione perché solo così sarà più
chiaro l’effetto della somministrazione di un farmaco o di assunzione di una
determinata sostanza (alcol, droga o altro) e la generazione dei cosiddetti
“effetti indesiderati”.

Ad esempio, gli effetti di cocaina e metanfetamine non si limitano al


sistema dopaminergico ma questo al lettore credo sia ormai chiaro.

Un recente tentativo di regolazione del sistema GABAergico è stato quello


di utilizzare il flumazenil, un GABA bloccante in fase di sperimentazione
anche noto con la sigla Ro 15-1788. I ricercatori che hanno condotto la
sperimentazione hanno rilevato che questo blocco improvviso del GABA
influenzava anche gli altri sistemi in un modo alquanto bizzarro: alterando
il craving dei soggetti. In un sistema complesso come il cervello non si può
essere perfettamente certi di come andranno le cose quando viene
sottoposto a un determinato stimolo o a una determinata sostanza. Sebbene
formato da diverse aree, Brodman ne ha individuate 52, questo funziona
come un sistema globale e i funzionamento di ogni sistema è
imprescindibile dagli altri.

BIBLIOGRAFIA
Le aree del cervello secondo Brodman
Eric R. Kandel, James H. Schwartz, Thomas M. Jessell, Steven A.
Siegelbaum, A. J. Hudspeth, Principles of Neural Science, Fifth Edition,
2012
Brown, R. E., Stevens, D. R., & Haas, H. L. 2001, “The physiology of
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Haas H, Panula P. (2003) The role of histamine and the tuberomamillary
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histaminergic neuron system a regulatory center for whole-brain activity?”,
Trends Neurosci., vol. 14, no. 9, pp. 415-418.
[1]
Koob et al., 1998
[2] Robinson & Berridge, 1993
[3] Ibidem
[4] Koob et al., 1998
Parte
Seconda

CAPITOLO VI

Dipendenze: tra schiavitù e crimine

ANGELICA PEZZI

Una persona spesso incontra il suo destino


sulla strada che aveva preso per evitarlo.
Jean De la Fontaine

GIOCO D’AZZARDO, ABUSO DI SOSTANZE E DIPENDENZA SESSUALE: BREVE


INTRODUZIONE AGLI ARGOMENTI.

Questo capitolo vuole essere un’introduzione agli argomenti che tratterò


negli specifici capitoli successivi. Intendo fornire al lettore una visione
d’insieme dei disturbi apparentemente lontani, ma in realtà (dal punto di
vista neuropsicologico e psicologico) molto vicini, oserei dire concatenati.
Il ‘sesso’ riguarda l’agìto mentre la sessualità è il processo che coinvolge
l’adolescente nel corso dello sviluppo neuro-psico-fisiologico, portandolo a
confrontarsi con le diverse realtà legate agli eventi più o meno positivi,
anche traumatici, che affronta nel corso evolutivo.

La sessualità è oggi diventata oggetto di studio e interesse di psicologi,


psichiatri, medici diventati sempre più protagonisti nelle battaglie di
prevenzione contro le malattie sessualmente trasmissibili e delle addiction.
Sessualità è spesso sinonimo di relazione e nella maggior parte dei casi i
giovani non la vivono in maniera serena: nei ragazzi ‘l’ansia da prestazione’
può influire sulle proprie prestazioni erettili, mentre la neorgasmia
femminile è data dall’incapacità di lasciarsi andare.

Durante una fase delicata, quale l’adolescenza, queste ‘preoccupazioni’


possono causare disturbi nella futura fase adulta. Rifugiarsi in Internet per
intrattenere chat erotiche, visionare materiale pornografico, fruire del
cybersex potrebbe essere apparentemente una soluzione a questi problemi,
del resto anche la pornografia online si serve di stratagemmi per far cadere
la vittima nella trappola: looping, mousetrapping, startup file alteration,
cookies.
Molti credono che Internet garantisca l’anonimato, ma è davvero così? I
cookies sono un bell’esempio di violazione dell’anonimato in quanto
acquisiscono alcune informazioni personali dell’utente (cronologia, le
abitudini di acquisto…), attraverso gli spyware (programmi spia che
captano la vulnerabilità) che agiscono in sinergia con i trojan (permettono
di assumere il controllo) il nostro computer, così come la nostra privacy,
può essere facilmente violata e la webcam può arrivare a trasformarsi in
una telecamera da cui spiarci.
Anni addietro le donne si sottoponevano a interventi chirurgici per
migliorare il proprio seno, oggi come dichiara Alessandro Littara, fondatore
dell’ Istituto di laser-chirurgia sessuale di Milano, molte donne (anche
giovanissime) ricorrono a forme di restyling.
La labioplastica è una tipologia d’intervento molto richiesto, prevede la
riduzione ed il rimodellamento delle piccole labbra, che in alcuni casi
potrebbero causare problemi d’igiene personale, durante i rapporti sessuali
o lo svolgimento di attività sportive. Il costo di questa operazione varia fra i
3 ed i 5 mila euro. Littara ritiene che solo il 70% dei casi ha alla base una
motivazione reale ed andrebbe operata. “Ciò nonostante alcune stime
illustrano come in Italia siano circa 2-3 mila l’anno i ritocchi intimi
motivati dall’estetica mentre dai 500 ai mille quelli funzionali. Tra gli altri
interventi ci sono il vaginal tightening, ossia il restringimento della vagina
al fine di incrementare la sensibilità ed il piacere durante l’atto sessuale, la
sistemazione delle grandi labbra, la riduzione o l’aumento del monte di
Venere e l’imenoplastica, o ricostruzione dell’imene, per restituire la
verginità anatomica perduta”. Molte persone pur di sottoporsi a tali ritocchi
ricorrono a prestiti.

L’evoluzione di questo fenomeno sarà sicuramente una delle tante mode


dettate dalla società che incentiva la rivisitazione del corpo, visto come
oggetto manipolabile, controllabile, fonte di piacere: punti focali della
dipendenza sessuale.

Il corpo con i suoi parametri di bellezza dettati socialmente è divenuto un


potente ‘strumento di conquista delle coscienze’ nonché incentivazione alla
malavita organizzata. Se la presentazione di un prodotto o
l’incoraggiamento ad attuare determinati comportamenti (giocare nelle sale
bingo, videolottery…) viene avanzata da una promoter sensuale,
sicuramente il messaggio trasmesso risulterà più efficiente.

La diffusione delle sale da gioco sul territorio nazionale e su Internet ha


fatto sì che si sviluppasse la dipendenza al gioco d’azzardo. Nelle sale da
gioco e nelle bische clandestine non girano solo i soldi ma anche
prostituzione e droghe. Molti giocatori sono costretti a chiedere prestiti a
banche o strozzini credendo di risolvere i propri problemi con una vincita
illusoria. Proprio quest’ultima: l’illusione, la fase di trance, in cui vivono i
giocatori patologici è la stessa in cui vivono i tossicodipendenti e i
dipendenti sessuali, li condurrà a commettere atti estremi e fino
all’omicidio-suicidio.
“Nel DSM-V, la categoria che ora viene chiamata “Disturbi da dipendenza e
correlati all’uso di sostanze” ha avuto cambiamenti sostanziali. Nella nuova
edizione sono state fuse le categorie di abuso e dipendenza da sostanze del
vecchio DSM-IV-TR in un unico disturbo da uso di sostanze, misurato su
un continuum da lieve a grave, i cui criteri per la diagnosi quasi identici ai
precedenti criteri, sono stati uniti in un unico elenco di 11 sintomi. Alla lista
dei sintomi è stato aggiunto il craving (forte desiderio di utilizzare la
droga), mentre è stato eliminato il criterio riguardante i problemi legali
ricorrenti, a causa della difficile applicazione a livello internazionale. Nel
manuale sono stati inoltre aggiunti il disturbo da uso di tabacco ed i criteri
per l’astinenza da cannabis e da caffeina. Infine, nella stessa categoria dei
disturbi da uso di sostanze, compare per la prima volta, il disturbo da gioco
d’azzardo (gambling), indicato come unica condizione di una nuova
categoria di dipendenze comportamentali, classificato nelle precedenti
edizioni del DSM, come disturbo del controllo degli impulsi”.

GIOCO D’AZZARDO.
“Tutti i mammiferi giocano e gli uomini lo fanno più di tutti e per tutta la
vita”

Il gioco come sinonimo di benessere.


Se si guarda in natura si può vedere come il gioco coinvolga tutte le specie
animali, incluso l’uomo, e svolga un ruolo fondamentale per l’adattamento
e la sopravvivenza della specie. Nella specie umana dotata di corteccia
cerebrale più sviluppata sembrerebbe che il gioco non solo favorisca lo
sviluppo di abilità cognitive e motorie ma anche di altre parti cerebrali.
Secondo R. Fagen, autore di “animal play behaviour”, il gioco sarebbe
sinonimo di benessere in quanto comunica a chi ci osserva (genitori,
amici…) il benessere fisico di cui si gode. B. Bettelheim esalterà l’attività
benefica del gioco utilizzandolo come tecnica di cura all’autismo. Lo studio
sulle ragazze afroamericane condotto dall’antropologa Elizabeth Chin, nel
Connecticut, ha dimostrato come il gioco sia cultural free e preveda
l’esteriorizzazione del proprio mondo interno; quella che il cognitivista S.J.
Bruner chiamerà “rappresentazione simbolica della realtà”
e si soffermerà proprio sulla capacità del gioco di attivare le componenti
cognitive attraverso il problem solving e l’euristica cognitiva.

Questi ultimi concetti, mondo interno-rappresentazione simbolica, staranno


alla base degli autori a orientamento psicodinamico.
“La famosa analisi di Freud del gioco di finzione del “fort-da” del suo
nipotino di 18 mesi mette in luce alcune importanti caratteristiche dell’uso
delle esternalizzazioni marcate che sostiene lo sviluppo della gestione degli
affetti negativi. Il padre della Psicoanalisi osservò che suo nipote
riproduceva nel gioco sempre lo stesso evento, che implicava il lanciare un
rocchetto di filo sulla tenda della sua stanza dicendo “fort” (via), il far
scomparire l’oggetto dalla vista e il recuperarlo dicendo “da” (indietro).
Secondo l’interpretazione di Freud, nel primo evento dell’episodio di
finzione Ernest stava esternalizzando le separazioni dalla madre che si
verificavano nella loro vita quotidiana. La seconda parte della sequenza,
corrispondeva al desiderato annullamento immaginario di queste dolorose
separazioni. Nella scena del gioco il bambino era un “agente attivo” che
aveva il controllo dell’episodio di finzione, mentre durante l’evento reale
impresso nella sua memoria egli era un soggetto impotente, che
sperimentava passivamente l’evento traumatico della separazione. Il gioco
dava luogo a un’esperienza correttiva nella misura in cui la percezione
dell’esternalizzazione marcata e qualitativamente trasformata dell’evento
in origine traumatico generava affetti positivi legati all’idea della riunione
che contrastava le emozioni negative associate con il ricordo dell’evento
originario. Quindi la messa in scena di un mondo rappresentazionale
fittizio costituisce un modo di gestire un ricordo penoso di un evento
traumatico in maniera efficace”.
Possiamo affermare che i contenuti affettivi interni possono essere “letti”
attraverso l’esternalizzazione ma anche attraverso l’introspezione come ad
esempio fantasticherie, immaginazioni e sogni ad occhi aperti.

G. Bateson afferma che nel gioco si manifesterebbero due tipi di


metacomunicazione: l’inquadramento e la riflessività. Il primo ci permette
di distinguere se un comportamento è gioco o non gioco; il secondo ci fa
appunto riflettere in quale contesto culturale e sociale ci troviamo,
permettendoci di poter interpretare lo stesso evento in diversi modi, quindi
secondo quest’ottica potremmo definire il gioco come una simulazione che
prepara alla considerazione dell’alternativa.

Sicuramente il contributo principale inerente l’analisi del gioco infantile è


da attribuire a M. Klein, che già negli anni ’20 iniziò ad analizzare
il gioco del bambino intendendolo come “diretta e immediata espressione
dei processi inconsci”. I giochi prediletti furono acqua e plastilina, poiché
attraverso l’atto del plasmare il bambino proietta ed esternalizza il mondo
affettivo-interno proprio.
A. Freud riprenderà la tecnica del gioco klainiano, non condividendo con
quest’ultima la capacità di traslazione del bambino si concentrerà sulla
tecnica osservativa. Con D.W. Winnicott la tecnica del gioco si trasforma in
tecnica dello scarabocchio.

Il salto di qualità si avrà nei primi del ‘900 con M. Montessori che porrà le
basi per una ‘Pedagogia sperimentale e sociale’: “…compie il primo passo
fondamentale per poter costruire un'osservazione obiettiva dell’oggetto.
L’oggetto dell’osservazione non è il bambino in sé, ma la scoperta del
bambino nella sua spontaneità ed autenticità anche nel gioco. L’ambiente
in cui il bambino vive, si muove, gioca, apprende deve essere a misura di
bambino. […] In questo ambiente il bambino agisce interamente con il
materiale proposto, mostrandosi concentrato, creativo e volenteroso. Il
bambino trova un ambiente in cui potersi esprimere in maniera originale e
allo stesso tempo apprende gli aspetti fondamentali della vita
comunitaria”.
Si può concludere dicendo che il gioco oltre ad essere un predittore della
sfera psico-fisiologica è lo strumento che ci permette di acquisire autostima
e indipendenza e mantenere il benessere attraverso il processo di
incanalamento-scarica della tensione.

Il gioco innocente porta all’autostima.


Uso la parola “innocente” per indicare quella forma di gioco che compare
nella primissima infanzia. Attraverso il gioco simbolico si strutturalizza il
Sé, il bambino immagina di ricoprire i panni di un altro, indossando ad es.
le scarpe, vestiti, gioielli della madre ed atteggiandosi come lei oppure
rivestire il ruolo paterno imponendo regole, ecc... , cogliendo così le
differenze, le somiglianze e imparando a vedere il mondo in una prospettiva
diversa. In “Un genitore quasi perfetto” Battelheim riscontrò che in diverse
culture ed epoche venivano svolti gli stessi giochi, fondamentali per lo
sviluppo normale del Sé. Verso i 4-8 mesi attraverso il lancio degli oggetti il
bambino comprende che può allontanarli da sé. È fondamentale in questa
fase l’intervento della madre buona winnicottiana in quanto deve restituire
l’oggetto al bambino in modo che sufficientemente quest’ultimo possa
apprendere che può intervenire sull’ambiente, interagire con esso e
modificarlo. Con il gioco del no di W.R.D. Fairbairn che consiste nel dire
no con la testa il bambino impara a risolvere la frustrazione nata dai limiti
imposti dal caregiver. Il gioco del “Cucù-settete” che compare verso gli 8-
24 mesi può essere definito “rituale” in quanto si basa sul comparire-
scomparire e prepara a gestire la futura ansia da separazione. Con lo
sviluppo del linguaggio del bambino i giochi riguarderanno la corporeità
che porteranno alla denominazione e percezione delle varie parti del corpo.
E’ fondamentale per lo sviluppo dell’autostima che le figure di riferimento
per il bambino non manifestino sentimenti negativi (disgusto nel lavarlo,
cambiarlo…) nei suoi confronti.

Quando inizia il processo di individuazione (2-3 anni) il bambino possiede


le giuste capacità cognitive che gli permettono di controllare l’ansia da
separazione dalla madre o caregiver, grazie al supporto fornito dall’oggetto
transizionale winnicottiano. Di fronte alla sensazione di inadeguatezza
sperimentata dal bambino è fondamentale il ruolo materno nella
sdrammatizzazione del fallimento in modo da non comprometterne
l’autostima. Successivamente all’assimilazione delle norme genitoriali si
svilupperà il Super-Io ( 3-6 anni ) ed il sentimento del ‘senso di colpa’, in
questa fase il gioco si orienta sulla scoperta genitale e le differenze tra i due
sessi. Con la scolarizzazione diventa importante il gioco competitivo ma è
fondamentale che si sviluppi anche il concetto di gioco di squadra perché
insegna il rispetto per le regole, la collaborazione, a giocare il proprio ruolo
e la vittoria arriva solo se vengono rispettati tali assunti, permettendo lo
sviluppo del senso di appartenenza al gruppo.

Tipologie di gioco e nascita del gioco d’azzardo


Roger Caillois nel saggio “I giochi e gli uomini. La maschera e la
vertigine”
(1981) classifica i giochi secondo quattro criteri:
• “Vertigine (Ilinx): “include i giochi basati sulla ricerca della
vertigine, es. “montagne russe” del parco divertimenti”. [Ibidem]
• “Maschera (Mimicry): include i giochi di simulazione e
illusione, in cui prevale il travestimento”. [Ibidem]
• “Competizione (Agon): include i giochi di competizione”.
[Ibidem]
• “Sorte (Alea): include i giochi in cui ci si affida alla sorte, es.
gioco d’azzardo”. [Ibidem]
Proprio quest’ultima tipologia è quella che tratteremo, però, prima di
procedere è vitale soffermarci su una distinzione: mentre come si è detto in
precedenza il gioco infantile favorisce lo sviluppo delle attività cognitive
aprendo la strada all’esplorazione, alla creatività, all’interiorizzazione; il
gioco adulto non patologico o ‘ricreativo’ ha solo funzione ludica che
permette di distrarsi dal solito ‘tran tran quotidiano’ e recuperare la giusta
concentrazione da investire nelle attività future.

Alea è una parola di origine latina ed è correlata al gioco dei dadi. I primi
dadi venivano fabbricati con ossa animali e risalgono al 4000 a.C., attribuiti
a Sumeri, Assiri e Babilonesi. Scritti e ritrovamenti testimoniano che anche
i Romani erano un popolo di scommettitori: scommettevano sui
combattimenti dei gladiatori, sulle corse di bighe e quadriglie nei giorni
fasti, poiché erano quelli favoriti dalla dea Fortuna. Ma di questo parleremo
più ampiamente nel capitolo dedicato alle ludopatie.

Per far sì che vi sia una scommessa devono essere rispettati tre assunti:
• la puntata deve essere di valore;
• non sono ammessi ripensamenti;
• è il caso a designare il vincitore.

Di pari passo con la nascita del gioco d’azzardo è nata anche la propensione
a barare, ossia vincere non rispettando le regole, testimoniata dal
ritrovamento di dadi appesantiti da un lato. “Se il gioco dei dadi vanta la
storia più lunga, nei secoli a noi più vicini possiamo trovare la Roulette
inventata nel XVI secolo dal filosofo Blaise Pascal, mentre le slot-machine
nel 1895 da Charles Fay”.
L’ICD-10 ha inserito il gioco d’azzardo tra i disturbi delle abitudini e degli
impulsi. Mentre “Guerreschi ha proposto una classificazione dei giocatori
d’azzardo in sei tipologie ben definite: giocatori compulsivi con sindrome
da dipendenza; giocatori inadeguati senza sindrome da dipendenza;
giocatori sociali costanti; giocatori sociali adeguati; giocatori antisociali;
giocatori professionisti non patologici”
; A. Bonforte lo ha definito “…..come un’attività ludica che si caratterizza
per il rischiare una più o meno ingente somma di denaro, in vista di una
vincita in denaro, strettamente legata al caso e non all’abilità individuale”,
tripartendolo in:
• “quelli forniti di piena tutela giuridica: giuochi che addestrano al
maneggio delle armi e dai giuochi sportivi, e in tal caso il giuoco è
tutelato ed è fonte di obbligazioni giuridiche, perché si ritiene che la
società abbia interesse ad avere uomini validi o militarmente
addestrati”; [ibidem]
• “quelli limitativamente tutelati: giochi di limitata tutela, poiché il
vincitore non ha azione di giudizio per pretendere il pagamento della
vincita, ma il perdente non può ripetere la prestazione spontanea
eseguita”; [Ibidem]
• “quelli vietati: giochi che essendo socialmente dannosi sono
repressi penalmente”. [Ibidem]

Il giocatore d’azzardo patologico: problema nazionale o individuale?


Anche se il giocatore sociale spera in una potenziale vincita la motivazione
che sta alla base del suo comportamento è puramente ludica. Il giocatore
d’azzardo patologico diventa ‘schiavo’ del gioco stesso in quanto non riesce
ad allontanarsene e la sua motivazione non è più ludica bensì illusoria,
arriva a scommettere sempre somme più ingenti che lo portano a provare
“lo stato di eccitazione desiderato” vivendo nell’illusione di recuperarle
con una futura vincita.

Secondo quest’ottica direi che il giocatore è vittima di tre carnefici:


• il primo carnefice è il gioco stesso che lo rende schiavo;
• il secondo è la malavita, egli per giocare somme sempre più ingenti
è costretto a ricorrere all’usura: prestiti da parte di terzi o
finanziamenti;
• il terzo carnefice è il pregiudizio sociale dal quale pensa di
riscattarsi con la vincita illusoria.

Un recente studio americano risalente al 2014 ha preso in analisi dati


provenienti dal NESARC (National Epidemiologic Survey on Alcohol and
Related Conditions): fornisce un campione rappresentativo a livello
nazionale della popolazione adulta degli Stati Uniti, con l’obiettivo di
analizzare le differenze sociodemografiche sull’insorgenza del GAP (gioco
d’azzardo patologico), ha dimostrato “…che le persone provenienti da
coorti più giovani sembrano essere più a rischio di sviluppare insorgenza
precoce del GAP”
causata da uso di sostanze, impulsività, problemi sociali. “I governi, quindi,
oltre a tener conto dell’espansione del gioco d’azzardo, dovrebbero anche
prendere in considerazione le potenziali conseguenze negative di tale
espansione e attuare politiche di prevenzione per ridurre al minimo il
rischio di insorgenza di GAP”. [Ibidem]

L’indagine “Anziani Azzardo” pubblicata l’1 Marzo 2014 e condotta dal


gruppo Abele ha studiato quanto il gioco d’azzardo coinvolga la
popolazione over 65 di ben 15 regioni italiane (Abruzzo, Basilicata,
Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria,
Lombardia, Marche, Umbria, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto),
hanno aderito all’iniziativa 1000 persone ma solo 864 questionari sono
risultati analizzabili. Riporto in seguito parte del discorso tenuto da Enzo
Costa, presidente nazionale Auser per evidenziare la problematica cui i
giocatori patologici sottopongono sé e gli altri: “…Vogliamo far crescere tra
le persone anziane la consapevolezza di quanto possa essere facile cadere
nei rischi del gioco d’azzardo patologico che ha ricadute umane e sociali
pesantissime”. “L’ Auser, prosegue Costa, è in prima linea per risvegliare
nelle Istituzioni e nella Politica l’attenzione sul degrado a cui il gioco
d’azzardo espone le persone, le strade delle nostre città e dei paesi”
Leopoldo Grosso (vicepresidente del gruppo Abele) e Alberto Tomasso
(segretario generale della CGIL Piemonte) hanno messo in risalto come il
fenomeno abbia assunto una dimensione massiccia coinvolgendo
maggiormente pensionati a basso reddito, i disoccupati, i precari, i giovani.
Dai dati della ricerca è emerso che

il “30% circa dei giocatori over 65 predilige giochi come Lotto e


Superenalotto, il 26,6% Gratta e Vinci e lotterie istantanee, il 15%
il Totocalcio e Totip, il 10,2% i Giochi di carte a soldi, il 3,8%
Slot e Video lottery (Vlt). I luoghi più gettonati sono Ricevitorie e
Tabaccherie (44,9%), seguiti da Bar (24%), l’abitazione privata
(8%), i Centri commerciali (6,4%). Gli over 65 incontrati
dichiarano di giocare prevalentemente per Vincere denaro
(45,3%), per Divertimento (19,7%), per Incontrare persone
(8,8%). Le persone intercettate sono nel 51,6% uomini, nel 40,4%
donne. La classe più rappresentata è quella dei pensionati mentre
il titolo di studio più rappresentato è la licenza Media. Dalla
Canadian Problem gambling Index il 56,6% dei giocatori
rispondenti è risultato “non problematico”: si tratta di persone
che giocano d’azzardo, ma con abitudini che al momento non
comportano loro problemi economici, relazionali, legali o di
salute. Il 14,4% è risultato “a rischio” ovvero con presenza di
elementi problematici che potrebbero nel tempo evolvere in
situazioni più gravi. Per il 16,4%, invece, il gioco d’azzardo
sembra già rappresentare un problema di gravità medio/elevata e
che richiederebbe un intervento specialistico”. [Ibidem]

Il problema cardine è la “consapevolezza” di essere in una situazione di


rischio, perché pare che proprio chi è a rischio non si renda conto dei danni
che questa dipendenza che non implica l’assunzione di sostanze arrechi alla
propria vita.

In prima istanza sembrerebbe che la Nazione col gioco d’azzardo ci


guadagni ma è davvero così? Rifacendoci al Seminario “I costi sociali del
gioco d’azzardo” presieduto da Matteo Iori è emerso “come il gioco
patologico non sia un vantaggio per il nostro Paese. Il Parlamento Federale
Svizzero da tempo riconosce una percentuale specifica sulle entrate da
gioco (lo 0,5%) destinata alle attività di cura, prevenzione e ricerca sul
gioco d’azzardo. Per valutare i costi sociali sono state prese in
considerazione le seguenti voci:
1. costi sanitari diretti (ricorso al medico di base del 48% più alto
rispetto ai non giocatori, interventi ambulatoriali psicologici, ricoveri
sanitari, cure specialistiche per la dipendenza…);
2. costi indiretti (perdita di performance lavorativa del 28% maggiore
rispetto ai non giocatori, perdita di reddito…);
3. costi per la qualità della vita (problemi che ricadono sui familiari,
violenza, rischio di aumento di depressione grave, ansia, deficit di
attenzione, bassa resistenza ad altri tipi di dipendenze, idee suicidarie,
ossessione per il gioco e per i soldi necessari a giocare…)”.
Se dovessimo stillare un profilo che includa le caratteristiche del giocatore
d’azzardo problematico italiano adulto potremmo esprimerlo con una
parola: “poligambling”, cioè utilizza vari tipi di gioco d’azzardo, dedica
molto tempo al gioco e gioca molto frequentemente spendendo grandi
quantità di denaro. Sembrerebbe che il gentil sesso ricerchi il trattamento in
maniera maggiore e in anticipo, nonostante inizi a giocare tardivamente è
solito sviluppare la dipendenza più precocemente rispetto al sesso maschile.
I fattori scatenanti possono essere: lo stress, l’insoddisfazione, la
depressione. Privilegiano il gioco del bingo e le slot-machine; manifestano
una maggior prevalenza dei disturbi dell’umore e sono più soggette a
suicidi anche se risultano essere meno coinvolte in attività illegali.

Dall’1 Gennaio 2013 “il decreto Balduzzi prevede l’obbligo per i gestori
delle sale da gioco e di esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici,
ovvero di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, di
esporre all’ingresso e all’interno dei locali il materiale informativo
predisposto dalle Aziende Sanitarie Locali diretto ad evidenziare i rischi
correlati al gioco”
.
In Italia vige la normativa della “tabella dei giochi vietati”, che deve essere
esposta in tutti gli esercizi pubblici adibiti all’attività ludica per adulti.

Prevenzione
Solitamente si parla di prevenzione quando si vuole anticipare e bloccare la
diffusione di situazioni che possono compromettere la salute dell’individuo.
Ma il gioco d’azzardo è una malattia? Potremmo classificarla come una
malattia neuro-fisio-patologica ben definita e originata da un
comportamento compulsivo. Non tutti hanno la probabilità di esservi
soggetti, infatti colpisce solo le ”persone particolarmente vulnerabili e cioè
che presentano fattori individuali, amplificati e slatentizzati da fattori
socio-ambientali, importanti modificazioni dei sistemi quali la corteccia
pre-frontale (responsabile del controllo dei comportamenti volontari), il
nucleo accumbens-sistema della gratificazione, il sistema degli oppiodi
endogeni (implicato nella regolazione dell’ansia) e l’amigdala estesa
(importante drive dei comportamenti aggressivi e delle sensazioni legate
alla paura)” [Ibidem]. Mi soffermerò meglio su questo argomento
nell’ultima parte del trattato. In quanto patologia prevede delle fasi di
sviluppo che riassumerò riportando uno schema elaborato da Serpelloni,
2012.

Fasi che caratterizzano il decorso comportamentale del gioco d’azzardo


patologico. Rosenthal, 1992. Modificato da Serpelloni, 2012.

E come ogni malattia prima della completa manifestazione presenta dei


sintomi sentinella.
Sintomi sentinella registrati durante il percorso evolutivo da gioco
d’azzardo ricreativo a gioco d’azzardo patologico. Serpelloni, 2012

Seguendo la linea del Dott. Serpelloni G. possiamo individuare quattro tipi


di prevenzione:
- Selettiva indicata a soggetti che non sono ancora entrati nel
vortice del gioco d’azzardo, ma che “presentano un rischio
specifico di malattia superiore alla media, legato alla presenza di
fattori individuali e/o ambientali”
- Indicata è rivolta a quei soggetti che hanno fatto e continuano
a fare esperienza del gioco d’azzardo senza manifestare
dipendenza.
- Universale si rivolge a tutta la popolazione a scopo preventivo.
- Ambientale prevede la creazione di un ambiente (scolastico,
familiare…) coerente con le tematiche di prevenzione.

Possiamo concludere dicendo che “in letteratura le persone più a rischio


sono rappresentate da: bambini (3-12 anni) con deficit del controllo
comportamentale ed emozionale, adolescenti vulnerabili con presenza di
disturbi comportamentali e temperamenti “novelty seeking” (propensione
al rischio), persone con familiarità di gioco d’azzardo patologico, persone
giovani con disturbi del controllo dell’impulsività, persone con false e
distorte credenze sulla fortuna e sulla reale possibilità di vincita al gioco
d’azzardo, persone con problemi mentali o con uso di sostanze o abuso
alcolico, persone prevalentemente di sesso maschile (70%), persone
divorziate, adulti/anziani con carenti attività ricreative e socializzanti (anti-
noia) in quanto sono più soggetti a influenza pubblicitaria”. [Ibidem].
Sicuramente il non utilizzo di testimonial famosi e la riduzione pubblicitaria
porterebbero a una riduzione di tale influenza.

La letteratura scientifica ‘evidence based’, promossa dal Dott. Serpelloni,


ha evidenziato che: valorizzare positivamente il non giocatore; ridurre
l’impatto pubblicitario attraverso il controllo delle fasce orarie; ridurre la
pubblicità del gioco d’azzardo nei luoghi pubblici (strade, piazze, bar…);
non usare promoter minorenni (o tali in apparenza), famosi o fisicamente
attraenti; mettere in risalto come il gioco d’azzardo non sia una soluzione ai
problemi finanziari evidenziandone la probabilità di vincita e perdita; lo
slogan deve essere veritiero: deve informare la persona dei rischi salutari in
cui può incorrere (depressione, stress, ipertensione…), dei rischi legali
(debiti, criminalità…), dei rischi sociali (perdita della credibilità personale,
conflitti famigliari…); evitare slogan associati (pubblicizzare
contemporaneamente gioco, fumo, alcool…) e non deve trasmettere
messaggi emozionali (ricchezza, felicità…); aumentare i prezzi per
partecipare al gioco d’azzardo in quanto “è provato che la partecipazione a
basso costo fa aumentare l’accessibilità al gioco d’azzardo soprattutto per i
giovani”. [Ibidem]

ABUSO DI SOSTANZE.
“ A volte gli animali preferiscono iniettarsi le droghe […] piuttosto che
mettere in atto altre forme di comportamento positivo”.
Le teorie
“Gli animali sono in grado di apprendere a dare non solo risposte
arbitrarie che permettono loro di autosomministrarsi la stimolazione
elettrica cerebrale, ma anche di apprendere ad autosomministrarsi diverse
droghe” [Ibidem] poiché nella fase di condizionamento operante agiscono
da rinforzo, potenziando l’azione dell’acido y-aminobutirrico (GABA).
Secondo la teoria fisiologica proprio per questa caratteristica di rinforzo
comportamentale la droga motiverebbe l’uomo ad assumerla abusandone.
Dal punto di vista freudiano, come si evince nei “Tre saggi sulla teoria
sessuale”, il soggetto vivrebbe una fissazione allo stadio orale e
ricorrerebbe all’uso di sostanze perché non è in grado di staccarsi
dall’oggetto d’amore che è fonte di nutrimento e piacere alternativo in
quanto il soggetto non vede soddisfatti i propri bisogni primari. Secondo la
Teoria dell’Attaccamento la dipendenza da sostanze potrebbe essere
spiegata come la carenza da parte del caregiver e quindi il risultato di
patologie d’attaccamento elaborate da M. Ainswoth nella Strange
Situation. Secondo Kohut potremmo definirlo come incapacità della madre
di rappresentarsi come oggetto-Sé e di favorire la formazione del Sé
nucleare del bambino. Cancrini descrive il tossicodipendente come colui
che vive in una condizione di schiavitù rispetto a un carnefice: la sostanza.
Questo senso di schiavitù richiama il concetto di oggetto feticcio
winnicottiano che pone il soggetto in una condizione di dipendenza assoluta
in cui regna la fantasticheria allontanandolo da sé e dal mondo reale.

Un tuffo nel passato.


Da studi storici ed etnologici è emerso che l’uso di sostanze è un processo
continuo dell’evoluzione umana. Nelle popolazioni primitive poiché la
malattia psichica, causata dall’infrazione di un tabù, produceva alienazione
veniva interpretata come una fase in cui l’anima abbondona il corpo e la
guarigione seguiva un evento magico che prevedeva l’uso di veleni,
farmaci, chiaroveggenza. Con Gassner la malattia veniva divisa in naturale
e preternaturale; quest’ultima era opera del demonio, dovuta a stregoneria
e si poteva giungere alla guarigione solo compiendo un esorcismo in nome
di Cristo. Con il Magnetismo Animale di Mesmer si arrivava alla
guarigione attraverso la marea artificiale. Bernaim, massimo rappresentante
della Scuola di Nancy, e il neurologo Charcot, fondatore della scuola di
Selpetriére, spostarono la loro attenzione sull’ipnosi, in particolare sul
sonnambulismo e sullo stato di trance, in quanto vi vedevano un soggetto
attivo con stato di coscienza alterata, ponendo così a metà 800 le basi per lo
Spiritismo che porterà alla nascita della Parapsicologia. Degno di nota è il
popolo indigeno messicano dei Mazatechi con i suoi sacri funghi magici e
veladas. Quindi possiamo dire che “L’uso di sostanze psicoattive, lo
psicotropismo, è un comportamento comune negli animali, in particolare tra
i Mammiferi. In questo senso, lo psicotropismo può essere inteso come la
manifestazione più estrema della tendenza degli organismi superiori a
controllare e modificare gli stati di coscienza e gli eventi mentali.”
E’ facile notare come la connessione tra passato e presente nell’assunzione
di sostanze si basi su due concetti cardine:
• il benessere psico-fisico: l’azione è motivata dal bisogno di stare
bene;
• l’economia: le sostanze sono sempre state fonte di guadagno, basti
pensare alla I e alla II guerra dell’Oppio scoppiate rispettivamente nel
1839-42 e nel 1856-58, combattute da Cina e Inghilterra, conclusesi
con la disfatta cinese. Nella realtà odierna, a causa della crisi
economica che sta attraversando il nostro Paese, gli spacciatori hanno
deciso di farvi fronte mettendo sul mercato le baby-dosi.

Abuso di sostanze e criminalità


L’ ICD-10 descrive la dipendenza da sostanze come “un insieme di
fenomeni somatici, comportamentali e cognitivi in cui l’uso di sostanze o di
una classe di sostanze avviene da parte di un individuo con una priorità che
prevale su quelle che prima invece avevano un valore maggiore per la
persona”, quindi la caratteristica peculiare delle droghe consiste
nell’instaurare dipendenza, astinenza, tolleranza, causando disturbi
psicotici, d’ansia e dell’umore.

Possiamo distinguere gli utilizzatori delle sostanze in:


• Consumatori occasionali: coloro che vi ricorrono in modo
discontinuo, occasionale, per provarne gli effetti;
• Sperimentatori: coloro che vogliono provarne gli effetti per
semplice curiosità, ponendo inconsapevolmente i giusti presupposti
per una dipendenza futura;
• Tossicodipendenti: coloro che sentono la necessità di assumere la
sostanza, l’azione non è dettata dalla volontà ma dalla necessità. Pur
restando in grado di mantenere il proprio lavoro, status sociale e
relazioni affettive;
• Tossicomani: coloro che a causa della sostanza perdono il contatto
con la realtà, la sostanza diventa la loro unica ragione di vita,
sperimentano dipendenza psico-fisiologica. I tossicomani vivono in
una condizione di indifferenza sociale, perdendo interesse per ogni
obiettivo appetibile che la vita sociale offre loro.

Spesso le droghe, in particolare cocaina o crack, vengono assunte per


commissionare crimini fungendo così da rinforzo alla prestazione, basti
pensare alle gang di centauri che commettono rapine “on the road”.

Secondo G. Ponti la relazione droga-criminalità è ascrivibile a quattro


livelli:
1. Criminalità diretta: il reato è commissionato dalla stessa sostanza
assunta.
2. Criminalità da sindrome di carenza: il reato è causato dallo stato
psico-fisico dell’astinenza.
3. Criminalità indiretta: sembrerebbe essere collegata maggiormente
all’eroina in quanto incentiva un’assunzione continua rendendo il
soggetto incapace di condurre una vita normale a causa del proprio
stato psico-fisico.
4. Criminalità e ambiente: vi sono particolari aree urbane in cui regna
l’illegalità e quindi più esposte a crimini.

L’Art.85 del Codice Penale afferma che “Nessuno può essere punito per un
fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha
commesso, non era imputabile”, l’Art.88 c.p. prevede il vizio totale di
mente, però gli Art.92 e 93 c.p. stabiliscono la non imputabilità del soggetto
che ha commesso l’atto sotto l’effetto di sostanze in quanto si presume che
al momento dell’assunzione fosse pienamente cosciente delle proprie azioni
momentanee e future. L’assunzione della sostanza che funge da rinforzo
all’azione criminale è considerata un’aggravante, invece l’intossicazione
cronica può influire sull’imputabilità del soggetto. Per la legge italiana il
tossicodipendente è un criminale? Lo è se compie reati imputabili dalla
legge, non lo è se ha dosi tali da poter stabilire un consumo personale, lo è
se contribuisce allo spaccio di sostanze illegali.

Modalità di assunzione e tipi di sostanze.


L’uso sperimentale delle sostanze è molto precoce, ciò causa danni sia a
livello psicologico in quanto influiscono negativamente sugli aspetti della
personalità, dell’ autostima, della self-efficacy che si consolidano in questo
periodo; che fisiologico compromettendo i processi di memoria,
apprendimento, motivazione… E’ stato scientificamente dimostrato che
disturbi comportamentali e deficit attenzionali rendono l’adolescente più
soggetto alla dipendenza. Si inizia con l’assunzione di soft ed energy drink
mixati a superalcolici creando senza neanche saperlo sostanze psicoattive,
per poi sperimentare sostanze, quali: THC, cocaina, amfetamine, aprendo la
strada al policonsumo.

Si stanno diffondendo sempre più le smart drugs acquistabili


telematicamente negli smart shop e la convinzione che queste droghe siano
legali e innocue, ma studi di laboratorio hanno dimostrato che sono
altamente tossiche. L’assunzione di droghe è associato alle attività ludiche e
sembra necessario per socializzare in quel determinato contesto. La crisi
economica ha portato all’aumento dell’attività criminale e della
prostituzione per procurarsi il denaro necessario per l’acquisto delle droghe,
invece per chi l’assunzione della sostanza non rappresenta un disturbo
compulsivo a causa della ridotta disponibilità economica è costretto a fare
abbuffate occasionali, specialmente nei week-end, ricorrendo anche ai binge
drinking.
Grazie all’analisi condotta, su reperti di cocaina sequestrata, dalla
Tossicologia Forense dell’Università Cattolica è stato scoperto che per
aumentarne l’effetto la cocaina viene contaminato da farmaci, come il
levamisolo (per uso veterinario e oncologico) che causa ‘purpura’ e
l’idrossizina.

La cocaina è un predittore dello status sociale elevato, probabilmente è


questa la ragione per la quale suscita un vivido interesse, anche Freud nel
saggio “Sulla Cocaina” racconta il suo interesse per questa sostanza e per
gli effetti che suscita: somministrandola ai propri pazienti e assumendola in
prima persona.

Tra i farmaci si sta diffondendo sempre di più l’uso dell’acido gamma-


idrossibutirrico (GHB), noto come “droga dello stupro” proprio per le sue
caratteristiche: essere incolore, inodore e insapore o con un leggero gusto
salato. Può venir aggiunto nella bevanda senza che la sua presenza venga
avvertita. Questa sostanza viene usata per trattare i disturbi del sonno
(narcolessia) poiché agisce sui recettori GABAergici, dosi elevate causano
morte o coma. Ma oltre ad essere assunta per i suoi effetti euforizzanti può
anche essere somministrata a terzi con lo scopo di raggirarli o abusarne
sessualmente, per quest’ultimo obiettivo possono essere somministrati
anche il butanediolo (BD) ed il gammabutirolattone (GBL).

Le metanfetamine sono “farmaci del piacere” perché per la loro


conformazione riescono ad entrare nelle cellule nervose per mezzo del
flusso sanguigno, permettendo il rilascio di dopamina che genera “rush”
(piacere intenso). Agisce sulla corteccia cerebrale, sul sistema limbico e
sulla base del cervello. Attraverso la stimolazione della corteccia cerebrale
aumenta il senso di energia, di euforia e altera la capacità di pensiero.
Agendo sul sistema limbico altera il comportamento istintivo della
sopravvivenza, invece agendo sulla base del cervello influisce sulla
respirazione, sul battito cardiaco, sul senso di fame e sul sonno.
L’assunzione durante una gravidanza porta a parti prematuri, mentre quella
a lungo termine causa paranoia, allucinazioni, calo ponderale, ictus, disturbi
dell’umore, ecc.…

La Cannabis è definita una sostanza “gate way” perché spiana la strada


all’assunzione di eroina e cocaina. Tra i cannabinoidi spicca il JWH-250, “i
suoi effetti sono stati descritti come molto simili a quelli della cannabis, con
durata più breve ma di intensità maggiore; l’Istituto di Medicina Legale
dell’Università di Verona, ha identificato il JWH-019 in miscele di erbe
denominate “Lucy””
L’oppio si ottiene dal lattice essiccato dei semi del Papaver Somniferum, i
suoi derivati più conosciuti sono l’eroina e la morfina che a livello cerebrale
agiscono sulle endorfine intensificandone gli effetti alterando i
comportamenti emotivo e motivazionale.

L’eroina può essere assunta attraverso inalazione dei fumi o sniffing. Per
strada può assumere diversi nomi, tra cui: roba, sugar, biancaneve…

In caso di un’assunzione eccessiva di oppiacei si può incorrere in


‘overdose’ (che può essere contrastata dal Narcan) perché agendo da
sedativo sui centri respiratori può causare coma o asfissia. La Sindrome di
astinenza “è estremamente spiacevole ma raramente mette in pericolo la
vita. I sintomi così spiacevoli e la possibilità di evitarli sono un importante
fattore nel continuare la dipendenza. Si manifesta in seguito alla mancata
assunzione di oppiacei dopo un'assuefazione anche di poche settimane.
Compare dopo 8-16 ore dall'ultima assunzione di eroina e va
progressivamente intensificandosi nei primi 2-4 giorni per poi attenuarsi e
scomparire nel giro di 5-8 giorni. Segni di astinenza sono: pupille dilatate,
naso che gocciola, ansia e irritabilità, sbadigli, irrequietezza, mancanza di
appetito, sudorazione intensa, insonnia, lacrimazione, palpitazioni, tremori
muscolari, nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, pelle d'oca, crampi
muscolari. La dose letale minima di eroina è di 200 mg. [..] In assenza di
tolleranze dosi tossiche sono 30 mg (intravena) o 40-100 mg (via orale)”.
Molti adolescenti per nascondere l’uso di droga ricorrono a numerosi
espedienti: “acquistare urine sintetiche per falsificare drug test, utilizzo dei
colliri per non far scoprire l’arrossamento congiuntivale dopo aver fumato
cannabis…”
La fascia di età più interessata è quella tra 18-24 anni, ed è stato riscontrato
che l’uso di cocaina associato ad altre sostanze porta alla manifestazione di
comportamenti aggressivi, mentre l’aumento dell’uso della cannabis ha
portato a disturbi psichiatrici di tipo dissociativo. Anche se con le nuove
droghe non c’è più la necessità di inietto, la promiscuità dei rapporti
sessuali non protetti è la causa principale di trasmissione delle malattie
infettive, quali: HIV, epatite B, C ecc..

Anche se: “in Italia, le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla


vigilanza ed al controllo del Ministero della Salute sono raggruppate, in
conformità ai criteri di cui all’articolo 14 del DPR 309/90, in due tabelle,
allegate al testo unico. Il Ministero della Salute stabilisce con proprio
decreto il completamento e l’aggiornamento delle tabelle con le modalità di
cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), numero 2). Le tabelle di cui al
comma 1 devono contenere l’elenco di tutte le sostanze e dei preparati
indicati nelle convenzioni e negli accordi internazionali e sono aggiornate
tempestivamente anche in base a quanto previsto dalle convenzioni e
accordi medesimi ovvero a nuove acquisizioni scientifiche”
, va sottolineato che le triptamine nonostante la loro pericolosità per
l’organismo non rientrano nelle Tabelle del D.P.R. 309/90 e s.m.i.
L’alfa-Metiltriptamina (AMT) è una sostanza sviluppata nella ricerca di anti
depressivi, acquistabile on-line e ricercata dai giovanissimi per le sue
proprietà psichedeliche: “viene riportato il caso di un paziente (maschio, 17
anni) giunto in ospedale in ambulanza e con effetti simpatomimetici dopo
ingestione di AMT. Il soggetto era stato trovato quasi completamente nudo,
mentre correva e gridava, e non presentava storia medica o psichiatrica
precedente. In pronto soccorso erano presenti tachicardia (160 battiti/min),
estrema sudorazione (con temperatura di 37,28°C), e pupille midriatiche di
6-7 mm, reattive. Il resto degli esami fisici risultava nella norma, e il
paziente era stato immediatamente sedato con 6 mg di lorazepam
intramuscolo. I test di laboratorio di routine erano normali, così come
l’analisi del fluido cerebrospinale e la TAC cerebrale. Le analisi delle urine
risultavano negative per cannabinoidi, cocaina, amfetamine e fenciclidina.
Il giorno successivo il soggetto indicava l’assunzione di AMT, acquistata in
Internet (3 grammi al costo di 150 $US), con incluse le istruzione per
l’insufflazione di 100 mg. Il paziente riporta tuttavia di aver ingerito la
polvere anziché assumerla per inalazione, con comparsa di sintomi dopo 15
min. Gli autori concludono che l’assunzione di AMT comporta tachicardia,
sudorazione, agitazione e allucinazioni e suggeriscono terapia di supporto,
inclusa la sedazione con benzodiazepine”
.
La 4-AcO-DMT, altrimenti conosciuta come Psilacetin, 4-Acetoxy-DMT, è
una triptamina sintetica non inclusa nelle Tabelle del D.P.R. 309/90 e s.m.i.,
la sua assunzione porta dapprima difficoltà verbale, spaziale, stato di
confusione, poi si assiste ad un miglioramento dell’umore, modificazione
nella percezione dell’ambiente circostante (l’ambiente assume i colori e le
forme di un cartone animato), gli oggetti si animano, al termine dell’effetto
si sperimenta una condizione di apatia, senso di morte. Nel 2001, in un
prodotto commerciale bulgaro chiamato “Zoom” sono state identificate
tracce di questa molecola.

Il 5-HTP (5 Idrossitriptofano) facilmente reperibile su Internet viene


venduto ai potenziali acquirenti come estratto naturale della pianta
Griffonia Simplicifolia che grazie ai suoi effetti farmaceutici agisce sui
circuiti serotoninergici. L’assunzione della molecola non comporta effetti
stimolanti ma senso di leggerezza, propensione alla socialità e sensazioni
positive. In Italia anche la molecola 5-HTP non risulta inclusa nelle Tabelle
del D.P.R. 309/90 e s.m.i., ma nel 2001 in Germania sono state sequestrate
capsule contenenti la suddetta molecola.

Prevenzione
Seguendo le linee guida del “Piano di Azione Europeo” per attuare un
programma di prevenzione efficace bisogna: ridurre la domanda
prevenendo il consumo delle sostanze ed il manifestarsi del comportamento
nocivo, contenendo la diffusione di malattie infettive, ottimizzare l’efficacia
degli interventi delle terapie, favorendo la riabilitazione, riducendo la
stigmatizzazione sociale; ridurre l’offerta combattendo la criminalità
organizzata, bloccando il narcotraffico ed il riciclaggio di denaro;
cooperazione tra i paesi europei e le organizzazioni internazionali;
informare ed educare la società sull’uso ed eventuali rischi causati dal
contatto con le sostanze stupefacenti, rendendola partecipe alle iniziative
antidroga; promuovere la ricerca scientifica in termini di stupefacenti
illegali, in modo da poter controllare meglio gli effetti delle nuove droghe
sintetiche.
Questo messaggio educativo/informativo si può trasmettere nei contesti
scolastici perché la prima fase di vita, che va dai 0 ai 20 anni, è quella più
importante per lo sviluppo cerebrale, infatti, in questo periodo si sviluppano
le funzioni cognitive come la capacità di giudizio, apprendimento,
memoria, gratificazione… l’assunzione di droga in una fase così delicata
causa danni a livello del sistema limbico (deputato alle emozioni), zone
della corteccia cerebrale e in particolar modo dei lobi prefrontali (adibiti al
controllo degli impulsi e reazioni).

Possiamo concludere dicendo che anche se non è facile, a causa della scarsa
informazione e delle sovvenzioni statali, si può prevenire un fenomeno così
diffuso, perché come dimostrano le ricerche scientifiche nazionali, europee
ed internazionali ci sono fattori predittivi della dipendenza: genetico,
ambientale, psichico. Va sfaldato il mito del ‘solo una volta’: molti ragazzi
credono che assumendo queste sostanze solo una volta non siano così
nocive, la realtà è ben diversa: è lo stesso aggettivo ‘psicoattivo’ che
dovrebbe farci riflettere sulla loro ‘aggressività’ neurologica, poiché
agiscono sui circuiti del SNC (Sistema Nervoso Centrale) interferendo con
la produzione dei neurotrasmettitori, favorendo un aumento delle sinapsi,
producono assuefazione facendo entrare l’organismo nel vortice della
dipendenza.

DIPENDENZA SESSUALE

Interpretazione dinamica
Alla base della teoria freudiana c’è il concetto di “libido” inteso come forza
attraverso cui si manifesta l’istinto sessuale. Quest’ultimo, ossia
“l’instinkt”, è il comportamento animale fissato geneticamente che
provvede alla conservazione della specie e alla conservazione individuale.
Disfunzioni a livello istintuale comportano:
• Inversione sessuale: per cause esterne o interne il soggetto non
riesce a trovare il suo oggetto normale, così investe la libido su un
oggetto sostitutivo portando a una deviazione dell’oggetto sessuale;
• Perversioni sessuali: viene deviata la finalità sessuale.
La nevrosi viene interpretata come immagine negativa della perversione
perché il sintomo nevrotico non solo riproduce ma è anche la conseguenza
della componente perversa inerente l’istinto sessuale.

La vita psichica è regolata da due principi: il principio di piacere e il


principio di realtà. Nel primo si ricerca l’appagamento immediato del
bisogno, questo è quello che avviene nella masturbazione infantile, durante
la fase fallica, che vede il bambino come un “perverso polimorfo”. È un
processo di sviluppo del tutto naturale in quanto il suo fine ultimo è proprio
il soddisfacimento; il secondo è tipico della fase adulta, l’appagamento si
ottiene agendo sulla realtà.

Mentre nella fase di ‘narcisismo primario’ non vi è alcuna forma di


patologia, nel ‘narcisismo secondario’ la patologia può sfociare in
“psicoticismo” (investe la libido sull’Io) o “nevroticismo” (investe la libido
sugli organi interni).

Per Fairbairn è la spinta intrinseca all’Io dettata dalla motivazione a guidare


il soggetto nel trovare un oggetto d’appoggio. La particolarità di questo
autore risiede nell’uso del termine “dipendenza”, riferita non solo allo
stadio infantile, ma anche allo stadio adulto, pur con valenza significativa
diversa. Nella dipendenza adulta l’oggetto verso cui relazionarsi non è più il
seno materno, ma gli organi genitali eterosessuali, a questo punto resta da
spiegare perché Fairbairn parli ancora di dipendenza in una fase adulta,
dove è stata conquistata l’autonomia: “la capacità di avere rapporti implica
necessariamente una dipendenza di un certo tipo”. Come la Klein (però lei
parla di posizione volendo indicare dei modi naturali di rapportarsi
all’oggetto), Fairbairn arriva a individuare due patologie: quella schizoide
in cui il bambino è convinto di aver distrutto l’oggetto amato con il suo
amore, quella depressiva in cui il bambino presenta ambivalenza
sentimentale di amore/odio, nei confronti dello stesso oggetto nutrendo un
senso di colpa per la paura di aver danneggiato con il proprio odio l’oggetto
amato provocandone la perdita. Winnicott usa il termine dipendenza per
indicare la fase di sviluppo in cui il bambino crede di essere in unità con la
madre che deve adempiere alla funzione di “holding”, “handling” e “object
presenting”, carenze ambientali possono condurre a quadri patologici.
Anche per Ferenczi la patologia è dovuta a carenze affettive precoci che
devono in qualche modo essere compensate. Per Reich la salute coincide
con la “potenza orgasmica”, “capacità di arrivare al pieno
soddisfacimento sessuale” [Ibidem]. In questa chiave di lettura è la “stasi
sessuale” a causare la nevrosi, mentre l’orgasmo gioca un ruolo
fondamentale nel processo di accumulo-scarica dell’energia sessuale
permettendo la rivitalizzazione dell’energia psichica.

Secondo alcuni, la “corazza caratteriale” bloccherebbe l’energia biologica


dando origine a diverse forme di carattere:
• carattere isterico: caratterizzata da una “spiccata sfumatura
sessuale” [Ibidem] che prevede la fuga nel momento dell’atto
sessuale, poiché è fonte di angoscia;
• carattere coatto: si cercano di contenere la rabbia e l’aggressività,
anche se viene lasciato libero sfogo a certi impulsi aggressivi
giustificati dal senso di colpa che ha l’obiettivo di suscitare disagio
altrui;
• carattere masochista: ricerca negli altri un amore assoluto ricco di
attenzioni perché ossessionato dalla paura di venire abbandonato,
trascurato, annichilito;
• peste emozionale: tipico di chi ricorre al sadismo e alla pornografia
per la paura di provare piacere, “traendo dalla fama di piacere non
soddisfatto l’energia per sostenersi”; [Ibidem]
• carattere genitale: la genitalità e la libido vengono investite su un
oggetto eterosessuale, qui l’aggressività può essere innocuamente
incanalata e appieno manifestata durante l’atto sessuale.

Tra le varie dipendenze sessuali ne tratteremo in particolar modo una: la


pornografia. Prima di entrare nel pieno della trattazione di quest’ultima è
bene fare alcune precisazioni. Nell’ICD-10 non è presente la diagnosi di
dipendenza sessuale, però nella sezione “Disturbi sessuali e dell’identità di
genere” nel DSM-IV-TR troviamo la categoria delle parafilie, in cui si
riscontrano comportamenti comuni con la dipendenza sessuale:
voyeurismo, esibizionismo, froutterismo. Il termine dipendenza viene usato
per indicare uno stato di disagio che emerge nel rapporto con il ‘partner-
oggetto’. La dipendenza sessuale non ha ripercussioni solo sulla sfera
individuale ma anche su quella sociale. Il dipendente sessuale non vive il
sesso come ‘relazione intima sana’ ma come ossessione che può
manifestarsi con diversi comportamenti: rapporti sessuali occasionali con
prostitute, masturbazione, esibizionismo, voyeurismo, visione del materiale
pornografico…, rischiando il contagio di malattie sessualmente
trasmissibili.

Secondo il punto di vista del filosofo Ogien il materiale pornografico per


essere considerato tale deve rispecchiare cinque criteri:
1. “Intenzione dell’autore di stimolare sessualmente il consumatore”;
2. “Reazioni affettive o cognitive del consumatore (positive:
eccitazione sessuale, piacere, etc.; negative: disapprovazione, disgusto,
etc.)”; [Ibidem]
3. “Reazioni affettive o cognitive del non consumatore (probabilmente
solo negative)”; [Ibidem]
4. “Tratti stilistici (ad es. ripetute scene di penetrazioni, primi piani sui
genitali, etc.)”; [Ibidem]
5. “Tratti narrativi (ad es. “disumanizzazione” dei personaggi)”.
[Ibidem]
“I primi tre criteri vengono ritenuti “soggettivi” perché fanno riferimento a
stati affettivi personali, mentre gli ultimi due vengono ritenuti “oggettivi”
poiché si riferiscono alla forma e al contenuto della rappresentazione”.
[Ibidem].

Evoluzione storica della pornografia.


Il rinvenimento di graffiti che riproducono soggetti umani in atteggiamenti
riproduttivi fanno attribuire la nascita della pornografia al Paleolitico.
Questo tipo di arte la si ritrova anche in altri popoli: Egizi, Maya, Romani.
Sembrerebbe che questi ultimi commissionassero dipinti ritraenti corpi
seminudi o nudi da esporre in stanze private, accessibili a pochi. La Chiesa
condannava questo tipo di produzione artistica perché ritenuta amorale ed il
corpo femminile in pose provocanti infrangeva i dogmi ecclesiastici, in
quanto ritenuti osceni, scabrosi. Salvador Dalì aderì immediatamente al
movimento surrealista poiché vi vide la possibilità di far emergere le
proprie pulsioni inconsce, ne è l’eclatante manifestazione il dipinto a olio
intitolato “Le Grand Masturbateur” , realizzato nel 1929.
Fig.4 Salvador Dalì “Le grand masturbateur”, 1929

Osservando attentamente subito salta all’occhio il contrasto “turgido-


flaccido”, numerose sono le immagini che rimandano a simboli fallici,
notevole importanza riveste la figura del leone africano poiché gioca
sull’ambivalenza “libido-castrazione” tipica del complesso edipico
freudiano: la lingua rossa del leone protesa verso l’alto si riferisce all’atto di
erezione, la criniera rievoca l’immagine di Medusa che in chiave di lettura
freudiana simboleggia l’incombente minaccia della castrazione. Anche lo
stesso Picasso non si esenta dalla produzione di questo tipo di arte, anzi,
possiamo affermare che egli sarà l’anticipatore della tecnica
cinematografica pornografica. Nelle differenti versioni rielaborate dallo
stesso Picasso del quadro di Manet “Le Déjeuner sur l’herbe” rappresenta
la stessa scena in sequenza, proprio come se stesse creando delle diapositive
da unire in un tutt’uno: “flipbook”. La legge italiana e la religione
considerano il genere pornografico come qualcosa di osceno che deve
essere vietato, così i produttori italiani producono il materiale per
commercializzarlo in altri paesi. La malavita organizzata americana si rende
conto che il genere pornografico è una cospicua fonte di guadagno, così ne
gestisce la proiezione e distribuzione in circoli privati. Nel 1970 la
California abroga il divieto di produzione e realizzazione di film
pornografici, nello stesso anno viene distribuito legalmente il primo
filmato: “Mona”. “Gola profonda” nel 1972 diventa un vero e proprio
“cult” del porno, qui si incontrano due generi: commedia e pornografico.
Nel nostro Paese vengono prodotti numerosi film per l’estero distribuendo
in Italia solo filmati erotici o “soft”, in quanto il censore accetta solo questi
ultimi. L’avvento del VHS stravolge il mercato cinematografico perché con
le videocassette lo spettatore può comodamente vedere i filmati tra le
proprie mura domestiche, abbandonando così le sale cinematografiche. Il
vero stravolgimento si ha con Internet che permette l’introduzione del
cinema amatoriale, andando a discapito della pornografia professionale.
Internet permette al soggetto di accedere ad un maggior contenuto di
materiale pornografico, a prezzi sempre più modici, e in totale riservatezza.
Dal ‘900 fino ai giorni nostri il genere “vintage” si è evoluto nelle più
svariate forme: modello “chic”, gay, transessuale, bizzarro (include
feticismo e sadomasochismo), gang-bang (rapporti multipli), gonzo o
demenziale (lo stesso regista si riprende affiancato da giovani principianti),
pregnant, zoofilo, mature, ecc… Agli arbori il genere porno era considerato
perverso, oggi si assiste sempre più a una liberalizzazione: il porno non è
più un tabù.

Cybersex e criminalità.
La parola “cybersex” racchiude una serie di comportamenti basati sul sesso
e sull’ausilio del computer o di qualsiasi strumento tecnologico che
permette di instaurare una connessione Internet: le persone possono cercare
video, foto, audio, attraverso i software di chat e social network le persone
oltre che chattare possono anche vedersi e interagire in tempo reale tramite
webcam. Cooper, in: “Sexual addiction & compulsivity”, distingue tra
“attività sessuale online” e “problema sessuale online”. Con la dicitura
“attività sessuale online”, l’autore intende l’utilizzo di Internet (tramite
testi, audio, video e file di immagini) per tutte le attività che riguardino la
sessualità umana. Il Cybersex è un’attività sessuale online, gli individui
utilizzano Internet per intraprendere attività sessuali eccitanti e/o
gratificanti, come: visionare materiale erotico, utilizzare chat erotiche per
condividere fantasie sessuali e nel frattempo entrambe le persone si
masturbano, scambiarsi immagini esplicitamente sessuali per e-mail. Un
problema sessuale online può manifestarsi dopo la messa in atto ripetitiva
ed incontrollata di comportamenti sessuali online e potremmo definirlo
come l’utilizzo continuo di contenuti digitali (testi, suoni o immagini
ottenuti dal software del computer o qualunque loro combinazione),
fondamentali per la stimolazione e/o la gratificazione sessuale da parte di
un utente che presenta difficoltà nell’intraprendere un normale rapporto
sessuale con l’altro. Delmonico, Griffin e Moriarity si riferiscono al
Cybersex col nomignolo CyberHex, Hex indica la sua capacità nel captare il
soggetto distogliendolo dalla realtà, facendolo vivere come in uno stato di
trance. Secondo gli autori le caratteristiche del CyberHex sono:
• intossicazione: il soggetto vive in una dimensione non reale,
proprio come accade nella dipendenza da sostanze, con l’accezione
che in questo caso si ha la “dipendenza senza droga”;
• isolamento: l’unica relazione che il soggetto ha è col computer e
con il materiale pornografico mostrato in esso, a scapito delle “sane”
relazioni interpersonali;
• integralità: l’uso di Internet è all’ordine del giorno, lo si usa
quotidianamente per inviare e-mail, fare ricerche, giocare…;
• imposizione: sembra che sia impossibile vivere senza Internet, quasi
come se il suo uso rientrasse nei costumi dettati dalla società;
• interattività: le persone decidono con chi interagire e a quali attività
dedicarsi;
• economicità: si può accedere ad una vasta gamma di materiale ed
informazioni a costi modici o non costi in quanto locali, comuni
mettono a disposizione reti libere.

Secondo la classificazione fatta da Cooper e colleghi abbiamo:


1. utilizzatori ricreativi, accedono a materiale pornografico spinti
dalla curiosità e non presentano patologie;
2. compulsivi sessuali, a causa del loro modo patologico di
approcciarsi all’atto sessuale, probabilmente imputabile a vissuti di
violenza infantile, disturbi d’ansia, della personalità e dell’umore,
isolamento sociale…, internet è l’unico strumento in grado di
soddisfare le loro attività compulsive;
3. utenti a rischio sono tutti quei soggetti che hanno già sviluppato
una forma di dipendenza sessuale;
4. depressi, l’uso di Internet permette loro di sperimentare il senso di
controllo che manca nella loro vita reale. Attuano comportamenti che
richiamano il ‘carattere isterico’ di Reich.
Secondo Carnes esisterebbero soggetti predisposti, ossia persone che hanno
coltivato per anni fantasie sessuali e la scoperta del cybersex li ha portati a
mettere a nudo queste fantasie mai messe in atto prima.
La dipendenza da Cybersex porta il soggetto a distaccarsi notevolmente
dalla realtà in quanto questi assume l’identità del Sé Ideale, vivendo in uno
stato di assoluta riservatezza, come se vivesse una doppia vita, che
compromette i rapporti affettivi e amicali, l’incapacità di vivere la propria
intimità in rapporti off-line comporta una diminuzione del desiderio
sessuale verso il proprio partner, la diminuzione del sonno durante le ore
notturne investite nelle chat compromette la prestazione lavorativa e
l’umore. Il partner, di fronte a tanta riservatezza e rifiuto, può incorrere in
sentimenti, quali: perdita dell’autostima, sospetto, sfiducia, depressione,
ecc. spesso superati con relazioni sentimentali extraconiugali, divorzi,
comportamenti aggressivi…
Le vittima del Cybersex non è solo il dipendente bensì l’intera famiglia. Le
conseguenze inerenti il rapporto col partner le ho affrontate sopra, ora
vogliamo soffermarci maggiormente sull’ anello debole della catena: i figli.

Questi ultimi vengono investiti affettivamente sempre meno da entrambi i


partner, infatti mentre il dipendente concentra le proprie risorse sul mondo
virtuale, il partner vive in una condizione di distrazione affettiva e apatia
per il malessere che sta vivendo. I bambini sono esposti ad un ambiente in
cui:
- vige una relazione malata tra i coniugi, i litigi sono intensi e ripetuti;
- sono più soggetti a venire in contatto precocemente con materiale
pornografico;
- possono assistere all’oggettificazione della partner virtuale da parte
del genitore dipendente o all’atto masturbatorio.

Il bambino sperimenta sentimenti negativi come rabbia, odio, vergogna,


confusione circa le dinamiche e i valori inerenti la vita matrimoniale, sente
la necessità emotiva di maturare precocemente (mi riferisco a livello
psicologico) per sostenere i propri genitori, invertendo così i ruoli e le
dinamiche del concetto ‘base sicura’ su cui è incentrata l’attachmet theory,
minando la capacità di cognizione sociale, relazionale e affettiva.

È stato dimostrato che più del 50% dei soggetti affetti da dipendenza
sessuale commette reati a sfondo sessuale. L’Associazione Italiana per la
Ricerca in Sessuologia ha condotto sul territorio nazionale una ricerca con
lo scopo di rilevare la presenza della dipendenza in Italia e dei soggetti a
rischio. Sono stati somministrati 1556 questionari, “Sexual Addiction
Inventory” (SAI/2) del Dott. Franco Avenia, però ne sono stati convalidati
per l’analisi solo 1046. Il metodo di rilevazione utilizzato era l’inchiesta sul
campione casuale a domanda chiusa e risposta scritta. Di seguito riporterò i
risultati.

“La Dipendenza da Sesso in Italia è risultata presente in misura del 5,8%.


• L’ 8,3%, poi, dei soggetti intervistati presenta una situazione limite
(borderline).
• In relazione al sesso, la Dipendenza è del 10% negli uomini e del
2% nelle donne, mentre la situazione limite (borderline) è del 13,6%
negli uomini e del 3,8% nelle donne.
• Per quanto riguarda l’età, i valori più alti si riscontrano nella fascia
tra i 36 ed i 50 anni con il 6,8%, segue la fascia <26-35 con un valore
medio del 5,65% e i soggetti oltre i 50 anni con il 2,8%.
• La fascia d’età più a rischio di Dipendenza (situazione borderline) è
invece quella che va dai 18 anni ai 35, con una media dell’10,8%, che
si restringe sostanzialmente scendendo al 5-6% dai 35 ad oltre 50.
• Relativamente al titolo di studio, si osserva una presenza più
significativa di Dipendenza (9,9%) in coloro che hanno un diploma di
licenza media inferiore, che scende progressivamente al 6,8% per i
diplomati alle medie superiori, al 5,1% per i diplomati all’università e
al 4,7% per i laureati.
• La più alta percentuale di rischio di Dipendenza (situazione
borderline) si osserva tra coloro in possesso di licenza media superiore
(13%), valore quasi doppio rispetto alla media dei diplomati
all’università e dei laureati (6,9%).
• La Dipendenza da Sesso è poi maggiormente presente (8%) tra i
single, rispetto a coloro che hanno una partner fissa (5%), e tra i single
è più presente tra coloro che sono stati sposati (23% separati/e e
vedovi/e) rispetto ai celibi/nubili (7%).
• La Dipendenza da Sesso nel territorio italiano: nord 39%; centro
32,5%; sud 31,5%.

Appendice alla ricerca: 60 detenuti presso la Casa di Reclusione di Opera -


Milano. La ricerca si è poi estesa a 60 detenuti maschi, presso la Casa di
Reclusione di Opera, di Milano. La Dipendenza da Sesso è risultata doppia
(12%) rispetto alla media nazionale (6%) e superiore del 2% rispetto al
campione maschile (10%). La situazione limite (borderline) è emersa
superiore di 6 punti (17%) rispetto alla media nazionale (11%). La droga
prevalentemente assunta dai detenuti dipendenti da sesso è la cocaina
(16%); eroina (6%); il solo uso di cannabinoidi non vede rilevata
Dipendenza da Sesso. I reati più frequenti nel campione dei detenuti
dipendenti da sesso sono: spaccio, rapina ed omicidio”
.
La “donna-oggetto”.
Nei filmati pornografici, come si evince in “Sexjunkie”, “il corpo
femminile sembra non provare emozioni, emette solo gemiti, è un corpo
volutamente ridotto a oggetto, che sente come un oggetto”
, il rapporto intimo viene scaricato da ogni tipo di valenza sentimentale e
caricato di istintualità animale. Anche i corpi in pose provocanti delle
donne nude legate catturati dall’obiettivo del celebre fotografo Araki
trasmettono il messaggio di possessione dell’oggetto, infatti è egli stesso a
dichiarare che “ […] le fotografie dei genitali femminili sono solo un
passatempo”

Secondo Nussbaum si può parlare di ‘oggetto’ se vi sono: ”strumentalità,


assenza di autonomia, fungibilità, violabilità, assenza di soggettività,
possesso”

La diffusione del materiale pornografico hardcore porta a una perdita di


compassione verso le donne vittime di abuso. Ma ci siamo mai chiesti se la
realtà è davvero quella che vediamo nel filmato o se ci siano anche dei
retroscena inquietanti? Per rispondere alla domanda citerò il film Shocking
Truth. È un documentario, presentato al Parlamento svedese nel 2000,
girato dalla regista svedese Alexa Wolf, è una vera e propria denuncia alla
violenza che si nasconde dietro alla pornografia, che non sembra poi così
tanto diversa dagli snuff movies.

