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Angela M.

Vivas

Superpoteri analogici
Per vincere da sfavoriti in un mondo apparentemente
digitale
Copyright © 2022 Angela M. Vivas

Al mio Highlander e
a un bambino rapito
dalla Legione Straniera in Colombia,
come giustificazione per non andare a scuola.
Sommario

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Il perché di questo libro
Introduzione
I – Perché siamo analogici
Quando è entrata l’era digitale nelle nostre vite?
Silenzio! È nata la macchina fotografica digitale
II – Superpotere #1: l’attenzione
Perché l’attenzione è un superpotere
Cos’è l’attenzione?
Perché il multitasking è un fake?
La mente errante
III – Superpotere #2: processare l’informazione
Perché il processare l’informazione è un superpotere?
Affila il tuo superpotere del ragionamento
Sfida mentale
IV – Superpotere #3: l’autocontrollo
Perché l’autocontrollo è un superpotere
Perché perdiamo il controllo
I benefici di perdere il controllo
Coaching per spegnere il vulcano dentro di te
V – Superpotere #4: il rispetto delle regole
E chi ha inventato il rispetto delle leggi?
Perché è difficile rispettare le regole?
Coaching per affilare questo superpotere
VI – Superpotere #5: influenza
Perché l’influenza è un superpotere?
Coaching per attivare questo superpotere
E come dire: “ No ”?
Diventa un diavoletto carismatico
Influencer di poche parole
VII – Superpotere #6: ammettere gli errori
Perché ammettere gli errori è un superpotere?
Perché si commettono errori?
Cosa fare in caso di errore?
Se perseverare è diabolico…
VIII – Superpotere #7: employability
Per cosa andiamo in ufficio?
Perché l’employability è un superpotere
Coaching per affinare la tua employability
Coaching per un licenziamento
IX – I nemici dei tuoi superpoteri
Nemici #1: i pensieri poco stupendi
Nemico #2: quella brutta bestia
Nemico #3: la stupidità
X – Terzo tempo
Ringraziamenti

Il perché di questo libro

Il perché parte dal fatto che non avete un libro in mano. Avete un
sogno che è stato in un cassetto per molti anni. E l’obiettivo principale di
questa lettura è che pure voi possiate tirare fuori il vostro, per essere felici
della vostra relazione ed essere pagati per quello che amate fare.
Perché questo libro è anche il risultato di una ricerca che intendeva
scoprire quello che manca alle persone per tornare a essere felici e a
cacciarsi in meno guai. Fatta a mo’ di gioco, questa ricerca ha coinvolto
non solo i miei clienti, ma anche i volontari che hanno condiviso le
opinioni di quelli, prima e durante la pandemia. Il consenso generale era
un’immensa richiesta di tornare più umani. E da lì sono stati identificati
questi primi superpoteri.
Perché, in quest’epoca, il narcisismo digitale è diventato un bisogno
umano e lo psicologo Abraham Maslow non lo contemplava nella sua
scala della felicità.
Perché ho presentato questo libro in diversi eventi inediti, senza essere
pubblicato. E la gente che ne ha sentito parlare lo ha accolto a braccia
aperte. Non potevo deluderle.
Era un progetto ambizioso perché voleva rendere onore agli eroi in
carne e ossa. A quelle persone che non sono diventati immortali a causa
della tecnologia che hanno creato. Piuttosto, sono coloro che hanno
affrontato le avversità come Johnny, il quale fu vittima della polio dovuto
a un parere medico sbagliato. Ma che non ha dubitato un secondo per
vaccinarsi contro la Covid19. Nonostante l’avversità, non gli è mai
mancata né la tenacia né una risata, perfino con il fango sul collo, quando
il suo amato Piave è straripato.
Perché Luzka ha perso la sua casa in un incendio a Long Island e ha
sofferto più per la perdita dei suoi animali domestici, piuttosto che per la
struttura in sé. Non si dava pace, poiché non ha potuto proteggerli né
salvarli. Però è sempre stata presente in modo cosciente e coraggioso per
affrontare tutte le eventualità.
Perché, come loro, ci sono centinaia di eroi che hanno lezioni da darci
grazie al loro coraggio, indipendentemente dalla loro età, professione o
ricchezza. E non hanno molti follower.
Perché bisogna pensare in modo analogico per trovare soluzioni a
problemi in digitale.
Perché molte persone hanno scommesso che non lo avrei pubblicato.
E, invece, eccolo qui. Analogico e digitale.

Introduzione

Lo confesso. Scrivendo questo libro mi sono sentita come Jack


Torrence nel film Shining di Stanley Kubrick. Certamente non ero la
guardia di un hotel dove c’erano i fantasmi. Ma prima di finire questa
pubblicazione mi sono lasciata trasportare dalle distrazioni, dalla
procrastinazione e dalle scuse. Perfino dalla paura del successo. E questo
è peggio di entrare nella stanza 237.
Se non hai visto questo classico del cinema, qual è la prima cosa che
farai? Prendere il tuo telefono e cercare in internet. E già che ci sei darai
un’occhiata a Facebook, Instagram, Tik Tok e così via. È un’abitudine.
Ma non perché sei digitale. Lo fai perché sei analogico e hai bisogno di
cercare disperatamente informazioni dell’ambiente nel quale vuoi
inserirti.
Superpotere è una parola usata nella fantascienza. Si riferisce alle
capacità fenomenali possedute da alcuni personaggi che vogliono salvare
l’umanità. Ma perché parlare di superpoteri analogici nell’era digitale?
Perché i superpoteri analogici sono la base di qualsiasi tecnologia. Sono
puramente umani e nessuna applicazione può sostituirli. Sono,
soprattutto, le capacità umane che garantiscono da sempre la
sopravvivenza, l’evoluzione e l’innovazione tecnologica.
L’ispirazione per questo libro è nata dalle storie successe ad alcuni dei
miei clienti di coaching, chiamati in gergo “ coachee ”. In molte
situazioni erano in svantaggio e nessuno avrebbe dato un centesimo per
loro. Erano gli underdog [1] o sfavoriti. Eppure hanno risolto situazioni
totalmente folli nel modo più semplice. E le storie scelte illustreranno
come utilizzare i superpoteri quale kit di sopravvivenza.
Entrando nel vivo della pubblicazione che avete in mano, il primo
capitolo parla del perché noi umani siamo, e saremo sempre, analogici, e
a che punto la nostra cultura è diventata digitale. Per alcuni di voi sarà un
carosello di ricordi. Per i più giovani sarà una fonte di idee per creare
un’applicazione vintage.
Il superpotere # 1 riguarda l’attenzione . Questa è una capacità che ci
fa essere presenti in ciò che stiamo facendo. E non attraverso il falso mito
del multitasking. Senza la consapevolezza non saremmo arrivati dove ci
troviamo ora: l’uomo primitivo ha imparato dai suoni, dai colori, dagli
odori, dai sapori infine, dall’osservazione come salvarsi e proteggersi.
Oggi l’attenzione per intrepidi selfie è diventata una causa letale. Quindi,
essere presenti è sicuramente un mezzo di sopravvivenza.
Il superpotere # 2 richiede una grande quantità di energia personale:
processare l’informazione . Questa è una capacità analogica per
eccellenza. Genera progresso, benessere e innovazione. Ma anche
emozioni di qualunque tipo. Tutto quello che fa il tuo telefono è il
risultato di persone che sanno che cosa fare con i tuoi like. E perciò la tua
mente ti porta a comprare cose che non ti servono, a credere nelle fake
news e ad alimentare in te emozioni negative. Questo superpotere ti porta
a produrre nuove idee e ad aprire la tua mente a nuove possibilità.
Il superpotere # 3 è un’abilità analogica che richiede di fermarsi e
fare un respiro profondo. Soprattutto prima di scatenarci a scrivere
violentemente sulle reti, a correre senza capire il perché durante una
situazione di pericolo, o a rispondere in modo aggressivo durante una
discussione. Si tratta dell’ autocontrollo . Per esempio, questo
superpotere ci salva dal prendere decisioni sbagliate; o dal fare sesso con
una persona sconosciuta senza protezione né vaccini vari. È grazie a
questo superpotere che utilizzerai al meglio la rabbia, il pianto e la paura.
Il superpotere # 4 è più che una sfida: rispettare le regole . Perché è
una tattica che ci aiuta a non essere colti in fallo. Questa abilità personale
ci consente di capire perché abbiamo bisogno di regole per mantenere un
ordine sociale del quale ne beneficiamo tutti. Le regole stabilite non sono
meccanismi di repressione o di censura. Sono la base della coesistenza
nonostante siano irrazionali. Tuttavia, rispettarle è la più grande eredità
che possiamo lasciare ai nostri figli attraverso il nostro esempio.
Il superpotere # 5 riguarda l’influenza come atteggiamento
socialmente giusto e non attraverso le foto per fare soldi. Si tratta di usare
un linguaggio positivo e non fuorviato da parole belle, motivanti o
lusinghiere. Né tantomeno di promesse che non siamo in grado di
mantenere o di falsi complimenti. L’influenza possiede anche il silenzio.
E farlo proprio è una base di potere di posizione, nonostante ti trovi in
una situazione svantaggiata.
E se perdiamo il controllo, sbagliamo per distrazione e non rispettiamo
alcune regole? Il superpotere # 6 è un invito a sentirci di nuovo umani.
Si tratta di ammettere gli errori . Questa capacità è una fonte di potere
sociale perché ci rende persone affidabili, oneste e produttive. Gli errori
non possono essere motivo di autoflagellazione nella vita privata né
tantomeno a livello lavorativo, giacché sono un apprendimento e una
miriade di opportunità. Sebbene alcuni errori blocchino il successo, la
peggior cosa che generano è farci inventare quelle maledette scuse che
sono, in realtà, spazzatura emotiva. Pertanto, sarai tu a scegliere ciò che
continuerà a farti del male. O a eliminarlo per sempre.
Il superpotere # 7 : l’employability sarà l’ultimo ma non il meno
importante. Si riferisce a quella capacità di essere utile e di ricevere un
compenso professionale per ciò che si è bravi a realizzare. E facendo di sé
stessi un marchio personale indiscutibile. Dopo la pandemia, le persone
che sono veramente presenti nel mondo del lavoro sanno che nessuno è
necessario da nessuna parte. Ma insostituibile. Ed essere al posto giusto al
momento giusto è una base indiscutibile del potere. Ma non bastano
l’esperienza né gli studi. È necessario affilare le soft skills .
Tutti gli esseri umani hanno delle debolezze. E siccome i nostri
superpoteri sono biologici, hanno nemici che adorano fare da sabotatori
del nostro comportamento. Sono analoghi al danno che la Kryptonite fa a
Superman. In questo capitolo troverete quelli che ci fregano di più e come
riprogrammare i nostri pensieri per non essere più fossilizzati in credenze
che, spesso, limitano la nostra felicità.
Questo libro contiene test ed esercizi, per cui dovrai prendere carta e
penna. Potrai scaricare il quaderno di lavoro cliccando qui dal tuo e-
book (ovvero puoi copiare e inserire nel tuo browser questo indirizzo
web: https://www.angelavivas.com/spa-workbook/. E, nella parte finale,
troverai un gioco con il quale concludere questo viaggio alla scoperta di
alcuni superpoteri analogici. Sarà il tuo scudo personale. Scrivere a mano
mantiene attivo l’emisfero sinistro del cervello, cioè quello creativo. E
non c’è esperienza più piacevole che abbandonarsi al piacere della
scrittura a mano. Soprattutto quando hai il potere di cancellare alcune
delle cose che non ti piacciono nella tua vita.
Ti sei mai sentito il meno quotato per una certa opportunità? Se hai
visto qualche film con supereroi avrai notato che perfino loro erano i
meno capaci nel fare qualcosa. Erano considerati quasi sfigati. Ma grazie
a un duro allenamento delle abilità o poteri che non sapevano di avere,
diventano forti e riescono persino a salvare il pianeta. Tu, però, pensa
prima a salvare te stesso. I supereroi non hanno molti superpoteri. Hanno
ciò di cui hanno bisogno per risolvere una certa difficoltà. Prendi in mano
i tuoi superpoteri con la stessa foga che prendi il tuo telefono, quando hai
bisogno di sapere qualcosa. Non potrai farne a meno.

Buona super lettura


I – Perché siamo analogici

Hai mai avuto la fortuna di ascoltare una canzone sul giradischi?


Oppure, hai mai perso tutte le foto del viaggio più spettacolare della tua
vita... in un rullino? Andiamo ancora più indietro nel tempo. Hai mai
usato una macchina da scrivere?
Se hai sorriso ricordando la canzone sul giradischi, potrai associarla a
tanti ricordi di famiglia, alle prime feste della tua gioventù e a tante ore
passate ad ascoltare la stessa patetica canzone (una forma di
autoflagellazione emotiva). I rullini da 35 mm venivano usati con
parsimonia al punto che si cercavano le pose migliori, tutti si mettevano
dritti, ma il sorriso era naturale senza smorfie con le labbra. La fotografia
si scattava solo una volta, dopo un’accurata attenzione ai dettagli. Due
scatti al massimo. Con l’avvento della modalità autoritratto chi preparava
la macchina fotografica usciva con un volto sfocato in fretta e furia, a
mezzo busto e a forma di macchia. E per i giornalisti di vecchia data
come me, che hanno iniziato a scrivere su macchine manuali fin dai tempi
della scuola, possiamo solo ringraziare quei dispositivi meccanici per la
velocità e il controllo della tastiera che abbiamo oggi.
Se non hai fatto nessuna di queste esperienze, non sai cosa ti sei perso.
Probabilmente sei nato dopo il 1984, una data zero attraverso la quale una
generazione è stata legittimata e ritenuta i geni digitali del secolo. In
realtà “ 1984 ” è un’opera letteraria di George Orwell (pubblicata nel
1949) che riflette quello che viviamo in questo periodo. Mentre i
Millennials sono solo un falso mito del marketing. La grande era digitale
è nata tra la fine degli anni ’50 e la fine degli anni ’70, con l’adozione e la
proliferazione dei computer digitali, tecnologie che sono ancora in uso
oggi. Con più o meno funzioni, ma la base rimane la stessa. E tuttora gli
esseri umani sono analogici.
In realtà, l’uomo è biologico perché compie un ciclo di vita. Ed è
analogico perché svolge funzioni che gli permettono di interagire nel suo
contesto. Siamo evoluti nel corso di milioni di anni per sopravvivere.
Mentre il digitale è ciò che è espresso in cifre. Un esempio dell’analogia
umana è l’orologio. L’uomo aveva bisogno di sapere l’ora durante il
giorno, così gli egiziani inventarono la clessidra, che consisteva in un
vaso contenente acqua, sul fondo del quale erano stati praticati alcuni
forellini. Il tempo era misurato valutando l’abbassamento del livello
dell’acqua man mano che questa fuoriusciva dai piccoli buchi. Oggi, sul
tuo orologio puoi controllare le email, scattare foto e rispondere al
telefono. Questo è un orologio digitale, e comunque, ti dice l’ora come
milioni di anni fa una clessidra lo diceva agli egizi.
Oggi è difficile immaginare la vita prima di allora. Di notte, l’unica
illuminazione era data dalle fiamme: candele, caminetti, lampade a olio,
paraffina e gas. Le lettere erano il principale mezzo di comunicazione. E
mentre la consegna delle lettere all’interno di una grande città era veloce
ed efficiente, verso punti più distanti la consegna poteva richiedere giorni
o addirittura settimane. Viaggiare era difficile e molte persone non si sono
mai avventurate per più di venti chilometri dalla loro casa in tutta la vita.
La vita quotidiana era molto diversa da oggi. Grazie all’osservazione dei
problemi furono create le soluzioni analogiche all’utilità e alla riduzione
dei tempi, semplificando l’esistenza di molte persone.

Ed eccoci nel secolo. Dimenticando dettagli che il telefono ci


ricorda, con uno scarso senso del tempo, una scarsa memoria per quello
che abbiamo imparato a scuola e credendo che Google sappia tutto;
incapaci di mantenere la nostra attenzione su un argomento per più di un
breve periodo di tempo, perché l’impulso è di guardare le chat; stiamo
lasciando che il telefono pensi, e decida, per noi invece della logica; senza
nemmeno attingere alle nostre di esperienze precedenti. Una visione
catastrofica del mondo si potrebbe dire. Ma se si considera che parliamo
con dispositivi i quali rispondono a quanto vogliamo sapere, stiamo
parlando con noi stessi. Abbiamo costruito un sistema di vita basato sui
like, i selfie e i follower. Solo i dettagli che si trovano nella rete contano.
Ecco perché dobbiamo tornare ad essere più umani e analogici.

Analogico vs digitale

Per capire meglio il concetto di analogia, usiamo forme verbali per


confrontare le somiglianze tra due coppie di parole. Per esempio: la linfa
che scorre negli alberi; il sangue che scorre nelle vene. Quest’analogia
verbale paragona il modo simile in cui la linfa e il sangue circolano. Un
altro esempio sarebbe: il caldo sta al freddo come la luce sta al buio. Ora,
però, inizia la tua favolosa scoperta analogica del tuo cervello. Pronto per
iniziare a giocare? Completa il seguente esercizio (che troverai già sul tuo
quaderno di lavoro). Collega le seguenti analogie con una linea:
1. Il capitano è alla nave a. Come il latte sta al cibo
2. Lo champagne è al liquore b. Come un termometro sta al
calore
3. La gallina è per le uova c. Come il presidente è per il
paese
4. Il medico è alla malattia d. Come la mucca sta al latte
5. La tartaruga sta alla lepre e. Come la lentezza sta alla
velocità
6. La sinistra è a destra f. Come il sindaco sta alla città
7. L’orologio è a tempo g. Come l’orizzonte sta alla
verticale
8. Il latte è alla mucca h. Come la lana per le pecore
9. L’autista è alla macchina i. Come un trattato di pace lo è
per la guerra.

Le analogie sono una strategia divertente per lavorare sulla


comprensione della lettura e per allenare il ragionamento logico. Il fatto
che sei andato a controllare le tue risposte è stato in modo analogico.
Quindi, l’uomo sta al compito di pensare, come la macchina sta al
risultato. Però sarà sempre l’uomo a far funzionare bene la macchina.
Esistono un certo numero di idee sbagliate sulle parole “ digitale ” e “
analogico ”. Uno di questi è che analogico significa vecchio , mentre
digitale significa moderno . Anche se ciò è spesso vero, non è questa la
base della distinzione. Siamo dispositivi analogici che seguono modalità
di funzionamento biologiche. Vale a dire che noi siamo l’origine e da lì
derivano i dispositivi che svolgono funzioni relativamente umane. O,
almeno, che aiutano l’uomo a vivere meglio, oltre a essere schiavo del
consumo in modo subliminale.
Ecco le risposte: 1f 2a - 3d - 4i - 5e (è un’analogia alternante, non
preoccuparti) 6g - 7b - 8h - 9c

Quando è entrata l’era digitale nelle nostre vite?

Continuiamo a raccontare la storia. Chi si ricorda del Casio G-shock ?


Beh, vedo molti giovani felici che indossano quell’orologio vintage! La
fabbrica giapponese Casio (produttrice di calcolatrici) lanciò il suo primo
orologio, il Casiotron , nel 1974. Mostrava l’ora, i minuti e i secondi,
evidenziando la possibilità di poter passare da 12 o 24 ore, il che fu
un’innovazione senza precedenti perché mai prima d’allora c’era stato un
orologio con quella funzione digitale (perché espressa in digiti). E sul
polso di qualsiasi essere umano. Dopo il Casiotron, seguirono nuove
funzioni. All’inizio degli anni ’80, l’azienda Yamagata ha prodotto
innumerevoli orologi con funzioni multipli, come il famoso orologio
calcolatore. Che evento! Sembrava l’apice dell’invenzione umana. Ma ciò
che forse trasformò la tecnologia dell’epoca fu l’incorporazione di parti e
pezzi di plastica negli orologi, quando tradizionalmente e fino ad allora
erano stati fatti di metallo. Tuttavia, in realtà, il primo orologio digitale
era stato inventato dall’ingegnere bulgaro Petar Petrov nel 1956.
Molti lettori sono, probabilmente, nati nell’era del periodo d’oro del
digitale. Leggere di queste cose può causare loro ilarità, ma è ciò che
esiste da molti anni. Così, le nuove tecnologie realizzano, in realtà, solo
nuovi processi perché le macchine digitali sono già state inventate da
parecchio tempo. Infatti, le nuove tendenze sono quelle di creare veicoli
per lasciare il pianeta terra. Chi ama Star Trek deve vivere con grande
eccitazione ogni scoperta su questo tema. Ma il vero obiettivo della
tecnologia digitale è di semplificare i processi. È per questo che il mondo
moderno si è trasformato a livelli senza precedenti, soprattutto nella
trasmissione e nell’immagazzinamento dei dati.
Per gli amanti della musica, l’avvento del digitale ha cambiato il
piacere di ascoltarla. Tutto grazie all’ingegnere olandese Kees
Schouhamer Immink che è responsabile di una delle più grandi
rivoluzioni del secolo: ha creato il passaggio dall’analogico al digitale.
Il suo lavoro alla Philips lo ha reso, grazie al suo sistema di codifica, il
padre del , del e del Blu-ray, tre generazioni di dischi di formato
fisico destinati a scomparire per mano di internet. Beh, ammetto che sono
riluttante a buttare via alcune cassette, e alcuni girano ancora nella mia
libreria. Ma non perdiamo il punto. La storia del , e quindi della
rivoluzione digitale, inizia nel 1974 quando Immink e il suo team cercano
di trovare un’alternativa ai dischi in vinile, mentre lavorano alla Philips.
Le tacche e l’ago sono stati sostituiti da un laser capace di leggere il
codice binario inciso sulla superficie del , senza toccarlo. Non è stato
facile, per questo ingegnere, perché ha dovuto sviluppare un sistema di
codifica innovativo ( ) che traduceva i solchi del vinile in uno e zero.
Anni dopo, Immink migliorò il sistema per i . E poi, ancora una
volta, per il Blu-ray.
Il compact disc ha aperto la porta al mondo digitale che è venuto dopo.
Fu introdotto nei primi anni ’80 e fu la prima volta che i consumatori
poterono apprezzare la qualità del suono digitale. Poi sono arrivati il
e l’mp3 e tutta la rivoluzione dall’analogico al digitale. Questo non solo
ha cambiato l’industria della musica e dell’intrattenimento, ma anche
quella dei computer. All’epoca, i - offrivano più spazio di
archiviazione di un disco rigido: enciclopedie e videogiochi erano
disponibili in una qualità mai vista prima. Oggi non c’è bisogno di avere
dischi che prendono polvere a casa, perché l’informazione arriva
rapidamente sul tuo telefono ed è esattamente quello che stavi cercando.

Silenzio! È nata la macchina fotografica digitale

Sapevi che Kodak ha rifiutato di permettere al suo inventore della


macchina fotografica digitale di parlare della sua scoperta?
Steve Sasson era ingegnere alla Kodak dal 1973, e gli fu dato il
compito di scoprire se un Charged Coupled Device ( . . .) avesse
qualche applicazione pratica. Due anni dopo, se ne uscì con
un’invenzione che poteva cambiare la storia. Solo che la storia non è stata
cambiata da Kodak e, relativamente poco, da Steve Sasson.
La macchina pesava 3,6 chili e
aveva una risoluzione di soli 0,01 megapixel. L’immagine 100x100 pixel
è stata presa in 50 millisecondi, registrata su una cassetta per un periodo
di 23 secondi e poi visualizzata sullo schermo da un registratore che ci
impiegava 30 secondi per elaborare i dati. Era il 1975, quindi Steve Jobs e
Steve Wozniak non avevano ancora inventato l’Apple I mentre Sasson
dimostrò la sua invenzione a tutti i dirigenti di Kodak, dal marketing ai
responsabili dello sviluppo, ai manager e ai loro capi. Tutti non rimasero
impressionati dal progetto. Per un’obiezione drammatica: chi vorrebbe
vedere immagini di così scarsa qualità in televisione? Sasson,
naturalmente, sottolineò che, con un sacco di investimenti e un po’ di
tempo, la qualità dell’immagine sarebbe migliorata drasticamente, il
processo di visualizzazione sarebbe molto stato veloce e al mercato
sarebbe piaciuta sicuramente l’idea.
La direzione della Kodak non vedeva un futuro per l’invenzione,
soprattutto perché non faceva alcun uso della pellicola analogica.
Eastman-Kodak era la più grande azienda cinematografica del mondo,
con 145’000 dipendenti e sedici miliardi di dollari di vendite. Tutto il suo
business era basato sul cinema. Tutte le fotografie negli Stati Uniti erano
fatte con pellicole Kodak e in tutto il mondo la stragrande maggioranza
delle pellicole vendute erano Kodak. Già nel 1981 Sony introdusse la
prima macchina fotografica digitale, la Sony Mavica , che registrava
fotografie su floppy disk. Erano passati sei anni dal primo prototipo
grezzo di Sasson, sicuramente abbastanza tempo per Kodak per fare un
prodotto finito da quella iniziale e brillante intuizione.
Come sappiamo, il tempo ha dato ragione a Sasson, ma il top
management di Kodak all’epoca, eravamo a metà degli anni ’70,
probabilmente aveva poco interesse in una tecnologia così futuristica. Nel
2012 Eastman Kodak ha presentato istanza di fallimento, schiacciata dal
ritardo nello sviluppo della tecnologia digitale.
I casi di cui sopra sono esempi di come l’era digitale sia arrivata a noi
dagli anni ’50 in poi. C’erano giovani che godevano di un privilegio al di
sopra della media tecnologica e sociale della metà degli anni ’80.
Abbiamo sentito il fuoco interiore di iniziare la nostra storia informatica
con il Commodore 64k . La versione Amiga era il primo dispositivo
multimediale! E, a quel tempo, l’apice della multimedialità era
rappresentato dai giochi elettronici. Questo è un caso in cui solo il
coraggio e la determinazione hanno costruito i monopoli di Apple e
Windows. Mentre la famiglia Tramiel (proprietari della Commodore) si
era persa in un bicchiere d’acqua con la strategia di marketing, Steve
Jobs, Steve Wozniac e il loro team hanno trasformato il mondo
tecnologico degli esseri umani. Era un tempo in cui la gente non pensava
che fosse necessario avere un personal computer. Avevamo la televisione
con informazione in tempo reale! E oggi sembra che sia quasi tutto nella
nostra vita perché, a volte, sentiamo che senza un dispositivo elettronico,
collegato a internet, siamo nulla nel mondo.

I superpoteri analogici sono la base dell’intelligenza artificiale

Sono nel pieno uso delle mie facoltà mentali. Di fatto ho realizzato una
panoramica storica di come la tecnologia ci ha portato fino a questo punto
della nostra storia per arrivare a un momento nevralgico del presente.
L’intelligenza artificiale è la capacità data dagli esseri umani alle
macchine di memorizzare e imparare dall’esperienza, pensare e creare,
parlare, giudicare e prendere decisioni. C’è chi è più ardito di me e dirà
che l’intelligenza artificiale è, addirittura, una copia del comportamento
umano. Io mi fermo a usare la parola analogia poiché, prima di tutto,
mira a riprodurre le funzioni del cervello umano. Nonostante sia nata a
metà degli anni ’50 del secolo, continua a generare paura dovuta al
fatto che potrebbe finire con i posti di lavoro (soprattutto in forma di
automazione e robotica). Ebbene non è così. Difatti, se la tecnologia è
creata per aiutare a evolvere e di conseguenza progredire, l’uomo non
sarà mai sostituito dalle macchine. Per questo motivo la formazione a
livello lavorativo, nonché professionale, deve essere continua per
implementare le capacità e le competenze manuali. Per lavorare in
azienda ma anche da casa.
La cosiddetta intelligenza artificiale è oggi capace di riconoscimento,
non di cognizione. Le macchine operano entro i limiti stabiliti dai loro
progettisti o entro i limiti delle serie di dati con cui sono alimentate. Ecco
alcuni piccoli esempi:
- sono necessarie cento milioni di immagini per raggiungere il 98% di
affidabilità nel riconoscimento delle immagini; eppure sono sufficienti
due immagini per far sì che un bambino impari questa differenza;
- le risposte degli assistenti vocali sono basate su script definiti dagli
umani.

L’aspetto più importante che deve restare chiaro a tutti noi è che
l’improvvisazione umana è impossibile da programmare. Di fatto è su
quell’aspetto che si riconosce l’intelligenza di molte persone.
E non dimenticare che l’improvvisazione umana è impossibile da
programmare! Ecco perché ho selezionato questi superpoteri, per fare in
modo che l’intelligenza artificiale sia un’analogia del comportamento
umano responsabilmente sostenibile. E chi la utilizzerà non procurerà
danni dovuti a un comportamento snaturato, perché i superpoteri
analogici sono capacità straordinariamente umane che ho scelto come
analogie del comportamento umano. Perché si applicano alla
socializzazione, al lavoro, alle relazioni, alla gestione del denaro,
all’autostima e alla fiducia in sé stessi. Sono strumenti di potere personale
per sopravvivere, per mantenere la specie, per essere altamente produttivi
e per continuare l’evoluzione. I superpoteri sono abilità che rendono i
supereroi della fantascienza immortali. Ma dopo la prima pandemia del
secolo, i superpoteri analogici sono la forza e l’anima di una società
che rimarrà umana attraverso la responsabilizzazione collettiva.
Pronto per un allenamento facile? Questi sono i tuoi superpoteri
analogici. Gioca a trovare le corrispondenze giuste, anche sul tuo
quaderno di lavoro.

1. L’attenzione sta alla a. come l’intelligenza sta ai


sopravvivenza risultati
2. Processare l’informazione sta b. come la sovranità sta alla
alla prevenzione repubblica
3. L’autocontrollo sta alla c. come un fucile sta a un
coscienza soldato
4. Il rispetto delle regole sta d. come la presenza sta al
all’ordine sociale protagonista
5. L’influenza sta all’umanità e. come la tolleranza sta alla
crescita personale
6. Ammettere gli errori sta alla f. come l’esempio sta alla
crescita di sé leadership
7. L’occupabilità sta a un’arma g. come la sicurezza sta alla
tranquillità.

Vediamo come usare i nostri superpoteri analogici anche per risolvere


problemi digitali. Ah, e per leggere le risposte dovrai seguire le piste.
Quindi attenzione!
II – Superpotere #1: l’attenzione

Perché viviamo sommersi nelle distrazioni? Perché ci ritroviamo a fare


una cosa e pensare a qualcos’altro? Certamente non tutte le distrazioni
derivano da internet o dalla tecnologia. Qual è la prima cosa che
controlliamo quando accendiamo il nostro cellulare ogni mattina (perfino
con gli occhi appiccicaticci)? Va bene, concediamoci il beneficio del
dubbio. Potrebbero essere le email di lavoro. E dopo quanto tempo
andiamo sui social media, qualche influencer e Amazon? E di
conseguenza ci tuffiamo nelle recensioni del prodotto per cui ci hanno
suggerito lo sconto. È un’abitudine. Guardiano sempre gli stessi siti web,
le stesse applicazioni ogni mattina, su qualsiasi dispositivo abbiamo a
portata di mano e ovunque ci troviamo. Ci hanno programmato per farlo.
La tecnologia ha dirottato la nostra attenzione al punto di farci credere
che dobbiamo essere digitali . Ci piace sentirci iperimpegnati quando, in
realtà, ci stiamo allontanando da ciò che non vogliamo affrontare.
L’attenzione è un superpotere analogico, perché non c’è nessuna app o
dispositivo elettronico che ci renda più attenti e presenti nell’adesso. È
una capacità distintamente umana. Internet ha aperto le porte per
connetterci a milioni di persone in tutto il mondo, ma ci ha anche
disconnesso dai focus attenzionali che sono utili per la sopravvivenza. E
se non stiamo attenti a controllare le nostre emozioni, la tecnologia ci
giocherà brutti scherzi. Ti è mai successo di sbagliare il destinatario di
un’email, che non doveva essere letto da un destinatario specifico? Ahia.

Perché l’attenzione è un superpotere


Sara è la responsabile amministrativa di Shoes for You, [2] una piccola
azienda di produzione di scarpe. Arianna è stata assunta dal fratello di
Sara, Alfonso, per la sua esperienza dirigenziale nelle vendite. In una
micro impresa familiare, due giovani donne con diverse basi di potere
come la posizione (Sara era la figlia del proprietario) e l’esperienza
(Arianna aveva lavorato in molte aziende), è nata una rivalità intestina.
Sara considerava Arianna una “ presuntuosa saccente ”, solo perché era
andata all’università; mentre Arianna, una venditrice incallita,
considerava Sara come “ la figlia inutile del proprietario ”. Una di quelle
parenti che non è capace di fare nulla, ma trova un lavoro sicuro
nell’azienda di papà. Quando Aristofane disse che non c’era animale più
spietato dell’uomo, non specificò il genere femminile giacché non aveva
mai incontrato nessuna di quelle due.
Arianna non ha ricevuto il suo stipendio per il secondo mese di fila. Ha
chiesto chiarimenti a Sara, la quale ha risposto che era colpa della banca.
Arianna si chiedeva: “ come può essere che un istituto finanziario
gestisca il libro paga di questa azienda? ” Pertanto ha chiamato la banca
per chiedere che cosa fosse successo. Pensò che forse non avevano l’iban
giusto. Ma il direttore le ha confermato che Sara non aveva disposto
nessun bonifico per lei. E questa è stata la goccia che ha fatto traboccare
il vaso. Arianna, stanca degli altri fastidi causati da Sara (contestazioni
d’addebito perché Arianna distrattamente non l’aveva salutata, per citare
un esempio), ha inviato un’email a tutti i soci. Non era una lettera scritta
da un avvocato o da un sindacalista. Due mesi senza stipendio
cominciavano a essere critici.
Questo ha creato una forte indignazione per Sara che si è sentita
accusata di negligenza. Ha insistito di fronte ai suoi soci che si trattava di
un errore della banca, e per questo ha risposto all’email: “ Cosa sta
aspettando questa deficiente per uscire da qui? L’abbiamo sopportata
abbastanza! Non appena si dimetterà vi offrirò una cena a base di pesce
crudo. Dobbiamo festeggiare! ”
Il fratello di Sara, Alfonso, segretamente innamorato di Arianna,
risponde a questa email dicendo: “ il pesce crudo mi fa venire il cagarello
”.
Marziale, il padre fondatore, ignora volontariamente la risposta dei
figli ma Arianna no. Queste email le sono arrivate perché Sara e Alfonso
hanno cliccato su Rispondi a tutti . Quindi Arianna ha raccolto la sua
pallina di filo (le email con il presagio delle sue dimissioni) e non l’ha
data a Teseo. L’ha data al suo avvocato per uscire da un labirinto di
persone distratte e tossiche, senza alcun tipo di litigio. Touché.
L’attenzione è un superpotere perché senza, non saremmo mai arrivati
dove ci troviamo oggi. Quando l’uomo primitivo ha scoperto cosa
mangiare e come proteggersi dall’intemperie è stato grazie
all’osservazione. Per esempio, grazie alla sua attenzione ai suoni ha
imparato a identificare quali animali lo avrebbero mangiato già dal suono
del loro passo felpato. Capirla e appropriarsene è una grande competenza
analogica che ti rende potente, mentre gli altri hanno la testa bassa a
guardare i loro telefoni. È un superpotere perché ti rende più umano. Non
c’è una app o una tecnologia che ti terrà più attento. Ma se non sei
presente, con tutti i cinque sensi, elaborando le informazioni che ti
arrivano o facendo le domande giuste (anche se gli altri possono
considerarle inutili), è perché stai dando più importanza a cose che
certamente non sono priorità. Pertanto che cos’è l’attenzione e come
trasformarla in una fonte di potere? Conoscendola e appropriandosene.

