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SALUTE - PATOLOGIA - MALATTIA

LA SALUTE
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità: "La salute è lo stato
di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste
soltanto nell'assenza di malattia o infermità".

Il concetto di salute globale invece porta con sé una concezione della


persona come unità psico-fisica interagente con l'ambiente
circostante che è il presupposto per "una promozione ed educazione
alla salute" e una "medicina della persona" nella sua totalità.

La salute è un diritto-dovere. Ogni persona ha il diritto (garantito


dall’articolo 32 della Costituzione)di usufruire dei mezzi più idonei
per:
- conservare la salute
- migliorarla
- recuperarla in caso di malattia
- eliminare le eventuali conseguenze della malattia

Ogni persona ha il dovere di tenere un comportamento tale da


evitare le malattie e cioè:
- adottare uno stile di vita sano
- conoscere le norme igieniche e le strategie di prevenzione
- seguire le prescrizioni di cura

Patologia (scienza medica che studia i cambiamenti


morfologici morbosi delle strutture biologiche e lo svolgimento
dei processi patologici nell'organismo). Essere affetti da una
patologia vuol dunque dire di avere un'alterazione di un
tessuto, o di un organo, o di un apparato.

La malattia è un'alterazione strutturale o funzionale di una


cellula, di un tessuto, di un organo capace di ripercuotersi
sull'economia generale dell'organismo. Questo concetto tiene
perciò conto dell’individuo in quanto persona, in tutti i suoi
aspetti sia fisici che psichici che sociali.

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Ne consegue che non sempre una patologia è anche una
malattia:
es. 1) un ragazzo ha una lesione al polmone che gli
procura dolore, difficoltà di respiro, e si sta
ripercuotendo direttamente su altri organi
importanti come cuore, cervello, ecc. In questo
caso la patologia e la malattia coincidono.
es. 2) un ragazzo ha un foruncolo sulla mano che non
gli procura nessun fastidio. Ha una patologia ma
non una malattia.
es. 3) un ragazzo ha lo stesso foruncolo sulla guancia
che non gli procura dolore in se ma lo rende
ansioso perchè gli crea problemi nell'incontrarsi
con la sua ragazza. La patologia insignificante in
una zona del corpo ha scatenato una malattia
che coinvolge tutto l'essere del ragazzo
es. 4) Un paziente portatore da anni di calcoli alle vie
urinarie, presenta una patologia ma solo quando
questi calcoli gli procureranno dolore,
sanguinamento o disturbi soggettivi alle vie
urinarie entrerà nella fase di malattia.

Il concetto di CAUSA in patologia

La causa è ogni fattore che porta al determinarsi di uno stato patologico

In certe malattie basta la presenza di una determinata causa per


provocare la patologia.
Ad esempio: il calore (– acqua bollente –) è sempre capace, se applicato per un
dato tempo, di provocare una patologia (= ustione).

In altri casi ci vogliono più cause insieme perché si manifesti la malattia.


Ad esempio per provocare la tubercolosi in un individuo ci vogliono
contemporaneamente sia la presenza del batterio della TBC sia un calo delle
difese dell’individuo. Abbiamo infatti notato che se un gruppo di individui vengono
a contatto con il batterio della TBC, non tutti si ammalano; si ammaleranno solo
quelli che hanno poche difese immunitarie.

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I FATTORI DI RISCHIO

Sono fattori che possono influenzare la comparsa di una malattia in un


individuo in quanto aumentano la probabilità che si presenti una causa di
malattia.

Questi fattori di rischio possono essere:

- AMBIENTALI (ambienti di lavoro, località con caratteristiche


particolari di umidità e temperatura, ecc.)

- SOCIALI (ambiente socio-culturale degradato, abitudini


etniche o religiose, ecc)

- INDIVIDUALI (età, sesso, costituzione fisica)

LA PREVENZIONE (sinonimo di PROFILASSI)


È l’insieme dei provvedimenti atti a prevenire l’insorgenza delle malattie.

La prevenzione può essere:

- primaria: interventi atti ad impedire l’insorgenza della malattia


con l’eliminazione delle cause e dei fattori predisponenti

- secondaria: interventi atti ad evidenziare la malattia nelle sue


fasi iniziali in modo da impedire che si aggravi e provochi danni
irreparabili all’organismo.

- terziaria: interventi atti ad arrestare l’evoluzione della malattia


evitandone le complicanze e la cronicizzazione e mirando,
attraverso la riabilitazione, al recupero della migliore efficienza
psicofisica.

Gli screening
Sono dei controlli sanitari eseguiti su una popolazione, o su
singoli gruppi o categorie per consentire la diagnosi precoce di
determinate malattie.

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CLASSIFICAZIONE delle MALATTIE

Possiamo distinguere:

a)malattie da cause interne all'organismo:


sono le malattie ereditarie: la causa consiste in
un'alterazione del patrimonio genetico e si trova
perciò all'interno dell'organismo stesso.

b) malattie da cause esterne all'organismo:


queste cause provocano con vari meccanismi degli
insulti ai tessuti che reagiscono con un particolare
evento chiamato INFIAMMAZIONE o FLOGOSI.

c) malattie caratterizzate da proliferazione incontrollata


e afinalistica (=senza scopo) delle cellule dei tessuti.
Queste malattie sono i tumori. Queste proliferazioni
sono governate dal DNA della cellula che ha subito
delle modifiche (= mutazioni) da diverse cause che
possono essere interne (genetiche) o esterne
all’organismo (fattori sociali, ambientali, ecc)

d) le malattie degenerative:
sono un insieme complesso di patologie e condizioni
molto disomogenee che possono avere cause diverse
(ereditarie, autoimmuni, fattori sociali o lavorativi, ecc)
che portano progressivamente al danneggiamento di
tessuti e organi con progressiva perdita della loro
funzione.

Esempi:
da errori del metabolismo: diabete
da accumulo di sostanze: aterosclerosi
da invecchiamento: Alzheimer ecc..

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INFIAMMAZIONE o FLOGOSI
L'infiammazione è dunque una serie di eventi che avvengono in
un tessuto del corpo che si è lesionato, che tendono alla
riparazione del danno in quel tessuto.

Quale danno può subire un tessuto dell’organismo e a causa di cosa?

L'organismo umano può riportare delle lesioni più o meno gravi a seguito di
varie cause che sono presenti nell’ambiente in cui l’organismo viene a
trovarsi..

Le cause che possono determinare danni all’organismo possono essere


schematizzate in:

ferite
traumi
1) fisiche calore
radiazioni (cosmiche, raggi UV, nucleari, ecc)
corrente elettrica
onde sonore
onde magnetiche
luce(onde luminose)

Sostanze acide o basiche, corrosive,


2) chimiche detergenti, detersivi, ecc
veleni, diserbanti, pesticidi,
alimenti (contenenti sostenze tossiche)
farmaci

3) biologiche virus, batteri, protozoi, funghi, vermi (=metazoi), ecc


(orgnismi viventi)

In quale modo queste cause portano al danno dell’organismo?

Le cause fisiche e chimiche, come è facile intuire, causano danni all’organismo


in quanto lesionano direttamente il tessuto o l’organo per cui causano direttamente
la morte delle cellule..

Le cause biologiche (virus, batteri, funghi, ecc) causano danni all’organismo con
meccanismi diversi: i virus distruggono direttamente le cellule dei tessuti che
infettano in quanto si moltiplicano all’interno della cellula provocandone la morte; i
batteri ed i funghi sottraggono alle cellule le sostanze nutritive di cui hanno
bisogno; alcuni batteri invece emettono delle tossine che vanno a distruggere le
cellule.

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Quando il tessuto è danneggiato, cioè c'è stata morte di cellule, l'organismo mette
in atto una serie di azioni che hanno lo scopo di riparare il danno subito e questo
insieme di azioni e di meccanismi è chiamato "flogosi" o "infiammazione".

Da questo punto di vista l’infiammazione è perciò un fatto positivo perché è volta a


riparare il danno subito. Purtroppo a volte l'infiammazione può non interessare
solo la zona colpita e va a coinvolgere una vasta area dell’organismo e
coinvolgere anche altri apparati dell’organismo che non erano stati originariamente
lesionati e questo può procurare parecchio fastidio al paziente.

Vediamo ora quali sono i meccanismi e le fasi della flogosi


(=infiammazione)
La riparazione del danno richiede che nella zona lesionata aumenti il flusso di
sangue per portare alle cellule il nutrimento necessario per compiere le necessarie
mitosi e sintetizzare i prodotti necessari alla ricostruzione dei tessuti.

Da particolari cellule (=chiamate MASTZELLEN) che sono presenti nei tessuti


lesionati viene liberata una sostanza chiamata ISTAMINA che fa appunto dilatare i
vasi sanguigni della zona.

La dilatazione dei vasi sanguigni oltre a portare più sangue nella zona, richiama nella
zona anche i globuli bianchi che devono eliminare tutte le cellule lesionate e lasciare
“il campo libero” alle nuove mitosi.

Questo porta alla comparsa di vari sintomi o segni della flogosi che erano già
conosciuti nell’antichità, e che sono::

1) ROSSORE (rubor) nella zona colpita dovuto all’aumento di sangue portato


dalla vasodilatazione dei capillari sanguigni.

2) CALORE (calor) nella zona colpita dovuta sempre all’aumento di sangue


della zona.
Questo calore è anche dovuto al fatto che le cellule lesionate lasciano liberi i
mitocondri (= organuli dove viene prodotta l’energia) con conseguente
liberazione dell’energia sotto forma di calore.

3) GONFIORE (tumor):nella zona colpita perché per effetto della dilatazione


dei capillari c'è anche una fuoriuscita di liquidi (= acqua e proteine) dai vasi
sanguigni. Le proteine uscite dai capillari, non potendovi rientrare, trattengono
per osmosi anche l'acqua che le ha accompagnate impedendo il suo ritorno nei
vasi sanguigni.

I tessuti sono quindi gonfi di liquidi fuoriusciti dai vasi.


Dai vasi escono inoltre i globuli bianchi che sono stati attirati in zona e devono
"sgombrare il terreno dai detriti cellulari lesionati".

4) DOLORE (dolor): Se nella zona colpita e sede della flogosi, si trovano


inglobate dal anche delle terminazioni nervose, abbiamo la comparsa del
dolore. Infatti non tutti i tessuti lesionati procurano dolore; questo dipende se nel
tessuto sono presenti recettori del dolore che vengono attivati dalla lesione.

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5) CESSATA FUNZIONE (functio lesa) : Il tessuto infiammato non svolge più
la sua funzione (è impegnato nelle mitosi e nella sintesi dei materiali cellulari
distrutti). Questa “mancata funzione” della zona coinvolta nella flogosi, permane
finchè il tessuto non è stato completamente ricostruito

NB: Questo fatto è determinante per definire la sintomatologia del tessuto o


dell’organo infiammato (ad esempio l’infiammazione delle corde vocali si
manifesta con “l’abbassamento della voce”).
Nel caso di organi vitali nei quali in seguito alla lesione dei loro tessuti c’è
la “mancata funzione dell’organo”, si può arrivare anche alla morte
dell’individuo.

Come si chiama la patologia costituita dall’infiammazione di un


organo o di un tessuto?
I tessuti o gli organi colpiti dalla flogosi sono oggetto di una patologia che
prende il nome dall'organo o dal tessuto con l'aggiunta di una desinenza
chiamata: ..ITE.
ad esempio: - appendicite, bronchite, colite, faringite, ecc.

Come si sviluppa ed evolve la flogosi?


a) primo caso: il tessuto lesionato è di piccole dimensioni.
In questo caso le cellule sane vicine alla lesione vanno in mitosi ed in breve
il tessuto torna perfettamente sano come prima. Si dice che in questo
caso c’è una “restitutio ad integrum” (cioè il tessuto ritorna integro, come
prima.

b) secondo caso: la zona lesionata è di grandi dimensioni e interessa anche il


connettivo presente in quella zona di tessuto. (ricordiamo che il connettivo è
presente in tutti gli organi perché la sua funzione è di connettere, cioè
“legare” i vari tessuti tra loro).
Oltre alla mitosi delle cellule tipiche del tessuto (come nel caso precedente)
c’è anche la mitosi velocissima delle cellule del connettivo (= fibroblasti) e
così la zona lesionata viene ad essere sostituita principalmente da tessuto
connettivo fibroso che va a costituire una CICATRICE.
Tutti i tessuti dell’organismo se sono lesionati in modo vistoso, guariscono
con una cicatrice, che, essendo tessuto connettivo, non può più avere la
funzione che aveva prima il tessuto lesionato.
Si capisce bene così che ad esempio il fegato che ha subito molte lesioni di grande entità,
se guarisce, risulta ”pieno di cicatrici fibrose” che ovviamente non hanno la funzione delle
cellule epatiche. Un fegato pieno di cicatrici )= cirrosi epatica) NON STA FUNZIONANDO.
La pelle che in seguito ad una grossa ustione è guarita con una grande cicatrice, non si
abbronzerà, sarà priva di peli e ghiandole (per cui non suda, e soprattutto perderà la sua
funzione protettiva.

c) terzo caso : la zona lesionata è molto vasta ed interessa un organo vitale


(cuore, polmoni, cervello). In questo caso scatta sì il meccanismo della
flogosi, ma la “mancata funzione” porta a delle conseguenze tali che
subentra la morte del paziente.

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La terapia della flogosi:
Teniamo presente che l'infiammazione è un evento positivo per l'organismo, perché
permette la riparazione del tessuto lesionato.

A volte però l'entità dei sintomi è tale da essere insopportabile (pensiamo al dolore di un
ginocchio gonfio o alla mancanza di respiro dovuta ai bronchi pieni di catarro) per cui il
medico prescrive farmaci antiinfiammatori che appartengono a 2 categorie:

1) cortisone è un farmaco che, chimicamente appartiene alla categoria degli


steroidi. (la stessa degli gli ormoni sessuali). E’ prodotto normalmente
dall’organismo oppure è assunto come farmaco dall’esterno.

2) FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) che hanno come capostipite


l'ASPIRINA, e che comprendono una miriade di farmaci come : novalgina,
voltaren, brufen, aulin, viamal, moment, ecc.

Effetti di un farmaco: tutte le azioni che un farmaco compie (non importa se sono
buone o cattive!)
Effetti collaterali : tutte le azioni che il farmaco fa oltre a quella principale per cui è
stato assunto
Indicazioni di un farmaco: le patologie che traggono giovamento dall’assunzione
del farmaco
Controindicazioni di un farmaco: le situazioni o i casi in cui quel farmaco non va
assunto (anche se sarebbe indicato).

Gli effetti del CORTISONE:


- potente antinfiammatorio
- potente antiallergico
- potente antishock
- abbassa i globuli bianchi (per questo viene usato per evitare il rigetto dei trapianti)
- aumenta la glicemia (perché è un’antagonista dell’insulina)
- trattiene liquidi per cui c’è amento di peso
- aumenta l’acidità gastrica per cui favorisce l’insorgenza e l’aggravamento dell’ulcera allo
stomaco
- interferisce con il metabolismo degli altri ormoni steroidei
- aumenta la pressione sanguigna
- favorisce l’osteoporosi

I FANS sono farmaci che hanno una buona attività antinfiammatoria ma come effetto
collaterale aumentano l’acidità gastrica in maniera più o meno grave

NB: sia il cortisone che i Fans sono perciò lesivi per lo stomaco
(possono provocare l'ulcera.

In quale caso i FANS sono controindicati (cioè non vanno somministrati)?


- gravidanza
- gravi allergie accertate verso quel FANS
- presenza di gravi gastriti o ulcere (per evitare perforazio i dello stomaco.

NB: è chiaro che se un farmaco è antiifiammatorio, riduce anche la


sintomatologia dolorosa legata alla flogosi, per cui i cortisonici ed i FANS
tolgono il dolore perché tolgono l'infiammazione, non perché siano degli
anestetici. .

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LA FEBBRE (2014)

La FEBBRE è l'aumento della temperatura al di sopra dei 37 gradi


ed è chiamata anche IPERTERMIA.

La febbre non è una patologia ma un SINTOMO cioè una


manifestazione di molte patologie anche molto diverse tra loro.

La temperatura del corpo dovrebbe restare sempre costante perché le


reazioni chimiche dell’organismo umano solo se avvengono ad una data
temperatura sono coordinate tra loro. Se la temperatura sale, alcune reazioni
avvengono più velocemente di altre e si andrebbe a perdere la coordinazione
ed il sincronismo tra le varie attività degli organi e tessuti.

La temperatura del corpo è mantenuta a valori normali da un "centro della


temperatura" posto in una zona dell'encefalo chiamata IPOTALAMO . Questa
zona cerebrale contiene altri centri importanti come il "centro della sete", il
"centro della fame", il "centro della veglia e del sonno", ecc.

Il "centro della temperatura" viene avvisato tramite i recettori esterni ed i


neuroni sensitivi della temperatura delle varie parti del corpo e mette in moto i
vari meccanismi, azionando vari neuroni motori, che mantengono costante
questa temperatura.
Ad es. - se le mani tendono a raffreddarsi, apre i vasi per farvi affluire
più sangue, ma il sangue, circolando nelle mani fredde, si
raffredda, per cui i muscoli degli arti iniziano a contrarsi
ritmicamente per produrre calore (=brividi).
- se il corpo si sta surriscaldando ad opera del sole troppo
cocente, vengono attivate le ghiandole sudoripare che
emettendo il sudore bagnano la pelle. Evaporando il sudore
sottrae calore alla pelle che così si raffredda.

Fisiologicamente la temperatura del corpo subisce delle oscillazioni giornaliere


, cioè è più alta nel pomeriggio e più bassa di notte e al mattino.

Quando la temperatura del corpo, per varie cause, aumenta al di sopra dei
37 gradi abbiamo la FEBBRE. In questo caso vuol dire che il “centro della
temperatura dell’ipotalamo” si è “starato verso l’alto” ed ha impostato la
temperatura del corpo su un valore maggiore.