Il film documentario intende far conoscere ciò che avviene sul set di questi
film: giovanissime devono approcciarsi ad avere un rapporto completo
(anche non desiderato) con molti uomini in poche ore che causano loro
lesioni interne, sanguinamenti, danni fisici, senza ricevere le giuste cure
perché bisogna portare a termine tutte le riprese.
È bene far notare che per le neuroscienze la sessualità non è semplice atto
fisico ma è fondamentale che nel contempo vi sia anche ‘desiderio’ poiché
sarà proprio quest’ultimo a creare i presupposti che porteranno ai processi
chimici preparatori, quindi possiamo dire che l’atto sessuale coinvolge sia
gli stati fisiologici (dettati dall’attivazione di amigdala, sistema endocrino,
ipotalamo, sistema nervoso centrale) che quelli cognitivi (incluse le
esperienze relazionali infantili).

“La Sorente va oltre, e si chiede chi siano queste donne e questi


uomini, raccontandoci un universo disumanizzato in cui il piacere
della sessualità è del tutto assente e la libertà di scelta una bugia
sulla quale si erge l’intero sistema. Il vero protagonista non è il
piacere, ne l’erotismo, ma l’abuso, fisico, sessuale, psicologico,
spesso subito nell’infanzia e nell’adolescenza, ripetutamente, fino
a diventare l’unica realtà possibile, inevitabile, fino a sembrare
addirittura desiderabile. Alcune ricerche hanno dimostrato che il
75% delle prostitute sono state vittime, nella loro infanzia, di
abusi sessuali. La vergogna, l’umiliazione, il sentimento e la
paura di non valere nulla, di non essere nulla se non una cosa da
usare per dare piacere (piacere?) modellano il senso di identità di
queste donne che, lungi dall’aver mai sperimentato una qualche
forma di protezione, non possono far altro che rivivere all’infinito
le violenze subite, raccontando a loro stesse che è proprio quello
che desiderano e che hanno scelto liberamente di fare […] Fino a
dove la violenza e l’annichilimento del sé possono arrivare? C’è
un limite oltre al quale questo diventa insopportabile? La maggior
parte delle attrici che arrivano alla zoofilia (rapporti sessuali con
animali) si suicida”
.
Hannah Wilke in “sos Stratification Object Series”, 1974

Hannah Wilke in “sos Starification Object Series” denuncia la violenza


compiuta sul corpo femminile, simbolizzata da chewing gum “trasformate
in vagine-cicatrici”
sparse sul suo corpo. “La sessualità femminile non è più espressione di
piacere ma di sofferenza, in una società dove gli uomini sottopongono le
donne a una violenza continua”. [Ibidem]

Un’altra denuncia di forte connotazione è quella trasmessa da G. Desiato in


“The End”. L’immagine ritrae una donna nuda che affianca alle grandi
labbra le estremità strappate di un pezzo di carta con sù scritto The End: “la
vagina è l’origine e al contempo la fine di tutto”. [Ibidem]

L’OGGETTIFICAZIONE DEL SESSO FORTE

Giuseppe Desiato “The End”, 1963-1966


L’uomo, simbolo per eccellenza del sesso-forte, in realtà negli anni non ha
fatto altro che evolvere come oggetto alla mercé di una femme fatale o di
una ricca ereditiera.
La storia cinematografica vanta molti esempi di questo genere. “Rambo”,
interpretato dall’attore Sylvester Stallone, rispecchia al meglio le
caratteristiche di un uomo “duro” e virile, in quanto reduce di guerra, ma
ciò non basta a non lasciarsi sopraffare dall’attrazione giocata dal corpo
femminile. Lo stesso accade all’”Agente 007” e a “Indiana Jones”, infatti
questi ultimi cadono nelle grinfie di una femme fatale alleata con il nemico.
In Occidente è usanza diffusa tra molte donne festeggiare gli addii al
celibato o la ricorrenza dell’8 Marzo in club in cui spogliarellisti sono
pronti a mettersi in mostra, proprio come la merce dietro le vetrine,
esibendo e mettendo a disposizione il proprio corpo con la speranza di
ricevere una mancia dopo aver ricevuto maliziose palpate da parte di
qualche spettatrice maliziosa, desiderosa di poterlo sottomettere alle proprie
fantasie.

In TV vengono proposti programmi laddove una persona riveste la parte di


“tronista” (di solito, la donna) e l’altra riveste la parte di “corteggiatore” (di
solito, l’uomo). Alla tronista va tutta l’attenzione, si cerca di compiacerla
con ogni mezzo e modo pur di conquistarla. Questa per non ovvie ragioni
(probabilmente per simpatia, antipatia o capriccio) può decidere se uscire o
meno con il corteggiatore e beffeggiarlo o deriderlo davanti ad un vasto
pubblico, sminuendolo nella propria virilità.

La cultura Occidentale ha costruito negli anni la figura maschile sul


concetto di virilità, a mio parere tale concetto gioca un duplice ruolo
concettuale apparentemente in contrasto:
• l’uomo virile indipendente e dominante, pienamente affermato
nella propria mascolinità;
• l’uomo virile divenuto oggetto di piacere e desiderio, e che, in
quanto tale deve sottostare alla supremazia femminile.

Come dicevo precedentemente queste due frasi potrebbero sembrare


contrastanti ed escludenti, in realtà sono le due componenti che
costituiscono la visione integra dell’uomo.

Mi spiego meglio. Pensiamo al film di “Tarzan”: questo giovane uomo è


disposto a fare di tutto, anche compiere atti estremi che mettano a
repentaglio la propria vita, pur di salvare l’amata Jane. Ebbene, ecco che
anche “Tarzan” non è altro che un oggetto nelle mani di una donna, ella
può decidere di fargli fare di tutto. L’uomo è strumentalizzato dalla donna.

Oggigiorno i media propongono due prototipi di uomo:


• “tutto muscoli e niente cervello” che presenta un corpo scolpito
da una massa muscolare maggiorata, un corpo perfetto quasi a
rievocare i famosi “Bronzi di Riace”
• “tipo modello” che presenta lineamenti corporei ben definiti e
rispecchia i canoni della moda (alto, snello, parti del viso e del
corpo ben curati).

Secondo la regista pornografica svedese Erika Luss la differenza


fondamentale tra porno maschile e femminile risiede ne:
• il luogo di ambientazione, le donne preferiscono stanze dal
design moderno;
• l’abbigliamento provocante;
• il partner occasionale (vicino della porta accanto, amici);
• il portafoglio .

L’ultimo punto “il portafoglio” è quello fondamentale e che, secondo me,


meglio distingue il porno femminile. Qui la è la donna ad avere il cash e
pertanto può permettersi di comprarsi ciò che vuole, in questo caso l’uomo.
La donna è parte attiva, l’uomo diventa l’oggetto desiderato.

Nel social network di incontri francese “Adottaunragazzo” si assiste


all’apice della mercificazione maschile. Quando ci si registra bisogna
specificare a quale categoria si appartiene:
• “sono una cliente” se l’utente è di sesso femminile;
• “sono un prodotto” se l’utente è di sesso maschile.

Il cliente può scegliere quale prodotto mettere nel carrello, dopo averne
visionato la foto e la scheda tecnica.
Alla donna spetta la prima mossa, ossia iniziare la chat, mentre l’uomo-
prodotto può decidere il tipo di contratto vincolante:
• a tempo indeterminato prevede che si inizi una relazione seria;
• a tempo determinato prevede che si instauri un rapporto amicale
intimo;
• one shot o a chiamata

I fondatori hanno creato tale social network spinti dall’idea che oggi le
donne preferiscano prendere l’iniziativa e nel frattempo l’uomo possa
sentirsi un latin lover.
La verità è che l’uomo può sentirsi tale solo se raggiunge un elevato
punteggio che aumenta di pari passo all’aumentare del numero volte in cui
viene acquistato. Quando la donna si stufa di lui decide di riporlo, proprio
come si fa con gli oggetti vecchi.

CORRELAZIONE TRA DIPENDENZA E AGGRESSIVITÀ

Circuiti emotivi.
Amigdala, tronco dell’encefalo, sistema nervoso autonomo (SNA) e
ipotalamo svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione delle emozioni
e preparano il corpo all’azione. Per far sì che ciò sia possibile le zone
cerebrali adibite agli stati fisiologici e quelle adibite agli stati cognitivi
devono poter comunicare tra loro, infatti percepito l’evento si ha
un'esperienza cosciente di esso (o cognizione) che porta a risposte riflesse
del Sistema Nervoso Centrale (SNC).
Dalle teorie di James e Lange, Schachter e Damasio è emerso che
“l’esperienza delle emozioni è essenzialmente una storia che il cervello
crea per spiegare le reazioni del corpo”
.
Il sistema nervoso autonomo o sistema motorio involontario controlla la
muscolatura liscia, cardiaca e le ghiandole esocrine. Si divide in :
• Simpatico: si attiva in caso di emergenza (emorragia, sbalzi di
temperatura, lotta…) e controlla le “reazioni di lotta o fuga”.
• Parasimpatico: si occupa di riportare il corpo alla condizione di
normalità.

L’ipotalamo integra le informazioni che riceve dalla corteccia cerebrale,


dall’amigdala e dalla formazione reticolare, permettendo l’elaborazione di
risposte idonee e svolge un ruolo importante nel controllo delle efferenze
del sistema nervoso autonomo:
• Proietta al nucleo del tratto solitario, che riceve le informazioni
provenienti dai visceri e agisce sui nuclei da cui si origina il nervo
vago e sui neuroni parasimpatici del tronco dell’encefalo. Quindi
l’ipotalamo riesce a controllare (se pur indirettamente) visceri, nervo
vago e neuroni parasimpatici;
• proietta a regioni del tronco dell’encefalo che controllano i neuroni
pregangliari che sono importanti per le funzioni svolte dalla sezione
simpatica del sistema nervoso autonomo;
• proietta direttamente ai neuroni efferenti del sistema nervoso
autonomo a livello del midollo spinale;
• Agisce sull’ipofisi per mezzo dei neurormoni magnocellulari e
parvicellulari. I primi liberano ossitocina e vasopressina a livello
neuroipofisario, i secondi liberano peptidi che posso indurre l’ipofisi a
secernere o meno ormoni a livello adenoipofisario.

Attraverso gli esperimenti condotti da Cannon e Bard sui gatti possiamo


affermare che l’ipotalamo è un centro di coordinazione che integra ingressi
diversi in modo tale da permettere all’organismo di dare risposte vegetative
e somatiche ben organizzate.

Secondo gli studi condotti da Papez sembrerebbe che il substrato anatomico


delle emozioni risieda nella zona (chiamata da Broca) del lobo limbico,
formato da: giro del cingolo, formazione paraippocampale (comprende giro
dentato e subiculum), corteccia sottostante alla formazione ippocampale. La
formazione ippocampale elabora le informazioni provenienti dal giro del
cingolo che attraverso il fornice raggiungono il corpi mamillari ipotalamici.
L’ipotalamo attraverso il tratto mamillotalamico ritrasmette le informazioni
ricevute al giro del cingolo. Ablazione a livello dei lobi temporali produce
tendenze orali, aumento dell’appetito sessuale, iperattività, incapacità di
riconoscere i famigliari. I numerosi nuclei che compongono l’amigdala la
collegano con il talamo, ipotalamo, formazione ippocampale, neocortex. I
nuclei che rivestono un ruolo più importante a livello emotivo sono i nuclei
del complesso basolaterale e il nucleo centrale.

Il primo riceve le informazioni sensoriali, il secondo regola lo stato di


vigilanza e da esso si originano la stria terminale (innerva l’ipotalamo, il
nucleo accumbens e il nucleo stesso della stria) e la via amigdalofuga
ventrale (proietta al tronco dell’encefalo, talamo e giro del cingolo).
L’amigdala assolve a due funzioni fondamentali per la sopravvivenza:
condizionamento dell’individuo all’ambiente e condizionamento della
preferenza del luogo. L’esperienza, grazie alla plasticità cerebrale, può
apportare modifiche riguardo la pericolosità ambientale. Tali modifiche
possono essere apportate anche attraverso il meccanismo del
‘condizionamento classico’ ed è stata dimostrata l’importanza del
complesso basolaterale nei processi di ricompensa.
L’emozione sembra manifestarsi velocemente, ne diventiamo pienamente
coscienti solo dopo che si manifesta, “diventiamo consapevoli soltanto una
volta che siamo dentro l’emozione e ne abbiamo percezione cosciente solo
dopo 500 millisecondi”
DIPENDENZA-AGGRESSIVITÀ SECONDO LE NEUROSCIENZE
Il comportamento compulsivo rilevabile nel gioco d’azzardo patologico,
quindi in uno stato di dipendenza, è una malattia che ha basi neuro-fisio-
patologiche ormai abbastanza ben definite, che colpisce persone
particolarmente vulnerabili e cioè che presentano fattori individuali,
amplificati e slatentizzati da fattori socio-ambientali, importanti
modificazioni dei sistemi quali la corteccia pre-frontale (responsabile del
controllo dei comportamenti volontari), il nucleo accumbens-sistema della
gratificazione, il sistema degli oppiodi endogeni (implicato nella
regolazione dell’ansia) e l’amigdala estesa (importante drive dei
comportamenti aggressivi e delle sensazioni legate alla paura).

Dalla ricerca di Ramon e Cajal è emerso che la plasticità sinaptica è


fondamentale per la memoria e l’apprendimento . L’abuso di sostanze
compromette i meccanismi di plasticità sinaptica dei circuiti coinvolti nel
processo di ‘rinforzo-ricompensa’. Il substrato corticale della “ricompensa”
è rappresentato dal complesso mesolimbico, formato dal nucleo accumbens,
ventrosegmantale e dalle strutture limbiche associate. È chiaro che
l’interazione tra la sostanza stupefacente e la plasticità sinaptica in diverse
regioni del cervello contribuiscono ad aspetti specifici della dipendenza. La
dipendenza non si manifesta istantaneamente all’esposizione della sostanza,
gli adattamenti neuronali si svilupperanno in momenti successivi, che
vanno da ore a giorni o mesi. La plasticità sinaptica modificata dall’uso di
sostanze del nucleo tagmentale ventrale innesca adattamenti a lungo
termine nel sistema dopaminergico andando a creare potenti e persistenti
collegamenti tra il rinforzo stupefacente avuto e i vissuti esperienziali (sia
interni che esterni) attributi a tale esperienza. Da ciò emerge che le sostanze
stupefacenti, andando a modificare la plasticità sinaptica in molte regioni
cerebrali che rivestono un ruolo chiave nella dipendenza comportano anche
a cambiamenti comportamentali. Alla base della dipendenza sembra esserci
un problema del controllo del comportamento (craving) e il soggetto non
riesce ad avvertire i problemi relativi ai propri comportamenti, come ogni
malattia l’addiction presenta sintomi e ricaduta, senza un recupero mirato il
soggetto incorre in ‘forme di inabilità e morte’.
Sistema neuropsicologico: un bilanciamento tra l’attività del drive e del
controller. Serpelloni, 2012

Quando il soggetto sperimenta la sindrome astinenziale dovuta a droga o


ad altri comportamenti che causano dipendenza, vive uno stato di disforia,
ansia, agitazione legato alla ricompensa subottimale e al reclutamento del
cervello e dei sistemi dello stress ormonale. Si sviluppa tolleranza per la
situazione in cui ci si sente al “top”, però ciò non avviene negli stati
emozionali negativi associati con il ciclo dell’astinenza. Per questa ragione
persone dipendenti ricorrono sempre più all’utilizzo compulsivo di sostanze
che creano dipendenza anche quando non se ne traggono benefici. La
ricompensa viene registrata nel circuito bidirezionale che collega nucleo
accumbens e proencefalo basale. I comportamenti patologici di gambling e
sessuali o uso di sostanze stupefacenti agiscono sul circuito della
ricompensa, invece le “motivational drives” coinvolgono altre aree
cerebrali.
Il “feel good system” regola l’effetto di ricompensa immediata e il “post
effetto” di ricordo nel medio-termine. Serpelloni, 2012[1]

Ora si capisce perché in questi casi la terapia farmacologica è una fedele


alleata alla riabilitazione psico-sociale.
“I neurotrasmettitori dopamina, acetilcolina, serotonina e noradrenalina
sottendono ad importanti funzioni, in particolare quelle che riguardano
l’attenzione, la consapevolezza, la memoria, l’apprendimento. Inoltre,
proprio la noradrenalina e la serotonina partecipano alla regolazione
dell’arousal, dell’aggressività, del ciclo circadiano e della risposta allo
stress”.
Alterazioni al sistema di controllo comportamentale (corteccia frontale) e ai
sistemi di gratificazione compromettono la regolazione dell’arousal e del
comportamento. Soggetti che manifestano tali alterazioni sono anche più
soggetti a sviluppare forme di addiction.

Gratificazione (Reward)
«Feel Good» system
Risposta allo stress e regolazioni di:
• Ansia
• Depressione
• Noia
• Aggressività
• Euforia
- Es: sistema endocannabinoide
- Os: sistema oppiaceo
- Gs: sistema GABA

Pornografia e omicidio seriale


“Reifler et al. (1971) evidenziano l’esistenza di una “assuefazione al
materiale pornografico” che fa si che, col passare del tempo, un soggetto
perda l’interesse per uno stimolo della stessa intensità e l’immissione sul
mercato di prodotti sempre più hard ha lo scopo di aumentare il livello di
eccitazione dei fruitori. Questo schema è particolarmente evidente negli
assassini seriali che fanno uso della pornografia: più alto è il livello di
violenza del materiale pornografico e più è necessario stare attenti che le
fantasie di violenza non si alimentino per essere tradotte in azione”.[2]

Gli studi di Posner mettono in luce come la pornografica possa aumentare


l’appetito sessuale, portando al compimento di stupri: la visione del
materiale pornografico altera il senso di realtà del fruitore a tal punto da
portarlo a credere che le vittime desiderino essere stuprate e questa
fantasticheria lo eccita sessualmente l’aggressore. Solitamente queste
persone manifestano problemi relazionali poiché hanno vissuto in contesti
familiari privi di una base sicura, non hanno ricevuto le giuste cure da parte
del caregiver che non è stato in grado di “illudere-disilludere” il bambino.
Usando i termini di Otto Rank potremmo dire che non sono riusciti a
superare il ‘trauma della nascita’. Di seguito riporterò la biografia
dell’omicida seriale e stupratore Ted Bundy, in cui è possibile ritrovare le
spiegazioni psicologiche trattate sinora.
Ted nasce il 24 Novembre del 1946 a Burlington in un istituto per ragazze
madri nel Vermont da padre sconosciuto. Inizialmente la madre Louis lo
abbandona nell’Istituto per tornare a riprenderselo in un secondo momento
presentandosi come sorella. Il ragazzo cresciuto con la consapevolezza che i
nonni fossero i suoi veri genitori, scoprirà la verità all’età di 23 anni dopo
essere tornato nel Vermont per prendere il suo certificato di nascita. Nel
1950 Louis si trasferì a Tacoma e sposò un giovane cuoco, ma i rapporti tra
quest’ultimo e Ted erano aspri. Il ragazzo si interessò sempre più alle
donne, divenute una vera ossessione, a tal punto da arrivare a spiarle e a
fare uso, o meglio abuso, di materiale pornografico. A scuola era uno
studente modello ma aveva problemi nel relazionarsi con i suoi compagni,
la sua personalità instabile lo indusse ad abbandonare gli studi universitari e
a cambiare continuamente lavoro. Nel 1975 venne arrestato ma riuscì a
fuggire e si recò in Florida, dove rapì, stuprò e uccise la sua ultima vittima:
una bambina di 11 anni. Il suo modus operandi varia, va dall’uso di
stratagemmi al semplice uso del fascino che gli permise di rapire le donne
anche in pieno giorno. Prima le tramortiva sferrando loro un colpo alla testa
con un piede di porco, poi le uccideva per strangolamento o decapitazione.
Riporto le sue parole che evidenziano l’onnipotenza sulla donna “You feel
the last bit of breath leaving their body. You’re looking into their eyes. A
person in that situation is God”[3]. Quando venne nuovamente arrestato
confessò ventotto omicidi, ammise di applicare il trucco sui cadaveri, di
aver fatto sesso con loro e di avergli fatto visita nel sito di Taylor Mountain
(luogo in cui scaricava i cadaveri delle vittime). Fu giustiziato sulla sedia
elettrica il 24 Gennaio 1989. ”Il suo corpo è stato cremato e le sue ceneri
sparse sulle montagne delle cascate, a Washington, lo stesso luogo di teatro
di molti suoi delitti”.[4]

Droga e omicidio.
In seguito riporterò un fatto di cronica avvenuto a Novi Ligure, ancora vivo
nei ricordi. Il caso colpisce perché gli aggressori sono due minorenni.
Sembrerebbe che il movente dell’omicidio sia stato un diverbio genitori-
figlia per lo scarso rendimento scolastico di quest’ultima. A fare da sfondo
all’omicidio ci sono anche l’uso di droga e una sessualità sfrenata.
Quest’ultima è vista da Erika come “merce di scambio”: modo per
procurarsi la cocaina.
La villetta della quasi diciassettenne Erika Nardo diventa lo scenario in cui
viene commesso un duplice omicidio. Le vittime sono il fratellino di 12
anni, affogato e accoltellato 45 volte nella vasca, e la madre Susy Cassini di
45 anni, accoltellata 40 volte. Il 21 Febbraio 2001 Erika convince il
fidanzato Omar ad aiutarla nell’omicidio premeditato della madre, in un
secondo momento si aggiungerà anche quello del fratello, Erika è
intenzionata ad uccidere anche il padre che in quelle ore era fuori, ma Omar
decide di andarsene. La ragazza mette a soqquadro la casa e con i vestiti
sporchi di sangue corre fuori in cerca d’aiuto. Cercherà di far ricadere la
colpa sull’albanese Arber, che però ha un alibi. Durante un interrogatorio la
ragazza cerca di far ricadere la colpa su Omar, che dopo sei mesi dalla
vicenda decide di dire la verità. Lui ha compiuto un tale atto solo per amore
della ragazza, le coltellate inferte alla madre erano una prova d’amore. In
carcere la ragazza si dimenticherà presto di Omar, infatti intrattiene una
corrispondenza con Dj Marco, il quale pur dichiarando di non conoscerla dà
speranza ai suoi sentimenti. “Il Tribunale dei Minorenni di Torino condanna
rispettivamente Erika ed Omar a 16 e 14 anni di reclusione, con la sentenza
del 14 dicembre 2001. La Corte di Appello di Torino nel 2002 e la Corte di
Cassazione nel 2003 hanno confermato le precedenti condanne. Omar
Favaro esce dal carcere il 3 Marzo 2010, grazie all’indulto e agli sconti di
pena per buona condotta”.[5] Erika è tornata in libertà il 5 Dicembre 2011.

Gioco d’azzardo e omicidio.


Il 5 Dicembre 2013 viene fatta una denuncia di scomparsa della signora
settantasettenne Anna Concetta Immacolata De Santis, da parte del figlio.
La pensionata originaria di Brindisi, ma residente a Milano, si presume che
sia stata strangolata in quanto sono state rinvenute ecchimosi sul collo. Il
suo corpo è stato chiuso in un sacco giallo e abbandonato nel cantiere edile
sito tra Via Kolbe e Via Trento, luogo in cui verrà ritrovato da un operaio
che ha notato un piede fuoriuscire dal sacco. Stranamente la testa era
contenuta in due sacchetti neri, come per nasconderla: proprio come se
l’assassino non avesse più il coraggio di guardarla in faccia. Le telecamere
del cantiere hanno ripreso una vettura che abbandonava il cadavere.
L’autopsia stabilirà come data del decesso l’11 dicembre 2013 e confermerà
come causa della morte: asfissia per strangolamento. Per l’omicidio sono
stati arrestati la figlia della vittima (Daniela Angela Albano, 39 anni) ed il
marito di quest’ultima (Gianni D’Agostino, 44 anni), il movente sembra
essere un litigio dovuto ai debiti economici della coppia a causa del gioco
d’azzardo.

CONCLUSIONI

Da come si è potuto evincere nel corso del capitolo possiamo concludere


rispondendo affermativamente alla domanda: “Giochi, Droga e Sesso:
dipendenze di oggi?” Ebbene sì, rientrano nelle nuove dipendenze che
potremmo definire neuro-psico-fisiologiche in quanto riguardano l’intera
persona, in tutte le sue componenti. Sono più soggette a sviluppare tali
addiction coloro che presentano disturbi comportamentali ed emozionali, e
manifestano un temperamento più propenso al rischio. Coinvolgono tutte le
fasce d’età, dall’adolescenza alla terza età, il fattore rilevante non è tanto
l’età bensì i vissuti esperienziali della tenera infanzia, perché è proprio dalla
diade madre-bambino e dalle relazioni affettivo-ambientali carenti che
scaturiscono vere e proprie psicosi. Le tre dipendenze hanno in comune non
solo l’eziologia, anche il livello d’istruzione scolastico basso sembrerebbe
giocare un ruolo determinante. Come ho accennato prima, la dipendenza è
una “malattia” neuro-psico-fisiologica: il principale neurotrasmettitore
coinvolto nelle dipendenze è soprattutto la dopamina. Essa, attraverso
l’invio da parte del nucleo tagmentale ventrale, arriva al nucleo accumbens
e modula l’attività dei neuroni che popolano fittamente, all’incirca il 90%,
questa zona cerebrale e sono GABAergici, quindi inibitori. Il nucleo
accumbens invia informazioni di carattere inibitorio alla corteccia
prefrontale. La dopamina molto semplicemente inibisce questa inibizione.

Quando sperimentiamo qualcosa di piacevole viene liberata dopamina che


agisce sul nucleo accumbens che abbassa la sua inibizione verso la
corteccia prefrontale. Man mano che sperimentiamo qualcosa di inebriante
per noi (gioco d’azzardo, pornografia, assunzione di droghe) si assiste ad un
aumento della produzione di dopamina. Per avere la soddisfazione
precedente occorre più sostanza per produrre una quantità maggiore di
dopamina ed è qui che inizia la “dipendenza”. La droga in particolare agisce
sulla ricaptazione dopaminergica da parte dei neuroni che raggiungono il
nucleo accumbens, la dopamina aumenta la sua efficacia nel tempo restando
più a lungo nello spazio sinaptico. La compulsività mediata dai gangli della
base è data dal bisogno fisico della sostanza perché il cervello la richiede
per soddisfare il suo bisogno di dopamina. Con ciò emerge chiaramente
perché le persone affette da dipendenza siano più vulnerabili, propense al
crimine e possono arrivare persino all’omicidio o al suicidio. La corteccia
prefrontale è implicata nel controllo delle pulsioni e del comportamento
sociale per tanto l’aggressività che si elicita a causa dell’astinenza è dovuta
a una scarsa inibizione della corteccia prefrontale, a causa della bassa
attivazione del nucleo accumbens. Proprio per questa loro caratteristica
come tecnica riabilitativa alle addiction è molto usata la terapia cognitivo-
comportamentale, spesso affiancata da quella farmacologica. Il successo
riabilitativo è possibile grazie alla plasticità cerebrale che (come la
psicoterapia ci insegna) permette la ristrutturazione dei pensieri cognitivi
distruttivi e la capacità di vedere le cose secondo una prospettiva a 360°
mettendo in atto comportamenti costruttivi.

BIBLIOGRAFIA

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salva la vita e la vita diventa un gioco”. Istituto Europeo di Scienze Forensi
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www.testolegge.com/codice-penale/articolo-85-2
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[1]Tratto da
http://www.cesdop.it/public/Download/master_gambling_bassa.pdf p.37
[2]

http://www.murderworld.altervista.org/linfluenza_della_pornografia_nello
micidio_serial.html
[3] Senti l'ultimo loro respiro lasciare i loro corpi. Le guardi negli occhi Una

persona in una simile situazione è Dio.


[4] Cit in biografieonline.it/biografia.htm?
BioID=719&biografia=Ted+Bundy
[5] Tratto da http://cultura.biografieonline.it/delitto-di-novi-ligure/
CAPITOLO VII

Sessodipendenza e sesso compulsivo

ANDREAS ACERANTI - ANTONIO FERRANTE - SIMONETTA VERNOCCHI

Un uomo non avrebbe i due terzi dei problemi che ha


se non continuasse a cercare una donna da scopare.
È il sesso a sconvolgere le nostre vite,
solitamente ordinate.
Philip Roth

LO SVILUPPO DELLA SESSUALITÀ

La sessualità umana è multifattoriale: vi concorrono fattori biologici, psico-


emotivi e contesto-correlati, sia in senso affettivo, di coppia e famiglia, sia
in senso culturale e sociale. È multi-sistemica: dal punto di vista biologico
la funzione sessuale dipende dall’integrità e dal coordinamento tra sistema
nervoso, vascolare, ormonale, muscolare, metabolico e perfino
immunitario.
Si esprime in quattro dimensioni: il sesso biologico, l’identità sessuale, la
funzione sessuale e la relazione di coppia, dimensioni che sono interagenti
tra loro. Noi tratteremo diffusamente solo quanto ci necessita per
comprendere i meccanismi alla base dello sviluppo del sesso compulsivo.

Il sesso biologico: determinato dai cromosomi, e da tutti i fattori endocrini,


nervosi, recettoriali che portano alla normale differenziazione sessuale.
L’identità sessuale comprende l’identità di genere (sono un uomo, sono
una donna), di ruolo (sono padre/madre), di méta o orientamento (ossia il
genere sessuale della persona desiderata).
La funzione sessuale comprende il desiderio sessuale, l’eccitazione,
l’orgasmo (con eiaculazione nell’uomo) e la soddisfazione. È questa la
funzione che risulta alterata nel sesso compulsivo.
La relazione di coppia comprende le dinamiche affettive d’amore,
passione, intimità; gli stili comunicativi, le dinamiche di potere e controllo;
il rapporto sessuale e la sua qualità; il tipo di relazione rispetto al genere dei
partner (eterosessuale o omosessuale).

STRUTTURAZIONE DI UNA IDENTITÀ SESSUALE NORMALE

Per la strutturazione dell’identità sessuale sana e normale è di grande


importanza la conoscenza del proprio corpo, della propria genitalità e della
differenza di genere fin dalla nascita.

Secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità


l’instaurasi di un buon rapporto con il proprio corpo e con la propria
genitalità deve avvenire entro i 4 anni grazie:
1. all’esplorazione spontanea dei propri genitali denominata
masturbazione infantile;
2. all’esplorazione del corpo altrui anche tramite il gioco del dottore, in
questo modo il bambino può confrontarsi e conoscere il corpo degli altri
bambini, ed apprendere le differenze di genere.

Tutto questo può avvenire in modo sereno e spontaneo grazie ad un buon


rapporto con il corpo dei propri genitori o loro sostituti stabili. Infatti dal
punto di vista psicologico l’identità sessuale si struttura grazie:
3. all’identificazione con il genitore dello stesso sesso, e quindi la madre
(naturale o adottiva), per le femmine, il padre o suoi sostituti stabili, per i
maschi, purché ci sia la possibilità di un rapporto continuativo e
affettuoso;
4. alla complementazione con il genitore del sesso opposto (o un suo
sostituto stabile) che permetta il superamento della fase edipica.

È essenziale la qualità dell’affetto che richiede una madre sufficientemente


buona ed un base sicura:
5. lo stile di attaccamento sufficientemente buono ossia la “madre
sufficientemente buona” di Winnicott, con un rapporto tra il genitore (o
loro sostituti significativi) e il bambino che consenta livelli di accudimento,
contenimento e comprensione minimamente buoni.
6. la crescita in un contesto identificabile come base sicura. Un amore
sicuro, tenero, sereno, contribuisce alla crescita della cosiddetta “base
sicura” (teoria di Bowlby) che nutre la fiducia interiore sul proprio valore,
sull’essere capaci di amare e meritevoli di essere amati.

La nostra cultura non approva l’ostentazione della vita intima, esiste ed è


ricercato il senso del pudore, il senso della privacy, il senso della propria
intimità:
7. il bambino comprenderà che ci sono limiti da non superare, che ci sono
funzioni che richiedono discrezione, che esiste una differenza tra ciò che si
può fare anche in pubblico e ciò che si può fare solo in privato, o solo in
famiglia. Il senso del limite si acquisisce entro il terzo anno di vita.

Di converso, relazioni anaffettive, o con abusi verbali, fisici o sessuali,


possono ferire profondamente il processo di crescita dell’identità sessuale e
la capacità di vivere relazioni affettive significative e gratificanti (famiglia
maltrattante). La famiglia maltrattante con la storia di abusi può contribuire
all’instaurarsi di sesso compulsivo.

8. Sempre nella prima infanzia deve avvenire la scoperta del proprio


orientamento sessuale e l’accettazione dello stesso, punto questo ancora
controverso poiché le Chiese e le confessioni religiose che vedono
l’omosessualità come perversione osteggiano apertamente questo aspetto.

LA MASTURBAZIONE INFANTILE

Si definisce masturbazione un’auto-stimolazione ritmica, volontaria,


genitalmente orientata. L’attività comporta una eccitazione sempre
maggiore che culmina con la liberazione di mediatori chimici propri
dell’orgasmo, la scarica di piacere è avvertita a livello dei genitali, o
dell’area perianale oppure può essere avvertita a livello del collo, del
dorso, del rachide, senza strette connessioni agli organi sessuali.
Nella prima infanzia un comportamento esplorativo casuale, che può
comprendere anche i genitali, è stato definito masturbazione infantile,
quando ottiene una evidente soddisfazione dalla manipolazione del proprio
corpo. Il gioco auto-manipolatorio, anche genitale, è uno dei tipi di
attività auto-erotica utile affinché il bambino acquisisca conoscenza del
proprio corpo, senso dei propri limiti, proprie potenzialità. È
universalmente riconosciuto che la presenza di attività autoerotica ricca è
segno di rapporti soddisfacenti con l’ambiente e con il proprio corpo.

Si definisce masturbazione psichica una scarica completa di eccitamento


sessuale in assenza di qualsiasi contatto fisico. Questo accade quando le
fantasie sessuali sono sufficientemente intense. Per masturbazione
mascherata si intende un eccitamento sessuale non riconosciuto come tale
né da chi pratica la masturbazione né da chi vi assiste. L’eccitamento
sessuale, non riconosciuto, si associa ad altre attività per lo più associate a
emozioni intense. Queste attività non hanno un chiaro riferimento sessuale:
ad esempio la guida spericolata, (o in condizioni limite: contromano) la
roulette russa, il rischio nello sport e nel gioco, il gioco d’azzardo, il volo,
tutti gli sport con una chiara esposizione ad un rischio intenso ripetuto che
vengono agiti senza bisogno di mostrarsi e senza necessità di approvazione.
Durante l’attività l’eccitazione è altissima e culmina con la liberazione di
mediatori chimici propri dell’orgasmo, la scarica di piacere può essere
avvertita a livello del collo, del dorso, del rachide, senza una chiaro
riferimento agli organi sessuali.
La masturbazione mascherata può essere evocata ed agita in relazione alle
funzioni fisiologiche primarie: mangiare, bere, urinare o defecare. Per
vicinanza di apparati e quindi di terminazioni nervose le similitudini si
fanno più prossime alle funzioni escretorie: il bambino proverà piacere a
trattenere le feci e le urine, a posticipare le funzioni stesse per trarre il
maggior piacere dal rilasciamento degli sfinteri.
La Bibbia non contiene riferimenti diretti alla masturbazione ma un divieto
al “peccato di Onan” riferendosi al coito interrotto quale metodo
contraccettivo. È evidente l’errore poiché da allora la masturbazione venne
anche chiamata onanismo.
La medicina arcaica condannava la masturbazione, veniva addirittura
additata come una delle cause della schizofrenia, era quindi proibita ai
bambini ed agli adolescenti, e contestualmente si apriva tutto il problema
della gestione del senso di colpa che ne derivava.
Grazie alle intuizioni di Freud il mondo scientifico è diventato più
consapevole dei danni che si potevano fare interferendo con l’attività
autoerotica infantile di cui ne veniva riconosciuta l’importanza.

FISIOLOGIA E FUNZIONE DELLA MASTURBAZIONE

La masturbazione ha una funzione conoscitiva del proprio corpo e della sua


complessità nelle prime fasi della vita. Nella preadolescenza ha funzione di
tipo addestrativo in preparazione all’atto sessuale. Nelle ragazze
sperimentare l’orgasmo con la masturbazione sicuramente favorisce il
raggiungimento della soddisfazione sessuale durante il rapporto
eterosessuale nell’età adulta. La masturbazione è un ottimo surrogato del
rapporto sessuale quando per ragioni contingenti questo non sia possibile.
D’altra parte con la masturbazione si attivano gli stessi circuiti cerebrali che
portano all’orgasmo nella relazione a due.
La masturbazione reciproca può essere un surrogato accettabile dell’atto
sessuale completo quando per motivi di ordine diverso questo non può
avvenire in modo completo.

LA MASTURBAZIONE INFANTILE E STILI GENITORIALI

I genitori dovrebbero non favorire né scoraggiare nel bambino la


masturbazione infantile, semplicemente assecondarla come una normale
tappa dello sviluppo della conoscenza e dell’utilizzo dei genitali.
Enfatizzare la masturbazione infantile può caricare i gesti del bambino, di
per sé naturali e spontanei, di emozioni che il bambino stesso non sa come
collocare: imbarazzo, vergogna, disgusto, rabbia, disappunto e
disapprovazione che l’adulto non è consapevole di mostrare. Il bambino
recepirà ogni minima sfumatura delle emozioni mostrate dai genitori e le
assocerà al piacere sessuale.

1. Imbarazzo. Se di fronte ai gesti autoerotici del bambino, ci


mostreremo imbarazzati, il bambino assocerà l’imbarazzo alla
masturbazione: “la masturbazione è qualcosa di riprovevole, che
provoca nei miei genitori imbarazzo”. Anzi inizialmente non saprà
quale sia la natura della sensazione che sta provando, “quel qualcosa
piacevole, che sto provando, e che mi da gioia e mi impegna, non
piace ai miei genitori è sconveniente”. Se l’imbarazzo non viene
superato, oltre a questa emozione, -di per sé trattandosi di sesso in un
contesto come il nostro piuttosto repressivo, l’imbarazzo è emozione
piuttosto scontata ed istantanea- il bambino può associare alla
masturbazione la vergogna che è invece un sentimento stabile: “i miei
genitori non mi approvano si vergognano di me”, “mi devo
vergognare di questi gesti, che comunque sono istintivamente spinto a
compiere. Pertanto non devo compierli o se voglio farlo lo farò di
nascosto”.

2. Irritazione, rabbia. Se di fronte ai gesti autoerotici, ci mostreremo


irritati, il bambino assocerà la nostra rabbia alla masturbazione: “la
masturbazione è qualcosa di veramente grave, sconveniente, che fa
arrabbiare i miei genitori” e come tutto quello che può generare
rabbia ha in sé una pericolosità. La masturbazione andrà evitata,
oppure dovrà avvenire in modo nascosto. Il fatto interessante è proprio
questo: il bambino percepirà disapprovazione e si nasconderà. Ha
inizio anche grazie a questo passaggio la fase di separazione tra il
bambino ed il suo care-giver primario. Se vuole proseguire nelle
esplorazioni intime dovrà farlo di nascosto.

3. Proibizione, divieto. Se poi i genitori rincareranno la dose,


ribadendo la loro disapprovazione anche verbalmente e
sottolineeranno la sconvenienza dei comportamenti autoerotici più e
più volte, il bambino oltre a doversi nascondere, proverà il senso di
colpa. Ancor peggio se si ricorrerà alla punizione o al divieto delle
attività autoerotica: si creerà la precoce associazione tra sessualità e
senso di colpa. Poiché le funzioni sessuali sono normali, gli impulsi
sono naturali il bambino continuerà a desiderare la sessualità ed
interiorizzerà che il suo stesso essere è sporco, è indesiderabile.

4. Derisione, irrisione pubblica. I genitori possono deridere


pubblicamente il bambino, avere un atteggiamento chiaramente
svalutativo se non proprio sprezzante, non vietano la masturbazione
ma l’atteggiamento è chiaramente di derisione e di svilimento. Si
creerà in questo caso la precoce associazione tra sessualità e senso di
vergogna: il sesso è qualcosa di cui ci si deve vergognare.
5. Enfatizzazione. Un errore “opposto” che si può fare di fronte ai
gesti autoerotici, è l’eccessiva enfatizzazione, magari commentando
pubblicamente, richiamando attenzione generale su un evento che per
sua natura deve essere privata e personale. Questo comportamento
caratteristico delle “famiglie porte aperte” impedisce un corretto
sviluppo del sé, impedisce la fase della separazione tra soggetto e care-
giver. La dimensione personale e pubblica del bambino non saranno
percepite come distinte ma vi sarà confusione. Non sarà proprio chiaro
cosa si potrà fare in pubblico e cosa appartiene alla sfera del privato,
almeno per quanto riguarda l’ingresso nel gruppo dei pari. In contesti
sociali il bambino potrà mostrare inadeguatezza e fragilità, con
reazioni fobiche e di fuga, oppure al contrario potrebbe divenire un
esibizionista, ricercando in modo compulsivo di mettersi in mostra.
6.
Addirittura i comportamenti esibizionistici potranno coinvolgere anche
l’aspetto sessuale con riproposizione in pubblico, per esempio, di forme
mascherate di masturbazione.

EQUIVALENTI COMPULSIVI DELLA MASTURBAZIONE

Un’interferenza grave verso la masturbazione infantile produce equivalenti


compulsivi della stessa:
onicofagia compulsiva, sputare e giocare con la saliva e le labbra facendo
bollicine, dondolarsi ritmicamente, battere la testa ritmicamente contro le
mani o contro una superficie dura.

Un’interferenza grave verso l’attività autoerotica infantile può anche


comportare il passaggio alla masturbazione compulsiva stessa oppure a
comportamenti ossessivi che non hanno nulla a che fare con la sessualità,
oppure a comportamenti ripetuti che riescono ad alleviare il senso di colpa
inevitabile in questi casi, a comportamenti litigiosi in cui vengono
ingigantite situazioni inoffensive nell’ambiente scolastico o famigliare, con
fraintendimenti costanti e reiterati.

L’analisi delle fantasie che si accompagnano all’atto masturbatorio ha da


sempre avuto un valore conoscitivo, diagnostico e terapeutico nell’analisi
dell’inconscio della persona.

La gestione del senso di colpa risulta tanto importante quanto l’analisi degli
equivalenti dell’atto stesso. L’odio ed il rifiuto per il proprio corpo,
l’impotenza di fronte alle fantasie, la sensazione di essere indegni sono idee
ricorrenti.

La pubertà e l’ adolescenza sono decisive per il normale completamento ed


espressione dell’identità sessuale. Si definisce pubertà la transizione
biologica dall’infanzia alla maturità sessuale. L’adolescenza comprende
invece l’insieme delle trasformazioni psicoemotive e psicosessuali che
accompagnano la pubertà. In passato pubertà e adolescenza tendevano
temporalmente a coincidere. Oggi assistiamo a un progressivo sfasamento
tra i due periodi, con importanti conseguenze dal punto di vista medico,
psicologico, sessuale e relazionale. La pubertà tende ad anticipare mentre
l’adolescenza, come processo psichico di maturazione, tende a protrarsi
oltre i vent’anni, con la dipendenza economica e logistica dalla famiglia.
Questo dilatarsi dei tempi, tra la maturità sessuale e la possibilità concreta
di vivere la sessualità in una relazione stabile, possono creare un problema
di dove e come esprimere i propri impulsi sessuali: proprio nel momento di
massima pulsione sessuale si ha anche la massima difficoltà di espressione
rispetto al luogo congruo ed al tempo opportuno.

Una seconda difficoltà ricorrente nell’adolescenza riguarda il


riconoscimento, l’accettazione e l’espressione del proprio orientamento
sessuale in caso di omosessualità. I problemi sono di ordine famigliare,
culturale, sociale. Le difficoltà potranno apparire insormontabili e portare
al rifiuto della attività sessuale in toto, alla repressione di ogni desiderio
sessuale, fino a situazioni di isolamento sociale. In alternativa vi potrà
essere un ripiegamento verso pratiche sessuali di tipo masturbatorio anche
compulsivo, che possono avere un significato di “surrogato”.
STRUTTURAZIONE DEL DESIDERIO SESSUALE NORMALE

Il desiderio sessuale costituisce la dimensione più elusiva della sessualità


umana. È espressione di una funzione associativa complessa, attivata da
stimoli endogeni o esogeni, che induce il bisogno e il desiderio di
comportarsi sessualmente. Gli stimoli endogeni comprendono
l’immaginario erotico, le fantasie sessuali volontarie e spontanee, i sogni
erotici, i bisogni pulsionali, le emozioni: ciascuno è espressione psichica
dell’attivazione biologica di aree e circuiti cerebrali. Gli stimoli esogeni
sono i segnali veicolati attraverso gli organi di senso che vengono percepiti
come attraenti. Il desiderio può essere considerato come la risultante della
somma delle forze che ci portano verso il comportamento sessuale o ce ne
allontanano: stimoli biologico-istintuali, fattori motivazionali-affettivi e
cognitivi. Il desiderio sessuale nasce ed è modulato da fattori biologici,
psichici e relazionali.

La componente istintuale del desiderio, la voglia fisica, viene attivata da


rilevatori di bisogni fisici (need-detectors) situati a livello dell’ipotalamo e
modulata da centri diversi del sistema limbico. Viene frenata o esaltata nella
sua espressione affettiva e relazionale, oltre che fisica, da interazioni
complesse tra ipotalamo e lobo limbico e frontale. Oltre agli aspetti
pulsionali, fisici, biologicamente mediati, il desiderio sessuale ha, nella
nostra specie, importanti significati affettivi e relazionali, come espressione
di amore e passione, come termometro della qualità della relazione, come
significato capace di indurre anche radicali cambiamenti nella vita
personale.

L’espressione del desiderio ha forti valenze culturali, che nella loro


complessità concorrono all’erotismo, la dimensione più sofisticata,
soggettiva e complessa della sessualità. Nell’adolescente il desiderio è per
definizione un fenomeno dinamico e mutevole. Può variare lungo un
continuum che va dalla passione, alla compulsione, al bisogno,
all’interesse, all’indifferenza, alla riluttanza fino all’avversione franca.

Il desiderio sessuale in entrambi i sessi declina con l’età, con una caduta
maggiore nelle donne, in coincidenza della menopausa, per ragioni sia
endocrine sia relazionali, ed è accentuata in caso di menopausa iatrogena,
specie se precoce. Il desiderio si presenta relativamente costante e continuo
nell’uomo, seppure con un graduale declino, dall’adolescenza fino alla tarda
maturità. Nella donna è fisiologicamente discontinuo, anche in età fertile, in
relazione alle variazioni endocrine correlate ai diversi stati fisiologici e
psicoemotivi del ciclo mestruale, della gravidanza, del puerperio e della
menopausa.

Gli ormoni implicati nel desiderio sessuale sono molteplici ed agiscono sia
a livello centrale che periferico.

I principali, molto importanti sia per l’uomo che per la donna sono gli
androgeni che hanno funzione di “iniziatori centrali” e di “modulatori
periferici”. Nella donna abbiamo gli estrogeni che sono “modulatori
centrali e periferici” ed i progestinici che hanno funzione di “inibitori
centrali moderati”. La prolattina è un inibitore centrale a dosi crescenti.
Importanza rilevante hanno sia gli ormoni tiroidei che sono modulatori
centrali, ma soprattutto l’ossitocina e la vasopressina.

Dal punto di vista soggettivo, il desiderio è spesso difficile da distinguere


dall’eccitazione mentale. In entrambi i sessi, il desiderio può infatti
anticipare l’eccitazione, essere ad essa consensuale, o aumentare in risposta
a un’eccitazione sessuale genitale indotta dal gioco erotico.
Nell’innamoramento troviamo coinvolti i circuiti serotoninergico e
dopaminergico

In uomini e donne, tre dimensioni contribuiscono al desiderio sessuale:


A.lo stimolo biologico istintuale
B.lo stimolo motivazionale-affettivo
C.la valutazione cognitiva ad agire un comportamento sessuale.

A. Lo stimolo biologico istintuale, è fondato su basi anatomiche e


neurofisiologiche, viene definito anche “interesse sessuale”, il cui primo
significato è di promuovere il mantenimento della specie, attraverso la
procreazione.
Si tratta di un processo complesso attivato a livello cerebrale dal
testosterone in entrambi i sessi; di esso fanno parte:
1. gli ormoni e i neurotrasmettitori ad essi correlati, che regolano il
tono dell’umore, l’aggressività, l’energia vitale, la neurobiologia
dei sistemi emotivi fondamentali, che oltre al richiamo sessuale
regolano la rabbia, la paura, l’attaccamento e l’angoscia di
separazione. In particolare gli androgeni: nell’uomo e nella
donna sono gli ormoni più rappresentati a livello plasmatico.
Hanno il ruolo più potente nell’accendere il desiderio fisico
istintuale. L’ormone principale si è detto essere il testosterone che
innesca il processo, ma anche il deidroepiandrosterone (DHEA),
ormone surrenalico prodotto in elevate quantità durante e dopo la
pubertà, sembra contribuire alle basi fisiche e psichiche del
desiderio sessuale. Un’azione rilevante si è detto è svolta anche
da altri ormoni: gli estrogeni, nella donna, agiscono come
modulatori della femminilità e del benessere psicofisico; i
progestinici che, come si è ricordato sopra, hanno un effetto
diverso a seconda delle loro caratteristiche, androgeniche,
antiandrogeniche o simili al progesterone naturale. I livelli di
ormoni variano in relazione all’età della donna (età riproduttiva,
menopausa naturale, menopausa iatrogena), gli ormoni che
presentano oscillazioni più rilevanti sono: l’estradiolo, il
testosterone, l’androstenedione, il DHEA, il DHEAS
(deidroepiandrosterone solfato). La prolattina ha un ruolo
inibitorio sul desiderio sessuale, in entrambi i sessi, col crescere
dei livelli plasmatici; ma è importante per l’attaccamento e
quindi per l’instaurarsi di legami solidi. L’ormone tiroideo, se
carente, può ridurre il desiderio sessuale in entrambi i sessi.
L’ossitocina, neuro-ormone con molteplici funzioni (travaglio di
parto, sostiene le contrazioni, favorisce il secondamento, la
lattazione) che presenta un picco plasmatico in coincidenza con
l’orgasmo, ottenuto sia con autoerotismo sia con il coito, si
comporta come ormone favorevole al desiderio. L’ossitocina
sembra caratterizzare, nella donna come nell’uomo, il cosiddetto
“orgasmo finale”: è il mediatore responsabile del senso di sazietà,
dopo l’orgasmo. La vasopressina altro neuro-ormone, sembra
contribuire alla modulazione centrale del desiderio sessuale. La
dopamina è pure importante ed è lo stesso ormone che nel
processo di attaccamento madre figlio viene prodotto
dall’emisfero destro del figlio in risposta alla empatia della
madre e determina la simmetria delle risposte. La dopamina è
fondamentale nell’innamoramento: il circuito dopaminergico
viene attivato ed il serotoninergico inibito. Le aree che
producono serotonina sono inibite dando vita ai comportamenti
ossessivi controllanti, simili ad ossessioni caratteristici
dell’innamoramento. Nell’innamoramento la serotonina si
abbassa. Nella gelosia patologica si riscontrano livelli di
serotonina molto molto bassa. Nel comportamento controllante,
tipico del disturbo ossessivo/compulsivo la serotonina è bassa per
certi versi il comportamento degli innamorati ricorda il
comportamento ossessivo-compulsivo.
2. lo stato di salute fisica e di benessere psichico, che modulano, tra
l’altro, l’efficienza dei sistemi biologici che concorrono alla
funzione sessuale e al livello di energia vitale, di cui l’energia
sessuale è una delle espressioni principali;
3. i fattori stimolanti: farmaci, droghe, malattie psichiatriche che
possono influenzare le funzioni sessuali;
4. i fattori inibenti: farmaci, droghe, malattie somatiche e
psichiatriche che possono bloccare totalmente le funzioni
sessuali.

Il complesso gioco degli ormoni sessuali, agiscono a livello cerebrale,


periferico extragenitale e genitale, modulando l’intensità del desiderio
sessuale ma non la sua direzione e quindi non determinano l’orientamento
sessuale.

B. Lo stimolo motivazionale-affettivo è collegato mediante la fantasia e


l’immaginario erotico al bisogno di piacere e di amore. Contribuiscono a
questo aspetto del desiderio sia l’identità sessuale per le dinamiche
interpersonali che essa attiva e di cui è espressione (autostima, fiducia in sé,
immagine corporea); sia le emozioni, che possono indurre un
comportamento sessuale senza che vi sia un vero desiderio sessuale.
Fondamentale è l’intensità del coinvolgimento affettivo e
dell’innamoramento; la capacità di fiducia nell’altro/a e di intimità.
Lo stimolo motivazionale affettivo discende dalla capacità di gustare il
piacere erotico: ricercare e coltivare senza sensi di colpa il sesso ricreativo e
la masturbazione. Sono pure importanti le motivazioni non sessuali al
comportamento sessuale: ansia, tristezza, sentimento di solitudine,
abitudine, affetto, bisogno di intimità emotiva; bisogno di scarico di
tensione, bisogno di ottenere dei vantaggi (sesso strumentale) o il bisogno
di eccitazione generica.
Molti bisogni, sentimenti, emozioni possono indurre un comportamento
sessuale senza che vi sia un vero desiderio sessuale.

C. La valutazione cognitiva ad agire un comportamento sessuale è basata


sull’analisi e il controllo dei fattori che inducono il comportamento sessuale
e i rischi che lo sconsigliano. La valutazione razionale è la più vulnerabile
all’irrompere (acting-out) dei fattori istintuali e affettivi. Si pensi agli
incontri ad alto rischio di trasmissione di malattie sessualmente trasmesse,
in cui l’irruzione istintuale scardina il comportamento di evitamento, e
quindi autoprotettivo, coerente con la valutazione cognitiva del rischio,
oppure alla facilità con cui gli amanti si fanno scoprire, il che conferma il
potere afrodisiaco insito nella trasgressione. Di conseguenza il soggetto
assume comportamenti obiettivamente pericolosi, dei quali resta
consapevole pur nella incapacità di modificarli. Consideriamo inoltre non
ultimo, il fatto che “rischio e trasgressione” sono tra i più potenti afrodisiaci
cognitivo-motivazionali dell’erotismo maschile e femminile specie tra gli
adolescenti.

REPRESSIONE E CONTROLLO DEL DESIDERIO SESSUALE

Vale per il desiderio una regola neuro-biologica generale: la psiche


modifica la biologia cerebrale e la biologia cerebrale condiziona e modifica
le nostre espressioni psichiche. Esiste infatti una reciprocità sostanziale e
dinamica tra psico-plasticità e neuro-plasticità.
Le ricerche circa le basi neurobiologiche del desiderio e dell’eccitazione
psichica hanno dimostrato che le regioni cerebrali coinvolte nel desiderio e
nel coordinamento della funzione sessuale sono le stesse nei due sessi.
La funzione sessuale richiede l’integrità anatomica e funzionale del sistema
limbico. Quest’ultimo indica strutture molteplici, anatomicamente e
funzionalmente collegate, che si connettono al diencefalo, al lobo frontale e
temporale. L’amigdala, che fa parte del lobo limbico, ha due funzioni
principali:
1. si presenta come un centro critico per la mediazione tra le emozioni
fondamentali, che concorrono alla modulazione del bisogno sessuale;
2. confronta continuamente lo stimolo sessuale attuale con il ricordo di
stimoli precedenti: se il confronto è piacevole, viene attivata la cascata di
eventi neurovascolari che coordinano la risposta sessuale, se il confronto è
negativo, il circuito viene inibito o bloccato.

Anche i diversi livelli di desiderio in risposta ad uno stimolo interno o


esterno hanno una solida base neurobiologica, continuamente modulata da
stimoli psichici (affettivi, emotivi, cognitivi). Nella regolazione del
desiderio ha un ruolo primario il lobo frontale, che svolge un’azione
prevalentemente inibitoria sugli istinti sessuali basali.

La nostra specie si distingue dai Primati, nostri cugini, solo per il 2% dei
geni: da questa minima ma critica componente sono codificate non solo le
differenze somatiche, ma lo speciale sviluppo del lobo frontale nell’essere
umano, che sarebbe caratterizzato da una maggiore capacità di inibire i
propri impulsi, nello specifico sessuali, per rendere i propri comportamenti
più socialmente appropriati.
La capacità di controllo delle funzioni sessuali e del desiderio viene
esasperata attraverso un’educazione sessuale fortemente diversa, nei due
generi, nella maggior parte delle culture e dei popoli: repressiva nelle donne
e incentivante nell’uomo.

Insieme al lobo frontale, il sistema limbico è essenziale in entrambi i sessi


per:
1. il desiderio sessuale e i fenomeni ad esso associati quali le
fantasie erotiche volontarie, i sogni erotici e le fantasie sessuali
spontanee, il bisogno di masturbarsi;
2. l’eccitazione sessuale mentale;
3. l’attivazione di eventi neuro-vascolari che coordinano la risposta
fisica sessuale genitale e somatica (periferica non-genitale) sia
durante l’eccitazione “automatica” neurovegetativa, sia durante il
sonno con sogni, sia durante l’eccitazione conscia;
4. la modulazione delle risposte psicofisiche fondamentali
attraverso il continuo confronto di emozioni e sensazioni
coinvolte con ricordi di esperienze ed emozioni precedenti.

La fissazione sul desiderio sessuale ed in particolare sulle fantasie erotiche


volontarie può essere accresciuto dalla visione di filmografia pornografica,
letture, frequentazione di locali, fin a giungere ad una vera dipendenza
dall’eccitazione continua, alla masturbazione compulsiva, alle vere e
proprie fissazioni sessuali che possono interferire con la vita relazionale. Si
possono avere comportamenti disappropriati come il voyerismo, l’
esibizionismo, il feticismo.

INNAMORAMENTO E COMPORTAMENTI COMPULSIVI

Se il desiderio sessuale trova una giusta meta si può avere l’innamoramento


e nell’innamoramento comportamenti compulsivi -anche riguardo alla
sessualità- sono normali, reciproci e condivisi, sostenuti dai circuiti
neurologi e dagli ormoni.

L’innamoramento è una fase importante dell’esperienza di vita di ogni


persona. Si caratterizza come un particolare vissuto nel quale si fondono un
insieme di emozioni, sentimenti e comportamenti che agiscono
determinando una speciale interazione tra due persone, che è
contraddistinta da forte attrazione, affettività intensa e dal costituirsi di
legami profondi. Generalmente durante questa esperienza si proiettano
nell’altra persona le nostre aspettative, i nostri bisogni ed i nostri desideri.
Innamoramento e amore non sono la stessa cosa ma possono rappresentare
due fasi distinte: nella prima fase dell’ innamoramento vediamo nell’altra
persona la parte mancante di noi stessi, ci completa, ci fa stare bene,
andando spesso a soddisfare, più nella proiezione che nel concreto i nostri
bisogni. L’amore invece è molto più complesso, può o meno germogliare
da questo stadio che si evolve e supera il test di realtà.
L’innamoramento può caratterizzarsi come uno stato regressivo,
riportandoci alla condizione infantile di dipendenza come era il legame
bambino-caregiver, o anche come uno stato illusorio nel quale si sperimenta
il vissuto esclusivo di possedere il proprio partner. Una lunga lista di
interpretazioni che non sembra mai esauriente nello spiegare l’importanza
di questa condizione. Oltre ad un importante processo psichico,
l’innamoramento è caratterizzato anche da un insieme di cambiamenti
biologici che investono l’intero organismo, controllati da una rete di
mediatori chimici.
Sono interazioni chimiche olfattive e visive che determinano di chi ci
dobbiamo innamorare. Una sorta di codice genetico pre-determinato che ci
fa scegliere una persona che ci è affine. Il tutto avviene in pochi minuti dai
90 secondi ai 4 minuti. I segnali dell’innamoramento sono molteplici e
vengono veicolati attraverso il linguaggio corporeo: movimenti
inconsapevoli o reazioni involontarie, come la dilatazione delle pupille o il
battito di ciglia più rapido, sono segnali di disponibilità che vengono inviati
all’altro attraverso la comunicazione non verbale: lo sguardo ed il tono
della voce.
L’attrazione fisica viene determinata dai feromoni, particelle chimiche
volatili prodotte dal corpo umano. I feromoni molto più che specie-
specifici sembrano inviare un messaggio subliminale che viene decodificato
a livello cerebrale ed è in grado di influenzare i rapporti umani e stimolare
il desiderio sessuale. Gli altri mediatori chimici implicati
nell’innamoramento riguardano l’amigdala, parte del sistema limbico,
adibita alle emozioni. Il pensiero ossessivo dell’altro, la compulsione a
compiacere l’innamorato, a cercarlo, a non poter far a meno di lui dipende
dall’attivazione del circuito serotoninergico inibitorio, come avviene nel
disturbo ossessivo-compulsivo. Lo squilibrio fra il circuito serotoninergico
e dopaminergico caratterizza l’innamoramento: un calo della serotonina ed
un incremento della dopamina. Il fallimento del test di realtà, il
comportamento ossessivo, la gelosia, la ricerca compulsiva dell’altro, sono
mediati dalla serotonina. L’eccitazione fisiologica e sessuale, e il bisogno
costante e impellente dell’altro, presenti durante l’infatuazione, sono
meccanismi attivati dalla elevata produzione di Dopamina, Noradrenalina e
Feniletilamina, gli stessi neurotrasmettitori responsabili feniletilamina
(PEA), costantemente prodotta dall’organismo, che in elevate
concentrazioni può indurre gli stessi effetti dalle amfetamine (entrambe
agiscono sugli stessi recettori). La sua azione, con un meccanismo ancora
non noto, ha come principale effetto il rilascio di dopamina, un
neurotrasmettitore, la cui attività è strettamente legata ad una rete di neuroni
che genera sensazioni piacevoli in seguito a comportamenti che soddisfano
stimoli come fame, sete, desiderio sessuale. Grazie a questo meccanismo,
nel sistema nervoso rimane impresso il ricordo di un’esperienza positiva.
Nel caso dell’innamoramento è l’associazione tra “incontro” e “piacere”
che spinge il soggetto a ripetere lo stimolo che l’ha determinata, cioè
entrare nuovamente in contatto con la persona responsabile dell’iniziale
rilascio di feniletilamina. Allo stato di benessere determinato dalla
dopamina si aggiunge un’agitazione generale determinata dalla
noradrenalina, molecola diffusa nel sistema nervoso, in particolare
nell’ipotalamo e nel sistema limbico, con un duplice ruolo. Come
neurotrasmettitore provoca eccitazione, euforia ed entusiasmo, riduce
l’appetito perché mangiare sottrarrebbe tempo per stare con la persona
amata. Infine promuove la contrazione delle vene degli organi sessuali
trattiene il sangue mantenendo a lungo l’erezione. La dopamina è lo stesso
ormone che nel processo di attaccamento madre figlio viene prodotto
dall’emisfero destro del figlio in risposta alla madre e determina la
simmetria delle risposte madre e figlio. La dopamina favorisce quindi la
simmetria della risposta tra gli innamorati.
L’innamoramento porta all’eccitazione sessuale, che nella donna come
nell’uomo, è multifattoriale e multisistemica.

ECCITAZIONE SESSUALE NORMALE

Come si è detto l’innamoramento porta all’eccitazione sessuale, che nella


donna come nell’uomo, è multifattoriale e multisistemica. All’eccitazione
concorrono fattori biologici, psicosessuali, contesto-correlati.

In uomini e donne, l’eccitazione genitale può essere attivata secondo tre


modalità principali:
1. eccitazione riflessogena, che viene generata da stimoli tattili sui genitali
o sulle zone erogene, da stimoli sia auto che eteroagiti;
2. eccitazione psicogena, attivata da stimoli audiovisivi, olfattivi,
cenestesici o da fantasie. I segnali, provenienti dalla corteccia visiva,
uditiva, olfattiva e dalle aree associative, discendono fino ai centri spinali
D10-L2 per attivare l’erezione o la congestione dei corpi cavernosi
clitoridei e bulbo-vestibolari e la lubrificazione vaginale. Il termine
psicogena indica lo stimolo cognitivo ed emotivo centrale, a genesi
intrapsichica o relazionale, che la origina, pur estrinsecandosi attraverso
l’attivazione neurobiologica di vie cortico-midollari;
3. eccitazione notturna, attivata a livello del sistema nervoso centrale,
durante la fase REM del sonno. Nell’uomo, essa induce erezioni; nella
donne, congestione genitale e lubrificazione vaginale, in numero di due-
quattro episodi per notte, a seconda del numero di fasi REM.

L’eccitazione sessuale si manifesta a tre livelli:


1. cerebrale, con la sensazione soggettiva di eccitazione “mentale” e con
l’attivazione della cascata di eventi neurochimici e vascolari che
caratterizzano la risposta sessuale. Anche l’eccitazione cerebrale è ormono-
dipendente: gli androgeni svolgono un ruolo di “iniziatori” in quanto sono
in grado, da soli, di attivare l’eccitazione mentale, mentre gli estrogeni
agiscono come modulatori e facilitatori dell’eccitazione a livello sia
centrale sia periferico;
2. periferico non genitale, di cui fanno parte l’aumento della salivazione,
la vasodilatazione cutanea, che concorre al senso di calore e di eccitazione
generale, l’incremento della secrezione sudoripara e della specifica
increzione di feromoni da parte delle ghiandole sebacee, l’erezione del
capezzolo, l’aumento della frequenza cardiaca, l’aumento della frequenza
del respiro;
3. genitale: fenomeno neuro-vascolare, che risulta dalla coordinata
interazione di nervi, vasi, muscolatura liscia, e provoca l’incremento della
vasodilatazione e congestione genitale. Vi partecipano: nervi parasimpatici,
responsabili dell’inizio e del mantenimento dell’eccitazione; nervi
simpatici, coinvolti nell’orgasmo e, nell’uomo, nell’eiaculazione e nella
detumescenza peniena; nervi somatici. La coppia di nervi pudendi contiene
la maggior parte dell’innervazione diretta ai genitali esterni maschili e
femminili. Ricevono fibre da S2, S3, S4; forniscono la percezione
sensoriale del perineo e terminano come “nervo dorsale del pene“, o come
“nervo dorsale del clitoride” con fini terminazioni che arricchiscono la
capacità discriminativa di piacere di questi organi sessuali.

Esistono differenze tra uomini e donne, in particolare:


A. nelle donne, l’eccitazione genitale è favorita dagli estrogeni che sono i
fattori permittenti più importanti nel consentire al peptide intestinale
vasoattivo (VIP) di tradurre il desiderio in lubrificazione vaginale, mentre
gli androgeni sono fattori permittenti per l’ossido nitrico (NO), il
neuromediatore più importante per la congestione delle strutture bulbo
cavernose vestibolari e clitoridee;
B. nell’uomo, l’eccitazione genitale è favorita dagli androgeni, fattori
permittenti per l’ossido nitrico (NO). Essa dà luogo all’erezione: la rigidità
del pene in erezione dipende dall’aumento della pressione sanguigna
all’interno dei corpi cavernosi, data la non distensibilità della tunica
albuginea che li avvolge.
Nella donna, il segno principale dell’eccitazione è la marcata vaso-
congestione genitale, che dà luogo alla visibile congestione a livello delle
labbra e alla più interna formazione della cosiddetta piattaforma orgasmica,
data dall’insieme dei tessuti vascolari congesti che circondano il canale
vaginale, il canale uretrale e i tessuti congesti dei corpi cavernosi.
Maggiore è l’intensità dell’eccitazione fisica genitale e mentale, più elevata
è la probabilità che l’orgasmo sia intenso ed appagante. La lubrificazione è
un fenomeno neuro-vascolare: lo stimolo nervoso che arriva ai vasi
sanguigni peri-vaginali facilita la formazione di un trasudato che andrà a
costituire le secrezioni vaginali. Alla lubrificazione contribuiscono anche le
secrezioni delle ghiandole cervicali e quelle delle ghiandole del Bartolini, i
cui sbocchi si collocano proprio all’altezza del vestibolo vulvare.
L’erezione, espressione dell’eccitazione genitale nell’uomo, è la fase della
risposta sessuale più studiata.
Il coordinamento generale dell’erezione è così riassumibile:
1. strutture di comando dell’erezione: il cervello sogna, anticipa, attiva,
controlla, modula; il midollo spinale coordina, i nervi comunicano, i vasi
rispondono, i corpi cavernosi si rigonfiano, il pene diventa eretto;
2. strutture di risposta dell’erezione: stimoli e feed-back polisensoriali
tattili, visivi e propriocettivi dell’erezione la rinforzano se adeguati, la
riducono se insoddisfacenti; archi riflessi brevi – midollari – mantengono
l’erezione. Il midollo spinale risponde, comunica con genitali ed encefalo,
coordina le informazioni; il cervello apprezza le informazioni di piacere, se
l’esperienza è positiva; attiva segnali di allarme e di inibizione se è
negativa.

DIPENDENZA DA SESSO

Una definizione ancora agognata

A differenza di altre condizioni che sono soggette a interpretazione, la


discussione dell’esistenza della dipendenza da sesso (o sesso compulsivo)
spesso viene portata su un piano morale piuttosto che scientifico o sul piano
della salute, propria o altrui.

Questo sicuramente perché il focus del pubblico e l’attenzione clinica


tendono a concentrarsi sulla parola “sesso” piuttosto che a “dipendenza”
che è invece il punto focale di questa condizione.

Sono numerosi gli studi che sottolineano la cosiddetta cross-addiction,


ovvero che il sesso compulsivo non sia una dipendenza unica ma che si
associa ad altre (Carnes et al., 2005; Hall, 2012).
Se prendiamo in considerazione altri comportamenti compulsivi e
dipendenze che con difficoltà sono considerati dall’attenzione pubblica
quali televisione, gioco d’azzardo, shopping e in alcuni casi anche il
cioccolato, possiamo comprendere la situazione drammatica del dipendente
che non si vede riconoscere la propria dipendenza, il proprio problema e
quindi non riesce ad ottenere aiuto. Ma quando “sesso” viene aggiunto al
nome, qualsiasi cosa diventa immediatamente di pubblico interesse e la
prima sfida che ci possiamo trovare ad affrontare, sia come familiari sia
come dipendenti sia come terapeuti, è quella di decidere chi effettivamente
sia dipendente dal sesso o chi semplicemente lo utilizza in modo errato o
spropositato.

Sfortunatamente il dibattito morale su questa condizione non è tipico e


limitato esclusivamente alla sfera sociale o religiosa ma spesso si trova
all’interno dello stesso dipendente, all’interno della stessa vittima del sesso
compulsivo e molti terapeuti buttano letteralmente via ore per arrivare a una
definizione o alla diagnosi piuttosto che cercare di comprendere e aiutare il
paziente a superare questo problema e quindi a proseguire nella sua vita.