L’attenzione sta alla sopravvivenza come la


presenza sta al protagonista.

Cos’è l’attenzione?

Essere presente, attento e vigile è la chiave della tua sicurezza, della


tua sopravvivenza e del tuo successo in qualsiasi cosa tu voglia ottenerli.
Non importa dove ti trovi. Quando vai a una festa e decidi
volontariamente di non bere alcolici perché devi guidare l’auto, lo stai
facendo per la tua sicurezza e quella di molte altre persone. Ciò significa
che sei presente e cosciente. La pandemia ci ha insegnato a indossare le
mascherine, a lavarci costantemente le mani e a mantenere una distanza
interpersonale. Questa è la sopravvivenza attraverso la consapevolezza.
Inoltre, tale superpotere è la chiave del tuo successo, quando sei
concentrato sui dettagli che gli altri non notano. E questo è tipico
dell’underdog. La gente crede che tu non ci sei. Mentre invece ci sei,
eccome! Quindi è una fonte di grandi opportunità. O di fortuna, se ti piace
di più questa parola.

L’attenzione è il processo mentale che ci


permette di selezionare ed elaborare gli stimoli
che arrivano per rispondere a ciò che è rilevante.

Perché l’attenzione è un processo? Perché contiene una successione


di passi attraverso i quali si ottiene un qualcosa. Per esempio, quando
andiamo al supermercato, mettiamo i prodotti nel carrello, ci rechiamo
alla cassa, paghiamo e finalmente mettiamo nelle shopper gli acquisti, si è
completato un processo d’acquisto. Perché è mentale? Perché la mente
mette in ordine la realizzazione di ogni fase del processo: dall’alleviare la
necessità delle provviste (carne, pesce, verdure, ecc.), valutando i prezzi e
le promozioni ingannevoli, fino a metterle nella dispensa di casa per
essere utilizzate e consumate.
Tutte queste serie di azioni possono anche essere chiamate attività
cognitive . Ciò si riferisce a tutto quello che il nostro cervello ha imparato
(e continuerà a farlo) attraverso i nostri sensi e le nostre caratteristiche
fisiche e di personalità. Vale la pena notare che l’attenzione non è un
processo unitario, poiché ci sono diversi tipi o modalità. Vediamo come si
applicano alle nostre attività quotidiane.

Tipi di attenzione

Col tempo è diventato chiaro che l’attenzione non doveva considerarsi


un processo composto da una sola funzione, ma che poteva essere
frammentato in diversi sottoprocessi attenzionali o tipi di attenzione. Così
facendo, sono stati proposti diversi modelli per spiegare il più fedelmente
possibile come funziona l’attenzione. Il modello più chiaro da
comprendere è quello gerarchico di Sohlberg e Mateer (1987, 1989),
basato su casi clinici della neuropsicologia sperimentale. Secondo tale
modello, l’attenzione è divisa in sei componenti o meccanismi
attenzionali, disposti in un ordine gerarchico, in modo che l’integrità di
ogni livello è necessaria per quello immediatamente superiore:
focalizzato, sostenuto, selettivo, selettivo alternato e diviso.

Arousal [3] la capacità di essere quando passiamo


svegli e di mantenere attraverso una
la vigilanza zona di pericolo
Attenzione capacità di quando si legge un
focalizzata focalizzare libro, si ascolta la
l’attenzione su uno radio o si scrive
stimolo visivo, sulla tastiera
uditivo o tattile
indipendentemente
dalla durata del
tempo
Attenzione sostenuta la capacità di quando siamo in
mantenere una una competizione
risposta coerente per sportiva o durante
un lungo periodo di la giornata
tempo lavorativa
Attenzione selettiva la capacità di quando si entra in
partecipare un posto e si nota
specificamente a uno immediatamente
stimolo o attività in una persona
presenza di altri attraente
stimoli di distrazione
Attenzione alternata la capacità di quando stiamo
spostare il focus parlando con
attenzionale tra due qualcuno e
o più stimoli guardiamo anche
per vedere se è il
nostro turno sulla
lavagna
Attenzione divisa la capacità di quando stiamo
selezionare da più di organizzando il
un’informazione alla nostro guardaroba,
volta. Può richiedere decidendo quali
il passaggio rapido vestiti donare o far
da un compito modificare per
all’altro, o indossarli di nuovo
l’esecuzione
automatica di un
compito alla volta
Modello clinico dell’attenzione (Sohlberg e Mateer, 1987,1989)
In un solo istante abbiamo più di un tipo di attenzione attiva nel nostro
cervello. Per esempio, quando si guida una macchina, facciamo uso di
tutti i processi attenzionali: dobbiamo essere svegli al volante ( arousal );
essere in grado di focalizzare la nostra attenzione ai segnali sulla strada (
attenzione focalizzata ); essere in grado di mantenere la nostra
attenzione per lunghi periodi di tempo su ciò che accade sulla strada (
attenzione sostenuta ); essere in grado di non distrarsi per stimoli
irrilevanti come la lettura dei cartelloni pubblicitari ( attenzione selettiva
); essere in grado di spostare ripetutamente la nostra attenzione dalla
nostra corsia alla corsia successiva durante il sorpasso ( attenzione
alternata ); ed essere in grado di eseguire tutte le azioni necessarie alla
guida, come usare i pedali, sterzare il volante e cambiare marcia allo
stesso tempo (attenzione divisa). Povero cervello!
Ci sono altri tipi di attenzione che gestiamo continuamente e che non
sono meno importanti. Abbiamo l’attenzione aperta , che è accompagnata
da risposte motorie le quali, in questo caso, faciliteranno l’azione di
prestare attenzione, per esempio, girare la testa e guardare una persona
quando ci parla; l’attenzione uditiva che è la capacità di prestare
attenzione agli stimoli percepiti attraverso le nostre orecchie, per esempio
quando ascoltiamo una canzone gradita; l’attenzione nascosta che è la
capacità di prestare attenzione agli stimoli senza dare apparentemente la
sensazione di compiere quell’azione. Ad esempio, quando sei seduto sul
water con il tuo telefono in mano.
L’attenzione è un’arma, quindi, che deve essere affilata.

Affila il tuo superpotere

Ecco un esercizio in cui dovrete riempire il tipo di attenzione con


l’attività che si svolge. Pronto a rinforzare i tuoi muscoli mentali? Si va in
vacanza!

È finalmente il momento di riposare per qualche giorno lontano dalle


preoccupazioni del lavoro. Quando si arriva all’aeroporto, si comincia a
cercare un posto per fare il check-in, tenere d’occhio i bagagli e
assicurarsi che i bambini non vadano fuori strada. (Attenzione
__________________). Ti dirigi verso il gate dove devi imbarcarti
sull’aereo. Hai i tuoi biglietti, la tua borsa fotografica e il tuo voucher
dell’hotel nelle tue mani. (Attenzione __________________). Senti lo
speaker che chiama all’imbarco su un volo che non è il tuo (Attenzione
__________________). Ora è il tuo turno di salire sull’aereo e cercare il
tuo numero di posto. (Attenzione __________________). Dopo aver
ascoltato, come richiesto dalle buone maniere, la hostess che dà istruzioni
di sicurezza molto importanti da utilizzare in caso di emergenza, si inizia
a leggere un libro o a parlare con il vicino di posto. (Attenzione
__________________). Quando l’aereo sta per atterrare, raccogli le tue
cose, le metti via, prendi la tua giacca e cominci a controllare dove si
trova la tua valigia con i tuoi documenti d’identità. (Attenzione
__________________).

La tua vacanza è iniziata con successo se non hai perso nulla, se non
c’è stato un over booking [4] e, soprattutto, se sei pronto a divertirti come
se non ci fosse un domani. Organizzare il tuo viaggio, partire e tornare a
casa sano e salvo dimostra che possiedi il superpotere #1. Ma ci sono, in
realtà, due tipi di attenzione che ci rendono più forti. Sono l’attenzione
focalizzata e l’attenzione divisa. La prima perché ci permette di
completare con successo i compiti, mentre la seconda è la capacità
cerebrale di partecipare a diversi stimoli o attività allo stesso tempo.
Cerchiamo di capirli per utilizzarli al meglio, partendo dalle risposte:
arousal , focalizzata , auditiva , selettiva , alternante , divisa .

Attenzione focalizzata

L’attenzione focalizzata è una capacità che possiede il nostro cervello


di concentrarsi su uno stimolo oggettivo, senza importare quanto tempo
gli dedichiamo. Stiamo parlando della tanto richiesta concentrazione .
Questa è un’abilità analogica per eccellenza, dato che non esiste una
tecnologia che aiuti a concentrarti, poiché è una decisione mentale di ogni
individuo. Ogni giorno siamo circondati da migliaia di stimoli che ci
influenzano. Tuttavia, gli esseri viventi hanno la capacità di inibire quegli
stimoli che sono irrilevanti per fare cose utili o importanti. Se non
fossimo centrati su quello che stiamo realizzando, saremmo sovraccarichi
di informazioni, rischiando davvero di bruciare il cervello.
Durante le sessioni di coaching in presenza, le attività sono più
divertenti da applicare. Per ora, vorrei proporti due consigli di coaching
da sperimentare. Si tratta di masticare una gomma e di accettare una sfida
quasi mortale alla tua esistenza: spegnere i tuoi dispositivi elettronici.
Non ti sto chiedendo di metterli in modalità aereo o in standby. Si tratta di
spegnere e di disconnettersi dai social media. È un compito specifico da
svolgere in maniera consapevole. Perché solo facendolo così, si può
vivere più presenti e tornare a sorprenderci con le cose che perfino il
nostro straordinario pianeta ci offre.
La capacità di prestare attenzione non dipende solo dalla nostra
volontà, ma anche da come agiscono i nostri sensi. Alcune persone sono
visive, uditive e cinestetiche. Per persone visive intendiamo che una
persona percepisce il mondo come lo vede. Loro saranno più attenti alle
cose che guardano e ai dettagli che osservano. Di fatto, i visivi quando
parlano usano, generalmente, metafore visive. Le persone uditive, invece,
sono guidate dal loro senso dell’udito. Così come i visivi hanno bisogno
di vedere per capire, le persone uditive hanno bisogno di sentire e
comprendere ascoltando. Sono attenti ai suoni e alle parole. D’altro canto
le persone cinestetiche sperimentano il mondo attraverso il tatto, il
movimento e le sensazioni corporee. Quando queste persone si
esprimono, si muovono, riproducono suoni e gesticolano di più. Per loro
l’attenzione è naturalmente divisa. Non possiamo dimenticare che
l’attenzione dipende anche dalle caratteristiche fisiche del nostro corpo.
Notiamo facilmente chi è magro quando siamo in sovrappeso, così come
chi ha più capelli se i nostri ci abbandonano irrimediabilmente.
Ora voglio proporti un gioco per rafforzare la tua attenzione continua.
Sono certa che è un gioco da ragazzi.
Esercizio 1 . Completa il seguente schema riempiendo le caselle con il
numero o la lettera che corrispondono alla tabella superiore. Come vedi,
ogni lettera è associata a un numero.

A B C
1 2 3

A 3 B 2 1 C A

2 C 1 3 A B C

3 2 A B 1 C 1

Veloce, vero? È un esercizio di attenzione focalizzata chiamata anche


attenzione sostenuta, la quale è definita come la capacità di mantenere il
focus attenzionale su un’attività o uno stimolo per un lungo periodo di
tempo. Tutto questo in una sola parola? Concentrazione. Però è
l’attenzione divisa quella che mette alla prova la forza di questo
meraviglioso superpotere #1: l’attenzione .

Attenzione divisa

L’attenzione divisa è un tipo di attenzione simultanea che ci permette


di elaborare diverse fonti di informazione e di eseguire, con successo, più
di un compito alla volta. Non sto parlando di multitasking. Questa abilità
cognitiva è molto importante perché ci permette di essere efficienti nel
quotidiano. Ma ci logora anche senza rendercene conto. Dividere
l’attenzione riduce la performance o l’efficienza delle azioni che vengono
eseguite allo stesso tempo.
Quando una persona ha difficoltà a partecipare simultaneamente alle
molteplici richieste dell’ambiente, si verifica un fenomeno noto come
interferenza . Essa si verifica perché il nostro cervello può elaborare solo
una quantità limitata di informazioni. Tuttavia, la pratica e l’allenamento
cognitivo possono migliorare la nostra attenzione divisa e di
conseguenza, la capacità di svolgere più di un’attività
contemporaneamente. Ecco alcuni esempi di attenzione divisa:
- quando siamo seduti sul nostro divano di fronte alla , guardando
il telefono, mangiando e parlando con un’altra persona allo stesso
tempo;
- quando vai in un negozio e cerchi un paio di pantaloni, la camicia
che ti sta meglio e, mentre sei lì, vai anche alla ricerca delle scarpe
perfette;
- quando sei in una riunione di lavoro, stai preparando quello che devi
dire e stai modificando all’ultimo minuto il rapporto che devi presentare;
- quando si ascolta la musica mentre si legge o si studia.
Come vedi l’attenzione divisa è la capacità di prestare attenzione a più
cose contemporaneamente. L’esercizio precedente è stato facile e veloce.
Stiamo parlando di attenzione, quindi segui le istruzioni prima di fare
qualsiasi cosa. E se aumentiamo la difficoltà? Allora prenditi una gomma
da masticare mentre leggi sulle favolose proprietà per la concentrazione
grazie al chewing gum.

Gnam gnam

Nel libro Why Einstein Didn’t Wear Socks , l’autore Christian


Ankowitsch cita uno studio che sostiene come la gomma da masticare
aiuta la concentrazione. Secondo i ricercatori, “ l’effetto psicologico più
completo della gomma da masticare è un aumento dell’attenzione ”. Per
cominciare, il gusto, la dimensione, il colore e il contenuto di zucchero
non contano, perché è l’atto di masticare che conta. Il secondo dato
chiave è che la gomma da masticare aumenta effettivamente la nostra
attenzione ed efficienza: ha certamente aiutato i circa centosessanta
partecipanti all’esperimento a svolgere compiti come fare un puzzle o
recitare una sequenza di numeri al contrario. La terza informazione
specifica è a che ora è meglio iniziare a masticare. Alcuni soggetti hanno
detto che è opportuno masticare una gomma circa cinque minuti prima di
eseguire un determinato compito, l’attenzione è aumentata per quindici o
venti minuti e poi è tornata a un livello normale. Mentre, per chi
masticava la gomma durante il test, non si è riscontrato lo stesso effetto.
Gli psicologi attribuiscono questo al fatto che i due processi di masticare
e pensare si ostacolano a vicenda. Nemmeno il cervello è multitasking.
Vediamo se funziona per te!
Esercizio 2 . Prima di farlo, mastica la tua gomma per quattro o cinque
minuti. Una volta finito, impara a memoria le istruzioni che dovrai
seguire prima di fare l’attività. Non potrai più leggerle dopo.
Istruzioni.
Segui l’ordine e indica il più rapidamente possibile i numeri che
corrispondono alle regole:
• numero 0: va avanti;
• numeri pari (meno 0): saltare 2 caselle;
• numeri dispari: salta 3 caselle;
• segui la direzione delle frecce perché inizierai da destra a sinistra e
alcune serie dovranno essere lette da destra a sinistra.
Una volta che hai memorizzato le istruzioni, inizia il tuo gioco.

0 2 5 7 4 2 1 5 8 1
8
3 4 0 1 0 6 8 6 0 7
7
1 8 0 8 0 0 0 3 9 0
9
4 2 0 4 8 6 8 9 1 7
1
8 0 9 0 7 8 3 4 0 0

Come è andata? È stato un esercizio nel quale hai diviso la tua


attenzione memorizzando le istruzioni per poi eseguire il gioco. Sta’ pur
certo che allenare l’attenzione è un uno sforzo mentale sì. Ma vale la pena
se vuoi davvero avere successo .
Voglio essere chiara su una cosa. L’attenzione divisa non è
multitasking. Piuttosto, è la capacità di selezionare più di
un’informazione alla volta. Può richiedere il passaggio rapido da un
compito all’altro, o l’esecuzione automatica di un compito alla volta. Ma
qui mi riferisco a un tipo di attenzione, la divisa, cioè il modo in cui il
nostro cervello risponde agli stimoli dell’ambiente. Un esempio è il
lavoro di una centralinista in un’azienda. Deve rispondere al telefono,
scrivere i messaggi, passare la linea alla persona che cercano, salutare la
gente, fare fotocopie. Ma se ci facciamo caso, ogni attività deve essere
terminata prima di passare a un’altra. Perciò, una cosa alla volta è la
miglior maniera di restare centrati in modo efficiente, perché si fanno
meno errori dovuti alla fretta. Rinunciare al multitasking è soltanto
l’inizio.

Perché il multitasking è un fake?

Non nego che alcune persone hanno la straordinaria capacità di fare


più di una cosa alla volta. Il coaching è una disciplina che ti aiuta a capire
le tue capacità, quindi ti propongo di fare il seguente esercizio. Prendi un
pezzo di carta o il tuo quaderno di lavoro. Prendi una matita o una penna
in ogni mano. Ora disegna un triangolo con la mano sinistra e un cerchio
con la mano destra simultaneamente. Facile, vero? Bene, rendiamo
l’esperimento più difficile. Hai venti secondi di tempo. Disegna di nuovo
le figure geometriche, sempre allo stesso tempo, ma questa volta
riempiendo l’interno senza che nessuna linea esca dalla figura e senza
fermarti per un solo secondo.
Come ti sentivi? Che cosa era più importante? La concentrazione o il
movimento delle mani? Con questo esercizio si può notare la differenza
tra attenzione e azione perché mentre si disegna, si è attenti a disegnare la
figura come richiede l’esercizio. E poi l’attenzione si divide per riempire
le figure e senza uscire dalle linee.
Se sei riuscito a fare l’esercizio disegnando perfettamente il cerchio e
il triangolo con tutte le difficoltà, senza problemi, complimenti! Hai
un’ottima concentrazione e capacità motorie. Se hai dovuto provare
diverse volte per farlo perfettamente, la tua dedizione è da ammirare!
Ricordati che dovevano essere perfetti. Se invece non ti è venuto come al
resto dei mortali, hai toccato con mano che non puoi essere multitasking.
Siamo analogici, anche se sei un asso nel maneggiare i dispositivi
elettronici. E non dimenticare che hai ancora bisogno di usare le mani per
cercare su internet.
L’attenzione è la capacità di selezionare gli stimoli che ci arrivano
dall’ambiente e usarli nel modo migliore per ciò di cui abbiamo bisogno.
Il neurologo americano Daniel Levitin, autore del libro The Organized
Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload , afferma che
il sovraccarico di informazioni che riceviamo è aumentato di cinque volte
negli ultimi trentacinque anni. Secondo Levitin, solo durante il tempo
libero, ognuno di noi elabora trentaquattro gigabyte di informazioni ogni
giorno. Il problema è che il nostro cervello è limitato. La nostra mente
cosciente elabora centoventi bit al secondo. Ciò significa che se riesci a
capire quello che dicono due persone allo stesso tempo, sei un prodigio.
Crediamo che con il multitasking siamo iperproduttivi. In realtà,
costringiamo il nostro cervello a passare continuamente da
un’occupazione all’altra, affaticandolo inutilmente e costringendolo a
consumare le nostre riserve di glucosio. Alla fine della giornata ci
sentiamo stanchi, nonostante abbiamo raggiunto ciò che avevamo
pianificato, per carità. Un consiglio comune dato dai neurologi cognitivi è
quello di scaricare le informazioni dal cervello. Come è possibile se
trattiamo trentaquattro gigabyte? Niente di più e niente di meno che usare
una pratica creata cinquemila anni fa: la scrittura. Se scriviamo quello che
dobbiamo fare, risparmiamo tempo e fatica al nostro cervello. I telefoni
possono aiutarci a ricordare ciò che facciamo, ma scrivere a mano è un
dono che rilassa la mente. Aiuta anche a controllare la compulsione a fare
più di una cosa alla volta, mitigando lo stress. Nonostante il nostro
cervello è multifunzione, esegue un processo alla volta. Diamogli un po’
di tregua!

La mente errante

La distrazione è salutare. Ci aiuta a far fronte allo stress, ad avere


buone idee e a rilassarci. Mentre una distrazione può essere sì una grande
fuga, tuttavia può anche essere dannosa. Tutti abbiamo bisogno di fuggire
dallo stress di tanto in tanto, ma l’unico modo per farlo non può essere il
telefono, i social media o internet. La maggior parte delle abitudini che
abbiamo per alleviare lo stress, spesso diventano anche un modo
subconscio di evitare le situazioni. Passare qualche ora al giorno su
Facebook ti fa sentire più felice, ma hai pensato a quale effetto veramente
positivo ha sulla tua vita? Non è una domanda esagerata, perché la
criminalità, grazie alle reti sociali, è salita alle stelle. E alcune persone
hanno perso il lavoro a causa di un commento fuori posto. C’è chi ha
anche avuto i ladri in casa mentre pubblicavano un’infinità di foto delle
loro noches bravas . L’attenzione non può essere focalizzata
sull’immagine che si vuole mostrare di sé. Non solo perché non tutte le
persone sono in grado di gestire le loro emozioni, ma perché si rischia
sempre più spesso di trasformare alcune reazioni emotive in mobbing,
bullying, gelosia, porn revenge, stalking, omicidi, bullismo e suicidi,
soprattutto nei giovani.
Entriamo in modalità mente errante, quando stiamo facendo qualcosa
che non richiede il massimo della nostra attenzione. È una sorta di
attenzione non focalizzata. Ed è anche quel blocco che ci impedisce di
completare un lavoro. È come se la nostra mente galleggiasse nel mare
dei problemi che speriamo di risolvere. Perciò, quando la mente divaga ci
dà un campanello d’allarme. È come se la mente ci dicesse “ risolvi
questo per poter essere tranquillo e fare bene altre cose ”. In inglese si
chiama Mind wandering e si verifica soprattutto quando siamo alla guida.
Questo perché guidare in condizioni ottimali diventa un’attività quasi
automatica. E nelle situazioni in cui la vigilanza è bassa, le persone non
ricordano ciò che è successo nell’ambiente circostante, giacché sono
preoccupate dai loro pensieri.

I vantaggi del randagismo mentale

Le ricerche nel campo della neurologia hanno dimostrato che ci sono


alcuni benefici nell’entrare in questa zona cognitiva. Vediamo quali e
perché.
In primo luogo, spostare la mente verso la distrazione è un modo per il
cervello di muoversi verso la risoluzione dei problemi. Per esempio, se
hai avuto una discussione con qualcuno, penserai a come scusarti o a
come fare quello che ti hanno chiesto di fare. È un vortice in cui la mente
errante ti getta per spingerti a lavorare sui problemi che devono essere
districati. Di qualsiasi tipo essi siano.
Il secondo aspetto considera che nonostante si tenda a concentrarsi
sugli aspetti negativi, la mente vagante porta a sognare a occhi aperti. In
questo stato stimoliamo anche pensieri ed emozioni positive. Durante
questo sogno positivo-costruttivo a occhi aperti, ci impegniamo nella
pianificazione del futuro, ricordiamo esperienze emotive positive e ci
impegniamo nel ragionamento morale. Per esempio, se abbiamo litigato
con un collega, sogneremo di cercare un altro lavoro dove staremo meglio
e guadagneremo di più. E potremmo anche immaginare la faccia dello
stronzo che ci ha reso la nostra vita miserabile, quando ce ne andremo. La
mente errante ci aiuta a creare obiettivi di cambiamento e a creare nuove
mete da raggiungere. Naturalmente, sognare di essere alla guida di
un’auto di lusso, con la capote abbassata e il vento che ti scompiglia i
capelli, è un sogno su cui vale la pena spendere del tempo.
Il terzo aspetto della mente errante è il fattore sorpresa che ha in serbo
per noi. Quando la nostra mente divaga, fa scorrere i nostri fluidi creativi .
Uno studio ha dimostrato che le persone che sapevano come distrarsi
prima di creare un nuovo oggetto generavano il 40% in più di idee
originali, rispetto agli individui che non immaginavano cose impensabili
prima di iniziare. Il vagabondaggio mentale genera idee di tutti i gusti,
perché permette alla nostra mente di correre libera verso la creatività. Che
meraviglia! E soprattutto ci permette di fare delle connessioni che
altrimenti non faremmo, se dirigessimo attivamente la nostra attenzione
su un’unica soluzione. Usalo anche per conquistare la persona che ti
piace. È più che utile!
Attenzione in poche parole

Riceviamo costantemente numerosi stimoli (visivi, olfattivi, tattili,


organici, ecc.), ma l’attenzione funziona come un imbuto, la cui parte più
stretta è l’informazione che finalmente ci interessa. Essa è sempre più
piccola della totalità degli stimoli che riceviamo.
I tipi di attenzione che dovrebbero interessarci di più sono:
- l’attenzione focalizzata ci permette di prestare attenzione a uno
stimolo specifico;
- l’attenzione sostenuta focalizza l’attenzione solo per un determinato
periodo di tempo;
- l’attenzione selettiva è la capacità di prestare attenzione specifica a
uno stimolo, nonostante la presenza di altri stimoli di distrazione;
- l’attenzione alternata è quella che prima focalizza l’interesse su un
evento specifico e poi si sposta su un altro stimolo;
Nella modalità mente errante possiamo generare idee, pensieri positivi
e obiettivi di miglioramento. Ma se non controllato, possiamo ruminare
su emozioni negative e pensieri tossici che non ci portano da nessuna
parte. Non dimenticare che la nostra mente ha bisogno di pause ripetute
per funzionare correttamente. La mente errante e la concentrazione sono
simbiotiche, quindi gestiscile bene, affinché non ti prendano alla
sprovvista.

Perché la fortuna è una questione di attenzione?

Secondo lo psicologo inglese Richard Wiseman nel suo libro


The Luck Factor: The Scientific Study of the Lucky Mind scrive
che la vita dei fortunati è costellata di eventi positivi. Ma non è
tutto frutto del caso: “Il modo in cui i fortunati pensano e si
comportano dà loro maggiori probabilità di creare, notare e
afferrare le opportunità fortuite. I favoriti dalla sorte dichiarano
spesso di aver adocchiato possibilità straordinarie in riviste,
giornali o su internet”. In pratica hanno un atteggiamento aperto
nei confronti del mondo e sono estroversi: così riescono a farsi le
amicizie giuste, utili a favorire la fortuna nel lavoro e nella vita
privata.
Ecco perché questo superpotere è il mio preferito.
Solo l’attenzione ci consente di cogliere le occasioni al volo!

III – Superpotere #2: processare l’informazione

Processare l’informazione? Ma se stiamo parlando di superpoteri


analogici, non sono i computer a farlo? No, non lo fanno e non lo faranno
per te. Elaborare l’informazione è un superpotere analogico perché è solo
attraverso la comprensione, l’interpretazione e l’analisi dei messaggi (in
qualunque forma essa sia) in cui ci arrivano continuamente, che
contribuiamo alla evoluzione umana, alla sicurezza durante future
pandemie o a scoprire quando ci fanno le corna e perché. Ragionare è
anche utile per non essere ingannati, manipolati o semplicemente orientati
verso false credenze come le fake news che rincoglioniscono alcune
persone. Però pensare, costatare, analizzare, ragionare e riflettere sono
un’altra storia.

“ Imparare senza pensare è inutile. Pensare senza imparare è


pericoloso. ”
Confucio
Siamo sicuri di ciò che pensiamo di sapere, ma è soltanto il nostro
sistema di credenze. Ciò rappresenta tutte le conoscenze acquisite durante
la nostra vita, quello che ci hanno insegnato da piccoli, a scuola, in casa e
trasmesso da amici, da colleghi e dall’informazione di massa. Quando ci
chiedono un parere oppure una semplice notizia, il nostro cervello è così
malvagio che ci fa rispondere con la prima cosa che ci viene in mente. Ed
è una prova lampante del fatto che l’esercizio del ragionamento sta quasi
scomparendo dalle nostre vite. Perché è stato sostituito dall’autorità
esercitata da internet, essa ci fa credere che è quella la verità assoluta.
E quando non hai voglia di pensare cerchi in rete. Nonostante tu lo
abbia letto o studiato, cerchi l’informazione nel motore di ricerca più
famoso del mondo. Questo è l’effetto Google o anche chiamato amnesia
digitale . È la tendenza a dimenticare le informazioni, anche quelle vitali,
solo perché possono essere trovate utilizzando i motori di ricerca di
internet. Per questo vediamo come alcune persone, quando vogliono
provarti qualcosa, tirano fuori il loro telefono e ti dicono: “ Cerco su
Google... ” Per loro quello che la pubblicità posiziona fra i primi risultati
è la sibilla, l’oracolo, il profeta, il loro Dio online. Ma il problema serio di
questa alienazione digitale è che le persone sono meno propense a
ricordare i dettagli, perché pensano che tutto sia online. E sono la preda
più facile da manipolare. Cadono facilmente nelle truffe, comprano cose
inutili e seguono influencer di tutti i tipi, alcuni dei quali senza alcuna
utilità sociale.
Naturalmente, il cervello ci gioca sempre degli scherzi. Uno di questi è
il cosiddetto effetto Dunning-Kruger , che colpisce alcune persone le
quali, probabilmente, conosci. Questo effetto è, a dire il vero, un caos
cognitivo in cui le persone che sono ignoranti su una certa materia,
credono invece di saperne di più di quanto hanno studiato o sono esperte
senza riconoscerlo. Attivano i loro sistema di credenze in modo
perentorio, con o senza un telefono a portata di mano. Che potere hanno
queste persone? Quello di far tacere tutti perché seminano una paura
ineffabile e zero volontà di scambiare qualsiasi tipo di opinione.
Come si fa a trattare con costoro? Scegliete le vostre battaglie. Trattare
con un so-tutto-io è estenuante e inutile. Ci sono momenti in cui il meglio
che puoi fare è ignorare i loro utili consigli. Quindi, cercate di deviare i
loro commenti con un semplice “ grazie per il suggerimento ”, invece di
aprire una lunga discussione. Ma non fate gesti ad altre persone o colleghi
in cerca di solidarietà. Perdereste autorevolezza. Soprattutto nell’arena dei
social media, dove tutti coloro che partecipano vogliono avere l’ultima
parola.
Il superpotere del processare l’informazione o ragionamento è una
capacità essenziale per l’evoluzione, il comportamento e il rispetto delle
regole. Il ragionamento va oltre quello che pensiamo. Ed è una capacità
analogica decisamente umana, vediamo perché.

Perché il processare l’informazione è un superpotere?