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Cause di febbre:
- la staratura del "centro della temperatura dell'ipotalamo" può essere causata
da:
• traumi cranici: che hanno un effetto diretto sul “centro della
temperatura”
• tumori cerebrali che vanno ad interessare il “centro della temperatura”

• sostanze chimiche che vanno ad agire sul “centro della temperatura”:


• liberate dai tessuti che sono stati lesionati durante un
trauma
• liberate dai granuli dei leucociti che sono chiamati ad
operare in una determinata zona.
• . liberate dai batteri durante la loro moltiplicazione
nell'organismo
• liberate dai tessuti che sono stati lesionati dai virus
(influenza).
• iniettate direttamente nell'organismo (le proteine
intramuscolo in genere danno febbre)
• Fattori nervosi che vanno ad agire sul “centro della temperatura

Tipi di febbre:

FEBBRE CONTINUA: che durante la giornata resta


sempre al di sopra del normale, anche se subisce delle
piccole oscillazioni che non sono mai superiori a un grado

FEBBRE REMITTENTI : la temperatura oscilla di più


di 1 grado durante la giornata ma resta sempre al di
sopra dei 37°C

FEBBRI INTERMITTENTI: la temperatura oscilla durante


la giornata con dei periodi in cui scende sotto i 37°C

FEBBRI RICORRENTI: sono febbri che si


presentano in modo irregolare: con periodi di febbre
per alcuni giorni, poi seguite da un periodo senza
febbre, poi c’è la nuova ricomparsa della febbre.
Tutto ciò si protrae anche per mesi

FEBBRI ONDULANTI: sono febbri che salgono


progressivamente per alcuni giorni, poi calano sempre
progressivamente, poi segue un breve periodo senza
febbre poi iniziano progressivamente a sire di nuovo e così
via.

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Cosa succede all'organismo durante la febbre ?
⇒ E' stato dimostrato le cellule consumano più ossigeno e c’è quindi
maggior produzione di energia che si disperde in calore.

⇒ E' stato dimostrato un aumento del metabolismo basale cioè un


aumento di tutte le funzioni della cellula che infatti consumano più
energia.

⇒ E' stato anche dimostrato che vengono distrutte più proteine di quelle
che vengono prodotte e le cellule che ne risentono di più sono le cellule
muscolari, ciò spiega la stanchezza tipica della febbre.

Per questi motivi, in caso di febbre, possiamo notare altri sintomi che sono
legati all’aumento della temperatura:

• aumento della frequenza cardiaca

• aumento degli atti respiratori

• diminuzione delle capacità digestive (l'apparato digerente e le


sue ghiandole funzionano meno)

• diminuzione della forza muscolare (già vista sopra).

• solo in caso di febbre alta ci possono essere alterazioni del


sistema nervoso (delirio, alterazione della sensorialità e della
motricità)

La febbre è un fattore positivo per l'organismo?


- se la febbre è stata causata dai globuli bianchi che, chiamati sul luogo
dell'infiammazione, hanno liberato i loro granuli, è un bene perchè l'aumento
della velocità delle mitosi e dei processi chimici in genere favorisce il processo
di guarigione.

- se la febbre è stata causata da delle tossine liberate da dei batteri o da un


trauma cerebrale, è chiaro che essa rappresenta solo un sintomo di un fatto
grave

Come si misura la febbre?


La temperatura corporea si misura con il
termometro.
La misurazione può essere esterna e si effettua
ponendo il termometro nella piega ascellare o
inguinale e trattenendolo per 2-3 minuti.
La misurazione può essere interna ponendo il
termometro in bocca o introducendolo nell’ano
(=via rettale).

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Tenendo presente che la temperatura interna (bocca, retto) è superiore di
mezzo grado a quella cutanea (ascellare o inguinale), si parla di febbre
quando la temperatura corporea supera i 37 se misurata all’esterno - o i 37,5
quando misurata all’interno.
Alcuni termometri hanno un sensore termico elettronico e sono adatti per una
rapida misurazione anche auricolare (via interna)

Per evitare errori di valutazione, la misura della temperatura corporea va


effettuata a riposo, possibilmente al mattino, in un ambiente confortevole e
dopo almeno 10-15 minuti dall'aver mangiato o bevuto cibi caldi o freddi.

Cosa si può fare in caso di febbre?


La febbre non è una malattia, ma solo un sintomo di qualcosa che sta
accadendo al nostro organismo, per cui dobbiamo preoccuparci di essa solo
quando il sintomo diventa imponente e può portare a delirio e/o convulsioni

La febbre va allora abbassata, in genere, se ha un valore superiore ai 38 -


38,5 gradi; in questo caso infatti possono comparire, specie nei bambini
fenomeni indesiderati sopra citati (delirio, convulsioni). Teniamo presente che
il miglior modo di combattere la febbre è agire verso la malattia che l'ha
causata.
®
I medici una volta usavano salicilati (ASPIRINA ) che agiscono direttamente sull'ipotalamo
abbassando la temperatura (molto spesso questo abbassamento è accompagnato da
intensa sudorazione.

Attualmente il farmaco più usato dalla medicina moderna è il paracetamolo


®
(TACHIPIRINA ).

Attenzione: i farmaci antifebbrili (=chiamati anche antipiretici) sono farmaci per cui si devono
prendere solo su indicazione medica.

Un altro sistema che si può usare sempre anche da parte degli operatori o in famiglia
è quello di bagnare il corpo con pezze immerse in acqua di 1 - 2 gradi in meno della
temperatura corporea. L'evaporazione dell'acqua sottrae calore al corpo. (L'ACQUA
NON DEVE ESSERE FREDDA)

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IL DIABETE MELLITO
Definizione e criteri diagnostici del diabete
Il Diabete Mellito è una condizione caratterizzata da un patologico aumento della
concentrazione di glucosio nel sangue. Responsabile di questo fenomeno è la
mancanza totale o parziale dell’insulina nell’individuo.

L’insulina è un ormone secreto dalle cellule β (beta) del pancreas ed è


indispensabile per far entrare il glucosio dentro le cellule (tutte) affinchè venga
prodotta energia.

Il nome diabete mellito deriva dal fatto che uno dei sintomi principali è la perdita di
zucchero con le urine che perciò “hanno il sapore del miele”.

Richiamo anatomico:
il pancreas è una ghiandola sia esocrina ( = produce il succo pancreatico) sia endocrina cioè
produce ormoni.
Infatti tra il tessuto ghiandolare esocrino che produce il succo pancreatico, nel pancreas ci
sono dei gruppetti di cellule chiamate isole di Langerhans

le cellule α (alfa) secernono glucagone (che alza la glicemia)


le cellule β (beta) secernono insulina (che abbassa la glicemia)

l’insulina è indispensabile per far entrare il glucosio nelle cellule. Le cellule presentano sulla
loro membrana molte “porte” per far passare il glucosio. L’insulina rappresenta la “chiave”
per aprire queste porte. Senza insulina la cellula non riesce a far entrare il glucosio che le è
portato dal sangue. Se manca l’insulina il glucosio non può entrare nelle cellule e resta nel
sangue, innalzando dunque la glicemia.

E’ considerata normale la glicemia a digiuno fino al valore di 100 mg/dl (milligrammi per
decilitro di sangue =100 cc. Fino a poco tempo fa questo valore era di 100mg/dl)

Criteri diagnostici del diabete mellito (Ministero della salute) Sono i valori che sono
stati stabiliti per porre la diagnosi di diabete mellito.

Valori di glicemia a digiuno uguali o superiori a 126 mg/dl sono sufficienti, secondo
l'American Diabetes Association, a porre diagnosi di diabete.

La diagnosi di Diabete è certa con un valore = a 200 mg/dl, rilevato in qualunque momento
della giornata o due ore dopo un carico di glucosio.

La prova da carico di glucosio è un test che si effettua di solito in ospedale


per fare la diagnosi di diabete mellito. Il test si fa si fa al mattino a digiuno,
facendo bere 75 gr di zucchero sciolti in 250 cc di acqua, ed eseguendo il
prelievo di una goccia di sangue ogni 30 minuti per due ore misurando ogni
volta la glicemia.(vedi più avanti il grafico)

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Situazione di “pre-diabete”: è una situazione riscontrabile per lo più in pazienti in
sovrappeso o obesi, che indica un elevato rischio di sviluppare nel tempo il diabete che
ovviamente hanno ereditato ma non ancora manifestato. Come vedremo più avanti, il
diabete, si manifesterà nel caso il sovrappeso persista . Se questi pazienti, riescono a ridurre
il peso e ad equilibrare l’alimentazione, in genere la glicemia ritorna nei limiti della normalità.

Pertanto nel paziente che non riesce a ridurre il proprio peso e regolarsi con l’alimentazione,
si dice che è in una situazione di pre-diabete quando vengono riscontrati i seguenti valori:

a) i valori sono compresi fra 100 e 125 a digiuno : si parla allora di alterata glicemia
(IFG)

b) Valori di glicemia compresi fra 140 e 200 dopo 2 ore dal carico di glucosio: si parla
allora di ridotta tolleranza al glucosio (IGT). In questo caso l’individuo presenta
un’anomalia nel metabolismo di utilizzazione del glucosio.

Il METABOLISMO del glucosio NEL DIABETICO

Nel soggetto normale il glucosio introdotto con la dieta viene


introdotto dall’insulina nelle cellule che così possono utilizzarlo per
produrre energia.

Nel soggetto diabetico, non essendoci insulina (I tipo) oppure


essendocene poca (II tipo), il glucosio non entra nelle cellule (anche in
quelle del fegato) il fegato "pensando che l'individuo non abbia
mangiato", si comporta come in caso di "digiuno", cioè è costretto a
utilizzare i grassi, per produrre energia.

L’utilizzo dei grassi per produrre energia porta però alla formazione di
prodotti di scarto chiamati CORPI CHETONICI o CHETONI che si
accumulano nel sangue e dovrebbero poi essere smaltiti dal rene.

Quando i chetoni sono prodotti in gran quantità, come nel caso del
diabetico, il rene non riesce a smaltirli man mano che vengono prodotti
per cui la quantità di corpi chetonici nel sangue continua ad aumentare
fino a che diventano tossici per il sistema nervoso, portando
all’evoluzione verso il coma ( chiamato coma chetoacidosico) che
può determinare la morte del soggetto.

TIPI DI DIABETE MELLITO


Esistono vari tipi di diabete mellito che sono così classificati:
- diabete mellito tipo I (o insulino dipendente) (8% dei casi di diabete)
- è una forma prevalentemente infantile-giovanile, richiede il trattamento insulinico sin
dall'inizio perché c’è la mancanza totale dell’insulina
- Attualmente è stato individuata una nuova forma di diabete chiamato DIABETE LADA,
che in pratica è un diabete di tipo I (perciò insulino- dipendente) che compare in età
adulta.

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- diabete mellito tipo II (o non insulino dipendente)(90% dei casi di diabete,
qui c’è una parziale mancanza di insulina che è anche poco efficace.
è caratteristico dell’età adulta-senile, tipicamente associato a sovrappeso,
dislipidemia ed ipertensione, ed è controllabile per anni con la dieta, l’esercizio
fisico o gli ipoglicemizzanti orali; in tale forma il trattamento insulinico si rende
necessario spesso, ma non sempre, dopo un certo numero anni di malattia
- con obesità 85%
- senza obesità 15%

- altri tipi di diabete (2% )


- A) Diabete che si manifesta in gravidanza)

- B) diabete che si manifesta in seguito a somministrazioni di farmaci


ormonali o a squilibri ormonali

PATOGENESI DEL DIABETE MELLITO TIPO I (insulinodipendente)


Da oltre 40 anni sappiamo che questo tipo di diabete è causato dalla distruzione
progressiva con un meccanismo autoimmune delle cellule pancreatiche delle
isole di Langerhans che producono l'insulina. Sembra infatti accertato, da ultime
ricerche che i Linfociti si scatenino contro le cellule beta delle Isole di Langerhans
del pancreas (quelle che producono l’insulina) distruggendole a poco a poco.

Questi Linfociti un po’ “deboli di memoria” sembra che si ereditano; poi, in seguito a
un'infezione virale (varicella, parotite, morbillo), vengono modificati dal virus e non
riconoscono più come self le cellule β del pancreas e iniziano a distruggerle. In
questo modo il soggetto produce sempre meno insulina fino ad arrivare nel giro di
qualche mese a non produrla più.
Il diabete di tipo I compare di solito in età giovanile, ma può comparire anche più
avanti.

I primi sintomi sono:

sete intensa (per l'abbondante emissione di urina)

- urina abbondante (= poliuria) perchè si eliminano tanti zuccheri con le urine;


gli zuccheri trattengono per osmosi l’acqua (e questo comporta
l'emissione di tanto liquido)

- stanchezza (mancando lo zucchero dentro la cellula, questa non può produrre


energia)
- fame abbondante (la cellula non può utilizzare lo zucchero) ed è come se
non si nutrisse,

- prurito in zona anale o genitale e aumentata frequenza delle infezioni.


- pelle secca

- Se questi sintomi non sono individuati in tempo, si aggiunge un


dimagramento nonostante una fame ed una alimentazione abbondante.
Infatti le sue cellule non potendo procurarsi l’energia dagli zuccheri, se la
procurano “smontando i grassi”. Questa reazione chimica porta purtroppo
all’inconveniente di produrre un prodotto di scarto chiamato acetone (= è
91
chiamato anche “corpi chetonici”). Se anche il sintomo del dimagrimento
non viene riconosciuto, i corpi chetonici salgono quindi di valore nel sangue e
si comportano come una tossina e vanno a intossicare il Sistema Nervoso
Centrale, portando al coma chetoacidosico.

Se invece il medico, analizzando i sintomi sospetta la presenza del diabete,


tramite la misura della glicemia e dalla curva da carico di glucosio ha la
conferma diagnostica e procede quindi ad instaurare la terapia .

Diagnosi di diabete mellito:


- dal riscontro di una glicemia superiore a 200 mg/dl (indipendentemente se il
paziente è a digiuno o no.
• Da una glicemia a digiuno superiore a 126 mg/dl. Il digiuno è definito come
mancata assunzione di cibo da almeno 8 ore.
• Dalla prova da carico di glucosio (vedi più avanti). Questa prova è l’esame
principale per la diagnosi certa e riesce a chiarire anche tutti i casi che non sono
così evidenti.

Terapia del diabete mellito tipo I:


La terapia si basa:
- iniezione di insulina
- dieta
- esercizio fisico

L’insulina viene inoculata dal soggetto stesso nel tessuto sottocutaneo in dosi
rigorosamente prescritte dal medico.

Esistono 5 tipi di insulina, con azione da rapida a lenta. L’insulina è infatti classificata in
base al tempo in cui agisce nell’organismo. Ogni persona è differente e risponde
diversamente all’insulina. Pertanto molte persone richiedono quantità diverse di insulina ad
azione sia rapida che lenta:
- insulina ad azione rapida: l’azione inizia dopo 30 minuti e dura 4-6 ore
- insulina ad azione intermedia: l’azione inizia dopo 90 minuti e dura 12-24 ore
- insulina ad azione lenta: l’azione inizia dopo 4-6 ore e dura 30-36 ore

L'insulina viene somministrata in varie modalità:


• Siringhe per insulina

• Dispositivi insulinici • Sono delle siringhe a forma di penna di diversa forma e misura.
Nel dispositivo viene inserita una cartuccia di insulina e si monta l’ago che viene inserito
nuovo ad ogni iniezione. Quando la cartuccia si esaurisce, ne viene inserita una nuova.

• Pompa insulinica La pompa insulinica è un piccolo dispositivo programmabile (delle


dimensioni di un cellulare) che contiene un serbatoio di insulina. La pompa è
programmata per distribuire l’insulina nell’organismo tramite un tubo di plastica detto
infusore. La pompa viene indossata esternamente al corpo, in un marsupio o sulla
cintura. L’infusore è dotato di un ago sottile o di una cannula flessibile che viene inserito
appena sotto la pelle (di solito nell’addome) dove rimane per due-tre giorni.
. Quando si mangia, la pompa è programmata per rilasciare un picco di insulina
nell’organismo, simile all’azione del pancreas nelle persone che non soffrono di diabete.
Tra i pasti viene rilasciata una quantità piccola e costante di insulina.
La pompa per insulina non è però adatta a tutti.

LA DIETA:
L'obiettivo è mantenere il peso corporeo reale e deve essere sempre in stretto
rapporto con l'insulina assunta seguendo alla lettera le prescrizioni del
diabetologo che imposta la quantità e l'orario dei pasti e l'orario della relativa
iniezione di insulina che è dosata sulla quantità di alimenti assunta.

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Non si può assolutamente cambiare la quantità prescritta di cibo per ogni pasto
perchè l'insulina iniettata prima del pasto è dosata per la quantità di cibo che
bisogna assumere e, se si cambia il pasto, potrebbe perciò essere troppa o
troppo poca con rischiose conseguenze.

La dieta deve contenere:


60% di zuccheri complessi (amidi ecc.) perchè costringendo l'organismo
alla lenta digestione si impedisce un rapido aumento della glicemia.
25% di grassi
15%di proteine
Si raccomanda l'apporto di fibre vegetali che in ogni caso servono a rallentare
la digestione e di conseguenza un rialzo troppo rapido della glicemia.
Gli zuccheri semplici (dolci, gelati) se consentiti in alcuni casi (ad es. nei
bambini) vanno somministrati alla fine dei pasti per ritardarne l'assorbimento.

L’ESERCIZIO FISICO:
Si può svolgere qualsiasi attività fisica come un soggetto normale, a patto
di alimentarsi adeguatamente secondo schemi prescritti.
Non si può improvvisare un'attività fisica, ma questa deve essere programmata
per poterne valutare il dispendio calorico ed alimentarsi di conseguenza.

Il buon controllo della glicemia permette di ridurre il rischio delle complicanze acute e croniche.

PATOGENESI DEL DIABETE MELLITO TIPO II (non


insulinodipendente) rappresenta circa il 90% dei casi di diabete e ne soffrono circa 16
milioni di persone

Le cause del diabete mellito tipo II:


alla base dell’insorgenza della malattia c’è l’ereditarietà alla quale concorrono
più geni.
Questi pazienti ereditano quindi:
a) un ridotto numero di cellule delle isole di Langerhans con la conseguenza di
una ridotta secrezione di insulina.

b) L’insulina che viene prodotta è “difettosa” per cui non riesce a compiere
completamente la sua azione sulle cellule di alcuni organi ( in
particolar modo del tessuto adiposo) che fanno quindi molta
difficoltà ad utilizzare il glucosio

Lo sviluppo del diabete di tipo 2 quindi, è spesso legato all’obesità. Nell’obesità le cellule
del tessuto adiposo hanno bisogno di zucchero per vivere, tanto maggiore è il numero di cellule
da alimentare tanto maggiore sarà il fabbisogno di insulina., che tra l’altro, non “compie bene il
suo lavoro” sul tessuto adiposo.
Nelle persone obese, quindi, l’insulina viene prodotta ma non in quantità sufficiente. Questa
ridotta sensibilità fa sì, che per un meccanismo a feed-back, le isole di Langerhans siano
stimolate a "spremersi" di più per mandare più insulina in circolo. Questa condizione maschera
così la comparsa precoce del diabete in giovane età .