Alcuni si pongono la domanda di come esistendo dall’inizio dei tempi,


perché sia diventato dipendenza solo recentemente.

In realtà se guardiamo indietro nella storia i dipendenti sessuali non si


contano. Semplicemente con l’avvento di Internet, con l’ampliamento della
cultura, con l’aumentare della diffusione delle informazioni anche questa
dipendenza è venuta alla luce senza dover rimanere invece rinchiusa nelle
case, nei motel nelle auto nascoste nelle campagne di notte.

DEFINIRE LA DIPENDENZA SESSUALE

La definizione più semplice e più ampia del problema potrebbe essere


quella di uno “schema di comportamento sessuale fuori controllo che
influenza la vita della persona e/o ne accentra l’ideazione”. In particolare,
come tutte le compulsioni, è uno schema comportamentale che non può
essere fermato o, anche se viene fermato, non rimane stabile.
Come abbiamo già detto il semplice identificare un comportamento non
implica necessariamente una dipendenza. Riporto, per esemplificare al
lettore il mio pensiero, un elenco di comportamenti comuni, elenco che non
ha alcuna pretesa di essere completo.

• Pornografia sul web


• Chat
• Linee erotiche
• Prostituzione
• Partner sessuali diversi
• Storie contemporanee
• Pornografia (cinema / TV)
• BDSM
• Esibizionismo
• Voyerismo
• Feticismo
• Pedofilia
• Pornografia infantile
• Stupro
• Sesso virtuale

Come abbiamo visto ogni comportamento, non solo quello sessuale, può
diventare una dipendenza. Ma, come abbiamo già evidenziato non è il
comportamento in sé il problema quanto il rapporto che la persona ha
con il suo comportamento. Quando diventa una dipendenza il
comportamento non può essere fermato, anche se crea problemi nella vita
della persona.

Alcuni sostengono che etichettare un comportamento come “dipendenza


sessuale” sia una forma di patologismo; patologizzare un comportamento,
secondo alcuni, è una forma di giudizio. Secondo la versioni di questi
soggetti - che sono ben lungi dall’essere uomini di scienza – chiamare un
comportamento “dipendenza da sesso” implica che il sesso sia una cosa
sbagliata e cattiva. Ma questo modo di pensare non può essere più lontano
dalla verità. Il sesso non è un problema: è il rapporto e la relazione che la
persona ha con sesso che è un problema. Come quello con l’alcol e con tutti
gli altri oggetti di dipendenza o di compulsione. Credo che tutti, o almeno la
maggior parte, dei lettori concorderanno sul dire che non c’è nulla di male
in un bel bicchiere di vino rosso. Ma se il vino rosso diventa prima un
bicchiere al giorno, poi due, poi una bottiglia… beh le possibilità che la
persona sia dipendente non è così remota. La stessa cosa dicasi per il sesso.
Come detto poco fa il sesso compulsivo e la dipendenza da sesso non sono
questioni morali, sono questioni psichiche e psicologiche.

Mentre la comunità scientifica continua a discutere su quale nome sia


meglio dare al problema, o quale definizione usare per la condizione, o
quali criteri applicare per la diagnosi, termini come “dipendenza sessuale” o
“sesso compulsivo” o “sesso patologico” diventano sempre più comuni e
secondo Hall (Hall, 2012) sembrerebbe che il 43% degli affetti da questa
condizione preferisca il termine “dipendenza da sesso”; il 22% “dipendenza
amorosa”; il 17% “sesso compulsivo” e il 10% “ipersessualità”; il
rimanente 8% non sa di avere un problema o non sa come chiamarlo. Ma
qualunque nome vogliamo usare, la sostanza non cambia.
Shakespeare scrive:
G: Il tuo nome soltanto è mio nemico: tu sei sempre tu stesso,
anche senza essere un Montecchi. Che significa “Montecchi”?
Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la
faccia, né un’altra parte qualunque del corpo di un uomo. Oh,
mettiti un altro nome! Che cosa c’è in un nome? Quella che noi
chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo
stesso odore soave; così Romeo, se non si chiamasse più
Romeo, conserverebbe quella preziosa perfezione, che egli
possiede anche senza quel nome. Romeo, rinunzia al tuo nome,
e per esso, che non è parte di te, prenditi tutta me stessa.
R: Io ti piglio in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò
ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo.
Romeo e Giulietta; atto II, scena II

Purtroppo il cambiar nome non servì a salvare i due amanti dalla loro
condizione. E morirono entrambi. Scegliete il nome che preferite, basta
trovare una soluzione.

Il sesso compulsivo è un meccanismo di coping, un sistema per esercitare


un controllo sulla vita. È una strategia utilizzata per alleviare le emozioni
negative e crearne di positive.

SESSO OVUNQUE

La dipendenza sessuale (o sesso compulsivo o sesso patologico) è forse uno


dei fenomeni più allarmanti della realtà contemporanea. Il sesso è ormai
presente ovunque, esplicito, mascherato, ironizzato o semplicemente
nascosto con astuta malizia.

I media traboccano di donne e di uomini bellissimi vestiti solo di intimo o


intenti a sedurre, farsi sedurre, fare sesso, baciare o in ogni altro
atteggiamento che poco lascia all’immaginazione di ciò che verrà dopo. Nel
mondo del cinema il sesso è onnipresente. La musica contemporanea è
fortemente suggestiva. Perfino la linguistica si è ampiamente adattata per
cui termini che richiamo i genitali sono estremamente comuni (“che cazzo
vuoi?”; “non me ne frega un cazzo”) così come i riferimenti all’atto
sessuale (“vai a farti fottere”) e alla sodomia (“vai affanculo”; “vai a dar
via il culo”). Espressioni di questo tipo sono entrate talmente tanto nella
linguistica che non sono più tabù nemmeno in contesti pubblici.

Per dare un’idea al lettore di quanto il sesso permei la nostra realtà vorrei
riportare alcune statistiche. Un recente studio della Kaiser Family
Foundation riporta che il giovane medio, in America, trascorre circa 38 ore
alla settimana tra TV, musica, videogames, computer e libri; l’equivalente
ammontare orario di un lavoro fulltime. Il 68% del materiale a cui sono
esposti ha un esplicito contenuto sessuale. Due anni fa era il 56%. Secondo
le statistiche mondiale l’esposizione dei bambini a materiale a contenuto
sessuale inizia poco dopo il terzo anno di vita.

Ma dove ci porta tutto ciò?

Adolescenti incinte. La gravidanza più giovane della storia avvenne in Perù


quando Lina Medina, il 14 maggio 1939 diede alla luce un figlio con parto
cesareo all’età di soli 5 anni e 7 mesi. Purtroppo Lina non fu la prima nè
l’ultima vittima di stupro a sfondo pedofilo o matrimoni infantili combinati
(le cosidette “spose bambine”) che, a tutt’oggi, sono d’uso in alcune
culture. Nel corso degli anni le violenze sui minori sono cresciute
esponenzialmente.

Secondo la visione giudaico-cristiana il sesso dovrebbe essere


un’esperienza da vivere solo all’interno del vincolo sacro del matrimonio,
ma al giorno d’oggi è una pratica ben diffusa ed utilizzata per colmare vuoti
interiori e carenze di autostima. Ma ciò che è stupefacente è come, in un
mondo così sessualizzato, non si parli di sesso-dipendenza e di sesso
compulsivo.

Abbiamo visto nei capitoli precedenti come la compulsione altro non sia
che una sorta di schiavitù verso una determinata abitudine o azione o
sostanza; schiavitù sia fisiologica sia psicologica. Droga, alcol e gambling
sono gli esempi tipici che abbiamo deciso di riportare in quest’opera.

Proprio come l’acqua e l’aria, il sesso è una necessità fisiologica degli


animali, tra cui l’uomo. Gli esseri umani hanno bisogno di accoppiarsi tanto
quanto ne hanno di mangiare o di bere. Il sesso è parte della natura umana.
Ma quindi quando diventa patologico?

La sesso-dipendenza, o sesso compulsivo, è un disordine progressivo della


sfera intima che si manifesta attraverso pensieri e comportamenti sessuali
compulsivi. Come per tutte le dipendenze più il soggetto ne ha, più ne deve
avere e questo compromette le sue relazioni, il suo stato psichico, le sue
situazioni quotidiane.

Alcuni dipendenti sviluppano fissazioni su attività sessuali specifiche come


la masturbazione, il sesso orale, il consumo massimo di pornografia,
cybersex, sesso telefonico ecc..d’altro canto, alcuni dipendenti arrivano fino
al commettere atti illeciti quali il voyeurismo, l’esibizionismo, chiamate
telefoniche anonime, stalking, molestie fino ad arrivare allo stupro. Vorrei
essere chiaro su questo punto per non essere frainteso: la dipendenza da
sesso non sfocia necessariamente in atti illeciti o in reati, come d’altro canto
i reati sessuali non sempre hanno la loro radice nella sesso-dipendenza.

Questa dipendenza è stata definita dal National Council on Sexual


Addiction and Compulsivity come un’involuzione verso una una
determinata e progressiva forma di comportamento sessuale esternato
senza considerazione per le conseguenze negative per se o per altri. Le
“conseguenze negative” in questione implicano anche eventuali malattie,
rischi di salute, costi in denaro ecc..

Un’altra definizione del sesso compulsivo sostiene che un sesso-dipendente


tende a identificare i partner con “oggetti da usare” e questo giustifica la
necessità di partner multipli. Un dipendente si trova ad esternare azioni
determinate da decisioni compulsive quali la promiscuità, masturbazione
compulsiva, incentrazione della relazione sul sesso e così via.
IL SESSO COME DROGA

L’organizzazione americana Sex Addicts Anonymous (Dipendenti Sessuali


Anonimi) descrive l’esperienza sessuale come “The Bubble” (La Bolla) –
SAA Publications. La SAA sostiene che “la bolla” crei un muro tra la
persona ed il mondo e fintanto che si trova all’interno della “bolla”, il
dipendente si sente libero, galleggiando sulle onde della vita come se nulla
potesse toccarlo. Egli può vedere ciò che accade all’esterno, nel mondo, ma
quella realtà è distaccata e irreale poiché ciò che egli può provare e
sperimentare è solo ciò che si trova all’interno della “bolla”. Ma la “bolla”
altro non è che una trappola e quando scoppia e la persona cade a terra, la
realtà può essere devastante.

Il sesso può essere visto come una droga con potenti capacità di alterare
l’umore grazie all’enorme ventaglio di attività sessuali in cui si può
indulgere e che possono rievocare diverse risposte emotive e sensoriali.
Non è raro, ad esempio, che un soggetto affetto da sesso compulsivo si
trovi, prima o poi nella sua vita, a fare esperienze che fino a poco prima
riteneva impensabili; ad esempio esperienze omosessuali (per un etero) o
eterosessuali (per un gay), sadomaso, bondage, e così via. Così come un
dipendente da sostanze prima o poi inizierà a mescolarle, così un sesso-
dipendente inizierà a mescolare pratiche sessuali per poter provare
l’appagamento. E con l’avanzare della ricerca scientifica riusciamo a capire
sempre meglio quali siano i meccanismi che si attivano nel cervello per
ogni singola pratica; non solo quelli psicologici ma anche neurochimici.

Le persone che hanno una dipendenza da sesso sono spesso esperte di


diverse pratiche sessuali e sanno quale utilizzare per creare una certa
sensazione, rendendole così in grado di produrre quasi qualsiasi stato esse
desiderino. Il problema si presenta quando la compulsione non può trovare
lo sfogo necessario.

COME SI SVILUPPA LA DIPENDENZA

La dipendenza sessuale è uno degli argomenti di ancora difficile


comprensione e, a oggi, si è ancora compreso poco della sua origine. Per
questo cercherò di dare al lettore alcuni nuovi spunti su cui riflettere. Perché
alcune persone sviluppino una dipendenza compulsiva dal sesso ed altre no,
secondo me, non è una cosa che possa spiegata semplicemente seguendo
una determinata scuola di pensiero. Inizierò a fornire al lettore un’idea delle
teorie fondamentali per permettergli di comprendere le nuove ipotesi che
intendo fornirgli più avanti.

Inoltre, per la compulsione e la promiscuità di cui questa dipendenza è


permeata non è difficile pensare che chi soffre di questa dipendenza possa
ritrovarsi ad avere esperienze omosessuali, prima o poi. Ma un’esperienza
con un altro uomo può spingere un uomo a dubitare della propria sessualità
e questo può quindi cercare conferma della propria mascolinità indulgendo
in atti sessuali compulsivi con più donne possibile. E questo non fa altro
che aumentare la compulsione e il suo bisogno di ulteriori atti sessuali
compulsivi.

LA SPIEGAZIONE NEURO-BIOLOGICA

Come abbiamo visto, in generale, le dipendenze hanno più facce e sono


multipli i punti di vista sotto i quali possono essere osservate. Le loro radici
non possono essere facilmente attribuite ad un singolo fattore ma devono
osservate sotto tutti i punti di vista e studiate da ogni area problematica.
Una di queste aree, soprattutto per le dipendenze sessuali, è quella
biologica.

Il cervello gioca un ruolo fondamentale in tutti i processi di pensiero e


comportamento e, come tutti gli altri organi del corpo, ha bisogni che
devono essere soddisfatti. Endorfine ed encefaline sono essenziali per il
cervello e sono ritenute essere responsabili dell’induzione di emozioni,
sentimenti, eccitazione e soddisfazione. Attività come la ginnastica aerobica
o la corsa permettono al cervello di assorbire endorfine ed encefaline che,
quando combinate insieme, producono una sostanza simil-oppioide che
genera il desiderio. La creatività, l’intimità e l’espressione sono altri fattori
che influenzano queste due sostanze.
Immaginate che il cervello abbia una sorta di “tubature” che permettono il
fluire di queste sostanze. Ogni “tubo” ha un diametro unico che si restringe
o si espande (attraverso i fenomeni della vasocostrizione e della
vasodilatazione) a seconda della concentrazione di endorfine ed encefaline.
Se una persona è sedentaria il “tubo” sarà stretto. Se una persona pratica, o
ha praticato, la pittura, la recitazione o qualsiasi altra forma di arte
espressiva, i suoi “tubi” saranno lievemente più larghi di quelli di altri. Se
una persona non ha mai avuto una relazione intima i suoi “tubi” saranno
stretti. Su quest’ultima affermazione vorrei fare una precisazione: la
relazione intima a cui mi riferisco non è una relazione sessuale ma una
relazione di intimità psichica e emotiva, una di quelle relazioni in cui la
persona è libera di essere sé stessa in tutto e per tutto con un
coinvolgimento psico-emotivo che non necessariamente implica il rapporto
sessuale. Man mano che una persona aumenta i suoi rapporti sessuali la
richiesta del cervello di endorfine ed encefaline aumenta sempre più e il
sesso diventa una necessità.

Ora, la neurochimica non fa distinzione tra morale ed immorale e il suo


giudizio è puramente biochimico. Il suo unico scopo è, una volta
individuato uno schema che funziona, ripeterlo all’infinito per poter
ripristinare i livelli di neurotrasmettitori nel cervello. Il rapporto sessuale è
un buon metodo per innalzare i livelli di serotonina e richiamare endorfine
ed encefaline per cui il cervello tenderà a ripetere costantemente l’atto per
mantenere i livelli di dette sostanze ad un certo livello.

Come nel famoso esperimento di Pavlov col suo cane, la dipendenza


sessuale genera una sorta di condizionamento neurologico. I sesso-
dipendenti non si limitano ad essere eccitati e attivare un comportamento
sessuale. In genere possiamo individuare uno schema mentale, un
condizionamento psichico che è stato inculcato, instillato nella persona
molto prima che la compulsione si attivasse. È quello che in linguaggio
tecnico chiamiamo “stato alterato”.

Chi ricorre al sesso compulsivo o è sesso-dipendente entra in questo “stato


alterato” quando ha bisogno di un mondo fantastico per evadere dalla realtà;
in questo mondo fantastico la persona detiene il controllo e chiunque altro
può essere trattato come un oggetto. La persona riempie questo mondo con
immagini e pensieri sessuali, sessualizzati o sessualizzanti al fine di
mantenere alto il livello di piacere mentale o di arousal. Quando questo
mondo è colmo è l’eccitazione è al limite il soggetto può uscire da questo
stato alterato e, come risposta, il cervello ordina l’eiaculazione come
risposta fisiologica premiante ed appagante spingendo l’individuo a tornare
in quel mondo il più presto possibile.

I partner dei sesso-dipendenti spesso si lamentano che il compagno, o la


compagna, spesso si astraggano lasciandoli “soli” durante il rapporto
sessuale; e questo accade perché la persona entra in questo mondo
fantastico centinaia o anche migliaia di volte durante il rapporto sessuale ed
ormai ha perso l’abilità di controllarsi.

Il condizionamento neurologico è un aspetto cruciale che deve sempre


essere preso in considerazione quando si parla di dipendenza sessuale e
quando si cerca di aiutare qualcuno ad uscirne. La realtà neurologica e
psichica di una persona determina le azioni che la persona intraprenderà ed
i processi mentali che le accompagneranno. Questa realtà non può essere
ignorata, ma va compresa, accettata e curata.

LA SPIEGAZIONE PSICOLOGICA

Non sarà certo una sorpresa per il lettore sapere che la maggior parte delle
persone affette da sesso compulsivo riferiscono di avere avuto un’infanzia
difficile, famiglie instabili o di essere state vittime di abusi psichici, emotivi
o sessuali.

È d’obbligo prendere in considerazione alcuni aspetti psicologici quando


cerchiamo di analizzare e capire questo problema; in particolare ci
concentreremo sugli effetti dell’abbandono e dell’abuso nel contesto del
sesso compulsivo.

Abbandono
La famiglia deve essere un “rifugio sicuro”, ma tra impegni di lavoro,
carriere rampanti e il tasso in vertiginoso aumento dei divorzi e delle
separazioni, l’abbandono sta diventando una realtà sempre più imponente.
Essere abbandonato da un genitore o da una persona importante a causa di
un divorzio, di un trasferimento o di un decesso può risultare in un dolore
devastante ed impossibile da sopportare per un bambino. Molti autori in
letteratura hanno posto l’accento sull’importanza, per lo sviluppo del
bambino, della presenza di entrambi i genitori, almeno negli anni in cui la
persona si forma. Quando la necessità di un “rifugio sicuro” non viene
soddisfatta questo sfocia in un dolore che può portare il bambino a
sviluppare una qualche forma di compulsione come via di fuga. Ignorando
le devastanti conseguenze che ne scaturiranno il bambino, poi adolescente,
può cadere in varie forme compulsive come la masturbazione compulsiva, il
sesso compulsivo, l’alcol, il gioco d’azzardo, le droghe o altre forme di
dipendenza perché, a un certo livello, queste suppliscono al suo senso di
vuoto e di solitudine.

L’abuso
Molti sesso-dipendenti narrano di storie di abusi subiti. Sono diversi i tipi di
abuso che possono portare al sesso compulsivo.

Abuso fisico
L’abuso fisico, o l’essere fisicamente violati attraverso le percosse, gli
strattoni, la violenza in genere ecc. a prescindere dal fatto che possa essere
più o meno giustificato genera nella vittima sempre un trauma. I ricordi
dell’essere stata violata, picchiata, abusata crea una paura nei livelli più
profondi dell’essere della mente della vittima e la porta ad avere poca
autostima è a credere di valere poco perché coloro che avrebbero dovuto
prendersi cura di lei ne hanno, invece, abusato.

Abuso emotivo
L’abuso emotivo passa attraverso l’imbarazzo e la vergogna e investe il
bambino di una responsabilità per il proprio comportamento che non è
bilanciata all’età e alla maturità del soggetto. Far crescere un bambino
troppo in fretta o chiedergli di prendersi responsabilità che non gli spettano
è una forma di abuso emotivo. Si pensi ad esempio a quanti genitori
chiedono al bimbo di 3 anni che va all’asilo “ma tu ce l’hai la fidanzatina?”.
I bambini di tre anni devono pensare a giocare, non a formare un famiglia.
Il dolore che si associa a questo tipo di comportamenti può fungere da
fondamento per lo sviluppo di una compulsione che servirà al bambino, una
volta adulto, a medicare il dolore stesso.

Abuso spirituale
L’abuso spirituale ha luogo quando la spiritualità viene permeata di filosofie
personali ed interpretazioni “strampalate” di chi Dio sia e cosa faccia o
voglia piuttosto che facilitare una relazione sana e d’amore con Lui. Alcuni
sesso-compulsivi ammettono che a un certo punto della propria vita sono
stati obbligati ad aderire ad un sistema di credenze particolarmente stretto o
vincolante ed avevano paura, imbarazzo o semplicemente non si
azzardavano ad opporsi a tale imposizione. La sessualità è diventata motivo
di imbarazzo e grazie a una formazione reattiva hanno sviluppato un
particolare interesse verso il mondo del sesso e della sessualità.
Un’attitudine ribelle ha preso forma e si è strutturata. Questo li aiuta ad
indulgere in pratiche sessuali multiple, promiscue che spesso si
accompagnano all’alcol e al gioco d’azzardo. A volte possono sfociare nel
sesso illecito, nella violenza sessuale, nello stupro e simili.

Abuso sessuale
Molti sesso-dipendenti sono stati vittime di qualche forma di abuso sessuale
in passato. L’abuso sessuale è una realtà difficile con cui trattare e
devastante sotto ogni aspetto. L’abuso può scatenare i peggiori e più
dolorosi dei sentimenti. Quando l’abuso viene riconosciuto il risultato
dell’affrontare il trauma può essere devastante. L’abuso sessuale non solo
danneggia l’individuo ma lo forza ad oggettivare il sesso. Il sesso viene
quindi visto come una cosa, un oggetto con cui medicare il dolore e la
persona ne ha bisogno sempre di più perché il dolore continua ad affiorare.
Il tipo di abuso sessuale a cui la persona è esposta è strumentale per
l’interpretazione e la comprensione delle pratiche sessuali preferite dal
compulsivo. L’abuso sessuale crea sia un senso di confusione sia di danno
profondo nella mente del dipendente.

I SINTOMI DELLA DIPENDENZA DA SESSO (O SESSO COMPULSIVO)

Per quanto riguarda la parte diagnostica, del sesso compulsivo (o


dipendenza da sesso) non sono stati ancora codificati i segni e i sintomi che
devono rientrare nel quadro clinico per una diagnosi; tuttavia i ricercatori
sono arrivati a concordare su alcuni punti e hanno definito una serie di
parametri che definiscono questa compulsione alla stregua delle altre
dipendenze. Perché il soggetto possa essere considerato sesso-dipendente
devono sussistere almeno tre dei seguenti sintomi:
1. Rapporti sessuali multipli e partner diversi (anche se impegnati
in una relazione);
2. desiderio costante di fare sesso o di parlare di sesso o espliciti
riferimenti sessuali;
3. desiderio di cambiare vita senza successo;
4. rilevante quantità di tempo dedicata ad attività sesso-correlate
quali rapporti sessuali, pornografia, masturbazione, sesso
telefonico, sesso online ecc..;
5. trascurare impegni e responsabilità a casa, al lavoro, a scuola per
inseguire una gratificazione sessuale;
6. indulgere in attività sessuali senza percezione del pericolo
(rapporti sessuali non protetti, in luoghi pubblici, con colleghi di
lavoro ecc.) e senza percezione del rischio di contrarre malattie
veneree;
7. necessità di incrementare le attività sessuali per ottenere
un’adeguata soddisfazione;
8. sentimenti di irritabilità o sconforto quando impossibilitati a
prendere parte ad attività sessuali.

Nell’ottica di un sesso-dipendente, il sesso è un (se non “il”) punto focale


dell’esistenza. È la forza che lo porta ad interagire con le persone e lo scopo
è di ottenere una gratificazione sessuale, sempre. Più la situazione avanza
più la persona perde la capacità di dirigere e controllare il proprio
comportamento. Quando cerca di controllarsi o di astenersi dai rapporti
sessuali inizia a manifestare i sintomi dell’astinenza quali euforia o
depressione, sbalzi d’umore, diviene scostante o tende ad isolarsi, instabilità
emotiva soprattutto quando inizia ad “avere voglia”.

IL CICLO DEL SESSO COMPULSIVO


Come per tutte le dipendenze, anche il sesso compulsivo porta la persona ad
agire attraverso una serie di attività prima di arrivare all’atto sessuale. Il
ciclo che propongo al lettore è una versione modificata del modello
proposto dal Dr. Patrick Carnes.

1. Eventi scatenanti. Esperienze traumatiche e dolorose nel passato e


uno stress emotivo nel presente possono scatenare diverse emozioni
che il soggetto non riesce a processare in modo corretto. Questo
porta al desiderio di riacquistare il controllo. Ironicamente più cerca
di riacquisire il controllo, più lo perde.
2. Preoccupazione. A questo punto il soggetto entra il cosiddetto
“stato alterato” e si fissa sui pensieri sessuali più stimolanti. Più
medita su queste fantasie più prende forma nella sulla mente il
piano per conseguire lo scopo.
3. Ritualizzazione. Questo si riferisce a una serie di comportamenti
anticipatori che il dipendente attua in preparazione all’atto sessuale.
Il rituale va dal visitare siti pornografici al pettinarsi in un certo
modo, dallo scegliere l’abito giusto per l’incontro al profumo che
decide di usare ecc.
4. Acting out. Il soggetto mette in atto il piano.
5. Ricompensa fisiologica. Raggiungere l’orgasmo funge da
antidolorifico: questo mette a tacere il dolore, la solitudine, la
depressione o l’angoscia interiori.
6. Disperazione. La gratificazione sessuale altro non è che una gita
fugace ed effimera, caduca. Non appena il soggetto raggiunge il
picco neuronale e neurologico dell’euforia sessuale che ha ottenuto
dalla masturbazione o dall’atto sessuale vero e proprio, la persona a
un livello più o meno conscio viene pervasa da sentimenti di
disperazione, disgusto, vergogna ecc. Per sentirsi meglio il soggetto
attiva una sorta di dissociazione che gli impedisce di percepire
quanto sopra esposto e può ricorrere a rituali di purificazione (farsi
la doccia, lavarsi le parti intime ecc.) nel tentativo di fuggire
dall’esperienza. Qualora decidesse di non ripetere più la cosa il
primo (o uno dei primi) pensiero che lo assalirà sarà il numero di
tentativi precedenti in cui ha fallito.

LE CONSEGUENZE DELLA DIPENDENZA DA SESSO

Il sesso compulsivo esercita la propria influenza su ogni aspetto della vita


della persona. Inizialmente a privacy e la segretezza possono dare un’idea
di protezione da eventuali conseguenze avverse, l’illusione che “se nessuno
sa della mia dipendenza, la cosa non esiste” e che quindi il comportamento
possa essere reiterato per mesi o addirittura per anni. Ma ogni scelta che
facciamo nella vita ha un costo. Ed è solo una questione di tempo perché il
prezzo esiga di essere riscosso. Il senso di perdita di sé stesso, di
disorientamento, di distruzione e di vuoto e il sesso-dipendente prova è la
chiave per la definizione. Quando la vita comincia ad essere ingestibile,
insostenibile ed il comportamento diventa sempre più’ compulsivo, allora è
più logico pensare a una dipendenza che a una scelta dettata dal libero
arbitrio.

Il tipo di comportamento detterà il livello e l’estensione delle conseguenze.


Alcuni potrebbero trovarsi in situazioni economiche disastrose, altri
potrebbero ritrovarsi in beghe legali, altri potrebbero avere problemi sul
lavoro e altri ancora ritrovarsi nella spirale dei problemi di salute. Tra i
sesso-dipendenti sono comuni le MST (Malattie Sessualmente
Trasmissibili), l’ansia, la depressione (generalmente quella mascherata),
desiderio di suicidio. Un’escalation della situazione può portare variazioni
tali da indurre disfunzioni fisiologiche come disfunzioni erettili, problemi di
eiaculazione e variazioni nei gusti sessuali (fantasie di scambi di coppia,
orge, pratiche non comuni ecc..)

Un aspetto particolarmente insidioso e pericoloso del sesso compulsivo è la


crescente correlazione tra questa dipendenza e i crimini sessuali poiché il
flusso idetico e lo schema comportamentale correlati alla sfera sessuale, o
alla “mappa dell’amore” come la definisce Money (1989), vengono corrotti.
Così come sperimentano problematiche di tipo sia fisico sia pratico, i
dipendenti da sesso hanno un’enorme probabilità di sviluppare crescenti
problemi nel campo delle relazioni interpersonali e nel senso di sé. Man
mano che la compulsione si struttura e si stabilizza l’ordine delle priorità
cambia nella mente del dipendente la distanza interpersonale e i conflitti
aumentano. Questi problemi vengono ulteriormente esacerbati dalla
segretezza e/o dalla negazione serve al dipendente per mantenere attiva la
compulsione che, qualora venisse alla luce o giungesse al punto di
coscienza, rischierebbe di farlo esplodere.

Il sesso compulsivo è la dipendenza che più’ di ogni altra distrugge le


relazioni del dipendente perché intacca il sistema cerebrale della fiducia.
Come mostrato nella tabella 1, il 46.5% dei sesso-dipendenti ha perso
almeno una relazione importante.

Ma la conseguenza peggiore, più’ devastante, disastrosa e abominevole del


sesso compulsivo è l’impatto che ha sull’autostima del dipendente. Questa è
un’altra di quelle aree in cui molti preferiscono spostare la discussione sul
piano morale piuttosto che intellettuale o scientifico, sostenendo che
l’impatto sull’autostima sia un riflesso del senso di vergogna e di colpa
associati alla scelta dello stile di vita. Sicuramente questa può essere una
spiegazione per alcuni casi ma molti dipendenti non ritengono il loro
comportamento né biasimevole né qualcosa di cui vergognarsi, anzi, molti
si fanno vanto della propria attività sessuale. Ciò che danneggia l’autostima
non è il comportamento in sé ma la compulsione che lo accompagna. La
persona può anche non trovarci nulla di male nel guardare pornografia, ma
quando trascorre 8 ore al giorno o preferisce perdere ore di sonno per stare
online, o saltare le recita dei propri figli a scuola, lasciare una buona serata
in compagnia ecc.. allora i suoi sentimenti di rispetto per sé stessa e il suo
senso di integrità vengono danneggiati. Quando è presente una dipendenza
di questo tipo nemmeno una relazione stabile aiuta, anzi potrebbe solo
peggiorare le cose poiché la persona potrebbe trovarsi nella situazione di
accettare una relazione stabile, come un fidanzamento, perché sa che avrà,
in quel contesto, la possibilità di esprimere la propria compulsione; questo
la costringerà a sopportare ogni tipo di abuso da parte del partner che non
può lasciare per non perdere l’oggetto della compulsione sessuale. La
dipendenza da qualche tipo di comportamento sessuale e la continua
necessità di attuare la compulsione è ciò che distrugge l’autostima.
Sfortunatamente più l’autostima cala, minori diventano le risorse per
affrontare la situazione. Infatti una buona tecnica terapeutica per aiutare la
persona a uscire dalla dipendenza è quella di ricostruire l’autostima. Questo
permette alla persona di vedere di quanto sia stata privata, quanto abbia
gettato via e quanto abbia accettato le prevaricazioni altrui (spesso in una
relazione strutturata) al fine di agire la compulsione.

Conseguenza Effettiva Potenziale


Sentimenti di vergogna 70.5% 48.8%
Bassa autostima 65.0% 45.6%
Perdita di una relazione 46.5% 71.4%
Perdita del lavoro 4.1% 26.3%
Perdita di tempo 62.7% 41.5%
Perdite economiche 41.9% 35.5%
Indebitamento 14.7% 24.0%
Compromissione delle capacità 14.7% 19.4%
genitoriali
Problemi fisici 15.7% 19.8%
Contrazione di una Malattia 19.4% 47.0%
Sessualmente Trasmissibile
Problemi mentali 49.8% 43.3%
Serie intenzioni di commettere 19.4% -
suicidio
Disfunzioni sessuali 26.7% 22.6%
Problemi legali 6.0% 17.5%
Umiliazione sulla stampa 0.9% 17.5%
Oltre alle conseguenze reali non bisogna sottostimare quelle potenziali, cioè
i rischi. Sebbene alcuni siano più fortunati di altri riguardo quanto e cosa
devono soffrire ansia costante generata da questa dipendenza può diventare
devastante.

Comprendere l’effettivo impatto e forza devastante di questa compulsione è


l’unico modo per realizzare quanto il problema sia reale nella vita del
dipendente. In qualsiasi modo vogliate chiamare il problema, qualsiasi
nome scegliate di usare, qualsivoglia definizione vogliate adottare questa
compulsione distrugge la vita delle persone riducendole a veri e propri
relitti umani.

COME SI DIVENTA SESSO-DIPENDENTI

Domanda più’ classica tra le persone che si rendono conto di avere questo
problema è “perché sono diventato un sesso-dipendente?”. Spesso la
domanda emerge in uno stato di confusione e porta con sé un’intrinseca
urgenza di ottenere una risposta dal momento che la persona sta cercando di
dare un senso ciò che sta succedendo. La domande che poi seguono,
generalmente impregnate di paura e di ansia sono “Sono matto?”; “Ho
bisogno di psicofarmaci?”; “Perché mi sta succedendo questo? E’ per
qualcosa che ho fatto?”; “E’ perché sono stato abusato?”

Ma tutte queste domande servono solo come apripista a qualcosa di più’


profondo e complesso, a una domanda che la persona solitamente si porta
dentro ma non ha il coraggio di fare per il timore della risposta: “Posso
cambiare?”.

Prima di addentrarci sulle origini della compulsione sessuale vorrei


spendere due parole per rassicurare il lettore che, indipendentemente da
quale sia la causa, il problema si può superare. Ci sono casi più’ difficile e
complessi di altri; persone le cui maggiori risorse le aiutano maggiormente
nel recupero; esistono addirittura rari soggetti che possono aspirare a
rendersi conto del problema ed uscirne con le sole proprie forze. Vorrei,
tuttavia, sconsigliare quest’ultimo tentativo. Sebbene la tentazione di
uscirne da soli possa essere una apparente soluzione al problema sia perché
risparmia l’imbarazzo del dover parlare con qualcuno del problema, sia
perché a risultato ottenuto l’autostima sale repentinamente esiste il rischio,
non troppo remoto, di non risolvere il problema ma semplicemente di
mutare la compulsione sostituendola con un’altra. Con il risvolto di
ritrovarsi, a distanza di un tempo più’ o meno lungo, nella stessa situazione.

Dicevo, indipendentemente da quale sia la causa, il problema si può


superare. Questo è importante soprattutto per coloro che sono stati abusati,
specialmente i bambini vittime di pedofilia rosa. Per qualcuno la cui
dipendenza scaturisca da un trauma è facile saltare alla conclusione che il
danno sia ormai stato fatto e questo potrebbe abbattere la determinazione
del soggetto. Ma qualunque sia la dipendenza che trattiamo e qualunque ne
sia l’origine, comprendere le cause profonde e aumentare la consapevolezza
del problema è essenziale perché questo permette alla persona di affrontare
in modo positivo e costruttivo messaggi negativi, i filtri di pensieri e gli
schemi comportamentali che possono essersi strutturati nel tempo
affrontandoli con strategie di coping positive che possono essere apprese e
sviluppate.

Come facilmente intuibile non esiste una risposta univoca o semplice al


perché una persona sviluppi questa dipendenza, che questa sia dovuta
all’attaccamento (troppo o troppo poco), indotta da un trauma o prettamente
indotta dalla possibilità o da una qualsiasi delle cause descritte sopra.
Cercare di comprendere come un comportamento, o peggio una dipendenza,
si sia strutturato o un evento si sia manifestato è sempre un percorso
complesso che comprende multiple variabili e diversi fattori, sia questo
comprendere le origini di una dipendenza, le dinamiche di un incidente
automobilistico, le motivazioni di una violenza familiare. Queste variabili e
questi fattori, inoltre, sono strettamente correlati e interdipendenti gli uni
dalle altre.

Ad esempio, un mio carissimo amico è anche un bravissimo violinista. La


sua passione per la musica nacque quando era ancora un bambino e fin da
subito scoprì di avere un talento naturale per la musica; i suoi genitori lo
hanno sempre sostenuto ed incoraggiato ad ascoltare musica e suonare; la
sua passione è stata alimentata e i suoi sforzi sono stati ripagati. Ma anche
gli eventi negativi hanno giocato un ruolo fondamentale: il suo primo
violino lo ebbe in eredità da suo nonno che, dopo il decesso, gli mancava
molto ma era stato la sua ispirazione al momento di scegliere quale
strumento apprendere. Tuttavia cambiando un semplice fattore o mutando
una sola variabile (ad esempio se i genitori si fossero separati, o se fosse
subentrata una malattia) il suo cammino sarebbe forse stato totalmente
diverso, per sempre.

Comprendere la fragilità del percorso della vita umana è importante perché


ci permette di capire perché persone con una storia quasi identica possono
svilupparsi in modo completamente diversi e imboccare strade che portano
in direzioni diametralmente opposte; inoltre ci aiuta a non caricare un
singolo evento o una singola circostanza di biasimo, di sensi di colpa o di
vergogna, cosa di particolare importanza visto che la vergogna è
l’organizzatore primario che gioca un ruolo fondamentale nel sesso
compulsivo.

Quando cerchiamo le cause della dipendenza sessuale è importante porci


due domande:
1. Perché una persona diventa dipendente?
2. Come è diventata dipendente dal sesso?

La risposta alla prima domanda i solito risiede nell’infanzia mentre la


risposta alla seconda la si trova nell’età della pubertà e dell’adolescenza.

Nelle storie delle persone affette da sesso compulsivo ci sono, come


abbiamo detto, molte similitudini, siano esse biochimiche o processuali, ma
le cause che concentrano la compulsione sul sesso piuttosto che sull’alcol o
sul gioco sono strettamente collegate allo sviluppo sessuale, alla
disponibilità e all’accessibilità del sesso (con altri o tramite masturbazione).

Ciascuna di queste cause viene esplorata attraverso un modello integrativo


che prende in considerazione tutta la vita della persona. Il modello BERSC
(figura 2) è un’espansione del primo modello biopsicosociale elaborato
dallo psichiatra George Engel nel 1977. Questo modello rappresenta uno
strumento che permette considerare l’univoco modello biologico di
ciascuno, la predisposizione emotiva, i copioni, le esperienze relazionali
dall’infanzia fino all’età adulta i fattori sociali e culturali quali la religione,
etnici, orientamento sessuale, gruppo dei pari e ambiente lavorativo.

COMPULSIONE OPPORTUNITÀ-INDOTTA

Il sesso è disponibile ovunque e in qualsiasi momento. Per strada, nei bar, a


casa, in discoteca. Internet ha messo a disposizione un accesso illimitato e
anonimo ad ogni tipo di attività sessuale che la nostra carne e le nostre
perversioni possano desiderare. Esiste un’ampia gamma di attività sessuali
che possono essere esplorate online non comportano alcun rischio per la
salute o evidenti conseguenze negative finché uno ne rimane invischiato.
Pensate se anziché il sesso fosse l’eroina ad essere costantemente
disponibile. Quanti di noi ci cadrebbero anche solo per la curiosità di
provare? Non esiste alcuna dipendenza che non si regga sulla disponibilità
dell’oggetto della dipendenza stessa e sull’assenza di una dovuta
informazione rischi che la persona corre. E’ nella natura umana indulgere
in esperienze nuove e piacevoli quali scegliamo e per quanto tempo
decidiamo di seguirle dipende dal nostro temperamento e dalle nostre
esperienze di vita.

Non mi fraintenda il lettore: non sono un proibizionista. Chi mi conosce sa


quanto io mi batta per la libertà sotto ogni forma (tranne la libertà di parola
per alcuni!) ma credo che come i bambini vengono educati a mangiare in
modo sano, a fare sport in modo corretto, a bere in modo responsabile
dovrebbero anche essere educati a una vita sessuale sana. Ma una società
come la nostra, che si definisce aperta ma in realtà è estremamente chiusa
piena di tabù’ in cui il sesso si trova ovunque ma non se ne può parlare
lascia le cose importanti (come l’educazione sessuale) in mano ai preti o
all’autoesplorazione del singolo, con danni spesso irreparabili.

La libertà è tale sono quando il soggetto può scegliere essendo edotto delle
conseguenze. Non vi è libertà se non si sa a cosa si va incontro.
Pensiamo all’adolescente che, finendo le scuole medie deve scegliere le
superiori. Per quanto i genitori lo lascino “libero” di scegliere la sua scelta è
inficiata dal fatto che non sa cosa deve aspettarsi e sarà facilmente
influenzabile. Quanti di noi hanno detto, almeno una volta nella vita “Se
tornassi indietro non lo farei!” oppure “Se avessi saputo che sarebbe finita
così non lo avrei fatto!” . il famoso “senno di poi” è la base esperienziale
che ci fa crescere.

Ciò che io insegno sempre ai miei studenti e cerco di far comprendere ai


miei pazienti è che per fare una scelta libera devono prima avere chiaro il
ventaglio di opportunità che si prospettano davanti a loro e devono aver
indagato tutte le eventuali conseguenze. A quel punto la scelta sarà libera.
O, per lo meno, più’ vicina alla libertà visto che è impensabile poter
valutare tutte le possibili soluzioni e conseguenze. Ma di più’ dati si
dispone, più la libertà, quella vera, è vicina.

Il dogma “è così perché lo dico io” non rende liberi. Rende schiavi. “Il
sesso dà piacere” non è un pensiero che rende liberi, rende dipendenti.
Poiché non la dice tutta. Un’affermazione del tipo “il sesso appaga ma
rischia di renderti vuoto, depresso distrugge l’autostima ecc...” e tutto
quello che abbiamo detto finora, è un pensiero che si avvicina di più’ a una
libera scelta, poiché il soggetto sa a cosa va incontro.

L’esplorazione della sessualità è una cosa naturale, salutare e buona, ma se


il soggetto ha una predisposizione a sviluppare questo tipo di dipendenza è
una ragnatela da cui difficilmente sfuggirà.

A questo punto viene naturale chiederci: ma con tutta questa disponibilità di


materiale pornografico e di sesso, perché solo alcuni diventano dipendenti e
sviluppano il sesso compulsivo?

SVILUPPO CEREBRALE

Può essere che alcuni siano geneticamente predisposti, addirittura prima


della nascita. Le dipendenze sembrano muoversi lungo le linee
genealogiche secondo schemi definiti, come maledizioni che si tramandano
di generazione in generazione, alcune dipendenze passano di padre in figlio
o di madre in figlio. Questa affermazione, che può sembrare un po’
azzardata è invece una induzione logica (per quanto logica si possa definire
un’induzione) dagli studi sui cervelli dei gemelli che mostrano che gemelli
omozigoti che discendano da almeno un genitore che abbia sviluppato una
dipendenza verso la droga mostrano le stesse anomalie cerebrali gli uni
verso gli altri.

E se dei due gemelli uno fa uso di sostanze e l’altro no le anomalie risultano


comunque presenti in entrambi (Ershe et al, 2012). La nostra conoscenza
dello sviluppo cerebrale sia dal punto di vista strutturale sia biochimico, è
ancora allo stato embrionale. Per questa ragione esistono svariate ipotesi
sull’origine delle dipendenze, ma restano per ora soltanto ipotesi. Non è
scopo di quest’opera, né competenza di noi autori discutere nel dettaglio
queste ipotesi che sono, ricordiamo, ancora in fase di investigazione.

DISREGOLAZIONE DELLA DOPAMINA

E’ ormai scientificamente accettato e clinicamente spiegato il fatto che ciò


che accomuna tutte le dipendenze è dopamina (Robbins and Everitt, 2010).
La dopamina, ricordiamo, è il neurotrasmettitore responsabile, tra le altre
cose, dell’esperienza della ricompensa e del piacere. Da un punto di vista
prettamente evoluzionistico, la dopamina è essenziale per la sopravvivenza
perché ci motiva a continuare a nutrirci e riprodurci. La dopamina si alza,
infatti, quando mangiamo, quando amiamo, quando beviamo ma anche
attraverso l’anticipazione delle fantasie, il che spiegherebbe perché così
tante persone amano i cooking-show e la pornografia. La dopamina è anche
coinvolta nei processi mnemonici e condiziona il cervello per la ricerca del
premio. Queste memorie diventano più forti e migliorano di nitidezza man
mano che la dopamina aumenta per cui più’ facciamo qualcosa che ci alza
la dopamina più desideriamo rifarlo (Berke e Hyman, 2000).

Bassi livelli di dopamina sono stati associati all’ADHD, ai disturbi


dell’alimentazione e alle dipendenze. Ma qui ci troviamo a doverci porre
una domanda che riporta un circolo vizioso: è la dopamina bassa che crea la
dipendenza verso le droghe, il sesso, il cibo, il gioco o è l’abuso di droghe,
di sesso, di cibo, di gioco che causa un abbassamento dei livelli di
dopamina? O è una concomitanza di entrambi?
Le ricerche mostrano che droghe come la cocaina e l’eroina suppliscono al
cervello una dose di dopamina pari a 10 volte i livelli normali e, nel tempo,
lo condizionano così che questo si aspetta livelli così indotti chimicamente
(Blum et al., 2000; Duvauchelle et al., 2000). Con l’uso continuato, il
cervello richiede sempre più dopamina rispetto a quanta ne possa
naturalmente produrre e diviene quindi dipendente dall’apporto esterno.

Ma mentre una parte della comunità scientifica continua a dibattere sul fatto
che sia nato prima l’uovo o la gallina, un’altra parte porta avanti ricerche
mirate a capire se un’esposizione precoce alla pornografia ossa avere sulla
regolazione della dopamina un impatto più o meno simile a quello dell’uso
di sostanze. Esistono evidenze inconfutabili del fatto che l’uso precoce di
sostanze (quali droghe, nicotina, e alcol) dia origine ad uno squilibrio a
lungo termine della dopamina (Manning et al., 2001); se il sesso avesse lo
stesso potenziale di quello che Patrick Carnes ha predetto alla conferenza
annuale del “Simposio Europeo sui disturbi da dipendenza” (UKESAD) nel
maggio del 2010 allora l’affermazione che “uno tsunami stia arrivando” è
completamente plausibile.

Mentre le ricerche avanzano, ognuna nella propria direzione, c’è un campo


d’indagine che supporta più di altri l’implicazione della dopamina nel sesso
compulsivo. Ai pazienti affetti dal Parkinson vengono spesso prescritti degli
agonisti della dopamina (come ad esempio l’L-DOPA) per migliorare la
loro mobilità e le funzioni mnemoniche ma uno degli effetti collaterali di
questa terapia è la comparsa di comportamenti sessuali impulsivi e
compulsivi.
In aggiunta ai dibattiti già citati, esistono ricerche che indagano l’impatto
dei traumi e delle difficoltà di attaccamento sulla dopamina e sullo sviluppo
cerebrale.

Un’ultima nota sulla correlazione tra la dopamina e il sesso compulsivo (o


il sesso in generale, se preferiamo) è che mentre la dopamina si occupa del
piacere e dell’amore, della gioia e della soddisfazione un altro
neurotrasmettitore fondamentale è la serotonina. Come già detto è
quest’ultima che si occupa di procurare l’orgasmo. Per cui possiamo
affermare che nella dipendenza sessuale ciò che il dipendente cerca non è il
sesso, ma questo è il mezzo per aumentare temporaneamente la dopamina
attraverso una stimolazione del sistema serotoninergico.

PERSONALITÀ

Il termine “personalità dipendente” è spesso usato per descrivere una serie


di caratteristiche che molte persone coinvolte in una o piu’ dipendenze
hanno in comune.

Questo termine non è però adeguato perché indica un tipo particolare di


personalità, che può sfociare in un disturbo di personalità vero e proprio, il
“Disturbo dipendente di personalità”

Tuttavia sebbene incongruo e inappropriato il termine “personalità


dipendente” viene spesso utilizzato nel campo delle dipendenze per le sue
somiglianze col disturbo propriamente detto. Qualche esempio di queste
similitudini può essere:
- Impulsività e difficoltà nel proscrastinare la soddisfazione del
bisogno
- Tendenza a correre rischi
- ricerca di sensazioni nuove o sempre più intense
- non-conformismo
- Difficoltà nel gestire stress e ansia

Direi che sia impossibile affermare con certezza se questi tratti siano innati
o siano piuttosto tratti appresi nel comportamento della persona ma credo
che molti genitori converranno con me che sono tratti osservabili nei
bambini già in tenera età.

Nella mia esperienza ho notato un grosso giovamento nei pazienti


disponibili a indagare in modo sereno e analitico la propria infanzia.
Infanzia in cui spesso emergono segni di abuso (vedi sopra per i tipi di
abuso). Anche dettagli apparentemente “normali” o non particolarmente
carichi di ansia.
Ricordo ad esempio il caso di R., 28 anni, maschio, italiano con un
problema di sesso compulsivo che parlandomi della sua infanzia la
descriveva come un’infanzia felice. Parlandomi degli amici mi raccontò che
da ragazzino aveva tanti amici e non faceva nessuna fatica ad andarci
d’accordo si trovava a suo agio anche in compagnie diverse. La cosa
interessante che emerse dopo un po’ di colloqui fu il fatto che non riusciva
a dormire al buio e aveva sempre bisogno di una luce accesa. Non aveva
citato questo dettaglio nel corso degli incontri precedenti perché, secondo
lui, poco rilevante. Ma in realtà quel dettaglio ci aprì la porta sul suo mondo
di solitudine e scarsa autostima.

Credo che qui sia doveroso sottolineare che ci sono prove sempre più solide
che mettono in correlazione ADHD (disturbo da deficit di attenzione e
iperattività) e dipendenza (Blankenship and Lasser, 2004), in parte per il
ruolo ricoperto dalla dopamina ma anche a causa dei comuni tratti di
personalità.

Inoltre, in aggiunta a possibili determinanti biologiche e tratti di personalità,


ci sono tratti comuni anche nelle famiglie dei sesso compulsivi – ad
esempio ambienti in cui l’autocontrollo non veniva insegnato o veniva
esasperato; in cui non vi erano disponibili modelli coerenti di gestione delle
emozioni o delle esperienze; dove aleggiava la vergogna o l’imbarazzo;
dove esistevano segreti (i segreti sono devastanti per i bambini perché li
percepiscono ma non capiscono cosa stia accadendo; un genitore che abbia
un amante e tenga il segreto può sperare di ingannare la moglie – o il marito
– ma non inganna il figlio piccolo. Per maggiori dettagli sulle conseguenze
devastanti dei segreti e del doppio legame il lettore può consultare la nostra
opera “Sei libero di dirmi di sì”).

AUTOCONTROLLO

Quando parliamo di autocontrollo non dobbiamo pensare a un mero


controllo degli impulsi. E’ vero che molti dipendenti hanno una continua
lotta con i propri impulsi, soprattutto quando la compulsione inizia a
manifestarsi o quando vogliono liberarsene, ma continuare a nutrire una
dipendenza sessuale richiede tanta disciplina quanto l’autocontrollo.
L’autocontrollo è la capacità di prendere decisioni basate sul giudizio equo
dei propri bisogni e sulla logicità delle opportunità e delle conseguenze.

Noi iniziamo ad apprendere l’autocontrollo nell’infanzia e ci sono due modi


fondamentali in cui i genitori possono fallire nel compito di insegnare al
bambino l’autocontrollo:
- Il primo, che è anche il piu ricorrente nei soggetti con sesso
compulsivo, è quello di avere un ambiente stretto, rigido e
iperprotettivo o soffocante in cui il bambino spesso è
impossibilitato a prendere decisioni per séstesso (Carnes, 1991).
C’è un dictat piu o meno esplicito che aleggia nell’aria che
chiarisce che i genitori sanno ciò che è meglio per il bambino. La
volontà e le aspettative dei genitori vengono quindi, piu o meno
volontariamente, imposte non lascia alcun spazio di manovra al
bambino per sviluppare la propria volontà e la propria forza di
volontà. Le conseguenze di un rapporto troppo stretto e
controllante è spesso un adolescente (o un adulto) che rifiuta il
controllo da parte di chiunque o di qualsiasi cosa se non di sé
stesso indipendentemente dalle conseguenze. Questa attitudine
ribelle è evidente nei soggetti che infrangono ogni regola
imposta dai genitori o che, per quieto vivere, adottano una vita
alternativa per rompere i tabù nel segreto.
- Il secondo è l’opposto: ovvero non avere regole o pochissimi
limiti (Hall, 2012). Un bambino che cresce con il senso di libertà
perché i genitori non controllano e quindi “non lo verranno mai a
sapere” ciò che ha fatto crescerà senza conoscere i benefici della
moderazione del comportamento.

GESTIRE I SENTIMENTI E LE EMOZIONI DIFFICILI

Un’altra lezione importante che i genitori devono insegnare è come gestire


le emozioni e i sentimenti. Nessuno di noi arriverà al termine della propria
vita senza aver passato momenti duri e di sofferenza e tutti dobbiamo
sviluppare dei sistemi di coping che ci permettano di attutire e gestire il
dolore senza cadere in situazioni peggiori.
Molte persone affette da sesso compulsivo descrivono la propria famiglia di
origine come un luogo dove i sentimenti e le emozioni o non venivano
espressi o venivano espressi con tale forza e intesità da risultare spaventosi.

Il 77% dei sesso dipendenti sostengono di non aver mai ricevuto un


modello che abbia insegnato loro come gestire emozioni e sentimenti (Hall,
2012).

Nel nostro libro Stelle e Stalle – come emozioni e sentimenti trasformano la


nostra vita in una corsa sulle montagne russe (attualmente in fase di
revisione in vista della seconda edizione) abbiamo trattato ampiamente il
ruolo delle emozioni, positive o negative, nello sviluppo e nella capacità di
amare e gioire; ma se un bambino non apprende come gestire le emozioni in
modo corretto diverrà un adulto privo di un modello esperienziale che gli
permetta di vivere in modo sano e costruttivo l’esperienza della rabbia,
della tristezza, della frustrazione, della solitudine, del lutto e così via.
Queste emozioni verranno sepolte e sublimate nel sesso. Noti il lettore che
il sesso può essere un sistema estremamente utile e funzionale per gestire le
emozioni dolorose per cui non è da escludere che chi soffre di sesso
compulsivo, finché attua la compulsione non si accorga della sua sofferenza
interiore.

SEGRETI, BUGIE E VERGOGNA

Molte persone affette da qualche tipo di dipendenza imparano a tenere


segreti e raccontare bugie talmente bene fin in tenera età al punto che alcuni
segreti e alcune bugie diventano parte integrante della loro mente così non
riescono più rievocare il vero ricordo ormai secretato o non ricordano più la
verità che è stata sostituita da una bugia.

Il segreto che un bambino decide di portarsi dentro può essere qualsiasi


cosa: dall’aver subito un abuso all’alcolismo del genitore; dall’infedeltà
coniugale di uno dei genitori all’avere un dono speciale (come
un’intelligenza geniale) che non viene compreso; dalla violenza domestica
all’essere stato adottato.
Secondo alcune statistiche il 41% dei bambini sarebbe perfettamente al
corrente dei segreti familiari che gli adulti cercano di nascondere. Nelle
famiglie che custodiscono uno o più segreti c’è di solito un’imposizione
proiettiva di controllo e ordine che il bambino interiorizza così da poter
mantenere la facciata della pubblica decenza e rispetto ed impara che ci
sono cose che è meglio che restino non dette. Questo attiva uno schema
comportamentale basato sui segreti, sui doppi standard e, addirittura, una
doppia vita.

La vergogna è un altro denominatore comune nei trascorsi delle persone


affette da sesso compulsivo. Il 52% dei sesso compulsivi (Hall, 2012)
riferisce vissuti di vergogna nell’infanzia o nell’adolescenza. La vergogna
può essere inflitta nei più svariati modi e da chiunque, dalla discriminazione
razziale o religiosa all’uso dell’umiliazione da parte dei genitori per
imporre controllo e punizione. Piuttosto che castigare un bambino per aver
fatto la cosa sbagliata, la vergogna fa sì che quest’ultimo si senta
“sbagliato” come persona e senza valore.

Ricordo, a questo proposito, un caso in cui io e un collega ci siamo ritrovati


nostro malgrado. S. è un ragazzo di 16 anni, con una scarsissima autostima
che si ritiene responsabile della separazione dei genitori. Proveniente da un
passato di abusi violenti da parte del padre riesce, soprattutto grazie al
collega, a raggiungere un equilibrio che gli permette di intrattenere rapporti
quasi normali coi suoi pari. Fortunatamente incontra una ragazza, D., di cui
si innamora e da cui è ricambiato. Essendo la situazione familiare molto
delicata, S. è tenuto d’occhio a vista da Assistenti Sociali, Psicologi e altre
figure sanitarie e parasanitarie che hanno il compito di vigilare sul buon
funzionamento del ragazzo (che, permettetemi, è l’unico in famiglia che
non avrebbe bisogno dello psichiatra o dello psicologo). Vincendo ogni
paura del rifiuto e dell’inadeguatezza, S. si propone a D. e inizia la loro
storia d’amore che, come prevedibile, sfocia ben presto in un rapporto
sessuale completo. Ometterò per dovere di riservatezza il percorso che
questa notizia ha fatto fino a giungere alle orecchie di uno degli operatori
che seguono S. e che convoca l’intero team, e S., per discutere
dell’accaduto. Ora, al di là del fatto che vogliamo ritenere legittimo o meno
il diritto di S. e D. di fare sesso, quello che è accaduto dopo è stato
devastante per il ragazzo. Viene messo a confronto con l’intera equipe di
specialisti che si occupa del caso, composta da 8 persone, tutte donne. S. ha
dovuto rendere conto per filo e per segno di quanto accaduto tra lui e D.,
senza un uomo con cui poter condividere nemmeno uno sguardo, dovendo
raccontare della propria intimità e dovendo, poi, essere ripreso
pubblicamente per quanto accaduto. Non solo a S. e D. non è passata la
voglia di fare sesso, ma l’autostima di S. è calata ulteriormente fino a
disincentivarlo completamente in ogni attività e generare anche il rifiuto di
frequentare la scuola.

LA SOLITUDINE ADOLESCENZIALE

L’adolescenza è quel periodo nella vita in cui la cosa più importante è


inserirsi nel gruppo dei pari. È una fase di sviluppo in cui l’identità inizia a
delinearsi e la transizione dalla fanciullezza alla fase adulta richiede più
l’osservazione dei pari per trovare un modello di ispirazione che non ai
genitori. La maggior parte degli adolescenti, azzarderei dire tutti,
attraverseranno giorni in cui si sentiranno degli emeriti sfigati. Questo
perché magari non hanno le scarpe giuste o il taglio di capelli alla moda.
Ma questo è un segno importante del loro basso senso di autostima e di
separazione.

Chi sviluppa una dipenda da sesso o un disturbo da sesso compulsivo è


molto probabile che si senta diverso dai suoi pari. Il 64% (Hall, 2012)
sostiene che spesso venivano lasciati in disparte dai coetanei, o che gli
amici decidevano senza consultarli e per 1 dipendente su 5 questo
isolamento è la causa principale della compulsione (Hall, 2012).
L’isolamento può derivare da qualche tratto peculiare, come ad esempio
l’appartenenza ad una certa religione, o può più semplicemente essere
basata su pregiudizi o dettami sociali o su questioni di intelligenza.
Anche frequenti traslochi e il cambiare frequentemente scuola rendono la
costruzione di relazioni stabili più difficile.
Un altro fattore comune è la timidezza, il 74% dei sesso dipendenti è timido
e il 43% è molto timido (Hall, 2012). È pressoché impossibile determinare
se una persona nasce timida o se sono le condizioni sociali a renderla tale.
In ogni caso, la timidezza può diventare un fardello pesante che schiaccia la
capacità e la possibilità di creare relazioni sane e sviluppare, quindi, sistemi
di supporto adeguati.
Tutte queste condizioni isolano il soggetto e rendono più facile cercare
conforto nella solitudine del porno o della masturbazione. La pornografia
può dare un senso di sollievo nel privato ma aliena il soggetto dagli amici e
da partner che non siano sessualmente perversi.

Et voilà! Le fondamenta della dipendenza son già gettate.

IPER-COMPENSAZIONE

Prima di analizzare le variazioni della dipendenza sessuale vorrei spendere


qualche parola su un meccanismo particolare che ritroviamo spesso nel
sesso compulsivo che è quello dell’iper-compensazione.

Poiché la dinamica è abbastanza complessa mi perdoni il lettore se userò


qualche termine tecnico e mi perdoni il tecnico se sembrerò banale in alcuni
punti.

L’iper-compensazione è il meccanismo per cui un soggetto attiva un


comportamento opposto a uno che ha vissuto in modo traumatico, ma
esasperandolo.

Ogni nostra esperienza, ogni trauma, costruisce dentro di noi uno schema
comportamentale, che spesso noi seguiamo religiosamente. Chi attiva
l’iper-compensazione per contrastare lo schema arriva a pensare, sentire,
comportarsi e relazionarsi in modo tale che la sua percezione di sé è diversa
da come si percepiva quando lo schema si è formato.
Vorrei portare alcuni esempi per chiarire il pensiero:
- chi da piccolo si sentiva indegno, da grande cercherà
disperatamente di essere perfetto;
- chi, in un periodo della vita, è sottomesso tenderà a prevaricare
gli altri;
- chi è eccessivamente sorvegliato cercherà di sorvegliare gli altri o
eviterà ogni forma di controllo;
- chi subisce la violenza diventerà violento;
- chi ha esperienze omosessuali (o desideri omosessuali) diverrà un
seduttore eterosessuale.

La strategia di coping, in questo caso, è il contrattacco. Sebbene


dall’esterno il loro comportamento appaia sicuro e “spontaneo”, ma in
realtà dentro portano il peso dello schema che minaccia continuamente di
emergere e che non deve, per nessuna ragione.

L’iper-compensazione è un tentativo di difesa dallo schema e, come


meccanismo, sarebbe funzionale se non fosse che in realtà non fa altro che
rafforzare lo schema stesso, piuttosto che correggerlo.

Chi utilizza il meccanismo dell’iper-compensazione può apparire


completamente equilibrato ma combattere uno schema è funzionale nel caso
solo se il comportamento che viene adottato è adeguato alla situazione,
tiene conto dei sentimenti degli altri e permette di raggiungere obiettivi
prefissati. Invece l’iper-compensazione fa sì che il soggetto rimane
intrappolato nel circolo vizioso del suo atteggiamento di contrattacco e
assume comportamenti eccessivi, poco rispettosi o controproducenti.

L’iper-compensazione è, per la persona, un’alternativa al dolore derivante


dallo schema perché gli permette di fuggire dal senso di impotenza e
vulnerabilità che ha originato lo schema. Purtroppo l’iper-compensazione
porta all’isolamento perché la persona continua ad utilizzarlo anche se fa
fuggire gli altri e così facendo perde la capacità di relazionarsi se non im
modo superficiale. La loro mente è talmente impegnata a creare l’immagine
e a cercare di apparire perfetta che la persona perde la propria intimità.
Inoltre l’iper-compensazione rende la persona incapace di vivere in maniera
costruttiva il fallimento poiché la persona non è più in grado di assumersi la
responsabilità del proprio fallimento (o se ne attribuisce troppa) e non riesce
ad accettare i propri limiti, i propri bisogni umani e quindi, quando vivono
esperienze fallimentare, la loro capacità di iper-compensare crolla. Questo
nella maggior parte dei casi porta uno scompenso che sfocia poi nella
depressione. Generalmente una depressione mascherata perché appena
riprese le forze la persona attiverà nuovamente il meccanismo che però non
cambierà quanto accaduto ma si limiterà a nasconderlo e a peggiorarlo.
Ma cerchiamo ora di calare questa dinamica nella realtà del sesso
compulsivo.
Un bambino iper-controllato cercherà di sfuggire al controllo pur avendo
bisogno di limiti; un bambino che viene messo sempre a confronto con un
fratello maggiore fuggirà il confronto con gli uomini pur avendo bisogno di
un modello maschile di riferimento; un bambino la cui madre è
particolarmente ossessiva o controllante inizierà a cercare di compiacerla
pur odiandola.

Quando il bambino cresce e si trova in situazioni ambigue, come le crisi


d’identità adolescenziale, il continuo confronto con un fratello, le pressanti
aspettative della madre svilupperà il desiderio di fuggire. La fuga è un
meccanismo molto buono ma avvertirà, ad un certo livello, il bisogno non
solo di essere accettato dalla madre ma anche amato dal padre e approvato
dal fratello.

Questa necessità omoaffettiva (per maggiori dettagli sulle dinamiche


omoaffettive il lettore può rifarsi alla nostra opera “Brucio per te!”) che è
assolutamente normale potrebbe creare in lui uno scompenso per il timore
di “non essere normale”. Oppure un bambino particolarmente gentile e
sensibile potrebbe sviluppare il timore di non essere sufficientemente
“uomo”. Oppure, in caso di esperienze omosessuali la persona potrebbe
sviluppare il timore di essere gay.

Tutte queste dinamiche trovano soluzione nella sessualità compulsiva che


permette al bambino, ormai diventato uomo di supporre l’accettazione del
padre o del fratello per la quantità di conquiste effettuate; la sua sensibilità
viene controbilanciata dal fatto che avendo più rapporti con più partner può
“mettersi tranquillo” che è davvero un uomo e non una “femminuccia”;
traendo piacere nel dare l’orgasmo alla compagna il suo inconscio si
tranquillizza del fatto di essere etero.

Purtroppo il rebound prima o poi emerge. L’approvazione del padre o del


fratello diventerà sempre più difficile da ottenere e i rapporti sessuali non
saranno più una valida merce di scambio; il suo lato sensibile che ha
bisogno di amare e di essere amato da un altro uomo (questo non implica
essere omosessuali; in caso di dubbio rimando il lettore all’opera citata
poco sopra); il dare piacere alla donna è una mera sublimazione del piacere
che il soggetto vuole dare a sua mamma e presto non sarà mai abbastanza. E
avrà bisogno di ricorrere all’atto sessuale sempre più spesso.

L’iper-compensazione è facilmente osservabile ad esempio nelle vittime di


stupro che, dopo essere state violentate, iniziano una vita sessualmente
particolarmente attiva.

Avanzo quindi un’ipotesi per l’uso dell’iper-compensazione nel caso di


stupro sono:
- donna stuprata da un uomo; ipercompensazione con altri uomini:
lo scopo è di rendere il rapporto abusante “uno dei tanti” e così
l’unicità del violentatore si perde in un mare di volti di
sconosciuti;
- donna stuprata da un uomo; ipercompensazione con altre donne:
lo scopo è di fuggire per quanto possibile l’altro sesso ma
sentirsi ancora amabile, compresa, capita, accettata, desiderabile,
cerca alleanze contro gli uomini;
- donna stuprata da una donna; ipercompensazione con altri
uomini: lo scopo è di rassicurarsi di essere etero, di essere ancora
attraente, desiderabile, che quanto accaduto non ha intaccato la
sua femminilità e il suo rapporto con l’altro sesso;
- donna stuprata da una donna; ipercompensazione con altre donne:
lo scopo è di rendere il rapporto abusante “uno dei tanti” e così
l’unicità della violentatrice si perde in un mare di volti di
sconosciute;

- uomo stuprato da un uomo; ipercompensazione con altri uomini:


lo scopo è di rendere il rapporto abusante “uno dei tanti” e così
l’unicità del violentatore si perde in un mare di volti di
sconosciuti;
- uomo stuprato da un uomo; ipercompensazione con altre donne:
lo scopo è di rassicurarsi di essere etero, di essere ancora un
amante capace, desiderabile, che quanto accaduto non ha
intaccato la sua mascolinità e il suo rapporto con l’altro sesso;
- uomo stuprato da una donna; ipercompensazione con altri uomini:
lo scopo è di fuggire per quanto possibile l’altro sesso ma
sentirsi ancora abile, compreso, accettato, cerca alleanze contro
le donne;
- uomo stuprato da una donna; ipercompensazione con altre donne:
lo scopo è di rendere il rapporto abusante “uno dei tanti” e così
l’unicità della violentatrice si perde in un mare di volti di
sconosciute;

VARIAZIONI DELLA DIPENDENZA SESSUALE

Dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva, nota anche come dipendenza da intimità o
dipendenza da romanticismo, ha molti punti in comune con la dipendenza
sessuale sebbene possa avere o meno implicazioni comportamentali che
riguardano il sesso. La differenza chiave è che nella dipendenza affettiva è
il processo attrattivo a creare l’innalzamento della dopamina, piuttosto che
il comportamento sessuale vero e proprio.
In realtà, poiché molti affetti da sesso compulsivo amano la “caccia” tanto
quanto la cattura della preda, come la dipendenza affettiva e quella sessuale
si esternano ad un primo approccio può sembrare identico soprattutto
perché diversi soggetti preferiscono usare il termine “amore” piuttosto che
“sesso”;il 22% (Hall, 2012).

Qualunque sia il comportamento, che siano diverse relazioni serie, flirt


infiniti o relazioni lampo, il comportamento diventa compulsivo e diventa il
meccanismo di coping primario. Quindi uno schema comportamentale si
sviluppa a breve e queste persone sembrano alla ricerca di una relazione
stabile in cui si possano sentire amate ma non appena la relazione passa ad
un livello successivo, dalla superficialità alla stabilità allora il soggetto
affetto da dipendenza affettiva se ne va. Alcune persone che soffrano di
dipendenza affettiva si ritrovano incastrate in relazioni a lungo termine in
cui continuano a lottare per cercare l’amore.

Proprio come chi è affetto da dipendenza da sesso, invece delle


conseguenze pericolose per la propria autostima e per la propria sicurezza, i
dipendenti affettivi sono costantemente concentrati sul conquistare l’amore
dell’altro e la sua considerazione positiva.
La ricerca nel campo della dipendenza affettiva è scarna e limitata ed è
ricca di confusione riguardo le definizioni e i trattamenti, molta più
confusione di quanto si creda (Sussman, 2010)

Violenza sessuale
È stimato che il 55% dei criminali sessuali abbia anche una dipendenza da
sesso (Blanchard, 1990) e poiché l’escalation è una cosa comune nelle
dipendenze, passare il limite è sfociare in comportamenti illegali o criminali
è un rischio concreto per molti dipendenti. Il 43% (Hall, 2012) ha assistito a
pornografia di tipo pedofilo o zoofilo ed un ulteriore 18% ha avuto
comportamenti esibizionistici o voyeristici.

È bene per i colleghi e per i tutti i professionisti che lavorano con i criminali
sessuali tenere a mente che alcuni pazienti dichiareranno fin da subito il
proprio comportamento illegale ma per altri ci vorranno settimane, mesi o
addirittura anni per arrivare a fidarsi e riuscire quindi a parlare della propria
azione.
Non c’è nulla che non possa essere trovato e visto su internet. La
pornografia ed il sesso sempre più disponibili rendono sempre più attraente
ed appetibile il brivido dell’illegale.

Un uso scaltro del file-sharing e dei pop-up attrae e seduce chi sta davanti
allo schermo convincendolo che il suo comportamento è normale e di uso
comune.