“ La crescita della digitalizzazione è sempre stata esponenziale, ma la


pandemia l’ha accelerata con gli steroidi ” dice Martin Hilbert, un
ricercatore tedesco dell’Università della California-Davis e autore del
primo studio per calcolare quante informazioni ci sono nel mondo. Il
risultato scoraggiante è che, secondo il professor Hilbert, la gente non sa
come affrontare il potere degli algoritmi, i governi non sanno come usarli
a beneficio della popolazione e le aziende sono riluttanti ad adottare linee
guida etiche efficaci. Peggio ancora, l’effetto più dannoso che la
pandemia ha lasciato è la nostra gestione nefasta delle reti digitali. Per
citare Hilbert: “ La pandemia ha avuto due effetti simultanei: ci ha reso
più sensibili ai postumi tossici della digitalizzazione, ma ha accelerato la
nostra dipendenza da essa. Il secondo effetto è più potente del primo:
essere consapevoli che questa dipendenza ci fa male non produce alcun
cambiamento nel nostro comportamento ”. Si rimane di fronte a una
prospettiva scoraggiante.
Processare l’informazione è un superpotere perché è la capacità di
vivere con un ruolo attivo. È capire il mondo come tu lo interpreti e non
come vogliono che tu lo assimili senza dire “ a ”. C’è troppa
informazione in rete ed il nostro cervello non riesce a decodificarla tutta.
Però, se vuoi giustificare una teoria, non smettere di cercare i modi per
dimostrarla senza dover citare Google. Quando attivi questo superpotere,
le cose che credi possono avere due sfumature o più di una consistenza.
L’analisi non solo mantiene il cervello attivo, ma permette anche di
allontanarsi dal telefono in modo da non essere più manipolati dalle
cosiddette tecnologie persuasive. Questi mirano a influenzare il
comportamento di una persona attraverso tecniche di persuasione e di
influenza sociale per incoraggiare l’acquisizione perfino di abitudini sane
. Uhm, è qui che iniziano i controsensi. Le tecnologie persuasive sono
basate su algoritmi che creano dipendenza, perché non si può distogliere
l’attenzione da esse. E, in quel modo, si prendono gioco di noi trovando
le nostre debolezze per tentativi ed errori, ad esempio con test A/B alla
cieca: mettono fuori due versioni di un messaggio e vedono quale
produce più click. Si è scoperto che i post che esprimono indignazione
ottengono il doppio dei like e quasi il triplo delle condivisioni.
Il vero business dei giganti della tecnologia, Google, Apple, Facebook,
Amazon, non è quello di offrirvi annunci commerciali: è di modificare il
nostro comportamento per ottimizzare il rendimento di questi annunci.
Ciò significa che creano la necessità di avere quanto si cerca e anche di
più. E, quindi, creano il bisogno di restare connessi. Così, nell’economia
dell’attenzione, gli algoritmi compiono la loro missione quando siamo
assuefatti e non possiamo distogliere la nostra attenzione da essi.
Affinché gli algoritmi funzionino (e ci influenzino) hanno bisogno di
tenervi connessi. Elaborando milioni di dati sul nostro comportamento,
imparano a prevederlo, molto meglio di noi stessi, grazie al tempo che
dedichiamo alla rete. E dietro ci sono persone che possiedono il
superpotere di elaborare le informazioni come la linfa che scorre nel
sangue. Si chiamano programmatori. E il sistema in cui siamo stati
immersi si chiama “ economia dell’attenzione ”.

Il termine economia dell’attenzione è stato


coniato dallo psicologo Herbert A. Simon. Ma, in
realtà, è stato Michael Goldhaber, un fisico
teorico, a prevedere a metà degli anni ’80 che il
sovraccarico di informazioni, l’accesso alle
notizie e le nuove forme di intrattenimento di
allora avrebbero ridotto la durata dell’attenzione
umana. Quarant’anni dopo, prendiamo la poca
attenzione che abbiamo e la dirottiamo su
qualcosa. Quando si presta attenzione a una
cosa, si ignora qualcos’altro. E questo diversivo
è, di solito, il telefono cellulare.

Se c’è un documentario che dovresti guardare, è The Social


Networking Dilemma . Mi piace come hanno affrontato per la prima volta
il concetto di declassamento umano in modalità digitale. Cosa hanno
fomentato effettivamente le macchine? Il narcisismo digitale, la
manipolazione emotiva e una kryptonite sociale causante di migliaia di
omicidi e suicidi: l’invidia e la gelosia, soprattutto nei giovani e contro le
donne. Perché, creando una cultura dell’apparenza come fa la maggior
parte degli utenti dei social media, stanno dimostrando che loro sono (non
si sa cosa) e gli altri no. Anche per questo motivo 1984 di George Orwell
è più attuale che mai. Dipendiamo sì da un Grande Fratello, ma non
facciamo altro che usare il dito indice per scrutare nella vita degli altri.
Le tecnologie persuasive ti conoscono meglio di quanto tu conosca te
stesso, perché lavorano nell’inconscio degli utenti. E se sei bloccato lì, è
perché ti prendono attraverso il tuo lato debole: l’attenzione che dai a
loro. E non importa quanto Apple e Google aggiungano funzioni per
aiutarci a monitorare il nostro consumo digitale, le loro tecnologie sono
ancora progettate per la dipendenza.

Kryptonite #1: pigrizia mentale

Certamente queste cose sono sempre esistite prima dell’arrivo


messianico di internet. Grazie al marketing e alla pubblicità, abbiamo
comprato più di un qualcosa che pensavamo fosse utile ma che, in realtà,
non lo era. E senza guardare in rete. Ed è qui che entra in gioco il
superpotere del processare le informazioni, per non essere truffato come
pure per non farsi rubare l’identità. Un esempio di quanto poco pensiamo,
è quello delle promozioni nei supermercati: paga 2 e prendi 3! Che senso
ha se ne basta uno solo? Torna a giocare il tuo superpotere #1,
l’attenzione. Quante volte controllate il prezzo di un chilo o di un litro di
sapone quando vedete che sulla bottiglia c’è scritto: “ 20% in più gratis
”? E vi faccio un altro esempio. Le recensioni che si trovano su Amazon.
All’inizio si vedevano due o tre parole di persone che erano felici del
prodotto. Parlare bene di qualcosa richiede uno sforzo e il nostro cervello
è troppo pigro per farlo. Se noti, quando a qualcuno non piace un
prodotto, le parole sono brevi. E tu credi solitamente a quella esperienza.
E da quando scrivere recensioni su Amazon è diventata una professione,
sono emersi grandi autori letterari per parlare di una scopa, una scatola di
stuzzicadenti o un aspirapolvere per la macchina. Sembrano scienziati
della pulizia della casa, della cura personale e del mondo automobilistico.
Ma perché crediamo a loro?
Perché il cervello non vuole sprecare glucosio pensando. Si chiama
bias di conferma : se un’informazione rafforza la tua opinione o la tua
conoscenza, è vera per te. È stato verificato che hai il 90% di probabilità
in meno di identificarlo come falso. Se mettono una foto accanto, si cade
inconsciamente nella trappola proprio come un mango maturo cade
dall’albero in piena estate. Se cercate online il ferro da stiro per i vostri
abiti di lino, crederete a chi ha scritto su quel tessuto. E anche se ti dicono
che era un falso, c’è un 70% di possibilità che te lo ricordi come vero.
Ancora una volta il tuo cervello ha aiutato la tua mente a creare una zona
di comfort per te. E nessuno ti sposterà da lì, a meno che non attivi il
potere del ragionamento.
Dobbiamo essere più attenti che mai e capire ciò che ci viene detto. E
la condivisione delle informazioni è una questione di responsabilità.

Processare l’informazione sta alla


prevenzione come l’esempio sta alla leadership.

Kryptonite #2 Il “ condivisore ” compulsivo

Non importa se la notizia è vera o falsa, alcune persone la condividono


senza pensarci prima. Questa falsa generosità mi ha proprio rotto le
scatole. La compulsione, ossia quell’impulso irrefrenabile di condividere
informazioni, è un virus ancora più dannoso di Covid19, la e l’Ebola
insieme. I cervelli degli utenti dei social media sono più impegnati nei “
mi piace ” e “ condividi ” che nella considerazione dei fondamenti. O,
forse, pensano di poter scaricare la responsabilità sugli altri per farli
giudicare da soli.
Per esempio, quando durante la piena pandemia sono arrivati i primi
vaccini contro la Covid19, il mio gruppo di compagni di liceo si è
scatenato inviando link alle informazioni. Ma siccome nessuno legge
Whatsapp, inclusa me, ho notato che arrivavano flussi di testo che
creavano solo inquinamento! Finché ho trovato un testo che ho inviato al
gruppo, convinta che avrebbe calmato la compulsione collettiva.
Conteneva tutte le domande con le risposte sui vaccini a livello
istituzionale dell’ (tempo di lettura tre minuti). Risposta del
condivisore compulsivo: “ E ti aspetti che leggiamo tutto questo? ”
Cazzo! Mi hai mandato un delirio di monnezza e tu non vuoi dedicare
tre minuti a leggere?
È una dimostrazione del deficit nell’economia dell’attenzione di chi ha
il telefono in mano tutto il tempo. Ed è anche un egoismo funzionale:
quello che dico io vale, quello che dici tu è una stronzata.
Naturalmente, un’altra faccia della moneta c’è. Si tratta di quelle
persone che condividono pensando, nel dubbio della veridicità della cosa,
di non far del male. “ Non so se questo è vero, ma... ”. Un simile inganno
è ancora più brutale. Se l’informazione è vera, potrebbe essere utile per i
loro amici e seguaci. E se non è vera, è stata innocua. Il problema è che
condividerlo, senza rendersene conto, provoca anche dei danni
ambientali. Eppure che si tratti di promesse di un rimedio casalingo o di
affermazioni di un qualche tipo di copertura governativa oscura, la
promessa di provocare una forte risposta da parte dei loro seguaci distrae
la gente dalla domanda ovvia: È vero? Chi lo dice? Su quale base?
D’altra parte, perché cadiamo nella trappola delle fake news? La
psicologa cognitiva Eryn Newman, nel suo libro The psychology of the
fake news , spiega che la semplice presenza di un’immagine accanto a una
dichiarazione aumenta la nostra fiducia nella sua accuratezza. Anche se è
solo indirettamente collegata alla dichiarazione. Per esempio,
un’immagine generica di una persona in sovrappeso è presentata come un
nuovo trattamento efficace per dimagrire, può non offrire alcuna prova
che l’inserzione sia vera. Però “ più spesso vediamo qualcosa sulla nostra
bacheca, più è probabile che pensiamo che sia vero, anche se
inizialmente eravamo scettici ”, dice Newman. “ Per ragioni simili, la
disinformazione includerà un linguaggio descrittivo o storie personali
vivide. Includerà anche abbastanza fatti o cifre familiari - come
menzionare il nome di un organismo medico riconosciuto - per rendere
convincente la bugia che contiene, permettendo di collegarla alla nostra
conoscenza precedente ”.
Morditi le dita prima di diffondere contenuti odiosi o contenuti che
non hai nemmeno letto. Si tratta di un compromesso sociale e
responsabile che ti eviterà di convertirti in un potenziale vettore di
contagio d’informazioni non fondate.

La comprensione è più profonda della conoscenza. Si sa tanto


ma si capisce poco. Che significa questo simbolo sul cruscotto
della macchina?

a. Sono rimasto senza benzina;


b. è una spia che lampeggia quando è finito il carburante;
c. Indica che la porta del serbatoio della macchina è a destra;
d. Non lo so e non mi interessa.

Troverai le risposte più avanti, ma non ti distrarre!

Fatti o pareri

Una delle cose più importanti che mi hanno insegnato nella facoltà di
giornalismo è stato distinguere tra i fatti e i pareri. A volte, il nostro
sistema di credenze può rendere difficile dire che cosa è solo un’opinione
e che cosa è un fatto. Le opinioni sono soggettive, non c’è modo di
provare o confutare , riflettono semplicemente una preferenza o una
prospettiva su qualcosa. D’altra parte, i fatti possono essere provati o
confutati. I fatti sono giusti o sbagliati, non importa chi li pensa o li dice.
Mettiti alla prova su quanto bene riesci a distinguere tra fatti e opinioni.
Di nuovo carta e penna. Sei pronto per valutare la nostra capacità di
analisi? Scegli se le seguenti affermazioni sono opinioni o fatti.

Affermazione Fatto Parere


1. Sono un fallimento.
2. Sono più brutto di lui/lei.
3. Ho detto “no” a un amico in difficoltà.
4. Un amico nel bisogno ha detto “no” a me.
5. Faccio schifo in tutto.
6. Ho urlato al mio partner.
7. Non riesco a fare niente di buono.
8. Mi ha detto delle cose offensive.
9. Non le importava di farmi del male.
10. Sarà un disastro assoluto.
11. Sono una cattiva persona.
12. Ho detto cose di cui mi pento.
13. Sono più basso di lui.
14. Non sono amabile.
15. Sono egoista e menefreghista.
16. Tutti sono persone migliori di me.
17. Nessuno potrebbe mai amarmi.
18. Sono in sovrappeso per la mia altezza.
19. Ho rovinato la serata.
20. Ho fallito il mio esame.

Quando giudichiamo, facciamo un confronto. Il giudizio non è sempre


dannoso perché può giocare un ruolo importante nelle decisioni che
dobbiamo prendere per vivere in modo produttivo. È anche un filtro
attraverso il quale vediamo il nostro mondo. Il più delle volte, però, i
nostri giudizi sono limitanti e causano situazione scomode, soprattutto per
noi stessi. A volte, sono su questioni più insignificanti, come anche
aspetti molto impegnativi della nostra vita o del nostro lavoro, perdiamo
troppo tempo giudicando cose che non sono utili a nessuno. Vediamo le
risposte all’esercizio.

Risposte Fatto Parere


1. Sono un fallimento. Parere
2. Sono più brutto di lui/lei. Parere
3. Ho detto “no” a un amico in difficoltà. Fatto
4. Un amico nel bisogno ha detto “no” a me. Fatto
5. Faccio schifo in tutto. Parere
6. Ho urlato al mio partner. Fatto
7. Non riesco a fare niente di buono. Parere
8. Mi ha detto delle cose offensive. Fatto
9. Non le importava di farmi del male. Parere
10. Sarà un disastro assoluto. Parere
11. Sono una cattiva persona. Parere
12. Ho detto cose di cui mi pento. Fatto
13. Sono più basso di lui. Fatto
14. Non sono amabile. Parere
15. Sono egoista e menefreghista. Parere
16. Tutti sono persone migliori di me. Parere
17. Nessuno potrebbe mai amarmi. Parere
18. Sono in sovrappeso per la mia altezza. Fatto
19. Ho rovinato la serata. Fatto
20. Ho fallito il mio esame. Fatto

Dopo aver completato questo esercizio, non c’è voluto molto tempo
per capire che le tue opinioni non sono fatti inconfutabili. Un parere è un
giudizio o atteggiamento motivato da una interpretazione o da un criterio
di valutazione strettamente personale e soggettivo. Ad esempio, sono un
fallimento, sono più brutto di lui/lei, nessuno mi amerà mai, sono
autosabotaggi della tua mente, perché sono cose che non si possono
dimostrare. D’altro canto, un fatto è quanto appare dotato di una propria
verità o realtà concreta. I gol in una partita di calcio, nonostante l’arbitro
abbia sbagliato con sotto il braccio. I fatti sono inconfutabili. I pareri
senza fondamento sono seghe mentali. [5]

Affila il tuo superpotere del ragionamento

Ancora una volta metterai alla prova le tue conoscenze. Di seguito


troverai cinque concetti che corrispondono a ciò che significa pensare,
ragionare, analizzare, riflettere e costatare. Lo scopo di questo esercizio è
mostrarti quante definizioni ci sono per processare l’informazione. A
quali definizioni corrispondono queste parole?

Scrivi la parola ( Pensare; Ragionare; Analizzare; Riflettere;


Costatare ) corrispondente alle frasi qui sotto:
1. _______________________ è l’azione di formare un’idea e diverse
rappresentazioni.
2. _______________________ è trovare la verità e la validità di ciò
che ci viene detto.
3. _______________________ è studiare in dettaglio, esaminare,
osservare con tempo.
4. _______________________ è la capacità di risolvere problemi, di
trarre conclusioni e di imparare consapevolmente dai fatti.
5. _______________________ è pensare ai pro e ai contro di fare
qualcosa, alle conseguenze (buone o cattive) che può avere, e a chi
influenzerà.

Crediamo che tutti questi processi cognitivi siano dedicati ai filosofi o


agli ingegneri? Invece succede che, se elabori correttamente le
informazioni, aiuti il tuo cervello a risparmiare la sua energia e non
sprechi il tuo glucosio (che è altrettanto utile per attrarre il sesso opposto).
Però il ragionamento ti aiuterà soprattutto a diventare una persona sulla
quale si può contare per risolvere un problema. E non a farne parte. Con
questo voglio dire che non devi sapere tutto. Il vantaggio di essere uno
sfavorito è che nessuno sospetta che tu hai la soluzione. Mentre tu hai già
interpretato adeguatamente il problema. È una funzione analogica di
presenza in ciò che si sta facendo e in ciò che si vuole ottenere. Ma cosa
facciamo con le informazioni che entrano nella nostra mente? Elaborarle,
digerirle e trarne il meglio.
Ecco le risposte: 1. Pensare; 2. Costatare; 3. Analizzare; 4. Ragionare;
5. Riflettere.

Vaccino digitale
Leggi attentamente. Cerca il significato delle parole che non conosci.
Prenditi il tuo tempo per discernere le informazioni a portata di mano.
C’è un sacco di tempo per credere nelle stronzate degli altri. Mentre,
comprendere le informazioni è utile per costruire la tua credibilità.

Sfida mentale

L’esercizio che voglio proporvi metterà alla prova la tua capacità di


elaborare informazioni. Vediamo cosa ti viene in mente!
Il gruppo country
Jhon, Daniel, Charles e Henry hanno deciso di formare una band
country. [6] Ognuno di loro suona solo uno dei seguenti strumenti: banjo,
chitarra, batteria e violino. In base ai seguenti indizi, puoi scoprire quale
strumento suona ogni membro della band.
1. Charles, che è completamente calvo e accorda accuratamente il suo
strumento prima di ogni concerto.
2. Il violinista, che ha i capelli neri come John, è il fidanzato della
sorella di Daniel.
3. Il chitarrista, che ha i capelli castani come Henry, lavora nello stesso
edificio di Andrew.
4. Daniel, che è disoccupato, vive nello stesso edificio del suonatore di
armonica.
5. Henry ha due anni in più del violinista.

Membri del gruppo Strumenti che suonano


Jhon
Daniel
Charles
Henry

Quando i miei coachee iniziano a fare quell’esercizio usano una


varietà di metodi per risolverlo, quindi fammi sapere come l’hai risolto,
perché è sì un gioco di analisi, ma anche di creatività per risolvere il
problema. Va bene, ecco le risposte: Andrew violino; John chitarra;
Daniel batteria; Charles banjo; Henry armonica. Facile, vero?
L’esercizio di mettere la nostra mente e il nostro cervello a pensare,
analizzare e discernere le informazioni che ci arrivano di continuo ci aiuta
a prendere una posizione di potere di fronte alla tecnologia. Solo così
possiamo usarlo per il nostro bene, per la nostra comodità e per
ottimizzare il nostro tempo. Altrimenti, siamo facili prede per adattarci ad
algoritmi che non ci costringono a cambiare il nostro comportamento. E
la libertà di decidere si gode solo elaborando le informazioni. Cambiare il
nostro pensiero per adottare un processo naturale di ragionamento è
davvero un superpotere.

Cercavi la risposta all’indovinello di poco fa? La


risposta giusta è la c. Però, se la spia è in questa maniera, come
sapresti da che lato c’è il serbatoio quando noleggi una macchina,
oppure guidi una che non è la tua?

E se davvero ci stanno dicendo baggianate? Calma. Applica il tuo


superpotere #3: autocontrollo.

IV – Superpotere #3: l’autocontrollo


Sei mai esploso in un impeto di rabbia e hai rotto qualcosa? Hai mai
urlato così forte da poter essere sentito a più di due chilometri di
distanza? Sei mai andato sui social media per vedere la foto del nuovo
amore del tuo (o della tua) ex? Diciamoci la verità. Lei (o lui) è brutta e tu
sei molto meglio. E il nuovo fidanzato sembra uno scemo. Ma andiamo
avanti con le cose importanti. Sono sicura che a volte hai taciuto per
evitare una discussione sterile. O hai mandato giù un boccone amaro,
quando ad altre persone sono stati dati dei meriti che, in realtà,
appartenevano a te. Ma se hai cantato a squarciagola in macchina, fatto
cose impensabili per conquistare la persona che ami e urlato a
squarciagola dopo un gol della tua squadra del cuore, è stato eccitante. E
se succede di nuovo, non smettere di farlo. Se pensi di aver perso il
controllo in quelle circostanze, a chi importa? La felicità è analogica. E
nessuna app del telefono può darti tanto quanto un’esperienza folle, un
viaggio non pianificato e un vaffanculo a chi ti ha messo il bastone tra le
ruote.
Fin dall’infanzia ci è stato insegnato a controllare le nostre esplosioni
emotive. Ma non tutti sono in grado di sviluppare l’autocontrollo, cioè la
capacità di dominare comportamenti o impulsi indesiderati. Pertanto,
essere presenti ed elaborare le informazioni aiuta ad avere il controllo di
sé stessi in qualsiasi situazione. È anche la capacità di resistere alle
tentazioni per raggiungere il successo. Per esempio, smettere di mangiare
quando siamo già sazi o non insultare gli altri conducenti (soprattutto
quando sono donne). È una dimostrazione di maturità e di sanità mentale.
Ma la cosa più importante di questo superpotere è che alimenta la
capacità di rompere con le cattive abitudini, terminare gli attaccamenti,
terminare le relazioni non costruttive e cancellare quei tre gigabyte di foto
che non userai mai. Ed è sorprendente scoprire che controllare le nostre
emozioni ci aiuta a trovare soluzioni inaspettate. Prendiamo il caso di
Carolina, una donna ammirevole per il suo invidiabile autocontrollo.

Perché l’autocontrollo è un superpotere


Accade spesso che donne belle e altamente professionali diventino un
oscuro oggetto di desiderio per alcuni e una bestia nera per altri. Gli
uomini vogliono qualcosa che non ottengono e per le donne è molto
difficile lottare contro i furbi, per guadagnarsi una posizione
professionale. E quando fanno parte di una campagna politica, i guai sono
di ogni tipo. Carolina è quel tipo di donna: bella, laboriosa e e molto
presente su quello che fa.
Dolores è la responsabile amministrativa dei costi della campagna.
Appena ha capito che Carolina godeva della stima non solo del pubblico
maschile ma anche di molti elettori, ha deciso di renderle la vita di merda.
Ha messo un operaio macedone a spiarla durante il pranzo. E grazie
all’influenza di Iago, un impiegato che voleva a tutti i costi essere
chiamato “ dottore ”, installa nel computer de Carolina un software per
spiare i suoi affari. È così che si comporta la gente stupida. Fanno del
male agli altri senza ottenere un beneficio per sé stessi. [7] Carolina ha
notato, grazie al superpotere #1, l’attenzione, che c’era qualcosa in serbo
contro di lei. Si vis pacem, para bellum è un’espressione latina che
significa: “ Se vuoi la pace, preparati alla guerra ”. E Carolina fa del suo
meglio per non litigare. Ha installato un trucco informatico per mostrare
come il suo computer è stato violato, ha comprato un paio di occhiali con
una videocamera incorporata. E ha nascosto un registratore nella giacca
dei suoi vestiti. Come nei film? Sì. L’attenzione ai dettagli fa parte anche
dell’autocontrollo.
Quando Carolina è arrivata in ufficio una mattina, si è trovata senza
scrivania. Dolores le aveva messo il computer su un piccolo tavolo nel
suo ufficio. In quel modo avrebbe potuto guardare tutto quello che
Carolina faceva. Sta di fatto che non faceva il suo lavoro perché era
appesa a Carolina. A questo punto, il gioco era fatto. Quindi, ha aperto il
sito dell’agenzie delle entrate e Dolores è arrivata come un razzo sulla sua
postazione, gridando al livello di una rana coqui [8] (188 decibel): “ Ho
appena visto quello che stavi guardando sul sito! Mi sono fatta operare
agli occhi e ora ho dieci diottrie per vederti meglio! Devi andartene, non
hai capito che voglio che te ne vada? ”
Carolina aveva l’autocontrollo e il registratore accesi. L’ha guardata
serenamente mentre si faceva le seguenti domande mentalmente ma
premendo ogni dito della sua mano.
- Al pollice (il problema) ha
chiesto: quanto è disastrosa questa situazione in questo momento?
Carolina non aveva un altro lavoro su cui ripiegare.
- All’indice (la paura) ha chiesto: come potrebbe farmi del male la
persona che mi sta insultando? Nulla, perché questa è Dolores e lei si è
messa nei guai.
- Al dito medio (rabbia): Come posso difendermi da questa situazione?
Devo chiamare i carabinieri.
- All’anulare (l’umore): cosa c’è di così divertente in tutto questo? Che
Dolores ha dovuto operarsi gli occhi per vedermi meglio!
- Al mignolo (soluzione): Prendere la borsa e andare via da lì.
Dopo aver finito le sue domande ha fatto il pugnetto. I carabinieri le
hanno consigliato di mettersi al sicuro e Carolina ha lasciato quel lavoro
senza minare la sua sicurezza né, tantomeno, di rispondere alla
provocazione. Le prove di mobbing e violenza parlavano da sole.

Coaching tip : Se riesci a completare questa tecnica quando ti


sarà necessaria, ti suggerisco un’ottima chiusura. Si tratta di
chiudere il pugno con forza, preferibilmente senza sferrarlo
contro il tuo aggressore. Nonostante sia un gesto di potere e di
forza, secondo la programmazione neuro-linguistica significa
ricaricare l’energia per dare positività e concludere bene
un’attività.

È un sano consiglio non spingere le persone verso i loro limiti di


sopportazione. La storia di Carolina non finisce certo qui. Lei ha preso
l’audio degli insulti e l’ha inviato al gruppo Whatsapp delle madri della
scuola dove va la figlia di Dolores. E c’è ancora di più. Carolina si è fatta
intervistare alla stazione radio dell’associazione degli industriali italiani,
ha raccontato com’è stata vittima di mobbing e la registrazione di Dolores
è diventata virale senza che la stessa sapesse chi l’avrebbe ascoltata.
Ovviamente Carolina è stata contattata da diverse aziende e le offerte di
lavoro non si sono fatte attendere. Ogni azione genera una reazione.
Anche questo è un insegnamento della nonna .

L’autocontrollo ci permette di commettere


eccessi al momento giusto.

L’autocontrollo è un superpotere perché è una forma di protezione.


Vale a dire, attivare il superpotere di fermarsi, prendere aria ed esalarla
per vedere la situazione con chiarezza. È la capacità di tenere i piedi ben
saldi a terra. E ti permette di fare la cosa giusta al momento giusto. E non
si tratta soltanto di legare la dannata lingua con una camicia di forza.
Anche le persone migliori hanno i loro limiti. Perfino le persone più dolci
e gentili possono diventare i più temibili stronzi, quando trovano il
coraggio di dire basta. Allora tienilo sempre presente.

Perché perdiamo il controllo

Perché perdiamo le staffe, scoppiamo a piangere o scappiamo via dalla


paura? Perché è una reazione di risposta biologica a uno stimolo
dell’ambiente. Questo avviene quando non è possibile controllare una
situazione che, invece, ci sfugge di mano. E questo, spesso, diventa un
attacco di pianto oppure una sfuriata della quale non vogliamo ricordarci
più. Da piccoli ci hanno abituato a controllare le nostre emozioni. In
questo modo sentiamo il peso di dover reprimere i nostri sentimenti,
quando ci danno una brutta notizia, guardiamo un film romantico oppure
quando ci offendono oppure ci insultano. Si parla sempre di
autocontrollo, come un impegno verso sé stessi. Però sfogarsi, quando
occorre, è altrettanto salutare.
L’autocontrollo è un impegno verso sé stessi. È prenderci cura di noi,
stare lontano da situazioni pericolose e non lasciare che le proprie
emozioni abbiano la meglio, quando si scrive sui social media o, su di
essi, si pubblica la propria vita. Non è facile per me parlare di
autocontrollo. Dopo un grave incidente stradale, ho subito un trauma
cranico che ha colpito la parte frontale destra del mio cervello. Ed è lì che
si trovano i freni inibitori, tutti i sensori sociali e l’autocontrollo. E ogni
volta che ho perso la calma, l’ho fatto nella buona e nella cattiva sorte.
Ecco perché questo capitolo è una fonte di motivazione per me e mi dà
molta energia. Perché sono migliorata, facendo un forte lavoro di
autoconoscenza. Ma chiunque sia stato insultato da me, voglio che pensi
al perché l’ho fatto. Con questo voglio dire che l’autocontrollo non è
accettare tutto ciò che ci viene detto senza motivo. O accettare di essere
feriti. Le nostre reazioni sono, spesso, il risultato degli atteggiamenti degli
altri. È sufficiente capire cosa possiamo controllare e cosa no. Ma
l’autocontrollo è solo ed esclusivamente una nostra proprietà.
Il controllo che esercitiamo sulla nostra vita dipende dalla nostra
consapevolezza. Ma tutto questo dipende da come prendiamo il toro per
le corna. In psicologia, locus of control è un concetto psicologico che si
riferisce al grado di controllo che le persone credono di avere sulle
situazioni ed esperienze che influenzano la loro vita. Locus è la parola
latina per luogo e il controllo è definito come la capacità di far
comportare qualcosa esattamente come si vuole in un dato contesto. È un
concetto creato dallo psicologo americano Julian B. Rotter. Il locus of
control è semplicemente la posizione che assumiamo per controllare le
situazioni che ci vengono presentate. [9] Ecco perché il nostro superpotere
#1 (l’attenzione) e il #2 (ragionare) alimentano il potere
dell’autocontrollo.

L’autocontrollo sta alla coscienza come la


sicurezza sta alla tranquillità.

I benefici di perdere il controllo

Sapevi che gli esseri umani producono tre tipi di lacrime? Le basali ,
(che secernono costantemente dai dotti lacrimali), sono un liquido
antibatterico ricco di proteine. Esse aiutano a mantenere gli occhi umidi
ogni volta che una persona batte le palpebre. Le riflesse , invece, sono
lacrime innescate da sostanze irritanti come il vento, il fumo o le cipolle.
Sono rilasciate per lavare via queste sostanze irritanti e proteggere
l’occhio. Le emozionali sono quelle che gli esseri umani versano in
risposta a una serie di emozioni. Queste lacrime contengono un livello più
alto di ormoni dello stress, rispetto agli altri tipi di lacrime. Il corpo
umano è una macchina talmente completa e funzionale che non spreca
nulla. Di fatto, piangere ha molte proprietà benefiche.

Benefici del pianto

Le persone possono cercare di sopprimere le lacrime se le vedono


come un segno di debolezza, ma la scienza suggerisce che piangere
potrebbe significare guadagnare una serie di benefici.
1. Ci rasserena . I ricercatori hanno scoperto che piangere ha un
effetto calmante perché attiva il sistema nervoso parasimpatico ( ),
che aiuta le persone a rilassarsi. Questo effetto viene chiamato autolisi
[10]

ossia un effetto diretto e auto-lenitivo sulle persone.


2. Ottiene sostegno dagli altri . E questo fa del pianto una
caratteristica analogica degli esseri umani. Oltre ad aiutare le persone a
calmarsi, piangere può aiutare le persone a ottenere sostegno dagli altri
intorno a loro. L’analogia in questo caso è il beneficio interpersonale o
sociale.
3. Aiuta ad alleviare il dolore grazie alle lacrime emotive, perché
rilascia ossitocina ed endorfine. Queste sostanze chimiche fanno sentire
bene le persone e possono anche alleviare il dolore fisico ed emotivo. In
questo modo, piangere può aiutare a ridurre il dolore e promuovere un
senso di benessere.
4. Migliora l’umore . Piangere può aiutare a sollevare lo spirito delle
persone e farle sentire meglio. Oltre a lenire il dolore, l’ossitocina e le
endorfine aiutano a migliorare l’umore. Questo è il motivo per cui sono
spesso conosciute come sostanze chimiche del sentirsi bene . Con questo
si riduce notevolmente lo stress.
E piangere non è l’unico modo di scaricare la tensione e reagire a una
situazione avversa. Anche una sfuriata ha i suoi benefici. La mia
specialità come coach è la gestione delle emozioni e delle competenze
professionali. Per questo la gente mi cerca per controllare gli attacchi di
rabbia. Però restano sorpresi quando cerco di far sì che, invece di
reprimere le reazioni emotive, queste avvengano nel modo meno nocivo
possibile. Richiede una capacità polmonare non indifferente ma non per
urlare bensì per respirare.

Benefici della rabbia [11]

La rabbia è sempre vista in modo negativo rispetto alle emozioni


positive come la felicità, la gioia e la sorpresa. Molte volte è dovuto a
ragioni sociali, culturali e religiose. La rabbia è sempre associata a esiti
spesso distruttivi, come l’aggressività e la violenza. C’è chi vorrebbe che
non esistesse. Tuttavia, sempre più psicologi sociali ed evolutivi,
neurobiologhi e psichiatri considerano che la rabbia ha qualità preziose e
può essere benefica all’uomo.
Da una prospettiva evolutiva, tutte le emozioni sono appropriate in
determinate circostanze, quando sono sperimentate in misura ottimale. In
questo caso la rabbia potrebbe utilizzare risorse per realizzare un obiettivo
desiderato. Per esempio, certi livelli di stress e di ansia ci spingono ad
avere prestazioni di alto livello. La tristezza può essere catartica, [12]
riempiendoci di rimpianti per ciò che abbiamo perso e per chiedere aiuto
agli altri, per riprenderci e guarire. Allo stesso modo, la rabbia nasce
quando non possiamo controllare qualcosa.
La rabbia non è solo una reazione aggressiva. Spesso ci aiuta a
stimolare la nostra creatività e a migliorare le performance sportive.
Questo è il caso di un mio coachee che gioca a tennis a livello
professionistico. Considerando che tutti gli sport richiedono un grande
controllo mentale, lui si infuriava ogni volta che perdeva un game. Al
gioco successivo rispondeva con la potenza di una mitragliatrice. Però
utilizzare la forza senza consapevolezza lo faceva sbagliare ancora di più.
Quindi, abbiamo trovato un escamotage. Invece di aumentare la forza,
senza consapevolezza ora questo tennista si concentra di più sulla
precisione. Funziona, eccome! Certamente un carattere impulsivo come il
suo gli fa perdere il focus di alcune partite. Però, almeno non spacca più
le racchette.
Fa bene perdere le staffe. Secondo Adrienne Blodgett, autrice del libro
Anger Management: Healthy Ways to Taming Your Emotions: Take a long
walk away from self-destruct , la rabbia ha moltissimi benefici. Perciò ne
ho selezionato alcuni per ogni ambito personale. Per la quotidianità la
rabbia è utile per ricaricare la nostra energia perché ci motiva a farci
trovare soluzioni creative alle sfide che affrontiamo. Mentre a livello
lavorativo, è necessaria perché se guardata in modo costruttivo, può
portare a risultati positivi e aiutare alla crescita professionale. In entrambi
i casi può portare al cambiamento di sé. Scopriamo come.