Questo spiega perchè il diabete dell'adulto obeso migliora se il soggetto si sottopone ad una dieta
e dimagrisce.

Anche la vita sedentaria, lo stress e alcune malattie sono fattori ambientali scatenanti. Esse
impongono al pancreas, che già per l’ereditarietà produce meno insulina, un lavoro aggiuntivo

93
poiché aumentano il fabbisogno di glucosio e quindi di insulina.

Anche l’età gioca il suo ruolo: l’invecchiamento dell’organismo si riflette sulla funzionalità di
tutti gli organi, non ultimo il pancreas che, invecchiando, non è più in grado di rispondere
prontamente alla richiesta di insulina ricevuta.

La persona affetta da diabete di tipo 2 è quindi generalmente una persona della seconda o terza
età, con un peso superiore a quello ideale.

Nel diabete mellito di tipo II i sintomi non appaiono generalmente evidenti


come nel diabete di tipo 1 e vengono spesso trascurati dai pazienti che imputano
all'età alcuni segnali che comunque ci sono:

Questi sintomi, spesso trascurati, sono:


• sensazione di stanchezza,
• frequente bisogno di urinare anche nelle ore notturne,
• sete inusuale (=cioè che il paziente non era abituato ad avere),
• problemi alla vista (solo nel diabete avanzato che ha già creato danni oculari))
• aumentata frequenza di infezioni cutanee e lenta guarigione delle ferite (solo nel
diabete avanzato).

A causa di questa sintomatologia così leggera, la scoperta del diabete di tipo II può
avvenire in modo del tutto casuale, ad esempio durante un check-up oppure o in
concomitanza con una situazione di stress fisico causato da infezioni oppure in
occasione di interventi chirurgici.

Teniamo presente che il diabete di tipo II colpisce prevalentemente soggetti adulti obesi
ed i sintomi rimangono mascherati per molti anni fino alla comparsa di una complicanza
cardiaca o retinica. Facilmente questi pazienti soffrono anche di aterosclerosi e di
ipertensione arteriosa.

La diagnosi di questa forma di diabete, pertanto, può essere anche molto tardiva
(mesi o anni) ed è effettuata quando compaiono già le gravi conseguenze di un diabete
trascurato perché non conosciuto.
Queste gravi conseguenze sono a livello oculare, renale, dermatologico, nervoso.

A volte la diagnosi viene sospettata perchè il primo segno è dato da infezioni cutanee:
foruncolosi, micosi ecc.

Principi di terapia:

- dieta per calare di peso (a volte è sufficiente a risolvere la situazione)


in ogni caso la dieta deve essere ripartita in almeno 3 pasti giornalieri con una
suddivisione di:
60% di zuccheri complessi (amidi ecc) perchè costringendo l'organismo alla lenta
digestione si impedisce un rapido aumento della glicemia.
25% di grassi
15%di proteine
Si raccomanda l'apporto di fibre che in ogni caso servono a rallentare la digestione.

- antidiabetici orali (compresse) che stimolano le cellule pancreatiche a secernere più


insulina. Teniamo presente che un sovradosaggio di questi farmaci può portare a coma
ipoglicemico (vedi diabete tipo I).
Gli antidiabetici orali presentano degli effetti collaterali e subiscono l'interazione con altri
farmaci di frequente uso negli anziani.

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- solo tardivamente, quando le cellule pancreatiche si sono esaurite si può arrivare a
somministrare insulina.

L'esercizio fisico:
Una attività fisica intensa e isolata fa salire la produzione di chetoni perchè lo zucchero è
consumato subito dai muscoli ed il fegato è costretto a demolire i grassi.
Un progressivo e costante allenamento, fa produrre invece più insulina migliorando
invece la situazione.
Bisogna tener presente che questi pazienti sono in genere anziani e magari cardiopatici,
per cui su eventuale consiglio medico, si raccomanda un programma di esercizio fisico
condotto con regolarità e continuità, scegliendo esercizi di facile esecuzione, da
attuarsi possibilmente tutti i giorni per 30-60 minuti.

Il percorso terapeutico si basa anche sull’educazione del paziente e della famiglia:


- informazione corretta sulla natura della malattia e sulla terapia
- istruzioni precise sulla somministrazione di insulina, sulle norme igieniche, sulla dieta,
sui primi segni di iperglicemia o ipoglicemia
- adesione ad Associazioni che fanno riunire pazienti, medici e famiglie e specie per i
pazienti giovani organizzano incontri e campi-scuola dove la malattia si impara a
viverla con normalità.

Patogenesi del diabete gestazionale (= diabete della gravidanza).


Si definisce diabete gestazionale ogni situazione in cui si misura un elevato livello di glucosio
circolante per la prima volta in gravidanza. Questa condizione si verifica nel 4-10% circa delle
gravidanze.

Durante il II mese di gravidanza la placenta produce parecchi ormoni che possono bloccare
l’azione dell’insulina materna e, nella madre, sale così la glicemia. L’iperglicemia passa attraverso
la placenta e passa al feto. Nel feto c’è un aumento di produzione di insulina per smaltire lo
zucchero in eccesso. In questo modo le cellule fetali vengono iperalimentate e c’è il conseguente
aumento di peso fetale.(fino a 5 Kg)

In questo modo durante la gravidanza la madre può subire le conseguenze tipiche del diabete,
mentre il feto subisce le conseguenze dell’eccesso di peso (problemi cardiaci, epatici ecc).

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Parametri di valutazione e di controllo del diabete mellito:
Sono gli esami che un paziente diabetico deve eseguire e che danno la misura se il diabete
è sotto controllo o meno.

1) peso corporeo
E' un parametro importante perchè dà l'idea se l'alimentazione è sufficiente, troppa o scarsa, o se
l'insulina, che fa assimilare gli zuccheri, è giustamente dosata, o data in più o in meno.

Come abbiamo visto nei due tipi di diabete:


nel diabete mellito tipo I il soggetto deve recuperare il peso forma
e poi mantenerlo
nel diabete mellito tipo II il soggetto deve, essendo obeso, calare
di peso.

Se ad un controllo di un diabetico di tipo II si riscontra un aumento di peso, questo è un chiaro segnale


che il paziente non sta controllando il suo diabete e potrà andare facilmente incontro alle gravi
conseguenze croniche

2) la glicemia ( è l’esame più importante e viene eseguito anche più volte nella giornata
ogni qualvolta si vuol sapere a che livello è la glicemia: Nel diabete di tipo uno serve anche
per impostare la quantità di insulina da somministrare)

Il livello di glucosio nel sangue è il risultato dell'equilibrio di molti fattori: la quantità di glucosio
assorbita dall'intestino, quella assorbita e rilasciata dal fegato, quella utilizzata dalle cellule
della periferia (tessuto muscolare, adiposo, cutaneo, nervoso ecc) e quella eventualmente
persa con le urine.

La glicemia al mattino dopo 12 ore di digiuno è compresa tra 70-


100mg/100ml. (recentemente questo valore è stato modificato da 110 a 100mg/100ml)

Dopo i pasti la glicemia si alza per poi scendere lentamente ma non arriva mai a superare il
valore di 180 mg/100ml.

Inoltre vi sono molti ormoni che agiscono sulla glicemia durante tutta la giornata:
- insulina ---------------------- abbassa la glicemia

- glucagone
cortisolo(cortisone) ---- alzano la glicemia
adrenalina

Il glucagone, il cortisolo( = cortisone) e l’adrenalina sono ormoni che vengono


prodotti per combattere lo stress per cui fanno alzare la glicemia (NB: durante lo
stress serve più zucchero per mettere in atto i meccanismi per controllarlo) . Questo
spiega perché le situazioni di stress rendano instabile un diabete.

Per questi motivi la glicemia non può restare sempre la stessa per ogni momento della
giornata ma può variare in relazione alle necessità energetiche dell'organismo ed agli ormoni
che in quel momento la influenzano.

A livello domiciliare la glicemia si può misurare prelevando una goccia di


sangue dal dito, porla su una strisciolina imbevuta di reattivo chimico e
analizzandola con un glucometro portatile (la macchinetta che viene data
in dotazione ai diabetici) o confrontandola con una scala colorimetrica.

96
3) la prova da carico di glucosio
è l’esame che serve per fare la diagnosi sicura di diabete mellito quando i valori della glicemia
sono dubbi e non è molto chiaro se un paziente è diabetico oppure no. Consiste nel disegnare su un
grafico una curva che esprime le variazioni della glicemia in seguito all’assunzione di zucchero.
Si fa al mattino a digiuno, facendo assumere 75 gr di zucchero sciolti in 250 ml di acqua (=250cc),
eseguendo un prelievo di sangue prima della somministrazione poi ogni 30 minuti per due ore
misurando ogni volta la glicemia. Questi dati vengono riportati su un grafico e unendoli viene costruita
una curva. Dal disegno sottostante si vede chiaramente la differenza del comportamento della
glicemia nel paziente normale e nel paziente diabetico.

Dal grafico si vede che la glicemia di un soggetto normale sale in poco tempo e poi
discende rapidamente ma il suo valore massimo non raggiunge mai il valore di
180mg/100ml.

Nel diabetico in cui l'insulina viene ad essere ridotta come quantità o alterata come azione,
la glicemia a digiuno è sempre superiore a 110 mg/100ml e dopo l'assunzione di glucosio
(prova da carico di glucosio) la curva del profilo glicemico è più alta (supera i 180
mg/100ml) e più larga del normale.(cioè scende più lentamente)

3) la glicosuria (è la presenza di zucchero nell’ urina)


Il rene normalmente non lascia passare il glucosio dal glomerulo. Se il valore della glicemia
sale sopra i 180 mg/100 ml, il rene lo lascia passare dalle sue maglie ed avremo allora la
glicosuria.

Trovare glucosio nell'urina vuol dire che tra la minzione precedente e l'attuale, la glicemia ha
superato il valore di 180 mg/100ml almeno per un certo periodo ed il rene ha dovuto
smaltirla.
In generale nei diabetici è sufficiente la ricerca della glicosuria (=glucosio nell'urina)
nell'urina raccolta per 24 ore per vedere se in tutta la giornata la glicemia non ha mai
superato la soglia renale dei 180 mg.
Anche la glicosuria si può controllare a domicilio mediante striscie reattive che vengono
imbevute di urina e confrontate con una scala colorimetrica.

Ripetiamo: la glicosuria non dice mai quant'è il valore della glicemia, ma mi dice che nel
periodo nel quale si è formata quell'urina (dalla minzione precedente all'attuale) la glicemia si
è innalzata per qualche tempo (che non si riesce a sapere però con precisione) sopra il valore
di 180 mg/100ml.

Avere una glicosuria alta ha il significato che il rene è stato sottoposto a grande lavoro per
eliminare una glicemia che per molto tempo è rimasta sopra il valore di 180 mg/100ml, per
cui quel rene è stato sottoposto ad un lavoro supplementare che alla lunga rovina i nefroni.

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4) La Chetonuria:
é la presenza di corpi chetonici nell'urina.
I corpi chetonici sono dei prodotti tossici di scarto che si formano quando per
produrre energia vengono utilizzati i grassi invece degli zuccheri.

Nella persona normale l'energia delle cellule viene ottenuta utilizzando gli zuccheri, mentre i grassi
vengono utilizzati raramente, cioè solo quando non si introducono zuccheri (ad es. durante una dieta
per dimagrire), per cui nell’urina i corpi chetonici non sono presenti oppure se ne possono essere delle
piccole tracce.

Nel diabetico invece, la carenza di insulina impedisce di usare sempre gli zuccheri, ed allora vengono
prevalentemente usati i grassi con conseguente aumento del valore di corpi chetonici che ritroviamo
nell'urina. La chetonuria si riduce se il diabetico riesce ad abbassare la glicemia con la giusta dose di
insulina.
Pertanto avere la chetonuria alta ha significato di un diabete che è poco tenuto sotto controllo
(poca insulina), e se la situazione continua si arriva in breve tempo all’avvelenamento del
cervello ad opera dei corpi chetonici (= coma chetoacidosico).

NB: Le donne diabetiche in gravidanza devono produrre meno corpi chetonici


possibili, perchè si sono dimostrati teratogeni (= inducono malformazioni) per il feto,
soprattutto nelle prime settimane di gestazione.

5) emoglobina glicata
è la percentuale di emoglobina che si lega al glucosio

Nel soggetto normale l’emoglobina contenuta nei globuli rossi serve a legare
l’ossigeno. Una piccola parte di emoglobina però lega anche una piccola percentuale
di glucosio che circola nel sangue. Tale reazione chiamata glicosilazione porta alla
formazione di emoglobina glicata (= emoglobina che ha legato anche il glucosio).
Nel soggetto normale è del 4%.

Si è scoperto che quanto più glucosio c'è nel sangue, tanta più emoglobina glicata si
formerà e per questo motivo i globuli rossi del diabetico ne contengono una
quantità più alta che nel soggetto normale.

Poichè i globuli rossi rimangono nel sangue dai 3 ai 4 mesi prima di essere distrutti
dalla milza ed essere sostituiti da elementi più giovani, tale esame dà indicazione
della media del valore di glicemia dei due/tre mesi precedenti il prelievo, per
cui dà delle informazioni al medico di quanto il paziente è riuscito a tener controllato il
proprio diabete.

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LE COMPLICANZE ACUTE DEL DIABETE
( LE EMERGENZE: POSSIBILITA' DI PREVENZIONE)

Nel diabetico possono verificarsi in breve tempo diversi tipi di emergenze. Le


più frequenti sono:
- - l'ipoglicemia che può giungere fino al coma ipoglicemico
- - la chetoacidosi che può arrivare fino al coma chetoacidosico
- - il coma iperosmolare

1) IPOGLICEMIA
é la complicanza più comune e più pericolosa nel diabetico che assume insulina o
ipoglicemizzanti orali.
Si parla di ipoglicemia quando la glicemia scende sotto i 60mg/100ml.

Da tener presente che l'ipoglicemia può instaurarsi gradatamente ma anche in


modo rapidissimo.

L’ipoglicemia determina un notevole malessere al paziente e, in alcuni casi,


richiede l’assistenza di altri e talora l’ospedalizzazione. Una severa ipoglicemia,
nel soggetto fragile e con altre malattie, può risultare fatale. Da qui la necessità
di addestrare il paziente, i suoi familiari, e gli operatori a riconoscere
l’ipoglicemia e a correggerla prontamente.

NB: L'ipoglicemia si manifesta con una sintomatologia variabile da soggetto a


soggetto, ma abitualmente costante da soggetto a soggetto; ciò permette al diabetico
di riconoscerla immediatamente e di mangiare impedendo che si aggravi e porti il
paziente al coma ipoglicemico che può portare a morte il paziente.

Meccanismo con cui si instaura l’ipoglicemia grave:


Nella persona normale, quando si instaura una ipoglicemia , si innescano dei
meccanismi automatici di compenso ad opera di ormoni (cortisolo, glucagone,
adrenalina, ormone della crescita,) che tendono a riportarla a valori normali e
innescano delle reazioni di avvertimento (agitazione, senso di fame) che fanno sì
che il soggetto mangi.

Nel diabetico che va in ipoglicemia, gli stessi ormoni all’inizio della malattia
azionano dei sintomi di allarme: pallore, agitazione, sudorazione, ansietà, fame,
ma progredendo la malattia questi segnali di allarme non vengono avvertiti dal
paziente e c’è il rischio che l'ipoglicemia si prolunghi fino al coma.

Quale è la causa per cui il diabetico va in poglicemia?:

• errori di terapia (troppa insulina)


• accumulo di farmaci ipoglicemizzanti orali (insufficienza epatica o renale, età avanzata)
• ridotto assorbimento intestinale dello zucchero (vomito, diarrea, salto dei pasti)
• esercizio fisico eccessivo non preventivato oppure anche dopo un esercizio fisico
normale se il paziente ha mangiato meno del solito
• malattie febbrili concomitanti (influenza, polmonite, ecc) che fanno consumare più
glucosio del normale
• alla fine di uno stress (capita anche nella persona normale)

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sintomi dell'ipoglicemia sono:

• pallore,

• sudorazione

• senso di fame

• ansia e stato di agitazione

• tremori, difficoltà a parlare, vista annebbiata

• in breve compare sonnolenza, confusione mentale fino alla perdita di


coscienza e al coma.

Cosa fare in caso di ipoglicemia:

nei casi lievi:


basta somministrare piccole quantità di zucchero, bevande zuccherate,
frutta:
ad esempio: 2 o 3 caramelle fondenti, tre zollette di zucchero o 3
bustine di zucchero sciolte in acqua, un cucchiaione di miele o di
marmellata, un bicchierone di coca cola o altra bibita zuccherata,
un succo di frutta. Tutto questo si può e si deve fare se il paziente
è cosciente e può deglutire da solo.

nei casi più gravi (e solo se il paziente è incosciente o non è in grado di


deglutire gli zuccheri che gli sono forniti) si può praticare l'iniezione
intramuscolare di GLUCAGONE, (di solito viene fornito al paziente da
conservare in frigorifero per le emergenze e i parenti o chi accudisce il
pazienze devono poterne avere accesso). che di solito risolve la
situazione in 5-6 minuti. In ogni caso, sia che si pratichi l'iniezione di
glucagone oppure no, si deve sempre far intervenire il medico del 118 )
perché l'ipoglicemia grave è sempre un'emergenza importante.

E' necessaria soprattutto un'educazione adeguata dei pazienti diabetici, dei loro
famigliari, e del personale di assistenza affinché possano riconoscere i primi
segni di ipoglicemia, e verificarlo subito con il GLUCOMETRO (la macchinetta
per misurare la glicemia).

NB: Quando un diabetico sta male, nel dubbio, non avendo il


glucometro che mi dice se si tratta di ipoglicemia o di iperglicemia, dare
sempre zucchero: se era una ipoglicemia si risolve, se è una
iperglicemia, non si peggiora più di tanto e si provvederà a
ospedalizzare il soggetto.

100
2) CHETOACIDOSI DIABETICA
E' la più classica, anche se non la più frequente complicanza del diabete mellito tipo I dove
c'è la mancanza di insulina, ma può verificarsi anche nel diabete mellito tipo II soprattutto
quando c'è la fase finale di "sfiancamento" delle cellule pancreatiche produttrici di insulina.