Spesso l’uso del voyerismo è una semplice necessità per rinforzare i


sentimenti di vergogna e disgusto verso il proprio comportamento; una
spirale che può sembrare illogica, è vero, ma i nostri meccanismi quasi mai
sono logici. Inoltre, la vergogna associata alla dipendenza priva la maggior
parte delle persone della capacità di seguire una morale.

Purtroppo la nostra conoscenza della dipendenza sessuale e del sesso


compulsivo è che purtroppo molti dipendenti si ritrovano etichettati come
potenziali stupratori o pedofili.

Masturbazione compulsiva
Di tutti i tipi di comportamento sessuale, la masturbazione compulsiva è
uno dei più segreti e isolanti. L’uomo o la donna che si masturba
compulsivamente, con o senza l’uso del porno è spesso l’ultimo a chiedere
aiuto, spesso non vede o percepisce il proprio comportamento come
problematico. Il comportamento nascosto è spesso legato a un trauma
passato dovuto alla società familiare, o alla vergogna religiosa associata
all’atto sessuale e all’intimità. Molti masturbatori compulsivi riferiscono
che le loro credenze interne circa la masturbazione sono che l’atto in sé sia
“sporco”, “vergognoso”, o “peccaminoso”. Mentre la maggior parte dei
dipendenti da sesso cercano attivamente un aiuto quando spinti da qualche
ovvia conseguenza esterna (sia essa legale, di lavoro, di salute, o
relazionale), la natura solitaria del comportamento del masturbatore
compulsivo lascia le sue azioni meno soggette alle conseguenze dirette di
altre forme di comportamento sessuale. Il sesso-dipendente che indulge
nella masturbazione compulsiva spesso chiede aiuto per l’ansia,
l’ossessione, l’isolamento, e l’incapacità di ottenere o mantenere relazioni
sane. Alcuni masturbatori compulsivi vedono le conseguenze della loro
compulsione attraverso l’apparire di impulsi e comportamenti inappropriati
quali la pornografia infantile, la zoofilia, la masturbazione in luoghi
inappropriati (ad esempio, sul posto di lavoro o in un’automobile), o a
causa della comparsa dell’autolesionismo. Tuttavia, la conseguenza più
frequente della masturbazione compulsiva è una vita priva di intimità,
sentimenti coartati, e pieno di vergogna nascosta.

La masturbazione compulsiva può avvenire sotto forme diverse. Ad


esempio, ci sono persone che si masturbano ogni giorno come parte della
loro routine giornaliera, anche più volte al giorno mentre altri possono agire
più come masturbatori binge. Il masturbatore compulsivo binge può trovarsi
a passare ore “perso” nella fantasia, nel guardare porno, e nella
masturbazione. Probabilmente è la risposta a qualche forte fattore di stress
interno intollerabile o a un’emozione in combinazione con un trigger
esterno identificabile o uno stimolo (come un disaccordo o una ferita).
Questo tipo di masturbatore compulsivo può trascorrere ore o addirittura
giorni guardando pornografia online e offline, con o senza l’uso di droghe e
masturbandosi. Può letteralmente chiudersi in casa, o in camere di motel, e
scomparire nella sua fuga masturbatoria.

Questo tipo di comportamento può provocare lesioni genitali a causa della


quantità di tempo ed energia dedicate alla masturbazione. Sebbene di solito
il danno e il dolore non sono ricercati per il piacere, gli eventuali danni
fisici ed il dolore non serviranno al soggetto come guida per decidere di
fermarsi o prendersi cura di sé. Invece probabilmente continuerà la sua
attività sessuale, anche facendosi del male ulteriore e aggiungendo così
qualcosa alla lista delle cose di cui vergognarsi.

Il trattamento e il recupero nella masturbazione compulsiva può essere un


processo complesso. È essenziale per tutti coloro che si masturbano
compulsivamente ottenere una valutazione psichiatrica approfondita perché
le pulsioni di alcune persone correlate alla masturbazione possono essere
indotte da patologie di base (ad esempio, disturbo ossessivo-compulsivo e /
o disturbi d’ansia), che richiederebbero un approccio specifico e
specializzato per il trattamento.

Il primo passo più comunemente prescritto per il trattamento comporta un


accordo di astinenza da qualsiasi attività sessuale con sé stessi o gli altri,
dalla visione di materiale pornografico, niente visite chat room, relazioni
occasionali, o attività connesse.

L’obiettivo primario dell’astinenza sessuale è quello di dare la possibilità di


emergere alla paura, all’ansia, al dolore e alla vergogna che la persona cerca
di evitare con la compulsione. È in questo luogo di consapevolezza che
qualcuno riesce, spesso per la prima volta, a intravedere i sentimenti, le
emozioni, i pensieri e da cui ha cercato di fuggire impegnandosi nelle
fantasie ritualizzate.
Durante questo periodo è importante non essere soli per ottenere il massimo
sostegno possibile per ogni sentimento imprevisto che possa emergere. Il
masturbatore compulsivo deve essere attento e pronto all’emergere di
qualsiasi altro comportamento compulsivo, come ad esempio l’abuso di
droghe, disturbi alimentari, lo shopping, il gioco, distrazioni problematiche.
La cosa più importante, è che il dipendente ha bisogno di avere speranza in
un futuro che includerà un’intimità e una sessualità sane. Ha bisogno di
vedere che nel tempo potrà vivere con dignità e rispetto di sé.

CASISTICA

Sesso compulsivo nella donna


Storicamente le ricerche suggeriscono che il sesso compulsivo fosse una
problematica prevalentemente maschile con una percentuale di donne
dipendenti che oscillava tra l’8% e il 20% (statistica basata su coloro che
negli USA si sono rivolti ai servizi o ai gruppi per avere aiuto). In realtà è
pensiero comune che la percentuale di donne affette da sesso compulsivo
sia ben più alta ma che le donne abbiano più resistenze a cercare aiuto in
questo campo. In parte questa resistenza è dovuta alla carenza di servizi
specializzati e, in secondo luogo, allo stigma che queste donne
rischierebbero di doversi portare addosso dovendo ammettere che il loro
comportamento sessuale è fuori controllo (Feree, 2002). Questo dati sono
sostenuti dalle ricerche di Hall in Inghilterra da cui emerge che il 25% degli
affetti da sesso compulsivo tra gli intervistati erano donne, ma di queste il
60% ammetteva di non aver mai chiesto aiuto o di essersi rivolta a
specialisti nel campo mentre degli uomini solo il 42% non si era mai rivolto
ai servizi di aiuto. Lo stigma spiegherebbe anche perché circa il 50% delle
donne si presenta più come affetta da dipendenza affettiva piuttosto che da
dipendenza sessuale, preferendo spostare l’attenzione sulla parte relazionale
del rapporto, cosa che avviene solo nel 13% degli uomini (Hall, 2012).

La maggior parte dei comportamenti delle donne, nelle dipendenze, sono


simili a quelli degli uomini (e questo è facile da comprendere visto che la
dipendenza attiva gli stessi circuiti), con una unica sostanziale differenza
nel ricorso alla prostituzione.

Ad esempio:
Uomini Donne
Guardare pornografia 89% 73%
Comportamenti fetish 24% 36%
Sesso con sconosciuti 32% 41%
Più relazioni contemporanee 37% 54%
Ricorso alla prostituzione 30% 3.3%

Un altro fattore che incide sul fatto che le donne affette da dipendenza
sessuale siano meno rispetto agli uomini credo sia anche da imputare al
fatto che la pornografia mirata al pubblico femminile è meno rispetto a
quella mirata al pubblico maschile (le donne preferiscono i “porno classici”
o quelli del panorama pornografico gay) e la disponibilità di professionisti
del sesso per le donne è sicuramente inferiore a quello delle controparti
femminili rivolte agli uomini.

Sesso compulsivo negli adolescenti


Determinare se un adolescente sia affetto da sesso compulsivo è
estremamente difficile poiché molti dei fattori identificativi potrebbero
essere una semplice espressione dello sviluppo normale del ragazzo.
L’adolescenza è un periodo di cambiamento ed è normale che un
adolescente indulga in esperienze sessuali pericolose o di cui in futuro si
pentirà. E mentre gli ormoni si scatenano e il sesso è ancora una novità, è
comune che i pensieri a sfondo sessuale e la ricerca di nuove esperienze
sessuali siano quasi ossessivi.
Gli adulti, i genitori, i clinici, gli educatori devono tenere sempre presente
come la società e le norme culturali cambino costantemente e non devono
saltare alle conclusioni riguardo a comportamenti dei ragazzi che
potrebbero risultare “strani”, oppositivi o ossessivi e che potrebbero essere
una sfida troppo grande per qualsiasi adulto.
Alcuni suggeriscono che la diagnosi di dipendenza sessuale negli
adolescenti richieda uno studio più dettagliato e approfondito, in particolare
riguardo al ruolo delle fantasie e della masturbazione, e i genitori
dovrebbero smettere di pensare che un adolescente non possa diventare
dipendente solo perché il comportamento compulsivo non può sussistere da
abbastanza a lungo per i criteri diagnostici (Griffin-Shelley, 2002).
Molti clinici confermano che la dipendenza da sesso negli adolescenti è un
problema serio e che, purtroppo, non viene identificato se non in età ormai
adulta (Sussman, 2007). Nelle ricerche sopracitate il 29% dei dipendenti
riferisce che il problema era iniziato tra i 17 e i 25 anni; il 31% tra gli 11 e i
16 anni; e l’8,8% sotto i 10 anni.
Anche grazie all’ormai facile ed indiscriminato accesso a internet, ragazzini
sempre più giovani sono facilitati nel cercare pornografia online, anche se
questo non necessariamente indica, come detto sopra, che il comportamento
debba sfociare in un problema (Ybarra and Mitchell, 2005); tuttavia alcuni
sono a rischio ed in un sondaggio svolto dalla BBC Radio l’1,25% dei
rispondenti riferì di essere preoccupato riguardo l’uso che faceva della
pornografia.
Questo è sicuramente un campo che necessita sicuramente di una ulteriore e
considerevole attenzione, sia per poter offrire i supporto e l’aiuto necessari
ai ragazzi ma anche per poter lavorare in modo efficace sulla prevenzione.

Sesso compulsivo LGBTQ


Esiste un luogo comune, una credenza, cioè che il sesso compulsivo sia più
presente tra i gay che tra gli eterosessuali.
Grov e i suoi collaboratori cercarono di spiegare il fenomeno sostenendo
che “i gay hanno più occasioni pertanto una persona con una
predisposizione al comportamento compulsivo ha più facilità a sviluppare
la dipendenza se è gay” (Grov et al., 2010).
Nel complesso la dipendenza sessuale non cambia tra un gruppo e un altro
ma le differenze nelle norme sociali e comportamentali interne ad una certa
cultura e nel contesto di specifici background devono essere identificate e
comprese a fondo al fine di provvedere un sostegno adeguato all’interno
delle comunità gay (Weiss, 2002).

Lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer provengono spesso da un


background di repressione dell’orientamento sessuale o dell’identità in
genere, di giudizi omofobi, di derisioni ed emarginazioni, di bullismo e
discriminazione.
Molti nelle comunità LGBTQ hanno complessi correlati alla vergogna
sessuale e al pudore, che sono comuni fattori di rischio per la dipendenza
sessuale, ma è essenziale comprendere il contesto sociopolitico di questa
vergogna per poter provvedere un adeguato aiuto e supporto.
Nozioni di sobrietà sessuale tendono a provenire da realtà eterosessuali, da
punti di vista monogami ma è importante riconoscere che molti dipendenti
LGBTQ possono non essere d’accordo con queste regole e nozioni.

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9.
CAPITOLO VIII

Le ludopatie e il gioco d'azzardo patologico

ANTONIO FERRANTE

Il giocatore non sarebbe felice


se qualcuno gli desse il denaro della vincita.
Ennio Flaiano

INTRODUZIONE

L’idea di trattare questo tema nasce dal dilagare di messaggi pubblicitari e


dal vedere sorgere agenzie di scommesse in ogni via, in ogni quartiere e
dalla dilagante disinformazione a riguardo. E’ sempre più usuale che i
ragazzi abbiano come punto di aggregazione i centri scommesse abilitati al
gioco del poker on-line, forniti di computer, dove è possibile giocare in rete
con moneta virtuale caricata con semplici operazioni telematiche. Per
coloro che invece preferiscono stare comodamente a casa, è possibile
iscriversi a siti come Poker Star, Bet 1128, Betclic, Bewin, etc.

E’ ormai alla portata di tutti: dopo aver creato uno username, è sufficiente
ricaricare l’importo presso una qualsiasi rivendita, e il “gioco” è fatto!

Quanti giovani, dagli adulti ai preadolescenti, sono già esperti di questo


meccanismo cosi recente? Quanti tra questi sono consapevoli delle
conseguenze negative che ne possono derivare? Il personal computer e
l’accesso ad internet sono oggi “beni” comuni, come la tv e i suoi spot
pubblicitari; di questa mole di informazioni se ne può fare un buon uso,
come è vero anche il contrario. E’ importante ricordare come questa forma
di gioco si scosta, per alcune peculiarità, dal gioco d’azzardo (gambling)
propriamente detto. Le conseguenze e le implicazioni connesse sono
argomento di approfonditi studi da parte della psichiatria, della psicologia e
della sociologia.

Quest'opera vuole porre l'attenzione su quello che è il recentissimo


fenomeno del gioco online, che ha pur sempre una radice nel gioco
d’azzardo patologico (GAP) ma con riscontri più pericolosi e allarmanti.
Difatti, come si può immaginare, il giocatore “a domicilio”, non ha freni, si
nasconde dallo sguardo giudicante degli altri; stando seduto comodamente a
casa per ore, senza essere disturbato, con l'inganno del facile guadagno,
talvolta alimentando la depressione e riempiendo il suo vuoto esistenziale,
finisce nel baratro della dipendenza. Diventa facilmente un individuo
asociale, anonimo, che rompe quei legami e quelle relazioni col mondo
esterno e con la famiglia.

Ma anche la società stessa, avendo perso la prerogativa di aggregante


sociale, di rete di valori e solidarietà, favorisce tale fenomeno, alimentato
dal “mito” del denaro e del successo. Anche il gioco online come il gioco
d’azzardo classico, può portare alla compulsività, il primo forse con un tono
più incisivo ed invasivo, supportato dall’ulteriore dipendenza creata da
internet. Compulsività, come abbiamo detto, equiparabile all’effetto
collaterale delle sostanze stupefacenti. Come la droga, il gioco, il poker, il
cash, distruggono. Trasformano i legami. Nascono dissapori familiari,
mancanza di comunicazione e menzogne, creando terreno fertile alla
delinquenza, alla menzogna, talvolta all’usura.Come per il drogato, chi
ruota attorno al giocatore, molto spesso si trova impacciato e non sa come
intervenire per arginare o sconfiggere il problema. Associazioni, gruppi di
mutuo aiuto, centri di riabilitazione e Ser.T. sono la risposte terapeutiche al
problema, ma il gioco d’azzardo patologico online viene ancora
notevolmente sottovalutato.

Anche a livello statistico, i dati in possesso sono esigui, sicuramente i pochi


dimostrano un notevole incremento del fenomeno.

IL GIOCO D'AZZARDO NELLA STORIA


Definizione di gioco d'azzardo
«La gentaglia gioca veramente in maniera assai sporca. Non sono
nemmeno molto alieno dal pensare che qui al tavolo da gioco
accadano molte delle più comuni ruberie. I “croupiers” che,
seduti alle estremità del tavolo, controllano le puntate e pagano le
vincite, hanno un lavoro tremendo. Ma che razza di canaglie sono
pure loro! Per la maggior parte sono francesi. Del resto, io qui
osservo e noto non certo per descrivere la roulette; cerco di
ambientarmi per me stesso, per sapere come regolarmi nel
futuro». Da “Il giocatore” di Fedor Michajlovi Dostoevskij

Il gioco d’azzardo è un attività ludica che presenta tre caratteristiche


essenziali:
1. lo scopo, ossia l’ottenimento di un premio, quasi sempre in denaro;
2. il rischio, ossia la somma di denaro più o meno ingente con cui si
entra in gioco per parteciparvi;
3. la vincita, data dal caso, anche se quasi sempre associata
erroneamente alla bravura del giocatore.

Il gioco d’ azzardo, per definizione, deve implicare un certo rischio o


incertezza sull’ esito di un qualsiasi evento. Infatti le attività del giocatore
d’azzardo implicano il rischio di perdere qualcosa di valore sulla base del
risultato di un evento in cui la probabilità di vincita o perdita è determinata
dal caso (Krond e Shaffer 1999)[1].

In Italia sono circa 30 milioni gli scommettitori nelle varie categorie di


giochi: si tratta, come si può ben notare, di un fenomeno che coinvolge fino
al 70-80 % della popolazione adulta[2].
Prendersi dei rischi puntando soldi propri con la possibilità di vincere una
somma superiore a quella della puntata iniziale. Questo è il vero brivido per
il giocatore.Come detto in precedenza, il problema può nascere anche tra le
mura domestiche grazie alla fonte d’informazione più ricca al mondo:
ovvero internet. Sì, perché internet è uno strumento molto utile ma la sua
fruibilità nasconde insidie e inganni e può essere un’arma a doppio taglio se
non utilizzata correttamente.
Per molte persone il gioco determinato da un risultato incerto viene visto
come una sorta di fuga dalla realtà quotidiana, una realtà parallela; un luogo
della mente in cui ci si sente liberi senza alcun vincolo. Esso però può
anche diventare una ragnatela dalla quale diventa difficile uscire e la lunga
o breve permanenza può arrivare ad avere prezzi alti da pagare sia a livello
sociale sia individuale. Questo avviene quando si compie l’escalation che
dal gioco occasionale passa ad essere abituale fino a diventare patologico.
Nel gioco d’azzardo patologico (GAP) è centrale il ruolo del denaro. I
giocatori sono soliti affermare che giocano solo per il piacere di farlo e per
le varie sensazioni che ne scaturiscono, ma è importante notare che non
giocherebbero mai o non giocherebbero con le stesse motivazioni se il
premio in palio fossero semplici fogli di carta o giocattoli. Il valore
simbolico, immaginario e metaforico assunto dal denaro è molto
importante. Il giocatore è illusoriamente convinto di poter controllare il suo
affare azzardato tramite la propria abilità o astuzia; crede di avere un ruolo
attivo.

Attualmente è possibile affermare con certezza il crescente aumento


dell’offerta e dell’evoluzione dei possibili giochi. Non si tratta più
solamente di Totocalcio ma di Lotto, SuperEnalotto, Totip, TotipPiù e Corsa
tris, Totobingol, Totogol, Totosei, Formula 101, varie lotterie, varietà di
Gratta e Vinci, centri Snai, Sale Bingo, sale giochi, videopoker, slot
machines oltre all'immancabile gioco d’azzardo clandestino. Lo sviluppo
delle moderne tecnologie ha consentito la possibilità di poter giocare on line
anche comodamente da casa propria questo per quanto riguarda però solo i
giochi incentivati dallo Stato e socialmente riconosciuti.

In rete esistono milioni di siti dedicati a giochi di carte, in fattispecie il


Poker e il Texas Holdhem, variante questa del poker classico che ha
attecchito molto grazie a trasmissioni o addirittura a canali televisivi
dedicati ad esso. Ovviamente i ragazzi non sempre sanno a cosa vanno
incontro e, a volte, si avvicinano a queste attività semplicemente per
curiosità, per provare, rimanendo poi vittime di un vizio difficile da
togliere, sovente all’ insaputa dei genitori.

Abbiamo visto nei capitoli precedenti che un soggetto si può definire


dipendente quando mostri un bisogno compulsivo di giocare, quando abbia
la tendenza a farsi prestare denaro, comprometta relazioni interpersonali o
trascuri il lavoro o gli studi. Tutti elementi questi che dovrebbero aiutare i
familiari ad individuare il problema e cercare di risolverlo, per evitare
situazioni o implicazioni peggiori rispetto alla semplice dipendenza dal
gioco, come ad esempio il fallimento di una giovane vita persa come una
moneta per una stupida scommessa! Prima di parlare di patologia e dare
quindi una definizione di gioco patologico, bisogna evidenziare che non
tutti i giocatori d’azzardo hanno disturbi da dipendenza. Molti psichiatri
hanno fatto una netta distinzione tra chi gioca d’azzardo saltuariamente e
chi invece ha in sé tutti i sintomi del gioco patologico.

Esistono essenzialmente:
• Giocatori professionisti che non presentano patologie: sono quelle
persone che fanno dell’ azzardo una fonte di reddito e una professione
vera e propria
• Giocatori antisociali: sono quei giocatori che praticano gioco
d’azzardo per avere guadagni non legali;
• Giocatori sociali adeguati o occasionali: rientrano in questa
categoria tutte quelle persone che giocano saltuariamente, e utilizzano
il gioco per fare qualcosa di diverso o come forma di relax. Per queste
persone il gioco non va a creare problemi finanziari ne interferisce con
le obbligazioni lavorative, familiari e sociali;
• Giocatori sociali constanti: rientrano in questa categoria tutte
quelle persone che fanno del poker e dei giochi d’azzardo in genere la
fonte principale di svago e relax. Questi soggetti per fortuna mettono
aprioristicamente al gioco la famiglia, il lavoro e le attività sociali;
• Giocatori inadeguati senza sindrome di dipendenza: per questi
soggetti il gioco rappresenta la chiave per uscire temporaneamente da
altre problematiche, come ansia, stress, depressione, burn-out. In
questi soggetti non ci sono ancora tratti specifici di compulsività e
vengono paragonati ai bevitori inadeguati senza sindrome da
dipendenza alcolica;
• Giocatori compulsivi con sindrome da dipendenza (GAP): il gioco
per questi soggetti è il fulcro vitale, la cosa più importante della loro
vita. In questi soggetti non c’è più razionalità nel giocare e nello
spendere soldi. Questi soggetti hanno il bisogno di giocare sempre e
senza limitazioni.

La gerarchia sopra citata illustra come sia facile passare dalla categoria
occasionale a quella compulsiva, soprattutto per le fasce adolescenziali, le
più deboli. Se notiamo bene, c’è una stretta somiglianza con quello che è il
circolo vizioso dato dalla dipendenza da alcool, passando da bevitore
moderato ad alcolista.
E’ importante adesso arrivare a quella che è la definizione del gioco
d’azzardo patologico (GAP), nello specifico secondo quelli che sono i
criteri diagnostici stabiliti dal DSM V.

Per fare diagnosi, il comportamento non deve essere diversamente


spiegabile con una diagnosi di episodio maniacale e devono sussistere 4 o
più delle seguenti condizioni nell'arco di 12 mesi:
1. necessità di giocare importi sempre più ingenti di denaro per
poter raggiungere i livelli di eccitazione deisderati;
2. agitazione o irrequietezza quando cerca di ridurre il gioco o
smettere di giocare;
3. ha provato a smettere di giocare o ridurre il gioco, senza
successo;
4. ha pensieri ricorrenti sul gioco (pensieri ossessivi,
pianificazione della puntata successiva, pensieri di come
recuperare soldi da giocare);
5. la necessità di giocare aumenta quando sotto tensione;
6. dopo una perdita, torna a giocare per "tornare in pari";
7. mente per coprire il gioco;
8. ha messo a rischio o perso una relazione importante, il lavoro,
opportunità di carriera, lo studio a causa del gioco;
9. fa affidamento sull'aiuto di terzi per sanare i propri debiti
dovuti al gioco.

Il giocatore compulsivo presenta molte analogie con il soggetto alcool


dipendente: anche il suo disturbo viene infatti considerato progressivo, si
manifesta attraverso la perdita del controllo dell’impulso al gioco, che può
essere periodica o continua, fino a giungere ad un coinvolgimento completo
nel gioco e nella ricerca di denaro con cui giocare.
Storia del gioco d'azzardo

« Puote omo avere in sé man violenta


e nè suoi beni; e però nel secondo
giron conviene che sanza pro si penta
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov’esser dé giocondo».
D. ALIGHIERI, Divina Commedia, Inf XI,

È con queste parole che Dante introduce nel mondo infernale la presenza di
colui che biscazza, ovvero colui che gioca d’azzardo i suoi averi e le sue
facoltà, e le fonde, le consuma. E se il gioco d’azzardo era ben conosciuto al
Poeta Dante, tanto da essere addirittura accusato e processato per
baratteria[3], esso affonda le sue radici in epoche assai più remote.

L’origine etimologica della parola azzardo deriva dal francese hasard, che a
sua volta deriva dall’arabo az-zahr che significa dado ma che
originariamente era il gioco dei tre dadi, il cui punteggio massimo era 6-6-
6. Come notato da due tra i più importanti studiosi del gioco d’azzardo nel
panorama italiano[4] il numero 6-6-6 è la somma di tutti i numeri della
roulettes, dalle religione e dall’esoterismo è sempre stato considerato il
numero del diavolo.

Dall’antico Egitto alla Cina, al Giappone, all’India vari manoscritti


raccontano di scommesse ai dadi e alle corse dei carri[5] . Altri testi della
mitologia e storia greca e romana testimoniano di giocatori che
scommettono mogli, figli e libertà.

E come dimenticare la celeberrima partita a dadi durante la quale i soldati


romani si giocarono la tunica di Gesù. Scrive l’evangelista Giovanni
(Giov.19,23-24):
«I soldati, quand’ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero
quattro parti, una per ciascun soldato, e anche la tunica. Ma la tunica era
senza cucitura, tessuta dalla parte superiore tutta di un pezzo. Dissero
dunque fra di loro: Non dividiamola, ma tiriamo a sorte di chi sarà. È cosi
che si compì la Scrittura che aveva detto: Si sono spartite fra loro le mie
vesti. E per il mio vestito hanno tirato la sorte.»

Come si può già facilmente comprendere il gioco d’azzardo non è una


pratica moderna, e ciò si evince chiaramente da numerose ricerche
archeologiche e antropologiche che ne testimoniano la presenza in ogni
epoca, cultura, società e strato sociale.
Se è quasi certo che il gioco d’azzardo nell’antichità era utilizzato per
cercare di conoscere la volontà divina, e solo con il passare del tempo ha
acquisito sempre di più connotazioni laiche, dare un riferimento storico alla
sua nascita, invece, risulta piuttosto difficile: basti pensare a numerose
testimonianze di civiltà orientali che rivelano che già dal 5000 a. C. si
praticava il gioco d’azzardo, o il ritrovamento presso siti archeologici
sumeri e assiro-babilonesi di numerosi astragali, piccole ossa alle quali gli
studiosi hanno attribuito una funzione ludica paragonabile a quella dei
nostri dadi . E come dimenticare il ritrovamento di un paio di dadi in Cina
risalenti al 5000 a.C. o la presenza del gioco nell’antica Grecia, dove dadi e
scommesse erano ben conosciuti, anche tra i grandi filosofi quali Socrate e
Platone.

Molte ancora sono le “tracce” del gioco nella tradizione egizia, secondo la
quale l’origine del sistema solare sarebbe da ricondurre a una “partita” tra
divinità, o in quella greca, nella quale una leggenda racconta che Zeus e i
suoi fratelli, dopo aver sconfitto i Titani , si sarebbero spartiti l’ universo a
dadi.

Per i Romani invece il gioco d’azzardo era proibito, sanzionato con pene
che andavano dalla contravvenzione in denaro, che poteva arrivare sino a
quattro volte la posta, all’esilio ma questo non impedì di far passare alla
storia la nota passione per il gioco dell’imperatore Nerone e ancor più
quella di Claudio, il quale avrebbe fatto costruire una carrozza adeguata
specificatamente al gioco dei dadi[6]. Era permesso giocare d’azzardo
solamente nel mese di dicembre, durante i Saturnali, il carnevale romano.

Seppur la proibizione non riguardasse le scommesse, ad esempio sui


combattimenti tra gladiatori, la passione per l’azzardo era forte e in barba ai
divieti l’antico romano giocava tutto l’anno grazie agli osti compiacenti e
agli scarsi controlli degli Edili. Per le loro credenze i romani, inoltre, si
assicuravano il favore delle varie divinità e, in particolare, della dea
Fortuna, attraverso preghiere e specifici sacrifici, convinti che gli dei
potessero controllare il destino di ogni individuo.

Così lo scrittore Giovenale, agli inizi del II secolo, parla della decadenza
dei costumi del suo tempo riferendosi alla diffusione del gioco d’azzardo,
verso il quale molti dei suoi concittadini erano assiduamente dediti
(Giovenale, Satire,Libro I):
«Quando mai la pienezza di vizi si è manifestata con più abbondanza?
Quando mai si è ceduto tanto alla avidità? Quando mai è stata forte la
mania del gioco? Ormai non si va più al tavolo da gioco solo col
borsellino, no! Ci si porta dietro tutti i propri averi.»

Effettuando uno spostamento spazio temporale, vediamo come la situzione


non è affatto diversa nella zona Asiatica, dove i più antichi manoscritti
ritrovati dagli archeologi riportano testimonianze di elevate scommesse al
gioco dei dadi e corse con i carri per quanto riguarda le culture cinese, indo-
ariana e germaniche.
Se facciamo un passo avanti con la storia, molti teologi, primo tra tutti
ricordiamo S. Agostino, rifacendosi all’ Antico Testamento, definiscono il
gioco d’azzardo come una vera e propria tentazione.
Nell’ epoca medioevale vi è una rivalutazione prettamente negativa del
gioco d’azzardo, visto come fonte di peccato e depravazione, motivo per cui
viene fortemente condannato da istituzioni ecclesiastiche e governative e
punito con l’esilio, carcere e pene corporali.
Bisogna aspettare il 1350 per l’arrivo in terra Europea del gioco delle carte,
che ottenne ben presto una diffusione alquanto rapida e capillare per tutto il
1400, benchè la condanna da parte di magistrati e predicatori sia dura e
persistente. Lo stesso divieto, tuttavia, non interessa quelle che sono le
lotterie, tollerate dalla chiesa e ben viste dal governo, proprio per che quest’
ultimo usufruisce delle entrate per spese pubbliche di vario genere.
Dalle parole di Leon Battista Alberti nel terzo libro del De Iciarchia,
composto nel 1468 ed ambientato nella Firenze Medicea si avverte quel
senso di condanna per il gioco visto come qualcosa di assai dannoso per
l’uomo :
«Detestabile cosa el giuoco ! Vita inquietissima quella del giucatore,
sentina di vizi abominevoli[7]».

Non si risparmia nemmeno Niccolò Macchiavelli che, nel periodo storico


rinascimentale, e precisamente il 10 dicembre 1513, scrive in una lettera
all’ amico Francesco Vettori in cui narra come passa la sua “pidocchiosa”
giornata:

«Mangiato che ho, ritorno nell’hosteria: quivi è l’hoste, per


l’ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua forniciai. Con questi io
m’ingaglioffo per tutto di giuocando a cricca, a trich-trach, e poi
dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; e
il più delle volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di
manco gridare da San Casciano[8]».

La prima struttura nata con la funzione vera e propria di casa da gioco risale
al 1638, istituita e gestita dallo Stato: il Ridotto di Venezia. La parola
“Ridotto”, in ogni eccezione del termine, era conosciuta a Venezia a partire
dal 1282: si intendeva un luogo dove, in particolare nobili e ogni “genere”
di persone (avventurieri, prostitute, bari, viaggiatori ecc..) si “riducevano”,
si ritiravano, per diversi motivi: i giochi d’azzardo, i piaceri delle
cortigiane, le relazioni sociali e politiche. In particolare il gioco d’azzardo
che la tradizione vuole sia nato all’aperto, tra le colonne di Marco e Todaro,
aveva preso talmente piede in città che il Governo era ben lieto che i
giocatori si “riducessero” in luoghi chiusi.

È solo dagli inizi del 1800, con il periodo napoleonico, che inizia a scemare
l’intolleranza acuta verso il gioco, attraverso l’emissione del primo decreto
atto a sancire il riconoscimento delle case da gioco. Con questo decreto il
gioco non è più perseguibile dalla legge purché questa attività venga
effettuata in luoghi adibiti alla stessa: i cosiddetti casinò. Ben presto gli altri
paesi europei hanno lavorato per legittimare le case da gioco prendendo
spunto dal decreto napoleonico.

A uno sguardo retrospettivo sull’atteggiamento di condanna del gioco


d’azzardo in Occidente negli ultimi due millenni, emerge come questo sia
stato in un primo momento di pertinenza religiosa (giocare è peccato),
divenendo quindi prerogativa del Diritto (giocare è reato), mentre ora
appare sempre più di dominio della psichiatria e delle scienze psicologiche
(giocare, se in modo compulsivo, è una malattia) Silvana Mazzocchi , Mi
gioco la vita , p. 12.

Numerosi maestri della letteratura internazionale tra cui ricordiamo Zweig,


Landolfi, Dostoevskij, hanno analizzato e descritto criticamente nelle loro
opere il rapporto morboso che si crea tra l’uomo e il gioco d’azzardo.
Proprio il grande scrittore Dostoevskij è cosi dedito al gioco da scrivere nei
suoi romanzi la psicopatologia del giocatore d’azzardo e quindi, di riflesso,
anche la sua. Dostoevskij possiamo prenderlo ad esempio anche per le
conseguenze che il gioco d’azzardo arreca ai familiari del giocatore, ecco
cosa scrive il grande artista nell’aprile del 1871 in una lettera alla moglie,
Anna Grigorevna. Dostoevskij si trova a Dresda, è indebitato, ha perso al
gioco tutti i soldi che gli erano stati affidati dalla consorte dopo che questa
li aveva racimolati con enormi sacrifici:
«Tesoro mio, amico mio eterno, angelo mio celeste, tu
naturalmente capisci, ho perduto al gioco tutto [...] vi sono
sventure che portano in se stesse anche la punizione [...]. E se tu
hai pietà di me, non aver pietà, perché non me lo merito ! [...]. Ma
quando ho ricevuto oggi trenta talleri, io non volevo giocare per
due ragioni [...]. Ma arrivato alla stazione, mi sono messo vicino
al tavolo da gioco e nel pensiero ho incominciato a indovinare (i
numeri) [...]. Ne sono stato cosi sbalordito che ho incominciato a
giocare. [...] Anja, salvami per l’ultima volta, mandami trenta
talleri. Anja, io sto ai tuoi piedi e te li bacio e so che tu hai pieno
diritto di disprezzarmi e di pensare ancora: “Giocherà anche
questi!”. Su cosa posso giurarti che non li giocherò? Ti ho
ingannata».
F. DOSTOEVSKIJ, Lettere della creatività, traduzione a cura di
Gianlorenzo Pacini, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2005, cit. p.
134.

Il gioco d’azzardo ha accompagnato nei secoli la storia dell’umanità sino ad


oggi, avvinghiandosi come una piovra alla vita del giocatore, sia esso artista
o contadino, principe o suddito, soffocando la sua esistenza e quella dei suoi
familiari.
É solo da qualche secolo che numerosi psicologi e psichiatri studiano e
documentano quei meccanismi comportamentali che si instaurano
nell’uomo che gioca e che le sue componenti ossessive-compulsive.

Il gioco d’azzardo patologico, dunque, è una delle prime forme di


“dipendenza senza droga” studiate che ha ben presto attratto l’interesse
della psicologia e della psichiatria, ma anche dei mezzi di comunicazione di
massa, degli scrittori e dei registi, al punto che si continua spesso a
riparlarne in relazione alle sue conseguenze piuttosto serie sulla salute ed in
particolare sull’equilibrio mentale che questo tipo di problema è in grado di
produrre.

LA CLASSIFICAZIONE DEI GIOCHI D'AZZARDO

Il gran numero e varietà dei giochi rende inizialmente un po’ ardua la


ricerca di un principio di classificazione per poterli suddividere in un
numero limitato di categorie precise. Il vocabolario corrente dimostra il
grado generale di esitazione e incertezza. Non ha senso contrapporre i
giochi di carte ai giochi di destrezza, né i giochi di società a quelli olimpici.
In un caso si sceglie come criterio di suddivisione lo strumento del gioco; in
un altro, la qualità principale che esso esige; in un terzo, il numero dei
giocatori e l’atmosfera della partita; nell’ultimo, il luogo in cui si disputa il
cimento. Inoltre si può giocare a uno stesso gioco da solo o in molti; molti
giochi si giocano senza alcuno strumento o accessorio, e uno stesso
accessorio può assolvere funzioni diverse a seconda del gioco preso in
considerazione.

Sia al momento di una scommessa sia di fronte alla lotteria, alla roulette è
chiaro che il giocatore mantiene lo stesso atteggiamento. Non prende
iniziative, attende la decisione della sorte. Al contrario, il pugile, il podista,
il giocatore di scacchi ce la mettono tutta per vincere. Poco importa che
questi giochi siano atletici o intellettuali. L’atteggiamento del giocatore è lo
stesso e consiste nello sforzo di vincere un avversario che si trova nelle sue
stesse condizioni. Sulla base delle mie ricerche mi sono avvalso degli studi
di Roger Callois per procedere a una suddivisone dei giochi in quattro
categorie a seconda che, nei giochi presi in considerazione, predomini il
ruolo della competizione, del caso, del simulacro o della vertigine. Callois
le chiama rispettivamente : Agon, Alea, Mimicry e Ilinx. Tutte e quattro
appartengono a pieno titolo al campo dei giochi ma queste designazioni non
esauriscono ancora l’intero universo del gioco. Esse lo dividono in
quadranti ognuno dei quali è dominato da un principio originale e
delimitano dei settori che riuniscono i giochi della stessa specie.

All’interno di questi settori però i vari giochi si suddividono secondo una


progressione comparabile e li si può ordinare fra due poli antagonisti.

Da un lato regna incondizionatamente un principio comune di divertimento,


turbolenza, improvvisazione, spensieratezza, attraverso cui si manifesta una
fantasia di tipo incontrollato che si può designare con il nome di paidia. Dal
lato opposto troviamo una tendenza completamente diversa che va sotto il
nome di ludus. Sulla base di queste prime differenze Callois ha cercato di
dividere i giochi in quelli del corpo e dell’intelligenza provando poi a
ricercare delle somiglianze con il mondo animale.

Agon è la categoria che raggruppa tutti i giochi che presentano come


caratteristiche la competizione e l’uguaglianza nella probabilità del
successo. Sempre in questa categoria rientrano quei giochi in cui gli
avversari, al momento dell’inizio, hanno gli stessi elementi dello stesso
valore e numero. Esempi appropriati sono : la dama, gli scacchi e il
biliardo. Per ogni concorrente la molla principale del gioco è il desiderio di
veder riconosciuta la propria superiorità su di un determinato campo.
Proprio per questa caratteristica l’agon si presenta come la forma più pura
del merito personale e serve proprio per manifestarlo.

Alea è la parola latina che indica il gioco dei dadi; con questo termine si
vuol indicare quei giochi la cui vittoria o sconfitta non dipende dal
giocatore ma solo ed esclusivamente dal destino; il giocatore è passivo.
Contrariamente all’agon, l’alea nega il lavoro, la pazienza, la destrezza,
elimina il valore professionale, l’allenamento. E’ avversità totale o fortuna
assoluta. Pur esprimendo atteggiamenti opposti obbediscono ambedue alla
stessa legge: la creazione artificiale di condizioni di assoluta uguaglianza
che la realtà nega agli uomini. Per tanto il gioco sia che appartenga all’una
o all’altra tipologia è un tentativo di sostituire, alla normale confusione
dell’esistenza ordinaria, delle situazioni ottimali.

Mimicry parola inglese che significa "mimetismo", che nello specifico si


rifà alla capacità di mimetizzazione degli insetti. In questa categoria ci
troviamo di fronte a una serie di manifestazioni che hanno come
caratteristica il fatto che i soggetti giocano a credere, a farsi credere o a far
credere agli altri di essere qualcun altro. Si prova una sorta di piacere nel
fingersi qualcun altro. Questa tipologia non può avere nulla a che fare con
l’alea, ma in alcuni aspetti può coincidere con l’agon. Il mimicry presenta
tutte le caratteristiche del gioco: libertà, convenzione, sospensione del reale,
spazio e tempo delimitati. Non vi è assoggettamento a regole precise. Essa
è continua invenzione. La regola base consiste nell’affascinare chi guarda,
creare un'illusione.

Ilinx questo termine deriva dal greco da cui ne viene il nome della vertigine
ilingos. Questa, secondo Callois, è l’ultima specie di giochi e comprende
quelli che si basano sulla ricerca della vertigine e consistono in un tentativo
di distruggere per un attimo la stabilità della percezione e a far subire alla
coscienza una sorta di voluttuoso panico. Si tratta di una specie di spasmo,
smarrimento o trance che annulla la realtà con una vertiginosa
precipitazione. Le pratiche fisiche che la provocano sono svariate.
L’acrobazia, la caduta, il lancio nello spazio, gli scivoloni, la rotazione,
l’accelerazione e la velocità. Esiste anche una vertigine di ordine morale, un
raptus ,che coglie all’improvviso e che si accompagna con il gusto represso
del disordine e della distruzione che tradisce forme rozze di affermazione
della personalità. Gli individui in questi giochi traggono piacere dallo
stordimento. Proprio per provocare questo stordimento sono state create
delle macchine potenti, per tanto non c’è da stupirsi se si è dovuta aspettare
l’età industriale per far rientrare la vertigine nelle categorie del gioco[9].

L’essenziale in questi giochi risiede nella ricerca di un preciso smarrimento,


di quel panico momentaneo definito vertigine e delle indubbie
caratteristiche di gioco che vi sono associate: libertà di accettare o rifiutare
la prova, limiti rigidi e fissi, separazione dal resto della realtà.
Al di là di questa suddivisione in quattro categorie alla base e all’origine del
gioco c’è una libertà prima, originaria, che è esigenza di distensione e
insieme distrazione e fantasia. Questa libertà è il motore indispensabile del
gioco e rimane all’origine delle sue forme più complesse e più
rigorosamente organizzate.

Nella nostra società di tipo industriale, fondata sul valore del lavoro, il
gusto dei giochi d’azzardo è fortissimo poiché essi propongono il modo
esattamente contrario di guadagnare del denaro in una sola volta senza
fatica. Da ciò ne deriva la seduzione costante delle lotterie, dei Casinò, dei
totalizzatori sulle corse dei cavalli o sulle partite di calcio, che fanno
intravedere un miraggio di un colpo di fortuna istantaneo che può portare
alla ricchezza, al lusso e all’ozio.

Tra le più recenti mode dell’azzardo troviamo il bingo, le macchinette e il


gioco d’azzardo on-line, tre giochi molto diversi in quanto a regole e
strumenti ma accomunati da alcune caratteristiche importanti: il fatto di
poter giocare ovunque ed in ogni momento della giornata, la velocità delle
giocate, l’erogazione immediata del denaro vinto[10]. La velocità e
l’immediatezza, la comodità di accesso, l’individualità deritualizzante sono
ingredienti che rendono questi giochi nuovi appetibili e rischiosi, tanto da
essere definiti hard proprio per la loro pericolosità. A questi si deve
aggiungere il ritmo intenso della possibilità di gratificazione, intorno alle
quali si strutturano le dipendenze[11] .

Proprio queste caratteristiche fanno si che questi giochi siano alla portata di
tutti: adolescenti, famiglie, casalinghe e pensionati. Il gioco non è, quindi,
più legato ai suoi contesti originari come i casinò ma diventa disponibile
per tutti, sempre e ovunque, sempre più spesso in solitudine.

Il Bingo: le origini risalgono ai Romani e ai Cinesi, tuttavia nelle forme che


conosciamo oggi lo si può fa risalire come inizio agli anni ’20 negli U.S.A.,
poi diffusosi negli anni ’40 e ’60 in Europa; di recente ha conquistato i
paesi dell’Est Europa e la Russia. Nel 1999 compare a Roma, ad un festival
dell’Unità. Riscosse molto successo tanto da intravvederne un business;
nacque così l’idea di un appalto per la gestione delle sale, la cui
approvazione poteva essere concessa solo dal Ministero delle Finanze. Con
il Decreto Ministeriale numero 29, del 31 gennaio 2000, veniva autorizzato
il Bingo. Successivamente il controllo venne affidato all’Amministrazione
autonoma dei Monopoli di Stato, si approvano inseguito modalità,
strumenti, prezzi e tutto ciò che riguardasse il gioco del Bingo. Nel 2001 si
provvedette alla distribuzione territoriale. Lo Stato concesse tutto al gestore,
diversamente da quanto avveniva in precedenza in cui le operazioni
venivano svolte dall’Intendenza di Finanza.

Per quanto riguarda regole e modalità: è una specie di tombola giocata su


novanta numeri, estratti a ritmo veloce, che appaiono su tabelloni luminosi,
da collocare su cartelle a pagamento senza limiti di acquisto, predisposte e
valide solo per una partita. Si fanno dieci partite ogni ora. La riconnessione
è immediata. Premi speciali e partite speciali arricchiscono l’offerta del
pubblico. Si gioca in sale autorizzate e con amplificazione e monitor sparsi,
aperte tutti i giorni e per otto ore, con servizi di ristorazione e baby parking.
Le somiglianze con la tombola (numeri estratti e cartelle) e alcune modalità
e contesti del gioco (la sala grande, tante persone) lo fanno sembrare un
gioco ad alto potenziale socializzante, ma è una falsa impressione. La
ripetitività e il ritmo veloce di estrazione lo rendono ipnotico e
disorientante. I tempi sono di cinque minuti per una partita e tra una partita
e l’altra non si superano i tre minuti. Tante partite corrispondono
ovviamente ad altrettante “puntate” e unite al ritmo sopra ricordato non
consentono di “metabolizzare” la frustrazione della sconfitta, ma anzi
amplificano il desiderio della possibilità di “rifarsi”. Tuttavia l’attrazione
economica, secondo alcune ricerche condotte negli U.S.A., non sembra
essere quella principale: oltre alla vincita di denaro, “i sogni di gloria”, uniti
al senso della soddisfazione, il fatto che sia un modo per trascorrere il
tempo libero ed ammazzare la noia completano il quadro motivazionale
della partecipazione.
Le vittime preferite delle sale Bingo sono disoccupati, casalinghe,
pensionati e intere famiglie.

Le “macchinette” ovvero videopoker, slot-machines e fruit-machines sono


tra i più diffusi giochi elettronici, e sono, tra le forme di azzardo, quelle che
creano maggiore dipendenza[12]. Sono "d’azzardo" per la prevalenza dell’
alea sull’abilità, si “gioca” e si riscuote denaro, e l’automatismo innalza il
rischio di addiction . Le partite durano tra i sette e i tredici secondi e non
richiedono nessuna interazione con altre persone. Le normative di
riferimento ci sono, ma sono molto confuse ed in continuo cambiamento
con leggi, decreti, circolari e regolamenti che si susseguono.

Fattori predittivi della perdita di controllo del gioco sono l’impulsività, la


depressione e gli stili di coping inadeguato. Autocondanna e rabbia sono i
frutti psicologici di questa dipendenza, uniti alle caratteristiche
drammatiche della dipendenza da GAP che vedremo in seguito.

Le vittime sono uomini e donne di ogni età, e soprattutto la tipologia dei


giocatori detta “per fuga”[13], ossia quegli individui che sfuggono da una
realtà che non soddisfa, che si sottraggono ad una quotidianità che non
vogliono vivere in modo consapevole e lucido, non tanto alla ricerca di
emozioni forti, ma di un momento di trance ipnotica. Molta preoccupazione
desta il potere di queste macchinette sugli adolescenti.

I Casinò, in essi si accede alla roulette, lo chemin de fer, la fair roulette,


BlackJack, trente e quarente e altri giochi di carte e ele più recenti Slot
Machines e Videopoker. In Italia attualmente sono presenti quattro Casinò
sorti grazie a delle leggi speciali. L’apertura delle frontiere dell’Unione
Europea ha agevolato lo spostamento dei giocatori e di conseguenza il
movimento di capitali attraverso i confini. Resta quindi sempre più difficile
riuscire a interdire dai casinò e bloccare la possibilità di accesso al gioco di
coloro che hanno sviluppato una patologia. Si vocifera da anni di alcuni
provvedimenti per l’ulteriore liberalizzazione del gioco d’azzardo nel
nostro Paese. Ogni nuova proposta di legge volta alla liberalizzazione non
si dedica in nessun modo alla progettazione ed al finanziamento di un piano
di prevenzione a tutti i livelli del gioco d’azzardo patologico[14] .

Le scommesse sportive: si può puntare su 11 sport, dal calcio al ciclismo,


dal tennis allo sci, dal basket all’automobilismo. Per arginare il dilagante
fenomeno delle scommesse clandestine, nel 1995 le scommesse sugli eventi
sportivi divennero legali a vantaggio sia del CONI, che ne ha tratto una
nuova fonte d’entrata, sia del Fisco che riceve il 5% su ogni giocata.

Lotto e Superenalotto: il gioco del lotto è un gioco in cui l’eventuale vincita


dipende dall’estrazione di una combinazione di numeri pronosticati o di un
estratto semplice. Consiste in tre estrazioni settimanali (martedì, giovedì e
sabato) che vengono effettuate a partire dalle ore 20:00 per undici ruote:
Bari, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino,
Venezia e Nazionale e ha le seguenti quote:
• Estratto semplice: paga 11,2 volte la giocata (1 possibilità su 90)
• Ambo: paga 250 volte la giocata (1 possibilità su 8.100)
• Terno: paga 4250 volte la giocata (1 possibilità su 729.000)
• Quaterna: 80.000 volte la giocata (1 possibilità su 65.610.000)
• Cinquina: 1.000.000 di volte la giocata. (1 possibilità su
5.904.900.000)

Vedendo queste vincite è lampante osservare quanto il rapporto vincita e


probabilità che la vincita si realizzi sia iniquo, in quanto il pagamento della
posta non moltiplica esattamente la cifra giocata per la probabilità ma per
un moltiplicatore di molto inferiore. La giocata consente un’ampia libertà
nella scelta, poiché giocando una data somma si può decidere senza alcuna
limitazione se giocare su tutto o se ripartire la cifra solo su una parte delle
combinazioni. Attualmente questo gioco è nelle mani della Lottomatica che
sta attuando un cambiamento fondamentale nella storia di questo gioco:
l’integrazione delle tradizioni giocate manuali con quelle realizzate on-line
in tempo reale.

Nel 1997 nasce il Superenalotto che avrà un'escalation rapidissima in virtù


delle cifre altissime che è possibile vincere legalmente grazie al
meccanismo del Jackpot; questo meccanismo si basa sulle estrazioni del
lotto e si scelgono 6 numeri compresi fra l’1 e il 90 e si confrontano con la
combinazione composta dal primo estratto sulle ruote di Bari, Firenze,
Milano, Napoli, Palermo e Roma. Si può vincere anche con il 5+1: la
combinazione jolly che prende in considerazione il primo estratto sulla
ruota di Venezia. Questo gioco è ormai divenuto parte del costume del
nostro paese pur avendo una possibilità di vincita molto bassa: 1 su
622.000.000.

I Videopoker o anche Slot-machine: apparecchi e congegni automatici,


spesso mascherati da giochi di abilità, sono tra i giochi in continua ed
enorme crescita. Il giocatore può vincere un premio direttamente correlato
alla sua abilità che deve influire in maniera determinante sull’esito della
partita che può consistere:
• Nella ripetizione delle partite fino ad un massimo di 10 volte;
• In non più di 10 gettoni per giocare con apparecchi collocati nel
medesimo locale, ma non rimborsabili;
• Nella vincita di una consumazione o di un oggetto, non convertibile
in denaro, di modesto valore economico e tale da escludere la finalità
di lucro.

Ad oggi non esiste alcuna disposizione di legge che vieti la possibilità di


caricare gli apparecchi con banconote di grosso taglio (€ 20, € 50 ), che
limiti il costo di ogni singola partita, che consenta di cumulare le vincite o
che imponga la possibilità di tarare le vincite della macchina in modo
estremamente sfavorevole al consumatore.

L’incasso complessivo della macchina al netto dei costi d’esercizio e del


valore delle consumazioni erogati in premio, viene abitualmente suddiviso
in parti eguali tra noleggiatore ed esercente. Dal punto di vista
dell’influenza su una mente facilmente attaccabile o provata, essi
forniscono una fuga da una realtà insoddisfacente, noiosa, anonima e
frustrante, all’interno di un ambiente virtuale nel quale si può trovare un
facile rifugio. Le profonde insoddisfazioni sono dovute anche a precise
cause sociologiche quali la creazione di una profonda forbice sociale che si
allarga mese dopo mese.
Il Videopoker è caratterizzato dall’interazione che viene a crearsi tra il
giocatore e la macchina: un rapporto quasi affettivo in cui la macchina
viene antropomorfizzata; il giocatore proietta l’insieme dei suoi sentimenti,
negandoli ad altri nella quotidianità, che gli appare quasi insignificante.
Essendo giochi completamente solitari sono tra quelli più a rischio per
l’estrazione dalla realtà e per lo sviluppo della dipendenza.

PERCHÉ SI GIOCA D'AZZARDO

Molti sono stati e sono ancora molti tutt’oggi gli studiosi che si dedicano a
studiare le motivazioni, le cause che spingono un individuo a diventare un
giocatore d’azzardo patologico.
Partendo da ricerche che evidenziavano la correlazione tra disfunzionalità
della serotonina e comportamenti impulsivi quali attacchi violenti,
piromania e suicidio, nel 1991 Moreno[15] e i suoi collaboratori osservarono
come in alcuni pazienti affetti da gioco d’azzardo patologico presentassero
evidenti disfunzionalità nel trasportatore di seretonina.
Nel 1996 Blanco[16] identificò su un gruppo di giocatori d’azzardo patologici
bassi livelli di monoamminossidasi (MAO); questo è un enzima coinvolto
nella regolazione dei neurotrasmettitori (in particolare serotonina e
dopamina).
Altri studi hanno preso in considerazione il sistema noradrenergico, il cui
scorretto funzionamento viene associato a disturbi dell’attenzione e
dell’arousal[17]: quest’ultimo è un concetto molto importante poiché
moltissimi giocatori d’azzardo patologici sostengono che l’eccitazione è
una delle più forti motivazioni a giocare che abbiano, per questo motivo il
gioco può anche essere visto come un tentativo per mantenere alto il
livello di arousal ottimale.

Un altro tentativo di ricerca è stato compiuto analizzando le onde EEG;


questi studi, condotti dall’equipe del dott. Goldstein, hanno evidenziato
che i giocatori d’azzardo patologici mostrano livelli di differenziazione
emisferica più bassi rispetto al gruppo di controllo, inoltre i risultati trovati
sono molto simili a quelli visti nei bambini con deficit di attenzione e
iperattività. Secondo questa ricerca i giocatori riportano che nella propria
infanzia già possedevano queste caratteristiche e quindi in parte si
potrebbero ricollegare all’impulsività degli stessi.

La psicoanalisi ha iniziato ad interessarsi ai giocatori compulsivi già


all’inizio del secolo scorso. Nel 1914 Van Hattinberg affermò che le
emozioni insite nel gioco, l’attesa, la possibilità di vittoria o di sconfitta e
le conseguenti ansie e paure, erano simili alle pulsioni sessuali con
tendenze masochiste.

In tempi più recenti Bergler teorizzò che il giocatore d’azzardo patologico


è spinto dal desiderio inconscio di perdere per ragioni edipiche. La
sostituzione del principio del piacere con il principio di realtà tipica del
passaggio dall’età infantile a quella adulta, in questi soggetti sarebbe
vissuta come una forte imposizione ed essi tenderebbero ad andarvi contro
tramite il gioco d’azzardo; a questa rivolta si affiancherebbe un desiderio
di punizione e questa spiegherebbe il perché molti giocatori più o meno
inconsciamente si augurano di perdere. Bergler definì il giocatore
d’azzardo patologico come colui che coglie ogni opportunità di giocare e
sente brividi sia piacevoli che dolorosi per questa attività.

Rhosental ha offerto un importante contributo psicoanalitico alla


comprensione del fenomeno: secondo questo autore i giocatori hanno
bisogno di verificare, attravero il gioco, la propria autostima in quanto
vittime di disturbi narcisistici della personalità; il costante affrontare le
avversità del gioco è una prova continua del loro valore, al fine di
difendersi da un profondo senso di debolezza e fragilità. Al fine di regolare
queste pulsioni i meccanismi di difesa dell’Io attivati possono essere:
negazione, scissione, onnipotenza e proiezione.

Si può facilmente notare come i contributi psicoanalitici siano dispersivi e


blandi, ma il tentativo di indagine dei processi psichici che portano al gioco
d’azzardo patologico è in ogni caso importante e ha dato stimolo e fornito
argomenti di riflessione per coloro che cercano di capire e spiegare i
meccanismi di questa malattia.

Secondo il modello comportamentista, proposto da Skinner nel 1953, la


predisposizione a giocare dipenderebbe da uno schema di rinforzo per cui il
giocatore verrebbe spinto a rigiocare, grazie ai rinforzi dovuti alle vincite
sporadiche, poiché più tentativi equivalgono a maggiori possibilità di
vincita. La scuola comportamentista si è incentrata sull’analisi dei
meccanismi che intercorrono tra il momento della puntata e l’esito della
scommessa. In questa fase si verificherebbero i momenti più stimolanti per
il meccanismo di rinforzo. Si è potuto notare come spesso i grandi giocatori
tendono a fare le puntate all’ultimo momento al fine di aumentare la
tensione e l’eccitamento; una grossa puntata è un ulteriore fattore di
rinforzo di queste ultime emozioni. Gli studiosi Anderson e Brown
elaborarono la reversal theory: lo stato di attivazione può essere presente in
due modi chiamati telic e paratelic state. Nel primo l’individuo è
prevalentemente indirizzato verso qualche preciso obiettivo, nel secondo è
prevalentemente orientato verso qualche sensazione piacevole. Queste due
condizioni possono alternarsi spesso. Essi corrispondono ai processi di tipo
cognitivo e a quelli di tipo emotivo.

Il modello comportamentista ha puntato le sue ricerche sulle credenze che


hanno i giocatori riguardo al gioco. Stein individuò l’origine del
coinvolgimento del gioco in un ritardo dello sviluppo cognitivo,
riconducibile alla fase di transizione dall’adolescenza all’età adulta. Quindi
gli individui che sviluppano questa dipendenza dal gioco si troverebbero in
uno stadio operatorio concreto ovvero lo stadio in cui il bambino verso i
dieci anni, è capace di compiere ragionamenti che sono strettamente legati
all’azione concreta ma non ancora in grado di compiere deduzioni logiche.
Questi individui intendono il gioco come un luogo di piacere, una fuga dalla
sofferenza e giocare li fa sentire imbattibili. Per risolvere il problema
dovrebbero passare dallo stadio operatorio concreto allo stadio delle
operazioni formali nel quale si è raggiunta psicologicamente l’età adulta. In
questo stadio caratterizzato da un pensiero che è in grado di procedere
attraverso deduzioni e astrazioni, i giocatori possono rendersi conto
dell’assurdità delle loro convinzioni e considerare il gioco come sinonimo
di sofferenza. Lo studioso Walker rinforza questa teoria affermando che i
giocatori regolari ritengono che, attraverso la conoscenza e l’abilità, il gioco
sia sotto il loro controllo e le perdite vengono considerate come fattori
temporanei che incentivano a giocare ancora di più. Queste strategie di
ragionamento sarebbero caratterizzate da tre processi psicologici.
L’illusione del controllo è un aspettativa secondo la quale le possibilità di
vincita sono molto più alte rispetto alla realtà.
La distorta valutazione dei risultati è la convinzione che i successi
dipendano esclusivamente dall’abilità personale mentre le perdite siano
dovute a cause esterne quali la sfortuna o degli eventi sfavorevoli.
L’ intrappolamento che, mentre il giocatore è in fase di perdita, gli
impedisce di decidere se smettere o meno, non potendo stabilire fino a
quando andranno avanti le perdite e quando inizierà invece il momento del
recupero.

Nel 1901 Thomas, partendo dal fatto che l’uomo ha sempre giocato,
descrive il gioco d’azzardo come insito nella natura umana e che è
correlabile all’abilità nel destreggiare in mezzo ad eventi imprevedibili di
grande importanza evolutiva.

Secondo Deveroux (1968) l’impulso a giocare nasce dall’insoddisfazione


del proprio status economico e sociale. Egli considera il gioco come un
modello di devianza istituzionalizzata sviluppatasi dalle pratiche magiche e
religiose di coloro i quali ambivano a confrontarsi con l’incertezza e con il
fato. Quindi il gioco da una parte è un’attività strumentale volta a fini di
tipo economico e contemporaneamente un’attività espressiva che provoca
divertimento fine a sé stesso. Il movente emotivo non trova una spinta solo
nell’eccitazione: secondo Newman (1972) i giocatori provano piacere nel
consultarsi tra loro, nel formulare giudizi e fare previsioni, facendo
diventare così il gioco un fattore aggregante e socializzante.
Altri sociologi quali Downes, invece negano l’esistenza di questo fattore ed
anzi considerano il gioco come stimolante del silenzio e dell’isolamento.

Il lettore, a questo punto, può già iniziare a comprendere come le varie


correnti e le varie teorie che hanno tentato di spiegare il gioco d’azzardo e
il gioco d’azzardo patologico siano alquanto disomogenee nella loro storia;
non è un approccio corretto giudicarle vere o false ma si deve cercare di
integrarle nelle loro componenti più realistiche al fine di descrivere più
correttamente possibile un fenomeno così complesso.

LA SITUAZIONE DEL GIOCO D'AZZARDO IN ITALIA


Un paese dove si spendono circa 1260 euro procapite, (neonati compresi)
per tentare la fortuna che possa cambiare la vita tra videopoker, slot-
machine, gratta e vinci, sale bingo. E dove si stimano 800mila persone
dipendenti da gioco d’azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio. Un
fatturato legale stimato in 76,1 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere,
mantenendoci prudenti, i dieci miliardi di quello illegale. E’ “la terza
impresa” italiana, l’unica con un bilancio sempre in attivo e che non risente
della crisi che colpisce il nostro paese.

Benvenuti ad Azzardopoli, il paese del gioco d’azzardo[18].

Secondo una ricerca nazionale sulle abitudini di gioco degli italiani del
novembre 2011 curata dall’Associazione “ Centro Sociale Papa Giovanni
XXIII”, e coordinata dal CONAGGA (Coordinamento Nazionale Gruppi
per Giocatori d’Azzardo), volta ad indagare le abitudini al gioco d’azzardo
è stimato che in Italia vi siano 1 milione e 720.000 giocatori a rischio e ben
708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei
giocatori patologici minorenni e quelli a rischio. Il che significa che vi sono
circa 800.000 persone dipendenti da gioco d’azzardo all’interno di un’area
di quasi due milioni di giocatori a rischio. I giocatori patologici dichiarano
di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di
spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che
addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese.

PSICOPATOLOGIA DEL GIOCO COMPULSIVO

Il gioco d'azzardo come patologia


La dipendenza è un processo molto complesso e articolato che si sviluppa
in tutta la vita di un individuo. Ci sono dei confini tra quella che viene
definita dipendenza utile e quella patologica. La prima è caratterizzata dai
legami affettivi e dai rapporti che stabiliamo nella società nella vita di tutti i
giorni accettando i valori che essa ci propone; la seconda si riferisce ad uno
squilibrio tra l’indipendenza e lo stabilirsi di particolari legami con altri o
con l’altro, ossia la dipendenza da personalità dominanti, dal gruppo, da
comportamenti patologici, dalle sostanze o dipendenza da quelle sensazioni
forti e da comportamenti rituali imposti dalla condizione stessa di
dipendenza.
La dipendenza è stata definita in vari modi: lo studioso Vizziello la descrive
come quella condizione necessaria per l’esistenza umana che nasce per la
necessità di soddisfare un bisogno o un desiderio. Nizzoli accosta il
concetto di dipendenza al bisogno di sicurezza tipico di ogni uomo e
sostiene che finché l’individuo non è in grado di garantire la propria
sicurezza con le sue forze deve ricorrere a qualcosa di esterno. Altra ipotesi
interessante è quella di Rigliano: l’identità dipendente scaturisce da una
struttura circolare di relazione tra la persona e l’oggetto della dipendenza;
quest’ultimo è solo tramite per altro poiché offre la possibilità di
sperimentare stati mentali, emozioni ed esperienze di sé molto differenti. La
dipendenza agisce innescando esperienze emotive inedite che modificano
gli eventi personali e il concetto che l’individuo ha di sé: questa struttura
diventa predominante e favorisce una dipendenza patologica.
Come si diventa giocatore
L’ essere umano nasce con una base istintiva che nel corso della vita va ad
arricchirsi e modificarsi grazie a fonti esterne e interne. Arriva così ad
acquisire gradualmente una conoscenza di sé e una cultura che gli
consentiranno la sopravvivenza e l’adattamento al contesto in cui si trova a
vivere e crescere. Questo processo è caratterizzato da condizioni
biologiche, culturali e personali che il soggetto è costretto ad affrontare.

A questo punto della mia ricerca è necessario definire chi è il giocatore


d’azzardo patologico e come è possibile diagnosticare la malattia. Gli
studiosi differenziano sei macro categorie di giocatori d’azzardo:
• Giocatori compulsivi con sindrome da dipendenza: individui che
hanno perso il controllo sul loro modo di giocare; per loro il gioco
diventa la cosa più importante della vita. La famiglia, le relazioni
sociali e l’attività lavorativa vengono influenzate in modo fortemente
negativo dalla loro dipendenza.
• Giocatori per fuga con sindrome da dipendenza: individui che
trovano nel gioco un sollievo da sensazioni di ansia, solitudine, rabbia
o depressione. Usano il gioco come fuga dalle difficoltà, esso arriva ad
avere un effetto analgesico.
• Giocatori sociali costanti: per questi giocatori il gioco d’azzardo è
la principale forma di relax e di divertimento ma resta in secondo
piano rispetto alla famiglia ed al lavoro.
• Giocatori sociali adeguati: individui che giocano per passatempo,
per socializzare e per divertimento. A questa categoria appartiene la
maggioranza della popolazione adulta.
• Giocatori antisociali: individui che si servono del gioco al fine di
ottenere guadagni illegali.
• Giocatori professionisti: sono giocatori che giocano d’azzardo per
lavoro e si mantengono con questa loro professione.

Alle prime due categorie appartengono le persone bisognose di aiuto


psicologico e psichiatrico: le vittime del gioco. Il loro è un mondo colmo di
sofferenza, di menzogne, debiti e disperazione.

La scienza ufficiale ha riconosciuto il gioco d’azzardo patologico come


disturbo mentale nel 1980. Il Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi
Mentali edito dall’American Psychiatric Association lo ha incluso nella
terza edizione dello stesso, considerando un impulso irresistibile e
incontrollabile, che poteva progredire in intensità ed urgenza, consumando
sempre più risorse di tempo, di energia, di pensiero e di emozioni.

I criteri diagnostici furono modellati su quelli delle tossicodipendenze e


includevano i concetti di tolleranza e astinenza.

Nei soggetti con G.A.P. possono essere presenti distorsioni del pensiero, per
esempio negazione, superstizione, eccessiva fiducia in sé stessi o un senso
di potere e controllo. Molti di questi soggetti credono che il denaro sia al
tempo stesso la causa e la soluzione di tutti i loro problemi; essi sono spesso
molto competitivi, energici irrequieti e facili ad annoiarsi. Possono essere
molto preoccupati riguardo all’approvazione degli altri. Quando non
giocano possono essere quel tipo di persone che lavorano senza sosta ma
che aspettano però di essere con l’acqua alla gola prima di lavorare davvero
sul serio. In questi individui si sono osservati aumenti nel tasso dei disturbi
dell’umore, attenzione ed abuso o dipendenza da sostanze o comunque
personalità borderline.
Il fenomeno della dipendenza coinvolge una molteplicità di aspetti
dell’individuo, per cui non è facile né immediato darne una definizione.
Comportamenti, vissuti, fattori psicologici e conseguenze si intrecciano e
travolgono l’individuo in modo disordinato e non consequenziale, per cui
spesso è difficile determinare cause e conseguenze in modo distinto.

Tra i diversi approcci relativi al problema della dipendenza troviamo


interessante l’ottica sistemica di Bateson, approfondita da Rigliano, e i
tentativi di applicazione alle “nuove dipendenze”. Bateson[19] cerca di
spiegare i sistemi umani teorizzando che essi non seguono una struttura
causale, ristrutturando il vissuto e la percezione del sè. Non sarebbero
dunque soltanto le cause a determinare un tipo di comportamento, ma
l’esito del comportamento, creando un nuovo significato nell’individuo,
faciliterà o meno la reiterazione del comportamento stesso.

Rigliano[20] sottolinea la relazione tra soggetto e oggetto e riflette sui


significati che si vengono a creare; per cui secondo l’esperto, è nella
interazione tra soggetto, oggetto e contesto che si annida il problema della
dipendenza. Giunge così a definire la dipendenza come “ […] ciò che
risulta dall’incrocio tra il potere che la sostanza ha in potenza e il potere che
quella persona è disposta ad attribuire alla sostanza”[21]. Il soggetto con i suoi
bisogni e le sue caratteristiche, incontrando l’oggetto della dipendenza che
può essere una sostanza, un comportamento o una relazione, vive
un'esperienza particolare data dalla ristrutturazione che il sé subisce a
seguito di questo incontro. L’interpretazione di questo vissuto porrebbe le
basi per il suo ripetersi.

Shaffer[22] sostiene che il fulcro della dipendenza sia l’esperienza soggettiva,


il modo in cui l’oggetto cambia la condizione dell’individuo. Il rapporto tra
individuo ed oggetto diviene esclusivo, perché solo quell’oggetto fornisce
una risposta esaustiva ai bisogni di cui quell’individuo è portatore. E’ “la
convinzione individuale, in seguito ad un’esperienza soggettivamente
interpretata, di avere trovato in un posto e solo in quel posto la risposta
fondamentale a propri bisogni e desideri essenziali: che non è possibile
soddisfare altrimenti”[23].
Secondo quest’ottica, dunque, la dipendenza non ha una o più cause, ma si
costruisce in una circolarità di bisogni e significati, che restringono il
campo delle scelte possibili ad un’unica opzione, quella del contatto con
l’oggetto.

L’ottica sistemica nell'affrontare il tema delle dipendenze ci consente di


collocare le cosiddette “dipendenze da comportamento” all’interno della
famiglia delle dipendenze, questione ancora dibattuta a livello di letteratura
scientifica e tuttora in evoluzione, e di considerare la multifattorialità del
fenomeno.

Come orientamento terminologico conviene comunque chiarire:


• con il termine vulnerabilità intendiamo la predisposizione ad essere
facilmente attaccati;
• con il termine rischio intendiamo l’eventualità di subire un danno o
la presenza di un pericolo
• con il termine dipendenza intendiamo, sinteticamente, il bisogno-
necessità di attuare una compulsione.