Nella vita quotidiana

La rabbia aiuta alla sopravvivenza . Le emozioni sono evolute con


noi per tenerci al sicuro. La nostra disposizione alla lotta è nata
istintivamente per difenderci da un nemico o da un pericolo. La rabbia è
insita nel nostro bisogno primitivo di vivere, perciò aiuta le persone a
essere estremamente vigili sulle minacce e ad aguzzare la propria
attenzione. Diciamo che ci fa tirare fuori gli zebedei per proteggerci.
La rabbia ci dà un senso di controllo perché protegge ciò che è
nostro, sentendoci al comando. La funzione della rabbia è quella di
infliggere costi o trattenere benefici agli altri per aumentare il nostro
benessere. Gli individui che mostrano la loro rabbia appropriatamente
sono in una posizione favorevole per soddisfare i loro bisogni e
controllare il loro destino rispetto a quelli che la sopprimono o restano
inerti. Detto ciò, è importante guardarsi dal diventare ossessionati dal
senso di potere che la rabbia può suscitare.
La rabbia ci fa affrontare le ingiustizie . Spesso andiamo in collera
quando ci vengono negati dei diritti o quando ci troviamo di fronte a
insulti, mancanze di rispetto o di fronte allo sfruttamento perfino delle
minoranze. La rabbia fa da pilota automatico interno per farci reagire. E
ci fa emettere un messaggio chiaro: “ Faresti meglio a trattarmi in modo
giusto, altrimenti pagherai un costo elevato ”.

Mentre al lavoro

La rabbia facilita la cooperazione . Se la rabbia è giustificata, la


risposta sarà appropriata e il solito malinteso verrà risolto, portando a una
collaborazione più partecipativa. La nostra rabbia fa capire agli altri che è
importante ascoltarci. Volenti o nolenti la rabbia comunica: “ Non mi
piace la situazione e dobbiamo lavorare insieme per trovare una
soluzione migliore ”. La rabbia ti fa difendere te stesso e sfidare
costruttivamente l’altra parte. Come tale, la rabbia incoraggia la
cooperazione.
La rabbia è uno strumento di contrattazione perché scoppia
naturalmente quando qualcuno dà un valore o un peso inferiore al nostro
benessere, rispetto al suo. E non soltanto nel mondo degli affari o delle
vendite, che sia ben chiaro. La rabbia serve per ricalibrare la situazione e,
quindi, ci aiuta a far valere con forza la nostra posizione. Inoltre, ci spinge
a rispondere al conflitto in un modo che ci aiuta a contrattare a nostro
vantaggio. Fa sì che gli altri riconsiderino le loro posizioni contro la
nostra. Un caso tipico è quando la nostra carica di lavoro aumenta e non
vediamo nessun beneficio, né economico né di collaborazione da parte
degli altri. Nuovamente tocca farsi valere per non restare insoddisfatti né
infelici.
La rabbia ci aiuta a realizzare i nostri obiettivi . Quando non
otteniamo ciò che vogliamo, la rabbia si scatena e indica che ci siamo
allontanati dai nostri obiettivi desiderati. La rabbia cerca di eliminare
tutto ciò che ci impedisce di realizzare i nostri desideri. Ci eccita e ci
spinge ad agire al servizio del raggiungimento dei nostri obiettivi e a
lavorare per i nostri ideali.

Come vedi, l’ira o la rabbia ha davvero molto effetti benefici. Ma, fra i
migliori, abbiamo la cosa più importante: migliora l’intelligenza emotiva .
Gli individui disposti ad abbracciare emozioni scomode come la rabbia,
piuttosto che evitarle o reprimerle, applicano invece la loro saggezza per
ottenere, da questa emozione, solo lati positivi. Di conseguenza, hanno
sistemi di risposta emotiva altamente flessibili e sono più adattativi e
resistenti.
Per finire questo segmento, la rabbia è parte integrante del nostro
meccanismo di lotta o fuga. Aveva una necessità di sopravvivenza nel
passato e ha un certo valore positivo anche nel presente. La motivazione e
l’azione che sono alimentate dalla rabbia possono spingerci a raggiungere
i nostri obiettivi. E perché no, spingerci a riparare i torti che vediamo nel
mondo e a renderlo giusto. Ma come farlo?

Coaching per spegnere il vulcano dentro di te

Ho un amico che, quando si arrabbia, spacca i cellulari contro i muri.


Gli ho chiesto come riesce a controllare la rabbia, mi ha risposto: “
Quando sono adirato, mi esce il fuoco dagli occhi ”.
Al che gli ho risposto: “ Renzo, hai la pressione un tantino alta, forse è
meglio non avere quegli attacchi di rabbia... ”
La sua risposta è stata contundente: “ Angela, quando mi arrabbio, il
mio sangue diventa fuoco, anzi, una lava che se esplodo, farei i danni del
Vesuvio ”.
Ussignur . Meglio non contradirlo.
È più facile scoppiare di rabbia che autocontrollarsi. Ma non è la
rabbia l’unica emozione per la quale si richiede autocontrollo. Per
esempio, esiste un’altra emozione da tenere a bada: la paura. Ma non
importa quale sia l’emozione che sentiamo oppure che esperimentiamo,
attivare il superpotere dell’autocontrollo è un metodo di sopravvivenza. E
l’autocontrollo porta al miglioramento, perché è una forza di
cambiamento positivo. Ci dà, altresì, un’idea dei nostri difetti e delle
nostre mancanze. Proprio come la motivazione, può portarci a un
cambiamento laddove sia necessario. Alcuni clienti mi hanno accennato
che soffrono di attacchi di panico, dunque non è che la rabbia sia l’unica
cosa da controllare.
Scegli la soluzione che meglio si adatta a una cabina di comando
interna. Il primo passo per prendere in mano la situazione è conoscere le
cause che ti esasperano. In questo modo, appena arrivano i disturbi, li
blocchi. Però, questi suggerimenti ti aiuteranno a mantenere il controllo il
più possibile. Senza dubbio, questi sono strumenti che, se non funzionano
per te, non ti faranno neanche male.

Stop!

Quanti significati conosci della parola STOP? È una parola inglese con
un significato universale. Significa frenare, bloccare, arrestare. È anche
un segnale stradale che avverte del pericolo. Non è facile fermare il
corpo, quando la rabbia o la paura ci pervadono. Per fortuna il tuo
superpotere #3, l’autocontrollo, è uno strumento per attivare i sensori
della protezione per metterci in salvo. E ci difende perfino dalla
manipolazione dei logaritmi che ci portano a guardare le reti sociale
mentre il tempo vola. È indispensabile in qualsiasi tipo di situazione. La
tecnica più raccomandata dalla coach di mindfulness Miriam Emerson si
chiama STOP .
Questo è l’esercizio per iniziare il tuo allenamento e potrai usarlo in
qualsiasi momento. Il concetto che si applica con la tecnica dello STOP
mi è stato spiegato da un maestro kinesiologo, Paolo Violante. Si chiama
propriocezione ed è la capacità di percepire e riconoscere la posizione del
proprio corpo nello spazio che occupi. Ad esempio, se ti trovassi nel
mezzo di una sparatoria in un luogo pubblico, la prima cosa che ti
verrebbe da fare è correre verso il flusso della calca. Premere il piede sul
freno ti aiuterà, invece, a osservare cosa sta succedendo, se i rumori sono
da armi da fuoco oppure dove si trovano i feriti. Spero con tutto il cuore,
tuttavia, questa cosa non ti succeda. Però non dimenticare di tenere
sempre attivo il tuo superpotere #1, l’attenzione.

Respira profondamente

Sapere come controllare la respirazione è vitale per mantenere la


calma in qualsiasi situazione, specialmente quando ti sembra che il
mondo sia caduto ai tuoi piedi. Quando si è sotto pressione e i livelli di
stress aumentano, la respirazione diventa meno profonda. Questo perché
il corpo si sta preparando a fuggire o a essere attaccato. Non credere che
in situazioni di pericolo non sia possibile farlo, ma se capita? Io adoro
questo consiglio semplice e senza tanti fronzoli: inspira l’aria e trattienila
nei tuoi polmoni per poi spirarla, molto lentamente. Ripeti questo
semplice esercizio tutte le volte che sia necessario; ti sentirai più
sollevato. È matematico. Aumenterai il tempo di trattenimento dell’aria e
comincerai a notare gradualmente i cambiamenti nel tuo corpo.

“ Non rispondere mai a una parola arrabbiata con un’altra parola


arrabbiata. È la seconda che produce il litigio. ”
Confucio

Antidoti verbali

Una delle cose che più ci fa perdere le staffe sono le provocazioni


durante una conversazione, oppure durante un’accesa discussione. Come
avere la risposta giusta nel momento in cui siamo pronti a esplodere? Non
è facile rispondere a una frase tagliente in modalità silenziatore .
Spesso rimaniamo ammutoliti e unicamente dopo aver riflettuto a
lungo pensiamo a quello che avremmo potuto dire. E quando lo diciamo a
un amico, lo raccontiamo come se l’avessimo fatto (davvero) noi. Solo
un’azione mentale può attenuare il colpo che subiamo durante un litigio
in cui soccombiamo. I francesi chiamano questo fenomeno esprit de
l’escalier , spirito della scala, un’espressione che evoca la risposta acuta
proprio mentre stai salendo le scale di casa tua. Questa frase è citata da
Denis Diderot (1734-84) nella sua opera Paradosso dell’autore . Si
riferisce a quando il personaggio dice: “ Un uomo sensibile come me,
trafitto dall’argomento formulato contro di lui, perde la testa e la trova
solo ai piedi delle scale ”. A quel tempo le sale allestite per gli eventi
mondani si trovavano al primo piano e trovarsi “ ai piedi delle scale ”
significava lasciare l’edificio dopo un ricevimento. Perciò la risposta
giusta veniva alla mente quando si era, praticamente, a casa. Ossia, troppo
tardi per far tacere un aggressore.
Come si fa a chiudere la bocca a qualcuno? Tutto ciò che serve è un
po’ di calma e sangue freddo. E per questo argomento ho trovato nel libro
di Barbara Berkhan, Piccolo manuale di autodifesa verbale , alcune
strategie che sono infallibili. Li chiamo antidoti perché non c’è niente di
più pandemico del voler avere sempre ragione.
Antidoto n#1: la contro-domanda
Questo consiste nel rispondere a un commento offensivo senza
confrontarsi con la persona che l’ha detto. Le provocazioni ci fanno
perdere il controllo, quindi neutralizziamo la controparte con il suo stesso
veleno. Come facciamo? Semplicemente ripetendo le parole che ci hanno
colpito e chiedendo una spiegazione.
Per esempio, Daniela chiede a suo marito come le sta il suo nuovo
vestito. Alberto risponde: “ Ti sta come la pelle di una salsiccia ”. La
prima reazione di Daniela è quella di dirgli di cosa sta per morire. Ma
usando la tattica della contro-domanda come antidoto, lei può
rispondergli: “ Cosa intendi per pelle di salsiccia? ” Con questa tattica
l’interlocutore sarà in grado di chiarire la sua posizione ed evitare che la
conversazione degeneri.

Pink coaching tip: una donna saggia non chiede a suo marito
come le sta un vestito.
Blu coaching tip: se a un uomo (che ama la vita serena) viene
chiesto da una donna come le sta un vestito, può rispondere con
calma: “ È nuovo? ” Funziona sempre.

Antidoto #2: la frase nel cassetto


Il secondo antidoto è il più facile da applicare. Come funziona? Bene,
quando una persona ti fa un commento offensivo, tu rispondi con una
frase del tipo: “ Ah sì? E come sarebbe? ” Questo tipo di risposta
comunica una profonda indifferenza alle parole dell’offensore. Perciò le
parole offensive suoneranno assurde e, quindi, non saranno nemmeno
degne di considerazione. In questo modo il nostro interlocutore rimane
come una scarpa, anche se la sua convinzione era quella di offenderci.
Quello che ci dice non ha valore. E la questione non va oltre.
Antidoto #3: cambiare argomento
Questo antidoto consiste nel cambiare il soggetto della discussione
rispondendo al nostro interlocutore con qualcosa che non ha niente a che
vedere con le sue parole. Quando faccio coaching di servizio al cliente
per i call center, suggerisco agli operatori di ascoltare ciò che il cliente
arrabbiato sta dicendo. Una volta finita la loro litania, basta chiedere al
cliente arrabbiato: “ A proposito, signor Rossi, le hanno detto che
abbiamo un nuovo servizio in promozione che consiste in... ” Il cambio di
argomento ci permette di portare il dialogo in un’altra direzione,
mantenendo un tono neutro ed evitando lo sforzo di rispondere con lo
stesso tono.
Certamente la migliore difesa è l’attacco, ma non può mai essere
violento. Schopenhauer nel suo libro, The Art of Being Right , lo
conferma: “ Quando ci rendiamo conto che l’avversario è superiore e
finiremo in svantaggio, è il momento di essere offensivi e assumere una
posizione di attacco ”. Non è quello che ci aspetteremmo da un filosofo,
però, se applichiamo la filosofia popolare, un proverbio dice: Chi colpisce
per primo, colpisce due volte. Tuttavia, ricordate sempre che ci vuole
carattere per difendersi. Usate i vostri antidoti per evitare di essere
provocati.

No al controllo eccessivo

C’è anche la mania di voler controllare tutto e tutti. Questo toglie alle
persone un tempo impensabile per essere felici. La donna che controlla
costantemente il suo partner a non parlare troppo, a non bere troppo o a
non guardare altre donne, non sta vivendo.
Ha
rinunciato alla sua libertà personale, per soppiantare il potere personale
della persona che crede di amare. Succede anche a un capo che perseguita
e infastidisce un dipendente, sottoponendolo a un lavoro che lo denigra. È
una malsana mancanza di autocontrollo. Il dialogo è la migliore soluzione
a tutti i problemi. Una persona che prende l’abitudine di esercitare un
controllo eccessivo, così come di volerlo subire, ha una cabina di
controllo rotta. Come regolarla? Tenendo presente alcuni aspetti pratici
per rendere la vita più tranquilla secondo questa infografica.

In breve

Molti studi dimostrano che le persone con un alto autocontrollo hanno


risultati migliori a scuola e al lavoro e adottano stili di vita più sani; sono
meno propensi a bere eccessivamente o a usare droghe, e più propensi a
fare esercizio. La loro capacità di sopprimere i loro impulsi più bassi
significa che le persone con un maggiore autocontrollo sono anche meno
propense ad agire in modo aggressivo o violento, e hanno meno
probabilità di avere una fedina penale piuttosto arricchita. Per queste
ragioni, si credeva che l’autocontrollo contribuisse alla forza del carattere
di qualcuno. Però, come abbiamo visto, dare sfogo alle nostre emozioni ci
aiuta a crescere e a conoscere meglio noi stessi.
L’autocontrollo è la grande sfida per gli esseri umani. Quando
ignoriamo questo superpotere, urliamo, riattacchiamo il telefono in malo
modo, imprechiamo, piangiamo, passiamo col rosso, ecc. ma le
conseguenze sono generalmente spiacevoli. L’autocontrollo è la capacità
di dominare l’impulso, di tenere la bocca chiusa e le mani legate, quando
si tratta di scrivere qualcosa di insensato sui social network. La
padronanza di sé consiste nel non lasciare che i pensieri negativi
blocchino il nostro successo, le relazioni sane e nel portare a termine il
lavoro nei tempi previsti. Inoltre, ci aiuta a essere più presenti con gli
amici, invece di guardare il telefono.
Il segreto di questo superpotere è essere presenti nel momento. E il
modo migliore per fare una pausa durante la situazione che sta per farci
perdere l’equilibrio, è fare un respiro profondo. Quando ci abituiamo a
iniziare un respiro lento, riempiendo i nostri polmoni di ossigeno, anche il
nostro cervello si ossigena. La respirazione di potenza in una situazione
di conflitto è la migliore autodifesa del nostro corpo. E non costa nulla.
Se abbiamo perso il controllo, non possiamo piangere sul latte versato.
Lo vedrai nel superpotere #6, ammettere gli errori. Però la cosa più
importante nel tenere a bada le nostre emozioni e le nostre reazioni, è
proprio il fatto che l’autocontrollo ci aiuta a rispettare le regole e,
successivamente, a galvanizzare la nostra influenza. Vediamo di che si
tratta.

Autocontrollo è spezzare una mozzarella


fresca con le mani e non mangiarne nemmeno un
pezzettino.
V – S uperpotere #4: il rispetto delle regole

Qual è il modo migliore per vivere la nostra libertà? Facendo quello


che vogliamo? Mandando all’inferno chi ci fa un torto? Dire quello che
vogliamo nei social network? Libertà è fare tutto quello che vogliamo,
pretendendo i nostri diritti attraverso il rispetto delle regole. Sebbene la
parola diritto indica la libertà di cui gode ogni cittadino, con il termine
dovere si va, invece, a indicare una precisa azione imposta, alla quale non
è possibile venire meno. È un’analogia naturale: i doveri sono gli obblighi
che devono essere compiuti per far valere i propri diritti. Ed essi sono
tutti i meccanismi legali che proteggono gli individui. Doveri e diritti
sono stati creati per assicurare la stabilità sociale e la coesistenza
armoniosa tra i cittadini. Infine, le norme sociali sono i principi che si
impongono o si adottano per conformarsi correttamente come persone
civili. Mi sento come il mio insegnante di educazione civica delle scuole
elementari. Però quello che forse non ci hanno insegnato da nessuna parte
è che la libertà consiste nello smettere di fare quello che ci pare.
Un bel giorno il mio vicino di condominio ci ha mandato via
Whatsapp un corso sul parcheggio fuori dall’edificio. Si è creato una
missione pedagogica per indicare a tutti i condomini, come parcheggiare
le auto all’esterno dell’edificio. Motivo per il quale ha utilizzato
un’attività digitale per risolvere un problema analogico! Addirittura ha
messo una X rossa su ogni foto con il parcheggio trascurato. Un lavoro
encomiabile sotto la canicola di luglio. Come previsto, qualcuno ha detto:
“ I parcheggi esterni sono suolo pubblico, quindi posso parcheggiare
come voglio ”. Uhm, non proprio. Il fatto che sia uno spazio pubblico non
ci dà il diritto di applicare la legge del più forte. Cerchiamo di ragionare.
Perché è necessario parcheggiare bene? Perché tutti possano trovare un
posto dove lasciare l’auto. Chi lo dice? Una persona che ha un problema
dovuto ai parcheggi sbagliati. Perché lo dice? Perché aiuterebbe tutti.
Come lo ha detto? Attraverso fotografie che illustrano una metodologia
piacevole.
Abbiamo fatto un’analisi veloce. Si sta richiedendo un cambiamento di
pensiero e di comportamento che farebbe comodo a tutti. Il rispetto, in
questo caso, sta nel fatto che stiamo parlando di uno spazio pubblico (il
parcheggio). Noi, i vicini, abbiamo il diritto di usare questo spazio, ma è
anche un nostro dovere assicurarci che tutte le persone che lo usano ne
traggano beneficio. E uno di loro sta esprimendo un bisogno. Ha
effettivamente preso il tempo, in modalità analogica, per parcheggiare la
sua auto in modo corretto e non corretto. L’ha poi condiviso nella chat. E
la cosa bella è che ha fatto un cambiamento lodevole. L’influencer
analogico è riuscito a trasformare il comportamento del gruppo in modo
digitale.
Ci sono molte, moltissime norme o regole che sono fondamentali per
mantenere l’ordine a vantaggio della collettività. Furono create per
regolare il traffico, la sicurezza, la sopravvivenza, lo statuto dei lavoratori
e così via. Succede anche che molte altre persone non hanno insegnato il
rispetto come requisito sociale (né a scuola né in famiglia). Non possiamo
giudicarli. Ma cosa dobbiamo rispettare?

Gli insegnamenti della nonna

Il rispetto è una virtù umana che sta scomparendo a passi da gigante.


Ci dimentichiamo di insegnare ai piccini che abbiamo bisogno più che
mai di recuperare un nuovo ordine sociale. Non mi piace la frase “ritorno
alla normalità” perché molte cose non sono, e non saranno, come prima.
Quindi, alleniamoci a far parte di un mondo che ha bisogno di accettare il
rispetto delle regole di base, per salvare le nostre vite e preservare la razza
umana. Accidenti! Questo è davvero un invito a diventare un supereroe
perciò non dimenticare quello che ci hanno sempre insegnato a casa.
E chi ha inventato il rispetto delle leggi?

Sapevi che il Codice di Hammurabi è la più antica scrittura


riconosciuta di leggi umane? Hammurabi fu il sesto re della prima
dinastia di Babilonia, che regnò dal 1792 al 1750 a.C. Alcuni storici lo
considerano il fondatore dell’impero babilonese. Nonostante fu un feroce
conquistatore, può essere considerato il primo legislatore della storia.
Tuttavia, le leggi esistono da quando sono nati i popoli, ma il suo grande
merito è di averle scritte per la prima volta. Anche se il concetto non è
scritto in un tale codice, il diritto può essere definito come “ l’insieme
delle regole che governano la società ”. Già nell’antichità c’era la
necessità di portare ordine in nome del bene di tutti.
L’enciclopedista Jean-Jacques Rousseau insegnava che le leggi sono
un contratto sociale in cui gli uomini (nati liberi per natura) cedono
questa libertà allo Stato, perché la amministri per il bene comune. Si
presume che le leggi, siano esse terrene o divine, abbiano l’unico scopo di
raggiungere l’armonia sociale e il buon funzionamento. In questo modo,
l’importanza delle leggi è dovuta al fatto che consentono il
funzionamento dell’ingranaggio sociale. Ma cosa succede quando le leggi
non vengono rispettate? Il caos. Poiché gli attuali modelli di governo,
indipendentemente dall’ideologia politica, sono basati sull’uso della
legge, la mancata osservanza, sia da parte dei governanti che dei
governati, porterà direttamente a uno stato di disorganizzazione sociale.
Stiamo parlando della pace e dell’ordine dei gruppi sociali. Pertanto, sono
la classe politica e la classe dirigente a essere maggiormente chiamate a
rispettare e far rispettare le leggi, a tutti e allo stesso modo. Ma prima che
questo accada, ogni essere umano deve essere consapevole del suo ruolo
nella collettività. Questo è uno dei tanti rimedi che si propongono per
evitare il disordine sociale. E per non finire in prigione nel peggiore dei
casi.

Perché è difficile rispettare le regole?

Ci sono molte ragioni. Può essere a causa di una distrazione, per la


foga o per l’individualismo in cui la società moderna ci ha catapultati. Ma
una cosa è certa. A differenza di materie come la matematica o le scienze,
le abilità sociali sono acquisite dall’ambiente in cui viviamo. Se hai
imparato come fare amicizia e gestire i conflitti di gruppo da bambino, la
tua intelligenza emotiva è superiore alla media. Ma non tutti imparano le
stesse lezioni nello stesso modo. A volte ci vuole una vita per
perfezionarli. E molti di noi non li padroneggiano mai completamente.
Imparare a rispettare le regole come valore sociale può essere difficile,
se non si è stati esposti alle dinamiche di gruppo tradizionali durante la
crescita, se si lotta con l’ansia o la depressione, o se ci si trova in un
contesto in cui non si vuole stare. Imparare il rispetto per i giovani è un
dono, onde evitare che crescano per diventare criminali o persone
indesiderate in una società. Il rispetto delle persone, dell’ordine sociale e
delle leggi fa parte della socializzazione. Se queste non sono abilità che
avete sviluppato crescendo, non preoccupatevi. Non siete soli. E non è
troppo tardi per iniziare ad attivare questo superpotere.
Le persone che scelgono di rispettare le regole sono presenti nella loro
vita quotidiana. Sentono nel loro cuore che è la cosa giusta da fare, quindi
sono empatici per natura. Queste persone sono consapevoli che infrangere
le regole ha conseguenze dolorose. E che potrebbe essere costoso, in
termini di tempo e denaro, crearsi un grattacapo per mancanza di
attenzione o autocontrollo. Il rispetto è anche uno stato d’animo, perché
mantiene l’equilibrio tra una persona e il suo ambiente socio-culturale. E,
se noti, non c’è niente di più gratificante che compiere il proprio dovere.
Il petto si gonfia e la serenità di non avere rotture di scatole ci fa levitare.
È un’ottima referenza di lavoro e, soprattutto, è una calamita che attira
vibrazioni positive. Garantisce la partecipazione al lavoro e anche nelle
relazioni sociali per raggiungere il benessere e una buona qualità di vita.
In parole povere, il rispetto è un valore umano che mantiene una
socializzazione civile.
Ci sono cause individuali che ci motivano a comportarci
adeguatamente e cause più collettive. Non è certamente possibile
giudicare il comportamento delle persone, perché sono molti i
meccanismi cognitivi che guidano le nostre azioni e, di conseguenza, il
nostro comportamento. Per quel motivo, è essenziale spiegare perché è
stata creata una norma sociale all’interno di una collettività. Gli studi
dimostrano che, per dare legittimità a una norma, dobbiamo percepirla
come qualcosa che è socialmente apprezzato quale utile e benefico per
tutti. Purtroppo, molte volte subentrano le distorsioni cognitive, ossia,
tutte quelle paturnie, pensieri approssimativi e false idee che abbiamo
creato nel corso degli anni. La peggiore di tutte è la presunzione di sapere
tutto e permetterci di dubitare di tutto. A meno che non siamo dei veri
esperti del tema, questo genera soltanto danni perché non siamo attenti,
non processiamo l’informazione e non controlliamo l’istinto di opinare
sciocchezze.

Il rispetto delle regole sta all’ordine sociale,


come la sovranità sta alla repubblica.

Sono proprio i nostri valori collettivi che, nel mezzo di una crisi,
potrebbero giocare contro di noi. La società è diventata più narcisista e la
credibilità delle conoscenze è legittimata dai like e dai follower. In tempi
come quelli che stiamo vivendo, questa assenza di un senso di comunità e
di solidarietà con gli altri non ci fa bene. E, quando dettano il lockdown
perché tornano a salire i contagi, le maledizioni al governo e la rabbia si
impossessano di chi non rispetta le regole. La libertà di espressione sulle
reti sociali incoraggia la proliferazione di comportamenti che diventano
noti per la mancanza di rispetto. Ma non per la preponderanza del rispetto
collettivo. I video di persone che sputavano sul cibo o bevevano
direttamente dalle bottiglie nei supermercati, hanno avuto un boom di
visualizzazioni. È un paradigma contro cui è difficile lottare. Ma nel
mondo reale, dove la gente vive e lavora per mangiare, il senso del
collettivo e del bene comune deve essere molto più forte, apprezzato e
valorizzato piuttosto che le porcherie che si postano sui social media.
Anche se non siamo d’accordo con alcune leggi o regole che qualcuno
ha inventato per far funzionare un sistema, dobbiamo accettarle.

Coaching per affilare questo superpotere

Iniziare a rispettare le regole per coloro che non amano farlo è un’altra
sfida del secolo. Altrimenti, come costruiremo la nuova normalità? La
mia missione con questo libro non è quella di costringervi a rispettare le
regole alla lettera. Non posso scagliare la prima pietra. Alcune persone
sono più inclini di altre a rispettare le regole. Questo non significa che
non lo faccia un potenziale aggressore. Per esempio, quando mi viene
chiesto di completare alcuni processi di reclutamento, applico la
valutazione , basata sul test di William Moulton Marston. Lo uso
per scoprire se il comportamento dei candidati è orientato al dominio,
all’influenza, al risultato, alle regole, all’analisi e all’autocontrollo, tra
molte altre abilità e competenze. Ora, ti chiedo un parere. Se avessi
davanti un avvocato ed ex ufficiale dell’esercito, lo considerereste una
persona che rispetta pienamente le regole? Certamente sì!
Ebbene non è come credevamo. Nella sua valutazione
comportamentale, il rispetto delle regole era il suo indicatore più basso.
Ma come? Una persona che ha studiato la legge e conosce la disciplina
militare non rispetta le regole? Dovevo convocarlo immediatamente per
un colloquio. Non potevo lasciarmi sfuggire questo personaggio.
Per soddisfare la tua curiosità di lettore (ehm, in realtà era la mia), ho
chiesto al candidato perché non fosse rimasto nell’esercito e perché non
esercitasse la professione di avvocato.
Le risposte sono state semplici: “ L’esercito è una carriera molto
difficile per chi non ha un padrino politico. E in Italia ci sono più
avvocati pro capite che in qualsiasi altro paese del mondo ” . È un
pragmatico. Pertanto è una persona che trova facilmente soluzioni ai
problemi. È stato assunto come direttore commerciale di una
multinazionale. E durante il follow-up che faccio ai candidati che porto
alle aziende, la cosa che ha sorpreso l’amministratore delegato di questo
manager, è che sa gestire le persone con un’autorità naturale. Quindi, il
rispetto delle regole per lui è una questione di mantenere l’ordine.
Sfidare le norme o la legge fa parte anche del carattere istintivo
dell’uomo. Abbiamo bisogno di capire fin dove ce la possiamo fare. È
mettere alla prova la nostra adrenalina. Nonostante la mia tendenza a
rispettare le regole sia molto alta, di fronte alla bellezza non posso
lasciarmi sfuggire il momento. Ma quante litigate nei musei. Più che la
marachella, si tratta di far tuo quel momento. Non ce ne frega nulla,
quando si tratta di ottenere quello che vogliamo. Ed è quel desiderio che
ci spinge a non rispettare le leggi. Ma c’è anche chi lo fa per necessità,
allora rispettiamo pure le loro decisioni.
Visto e considerato che abbiamo bisogno di mantenere un ordine
sociale, di vivere in armonia e senza giustificazioni del perché abbiamo
infranto le regole, facciamo esercizi semplici per fare in modo che il
nostro comportamento non ci dia problemi.

Mettiti in fila

Adrian Furnham è un professore di psicologia specializzato


nell’osservazione del comportamento degli esseri umani quando sono
costretti a fare la fila. Furnham spiega che le code sono governate dalla
regola del sei: “ La gente aspetterà solo sei minuti in una coda. E si
metteranno in coda dove ci sono da una a sette persone ”. Osservalo la
prossima volta che andrai in un ufficio pubblico. Tuttavia, il dottor
Furnham conferma che la propensione ad aspettare dipende da ciò che ci
attende alla fine della coda. Se la ricompensa è un biglietto gratuito per un
concerto o avere un prodotto in omaggio, probabilmente saremo più
inclini a investire il nostro tempo, senza troppa impazienza in attesa del
premio.

Coaching tip : al supermercato, cerca sempre la fila che si


trova più a sinistra. La vedrai meno lunga perché la mente ci
porta a posizionarci dove troviamo subito posto. [13]
La tecnologia ha certamente semplificato la nostra vita. Hai la tua
banca sul tuo telefono, così come i tuoi biglietti aerei e il tuo certificato di
vaccinazione. Anche se ci sono molte cose che si risolvono facilmente
con internet, le code saranno sempre un’attività umana e analogica.
Nonostante io abbia scaricato un’applicazione per prenotare il mio
posto in coda all’ufficio postale, sono arrivata al momento giusto. Ma chi
non aveva l’app, non ha accettato che io arrivassi con il mio numero di
turno! Così ho dovuto fare la fila. Non è un buon affare discutere con gli
anziani: nonostante siano in pensione, vivono sempre di fretta.
Non importa quale supermercato ipertecnologico ti offra la migliore
app per non dover pagare alla cassa. Dobbiamo ancora fare la fila. E la
pazienza per alcuni sarà sempre poca, perché non ci piace fare la fila e
aspettare il nostro turno. Questo succede perché il nostro cervello ci ha
condizionato a credere che tutto sia facile e veloce con il telefono. La
coda sarà sempre una tradizione analogica perciò, su questo, dovremmo
rassegnarci. Ma per renderti le cose più semplici, ho scelto l’esercizio di
coaching per allenarti a essere paziente e ad aspettare in fila. Applica uno
di questi tre trucchi e dimmi quale preferisci o quale funziona meglio per
te.
1. La fila unica. Anche se ci sono diverse casse o banchi, è meglio che
tutti si mettano in una sola coda. Ha senso perché non appena si libera un
posto, la prima persona in coda lo prenderà. Nessuno ci scavalcherà
perché è il nostro turno. E il distacco sociale sarà sicuramente mantenuto.
Mentre con il sistema tradizionale (una coda per banco) si crea lo stress di
essere superati dalla coda accanto e si fa saltare la gente da una coda
all’altra. Come dice la legge di Murphy “ l’altra fila andrà più veloce
della tua ”.
2. Cerca una distrazione. Sembra banale ma questo è il momento di
cancellare le foto inutili sul tuo telefono. Non è conveniente telefonare
perché, quando si arriva alla cassa, bisogna fare più di due cose alla volta:
prendere i prodotti dal carrello, pagare, mettere i prodotti nei sacchetti e
porli nel carrello per uscire. Tutto ciò senza perdere il filo del discorso
oppure facendo perdere tempo a chi sta dopo di te. E, soprattutto, è
odioso e maleducato parlare con qualcuno che sta facendo qualcos’altro.
Questo non è multitasking è piuttosto cafoneria bella e buona.
3. Guarda gli ultimi. Secondo gli studi, il numero di persone in coda
dietro di noi influenza la velocità percepita della coda più del numero di
persone davanti a noi. Può sembrare paradossale, ma se c’è un gran
numero di persone che aspettano, il nostro cervello ci inganna pensando:
“ bene, siamo più che a metà della coda. Il peggio è passato, meglio
aspettare ” . Mal comune mezzo gaudio.
4. Fa lo gnorri con cautela. Uno studio sociologico degli anni ’80 ha
dimostrato che le persone che fanno la coda sono molto più pazienti di
quanto si possa pensare a prima vista. Il professor Stanley Milgram
mandò i suoi studenti a saltare le code in vari stabilimenti di New York:
banche, uffici postali, negozi, ovunque ci fosse una coda. Dicevano con
calma: “ Mi scusi, vorrei entrare qui”. Lo facevano sistematicamente
intrufolandosi tra la terza e la quarta persona. Ma se qualcuno protestava,
i ragazzi se ne andavano senza discutere. Gli studenti hanno descritto
l’attività come estremamente stressante, anche se solo il 10% delle
persone in coda erano intolleranti alla furtività .
Lo ammetto. Ho applicato il trucco numero quattro soprattutto nelle
code dei musei. Funziona. E se vogliamo parlare di regole che non
servono a niente, ne ho una che fa proprio il caso. Si tratta di una regola
non scritta in cui il lato sinistro della scala mobile è riservato a coloro che
hanno fretta e possono quindi salire i gradini più velocemente. Nì . Questa
soluzione non è molto efficace perché, quando la corsia di passaggio non
è utilizzata, la scala mobile funziona effettivamente a metà della sua
capacità. E i turisti che non conoscono questa tacita regola sono
rimproverati e insultati da chi li incrocia. Ma è meglio evitare gli scontri
banali e rispettare quella regola.
Sono una coach fuori dalle regole? Uhm non proprio. Almeno questo
mi ha fatto vedere il risultato del test che troverai sul mio sito. Se
vuoi scoprire quanto sei disposto ad assumerti i rischi, a sfidare qualsiasi
situazione e in che misura, è una scoperta interessante.