Se non si interviene in tempo con insulina e reidratazione (ovviamente in ambiente


ospedaliero) la chetoacidosi progredisce fino al coma chetoacidosico caratterizzato da
un -respiro profondo e frequente (=respiro di Kussmaul) e -stato di torpore fino al coma e alla
morte del paziente.

Patogenesi (= come si instaura) la chetoacidosi:


la mancanza di insulina obbliga le cellule ad utilizzare i grassi come fonte di energia e questo
processo porta alla formazione di prodotti di scarto chiamati CHETONI che vengono smaltiti
dal rene. Quando i chetoni sono prodotti in gran quantità, come nel caso del diabetico, non
riescono ad essere smaltiti dal rene, restano perciò nel sangue e sono tossici per il sistema
nervoso, provocando il coma.
Si pensi che il livello dei chetoni nel sangue è talmente alto che vengono eliminati oltre che
con le urine (=chetonuria) anche con il respiro (=alito acetonico)

Cause scatenanti la chetoacidosi:


- diabete non ancora diagnosticato (la chetoacidosi è l’evento che portando il
paziente al ricovero ospedaliero) permette la diagnosi del diabete di tipo I
- prolungata assunzione di poca insulina rispetto a quella che sarebbe necessaria
- malattie concomitanti (polmonite, influenza, interventi chirurgici, ecc)
- uso prolungato di farmaci che alzano la glicemia (cortisone, adrenalina, glucagone,
ecc)
- alimentazione eccessiva

NB: in genere il paziente, viene addestrato a controllarsi la glicemia e a tenere d'occhio le


cause scatenanti per evitare di arrivare alla chetoacidosi.

Sintomi della chetoacidosi: segni visibili della chetoacidosi

- poliuria - cute secca e non elastica


- sete intensa con bocca secca - lingua patinosa
-malessere generale e stanchezza - respiro frequente
- cefalea, disturbi della vista - polso frequente
- pressione bassa
- nausea e vomito (a volte c'è perfino
- alito acetonico (si sente anche prima
febbre)mancanza di appetito che il paziente vada in coma

Gli esami mostrano:


- glicemia molto alta
- chetoni alti sia nel sangue che nelle urine (chetonuria)

Il trattamento della chetoacidosi è ovviamente effettuato in struttura ospedaliera e si


basa sulla somministrazione di insulina, sulla somministrazione di liquidi e sulla
disintossicazione dai chetoni.

101
3 ) COMA IPEROSMOLARE NON CHETOSICO
E’ una condizione di grave scompenso metabolico che si instaura nel diabetico
di tipo 2 mal controllato, nel quale la glicemia alta porta ad una glicosuria e
perdita di liquidi con conseguente bisogno di introdurre acqua.

Se l’introduzione di liquidi è diminuita, (perché il paziente anziano non riesce a


bere, vive da solo e non sentendo la sete non sente il bisogno di bere, oppure è
allettato e non può assumere liquidi perché non gliene vengono offerti, si
produce un grave stato di disidratazione delle cellule, specialmente di quelle
cerebrali e questo porta ad una sofferenza neurologica che può spingersi fino al
coma.

In alcuni pazienti, l'evento scatenante è costituito anche da interventi chirurgici


oda una grave infezione (tipo una bronco-polmonite che aumenta la perdita di
liquidi a causa della febbre.

. Ne consegue una grave sintomatologia neurologica dovuta alla disidratazione


delle cellule.

I primi sintomi consistono in uno stato confusionale, cui consegue abbastanza


rapidamente il coma.

Possono aversi anche altri sintomi neurologici come convulsioni o


deficit motori.

Gli esami di laboratorio mostrano alta glicosuria in assenza di corpi


chetonici nelle urine e glicemia estremamente elevata (di solito sopra i 1000
mg/dl, circa il doppio dei valori nel coma chetoacidosico

LE COMPLICANZE CRONICHE DEL DIABETE


Il diabete porta, con il passare degli anni (10-15 anni) a gravi complicanze tardive di
tipo degenerativo a carico di vari organi o apparati:

- sistema nervoso periferico sia cutaneo che autonomo (=neuropatia


diabetica)

- occhio,

- rene,

- sistema cardiovascolare (MICROANGIOPATIA e la MACROANGIOPATIA).

Una buona gestione della terapia antidiabetica ed uno stretto controllo della glicemia,
dell’emoglobina glicata, della pressione del sangue e dei lipidi nel sangue, porta a far
sì che tali complicanze si manifestino il più tardi possibile.

102
a) MICROANGIOPATIA DIABETICA
per effetto dell'iperglicemia persistente si lesionano le arteriole, i capillari e le venule
limitando così la circolazione sanguigna e portando così i tessuti ad essere meno
ossigenati
In questo modo si spiega perchè le ferite ritardino la guarigione

b) NEUROPATIA DIABETICA
Consiste in lesioni alle terminazioni dei nervi periferici interessando anche il
sistema autonomo.

I nervi periferici collegano il cervello ed il midollo spinale con i vari organi periferici:
ossa, articolazioni, muscoli, pelle. Attraverso questa via passano le varie sensibilità
dalla periferia al cervello ed i comandi del movimento dal cervello alla periferia.

Il sistema nervoso autonomo comanda e riceve informazioni da tutta la muscolatura


della circolazione involontaria sanguigna per cui da essa dipendono i vasi sanguigni, il
controllo del battito cardiaco, della pressione arteriosa, dell'attività intestinale, della
secrezione delle ghiandole, delle funzioni sessuali.

SINTOMI DI LESIONE DEL SISTEMA NERVOSO SENSITIVO-MOTORIO periferico:


Nel caso di gravi forme di neuropatia, la mancanza di sensibilità e le alterazioni della
circolazione sanguigna (per la microangiopatia) sono i due fattori critici che
promuovono infezioni anche gravi a livello cutaneo.

Inizia con formicolii o sensazione di punture di spillo a livello dei piedi o delle
gambe accompagnati da dolore spontaneo o provocato da modica palpazione dei
muscoli.
Segue perdita della sensibilità al dolore e al tatto e sensazione di camminare su
moquette o cotone o debolezza muscolare..
Raramente però possiamo avere una localizzazione alle mani.

Il diabetico sviluppa facilmente lesioni al piede determinando il quadro del


PIEDE DIABETICO.!

La microangiopatia diabetica e la riduzione della sensibilità dovuta alla neuropatia a


carico dei piedi altera il normale trofismo (=la normale nutrizione) del piede e
compaiono facilmente distrofie ungueali, callosità, e piccole ulcere che non sono
avvertite dal paziente. Inoltre non sono avvertiti dal diabetico piccoli traumi causati da:
• calzature strette,
• passeggiate prolungate,
• pediluvi troppo caldi,
• termofori,
• traumatismi dovuti al taglio delle unghie
• uso di callifughi o altri agenti chimici,
• infezioni da funghi, ecc.
. I difetti di circolazione e l'alta concentrazione di zucchero nel sangue, associati alla
malattia, promuovono l'estensione di queste piccole ferite che diventano lesioni
ulcerative pericolose, che in ogni caso guariscono difficilmente ed in modo
lentissimo; possono ulcerarsi e infettarsi in modo tale da sviluppare la gangrena, che
rende necessaria l'amputazione dell'arto.
La gangrena è l’invasione di un tessuto, nel quale la circolazione arteriosa è ridotta o
assente, da parte di batteri che producono sostanze tossiche che vengono assorbite
dai tessuti e possono portare alla morte.

NB:Teniamo conto che il diabetico va incontro a problemi aterosclerotici che


peggiorano tra l'altro la circolazione agli arti inferiori

103
La prevenzione delle ulcerazioni ai piedi è estremamente importante e consiste in :

- ispezione e igiene quotidiana dei piedi facendo attenzione a non provocare


traumi, ferite, sfregamenti eccessivi (il diabetico non sente dolore)
- controllando prima la temperatura dell'acqua di lavaggio (il diabetico non si
accorge se è calda)
- scegliendo scarpe comode, ed esaminando le scarpe prima di infilarle (il
diabetico non si accorge se sono strette, se contengono sassolini,
pieghe delle fodere, ecc) ed evitando le pieghe dei calzini.
- proibendo l'uso dei termofori e scaldini in genere (il diabetico non si accorge
se scottano
- segnalando qualsiasi alterazione della cute.

SINTOMI DI LESIONE DEL SISTEMA NERVOSO-AUTONOMO


La neuropatia diabetica lesiona anche il sistema nervoso autonomo (il sistema
nervoso che innerva e riceve informazioni dagli organi interni cioè quelli dotati di
muscolatura involontaria). Questa è una complicanza frequente della malattia
diabetica che di solito è tardiva ma nei pazienti anziani può manifestarsi molto
precocemente.

I sintomi sono:

Diarrea (per aumento della peristalsi), che può durare molti giorni

stipsi (per riduzione della peristalsi)

vomito (per riduzione della motilità dello stomaco

vertigine e/o senso di svenimento nel momento dell'alzarsi dal letto.

impotenza sessuale (si instaura in mesi o anni ) e a volte la causa non è


diabetica ma psicologica

disturbi urinari con minzioni sempre più rade con rischio di infezioni urinarie
e incontinenza da rigurgito

sudorazione abbondante in alcuni distretti del corpo e assente in altri

perdita della capacità di accorgersi dell'ipoglicemia (non sentono il senso


di fame, non hanno sudorazione, non hanno tremori, per cui perdono la
possibilità di assumere in tempo gli zuccheri. Senza questi campanelli
d'allarme l'ipoglicemia può proseguire verso un coma ipoglicemico.

La prevenzione e la terapia di queste complicanze , oltre a farmaci prescritti


dal diabetologo si basa sull'astensione dal fumo, dall'alcol (per favorire la
circolazione sanguigna nella periferia, sul buon controllo della pressione e del
diabete in genere.

104
c) LA NEFROPATIA E LE INFEZIONI DELLE VIE URINARIE
Il diabete rappresenta una delle cause più frequenti di insufficienza renale
che impone il trattamento di dialisi.

La nefropatia è la compromissione anatomica e funzionale del rene che si sviluppa


lentamente in un tempo fra i 15 e 25 anni di durata del diabete e ne rappresenta una
grave conseguenza.
E' dovuta al superlavoro a cui è costretto il rene durante il diabete perchè deve filtrare
in modo esagerato il glucosio e alla sofferenza stessa delle cellule del glomerulo renale
dovuta al diabete stesso cioè alla mancanza di glucosio.
A tutto ciò può aggiungersi l'ipertensione arteriosa che già di per sé può lesionare il
rene.
Sintomi:
• Il segno che rivela in modo iniziale la compromissione del rene è l’albuminuria
(cioè la perdita di albumina con l'urina ) con segni conseguenti: EDEMI
(ricordiamo che l’albumina è la proteina del plasma che richiama nei capillari i
liquidi fuoriusciti nei tessuti)
• aumento della creatininemia (= è una proteina che se il rene non funziona viene
lasciata filtrare dal glomerulo senza poi essere riassorbita nel tubulo del nefrone)
• ipertensione arteriosa
• evoluzione lenta verso l'insufficienza renale cronica
Terapia:
tentare di controllare bene il diabete e la pressione arteriosa

LE INFEZIONI DELLE VIE URINARIE


Nei diabetici non è solo il rene ad essere coinvolto ma anche le vie urinarie. Il motivo è
da ricercare nella riduzione dei meccanismi di difesa del diabetico, e la presenza di
glucosio nelle urine che rappresenta un terreno di coltura ideale per lo sviluppo delle
infezioni.
A tutto ciò si aggiunge la neuropatia diabetica che impedendo il normale svuotamento
della vescica (lesione al sistema nervoso autonomo) favorisce il ristagno di urina nella
vescica favorendo così lo sviluppo di germi.

Le donne, avendo l'uretra più corta rispetto ai maschi, sono più soggette a infezioni che si propagano
all'uretra provenendo dalla vagina.

Possiamo quindi avere: cistiti-uretriti- cistopieliti acute o croniche.

Norme di prevenzione delle patologie infettive delle vie urinarie:


• buon controllo del diabete
• igiene intima quotidiana
• assunzione abbondante di liquidi
• curare subito le patologie delle vie urinarie.

Prevenzione della nefropatia


È possibile identificare un'iniziale compromissione renale in fase molto precoce
mediante il dosaggio dell'albumina nelle urine (microalbuminuria)
Questo esame va effettuato periodicamente per poter intervenire prontamente con
misure terapeutiche adeguate.

Controllo della pressione arteriosa e tenere un buon controllo del diabete consentono
di controllare l’evoluzione del quadro verso l’insufficienza renale.

105
d) LE COMPLICANZE OCULARI
Il diabete rappresenta la maggiore causa di cecità negli adulti tra i 20 e i 70 anni.

Il diabete predispone alla comparsa di importanti e gravi complicanze oculari :

• la retinopatia diabetica: rappresenta la causa di cecità più importante ed è


dovuta ad una sofferenza delle delicate strutture della retina (che sono dei
recettori nervosi e perciò rientrano nel quadro della neuropatia periferica) e della
microangiopatia diabetica (la retina ha bisogno di essere alimentata ma la
microangiopatia non glielo consente!)

• il glaucoma (=aumento della pressione dei liquidi all'interno del globo oculare)

• la cataratta (=opacità del cristallino)

E' importante effettuare frequenti controlli oculistici periodici e non appena


compaiono dei disturbi della visione perchè solo se si interviene in tempo con LASER-
TERAPIA si possono tamponare i danni ed evitare di arrivare in breve tempo alla
cecità.

e) PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI (MACROANGIOPATIA)


Sono le lesioni alle grosse arterie e sono dovute agli stessi fattori che portano
all'aterosclerosi (obesità, aumento dei trigliceridi, del colesterolo) che sono tipici del
diabete tipo II, oltre ad un'azione diretta della glicemia sulle arterie. (vedi aterosclerosi)

Le malattie cardiovascolari sono la maggior causa di morte nel mondo sia per persone
con diabete, sia per i soggetti non diabetici.

Nel diabetico possiamo quindi avere:


• arteriopatia ostruttiva alla periferia (da trombi o emboli)
• ischemia cerebrale e all'ictus per occlusione delle arterie cerebrali. I soggetti
con diabete hanno un rischio di avere un ictus da 2 a 4 volte superiore rispetto alle
persone senza il diabete.
• infarto del miocardio per occlusione delle arterie coronariche. I soggetti con
diabete, però, hanno un rischio di morire per problemi cardiaci da 2 a 4 volte superiore
rispetto alle persone senza il diabete.
• ipertensione arteriosa (dovuta anche alla lesione renale) Si stima che il 60-65%
delle persone con diabete siano ipertese.
L'ipertensione può condizionare l'evoluzione delle complicanze a livello renale
e retinico, aggravandole ulteriormente.

Prevenzione delle patologie cardiovascolari nel diabetico consiste in controlli anche più
volte all’anno di :
- peso corporeo
- Pressione arteriosa
- cessazione del fumo
- controllo dei lipidi e del colesterolo nel sangue

106
IPERTENSIONE ARTERIOSA
La funzione del cuore è quella di spingere il sangue in circolo con la sistole e di
riceverlo dalle vene durante la diastole e per fare questo serve una determinata
pressione.

Per pressione massima si intende la pressione sistolica, cioè quella sviluppata


durante le sistole cardiaca (=la contrazione del cuore), mentre per pressione
minima si intende la pressione diastolica, cioè quella sviluppata durante la diastole
cardiaca (=fase di riempimento del cuore).
L'ipertensione arteriosa è un aumento a carattere stabile della pressione
arteriosa nella circolazione sistemica.

In pratica:

Si parla di IPERTENSIONE ARTERIOSA quando la pressione sistolica


(massima) è superiore a 140 mm hg e la pressione diastolica (minima)
(cioè quella data dalla restituzione di elasticità delle arterie durante la
diastole e perciò chiamata "diastolica") è superiore a 90 mm di Hg.

Fisiopatologia:
la pressione arteriosa dipende da:

- 1 -dalla forza di spinta del cuore


- dipende dall'integrità del miocardio, se questo è lesionato da
miocardiosclerosi o da cause infiammatorie, c'è un calo della portata
cardiaca di sangue (il cuore non ce la fa). Questo calo di pressione
viene recepito dai "recettori" di pressione posti sui grossi vasi (aorta
e carotidi) che lo segnalano ai centri cerebrali, c'è attivazione del
sistema simpatico che fa "accelerare" il cuore innalzando la frequenza.

- 2 - dal volume di sangue circolante (regolato dal rene che può trattenere più
o meno liquidi)
- a livello renale, vicino ad ogni glomerulo, ci sono dei recettori che
sentono il calo del liquido circolante, per cui attivano due meccanismi:
1) dai centri cerebrali avvisati, viene attivata l'ipofisi che
secerne sia ADH(adiuretina) che fa trattenere liquidi al
rene, sia ACTH che stimola il surrene a produrre
Aldosterone che fa anch'esso trattenere liquidi al rene
2) viene emesso dal rene un enzima, la RENINA, che,
tramite un meccanismo a "cascata" su alcune proteine del
sangue le trasforma in vasocostrittori, con l'effetto di un
aumento di pressione.

- 3 - dai vasi sanguigni della periferia: se sono dilatati il sangue ha minor


pressione, se sono più costretti (con il lume ristretto) il sangue aumenta di
pressione. La dilatazione o il restringimento dei vasi è regolato dal
sistema simpatico e parasimpatico e dalla renina.

107
In base alle ultime linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità si parla di:

massima (mmHg) minima (mmHg)


Ipertensione lieve 140-159 90-99
Ipertensione moderata 160-179 100-109
Ipertensione grave >180 >110

. La valutazione deve essere fatta tenendo conto dell'età del soggetto, poiché la pressione
arteriosa tende a crescere con l'età: nei pazienti anziani viene considerata normale una
pressione sistolica di 140/150 mmHg

Se all’ipertensione arteriosa si aggiungono i fattori favorenti l’aterosclerosi e cioè:


- fumo
- Ipertrigliceridemia
- ipercolesterolemia
- obesità
- sedentarietà
- famigliarità
- diabete mellito
Otteniamo il rischio probabilistico che l’ipertensione possa procurare dei danni (= le
complicazioni dell’ipts e cioè infarto, ictus, ecc.)

ipertensione lieve ipertensione moderata ipertensione grave


Senza fattori Basso rischio Rischio medio Rischio alto
1 o 2 fattori Rischio medio Rischio medio Rischio altissimo
Più di 3 fattori o diabete Rischio alto Rischio alto Rischio altissimo
Con presenza di aterosclerosi Rischio altissimo Rischio altissimo Rischio altissimo

Classificazione dell’ipertensione:

1) ipertensione essenziale o primaria

2) ipertensione secondaria

1) - ipertensione essenziale (chiamata anche primaria o idiopatica)(= quando non se ne


conosce l'origine) e in questo caso la terapia sarà solo sintomatica, cioè con farmaci
che abbassano la pressione)

2) - ipertensioni secondarie cioè provocata da altre patologie (in questo caso se si riesce
ad eliminare queste patologie si risolve anche l’ipts.). A volte l’ipertensione arteriosa è
la condizione che permette di diagnosticare la presenza di queste patologie che
possono essere anche gravi.