CONCLUSIONI

In conclusione credo che il lettore concorderà nel dire che il comportamento


dei giocatori più incalliti, il G.A.P. è attualmente un fenomeno in gran parte
sommerso e sottostimato. Gli studi sul settore, come visto, hanno
evidenziato che più persone giocano e più persone svilupperanno una
patologia da gioco d’azzardo patologico. Tale situazione ha determinato una
presa di coscienza non solo dal mondo sanitario, ma anche da quello
politico che riconosce nel Piano Socio Sanitario Regionale del 2007-2010 il
gioco d’azzardo come dipendenza da comportamento con un forte impatto
sociale, economico e di salute.

E' ragionevole credere che il dilagare di questa patologia, soprattutto fra i


giovani, sia causa di un ribaltamento della scala dei valori sociali standard
in cui viene data assoluta importanza al denaro e soprattutto che l’attrazione
fatale sia dovuta al fatto che ci si convinca della possibilità del guadagno
facile, piuttosto che ricercare un modo solido e stabile di guadagno, quale la
ricerca di un lavoro.

Sicuramente sono le persone più fragili e più problematiche a cadere in


questa trappola la difficoltà nel curare questa patologia, come già detto nei
vari capitoli, sta proprio nella convinzione del soggetto di non essere
dipendente a differenza delle dipendenze da sostanza. Chi è affetto da
questa patologia con molta più difficoltà di un tossicodipendente ne prende
coscienza e si fa aiutare.

Senza dubbio una maggiore sensibilizzazione e una diminuzione d’accesso


a fonti di dipendenza sia l’unica soluzione al dilagare del fenomeno, ma è
facile rendersi conto che dietro questa politica di gioco c’è qualcosa di più
grande, qualcosa a cui da sola la sanità non riesce a fare fronte.

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arousal in problem gambling. Addiction 90: 1529-1540, 1995.
-Shaffer H.J., La Brie R., Scalan K. M., Cummings T. N., “ Psycological
gambling among adolescents: Massachusetts gambling Scree (MAGS)”, in
Journal of gambling Studies, 1994.
-Steel Z. , Blaszczynski A., 1996, “ The factorial structure of pathological
gambling”, Journal of gambling studies, 12:3-20.
-Toneatto T. Cognitive therapy for problem gambling. Cognitive and
Behavioral Practice 9:191 -199. 2002.
-Wakerfield, J. K., 1997, Diagnosing DSM-IV. Part 1. DSM-IV and the
concept of disorder. Behavior REsearch and therapy, 35, 633-649.
[1] JON E. GRANT, MARC N. POTENZA, Il gioco d’azzardo patologico,
una guida clinica al trattamento, Edizione italiana a cura di Massimo
Clerici, cit. p. 4.
[2] CESARE GUERRESCHI, www.genovaweb.org
[3] La baratteria nel Medioevo era un luogo al chiuso o talvolta all’aperto
dove si giocava d’azzardo. Coloro che gestivano il gioco erano chiamati
barattieri. Di solito il gioco d’azzardo si praticava nella taberna, frequentata
anche dalle prostitute e quindi era ritenuto un luogo di malaffare non tanto
per la loro presenza quanto perché praticato dai giocatori.
[4] M. Croce, R. Zerbetto, il gioco e l’azzardo, Franco Angeli, Milano
2001.
[5] G. Lavanco, Psicologia del Gioco d’azzardo. Prospettive
psicodinamiche e sociali, McGraw-Hill, Milano 2001.
[6] SILVANA MAZZOCCHI, Mi Gioco La Vita, Mal d’azzardo: storie vere

di giocatori estremi , Introduzione di Rolando De Luca, Baldini Castoldi


Dalai editore, p. 11
[7] L.B. ALBERTI, Opere Volgari, a cura di Cecil Grayson, Bari, Ed

Laterza, 1966, cit. p. 67.


[8] N. MACHIAVELLI, Lettere, a cura di Giovanni D’Ambrosio-Angelilli,

Acquaviva, Ed. Piccola casa Acquaviva, 2006,


[9] Ibidem R. Callois.

[10] G. Lavanco, L. Varveri, Psicologia del gioco d’azzardo e della

scommessa, Prevenzione, diagnosi, metodi di lavoro nei servizi, cit., p. 78.


[11] M.Croce “gioco d’azzardo e psicopatologia: la difficile inclusione”, in

G. Lavanco ,Psicologia del gioco d’azzardo, cit., p. 162.


[12] N. Dpwòing, D. Smith, T. Trang, “ Eletroning gaming machine: Are they

“Crack-cocaine” of gambling?”, in Addiction, 2005, 100(1), pp. 33-45.


[13] C. Guerreschi, Giocati dal gioco, Quando il divertimento diventa una
malattia: il gioco d’azzardo patologico, San Paolo, Milano 2000.
[14] Cesare Guerreschi, “il gioco d’azzardo patologico” , 2003.

[15] Jacob Levi Moreno (Bucarest, 18 maggio 1889 – Beacon, 14 maggio

1974) è stato uno psichiatra statunitense.


[16] Blanco C., Orensanz-Munoz L, Blanco-Jerez C., Saiz-Ruiz J.,
”Pathological gambling and platelet MAO activity: a psychobiological
study”. American Journal of Psychiatry,1996, 153, 119-121.
[17] Dall’inglese eccitazione, risveglio; è una condizione temporanea del

sistema nervoso, in risposta ad uno stimolo significativo e di intensità


variabile, di un generale stato di eccitazione, caratterizzato da un maggiore
stato attentivo-cognitivo di vigilanza e di pronta reazione agli stimoli
esterni.
L’arousal è presente negli animali e nell’uomo, ad esempio durante i
momenti dove vengono richieste maggiori prestazioni psicofisiche di abilità
come, ad esempio, una verifica, un esame, una competizione agonistica,
l’attacco a una preda o durante una sfida, ma anche durante l’attività
sessuale.
[18] Libera Associazioni,nomi e numeri contro le mafie Azzardopoli.”

Dossier
[http://www.europacheverra.eu/fascicolo_attuale/gioco_azzardo_situazione
_italia.aspx]
[20] P.Rigliano (a cura di) , In-dipendenze, Gruppo Abele, Torino 1998

[21] Ibidem, p. 48

[22] H. J. Shaffer, “ Understanding the means and objects of addiction:

technology, the internet and gambling”, in Journal of gambling studies,


1996,12 (4), pp.461-469.
[23] P. Rigliano ( a cura di), In-dipendenze, cit.,p.54.
G. Bateson, verso un’ecologia della mente, (1979), trad it., Adelphi,
[19]

Milano 1984.
CAPITOLO IX

Le sostanze d'uso-abuso

ANDREAS ACERANTI - ANTONIO FERRANTE - SIMONETTA VERNOCCHI

Non si può mai scegliere quando e come nascere


e non sempre quando e come morire,
ma quando e come uccidere se stessi è tutta un'altra storia...
la droga dà sempre una mano a chi è in grado
di scavare la propria fossa da solo.
Jean-Paul Malfatti

INTRODUZIONE ALLE SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPE

La motivazione del ricorso alle sostanze psicotrope si può facilmente intuire


una volta che si sono compresi i meccanismi che influenzano motivazione e
gratificazione, controllati dal lobo limbico e che vengono influenzati da
queste sostanze. I sistemi principalmente coinvolti in questi meccanismi,
quello dopaminergico e quello oppioidergico, sono, come vedremo,
fortemente influenzati dalle sostanze d’abuso.

Una sostanza stupefacente, psicoattiva, psicotropa (nel linguaggio comune,


droga) è una sostanza chimica farmacologicamente attiva, dotata di azione
psicotropa, ovvero capace di alterare l'attività mentale, in grado di indurre,
in diverso grado, fenomeni di dipendenza, tolleranza e assuefazione.
Nella lingua italiana il termine «stupefacente» è diventato, nell'uso,
sinonimo di azione psicotropa, sebbene sul piano medico-clinico si
distingua tra i due concetti, riservando tale denominazione solo ad una
piccola classe di tutte le sostanze psicoattive, dotata di specifiche
caratteristiche che inducono stupor in chi le assume. Anche se le diverse
sostanze hanno in genere effetti complessi, l'azione psicotropa può essere
classificata come:
• psicolettica: depressoria dell'attività mentale (es. oppioidi,
barbiturici, etanolo);
• psicoanalettica: eccitatoria dell'attività mentale (es. anfetamine,
caffeina, cocaina);
• psicodislettica: capace di alterare la percezione, lo stato di
coscienza o il comportamento (es. cannabinoidi, allucinogeni).

Per via del loro potenziale psicotropo, le droghe sono state storicamente
usate, al di là dell'uso medico-terapeutico (che pure per alcune di esse è
assente)[3], a scopo ricreativo ("recreational drug use"), ma anche in
contesti religiosi o culturali.

Classificazione delle sostanze

I criteri di classificazione delle sostanze d’abuso sono:


• farmacologico
• clinico
• di pericolosità
• giuridico

Il criterio farmacologico
Molte sostanze, sia naturali sia di sintesi, hanno una struttura molto simile
ai neurotrasmettitori di cui abbiamo già parlato (Julien, 2002). Ad esempio,
dal punto di vista del struttura biochimica le amfetamine, la cocaina e la
mescalina sono molto simili alla noradrenalina; la psilocina, l’acido
lisergico, la psilocibina e la dietilamide sono simili alla serotonina;
l’atropina è simile all’aceticolina; la caffeina è simile all’adenosina. Detto
questo è facile comprendere come alcune sostanze siano capaci replicare le
funzioni dei sistemi di neurotrasmissione.

Per ogni sostanza, sia essa una droga, un farmaco, un alimento, un principio
nutritivo, una vitamina, o qualsiasi altra sostanza, gli effetti sull’organismo
dipendono da diversi fattori tra cui i più influenti sono:

• la struttura chimica
• le modalità di assorbimento
• il meccanismo di azione
• le proprietà farmacocinetiche
• le proprietà farmacodinamiche

Sostanze che agiscono su recettori specifici generano effetti più rapidi e


spesso più persistenti se confrontate con altre sostanze che non agiscono su
recettori specifici.
Le sostanze stupefacenti presentano molte analogie strutturali con i
neurotrasmettitori endogeni dei nostri sistemi.
Il criterio clinico
Le sostanze possono essere classificate secondo i loro effetti in base
all'attività che determinano a livello del sistema nervoso centrale può essere
fatta una classificazione clinica di tali sostanze in tre categorie principali
(accettata dalla maggioranza degli autori):

• Psicolettici: sostanze sedative sul SNC


• Ipnotici: usati per indurre il sonno (es. barbiturici)
• Tranquillizzanti minori o ansiolitici: attività sedativa,
anticonvulsivante e miorilassante (es. benzodiazepine)
• Tranquillizzanti maggiori o neurolettici: attività sedativa e
antipsicotica (es. fenotiazine, butirrofenoni, benzamidi, derivati
del tioxantene, alcaloidi della Ruwolfia)
• Regolatori dell'umore: azione sui disturbi di tipo affettivo (es.
carbonato di litio)
• Psicoanalettici: sostanze che elevano il tono psichico
• Stimolanti dell'umore o antidepressivi: ad es. gli inibitori delle
Mono-Ammino-Ossidasi (I-MAO) e gli antidepressivi triciclici o
eterociclici
• Stimolanti della vigilanza: ad es. anfetamine e caffeina
• Psicodislettici: sostanze che alterano e perturbano il tono psichico
• Deprimenti: oppiacei, etanolo e solventi
• Stimolanti: cocaina, anfetaminici
• Allucinogeni: LSD, mescalina, psilocibina, DMT
• Dissociativi: ketamina, PCP

Il criterio di pericolosità
Secondo la loro pericolosità personale e sociale, le sostanze vengono divise
in droghe leggere e droghe pesanti. Questa distinzione nacque negli anni
’60 negli USA e aveva come criterio discrezionale non la struttura chimica
o al potenziale di abuso della sostanza ma il luogo in cui era reperibile e
dove veniva consumata. Infatti le sostanze reperibili e consumate nei
Campus universitari, nelle scuole e nei college venivano definite “leggere”
mentre venivano etichettate come “pesanti” quelle reperibili e consumate
per strada o in altri luoghi.

Droghe pesanti:
• Alcol
• Allucinogeni
• Amfetamine ed ecstasy
• BarbituriciCocaina
• Fenciclidina

• Droghe leggere:
• Caffeina
• Cannabis
• Nicotina

Nel 2002 il NIDA (National Institute of Drug Abuse) ha coniato una nuova
voce di classificazione per sostanze particolarmente pericolose che vengono
definite club drug.

Il criterio giuridico
In Italia le sostanze stupefacenti e psicotrope sono classificate in 6 tabelle.
L’attribuzione di una sostanza ad una tabella piuttosto che ad un’altra viene
regolamentata da appositi D.M., quello di riferimento resta, comunque, il
DPR n. 309 del 1990, art. 14

LO STRESS E LA DIPENDENZA

Abbiamo già chiarito nei capitoli precedenti che non tutti i compulsivi
diventano dipendenti.
Quando parliamo di sostanze psicotrope il passaggio da uso ad abuso è
spesso più correlato alla biochimica che non alla sola psicologia. In
particolare, secondo Piazza-LeMoal, esistono due aspetti che vanno presi in
considerazione. Il primo è che la dipendenza da sostanza sia iatrogena,
un’evoluzione naturale dell’uso-abuso e dei cambiamenti neuronali che
questo comporta. L’altro aspetto è che, poiché non tutti i consumatori
diventano dipendenti, bisogna ricercare una condizione alla base della
tossicodipendenza tale da permettere che gli effetti gratificanti delle droghe
siano percepiti all’individuo con un’intensità tanto maggiore da sviluppare
piu facilmente, rispetto ad altri, uno stato di tossicodipendenza.(Piazza P.V.,
LeMoal M.L. The role of stress in drug self-administration, Trends
Pharmacol. Sci. 19).

Sebbene l’approccio di Piazza-LeMoal sia abbastanza esaustivo sotto alcuni


punti di vista, teorie piu moderne suggeriscono che lo stress sia alla base,
per alcuni, della vulnerabilità o sviluppo di una dipendenza. Le evidenze
cliniche (Brewer et al., 1998; Sinha et al., 2000) sottolineano come lo stress
sia un’importante elemento predisponente alla ricaduta; mentre altri dati
(Jacobsen et al., 2000) sostengono l’ipotesi che un PTSD (Disturbo Post-
Traumatico da Stress) aumenti le possibilità che il soggetto sviluppi una
dipendenza da sostanze.

Durante uno stress acuto aumentano i glucorticoidi ematici e questo può


portare ad un’innalzamento delle quantità di dopamina rilasciate
centralmente e questo aumenterebbe la sensibilità agli effetti che le sostanze
psicotrope provocano sul circuito della gratificazione.
Durante uno stress cronico, invece, la costante secrezione di glucorticoidi
porta a uno squilibrio dei recettori dei glucorticoidi a livello
dell’ippocampo.

COME AGISCONO LE SOSTANZE PSICOTROPE

Come abbiamo visto fino ad ora il sistema piu influenzato dalle dipendenze
è quello dopaminergico e poiché la maggior parte delle sostanze
stupefacenti ha la capacità di aumentare la secrezione di dopamina a livello
del nucleo accumbens è facile comprendere quanto sia facile cadere
nell’abuso di queste sostanze e quanto sia difficile uscirne.

Come queste sostanze agiscano precisamente è ancora poco chiaro. Le


ipotesi sono diverse. Una di queste suggerisce un aumento della tirosina-
idrossilasi (un enzima chiave nella produzione di dopamina) nell’area
tegmentale ventrale dopo la somministrazione di oppiacei, di cocaina e di
alcol (Beitner-Johnson, Nestler, 1991). Altre ipotesi suggeriscono
un’alterazione dei trasportatori della domapina o un aumento della
sensibilità del sistema dopaminergico.

Come vedremo le sostanze d’abuso si dividono in varie categorie e


cercheremo, in questo capitolo, di dare al lettore un’idea abbastanza chiara
senza la pretesa di essere esaustivi di quali siano queste sostanze e i loro
effetti.

In generale possiamo dire che gli oppiacei (come la morfina, l’eroina e il


metadone) e apparentemente anche il r9-tetraidrocannabinolo (DELTA9-
THC, il principio attivo della marjuana) , agiscono in due modi per
aumentare il rilascio di dopamina:
1. stimolano i recettori m del nucleo ventrale tegmentale (nello
specifico dei neuroni mesencefalici) che si iperpolarizzano e
aumentano il rilascio di dopamina;
2. inibiscono l’attività inibitoria del sistema GABAergico.

L’etanolo (l’alcol) stimola il sistema GABAergico e riduce il controllo


inibitorio favorendo la produzione di dopamina.
La nicotina, che va a braccetto con l’etanolo, agisce direttamente sui
recettori colinergici nicotinici inducendo la secrezione di dopamina.

Gli psicostimolanti agiscono in due modi:


1. la cocaina inibisce il reuptake (il riassorbimento) della
dopamina aumentando così la quantità di dopamina disponibile
(perché non viene riassorbita);
2. l’amfetamina stimola la produzione di dopamina direttamente
dai neuroni.

Altre sostanze, invece, come i barbiturici e le benzodiazepine non


incrementano l’attività dopaminergica ma agiscono su altri sistemi che
vedremo tra poco.

ALCOL

L’alcol attraversa facilmente sia la barriera ematoencefalica sia la placenta


viene digerito in parte già nello stomaco (circa il 20%) per poi essere
completamente assorbito nell’intestino a velocità variabile e facilmente
influenzabile da vari fattori. Ad esempio la presenza di cibo nello stomaco,
soprattutto se ad alto contenuto proteico, ne rallenta l’assorbimento.

Il nostro stomaco è fornito di “sensori” per cui quando una quantità ingente
di alcol viene ingerita il piloro (la parte terminale dello stomaco) si
restringe per impedire il passaggio dell’alcol all’intestino e questo provoca i
due sintomi tipici dell’intossicazione acuta da alcol: nausea e vomito.

L’alcol interagisce e interferisce con numerosi farmaci e questa sua capacità


di interazione lo rende estremamente pericoloso se assunto in concomitanza
a farmaci di qualsiasi genere.
Molecola dell'etanolo

Effetti dell’alcol
Gli effetti che l’alcol produce sull’organismo sono disastrosi non solo per
l’incidenza ma anche perché l’alcol colpisce piu organi e piu apparati
contemporaneamente.

La prima caratteristica dell’alcol è sicuramente la sua capacità anestetica.


E’, infatti, uno dei primi anestetici di cui si trova traccia nei trattati di storia
della medicina. Questa sua capacità è correlabile alla sua azione depressiva
sul sistema nervoso centrale oltre che alla sua capacità di inibire la risposta
neuronale. Infatti, alte dosi di alcol provocano una grande depressione
respiratoria, perdita di coscienza e perfino il coma. L’alcol deprime, inoltre,
la responsività dei centri di termoregolazione e provoca vasodilatazione con
conseguente dispersione di calore e, soprattutto in alte dosi, una grave
ipotermia che può causare la morte soprattutto nei senzatetto che non hanno
di che scaldarsi.

L’alcol, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, ha potenti capacità


sedative e ansiolitiche. Queste capacità sono dovute all’azione che esercita
sul sistema GABAergico. Favorisce il sonno ma riduce il sonno REM
aumentando il numero di risvegli. Inoltre agisce a livello del lobo temporale
alterando memoria e concentrazione, ma approfondiremo questo aspetto nel
prossimo capitolo.

L’alcol altera l’assorbimento e la biodisponibilità delle vitamine e degli


oligoelementi essenziali (calcio, magnesio e zinco) portando disturbi
sensoriali e motori oltre a gravi malattie neuropsichiatriche, direttamente
correlate all’azione tossica sui sistemi di neurotrasmissione, come l’atrofia
cerebellare, l’atrofia corticale, la malattia di Marchiafava-Bignami, la
mielinosi pontina e la demenza. La carenza di vitamine del gruppo B (B1,
B6 e B12) porta anemia megaloblastica (in tutti gli alcolisti vi è infatti un
aumento del volume globulare medio) e la sindrome di Wernicke-
Korsakoff. Inoltre la carenza di vitamine PP e vitamine del gruppo B
portano la pellagra. Bassi livelli di vitamina D associati a malanutrizione
portano alle osteopatie e l’ipofosftemia provoca importanti miopatie.

Sebbene alcune ricerche abbiano appurato che il vino rosso è ricco di


sostanze antiossidanti che esercitano una funzione protettiva sull’apparato
cardiovascolare, l’alcolismo cronico porta a severe cariopatie, aritmie, gravi
insufficienze cardiache ed ipertensione arteriosa.

La depressione del sistema immunitario porta a patologie cutanee (le più


comuni sono le dermatiti), allo sviluppo di processi infettivi e neoplasie. A
livello respiratorio, la depressione della risposta immunitaria porta bronchiti
e polmoniti.
L’assunzione di alcol provoca un aumento delle secrezioni gastriche e delle
secrezioni pancreatiche che possono portare a gastrite, gastrite atrofica,
ulcera, reflusso e sindrome di Mallory-Weiss, duodenite, pancreatite acuta e
cronica. Ingenti quantità di alcol assunte in modo cronico portano alla
steatosi epatica, all’epatite, alla cirrosi epatica e al carcinoma epatico.
Fortunatamente il peggioramento dell’epatopatia può essere evitato con
l’astinenza. Alla base di queste patologie e di altre tra le quali ipoglicemia,
alterazioni del ciclo mestruale, riduzione del desiderio sessuale,
osteoporosi, ci sono l’aumento di cortisolo, aldosterone e di insulina e
l’inibizione di produzione di ossitocina e testosterone.

METILXANTINE

Il caffè
Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta
del caffè e, oltre all’Etiopia, si ipotizzava la Persia e lo Yemen. Pellegrino
Artusi, nel suo celebre manuale, sostiene che il miglior caffè sia quello di
Mokha (città nello Yemen), e che questo sarebbe l’indizio per individuarne
il luogo d’origine. Esistono molte leggende sull’origine del caffè.

La più conosciuta dice che un pastore chiamato Kaldi portava a pascolare le


capre in Etiopia. Un giorno queste incontrando una pianta di caffè
cominciarono a mangiare le bacche e a masticare le foglie. Arrivata la notte
le capre anziché dormire si misero a vagabondare con energia e vivacità mai
espressa fino ad allora. Vedendo questo il pastore ne individuò la ragione e
abbrustolì i semi della pianta mangiati dal suo gregge, poi le macinò e ne
fece un’infusione, ottenendo il caffè.

Un’altra leggenda ha come protagonista il profeta Maometto il quale,


sentendosi male, ebbe un giorno la visione dell’Arcangelo Gabriele che gli
offriva una pozione nera (come la Sacra Pietra della Mecca) creata da
Allah, che gli permise di riprendersi e tornare in forze. Esiste anche una
leggenda che narra di un incendio in Abissinia di piante selvatiche di caffè
che diffuse nell’aria il suo fumo per chilometri e chilometri di distanza.
Pianta del caffè

Nel XV secolo la conoscenza della bevanda a base di caffè si estese fino a


Damasco, al Cairo per arrivare infine ad Istanbul, dove il suo consumo
avveniva nei luoghi d’incontro dell’epoca.

Nella sua opera Sylva sylvarum, pubblicata postuma nel 1627, Francesco
Bacone fornisce per primo una descrizione di questi locali in cui i turchi
siedono a bere caffè, paragonandoli alle taverne europee.

I primi a descrivere in Europa la pianta di caffè furono: in Germania, il


botanico Léonard Rauwolf, con un libro pubblicato nel 1583 e in Italia, il
marosticense Prospero Alpini, nel suo libro De Medicina AEgyptiorum
datato 1591. Nella rappresentazione di Prospero Alpini mancano però le
bacche della pianta di caffè, che furono descritte in Europa solo nel 1605 da
Charles de L’Écluse, direttore allora del giardino botanico di Vienna.

Per i suoi rapporti commerciali in Vicino Oriente, Venezia fu la prima a far


uso del caffè in Italia, forse fin dal XVI secolo; ma le prime botteghe del
caffè furono aperte solo nel 1645 ed il medico e letterato Francesco Redi
nel suo Bacco in Toscana già cantava:

Nel XVII secolo, a Londra ed a Parigi una libbra di caffè veniva pagata fino
a 40 scudi. L’uso si andò poi via via generalizzando per crescere fino
all’immenso consumo che se ne fa tuttora.

Verso il 1650, cominciò ad essere importato e consumato in Inghilterra e si


aprirono di conseguenza i primi caffè (intesi come circoli e bar e detti in
inglese coffeehouse), come ad esempio quelli di Oxford e di Londra. Nel
1663 in Inghilterra vi erano già 80 coffeehouse, cresciuti vertiginosamente
fino a superare le 3000 unità nel 1715. I caffè divennero presto luoghi di
nascita e diffusione di idee liberali, e furono frequentati da letterati, politici
e filosofi, diffondendone l’uso in tutta Europa. Nel 1670 aprì il primo caffè
a Berlino e nel 1686 a Parigi.

Nel 1684 Franciszek Jerzy Kulczycki, soldato delle truppe del re polacco
Jan III Sobieski, che era giunto in Austria per salvare Vienna dall’assedio
dei Turchi, dopo la liberazione della città, aprì in questa la prima bottega
del caffè, fra le prime in Europa. Costui utilizzò all’inizio i sacchi di caffè
abbandonati dall’esercito ottomano in fuga.
Nel 1689 venne inaugurato il primo caffè negli Stati Uniti, a Boston,
denominato London Coffee House. Seguì il The King’s Arms, aperto a New
York nel 1696.

Nel Settecento ogni città d’Europa possedeva almeno un caffè. Il caffè


iniziò ad essere coltivato in larga scala nelle colonie britanniche e in quelle
olandesi (in Indonesia). La Compagnia olandese delle Indie Orientali
incominciò a coltivare il caffè già nell’ultimo decennio del XVII secolo,
presso Giava utilizzando semi provenienti dal porto di Mocha, nello Yemen.
Nel 1706 alcune piantine di caffè vennero trasferite da Giava al giardino
botanico di Amsterdam; da lì, nel 1713, una pianta raggiunse la Francia.

Nel 1720 Gabriel de Clieu, un ufficiale della marina francese, salpò alla
volta dei Caraibi con due piantine di caffè di cui solo una sopravvisse
arrivando alla colonia francese della Martinica. Da lì, nei decenni seguenti,
le piante si diffusero rapidamente in tutto il Centroamerica: Santo Domingo
(1725), Guadalupa (1726), Giamaica (1730), Cuba (1748) e Porto Rico
(1755).

Nello stesso periodo, precisamente nel 1718, gli olandesi portarono il caffè
in un’altra loro colonia, la Guiana Olandese (attuale Suriname) da cui, nel
1719 entrò nella Guiana Francese e di qui penetrò infine in Brasile, dove,
nel 1727, vennero create le prime piantagioni. L’industria nelle colonie
dipendeva esclusivamente dalla pratica della schiavitù, abolita solo, peraltro
formalmente, nel 1888.
Fu Carlo Linneo, botanico svedese a cui si deve la diffusione del sistema di
classificazione degli organismi in genere e specie, a proporre per primo il
genere Coffea nel 1737. [Fonte: Wikipedia]

Il tè
I primi riferimenti testuali certi sul consumo del tè in Cina risalgono al III
secolo. Tra i maggiori promotori del tè vi furono i monaci buddhisti, che lo
adottarono come bevanda rituale e tonico. Durante l’epoca Tang il tè si
diffuse in tutto il paese, grazie anche al contributo del Canone del tè scritto
da Lu Yu nel 760. Durante la dinastia Song l’arte cinese del tè raggiunse la
massima sofisticazione. In questo periodo si diffuse anche in Giappone,
dove nel XVI secolo venne codificata una particolare forma di preparazione
ritualizzata (la cosiddetta “cerimonia del tè”). In Cina, nel corso della
dinastia Ming, si affermò il consumo del tè in foglie e si iniziò a produrre -
oltre ai tè verdi - anche tè ossidati e parzialmente ossidati.

Pianta del té

Il primo riferimento al tè in un testo europeo è contenuto nei resoconti del


veneziano Giovan Battista Ramusio. Presumibilmente furono i Portoghesi a
introdurre la bevanda in Europa, ma la prima importazione della quale si ha
traccia fu da parte della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. In
Europa il tè divenne dapprima popolare in Francia e nei Paesi Bassi.
Inizialmente vi furono posizioni diverse da parte dei medici sulla nuova
bevanda orientale: alcuni lo ritennero dannoso alla salute, altri (come il
medico olandese Cornelis Bontekoe) ne promossero il consumo come
rimedio per tutti i mali.
Il primo locale a servire il tè in Inghilterra fu la caffetteria di Thomas
Garway nel 1657. La Compagnia inglese delle Indie orientali iniziò ad
importarlo a partire dal 1669 e nel corso del secolo successivo il tè divenne
la voce più importante nei traffici inglesi con l’Oriente. Il consumo del tè in
Gran Bretagna crebbe moltissimo e si impose come costume nazionale.

Nelle consolidate tradizioni britanniche la bevanda viene consumata varie


volte al giorno. Tra i momenti più importanti vi sono la colazione e il tè
pomeridiano (il cosiddetto “tè delle cinque”) generalmente accompagnato
da semplici dolci e tartine (Low tea) oppure consistente in un vero e proprio
pasto che sostituisce la cena (High tea). A partire dal 1834 gli inglesi
introdussero la coltivazione e produzione di tè anche nei loro territori
coloniali in India.

Le più famose ed antiche marche che importano e producono le miscele


(blend) sono la Twinings e la Fortnum and Mason’s, entrambe con sede a
Londra. Altre marche famose inglesi sono la Lipton, la Whittard e la
Harrods (i grandi magazzini londinesi).

Un altro famoso brand è la compagnia russa Orimi Trade Group che è da


tempo la più grande azienda russa di bevande calde e la più grande
produttrice russa di tè e caffè. I brand di produzione di tè della Orimi Trade
Group sono il Greenfield tea e Tess tea. [Fonte: Wikipedia]

Il cacao
In base alle ricostruzioni storiche, sembra che i Maya siano stati gli
scopritori e i primi coltivatori del cacao; secondo una leggenda azteca, la
pianta fu donata dal dio Quetzalcoatl per alleviare gli esseri umani dalla
fatica. Gli europei scoprirono i semi del cacao quando Cristoforo Colombo
li ricevette in dono, durante il suo quarto viaggio, presso l’isola di Guanaja.
Nella civiltà azteca erano considerati un bene di lusso, e venivano importati
per il fatto che la pianta non cresceva sul territorio dell’impero.
Il consumo del cacao era una prerogativa dei ceti alti (nobili, guerrieri e
sacerdoti), e rappresentava uno dei cardini della cucina azteca. I semi di
cacao erano talmente preziosi da venire adoperati anche come moneta. Da
ciò il primo nome del cacao (Amygdalae pecuniariae ovvero mandorla di
denaro) poi sostituito da Linneo in Theobroma cacao o cibo degli dei. Le
fonti del tempo narrano anche di frequenti contraffazioni effettuate
riempiendo i gusci vuoti con sporcizia o fango. Proprio dal termine azteco
in lingua nahuatl xocoatl deriva la parola “cioccolato”.

I semi di cacao arrivano in Europa solo con Hernán Cortés nel 1528. Qui la
bevanda ottiene il successo solo con l’aggiunta di zucchero, anice, cannella
e vaniglia. Nel 1606 il cioccolato si produce anche in Italia, a Firenze e
Venezia. Nel 1678 Antonio Ari ottiene dai Savoia il permesso di vendere la
cioccolata in “bevanda”. Alla scuola torinese di cioccolato si forma
Francois-Luis Cailler che nel 1819 fonda la prima fabbrica svizzera di
cioccolato a Vevey.

Nel 1802 il genovese Bozelli costruisce una macchina per raffinare la pasta
di cacao. Nel 1828 l’olandese van Houten separa il burro di cacao. Nel 1865
a Torino Caffarel mescola cacao e nocciole producendo il cioccolato
gianduia. Nel 1878 lo svizzero Daniel Peter mescola il latte al cacao
producendo il cioccolato al latte. Nel 1879 a Berna Rodolphe Lindt produce
il cioccolato fondente. Nel 1923 a Chicago Frank Mars inventa la barretta al
cioccolato. [Fonte: Wikipedia]

Le sostanze
Le metilxantine sono una famiglia di sostanze le cui proprietà sono più o
meno identiche tra i componenti della famiglia. Le tre metilxantine piu
conosciute, e utilizzate, sono:
Pianta del cacao

• la caffeina, è la metilxantina piu comune ed è contenuta nel caffé;


• la teofillina, è la metilxantina più potente e contenuta nel té;
• la teobromina, contenuta nel cacao.

La metilxantina più comune e più consumata al mondo è la caffeina che è


contenuta in numerose bevande ed in molti farmaci, soprattutto quelli
contro cefalea, raffreddore e allergie.

Le metilxantine vengono assorbite nel tratto gastrointestinale con velocità


variabile, generalmente entro 90 minuti dall’assunzione, ma la presenza di
cibo nello stomaco può rallentare l’assorbimento. Una volta assorbite
vengono perfuse in modo omogeneo in tutti i distretti, cervello compreso,
passano facilmente la barriera placentare e si accumulano nel latte materno.
L’effetto dura tra le 3 e le 5 ore ma è più prolungata in bambini e anziani
fino a raddoppiare nelle donne all’ultimo trimestre di gravidanza. Il
metabolismo avviene per circa il 90% nel fegato per effetto dei citocromi
CYP1A2, CYP2E1 e CYP3A4.

Sulle metilxantine, e in particolare sulla caffeina, sono stati effettuati molti


studi ma tutti sono stati eseguiti utilizzando concentrazioni molto superiori
a quelle che possono essere ottenibili attraverso un normale consumo e non
è nemmeno possibile stabilire con certezza le dosi minime necessarie per
ottenere determinati effetti. Non esistono evidenze scientifiche che
supportino l’idea che le metilxantine migliorino le capacità mentali quando
si è sotto effetto dell’alcol. Neppure esistono prove certe che sostengano
l’idea che le metilxantine migliorino l’attenzione e l’attività mentale o
motoria.
Considerato che, se somministrate a determinate dosi, le metilxantine sono
in grado di contrastare gli effetti sedativi e analgesici degli oppioidi è logico
ritenere che ci sia un’interazione col sistema oppioidergico e sicuramente
aumentano il tasso di attivazione dei neuroni colinergici mesocorticali. Gli
studi di Cameron et al (1990), di Mathews Wilson (1985) e di Nehli et al
(1992) dimostrano che le metilxantine aumentano l’attività metabolica
cerebrale sebbene diminuisca del 30% il flusso ematico cerebrale. Essendo
potenti stimolanti riducono la capacità di induzione del sonno e aiutano lo
stato di veglia.

Piccole e medie dosi migliorano il tono dell’umore e stimolano la


produzione di catecolamine e in chi non ne fa uso cronico può portare
bradicardia; alte dosi di metilxantine possono causare nausea, vomito,
nervosismo, ansia, paura, tremori ed iperalgesia oltre che a stimolare un
massiccio rilascio di catecolamine che portano tachicardia e, nei soggetti
predisposti, extrasistoli e aritmie sebbene gli studi epidemiologici non
hanno rilevato alcuna correlazione tra il consumo di caffè e un potenziale
aumento del rischio di coronaropatie e di infarto del miocardio; dosi
altissime possono portare attività convulsiva focale e generalizzata.

Grobbee et al (1990) riportano studi che indicano come l’uso cronico di


metilxantine possa risultare utile nella prevenzione dello stroke e
dell’ipossia cerebrale ma nei consumatori cronici di metilxantine che ne
interrompano bruscamente l’assunzione si possono verificare gravi disturbi
cognitivi.

L’utilizzo di metilxantine aumenta il tasso di saturazione di ossigeno nel


corpo grazie alla capacità di attivare il centro bulbare del respiro che
incrementa la contrazione diaframmatica e all’effetto broncodilatatore della
molecola, effetto – quest’ultimo - più consistente nella teofillina. Le
metilxantine sono, infatti, indicate nel trattamento delle dispnee gravi,
nell’apnea neonatale pretermine, nella depressione respiratoria indotta da
oppiacei e in tutte le condizioni di Cheyne-Stokes.

Le metilxantine provocano un effetto sul flusso ematico e sul filtrato


glomerulare portando un aumento della diuresi, effetto più spiccato nella
teofilline e nella caffeina; quest’ultima può anche aumentare il metabolismo
e a volte può dare un aumento dei tassi glicemici plasmatici e un aumento
degli acidi grassi nel torrente circolatorio.

Grazie ad una riduzione dell’attività dell’adenosina-3’-5’monofosfato


diesterasi, la caffeina stimola la secrezione acida a livello dello stomaco ed
è, quindi, sconsigliata a chi soffre di gastrite, di ulcera e di reflusso
gastroesofageo anche a causa della sua capacità di ridurre il tono dello
sfintere esofageo inferiore.

I CANNABINOIDI

La cannabis è, secondo alcune fonti, la prima pianta che l’uomo abbia


coltivato per scopi diversi dall’alimentazione. Documenti che ne provino la
coltivazione fanno risalire i suoi primi utilizzi in Cina nel 2.000 a.C. e i suoi
impieghi sono, infatti, principalmente da sempre l’uso psicotropo e la
produzione di fibre.

Pianta della cannabis

I cinesi la usavano per combattere i dolori mentre gli assiri (900 a.C.) la
usavano come incenso. Secondo antichi scritti indiani era la bevanda
preferita del dio Indra mentre gli Sciiti fecero conoscere i suoi poteri
psicotropi ai greci che la diffusero in tutto il mondo classico. Nel medioevo
era un medicamento di comune utilizzo e nell’800 fu importata in Europa
dagli inglesi che rientravano dalle campagne in Egitto, allo scopo di
utilizzarla come farmaco grazie alle sue proprità sedative e analgesiche.

Ad oggi il suo uso, Olanda a parte, è illegale.

Di cannabis esistono tre tipologie:


• la indica,
• la ruderalis e
• la sativa (questa è quella più comunemente consumata).

Dalla cannabis si ottengono diversi prodotti che vengono fumati:


• la marijuana (fogli e infiorescenze);
• l’hashish (resina del fiore femmina);
• l’olio (che viene chimicamente estratto dalla pianta).

La cannabis sativa contiene moltissime sostanza attive di cui circa 61 sono


sostanze che rientrano tra i cannabinoli, i cui più famosi sono il r8-
tetraidrocannabinolo e il r9-tetraidrocannabinolo (il principio attivo più
abbondante e più importante) oltre a circa 300 altre sostanze naturali quali
alcoli, steroidi, zuccheri, fenoli, acidi grassi e terpeni.

Quando viene fumato, il r9-tetraidrocannabinolo entra in circolo già dopo 7-


8 minuti e i suoi effetti permangono alti per circa 45 minuti per poi iniziare
a sparire dopo 4-6 ore.

Gli effetti della cannabis


Gli effetti più comuni e meglio noti della marijuana e dell’hashish sono il
senso di euforia, l’aumento dell’eloquio e il senso di felicità alternati a
introspezione e sonnolenza.

Effetti collaterali sono tachicardia, eritema congiuntivale, aumento della


pressione arteriosa, secchezza delle fauci, vertigini, alterazione della
percezione del tempo ne dello spazio e, in alte dosi, paranoia e psicosi,
disforia, ansia e una forte distorsione del tempo e dello spazio e,
occasionalmente, ritiro sociale. In dosi anche minime il r9-
tetraidrocannabinolo provoca ritardata reazione pupillare alla luce,
riduzione della pressione intraoculare e broncodilatazione sebbene sia
dimostrato che l’uso di cannabinoidi è un forte fattore di rischio per lo
sviluppo di patologie a carico dell’apparato respiratorio quali bronchiti, sia
acute sia croniche, e alterazioni cellulari che possono evolvere
malignamente a seguito degli effetti indotti che sono del tutto
sovrapponibili a quelli del tabacco (se i due vengono consumati insieme gli
effetti di tossicità si amplificano a vicenda), a causa delle alte
concentrazioni di idrocarburi policiclici cancerogeni.

A questi seguono poi rilassamento, sonno e aumento della fame (per


stimolazione del sistema endocannabinoide).

L’uso cronico porta deficit cognitivi gravissimi e altera la fisiologia


dell’asse ipotalamo-ipofisiario (il sistema che collega il sistema nervoso al
sistema endocrino o, per meglio dire, permette al primo di svolgere azioni
di regolazione sul secondo). Inoltre, l’uso cronico si è rivelato teratogeno
causando un’aneuploidia delle cellule germinali; è in grado di ridurre
l’attività del sistema immunitario, la fertilità maschile e la libido oltre a
ridurre significativamente i livelli dell’ormone LH.

Se assunta in alta dose, la molecola, può dare intossicazione i cui sintomi


predittivi sono l’euforia e l’aumento delle capacità sociali quasi
immediatamente seguite da sedazione, deficit mnestici (della memoria a
breve termine), alterazioni della percezione dello spazio-tempo, difficoltà di
concentrazione e di esecuzione di compiti manuali siano essi complessi o
anche semplici.

Diversi studi (Denning et al., 1991; Fleischman et al., 1979) indicano che i
cannabinoidi possono, come detto poco fa, sortire effetti
immunosoppressivi anche se la correlazione tra la sostanza e una ridotta
resistenza dell’organismo a batteri, virus o tumori non è sicura ma recenti
studi hanno, tuttavia, dimostrato che l’uso di cannabinoidi aumenta nei
pazienti HIV+ il rischio di progressione della malattia con conseguente
aumento della mortalità.
Sebbene non esistano evidenze che dimostrino che l’uso di marijuana possa
indurre disordini di tipo psicotico, è tuttavia accertato che la sostanza può
slatentizzare episodi psicotici acuti, depressione e mania.

La marijuana è pericolosa, e fin qui ci eravamo arrivati, ma soprattutto per


gli adolescenti poiché rischia di portare alla cosiddetta “sindrome
amotivazionale”. Questa sindrome è connotata da distraibilità, apatia,
riduzione delle attività finalizzate, incapacità di gestire nuovi problemi,
compromissione del giudizio e delle abilità comunicative, mancanza di
ambizione e di progettualità a lungo termine. Ciò può avere inoltre chiari
riflessi sul rendimento scolastico dei giovani, per il quale si osserva un
peggioramento significativo mentre la progettualità viene focalizzata solo
sulla ricerca e sul consumo della sostanza.

I bambini di donne fumatrici di cannabis mostrano, già a 4 anni, disturbi


cognitivi e problemi di comprensione del linguaggio.

LE CLUB DRUG E SIMILI

Molte club drug, come ad esempio la mescalina, (principio attivo del


peyote, un cactus bianco diffuso nelle steppe del Messico settentrionale)
sono conosciute fin dalla notte dei tempi e vengono da sempre utilizzate per
le loro caratteristiche chimiche che assomigliano a quattro
neurotrasmettitori fondamentali: dopamina, serotonina, noradrenalina e
acetilcolina.

Le club drug[1] possono essere categorizzate in:


• anticolinergiche,
• catecolamino-simili,
• serotonino-simili,
• allucinogene,
• psichedeliche con effetti anestetici.
Nel 2002 il NIDA ha coniato questa nuova classificazione, quella delle club
drug, per indicare tutte quelle sostanze che grazie alla loro facile reperibilità
e al loro basso costo sono diventate sempre più frequenti anche per colpa di
una forte disinformazione che le fa credere a bassa tossicità.

Inizialmente venivano utilizzate nei rave party, per favorire gli stati di
estasi e di trance durante questi eventi, da cui il nome “club drug” (droghe
da "festa"). La parola rave deriva dal verbo inglese to rave, che significa
“entusiasmarsi” ma anche “farneticare”, “recriminare”. Queste due
caratteristiche distinguono la musica rave e i rave party (svolti sempre
all’aperto) dal resto del genere elettronico e dalle serate in discoteca, in
quanto il rave nasce dallo spirito di protesta e contestazione propri degli
anni ottanta. Rave party (o, più semplicemente, rave) è, per cui, il termine
utilizzato alla fine degli anni ottanta per descrivere le prime feste illegali
con music elettronica (acid house, techno, jungle, drum & bass),
caratterizzate dal ritmo incalzante di musica dance e giochi di luce. Negli
ultimi anni il termine è usato per indicare tutte le feste in cui non vengono
richieste autorizzazioni e assolti gli obblighi quali pagamento diritti
d’autore, rispetto di normative igienico-sanitarie nella somministrazione di
cibo e bevande ecc.

Secondo la classificazione NIDA, tra le club drug rientrano l’ecstasy, il


GHB, il rohypnol, la ketamina, il flunitrazepam, le amfetamine, le
metamfetamine e le sostanze ad esse correlate, gli allucinogeni e le sostanze
psichedeliche.

Amfetamine
La prima anfetamina venne sintetizzata nel 1887 e commercializzata negli
anni ‘20. Essa doveva costituire un sostituto sintetico dell’efedrina, un
principio farmacologico naturale della pianta Ma Huang, l’Efedra sinica, un
arbusto usato da millenni in Cina come stimolante e per curare varie
affezioni, in particolare l’asma.

Nel 1932, col nome di benzedrina, la prima amfetamina, iniziò ad essere


venduta senza prescrizione in confezioni con inalatore. Essa conobbe un
immediato successo commerciale, non solo per la loro efficacia nel
trattamento delle affezioni asmatiche, ma soprattutto per le proprietà
stimolanti ed euforizzanti. Per queste qualità farmacologiche, nel secondo
conflitto mondiale le amfetamine vennero massicciamente distribuite ai
soldati di tutti gli stati in guerra per aumentarne l’efficienza e sostenerne il
morale.

Nel dopoguerra le amfetamine erano ormai un farmaco di successo. Esse


venivano prescritte come antidepressivi, per la cura degli “esaurimenti
nervosi”, per combattere la stanchezza. La potente azione anoressizzante,
inoltre, veniva utilizzata per la produzione di farmaci per le cure
dimagranti. Verso la seconda metà degli Cinquanta, ciò portò a una grave
epidemia d’abuso ed induceva i governi dei paesi occidentali a
regolamentare la produzione e il commercio di farmaci a base di
amfetamine; nel 1959 la Federal Drug Administration vietò l’uso degli
inalanti contenenti benzedrina e, ad oggi, sono poche le amfetamine che
possono essere assunte. Rigorosamente dietro prescrizione medica vengono
impiegate nel trattamento dell’obesità, della narcolessia, dei disordini da
deficit di attenzione e iperattività.

Tecnicamente il termine “amfetamina” si riferisca a una famiglia specifica


di molecole (le fenil-iso-propilamine) ma è solito intendere, con lo stesso
termine, anche la metamfetamina, la metilenediossiamfetamina (MDA), e la
3,4- metilenediossiamfetamina (MDMA, nota anche come ecstasy).
Le amfetamine possono essere assunte per via orale, nasale o endovenosa
poiché vengono assorbite nel tratto gastrointestinale, dalle mucose nasali e
dal parenchima polmonari. Il picco plasmatico viene raggiunto nel giro di
1-2 ore dall’assunzione e l’emivita va dai 30 minuti alle 12 ore; gli effetti
centrali compaiono dopo circa 30-60 minuti e restano attivi per circa 6 ore.
Vengono eliminate soprattutto per via renale e vengono eliminate tanto più
facilmente tanto quanto più acide sono le urine e possono rinvenute nelle
urine fino a 48 ore dopo l’assunzione.

L’azione delle amfetamine è da attribuire alla loro capacità di indurre il


rilascio di catecolamine, soprattutto di dopamina, che porta ad una
sovrastimolazione di tutto il sistema dopaminergico e in particolare di
quello mesolimbico. La tolleranza si raggiunge rapidamente.

Secondo Brown e Yamamoto (2003), le amfetamine inducono la


formazione radicali liberi che portano un danno mitocondriale e la morte
cellulare dei neuroni monoamiergici. Sebbene il meccanismo non sia ancora
completamente chiaro, le amfetamine sembrerebbe liberare le monoamine
neuronali con un meccanismo alquanto complesso:
• estrusione delle catecolamine per mezzo dell’inibizione dei
trasportatori della serotonina e della dopamina (NET e DAT);
• inibizione dei trasportatori delle monoamine;
• blocco delle monoaminossidasi (detti anche MAO, ovvero gli
enzimi che distruggono le monoamine).

Gli effetti sono correlati, come nella maggior parte delle sostanze, alle dosi.
Già a basse dosi causano euforia, anoressia e una serie di effetti
simpaticomimetici, aumentano la gittata cardiaca, innalzano la pressione
arteriosa che può portare a gravi emorragie cerebrali, inducono tachicardia e
causano aritmie. Per questo aumento le prestazioni fisiche, quelle mentali e
fanno ignorare fame e fatica.
All’aumentare delle dosi i sintomi mutano in ansia, depressione, nausea,
vomito, cefalea, tremori fini e a grandi scosse, sudorazione, aggressività,
confusione, stanchezza.
In alte dosi generano ipertermia che può portare una grave rabdomiolisi.
In dosi massicce provocano attacchi di panico, allucinazioni, deliri, febbre
anche oltre i 40°, convulsioni, aritmie importanti.
Se assunte per via endovenosa possono portare vasospasmo, flogosi,
infezioni e necrosi degli arti inferiori.

L’abuso provoca intensa euforia che dopo 24-48 ore è seguito da sonno
profondo interrotto da crisi acute di fame. Nell’uso continuo possono
verificarsi psicosi con ideazioni paranoidi e stereotipie.

DOM
DOM (acronimo di dimetossimetamfetamina) è un derivato
dell’amfetamina e ha effetti simili alla mescalina ma, rispetto a
quest’ultima, è circa 100 volte più potente. Produce euforia e allucinazioni
che durano per un periodo di 6-8 ore. Altri effetti associati sono tremori,
convulsioni e prostrazione. Sono frequenti i casi di overdose.

MDA, DMA, MDE, TMA


L’MDA (metilenediossiamfetamina), la DMA (dimetossimetamfetamina),
la MDE o “eve” (metilenediossietilamfetamina) e la TMA
(trimetossiamfetamina) sono derivati sintetici dell’amfetamina.

Insieme all’ecstasy rientrano nella cosiddette designer drugs (o droghe


d’autore). La MDA, come riporta Coore (1996) è anche un metabolita
dell’ecstasy. Gli effetti di queste sostanze sono molto simili e sovrapponibili
a quelli che si ottengono tramite l’assunzione di mescalina e di acido
lisergico.

Ecstasy
La MDMA (3,4-metilene-diossimetanfetamina), più comunemente nota
come Ecstasy (talvolta chiamata anche MD, XTC, E, Adam, o Molly) è una
feniletilamina, e più specificamente una metanfetamina dagli spiccati effetti
eccitanti ed entactogeni, anche se non propriamente psichedelici. Essa
differisce dalla MDA soltanto per la presenza del metile sul gruppo
amminico (che è la differenza tra anfetamina e metanfetamina in generale).
Si tratta di un composto semisintetico ottenuto dal safrolo, uno degli olii
essenziali presenti nel sassofrasso, nella noce moscata, nella vaniglia, nella
radice di acoro, e in diverse altre spezie vegetali. Esistono altri precursori
naturali dell’MDMA, come il piperonale.

Molecola della DOM

La Metilen-Diossi-Meta-Anfetamina, il principio attivo dell’Ecstasy, è stata


sintetizzata per la prima volta nel 1912 dai laboratori Merck, che la
brevettarono pensando di ricavarne un farmaco in un secondo momento, ma
lo scoppio della Grande Guerra portò le case farmaceutiche tedesche a
orientare la produzione esclusivamente per fini bellici. Dopo la sconfitta
della Germania nella prima guerra mondiale, l’MDMA e molte altre
sostanze brevettate vennero consegnate agli Alleati come bottino di guerra.
Il brevetto rimase dimenticato per molti anni, fino al 1950 quando
l’Esercito degli Stati Uniti, in pieno clima di Guerra Fredda, commissionò
lo studio di alcune sostanze psicotrope tra cui l’LSD e appunto l’MDMA,
ma non trovò nessun possibile utilizzo militare, sebbene avesse tentato di
sperimentarlo come siero della verità. Il composto fino all’inizio degli anni
1970 non venne mai prodotto, rimanendo di fatto solo una formula sui libri,
finché non suscitò l’interesse del chimico Alexander Shulgin che,
scoprendone il potenziale empatico, lo consigliò ad alcuni psicoterapeuti.

L’MDMA ha conquistato popolarità soltanto a partire dagli anni ottanta,


principalmente negli Stati Uniti, grazie alla sua capacità di abbassare lo
stato di ansia e la resistenza psichica dei soggetti, nonché per le sue
proprietà sedative (Naranjo, 1973). Fino al momento in cui venne messa al
bando (1º luglio 1985 negli USA, 1988 in Italia), l’MDMA è stata
impiegata negli Stati Uniti nelle cosiddette “terapie di coppia”, come
strumento enfatizzante con il quale affrontare, in apparenza più facilmente, i
“nodi” dei rapporti di coppia, con la mediazione e supervisione di un
analista. Nonostante non ci fossero prove di danni cerebrali, l’uso medico è
cessato quando la sostanza è stata resa illegale. L’utilizzo del MDMA, se da
un canto consente di essere estremamente più approfonditi nell´analizzare
se stessi, dall´altro conduce ad una forma di interiorità ripetibile e
meccanica. Parallelamente ha conquistato una grande popolarità come club
drug, a causa dei suoi effetti stimolanti ed empatogeni.
Molecola dell'ecstasy (MDMA)

Negli Stati Uniti e in Europa il consumo di MDMA è aumentato in maniera


considerevole, diffusa nelle feste rave così come nelle discoteche. In queste
situazioni la MDMA è sovente assunta assieme ad altre fenetilamine
psicoattive, a stimolanti, a sedativi come l’alcol, o psichedelici come l’LSD.

La tossicità di simili miscugli è pressoché ignota. L’MDMA può essere


venduta in pastiglie, la cui composizione è spesso incognita e nelle quali
manca a volte il principio attivo, sostituito con composti analoghi o inerti,
raramente in polvere da inalare o, dopo averla raccolta in pezzettino di carta
(spesso una cartina da sigarette), da deglutire.
L’MDMA viene assunta comunemente in cristalli o pastiglie, ma viene
anche somministrata sciolta in acqua o in bevande alcoliche (in tal caso, in
alcune zone, prende il nome gergale di “beverone” o “morbidone”). Alla
bevanda nella quale è disciolta solitamente conferisce un sapore amaro,
senza però cambiarne il colore e se agitata produce una sorta di schiuma.

La MDMA aumenta serotonina e dopamina e ne blocca il riassorbimento


inibendone i trasportatori. Gli effetti non si limitano all’iperattività
psicomotoria ma sono anche neurovegetativi quali: aumento della pressione
arteriosa, aumento della frequenza cardiaca, midriasi, incremento dei livello
di prolattina e cortisolo plasmatici. Viene metabolizzata principalmente a
livello epatico dal citocromo CYP2D6, ha un’emivita di circa 8 ore e
provoca gravi danni a livello delle terminazioni serotoninergiche, danni che
sono irreversibili.

Tra tutti gli organi, quello più bersagliato è il fegato poiché la molecola
dell’MDMA è altamente epatotossica. Non sono rari i casi di insufficienza
epatica acuta indotta dall’MDMA. Il meccanismo con cui la molecola
distrugge il fegato non è ancora noto ma provoca vacuazione lipidica,
fibrosi e necrosi cellulare. Tuttavia numerosi studi dimostrano che la
tossicità dell’ecstasy è strettamente correlata alla temperatura ambientale.
Già a temperature tra i 26° e i 30° l’MDMA è in grado di causare gravi
danni alle terminazioni serotoninergiche della corteccia e dello striato. Per
questo è decisamente più pericoloso assumerla in luoghi caldi, come, ad
esempio, una discoteca.

Gli effetti acuti si hanno nelle prime 24 ore dall’assunzione e sono aumento
dell’intimità personale, trisma, bruxismo, secchezza delle fauci, tachicardia
e incremento della vigilanza. Gli effetti sub-acuti che si manifestano oltre le
24 ore sono meno frequenti e includono: intorpidimento degli arti, dolori
muscolari e affaticamento. Gli effetti ritardati che si manifestano dopo
settimane o mesi includono: aumento del senso di intimità interpersonale,
depressione, trisma e difficoltà di concentrazione.

Nell’intossicazione acuta da ecstasy si hanno spesso diversi di questi


sintomi: ipertermia, tachicardia, ipertensione o ipotensione, rabdomiolisi,
coagulazione intravasale disseminata, convulsioni, insufficienza renale
acuta o insufficienza renale; il paziente di solito muore per edema
polmonare acuto o per MODS (Sindrome da disfunzione multiorgano) o per
suicidio (gli attacchi d’ansia anche di tipo dissociativo e gli attacchi
psicotici possono favorire agìti suicidari).

Se assunta in modo cronico, l’MDMA porta gravi effetti collaterali quali


anoressia, xerostomia, tachicardia, trisma, insonnia, bruxismo,
poichilotermia, diaforesi, pollacchiuria e mancanza di concentrazione, gravi
deficit cognitivi (a volte), confusione (in alcuni casi), (stanchezza cronica
(spesso ma non sempre), alterazione del sonno, alterazione della percezione
delle immagini e dei colori; inoltre alcuni sintomi quali tachicardia,
ipertensione, iperiflessia e tremori diventano permanenti.

Le metamfetamine
Le metamfetamine sono potenti stimolanti in forma di polvere o piccoli
cristalli facilmente solubili in acqua o alcol che vengono prodotti in
laboratorio a partire dall’amfetamina e vengono indicati con una serie di
nomi di uso comuni quali speed, meth, chalk, ice, crystal, crank e glass (le
ultime 4 identificano le forme che vengono fumate).

Inizialmente utilizzate come decongestionanti nasali e broncodilatatori,


oggi vengono impiegate solo per trattare l’obesità e i disturbi da deficit
dell’attenzione.

Gli effetti durano circa 6-8 ore e come le amfetamine, le metamfetamine


possono essere:
• fumate (provocano entro 3-5 minuti un intenso flash della
durata di qualche minuto seguito da un senso di benessere);

Molecola della D-Metamfetamina Molecola della L-metamfetamina


• inalate (provocano euforia entro 15-20 minuti);
• ingerite (provocano euforia entro 15-20 minuti);
• iniettate endovena (provocano entro 3-5 minuti un intenso
flash della durata di qualche minuto seguito da un senso di
benessere).
L’assunzione con i primi tre metodi è spesso seguita da tachicardia,
ipertensione, ipertermia e stroke. Nel quarto caso, l’uso endovenoso si
possono avere ascessi ed endocarditi, frequentemente si hanno edema
polmonare e collasso cardiocircolatorio. Col primo metodo (fumate), danno
gravi ulcerazioni corneali.

L’esposizione cronica porta rapidamente alla perdita di oltre il 50% della


popolazione neuronale dopaminergica e serotoninergica.

Cook et al (1993) e Yu et al (2003) dividono gli effetti delle metamfetamine


tra breve e lungo termine. I primi includono la diminuzione del senso di
fatica, aumento dell’attività motoria, calo dell’appetito, euforia, ipertermia,
tachipnea e rush. I secondo comprendono disturbi dell’umore, episodi
paranoidei, perdita di peso e, nel caso di soggetti HIV+, ulteriore riduzione
della funzionalità immunitaria.

La sindrome d’astinenza è prettamente psichica e include depressione,


ansia, paranoia e un forte craving; nell’overdose compaiono spesso
convulsioni.

Ad oggi non esistono trattamenti farmacologici per contrastare lo sviluppo


di dipendenza verso queste sostanze.

Il metilfenidato
Commercializzato col nome di Ritalin, si usa nel trattamento dei disturbi da
deficit di attenzione/iperattività e della narcolessia.

Gli effetti più comuni sono rush, orticaria, febbre, artralgie, alopecia,
dermatite esfoliativa, eritema multiforme, porpora trombocitopenica,
trombocitopenia, leucopenia, alterata funzionalità epatica.

Il khat
Il khat (noto anche come qat, quat, tschat, e miraa) si ottiene dalla Catha
edulis, una pianta dell’Africa dell’est. Grazie alle sue proprietà euforiche e
simpaticomimetiche, note fin dal 1.000 a.C., le sue foglie (che possono
essere sia masticate sia usate per preparare infusi) sono da sempre altamente
apprezzate dalle popolazioni dello Yemen e dell’Etiopia.

Molecola del metilfenidato

Essendo facilmente deperibile e non conservabile deve essere utilizzato


entro un giorno, al massimo due se il tempo è benevolo, dalla raccolta. I
suoi effetti sono mediati dall’attivazione del sistema monominergico e
inibisce le MAO.

Gli effetti più tipici sono midriasi, ipertensione, tachicardia, ipertermia,


anoressia, ipertimismo, aumento dello stato di vigilanza. L’uso cronico può
portare depressione, malnutrizione, insonnia, labilità emotiva, gastrite,
impotenza, polluzioni, in certi casi psicosi. Poiché viene soprattutto
masticato provoca lesioni infiammatorie e traumatiche del cavo orale.

La cessazione repentina di utilizzo di khat negli utilizzatori cronici induce


letargia, depressione, tremori e incubi.

LE DROGHE PSICHEDELICHE

La scopolamina e atropina
Scopolamina e atropina derivano da alcune piante note come Atropa
belladonna, Datura stramonium e Mandragora officinarum.

La belladonna è una pianta a fiore (Angiosperme dicotiledoni)


appartenente, come il pomodoro e la patata, all’importante famiglia delle
Solanaceae.

Il nome deriva dai suoi letali effetti e dall’impiego cosmetico. Atropo era
infatti il nome (in greco: Ἄ-τροπος, cioè in nessun modo, l’immutabile,
l’inevitabile) di una delle tre Moire che, nella mitologia greca, taglia il filo
della vita, ciò a ricordare che l’ingestione delle bacche di questa pianta
causa la morte.
Molecola del khat

Pianta della Catha Edulis

Pianta della Atropa Belladonna

L’epiteto specifico belladonna fa riferimento ad una pratica utilizzata che


risale al Rinascimento: le dame usavano questa pianta per dare risalto e
lucentezza agli occhi mediante le capacità dilatative della pupilla, un effetto
detto midriasi e provocato dall’atropina contenuta nella pianta, che agisce
direttamente sul sistema nervoso parasimpatico.

Lo stramonio comune (Datura stramonium L.) è una pianta a fiore


appartenente alla famiglia delle Solanacee (Angiosperme Dicotiledoni).
Come altre specie del genere Datura (Datura inoxia, Datura metel etc.) è
una pianta altamente velenosa a causa dell’elevata concentrazione di potenti
alcaloidi, presenti in tutti i distretti della pianta e principalmente nei semi.
Pianta erbacea a ciclo annuale, presenta una radice a fittone, fusiforme, e un
fusto eretto, con biforcazioni ramose e altezza che può raggiungere anche i
due metri.

Le foglie sono semplici e alterne, di grandi dimensioni, picciolate, con


lamina ovale, base asimmetrica e margine dentato-frastagliato.
I fiori sono ermafroditi, lunghi fino a 10 cm e solitari, presenti nelle zone
terminali e nelle ascelle dei vari rami. Il calice è di forma allungata e
composto da 5 sepali a lobi saldati; da questa si sviluppa una corolla bianca,
a volte con sfumature violacee, di forma tubulare, a 5 petali saldati,
acuminati e pieghettati.

L’androceo è composto da 5 stami, il gineceo da un pistillo con ovario


supero, bi-carpellare e biloculare, munito di stilo unico e stimma bifido. La
fioritura avviene tra luglio ed ottobre; i fiori rimangono chiusi durante il
giorno per poi aprirsi completamente la notte, emanando un intenso e
penetrante odore che attira le farfalle notturne; l’impollinazione è infatti
entomofila (tramite insetti pronubi).

Il frutto è una capsula globosa, divisa in 4 logge, della grandezza di una


noce ed irta di spine (da qui il nome di noce spinosa); al suo interno si
trovano numerosi semi neri e reniformi, lunghi circa 3 mm.

Pianta della Datura Stramonium


La mandragora è una pianta della famiglia delle solanacee che fin dalla
notte dei tempi si credeva avesse poteri magici ed era, pertanto, al centro di
numerose pratiche superstiziose ed esoteriche.

E ‘una pianta perenne che cresce da 30cm fino a 98 cm dal terreno. È in


foglia dalla fine dell’inverno fino a piena estate, e fiorisce da fine inverno
fino ai primi di primavera, i semi maturano a fine estate. I fiori sono
ermafroditi (hanno organi sia maschili che femminili) e sono impollinati
dagli insetti. L’impianto è, quindi, auto-fertile. Le radici ricordano la forma
di una carota e possono arrivare fino a 1,2 m; spesso si dividono in due e
sono vagamente suggestive della parte inferiore del corpo umano. Proprio
questa forma caratteristica delle radici aveva dato origine alla credenza che
fosse una pianta con un’anima umana, da qui i suoi poteri. Le foglie
crescono a rosetta, e sono ovato-oblunghe, rugose, croccanti, vanno dai 5 ai
40 cm, leggermente simili a quelle della pianta di tabacco. Tutte le parti
della pianta sono velenose. La pianta cresce in modo nativo in Europa
meridionale e centrale e nelle terre intorno al Mar Mediterraneo, oltre che in
Corsica. La pianta richiede terreni ben drenati, acidi o neutri; predilige la
luce.

Scopolamina e atropina sono composti formati dall’acido tropico che si lega


a basi organiche quali la tropina o la scopina. Sono sostanze in grado di
provocare secchezza delle fauci, ridurre la sudorazione, aumentare la
temperatura corporea, dilatare le pupille, aumentare la frequenza cardiaca e
offuscare la vista grazie alla loro azione sul sistema nervoso periferico.

Pianta della Mandragora Officinarum


Molecola dell'atropina
La scopolamina, al contrario dell’atropina, passa facilmente la barriera
ematoencefalica e possiede, quindi, spiccate capacità psicotrope e può
indurre euforia, amnesia semplice o grave, delirio e confusione.

La muscarina, l’acido ibotenico e il muscimolo


L’Amanita muscaria (comunemente chiamata ovolo malefico o Fungo di
Biancaneve) è uno dei funghi velenosi più appariscenti del bosco.
Testimonianze storiche, quali manufatti e pitture murali, testimoniano che le
proprietà psicotrope dell’A. muscaria erano conosciute sin dai tempi antichi
e che tale fungo venisse utilizzato per riti religiosi in tutto il mondo.
Rappresentazioni di Amanite, con buona probabilità A. muscaria, sono state
ritrovate in pitture rupestri nel deserto del Sahara risalenti al Paleolitico
(9000-7000 a.C.)

In alcuni paesi europei è usato come stimolante, per l’effetto neurotropico;


in altri paesi, come ad esempio il Giappone, nella prefettura di Nagano,
viene consumato dopo prolungata bollitura, oppure dopo salamoia e
prolungati lavaggi. Presso alcuni popoli del Nordeuropa e del Sud-America,
viene usato come psichedelico.
Nel 1784 il professore svedese Samuel Ödmann sostenne che la furia
combattiva di berserker e Úlfheðnar era probabilmente indotta
dall’assunzione di piccole quantità di A. muscaria, ma le fonti storiche
contemporanee non ne fanno alcuna menzione, motivo per cui tale
affermazione può considerarsi una mera leggenda metropolitana. In Siberia
solo in tempi recenti il suo uso è stato sostituito da quello della vodka.
Schultes e Hofmann riferiscono del rito di bere l’urina: si usava bere l’urina
di chi aveva usato il fungo, anche per cinque o sei passaggi; questo perché
ogni passaggio, pur conservandone i principi psichedelici, eliminava parte
delle sostanze tossiche in esso contenute. Nell’antichità l’amanita era anche
stata oggetto di un florido commercio. Nelle zone in cui scarseggiava
raggiungeva prezzi esorbitanti. Si racconta che i Coriachi non avrebbero
esitato a scambiare una renna per un solo esemplare di Amanita muscaria;
ciò spiegherebbe lo stretto legame tra la civiltà della renna e l’uso degli
allucinogeni. All’inizio del Novecento Atkinson riferì di un procedimento
di macerazione dell’A. muscaria per realizzare un preparato per ammazzare
le mosche, motivo per cui il fungo si sarebbe chiamato così. Evidenze
sperimentali hanno però dimostrato che non tutte le mosche che bevono tale
preparato muoiono, ma una percentuale presenta disturbi del
comportamento. È stato tuttavia appurato che l’assunzione di alcune specie
di Amanita inibisce la crescita delle larve di Drosophila melanogaster.

Fungo dell'Amanita Muscaria

I principi psicoattivi del fungo includono la muscarina, l’acido ibotenico e il


muscimolo e inducono prevalentemente uno stato eccitatorio.
L’ingestione anche di un solo fungo provoca intossicazione in un tempo che
varia dai 15 ai 60 minuti. I sintomi dell’intossicazione sono confusione,
disorientamento, alterazione delle percezioni, sedazione, sonno.

Secondo Bekar et al (1999) la muscarina è un antagonista dei recettori


dell’acetilcolina, il muscimolo è un GABA antagonista.

La mescalina
La mescalina (3,4,5-trimetossi-β-fenetilammina) è un alcaloide psichedelico
contenuto principalmente nel peyote (Lophophora williamsii), pianta
succulenta appartenente alla famiglia delle cactacee, originaria del deserto
del Messico; usata nei riti sciamanici dai nativi americani, ha conosciuto
una certa diffusione negli anni '60, ma è stata poi soppiantata dall'LSD, più
reperibile e dagli effetti simili. La mescalina è una delle sei feniletilamine
componenti la "mezza dozzina magica" di Alexander Shulgin.

La mescalina, il principale agente psichedelico della pianta, viene isolata


nel 1897 dal chimico tedesco Arthur Heffter e sintetizzata nel 1919 da Ernst
Spath.

Dopo una parentesi di sperimentazione negli anni quaranta dai governi


tedeschi e americani ottiene la "notorietà" negli anni cinquanta, dapprima
con gli studi del dottor Humphry Osmond in un ospedale di Saskatchewan,
poi con lo storico "trip" con 400 mg di mescalina di Aldous Huxley sotto la
supervisione dello stesso Osmond, sulle colline fuori Los Angeles. Questa
esperienza lo spinse a scrivere Le porte della percezione (che sarà poi la
fonte di ispirazione per il nome del gruppo The Doors) e a dare il suo
contributo nello sviluppo della cultura psichedelica e hippie degli anni
sessanta e settanta.

Assieme a LSD, psilocibina, psilocina e altri psichedelici avrà infatti ampia


diffusione in tali anni, e sarà d'ispirazione a numerosi gruppi musicali e
politico/culturali.

Molecola della mescalina


Il meccanismo di azione è simile a quello dell'aciso lisergico (LSD)

La mescalina diverrà illegale negli Stati Uniti nel 1970, atto che sarà
seguito a ruota dalle altre nazioni. Tuttavia, all'inizio degli anni novanta, la
Native American Church verrà autorizzata, secondo le leggi della libertà
religiosa, a praticare l'utilizzo rituale del peyote, ritenuto un sacramento.
Oggi la chiesa conta circa 250.000 fedeli.