Training giornaliero

Stanley Kubrick era un regista che ha sempre voluto riscrivere le


regole in tutti i generi, con uno stile che rompeva le convenzioni di
Hollywood. Ma non tollerava il disordine sui set di produzione. Era un
amante dell’ordine e della disciplina. Per questo ha scritto un manifesto
che tutte le persone della troupe trovavano ovunque. Leggetelo e, se
volete, insegnatelo ai vostri figli e ai voi leader, trasmettetelo attraverso
l’esempio. Sembrano semplici regole di convivenza, ma in realtà sono
profonde negli aspetti sociali e lavorativi. Godetevi il vostro allenamento
del superpotere #4, il rispetto delle regole.

Inizia
con queste regole. Memorizzale e falle diventare parte del tuo carisma.
L’esempio è il modo migliore per rispettare le regole e il miglior
allenamento per non farsi beccare fuori dalle righe. Ed è infallibile per
fare colpo sul sesso opposto, nei momenti che importano.

Rispettare le regole brevemente


- Mantenere una società in ordine richiede un valore che è posseduto
solo da persone che sono consapevoli che la società funziona se si applica
il rispetto.
- Il rispetto è uno stato d’animo che ti porta a non fare errori e a non
pagare multe.
- Tutti abbiamo il diritto di esprimere la propria opinione, ma tutti
abbiamo il dovere di non attaccare chi non la pensa come noi.
- Non importa che cosa fanno gli altri. L’unica cosa che conta è la
tua coscienza.
- Rispetta tutto ciò che merita di essere rispettato. È un regalo che
fai a te stesso.

Ci sono cose legali che sono assurde. A meno che non entriamo al
senato per cambiarle, atteniamoci alle regole, benché non ci piacciano. Da
lì inizia la nostra performance come influencer naturali.

Quando puoi fare quello che ti pare, sfida te


stesso a fare quello che si deve. È lì dove trovi il
potere di cambiare il mondo.
VI – Superpotere #5: influenza

- Cosa vuoi fare da grande?


- L’influencer
- E che cos’è?
- Uno che si fa selfie e video e non deve lavorare.

Nicola, 9 anni

Non ero l’unica a sorridere mentre ascoltavo, deliziata, le aspirazioni


di carriera del piccolo Nicola. Perché questa è la percezione generale che
abbiamo del lavoro del futuro. Immagini di tette, culi, macchine, muscoli,
e il lusso che procurano i soldi. E da quello dipende l’influenza, non come
malattia bensì quale superpotere analogico. Beh, già Max Weber citava
l’influenza come una fonte di potere e di dominio. Per questo sociologo
tedesco, la presunzione di avere certe capacità o qualità, che siano vere o
no, si chiama influenza .
Tale superpotere non si limita esclusivamente ai social media. È
analogo perché l’influenza porta all’imitazione o alla creazione di
somiglianze. Ci lasciamo influenzare dalla presunzione di avere certe
capacità o qualità, che tentiamo di trasmettere anche se non ne siamo in
possesso. D’altra parte, nel campo della psicologia sociale, l’influenza si
verifica quando le emozioni, le opinioni o il comportamento di una
persona sono modificati da altri. Ci piace cercare alcune persone
assiduamente nel web, perché ci piace quello che dicono, i loro gesti e le
loro fotografie che ci trasportano nel mondo dei sogni. E, a volte, non
sappiamo perché, considerato che non le abbiamo mai incontrate dal vivo.
Però esercitano un certo potere su di noi, quello del loro carisma.
Se le persone attorno a te fanno tutto quello che vuoi, l’influenza non è
un superpotere per te. È la tua essenza. Quindi non smettere di coltivarla.
Ma se ti senti spesso ignorato o sottovalutato, è il momento di considerare
come stai usando il tuo comportamento per creare le relazioni con altre
persone, colleghi o in famiglia. Usare un linguaggio debole , per esempio,
trovare scuse, contraddire senza ascoltare o fare il saputello, può minare
completamente il tuo potere personale. Se cammini con le spalle inarcate,
non guardi le persone negli occhi, oppure usi un tono di voce
inappropriato, è il momento di affinare il tuo superpotere. Perché
l’influenza analogica è la capacità di ottenere i mi piace sotto forma di
comportamenti genuinamente umani. In fin dei conti, la virtualità
funziona attraverso dispositivi elettronici mentre, nella vita reale, si
mangia, si vive e ci si comporta come un vero essere biologico.
Se pensi che ti dirò come essere un grande influencer online, mi
dispiace deluderti. Sono la quintessenza dell’anonimato, quando si tratta
di fare rete su internet. Prima di tutto non ho bisogno di like per lavorare.
Come coach non mi limito solo a lavorare sulla persona e sulla sua
carriera. Sono fortunata perché le persone mi cercano proprio per la mia
riservatezza nei confronti della mia clientela e tutto in modo nettamente
analogico: attraverso il passa parola. E il risultato del mio lavoro mi
permette di vivere senza lo stress del selfie che fa morire d’invidia gli
altri o delle foto dei miei trofei umani. Non ho bisogno di quell’ansiosa
approvazione virtuale.

Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.


(Matteo 22:13-14).

Attraverso un ironico articolo di coaching che ho scritto per un


giornale, sono stata chiamata da una multinazionale per tenere un
seminario sulla produttività. L’aneddoto è che, nella fase di selezione, il
presidente delle risorse umane mi ha chiesto perché avessi pochi follower.
Io gli ho risposto sorpresa: “ Wow! Li ha contati? Grazie, non lo sapevo!
” Il mio intervistatore ha fatto un respiro profondo, con uno sguardo di
stizza ma, vedendo la mia sincera faccia spaesata, si è fatto una profonda
risata. Il seminario mi è stato assegnato, continuo a lavorare con loro e
con i contatti che questa azienda genera per me, nonostante la mia scarsa
e inane presenza sui social. Ecco perché ho scelto l’influenza come
superpotere. Perché la prima legge per coltivare l’influenza è: Sii te
stesso per ottenere ciò di cui hai bisogno. Però, se c’è un filtro per le foto
che persuada e generi carisma, lo voglio subito.
Questa capacità è davvero una base di potere, perché modifica i
comportamenti (propri e altrui), mantiene o cambia le regole e genera
credibilità. Sta a te come usarla, migliorare la tua vita e fare soldi con
essa. Nella vita reale.

Perché l’influenza è un superpotere?

Cristiano Ronaldo, calciatore portoghese, è l’essere umano con più


seguaci nella storia dei social media: più di cinquecento milioni. Al
momento di andare in stampa, era seguito da Ariana Grande, Justin
Bieber, Selena Gomez e Taylor Swift. Poveri loro con solo più di
quattrocento milioni. Questo conferma che, oltre alle loro professioni
principali e al loro grande talento, hanno il potere di accumulare seguaci.
Un compito per niente facile perché, dietro quei numeri, c’è un lavoro
continuo.
Ecco perché la professione influencer è diventata una fonte di reddito
non indifferente. Il vantaggio di intraprendere questa carriera è che non è
necessario andare all’università o studiare in modo esacerbato. I corsi
online per “ diventare un influencer di successo ” sono già in vendita.
Come anche i venditori di follower provenienti dall’Irkutsk e Kamchatka,
(paesi che ho incontrato giocando a RisiKo! [14] ). L’influenza come
superpotere analogico è un’arma con la quale si ottiene più di quanto si
possa immaginare. Nel mondo reale. È una questione di atteggiamento,
cioè il modo in cui ci si presenta alle persone, come si parla, come si
esprime ciò che si vuole e di cui si ha bisogno. Tale atteggiamento si basa
su un linguaggio sincero e conciso. Non con le foto delle pietanze che stai
per deglutire. Sta di fatto che le persone influenti sanno come dire no con
classe. Non cercano scuse, perché ammettono i loro errori. Non si
lamentano, piuttosto agiscono. Promettono e mantengono le promesse.
Ma, soprattutto, sanno come mantenere la calma in mezzo alla tempesta.
E tutti questi aspetti rappresentano un carisma infallibile.
L’influenza è un superpotere perché il nostro atteggiamento
(linguaggio del corpo e postura) è uno strumento di persuasione. Beh, lo
sono anche il deodorante, un buon vestito e le scarpe pulite pure per stare
davanti a un computer! Ad esempio, con il telelavoro è fortemente
sconsigliato lavorare dal letto, in pigiama e senza lavarsi nemmeno il
viso. Il sistema parasimpatico è una delle due branche del
sistema nervoso autonomo o vegetativo che interviene nel controllo di
funzioni corporee involontarie. Che cosa significa questo? Che se non ci
prepariamo per lavorare vestiti bene, puliti e attivi, le nostre risposte al
sistema saranno da sfavoriti. Anzi da sfigati. Con questo voglio dire che
chi vuole sedurre un’altra persona, si mette in tiro, si profuma e sorride.
Chi lavora da casa deve attivare il corpo perfino con il modo di vestirsi,
per lavorare molto più piacevolmente.
Alcune aziende mi chiedono di intervistare i candidati, soprattutto per
posizioni di alto livello nell’organizzazione. E, curiosamente, c’è la
tendenza di molte start up a cercare profili professionali che, oltre
all’esperienza e alle soft skills , [15] abbiano molti follower o seguaci. Ma
questo dipende soprattutto dal settore produttivo per il quale viene fatta la
selezione, senza dubbio. Dipende anche dall’età dell’imprenditore e da
quella dei suoi seguaci nel marketing digitale. Alla mia domanda: chi di
voi guarderà le amicizie di questo candidato, contatto per contatto? Le
risposte sono “ boh ” . Capisco, allora, che il numero piace all’essere
umano per una questione di analogia. “ Se ha tanti follower è importante.
Perciò potrebbe promuovere prodotti dell’azienda ”, mi ha accennato un
imprenditore. Sciocchezze. Secondo Helder Monaco, LinkedIn Coach ed
esperto di comunicazione digitale, l’utilizzo delle reti a livello aziendale
deve essere responsabile, obiettivo e costruttivo per tutta la struttura
organizzativa. In modo privato, personale e corporativo. Non solo per
vendere prodotti.
Evolution 2020 [16] ha condotto un sondaggio tra i suoi partecipanti per
scoprire quanto un dipendente vuole promuovere i prodotti dell’azienda
sui social media. Pochissime persone lo farebbero. E questo è dovuto al
fatto che vogliono tenere la loro vita personale separata da quella
lavorativa. E non perché odiassero capi, colleghi o clienti. Tuttavia, per
alcuni dirigenti delle risorse umane, dare un’occhiata a Facebook non
guasta mai. È chiaro che chi non vuole avere una coda di paglia dovuto al
suo profilo su Facebook, Instagram, ecc. non diventa un leone da tastiera,
grazie al superpotere #3 l’autocontrollo. Così facendo, non si sentirà con
la spada di Damocle in testa.
L’influenza è un superpotere, perché rende le persone straordinarie.
Perché stare vicino a persone dotate di carisma o influenza ci aiuta a
creare un’atmosfera positiva per tutti. Perché chi usa questo superpotere
parla con sincerità e si preoccupa degli interessi di chi ascolta. Non
costringono il loro interlocutore a guardare il loro telefono. Essere
influenti è un atteggiamento che riformula i problemi. Questo è ciò che ho
consigliato di fare ai manager, in tempi di pandemia. Un sovraccarico di
responsabilità non è un problema, quando si cambia il modo di descrivere
la situazione imprevista o inaspettata. Invece di dire “ Questo è un
disastro ”, abbiamo riformulato il messaggio di questa maniera “ questa è
una sfida per il nostro team per dimostrare di che pasta siamo fatti ”.
Molte situazioni sono state affrontate con meno paura e più soluzioni.
Per far funzionare questo superpotere, bisogna allenarsi
consapevolmente. Di seguito troverai alcune linee guida per essere un
influencer naturale , grazie a un carisma al quale, difficilmente, sarà detto
di no in più di una circostanza.

L’influenza sta all’umanità, come la


tolleranza sta alla crescita personale.

Coaching per attivare questo superpotere

Sei una di quelle poche persone in grado di raggiungere i loro


obiettivi, guadagnare molti soldi ed essere super sexy? Se non sei il
protagonista di un film, allora mettiamoci al lavoro. Sai molto bene che la
tua postura, la tua espressione facciale, lo spazio che occupi determina
come ti senti emotivamente e determinerà il modo come le parole
usciranno dalla tua bocca. Quindi, la prima cosa che dobbiamo fare per
attivare il superpotere d’influenza è riattivare il nostro corpo. Non è
facile, a causa del fatto che ci sono tre fattori che hanno cambiato il
linguaggio del corpo nelle persone del secolo: l’uso del telefono, le
social network e la pandemia .
Lo spazio d’aria che serve da barriera o confine tra te e chiunque altro,
è chiamato bolla personale . E grazie a questa distanza si socializza, si
creano connessioni e nascono i gruppi che esistono nella vita reale. Ma
non sono i cellulari a essersi appropriati della socializzazione. Ne sono la
barriera. Basta guardare al ristorante o al bar una combriccola di amici
oppure durante un pranzo fra colleghi. Come si comportano? E per finire
in bellezza, la pandemia ci ha costretti ad aumentare la nostra distanza
sociale, per salvare le nostre vite. Con ciò siamo stati indotti a gonfiare le
nostre bolle personali anche con i parenti e gli amici di una vita! Questo
ha generato una sorta di sfiducia sociale dovuta alla paura del contagio.
Le reti sociali, invece, hanno perfino trasformato il linguaggio del corpo
attraverso l’immagine che ciascuno vuole darsi di sé. Basti vedere come
le donne stringono le labbra (soprattutto davanti agli specchi), perché si
sentono più sexy. Solo che le congeneri le odiano e alcuni maschi le
trovano nevrotiche.

Il fenomeno “Duck face” è analogico

Duck face o Duck lips (tradotto in italiano come labbra a culo di


gallina) è una posa fotografica ben nota sulle immagini di profilo nei
social network. Le labbra sono premute insieme come in un broncio e
spesso con le guance contemporaneamente risucchiate. La posa è più
spesso vista come un tentativo di apparire seducente, ma anche come un
gesto autoironico che si prende gioco della posa. Può essere associata a
simpatia, cordialità o stupidità. Uno studio del 2015 [17] ha scoperto che
le persone le quali pubblicano foto con la faccia da papera hanno
maggiori probabilità di essere viste come nevrotiche. E in uno studio
sulla comunicazione animale delle scimmie cappuccine, il termine
“faccia d’anatra” è stato usato come sinonimo di “faccia da labbro
sporgente”, che le femmine esibiscono nella fase ricettiva prima
dell’accoppiamento.
Vuoi saperne di più? Già negli anni ’70, Paul Stanley, il frontman
della popolarissima rock band americana Kiss, fin dall’inizio della band
nel 1973, è stato spesso ritratto in posa con l’ormai ben nota duck face.

Attiva il tuo corpo

Durante le sessioni di coaching che faccio dal vivo scopro


maggiormente la poca conoscenza che abbiamo del nostro corpo.
Dimentichiamo che la gestione della postura influenza anche cervello e
umore. Allo stesso modo si comincia già a essere persuasivi dalla propria
postura. Ovunque ti trovi. Perciò vorrei proporti un esercizio da fare in
qualsiasi momento. Si tratta della posizione del supereroe. Mettiti in
piedi, con la schiena dritta, spalle rilassate, le braccia stese in giù. Il
mento alto e un bel sorriso. Meglio ancora se metti il petto in avanti e il
sedere indietro, perché è un gesto di dominio e seduzione (che facciamo
tutti inconsciamente quando vogliamo attirare l’attenzione del sesso
opposto). Ora che sei pronto, alza vigorosamente le braccia e allungale
più che puoi. Stendi con forza le mani e ricaricati di forza, energia e
potere! Cerca di mantenere questa posizione per più di tre minuti. Se noti
i campioni, celebrano le vittorie alzando le braccia come segno di vittoria.
Questo succede perché, alzando le braccia, il nostro corpo rilascia un
ormone che si chiama testosterone, ed è proprio l’ormone del potere.
Allungando le braccia sopra di te per quei due minuti, si blocca il rilascio
di cortisolo che è invece l’ormone simbolo dello stress. Esso, nei
momenti di maggior tensione, determina l’aumento di glicemia e dei
grassi nel sangue, mettendo a disposizione l’energia di cui il corpo ha
bisogno.

Coaching tip: mettere le mani sulla vita con lo sguardo alto e


la schiena dritta, ha degli effetti persuasivi sulle persone che
interagiscono con noi. Ci dà fiducia e fa sentire all’interlocutore il
dominio che abbiamo della situazione.

L’influenza come superpotere ha un trucco: mettere in ordine le idee


per far sì che le persone facciano quello di cui avete bisogno. Ma ci sono
due aspetti basilari per parlare con altre persone: dire le cose che servono
e tacere. Però è l’ascoltare la magnificenza della comunicazione.

Quando è il tuo turno di parlare

1. Pensa chiaramente prima di aprire bocca. La fonte più comune di


messaggi contrastanti è un pensiero caotico. Pensa a cosa vuoi ottenere.
Se hai un’idea, pensa alla sua utilità. Se vuoi esprimere un’opinione, usa
poche parole. Non confondere l’ascoltatore.
2. Cerca di dire esattamente quello che vuoi dire. Arriva al punto
senza menare il can per l’aia. Se vuoi qualcosa, chiedilo. Se vuoi che
qualcuno faccia qualcosa, diglielo con chiarezza come deve essere fatto.
3. Sii conciso. Non sprecare parole. Non usare complimenti inutili o
un linguaggio stentato. Creano scompiglio. Parlare chiaramente usando
parole brevi e familiari, crea fiducia e disponibilità all’ascolto.
4. Sii te stesso. Una delle cose che consiglio ai miei clienti è di non
inventare uno stile di comunicazione che non appartiene a loro. Non
cercare di essere simpatico a tutti i costi. Piuttosto, sii autentico e lascia
che il tuo vero io venga fuori. Sarai più convincente e ti sentirai più a tuo
agio.

Quando è il tuo turno di ascoltare

1. Ascolta senza pregiudizi. Concentrati su quello che si dice. Cerca


sempre di comprendere se ti stanno chiedendo un consiglio piuttosto che
un aiuto per risolvere un problema. Non giudicare, piuttosto trova le
possibili soluzioni. E non dare soluzioni che non ti sono state chieste!
2. Ascolta con gli occhi. Ascoltare solo con le orecchie porta al rischio
di perdere metà del messaggio. I buoni ascoltatori tengono gli occhi
aperti, mentre ascoltano. Il viso è un mezzo di comunicazione eloquente.
Per esempio, controlla quanto dura il sorriso di qualcuno che dice: “ Sto
scherzando ” o “ Mi piace il tuo vestito ”. Se è breve, è sincero. Se dura a
lungo, noterai che è forzato perciò poco sincero.
3. Ascolta senza una falsa emotività. Quando una persona inizia il
suo discorso con un “ Mi fa male dirti questo… ” non gli fa per niente
male. Ti sta anticipando che ti arriverà un siluro emotivo . Quando una
persona ti fa quella premessa, osserva le sue labbra. Se vedi che gli angoli
delle labbra hanno una tensione verso il basso, è qualcosa che dà un
sincero rammarico a chi te lo dice. Se sono rivolti verso l’alto, è falso
quanto una moneta di tre euro.

Coaching tip: Un altro esempio classico è quello degli occhi


che evitano il contatto. Lasciami dire che molti imbroglioni ti
guardano negli occhi e tu gli credi senza esitare. Però non saltare
alle conclusioni, perché non ti guardano negli occhi. Ci è stato
insegnato che chi parla e non ci guarda negli occhi non è
interessato, non è sincero. Però evitare uno sguardo diretto
potrebbe anche essere un segno di tristezza, stanchezza o un
desiderio di andarsene senza spiegazioni. Inoltre, cerca di fare
domande quando qualcosa non ti torna. È meglio avere chiarezza
che cadere in una trappola per paura di chiedere.

4. Ascolta senza guardare il telefono. Ascolta sinceramente. Dato il


potere che ha la brutta abitudine di cercare s’è vero quello che dicono in
internet, faresti capire a chi ti sta parlando due cose: che non ti interessa
quello che dice, oppure che non gli credi. Se così fosse, chiedi al tuo
interlocutore di spiegarsi meglio. È utile per evitare malintesi e aiuta a
non perdere tempo. E, oltretutto, diventerà un ottimo coaching per
rafforzare il tuo Superpotere #2.
La comunicazione che usiamo con i colleghi non è la stessa che
usiamo a casa o con gli amici, durante una festa. E nemmeno sui social
media. Ma se c’è una cosa che mantiene viva la comunicazione umana
come proprietà analogica e biologica, è fare domande. In qualsiasi
ambito. Senza paura e arrivando cordialmente al punto.

Domandare è lecito rispondere è cortesia

Fin da bambini, molti di noi abbiamo avuto paura di fare domande. Sia
per timore di sembrare lo scemo del villaggio, sia per non essere l’unico
che non aveva capito niente. Però se hai bisogno di un chiarimento, non
sottovalutarti dicendo: “ Scusatemi se faccio una domanda stupida, ma...
” Le persone crederanno che sei più melenso della domanda stessa. Le
persone sicure di sé non hanno paura di fare domande (né tantomeno di
chiedere quello che serve a loro), perché parlano con sicurezza e
cordialità. Chiedono chiarimenti e preferiscono domandare, invece di
commettere un errore per mancanza di informazioni. Ecco come fare
domande e ottenere le risposte che si cercano.
1. Fai le domande al momento giusto. Una domanda fatta mentre
qualcun altro sta parlando non è utile. Interrompere è odioso, perché fa
perdere il filo del discorso. E, se la persona è alterata, avrai una risposta
spiacevole. Aspetta il momento opportuno.
2. Se hai fatto una domanda, ascolta le risposte. Nuovamente insisto
sul non saltare alle conclusioni. Se fai una domanda, abbi la pazienza di
ascoltare la risposta. Senza interrompere la persona che ti parla. A volte
facciamo domande per ascoltare le riposte che vogliamo sentire noi stessi.
A volte dimentichiamo che la gente adora parlare di sé. Quindi fare
domande e ascoltare le risposte ti aiuterà a mantenere il controllo della
conversazione. E, se mostri interesse per il sesso opposto, è un fattore di
successo, perché dimostrare curiosità farà sentire le persone più sicure di
sé. Se sei presente nella conversazione, saprai se le risposte che ti danno
sono sincere e il proseguire di un incontro galante non si farà aspettare.
Nel mio metodo di coaching , la Q sta per questioning
(chiedersi). È una fase potente del processo perché aiuta coach e coachee
a capire il punto della situazione, definire gli obiettivi e proporre
soluzioni agli inghippi. Grazie a una vecchia tattica giornalistica, ho
riscontrato che, per far esprimere al meglio i miei clienti, inizio le
domande con le parole “ chi ” , “ cosa ” “ dove ” , “ quando ” , “ come ” e
“ perché ”. Se utilizzi queste parole nelle tue domande, otterrai anche tu
grandi risposte. Sono anche la base del superpotere #2, processare
l’informazione.

E come dire: “ No ”?

Penso che sia la parola più difficile da pronunciare. Ma è necessaria sia


sul lavoro sia nelle relazioni personali. Ho un amico che risponde ai miei
inviti dicendo: “ Se non mi chiamano per una cena programmata tre mesi
fa, forse vengo ” . Per coloro che hanno bisogno di una risposta, il no è un
rimedio, una soluzione ed è una decisione che deve essere accettata. Per
esempio, se un collega ti chiede di prendere un progetto per il quale non
sei capace, avere il coraggio di non accettare diventa una soft skill :
l’onestà. L’abilità sta nel non far sentire l’altra persona rifiutata. Allo
stesso modo, quando si riceve un invito che non si ha voglia di ricevere,
rifiutarlo educatamente evita che le false scuse diventino imbarazzanti.
Sebbene l’influenza consista nel dimostrare la nostra sincerità attraverso
una comunicazione onesta, pronunciare la parola no potrebbe cambiare la
tua vita. Quindi, impara a pronunciarla consapevolmente. Diamo
un’occhiata ad alcuni trucchi per cavarsela senza rimorsi, e senza dover
sparire per paura di dire no .
- Ammorbidisci il rifiuto con una gentilezza o un complimento. Si
tratta di una tattica che prevede utilizzare una frase per addolcire il no :
“Ti amo teneramente ma non dormirò in tenda” . Diciamo che
l’interlocutore resterà deluso a metà, ma non vorrà tentare di farti
cambiare opinione. Altre frasi gentili per altri casi potrebbero essere:
- Sembra una grande opportunità, ma devo passare. Grazie per avermi
considerato.
- La tua proposta è intrigante e sono contento che tu abbia pensato a
noi per proporla ma non è applicabile al nostro contesto.
- Grazie per avermi considerato, ma non fa per me.
- Spiega le tue ragioni senza raccontare storie di fantascienza.
- Non posso partecipare alla riunione di questo pomeriggio perché ho
una scadenza da rispettare.
- Questa è una buona proposta ma la nostra organizzazione non ha il
budget per questo tipo di progetto, al momento.
- Un fine settimana in campagna sarebbe ottimo, però ho già un’altra
attività in programma.
- Sii breve e cordiale. Non è sempre necessario giustificare le
motivazioni della risposta negativa. Ma ogni tanto è necessario farlo con
le persone per le quali è fondamentale mantenere rapporti cordiali e
produttivi. Tuttavia, è più premuroso pronunciare un no diretto piuttosto
che prendere tempo. Lasciare le persone nel dubbio è semplicemente
cafone. Vediamo questi esempi: “ Non posso aiutare in questo, perché ho
da fare mille robe ”.
Uhmm. Crudele. Che ne pensi di quest’altra risposta?
- Purtroppo, temo di non essere la persona giusta per aiutarti in
questo compito.
Usando la parola “ purtroppo ”, si vede che non sei felice di dirlo. Il
rifiuto resta ma non sarai giudicato per la mancata collaborazione.
Proviamo con un altro avverbio di tempo.
- Grazie per aver pensato a me per questa iniziativa, però tuttora non
è possibile partecipare attivamente. Ma per favore teniamoci in contatto.
La parola “ tuttora ” (adesso, ora, ecc.) suggerisce che potresti essere
aperto ad altri incarichi in una data successiva; dirlo gentilmente, ti aiuta
a mantenere le tue opzioni aperte nel frattempo.
- Lascia la porta aperta. A volte non è possibile chiudere i discorsi
con no secco ; piuttosto rispondi con “ non ora ”. Per esempio, il tuo
fidanzato vuole fissare la data del vostro matrimonio. Chiunque sia
insicuro, per qualsiasi motivo, potrebbe rispondere:
- Mi piacerebbe sposarci al più presto possibile, ma quest’anno
non è il momento giusto. Possiamo pianificarlo in tre mesi?
Usalo con parsimonia. Rimandare qualcuno all’infinito può diventare
un mai nel futuro.
- Offri un’alternativa. Anche se la nostra risposta predefinita è no,
succede a volte che vogliamo essere ricontattati da chi offre un prodotto,
un servizio oppure una proposta di qualsiasi tipo. Se ti trovi in una simile
situazione, suggerisci un altro momento o un’opzione diversa.
- Questa volta non posso sostituirti nel turno di questo fine
settimana, ma posso coprirti il lunedì se hai bisogno di un giorno
per recuperare entro la fine del mese.
- Non posso portarti a cinema martedì prossimo, ma metterò in
ordine l’armadio questo fine settimana.
Dire di no è quasi una scienza. Si tratta di influenzare con fiducia e
onestà. Le scuse servono solo a dilatare un penoso no.

Le scuse sono balle

Viviamo in un mondo caotico dove abbiamo sempre da fare. Ma non


abbiamo davvero un’ora o due da dedicare alle persone importanti della
nostra vita? Essere occupati è diventato uno status quo. Però di tempo ne
abbiamo troppo da sprecare.
Rispondere ai messaggi online o a un testo non richiede più di trenta
secondi del tuo tempo. Perciò non è che siamo sempre occupati.
Semplicemente le persone danno priorità ad altre cose nella loro vita.
Specialmente a internet. Nessuno è talmente impegnato da non poter
chiacchierare con i suoi amici o partecipare a una festa, senza il telefono
in mano. Trovano solo scuse come scelta di vita. Se vuoi sapere di loro,
dovrai andare sui social network. Io di sicuro non lo farò, perché il mio
telefono funziona ancora. E se a qualcuno interessa sapere di me, eccomi
qui.
Le scuse sono bugie che raccontiamo a noi stessi nella convinzione di
essere credibili. E per la netta incapacità mentale di dire “ no ”. La gente
si aspetta sempre delle scuse, perché è abituate a darle. E se c’è una cosa
che ti mette l’etichetta di sfavorito sopra la fronte è quel vizio di dare
scuse a tutto. Mentre non c’è spazio per le scuse nella mente di una
persona di successo. Ad esempio, le persone che arrivano in ritardo,
forniscono giustificazioni che paiono piuttosto film di fantascienza.
Potrebbero anche essere vere. Ma se hai un costante comportamento
sbagliato, pur se le scuse fossero fatti, non verresti comunque creduto.
Capire il motivo di fondo di questi pretesti può significare toccare
corde molto intime, che potrebbero metterci addirittura a disagio. Ma, alla
fine, ci aiuterà a essere amici, partner, parenti, insomma persone migliori.
Forse stai attraversando un periodo di stress che ti impedisce di essere
emotivamente disponibile a prendere un impegno duraturo. Capita spesso
che tu non abbia voglia di vedere quel particolare amico perché l’amicizia
è cambiata. E su questo ho da dire che le amicizie si sono trasformate
talmente tanto che alcune persone si limitano a mandare gli auguri, spam,
durante le feste. Vogliono dimostrare che hanno compiuto con il dovere
stagionale. Non telefonano mai. E molte persone diventano fantasmi per
la liquidità con la quale si socializza di questi tempi. Meglio che
spariscono comunque, ma tu non dimenticare come se ne sono andati
quando torneranno.
Una cosa è certa. La scusa di essere impegnati tutto il tempo è
diventata una litania per dimostrare importanza sociale. Invece, rinunciare
alla scusa dei troppi impegni non significa dire di sì a tutto. Significa che,
quando si dice no, si ha la responsabilità di far capire perché si sta
dicendo no. È un punto di partenza per valutare il valore di dire sì. Ed è
un ottimo inizio per valutare se si tratta di un no giustificato, se risponde a
una priorità che ci siamo dati o se, invece, non è una situazione che
implica dover uscire dal guscio. È così che si smette di essere troppo
occupati e si comincia a essere umani e sinceri.

Diventa un diavoletto carismatico


Fin da quando eravamo bambini, abbiamo sentito una serie di frasi che
hanno creato questo paradigma personale delle nostre idee, opinioni e
anche ragioni per cui ci comportiamo in quel modo. Ma il vantaggio di
possedere influenza è che piacerai alla gente, senza che loro capiscano il
perché. Per questo motivo, alcune frasi dovrebbero essere eliminate dalla
nostra narrazione orale e scritta, soprattutto nella messaggistica
elettronica, per rendere il nostro carisma unico e speciale. Le persone
intelligenti, mature e affidabili parlano con attenzione. Si assicurano che
le loro parole siano appropriate al momento e scelgono di parlare con
trasparenza. È un buon modo per ispirare gli altri a credere in loro. Queste
sono le frasi che le persone gentili non usano...

a) Al lavoro...

1. L’abbiamo sempre fatto così. Questa frase è pronunciata da


persone che hanno una mentalità giurassica. Che scusa odiosa per
giustificare la resistenza al cambiamento. È persistere nella stupidità! I
metodi e i processi si rinnovano costantemente in una modernità convulsa
della tecnologia. È inutile resistere al cambiamento positivo.
2. Senza offesa, ma... Aiuto! Quando sento questa frase durante i miei
seminari tra colleghi della stessa azienda, rabbrividisco. Chiunque usi
questa frase sta per infuocare una discussione. Una premessa del genere è
percepita come una minaccia. E certamente ci si prepara, inconsciamente,
a difendersi. Le persone che usano il superpotere dell’influenza non
mettono gli altri sulla difensiva prima che abbiano espresso la loro
opinione. Piuttosto, li sorprendono presentandosi in modo acritico.
3. Scusate se vi disturbo, ma... Non ne posso più con questo vizio di
scusarsi continuamente! Non è l’abitudine di una persona matura ed
emotivamente intelligente. La falsa modestia è odiosa e improduttiva.
Invece di scusarti, la prossima volta usa queste frasi:
- Buongiorno, posso chiedere il tuo aiuto?
- Grazie per aver trovato il tempo per ascoltare. Ho bisogno* di
sapere …
- Le sono molto grato per la sua pazienza. Mi dica* come posso...
* Coaching tip : è preferibile non utilizzare verbi in modo
condizionale, perché non sono vettori di soluzioni. Nel mio
metodo SQUAT utilizzo le affermazioni per implementare i
cambiamenti o realizzare gli obiettivi ed esse vanno fatte sempre
in tempo presente modo indicativo.