- da cause renali: Tutte le patologie renali portano ad un aumento della pressione


arteriosa. Infatti quando il rene è poco funzionante procura un
aumento di pressione per tentare di filtrare più sangue. Inoltre un
rene poco funzionante non riesce a eliminare tutti i sali che
l’individuo introduce, per cui i sali restano nel sangue e
trattengono acqua, aumentando il volume del sangue con
conseguente aumento della pressione

108
- da patologie delle ghiandole endocrine (che provocano nell’ipofisi e/o nel
surrene un aumento degli ormoni steroidei (che vanno ad aumentare la
pressione arteriosa))
- da gravi patologie vasali (aorta con una "strozzatura" congenita o acquisita per
esempio per la compressione dovuta ad un tumore che la comprime)
- da farmaci (l’aumento di pressione è infatti un effetto collaterale di molti
farmaci)(ad es. il cortisone)

COMPLICAZIONI DELL' IPERTENSIONE (= sono i danni che l’ipts può causare sia in modo
acuto o progressivo e che sono responsabili della diminuzione della aspettativa
di vita del paziente)
1) lesioni vascolari
- aterosclerosi e arteriosclerosi: si sfiancano le cellule muscolari della tunica
media che possono così degenerare ecc.
- aneurismi: per sfiancamento delle pareti lesionate da ateromi o da patologie
infettive

2) complicanze cerebrali
- per emorragia da rottura di piccole arterie
- per embolia da trombosi (sono emboli staccatisi da zone di trombosi formatesi
in altre zone dell’organismo)

3) complicanze retiniche
- per lesione delle arterie della retina che portano alla lesione della retina stessa
con conseguente riduzione del “visus” fino alla cecità..

4) complicanze renali
- l'ipts lesiona le arteriole dei nefroni del rene, così il rene funziona sempre meno
fino all'instaurarsi di un'insufficienza renale.

5) complicanze cardiache: "cardiopatia ipertensiva"


- arteriosclerosi delle coronarie : angina pectoris, infarto
- ipertrofia (=ingrandimento) del ventricolo sinistro, che è costretto a dilatarsi a
seguito del perdurare dell'ipertensione. Questa situazione può portare allo
scompenso sinistro (cioè il cuore non riesce a pompare adeguatamente il
sangue in risposta alla richiesta dell’organismo)

Diagnosi
L'ipertensione arteriosa, soprattutto nelle fasi iniziali, non produce dei sintomi
caratteristici e facilmente riconoscibili: l'unico modo per scoprire di essere ipertesi
è quello di controllare costantemente la pressione. Per un adulto sano e senza
altri disturbi associati, un controllo annuale è sufficiente. Se tuttavia l’ipts è
abbastanza severa e perdura, procura dei sintomi che devono essere il
campanello di allarme per poterla diagnosticare

109
I sintomi che possono essere indice di ipertensione arteriosa sono:

- cefalea (mal di testa)

- scotomi (sensazione di vedere “mosche volanti” nel campo visivo)

- acufeni (ronzii persistenti)

- vertigini ed instabilità di marcia

- disturbi della memoria

- epistassi (sangue dal naso)

- risveglio con il mal di testa

IPERTENSIONE NELL' ANZIANO


Rispetto al giovane i valori di pressione nell'anziano possono essere più alti ma se la
pressione sistolica (la "massima") può arrivare a 200 mm Hg, la pressione diastolica (la
"minima") non deve superare i 100 mm Hg. Questo lieve aumento pressorio generale ,
d'altra parte, serve proprio per far irrorare meglio gli organi come il cuore ed il cervello.

- di solito l'ipertensione nell'anziano è dovuta ad un aumento della vasocostrizione


generalizzata dovuta all'arteriosclerosi di tutto l'organismo

- a volte è conseguenza di lesioni arteriosclerotiche dei vasi renali.

TERAPIA DELL'IPERTENSIONE
Si basa sull’uso di farmaci e sull’assunzione di una dieta povera di sale (sodio) in quanto il
sale favorisce il trattenimento dell'acqua.

I farmaci sono:
- diuretici (che abbassano la quantità di liquidi circolanti)
- farmaci che agiscono sul cuore
- farmaci antiipertensivi tipici

Una volta instaurata una terapia antiipertensiva si deve evitare il più possibile un calo
improvviso della pressione che è sempre mal tollerata nell'anziano perchè ridurrebbe
l'afflusso di sangue a organi vitali (cuore, reni, cervello) già di per sè male irrorati.

la concomitanza di episodi febbrili, di infezioni respiratorie o urinarie,


abbassano la pressione e causano vertigini, confusione mentale, sonnolenza.

Anche il passaggio da un clima freddo a uno caldo procura un calo di pressione,


mentre al contrario l'esposizione al freddo porta un innalzamento della
pressione.

110
ATEROSCLEROSI
e ARTERIOSCLEROSI 2014

L’ATEROSCLEROSI è una malattia infiammatoria-degenerativa delle arterie di medio e


grosso calibro che consiste nella formazione di placche indurite chiamate ateromi
all’interno dello spessore delle arterie e si instaura a causa dei fattori di rischio
cardiovascolare: fumo ipercolesterolemia, diabete mellito, ipertensione, obesità.

Questa malattia assume espressioni diverse a seconda degli individui e del distretto
vascolare colpito, cioè può essere asintomatica oppure manifestarsi di solito dai 40-50 anni
in su, con fenomeni ischemici acuti e cronici, che colpiscono principalmente cuore,
encefalo, arti inferiori, e intestino.

Anatomicamente la lesione caratteristica dell’aterosclerosi è l’ateroma o placca


aterosclerotica, ossia un ispessimento della tunica intima delle arterie ( lo strato più interno
delle arterie , che è rivestito dall’endotelio ed è in diretto contatto con il sangue). Questo
inspessimento è dovuto principalmente all’accumulo di materiale lipidico(grasso) e a
proliferazione del tessuto connettivo.

L' ARTERIOSCLEROSI è invece una malattia degenerativa delle arterie piccole (quelle che si trovano
all'interno degli organi: cervello, rene, intestino, ecc). che consiste in un indurimento (sclerosi) della
parete arteriosa che compare con il progredire dell'età. Questo indurimento arterioso è la
conseguenza dell'accumulo di tessuto connettivale fibroso a scapito della componente elastica
dell’arteria.

…………………………………………………………………………………………………………………
Richiamo informativo sul colesterolo:
il colesterolo è un composto organico complesso appartenente alla famiglia dei lipidi steroidei.

Nel nostro organismo svolge diverse funzioni biologiche, importanti ed essenziali:


- è un componente delle membrane cellulari, di cui regola fluidità e permeabilità
- è il precursore degli ormoni steroidei, sia maschili che femminili, (testosterone,
progesterone, estrogeno, cortisone, ecc) della vitamina D e dei sali biliari.

Oltre ad essere introdotto con gli alimenti di origine animale (colesterolo esogeno) il colesterolo viene anche
sintetizzato per circa l’80% all’interno del corpo : dal fegato. (colesterolo endogeno ) che così ne regola la
quantità presente nel sangue ed eliminando con la bile quello in eccesso. Ciò spiega come mai in alcuni soggetti
nonostante un’alimentazione equilibrata ed un regolare programma di attività fisica, i livelli di colesterolo
rimangono elevati.

Gli alimenti ad alto contenuto di colesterolo sono quelli di origine animale, generalmente ricchi di grassi saturi,
come uova, burro, carni, salumi, formaggi ed alcuni crostacei.
Il valore normale del colesterolo nel sangue deve essere inferiore a 200 mg/dl.

Essendo il colesterolo un lipide, non è solubile in acqua e, per essere trasportato nel sangue, deve legarsi a delle
specifiche proteine chiamate lipoproteine. Il 60-80% del colesterolo si lega alle lipoproteine a bassa densità o
LDL (chiamato colesterolo cattivo). E’ questo che tende ad accumularsi nelle arterie provocando l’aterosclerosi.

Il colesterolo buono è invece quello che si lega alle HDL (lipoproteine ad alta densità) che ripuliscono le
arterie catturando il colesterolo in eccesso e trasferendolo al fegato che lo smaltisce con la bile.
In virtù di questa loro caratteristica, negli ultimi anni il ruolo delle HDL è stato rivalutato in maniera importante,
tanto che oggi si ritiene più significativo il rapporto tra HDL e LDL che il valore del colesterolo totale. In genere il
colesterolo "buono" (HDL) non dovrebbe essere inferiore al 30% del colesterolo totale.

Insieme ai trigliceridi il colesterolo (quello “cattivo”) tende a depositarsi lungo le pareti delle arterie
creando l’aterosclerosi.

…………………………………………………………………………………………………………………………………..

111
Quali sono le tappe che portano alla formazione delle placche
aterosclerotiche:

1) L’evento iniziale è il danno dell’endotelio (il rivestimento più interno) delle arterie ad opera
delle LDL (=colesterolo “cattivo”) che vanno ad infiltrarsi nello spessore dell’intima formando
così le “strie lipidiche” .Queste strie lipidiche sono strisce di grasso allungate di 1-2 mm, e
sono lesioni reversibili: (Da studi effettuati risulta che le strie lipidiche si formano già in
giovanissima età ) Queste “strie lipidiche” possono essere asportate dalle arterie dal HDL
(colesterolo “buono”). che va man mano a ripulire le arterie.

2)La persistenza delle condizioni di rischio cardiovascolare ( fumo,


ipertensione, grassi, eccesso di LDL), mantengono e fanno aumentare la
stria lipidica, che così si comporta come un agente irritante e di conseguenza
inizia un processo infiammatorio dell’arteria che termina con una “cicatrice”
stabile di tessuto connettivo. La stria lipidica viene così ad essere sostituita da
tessuto connettivo fibroso.
In questo modo si forma una vera e propria placca fibrosa chiamata
ATEROMA.
L’ateroma consiste in un ispessimento circoscritto, sporgente sul piano della tunica intima di
dimensioni da qualche millimetro a diversi cm.
La consistenza è dura ma all’interno contiene una poltiglia giallastra. Le placche ateromatose
nell'uomo sono in genere localizzate sull’aorta, le arterie iliache e femorali, carotidi e
coronarie. In seguito gli ateromi possono addirittura calcificare.

3). Le placche fibrose possono poi andare incontro al terzo e più grave stadio aterosclerotico, le
lesioni complicate

EPIDEMIOLOGIA
Nel mondo le conseguenze dell’aterosclerosi rappresentano la maggior causa di morte ed in Italia le
patologie collegate all’aterosclerosi rappresentano il 44% della mortalità generale.

Fattori di rischio (che vanno ad aumentare l’evoluzione verso l’aterosclerosi:


Come abbiamo visto in questa patologia sono determinanti i fattori di rischio che sono:

1) l'ipertensione arteriosa:
l'alta pressione del sangue provoca dei microtraumi alla parete vasale e favorisce
l’infarcimento dei lipidi nell’arteria. L’ipertensione è poi una delle maggiori cause delle
complicanze.

2) Dieta iperlipidica (con molti grassi e colesterolo in eccesso))


che favoriscono l'infarcimento delle pareti dell'arteria aumentando le “strie lipidiche”.

3) Fattori ereditari e familiari (obesità) che possono influenzare il metabolismo dei


grassi da parte dell'organismo favorendo così l'infarcimento delle arterie, oppure danno
situazioni anatomiche predisponenti alle lesioni

4) Sedentarietà (favorisce l’accumulo dei grassi)

5) Fumo di sigaretta:
- la nicotina è un vasocostrittore
- la nicotina aumenta LDL e abbassa HDL
- il fumo produce monossido di carbonio che aspirato porta alla formazione di
carbossiemoglobina che veicola male l’ossigeno alle cellule.

6) il diabete contribuisce alla lesione delle arterie

7) Eccessiva aggressività o stress generati da situazioni sociali o lavorative ( che


portano ad un aumento della pressione)

112
La sintomatologia dell’ATEROSCLEROSI:

All’inizio l’aterosclerosi non dà sintomatologia ma le manifestazioni cliniche


dell'aterosclerosi compaiono in genere dopo i quaranta-cinquanta anni di età
quando le placche si sono ingrandite e iniziano a restringere il lume dell’arteria
provocando così una ischemia (riduzione del flusso ematico) nel tessuto irrorato
dall'arteria.
Questo restringimento stabile dell'arteria colpita rende il flusso sanguigno fisso,
cioè incapace di aumentare quando le condizioni funzionali lo richiedono, come
ad esempio durante gli sforzi fisici. Di conseguenza la sintomatologia, in
particolare il dolore, tende ad essere assente a riposo e a presentarsi in
occasione di esercizio fisico più o meno intenso, a seconda della gravità
dell'ostruzione arteriosa.
Gli organi che più risentono di questa situazione di dolore sotto sforzo sono il
cuore, l’intestino e gli arti inferiori (cioè gli organi che nel corso della giornata
vanno incontro a variazioni di attività e utilizzo.

Queste sintomatologie sotto sforzo sono:

angina pectoris
E' un forte dolore al petto che blocca il soggetto durante il lavoro o lo sforzo che sta eseguendo.
Nell'anziano spesso il dolore è più diffuso e di minor intensità che nell'adulto.
Principali occasioni in cui compare l’angina pectoris::
- sforzi fisici
- stress emotivi
- freddo

Le coronarie sono affette da aterosclerosi, cioè hanno una placca aterosclerotica che
restringe parzialmente il lume della coronaria. Quest’arteria dal lume lascia passare la
quantità di sangue necessaria alle richieste normali del cuore, ma in caso di improvviso
maggior lavoro del cuore, (ad esempio per uno sforzo) non riesce ad allargarsi tanto da
lasciar passare la quantità maggiore di sangue richiesto.
In questo caso c'è la sofferenza delle cellule del miocardio, con la comparsa del dolore.

Il dolore è transitorio dura pochissimi minuti e cessa quando il paziente interrompe lo sforzo
che sta facendo. In genere questo dolore cessa più velocemente con l’assunzione di
vasodilatatori coronarici (Trinitrina, Carvasin, ecc.: sono compressine da far sciogliere
tenendole sotto la lingua, che il paziente affetto da angina pectoris deve tenere sempre a
portata di mano).

Teniamo presente che l’angina pectoris può comparire non solo sotto sforzo ma
anche per l'effetto improvviso della nicotina (sigarette) o di altre sostanze che
provocano restringimento delle coronarie già ristrette dalla placca.

angina abdominis ( dolore addominale in seguito all’assunzione di cibo

claudicatio intermittens (=camminata intermittente) nella quale il dolore insorge


durante la deambulazione, costringe il paziente a fermarsi e scompare dopo pochi
minuti di riposo.

113
Le complicanze dell’aterosclerosi:
- trombosi arteriosa
- embolia
- aneurisma
- emorragia

Vediamo attraverso quale meccanismo si arriva all’insorgere di queste complicanze:


Il fattore iniziale è che in conseguenza di un brusco aumento della pressione
sanguigna l’arteria si può lesionare l'endotelio nella zona di passaggio tra parete
sana e ateroma. A questo punto possono verificarsi varie situazioni:
1. Nel punto dell'endotelio lesionato vengono a depositarsi delle piastrine e
scatta il meccanismo della coagulazione per cui all’interno dell’arteria viene a
crearsi una massa chiamata TROMBO costituita da piastrine, fibrina, sangue
coagulato globuli rossi e bianchi.
Questa situazione si chiama TROMBOSI ARTERIOSA. Se il TROMBO
continua ad espandersi può occludere completamente l'arteria in breve
tempo ed in questo caso c'è grave sofferenza delle cellule del territorio irrorato
dall'arteria . Questa situazione si chiama infarto. A seconda dei territori considerati
possiamo avere un infarto cardiaco, un infarto intestinale, un infarto renale, un infarto
dell’arteria dell’occhio, ecc. Il trombo può formarsi molto rapidamente e in maniera più lenta e,
se è molto piccolo può addirittura dissolversi da solo.

2. Nel punto lesionato dell’endotelio viene, come abbiamo visto, a costituirsi un


TROMBO. Il trombo se non è voluminoso può restare asintomatico per
qualche tempo ma in seguito a sforzi o a bruschi aumenti di pressione, dal
trombo si possono staccare dei frammenti anche consistenti che così
costituiscono un EMBOLO il quale va ad ostruire un’arteria posta più a valle.
Perciò in seguito ad un trombo sull’arco dell’aorta possiamo avere un’embolia
cerebrale; in seguito ad un trombo all’inizio delle coronarie possiamo avere
un’embolia alla fine delle coronarie; in seguito ad un trombo sull’aorta toracica
possiamo avere un’embolia agli arti inferiori, ecc. La conseguenza
dell’embolia è dunque procurare l’infarto nel territorio a valle del punto dove si
è fermato l’embolo

3. Nel punto dell’arteria lesionato in seguito ad un brusco aumento di pressione


si può verificare la rottura completa dell’arteria con conseguente emorragia.

4. Nel punto dell’arteria lesionato in seguito ad un brusco aumento di pressione


si può verificare la rottura parziale dell’arteria con conseguente sfiancamento
di una delle sue pareti, andando a formare una sacca arteriosa chiamata
aneurisma. Ovviamente l’aneurisma, vista la sottigliezza delle sue pareti, può
rompersi da un momento all’altro procurando un’imponente emorragia.

NB: L'aterosclerosi è dunque pericolosa perchè improvvisamente può complicarsi


provocando un'emorragia per la rottura dell'arteria dove ha sede della placca,
oppure per la chiusura dell'arteria stessa a causa di un trombo o di un embolo.
NB: le patologie sopra descritte saranno trattate con le patologie dei vari organi. (per ora
descriviamo solo la complicanza dell’aterosclerosi delle arterie coronarie : l’infarto del miocardio
(= infarto cardiaco)

114
La TROMBOSI
E’ un processo patologico che può colpire le arterie o le vene, che consiste nella
formazione di una massa semisolida chiamata trombo. Il trombo è costituito da un
ammasso di piastrine e da un coagulo sanguigno localizzato.