La mescalina, qualora ingerita, inizia a manifestare effetti 45-120 minuti


dopo l'assunzione, a seconda del contenuto dello stomaco. Ma già dopo 30-
60 minuti produce nausea, vomito e, in alcuni casi, diarrea. Seguono poi
effetti simpaticomimetici quali midriasi, tachicardia, ipertensione, diaforesi
e tremori, in alcuni casi nistagmo, atassia e iperiflessia.

In seguito, dopo la scomparsa dei sintomi gastrointestinali, inizia la fase


allucinatoria (che in genere è solo visiva e solo in rarissimi casi anche
uditiva) ma le capacità sensorie non vengono degradate e possono, quindi,
comparire ansia e labilità emotiva.

Dosi maggiori di 20mg/kg possono causare ipotensione, bradicardia e


depressione respiratoria che in genere scompaiono dopo 12 ore.

Come molti altri allucinogeni, la mescalina porta alterazioni della


percezione visiva e sensoriale. Tuttavia, rispetto ad altre tipologie di
droghe, gli effetti psicologici degli psichedelici sono più poliedrici e meno
esprimibili con sicurezza: nella stessa esperienza possono presentarsi
perdite della consapevolezza del tempo e dello spazio, difficoltà
nell'esprimersi, perdita anche per brevi tratti definitiva di memoria a breve o
lungo termine (raro), visioni, sinestesie, euforia, senso di pace e benessere,
percezione di maggiore profondità di pensiero, sensazioni definite
"ultraterrene", empatia verso persone, animali, piante od oggetti circostanti,
come anche, in caso di eventi reali negativi, e loro conseguente
amplificazione, ansia, panico e stati passeggeri di paranoia o delirio. Un
soggetto colpito da effetti di quest'ultimo genere andrebbe confortato con
tranquillità, calmato e lasciato in pace in un luogo scuro, sicuro e aerato
fino alla fine degli effetti. Non è raro l'utilizzo di benzodiazepine per
prevenire o placare simili stati. In generale, gli effetti della mescalina sono
considerati quasi identici a quelli dell'LSD a parte la durata maggiore (12
ore invece di 8)

Da notare, utilizzando alti dosaggi di mescalina come di altre sostanze


psichedeliche, il presentarsi del fenomeno di "dissoluzione dell'ego"
(ovvero la perdita della percezione della separazione tra l'Io e l'ambiente
circostante e la sensazione di "essere ovunque"): quest'esperienza può
essere sia estremamente beatificante che traumatica, sempre a seconda dello
stato d'animo, della personalità e delle aspettative dell'utilizzatore.

La miristicina e l'elimicina
La miristicina è una sostanza presente negli olii essenziali di alcuni
vegetali.

Le sue caratteristiche neurotossiche la rendono pertanto una sostanza


antinutrizionale. È presente negli olii essenziali di alcune piante edibili,
come il prezzemolo, noce moscata, aneto e carote; comunque la
concentrazione non è tale da sortire effetti tossici per le normali dosi usate
in cucina.

Un alto contenuto relativo è stato rinvenuto nei semi della rarissima


Portenschlagiella ramosissima e nel nutmeg (noce moscata).

Il nutmeg e il mace sono spezie che si ottengono, rispettivamente, dai semi


e dalla conchiglia che protegge i semi della Myristica Fragrans, un albero
originario delle isole Molucche (Indonesia) ed oggi coltivato nelle zone
intertropicali. Parti del suo frutto vengono commercializzate come spezie: il
seme decorticato è la noce moscata, mentre la parte esterna che lo ricopre
fornisce il macis.

Molecola della miristicina

Noce e conchiglia del nutmeg

Agli inizi del Settecento, per le sue caratteristiche di antisettico fu


considerato come rimedio per oltre cento malattie. Attenua nausea, vomito
e diarrea, mentre il burro è efficace per uso esterno contro i dolori reumatici
e nevralgici. Migliora la digestione, incrementa i movimenti peristaltici
intestinali, favorisce il flusso biliare.

I principali costituenti attivi sono: la miristicina, l'elemicina e il safrolo.


Sebbene in ambito culinario sia ragionevole l'assunzione solo in piccoli
quantitativi, in passato fu usato in alte dosi, in tali ultime condizioni fu
utilizzato come abortivo: se è consumato in alte dosi, inibisce la produzione
di prostaglandine che possono influenzare lo sviluppo del feto. Veniva,
infatti, utilizzato per produrre "l'aceto dei sette ladri" che veniva usato sia
come condimento sia come abortivo. Il blocco nella sintesi di
prostaglandine con applicazioni ad uso topico nel cuoio capelluto, svolge un
ruolo anticalvizie. In passato veniva usato come cura per la flatulenza, i
reumatismi, il colera e delle malattie mentali

Ad elevati dosaggi ha un effetto simil-stupefacente, che provoca nausea,


vomito, dolore addominale, agitazione e tremori ma viene spesso utilizzato
per le sue proprietà allucinatorie i cui effetti collaterali sono deliri con flush
della cute, tachicardia, ipertensione, secchezza delle mucose.

L' LSD
La dietilamide dell'acido lisergico (nota più comunemente come LSD) è il
più potente allucinogeno conosciuto ed ha capacità allucinatoria quasi 3.000
volte più potenti della mescalina.

Pianta della Portenschlagiella ramosissima

La molecola dell'LSD

Sintetizzato per la prima volta nel 1938 nei Laboratori Sandoz di Basilea da
Albert Hofmann, è basato sull'acido lisergico, che si trova nell'ergot, un
fungo parassita della segale. Le caratteristiche escrescenze che si formano
in seguito alla crescita di questo particolare fungo hanno portato a definire
le piante di segale, che da esso vengono colpite, segale cornuta.
L'ingestione dell'ergot, della segale cornuta o di prodotti che da essa
derivano causa la cosiddetta "febbre del pellegrino", o ergotismo, i cui
sintomi sono deliri allucinatori e forti dolori alle gambe. Introdotto dalla
Sandoz (ora Novartis) come farmaco psichiatrico venne successivamente
bandito a causa della diffusione del suo uso extra-clinico.

Hofmann stava effettuando ricerche sugli alcaloidi presenti nella scilla


marina e nella segale cornuta nel tentativo di ricavare sostanze utilizzabili
come farmaci. Le sue proprietà psichedeliche non vennero però
riconosciute fino al 1943, quando a Hofmann cadde una goccia della
sostanza sulla mano che, una volta traspirata, gli provocò forti giramenti di
testa e allucinazioni. Questa esperienza lo condusse a testare personalmente
gli effetti psicoattivi dell'LSD (da lui chiamato LSD-25 perché proveniente
dal campione numero 25).

Fino al 1966 la Sandoz forniva LSD gratuitamente agli scienziati interessati


a sperimentarlo. Inizialmente trovò largo uso tra gli psichiatri e gli psicologi
per la cura della schizofrenia e come ausilio per le sessioni di psicoterapia.
Molti test clinici vennero condotti con successo sul potenziale uso dell'LSD
come componente di una psicoterapia psichedelica per curare autismo,
depressione e alcolismo. Nel frattempo i servizi segreti di vari paesi
cominciarono a sperimentarne le potenzialità come sostanza per gli
interrogatori, il controllo mentale e l'ingegneria sociale: la CIA, per
esempio, ha condotto estese ricerche in questo senso, concludendo però che
non vi erano utilizzi militari plausibili per la sostanza.

Durante gli anni '50 l'LSD cominciò a diventare popolare in alcuni circoli a
scopo ricreativo. Alcuni studiosi (in particolare Timothy Leary e Richard
Alpert) si convinsero che l'LSD poteva avere altre applicazioni oltre a
quelle cliniche ed essere un mezzo di crescita ed esplorazione spirituale.
Tuttavia, accusati di non essere guidati da uno spirito propriamente
scientifico, vennero allontanati dalla comunità accademica. Leary e Alpert
furono strumentali nel diffondere l'uso e la conoscenza dell'LSD tra il
grande pubblico inserendosi nei movimenti di cultura alternativa degli anni
sessanta. L'LSD divenne rapidamente un simbolo della cultura hippie. Nel
1967 l'uso e la produzione di LSD per scopi sia personali che scientifici
venne bandito negli Stati Uniti e successivamente nella maggior parte dei
paesi del mondo. La produzione e la commercializzazione di questa
sostanza continuò comunque clandestinamente alimentando il mercato nero
delle sostanze stupefacenti.
L'ergot

L'LSD è un derivato dell'ergina. È un derivato dietilammidico semisintetico,


ottenuto casualmente nell'ambito delle numerose modifiche strutturali
effettuate sull'acido lisergico, a sua volta ottenuto dal sale tartrato
dell'ergotamina. L'ergotamina è un alcaloide dell'ergot ed è una sostanza
derivata dal fungo "Claviceps purpurea", parassita della segale e del
frumento. Una piccola quantità di ergotamina è sufficiente a produrre LSD
in grandi quantità: in condizioni ideali, infatti, da 25 chilogrammi di tartrato
di ergotamina si possono ricavare 5-6 chilogrammi di LSD puro, che può
essere trasformato in circa 100 milioni di dosi (una dose equivale a circa 50
microgrammi), sufficiente a coprire la domanda stimata di LSD di tutti gli
Stati Uniti per un anno.

La sintesi dell'LSD è un processo lungo e pericoloso che richiede un


laboratorio relativamente sofisticato e costoso. Ci vogliono da 2 a 3 giorni
per produrre 30-100 grammi di composto puro, ed alcune reazioni
necessarie alla sintesi possono causare esplosioni se non sono condotte con
attenzione da un chimico esperto. Per questo motivo normalmente l'LSD
non è prodotto in grandi quantità, ma poco per volta; questa procedura ha
anche il vantaggio di minimizzare la perdita dei precursori nel caso di un
errore durante la sintesi.

Il meccanismo d'azione dell'LSD è correlato, principalmente, alla sua


azione da agonista parziale sui recettori serotoninergici 5-HT2A, tuttavia
come la stimolazione di questi recettori possa causare gli effetti psichedelici
non è ancora completamente chiarito. Una causa probabile potrebbe essere
l'eccitazione di alcuni neuroni nella corteccia prefrontale stimolati
dall'aumento dell'attività glutamatergica in quelle zone; altre ipotesi
coinvolgerebbero anche il sistema limbico. A questa stimolazione
corrisponderebbe anche l'isolamento sensoriale.

L'LSD inibisce il rilascio della serotonina, e proprio grazie alla diminuzione


dei livelli di serotonina intrasinaptica, riduce la competizione della
serotonina sui recettori, riservandosi tutto lo spazio di legame recettoriale.
L'LSD è attiva già a bassissimi dosaggi con cui produce una intensa
depersonalizzazione e profonde alterazioni della realtà che possono durare
fino a 24 ore. Gli effetti psicoattivi includono inoltre alterazioni del
pensiero logico, diminuzione della vigilanza, allucinazioni, allucinosi
(visioni - come in un viaggio surreale (trip) - di immagini colorate e/o
distorte). I colori possono essere "uditi" e le voci "viste".

La manifestazione dei sintomi può essere divisa in tre fasi:


• somatica: con predominanza dell'iperattivazione del sistema
simpaticomimetico;
• sensitiva: con allucinazioni e allucinosi (il cosiddetto "trip");
• psichica: con alterazioni importanti del senso di realtà,
depersonalizzazione ed episodi psicotici (il cosiddetto "bad trip").

Le morti collegate all'LSD sono da attribuire ad agìti suicidari, mentre dal


punto di vista della tossicità cellulare è da sottolineare che dopo la sua
assunzione sono state registrate aberrazioni cromosomiche soprattutto a
livello dei linfociti.

Il suo uso può portare reazioni avverse che possono comparire anche dopo
mesi o anni dall'ultima assunzione della sostanza e che possiamo riassumere
in:
• stati cronici ed intermittenti di espidosi psicotici;
• aggravamentodi preesistenti condizioni psichiatriche;
• alterazioni permanenti della personalità;
• disordini della realtà.

La DMT
La dimetiltriptamina (meglio nota come DMT) ha una struttura molecolare
molto simile alla serotonina e un meccanismo d'azione molto simile a
quello dell'LSD.
La DMT è presente in alcune varietà di mimosa, acacia, virola, desmodium,
graminacee della specie phalaris, anadenanthera e molte altre piante.
L'estrazione è possibile con alcuni solventi quali alcool, gasolio, esano
oppure per distillazione. Nel bacino amazzonico alcuni popoli tribali hanno
una tradizione di uso di piante contenenti DMT (utilizzando la linfa degli
alberi virola, parente della noce moscata, o i semi macinati e tostati di
Anadenanthera peregrina, un enorme albero della famiglia delle
Leguminose).

Strutturalmente la DMT è analoga al neurotrasmettitore serotonina,


all'ormone melatonina e ad altre triptamine psicoattive come psilocibina,
psilocina e bufotenina, avendo rispettivamente formula chimica O-fosforil-
4-idrossi-N.N dimetiltriptamina, 4-hydroxy-N,N-dimetiltriptamina e 5-
idrossi-N, N-dimetiltriptamina ed ha un effetto quasi del tutto simile a
queste, anche se differente per intensità.

Molecola della DMT

Secondo Rick Strassman, medico specializzato in psichiatria che condusse


numerose ricerche sulla DMT, la ghiandola pineale situata nel encefalo è in
grado di produrre più o meno blande quantità di DMT, specialmente intorno
alle ore 3, 4 del mattino, durante la fase REM dei sogni.

L'uso di piante contenenti dimetiltriptamina, specialmente fra i popoli


indigeni del Brasile ed alcune tribù del sud America, è una pratica
antichissima, spesso riservata agli sciamani che la utilizzavano nei rituali
per entrare in contatto con gli "spiriti" o in pratiche di medicina. La prima
testimonianza registrata dell'uso di un preparato a base di DMT si ha da un
frate impiegato nella seconda spedizione di Colombo nelle Americhe. Nel
1496, sull'isola di Hispaniola, osservò gli indiani Taino inalare una potente
polvere enteogena chiamata 'kohhobba', "così forte che chi la assumeva
perdeva coscienza".
Dal 1931 era nota come un prodotto di laboratorio dopo che venne
sintetizzata per la prima volta dal chimico canadese Richard Manske. La
sua scoperta come prodotto naturale è da attribuirsi al chimico e
microbiologo brasiliano Oswaldo Gonçalves de Lima (1908-1989) che, nel
1946, la isolò dalla corteccia della radice di Mimosa tenuiflora. Dal 1955 la
DMT è stata trovata in almeno 50 specie di piante appartenenti a 10
famiglie, e in almeno 4 specie di animali, tra cui una gorgonia, e 3 specie di
mammiferi. Nel 1957, oltre un quarto di secolo dopo la sua sintesi iniziale,
il farmacologo Stephen Szara ha stabilito che la DMT causa effetti
enteogeni in soggetti umani quando iniettato per via intramuscolare: "Entro
cinque minuti dall'iniezione di 50-60 mg della sostanza, i soggetti sentono
l'insorgenza dello stato alterato di percezioni. L'effetto di picco si verifica
all'interno di un quarto d'ora. Questa fase è stata caratterizzata da
allucinazioni visive, sia con gli occhi aperti o chiusi. Gli effetti tendono a
diminuire fino a svanire totalmente entro 30 minuti/un'ora."

Oltre agli effetti riportati da Szara la DMT provoca anche ipertensione,


tachicardia, ipertermia, midriasi, allucinazioni ed in incremento di
endorfine.

La psilocibina e la psilocina
Molti funghi, soprattutto della specie delle psilocibe, hanno proprietà
allucinatorie. La psilocibina (4-fosforildimetossitriptamina) e la psilocina
(4-idrossidimetossitriptanina) sono due sostanze che si trovano, appunto, in
questi funghi.
Fonte:
http://hdwallpapersfactory.com/wallpaper/psilocybe_desktop_1035x678_hd
-wallpaper-650990.jpg

Quello delle Psilocibe è un genere di funghi basidiomiceti appartenente alla


famiglia delle Strophariaceae.
Ad esso appartengono funghi privi di interesse alimentare, ma che in
diverse zone del mondo vengono consumati per le proprietà psichedeliche
dovute agli alcaloidi psicotropi psilocina e psilocibina in essi contenuti, che
hanno uno spiccato effetto sul sistema nervoso centrale. I due alcaloidi
vennero isolati nel 1958 dal chimico svizzero Albert Hofmann che
intendeva appurare affinità e differenze tra funghi psichedelici e l'LSD di
sua invenzione.

La psilocibina e la psilocina presentano effetti allucinogeni meno potenti


dell’LSD il loro meccanismo d’azione è simile a quest’ultimo e gli effetti
possono perdurare fino a 6-10 ore. Diversamente dalla DMT queste
molecole sono facilmente assorbite nel tratto grastrointestinale. In caso di
intossicazione acuta i sintomi includono tachicardia, ipertensione,
iperiflessia, nausea, vomito e alterazioni della realtà.

L'ipomoea violacea e l'ololiuqui


L'Ipomoea violacea (Ipomoea violacea L.), e l'Ololiuqui note anche come
Morning Glory, sono piante appartenenti alla famiglia delle
Convolvulaceae, originarie dell'America Latina.

Sono piante a foglie ovali, verdi, e a fiori rotondi (si riconoscono per la
tipica forma "a campanella"), di solito blu o porpora. Per questo motivo,
sono molto diffuse in Europa come piante ornamentali da appartamento e
da giardino.

L'ergina (C16H17N3O, lisergamide o amide dell’acido lisergico LSA) è


l’alcaloide psicoattivo principale, contenuto nei semi della pianta. Altri
alcaloidi presenti sono: cionoclavina, isoergina, lisergolo, ergometrina.
Molecole della Psilocina e della Psilocibina

Fiori di Ipomoea Violacea


I semi dell'Ipomoea violacea, chiamati tlitliltzin dagli Aztechi, contengono
un potente principio attivo dalle proprietà allucinogene, l'ammide dell'acido
lisergico (meglio noto come LSA), ragione che ha attribuito alla pianta il
nome di "LSD naturale". In effetti il suo principio attivo differisce dall'LSD
per appena 2 gruppi etilici, per questo motivo l'LSA può essere facilmente
convertito in LSD. Gli effetti allucinogeni dei semi sono intensi e duraturi,
anche se più "leggeri" di quelli prodotti dall'LSD.

I danni alla salute sono poco noti, ma sono spesso connessi a stati psicotici.
Il dosaggio, pur dipendendo dal contenuto netto di principio attivo
(titolazione), si possono ritenere dose psicoattiva l'ingestione di 2-8 semi.

Come per la Salvia divinorum, il peyote, la Rivea corymbosa e l’Argyreia


nervosa, l'Ipomoea, come riportato già dai primi cronisti spagnoli, è stata
originariamente utilizzata nei rituali divinatori e sciamanici dalle
popolazioni indigene del Centro e Sud-America. Il suo nome Azteco
significa "sacra cosa nera".

Gli effetti sono dose-dipendenti:


• 20-50 semi causano un miglioramento della socialità e in alcuni
casi allucinazioni;
• 100-150 semi provocano allucinazioni con euforia, profondo
insight, nausea, vomito, dolori addominali, letargia;
• 200-500 semi inducono grande euforia e tutti gli effetti di cui
sopra ma potenziati.

Dopo 6 ore circa dall'ingestione i sintomi regrediscono. A qualsiasi


dosaggio può dare attacchi di panico, paranoia e comportamenti violenti.

L'armina
L'armina è un alcaloide psichedelico che si ottiene dai semi della Peganum
harmala, una pianta succulenta perenne, e ha un meccanismo simile a
quello della DMT. L'armina sembra essere un inibitore delle MAO ed un
agonista inverso dei recettori delle benzodiazepine.. Diventa legnosa con il
tempo e cresce fino a 30-60cm. Presenta foglie lunghe circa 5 cm e
leggermente divise. I fiori sono bianchi, a 5 petali,e danno vita a 2-4
capsule cavitate di circa 1 cm di diametro.
Molecola dell'ergina

Fiori di Ololuiqui

La specie è originaria della regione orientale dell'India. Cresce anche negli


Stati Uniti come pianta invasiva in Arizona, California, Montana, Nuovo
Messico, Nevada, Oregon, Texas e Washington. È raramente trovabile in
Italia nella Puglia e in Sardegna. Si può trovare anche nelle regioni aride
dell'Africa settentrionale e dell'Asia.

I semi e le radici contengono alcaloidi quali l'armina (0.44-1,84%),


l'armalina (0,25% -0,79%) e la tetraidroarmina. Questi alcaloidi agiscono da
MAO-inibitori, ovvero impediscono la degradazione di alcune molecole
nello stomaco quali la psilocibina o la DMT, potenziando gli effetti sul
corpo umano della prima e permettendo quelli della seconda, che altrimenti
sarebbero pressoché nulli.

I semi vengono usati da secoli per indurre stati di intossicazione che


portano nausea, vomito, sudorazione, sonno profondo e distorsione delle
percezioni visive, il tutto generalmente a scopi mistici.

LE SOSTANZE PSICHEDELICHE ANESTETICHE E ALTRE SOSTANZE


La ketamina
È una amina di sintesi (creata nel 1962), utilizzata come anestetico dagli
americani durante la guerra del Vietnam, oggi si utilizza in medicina
veterinaria come anestetico per il basso costo e la scarsa tossicità sul
sistema respiratorio e sull’apparato cardiocircolatorio. Tra gli effetti
spiacevoli abbiamo stereotipie, alterazione della sensibilità, del
movimento, nausea e vomito. In caso di superdosaggio abbiamo
depressione del centro respiratorio, stati paranoidei, senso di secchezza
della mucosa orale. Si assume per via endovenosa a scopo medico, per via
inalatoria, trans-mucosale come droga d’abuso. Produce effetti dopo pochi
minuti, 1-5 minuti, per via orale dopo 30 minuti. Gli effetti perdurano per
circa 1 ora. L’uso come droga deriva dalla facile reperibilità, dal basso
costo e dagli effetti piacevoli che può produrre sul sistema nervoso centrale.
Infatti assunta alla dose di 30-300 mg produce stati sognanti e possiede
presunte attività afrodisiache.
Molecola dell'armina

Fiore di Peganum harmala

Molecole della ketamina

La ketamina è un farmaco principalmente utilizzato come anestetico


dissociativo per uso sia umano che veterinario, e più recentemente a livello
sperimentale contro il disturbo bipolare e l'alcolismo.

È chimicamente parente della fenciclidina, nota al pubblico come polvere


d'angelo, che sostituì come anestetico generale, per i minori effetti
collaterali (la fenciclidina può infatti causare psicosi e reazioni violente
indotte) e una durata d'azione minore (45 minuti-1 ora) che lo rendevano
più maneggevole e sicuro. Farmacologicamente può essere considerata
un'antagonista del recettore NMDA (N-metil-d-aspartato).

La Ketamina è una "core medicine" segnalata dalla World Health


Organization's nella "Essential Drugs List", una lista che elenca i farmaci
indispensabili per un ospedale. La Food and Drug Administration (FDA)
statunitense ne ha autorizzato l'uso negli USA come anestetico dissociativo
generale a partire dagli anni 70.

In Italia è commercializzata dalla società farmaceutica Parke-Davis con il


nome di Ketalar, e da altre società con i nomi di Ketanest e Ketaset. A dosi
sub-anestetiche la molecola causa forti dissociazioni psichiche[non chiaro]
[senza fonte] (nonché lieve analgesia) e ha trovato perciò largo uso come
sostanza stupefacente.
Ketamina è un composto chirale. La maggior parte delle preparazioni
farmaceutiche di ketamina sono racemiche, anche se alcune marche vantano
differenze di proporzioni tra gli enantiomeri. L'enantiomero più attivo è la
(S)-ketamina. Recentemente, in alcuni studi sperimentali, la ketamina ha
dimostrato di poter indurre, a dosaggi subanestetici, un rapido e deciso
miglioramento del tono dell'umore in pazienti affetti da depressione
maggiore e non responsivi alla comune terapia farmacologica. In soggetti
affetti da disturbo depressivo maggiore, ketamina produce un rapido effetto
antidepressivo, agendo nel giro di due ore contro le diverse settimane
necessarie ad altri antidepressivi tipici per esercitare i propri effetti.

Il GHB
L'acido γ-idrossibutirrico (talvolta gamma-idrossibutirrato, nome IUPAC
acido 4-idrossibutanoico) è un acido organico. Meglio noto come GHB, è
sia un farmaco che un derivato amminoacidico che si trova normalmente
nel sistema nervoso centrale, così come in altri organi come fegato, reni,
cuore, ossa. Come farmaco è usato comunemente sotto forma di sale
chimico (Na-GHB o K-GHB). Il sale sodico del GHB è commercialmente
conosciuto come ossibato di sodio o come sodio oxibato.

È un composto che si produce a partire dal GABA, può avere un effetto (il
cui meccanismo non è del tutto noto) neuro-modulatore conosciuto dal
1990. Assunto per via orale in preparazioni come integratore alimentare,
agisce come rilassante, anabolizzante e dimagrante Passa facilmente la
barriera emato-encefalica e pertanto è stato utilizzato in medicina come
anestetico, nel trattamento della sindrome d’astinenza d’alcol e della
dipendenza alcolica. Come droga d’abuso si utilizza per l’effetto
anabolizzante, a 2 ore della somministrazione si ha un rilascio
dell’ormone della crescita. Gli effetti tossici consistono in: anemia,
agitazione, euforia, vertigine, crisi epilettiche, allucinazioni, perdita di
coscienza, depressione respiratoria e coma. L’uso come droga deriva dalla
facile reperibilità, dal basso costo e dagli effetti anabolizzanti ed
euforizzanti ricercati. Inoltre è nota come “drug rape” poiché utilizzata per
stordire le vittime per stuprarle.

Il GHB fu sintetizzato per la prima volta agli inizi degli anni sessanta dal
dottor Henri Laborit per usarlo nello studio del neurotrasmettitore GABA.
Ha velocemente trovato un ampio numero di utilizzi grazie ai suoi minimi
effetti collaterali ed alla sua azione controllata, essendo le sole difficoltà
l'esigenza di un dosaggio assai ponderato e i pericoli presentati dalla sua
combinazione con alcool e altri depressivi dell'SNC. Tipicamente il GHB è
stato sintetizzato dal GBL (Gamma-butirrolattone) aggiungendo idrossido
di sodio in etanolo o acqua.

Il flunitrazepam
È una benzodiazepina che ha buone caratteristiche per il trattamento
dell’insonnia, dell’ansia, e come miorilassante. Possiede una breve emivita
ma l’effetto di stordimento si protrae per oltre 24 ore. Assunto cronicamente
per via orale alla posologia di 0,1-1 mg determina in breve dipendenza
fisica e psichica. Gli effetti tossici sono depressione respiratoria e coma.
L’uso come droga deriva dalla facile reperibilità, dal basso costo. Come
surrogato delle droghe pesanti e dell’alcol è gradito dagli eroinomani e
dagli alcolisti.

Molecola del GHB


Il Rohypnol, prodotto dalla Hoffmann-La Roche, è un farmaco
ipnoinducente (o "sonnifero"). Ha effetto ipnotico, ansiolitico e sedativo in
quanto induttore di rilassamento muscolo-scheletrico; il suo principio attivo
è il flunitrazepam, rientrante nei derivati benzodiazepinici ed è tra questi
ritenuto uno tra i più potenti assieme all'alprazolam ed al clonazepam. La
sua commercializzazione è iniziata nel 1970. All'inizio venne usato come
ammortizzatore degli effetti di cocaina ed anfetamina: successivamente a
scopo ansiolitico ed infine come vera e propria droga, tenuto conto della
dipendenza generata dall'assunzione. Sotto l'effetto del Rohypnol
(soprattutto insieme ad alcolici od altre droghe) si perde totalmente
coscienza di sé e non è infrequente che tale condizione venga seguita da
uno stato di amnesia. Per questo motivo, oltre che per alcuni effetti negativi
riscontrati a livello cerebrale, negli Stati Uniti è stato da tempo vietato il
commercio mentre in Europa e nel resto del mondo è ancora ampiamente
usato a livello farmaceutico. Il farmaco viene normalmente prescritto per il
trattamento dell'insonnia (intesa come difficoltà nell'addormentarsi, sonno
caratterizzato da risvegli frequenti, risveglio precoce o insieme di tutti
questi fattori): trattandosi di una benzodiazepina ad azione medio-rapida, è
spesso prescritta a pazienti che faticano a prender sonno. Altre
benzodiazepine con emivita intermedia (ad es. loprazolam, lormetazepam o
temazepam) sono altrettanto efficaci in pazienti che hanno difficoltà nel
rimanere addormentati e risultano generalmente preferibili a
benzodiazepine con periodo di dimezzamento lungo, normalmente
controindicate in tal senso in quanto causa di sonnolenza e riduzione della
prontezza dei riflessi durante il giorno. I farmaci ipnotici dovrebbero essere
usati solo per brevi periodi di tempo oppure su base occasionale nei pazienti
affetti da insonnia cronica.

L’arecolina
È un composto che si ricava dalla areca. L’areca (Areca catechu) è un
palma coltivata in India e nel Sud est asiatico, Polinesia e nell’Este
dell’Africa, produce una noce che possiede un grosso seme da cui si ricava
la sostanza. Nelle regini dove cresce è d’uso abituale masticarla per averne
proprietà stimolanti. Contiene alcaloidi antagonisti dei recettori muscarinici,
sono quindi sostanze capaci di bloccare l’acetilcolina, mediatore chimico
del sistema parasimpatico. Questo spiega l’uso contro i sintomi da iper-
stimolazione del sistema nervoso periferico: controlla la nausea, il vomito,
i dolori addominali, ma poiché passa facilmente la barriera emato-
encefalica è stato utilizzato in medicina come anestetico, nel trattamento
della sindrome d’astinenza d’alcol e della dipendenza alcolica. Sul sistema
nervoso centrale agisce a livello ipotalamo/ipofisario causando la
produzione di GH, ormone della crescita. Gli effetti tossici consistono in:
anemia, agitazione, euforia, vertigine, crisi epilettiche, allucinazioni, perdita
di coscienza, broncospasmo, depressione respiratoria e coma. L’uso come
droga deriva dalla facile reperibilità, dal basso costo e dagli effetti
anabolizzanti ed euforizzanti ricercati. Inoltre è nota come “drug rape”
poiché utilizzata per stordire le vittime prima di stuprarle. L’effetto
anabolizzante (body- building) è pure molto ricercato poiché a sole 2 ore
della somministrazione si ha un rilascio dell’ormone della crescita che
incrementa l’appetito ed agisce sui tessuti. Una variante d’abuso
dell’arecolina è il Piper betle: si utilizza una foglia di Betel pepper a cui si
aggiunge noce di areca catechu e limone, anche questo composto viene
masticato. Il principio attivo delle varianti è comunque sempre il medesimo
l’arecolina.
Molecola del flunitrazepam

Molecola dell'arecolina
La kavaina
È un composto che si ricava dalla kava. La kava (Piper methysticum) è un
pianta che vive nelle isole del Pacifico (Hawaii, Fiji, Samoa, New Guinea,
Thaiti, New Zealand), si utilizzano le radici da cui si ricava un infuso. Il
principio attivo principale è la kava, è un composto aminico che passa bene
la barriera emato-encefalica, produce i suoi effetti principalmente sul
sistema nervoso centrale. Le proprietà farmacologiche sono dovute
all’attivazione dei circuiti GABA, noradrenergici e di blocco sui canali
del sodio e del calcio voltaggio dipendenti. È largamente usata nelle
cerimonie religiose e più in generale per le proprietà ansiolitiche e
miorilassanti.
Pianta della Areca catechu

Molecola della kavaina


Non è riconosciuta una tossicità acuta né episodi di overdose. Più che droga
d’abuso si utilizza nella medicina tradizionale locale.

La ibogaina
È un composto che si ricava dalla iboga. L’iboga (Tabernanthe iboga) è un
pianta che vive nel centro dell’Africa (Gabon e Congo), nella foresta
tropicale, se ne utilizzano le radici da cui si ricava un infuso. Questo
infuso veniva bevuto dai guerrieri per combattere la fatica e la fame, per
rimanere svegli a cacciare tutta la notte.

Il principio attivo principale è l’ibogaina, è un composto ben studiato dalle


università per il suo utilizzo nella terapia delle crisi d’astinenza e nella
disintossicazione da eroina. Nel 1985 Howard Lotsof ottenne il brevetto
per l’ibogaina come "Farmaco per interrompere la dipendenza dagli
oppiacei" e nel 1986 quello per “la disintossicazione dalla cocaina,
dall’alcool e dalla nicotina”. Nel 1993 all'Università di Miami la dott.ssa
Mash, responsabile del progetto di studio e sviluppo dell’ibogaina afferma:
"L'ibogaina, bloccando l'attività della dopamina (ritenuta
responsabile del meccanismo di dipendenza dalle droghe) e
agendo anche sull'umore generale elimina la depressione che
accompagna la crisi d'astinenza; negli Usa c'è tanta ostilità nel
mondo medico-scientifico verso tale sostanza perché ritenuta non
una scoperta scientifica ma come proveniente dai gruppi self-help
(dagli ex tossicodipendenti) e questo basta per far vedere
l'ibogaina in modo piuttosto negativo. Troppi tagli alla spesa
pubblica, un'alta superficialità stanno strangolando la ricerca e
non lo ritengo giusto".

Il programma di ricerca fu sospeso dopo la morte sospetta di una giovane


tossicodipendente olandese che durante il trattamento assunse una dose di
eroina morendo per overdose, perché l'ibogaina annulla la tolleranza
sviluppata verso la sostanza l’assunzione dell’eorina anche in quantità
minime può portare all’oversdose. Tuttora negli Usa e nella maggior parte
dei Paesi rimane una sostanza illegale. L’ibogaina passa bene la barriera
emato-encefalica, produce i suoi effetti principalmente sul sistema nervoso
centrale. Le proprietà farmacologiche sono dovute all’attivazione di
numerosi circuiti neuronali che per certi aspetti sono simili all’LDS ma
non completamente noti. È attiva anche sui recettori per gli oppiacei da qui
il suo uso nelle crisi d’astinenza. Assunta per via orale, è metabolizzata dal
fegato ed in parte viene escreta immodificata nelle urine. Ha una emivita
plasmatica breve ma si concentra nel sistema nervoso centrale con effetti
che si protraggono anche per 24 ore.
Molecola della ibogaina

Pianta della Tabernanthe iboga


Non è riconosciuta una tossicità acuta né episodi di overdose causata dalla
ibogaina ma poiché annulla la tolleranza data dall’eroina il suo uso può far
precipitare una overdose da eroina qualora il paziente riassumesse la droga.
Produce effetti allucinogeni e psichedelici particolari molto intense pur
consentendo di conservare uno stato di coscienza e di percezione attiva
della realtà.

La yoimbina
È un composto che si ricava dalla corteccia di una pianta (Pausinystalia
yohimban) dell’Ovest dell’Africa (Congo, Camerun, Nigeria). La yoimbina
si estrae dalla corteccia della pianta sminuzzata e bollita in acqua. Il
principio attivo principale è la yoimbina antagonista dei recettori alfa due
adrenergici. Produce i suoi effetti principalmente sul sistema nervoso
periferico e solo ad alte dosi centrale. È stata largamente usata nella
disfunzione erettile. Ad alte dosi ha proprietà ansiolitiche e miorilassanti,
ma può causare anche letargia, sincope e vomito. Più che droga d’abuso si
utilizza nella medicina tradizionale locale come rimedio per l’impotenza.

Molecola della yoimbina


Pianta della Pausinystalia yohimban
La salvinorina
È un composto che si ricava dalle foglie di una pianta simile alla menta
(Salvia divinorum) che cresce in California ed in Messico. La salvia viene
bollita in acqua o anche fumata. Il principio attivo principale è la
salvinorina A che produce effetti sul sistema nervoso centrale. Gli
effetti sono allucinogeni, ma senza avere lo stesso target dell’LSD. La
salvinorina A è un agonista dei recettori κ-oppioidi e recentemente si è
scoperta una sua moderata affinità per alcuni sottotipi di recettori della
dopamina, diversamente dagli altri psichedelici, la cui azione è mediata
soprattutto dalle loro proprietà agoniste nei confronti dei recettori 5-HT2A
della serotonina. La proprietà psicoattiva si esplica a dosi di appena
200µg, per cui è il più potente allucinogeno naturale conosciuto. Non
manifesta una particolare tossicità neanche a dosi elevate sebbene il rischio
di un'esperienza caratterizzata da profondo terrore e disforia sia presente ad
ogni assunzione. Queste crisi, chiamate in gergo “bad trip”, sono di
carattere quasi sempre temporaneo. Nel caso coesistano patologie
psichiche latenti, si corre il rischio di una slatentizzazione delle stesse con
sintomi psicotici.

Il PCP
La fenciclidina (PCP) è una sostanza allucinogena di sintesi a base di
piperidina, il principale precursore di alcune droghe ad azione
oppiomimetica particolarmente diffusa negli anni settanta e ottanta,
soprattutto negli Stati Uniti. È in gergo chiamata "polvere d'angelo".

È una potente sostanza dall'effetto psichedelico e dissociativo. Venne


brevettata nel 1950 dalla compagnia farmaceutica Parke-Davis e
inizialmente usata come anestetico. Successivamente il suo uso come tale fu
interrotto a causa di effetti collaterali molto pronunciati (effetti allucinogeni
e neurotossici). Viene anche usata come droga.

Molecola della salvinorina


Pianta della Salvia divinorum

Molecola del PCP

La fenciclidina funziona principalmente come un antagonista dei recettori


NMDA inibendo il loro funzionamento. Altre sostanze che bloccano questi
recettori sono la ketamina e il destrometorfano. Nonostante gli effetti
principali di questa droga durino solo poche ore, ci possono volere alcune
settimane per eliminarla totalmente dal corpo.

Esistono moltissime molecole analoghe a quella della fenciclidina e in


genere tutte hanno effetti simili, differenziandosi per la loro intensità.

Il PCP, sviluppato negli anni 50 come un anestetico chirurgico endovenoso,


è classificato come un anestetico dissociativo: i suoi effetti sedativi ed
anestetici portano ad una specie di trance, ed i pazienti sperimentano la
sensazione di essere “fuori dal loro corpo” e staccati dal loro ambiente. Il
PCP è stato usato in medicina veterinaria ma non ne è mai stato approvato
l’uso sugli esseri umani a causa dei problemi che ha presentato durante gli
studi clinici, inclusi delirio ed estrema agitazione manifestati dal paziente
che si risveglia dall’anestesia.

Negli anni ’60, il PCP in pillole ha raggiunto una notevole diffusione, ma


l’uso illecito di questa droga è andato rapidamente riducendosi in quanto i
consumatori erano insoddisfatti del lungo periodo necessario perché la
droga manifestasse i suoi effetti e dei comportamenti imprevedibili e spesso
violenti associati al suo uso. Il PCP in polvere – conosciuto come “ozone”,
“racket fuel”, “love boat”, “hog”, “embalming fluid” o “superweed” – è
apparso negli anni ’70. Sottoforma di polvere, la droga è spruzzata su
marijuana, tabacco o prezzemolo e dopo viene fumata, in questo modo gli
effetti della droga si manifestano velocemente. I consumatori a volte
assumono la droga sniffandola, se in polvere, o ingoiandola sottoforma di
compresse. Il PCP ha l’aspetto di una bianca polvere cristallina, ma
solitamente è colorato con tinture solubili in acqua o in alcol.

Quando è sniffato o fumato, il PCP viene trasportato rapidamente fino al


cervello per interrompere il funzionamento delle aree che costituiscono il
complesso dei recettori del NMDA (N-metilico-D-aspartato), che sono
recettori del neurotrasmettitore glutammato. Questi recettori giocano un
ruolo importante nella percezione del dolore, nella cognizione – compresi
apprendimento e memoria – e nelle emozioni. Nel cervello, il PCP altera
anche l’azione della dopamina, un neurotrasmettitore responsabile
dell’euforia e del “flash” associato a molte droghe da abuso.

Piccole dosi di PCP (5 mg o meno) producono come effetti fisici respiri


poco profondi e rapidi, aumento della pressione sanguigna e della
frequenza cardiaca ed elevate temperature corporee. Dosi di 10 mg o più
causano pericolosi cambiamenti nella pressione sanguigna, nella frequenza
cardiaca e nella respirazione, spesso accompagnati da nausea, visioni
confuse, vertigini ed una minore percezione del dolore. La contrazione
muscolare può causare movimenti non coordinati e posizioni innaturali.
Nei casi gravi le contrazioni muscolari possono provocare fratture ossee o
danni al rene. Dosi molto elevate di PCP possono originare convulsioni,
come, ipertermia e morte.

Gli effetti del PCP sono imprevedibili. Di solito compaiono dopo pochi
minuti dall’ingestione e durano per diverse ore. Alcuni utenti dicono di
aver sentito gli effetti della droga per dei giorni. A volte l’assunzione della
droga può produrre sensazioni di distacco dalla realtà, compresa
distorsione dello spazio, del tempo e dell’immagine corporea; un’altra può
produrre allucinazioni, panico e paura. Alcuni consumatori hanno descritto
sensazioni di invulnerabilità e di potenza senza limiti.
Chi usa PCP può diventare disorientato, violento o suicida.

Un uso ripetuto del PCP può portare alla dipendenza, e recenti ricerche
suggeriscono che un uso ripetuto o prolungato del PCP può causare
sindrome da crisi d’astinenza quando si smette di far uso della droga.
Sintomi come perdita della memoria e depressione possono persistere
anche per un anno dopo che il consumatore ha smesso di usare il PCP.
[fonte:
http://www.narconontop.org/informazioni_droghe/pcp_fenciclidina.htm]

LA COCAINA

La cocaina (benzoilmetilecgonina) appartiene alla famiglia degli anestetici


locali, e struttura esterica, di cui condivide le proprietà farmacologiche. È
una molecola anfipatica ossia ha un estremo lipofilo ed uno idrofilico per
cui diffonde bene e si concentra nell’encefalo (che ha contenuto lipidico
prevalente) e passa bene tutte le membrane cellulari (che sono lipidiche),
ma si diluisce anche in tutti i tessuti per la sua idrofilicità. Come farmaco
non si è affermato a causa delle proprietà sul sistema nervoso che ne fanno
una delle più diffuse droghe d’abuso.

È un alcaloide che si ottiene dalle foglie della coca o per sintesi


dall'ecgonina. Le piante interessate sono Erythroxylum coca, coca
boliviana o di Huanuco che cresce spontaneamente in Bolivia e la
Erythroxylum truxillense, o coca peruviana o di Truxillo, pianta originaria
del Perù. Gli arbusti spontanei in Perù e Bolivia vengono coltivati anche in
altri Paesi del Sud America, principalmente della Colombia, Argentina,
Brasile, e anche in Sri Lanka, Indonesia (Giava), Madagascar. Oltre alla
cocaina le foglie di coca contengono altri 14 alcaloidi alcuni psicoattivi. Il
consumo di foglie di coca tramite masticazione è legale nei paesi andini e
non produce nessun effetto importante sul comportamento. L'assorbimento
della quantità di cocaina che avviene tramite masticazione è molto scarso,
lento, e viene per lo più metabolizzato, produce effetti più o meno
indistinguibili da altri stimolanti, come la caffeina, inoltre la parte che viene
deglutita con la saliva viene digerita, assorbita non più del 30-40% e
completamente metabolizzata. Gli effetti farmacologici della cocaina
compaiono per dosi maggiori di 10 mg.

Molecola della cocaina

Le foglie della pianta sono ovali, lucide, verdi delle dimensioni di 5 x 2,5
cm, i fiori sono piccoli e bianchi, il frutto e piccolo, tondo e rosso.

La cocaina era sacra al popolo degli Inca poiché considerata un dono di


Dio, consumata dalle classi sociali più elevate. Furono gli spagnoli
conquistatori dell’America del Sud che tra gli europei la conobbero per
primi. A caratterizzarla dal punto di vista chimico fu Albert Niemann nel
1859 che ne evidenziò le proprietà anestetiche.

Per estrarre la cocaina dalle foglie esistono differenti procedure anche molto
sofisticate, la procedura tradizionale prevede la raccolta delle foglie di
piante giovani, essiccazione, macerazione. Il composto grezzo che si
tratterà si mescola con acido solforico prima e con carbonato di sodio poi,
per far precipitare gli alcaloidi. L’impasto che si ottiene si chiama “pasta di
coca o cocaina grezza”. Questa viene di nuovo lavorata con etanolo ed
acido cloridrico in modo da renderla pura al 90-95%. Un altro metodo più
“moderno” prevede lo sminuzzamento delle foglie secche di coca in una
soluzione di carbonato di sodio. Il “precipitato” viene trattato con solventi
organici come l’etere o il benzene o il kerosene in modo da estrarne la
“coca base”.
Pianta della Erythroxylum coca
L’obiettivo che ci si prefigge con i mezzi più disparati è ottenere la cocaina
cloridrata, una polvere bianca, cristallina. La cocaina cloridrata è altamente
idrosolubile, massimamente attiva per via parenterale, la via endovenosa
consente la massima biodisponibilità ed attività: l’emivita è la più bassa, 60
minuti rispetto alle altre vie d assunzione, richiede però una iniezione
accurata nella vena, infatti la somministrazione intramuscolare o
sottocutanea determina un assorbimento lento ed irregolare a causa
dell’effetto vasocostrittore, ed uno stravaso dalla vena può dare problemi
locali.

Questa è la forma di utilizzo preferita in associazione con l’eroina poiché


per quest’ultima è la via di scelta. La cocaina consumata in associazione
all’eroina è detta “speed ball” questa via garantisce un rapido assorbimento
di entrambe e gli effetti dei farmaci si completano: la cocaina contrasta gli
effetti depressivi sul sistema nervoso centrale dell’ eroina, prolunga
l’effetto di piacere intenso generato dall’eroina, da energia e vigoria che di
solito mancano ai consumatori di eroina.

La cocaina cloridrata è abbastanza pura, e può essere assunta, evitando


iniezioni, per via inalatoria: trans-mucosale nasale, o orale con
assorbimento sublinguale, in questi casi l’emivita è di 80 minuti.

Localmente nel luogo d’ingresso può dare vasocostrizione e anestesia


locale, specialmente a livello delle mucose nasale e orale si fissa all'interno
delle fosse nasali formando croste, spesso associate a riniti ed
infiammazioni della mucosa.

Qualsiasi sia la via di assunzione, la cocaina diffonde bene in ogni


tessuto, passa bene la barriera emato-encefalica (e diffonde anche nella
placenta), produce i suoi effetti principalmente sul sistema nervoso
centrale.

I livelli plasmatici di cocaina restano elevati per 4-6 ore dalla


somministrazione
La cocaina nella sua forma “da strada” non è per nulla pura ma è
addizionata a varie sostante, per cui solo il 25% è costituito da cocaina. Le
sostanze utilizzate per tagliare la cocaina sono: anestetici locali come la
lidocaina o la procaina, le anfetamine, l’eroina, i glucidi quali saccarosio,
lattosio, glucosio, l’acido borico ed il bicarbonato.

L’inalazione, detta in gergo snorting, di strisce chiamate piste, ciascuna


contenente da 10 a 40 mg di cocaina cloridrato, di polvere bianca, è il
metodo di gran lunga più diffuso nella società occidentale. La cocaina in
polvere viene disposta su una superficie liscia, meglio se di metallo o di
pietra, allineata in strisce larghe qualche millimetro, attraverso inalatori o
cannucce (è uso diffuso l'utilizzo di banconote arrotolate) viene inalata. Gli
effetti sono immediati, evidenti, durano da 20 minuti circa a qualche ora (in
base alla quantità e alla purezza della sostanza assunta). L'assorbimento nel
sangue avviene attraverso la mucosa nasale, vengono veicolati così anche
eventuali agenti patogeni, e sicuramente i prodotti con cui la cocaina è stata
tagliata.

La cocaina cloridrata non si presta ad essere fumata poiché alle comuni


temperature (800 gradi) del fumo di sigaretta, si decompone per pirolisi.
Sono state messe a punto, tramite bollitura in ammoniaca o bicarbonato di
sodio, forme di cocaina più resistenti alla temperatura ottenendo la “free-
base”.

Per freebase si intende la forma "base" della cocaina cloridrato, ossia la


trasformazione della cocaina nell'alcaloide base. Si dissolve la cocaina
cloridrato in acqua, poi viene aggiunta ammoniaca (o una base forte) per
eliminare protoni in eccesso. La soluzione ottenuta in questo modo, però,
non è ancora libera da tagli. A questo proposito si aggiunge alla soluzione
etere etilico: questo permette di separare la free-base dal taglio ottenendo
quindi, dopo l'evaporazione dell'etere etilico, una free-base quasi del tutto
priva di altre particelle inquinanti. Preparare la free-base in casa, è
estremamente pericoloso, poiché sono possibili esplosioni o produzioni di
fiamme e incendi. Con il termine free-base si indica, più in generale, in
chimica ogni alcaloide nella sua forma base. A differenza della cocaina
cloridrata questa può facilmente essere fumata, non si presenta come
polvere bianca cristallina, ma in panetti spugnosi color crema, oppure in
piccole scaglie, o in pastellini.

La forma più comune di cocaina free-base è il crack che si ottiene con il


bicarbonato di sodio (eliminazione del taglio con etere). Il nome deriva per
onomatopea dal caratteristico scoppiettio che producono durante la
combustione il bicarbonato di sodio o il sale d’ammonio. Il crack viene
fumato in sigarette, mescolato a tabacco, o hashich o in particolari pipe ad
acqua dette in gergo camokes che garantiscono stabilità termica al processo
di combustione. La cocaina viene depositata su un foglio di alluminio che
viene scaldato. Quindi ne vengono inalati i vapori (generalmente tramite
una cannuccia). Spesso il braciere di alluminio viene preparato
sull'imboccatura di ampolle o bottiglie di vetro (o pvc) che dispongono di
un secondo foro in cui inserire la cannuccia o da cui aspirare direttamente i
fumi.

Gli effetti sul sistema nervoso centrale e sul comportamento sono


estremamente vari: distorsione cognitiva e delle capacità recettive,
sensazione di aumento delle percezioni, accentuazione della reattività fisica
e mentale, riduzione dello stimolo di addormentarsi, della fame e della sete,
euforia (da cui l'uso passato come antidepressivo e come trattamento dalla
tossicodipendenza da oppiacei), sensazione di maggiore socievolezza e
grande facilità di relazione, stato di infaticabilità, incremento della libido,
incremento dell’ansia, della fobia e dell’aggressività.

Gli effetti farmacologici a livello locale, nella mucosa nasale o orale, sono
quelli di un blando anestetico e vasocostrittore; in farmacologia la cocaina
è infatti considerata un anestetico locale, ottimo per l'anestesia delle
mucose e delle vie aeree superiori. Il suo uso in campo anestesiologico è
stato tuttavia, per ovvi motivi, fortemente ridotto, a favore di derivati
sintetici con effetti sistemici e psicotropi irrilevanti come la novocaina.

Gli effetti a livello del sistema nervoso centrale invece sono peculiari, la
cocaina agisce come agonista indiretto dopaminergico. La sostanza infatti
blocca il recupero (reuptake) di dopamina nel terminale presinaptico. Una
volta che la dopamina è stata rilasciata dal terminale del neurone nella
fessura sinaptica la cocaina ne impedisce la rimozione bloccando le
proteine di trasporto (Dopamine Active Transporter, DAT): ciò favorisce
l'assorbimento della dopamina stessa dall’esterno all'interno del neurone. Il
risultato è un quindi un aumento della quantità di dopamina a livello delle
terminazioni sinaptiche dei neuroni dopaminergici del SNC. In particolare,
dopo l’uso di cocaina si assiste ad un aumento di dopamina nei neuroni che
proiettano dall'area tegmentale ventrale ed nei neuroni del nucleo
accumbens e della corteccia prefrontale mediale.

Questo meccanismo rende ragione degli effetti “euforizzanti, attivanti,


anoressizzanti” della molecola.

Uno degli effetti dopaminergici importanti e studiati è l’incremento della


prolattina che potrebbe spiegare l’effetto “socializzante” della molecola.

Altro effetto che discende dal meccanismo sopradescritto dopaminergico è


l’attività nel ridurre il craving da eroina e da tutti i farmaci che stimolano il
sistema dopaminergico.

La cocaina può bloccare anche il riassorbimento presinaptico di


noradrenalina con analogo meccanismo d’azione bloccando le proteine di
trasporto (Noradrenaline Active Transporter NAT o NET) e anche della
serotonina provocando una sorta di esaurimento delle riserve di
neurotrasmettitore presinaptico, in questo caso possiamo parlare di
affaticamento sinaptico, con alterazione della normale risposta fisiologica
della sinapsi alla depolarizzazione.

L’attività sul sistema noradrenergico centrale ma anche periferica, (ossia sul


sistema nervoso periferico, ortosimpatico), spiega gli effetti collaterali
dell’uso e dell’abuso di cocaina: tachicardia, midriasi (dilatazione abnorme
della pupilla senza adeguata risposta alla luce), vasocostrizione cutanea,
ipertermia, iperglicemia. L’iperglicemia può essere rilevante nei soggetti
diabetici.

Nei pazienti che utilizzano antidepressivi o comunque farmaci che agiscono


sulla via della serotonina la cocaina agisce in modo sinergico, potenziando
l’effetto in modo però non controllato ed imprevedibile.
L’aumento dei neurotrasmettitori: dopamina, (ma anche noradrenalina e
serotonina), nella fessura sinaptica e la loro persistenza possono in parte
spiegare l’effetto della cocaina sul comportamento d’abuso che è detto
tolleranza inversa. La tolleranza inversa è una “up regulation” che conduce
ad un aumento della quantità di recettori per la dopamina postsinaptici. La
conseguenza è l'aumento di sensibilità del sistema con aumento degli effetti
psicotropi della cocaina: ossia abbiamo tanto mediatore nello spazio
sinaptico, il corpo produce –se ne è in grado, quindi solo negli individui
geneticamente predisposti- più molecole di recettore per la dopamina. Se
viene meno la cocaina i recettori restano “spiazzati” ed attendono la loro
dose. Questa è anche la base per comprendere il craving da cocaina che
quindi è indotto dal desiderio di evitare le crisi d'astinenza, e dalla
diminuzione della normale capacità di provare piacere, spontaneo, non
farmaco-indotta legata al sistema dopaminegico.

Le combinazioni tra cocaina ed altre droghe sono principalmente tre:


Cocaina e alcool, Cocaina ed eroina (speed-ball) e Cocaina e polvere da
sparo (brown-brown). Altra associazione praticata, ma meno sinergica è
con il fumo di tabacco o con la marijuana.

L’associazione di cocaina ed etanolo consente di produrre effetti psicoattivi


più duraturi nel tempo. Infatti le carbossilesterasi, gli enzimi che
idrolizzano la cocaina producendo metaboliti inattivi, reagiscono
diversamente in presenza di etanolo, una porzione di cocaina subisce un
processo di transesterificazione con l'etanolo formando coca-etilene. Il
coca-etilene ha effetti simili a quelli della cocaina. Gli effetti si manifestano
più velocemente e persistono per più tempo, e la tossicità a carico del SNC,
del cuore e del fegato è più elevata. Inoltre la presenza di alcool rende più
difficile controllare i risvolti prettamente psicotropi della sostanza (come
ansia, fobia ed aggressività).

Come già descritto l'assunzione di cocaina combinata all'eroina è ricercata


dal consumatore poiché migliora la fase di down della coca e consente di
essere più energici e reattivi durante l'effetto dell'eroina, la combinazione
aumenta enormemente il rischio di blocco respiratorio e collasso
cardiocircolatorio.
Con il nome Brown-brown si intende un mix di cocaina in polvere e polvere
da sparo ottenuta generalmente dallo svuotamento di cartucce. Il consumo
avviene tramite inalazione, ma l'aggiunta di polvere da sparo genera fumi
estremamente irritanti, serve soprattutto a dare al gesto un'aura d'asprezza.

La cocaina può inoltre avere pericolose interazioni quando l'assunzione


avviene in concomitanza di terapie medico-farmacologiche di qualsiasi tipo.
Ad esempio, assumere cocaina insieme a inibitori della ricaptazione della
serotonina pone un notevole rischio di sindrome serotoninergica.

Gli effetti della tossicità a livello cardiocircolatorio consistono in


tachicardia, elevazione della contrattilità del ventricolo sinistro e della
pressione arteriosa, con aritmie anche gravi. L'uso cronico espone inoltre ad
aumentato rischio di aterosclerosi, trombosi da aumento dell'aggregabilità
piastrinica, infarto miocardico, ipertensione arteriosa e deficit del sistema
immunitario. L'iperattivazione dell'apparato cardiovascolare, insieme alla
vasocostrizione provocate dalla cocaina, sono causa di infarto ed ictus.
L’assunzione per via endonasale causa un danneggiamento progressivo dei
tessuti interni e dei capillari del naso, con riduzione notevole della capacità
olfattiva, può comportare frequenti perdite di sangue dal setto nasale,
ulcere, perforazione delle cartilagini, con danni che possono portare alla
necessità di interventi di chirurgia plastica. Infatti al termine della
vasocostrizione della mucosa indotta dalla cocaina, ci può essere
sanguinamento, con conseguente formazione di croste; l’eliminare tali
croste vien favorito dall'anestesia dovuta alla sostanza che gli permette di
lesionare, senza accorgersi i tessuti nasali. Le cellule della mucosa nasale
sottoposte ad irritazione cronica vani in contro ad apoptosi ossia a morte
cellulare programmata. I gravi danni della mucosa nasale causati
dall'apoptosi incontrollata, possono causare la distruzione più o meno
diffusa di cartilagini o tessuto osseo, comportando perforazione del setto,
perforazione dell'osso palatino, distruzione della punta nasale, collasso del
naso.

Le manifestazioni neuropsichiatriche possono risultare in irritabilità,


sindromi depressive, stati d'ansia, insonnia e paranoia. Nel sovradosaggio il
paziente si presenta agitato e ostile. Possono manifestarsi sintomi
neuropsichiatrici, come allucinazioni e convulsioni fino al coma, uniti a
tachicardia e aumento della temperatura corporea. La morte può
sopraggiungere per infarto miocardico acuto o blocco respiratorio
conseguente a paralisi muscolare.

Inoltre, a causa degli effetti della cocaina sia di tipo psicotropo sui freni
inibitori, che agendo sulla libido e sulla capacità erettile negli uomini con
calo della libido e oligospermia.

La cocaina causa forte dipendenza psichica in chi ne fa uso. Dopo gli effetti
di carattere eccitatorio, infatti, il consumatore di cocaina si sente spossato,
stanco e completamente senza energie. Questo lo spinge a ripetere
l'assunzione per rivivere il benessere. Tale appagamento viene ricercato
sebbene gli effetti negativi a livello psichico, reversibili e non, siano di
primaria importanza.

In relazione alla frequenza di assunzione ed al contesto psico-ambientale, il


soggetto dipendente dal consumo di cocaina modifica nel lungo termine e
sempre più radicalmente la coscienza di sé e la percezione delle proprie
azioni rispetto all'ambiente. La dipendenza da cocaina, erroneamente
ritenuta solo di tipo psicologico, abbiamo visto, presenta delle consolidate
basi neurobiologiche.

La cocaina, però, produce soprattutto danni a livello psichico, il consumo


prolungato, infatti, porta ad una progressiva modificazione dei tratti della
personalità in senso paranoideo: prevale il sospetto, l'irritabilità, la
sensazione di trovarsi in un ambiente ostile, fino, talvolta, al delirio
paranoide. La cocaina, infatti, blocca il riassorbimento di noradrenalina e
dopamina, causando un eccesso della disponibilità di queste sostanze
eccitanti, che possono alterare il funzionamento del cervello facendo
comparire disturbi spesso non distinguibili da quelli causati da una psicosi.
Il cocainomane è convinto di essere spiato, perseguitato, il tono dell'umore
è disforico, in certi casi presenta allucinazioni (tipica la percezione di cimici
che corrono sulla pelle, le "cocaine bugs" o allucinazioni visive denominate
"bagliori della neve").

Frequenti sono gli attacchi di panico e uno stato di profonda depressione,


che può durare anche alcune settimane. Ovviamente la reazione può essere
influenzata da diversi fattori e sebbene l'uso di questa droga porti quasi
sempre a modificare il comportamento del consumatore, si possono notare
casi in cui pur non verificandosi attacchi di depressione o di panico, si
osserva un'accentuazione di tratti patologici del soggetto stesso.

LA NICOTINA

La nicotina appartiene alla famiglia degli alcaloidi, a temperatura ambiente


è liquida, volatile, a contatto con l’aria si scurisce assumendo l’odore tipico
del fumo di sigaretta, è molto sensibile alla luce. È una molecola che
presenta proprietà anfipatiche ossia ha un estremo lipofilo ed uno idrofilico
per cui diffonde bene e si concentra nell’encefalo (che ha contenuto lipidico
prevalente) e passa bene tutte le membrane cellulari, ma si diluisce anche
in tutti i tessuti per la sua idrofilicità. È forse la sostanza d’abuso più diffusa
al mondo a cui sono state attribuite nei secoli scorsi proprietà
farmacologiche.

Molecola della nicotina


È un alcaloide presente nelle foglie della pianta del tabacco di cui
conosciamo molte specie raggruppate in 3 sottogeneri Nicotiana tabacum
diffusa ovunque da cui proviene la quasi totalità del tabacco da fumo;
Nicotiana petudonides diffusa in America ed in Oceania, Nicotiana rustica
che comprende il tabacco da fiuto, meno pregiato. La pianta originaria del
l’America sub-tropicale si è diffusa in tutti i paesi. Le foglie della pianta
annuale sono lanceolate, ovali, allungate, verdi, la pianta cresce fino a 2
metri, fiori sono piccoli, il frutto è a bacca.

La procedura tradizionale prevede la raccolta delle foglie dopo almeno 6


mesi dalla semina, quando la pianta raggiunge al maturazione industriale
caratterizzata dalla comparsa di macchie gommose di colore giallo sulle
foglie. Le foglie vengono essiccate e lasciate a fermentare in ambienti a
temperatura ed umidità controllata. Il processo può durare fino a 3 anni. In
questo tempo i microorganismi della fermentazione trasformano alcuni
alcaloidi in acidi organici. Vengono aggiunti aromatizzanti, tranciato e
preparato per la commercializzazione.
Grazie alle caratteristiche farmacologiche la nicotina può essere assunta
per qualsiasi via, ma quella inalatoria resta la preferita, rapida, efficace.
Ogni sigaretta contiene circa 10 mg di nicotina e circa 4000 composti
chimici tra cui benzeni, radon, monossido di carbonio, molti altri
cancerogeni. La via inalatoria permette di avere nicotina nel tessuto
cerebrale entro 10 secondi dall’assunzione. Dalla mucosa respiratoria
polmonare, al circolo venoso polmonare, al cuore sinistro e da qui nel
sistema arterioso: cervello, cuore, reni, fegato.

Entro 6 minuti si ha il picco della concentrazione plasmatica, viene


rapidamente metabolizzata dal fegato, e subisce il metabolismo di primo
passaggio epatico, ma la sua diffusione e la sua lipofilia sono talmente
rapide da raggiungere tutti i tessuti, una parte minore viene metabolizzata
dal rene e dal polmone. La nicotina diffonde bene in ogni tessuto, passa
bene la barriera emato-encefalica (e diffonde anche nella placenta), produce
i suoi effetti principalmente sul sistema nervoso centrale. L’assorbimento
può essere influenzato da alcuni fattori: frequenza respiratoria, profondità di
respiro, tempo di ritenzione del fumo nei polmoni. La nicotina si assorbe
anche per via orale se il tabacco viene masticato o ingerito.

I livelli plasmatici di nicotina restano elevati per 2 ore dalla


somministrazione, il 10%-15% viene eliminato immodificato con le urine,
pertanto il test sulle urine è una buona stima per la nicotina assunta.

Gli effetti a livello del sistema nervoso centrale e periferico sono molteplici
poiché molteplici sono i recettori a cui la nicotina si lega. Stimolano i
recettori colinergici nicotinici, attivano la trasmissione dopaminergica,
aumentano la conduttanza dello ione sodio permettendo una facilitazione
della depolarizzazione. Stimolano corteccia, ippocampo, talamo, gangli
della base, area ventrale tegmentale. Sul sistema nervoso periferico
agiscono nella prima stazione periferica del sistema nervoso autonomo sui
gangli del simpatico e del parasimpatico, agiscono sulla placca motrice e
nella midollare del surrene.

Gli effetti sono dose-dipendenti: a basse dosi hanno effetto colinergico ad


alte dosi agiscono da bloccanti con effetto tossico. Al dosaggio usuale
l’effetto prevalente è eccitatorio simile adrenergico. Nei cervelli dei
fumatori abituali si riscontrano levati livelli di dopamina ipotizzando anche
un effetto di questo tipo. Si riscontra anche un aumento delle catecolamine
centrali e della serotonina. Questo meccanismo rende ragione degli effetti
“euforizzanti, attivanti, anoressizzanti” della molecola.

Gli effetti sul sistema nervoso centrale e sul comportamento sono


estremamente vari: attivazione della vigilanza, dell’attenzione,
miglioramento delle prestazioni cognitive, senso-motorie, una maggiore
consolidazione mnemonica, una leggera euforia, ed un modesto senso di
rilassamento.
Il superdosaggio causa effetti inizialmente a livello della placca motrice:
contrazioni muscolari, tremori, convulsioni, crampi muscolari.

L’assunzione accidentale -di solito- di una dose letale 60 mg, può causare
blocco delle placche motrici, cardiopalmo, diarrea, nausea, vomito,
ritenzione d’urina, (blocco della muscolatura intestinale e vescicale),
disturbi dell’udito e della visione, depressione dell’attività respiratoria,
cardiopalmo, fino alla paralisi anche della muscolatura respiratoria ed al
coma.

Gli effetti della tossicità diretta della nicotina a livello cardiocircolatorio


consistono in tachicardia, elevazione della contrattilità del ventricolo
sinistro, della pressione arteriosa, con aritmie anche gravi. L'uso cronico
espone inoltre ad aumentato rischio di aterosclerosi trombosi, infarto
miocardico, da aumento dell'aggregabilità piastrinica.

Il fumo mette in circolo numerosi radicali liberi che possono determinare


effetti dannosi di tipo tumorale su plurimi distretti dell’organismo: rene,
cervello, cuore, polmoni, vescica. Anche i benzeni, il benzopirene ed altri
che si liberano con i fenomeni di combustione del tabacco sono altamente
cancerogeni specialmente per il polmone, laringe, vie aeree, cavo orale,
cervice uterina.

La nicotina presenta effetti periferici di vasocostrizione: questo


meccanismo è alla base della sindrome di Burger o tromboangioite
obliterante, che causa necrosi a livello delle dita di mani e piedi e degli
organi interni: infarti ed ictus.
Il monossido di carbonio per l’effetto ipossiemico contribuisce alla
formazione di placche di aterosclerosi. Queste agiscono nei vari distretti e
sono responsabili di impotenza, ictus, infarto miocardico.

I migliaia di composti presenti nel fumo di sigaretta, oltre la nicotina, danno


irritazione cronica delle vie respiratorie e sono responsabili della BPCO o
bronco-pneumopatia cronica ostruttiva, e dell’enfisema che sono tanto più
gravi quanto maggiore è il deficit di alfa-1antitripsina, ossia dei mezzi che
l’organismo possiede per riparare i danni. La quantità di alfa-1antitripsina è
geneticamente determinata e rende ragione della differente suscettibilità
degli individui al fumo di sigaretta nell’ammalarsi di BPCO.

La nicotina stimola a livello ipofisario la produzione di aldosterone che ha


effetto sodio ritenitivo, come conseguenza da ritenzione di acqua.

L’abuso di nicotina è spesso preliminare ad altre forma di dipendenza. Si


riscontra sovente un stretta associazione tra consumo di nicotina e alcol, e la
nicotina è in grado di incentivare il craving indotto dalla cocaina.

Il fumo di sigaretta è associato a patologie psichiatriche: dai disturbi ansiosi


dell’adolescenza e ai disturbi psichiatrici maggiori tanto che gli
schizofrenici risultano tra i più grossi consumatori di nicotina.

La nicotina causa dipendenza e tolleranza. Il fenomeno ha variabili


individuali ma negli individui predisposti la tolleranza è forte e rapida.
Esistono i Chippers ossia i fumatori leggeri che fumano non più di 5
sigarette al dì per non più di 4 giorni la settimana, questi avrebbero una
resistenza allo sviluppo di tolleranza. I substrati neurobiologici alla base
della tolleranza non sono conosciuti.

Responsabile della dipendenza da nicotina sarebbe l’ossido nitrico, che


incrementerebbe a sua volta l’assorbimento di nicotina, in un circolo
vizioso. Ne risulta un incremento di dopamina che viene prodotta in
relazione a questo stimolo e che viene a mancare se lo stimolo viene
interrotto.
GLI INALANTI

Gli inalanti sono sostanze volatili a temperatura ambienti dotate di proprietà


psicoattive. Come dice il nome, a differenza degli altri stupefacenti,
possono essere assunte solo per inalazione.

Possono essere assunti sia per bocca che per naso attraverso diverse
modalità:
• sniffing o snorting (direttamente dai contenitori);
• spraying gli aerosol (direttamente in bocca o nel naso);
• bagging (inalando le sostanze depositate in un sacchetto);
• huffing (per mezzo di strofinacci imbevuti);
• inhaling (da palloncini riempiti di sostanza).

Vengono rapidamente assorbiti dai polmoni e passano velocemente nel


sangue e arrivano in fretta a cervello e altri organi. Entro pochi minuti si
manifestano i sintomi che sono molto simili a quelli dell'alcol. Gli effetti
principali sono eloquio lento e confuso, scoordinamento motorio, euforia,
vertigini, cefalea, in alcuni casi allucinazioni, forti sentimenti di delusione e
frequentemente la sensazione di poter volare.

Gli effetti a lungo termine sono devastanti e includono apatia, ridotta


capacità di giudizio, incapacità a svolgere compiti semplici, vertigini,
sonnolenza, letargia, diminuzione dei riflessi, ipotonia e stupro, perdita di
peso, irritabilità e depressione. Gli effetti neurotossici includono la
distruzione dei neuroni e le fibre nervose periferiche (causando un quadro
molto simile a quello della sclerosi multipla), gravi sindromi demenziali,
difficoltà a muoversi, ascoltare e vedere. Sono anche direttamente tossici
per il cuore, i polmoni, il fegato, i reni.