Queste frasi ti aiuteranno ad avere un atteggiamento più sicuro,


empatico e rispettoso.
4. Non è colpa mia. Anche se hai avuto solo una piccola parte in un
errore, riconoscilo. Anche se non hai niente a che fare con lo sbaglio,
incolpare gli altri non è utile. Le persone intelligenti non perdono tempo a
puntare il dito. Invece, vanno avanti velocemente per poter correggere
l’errore.
5. Sono pieno di lavoro. Cosa significa questo? Che io non sto
facendo niente? Le persone altamente produttive (e di successo) non lo
dicono mai, perché non hanno bisogno di sembrare importanti.
Preferiscono essere utili.
6. Perché devo farlo io, se nessun altro lo fa? Perché non sei un
invertebrato con un cellulare in mano (nda). Ecco perché le persone di
successo vanno lontano. Perché sanno che, dando il buon esempio agli
altri, diventano leader e creatori di tendenze e accumulano follower in
modo naturale e spontaneo.
7. Non me ne frega nulla. È molto raro che qualcuno non si preoccupi
veramente di qualcosa. Di solito è un’affermazione che viene detta
emotivamente. Ciò significa che la maggior parte delle persone le quali la
usano ci tengono, almeno in una certa misura. Quindi, usare questa frase
in tali circostanze è estremamente controproducente, di certo una persona
con un carattere forte non lo farà mai!

b) Agli amici...

1. Ci proverò. Per favore. Le persone empatiche ossia quelle che


capiscono il bisogno degli altri, non hanno paura di impegnarsi in un
compito; e questo ispira gli altri a credere di più in loro. Ma, per favore,
non fare promesse che non puoi mantenere. Torna indietro e impara a
memoria come dire di no, senza offendere né fare il vigliacco.
2. Te l’avevo detto ! Questa è una frase usata generalmente da persone
che non hanno niente da darti. Invece di cercare di far bella figura durante
una discussione sentendosi superiori, le persone utili trovano soluzioni ai
problemi. Una volta ho sentito una persona rispondere: “ Potresti averlo
detto. Ma non hai avuto il potere di convincere nessuno ”. Oich!
Aggressivo ma assertivo.
3. Non è giusto! Questa è una frase davvero insulsa. Lamentarsi delle
ingiustizie ti fa vedere immaturo. È vero che stai esercitando i tuoi
superpoteri analogici, ma nella vita reale non tutto è come vogliamo che
sia. Dire che qualcosa è ingiusto significa ammettere che si è incapaci di
proporre soluzioni e che si vuole chiudere la questione senza
preoccuparsene. No. Le ingiustizie sono altre.
4. Lascia perdere (con la variante lascia stare ) Con questa frase
molte persone vogliono mostrare che bisogna restare calmi. Però quello
che questa frase denota, in realtà, è l’incapacità di migliorare le cose e di
un’aridità mentale. Le persone presenti nella vita reale agiranno per
cambiare, se qualcosa non va bene.
6. Non so cosa dirti. Che squallida risposta. Se non avessi un’opinione
su qualcosa non significa che devi rimanere inerte. Le persone empatiche
s’impegnano (almeno un po’) per contribuire a una discussione. Ecco
alcuni esempi di cose che puoi dire invece di scansarti, restando almeno
interessato:
- - Raccontami di più per trovare insieme una soluzione.
- Non ho un'opinione sul tema ma probabilmente dovremmo
considerare questi fattori…

c) E quando le relazioni romantiche tra amici sono finite....

1. “Non ti meritava”. Con un’affermazione del genere non consolerai


un amico. Gli dirai, praticamente, che ha scelto male, quindi è colpa sua
se il suo rapporto è finito. È una classica espressione che si usa perché
non si sa cosa dire. E queste parole implicano pure che l’altra persona ha
sbagliato a mettersi assieme al tuo amico (Due scemi una capanna?).
Dicendo “ è stata una buona lezione ” risulta una consolazione migliore.
2. “Eri comunque troppo buono per il tuo ex”. Se qualcuno sente
una frase del genere, si sentirà più scemo che mai. Questa espressione
sottolinea, in primo luogo, che ha fatto una scelta sbagliata. E che è stato
preso in giro. Sarebbe meglio dire invece: “ Peggio per lei! ” oppure “ Lui
non sa che cosa si perde! ” Questo fornisce un supporto entusiasta, senza
alcuna critica implicita.

d) I complimenti poco sinceri

1. “Stai molto bene per la tua età”. Usare “ per la tua… ” è un


complimento malefico e privo di tatto. Nessuno vuole farsi vedere
bene per dimostrare che non ha un piede nella fossa. Le persone
vogliono semplicemente stare bene e che tu le veda bene. Invece, sarai
un influencer naturale dicendo: “ Stai benissimo ” . I complimenti
genuini non hanno bisogno di qualificativi inutili.
2. “Quanto sei dimagrito!” Un altro commento con buone intenzioni, in
questo caso di fare un complimento, che crea però l’impressione di
essere una critica. Dire a qualcuno che ha perso molto peso,
suggerisce soprattutto che ne aveva bisogno. Invece la frase: “ Hai un
aspetto fantastico” è una soluzione facile ed elegante. Evita di
paragonare il suo aspetto attuale con quello precedente. Diventerai
adorabile.
3. “Hai l’aria stanca”. La maggior parte delle persone lo chiede perché
sta cercando di essere empatico. Forse. Ma in realtà, a nessuno piace
che lo vedano male, distrutto e affaticato. E se le cause sono
veramente forti e tu non potrai aiutarlo? È preferibile chiedere: “
Come vanno le cose? ” È meglio che supporre, perché se la persona
vuole chiedere aiuto, sarai la persona giusta per darle supporto. Lui o
lei ti vedranno sinceramente preoccupato piuttosto che scortese e
impiccione.
4. “Buona fortuna”. Questa è la peggior frase a effetto che esista. È
meglio tacere e pregare per quella persona. Con questo augurio si
sottintende che l’interlocutore ha bisogno di fortuna, la quale aiuta
solo gli audaci. Se lo sostieni, digli piuttosto: “ Sono certo che hai
tutto nelle tue mani per avere successo ”. Con questa affermazione
l’altra persona sarà consapevole delle capacità necessarie per avere
successo. E questo le darà una grande fiducia.
Un’altra frase che mi piace molto è “ so che hai quello che ci vuole ” .
Ti distinguerai dagli altri che si limitano a dire un meccanico “ in
bocca al lupo ”.
Il Dr. Robert Cialdini ha trascorso una vita a studiare l’influenza e ha
scoperto che la simpatia è una delle chiavi per coltivare l’influenza. Ci
piacciono le persone che sono come noi. Vogliamo stare intorno a persone
che sembrano magnetiche e ci fanno sentire bene. E sono più convincenti
quando non ci dicono quello che non vogliamo sentire. E anche per
questo l’influenza è un superpotere.

Influencer di poche parole

Come iniziare ad applicare questo superpotere? Attraverso le lezioni


più semplici che ci hanno insegnato a casa o a scuola.
1. Sii educato . Questo sembra ovvio, ma non trascurarlo. La cortesia
di salutare e stringere la mano fa sì che la gente voglia stare con te. E
saranno interessati a quello che dici. Entrare nella conversazione con un
grande sorriso, una postura del corpo che traspira energia, un buon
contatto visivo sono puro magnetismo. E nessuno guarderà il telefono di
fronte a te.
2. Usa i complimenti con tatto e astuzia. I complimenti sono il modo
migliore per iniziare una conversazione. Ma sono un’arma a doppio
taglio. Sii sincero quando vuoi dire qualcosa, altrimenti non farlo. Se li
utilizzi, che sia per far sentire bene la persona con sé stessa. Se vuoi fare
un complimento, sii specifico. Per esempio, dire a qualcuno: “ Oggi sei
molto elegante ”. Non è un buon complimento. La persona sentirà che le
altre volte non lo era. Mentre se si dice “ Che belle scarpe ”, è un
complimento conciso, sincero e specifico. E avrai un argomento di cui
parlare nel caso non avessi un repertorio pronto.
3. Se vuoi passare dalle chiacchiere alla vera conversazione, trova
il momento giusto per cambiare argomento. Non farlo bruscamente.
Aspetta pazientemente che l’opportunità si presenti. Come si fa?
Attraverso il potere di fare domande. Sono il lubrificante della
conversazione.
4. Chiudi una conversazione con classe. Quando una conversazione
si interrompe, cogli l’occasione per dire: “ È stato bello parlare con te.
Spero che poterti incontrare nuovamente per continuare con la piacevole
conversazione ” . Funziona alla grande.

E se la nostra influenza ci porta a fare una brutta figura? Accettiamolo


riconoscendo che possiamo sbagliare. Anche quello rafforza la tua
autorevolezza. E dà inizio a una irrefrenabile carriera di influencer…
naturale.
VII – Superpotere #6: ammettere gli errori

Errare è umano. Astenersi dal ridere, umanitario.


Confucio.

Errare è una caratteristica nettamente umana. E se un sistema


informatico sbaglia i calcoli, è stato a causa di un errore umano. Lo dice
Joseph T. Hallinan nel suo libro Il metodo antierrore. Perché guardiamo
senza vedere, osserviamo senza ricordare e ci facciamo convincere da
discorsi privi di fondamento. Quindi la scusa “ è stato un errore di
sistema ” è puramente umana. Tutto ciò che si pensa o si crede su sé
stessi, sulle altre persone e persino sull’universo è chiamato sistema di
credenze. E questo è il principale sistema che fallisce costantemente. Ci
piace avere ragione e sentirtici dalla parte giusta. E quando ci viene
mostrato che non è come pensavamo, lo accettiamo a denti stretti.
Mentre, altre persone non lo accettano nemmeno di fronte alla sentenza di
un giudice. Però, attivando questo superpotere, la vita sarà molto più
semplice.
A nessuno piace avere torto. Ci fa sentire a disagio, frustrati e persino
svampiti. Tuttavia, se è ovviamente importante fare le cose nel modo
giusto, sbagliare non è sempre una brutta cosa. Ammettere di aver
commesso un errore è un superpotere, perché è un’abilità che pochissimi
umani possiedono. C’è chi esagera, attribuendosi errori che non ha
commesso. E l’ha pagata cara. Ci sono anche casi di amici che, per
salvare un matrimonio, si sono assunti la responsabilità
dell’organizzazione di una serata goliardica. E qualche collega si è
sacrificato ammettendo uno sbaglio non commesso da lui, pur di non far
perdere il lavoro a un collega e amico.
Ammettere gli errori è giocare in anticipo. Quando accetti di aver
sbagliato è più difficile attaccarti. Più di uno resterà senza parole.
Ovviamente, le persone con comportamenti tossici ed egoisti ci diranno: “
Ah, ma che non succeda più! ” Lo dicono a sé stessi per paura di
commettere loro l’errore.
A volte, possiamo ricordare una discussione durante la quale ci è stato
difficile non perdere la calma. Le emozioni hanno avuto la meglio e ci
hanno impedito di difendere certi argomenti in un modo più costruttivo ed
efficace. In seguito, ci sembra che la situazione ci sia sfuggita di mano.
Abbiamo perso il controllo e questo è tutto. Ma saper discutere, se si
deve, non è un compito semplice o una pratica per la quale siamo nati
allenati. Tuttavia, ci sono momenti sia a livello personale sia a livello
professionale, in cui l’unica via d’uscita praticabile è quella di avere
confronti impegnativi, pieni di rimproveri e piccole tensioni. Sapevamo
che era importante mantenere la pazienza, evitare alcune distrazioni in
modo che le idee potessero fluire chiaramente. Ma non è sempre
possibile, soprattutto quando pensiamo di avere ragione.
Voglio raccontarvi un’altra storia che è successa ad Adriana, una
collega Sales Coach.
Adriana ha incontrato un imprenditore che stava creando una start up.
L’idea era di produrre macchine per far pagare i clienti direttamente senza
toccare i soldi. E non era il periodo della pandemia, ma tre anni prima.
Abelardo, il nuovo imprenditore, racconta ad Adriana la sua idea e lei,
che è una specialista di Sales Coaching, gli dà qualche consiglio.
Abelardo è rimasto colpito dalla rete di conoscenze di Adriana e l’ha
invitata a fare società con lui.
Adriana aveva già avuto esperienze con altri partner quindi era molto
riluttante a entrare di nuovo in una società. Tuttavia, l’idea le sembrava
buona. Però era più interessata a essere una collaboratrice esterna, in
quanto aveva forti connessioni a livello di business. La sua attività di
formazione stava andando bene perciò impegnarsi in un’altra attività era
una possibile distrazione.
Mi ha contattato per condividere alcune delle perplessità.
«Che cosa ti impedisce di collaborare con Abelardo?»
«Lui mi sembra una persona molto emotiva. Ha anche fatto un gesto
che non mi è piaciuto. Ho preparato un’offerta e lui l’ha inviata a nome di
sua moglie.»
«Vuoi dirmi che ha sbagliato digitando il nome della moglie? È
innamorato! È stato un lapsus…»
«No coach. Ho aperto una trattativa di vendita con un cliente e ho
chiesto ad Abelardo di scrivere l’offerta. Lui l’ha firmata a nome della
moglie che non sa chi è il cliente, né tantomeno che ci siamo detti; perciò
se dovesse chiamarla, lo manderà in confusione.»
«Sicuramente c’era una ragione valida per cui l’ha fatto…»
«Sì. Mi ha detto che sua moglie non sa usare il computer.»
«…» (che potevo dire? Sono rimasta senza parole!)
«Mi ha chiesto, inoltre, di accelerare la costituzione della società
perché loro due (Abelardo ed Eloisa) vogliono chiedere un finanziamento
a nome della società che abbiamo formato io e Abelardo.»
Campanello d’allarme. Ma dobbiamo restare centrati sugli affari e non
sugli assunti di famiglia.
«Mah, nonostante il dubbio, penso che accetterò» ha detto Adriana
quasi rassegnata.
Dopo qualche settimana, mi ha chiamato molto agitata.
«Angela, oggi è stato uno dei giorni più strani della mia vita.»
«Cosa c’è?» ho chiesto preoccupata.
«Ho saputo dal commercialista, per puro caso, che hanno rifiutato il
finanziamento per le nostre macchine.»
«E Abelardo lo sa già?»
«Sì, da due settimane. E non me l’aveva detto.»
«Forse stava assimilando il fatto e pensando alle soluzioni.»
«No, coach. Di solito mi bombardava di chiamate, e-mail e messaggi.
Sono andata al coworking e l’ho affrontato.»
«E cos’è successo?»
«Gli ho detto che avevo bisogno di sapere cosa sarebbe successo con il
credito, perché ho un mutuo in piedi. Ovviamente volevo sapere se anche
io mi sarei indebitata.»
«Qual è stata la risposta del tuo socio?»
«Mi ha gridato davanti agli altri colleghi che non avrebbe pagato la
mia casa! E che io ero un’esperta nell’insegnare a vendere, ma che ero
inutile per la sua idea.»
«Ma se ha insistito fino all’esaurimento perché faceste una società!»
«Lo so. Mi ha appena restituito l’assegno per il capitale sociale.»
Che situazione. Non capisco. Ho bisogno di un chiarimento.»
«Adri, sei nel bel mezzo di una tempesta emotiva. È impossibile che
Abelardo non abbia depositato quell’assegno, perché avete già costituito
una società presso la Camera di Commercio. E, soprattutto, un assegno
circolare è come avere dei contanti nel portafoglio. Basta una piccola
mancanza di attenzione e lo si perde. Forse è un altro assegno. Applica il
tuo superpotere dell’attenzione e controlla ciò che c’è scritto
sull’assegno.»
«Ma… Angela, neppure tu mi credi? Ho chiamato un amico avvocato
e mi ha detto che è impossibile che qualcuno sia così spavaldo da non
averlo depositato. Ho chiamato la banca per chiedere la causale del
versamento e neppure loro sanno che cosa scrivere. E ora non mi credi
neppure tu?»
«Mi manca un’informazione, perché te l’ha restituito?»
«È venuto alla mia scrivania, l’ha buttato sul mio computer e mi ha
detto che non aveva bisogno dei miei soldi.»
«Oh, allora corri a depositarli in banca!»
«Se avessi aspettato il tuo consenso, l’avrei già perso!»
In questo caso si può capire perché le reazioni emotive non controllate
sono la prima causa di errore. In questo caso, vediamo come Abelardo ha
avuto una reazione emotiva negativa di fronte al rifiuto della sua idea da
parte dell’ente finanziatore. Il motivo di quest’ultimo? Perché c’erano
sicuramente informazioni che non corrispondevano ai parametri richiesti.
Non ha avuto il coraggio di dirlo alla sua socia, per pura vergogna.
Evitare di affrontare le situazioni è una paura generata da una mancanza
di autocontrollo. Quando Abelardo grida ad Adriana davanti ad altre
persone, mostra la sua debolezza e il suo sentimento di inferiorità.
Mentre, invece, se avesse riconosciuto l’errore, avrebbe evitato
comportamenti indesiderati. E, soprattutto, non avrebbe fatto la figura
dello scemo che tanto temeva.

Ammettere gli errori sta alla crescita di sé, come


l’intelligenza sta ai risultati.

Perché ammettere gli errori è un superpotere ?

Tutti abbiamo paura di sbagliare. Quello che non ci è stato insegnato è


che, così facendo, diventiamo più forti! Impariamo, siamo creativi e
acquisiamo valori umani che salveranno l’umanità come l’onestà,
l’integrità e perfino la ricerca scientifica. Qualsiasi persona di successo
può dirvi che senza gli errori che ha commesso lungo la strada, non
sarebbe arrivata dove si trova oggi. Ecco alcune ragioni per cui ammettere
gli errori è un superpotere analogico.
1. Gli errori ci aiutano a imparare. Qui entra di nuovo in gioco il
nostro superpotere #1, perché l’attenzione selettiva ci aiuta a scegliere che
cosa funziona e che cosa no, dopo aver commesso un errore. Gli errori
sono opportunità per ottenere preziose intuizioni e imparare lezioni di
vita, professionali ed emotive.
2. Gli errori stimolano la nostra creatività. Intendo la creatività nel
trovare soluzioni e non scuse per negare l’errore commesso. Se
commettiamo uno sbaglio, la nostra inventiva deve essere brillante per
stimolare le nostre idee, trovare soluzioni e sentire il gusto del trionfo con
il problema risolto.
3. Gli errori ci rendono resilienti. Attraverso gli errori possiamo
capire che le avversità sono necessarie per superare le sfide della vita.
Otteniamo anche la flessibilità mentale per andare avanti, senza rimpianti
e con un nuovo obiettivo riformulato.
4. Riconoscere gli errori è un’arma infallibile. Il comportamento
tossico di molte persone consiste nel controllare quello che stai facendo,
se lo stai facendo male, e farti capire che hai fatto un errore. E non si
aspettano altro che tu lo neghi. Quando ammetti di aver commesso una
leggerezza o di aver tralasciato un dettaglio, disarmi chiunque voglia
infastidirti. Ma tieni presente che questo superpotere diventa un’arma
letale. Quando viene ammesso onestamente l’errore e viene presentata
subito la soluzione. Touché.

“ Esperienza è il nome che ciascuno dà ai propri errori. ”


Oscar Wilde

Fortunatamente non tutti gli errori sono irreversibili. Se siamo in


modalità mente errante , gli errori sono probabilmente dovuti al fatto che
la nostra mente ci sta dicendo che alcune cose devono essere risolte.
Forse è stato il caso del dottor Alexander Fleming, quando ha lasciato una
coltura batterica nel seminterrato di un laboratorio. Però quando tornò
dopo un mese di vacanze, notò che aveva dimenticato una capsula di Petri
contenente batteri vicino a una finestra aperta. Inizialmente pensò che il
suo esperimento fosse stato rovinato, perché i campioni erano stati
contaminati da una specie di muffa che era arrivata con il vento. Invece di
scartare il suo esperimento apparentemente rovinato, Fleming mise la sua
capsula di Petri sotto il microscopio. Rimase stupito quando notò che non
solo la muffa aveva contaminato il contenuto del piatto, ma intorno c’era
una zona pulita dove la muffa aveva ucciso i batteri. Dopo aver
identificato la muffa come fungo Penicillium, Fleming fu ottimista per i
chiari risultati: la muffa, cresciuta da una coltura alterata, uccideva il
batterio mortale Staphylococcus. Era il 28 settembre 1928. Grazie a
quell’errore è stato scoperto questo antibiotico che ha salvato milioni di
vite: la penicillina. E ha anche permesso ad Alexander Fleming di vincere
il premio Nobel per la medicina nel 1945.

Perché si commettono errori?


Secondo Massimo Piattelli Palmarini nel suo libro L’illusione del
Sapere, Che cosa si nasconde dietro i nostri errori, (Mondadori, Milano
1993), ha rivelato che commettiamo errori per distrazione, disattenzione,
mancanza d’interesse, mancanza di preparazione, genuina stupidità,
timidezza, squilibrio emotivo, pregiudizi ideologici e razziali, pigrizia,
eccesso di fiducia, cecità intenzionale, millanteria, sciovinismo e istinti
aggressivi prevaricatori. È come se i nostri errori fossero una
dimostrazione di tutto ciò che ci manca socialmente, intellettualmente e
moralmente! Per fortuna non facciamo tutti gli stessi errori, né tutti gli
errori sono dello stesso tipo.
Sigmund Freud definì l’errore come una “ compulsione alla ripetizione
”. [18]
Questo concetto può essere definito clinicamente come un modello
di comportamento ripetitivo, per il quale la persona non è pienamente
consapevole che ciò causa un certo grado di difficoltà nella vita
quotidiana. Diciamo che queste persone vivono perennemente in una
modalità mente errante, ma senza fermarsi. Ed è per questa ragione che le
persone hanno la compulsione a ripetere più e più volte comportamenti
autodistruttivi: dipendenze, relazioni sbagliate, persone tossiche, [19] il
voler piacere agli altri a tutti i costi, sopportare i fastidi sul lavoro e
infastidire quelli con cui non riescono ad andare d’accordo. A volte,
vediamo che sbagliamo sempre sugli stessi aspetti. Ma non abbiamo il
coraggio di tagliare questa fonte di insoddisfazione. Ci sono anche
persone che credono di avere il potere di cambiare gli altri. O che
preferiscono lasciare le cose come stanno.
Siamo il risultato della nostra cultura. E la società disprezza gli errori.
Ma dipende anche da chi li commette. Ecco perché, quando si sbaglia, la
gente reagisce come se non fosse successo nulla. Questo è seguito da un
rifiuto della responsabilità, fino all’ostinarsi negando tutto. Allora ci
mettiamo sulla difensiva, minimizziamo, troviamo una scusa. Ma c’è un
colpo da maestro che mette in scacco il sistema: dare la colpa a qualcun
altro. Una tattica giusta ma non infallibile perché del matto potrebbero
darlo a noi. Nessuno ci batte nel riconoscere gli errori degli altri. Se la
spada di Damocle pesasse venti chili, la terremmo tesa per ore. E se
dovessimo tenerla con una sola mano sopra la testa della persona che ci
ha messo il bastone tra le ruote, la capacità di resistenza potrebbe essere
epica.
Quando la responsabilità dell’errore rimbalza, lo accettiamo con un “
Ah, sì, forse ho sbagliato… ” E scatta subito quel meccanismo mentale
alquanto malefico di inventare le scuse e le false incriminazioni: “ Se lui o
lei non l’avesse fatto... non avesse detto… non avesse pensato che… ” E
da lì inizia una narrazione che farebbe sì che anche il tal dei tali
coinvolto, senza alcuna colpa, arrivi ad attribuirsi una colpa che non è mai
stata sua. Un simile pensiero è nemico di questo superpotere. E lo
vedremo nel capitolo I nemici dei tuoi superpoteri . Far notare gli errori
degli altri in modo veemente per attaccarli è insano. Fai molta attenzione.
Quando una persona commette un errore, deve essere trattata come tu
vorresti essere trattato.
Non voglio esaminare tutti i tipi di errore. Ce ne sono tanti e ci
interessano quelli che creano problemi per disattenzione, autoinganno o
fretta. Di solito, sprechiamo le nostre energie inventando scuse per
giustificare l’accaduto e salvare le natiche. Concentriamoci, piuttosto, sul
kit di emergenza per quando si commettono gli errori.

Cosa fare in caso di errore?

Tutti facciamo errori involontari, o sbagliamo per distrazione o per un


eccesso di fiducia in noi stessi. Alcuni ci fanno trasportare, a volte, colpe
che sembrano zavorre. Siamo umani. C’è chi ha avuto un partner
sbagliato, un lavoro che non voleva accettare ma ha dovuto farlo per puro
bisogno, e ha detto sì quando avrebbe dovuto dire di no. Errare è umano,
quindi ecco alcuni suggerimenti su come prendere possesso di questo
superpotere.
- Non perdere la calma. Gli errori sono inevitabili, pertanto respira
profondamente. Non lasciare che le emozioni si mettano in mezzo. I
problemi sorgono più spesso nella nostra mente che nella realtà. Invece di
soffermarti sull’errore che hai commesso, concentrati su ciò che puoi fare
per correggerlo. Comincerai a sentirti meglio e avrai il controllo della
situazione.
- Riconoscere qual è il problema. Pensa alla causa dell’errore solo
per trovare la soluzione. Non perderti nel pensiero dell’eventuale
catastrofe che arriverà. Se è stata una disattenzione, se è stato un tasto
sbagliato, se è saltata la corrente, insomma, tutte le variabili che si
possono risolvere. Gli imprevisti sono dietro la porta, ma se sei sempre in
ritardo, il vero errore è che non rispetti il tempo delle persone che ti
stanno aspettando.
- Ammettilo onestamente. Se utilizzi questo superpotere, fallo in
piena consapevolezza. Soprattutto se vuoi farlo in pubblico. L’onestà è un
valore morale fondamentale per costruire relazioni interpersonali basate
sulla fiducia, la sincerità e il rispetto reciproco. Quindi, quando sei
disposto ad ammettere di aver commesso un errore, accettalo con il cuore
e non per fare bella figura o per ottenere un riconoscimento per il gesto.
Altrimenti, non farlo. Le critiche maligne non si faranno aspettare.
Dietro ogni errore c’è una lezione di vita che ci spinge ad andare
avanti, più forti e più sicuri. Se dovesse capitarci di nuovo, abbiamo già la
soluzione. Idealmente, non dovremmo fare lo stesso errore per lo stesso
motivo e per la stessa cosa. Dopo ogni errore, capiamo che se ci
guardiamo indietro è per poter andare avanti con fiducia ed evitare di
riprodurre lo stesso errore.

Affila il tuo superpotere

Ammettere gli errori significa trovare la pace con sé stessi. Se succede,


potrai applicare il tuo superpotere nella seguente maniera:
1. Non giudicarti. Spegni il tuo cip della critica interiore. Quello che è
successo, è passato. Perdona te stesso e gli altri. La vergogna e il
risentimento sono un’ancora che ci impedisce di progredire. Quindi,
invece di soffermarti sul passato, concentrateti su ciò che puoi fare nel
presente e nel futuro. Non devi essere perfetto. Basta imparare da quello
che è successo e continuare a migliorare.
2. Rigenerati. Dopo molti errori madornali ho capito che pochi errori
sono irreversibili. Cerca il lato comico della situazione. Espandi il tuo
pensiero, ispira te stesso a continuare a migliorare. Scoprire che puoi
evitare di ripeterlo ti riempirà di energia e aumenterà il tuo potere
personale. E ti aiuterà a progredire come persona e come leader.
Garantisce, in pratica, che il tuo futuro sarà migliore del tuo passato.
3. Non mollare. Quando le cose non vanno come previsto, hai bisogno
di tempo per recuperare. Alcune delle mie decisioni commerciali non
hanno avuto successo e mi sono costate un sacco di soldi. Ho commesso
degli errori nelle mie relazioni con le persone, a causa della mancanza di
autocontrollo. Ma ho imparato che il tempo di recupero arriva al
momento giusto. Non spendere troppo tempo in autocommiserazione.
Liberati per andare avanti e ricorda che gli errori sono positivi, se non
vuoi commetterli anche in futuro. Questo ti aiuterà a recuperarti
efficacemente, senza crogiolarti nel rimpianto.
4. Chiudi quel capitolo. E non rompere più le scatole con quella
storia.
L’autoinganno ci porta a fare continui errori, a volte
inconsapevolmente. Durante la mia esperienza come life coach, ho
raccolto una lista di errori per cui ho aiutato i miei clienti a risolvere.
Dopo ogni terzo tempo (in questo caso l’ultima fase del mio modello di
coaching ), tutti hanno concordato che la loro vita è cambiata,
quando hanno smesso di fare i seguenti errori. Voglio condividerli con te
e se hai dei suggerimenti, li riceverò molto volentieri.

Se perseverare è diabolico…

Alcuni errori sono difficili da evitare. Mentre altri, nonostante


sappiamo che c’è il bisogno indispensabile di eliminarli, diventano cattive
abitudini che ci portano a sbagliare ancora e ancora. Questo crea
infelicità, amarezza e un costante focolaio di lamentele che diventano, a
lungo andare, una causa di rifiuto sociale. Nessuno vuole stare con uno
che continua a lagnarsi del lavoro, della propria povertà, del
comportamento sbagliato dei parenti oppure del proprio compagno. Un
altro errore che commettiamo e trascurare la nostra salute e voler aiutare
costantemente gente che non ne ha bisogno. Le crocerossine si cacciano
da sole nei guai. Però, quali sono gli errori che ci fanno vedere
sfocatamente?
1. Rimanere in un lavoro in cui si è infelici. Fare un lavoro per puro
bisogno è una probabilità nei tempi di forti congiunture economiche.
Però, non agire per raggiungere obiettivi utili è il rimpianto più grande e
più comune di molte persone che non sono felici. A volte diventa
procrastinazione. È sapere di dover fare qualcosa ma non decidere di
cambiare. Tuttavia il cambiamento è inevitabile, perciò è più efficace
prepararsi, essere pronti, pianificare il cambiamento (e di conseguenza il
futuro) per ottenere un risultato con i contorni della soddisfazione.
2. Accogliere di nuovo le persone tossiche che abbiamo allontanato
dalla nostra vita. Ripeto: le persone tossiche non sono soltanto quelle
che usano sostanze stupefacenti. Una persona tossica è chiunque, con il
suo comportamento, porti negatività e turbamento nella tua vita. Non c’è
niente di più limitante che stare con le persone sbagliate. Ti trascinano
giù, limitano la tua crescita, distraggono la tua attenzione e alimentano
emozioni negative. E sai una cosa? Non puoi cambiarle. Quindi, togliti
quella stronzata dalla testa. Ci vuole coraggio per staccarsi. Rinuncia
consapevolmente a chi non ti fa stare bene.
3. Trascurare la salute. Mente sana in corpo sano. Da quanto tempo
non fai un check-up per vedere come sta il tuo corpo? Com’è la tua dieta?
Che attività fisica fai, oltre a muovere le dita sulla tastiera o sul telefono?
Non resteremo giovani e vigorosi per sempre, dunque se non
implementiamo una disciplina nella cura del nostro corpo, molti errori
saranno irreversibili.
4. Offrire aiuto a qualcuno che non l’ha chiesto. La generosità è una
delle mie cause principale di guai. Ma voglio raccontarti una cosa che mi
ha fatto un amico. Lui mi disse che aveva un carico di bigiotteria fermo in
dogana, ma che non aveva i soldi per sdoganarlo. Maledetto il momento
in cui ho aperto la bocca per dirgli: te li presto io . Non sono una donna
ricca ma, essendo anche un’imprenditrice, so cosa significa essere a corto
di denaro per completare un progetto. Beh, non ho più visto i soldi. Né
l’amico. Ha inventato ogni sorta di scuse per non restituirmi il mio
denaro. Morale della favola? Mi sono fatta truffare. Per questo ho
imparato che, se non mi chiedono aiuto, è perché non ne hanno bisogno.
Chi può sapere cosa è meglio per te stesso? Solo tu. Non lasciare che i
tuoi errori o fallimenti ti definiscano. Cammina a testa alta e non
aspettarti che gli altri capiscano il tuo perché. Coprire le nostre
imperfezioni per dimostrare qualcosa agli altri è un altro crasso errore.
Tutte le nostre imperfezioni e vulnerabilità sono completamente normali.
Non dovremmo mai concentrarci su ciò che gli altri presumono che
siamo. Invece, dovremmo concentrarci su di noi stessi e accettarci
consapevolmente.

E se sono stati gli altri a sbagliare?