Possiamo avere dunque:


-­‐ trombosi arteriosa
-­‐ trombosi venosa

La trombosi arteriosa è già stata trattata come conseguenza


dell’aterosclerosi

Nelle vene la situazione è un po’ diversa perché le vene non sono


affette da aterosclerosi e nelle vene la circolazione è più lenta perché
manca la spinta del cuore ed il sangue deve ritornarvi solo per effetto dei
muscoli che le circondano (i muscoli spremono il sangue in avanti verso
il cuore e le valvole delle vene impediscono che possa ritornare indietro.

Perché si formi la trombosi venosa si devono verificare due condizioni:


-­‐ a) alterazione dell’endotelio della parete della vena
-­‐ come nel caso di lesioni traumatiche
-­‐ assunzione di determinati farmaci (pillola, ecc), questi
ormoni aumentano tra l’altro la coagulazione del sangue.
-­‐ infiammazioni delle vene da varie cause (fisiche, chimiche,
biologiche)
-­‐ fumo

-­‐
-­‐ b) rallentamento del flusso sanguigno (=stasi circolatoria)
dovuto a:
-­‐ prolungata posizione “in piedi” con poco movimento
(bariste, cassiere, parrucchiere, ecc)
-­‐ presenza di varici (=vene varicose) dove il sangue
ristagna per effetto della parete delle vene che è resa più
sottile
-­‐ gravidanza o menopausa (qui intervengono anche fattori
ormonali che interferiscono con la costituzione della
parete delle vene)

Ovviamente questa situazione di rallentamento del flusso sanguigno


si verifica maggiormente nelle vene superficiali degli arti inferiori, che
vanno più soggette a varici.

Le varici sono vene superficiali dilatate e che hanno perso


l’elasticità. La tendenza a sviluppare varici può essere ereditaria: ma
la loro comparsa dipende da fattori di rischio aggiuntivi, quali la
gravidanza, l’obesità, la sedentarietà, l’esposizione a fonti di calore
115
eccessive, l’uso di biancheria elastica troppo stretta (che impedisce il
ritorno venoso superficiale)e l’invecchiamento. Le varici provocano
un danno estetico, ma soprattutto funzionale cioè un problema
circolatorio

Per la prevenzione delle varici sono indicate le calze elastiche che


sono dei presidi che aiutano il sangue a scorrere nelle vene profonde
riducendo il carico per le vene superficiali, che sono quelle che
tendono a diventare varicose se non vengono sostenute. Nelle
Trombosi delle gambe si usano le calze elastiche, nella Trombosi
delle braccia si usano i bracciali elastici: la compressione impedisce
che il sangue ristagni nelle vene più superficiali che sono anche le
più fragili e più facilmente perdono elasticità.
Le calze elastiche vanno portate di giorno.

Evoluzione dei trombi venosi


-­‐ continuare ad accrescersi fino a chiudere il lume del vaso

-­‐ restringere il lume del vaso provocando fenomeni di ristagno a monte


dell’ostruzione

-­‐ “sciogliersi” per effetto di fattori presenti nel sangue o somministrati


farmacologicamente (=fibrinolitici) oppure frantumarsi in piccolissimi frammenti
per effetto della corrente sanguigna

-­‐ embolizzare cioè il trombo può staccarsi del tutto dalla parete oppure dal
trombo se ne può staccare un pezzo e dar origine ad un embolo che segue la
corrente sanguigna ed andare a fermarsi nei polmoni (=embolia
polmonare)

-­‐ diventare una massa fibrosa che chiude definitivamente la vena

La trombosi venosa profonda


E’ una grave patologia che consiste nell’ un’ostruzione totale o parziale da
parte di un trombo a carico di una vena profonda degli arti superiori o inferiori.

Sintomi:
• gonfiore (=edema) dell’arto inferiore
• dolore spontaneo o provocato dalla flessione della gamba sulla
coscia per cui la paziente è impossibilitata a camminare
• cute calda
• vene superficiali più evidenti (se il sangue non passa dalla vena
profonda deve passare solo dalle vene superficiali)
• A volte i segni sono quasi assenti e la patologia viene diagnosticata
dopo aver fatto gravi danni cioè quando ormai è comparsa la
sintomatologia di un’embolia polmonare cioè di una grave
dispnea. (l’embolo va ad ostruire l’arteria polmonare impedendo al
sangue di arrivare nei capillari alveolari e impedendo gli scambi
respiratori.)

116
Trombosi venosa superficiale che è associata ad una flebite
(infiammazione delle stesse vene) per cui si parla di
tromboflebite)

Cause:
traumi della gamba
bendaggi troppo stretti
iniezioni endovenose nelle vene della zona

Sintomi:
§ gonfiore
§ dolore spontaneo
§ arrossamento e presenza di un cordone duro in corrispondenza delle
vene interessate
§ cute soprastante calda

Il trattamento deve :
• prevenire l’embolia polmonare
• ridurre la sintomatologia e si basa su trattamento farmacologico
(anticoagulanti) e l’uso di bendaggi elastici (=elastocompressione)
eseguiti da personale specializzato.

117
I TUMORI
Il tumore è una neoformazione cellulare data da una proliferazione continua,
incontrollata e afinalistica di cellule che si sviluppa nell'ambito di un tessuto
dell'organismo.

neoformazione: le cellule tumorali non sono completamente uguali alle cellule


del tessuto nel quale si sviluppano ma vi si differenziano per vari gradi di
diversità.

continua: il tumore cresce progressivamente in modo continuo con una velocità


che può essere lentissima, lenta, rapida o rapidissima.

incontrollata: il ritmo della crescita non obbedisce a nessuna regola salvo


quella della disponibilità di sostanze nutritive. (le cellule crescono fintanto che
trovano nutrimento)

afinalistica: le cellule tumorali non hanno nessuno scopo (non servono a


proteggere meglio un tessuto, o a produrre una sostanza che serva
all'economia dell'organismo ecc.)

Come si origina un tumore e quali sono le cause che lo determinano?

Sappiamo che il nostro organismo si sviluppa da una cellula originaria unica (fusione
tra uovo e spermatozoo) che continua a dividersi successivamente.
Queste divisioni rappresentano una proliferazione controllata e con degli scopi ben
precisi che sono codificati nel DNA cellulare.

Sappiamo anche che una cellula prima di dividersi in due cellule figlie, raddoppia il
proprio DNA per poterlo ripartire in modo assolutamente uguale alle cellule figlie.

Le cellule normali di un tessuto sono uguali tra loro proprio perchè originano da una
stessa cellula capostipite, la quale ha trasmesso tramite il DNA alle cellule figlie i suoi
caratteri che comprendono sia il ritmo di crescita, che lo scopo di questa crescita.

Ebbene si è scoperto che da anni che nel DNA di tutte le cellule normali esistono due
geni chiamati l’uno ONCOGENE e l’altro gene ONCOSOPPRESSORE che regolano la
crescita delle cellule. Gli oncogeni stimolano la proliferazione cellulare, mentre gli
oncosoppressori la inibiscono.
In condizioni normali l’ONCOGENE e il gene ONCO-SOPPRESSORE sono in perfetto
equilibrio.

Sappiamo però che durante la fase della copiatura del DNA che precede ogni mitosi
possono avvenire delle MUTAZIONI nei geni copiati. Se la mutazione interessa il gene
ONCOSOPRESSORE, nella nuova cellula l’ONCOGENE non è più tenuto a bada dal
gene ONCOSOPRESSORE e l’equilibrio del ritmo di crescita della cellula può alterarsi.

L’ONCOGENE, rimasto solo, è molto sensibile all’attacco di sostanze esterne chiamate


sostanze cancerogene che lo vanno ad attivare e a questo punto, la cellula, governata
dall’ONCOGENE ATTIVATO si comporta da “cellula tumorale” cioè si trasforma e si
moltiplica a dismisura, cioè con un ritmo di crescita più veloce delle cellule normali.

118
Quando l’ONCOSOPPRESSORE è mutato e l’ONCOGENE è rimasto da solo, non è
detto che l’ONCOGENE sia attivato subito in senso tumorale, perché, a volte, possono
passare degli anni fino a che possa incontrare una sostanza cancerogena, ma quando
questo avviene, il tumore inizia a svilupparsi.

Le sostanze cancerogene sono sostanze che inducono la comparsa di tumori.


Agiscono dopo sommazione, cioè divengono biologicamente efficienti solo
quando la dose assorbita ha raggiunto un valore critico attraverso la somma di
piccole dosi frazionate nel tempo.
Queste sostanze inducono la formazione dei tumori o favorendo le mutazioni
dell’oncosopressore o attivando l’oncogene quando l’oncosopressore è già
mutato.

Le sostanze cancerogene sono moltissime ma le più comuni sono

-­‐ fumo di sigaretta, catrame (anche quello contenuto nelle sigarette)

-­‐ asbesto(=amianto)

-­‐ varie sostanze chimiche ingerite con gli alimenti(coloranti, conservanti,


antiparassitari delle piante) o che si sviluppano durante i processi industriali ne
che colpiscono i lavoratori o le persone che abitano vicino alle fabbriche)

- radiazioni (Rx, radiazioni atomiche, ecc)

- alcuni virus (papillomavirus e virus dell’epatite B e C)

A volte nella formazione di un tumore è chiamata in causa anche l’ereditarietà in


quanto si può ereditare o la mancanza del gene ONCOSOPPRESSORE (
vedi il caso della poliposi del colon) oppure una maggior sensibilità
dell’ONCOGENE ad essere attivato (vedi il caso del cancro della mammella)

A questo punto una volta che si forma una cellula tumorale, questa darà origine a
cellule figlie tutte con lo stesso DNA alterato e perciò tumorali che continueranno
a proliferare incontrollatamente e senza scopo.
Così vediamo che in mezzo ad un tessuto normale, compare una cellula tumorale
capostipite che darà origine a cellule figlie tutte tumorali.

Il momento iniziale è perciò l’”errore di copiatura” del DNA (una base azotata viene
persa, o sostituita, o aggiunta) in una determinata cellula che sta "duplicando"
il proprio DNA in attesa di dividersi in due cellule figlie, per cui una cellula figlia
viene ad avere un DNA con l’onco-soppressore alterato che lascerà quindi
l’ONCOGENE libero dall’essere attivato.

Ne consegue che solo una cellula che sta per dividersi corre il rischio di un errore di
"copiatura" del proprio DNA e non costruire più gli ONCO-SOPRESSORI.

Un tessuto che ha le proprie cellule in frequente duplicazione ha più probabilità che


in una delle sue cellule avvenga un "errore di copiatura" rispetto ad un altro tessuto le
cui cellule devono moltiplicarsi più di rado.

C'è dunque un problema statistico di errore: più divisioni cellulari ci sono e più alta è la
possibilità della comparsa in seno a quel tessuto di una cellula tumorale.
Nel caso dei fumatori, la bronchite provocata dal fumo costringe le cellule dei bronchi
ad andare in mitosi per riparare il danno subito, rischiando così un "errore di copiatura
del DNA".
Un altro fattore che interviene nello sviluppo del tumore è il SISTEMA
IMMUNITARIO.
119
I globuli bianchi infatti sorvegliano i tessuti ed intervengono contro le cellule
tumorali che si stanno formando. Se il sistema immunitario non è molto
efficiente, o se le cellule tumorali sono troppe contemporaneamente, il tumore
non è bloccato sul nascere e può così svilupparsi.

Riassumendo:
, perché possa aver origine un tumore devono verificarsi queste 3 condizioni:

1) un errore di copiatura del DNA che altera l’ ONCOSOPPRESSORE

2) un’attivazione dell’ ONCOGENE da parte di alcune sostanze


chiamate “cancerogene” (fra queste anche alcuni virus)

3) un calo del SISTEMA IMMUNITARIO

Tipologia delle SOSTANZE CANCEROGENE che scatenano i TUMORI (tra


parentesi sono indicate le percentuali di mortalità dei rispettivi tumori provocati)

- agenti biologici.(10%) Alcuni virus si sono dimostrati ad azione cancerogena.


Sono virus a DNA, che introdotti nella cellula si integrano al DNA di questa e ne
inducono la attivazione in cancerogena.(herpes simplex sembra corresponsabile
del carcinoma uterino, il virus dell’epatite B sembra corresponsabile del
carcinoma del fegato, il virus della mononucleosi sembra corresponsabile di un
linfoma e del cancro della faringe, il papilloma-virus HPV è responsabile del
cancro del collo dell’utero)

- agenti fisici (3%) : le radiazioni UV sembrano responsabili dei tumori della pelle,
le radiazioni ionizzanti (raggi X e atomiche) provocano tumori della pelle e del
sangue (leucemie, ecc)

- agenti chimici (7%) presenti nell’ambiente di lavoro. Arsenico, asbesto(=


amianto), cromo, amine aromatiche, composti del benzene, coloranti a base di
azoto, ecc.

- fattori alimentari (30%): per la presenza negli alimenti si sostanze ad azione


cancerogena. Gli organi più soggetti sono esofago, stomaco, intestino,
mammella e prostata.

- Fattori iatrogeni (= provocati dall’intervento medico) infatti recentemente si


sono dimostrate le azioni cancerogene di alcuni farmaci.

- Fattori sociali e comportamentali (60%). Per l’uso del tabacco e delle


sostanze alcoliche. Il fumo provoca il cancro al polmone e alla laringe. L’alcol
provoca il cancro al fegato, al cavo orale, alla laringe e all’esofago

- predisposizione ereditaria: manca il gene che codifica


l’ONCOSOPPRESSORE. Sembra dimostrata una certa ereditarietà nel cancro
della mammella, della prostata e del colon

120
I sintomi del tumore. Perché si può arrivare ad un quadro di grave
patologia?

Le cellule tumorali hanno un ritmo di crescita più rapido delle cellule normali per cui
necessitano di una gran quantità di sostanze nutritive che sottraggono al tessuto
normale circostante e successivamente all'intero organismo (dimagramento).

Le cellule tumorali avendo un ritmo di crescita più rapido delle cellule normali, vanno a
costituire una massa che si ingrandisce continuamente in mezzo ad un tessuto normale
andando a comprimere sia le cellule di tessuto normale che lo circondano, sia
comprimendo gli organi vicini.

In questo processo di espansione, la massa di cellule che è in continua crescita,


provoca la necrosi (distruzione) delle cellule dei tessuti vicini che si vedono
continuamente sottrarre sostanze nutritive e subiscono un processo di compressione.
La necrosi può interessare anche i vasi che vengono così erosi dando origine quindi a
delle emorragie.

Le cellule tumorali che si sviluppano in determinati organi (ghiandole) producono


sostanze (ad esempio un ormone) e l'organismo viene quindi sottoposto agli effetti di
questa sostanza che è ovviamente prodotta in eccesso e senza nessun controllo.

Quindi riassumendo:
- sintomi da sottrazione di sostanze nutritive
(dimagramento o ridotta funzione di un organo)
ad es. il fegato- le cui cellule si vedono sottrarre le sostanze nutritive essenziali per la
loro funzione)

-sintomi da espansione
(- un bronco ostruito da un tumore che cresce nel lume
- la voce che cambia per un tumoretto delle corde vocali che ne altera la vibrazione)

- sintomi da compressione
- -( intestino ostruito da un tumore di un linfonodo vicino)

- sintomi da erosione dei vasi (emorragie)

- sintomi da intossicazione (produzione di ormoni in eccesso, ad es nei noduli


tiroidei

NB: il dolore è presente solo se sono interessate strutture che contengono recettori
del dolore (per cui l'entità del dolore non esprime in alcun modo l'entità ed il tipo di
tumore)

Tumore benigno
E' un tumore le cui cellule differiscono poco dalle cellule del tessuto di origine e che ha
la tendenza ad accrescere in modo espansivo costituendo così una massa circoscritta
e ben delimitata in seno al tessuto di origine.

Questo suo particolare accrescimento fa sì che il tumore benigno possa essere


asportato chirurgicamente con relativa facilità e completamente.

Non bisogna dimenticare però che un tumore benigno può determinare gravi danni
all'organismo o addirittura portare a morte se cresce in organi vitali che praticamente
non possono essere operati. ( un tumore benigno del cuore o del cervello sono sempre
gravissimi)

121
Se si lascia crescere indefinitamente un
tumore benigno, questi diventando di
considerevoli dimensioni, può
comprimere degli organi vicini e creare
dei quadri patologici molto gravi.
(compressione delle vene cave, o
compressione dell'intestino o
compressione dell’esofago con
impedimento del transito intestinale).

Tumore maligno
E' un tumore le cui cellule si differenziano moltissimo da quelle del tessuto di
origine, hanno un carattere infiltrativo, cioè si insinuano facilmente tra quelle
del tessuto di origine tendendo praticamente a non stare unite.

Questo fa sì che l'erosione dei tessuti vicini sia massima con la conseguente
facilità ad intrufolarsi in un vaso sanguigno o linfatico venendo così trasportate a
distanza dal sangue o dalla linfa.

Appena trovano nuovamente una zona dove possono moltiplicarsi (ad esempio
un linfonodo o un tessuto come il polmone) danno origine ad un nuovo tumore
secondario identico a quello di partenza. Questo tumore secondario è chiamato
metastasi.

La malignità consiste dunque nell'essere molto invasivo e perciò non ben


delimitato, rendendo cosi difficilissima l'asportazione completa da parte del
chirurgo, e nell'impossibilità pratica di individuare ed asportare tutte le
metastasi.
Si aggiunge anche il fatto che le metastasi si formano in organi vitali come i
polmoni, il fegato ed il cervello per cui il tentare chirurgicamente di asportarle
costringerebbe il chirurgo a operare su organi troppo delicati.

NB:E' importantissimo segnalare subito al medico quello che potrebbero


essere i primi sintomi evidenziabili (un calo di voce, un linfonodo che permane
aumentato di volume, una perdita sanguigna, anche piccola, per via orale o
anale, disturbi del campo visivo), perchè solo così è possibile scoprire un
tumore maligno quando è ancora piccolo e non ha ancora dato metastasi o non
ha ancora invaso gli organi vicini.

Le METASTASI
Sono dunque dei tumori maligni, che prendono origine da cellule staccatesi dal
tumore primitivo e che hanno scelto una delle due vie di propagazione: la via
sanguigna o la via linfatica.
Perciò le metastasi sono dei tumori identici al tumore primitivo.

122
La cellula staccatasi dal tumore primitivo sceglie, per moltiplicarsi, una zona
"tranquilla", dove cioè la corrente di sangue o linfa è rallentata e le permette di uscire
dai vasi per entrare in un nuovo tessuto a moltiplicarsi. Questa zona è rappresentata o
dai linfonodi o dai capillari dell'organo successivo che attraversa.