Essendo una classe eterogenea è difficile classificarli ma dal punto di vista


generale possiamo dividerli come segue:
• sostanze volatili (colle, vernici, benzine e solventi ...);
• aerosol contenenti propellenti e solventi (spray, lacche,
deodoranti..)
• gas anestetici inalatori (alotano, protossido d'azoto, etere ...);
• nitriti (nitrito di amile, isobutile - il cosiddetto popper, cicloesile
...);

Dal punto di vista farmacologico possiamo dividerli in:


• solventi organici (acetone, benzene, butano, esano ecc...)
• nitriti alchilici (nitrito di amile, isobutile, cicloesile ...);
• anestetici (esano, alotano, etere, protossido d'azoto... )..

GLI OPPIACEI E GLI OPPIOIDI

Gli oppiacei si differenziano dagli oppioidi perché i primi derivano


dall'oppio, i secondi sono sostanze, sia naturali sia di sintesi, che possono
essere contrastate per mezzo del naloxone.

L'oppio è uno stupefacente ottenuto incidendo le capsule immature del


Papaver somniferum e raccogliendone il lattice che trasuda, che poi viene
lasciato rapprendere all'aria in una resina scura che viene impastata in pani
di colore bruno, dall'odore dolciastro e dal sapore amaro.

Sono state ritrovate capsule di Papaver somniferum addirittura negli scavi


di palafitte dell'uomo di Cro-Magnon datate fra i 20.000 e i 30.000 anni fa,
anche se non è possibile stabilire se gli abitanti del sito conoscessero le
proprietà di tali piante. Sappiamo per certo invece che i Sumeri di 5.000
anni fa le conoscevano bene, e tramandarono l'uso del papavero da oppio
alle successive civiltà caldea e assiro-babilonese: questi ne introdussero
l'uso in Egitto verso il 1500 a.C.

Il Libro ermetico dei medicamenti, un antico papiro egiziano, raccomanda


l'uso del papavero da oppio come sedativo. Ippocrate, nel IV secolo a.C.,
consigliava l'oppio come rimedio per numerosi mali, ma già un secolo dopo
Erasistrato metteva in guardia i suoi allievi e i colleghi medici contro l'uso
frequente di questo medicinale, che poteva rivelarsi gravemente dannoso.

L'oppio fece il suo ingresso nella civiltà romana quando questa conquistò la
Grecia; Dioscoride, nel I secolo d.C., descrive accuratamente la pianta del
papavero da oppio e le proprietà della sua linfa, elencando anche una serie
di possibili usi. Si deve però a Galeno la diffusione fra i medici di Roma
della teriaca, inventata da Andromaco, medico personale di Nerone: un
farmaco che conteneva, fra l'altro, una discreta quantità di oppio. Pare che
Marco Aurelio ne usasse in grande quantità, per cui viene considerato da
alcuni storici il primo imperatore oppiomane.

Dopo la caduta dell'impero romano non vi sono quasi più notizie sul
consumo di oppio in Europa, mentre nella farmacologia araba venne
introdotto da Avicenna verso l'anno Mille: secondo il suo discepolo e
biografo Abu Al Guzani fu proprio questa sostanza la causa della morte del
maestro, come in occidente Paracelso morì intossicato dall'oppio dopo aver
inventato il laudano, sostanzialmente una tintura di morfina all'1%.

Fiore del papavero da oppio

Ma già nella seconda metà del Medioevo in Europa il consumo di oppio era
andato aumentando, tanto da suscitare reazioni ufficiali nella classe medica:
la Santa Inquisizione giunse al punto di vietarne l'uso anche come
medicinale. Nel XVI secolo in Turchia e in Egitto l'uso di oppio era
estremamente diffuso a livello popolare.

In Cina l'introduzione dell'oppio avvenne presumibilmente verso il 2800


a.C., ma l'uso popolare iniziò solo molto più tardi, verso il 1100 a.C.,
quando iniziò a diffondersi l'usanza di preparare per alcune festività un
dolce a base di oppio. Verso il XVII secolo in Cina l'uso di oppio esplose
quando l'imperatore vietò l'uso del tabacco da fumo, che i cinesi usavano
mescolare all'oppio, e si iniziò perciò a fumare oppio puro.

Il consumo di oppio aumentò tanto che all'inizio dell'Ottocento i fumatori di


oppio in Cina erano circa 10 milioni, e l'oppio veniva importato dall'India
tramite la potentissima Compagnia delle Indie inglese, che ne
monopolizzava il commercio.

Visto questo stato di cose l'imperatore decise di ridurre le importazioni di


oppio inglese, e poiché le sue disposizioni rimanevano lettera morta, ordinò
nel 1839 di distruggere 20.000 casse d'oppio scaricate dalle navi inglesi a
Canton, fatto che scatenò la prima guerra dell'oppio fra Cina e Inghilterra
(in seguito alla quale Hong Kong rimase all'Inghilterra), che fu seguita da
un'altra nel 1856.

Nel XIX secolo l'oppio conosce in Europa il suo periodo di massima


diffusione: molti poeti e scrittori ne facevano uso, fra cui Coleridge,
Baudelaire, De Quincey (autore de Le confessioni di un mangiatore
d'oppio) e altri. Tuttavia il suo uso rimase perlopiù circoscritto agli ambienti
letterari e non si diffuse mai veramente, per la concorrenza sul piano
dell'uso "ricreativo" del suo principio attivo, la morfina, isolata nei primi
anni del secolo da Armand Séquin che la chiamò così in onore di Morfeo, il
dio del sonno e dei sogni mentre un anno più tardi, Friedrich Sertürner,
mise a punto un metodo economico per isolare e produrre la morfina
dall'oppio.

In Cina nel 1906 venne proibito l'uso dell'oppio e nel 1941 il generale
Chiang Kai-Shek ordinava la distruzione di tutte le coltivazioni, ma nel
1946 i fumatori di oppio in Cina erano ancora 40 milioni. La rivoluzione di
Mao Zedong sembra aver sradicato con successo quest'abitudine. In Iran
coltivazione e uso di oppio vennero proibiti nel 1955, ma la legge fu
abrogata 14 anni dopo. La rivoluzione Khomeinista nel 1979 proibì l'oppio
e tutte le altre droghe, sotto pene severissime, mentre in Turchia il divieto di
coltivazione è stato emanato soltanto nel 1971.

Gli oppiacei più importanti si classificano in:


Oppiacei naturali Codeina
Morfina
Oppio
Paregorico (tintura di oppio
canforata)
Derivati semisintetici della Eroina
morfina
Derivati semisintetici della Tramadolo
codeina
Tebaina e derivati Buprenorfina
semisintetici
Oppiacei di sintesi a-l-acetilmetadolo
Fentanil
Meperidina e suoi analoghi
Metadone
Pentazocina
Propossifene

La morfina
La morfina è il più abbondante e principale alcaloide contenuto nell'oppio,
estratto dalla linfa essiccata fuoriuscita dal profondo taglio effettuato sulle
capsule immature presenti nel papaver somniferum. La morfina è stato il
primo principio attivo estratto da una fonte vegetale ed è uno degli almeno
50 alcaloidi di diversi tipi presenti nell'oppio.

La morfina è generalmente contenuta in un 8-17 per cento del peso a secco


dell'oppio, anche se può raggiungere il 26 per cento in alcune specie. La
varietà dei papaveri come Przemko e Norman sono utilizzati per produrre
due altri alcaloidi, tebaina e papaverina, utilizzati nella sintesi di oppioidi
come ossicodone e etorfina e altre sostanze semi sintetiche. Papaver
bracteatum (Lindley) è una specie da cui si ottiene molta tebaina. Presenza
di morfina in altri papaverales e Papaveracee, così come in alcune specie di
luppolo e alberi non è stata confermata.
Molecola della morfina
La morfina è prodotta in modo predominante nelle prime fasi del ciclo di
vita della pianta. Passato il punto ottimale di estrazione, si arriva ai vari
processi nello stabilimento di produzione di codeina, tebaina, ossicodone,
quantità trascurabili di idromorfone, diidromorfina, diidrocodeina,
tetraidrotebaina e idrocodone.

La morfina è probabilmente l'alcaloide più importante tra i derivati


dell'oppio e viene comunemente usata in terapia del dolore. In passato
veniva utilizzata anche per la cefalea, la sindrome post-parto, come sedativo
e per la dispnea nell'insufficienza ventricolare sinistra, per l'edema
polmonare e nelle anestesie spinali.

Produce, grazie alla sua interazione coi recettori m degli oppioidi, nalgesia,
euforia, sedazione e rilassatezza, ansiolisi, stipsi, miosi, soppressione della
tosse e, ad alte dosi, depressione respiratoria. Provoca disidratazione delle
feci e in alcuni casi forti crampi addominali.

L'eroina
L'eroina è un derivato della morfina, componente dell'oppio, nota anche
come Diacetilmorfina o Diamorfina. È una sostanza semisintetica ottenuta
per reazione della morfina con l'anidride acetica. La sostanza pura si può
trovare di colore bianco cristallino, che sarebbe poi il sale cloridrato
diamorfina, oppure marrone scuro e molto appiccicosa (brown sugar). Per
le sue proprietà sedative e antinfiammatorie è stata molto usata in medicina,
prima di essere proibita a causa della sua dannosità. Sotto il nome
commerciale di Diamorfina è commercializzata sotto stretto controllo in
Inghilterra come soluzione iniettabile o in compresse, e ha un uso ricreativo
in vari paesi europei.
Si ritiene che l'Afghanistan produca ed esporti più del 90% della produzione
mondiale di papavero da oppio per la realizzazione dell'eroina.

La dipendenza da eroina è identica a quella della morfina, ma si instaura più


in fretta e con quantitativi di sostanza più bassi. Anche le dosi letali sono
più basse, per cui il rischio di overdose è maggiore che per la morfina. 1 mg
di eroina può equivalere da 2,5 mg a 4,9 mg di morfina.

L'eroina, derivata per acetilazione della morfina per rendere la molecola più
lipofila, fu sintetizzata la prima volta nel 1874 dal ricercatore britannico
C.R. Wright, ma la nuova molecola sperimentata su animali non fu
considerata interessante.

Molecola dell'eroina

Venne risintetizzata nel 1897 da Felix Hoffmann, un chimico tedesco che


lavorava per la Bayer; in quel periodo l'acetilazione era una tendenza
diffusa per la ricerca di molecole più attive. Hoffmann realizzò
l'acetilazione dell'acido salicilico, ottenendo l'Aspirina, e solamente 11
giorni dopo fece altrettanto con la morfina, producendo appunto l'Eroina.

L'intento era quello di ottenere una molecola più efficace della codeina nel
sedare la tosse, nella tubercolosi e nelle patologie respiratorie. Le effettive
proprietà sedative sul centro del respiro (le stesse che portano a morte
nell'overdose) furono inizialmente male interpretate, ritenendo che la
riduzione del ritmo respiratorio dipendesse da una migliorata efficienza
respiratoria.

Fu battezzata commercialmente eroina (dal tedesco "heroisch", eroico,


giacché inizialmente la si credeva priva degli spiacevoli effetti collaterali di
dipendenza e assuefazione palesati dalla morfina), e cominciò ad essere
venduta liberamente dalla multinazionale farmaceutica Bayer dal 1899, in
breve tempo l'impiego terapeutico si ampliò alle più disparate patologie
pneumologiche, ma anche neurologiche, ginecologiche, o a semplici dolori
ecc. Si diffusero pertanto svariate preparazioni farmaceutiche acquistabili
liberamente, questo fece sì che l'eroina divenisse velocemente uno dei
farmaci più venduti in assoluto.

A parte qualche farmacologo contro corrente, non la si riteneva in grado di


dare dipendenza. L'eroina in realtà è molto più potente della morfina, le
dosi terapeutiche sono molto più basse e la sua azione ipnotica è minore. La
dipendenza è molto forte e si instaura più rapidamente. Alcuni ritengono
che il successo sia però legato al nome suggestivo, più che alle proprietà
farmacologiche; non ha avuto lo stesso successo una molecola cinque volte
più potente, ma dal nome commercialmente infelice: l'idromorfone.

L'eroinomania divenne rapidamente una emergenza sanitaria: nel 1905 la


città di New York consumava circa due tonnellate di eroina all'anno. In
Cina, sotto forma di compresse da fumare, iniziò a sostituire l'oppio.
L'Europa e il vecchio mondo non rimasero immuni e il consumo si diffuse
rapidamente. In Egitto nel 1930 il fenomeno aveva assunto proporzioni
drammatiche: si calcola che su 14 milioni di abitanti vi fossero 500.000
eroinomani.

Di fronte a questi fatti le autorità corsero in fretta ai ripari: il primo Stato


furono gli Stati Uniti d'America, che vietarono produzione, importazione e
uso di eroina nel 1925; nello stesso anno viene firmata a Ginevra la
Convenzione internazionale dell'oppio, a cui aderirono molte nazioni. Le
ultime nazioni a mettere al bando l'eroina sono state la Cecoslovacchia
(1960) e il Portogallo (1962).

Dopo che venne bandito l'uso farmacologico dell'eroina, si ebbe una


fortissima richiesta clandestina di questa sostanza che fece sorgere un po'
ovunque laboratori clandestini, in cui l'eroina veniva prodotta a partire
dall'oppio e dalla morfina in esso contenuta: uno dei più grandi aveva sede a
Marsiglia negli anni sessanta: sintetizzava eroina bianca sfruttando come
materia prima l'oppio proveniente dalla Turchia, e riforniva principalmente
il Nord America.

Una vasta operazione di polizia concordata fra i paesi interessati distrusse i


laboratori e smantellò la rete di traffico ad essi collegata, ma subito dopo si
aprì una nuova rotta clandestina che portava l'oppio da Birmania,
Thailandia e dagli altri paesi del cosiddetto Triangolo d'oro ad Amsterdam,
dove veniva trasformato in eroina. Da questi nuovi laboratori nacque la
variante Brown Sugar, chiamata così perché aveva l'aspetto del caramello o
dello zucchero di canna a seconda della purezza.

Negli anni dal 1971 al 1973 l'eroina viene lanciata sul mercato italiano delle
droghe con una vera e propria operazione di marketing: vennero fatte
sparire tutte le altre e fu offerta al loro posto eroina a prezzi molto bassi.
Poco dopo, quando i consumatori erano passati alla nuova droga e ne erano
divenuti dipendenti, il prezzo salì alle stelle.

La dipendenza da eroina divenne un grossissimo problema sociale in


Europa, specialmente in Italia, Germania e Svizzera, negli anni tra il 1977 e
il 1992, quando la presenza massiccia di tossicodipendenti che vivevano per
la strada, senza fissa dimora, procurandosi denaro con furti, scippi,
prostituzione e elemosina, era diventata una costante in tutte le maggiori
città di questi paesi.

In quegli anni la morte per overdose da eroina tagliata diversamente (con


meno sostanze inerti o in dose leggermente più massiccia), che provocava
collasso cardiocircolatorio, divenne una piaga sociale. A partire dai primi
anni novanta il fenomeno si attenuò a causa della ormai diminuita
popolazione tossicodipendente (per decesso, per incarceramento o per
ingresso in comunità terapeutiche), e dalla metà degli anni novanta
l'emergenza era cessata come allarme sociale perlomeno nell'Europa
continentale.

Attualmente i paesi del triangolo d'oro, con l'eccezione dell'Afghanistan a


causa delle recenti guerre, hanno acquisito il know-how chimico necessario
e non esportano più oppio da raffinare ma direttamente eroina pronta
all'uso.

L'eroina può essere assunta per via orale (metodo poco diffuso a causa dei
blandi effetti), iniettata (metodo particolarmente potente per effetti e
velocità d'azione, ma anche molto rischioso), sniffata, o bruciata per
inalarne i vapori.
Quest'ultimo metodo è noto con l'espressione "inseguire il drago" (en.
chasing the dragon), che si riferisce letteralmente all'operazione di inalare
l'eroina cercando di mantenerla costantemente liquida, e più
metaforicamente alla ricerca, spesso vana, di un'estasi sempre più
accentuata (l'espressione può venire estesa anche ad altri tipi di droghe).

Anch'essa, come la morfina agisce sui recettori m degli oppioidi. Dopo


l'assunzione per via orale la sua bidisponibilità cala di oltre il 70% a causa
della metabolizzazione epatica per mezzo della quale viene deacetilata e
viene trasformata in morfina.

L'assunzione acuta di eroina provoca euforia, sedazione, ansiolisi ed un


intenso piacere paragonabile ad un simil-orgasmo. I suoi effetti includono
analgesia, nausea, vomito, prurito intenso miosi, riduzione del transito
intestinale e riduce i rilascio di molti ormoni ipotalamici.

L'uso cronico provoca complicanze neuropsichiatriche ed internistiche che


spesso conducono la persona alla morte poiché induce, tra le altre patologie,
rabdomiolisi acuta con mioglobinuria, HBV, HCV, AIDS, TBC, endocarditi,
ascessi cutanei, flebiti, nefriti, polmoniti, osteomiositi, encefaliti, meningiti,
convulsioni. Tra gli eroinomani è altissima l'incidenza di suicidi e di
disturbi mentali.

La codeina
La codeina (Metilmorfina) (Codeinum, morfina-3-metiletere; dal francese
codéine, dal greco Kódeia, testa di papavero), è un alcaloide contenente 3-
metilmorfina, un isomero naturale di morfina metilato, e 6-metilmorfina è
un oppiaceo utilizzato per l'analgesia.

Viene ottenuta prevalentemente tramite metilazione della morfina,


l'alcaloide principale del Papaver somniferum.
Molecola della codeina
Viene somministrata per via orale, sottocutanea, intramuscolare o rettale. La
Codeina è utilizzata principalmente come analgesico spesso in
combinazione con il Paracetamolo o l'acido acetilsalicilico. Viene usata
anche come antitussivo e antidiarroico.

L'uso per la sedazione della tosse, asciugando le secrezioni può indurre nei
broncopatici crisi di insufficienza respiratoria. Può causare cefalea,
sedazione, depressione, euforia, ipotensione, tachicardia, stitichezza,
vomito.

La codeina è tossica, ma ha un effetto dieci volte meno potente della


morfina pertanto produce assuefazione fisica in modo proporzionale e
provoca una bassa dipendenza psicologica, a meno che si tratti di individui
già in passato assuefatti agli oppiacei per i quali va considerata una
particolare attenzione.

I suoi effetti analgesici e antitussivi sono noti da oltre 150 anni ma poiché
può facilmente dare dipendenza non è più contenuta negli sciroppi per la
tosse, anche se in Inghilterra e in Francia è ancora oggi usata per il
trattamento della dipendenza da eroina..

I suoi effetti sono dovuti alla trasformazione in morfina per effetto del
citocromo CYP2D6 ma per il vasto polimorfismo di questo citocromo, circa
il 10% della popolazione caucasica non metabolizza efficacemente la
molecola e ne è quindi sostanzialmente immune.

Il tramadolo
Il tramadolo è un farmaco antidolorifico oppioide, che appare
strutturalmente e farmacologicamente simile al farmaco anti-depressivo
venlafaxina anche se è un analogo sintetico della codeina con una debole
attività sui recettori m degli oppioidi ed è utile nel trattamento del dolore
moderato. Un suo analogo è il viminolo.

Viene metabolizzato a livello epatico ed escreto dai reni.

Commercializzato come tramadolo cloridrato, è un derivato oppioide, come


ad esempio il fentanyl e il metadone. Al contrario di queste ultime due
molecole, il tramadolo può essere venduto senza la specifica ricetta speciale
per stupefacenti, ma con prescrizione medica utilizzabile una sola volta
(ricetta non ripetibile) perché il tramadolo non è solo un semplice agonista
oppioide (in particolare agonista dei recettori mu del sistema di percezione
del dolore) ma è anche un inibitore della ricaptazione della noradrenalina e
induce aumento del rilascio di serotonina. Il tramadolo è stato sviluppato
dalla industria farmaceutica tedesca Grünenthal GmbH alla fine degli anni
1970 e immessa sul mercato con il nome di Tramal. Grünenthal ha anche
dato in licenza il medicinale a parecchie altre industrie farmaceutiche in
giro per il mondo con diversi nomi come per esempio Ultram.

Molecole del tramadolo

È un farmaco utilizzato per stati dolorosi acuti e cronici e dolori indotti da


interventi chirurgici e diagnostici. Gli effetti collaterali più comuni sono
nausea, vomito, vertigini, secchezza delle fauci, sedazione, cefalea e in rari
casi, depressione respiratoria. In pazienti già predisposti può scatenare crisi
convulsive.

Il tramadolo in Italia è il principio attivo di diversi farmaci come Fortradol,


Contramal, Tramadolo Viatris, Tramadolo Hexan, Tramalin e altri che sono
antidolorifici.

GLI OPPIODI DI SINTESI

Il metadone
Il metadone (noto con diversi nomi tra cui: Polamidon, Eptadone,
Dolophine, ecc,) è un oppioide sintetico, usato in medicina come analgesico
nelle cure palliative e utilizzato per ridurre l'assuefazione nella terapia
sostitutiva della dipendenza da stupefacenti.

È stato sintetizzato in Germania nel 1937; pur chimicamente differente dalla


morfina o dall'eroina, agisce come queste primariamente sul μ-recettore
degli oppioidi (agonista puro) con effetti clinici simili.

Il metadone è utilizzato utilmente nel controllo del dolore cronico per la sua
lunga durata d'azione ed il basso costo. Inoltre, da molti anni, viene usato
nel trattamento della dipendenza da oppiacei, pur essendo noto il suo
potenziale rischio di dipendenza e tolleranza farmacologica. La sindrome di
astinenza da metadone, pur quantitativamente simile a quella della morfina,
ha un esordio più lento ma più prolungato e con una sintomatologia più
lieve.

Molecola del metadone

Nel 2005 l'Organizzazione mondiale della sanità (WHO) lo ha incluso nella


lista dei farmaci essenziali; ciò, anche, per la ben documentata efficacia
nella terapia delle tossicodipendenze poiché grazie alla sue lente proprietà
farmacocinetiche è in grado di sopprimere per circa 24 ore i sintomi
astinenziali e ridurre il craving.

Nel 1939 vi fu la scoperta della petidina, chiamata (Pethidine, Dolantin,


Demerol, Dolosal. etc.), da parte di O. Eisleb e O. Schaumann, dopo
decenni di ricerca, di composti di origine vegetale petidino-simili, ciò
grazie ad una dose di fortuna e sagacia farmacologica. La novità della
scoperta sta anche nel fatto che per la prima volta fu scoperta una molecola
analgesica chimicamente non correlata alla struttura della morfina.
Successivamente Max Bockmühl e Gustav Ehrhart lavorarono su composti
con una struttura simile alla petidina (Dolantin) nella speranza di trovare
una sostanza che fosse solubile in acqua ed utilizzabile come ipnotico e che
fosse anche in grado di rallentare il transito gastrointestinale per facilitare la
chirurgia. I due dipendenti della IG Farbenindustrie a Höchst-Am-Main, in
Germania, sviluppano così il metadone, che fu poi brevettato l'11 settembre
1941.

La sostanza non fu usata e preferita alla petidina come sostituto della


morfina, che durante la II guerra mondiale era divenuta difficile trovare in
Germania. Per la mancanza di correlazione chimica con la morfina e per gli
effetti collaterali diversi, non venne riconosciuta come un analgesico; si
dovettero aspettare le ricerche successive alla II guerra mondiale per
comprendere il potenziale terapeutico di questa sostanza.

Il nome è erroneamente ritenuto tragga origine da "adolfina" in onore di


Adolf Hitler, ma ciò è solo una leggenda metropolitana. Il nome Dolophine,
infatti, deriva dalla unione delle parole francesi Dolor e fin, esso è sempre
stato un marchio registrato di Eli Lilly; è ancor oggi usato con lo stesso
nome.

Dopo la guerra il brevetto del farmaco fu espropriato come risarcimento per


i danni di guerra e i documenti vennero esportati negli Stati Uniti. Nel 1947
la società farmaceutica statunitense Eli Lilly con il nome di Dolophine lo
introdusse nel mercato USA e successivamente in altri paesi nel mondo. In
Germania il farmaco fu reintrodotto nel 1949 con il nome di Polamidon,
dalla Hoechst AG, erede della IG Farben, oggi confluita in Sanofi Aventis.

Dal 1960 il metadone negli USA è usato, in programmi medici molto ben
organizzati, come sostanza utile nello svezzamento farmacologico
definitivo della dipendenza da oppioidi (eroina), partendo dal presupposto
scientifico che la dipendenza agli oppioidi va trattata alla stregua di una
comune malattia metabolica. Questi programmi successivamente sono stati
variamente ripresi nel mondo.

In Italia sin dall'agosto del 1980 viene utilizzato come sostituto dell'eroina
contro i sindromi somatici dovuti all'astinenza durante lo svezzamento da
eroina ed oppioidi. Significativamente, inoltre, da alcuni decenni anche in
Italia la sostanza farmacologica trova un utile impiego nella terapie del
dolore oncologico o cronico incoercibile, in alternativa alla morfina,
ossicodone, idromorfone e fentanyl.

E' controindicato in soggetti affetti da stipsi grave, severa cardiopatia,


compromessa funzionalità renale, insufficienza respiratoria, diabete non
compensato e durante l'allattamento.

La pentazocina
La pentazocina è un farmaco di sintesi appartenente alla classe degli
analgesici, con azione simile alla morfina.

Viene somministrato in fiale e in compresse per il controllo di dolori medi o


forti. Appartiene al gruppo dei cosiddetti oppioidi minori, dal momento che
il suo effetto analgesico è inferiore rispetto a quello della morfina. Come
tutti i farmaci di questa classe può causare depressione del respiro,
inibizione della tosse, stipsi, nausea e vomito; può inoltre produrre
farmacodipendenza. Negli ultimi tempi la pentazocina è stata sostituita da
farmaci più sicuri ed efficaci.

Il fentanil
Il fentanil è un m agonista dei recettori degli oppioidi.
Il fentanyl (noto anche come fentanil o fentanile, o con i nomi commerciali
Sublimaze, Actiq, Durogesic, Duragesic, Fentanest, Fentora, Onsolis,
Instanyl, Abstral e altri) è un potente analgesico oppioide sintetico,
appartenente alla classe delle fenilpiperidine.

Molecole della pentazocina


Il fentanyl è circa 100 volte più potente della morfina: 100 microgrammi di
Fentanyl equivalgono approssimativamente a 30 mg di morfina e 125 mg di
petidina (meperidina) in attività analgesica, con una rapida insorgenza e
breve durata d'azione. Si tratta di un agonista forte del recettore μ per gli
oppioidi. Storicamente è stato utilizzato per trattare il dolore cronico ed è
comunemente usato prima di interventi chirurgici o manovre "invasive"
come anestetico, in associazione con una benzodiazepina. Ha una LD50 di
3,1 mg/kg nei ratti e una LD50 di 0,03 mg/kg nelle scimmie.

Il fentanyl fu sintetizzato dal dottor Paul Janssen nel 1960, grazie


all'avvenuta sintesi, alcuni anni prima, della petidina.[1] Janssen riuscì
infatti a sviluppare il fentanil analizzando alcune sostanze strutturalmente
analoghe e correlate alla petidina, dotata anch'essa di attività oppioide.[2]
L'uso diffuso di fentanyl ha innescato la produzione di fentanil citrato (il
sale del farmaco, formato dalla combinazione di acido citrico e fentanyl in
un rapporto stechiometrico di 1:1). Fentanil citrato è entrato a far parte della
pratica clinica come anestetico generale sotto il nome commerciale di
Sublimaze intorno al 1960. In seguito molti altri analoghi del fentanil sono
stati sviluppati e introdotti nella pratica medica, e tra questi sufentanil,
alfentanil, remifentanil e lofentanil. Questi ultimi sono ancora più potenti,
fino a 10 mila volte la morfina, con attività negli esseri umani a partire da 1
µg.

A metà degli anni Novanta il fentanyl ha visto la sua prima comparsa per le
cure palliative con l'introduzione nella pratica clinica del cerotto a base di
fentanyl, denominato Durogesic. Nel decennio successivo è stato introdotto
il primo "lecca-lecca" a base di fentanyl, una formulazione oromucosale
chiamata Actiq, e successivamente delle compresse orosolubili denominate
Fentora.

Grazie alla possibilità di rilascio controllato tramite cerotti transdermici, il


fentanyl è divenuto attualmente l'oppiaceo sintetico più ampiamente
utilizzato nella pratica clinica. Sono tutt'oggi allo studio ed in via di
sviluppo diverse nuove modalità di erogazione, tra cui uno spray
sublinguale per i pazienti affetti da cancro
Molecola del fentanil
I SEDATIVI IPNOTICI

I barbiturici
I barbiturici vennero introdotti nella pratica clinica nel 1903 con la nascita
del barbitale e fino agli anni '60 sono stati la prima scelta nel trattamento
dell'ansia e dell'insonnia mentre oggi si utilizzano esclusivamente per
trattare l'epilessia e come anestetici.

La loro struttura è l'acido barbiturico che di per sé non ha effetti psicotropi e


la loro emivita può essere:
• ultrabreve (circa 3 minuti);
• media (circa 24-48 ore);
• lunga (oltre le 48 ore fino a 800 ore).

Sono forti soppressori del sistema nervoso centrale e a dosi eccessive


provocano atassia, letargia, nistagmo, cefalea, parestesia, vertigini e
confusione.

La loro azione sul sistema nervoso può essere così classificata:


stadio 0 = stato soporoso ma responsivo ai comandi verbali;
stadio 1 = stato responsivo al dolore ma non agli stimoli verbali;
stadio 2 = stato non responsivo a qualsiasi stimolo;
stadio 3 = stato non responsivo, assenza di riflessi ma segni vitali intatti;
stadio 4 = stato non responsivo, assenza di riflessi e segni vitali instabili.

Elevate dosi causano shock cardiogeno, cianosi, diminuzione del filtrato


glomerale, ipotermia. In alcuni casi, come tutti gli psicofarmaci, possono
dare effetto paradosso creando allucinazioni e deliri.

Se assunti per 4-8 settimane e interrotti bruscamente generano sindrome da


astinenza caratterizzata da ansia, agitazione, confusione, disturbi cognitivi,
allucinazioni, tremori, atassia, iperiflessia e convulsioni.
Passano facilmente la placenta e raggiungono il feto per cui devono essere
evitati in gravidanza sebbene debbano essere somministrati alle pazienti
epilettiche in gravidanza che si siano dimostrate resistenti ad altri farmaci
anticonvulsivanti.

Non esistono prove a supporto dell'ipotesi che i barbiturici siano teratogeni.

Molecola dell'a. barbiturico


Le benzodiazepine
Le benzodiazepine sono, insieme agli antibiotici, i farmaci più venduti al
mondo e hanno sostituito in buona parte l'uso dei barbiturici, vista la loro
minore quantità di effetti collaterali. Esse, infatti, sono solitamente sicure ed
efficaci nei trattamenti a breve termine, mentre più problematico risulta
l'uso a lungo termine per lo sviluppo della tolleranza e per il rischio
d'instaurazione di una dipendenza fisica e psichica con conseguente
sindrome di astinenza.

Il più comune sistema di classificazione delle benzodiazepine è in base


all'emivita plasmatica:

Benzodiazepine a lunga durata d’azione (emivita > di 48 ore):


• Diazepam (Valium, Ansiolin, Tranquirit, Noan)
• Delorazepam o Clordemetildiazepam (En)
• Nordazepam o Desmetildiazepam (Madar, Stilny)
• Clordiazepossido (Librium)
• Prazepam (Prazene, Trepidan)
• Flurazepam (Dalmadorm, Flunox)
• Clobazam (Frisium)
• Quazepam (Quazium)
• Estazolam (Prosom)
• Halazepam o Alazepam (Paxipam)
• Medazepam (Nobrium)

Benzodiazepine a durata intermedia (24 < emivita < 48 ore):


• Bromazepam (Lexotan, Compendium)
• Clotiazepam (Tienor, Rizen)
• Nitrazepam (Mogadon)
• Flunitrazepam (Darkene, Roipnol)
• Clonazepam (Klonopin, Klonapin, Rivotril)
• Cinolazepam (Gerodorm)
• Estazolam (ProSom, Eurodin)
• Pinazepam (Domar)
• Tofisopam (Emandaxin, Grandaxin)
• Cloxazolam (Lubalix, Sepazon, Olcadil)

Benzodiazepine a breve durata d’azione (emivita < 24 ore):


• Alprazolam (Xanax, Frontal, Valeans, Mialin)

Base della molecola comune a tutte le benzodiazepine


• Lorazepam (Tavor, Control, Lorans, Ativan e Trapax)
• Lormetazepam o Metillorazepam (Noctamid, Minias)
• Oxazepam (Serpax, Limbial)
• Clotiazepam (Rizen, Tienor)
• Ketazolam (Anseren)
• Loprazolam (Dormonoct)
• Temazepam o metiloxazepam (Restoril, Normison, Euhypnos)
• Tetrazepam (Mylostan)
• Camazepam o comazepam (Albego, Limpidon, Paxor)
• Adinazolam (Deracyn)
• Gidazepam

Benzodiazepine a durata d’azione brevissima (1 < emivita < 7 ore):


• Brotizolam (Lendormin)
• Midazolam (Ipnovel, Dormicum)
• Triazolam (Halcion, Songar)
• Etizolam (Depas, Pasaden)
• Doxefazepam (Doxans)
• Zolpidem (Stilnox)

I recettori per le benzodiazepine sono presenti abbondantemente in tutto il


sistema limbico. Le benzodiazepine riducono l'ansia e l'agitazione agendo a
livello dei recettori presenti prevalentemente a livello dell'amigdala, un'area
cerebrale direttamente implicata nel controllo del comportamento emotivo.
La maggior parte di esse aumenta il tempo di latenza tra l'insorgenza del
fuso del sonno ed il primo accenno di sonno REM. Il tempo della fase di
sonno REM è di solito abbreviato.

Le benzodiazepine hanno proprietà ansiolitiche, sedative-ipnotiche,


anticonvulsivanti, miorilassanti ed anestetiche (Busto et al., 1994). Esse se
somministrate oralmente ed a dosi terapeutiche producono una notevole
sedazione e solo raramente atassia (Bresto et al., 1994). Il coma e la morte
per depressione respiratoria sono molto rari e si sono verificate per dosi
elevate (sono necessarie almeno 2 gr di diazepam).
Gli effetti collaterali comprendono sedazione, sonnolenza, confusione
mentale, deficit cognitivi, disorientamento, eloquio lento, disartria, diplopia
ed atassia. Le benzodiazepine, soprattutto se assunte ad alte dosi, inducono
amnesia e confusione mentale. Sono state verificate raramente delle
reazioni allergiche epatotossiche ed ematologiche. L'uso delle
benzodiazepine è assolutamente da sconsigliare agli autisti ed agli addetti
alle macchine ed a tutti coloro che necessitano per ragioni di lavoro di un
livello di attenzione ottimale

La sindrome d'astinenza comprende ansia, insonnia, depressione,


paranoia, depersonalizzazione, atassia, cefalea, spasmi muscolari,
dolori addominali, stipsi o diarrea, anoressia, nausea, vomito,
tremori, ipotensione posturale ed astenia. Durante la crisi
possono slatentizzarsi o aggravarsi molti disturbi affettivi e
disordini di tipo motorio. In soggetti predisposti possono
comparire anche delle convulsioni. In molti casi a seguito della
loro brusca sospensione può comparire una insonnia gravissima.
La durata dell'astinenza dipende da\l'emivita del composto. Per le
benzodiazepine a breve emivita essa è intensa e della durata di 2-
4 giorni e scompare in 4-5 giorni, per quelle a più lunga emivita è
meno intensa e della durata di 4-7 giorni e termina in 7-14 giorni.
Le benzodiazepine sebbene abbiano delle spiccate proprietà
gratificanti solo se assunte senza il controllo medico possono
diventare delle pericolose sostanze d'abuso. Esse vengono, però,
spesso abusate in concomitanza con altre sostanze come l' alcol o
gli oppiacei o per contrastare gli effetti di molecole ad azione
eccitante come la cocaina. L'uso contemporaneo del diazepam e
dell'alprazolam è in grado di potenziare gli effetti euforizzanti
degli oppiacei. Non per questo il loro uso come strumento
terapeutico nel trattamento delle tossicodipendenze deve
eccessivamente preoccupare (Posternak, Muel1er, 2001).

Le benzodiazepine attraversano facilmente la placenta e la loro assunzione


è da sconsigliare nel primo trimestre di gravidanza. Anche successivamente
con il proseguo della gravidanza il loro uso è, comunque, da proibire. L'uso
in gravidanza potrebbe, infatti, determinare una grave sindrome astinenziale
neonatale. Esse passano, inoltre, nel latte materno per cui è preferibile
sospendere la loro assunzione durante l'allattamento.
GLI STEROIDI ANABOLIZZANTI

Gli steroidi sono dei derivati ossidati degli steroli: possiedono il nucleo
sterolico (composto da quattro anelli fusi, tre a sei atomi e uno a cinque),
ma non la catena alchilica. Sono steroidi gli ormoni sessuali (es.
testosterone, diidrotestosterone, estradiolo, progesterone), e gli ormoni
corticosurrenali (ad es., cortisolo, androsterone). Gli steroidi sono
biosintetizzati attraverso la via metabolica dell'acido mevalonico.

Un anabolizzante è una sostanza chimica che aumenta l'anabolismo, ossia


che stimola la formazione di molecole complesse (proteine, lipidi complessi
e polisaccaridi) a partire da molecole semplici (rispettivamente
amminoacidi, acidi grassi e monosaccaridi).

Esempi tipici sono l´insulina, il testosterone, gli steroidi anabolizzanti


(forme chimicamente modificate di testosterone, quali dianabol e
nandrolone) e l'ormone della crescita.

Il fenomeno dell'abuso di steroidi anabolizzanti è comune a tre popolazioni:


• atleti che li usano per migliorare le prestazioni fisiche;
• adolescenti maschi che vogliono migliorare l'aspetto fisico;
• altre categorie quali buttafuori, addetti alla sicurezza e forze
dell'ordine che vogliano aumentare la massa muscolare.

Gli sport con più alta incidenza di steroidi anabolizzanti sono il football
americano, il rugby, il body-building, il sollevamento pesi e la corsa su
brevi distanze.

Il principale principio attivo degli steroidi anabolizzanti è il testosterone e si


dividono in 4 categorie:
1. il testosterone i suoi metaboliti attivi;
2. i derivati 17-a-alchilati del testosterone;
3. i derivati 17-b-esterificati del testosterone;
4. gli analoghi del testosterone.
L'utilizzo di steroidi anabolizzanti porta un aumento del trofismo muscolare
e della forza, incremento di peso corporeo e della percentuale di massa
magra e un miglioramento di ossigenazione periferica. L'uso cronico è
epatotossico e porta peliosi epatica, adenomi epatici e adenocarcinomi.
Inoltre porta gravi scompensi cardiocircolatori, aumento della pressione
arteriosa e gravi squilibri metabolici con un conseguente danno vascolare.
L'uso di steroidi anabolizzantiè fattore di rischio per l'adenocarcinoma
renale di Wilms.

Dal momento che queste sostanze sono simili all'ormone responsabile dello
sviluppo dei caratteri sessuali primari e secondari maschili, chi li assume va
incontro a mascolinizzazione (soprattutto le donne), cioè ad esempio
aumento della massa muscolare, abbassamento della voce ed irsutismo. Nei
maschi dopo assunzione per lunghi periodi può manifestarsi invece
femminizzazione in quanto viene inibita la secrezione di testosterone
endogeno da parte dei testicoli che continuano a liberare solo estrogeni.

Molecola del testosterone

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Le citazioni storiche sono prese da www.wikipedia.it


[1] http://www.drugabuse.gov/drugs-abuse/club-drugs
CAPITOLO X

La dipendenza da sostanze

ANDREAS ACERANTI - ANDREA DE GIORGIO


ANTONIO FERRANTE - SIMONETTA VERNOCCHI

Se ti droghi ti capisco, perché il mondo ti fa schifo;


se non lo fai ti ammiro, perché sei in grado di combatterlo.
Jim Morrison

PERCHÉ SI CADE NELL’USO-ABUSO DI SOSTANZE?

Sono molte le ragioni che possono spingere una persona a volgersi verso
l’uso-abuso di sostanze. La ragione più comune è che le droghe inducono
uno stato euforico o endorfinico che fa sentire meglio, anche se solo
temporaneamente. Sono centinaia le motivazioni che spiegherebbero questo
meccanismo di coping imputabile alle droghe e ogni soggetto ha la più
disparate giustificazioni per assumere una sostanza.

L’assunzione di sostanze d’abuso è finalizzata a calmare lo stato psichico,


dare eccitazione, superare la timidezza o prevenire la solitudine. Possono
fare sentire forti e sicuri fino a consentire di affrontare rischi altrimenti
impensabili. Il loro utilizzo è volto anche a far sentire adeguati in
determinati contesti o ad entrare in modalità party per poter degnamente
celebrare le situazioni in cui si dovrebbe essere socialmente felici.

In medicina i farmaci a base delle comuni droghe (come gli oppiacei)


vengono utilizzati per alleviare il dolore, indurre il sonno, ridurre l’ansia, lo
stress e la rabbia o per combattere la depressione. Possono essere utilizzate
per alterare il desiderio sessuale, aumentandolo o inibendolo, ridurre il peso
e attivare una serie di modificazioni funzionali alla vita.

Molte persone riferiscono che l’uso di droghe è iniziato in risposta a


situazioni stressanti tra i propri pari. Per dirlo in altre parole, non si
sentivano adeguate e le sostanze consentivano una più facile integrazione.
Gli effetti delle droghe non sono elencabili, così come le ragioni per cui si
ricorre ad esse, anche se la più comune è cercare di combattere il senso di
solitudine e reggere alle pressioni della vita. Tuttavia, siamo dell’idea che
questo approccio sia troppo semplicistico, anzi: se il problema fosse questo,
sarebbe già stato risolto da tempo.
Il tema, infatti, non sarebbe l’uso delle sostanze in sé ma, come per tutte le
compulsioni, il circolo vizioso in cui si cade. A seguito della prima
assunzione si inizia dapprima a provare uno stato euforico per poi sentire il
desiderio compulsivo di provarlo nuovamente.

RICONOSCERE L’USO DI SOSTANZE E I PROBLEMI CORRELATI

La dipendenza da sostanze è un nemico molto insidioso e ci si può ritrovare


dipendenti in un brevissimo lasso di tempo, addirittura dopo una singola
assunzione. In un celebre lavoro pubblicato nel 2001 sulla prestigiosa
rivista Nature, i ricercatori hanno dimostrato come una sola assunzione di
cocaina possa produrre modificazioni neurobiologiche tali da indurre
dipendenza.

Tuttavia, nella maggioranza dei casi, i soggetti tendono a negare la


dipendenza, oppure cercano giustificazioni. Il motivo è presto detto: la
risposta innata primaria dell’uomo è quella di difendere sé stessi e i propri
comportamenti. Queste difese, però, sono destinate a crollare. Man mano
che i giorni passano, le difese diventano via-via meno efficaci, le scuse più
frequenti e meno credibili. Le scuse, in particolare, sono finalizzate a
sostenere l’indulgenza che la persona ha verso se stessa e verso il proprio
comportamento, ma questo non fa altro che aumentare stress e tensione
interna. Il tutto si concretizza in affermazioni o pensieri come “Solo un’altra
volta perché è stata una brutta giornata, ma da domani cambia tutto”. Ma, in
verità, non cambierà nulla.
Questo circolo, che abbiamo descritto in modo un po’ sommario, può
perpetrarsi senza limite, poiché la persona, pur essendo vittima di sé stessa,
non sempre è in grado di rendersene conto.

IL POTERE DI ALCOL E NICOTINA

L’alcol è un eccezionale stimolante per il nostro cervello poiché è in grado


di alterarne talmente tanto la biochimica da essere considerato come la
sostanza d’abuso per eccellenza. I motivi sono almeno due: la facile
reperibilità e l’enorme potere di coping dello stress che esso è in grado di
fornire.
Per quanto riguarda la facile reperibilità è presto detto. Nonostante la legge
vieti la vendita di alcolici a minori, questo tipo di norma è sovente evasa.
Inoltre, le sostanze alcoliche sono disponibili in enormi varietà e con
diverse gradazioni (più è alto il grado alcolico, per intenderci la percentuale
che leggiamo sulle etichette, più è tossico ed euforizzante il suo effetto). La
cosa più sorprendente è che gli alcolici, nelle pubblicità, sono proposti in
modo accattivante come bevande leggere, colorate, adatte a tutti e senza
controindicazioni. Solo da pochissimi anni possiamo sentire durante gli spot
la voce “bevi responsabilmente”. Quando va bene, poiché di solito è solo
scritto in sovra-impressione, ma in piccolo. Il risultato è che i giovani, da
una parte attratti dal basso costo dell’alcol e dall’altra dalla sua efficienza
nel coping dello stress, iniziano presto consumo e abuso. Ovviamente c’è
anche una componente sociale poiché l’alcol è un grande aggregatore. È
conviviale, gustoso, economico, attraente. E viene percepito dai più come
meno pericoloso.

Quanto alla tossicità possiamo citare un problema sociale di enorme


rilevanza, ma di scarsa conoscenza: la sindrome feto-alcolica. Questo tipo
di sindrome è un ritardo mentale indotto dall’assunzione di bevande
alcoliche da parte della madre durante la gravidanza. Se smettere di fumare
è consuetudine, oggi, quando si è in stato di gravidanza, smettere di bere
non lo è altrettanto. Eppure, il ritardo mentale da alcol, nel mondo, è il più
diffuso non genetico e questo è già stato definito in un lavoro scientifico
risalente agli anni ‘80. Tuttavia, qualcosa si sta muovendo per sensibilizzare
al problema: se osservate le bottiglie di vino o di birra, piuttosto che un
contenitore contenente bevande alcoliche, potete osservare una donna in
gravidanza con un simbolo di divieto.

Ma cosa accade nel grembo materno durante la gravidanza per quanto


concerne le sostanze ingerite dalla madre?

Ce lo descrive uno dei tanti esperimenti condotti dal mondo scientifico. In


una review vengono descritte le varie modalità attraverso le quali gli esseri
umani possono venire a contatto con l’alcol, uno dei quali è il liquido
amniotico. Gli scienziati hanno voluto verificare se il feto, oltre a ricevere
sostanze per via ematica, è in grado di esserne esposto anche attraverso il
naso e se ad esse può essere sensibilizzato. Per provarlo hanno
somministrato alle donne oltre la nona settimana di gravidanza (cioè,
durante il periodo fetale) delle capsule contenenti aglio ad un gruppo e nulla
ad un altro gruppo. Quando al neonato, esposto all’aglio durante la
gravidanza, venivano avvicinati i liquidi amniotici di altre madri (mai la
propria!) esso volgeva la testa verso il liquido amniotico di una donna che
aveva assunto le capsule contenenti aglio. Questo poiché i piccoli appena
nati dimostrano già di gradire gli odori ai quali sono stati esposti durante il
periodo uterino. Non di meno, è necessario saperne il motivo. Infatti,
durante l’epoca fetale, il feto è solito ingerire una quantità pari a tre-quattro
bicchieri di liquido amniotico al giorno stimolando così i recettori gustativi
e olfattivi. Tutto quanto descritto in precedenza è stato dimostrato anche in
feti esposti ad alcol con un esperimento simile, non somministrando etanolo
alle madri, ma studiando i bambini le cui madri avevano ammesso di aver
bevuto sostanze alcoliche da gestanti. Questo ha una ricaduta, almeno
teorica, importantissima. Se esposto ad alcol durante la maternità, il futuro
nascituro sarà più incline al piacere provocato dall’alcol, ricorrendo al suo
uso (alcuni studi riferiscono un vero e proprio abuso) in epoca
adolescenziale e adulta. Non è forse vero che siamo attratti dagli stessi
alimenti che nostra madre ingerisce durante la gestazione?

La letteratura scientifica ci indica, pertanto, di concerto con


l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che appena una donna sa di
essere in stato interessante deve astenersi dall’assunzione di alcol (oltre che
di fumo e altre sostanze più o meno tossiche, alcuni farmaci compresi).
Sempre la letteratura scientifica, inoltre, ci fornice la conferma che la
gravità del ritardo mentale e delle malformazioni sul futuro nascituro alcol-
correlate sono dipendenti dalla quantità e dal periodo di assunzione durante
i nove mesi di gestazione. Un pessimo consiglio che ancora oggi sono soliti
dare alcuni pediatri alle madri in allattamento è quello di bere birra al fine
di aumentare la montata lattea. Tutto ciò è falso e dannoso. Infatti, non solo
l’alcol non aumenta la montata lattea, ma l’etanolo circolante nel torrente
ematico materno è in grado di trasferirsi al latte con cui il neonato si
alimenterà. L’alcol che “assume” il neonato è dannoso tanto quanto quello
che “assume” il feto, poiché in entrambi i casi il cervello è ancora in fase di
maturazione. La cosa che più stupisce è che le persone non sanno che il
cervello, in particolare la corteccia cerebrale, si modifica per tutta la vita. In
particolare, fino ad oltre i 20 anni d’età, la corteccia prefrontale,
fondamentale per le capacità sociali, per impedire comportamenti sociali
poco consoni, consentire il problem solving e molto altro, è ancora in piena
fase di maturazione. Assunzione di alcol durante l’adolescenza, pertanto, e
qui chiudiamo il cerchio sulla pericolosa reperibilità delle sostanza per i
giovani, è in grado di interferire con la maturazione del cervello.

Venendo alla neurobiologia, invece, l’alcol, rispetto a tutte le altre sostanze


d’abuso, è in grado di mobilitare diversi tipi di neurotrasmettitore. Senza
tediare il lettore con analisi particolareggiate che descrivono l’influenza
dell’alcol sulla struttura nervosa, è però necessario portarne almeno un
esempio.

BIOCHIMICA E NEUROFISIOLOGIA

Dal punto di vista biochimico, l’alcol è, come detto in precedenza, un


potente stimolante. Tra tutti i neurotrasmettitori che l’etanolo è in grado di
“muovere”, esso ha ricadute importanti soprattutto su GABA, glutammato e
dopamina.

L’alcol ha l’altissimo potere di influenzare, già nel brevissimo periodo,


l’attività cerebrale, aumentando il potere inibitorio dato dai recettori del
GABA e riducendo l’attività eccitatoria del glutammato. Agendo sui
recettori del GABA, l’alcol provoca gli effetti di sedazione che ben
conosciamo. Grazie alla soppressione del glutammato, invece, l’alcol può
influenzare la memoria e il problem solving. Tipico è incontrare persone
che dopo la sbornia affermano di non ricordare più nulla. Tuttavia, è di
primaria importanza una precisazione: l’effetto descritto fin qui dato
dall’alcol è da intendersi ad alte dosi; a basse esso tende a inibire l’azione
dei neuroni GABAergici sul sistema dopaminergico, portando così ad una
più elevata produzione dopamina che si traduce in più piacere e più
desiderio di ripetere l’esperienza. Rispetto al glutammato, invece, la
questione è un po’ più complessa. L’alcol ha il potere di occupare i siti di
legame del glutammato con particolari recettori (gli NMDA) che si ritiene
essere responsabili della registrazione delle informazioni mnestiche.

Questo significa che i neuroni, pur eccitabili, non lo sono abbastanza,


poiché il canale NMDA non è in grado di aprirsi e generare le reazioni a
cascata necessarie, in ultima analisi, alla plasticità sinaptica. Questo
meccanismo porta ad una sovraregolazione dei recettori del glutammato,
provocando, in ultima istanza, il nervosismo e l’ansia che si provano
quando non è possibile accedere all’alcol quando desiderato.

Se uniamo le due attività, GABAergica e glutammatergica, alcol-correlate,


possiamo ben comprendere i potenti effetti sedanti (in particolare ad alte
dosi). Non meno importante è la sovraregolazione dei canali NMDA. Essa
conduce ad una ipereccitabilità dei neuroni che si tramuta in un picco di
attivazione del sistema nervoso simpatico. La conseguenza è un eccessivo
nervosismo e tremori agli arti superiori. Si viene quindi a verificare una
sorta di piccola dipendenza ogni volta che l’alcol non è più accessibile.

Inoltre, secondo alcune ricerche scientifiche, c’è una correlazione tra il


metabolismo dell’alcol e quello degli oppiacei. Alcuni intermedi del
metabolismo degli oppiacei sono molto simili ad altri alcaloidi appartenenti
al metabolismo intermedio dell’alcol. Alcol e altri metaboliti sembra si
leghino con preferenza ad uno o più particolari recettori per gli oppioidi e,
per questo motivo, oggi si è inclini a credere che queste sostanze molto
simili alle morfine svolgano un ruolo essenziale nell’avviare e predisporre i
soggetti all’abuso e alla dipendenza da alcol.
L’alcol, ancora, non agisce solo sulla parte filogeneticamente più recente
del nostro cervello (la corteccia cerebrale), ma anche su strutture più
arcaiche. A parte i già citati circuiti che rilasciano neurotrasmettitori, che
derivano da aree profonde e arcaiche del cervello, una parte molto
importante che l’alcol è in grado di influenzare è il cosiddetto striato. Lo
striato è un ganglio della base, famiglia di nuclei di sostanza grigia
sottocorticale, definibile come la porta d’ingresso ai circuiti a loop che essi
formano con la corteccia (corteccia cerebrale-gangli della base-corteccia
cerebrale). Queste strutture sono fondamentali per la nostra motricità e per
alcuni dei nostri comportamenti cognitivi. È stato dimostrato una cosa per
certi versi curiosa, per altri inquietante. Per spiegarla dobbiamo prima
capire qual è la funzione dei gangli della base. Pensiamo alla complessità
dei nostri atti motori. Sovente li diamo per scontati, ma basta osservare un
bimbo piccolo oppure un malato di Parkinson, Huntington o Tourette (tutte
malattie che affliggono queste strutture sottocorticali) per comprendere
quanto il sistema motorio sia complesso e raffinato. Ora, in particolare,
proviamo a far mente locale sul gesto di prendere una bottiglia d’acqua
posta sul tavolo.

Ci sembra banale e, forse, lo è.

Ma non lo è così tanto da un punto di vista neurofisiologico. Senza tediare il


lettore con estenuanti spiegazioni (seppur affascinanti a giudizio di chi vi
scrive!), è sufficiente in questa sede dire che per prendere una bottiglia
servono almeno quattro elementi che costituiscono l’atto motorio:
coordinazione, temporizzazione nell’attivazione dei segmenti motori, forza
e finezza del movimento. Ecco, le ultime due caratteristiche sono
appannaggio dei gangli della base. Essi si attivano poco prima che il
movimento abbia genesi, definendo quale sarà la forza da applicare e la
finezza del movimento da mettere in campo rispetto all’oggetto che stiamo
osservando e col quale vogliamo interagire.

Cosa c’entra tutto questo con l’alcol?

È presto detto: in un esperimento attraverso risonanza magnetica


funzionale, è stato mostrato un bicchiere di vino a soggetti alcolisti e a
soggetti di controllo (bevitori sporadici o astemi) e sono state registrate le
attivazioni cerebrali. Alla sola vista del bicchiere di vino, gli alcolisti
dimostravano una più alta attivazione dello striato. Gli autori hanno
concluso che questa attivazione è correlabile con il forte desiderio,
naturalmente veicolato dal sistema motorio, potremmo azzardare “craving
motorio”, che porta questi soggetti a desiderare di afferrare il bicchiere al
fine di bere. Questo non deve stupire. È stato infatti dimostrato dalla
letteratura scientifica che anche le “piccole ossessioni compulsive” come,
ad esempio, il dover tornare a verificare che l’auto sia effettivamente
chiusa, hanno una stretta correlazione con lo striato. Il punto è che la non
soddisfazione del desiderio, del bisogno, del pensiero di aver o meno chiuso
l’auto, porta ad un aumento dell’ansia. Essa si scarica solo attraverso la
soddisfazione del bisogno, come andare a controllare fisicamente che la
vettura sia stata chiusa e, quindi, attraverso l’atto motorio. Ecco, negli
alcolisti accadono queste cose. Da una parte c’è il desiderio di bere per
soddisfare un piacere cerebrale dovuto alla sostanza, dall’altro il dover
espletare un atto motorio che ha il fine di scaricare un’ansia provocata, tra
le altre strutture implicate, anche da un’attivazione striatale.

Il craving, che abbiamo poc’anzi citato, altro non è che uno sbilanciamento
dei neurotrasmettitori, il che generalmente si identifica col fatto che la
persona ha bassi livelli di una o più di queste molecole. Siccome l’alcol è in
grado di aumentare il livello di differenti neurotrasmettitori (che peraltro
possono differire nella concentrazione da persona a persona a causa
genetica, ambientale ed esperienziale), è difficile dire quale sia la molecola
di cui una data persona ha bisogno. A prescindere da quale
neurotrasmettitore parliamo, l’alcol ha buone probabilità di rialzarlo.
Ma se l’alcol ha un forte potere euforizzante ha anche l’esatto opposto,
quello deprimente. Basta astenersi dal bere per un giorno o due ed i livelli
di neurotrasmettitore circolante crollano ben al di sotto dei livelli normali
che avevano prima che la persona iniziasse a bere. A questo punto il
soggetto è depresso e lo rimarrà per alcune settimane, almeno fin quando
l’equilibrio di un dato neurotrasmettitore non sarà ripristinato. Per essere
più chiari, generalmente, se non ci sono gravi compromissioni, sono
necessarie tre-quattro settimane perché gli equilibri si ristabiliscano. Questo
è possibile anche senza intervento farmacologico, perché ha un forte potere
disintossicante ed autoregolatore grazie alla sua plasticità intrinseca. Ecco
perché in molti paesi esistono programmi di recupero di 28 giorni.
LA DROGA E IL SUO COMPLICE

Se avete mai partecipato ad un incontro degli Alcolisti Anonimi o simili


avrete notato che la maggior parte delle persone presenti fumano sigarette
ad ogni occasione e ad ogni pausa. E va avanti così da trenta o quaranta
anni. Molte persone, purtroppo tra queste ci sono anche terapeuti e
specialisti, non comprendono a fondo l‘associazione tra nicotina e alcol nel
trattamento delle dipendenze da sostanze. Sarebbe facile, per un profano o
per qualcuno propenso al giudizio, concludere superficialmente che essendo
persone dipendenti hanno necessariamente qualche problema, se non è
l’alcol è la sigaretta. In realtà, quando comprendiamo come i sistemi di
neurotrasmissione lavorano insieme e capiamo come si influenzino a
vicenda, ci rendiamo conto che la predisposizione alla dipendenza non
deriva solo dalla volontà. È in questo momento che diventa evidente che il
problema reale non ha nulla a che fare con le debolezze personali.

L’effetto dell’alcol su più sistemi di neurotrasmissione trova perfetto


complemento nella nicotina, un forte stimolante di altri tre sistemi:
colinergico, noradrenergico e dopaminergico. Se mettiamo insieme gli
effetti combinati di alcol e nicotina abbiamo otto sistemi (gli otto principali,
guarda caso) che vengono fortemente stimolati.
A questo punto, anche il lettore meno erudito sulle neuroscienze
comprenderà quanto sia difficile, ma non impossibile, per un alcolista
smettere di bere e di fumare contemporaneamente. Interrompere la
stimolazione contemporanea di otto sistemi genera uno forte stress per il
cervello. È quindi comprensibile perché quando un paziente cerca di uscire
dall’alcolismo cada nel tabagismo. Smettere di stimolare cinque sistemi
anziché otto rende la transizione più facile da sopportare.

Sia ben chiaro che con questo non si vuole né assolvere né promuovere il
tabagismo o l’uso di nicotina, considerando che è una sostanza a dir poco
pericolosa. Al mondo si contano oltre un miliardo di fumatori che fumano
circa sei mila miliardi di sigarette all’anno (quindi, in media, ogni fumatore
consuma circa 6.5kg/anno di tabacco, con un consumo medio di 1.600
sigarette /anno). Queste cifre sono in aumento, non solo nel terzo mondo
dove dal 1970 il consumo di tabacco è cresciuto del 67%, ma anche in tutto
il mondo industrializzato. Il nuovo obiettivo dei produttori di sigarette
rimane il mercato cinese, dove trecento milioni di fumatori consumano
1.880 miliardi di sigarette all’anno. Un fumatore su quattro è cinese e il
numero dei tabagisti in Cina sta aumentando esponenzialmente.

Secondo l’OMS le sigarette sono la causa del 20% delle morti nei Paesi
sviluppati, oltre ad essere causa del 90-95% dei tumori polmonari, l’80-
85% delle bronchiti croniche ed enfisema polmonare, il 20-25% dei disturbi
cardiovascolari.

Sono numeri da olocausto: il fumo è la principale causa di mortalità! Ogni


anno nel mondo a causa della sigaretta perdono la vita circa tre milioni di
persone.
Attualmente in Italia il fumo causa 75/80.000 morti all’anno:
- circa 39.000 per cancro.
- circa 13.000 per malattie respiratorie croniche
- 22.000 per malattie cardiovascolari

NICOTINA E ACETILCOLINA

L’acetilcolina è uno dei neurotrasmettitori associati ai recettori nAChR. Le


ricerche sui meccanismi dei recettori della nicotine si sprecano. Esistono 12
sottotipi di nAChRs all’interno del sistema di neurotrasmissione. Si trovano
nel talamo, nella corteccia cerebrale, nell’ippocampo, nei gangli basali e nel
cervelletto. L’acetilcolina è un ligando endogeno di questo sistema. Quando
i recettori nAChRs vengono attivati si ha un susseguente rilascio di
norepinefrine (NE), di serotonina (5-HT) e di dopamina (DA). Qualcuno
sostiene che vengano rilasciati anche i peptidi oppioidi. Inoltre sappiamo
che i recettori acetilcolinici sono responsabili di diverse attivazioni
neurochimiche. Molti alcolisti fumano sigarette a causa dell’attivazione
multipla dei sistemi di neurotrasmissione. Ma, anche nel caso della nicotina,
come per tutti gli altri sistemi e tutte le altre sostanze, prima o poi arriva
l’assuefazione. Se uno aumenta l’assunzione di nicotina, presto o tardi i
recettori si “scompensano” o si disattivano e questo richiede sempre più
nicotine perché si riattivino o tornino in “compenso”.
Chi fa uso di sigarette ne sperimenta gli effetti positivi come l’aumento
delle funzioni cognitive e nelle associazioni cognitive così come un
aumento della quantità della memoria funzionante e un aumento della
capacità di concentrazione. I benefici si estendono anche a chi soffre di
malattie psichiatriche. Gli schizofrenici, ad esempio, hanno un aumento
della memoria; i bipolari un innalzamento dell’umore. Fumare, a un certo
livello, combatte la depressione attraverso la stimolazione di dopamina e
serotonina secondari all’attivazione dei recettori nAChR.

È facile quindi capire perché sia così difficile smettere di bere e di fumare.

ABBANDONARE LA NICOTINA

Attraverso l’aumento della dopamina e della serotonina, la nicotina svolge


un’azione antidepressiva, infatti pensieri suicidari e depressione sono
comuni tra i fumatori che smettono di colpo di fumare. Ma questa non è
comunque una buona scusa per continuare a fumare. Infatti, almeno nel
primo periodo di astinenza, è possibile intervenire con farmaci che sedino i
sintomi dell’astinenza finché questa non termina.

Il bupropione (principio attivo del Wellbutrin e dello Zyban) è un


antidepressivo molto utile in questi casi che sortisce buoni effetti per
contrastare l’astinenza da fumo, così come il Chantix; questo perché
entrambi agiscono sui recettori alfa4beta2 sortendo un effetto simile alla
nicotina.
COME FUNZIONA E COME VIENE ALTERATA LA MEMORIA

Noi facciamo affidamento sulla memoria per compiere i gesti anche più
semplici nella nostra vita quotidiana.

Ma sia la memoria a breve termine sia quella a lungo termine giocano un


ruolo fondamentale nel determinare come noi comprendiamo ciò che ci
accade intorno e come sperimentiamo la vita. La maggior parte delle nostre
memorie sono collegate ad immagini. Ad esempio, se qualcuno vi chiedesse
l’indirizzo della casa in cui abitavate da bambini, la prima cosa che vi
verrebbe in mente è un’immagine della casa e/o della via. Noi conserviamo
una parte enorme di queste immagini nel nostro lobo temporale, che
funziona un po’ come il nostro “disco di memoria”. Qui, infatti,
immagazziniamo i dati puri (come ad esempio l’indirizzo esatto) e le
immagini ad esso correlate.

Il nostro fascio mediale prefrontale è responsabile di creare le memorie e


richiamarle al bisogno. Processa le informazioni raccolte dall’esterno e
sistema sia le immagini sia i dati nel lobo temporale. Questa abilità,
purtroppo, è spesso data dalla maggior parte delle persone per scontata,
poiché le informazioni vanno e vengono al e dal lobo temporale milioni di
volte ogni minuto. Quando vediamo qualcosa e la guardiamo, la
visualizziamo, la immaginiamo e quindi usiamo informazioni passate e
presenti per realizzare che immagine sia e cosa rappresenti.

La più grande differenza tra il nostro “processore interno” e quello di un


computer è che noi proviamo emozioni e sentimenti, il computer no. E
come abbiamo visto in parte in quest’opera, in parte nella nostra opera
precedente “Stelle e Stalle” le emozioni e i sentimenti sono controllati da
una serie e di meccanismi ormonali e di neurotrasmissione che portano nel
nostro cervello delle modificazioni a cui i processori meccanici non sono
sottoposti.

Il cervello è dinamico e neuroplastico, si adatta, cambia, migliora, ma ha


anche la capacità di alterare quello che vediamo e come lo vediamo. C’è un
nucleo, una sorta di timone, chiamato pleasure pathway (letteralmente il
“percorso del piacere”) e che si trova nel fascio mediale prefrontale; è qui
che si trovano molti dei nuclei di neurotrasmissione come il Locus
coeruleus e l’area tegmentale ventrale. Anche il nucleus accumbens
contiene quantità significative di dopamina e di oppiati.

Cambiando i livelli di questi neurotrasmettitori, le droghe e l’alcol hanno il


potere di alterare le nostre memorie. Riescono a farlo interferendo col
pleasure pathway che regola il fascio mediale prefrontale, per cui quando
una persona è sotto l’influenza dell’alcol o di una droga e riceve
un’immagine o vive una determinata esperienza col mondo esterno, le
informazioni, come abbiamo visto vanno al fascio mediale prefrontale per
essere poi immagazzinate nel lobo temporale, ma poiché il fascio mediale
prefrontale è alterato dall’alcol o dalla droga l’esperienza o l’immagine
verrà distorta, filtrata, e la memoria che verrà inviata al lobo temporale sarà
irrimediabilmente alterata.

FLASHBACK E BLACKOUT

L’effetto sia del bere alcol sia del fare uso di oppiacei fino a svenire è
devastante su diversi livelli. Quando in una persona i livelli di alcol nel
sangue raggiungono tra lo 0.24 e 0.30, l’abilità del cervello di codificare le
memorie viene alterata e le memoria si frammenta. I livelli di alcol nel
sangue salgono e scendono come le maree durante il ciclo lunare. Le cose
cha accadono quando la “marea” è bassa vengono ricordate, mentre quelle
che accadono quando c’è “l’alta marea” non vengono registrate. E questo
dà, come risultato, una memoria frammentata.

Il blackout (o svenimento) non solo danneggia la capacità del cervello di


registrare le memorie in modo accurato nel lobo temporale ma può portare
anche al fenomeno noto come flashback. Durante un blackout o uno stato
vicino al blackout quasi la metà delle percezioni che una normale persona
non alterata da una sostanza sperimenterebbe in quel momento, può andar
persa. Quelli che sostengono di non riuscire a ricordare cosa sia accaduto
prima del blackout, letteralmente non riescono, o meglio, non possono,
ricordare perché le informazioni relative a quel momento non sono state
registrate nel lobo temporale come avrebbero dovuto. L’intossicazione al
punto di blackout lascia le memorie della persona, praticamente a brandelli,
perché questo è quello che viene registrato nel lobo temporale: brandelli.

I soggetti che fanno uso regolare di alcol e di oppiacei fino al blackout a


volte soffrono di episodi di timore o paura immotivati ed inspiegabili, a cui
alcuni si riferiscono come flashback. Questo avviene soprattutto quando
cercano di uscire dalla dipendenza. Improvvisamente la persona si ritrova
ad essere timorosa e impaurita senza che nemmeno lei sia cosciente di cosa,
nell’ambiente circostante, abbia innescato questa paura. A volte qualcosa
nell’ambiente circostante funge da scintilla e fa emergere la memoria del
soggetto, memoria di qualcosa di brutto o doloroso accaduto durante la fase
di intossicazione. Ma poiché, come abbiamo detto, i blackout permettono la
registrazione solo parziale di immagini e memorie, quando i dati incompleti
tornano alla mente, la persona non è in grado di fare le giuste associazioni e
determinare la causa che genera la paura. L’unica cosa impressa nel lobo
temporale era qualcosa di temibile, che genera paura ma la persona non è in
grado di identificare cosa causi la paura che sta provando in quel
determinato momento.

Il miglior modo per aiutare una persona che stia sperimentando questi
flashback è cercare di portarli a comprendere che non ci sono pericoli
imminenti. Come prima cosa devono riconoscere il proprio stato di paura.
Devono cercare di analizzare l’ambiente circostante per determinare cosa
abbia scatenato questo loro stato di timore, paura o, nei casi peggiori,
l’attacco di panico.

DATI ALTERATI SIGNIFICANO MEMORIE INACCURATE

Al fine di funzionare in modo corretto abbiamo bisogno di memorie


accurate e dati validi. Quando il cervello è sotto l’influenza dell’alcol o
delle droghe, queste sostanze alterano i filtri dei nostri sensi e della nostra
coscienza come abbiamo visto, i dati registrati nel lobo temporale diventano
inaffidabili. Basandoci su dati sbagliati non possiamo avere alcuna certezza
di ciò che sia vero e cosa non lo sia.

La cocaina e le metanfetamine sono infide nei loro effetti per come


agiscono sul nostro fascio mediale prefrontale. Quando le persone fanno
uso di queste droghe, la quantità di dopamina che si concentra nel Locus
coeruleus è significativa e questo modula il cervello in un certo modo, e le
immagini che percepiamo sono distorte.
Un soggetto sotto effetto di un’alta dose di cocaina o metanfetamina diventa
bizzarro e può diventare paranoide, sviluppa un timore (direi giustificato!)
delle forze dell’ordine ma temono pedinamenti e imboscate, diventa
sospettoso e insicuro dell’ambiente circostante. Si trova, quindi, non solo in
un mondo irreale e in una falsa realtà, ma sta anche registrando e stoccando
dati nella memoria che verranno utilizzati in seguiti in modo a dir poco
bizzarri ed inaffidabili vista l’erroneità dei dati stessi.
VITTIME DEGLI OPPIACEI

Sempre di più negli ultimi anni l’uso degli oppiacei e degli oppiodi si è
diffuso per il trattamento dei dolori. Farmaci morfinoidi, metadone,
tramadolo, ossicodone, idrocodone, fentanil possono portare velocemente
alla dipendenza e all’abuso e nessuno ne è immune. La morfina e la codeina
derivano dall’oppio, ma in farmacologia si usano sostanze di sintesi
chimica.