Ho detto precedentemente che ammettere gli errori è un superpotere,


perché è una capacità che genera autocrescita. Però, quando sono le
persone attorno a noi a sbagliare, dobbiamo applicare ugualmente il
nostro superpotere con empatia e pazienza. E non con un martello in
mano. Come dovremmo reagire quando un partner, un amico, un figlio
oppure un dipendente non si comporta bene o sta sbagliando?
In qualsiasi ambito la soluzione migliore è il dialogo. Nonostante
l’entità dell’errore non dia tempo per ragionevoli reazioni (né tantomeno
per spiegazioni) c’è sempre bisogno di capire che cos’è successo e qual è
veramente il problema . La tendenza naturale che abbiamo è di vedere le
cose più gravi di quanto lo siano in realtà. È una distorsione cognitiva che
ci porta a creare una catastrofe dove non esiste. L’approccio tradizionale è
quello di rimproverare la persona in qualche modo e di trovare pure una
punizione. Così facendo, perdiamo il focus sulla soluzione quando è,
invece, questa la priorità. Tuttavia alcuni scelgono un atteggiamento
diverso di fronte a uno sbaglio commesso da un’altra persona.
Rispondono con compassione e curiosità, perché si preoccupano di come
gli errori altrui possano creare ulteriori danni, pertanto, attraverso il
dialogo, cercano le soluzioni per far in modo che ciò non si ripeta.
L’aspetto più importante è interpellare nuovamente il nostro
superpotere #5, l’influenza. Capire i perché degli errori oppure il fatto di
farli notare richiede tatto quanto le parole giuste. Ecco due modi con i
quali non dovresti mai giudicare una persona che ha sbagliato. Pietà!
“ Tu sempre... ” o “ Tu mai... ” Nessuno fa sempre o non fa mai
niente. Le persone non si vedono monodimensionali, allora non si
dovrebbe cercare di definirle come tali. Queste frasi mettono le persone
sulla difensiva e non aprono a uno scambio gradevole d’informazioni.
Attieniti ai fatti e non ai pareri. Se la frequenza del comportamento è un
problema, sarebbe più gentile dire:
- “ Sembra che tu lo faccia spesso. ”
- “ Lo fai abbastanza spesso perché io lo noti. Che cosa vorresti dirmi
in realtà? ”
Con questo tipo di affermazioni le persone si sentiranno più a loro
agio, per affrontare situazioni nelle quali tu potresti avere anche qualche
responsabilità.
“ Beh, almeno io non ho mai ___ ” Questa frase è come mettere il
dito nella piaga. Qui potrebbero esserci due intenzioni comunicative. La
prima servirebbe a distogliere l’attenzione di un tuo errore commesso in
precedenza, sottolineando che l’altra persona lo ha commesso
ugualmente, ma con un’altra variante. “ Almeno io non mi sono ubriacata
con i soldi dell’azienda in fiera. ” Che storia è? Comunque ti sei
ubriacata. Mentre il secondo caso è ancora più subdolo. Si usa per
rinfacciare una situazione dove si è stati colti in fallo, mentre l’altra
persona no. Viene utilizzato in modo manipolatorio da molte mogli di
fedifraghi: “ almeno io non ti ho fatto le corna ” . (Almeno?)
Ammettiamo che potrebbe essere una buona tattica di attacco. Però a che
serve generare una escalation di rimproveri?
Fare una semplice chiacchierata e aprire la mente, oltre alle orecchie,
aumenta la comprensione dei fatti. Perciò ascolta senza reagire
immediatamente. Ricorda sempre che è meglio affrontare la situazione al
più presto e parlare degli aspetti che non consideri giusti nel
comportamento delle persone amate, oppure dei colleghi o dei capi. E non
sentirti in colpa quando lo farai. È per il tuo quieto vivere. Forza!

In breve

Nel suo libro, Being Wrong: Adventures in the Margin of Error ,


l’autrice Kathryn Schulz dice: “ Il nostro impegno a credere di sapere
esattamente cosa sta succedendo e perché, e cosa fare al riguardo, è
rafforzato dal fatto che cerchiamo molto duramente di non pensare a
questa possibilità: ‘E se stessi sbagliando?’ o forse, ancora peggio, ‘E se
ne avessi già fatto uno?’… ” Ebbene, non ripeterlo , perché lascia un
grande vuoto dentro di te. I peggiori errori negli affari (e nella vita) sono
quelli che si commettono più e più volte. Ho una cliente con la quale
abbiamo scoperto che il suo più grande errore nella vita amorosa era
cercare l’uomo ideale sulle chat di incontri. Quando aveva un
appuntamento, finiva per pagare i conti del ristorante, faceva regali
costosi però era sempre sola alle feste di famiglia. Se una cosa non
funziona, va cambiata! Nonostante una ricerca più raffinata, non le fu
possibile trovare il suo principe azzurro. Così ha cambiato strategia. Ora
va nei viaggi di piacere (crociere per single), dove incontra persone vere,
sente gli odori e vede come mangiano a tavola fin dall’inizio. Almeno si
delude in diretta, senza dover pagare il conto a qualcun altro.
Molti degli errori che facciamo sono dovuti all’eccessiva fiducia in noi
stessi. Sottovalutiamo le altre persone, agiamo d’impulso o
semplicemente non pensiamo al passo successivo. E non ci deve far male
aiutare le persone a riconoscere dove sbagliano, sia perché ci fanno male
sia perché potrebbero mettersi nei guai e trascinarci di conseguenza. Però,
se riconosciamo le nostre responsabilità, gli altri si avvicineranno senza
problemi. Riconosceranno che siamo persone affidabili e, soprattutto, una
risorsa imbattibile all’ora di trovare soluzioni!
Non dobbiamo vergognarci degli sbagli che abbiamo commesso.
Fanno parte della nostra esperienza. E, di sicuro, quando si parla
dell’aspetto lavorativo, le sviste, gli sbagli e le trascuranze non
mancheranno mai. Neppure nella vita personale, quando ci
dimentichiamo di spegnere una luce, prendere le chiavi o non bloccare il
telefono.
VIII – Superpotere #7: employability

Una delle cose che amo degli italiani è il modo in cui usano l’inglese.
Quando sono arrivata in Italia, vedevo cartelli con la scritta sexy shop .
Pensavo che fosse una catena di attività o un marchio. Tuttavia mi
sembrava strano che non avevano lo stesso logo, perciò non potevano
essere un marchio o un franchising. Ho scoperto negli anni che il sexy
shop è come gli italiani chiamano i negozi di vendita di oggetti erotici. E
come in ogni lingua, alcune espressioni italianizzate si trasformano per
deformazione linguistica. Ad esempio, si usa la parola stage invece di
Internship. La parola stage viene utilizzata per parlare di un tirocinio;
però, in inglese stage è uno scenario; per cui “ I made a stage ” suona “
ho fatto la comparsa ”. Dunque, come tradurre employability ? Per ora
diciamo che significa essere occupabili . E sarà l’unico superpotere con
un nome in inglese.
Prima di fare un’altra carrellata storica sull’evoluzione del lavoro,
definiamo le parole chiave di questo superpotere: lavoro, impiego e
occupazione. Per lavoro si intente l’insieme delle attività che sono svolte
al fine di ottenere un risultato, risolvere un problema o produrre beni e
servizi per soddisfare i bisogni umani. L’impiego , invece, si riferisce
all’attività realizzata con una finalità ben definita da qualcuno all’interno
di un’organizzazione produttiva. E l’ultimo e non meno importante è
l’occupazione : si tratta di uno scambio di prestazioni lavorative per le
quali le persone ricevono una retribuzione, ossia una somma di denaro
calcolata soprattutto in base alle ore lavorate e all’attività svolta.
Employability , tradotta in italiano come occupabilità , rappresenta il
bagaglio di abilità, attitudini, opportunità e talenti che si possiedono per
crearsi opportunità di lavoro. Può essere all’interno o all’esterno
all’organizzazione. E ciò significa avere il potere personale di essere
occupabile al posto giusto, grazie alle tue soft skills o competenze
trasversali.
“ L’employability è avere un insieme di abilità, conoscenze,
comprensione e attributi personali che rendono una persona più propensa
a scegliere e ottenere occupazioni in cui può essere soddisfatta e avere
successo. ” [20]
È possibile ma, soprattutto, può essere fatto in qualsiasi parte del
mondo.

Per cosa andiamo in ufficio?

Con la pandemia del 2020 è stata lanciata una forte sfida alla forma
mentis di alcune aziende. Mi riferisco al modello mentale di alcune
organizzazioni nelle quali le persone lavorano se sono sotto controllo
(leggasi sotto la vista dei capi ). E l’analogia di questa mentalità sorge
nella forma del presentismo. Con quel termine è definito il
comportamento di chi, spinto dalla insicurezza sul proprio destino
lavorativo, va o resta sul posto di lavoro anche al di là dei propri obblighi.
[21]
È una distorsione cognitiva dell’essere presente per confermare la sua
indispensabilità, puntualità o presenza. Mah.
Con la crisi sanitaria, è arrivato un cambiamento radicale di modus
operandi, ma non di mentalità. Il presentismo durante il 2020 è diventato
virtuale. Le persone hanno lavorato più a lungo che mai messaggiando,
rendendo estenuanti le inutili riunioni virtuali per le quali sarebbe stato
meglio inviare un’email. Naturalmente eravamo circondati da situazioni
bizzarre. I gatti saltavano sulla tastiera mentre parlavi con il cliente; le
persone dimenticavano di spegnere la telecamera ed erano ripresi, in
diretta, nudi o facendo sesso durante le riunioni di lavoro. Parlavi con
persone congelate. Ricordo un corso in cui un anziano insegnante urlava
con rabbia, quando non rispondevano ai suoi quiz. Non capiva che
c’erano problemi di connessione e non sordità degli allievi.
Gli impiegati d’ufficio avevano una paura folle che si pensasse che
non stessero facendo nulla a casa. Molte persone avevano più terrore di
perdere il lavoro che del contagio stesso. Per quel motivo era necessario
dimostrare che si era indispensabili per l’azienda, nonostante si lavorasse
fuori dall’ufficio. Solo che lavorare in casa non è un’invenzione della
modernità. Prima della creazione dell’industria, fabbri, falegnami e
ceramisti producevano nelle loro case e da lì fornivano i concittadini. Ed
esistono ancora mestieri e occupazioni che si svolgono dalla stessa
abitazione.
All’inizio del secolo, con la Rivoluzione Industriale, è arrivata la
necessità di automazione in luoghi precisi: sono nate le fabbriche. La
produzione effettuata da macchine di grandi dimensioni richiedeva
qualcuno che le maneggiasse, per completare la loro funzione. Ma per
quanto le macchine facessero il lavoro più pesante, le persone erano rese
schiave da un numero interminabile di ore di lavoro. Così, dopo tanti
andirivieni, scioperi e rivolte, nel 1919 nacque l’Organizzazione
Internazionale del Lavoro. Tale ente stabilì che le giornate produttive
dovessero essere stabilite garantendo un buon tenore di vita ai lavoratori.
Questo include, come garanzia di benessere, il riposo.
Intorno agli anni ’70 iniziò un nuovo tipo di lavoro chiamato
telelavoro o home office . Nacque così negli Stati Uniti, perché
nell’ottobre 1973 l’ (Organizzazione dei Paesi Esportatori di
Petrolio) sospese l’esportazione di petrolio verso gli , come
rappresaglia per il sostegno di Washington a Israele, durante la guerra
dello Yom Kippur. Erano anni in cui si registrava una grande crescita di
città che coprivano un vasto territorio e con un’urbanizzazione estesa. Per
questo motivo, le persone dipendevano dall’auto come principale mezzo
di trasporto e, quindi, utilizzavano il carburante in modo massiccio. Il
prezzo del carburante aumentò in modalità inflazionistica e nonostante
ciò l’economia non si fermò. Chi poteva, lavorava da casa. A quell’epoca
i telefoni e i fax erano le uniche apparecchiature di telecomunicazione che
la maggior parte delle persone conosceva. Pochissime famiglie avevano
personal computer, molte meno godevano dell’accesso alla prima
internet.

Qual è la novità?
Ma con la crescita di internet, il guru del management Peter Drucker
dichiarò nel 1993 (venti anni dopo la crisi petrolifera americana e
ventisette anni prima di una nuova pandemia) che il pendolarismo in
ufficio era obsoleto: “ Ora è infinitamente più facile, economico e veloce
fare cose che non si potevano nel diciannovesimo secolo: portare le
informazioni dal lavoro a dove si trovano le persone. Gli strumenti per
farlo sono già qui: il telefono, la posta elettronica, il fax, il personal
computer, il modem, ecc. ” E trent’anni dopo, usiamo solo il telefono per
lavorare anche senza tastiera, grazie alla dettatura dei messaggi. Penso
che il telefono sia definitivamente la più grande invenzione nella storia
dell’umanità.
Lo Smart Working nasce, invece, come concetto motivazionale
all’interno delle aziende (Information Technology) della Silicon Valley,
intorno agli anni 2000. I programmatori potevano trovarsi ovunque
all’interno dell’edificio, invece di essere rinchiusi in un cubicolo
dedicandosi esclusivamente alla programmazione. L’obiettivo era
generare un benessere emotivo che si riflettesse nei risultati e, con
l’avvento di internet, molte persone hanno potuto lavorare da casa. Con
questo ampliamento dello spazio lavorativo, ad esempio, molti genitori
hanno risparmiato sui costi di baby sitter o evitato di chiedere permessi; e
per le aziende era conveniente perché il lavoro si basava sui risultati.
Certamente con l’arrivo del Wi-Fi c’è stata un’evoluzione attraverso la
quale è possibile lavorare da qualsiasi ambiente, in qualsiasi parte del
mondo, disponendo degli strumenti necessari e di una motivazione
adeguata. Questa è la linea di fondo.
L’essere umano ha bisogno di appartenere a un gruppo e l’azienda è
l’entità di cui far parte. L’ufficio è, dunque, un luogo di aggregazione
sociale, un’area di socializzazione e di rifugio dopo la casa. Ed è anche
focolaio di distrazioni e dispersioni. Certamente non tutti gli ambienti di
lavoro sono tossici o pieni di stronzi. Se interpretare la funzionalità di una
risorsa umana è una sfida per molti manager, recruiter e imprenditori, con
o senza virus, lo è ancor di più per il lavoratore stesso.
Ecco perché insisto che è importante fare una valutazione per sapere
dove stai andando e se l’azienda ti sta portando dove vuoi. Non avere
paura. La tua vita ti appartiene, quindi, non deve dipendere da quello che
diranno gli altri, se non lavori per qualcun altro. Sei un talento che
possiede una produttività da offrire, non solo all’azienda ma anche alla
società. Che sia dentro o fuori l’azienda non conta. Lascia che ti parli di
alcuni casi che potrebbero darti delle idee.

Perché l’employability è un superpotere

L’occupabilità o employability è un superpotere che possiedono


esclusivamente le persone che sono consapevoli del proprio talento e
delle proprie capacità. Se vuoi chiamarle skills , definiamole subito.
Secondo il dizionario Collins, skill significa, in inglese: A type of work
or activity which requires special training and knowledge . In buona
sostanza si tratta delle abilità, competenze e naturalmente l’esperienza che
ci servono per vivere e lavorare. Con hard skills parliamo di competenze
tecniche o accademiche, ossia quelle che ci insegnano a scuola. Mentre
quelle più dure da acquisire sono le soft skills che in Italia vengono
chiamate competenze trasversali. Anche qui avrei qualcosa da dire sulla
traduzione. Ma preferisco proseguire con il racconto.
Chi rinuncerebbe a centomila dollari l’anno, in piena pandemia,
operando con un contratto a tempo indeterminato per iniziare a lavorare
in proprio nel settore immobiliare e continuare a vendere assicurazioni ma
da outsider? Solo un pazzo. Uhm, non sempre. Lo ha fatto Karime che,
nel bel mezzo di una pandemia, si è svegliata una mattina e ha deciso di
non voler continuare a correre come un criceto dentro una giostra. [22] Si è
dimessa da una delle più potenti compagnie assicurative americane e ha
ottenuto le sue licenze in Real Estate o agente immobiliare. Come mai?
Questo è quello che mi ha detto:
“ La pandemia mi ha insegnato che solo l’autodisciplina è il requisito
personale per lavorare. Se ho potuto lavorare come dipendente da casa,
gestendo il mio tempo e il mio processo di vendita, perché non dovrei
rischiare in questo momento congiuntivo dell’economia in cui tutti hanno
bisogno della casa? Voglio anche essere una consulente a 360 gradi.
Voglio essere autonoma e servire il mio cliente con tutto ciò di cui ha
bisogno. Le grandi aziende si concentrano sui profitti ma non sul
processo di vendita. E, per me, è pura passione aiutare le persone,
metterle in contatto con gli altri per fare affari o risolvere problemi e
questo è il mio modo di creare reti sociali e professionali nel mondo
reale. ”

L’occupabilità sta a un’arma, come un fucile


sta a un soldato.

Wow! È davvero una case history vincente di coaching. Ha attivato le


sue soft skills come empatia, produttività, problem solving e gestione del
tempo. Ed è per questo che l’azienda per cui lavorava le ha fatto un
contratto ad hoc, per non perderla come talento umano. Come puoi
vedere, la decisione di Karime è un esempio di coraggio e audacia. Ed è il
suo modo appassionato di vivere la sua professionalità a rappresentare il
superpotere #7, l’ employability .
Vedo la faccia di alcuni che staranno pensando: mah sai, in America
tutto è facile... Non saltare alle conclusioni! Non credere che in Italia non
sia possibile. Più avanti vedrai perché.
L’ employability è un super potere quando si riflette sui seguenti 3
valori:
1. Il valore delle tue conoscenze. Se sai come cercare in Google non
significa che tu sappia tutto. La conoscenza è uno stato cosciente con cui
processiamo le informazioni, analizziamo le cose e ci adattiamo
all’ambiente. Nel mondo del lavoro, la conoscenza è una fonte di potere
quando sei un esperto nel tuo campo. O almeno fai il tuo lavoro
responsabilmente. Ma attenzione, perché non basta saper fare bene le
cose. Vendere quella conoscenza richiede soprattutto empatia, quella
competenza umana di sapersi mettere nei panni di chi ti sta di fronte. E
conta anche il marketing personale. Bene, questo è il caso di Mara
Powers, una scrittrice americana che per trent’anni ha studiato la storia di
Atlantide. Da lì è nata una serie di libri basati sull’argomento che lei ha
ricreato in modo incredibile. Si è anche concentrata sulla produzione del
suo materiale e i suoi libri sono tra i best seller di Amazon.
2. Il valore del tuo lavoro. È il caso di Lorenzo, ingegnere petrolifero
italiano che ha sviluppato un’innovazione tecnologica nell’estrazione e
nella lavorazione degli idrocarburi. Per questo motivo ha brevettato la sua
ricerca. Mi ha detto che quando è chiamato “ a servire su una piattaforma
” , come chiama con orgoglio il suo lavoro, riceve l’importo del contratto
in anticipo. E mi ha anche detto quanto segue: “ Non sono pagato per fare
un lavoro. I miei compensi sono il riconoscimento economico di
un’innovazione tecnologica che ho scoperto per risparmiare tempo e non
sprecare materiale ” . Entra in gioco una base di potere, quella
dell’esperto. [23]
La chiave è discutere il tuo valore durante il colloquio di lavoro. Non
aver paura di spiegare al tuo prossimo capo perché vuoi il tuo stipendio.
Ma non dirgli cosa vuoi comprare o dove vuoi andare in vacanza.
Raccontagli, piuttosto, della tua esperienza e se non l’hai ancora maturata,
mostra la motivazione che hai per affrontare questa sfida. Parla dei tuoi
obiettivi in modo che si capisca che sei una persona focalizzata sul futuro.
E, certamente, non dimenticare di mostrare ciò che sai fare bene. Se
lavori autonomamente, spiega alla persona che hai di fronte la qualità del
materiale con cui lavori, qual è il processo produttivo e la cura nella
realizzazione e nel confezionamento, la puntualità con cui lo consegni e la
tua disponibilità per ogni evenienza. È un modo per creare un’ancora
mentale nel tuo interlocutore, per creare fiducia. Chi ti ascolta capirà che
dietro un oggetto o un servizio c’è, oltretutto, un problema risolto.
3. Il valore del tuo tempo. Usare bene il tempo per realizzare un
profitto è la chiave per l’occupabilità. Si tratta di organizzare le diverse
attività professionali utilizzando gli orari giusti per ognuna. Vi presento il
caso di Alice. Lei lavora dalle 8:30 alle 12:30, dal lunedì al giovedì, come
assistente virtuale per un venditore indipendente. Adora i cani, quindi
esce dalle 13 alle 14 con Cheesecake, Mojito e Romanov come dog-sitter.
Dalle 15 del pomeriggio alle 19, dal lunedì al venerdì, tiene lezioni di
fisica come recupero scolastico. Alle 20 la puoi trovare a prendere un
aperitivo con gli amici, al cinema o in palestra. C’è un buco il venerdì
mattina! Beh, dorme fino a tardi, perché i suoi allievi arrivano alle 15.
Questi quattro esempi di employability dimostrano che lavorare per
vivere e non vivere per lavorare è possibile. Una professionista che dopo
vent’anni ha rinunciato a uno stipendio fisso per lavorare in proprio
(Karime). Una persona creativa e intraprendente che ha trasformato i suoi
studi in un prodotto letterario (Mara). Un ingegnere attento a creare un
know-how che gli ha dato una sicurezza finanziaria incrollabile, che gli
permette di lavorare quando vuole (Lorenzo). E una giovane laureata in
fisica che ha distribuito il suo tempo per guadagnare soldi in certe ore del
giorno (Alice) hanno deciso di applicare questo superpotere per cambiare
la loro vita.
Inoltre, l’ employability è una grande alternativa economica e
contrattuale per datori di lavoro e impiegati, perché favorisce:
1. i giovani, gli studenti e i neolaureati , perché permette a loro di
garantirsi l’ingresso nel mondo del lavoro;
2. i lavoratori , perché possono assicurarsi un impiego duraturo nel
tempo grazie al suo expertise;
3. e, più di ogni altra cosa, i disoccupati, persone in cassa
integrazione o persone che stanno per perdere il lavoro , perché
l’occupabilità o employability è una possibilità per ricollocarsi.
È una questione di scelte di vita. E se tu vuoi rimanere parte di una
gerarchia organizzativa? Affina la tua employability , perché il posto fisso
non esiste più e la concorrenza di marchi personali come il tuo è
agguerrita quanto attenta alle opportunità. E se le cercherà, senza
guardare in faccia nessuno.
Coaching per affinare la tua employability

Quando inizia ad affinarsi il superpotere dell’occupabilità? Sempre.


Dal momento in cui finisci gli studi a quando senti di aver bisogno di più
tempo per te stesso. Da quando tu avverti di non progredire, nonostante
sia pagato di più. O quando sei semplicemente stanco di fare lo stesso da
sempre… Quando vuoi una crescita economicamente adeguata, in base al
tuo lavoro. E in casi estremi, quando sei vittima di mobbing e intuisci che
stai per essere licenziato. Oops! Calma. Respira. Fai cinque domande alla
tua mano. Puoi controllare questa situazione. Il re non è ancora caduto.
Quindi prendi di nuovo una matita, vediamo come applichi le tue
employability skills. [24]

Employability skills

Le competenze tecniche sono le cose che abbiamo imparato a scuola,


all’università, negli istituti tecnici o artistici, ecc. Mentre il carisma è un
dono che racchiude molte caratteristiche personali che ti accompagnano
con successo, se sai coltivarle, indipendentemente dal tuo ruolo in
azienda, il tuo lavoro o nella sfera privata. Sono le cosiddette soft skills .
Questo tipo di competenze è molto richiesto dai datori di lavoro e da chi
fa ricerche del personale. Le soft skills sono tante e ce ne sono per tutti i
gusti. Attraverso una ricerca condotta con Evolution 2020, abbiamo
scoperto che queste sono le più richieste in qualsiasi ambiente di lavoro, a
prescindere dalla categoria merceologica della missione produttiva. Di
nuovo carta e penna per realizzare un altro allenamento.
Istruzioni: Per favore, leggi attentamente la colonna di destra e scrivi
una X dove puoi confermare di avere questa competenza oppure scrive
una X dove pensi che manchi.

Competenza o soft skill La possiedo Non la possiedo


Atteggiamento positivo
Team work
Voglia d’imparare
Comunicazione
Autogestione
Pensiero critico
Resilienza

Attiva nuovamente il tuo superpotere #2 per realizzare la seconda parte


del test. Nelle colonne seguenti potrai scrivere in che modo hai applicato
queste soft skills e in quale occasione o caso non le hai applicate. Scrivi
liberamente. Questo è un esercizio che potrai utilizzare sempre per fare un
assessment della tua situazione lavorativa.

Abilità o soft skill Esempi di casi in cui ho Esempi di casi in cui non
applicato questa abilità ho attivato questa abilità
Atteggiamento positivo
Sono entusiasta e disposto a lavorare
anche quando il compito è difficile.

Team building
È facile per me andare d’accordo con
tutti, fare la mia parte, supportare i
miei colleghi, rispettare il mio capo.
Ho voglia di imparare
Mi piace imparare cose nuove,
accetto commenti su come migliorare
la mia gestione o il mio carattere.
Comunicazione
Posso ascoltare senza interrompere,
parlo e scrivo chiaramente, chiedo se
non capisco.
Autogestione
Sono puntuale, sono ben preparato,
non creo situazioni conflittuali o
problemi
Pensiero laterale
Penso a come risolvere i problemi,
alle opzioni, chiedo consigli.

Resilienza
Riesco ad andare avanti nei momenti
difficili, so chiedere e accettare aiuto,
accetto critiche.
La retrospettiva che hai appena fatto è un modo sicuro per attivare la
tua employability . Come avrai notato, non sono stati menzionati né gli
studi né l’esperienza lavorativa. Hai riflettuto sull’uso effettivo della tua
occupabilità e non delle tue capacità impiegatizie. Naturalmente, per
completare questo tipo di valutazione, puoi andare sul sito
www.angelavivas.com per fare un test molto più completo delle tue abilità
professionali, basato sulla tua professione. Troverai altre soft skills da
dichiarare nel tuo quaderno di lavoro.
La questione importante dell’ employability è che l’esperienza, la
conoscenza e la produttività devono essere tradotte in un marchio
personale. Per crearlo, è necessario rafforzare le proprie capacità,
migliorare le proprie carenze, avere un’influenza che costruisce la fiducia.
Ecco perché, attraverso il mio metodo di coaching, accompagno le
persone a fare una valutazione di ciò che hanno in mano, per scoprire
quali sono le loro competenze, le loro abilità e le loro capacità. Una volta
stabilita la situazione, ognuno ricostruisce la propria carriera e si mette
automaticamente in modalità d’azione, per chiedere un aumento, per
cercare un’altra occupazione oppure per cambiare il posto di lavoro.
In questo capitolo non ho parlato di imprenditorialità né di start-up.
Per ora mi riferisco solo alle competenze che una persona possiede per
essere assunta e compiere un lavoro, perché è necessario per un’azienda o
per qualsiasi realtà produttiva. Per esempio, un freelancer [25] non è
necessariamente una persona che fa siti web e app. Abbiamo anche una
professione molto richiesta come quella di un assistente virtuale,
soprattutto per chi lavora in modo autonomo. Nell’arco degli anni, sono
riuscita a diversificare la mia professione di coach in modo che posso
dare supporto alle risorse umane a livello di formazione; ho utilizzato le
tecniche di comunicazione per la preparazione di testimoni durante
processi giuridici; mi è successo anche di affiancare dirigenti durante
trattative significative oppure per creare alleanze strategiche. Tutto grazie
a una carriera mantenuta con disciplina e una costante formazione. Ed è
anche divertente, quando i miei clienti mi cercano per fare decluttering,
ossia buttare via tutto quello che non è utile. Non ho assolutamente i modi
gentili di una giapponese molto famosa per quel mestiere, ma l’obiettivo
è sempre ottenuto piacevolmente con più di una risata.
Coaching per un licenziamento

Nonostante la tecnologia abbia generato un’infinità di liberi


professionisti, c’è chi vuole uno stipendio fisso e finire la sua vita con una
pensione dopo più di quarant’anni di duro lavoro. La speranza è l’ultima a
morire, soprattutto quando le persone che ti pagheranno la pensione
stanno facendo video su Tik Tok... Tuttavia, c’è chi vuole rimanere
dipendente ed è plausibile che lo faccia. Infatti, gli operatori qualificati
hanno abilità e qualità che gli fanno amare quello che fanno. Sorge
spontanea un’altra parola chiave: specializzazione , la quale rappresenta la
tua marca professionale. Se hai bisogno di lavorare per una società perché
vuoi una sicurezza finanziaria, hai tutto il diritto di fare questa scelta. È
comodo, quindi vai direttamente alle conclusioni di questo libro. Se,
d’altra parte, vuoi rompere la paura di restare senza lavoro, l’
employability è il superpotere che fa per te.
Quando senti che stai solo aspettando l’arrivo della lettera di
licenziamento, sia perché ti stanno molestando, sia perché ti sei rotto le
scatole di stare in quel posto di lavoro per le ragioni che sono, o perché la
situazione economica sta portando l’azienda al baratro, è il momento di
attivare questo superpotere.
Attiva il superpotere #1: l’attenzione. Osservare, mirare e guardare
da tutte le angolazioni per cercare i segni e ottenere un feedback diretto è
l’inizio. Secondo Kim Scott, autrice di Radical Candor: Be a Kickass
Boss without Losing your Humanity , se non stai facendo bene il tuo
lavoro, devi saperlo. Questo significa chiedere un feedback molto prima
di pensare che ci sia già un problema. Una strategia che suggerisco ai
miei clienti è quella di inviare un rapporto non richiesto (che in inglese
chiamo unsolicited report ), il quale mette il tuo capo in condizione di
farti sapere qualcosa. Serve a te, per comunicare al tuo responsabile
diretto che cosa è stato fatto e cosa stai facendo. E, se hai avuto qualche
inghippo, non citare il collega al quale è dovuta la mancanza. È un report
sui tuoi risultati, non su quelli degli altri.
Focalizzati su ciò che hai realizzato. È generalmente apprezzato
soprattutto perché, se è scritto in modo conciso, ti farà avere un feedback
immediato. Qualora, tuttavia, non ottenessi una risposta, hai illustrato
quello che hai fatto. E ti sarà sempre utile anche per un colloquio di
lavoro successivo. Certamente, se le cose non vanno bene, avrai già più di
un segnale di avvertimento oppure una conferma che qualcosa deve
essere migliorato. Non devi avere paura di metterti in discussione.
Preparati al peggio. Se tutti i segni confermano un licenziamento nel
prossimo futuro, allacciati le scarpe. “ Quando vieni licenziato, è
probabile che ti sia chiesto di andartene immediatamente ”, dice Alison
Green, autrice di Ask a Manager: How to Navigate Clueless Colleagues,
Lunch-Stealing Bosses, and the Rest of Your Life at Work. Allora “
Potresti avere il permesso di tornare alla tua scrivania per prendere
qualche oggetto personale, ma probabilmente rimarrai senza computer” .
Quindi, inizia a pensare in tale momento alle cose che, a causa di
problemi di backup e patti di non divulgazione, dovrai lasciare
all’azienda. Poi concentrati su ciò che vorrai portare con te, quando te ne
andrai: informazioni di contatti utili e amici, statistiche che possono
rinforzare futuri colloqui di lavoro, articoli di stampa in cui hanno scritto
di te e della società, o qualsiasi altra cosa che potrebbe esserti ancora
utile.
Non fare lo spendaccione perché ti arriverà una buona
liquidazione. Assicurati piuttosto di avere un buon fondo d’emergenza
nel tuo conto corrente, perché potresti rimanere alcuni mesi senza il tuo
stipendio regolare. E, a volte, le aziende potrebbero non essere disposte a
pagare entro i termini legali, se hanno problemi finanziari. Questo renderà
le cose molto meno stressanti, quando il grilletto farà click.
Chiedi sempre un consiglio. È conveniente chiedere un parere di
esperto a un avvocato, a un coach di carriera o a un consulente di risorse
umane, sulle procedure di licenziamento. Ti aiuterà a negoziare un
riferimento neutrale e a valutare la possibilità di ricevere una cifra come
una buona uscita, se non ci sono contestazioni che potrebbero minare la
tua credibilità. Questo tipo di questioni logistiche possono essere utili
quando si è al momento fatidico della riunione. Se sei proattivo e chiaro
nella tua mente, sarai preparato a tutto ciò che ti capiterà. Soprattutto per
uscire con una buona referenza, nonostante la rottura con quella
compagnia.
Gioca in anticipo. Non aspettare di essere licenziato per iniziare a
cercare il tuo prossimo lavoro. Se già possiedi segnali molto chiari oppure
delle conferme, invece di guardare i selfie dei tuoi amici su Facebook vai
su LinkedIn. Crea una lista di persone che conosci e di cui ti fidi. Fai
molta attenzione a chi chiedi aiuto. Questo è ciò che dico ai miei clienti
perché, a volte, la disperazione ti fa diventare facile preda di stronzi e
furbacchioni. Queste sono le parole giuste per esprimerlo. Non tutte le
persone sono disposte ad aiutare, ma non aver paura di chiedere aiuto. E
se sei un lavoratore autonomo, potresti trovare un lavoro part-time per
tenerti occupato mentre fai la tua ricerca più dedicata. Inoltre, seguire un
corso che ti insegna nuove abilità è un buon investimento.
Liberati. Dopo la riunione di chiusura, se almeno l’azienda ha la
decenza di convocarla, ci sono due possibilità. Il primo è che te ne vai
tranquillo e felice perché hai già un altro lavoro. Tuttavia, essere
licenziati, in qualsiasi circostanza, non è una situazione piacevole. Ecco
perché è meglio avere un piano B a portata di mano e anche un piano C,
D, E, F, ecc. Se si esce in condizioni drammatiche, come è successo a me
quando ho dovuto essere portata in ambulanza in ospedale a causa del
comportamento vessatorio con cui sono stata trattata, allora i tempi di
recupero possono essere più lunghi. Non lasciare che l’angoscia abbia la
meglio su di te. Considera queste due cose. Prima di tutto, la tristezza è di
solito di breve durata. E se dura più a lungo, cerca l’aiuto di un
professionista qualificato. Scegli molto attentamente la persona (sia un
coach che uno psicoterapeuta) con cui vorrai superare questo periodo
difficile. E poi, per assicurarti una liberazione da ogni dolore, sii
concentrato immediatamente sul prossimo colloquio di lavoro. È la
migliore cura per qualsiasi shock che ti sia stato provocato.
Attiva la tua “modalità intervista”. C’è una domanda a cui devi
essere ben preparato: perché ha lasciato il suo ultimo lavoro? Non devi
necessariamente dire “ sono stato licenziato ”; ma non mentire nemmeno
perché è probabile che l’intervistatore parli con il tuo ex capo. E la gente
ama i pettegolezzi. Invece, spiega brevemente senza dare dettagli che non
vanno da nessuna parte. Prepara una risposta semplice come: “ Sono
molto motivato per questo lavoro, perché giocherò sui miei punti di forza.
Le opportunità precedenti le ho già trasformate in esperienza preziosa
per affrontare altre sfide ”. Se puoi dimostrare di essere una persona che
accetta il feedback e impara dalle proprie esperienze, i buoni datori di
lavoro ti prenderanno in considerazione.
Infine, ricorda che nessuna quantità di preparazione può inocularti
contro il colpo alla tua autostima. Prenditi qualche giorno per riprenderti,
ma cerca di concentrarti sul futuro. Non soffermarti sull’ingiustizia. È
stata una lezione. Un’altra cosa da considerare è che potresti non ottenere
il lavoro che avevi prima. Ed essere umili è un grande valore umano. Non
chiuderti mentalmente nel volere lo stesso stipendio di prima o la
posizione precedente. Dovrai accettare che alcuni cambiamenti saranno
necessari. Applica il tuo superpotere #2, per riflettere sui fatti, affinché
non ti succeda più. Vedrai che ne uscirai più forte per ottenere il lavoro
che più si addice a te.