Per meglio capire questo concetto ci aiutiamo con degli esempi figurati:

Se ne deduce quindi che le metastasi di un determinato tumore primitivo si


trovano prevalentemente prima in alcuni organi piuttosto che in altri. (un tumore
dell’intestino darà metastasi prima al fegato, mentre un tumore del fegato darà
prima metastasi al polmone.

Altro esempio: un tumore dello stomaco, tramite la vena porta, darà metastasi
prima al fegato, poi dal fegato, in secondo tempo al polmone, poi dal polmone
prenderà la grande circolazione e potrà propagarsi al cervello o a tutti gli altri
organi.

Altro esempio: un tumore al seno tramite la via linfatica darà metastasi prima ai
linfonodi ascellari, poi se continua la via linfatica, darà successive metastasi ai
linfonodi del torace, poi, entrando nella vena cava (la circolazione linfatica
termina infatti nella vena cava), si propagherà ai polmoni, e dai polmoni ,tramite
la grande circolazione darà metastasi a tutto il corpo: cervello e altri organi.

123
LA PREVENZIONE DEI TUMORI
Vista la enorme diffusione dei tumori, la loro gravità, e l’enorme impatto psicologico e
sociale che procurano, è di primaria importanza attuare un’efficace prevenzione, che
consiste in:

Prevenzione primaria (è l’insieme di quelle misure preventive che evitano l’insorgenza del
tumore):
- risanamento degli ambienti di vita e di lavoro
- campagne di informazione (igiene alimentare, sensibilizzazione
anti-fumo, evitare radiazioni
- eliminazione di tutte quelle patologie che potrebbero
rappresentare il punto di partenza del tumore (asportare certi nei,
curare i condilomi da papilloma-virus , asportare i polipi intestinali, ecc

Prevenzione secondaria:
- consiste in tutte quelle procedure che permettono una diagnosi precoce: visite
preventive, pap test, mammografia, autopalpazione, ricerca del sangue occulto
nelle feci ecc

Infatti l’esplorazione rettale, l’esame obiettivo e la palpazione del seno e dei testicoli sono i
mezzi più efficaci per la diagnosi precoce delle neoplasie dei rispettivi organi

Delle procedure più complesse si sono dimostrate scientificamente valide solo la


mammografia al di sopra dei 40 anni, la colonscopia dopo i 50 anni ed il pap test dopo i
25 anni

I marcatori tumorali.

Gli esami radiologici di routine raramente evidenziano neoformazioni del volume inferiore ad
1 cm cubo, corrispondente circa ad cento milioni di cellule tumorali. Ciò ha suggerito la
ricerca nei liquidi biologici di molecole prodotte in modo specifico dalla cellula neoplastica:
queste sostanze sono i marcatori tumorali.

Tuttavia la loro scarsa sensibilità e specificità ne sconsigliano l’uso nella popolazione


asintomatica; alcuni di essi vengono invece utilizzati con successo per monitorare la
risposta alle terapie e nella diagnosi precoce delle recidive.

Alcuni esempi noti sono.

• CEA (antigene carcinoembrionario) nelle neoplasie di polmone, mammella, e


dell’apparato gastroenterico
• PSA (antigene prostatico specifico) nelle neoplasie della prostata, mieloma multiplo e
metastasi ossee;

Prevenzione terziaria:
- consiste nel controllo dei malati dopo gli interventi chirurgici e/o sottoposti a
chemioterapia per individuare precocemente eventuali metastasi che provocano
la ricomparsa del tumore.

124
La TERAPIA dei tumori.

I progressi in campo medico, chirurgico e radioterapico hanno permesso a molte neoplasie di


diventare curabili. Qui sono esaminati i principi fondamentali sull’uso di queste modalità
terapeutiche.

1) Chirurgica:
è la via di scelta nei tumori solidi benigni a patto che si sviluppino in organi operabili.

Nei tumori maligni è essenziale attuare una terapia chirurgica il più precocemente possibile
prima che si siano formate delle metastasi. Però, poiché molti tumori maligni hanno già dato
piccolissime metastasi al momento della diagnosi, si è soliti integrare il trattamento chirurgico
con altre metodiche, per ottenere il controllo locale e a distanza della neoplasia. Un esempio
classico à rappresentato dal carcinoma mammario localizzato che viene trattato con
metodica combinata chirurgica, radio e chemioterapia

A volte il chirurgo, convinto dalle analisi eseguite che un tumore sia operabile, inizia ad
operare il paziente e si trova davanti un quadro di inoperabilità che prima non era
possibile diagnosticare. In questo caso è costretto a "chiudere" l'intervento senza
asportare il tumore e si passa quindi ad altri tipi di terapia..

L’intervento chirurgico può anche essere soltanto palliativo, mirante a risolvere le


complicanze di un carcinoma quali ostruzioni intestinali e biliari, emorragie, perforazioni,
compressione di strutture vitali.

Infine, ma non per importanza, c’è la chirurgia ricostruttiva e plastica che partecipa alla
riabilitazione dei pazienti oncologici già operati; basti pensare alla ricostruzione del seno
dopo mastectomia (=asportazione del seno)..

2) RADIOTERAPIA:
Consiste nel sottoporre il paziente a delle radiazioni (raggi X e raggi gamma ottenuti
dal cobalto) prodotte da macchine molto sofisticate, che penetrando nei tessuti ne
distruggono le cellule.

Lo scopo della radioterapia è quello di distruggere le cellule neoplastiche, risparmiando


quelle sane ma, non essendo possibile indirizzare i fasci di radiazioni solo sulle cellule del
tumore, si colpiscono inevitabilmente anche cellule dei tessuti sani. La probabilità di arrecare
danno alle cellule sane aumenta con la dose.

I tessuti che richiedono una rapida e continua proliferazione delle cellule come la cute, il
midollo osseo e la mucosa gastrointestinale sono i più soggetti ad essere lesionati (stomatiti,
diarrea, leucopenia).

Vengono effettuati, inoltre, dei periodi di riposo tra i vari cicli di applicazioni radianti, per
permettere al paziente di riprendersi dalla tossicità acuta (cioè delle cellule sane
distrutte

Le radiazioni si usano nei tumori maligni anche per colpire le metastasi dopo che, con
la terapia chirurgica, è stato asportato il tumore primitivo.

125
3) FARMACOLOGICA (= chemioterapia)
E’ una terapia che si attua con farmaci che dovrebbero portare all’eliminazione delle cellule
tumorali preservando la salute di quelle sane. Questo è vero solo in teoria perché in pratica non
esistono chemioterapici in grado di agire in modo esclusivo sulla massa tumorale, e di non
presentare effetti collaterali su altri tessuti dell'organismo.

I chemioterapici, infatti, agiscono in genere su tessuti ad alta proliferazione, come i tumori. Ma è


proprio tale genericità ad essere responsabile di effetti collaterali che, dal punto di vista clinico,
assumono un'importanza notevolissima. Tali effetti collaterali infatti si presentano anche a carico
dei tessuti normali dell'organismo che per loro natura sono si moltiplicano maggiormente, come
ad esempio il midollo osseo, le mucose delle vie gastrointestinali ed i follicoli piliferi e questo
può portare a dei problemi, a volte anche gravi, all’organismo. I tessuti lesionati dalla
chemioterapia sono solitamente in grado di ritornare alla normalità al termine della terapia.

Alcuni segni di tossicità per le cellule sane sono:


nausea e/o vomito
Perdita dei capelli
Insufficienza renale
Distruzione dei globuli rossi (=anemia), ecc

La chemioterapia si usa nei tumori maligni per colpire le piccole metastasi dopo aver
estirpato chirurgicamente il tumore maligno primitivo, oppure in quei tumori maligni che non
sono tecnicamente operabili (perché è troppo rischioso l’intervento o perché riguardano
organi che non sono raggiungibili anatomicamente): i tumori del sangue(leucemie).

La causa più frequente del fallimento della chemioterapia è la resistenza ai farmaci cioè
all’interno del DNA della cellula tumorale una mutazione di un gene la rende resistente al
farmaco della chemioterapia.

Per questo motivo si fanno cicli di chemioterapia usando più farmaci con meccanismi di azione
diversi ed è più difficile che la neoplasia sviluppi resistenza a tutti.

LA TERAPIA PALLIATIVA
La terapia palliativa è una terapia che non ha come scopo la guarigione del paziente ma mira
solo a migliorare la qualità di vita. Si usa nelle patologie (come i tumori o le malattie croniche)
nelle quali non c’è più speranza di arrivare ad una guarigione e servono per rendere più
accettabile e senza sofferenza il periodo che resta da vivere al paziente.

Questa può essere:

terapia palliativa farmacologia: è la classica terapia per combattere il dolore ( di solito si


usa la “morfina”

terapia palliativa chirurgica ad es. un paziente con un tumore maligno con tante metastasi
da essere inoperabile, sviluppa un blocco intestinale perchè una metastasi gli ha occluso
l'intestino. Ebbene in questo caso il chirurgo attua un intervento per estirpare la metastasi
interessata ed il paziente, pur mantenendo il tumore con la sua naturale evoluzione, non è
condannato a morire in pochissimi giorni a causa dell'occlusione dell'intestino.

terapia palliativa con radioterapia A volte con la radioterapia si interviene per ridurre le
dimensioni di un tumore, giudicato inoperabile, ma che in questo momento sta occludendo
qualche via o respiratoria o digerente

terapia palliativa psicologica


E’ forse la terapia più utile perché fa sentire meno solo il paziente e gli fornisce un aiuto per
accettare e sopportare la malattia.

126
PATOLOGIE DELL’APPARATO
CARDIOCIRCOLATORIO

Che cosa comporta un cuore malato?


Se la patologia è lieve si ha una piccola riduzione della forza pompante del cuore, per
cui il cuore riesce a soddisfare le esigenze dell'organismo durante le attività normali e
non riesce invece a soddisfarle sotto sforzo.
Teniamo presente che per sforzo dell'organismo non si intende solo lo sforzo fisico (fare
una corsa, eseguire un lavoro faticoso, andare in salita, fare un pasto abbondante) ma
anche altre situazioni che richiedono un maggior lavoro del cuore e perciò una maggior
richiesta di sangue.:
- vivere una situazione stressante
- febbre,
- anemia (= calo dei globuli rossi, che costringono il cuore a pompare più in
fretta per portare la stessa quantità di ossigeno ai tessuti)
- ipertiroidismo (aumenta le esigenze dell'organismo)
- malattie infettive,
- malattie respiratorie,
- aumento di liquidi che aumentano il volume del sangue

Se invece la patologia è grave tanto da ridurre di molto la forza pompante del


cuore (circola in pratica meno sangue), i tessuti dei vari organi ne risentono
anche in una situazione di riposo. Teniamo presente le conseguenze che
possiamo avere in un organo come il cervello!

Quali sono i sintomi che possono essere espressione di patologie cardiache?


- dispnea (o affanno) : è sempre presente e a seconda se la patologia è
lieve o grave, compare dopo l'esecuzione di uno sforzo o anche a riposo. E'
il motivo per cui il paziente si presenta dal medico!

Come sintomo però la dispnea è di scarsa importanza diagnostica perchè è


generica ed può essere il sintomo di:
- patologie all'apparato respiratorio che, nell'anziano sono sempre presenti,
- di anemia,
- di carenza di ossigeno nell'aria).

Dall'affanno perciò non si può sapere se l'individuo soffre di cuore o ha


una patologia polmonare o è anemico, e si devono perciò fare altre
indagini.

- dolore in sede cardiaca nel torace.


E' presente nell'angina pectoris e nell'infarto.
(Può essere attenuato nell'anziano per la diversa sensibilità al dolore e perciò
non sempre è proporzionato all'effettivo danno) Questo dolore poi, essendo
spesso riferito in altre zone (ad esempio allo stomaco) può essere attribuito a
malattie dell'apparato digerente o respiratorio.

- edema agli arti inferiori specie nel caso di malattie del cuore destro

- la cianosi (= il colorito bluastro della cute) alle labbra o all'estremità degli


arti .
E' sintomo di particolare gravità delle patologie cardiache ma anche di quelle
polmonari (come l'affanno)

127
- modificazioni della funzione cerebrale dovute al fatto che la malattia
cardiaca riduce l'apporto di sangue al cervello, con conseguenti:
- perdite momentanee della coscienza
- capogiri
- confusione mentale. (Anche questo sintomo non è tipico delle
patologie cardiache perchè si riscontra nei casi di scarsa
irrorazione cerebrale

ANGINA PECTORIS

E' un forte dolore al petto che blocca il soggetto durante il lavoro o lo sforzo che sta
eseguendo. Nell'anziano spesso il dolore è più diffuso e di minor intensità che
nell'adulto.

Il dolore è transitorio e in genere risponde bene all'assunzione di vasodilatatori


coronarici (Trinitrina, Carvasin, ecc.: sono compressine da far sciogliere tenendole
sotto la lingua, che il paziente affetto da angina pectoris deve tenere sempre a
portata di mano).

Fisiopatologia:
le coronarie sono affette da aterosclerosi, cioè hanno una placca aterosclerotica
che restringe parzialmente il lume della coronaria. Quest’arteria dal lume lascia
passare la quantità di sangue necessaria alle richieste normali del cuore, ma in
caso di improvviso maggior lavoro del cuore, (ad esempio per uno sforzo) non
riesce ad allargarsi tanto da lasciar passare la quantità maggiore di sangue
richiesto.
In questo caso c'è la sofferenza delle cellule del miocardio, con la comparsa del
dolore.
NB: ricordiamo che le coronarie hanno una distribuzione terminale per cui
se conducono meno sangue vanno a soffrire i territori di cellule a valle del
restringimento.

Teniamo presente che questa sofferenza può comparire anche per l'effetto
improvviso della nicotina (sigarette) o di altre sostanze che provocano
restringimento delle coronarie.

Principali occasioni in cui compare l’angina pectoris::


- sforzi fisici
- stress emotivi
- freddo

INFARTO DEL MIOCARDIO

è la morte di un gruppo di cellule cardiache per chiusura totale e rapida del


ramo delle coronarie che le nutrivano a causa di un trombo che ha complicato una
placca di ateroma o di un embolo che si è staccato dal trombo ed è sceso più a
valle in un ramo della coronaria.. (è chiaro che la coronaria deve essere affetta da
aterosclerosi).

128
Sintomi: (negli anziani la sintomatologia non è sempre così evidente):
- dolore acuto al petto con irradiazione al braccio sinistro.(il dolore non cessa
assumendo vasodilatatori (trinitrina)
- sensazione "soggettiva di morte".
- Sudore, cute pallida, ipotensione.
- negli anziani è frequente anche una sintomatologia cerebrale , dovuta al fatto che il
cuore malato non invia sufficiente sangue al cervello:
- stato confusionale
- capogiri o perdita di coscienza fino ad arrivare al coma

Diagnosi:
- con E.C.G. (elettrocardiogramma)
- misurando l'aumento degli enzimi cardiaci nel sangue (= dalla cellula morta
escono delle sostanze chiamate enzimi che si riversano nel sangue.

Terapia: se il paziente arriva in ospedale e viene diagnosticato l’infarto in


atto entro 2 ore, è possibile tramite un intervento chirurgico relativamente
semplice, rimuovere il trombo o l’embolo che ostruisce l’arteria coronaria e
applicando all’interno dell’arteria nel luogo dell’ostruzione, uno “stent” cioè
un tubicino che la tiene sempre aperta.

LE ARITMIE

Sono dei disturbi del ritmo cardiaco dovuti a lesione del tessuto di conduzione.
Il cuore può battere più veloce o più adagio del normale o in modo irregolare in
modo che in certi momenti esistono una serie di battiti rapidissimi uno di seguito
all'altro, seguiti da pause dove i battiti tornano regolari oppure molto rallentati.

E' chiaro che una serie di battiti veloci non permettono al cuore di riempirsi
adeguatamente prima di spremersi e una serie di battiti lentissimi non spingono in
circolo abbastanza sangue. Dunque le aritmie comportano in ogni caso periodi di
mancanza di una sufficiente quantità di sangue in circolo con conseguenze,
anche gravi, per organi molto sensibili come il cervello.

Il paziente con aritmia, ogni volta che i battiti accelerano sopra un dato limite o
rallentano sotto un dato limite, si sente svenire, può perdere conoscenza e, se
l'aritmia perdura nel tempo interviene la morte per insufficiente quantità di sangue
spremuta in circolo.

Da ciò se ne deduce che le aritmie (salvo le extrasistoli che sono dei battiti aggiuntivi
che ogni tanto si inframmettono nel battito normale) sono sempre gravi e devono
essere sempre curate.

Le aritmie più comuni sono:

a) EXTRASISTOLI
sono dei battiti in più che compaiono ogni tanto, inseriti in un ritmo
normale. ( sono tra l'altro frequenti anche nelle persone sane molto
emotive).

129
- Una sola extrasistole ogni tanto non porta conseguenze, ma, se si
susseguono in modo ripetuto diventano una serie di battiti accelerati e non
danno il tempo al ventricolo di riempirsi adeguatamente.

b) FIBRILLAZIONE ATRIALE
è il battito cardiaco con un ritmo superiore a 350 battiti al minuto. In questo
modo l'atrio "sfarfalla" cioè è sottoposto ad una specie di vibrazione; se questo
ritmo si trasmettesse al ventricolo anche il ventricolo entrerebbe in fibrillazione ed
il sangue non circolerebbe. In pratica, per fortuna, si istituisce un "blocco" del
tessuto di conduzione tra l'atrio ed il ventricolo, per cui il ventricolo continua a
battere con un suo ritmo normale anche se l'atrio " è impazzito".

- E' molto frequente nell'anziano che quasi può anche non accusare alcuna
sintomatologia. La “non spremitura dell’atrio” comporta però all’interno dell’atrio
stesso delle zone dove il sangue ha il flusso rallentato e questo può portare alla
formazioni di trombi e secondariamente degli emboli, per cui questi pazienti sono
mantenuti sotto anticoagulanti (CUMADIN)

c) FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE
E' una condizione rapidamente mortale (minuti), e perciò gravissima, che
consiste nella sola "vibrazione” dei ventricoli che in pratica “sono fermi” e non
spingono il sangue. E’ la stessa situazione dell’arresto cardiaco e se non si
interviene rapidamente con un "defibrillatore elettrico" l'individuo muore.

SINTOMI
I segni sono gli stessi dell'ARRESTO CARDIACO: perdita di coscienza,
arresto del respiro, assenza dei polsi e assenza del battito cardiaco

NB: in attesa dell'intervento medico, si deve intervenire con il


massaggio cardiaco associato alla respirazione artificiale.