Il trattamento del dolore


Il nostro corpo produce beta-endorfine, l’oppioide più potente al mondo,
prodotte dalla nostra ipofisi. Il nostro organismo produce sempre le
molecole giuste per attivare i recettori necessari e, quindi, queste beta-
endorfine sono lo strumento migliore per stimolare il nostro sistema
oppioidergico.

L’utilizzo degli oppioidi sopprime la produzione endogena di beta-


endorfine, produzione che non torna a livelli standard se non dopo 4-6
settimane da quando si smette di assumerli. Ma la domanda che potremmo
porci è: se le nostre beta-endorfine endogene sono così potenti, perché
molte persone devono fare ricorso a farmaci e droghe oppiodi col rischio di
diventarne dipendenti? La risposta non è semplice come potrebbe sembrare.

L’utilizzo degli oppioidi in medicina è cosa buona e giusta. Persone affetta


da malattie particolari, come i cancro ad esempio, che portano dolori ossei
devono essere aiutati coi farmaci a controllare il dolore. Il problema nasce
non quando la persona ha bisogno di aiuto per controllare lo stato algico (il
dolore) ma quando questo si è risolto e la persona dovrebbe smettere di far
uso dei farmaci. Quando il paziente cerca di smettere di assumere questi
farmaci entrano in astinenza e diventa per loro impossibile determinare se i
dolori che provano sono dati da una riacutizzazione della situazione
precedente o dall’astinenza in sé. Fortunatamente molti pazienti si
accorgono da soli di essere sulla strada della dipendenza e sono pronti ad
affrontare le conseguenze dell’astinenza. Spesso affrontano la nuova
situazione coscienti del fatto che il dolore che provano durante la
disintossicazione è tollerabile anche senza farmaci paragonato a quello
precedente. Tuttavia, altri pazienti non riescono a differenziare il dolore
poiché uno dei sintomi dell’astinenza da oppioidi è l’intensificazione di tutti
i dolori, ma una volta che il processo di disintossicazione è terminato gli
effetti cessano.

Dipendenza incrociata: alcol e sistema oppioidergico


Gli oppiacei sopprimono il craving da alcol. E’ facile trovare alcolisti che
sostituiscono l’alcol con gli oppiacei. In linguaggio tecnico chiamiamo
questa dinamica dipendenza incrociata ed è il risultato del fatto che il
consumo massiccio di alcol e l’abuso di oppioidi sortiscono un effetto
comune: un euforico rialzo della dopamina.

Molti abbandonano l’alcol e passano agli oppiacei direttamente all’eroina.


Dal punto di vista sociale esistono diverse ragioni per questo fenomeno, la
più ovvia è che la dipendenza da oppiacei è più facile da nascondere. A
nessuno fa piacere puzzare d’alcol. L’abuso d’alcol ha una serie di segni
negativi e sintomi evidenti quali l’alitosi, la bocca impastata, eloquio
farfugliante. E’ facile rendersi conto se un alcolista continua a bere o meno.
Se un alcolista, però, prova gli oppiacei, si ritroverà con sintomi simili che
possono essere ottenuti senza i segni negativi ed è questa la ragione
principale del perché si ha il passaggio da alcol agli oppiacei.

In pratica accade che l’uso di oppiacei risulta in un effetto simile, a livello


dei neurotrasmettitori, dell’abuso di alcol. Il sistema oppioidergico ha forti
connessioni con gli altri sistemi, specialmente con quello GABAergico. Il
sistema oppioidergico il più potente tra tutti i sistemi di neurotrasmissione
involti nell’abuso di alcol; domina ed influenza tutti gli altri sistemi. Per
cui, essenzialmente, l’uso di oppiacei non solo stimola il sistema
oppioidergico ma finisce anche con lo stimolare gli altri sistemi, tra cui gli
altri cinque che vengono stimolati anche dall’alcol.

Gli effetti devastanti dell’abuso di oppiacei


Gli oppiacei distruggono la capacità dell’individuo di interagire con la
realtà. La vita è una lotta ed ogni giorno dobbiamo affrontare cose belle e
cose brutte. Dopo aver sperimentato lo stato euforico indotto dagli oppiacei,
la realtà a cui si torna è sempre meno attraente e sempre più difficile, e
questo distrugge la capacità della persona di affrontare la vita in modo
funzionale. Purtroppo raramente la persona comprende perché avverta il
desiderio costante di stare sempre meglio ed essere sempre più carica. La
ragione è perché è stata condizionata e sentirsi “normale” non è più uno
stato soddisfacente. Questo perché, in pratica, la persona è stata esposta ad
un ripetuto condizionamento ed ogni volta la dose era mirata a farla stare
meglio. Non importa quando bene stesse al momento dell’assunzione del
farmaco. Sebbene essere “normali” sia uno stato più che accettabile per chi
non fa uso di droghe, la sensazione di euforia diventa il nuovo stato “base”
per chi assume droghe. Il problema degli oppiacei è che anche dopo essersi
disintossicati, gli abusanti fanno riferimento allo stato di euforia come
“normale”.

L’uso di oppiacei ha un effetto anche sugli ormoni. Ad esempio, alte dosi


sopprimono il sistema di autoregolazione situato nel cervello e inibiscono la
produzione di testosterone nell’uomo.

Ma non finisce qui. Gli oppiacei hanno anche una serie di altri effetti tra cui
ridurre la capacità della persona di vedere i colori tanto quanto di alterarne
la memoria. Riducono i riflessi, aumentano gli incidenti riducono la
capacità di percezione del bello riducono significativamente la capacità di
notare i sorrisi sui volti altrui.

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CAPITOLO XI

Tecniche e strumenti riabilitativi

ANTONIO FERRANTE

Quando un bambino capisce che gli adulti sono imperfetti,


diventa adolescente.
Quando li perdona, diventa adulto.
Quando perdona se stesso, diventa saggio.
Alden Nowlan

Il processo diagnostico delle dipendenze prevede che si debbano prendere


in considerazione una serie di aree di valutazione, utilizzando anche
strumenti standard per l’inquadramento diagnostico, la stadiazione e la
valutazione dello stadio del cambiamento.

La prima area di valutazione è quella dello stato di salute e delle


caratteristiche del paziente, prendendo in considerazione il sesso, l’età e
tutto ciò che può comportare un diverso rischio di espressione per le
dipendenze. Un’anamnesi medica e psicologica risulta importante per
valutare l’esistenza di eventuali problematiche di base che potrebbero
complicare ulteriormente il quadro comportamentale.
La seconda area di valutazione riguarda l’analisi dei fattori di vulnerabilità
e di resilienza e la ricostruzione della storia pregressa di gioco d’azzardo
(inizio ed evoluzione) del paziente relativamente all’età di inizio e alle
modalità con cui si è svolto ed è progredito il percorso da occasionale, ad
abitudine, a dipendenza. Risulta fondamentale in questa fase focalizzare
bene anche la presenza di eventuale familiarità verso questa patologia e/o
patologie psichiatriche o uso di sostanze. Importante è anche valutare
l’esistenza di pregressi periodi di astinenza, la loro durata e la motivazione
reale, valutandone anche la correlazione con la situazione finanziaria del
giocatore[1].
La terza area è quella della valutazione del comportamento attuale al fine di
determinare esattamente l’indice di gravità, partendo dall’oggettivazione
della frequenza, dal grado di compulsività, dalla tipologia di espedienti
utilizzati, dal volume di spesa mensile dedicato alla compulsione, dal grado
di focalizzazione cognitivo-comportamentale che il quadro generale crea
inibendo altre fonti di gratificazione e socializzazione. Dipende anche dal
tempo dedicato giornalmente alla dipendenza e dalla durata di questa
situazione patologica per valutarne il grado di cronicizzazione. L’affidarsi al
solo parametro della “frequenza” per diagnosticare la forma patologica
sembrerebbe non essere esaustivo. E’ possibile infatti classificare il
dipendente (soprattutto i GAP) come patologico anche quando questo
indulga nella compulsione una sola volta al mese. E’ l’insieme dei fattori e
delle circostanze che riesce a far distinguere una situazione problematica a
da una patologica, sulla base dei criteri del DSM. Risulta fondamentale,
inoltre, formulare una valutazione sulla stadiazione del paziente, utilizzando
strumenti standard, quali possono essere i criteri del DSM IV, il
questionario SOGS, compreso il SOGSRA specifico per gli adolescenti,
l'NPI e i criteri ICD10.

Nell’approcciare la cura e la riabilitazione di questi pazienti, è necessario


tenere in considerazione che gli interventi, per essere efficaci, dovrebbero
agire su due livelli in maniera integrata: il primo livello riguarda le funzioni
cognitive e quindi la mente, al fine di poter meglio controllare i disordini
comportamentali; il secondo livello riguarda le neurostrutture e la
compresenza di patologie psichiatriche che possono trarre a volte un
beneficio da contemporanei e integrati interventi farmacologici di supporto
agli interventi psicologici e socio-ambientali. La letteratura scientifica
sull’argomento riporta una serie di studi randomizzati pubblicati sui
trattamenti cognitivi e comportamentali che sono risultati in assoluto più
efficaci per la cura e la riabilitazione di questi disturbi.

La richiesta di aiuto da parte del paziente è il primo importante passo per


poter iniziare un percorso di cura e riabilitazione. Come abbiamo visto,
queste persone maturano tardivamente la consapevolezza del problema e
molto spesso la motivazione al cambiamento comportamentale risente poco
dei fattori deterrenti esterni quali la conflittualità con i familiari o le
problematiche legali legate all’indebitamento, alla socializzazione, alla
negazione e così via. Questi fattori comunque possono essere importanti per
sviluppare l’iniziale impulso al cambiamento.

Alcuni studi hanno indagato la richiesta d’aiuto degli adolescenti in caso di


dipendenza da gioco d’azzardo. Gli studenti hanno riferito che avrebbero
consultato, nell’ordine, gli amici, i counsellor (della scuola), i familiari e il
personale scolastico[2] . Alcune ricerche di un recente passato[3]
evidenziavano come gli adolescenti con problemi di gioco avevano
difficoltà a presentarsi per il trattamento, evidenziando i seguenti fattori:
mancanza di servizi adeguati e amici e/o parenti che cercano di tamponare
la situazione, rimandando la domanda di aiuto. Un’analisi dei servizi di
auto-aiuto riferisce una percentuale molto bassa di richieste di aiuto da parte
dei giovani[4].

Le opzioni di intervento finalizzate alla riabilitazione possono essere


molteplici e devono prendere in considerazione la cessazione dell'attività
compulsiva (evitando anche i minimi stimoli e qualsiasi tipo di
"tentazione"), il counseling individuale, il trattamento ambulatoriale (di
gruppo o individuale), e/o i programmi residenziali nei casi più gravi, ma
anche la gestione della comorbilità psichiatrica, se presente, e la gestione
della dipendenza da sostanze. Ovviamente, i trattamenti devono essere
personalizzati sulla base delle caratteristiche del paziente e delle sue
aspettative.

Negli anziani, in particolare, è necessario tenere in considerazione alcuni


principi di trattamento specifici che consistono nell’evitare gli stimoli e la
frequentazione di altri dipendenti, ma soprattutto trovare attività di
intrattenimento alternative (antinoia) e socializzanti. Oltre al counseling,
trattamenti farmacologici dell’ansia e della depressione sono indicati, ove
presenti, per correggere credenze, convinzioni, atteggiamenti e aspettative
errate (sviluppo di consapevolezza). A questo proposito si sono dimostrati
molto utili e ben accettati gruppi di auto-aiuto (giocatori anonimi, alcolisti
anonimi, ecc.) che hanno anche un buon effetto socializzante.

Per quanto riguarda le terapie cognitivo-comportamentali[5], è necessario


tenere in considerazione il presupposto che il gioco d’azzardo patologico è
il risultato di fattori cognitivi (credenze, atteggiamenti negativi relativi al
controllo, la fortuna, la previsione e il caso) e comportamenti errati espressi
dal paziente. Lo scopo delle terapie, in particolare, deve essere quello di
identificare e tentare di cambiare le distorsioni cognitive agendo su due
fronti: quello cognitivo e quello comportamentale.

Esistono vari tipi di terapie cognitivo-comportamentali che possono essere


utilizzate[6]:
• Terapia cognitiva
• Approcci cognitivo comportamentali
• Interventi brevi
• Tecniche di avversione comportamentale e desensibilizzazione
• Gruppi di auto-aiuto
• Approcci focalizzati:
• Auto-esclusione
• Consulenza finanziaria

Per quanto riguarda la terapia cognitiva, essa trova giustificazione partendo


dall’osservazione che più del 70% dei pensieri associati alla dipendenza
sono irrazionali[7]. Essa, quindi, focalizza la propria azione sui pensieri e le
credenze del paziente in quanto questo rappresenta la base cognitiva su cui
il paziente poi struttura comportamenti patologici.

E’ necessario conoscere gli errori cognitivo-comportamentali più frequenti


nei dipendenti riscontrati durante le attività cliniche.
Tutto questo al fine di poter meglio centrare gli interventi proprio in
relazione alle esperienze cliniche già registrate.

Nelle tecniche di terapia cognitiva più in uso, gli interventi principali sono
fondamentalmente quattro:
1. Interventi di tipo educativo
2. Aumento della consapevolezza sugli errori cognitivi
3. Sviluppo di dubbio sulla validità di pensieri irrazionali e credenze
4. Ristrutturazione cognitiva

In aggiunta, si sono dimostrati efficaci e sinergici l’addestramento alla


soluzione dei problemi, gli interventi per rafforzare le social skills e la
prevenzione delle recidive.

Per quanto riguarda gli interventi di tipo educativo, essi partono dalla
constatazione del problema della mancanza di consapevolezza della natura
casuale del gioco d’azzardo. L’obiettivo, quindi, in questo caso, è quello di
insegnare che ogni risultato è indipendente dalla volontà del soggetto a
prescindere da ogni apparente associazione (es. dadi, slot machine, ecc.).
Per quanto riguarda l’aumento della consapevolezza sugli errori cognitivi[8]
l’obiettivo è quello di fornire informazioni di base sulla dipendenza,
correggere le percezioni errate con un approccio “socratico” basato su
domande semplici per portare alla luce gli errori cognitivi.

In relazione allo sviluppo del dubbio sulla validità di pensieri irrazionali, e


quindi il voler rimuovere le credenze, l’obiettivo da porsi è quello di
discutere con il paziente in forma dubitativa i suoi comportamenti,
confutare le sue errate convinzioni con domande e non con affermazioni
perentorie, mostrando inoltre una posizione interessata e collaborativa, ma
fornendo costantemente dati di realtà.

Per quanto riguarda la ristrutturazione cognitiva, che si pone l’obiettivo di


affrontare il problema delle convinzioni e dell’impulso alla compulsione, è
indispensabile insegnare al paziente ad interiorizzare, auto-monitorare e
comprendere l’azione della dipendenza, gli impulsi, il craving.
E’ necessario inoltre che il soggetto sappia identificare autonomamente i
fattori scatenanti, la sequenza degli eventi che portano all'azione, le
convinzioni irrazionali.

Per quanto riguarda gli approcci cognitivo-comportamentali, questo tipo di


interventi focalizza contemporaneamente l’attenzione sia sui “pensieri”, sia
sui “comportamenti”, applicando quindi un modello integrato che risulta
particolarmente efficace.

L’approccio cognitivo-comportamentale agisce sul controllo degli stimoli


che vengono associati alla dipendenza e si pone come obiettivo principale
quello di rinforzare la capacità di coping per la prevenzione delle recidive.
Questo approccio parte dall’assunto che gli stimoli scatenanti, siano essi
interni o esterni, portano ad un’attivazione del sistema nervoso autonomo
con una successiva attivazione dei pensieri compulsivi sulla base dei quali
si attiva un bisogno impellente di attuare la compulsione, cioè una
situazione di craving, che porta al comportamento compulsivo con recidive
frequenti. Contemporaneamente, il deficit del controllo dell’impulsività
connotato da una scarsa attività di coping e controllo prefrontale, da scarse
capacità di problem solving, da incapacità di rimandare la gratificazione e
una scarsa flessibilità nel rielaborare le proprie convinzioni, creano quindi
una situazione patologica su cui gli approcci cognitivo comportamentali
possono intervenire.

La tecnica cognitivo-comportamentale prevede 3 importanti step


sequenziali.
Il primo è quello dell’analisi funzionale, eseguita insieme al paziente, dei
fattori e delle conseguenze positive e negative del gioco e delle possibili
soluzioni. Normalmente, si prendono in considerazione i singoli episodi di
compulsione analizzandoli con una ricostruzione mnesica, tentando di
identificare con il soggetto quali possono essere stati per lui i fattori
scatenanti il primo impulso che ha portato, quindi, ad esprimere il
comportamento patologico. Molti pazienti hanno riferito che questi fattori
sono spesso rappresentati dall’immediata disponibilità di denaro che si ha
quando viene ritirato lo stipendio contante, dal troppo tempo libero non
strutturato, dai conflitti e dai problemi interpersonali, dalla noia, dai
sentimenti di rabbia e depressione. Nella fase di analisi, è importante
prendere in considerazione, oltre che i fattori scatenanti, anche le social
skills, i meccanismi e le capacità di coping del paziente. E’ importante
anche eseguire un’analisi delle sue credenze e distorsioni cognitive.

Su ognuno di questi 3 ambiti di analisi, sarà possibile poi strutturare azioni


specifiche e personalizzate sia mediante terapia individuale, sia mediante
terapia di gruppo, anche se quest’ultima è risultata meno efficace della
terapia individuale.

Lo sviluppo e il rinforzo dei social skills e i meccanismi di coping, in


particolare, si sono dimostrati particolarmente importanti per la prevenzione
delle recidive, così come la ristrutturazione cognitiva su credenze e
convinzione errate.

Per ognuno dei fattori che scatenano gli episodi di gioco d’azzardo
patologico, possono esistere delle possibili soluzioni che è importante,
prima di tutto, portare a conoscenza del paziente per poter arrivare ad una
fase di accettazione e poter cominciare con lui un percorso, su più fronti,
che può prevedere la gestione controllata del denaro, una programmazione
delle attività durante il tempo libero, un supporto mediante counseling per i
conflitti e i problemi interpersonali, la strutturazione di attività ricreative
socializzanti antinoia e terapie specifiche per eventuali stati di depressione
o stati ansiosi.

Una volta terminata con il paziente l’analisi funzionale dei fattori e delle
condizioni che scatenano gli episodi compulsivi, è importante seguire una
fase di brainstorming durante la quale poter insegnare al paziente come
rivalutare e gestire i fattori e le condizioni scatenanti. Si tratta, cioè, di far
assumere una buona consapevolezza al paziente sui propri meccanismi
fisiopatologici di funzionamento in risposta agli stimoli interni o esterni. In
altre parole, si intende fare acquisire la consapevolezza della prevedibilità e
della possibilità di poter gestire anticipatamente gli impulsi.
Successivamente, trovano una buona applicazione, per rinforzare e
consolidare i risultati, i training di assertività e rilassamento.

Alcuni autori [9] hanno sottolineato l’importanza e soprattutto la sostenibilità


di alcuni “interventi brevi” che si sono dimostrati efficaci per pazienti non
complicati da comorbilità. Tecniche utilizzabili sono quelle basate sull’uso
dei media per recuperare i pazienti, sull’uso di manuali di autoaiuto,
sull’utilizzo di personale addestrato ad hoc, oltre che sul counseling
motivazionale telefonico. Si è mostrato anche interessante e strategico il
sostegno per la prevenzione delle recidive tramite manuali di autoaiuto e
supporto telefonico. Sempre tra gli interventi brevi, possiamo annoverare
anche le tecniche di avversione e desensibilizzazione con avvicinamento
graduale e gestito alle situazione di dipendenza e di rischio. Tuttavia, questo
tipo di approccio si è dimostrato difficilmente gestibile e con effetti
collaterali di recidive.

Anche i gruppi di auto-aiuto, gruppi molto presenti e attivi su vari territori,


sono stati valutati positivamente in termini di efficacia e sostenibilità[10]. In
questi gruppi, i membri si scambiano rinforzi positivi per l’astensione dalle
dipendenze. Vengono inoltre dati, a scopo motivazionale, premi speciali
(spillette, certificati, bonus) forniti in occasione del raggiungimento degli
obiettivi da parte del paziente. Il gruppo si preoccupa anche di fornire
attività sociali alternative nei tempi e nei giorni particolarmente a rischio,
come ad esempio il weekend. I pazienti vengono spesso accompagnati e
affidati a sponsor/tutor, tecnica questa che si è dimostrata particolarmente
efficace ed accettata. I gruppi forniscono anche un’importante disponibilità
telefonica 24 ore su 24 per 7 giorni alla settimana per supporto in caso di
crisi.

Anche forme di consulenza finanziaria si sono dimostrate utili e vengono


fornite per aiutare il paziente a gestire situazioni ansiogene di debito. Utile è
risultato l’invio all’associazione per la difesa dei diritti e dei consumatori
per ricorso ad avvocati che si occupano di bancarotta.

Le dipendenze sono concomitanti con patologie psichiatriche che


necessariamente devono trovare un contemporaneo trattamento[11]. Le
patologie più rilevanti osservate sono: uso-abuso di sostanze, disturbi
d’ansia, disturbi dell’umore (in particolare depressione e bipolarismo),
deficit dell’attenzione o iperattività, disturbi alimentari, schizofrenia. In
particolare, per la depressione la dipendenza risulta essere un tentativo
disfunzionale di compenso, una sorta di auto-medicazione dei sintomi
depressivi. Questo, però, comporta costanti perdite e crisi di auto-stima con
un incremento circolare dello stato depressivo.

Nella prescrizione dei trattamenti farmacologici nei giovani pazienti, è


fondamentale tenere in considerazione alcune caratteristiche peculiari[12] :
1. gli adolescenti possono metabolizzare i farmaci più rapidamente degli
adulti. Pertanto, alcuni di loro potrebbero richiedere dosi più alte degli
adulti in relazione al peso corporeo;
2. gli adolescenti hanno meno tessuto adiposo degli adulti. Ci potrebbe
essere una maggior biodisponibilità e quindi una possibilità maggiore di
eventi avversi e di conseguenza un bisogno di dosi più basse;
3. differenze nel funzionamento del Sistema Nervoso Centrale e
cambiamenti ormonali possono ulteriormente influenzare la risposta degli
adolescenti ai farmaci.
In tutti i trattamenti farmacologici, è importante valutare le strategie di
dosaggio, la durata del trattamento, la compliance con altri trattamenti, gli
effetti di refrattarietà ai trattamenti oltre agli effetti contrari di incremento
del comportamento compulsivo (noto come "effetto paradosso")[13]. I
trattamenti farmacologici, attraverso inibitori del reuptake della serotonina[14]
e gli antagonisti degli oppioidi e stabilizzatori dell’umore hanno dimostrato
efficacia a breve termine[15]. Sono stati descritti anche trattamenti con il
disulfiram per il suo contemporaneo effetto di inibizione della β-idrossilasi
e pertanto inibizione dell’incremento della dopamina e decremento della
norepinefrina cerebrale, effetto controllato fino a 12 mesi[16].

In particolare, va ricordato che il trattamento farmacologico delle


dipendenze deve tenere conto della presenza di condizioni di comorbilità. In
caso di assenza di queste condizioni, il trattamento farmacologico
consigliato dagli autori precedentemente riportati sono gli SSRI (inibitori
selettivi del reuptake della serotonina, 112-115R) o naltrexone[17] .

Gli antagonisti degli oppioidi e gli stabilizzatori dell’umore sembrerebbero


avere, però, efficacia solo a breve termine[18]. In caso di comorbilità, invece,
sarebbe necessario distinguere se siamo davanti ad un paziente con spettro
bipolare, abuso/dipendenza di sostanze o depressione maggiore.
Nel primo caso, gli autori consigliano di stabilizzare l’umore con litio o
valproato e solo se il gioco d’azzardo patologico è refrattario, aggiungere
SSRI o naltrexone. Nel caso di abuso/dipendenza da sostanze, sarebbe
consigliato il naltrexone, mentre in caso di depressione maggiore sarebbero
consigliati gli SSRI mirati sia al trattamento del gioco d’azzardo patologico
sia della depressione.

E’ importante valutare costantemente, in tutti i trattamenti, le strategie di


dosaggio, la durata del trattamento, la compliance con altri trattamenti, gli
effetti di refrattarietà ai trattamenti ma anche il potenziale effetto
paradosso[19].

Sperimentazioni sono state eseguite anche con nalmefene, in cui è stato


documentato che gli effetti, però, sono legati al dosaggio e quindi alla
personalizzazione delle terapie[20] .

Per gli adolescenti, in particolare, è stato proposto un tipo di trattamento


ambulatoriale in cui vengono definiti degli obiettivi specifici che vengono
rivisti durante tutto il processo di trattamento. E’ importante che gli
obiettivi siano definiti in base alle priorità del paziente, alla gravità della
patologia e alla presenza di eventuale comorbilità. Piccoli cambiamenti
graduali devono essere inseriti nella vita del soggetto, quali, ad esempio:
1. evitare di portare con sé grandi somme di denaro, profilattici, scorte di
farmaci e stupefacenti, sigarette, ecc.;
2. limitare l’accesso a sportelli automatici da cui prelevare denaro;
3. evitare di trascorrere del tempo in bar, tabaccherie, parchi o altri luoghi
dove ci possono essere occasioni di "tentazione".

Di fronte alle ricadute, si cerca di comprendere, con il soggetto, le


condizioni, le situazioni e quindi le motivazioni che l’hanno spinto a
riprendere a mettere in atto la compulsione, analizzando gli episodi di
ricaduta. In questo modo, è possibile incoraggiare la persona a prendere
consapevolezza delle sue modalità di ricaduta, dei fattori scatenanti la
ricaduta e a prevedere quindi le condizioni di rischio in anticipo, al fine di
mettere in atto e mantenere dei cambiamenti a lungo termine nel suo
comportamento.
Importante sarà che l’individuo non attribuisca le ricadute ad un evento
esterno, sottraendosi alle proprie responsabilità comportamentali, ma che
sviluppi la consapevolezza che il comportamento dipende esclusivamente
dalle proprie scelte. I cambiamenti andranno ricercati in maniera
progressiva e i baseline saranno stabiliti e condivisi insieme al ragazzo. Per
i soggetti con distorsioni cognitive multiple, è consigliata la terapia
cognitiva. Sarà importante, inoltre, stabilire le cause dello stress, dell’ansia,
della depressione e l'eventuale concomitanza di disturbi mentali che a volte
si associano e sottendono il comportamento compulsivo e valutando,
quindi, le abilità di coping del soggetto. Su queste, in particolare, sarà
necessario intervenire per rafforzare le strategie di coping positive e pro-
sociali che contribuiscano a mantenere un comportamento di astinenza.

Tali strategie andranno valutate e monitorate nel tempo. Infine, si dovrà


supportare il giovane a ricomporre o costruire ex-novo delle relazioni
interpersonali sane, lontane dalla dipendenza, a riorganizzare il proprio
tempo libero e a riprendere, o sviluppare, un’adeguata capacità di gestione
del denaro.

CONCLUSIONI

In conclusione, è possibile focalizzare quanto sopra riportato in alcuni punti


salienti, tenendo conto che molte cose devono ancora essere chiarite dalla
ricerca e che quello che si pensa sia l’approccio migliore per il futuro è un
approccio di tipo multidisciplinare, cioè in grado di mettere insieme
necessariamente le neuroscienze, le scienze del comportamento, le scienze
sociali ma anche la programmazione e l’organizzazione dei sistemi socio-
sanitari e quindi la politica e la legislazione.

Una base comune di partenza deve derivare, però, da una corretta e quanto
più possibile esaustiva lettura delle evidenze scientifiche disponibili nelle
varie discipline prima nominate, salvo non accettare di introdurre
macroscopici errori, credenze irrazionali e distorsioni cognitive che alla fine
porterebbero ad esprimere decisioni né appropriate, né efficaci. La
dipendenza, come è stato illustrato precedentemente, presenta aspetti molto
variegati e per poter interpretare la sua origine, le sue conseguenze per
l’individuo, i comportamenti e le difficoltà di controllo degli stessi, oltre
che le conseguenze sociali, è necessario quindi avere conoscenze
approfondite in vari campi.

Quanto qui riportato vuole essere un insieme ragionato e selezionato di


queste informazioni e vuole proporre un modello interpretativo, aggiornato
e documentato, che parta, però, da un’analisi concreta e scientifica di quali
siano le basi neuropsico - biologiche individuali, i fattori sociali ed
ambientali condizionanti (di rischio o di resilienza) di tale comportamento.
Si è infatti convinti che non sia possibile affrontare il problema della
dipendenza e le sue conseguenze sociali, le necessarie azioni di
prevenzione, cura e riabilitazione e quindi la programmazione socio-
sanitaria e la legislazione di supporto e regolamentazione, senza partire
dalle evidenze scientifiche e da un approccio tecnico che permetta un
corretto inquadramento della patologia e del fenomeno sociale che ne
deriva, un fenomeno che ha necessità di trovare risposte sanitarie, sociali e
legislative integrate per la sua corretta gestione.

I numerosi studi consultati e le osservazioni dei ricercatori fanno emergere


una serie di importanti evidenze nelle persone affette da dipendenza,
partendo dalle carenze delle funzioni esecutive complesse (pianificazione,
modulazione, capacità di attenzione e di inibizione della risposta, non
ultime le strategie di problem solving, con tendenza a perseverare nei propri
errori), da un’elevata sensibilità alla ricompensa, da livelli anomali e
aumentati di eccitazione durante l'attivazione della compulsione.

Questo aumentato livello di eccitazione può compromettere l’inibizione che


si dovrebbe esercitare attraverso l’autocontrollo e il processo decisionale.
Proprio i diversi livelli di eccitazione che i pazienti mostrano in relazione al
gioco d’azzardo possono essere fonte di un’ulteriore classificazione dei
pazienti in sotto-tipi specifici.

Inoltre, gli studi biochimici e genetici hanno mostrato anomalie dei sistemi
della dopamina, della serotonina, della noradrenalina, delle beta-endorfine e
hanno evidenziato anche una forte correlazione tra queste anomalie e i geni
coinvolti proprio nella strutturazione e regolazione dei sistemi dei
neurotrasmettitori in soggetti affetti da dipendenza[21].
La vulnerabilità è stata messa dunque in relazione proprio con i deficit e
con le varianti genetiche che comportano una carenza funzionale dei sistemi
della dopamina e che, nel tempo, fanno sviluppare al soggetto
comportamenti che tentano di normalizzare e compensare la carenza di
dopamina.

E’ stato visto anche che i soggetti con compulsioni patologiche esprimono


preferenze per ricompense immediate piuttosto che per ricompense
tardive[22], al contrario di quanto, invece, dovrebbe normalmente avvenire.
Con la persistenza del comportamento compulsivo è possibile inoltre che i
circuiti della ricompensa vengano modificati dalla dipendenza.

Importanti fattori sono tutte quelle condizioni che portano ad esplicitare una
sindrome disinibitoria (carenza di autocontrollo) e quindi ad esprimere
comportamenti eccessivi. Il deficit di autocontrollo è stato chiaramente
associato alle aree frontali del cervello[23], in relazione anche con quanto
osservato nella dipendenza da alcol e da droga, in particolare nella corteccia
prefrontale[24] .
La compulsione prima, e la dipendenza poi, possono avere diverse modalità
di evoluzione[25] e diverse condizioni di base esistenti nell’individuo.

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CAPITOLO XII

L'uomo, il gioco e l'azzardo


ASPETTI GIURIDICI

ADOLFO BONFORTE

Il giocatore d'azzardo
quanto più è bravo nel suo mestiere,
tanto più è disonesto.
Publilio Siro

PREMESSA

L’interpretazione letterale di norme complesse risulta, per gli operatori


professionali, spesso difficile; altrettanto incerta e contorta appare
l’applicazione pratica di regole normative, soprattutto quando queste
permangano su altri precetti che si sono, nel tempo, stratificati.

Non vi è dubbio alcuno che la combinazione della disciplina che riguarda


gli apparecchi da intrattenimento e divertimento, oggetto dell’interesse del
legislatore già a far data dal 19651, sia oggi uno dei settori che appare
oggettivamente complesso, arduo (anche dal punto di vista sociale) e di
difficile interpretazione.

La proliferazione legislativa, alla quale è seguita una vasta emanazione di


circolari, chiarimenti, interpretazioni, ecc., da parte dell’Amministrazione
Autonoma dei Monopoli di Stato e della Direzione Generale della Pubblica
Sicurezza, né è prova e testimonianza.
La recente diffusione normativa, che trova una origine storica nell’art 110
del T.U.L.P.S.2, ha tentato di regolamentare al meglio il diffusissimo
fenomeno del gioco e delle scommesse, cui è geneticamente avvezzo il
popolo italiano, cercando di porre degli argini a ciò che è stata definita
(anche per i clamorosi e tragici episodi di recente cronaca) una vera e
propria piaga sociale che ha visto andare in rovina donne, uomini ed intere
famiglie, vittime del miraggio di facili (quanto mai improbabili) vincite in
denaro.
Tuttavia, nonostante lo sforzo legislativo3, l’impianto normativo ha
mostrato delle falle e lacune tali che, operatori poco onesti, vi si sono
introdotti per eludere la norma.
E’ il caso, con l’avvento della rete internet, della possibilità di giocare o
scommettere, tramite un computer collegato con un server situato fuori dal
territorio nazionale, eludendo norme imperative nazionali.

LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO: L'EVOLUZIONE

La realtà italiana, per quanto variegata, si muove all’interno di una


fenomenologia che ricomprende diversi tipi di concorsi. Si usa volutamente
tale ampia accezione che ricomprende anche il fenomeno delle estrazioni,
eventi e manifestazioni di carattere anche sportivo, delle scommesse e dei
concorsi pronostici, accomunate dalla circostanza che, stante la possibilità
di conseguire vincite in denaro, l’attenzione dello Stato si incentra non solo
nella gestione e organizzazione e vigilanza ma, per altro verso, alla tutela di
interessi connessi quali quelli erariali, della sicurezza e ordine pubblico.

I giochi, nella loro disciplina giuridica, si suddividono tradizionalmente in


tre grandi categorie o gruppi: quelli forniti di piena tutela giuridica, quelli
limitatamente tutelati e quelli vietati.

La prima categoria è costituita dai giochi che addestrano al maneggio delle


armi e dai giochi sportivi, e in tal caso il giuoco è pienamente tutelato ed è
fonte di obbligazioni giuridiche4, perché si ritiene che la società abbia
interesse ad avere uomini validi o militarmente addestrati.
Nella seconda rientrano tutti gli altri giochi, e questi sono forniti di limitata
tutela, poiché il vincitore non ha azione in giudizio per pretendere il
pagamento della vincita, ma il perdente non può ripetere la prestazione
spontaneamente eseguita5

La terza infine comprende i giochi vietati, cioè quei giochi che essendo
socialmente dannosi sono repressi penalmente.

PROBLEMATICHE

La parola gioco coinvolge valenze differenti e descrive attività ed


esperienze ludiche diverse. Il gioco si presenta come una via per esplorare
e conoscere il mondo esterno, ma nello stesso tempo permette di scoprire
anche il proprio Sé.

L’attività ludica permette di creare o ricreare la realtà, come in una


rappresentazione teatralizzata, nella quale l’individuo prova a vivere, a fare
esperienza del mondo e ad agire in esso.

Sociologi, antropologi e psicologi hanno affrontato il tema del gioco,


sottolineandone il valore estremamente positivo nello sviluppo sociale,
culturale e psicologico dell’individuo.

Nel gioco e con il gioco l’essere umano realizza il fare, il costruire, che si
manifesta in forme specifiche nelle svariate attività umane, coinvolgendo
sia la realtà interiore che la dimensione sociale.
Nell’uomo il gioco assume infinite forme e funzioni: diventa esercizio
preparatorio ai diversi compiti esistenziali (biologici, sociali, relazionali,
culturali), serve ad appagare il bisogno di dominare, di competere, di
autoaffermarsi attraverso la sfida, permette di concedersi svago e sollievo in
forma di autogratificazione.

Secondo Huizinga. che lo definisce come “un’azione libera, conscia di non


essere presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta, [...] azione a
cui non è legato un interesse materiale, dalla quale non proviene vantaggio
e che si compie entro un tempo e uno spazio magici”6, il gioco esclude
l’azzardo, in quanto attività alla quale potenzialmente si lega un
“vantaggio” e un “interesse materiale”.

Secondo Callois7, invece, si rivelano essere una delle più tipiche


manifestazioni comportamentali umane, infatti, se i giochi di competizione
sono una rivendicazione del merito e della responsabilità personale, quelli
di rischio sono un’abdicazione della volontà e un abbandono al destino.

Etimologicamente, il termine “azzardo” deriva dal francese “hazard”, a sua


volta proveniente dall’arabo “zarah”, che significa dado. L’azzardo è
definito come un complesso di circostanze casuali che implica, fra gli esiti
possibili, rischi e pericoli: azzardare significa esporsi a un rischio, agire in
modo avventato.

Giungiamo così a una definizione di gioco d’azzardo inteso come


un’attività ludica che si caratterizza per il rischiare una più o meno ingente
somma di denaro, in vista di una vincita in denaro, strettamente legata al
caso e non all’abilità individuale8.

I due aspetti caratterizzanti il gioco d’azzardo sono quindi il dominio del


caso e l’atto del rischiare.
Nel nostro paese per poter esercitare il gioco del biliardo e gli altri giochi
leciti occorre la licenza del sindaco prevista dall’art. 86 T.U.L.P.S.
Non sono mai leciti e non possono essere autorizzati dal sindaco, la legge
però autorizza la gestione di casinò, i giochi d’azzardo, cioè quelli nei quali
ricorre il fine del lucro e la vincita e la perdita dipendendo dal caso.
Dobbiamo quindi procedere, dal punto di vista giuridico, ad una
distinzione tra gioco d’azzardo e gioco non d’azzardo.

A noma dell’articolo 721 del codice penale “…. sono giochi d’azzardo
quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente
o quasi interamente aleatoria; sono case da gioco i luoghi di convegno
destinati al giuoco d’azzardo, anche se privati, e anche se lo scopo del
giuoco è sotto qualsiasi forma dissimulato”.
Per stabilire se un gioco possa essere definito d’azzardo bisogna fare
riferimento:
• all’elemento soggettivo ovvero il fine di lucro della persona che lo
esercita. Il fine di lucro ricorre ogni volta che il gioco è praticato per
conseguire vantaggi economici valutabili e risulta escluso se la posta
consiste in una soddisfazione di carattere morale o in una umiliazione;
• all’elemento oggettivo ovvero l’aleatorietà del risultato che
interviene quando il risultato finale dipende totalmente o
prevalentemente dal caso o dalla sorte e non dall’abilità e dalla perizia
del giocatore. La valutazione dell’aleatorietà deve essere
oggettivamente valutata caso per caso.

Il gioco deve qualificarsi d’azzardo anche quando, a causa dell’attività


fraudolenta del baro, risulta in concreto esclusa o fortemente ridotta la
possibilità di una vincita degli altri giocatori9.

Nel gioco dei tre campanelli (in cui il giocatore vince la posta se indovina
sotto quale dei tre campanelli rapidamente spostati dal tenutario del gioco
sia finita la pallina) la Cassazione ha dapprima ravvisato il carattere di
gioco d’azzardo; più recentemente, mutando indirizzo, ha invece ritenuto
che in tale gioco sussiste il fine di lucro ma non può altrettanto dirsi per la
totale o quasi totale aleatorietà della vincita in quanto è evidente che le
vincite sono determinate non dall’alea, ma esclusivamente dall’abilito dalla
destrezza di chi esegue il gioco.
Naturalmente diversa è la soluzione se si aggiunge una fraudolenta
attività10.

Il requisito per aversi casa da gioco è la destinazione dei locali anche se


consistenti in un’abitazione privata; in altre parole occorre che le persone
che intendono esercitare il gioco vietato, abbiano la sicurezza di poter fare
affidamento su di un luogo di convegno dove riunirsi per l’esercizio del
gioco11.

GIOCHI E SCOMMESSE - DISTINZIONE


Gioco e scommessa si distinguono perché nel gioco i partecipanti sono
anche competitori, mentre nella scommessa i partecipanti sono estranei
all’evento oggetto della scommessa stessa.
Sono esempi di scommesse il lotto, le lotterie, il totocalcio; nella
scommessa l’aspetto patrimoniale è connaturato.

Il concorso a pronostico è un contratto plurilaterale e cioè un contratto


unico tra tutti i giocatori in cui il totalizzatore (e cioè colui che si incarica di
organizzare la raccolta delle quote, totalizzarle e dividere tra gli stessi
giocatori le somme dopo averne detratto le spese, l’utile e gli oneri fiscali),
resta estraneo al contratto stesso e non corre alcuna alea.

Il gioco scommesse invece rientra tra i giochi d’azzardo perché in esso le


parti assumono reciprocamente il rischio dell’esito del gioco e si obbligano
a pagare la posta pattuita qualora si verifichi l’esito in un certo modo o
l’affermata opinione risulti sbagliata.

APPARECCHI CON VINCITE IN DENARO: NEWSLOT E VIDEOLOTTERY

Le Newslot individuate dall’art. 110, comma 6 a), unitamente a quanto


previsto dal decreto direttoriale del 4 dicembre 2003, devono avere le
seguenti caratteristiche:
• ogni apparecchio di gioco può funzionare solo se collegato alla rete
AAMS per la gestione telematica del gioco lecito;
• accettano esclusivamente moneta fino ad un valore massimo di 2
euro;
• il costo di una singola partita non può essere superiore a 1 euro;
• a richiesta del giocatore rendono il resto;
• la durata minima di una partita non può essere inferiore a 4 secondi;
• la distribuzione di vincite in denaro, ciascuna di valore non
superiore a 100 euro, avviene subito dopo la conclusione della partita
ed esclusivamente in monete;
• le vincite sono calcolate dall’apparecchio su un ciclo complessivo
di non più di 140.000 partite, e non devono essere inferiori al 75%
delle somme giocate;
• non possono riprodurre il gioco del poker né le sue regole
fondamentali;

Esternamente a ciascun apparecchio di gioco sono esposti, in modo visibile


e in lingua italiana, il costo della partita, le regole del gioco e la descrizione
delle combinazioni o sequenze vincenti nonché il divieto di utilizzo ai
minori di anni 18.

Le newslot possono essere installate in tutti gli esercizi assoggettati ad


autorizzazione ex artt. 86 e 88 TULPS:
• bar, caffè ed esercizi assimilabili che hanno come attività prevalente
la vendita al minuto e la somministrazione di cibi e bevande;
• ristoranti, fast-food, osterie, trattorie ed esercizi assimilabili, che
hanno come attività prevalente la somministrazione di pasti;
• stabilimenti balneari, che hanno come attività prevalente la messa a
disposizione di servizi per la balneazione;
• sale pubbliche da gioco, chiamate convenzionalmente “sale giochi”,
ovvero locali allestiti specificamente per lo svolgimento del gioco
lecito e dotati di apparecchi da divertimento e intrattenimento
automatici, semiautomatici o elettronici, oltre ad eventuali altri
apparecchi meccanici quali, ad esempio, biliardi, biliardini, flipper o
juke-box;
• esercizi che raccolgono scommesse su incarico di concessionari di
giochi;
• alberghi, locande che hanno come attività prevalente l’offerta di
ospitalità;
• circoli privati, organizzazioni, associazioni ed enti collettivi
assimilabili, che svolgono attività sociali e ricreative riservate ai soli
soci, purché in possesso della licenza per la somministrazione di cibi e
bevande;
• agenzie di raccolta delle scommesse ippiche e sportive.
Non possono essere installati in nessun caso:
• nei punti di vendita che si trovano all’interno di luoghi di cura,
istituti scolastici ovvero all’interno delle pertinenze dei luoghi di culto;
• all’esterno, e comunque al di fuori degli spazi all’uopo delimitati e
sorvegliati, dei punti di vendita.

Le Videolottery individuate dall’art. 110, comma 6 lett. b), unitamente a


quanto previsto dal decreto 22 febbraio 2010 e dalla circolare del Direttore
generale dei Monopoli di Stato del 7 settembre 2010.:

La videolottery differiscono dalle newslot poiché prevedono la collocazione


del software di gioco sui sistemi di elaborazione dei concessionari e non più
all’interno dei singoli apparecchi. Le reti di comunicazione sono quindi
indispensabili per il funzionamento online degli apparecchi.

Il sistema di gioco è dotato di caratteristiche di sicurezza atte a garantire la


protezione da accessi non autorizzati e l’inalterabilità dei dati di gioco.

Il costo massimo della singola partita è pari a euro 10,00, con una posta
minima di gioco di 0,5 euro; il pagamento può avvenire tramite:
• monete e/o banconote;
• tecnologie basate su sistemi di ticket;
• carte prepagate;
• conti di gioco nominativi utilizzabili attraverso smart card;
• la ricollocazione in gioco dei crediti precedentemente vinti.

La vincita massima consentita, ad esclusione del jackpot, per ciascuna


partita è pari ad euro 5.000,00; le vincite validate dal sistema di gioco sono
erogate direttamente in sala, sino ad un massimo di euro 5.000,00; le vincite
superiori all’importo di euro 5.000,00 sono erogate a cura del
concessionario secondo modalità che saranno esposte al pubblico nella sala
ovvero sull’apparecchio videoterminale.
La distribuzione del jackpot può avvenire a livello di singola sala ovvero di
sistema di gioco, anche con riferimento al singolo gioco; nel primo caso
l’esito vincente è relativo ad una puntata effettuata su uno degli apparecchi
videoterminali installati presso la sala interessata; nel secondo caso
concorrono alla distribuzione del jackpot tutti gli apparecchi videoterminali
collegati al sistema di gioco. L’importo massimo del jackpot relativo a
ciascuna sala è pari ad euro 100.000,00, l’importo massimo del jackpot
relativo a ciascun sistema di gioco è pari ad euro 500.000,00.

Le sale devono essere dotate di sistemi di videosorveglianza a circuito


chiuso.
Come avviene già per le newslot, anche le videolottery non possono essere
installati in nessun caso:
• nei punti di vendita che si trovano all’interno di luoghi di cura,
istituti scolastici ovvero all’interno delle pertinenze dei luoghi di culto;
• all’esterno, e comunque al di fuori degli spazi all’uopo delimitati e
sorvegliati, dei punti di vendita.

APPARECCHI SENZA VINCITE IN DENARO

L’art. 110, comma 7 TULPS e il decreto direttoriale 8 novembre 2005 n.


133/UDG individuano due categorie di apparecchi senza vincita in denaro,
specificandone le caratteristiche:

• Gli apparecchi di cui al comma 7, lettera a) come le gru, le pesche


verticali o orizzontali di abilità, ecc, si caratterizzano per:
1. il funzionamento elettromeccanico ovvero con dispositivi
meccanici attraverso i quali si possa specificamente esercitare l’abilità
del giocatore;
2. l’assenza di monitor;
3. l’interazione con il giocatore, al fine di consentirgli di esprimere la
propria abilità fisica, mentale o strategica, con esclusione di elementi
di gioco basati specificamente su alea programmata;
4. l’erogazione del premio consistente in piccola oggettistica (di
valore non superiore a venti volte il costo della partita: massimo 20
euro), direttamente da parte dell’apparecchio, immediatamente dopo la
conclusione della partita, con esclusione della possibilità di
conversione del premio stesso in denaro ovvero in altri premi di
qualunque specie;
5. l’attivazione dell’apparecchio unicamente con l’introduzione di
monete metalliche di valore complessivo non superiore, per ciascuna
partita, ad 1 euro.

• Gli apparecchi di cui al comma 7, lettera c) generalmente noti come


videogiochi si caratterizzano, invece, per:
1. l’assenza di qualsiasi vincita;
2. la variabilità della durata della partita, in funzione del livello di
abilità espresso dal giocatore durante la partita;
3. l’interazione con il giocatore al fine di consentirgli di esprimere la
sola abilità fisica, mentale o strategica e l’assenza di qualsiasi
componente aleatoria;
4. il costo della singola partita, è variabile ma non inferiore a 50
centesimi di euro;
Tutti gli apparecchi di cui al comma 7 devono essere dotati di dispositivi
che ne garantiscano la immodificabilità delle caratteristiche tecniche e delle
modalità di funzionamento e distribuzione dei premi, fino alla completa
disattivazione nei casi di manomissione o di tentativo di accesso alla
memoria.

L’art. 14-bis, comma 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 640 individua,


nell’ambito degli apparecchi senza vincita in denaro, l’ulteriore categoria
degli apparecchi meccanici ed elettromeccanici.

I decreti direttoriali collegati al DPR, in relazione alle differenti


caratteristiche tecniche, fanno riferimento a sei sottocategorie di apparecchi
attivabili a moneta o gettone, ovvero affittati a tempo: biliardo e apparecchi
similari; juke-box e apparecchi similari; calcio balilla, bigliardini e
apparecchi similari; flipper, gioco elettromeccanico dei dardi e apparecchi
similari; congegno a vibrazione tipo “Kiddie rides” e apparecchi similari;
gioco a gettone azionato da ruspe e apparecchi similari.
IL BINGO

E’ in sostanza la vecchia tombola. II ministero delle finanze rilascia le


concessioni per la gestione delle sale da gioco, con gare da espletare
secondo la normativa comunitaria. Il concessionario, deve poi ottenere
anche l’autorizzazione del questore prevista dall’articolo 88 del testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza12.

II gioco deve svolgersi in sale non dedicate all’esercizio di altri giochi e non
collegate con locali nei quali siano installati apparecchi da divertimento o
intrattenimento, bigliardi, biliardini o apparecchi similari.

La sala da gioco deve assicurare almeno 300 posti a sedere ed avere le


caratteristiche stabilite dall’articolo 12 del Decreto Dirigenziale (Monopoli)
16 novembre 2000.

Nell’ambiente dedicato al gioco consentito l’esercizio dell’ attività di


piccola ristorazione e di somministrazione di bevande, purché il
concessionario sia munito della relativa licenza comunale 13.

E’ stata riconosciuta la competenza del questore a stabilire le prescrizioni


relative all’orario di chiusura delle sale bingo, in quanto l’attività di
somministrazione di alimenti e bevande è secondaria (ed eventuale) rispetto
all’esercizio del gioco.

Il questore potrà quindi apporre le prescrizioni di un orario massimo di


chiusura delle sale in relazione alle effettive esigenze, di norma non oltre le
ore 2 della notte, salvo che si tratti di sale situate in zone distanti
dall’abitato14.

Tutto il personale che presta servizio nella sala bingo per lo svolgimento del
gioco deve avere i seguenti requisiti:
• essere maggiorenne;
• non aver subito alcuna condanna con sentenza passata in giudicato,
né misure cautelari o provvedimenti di rinvio giudizio per reati di cui
alla legge 19 marzo 1990 numero 55. Il concessionario e il personale
addetto alla sala bingo non possono partecipare al gioco né concedere
prestiti ai giocatori.
L’ingresso e la permanenza nella sala bingo sono vietati:
• ai minori non accompagnati;
• alle persone in evidente stato di ebbrezza o di intossicazione da
droghe o farmaci, con in uno stato che faccia pensare che possano
essere causa di disturbo dell’ordine della tranquillità del normale
svolgimento del gioco;
• alle persone in possesso di armi o di altri oggetti ritenuti comunque
pericolosi.
Il concessionario è tenuto ad assicurare il rispetto del divieto, anche
mediante richiesta di esibizione di un documento di riconoscimento valido.
La richiesta di esibizione di un documento15 non costituisce esercizio di un
pubblico potere, ma una semplice condizione contrattuale. Le persone sono
liberissime di non esibire il documento ed andarsene.

Le persone che procurino turbativa o commettano irregolarità durante il


normale svolgimento delle partite possono essere invitate ad abbandonare la
sala: tali allontanamenti vengono riportati nel verbale della partita.

GIOCHI DI ABILITÀ A DISTANZA (SKILL GAMES) E POKER LEGALE

La possibilità di organizzare tornei di Poker regolarmente autorizzati stata


introdotta dalla Finanziaria 2007.

L’ art. 1 comma 93, della legge 296/2006 ha modificato l’articolo 38 del


decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, relativo ai giochi di abilità a distanza
con vincita in denaro, nei quali il risultato dipende, in misura prevalente
rispetto all’elemento aleatorio, dall’abilità dei giocatori ed ha stabilito che
“i giochi di carte di qualsiasi tipo, qualora siano organizzati sotto forma di
torneo e nel caso in cui la posta di gioco sia costituita esclusivamente dalla
sola quota di iscrizione, sono considerati giochi di abilità”.

L’AMS autorizza licenze in Italia alle poker room online e svolge attività di
approvazione e monitoraggio anche sulle transazioni: grazie al
collegamento in rete può verificare l’andamento delle partite ed approvare i
pagamenti delle vincite. Poiché l’ approvazione non avviene
istantaneamente, il premio corrisposto in un momento successivo alla
vincita.

L’esercizio e la raccolta dei tornei di poker sportivo16 non a distanza sono


consentiti ai soggetti titolari della prevista concessione
dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.

Con regolamento del Ministro delle Finanze, di concerto con il Ministro


dell’interno, sono disciplinati i tornei non a distanza di poker sportivo; con
il medesimo regolamento sono determinati l’importo massimo della quota
di modico valore di partecipazione al torneo, le modalità che escludono i
fini di lucro e la ulteriore partecipazione al torneo una volta esaurita la
predetta quota; l’impossibilità per gli organizzatori di prevedere più tornei
nella stessa giornata e nella stessa località.

LOTTERIE E TOMBOLE

La legge vieta ogni sorta di lotteria, tombola, riffa e pesca o banco di


beneficenza, nonché ogni altra manifestazione avente analoghe
caratteristiche. Per eventuali lotterie nazionali occorre un’apposita legge.

Sono tuttavia, consentite le lotterie, le tombole e le pesche o banchi di


beneficenza:
• se promossi da enti morali, associazioni e comitati senza fini di
lucro, aventi scopi assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi, se dette
manifestazioni sono necessarie per far fronte alle esigenze finanziarie
degli enti stessi;
• se organizzate dai partiti o movimenti politici, nell’ambito di
manifestazioni locali organizzate dagli stessi.
Sono anche consentite le tombole effettuate in ambito familiare e privato,
organizzate per fini prettamente ludici.

Le lotterie sono consentite se la vendita dei biglietti limitata al territorio


della provincia, l’importo complessivo dei biglietti non supera la somma di
euro 51.645,69. La tombola è consentita se la vendita delle cartelle è
limitata al comune in cui la tombola si estrae e ai comuni limitrofi. I premi
posti in palio non devono superare, complessivamente, la somma di euro
12.911,42.

Le pesche o i banchi di beneficenza sono consentiti se la vendita dei


biglietti è limitata al territorio del comune ove si effettua la manifestazione
e il ricavato di essa non eccede la somma di euro 51.645,69.

I premi in danaro sono ammessi unicamente per il gioco della tombola.

La legge vieta ogni sorta di lotteria, tombola, riffa e pesca o banco di


beneficenza, nonché ogni altra manifestazione avente analoghe
caratteristiche. Per eventuali lotterie nazionali occorre un’apposita legge.
Sono tuttavia, consentite le lotterie, le tombole e le pesche o banchi di
beneficenza: se promossi da enti morali, associazioni e comitati senza fini
di lucro, aventi scopi assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi, se dette
manifestazioni sono necessarie per far fronte alle esigenze finanziarie degli
enti stessi; Se organizzate dai partiti o movimenti politici, nell’ambito di
manifestazioni locali organizzate dagli stessi.

Sono anche consentite le tombole effettuate in ambito familiare e privato,


organizzate per fini prettamente ludici. Le lotterie sono consentite se la
vendita dei biglietti limitata al territorio della provincia, l’importo
complessivo dei biglietti non supera la somma di euro 51.645,69.

La tombola è consentita se la vendita delle cartelle è limitata al comune in


cui la tombola si estrae e ai comuni limitrofi. I premi posti in palio non
devono superare, complessivamente, la somma di euro 12.911,42.
Le pesche o i banchi di beneficenza sono consentiti se la vendita dei
biglietti è limitata al territorio del comune ove si effettua la manifestazione
e il ricavato di essa non eccede la somma di euro 51.645,69.

I premi in danaro sono ammessi unicamente per il gioco della tombola.

I rappresentanti legali degli enti organizzatori delle manifestazioni debbono


darne comunicazione, almeno trenta giorni prima, al prefetto della provincia
e al sindaco del comune in cui effettuata l’estrazione. Se mancano le
condizioni previste dal regolamento, il prefetto vieta lo svolgimento delle
manifestazioni.

Ai trasgressori si applicano le sanzioni previste dal regio decreto-legge 19


ottobre 1938, n. 1933. I comuni sono l’autorità competente a ricevere il
rapporto e ad essi sono devoluti i proventi delle sanzioni amministrative
pecuniarie.

LA RIFFA

La riffa consiste nella vendita di un certo numero di biglietti numerati il cui


importo totale è pari al valore degli oggetti che costituiscono il premio:
l’organizzatore, infatti, si prefigge il solo scopo di ricavare il valore dei
premi, che è costretto a mettere in palio in quanto non gli sarebbe agevole
trovare singoli acquirenti.
Esempio: il titolare di un bar non riuscendo a vendere un gigantesco e
costoso uovo di pasqua, offre al pubblico 90 biglietti numerati da 1 a 90.
Quando tutti i biglietti sono venduti, attende l’estrazione del lotto ed
attribuisce il maxi-uovo di cioccolato al possessore del primo numero
estratto su una determinata ruota.
L’esercizio non autorizzato della tombola, lotteria o altra manifestazione
con offerta a premi mediante estrazione è depenalizzato e punito con
semplice sanzione amministrativa17.

LE VIOLAZIONI PENALI PREVISTE


L’art. 110, comma 9, del TULPS disciplina le violazioni, penali ed
amministrative, in caso di abusi allo specifico dettato normativo.

Oltre alle violazioni di carattere penale vi sono quelle di natura


amministrativa, di pertinenza dell’A.A.M.S. e sono legate a situazioni
collegate ad apparecchi per giochi leciti ma privi di appositi “nulla osta”
rilasciati dalla predetta autorità amministrativa.

In buona sostanza, ferme restando le sanzioni previste dal codice penale per
il gioco d’azzardo18, è penalmente rilevante la condotta di chi installa o
comunque consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli
ed associazioni di qualunque specie di apparecchi e congegni:
• d’azzardo di cui al comma 4 dell’art. 110 del TULPS;
• non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni di cui ai commi 6
e 7 dell’art. 110 del TULPS, che viene punita con un’ammenda da
4.000 a 40.000 euro e la confisca degli apparecchi e congegni.

Inoltre, è punito anche:
• chi consenta l’utilizzo degli apparecchi e congegni di cui al comma
6 ai minori di anni 18 (ammenda da 500 a 1.000 euro);
• chi ometta di esporre negli esercizi pubblici la tabella dei giochi
proibiti di cui al’art. 110, comma 1, vidimata dal Questore (arresto fino
a tre mesi o ammenda fino a euro 206 - ipotesi sanzionata dall’art. 17
del TULPS).
Qualora l’autore degli illeciti di cui al comma 9, nel cui ambito si
considerano comprese anche le violazioni di carattere amministrativo, sia
titolare di licenza di pubblico esercizio (ad esempio: bar e/o ristorante), la
licenza è sospesa per un periodo da uno a sei mesi e, in caso di recidiva, è
revocata dal Sindaco competente19.

Infine, oltre a quanto già previsto, in caso di violazioni alle disposizioni


esaminate, il Questore può sospendere la licenza all’autore degli illeciti,
informandone l’autorità competente al rilascio, per un periodo non
superiore a tre mesi20.
Il rischio di attività illegali da parte del giocatore

Appurato che le motivazioni al gioco possono essere di varia natura anche


se comunque sempre riconducibili a ragioni o d’ordine ‘interno’, ossia
strettamente legate al funzionamento psichico della persona, od ‘esterno’,
ovvero correlate all’ambiente familiare, sociale, economico e culturale
esistente in un determinato periodo storico, e che diversi possono essere i
gradi di coinvolgimento comportamentale del giocatore, a seconda che esso
sia di tipo saltuario, oppure problematico o patologico, è altresì comprovato
che alti sono i rischi, per tale categoria di soggetti, del compimento di atti
illeciti.

Tuttavia dobbiamo considerare come il fenomeno del gioco d’azzardo e,


nella fattispecie, il fenomeno criminale legato al gioco d’azzardo presenti
molti punti oscuri, i dati vadano presi con molta cautela e sia lecito pensare
ad un numero oscuro di reati di gran lunga superiore a quelli realmente
identificati. E’ infatti noto in criminologia come l’indice di occultamento ed
il numero oscuro relativo alle varie tipologie di reati risultino fortemente
correlati ad alcuni fattori in grado di determinare in misura maggiore o
minore il divario esistente tra criminalità nota ed occulta.

In altre parole la differenza che intercorre tra il numero di reati commessi e


quelli identificati sarebbe in relazione alla specie di delitto,
all’atteggiamento della vittima, alla qualità dell’autore di reato ed
all’atteggiamento degli organi istituzionali. Nel caso del gioco d’azzardo
l’atteggiamento della vittima risulta fortemente rilevante. Se infatti si
considera il giocatore d’azzardo quale vittima di usura è lecito ipotizzare
come i giocatori caduti nella rete della criminalità organizzata tendano
raramente a richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria. Questo non solo
in relazione al rischio di intimidazione da parte degli usurai, ma anche al
delicato ed ambivalente rapporto (per taluni aspetti assimilabile a quello tra
tossicodipendente e spacciatore) con l’usuraio stesso che ‘offre’ il denaro
(la sostanza) per potere giocare; alla speranza in una grande vincita che
permetterà di appianare tutti i problemi e non da ultimo al pregiudizio
sociale che incombe sul giocatore con la conseguente paura di essere
individuato non come vittima ma come causa del fatto.

Se la denuncia e l’atteggiamento della persona offesa rappresentano una


delle fonti principali in grado di ridurre l’indice di occultamento di una
determinata tipologia di reati va considerato anche come spesso i reati
commessi dai giocatori si perpetuino nell’ambiente di lavoro o nella cerchia
dei conoscenti. E’ possibile infatti ipotizzare come , in tali contesti, si tenda
a rinunciare alla denuncia accontentandosi delle dimissioni e - anche in
considerazione alla conoscenza, della situazione, del rapporto personale ed
alla sfiducia nel riavere il denaro sottratto - si preferisca non infierire sul
soggetto attraverso un procedimento penale. Pertanto è lecito considerare
come il numero e la tipologia di reati commessi in relazione al gioco
d’azzardo risultino fortemente sottodimensionati.

BIBLIOGRAFIA

H. Becker, Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, Edizioni Gruppo


Abele, Torino, 1987
Francesco Bernardino Cicala, “Il gioco d’azzardo. Saggio filosofico e
critico sulli giochi di azzardo (Napoli,1790)”, a cura di Giulio Corrivetti e
Maria Rosaria Pelizzari, Marlin, Cava de’ Tirreni 2006
R. Callois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani,
Milano, 1981
Mauro Croce, Riccardo Zerbetto, “Il gioco e l’azzardo. Il fenomeno, la
clinica, le possibilità di intervento.”, Franco Angeli 2002
Ange Goudar, “La storia dei greci nobili giocatori d’azzardo”, introduzione
di Maria Rosaria Pelizzari, traduzione di Gisella Maiello,
EditricErmes,Potenza 2008
G. Imbucci, Il gioco pubblico in Italia. Storia, cultura e mercato, Marsilio,
Venezia, 1999
J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 1982
G. Lavanco, Psicologia del gioco d’azzardo, McGraw-Hill, Milano, 2001
Paola Monari,Giochi d’azzardo e probabilità, Editori Riuniti university
press, Roma 2012
Note

1 L. 20 maggio 1965, nr. 507, art. 1


2 R.D. 18.06.1931, nr. 773 e successive modificazioni ed integrazioni
3 L. 27.12.2002, nr. 289, art. 22 e successive modificazioni e integrazioni
4 art. 1934 c.c.
5 art. 1933 c.c.
6 J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 1982, P. 17
7 R. Callois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani,
Milano, 1981
8 C. Guerreschi, Il gioco d’azzardo patologico. Liberati dal gioco e dalle
altre nuove dipendenze, Ed. Kappa, Roma,
2003, p.19
9 Cass. pen. sez. II - 16 marzo 1970, n. 625
10 Cass.pen.. 20 febbraio 1986, n. 1566
11 Cass. pen. sez. VI 24 febbraio 1970, n. 455
12 D.M. 31 gennaio 2000, n. 29
13 art. 86 TULPS
14 circ. tel. ministero dell’interno 557/b.9096.13 500. F. del 5 giugno 2002

15 Decr. Dirigenziale 16 novembre 2000


16 art 24, commi 27 e 28 della L. 7 luglio 2009, n. 88
17 art. 113 bis del R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933

18 Art. 718 c.p.


19 Art. 110, comma 10, del TULPS
20 Art. 110, comma 11, del TULPS
I CURATORI

ANDREAS ACERANTI
Laureato in Medicina e Chirurgia e Psicologia è uno psichiatra forense
specializzato in Analisi Comportamentale e Profiling al Trinity College di
Londra. Consulente per la Procura e per le Forze dell’Ordine, è Professore
Associato di Psichiatria all’Università degli Studi di Lugano (LUdeS) di cui
coordina il Centro di Criminologia ed è titolare della cattedra di
Criminologia Clinica e Psicopatologia Forense e di quella di Psicologia
Giuridica presso l’Università degli Studi di Novedrate (CO) in Como,
Roma, Messina e Bari. Esercita come formatore e dirige l’Unità Analisi
Comportamentale dell’Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche.
E’ annoverato dall’IBC di Cambridge come uno dei 100 scienziati che
segneranno il XXI secolo grazie alle sue pubblicazioni nel Campo
dell’Analisi Comportamentale ed è stato inserito tra i 2.000 Outstanding
Intellectuals of the 21st century.

ADOLFO BONFORTE
Laureato in Scienze Giuridiche ad indirizzo penalistico-criminologico, ha
conseguito una seconda laurea in Giurisprudenza. Master di primo livello in
“atti persecutori –Stalking”. E’ Ispettore Capo della Polizia di Stato e
docente presso la Scuola di Polizia di Alessandria. Già cultore di Diritto
penale presso l’Università degli Studi di Lugano (L.U.de.S) , è decente di
“Regolamentazione del mercato farmaceutico” nel Master di 2° livello,
presso l’Università degli Studi di Novedrate (CO). Direttore del
Dipartimento di Scienze Giuridiche e Forensi dell’Istitito Europeo di
Scienze Forensi e Biomediche.

ANTONIO FERRANTE
Laureato in Educazione Professionale esercita nell’ambito del recupero dei
minori psichiatrici e problematici. Esperto di dipendenze con campo di
preferenza nel trattamento delle ludopatie e del gioco d’azzardo patologico,
è consulente dell’Unità Analisi Comportamentale dell’Istituto Europeo di
Scienze Forensi e Biomediche. E' Professore ac. di "Comunicazione
Istituzionale" presso l’Università degli Studi di Novedrate (CO). E’ al
momento in fase di definizione un progetto, sotto la sua direzione, per le
ludopatie e il recupero dei dipendenti.
SIMONETTA VERNOCCHI
Laureata in Medicina e Chirurgia è medico fisiopatologo. E’ Professore
Associato di Fisiopatologia all’Università degli Studi di Lugano (LUdeS) di
cui è consulente del Centro di Criminologia ed è Professore di
Anatomofisiologia del Comportamento e di Criminologia presso
l’Università degli Studi di Novedrate (CO). Dirige il Dipartimento di
Scienze Biomediche e della Nutrizione dell’Istituto Europeo di Scienze
Forensi e Biomediche. E’ elencata da Marquis Who’s Who tra i 2.000
scienziati più brillanti per le sue pubblicazioni sugli attacchi di panico da
ipercapnia, le sue pubblicazioni sulla neurofisiologia delle emozioni e i suoi
studi sull'utilizzo del Peptide Natriuretico di tipo B nelle diagnosi
differenziali di Medicina d'urgenza.

GLI AUTORI

ANDREA DE GIORGIO
E' titolare della cattedra di Neurofisiologia presso l’università eCampus e
cultore della materia in Anatomia umana presso l’Università Cattolica di
Milano.
Il suo interesse di ricerca mira a comprendere la struttura e la funzione dei
circuiti corticali in modelli sperimentali di ritardo mentale (in particolare
alcol-correlati, sindrome feto-alcoolica) e malattie neurologiche
degenerative. Ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche su riviste
internazionali.

OMBRETTA GRASSI
Laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Nefrologia presso il San
Raffaele di Milano lavora come Medico internista e d'urgenza. E'
consulente dell'Istituto di Scienze Forensi e Biomediche per la medicina
interne, la dialisi, la nutrizione clinica e la pet-herapy. Congressista e
scrittrice, ha al suoattivo diverse pubblicazioni scientifiche sia sull'Italian
Journal of Medicine sia su riviste internazionali.

ANGELICA PEZZI
Ha conseguito, dopo la maturità in Scienze Sociali, laurea in Scienze e
Tecniche Psicologiche. Ha prestato servizio di volontariato presso l’ANC
(Associazione Nazionale Carabinieri). Attualmente è iscritta alla Laurea
Specialistica di Psicologia e riveste il ruolo di Assistente all’Autonomia e
alla Comunicazione per alunni P.H.
DEGLI STESSI AUTORI:

STELLE E STALLE
Come emozioni e sentimenti trasformano la nostra vita in una corsa sulle
montagne russe.
Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore
ISBN: 978-88-98559-00-8

MAGHI, STREGHE E RESURREZIONI


Come il gioco ti salva la vita e la vita diventa un gioco.
Giochi di ruolo, videogames e role play alla luce delle neuroscienze.
Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore
ISBN: 978-88-98559-02-2

SE NON SEI MIO NON SARAI DI NESSUNO


Quando l'amore e l'odio diventano ossessione.
Lo stalking alla luce delle modifiche introdotte dal Decreto Legge del 14
agosto 2013, n. 93 e dalla successiva Legge di conversione del 15 ottobre
2013, n. 119
Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore
ISBN: 978-88-98559-09-1

BRUCIO PER TE
Quando il fuoco della passione arde e se ne infischia delle regole sociali
Sessualità e orientamento sessuale tra cultura e scienza
Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore
ISBN: 978-88-98559-09-1

SEI LIBERO DI DIRMI DI SÌ


Doppio legame, omicidio psichico e ricatto affettivo
Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore
ISBN: 978-88-98559-04-6

NELLA TELA DEL RAGNO


Comprendere le dipendenze per aiutare i dipendenti
Istituto Europeo di Scienze Forensi e Biomediche Editore
ISBN: 978-88-98559-07-7

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