In breve

L’ employability è un superpotere che apre le porte alla tua


realizzazione personale, laddove una carriera sia importante per te. Per
autorealizzarti hai tutti gli altri superpoteri.
Questo superpotere non può basarsi soltanto sulle conoscenze acquisite
attraverso gli studi. Sono necessarie le soft skills. Per spiegarti le skills o
competenze che fanno di una persona occupabile, vorrei che leggessi la
seguente lettera scritta a mano da una donna delle pulizie, prima di partire
per la pensione. Suo figlio l’ha postata su Twitter ed è diventato
orgogliosamente virale.
“ Salve signore,
domani sarà la mia ultima pulizia per .
Ho preparato un secchio di materiali di pulizia per la prossima
pulitrice donna delle pulizie, chiunque essa sia!
Ho lasciato il lavoro a causa del modo in cui [nome del manager] mi
ha trattato in ufficio.
Nient’altro che aggressivo e crudele, ma questo è un riflesso del suo
carattere, non del mio.
Quindi, d’ora in poi, ricordatevi tutti: in un mondo in cui si può essere
tutto, siate gentili.
Perché non siete tutti migliori dell’addetto alle pulizie.
Saluti,
Julie. ”
Da lì ho pensato a tre consigli che ti aiuteranno ad agire per lavorare
seguendo le tue passioni:
1. Punta al tuo perché.
Simon Sinek lo definisce perfettamente. Avere un perché è la base per
mantenere la motivazione. Qualunque sia l’obiettivo di carriera che ti sei
prefissato, capire il tuo perché è ciò che favorisce l’impegno necessario
per raggiungerlo e alimenta la tua forza per soddisfare la tua vita. A volte,
dimentichiamo perché lavoriamo così duramente. Ricollegarsi al motivo
per cui vuoi avere successo nella tua carriera ti aiuterà a rimanere
focalizzato.
2. Aggiusta la mira.
Con il perché puntato sull’obiettivo, la prossima domanda è il come .
Più specificamente, cosa devi fare ogni giorno per trasformare i tuoi sogni
di carriera in realtà? Quali azioni sei disposto a impegnarti? Forse dovrai
prendere del tempo lontano da Facebook o da Instagram. Dovrai essere
chiaro sulle azioni specifiche che centreranno il tuo scopo. Determina tre
priorità principali che hanno lo scopo combinato di avvicinarti al
raggiungimento dei tuoi obiettivi. Poi scomponili in passi d’azione più
piccoli e vai avanti.
3. Fuoco!
Dedicare del tempo, anche un’ora al giorno, allo sviluppo della
carriera è una sana disciplina. Così come ogni mattina la prima cosa che
fai è prendere il telefono, alimenta contemporaneamente la tua voglia di
raggiungere la meta. Informati sui corsi o abilitazioni del tuo albo di
professionisti oppure cerca nuovi corsi con i quali potrai acquisire altre
hard skills o competenze tecniche. Considera che passare del tempo a
lavorare sul tuo sviluppo di carriera è un vero regalo a te stesso.

IX – I nemici dei tuoi superpoteri


Chi è stato il primo supereroe della storia? Alcune teorie citano
l’Uomo Mascherato come il primo a essere disegnato in 1936 (tre anni
prima di Superman). Ma ho scoperto che il primo si chiamò Ō gon Bat
(pipistrello dorato). Potrebbe essere stato lui a ostentare il primato, perché
fu creato in 1930 dalla mano di Ichiro Suzuki e dall’illustratore Takeo
Nagamatsu in Giappone. Tuttavia, è Superman a essere considerato il
primo supereroe, perché ha raggiunto la fama mondiale prima di qualsiasi
altro. Lui fece il suo debutto nel 1938 creato da Action Comics. Mentre
originalmente Ō gon Bat non era un comic. La sua storia si raccontava
attraverso pergamene chiamate kamishibais . Analogico al 100%.

L’uomo mascherato Ō gon Bat

Clark Kent era il perfetto sfavorito. Innamorato di una che non lo


filava, occhiali e apparentemente poco sveglio. Ma quando si spogliava,
salvava l’umanità dalle cattiverie di Lex Luthor. Stiamo parlando di
Superman! L’uomo d’acciaio il quale era in grado di volare, vedere a
raggi X ed era pure bello (indimenticabile il film con il compianto
Christopher Reeve). Però c’era solo una cosa che lo debilitava: la
kryptonite .
Che cosa debilita, invece, i nostri superpoteri al punto di farci
diventare l’antieroe della situazione? Le false credenze di cui non
riusciamo a staccarci, l’invidia e la stupidità fra migliaia di cause, o
meglio sostanze debilitanti, che come la kryptonite, ci fanno diventare
antieroi.
Per farla breve, voglio proporti un gioco. Di fronte a ogni superpotere
potrai scrivere le cose che secondo te potrebbero debilitare i tuoi
superpoteri. Successivamente di presenterò quelle che i miei clienti e
volontari nella ricerca hanno scelto. Vai!

Superpoteri Nemici
Attenzione:
Processare l’informazione:
Autocontrollo:
Rispettare le regole:
Influenza:
Ammettere gli errori:
Della employability:
Per semplificare il tema delle forze che debilitano i superpoteri
analogici, ho scelto i temi dei quali, difficilmente parliamo. Si tratta delle
distorsioni cognitive (in inglese cognitive bias) che si riferiscono alle
false credenze.

Il nostro cervello è un baro

Non è che il tuo cervello ti stia mentendo di proposito, ma può aver


sviluppato alcune connessioni difettose o inutili tra pensieri, idee, azioni e
conseguenze che non hanno senso. E questa tendenza a collegare fattori
che non hanno una vera relazione è alla base di un problema comune,
quando ci si trova davanti a ogni tipo di situazione. In parole povere, nel
contesto dei nostri pensieri e credenze, questi errori sono chiamati “
cognitive bias ”, appunto distorsioni cognitive . Furono formulate
inizialmente dagli psichiatri Aaron Beck e David Burns.
Le distorsioni cognitive si riferiscono a quelle prospettive distorte che
adottiamo su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Sono pensieri e
credenze irrazionali, che rafforziamo inconsapevolmente nel tempo.
Essendo umani, quindi analogici, è probabile che a un certo punto siamo
caduti, volenti o nolenti, in diverse di queste trappole cognitive.
Questi sistemi di pensiero sono difficili da riconoscere, quando sono
una caratteristica regolare dei nostri pensieri quotidiani. Questo è il
motivo per cui possono essere così dannosi quanto impercettibili, poiché
è difficile cambiare ciò che non si riconosce come qualcosa che deve
essere cambiato. Queste bias (si pronuncia baias ) hanno molte forme, ma
tutte hanno qualcosa in comune: rendere difficile la nostra presa di
decisioni. E tante volte ci portano a reazioni poco costruttive. Ne ho
scelte solo sette, le quali sono le più frequenti nella vita quotidiana.
Vediamo di che cosa si tratta.

Nemici #1: i pensieri poco stupendi

1. Pensiero polarizzato.
Questa distorsione si manifesta come un’incapacità o mancanza di
volontà di vedere le sfumature di grigio. In altre parole, vedi le cose in
termini di estremi, qualcosa è fantastico o terribile, credi che sia perfetto o
un totale fallimento. Ad esempio, non usciremo mai da questa crisi.
Una variante è la modalità di pensiero tutto o niente. Ad esempio, lo
applichiamo su di noi, quando sentiamo che manca qualcosa che ci
impedisce di fare le cose, ossia, non ha senso giocare se non sono in
forma al 100%. Oppure, non sono venuti alla riunione perché sono
completamente inaffidabili.
2. Generalizzare.
Questa subdola distorsione prende un caso o un esempio e lo fa
diventare un modello generale. La classica frase che dicono molte
persone: tutto il mondo lo sa. Oppure, tutti gli italiani amano il calcio.
Però questa distorsione degenera quando si utilizzano parole come
sempre e mai in relazione a un singolo evento o esperienza:
- Non avrò mai un aumento di stipendio.
- Lei fa sempre così.
- Sono sempre un disastro.
- Katia non arriva mai in tempo.
3. Saltare alle conclusioni o lettura del pensiero.
Si tratta di quella convinzione, alquanto imprecisa, di sapere cosa sta
pensando un’altra persona. Di solito interrompiamo perfino il suo
discorso mentre parla e blocchiamo i suoi pensieri mentre cerca di dirci
quello che deve. Naturalmente, è possibile avere un’idea di ciò che
pensano gli altri, ma questa distorsione si riferisce alle interpretazioni
negative che ci creiamo in testa. Ad esempio, quando in una riunione ci
presentano un tifoso di una squadra che noi consideriamo abbia rubato il
campionato di calcio, allora saltiamo alle conclusioni, ritenendo che
anche lui non sia una persona onesta perché tifa per quella squadra.
4. Ragionamento emotivo.
“ Sento, quindi sono ” . Questo pensiero sfasato si riferisce
all’accettazione delle proprie emozioni come fatti. “ lo sento perché è così
”. Però il fatto che intuiamo qualcosa non lo rende per forza vero. Per
esempio, possiamo provare gelosia e pensare che il nostro partner provi
qualcosa per qualcun altro, ma questo non lo rende reale. In quel caso
stiamo ragionando di pancia. Le emozioni non sono fatti. Sono reazioni
sulle quali è meglio scavare più a fondo per gestirle. Altrimenti diventano
unicamente un turbamento nella nostra psiche.
- Mi sento in colpa perché ho detto al mio vicino che le scarpe non si
abbinavano con il suo vestito.
- Mi sento davvero male per aver urlato al mio partner, sono davvero
egoista e sconsiderato.
5. Dichiarazioni di doveri.
È la tendenza a fare affermazioni utilizzando il verbo dovere in modo
condizionale. Sono intenzioni che non vengono realizzate e le utilizziamo
per motivare noi stessi. Ma quando non vengono compiute quelle
intenzioni, ci sentiamo in colpa. È tutto quello che dovrebbe essere fatto
ma che non si fa. Non funziona soltanto con il verbo dovere né tantomeno
in prima persona. Perché, quando si tratta di dare la colpa ad altri…
- Lui dovrebb e essere più responsabile.
- Io dovrei smettere di fumare.
- Ho bisogno di cambiare lavoro.
- Tu dovresti sapere che Google ha cambiato logo.
- Se solo non l’avessi detto, non avrebbero ...
- Se io fossi stato più giovane, avrei ottenuto il lavoro.
E la lista di frasi di questo tipo di distorsione cognitiva potrebbe
diventare infinita.
6. Etichettare.
È un automatismo mentale, attraverso il quale assegniamo giudizi di
valore, dovuto a seguito di un’esperienza. Non importa se negativa o
positiva. Ad esempio:
- Non ho tenuto testa al mio collega, sono un fifone.
- Che idiota, non si è nemmeno vaccinato.
- Gli italiani sono così.
7. Personalizzare o colpevolizzare.
Come già anticipato nel superpotere #6, ammettere gli errori, questa
distorsione ci fa prendere tutto sul personale o assegnare la colpa, senza
alcuna ragione logica, a qualcun altro. Copre di certo una vasta gamma di
situazioni. Ad esempio, quando un amico del gruppo non partecipa più
alle attività, ci viene da supporre di essere nella ragione, perché gli
abbiamo detto qualcosa che non gli è piaciuto (quando lui non aveva
nemmeno ascoltato). E anche qui c’è una variante: incolpare gli altri per
negare il proprio ruolo nella situazione.
- Se lei fosse arrivata in tempo, io sarei uscita prima e avrei potuto
vendere la mia macchina.
- Se lei non mi avesse urlato contro, non mi sarei arrabbiato e non
avrei avuto quell’incidente.
8. La catastrofe mentale.
Questa trappola mentale ci fa vedere le cose in un modo più tragico di
quanto non siano in realtà. Spesso creiamo una catastrofe quando la
situazione non ha nemmeno creato un problema. Questa kryptonite affetta
soprattutto il superpotere #6, ammettere gli errori. Un caso di esempio è il
seguente: Carlo sente che il suo capo ha ringraziato pubblicamente un
altro collega. Da lì parte una raffica di pensieri: il capo lo ha fatto perché
sarà promosso (amplificazione); invece lui, che è stato riconosciuto
come il più grande ricercatore innovativo del settore, non avrà nulla
(minimizzazione) . Ha dimenticato di spedire quella mail! Per Carlo
questo significa che il suo capo non si fiderà più di lui, non avrà
quell’aumento e sua moglie lo lascerà (catastrofe totale). Credimi. Il
cervello gioca sporco e adora mandarci in tilt.
Le distorsioni cognitive sono diventante croce e delizia per noi stessi
ma anche per psicologi, coach e psicoterapeuti. Fortunatamente
riconoscerli è già un buon inizio. Quindi, è ora di affrontarli e bloccarli
sul nascere. Innanzitutto, cerchiamo di identificarli sulla nostra
quotidianità, per capire che cosa ci spinge a reagire in base a queste
trappole. Così facendo, possiamo tentare di eliminare questi pensieri dalla
nostra mente soprattutto, riprogrammando il nostro linguaggio. Tentar
non nuoce.

Antidoti

Non è facile toglierci le seghe mentali come direbbe il professore


Giulio Giacobbe. [26] Perché trasformare un pensiero così fossilizzato, da
un momento all’altro risulta impegnativo. Però essere più consapevoli
dei pregiudizi è un buon inizio . Sono loro a influenzare maggiormente
il nostro pensiero e le nostre decisioni. Per questo è necessario capire
quali sono i sono fattori come l’eccesso di fiducia o l’interesse personale,
che determinano la nostra vita.
Mettere in discussione le proprie credenze. Se noti che esistono
fattori che influenzano le tue scelte, concentrati per disattivare i tuoi
pregiudizi. Cerca di stare attento a tutte le informazioni rilevanti che non
supportano il tuo punto di vista. Se riesci a utilizzare questo antidoto,
vedrai che diventerai automaticamente un pensatore più critico e
completamente padrone di sé.
Cancella le frasi inutili dal tuo linguaggio. Certamente le frasi sono
tante, ma incomincia a bloccarle non appena ti vengono in mente. Non
dare nulla per scontato. Quando ti verrà chiesto qualcosa, aspetta dieci
secondi prima di rispondere, onde evitare le emissioni di frasi meccaniche
che non aggiungono proprio nulla. Sono analoghe al gas serra e a tutto
quello che inquina.

Nemico #2: quella brutta bestia


Ma quale potrebbe essere se non lei? Quel sentimento che travolge
l’anima, che fa venire la gastrite e di conseguenza l’alitosi. Tutti la
sentiamo, la proviamo ma non lo ammettiamo. È bella e maledetta. E
anche molto utile per raggiungere il successo. È un sostantivo femminile
ma molto inclusivo perché il genere maschile lo sente eccome. È uno dei
sentimenti più diffusi a livello umano. E che vi dico a livello digitale. Ma
in quella dimensione, preferiamo che siano gli altri a sentirla. Ecco perché
si pubblica la foto della pietanza ricercata, in diretta dal cuore di una città,
dove qualsiasi mortale non può arrivare. Ma c’è chi fa la foto della
bistecca in diretta dalla sagra paesana. E potrebbe risultare meno attraente
per altre persone. Ad esempio, per un genitore che vive con la famiglia
dentro una macchina a Milano, eppure i suoi due figli vanno a scuola
puliti ogni mattina. Ma questo genitore non sarà mai invidioso perché, per
lui, la bistecca è un obiettivo da raggiungere per far felice la sua famiglia.
Definiamola. L’invidia è un moto dell’anima tanto velenoso quanto
inconfessabile. Si sperimenta quando un altro ha qualcosa che noi
vorremmo: oggetti, posizione sociale, o qualità come la bellezza o il
successo in amore. E della quantità di amici e followers nelle reti sociali.
È la sofferenza, quando si viene a sapere che un altro ci ha superato. E per
chi l’invidia diventa e un sentimento duraturo, specialmente sul posto di
lavoro, è davvero un inferno per quella persona arrivare alla fine della
giornata.
Si può ammettere di farsi prendere dall’ira, di crogiolarsi nella pigrizia
o di soffrire per gelosia, ma di essere rosi dall’invidia no. “ È l’emozione
negativa più rifiutata. Perché ha in sé due elementi disonorevoli:
l’ammissione di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza
gareggiare a viso aperto ma in modo subdolo, considerato meschino ”
scriveva Valentina D’Urso nel suo libro Psicologia della gelosia e
dell’invidia. [27]
L’invidia infatti spesso è caratterizzata dall’ostilità nascosta verso
l’altro, dal desiderio di danneggiarlo, magari dietro le spalle con
commenti denigratori, e di privarlo di ciò che lo rende... invidiabile. In
latino il verbo invideo significa guardo con ostilità o, se vogliamo,
guardo male . Si prova soprattutto per chi è simile, per le persone che si
considerano paragonabili come condizioni di partenza. Per una donna è
mortificante il confronto con la conoscente bella e desiderata, piuttosto
che con una top model; si invidia il collega che è stato promosso, non il
direttore generale. E non si invidia chi ha un difetto fisico oppure chi ha
sofferto un terribile dramma familiare.
Chi è invidioso, quindi, lancia tre messaggi:
sono inferiore
ti sono ostile per il tuo successo
potrei anche farti del male .
Attenzione, molta attenzione. Questo sentimento di malanimo nei
confronti di un’altra persona, o un gruppo di persone è socialmente
distruttivo, nocivo e patologico, perché chi soffre di invidia è
potenzialmente pericoloso: può far perdere il lavoro a qualcun altro, a
causa di un commento inappropriato, può far rigare la macchina di un
rivale (che c’è solo nella sua testa) e qualche donna farà di tutto per
portarsi a letto l’uomo di una tizia che non si sopporta, nonostante lui
puzzi da demone.
L’invidioso non conosce limiti perché si sente inadeguato e inferiore.
Sente che il vantaggio dell’altro non sia meritato, perché si pensa di non
riuscire a ottenere la stessa cosa. Allora come mai proviamo questa
emozione? Perché l’invidia è come la paura, che è sgradevole ma ci
prepara a reagire a un pericolo. È un campanello d’allarme: ci avverte
velocemente che siamo perdenti nel confronto sociale. Ricordi quando ti
ho detto che la rabbia ci aiuta a cercare come difenderci? Ebbene trovarci
in una posizione inferiore è svantaggioso, quindi l’invidia diventa
un’emozione che segnala questo stato e ci spinge a uscirne.
Attenti sfavoriti, underdog e svantaggiati. È arrivato il vostro
momento.

Ti fa male? meglio per me

Al tuo insopportabile collega è arrivata una multa fiscale? Alla tua


vicina, (quella che si crede il top di gamma), è caduto il telefono e si è
rotto in mille pezzi? All’invidia è collegato anche un piacere che si sente
di fronte alle sfortune di un altro. È chiamato schadenfreude , ovvero la
soddisfazione davanti alle disgrazie altrui.
Richard Smith è l’autore del libro The Joy of Pain: Schadenfreude and
the Dark Side of Human Nature , ci dice che “ L’invidia non è divertente,
a meno che la sfortuna (dell’altro) giochi a nostro favore: se la persona
che ci ha superato nel confronto sociale ha un problema, ora deve
scendere un gradino. E questo ci dà soddisfazione ”. E quando succede la
disgrazia altrui, il respiro è profondo, quasi rilasciando un grande sollievo
e voglia di andare avanti. Macché quasi, è proprio una grande
soddisfazione. “ Lo svantaggio dell’altro diventa un vantaggio per sé nel
terreno della competizione sociale; il dolore dell’invidia si riduce e si ha
una sensazione piacevole. Infine si placa il senso di ingiustizia che spesso
è parte dell’invidia: la sfortuna sembra meritata ” spiega lo psicologo.
Una cosiddetta invidia sana è quella che non lascia un sapore amaro,
ma piuttosto un pizzico di tristezza o di nostalgia per quello che
vorremmo avere anche noi nella nostra vita. L’invidia patologica, invece,
è quella che diventa il centro delle nostre relazioni con gli altri e si basa
su un costante confronto con l’altro. Però, come farla lavorare a nostro
favore?

Antidoto per superare l’invidia

Concentrati sulle tue proprie fortune. E non enfatizzare il valore


delle cose desiderate che non si hanno. Qui, purtroppo, giocano sempre
contro le reti sociali. L’abitudine di guardarle costantemente fa si ché le
persone vivano completamente insoddisfatte, rispetto a quello che non
hanno. Inclusa la 7a di seno per le donne. Non si tratta di accontentarsi o
rassegnarsi. Si tratta di essere grati con quello che si ha, senza utilizzare
un filtro mentale che sporchi la bella visione di quello che si possiede, del
lavoro che si ha, oppure delle belle persone che ci circondano. In carne e
ossa.
Essere grati con la vita, e con quello che essa ci ha dato, è sempre una
fonte di felicità naturale. Amala e non perderla.

Nemico #3: la stupidità

- Perché Claudio non si è presentato alla riunione?


- Perché è stupido.
La parola stupido viene utilizzata generalmente come un insulto. È
quella parola con la quale etichettiamo qualcuno che non fa le cose come
vorremmo che fossero fatte. Il termine stupidità deriva dal verbo latino
stupēre che, nella trasposizione in italiano, ha due accezioni distinte: una
riguarda chi è stupito , in una condizione cioè d’incapacità o passività,
indotta dallo stupore; l’altra, riferita allo stupido , esprime una condizione
duratura di carenza e lentezza nel comprendere.
Carlo Cipolla, economista italiano, si è preso la briga di scrivere un
saggio per avvertirci di quanto pericolosa sia. Di fatto l’ho scelta come
nemico dei superpoteri analogici e, per combattere questo antieroe,
organizzo seminari appositamente volti a creare coscienza su questa sorta
di distorsione cognitiva. Cattiva quanto l’invidia, pericolosa quanto una
bomba atomica e letale quanto l’uranio impoverito.
Per farti capire il concetto, voglio proporti nuovamente un esercizio. Si
tratta di selezionare quante di queste persone tu credi che siano stupide.
Di nuovo carta e penna, mi raccomando applica il tuo superpotere relativo
a fatti o pareri .

□ Chi si crede più furbo di un altro.


□ Chi viola la legge ed è felice perché la fa franca.
□ Chi non dà la precedenza a chi ce l’ha. (anzi gli taglia la strada pur
di non farlo passare)
□ Chi scrive messaggi al telefono durante la guida.
□ Chi assicura – senza alcuna verifica -, che è vero quello che dice. E
si arrabbia con chi cerca di farlo ragionare.
□ Chi pubblica stronzate sulle reti social inquinando l’ambiente.
□ Chi potendo dare esempio resta apatico e se ne infischia.
□ Chi non paga le persone che hanno fatto un lavoro per lui oppure chi
non restituisce le cose che gli hanno prestato.
□ Chi fa del male ad un altro perché gli ha fatto un torto invece di
dialogare.
□ Sono stupide le persone violente che fanno del male a donne e
bambini, e a qualsiasi essere umano o ad un animale.
□ Quelli che inventano pettegolezzi.
□ Sono stupidi quelli che non decidono di cambiare le cose che ci
rendono infelici.
□ Sono stupide le persone che non si vaccinano senza alcuna
conoscenza accademica né esperimentale solo perché lo hanno letto in
internet o guardano YouTube.
□ È stupido chi ti blocca con la macchina per passare per primo oppure
non ti lascia passare.

Ebbene sì. Tutte le frasi anteriori sono perfette definizioni di stupidi. Ti


sei riconosciuto in almeno una? Tranquillo, altri lettori possono esserne
per più di dieci frasi. Ma per non perderci in altre dilazioni, ho scelto una
delle leggi della stupidità che mi sembra le più comune per definire tale
concetto, in modo che tu ce l’abbia sempre presente per non lasciarti
travolgere da questo nemico dei tuoi superpoteri.

Terza Legge della stupidità : [28] Una persona stupida è chi


causa un danno a un’altra persona o gruppo di persone senza, nel
contempo, realizzare alcun vantaggio per sé o, addirittura,
subendo una perdita.

Sintomi di stupidità

Le cause della stupidità. Secondo un esperimento condotto dallo


psicologo Balazs Aczel, del l ʼ E ö tv ö s Loránd University di
Budapest, ci sono tre situazioni che ci spingono a comportamenti stupidi.
Il primo contesto, considerato dai ricercatori il pi ù̀ grave , è quello della
“fiduciosa ignoranza”. Tutti ci sopravvalutiamo. E un esempio classico è
quando ci mettiamo al volante e guardiamo i post dei nostri amici sui
social media, convinti che gli incidenti capitino solo agli altri.
Il secondo è legato alla “mancanza di controllo”. Caso classico,
arriviamo in ritardo a un appuntamento importante perché stavamo
aggiornando le app del telefono o ritoccando i selfie.
Il terzo tipo di stupidità viene definito “ assenza mentale ” (veniale,
ma letale in certe circostanze) ed è quando non prestiamo attenzione a ci
ò̀ che stiamo facendo. Per esempio, quando attraversiamo la strada
leggendo un messaggio sul cellulare o semplicemente scorriamo
costantemente le cose sullo schermo del nostro telefono.
E finalmente. Il miglior antidoto per evitare che queste deformazioni
professionali della nostra mente, e il nostro cervello continuino a farci
reagire nel modo sbagliato, è rileggere i nemici e gli antidoti, ogni tanto.
Ripetere quell’esercizio, aiuta a visualizzare i miglioramenti. Parola da
coach.

“ Conoscere il tuo nemico come te stesso. ”


Sun Tzu, L’arte della guerra.

Ecco una piccola tabella per ricordare i nemici dei tuoi superpoteri:

Superpoteri Nemici
Attenzione: il telefono.
Processare l’informazione: le distorsioni cognitive.
Autocontrollo: la mancanza di coscienza.
Rispettare le regole: l’egoismo.
Influenza: l’invidia.
Ammettere gli errori: la vergogna.
Della employability: la paura.

X – Terzo tempo

Voglio farti i complimenti per essere arrivato qui! Come ho detto fin
dall’inizio, questi superpoteri sono stati scelti per vincere da sfavoriti in
un mondo apparentemente digitale. Perché parlo di sfavoriti? Perché mi
sono ispirata al termine underdog che, inglese, significa il meno quotato
(in politica o nello sport) nonostante abbia tutti i requisiti. Sono persone
che, alla fine, vincono nel modo più semplice. E tu ne resti sorpreso. Ma
come, quello lì? Eppure è stato attento, ha chiuso la bocca quando
occorreva e non ha commentato nulla sui temi per i quali non ne valeva la
pena. Vince in silenzio, facendo credere agli altri che è in svantaggio.
Rispetta le regole e fa il suo lavoro ineccepibilmente. E non dipende dalla
reti sociali per avere successo.
Ricorda però che un underdog non è uno sfigato. È una persona che sa
bene di non essere il favorito, ma si mette in gioco con veemenza, perché
non ha nulla da perdere. E quello è anche un talento. Freddie Mercury
non fu ammesso nel gruppo Smile per i suoi denti, bensì per la sua
straordinaria voce. Era l’underdog ma diventò un mito della musica.
Come avrai potuto ricordare o scoprire, la tecnologia è soltanto uno
strumento per vivere meglio la modernità perché i processi continuano a
essere gli stessi, perfino quello delle file al supermercato o alle poste. Sin
dal primo capitolo ho voluto mostrare come la tecnologia è un’analogia
del comportamento umano. Però solo l’uomo ha il potere di vivere
consapevole delle sue capacità, per non lasciarsi trascinare dagli
algoritmi.
Ho fatto un lavoro per il quale mi sento molto orgogliosa e soddisfatta.
E per le conclusioni voglio che sia tu a farle, ispirandoti all’utilizzo dei
tuoi superpoteri per migliorare alcuni aspetti della tua vita, del tuo lavoro,
della tua relazione o dei tuoi guadagni. Lo scudo è un disegno con sette
quadranti. Per ogni spazio potrai disegnare il modo in cui ogni
superpotere ti sarà utile. Potrai riporre questo disegno in un luogo visibile
per te, in modo da ricordare i punti di forza che possiedi per vincere -
come leader o come sfavorito - quando ti troverai in una situazione che
richiede una soluzione, una scossa emotiva o una decisione da prendere.
Così facendo, avrai un superpotere per ogni occasione.
Per esempio, nel quadrante dell’attenzione, puoi inserire l’immagine di
una gomma da masticare oppure, nel quadrante dell’autocontrollo, puoi
disegnare un polmone per ricordarti di respirare profondamente, invece di
rispondere furiosamente! Ti consiglio di scegliere disegni che ti
ricarichino di energia e ti facciano soprattutto sorridere quando li vedrai.
La creatività è nelle tue mani e, se vuoi condividerla con me, sarà
sicuramente un grandissimo dono che mi farai.
Grazie ancora per aver comprato questo libro e aver completato gli
esercizi. Ti sono grata se vorrai consigliarlo a un amico.

Coach Angela Vivas


Inventa un nome da supereroe (senza il prefisso super e il suffisso del
tuo nome o nomignolo, quindi niente super Luigino o super Clotilde), che
rappresenti il tuo punto di forza più importante.
________________________________
Ringraziamenti

Grazie a tutte le persone che mi hanno accompagnato fin qui. Sono


certa che saranno compagni di viaggio ancora.
Ringrazio Dolly e Rubina, zie e sostenitrici accanite, Nanda e Paola
per la loro fede in questo progetto, il maestro Eduardo Figueroa per non
essere impazzito e tutte le persone che hanno collaborato e sostenuto
questo percorso: Andrea Bettini, Daniel Fischer, Caroline Shutz, Marisol
Ovalle, Claude Martin, Hermes Ruiz.
ANGELA M. VIVAS

[1]
Qualcuno che difficilmente viene notato. Un po’ l’opposto del popolare o del migliore, ma non
esattamente il peggiore.
[2]
Nome fittizio per proteggere l’identità delle fonti.
[3]
In neuropsicologia l’arousal (dall’inglese eccitazione , risveglio ).
[4]
Eccedenza di prenotazioni rispetto alla disponibilità dei posti (per es. da parte di una compagnia
aerea).
[5]
Eccessiva preoccupazione o complesso di pensieri che comporta ansia o paura. Giulio Cesare Giacobbe - Come smettere di
farsi le seghe mentali e godersi la vita.
[6]
Musica country nata nelle regioni rurali degli stati del sud durante gli anni ’20 come fusione della
musica popolare dei coloni europei con forme musicali afro-americane, come il gospel e il bluegrass.
[7]
The Basic Laws of Human Stupidity , (1976) Cipolla Carlo M.
[8]
Coqui è una rana appartenente alla famiglia Eleutherodactylidae, originaria di Porto Rico.
[9]
Potrai realizzare questo test nel tuo work book oppure sul sito www.angelavivas.com.
[10]
Fonte: Pub Med Central- Highly respected database from the National Institutes of Health.
[11]
Anger Management: Healthy Ways to Taming Your Emotions: Take a long walk away from self-
destruct (English Edition) di Adrienne Blodgett.
[12]
Che purifica interiormente e porta a una contemplazione comprensiva e superatrice della colpa o
delle passioni.
[13]
Joseph H. Tallin - Il metodo antierrore .

[14]
RisiKo! è la variante italiana del gioco da tavolo di strategia Risk. Lo scopo del gioco è
il raggiungimento di un obiettivo segreto e diverso per ciascun giocatore, che può consistere nella
conquista di un certo numero di territori, nella conquista di due o più continenti o nell’annientamento
di un giocatore avversario.
[15]
Mal tradotto in italiano come competenze trasversali .
[16]
Start up specializzata nella formazione professionale attraverso la gamefication.
[17]
Bushak, Lecia (18 August 2015). “ What Your Selfies Can Reveal About Your Personality
”. Medical Daily. Retrieved, 15 December 2015 .
[18]
Denis Wholey, Why Do I Keep Doing That?: Breaking the Negative Patterns in Your Life.
[19]
Molte persone sono definite “ tossiche ” quando hanno un impatto negativo sulla vita degli altri,
dovuto ai loro comportamenti dannosi .
[20]
Dacre Pool & Sewell 2007.
[21]
Treccani, Dizionario della lingua italiana.
[22]
Chiamata in inglese the rat race , (la corsa dei topi) si applicava a chiunque si sentisse bloccato
in una routine finanziaria e frustrato senza tempo per i propri desideri e hobby. Questo fenomeno si
applica più particolarmente ai professionisti che lavorano nelle città urbane, sia industriali che
impiegati.
[23]
Max Weber, 21 aprile 1864 – 14 giugno 1920, sociologo tedesco .
[24]
Le competenze di occupabilità possono essere definite come le capacità che possiede una persona
per essere occupabile e, di conseguenza, assunto da un’azienda.
[25]
libero professionista.
[26]
Giulio Cesare Giacobbe - Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita .
[27]
Carocci Editore, 2013.
[28]
Cipolla Carlo M. Op. Cit.

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