LO SCOMPENSO CARDIACO
è l'incapacità del cuore a mandare in circolo (grande o piccolo circolo) il
sangue sufficiente a soddisfare le richieste del momento con conseguente
sintomatologia dipendente sia dalla insufficiente quantità di sangue che arriva
in un dato territorio, sia dal ristagno di sangue in uno dei due circoli (grande o
piccolo).

Cause:
L'insufficienza cardiaca si sviluppa in genere in seguito a una lesione cardiaca,
ad esempio in conseguenza di un infarto del miocardio, di un'eccessiva
sollecitazione cardiaca dovuta a un'ipertensione non trattata per diversi anni o
in conseguenza di una disfunzione valvolare.

130
Osserviamo il seguente disegno dove è schematizzata la grande e la piccola
circolazione:

Cuore
sano

Facciamo degli esempi didattici nel cuore sano:


Quando l'organismo è a riposo il cuore sx manda nella grande circolazione 2 litri di sangue al
minuto, e anche il cuore dx spinge nella piccola circolazione 2 litri di sangue al minuto. (i 2
litri sono ovviamente un esempio didattico).

Se l'organismo richiede più sangue nella grande circolazione (ad esempio correndo o
digerendo) il cuore aumenta la forza della sua contrazione e spinge 4 litri di sangue al
minuto. Contemporaneamente deve seguirlo anche il cuore dx che aumenta la sua spinta
fino a far circolare nella piccola circolazione i 4 litri di sangue al minuto.

Se l'organismo richiede ancora più sangue il cuore spinge 6 litri di sangue al minuto nella
grande circolazione ed anche il cuore dx lo segue spingendo i 6 litri di sangue al minuto nella
piccola circolazione.
Concludendo se il cuore è sano e non presenta dei difetti il cuore dx ed il cuore sx lavorano
in sincrono e in un minuto il sangue che circola nella piccola circolazione è lo stesso
della grande circolazione.

Se invece il cuore presenta patologie o esiti di patologie, non riesce a


soddisfare le maggiori richieste di sangue che l'organismo necessita quando
compie qualche attività e nel tentativo di farlo, uno dei due ventricoli si
"sfianca" più dell'altro. In questo modo, sempre seguendo i disegni
seguenti, si vede che se cede il ventricolo sx avremo uno:

a) SCOMPENSO SINISTRO

- il cuore destro spinge con


forza normale il sangue nei
polmoni
-il cuore sinistro “non ce la fa”
a mandare avanti il sangue
che gli arriva dai polmoni, per
cui il sangue ristagna nei
polmoni e, sempre spinto dal
ventricolo destro fa uscire la
sua componente liquida negli
alveoli polmonari (= EDEMA
POLMONARE)
L’edema polmonare è una gravissima patologia respiratoria che compare
quando si scompensa il cuore sx.
I sintomi sono ovviamente polmonari. (gravissima dispnea che porta
rapidamente a morte)

131
se invece cede il ventricolo dx avremo uno:

b) SCOMPENSO DESTRO

- il cuore sinistro spinge con forza normale il sangue nella periferia.


- il cuore destro non riesce a mandare avanti il sangue che vi arriva dalle vene
cave per cui ristagna in periferia e
da qui trasuda dai capillari dei
tessuti che restano quindi pieni di
liquido e si hanno così gli EDEMI
PERIFERICI (soprattutto gambe
gonfie)
-
- Anche nel fegato c'è
ristagno (perchè non può
svuotarsi nella vena cava) e
c'è un conseguente
aumento di volume del
fegato

Sintomatologia:
I sintomi dell'insufficienza cardiaca (=scompenso cardiaco) non sono sempre chiari
soprattutto se lo scompenso si instaura lentamente, poi compaiono, aumentando
progressivamente, facile affaticamento, o la sensazione di "fame d'aria" (=dispnea)
ed edemi periferici.

Se il cuore continua a “sfiancarsi” si prosegue verso la sintomatologia più grave.


L’edema polmonare o imponente edema periferico che coinvolge anche il fegato,
fino a portare a morte.

A seconda del "grado di sfiancamento" di uno dei due ventricoli rispetto all'altro, lo
scompenso cardiaco può essere ad insorgenza acuta (vedi quando porta
all'edema polmonare) o instaurarsi molto più lentamente permettendo così
l'intervento medico.

Le situazioni che portano il cuore già malato a “scompensarsi del tutto” sono
situazioni che in modo rapido vanno a sovraccaricare il cuore in modo
scompensarlo sono:
- infezioni respiratorie (polmonite)
- anemie
- ipertiroidismo
- aritmie
- aumento di peso
- attività fisica eccessiva
- alcuni farmaci

132
PATOLOGIE più comuni
dell’ APPARATO RESPIRATORIO dell’anziano
Nell'anziano la gabbia toracica si irrigidisce, il tessuto polmonare perde di elasticità e di
funzione, diminuisce la forza contrattile della muscolatura respiratoria. Per tutte queste
ragioni c'è una limitata capacità respiratoria.

A questo si aggiunge una caduta delle difese dell’apparato respiratorio dovuto una
diminuzione delle ciglia tracheo-bronchiali ed una diminuzione del riflesso della tosse per
cui le infezioni respiratorie attecchiscono meglio che nel giovane.

Cause dell'abbassamento delle difese:

1) FREDDO che blocca le ciglia, ed essendo vasocostrittore riduce la


circolazione nei bronchi, calano così le sostanze nutritive ai bronchi e
di conseguenza è prodotto meno muco.

2) FUMO, INALAZIONI SUL LAVORO, INQUINANTI ATMOSFERICI


(ozono, ossidi di azoto, ossidi di zolfo)
l'irritazione cronica provocata dal fumo aumenta il catarro. L'epitelio
bronchiale diventa piatto (poco funzionale e perciò senza difese) per
il continuo stimolo irritativo.

3) GRADO DI UMIDITA’ DELL’ARIA (se troppo secca toglie umidità al


muco bronchiale diminuendo la sua azione di difesa)

CONCLUSIONI:
Presentando dunque una limitata capacità respiratoria di base, l'anziano soffre molto
di più le patologie respiratorie che lo colpiscono rispetto a un giovane che ha
l’apparato respiratorio integro.
NB: è da segnalare che nell'anziano la capacità dei tessuti di "sfruttare"
l'ossigeno mandato nel sangue diminuisce, per cui l'ossigeno, oltre che essere
diminuito è anche sfruttato poco, peggiorando la situazione generale.
Nell'individuo che ha sempre praticato una vita attiva e sportiva lo "sfruttamento"
dell'ossigeno anche se è diminuito rimane sempre più alto di quello di un pari età
che ha fatto una vita sedentaria.
Per fare un esempio, un individuo di 65 anni con una vita moderatamente attiva
risulta dal punto di vista respiratorio 15 anni "più giovane" del suo coetaneo
sedentario.

Il sintomo comune a tutte le patologie dell’apparato


respiratorio è la DISPNEA che è la difficoltà a respirare.

NB: la dispnea è anche sintomo di:


- scompenso cardiaco
- anemie
- cause metaboliche (comi diabetici e insufficienza renale)
- ansia

133
INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

E' l’incapacità del sistema respiratorio (polmone, bronchi, trachea, laringe, ecc))
di assicurare un adeguato scambio gassoso a livello degli alveoli sia sotto
sforzo che a riposo.

Questa è l’estrema conseguenza a cui possono portare le patologie che


procurano dispnea (polmonari, cardiache, anemiche, ecc)

L’insufficienza respiratoria può essere lieve, di media entità e grave.

Quando s’instaura l'insufficienza respiratoria vuol dire che tutte le situazioni di


compenso mette in atto dall'organismo si sono saturate e c'è un aumento della
CO2 . Se non si riesce a porre rimedio a questa situazione, curando o
eliminando le cause che l’anno provocata, c'è la morte del paziente.

SINTOMI dell’insufficienza respiratoria (esprimono tutti la grande fatica a


respirare):
- grave dispnea
- uso dei muscoli ventilatori accessori
- respiro frequente (tachipnea) e irregolare
- stato confusionale

Uno degli ausili usati in questo caso si usa l’ossigenoterapia anche


domiciliare.

Quadri clinici:

INFLUENZA
- è un’infezione di origine virale per contagio diretto inalando il virus disperso
nell'aria dopo che vi è stato appena emesso con tosse e starnuti dall'uomo malato.

- Agente favorente è l'ARIA SECCA che toglie umidità al muco diminuendo la sua
azione di difesa.

SINTOMI:
febbre, stato di malessere, cefalea, indolenzimento, brividi, irritazione delle vie
respiratorie. Nell’anziano che soffre già di altre patologie respiratorie e che
perciò ha una capacità polmonare ridotta, l’influenza rappresenta sempre un
evento grave perché sottrae ulteriormente capacità respiratoria in modo rapido.

COMPLICANZE:
la mucosa, già lesionata dal virus, può essere sede di attacco batterico con
conseguente sovrapposizione di bronchiti e broncopolmoniti batteriche.
NB: nell'anziano la risposta immunitaria è più lenta perciò la produzione di
anticorpi è minore.

Presidio terapeutico:
- molto utile è la UMIDIFICAZIONE dell’AMBIENTE: stracci bagnati sui termosifoni
e inalazioni di vapori d'acqua a concentrazione fisiologica (1 litro di acqua + 9
grammi di sale da cucina)

134
POLMONITI E BRONCOPOLMONITE
in genere sono infezioni dei polmoni e dei bronchi causate da batteri. che, trovano un
terreno dove le difese sono calate o esiste una difficoltosa eliminazione dell’escreato come
nel caso di una prolungata immobilizzazione a letto.
Sono sempre evenienze gravi nell’anziano perché tolgono rapidamente capacità polmonare
ad un soggetto che l’ha già ridotta.

Una polmonite particolare è la broncopolmonite ab ingestis (dovuta a cibo


accidentalmente penetrato nei polmoni e che va incontro a putrefazione a causa dei
batteri. Questo evento è frequente nei pazienti disfagici, dove, a causa di un ictus, la
regolazione nervosa delle strutture deputate alla deglutizione sono compromesse.

SINTOMI:.
- febbre
- tosse,
- espettorazione muco purulenta,
- dispnea intensa,
- cianosi,
- dolore toracico puntoreo

N.B.: spesso nell'anziano la broncopolmonite ha sintomi più sfumati (può


addirittura mancare la febbre perché l'organismo dell'anziano non ha energia
sufficiente da produrla, c'è comunque sempre dispnea e a volte stato
confusionale per la scarsa ossigenazione cerebrale.

BPCO (= broncopneumopatia cronica ostruttiva)


E’ una patologia cronica e ingravescente che si instaura lentamente e che colpisce
bronchi e polmoni e consiste in:

• bronchite ostruttiva :riduzione del calibro dei bronchi a causa dell’essudato


cronico (=catarro) di una bronchite cronica causata in genere da fumo, inquinanti
atmosferici, o episodi allergici frequenti,. A causa di questa riduzione di calibro l’aria
deve essere espulsa con più forza per cui nella zona degli alveoli c’è un aumento di
pressione che va a rompere i setti tra gli alveoli

• ENFISEMA POLMONARE: che è la rottura dei setti degli alveoli polmonari con
diminuzione della superficie respiratoria, perché dove c’era un gruppo di alveoli ne
deriva uno solo che ha meno superficie. La rottura dei setti è dovuta anche alla
perdita dell'elasticità complessiva del polmone dovuta al progredire dell’età.
L'elasticità è importante perchè più un polmone è elastico, più può espandersi e
incamera più aria durante l'inspirazione.; ne consegue che se è meno elastico, l'aria
utilizzata è minore.

SINTOMI del paziente affetto da BPCO(che si aggravano progressivamente :


- tosse e catarro cronici
- dispnea prima sotto sforzo poi progressivamente anche a riposo
- progressivo senso di estrema stanchezza con incapacità a svolgere le normali attività
lavorative
- necessità di usare ossigenoterapia anche a domicilio

Il problema del paziente affetto da BPCO è che ha una superficie respiratoria ridotta
per cui lo svolgimento di attività poco dispendiose può essere asintomatico ma appena
il paziente compie uno sforzo anche piccolo compare la dispnea.

135
EDEMA POLMONARE
gravissima affezione acuta (=che si instaura in brevissimo tempo) dei polmoni
caratterizzata dalla penetrazione di liquido (proveniente dal sangue della piccola
circolazione) negli alveoli polmonari.

Questo liquido infiltra sia il tessuto tra gli alveoli sia gli alveoli stessi riempendoli ed
impedendo che in essi avvengano gli scambi respiratori.

La causa come abbiamo visto è lo SCOMPENSO CARDIACO SINISTRO.

SINTOMI dell’EDEMA POLMONARE:


- c'è grave dispnea rapidamente ingravescente (sono sempre interessati entrambi i
polmoni.

- si sentono dei rantoli umidi a "marea montante".

- se non si interviene subito (chiamare immediatamente il medico tenendo il paziente


seduto) il liquido risale l'albero respiratorio fino a raggiungere la bocca (emissione di
schiuma) ed il paziente muore "annegato nel proprio liquido"

PNEUMOTORACE
è la presenza di aria nella cavità tra le due pleure con conseguente rimpicciolimento
(= collasso) del polmone dell'emitorace interessato.
Ricordiamo che il polmone rimane espanso se tra le due pleure rimane il vuoto
aspirato(=pressione negativa) e con solo un film di liquido; i foglietti pleurici
rimangano così uniti come una ventosa (se dovesse entrare aria i foglietti si
staccano).

COME SI INSTAURA IL PNEUMOTORACE?

1) - spontaneamente in seguito ad uno sforzo come un colpo di tosse od ad


uno starnuto si rompe una bolla di enfisema(che può essere anche
congenita ed essere passata inosservata) versando così un po' di aria tra le
due pleure.
- questo tipo di pneumotorace tende a risolversi
spontaneamente appena l'aria versata nel cavo pleurico viene
riassorbita.

2) - traumaticamente in seguito a traumi penetranti e non del torace che


provocano, lesionando la parete pleurica, l'entrata di aria proveniente dai
bronchi o dall'esterno.

Sintomi:
il pneumotorace è un incidente grave per la grave insufficienza respiratoria
che produce e per l'intervento medico che richiede.
All'operatore si richiede di tener presente questa patologia (per poter
attivare l'intervento di soccorso) ogni qualvolta si è in presenza di traumi al
torace (tipo la caduta contro lo spigolo di un tavolo) seguiti da una grave
difficoltà respiratoria.

136
PATOLOGIA
DELL' APPARATO DIGERENTE

ASPETTI FUNZIONALI NELL'ANZIANO:


L'apparato digerente nell'anziano subisce delle alterazioni sia anatomiche che
funzionali come ad esempio:
- si riduce la secrezione salivare
- i denti sono scarsi o malridotti
- la mucosa dello stomaco secerne meno succo gastrico
- la peristalsi diviene meno valida
- il pancreas secerne meno enzimi

Tutto questo porta a una progressiva maldigeribilità dei cibi, ad un loro ridotto
assorbimento con conseguente ripercussione sul resto dell'organismo.
Complessivamente però se la dieta è sufficiente, ragionata ed equilibrata,
l'apparato digerente rimane ancora in grado di svolgere una funzione
accettabile.

Analizziamo ora le sintomatologie e le patologie più frequenti (che possono


richiedere interventi preventivi e/o assistenziali)

Le patologie dell’apparato digerente possono avere la seguente


sintomatologia:
• dispepsia = digestione difficoltosa con dolore in zona
digestiva.
• dolore
• vomito
• stipsi
• diarrea
• emorragia
• ittero

VOMITO
è un sintomo molto frequente nell'anziano, e spesso è resistente a qualsiasi
terapia. Consiste nell'improvvisa emissione dalla bocca di materiale contenuto
nelle cavità del tubo digerente.
può essere causato da:
• infiammazioni dell’apparato digerente(gastroenterite, pancreatiti,
colecistiti, appendicite, epatite
• stimoli tossici (alcol, droghe, sostanze emetiche (=che fanno vomitare)
tossiche)
• ostruzioni dell’app.digerente (stenosi pilorica, blocco intestinale
chiamato “ileo)
• patologie renali che portano a un tasso alto di urea che ha un’azione
tossica sul cervello
• patologie del sistema nervoso (meningiti, traumi cranici)

137
Dall’osservazione del vomito si possono ricavare numerose informazioni sulle
patologie eventualmente presenti nell’apparato digerente.
Se il vomito persiste può portare ad uno stato di disidratazione e di squilibrio
elettrolitico, perché col vomito si perdono molti sali che sono essenziali per
la funzione muscolare.
Dopo un episodio di vomito (se le condizioni lo consentono), la cosa più
importante da fare è bere a piccoli sorsi una bevanda a temperatura ambiente
che contenga sali minerali.
E' ovvio che l'alimentazione deve essere sospesa fino alla cessazione del
sintomo che può avvenire spontaneamente o tramite farmaci.

I problemi dell’ ALVO


(= eliminazione delle feci)

1) LA STIPSI
è l'eliminazione di feci dure, consistenti, rallentate nel tempo (tener presente
che l'EVACUAZIONE o ALVO NORMALE è: da 2 volte al giorno a 1 volta ogni
due giorni).
Cause della stipsi:
- patologie che tendono a ostacolare il regolare transito intestinale (es. tumori)
- intestino crasso poco pieno (per digiuno o per cibi che danno poche scorie
o per scarsa assunzione di liquidi)
se il colon è flaccido, non ha una valida motilità perciò il movimento delle
feci nel colon è rallentato. Le feci stazionando un tempo maggiore
nell'intestino, subiscono in più un maggiore riassorbimento di acqua per
cui induriscono ulteriormente con la formazione di FECALOMI.
- inattività fisica che diminuisce il tono di tutta la muscolatura, anche quella
del colon. . Teniamo presente che nell'anziano i muscoli sono ipotrofici e
perciò esercitano una "spinta peristaltica" debole. Anche questo è causa
di FECALOMI.
- abuso di lassativi (che hanno "sfiancato" le pareti del colon)
- stati di depressione o cambio di ambiente (agiscono sul sistema nervoso
simpatico)

NB: il dolore addominale di solito non è presente nella stipsi

Terapia: (una volta accertato che la stipsi non dipende da patologie specifiche come
ad es. un tumore), la terapia migliore è quella preventiva che si basa su:

- misure igieniche: vita attiva con del movimento, defecazione ad


orari determinati, ecc.

- misure dietetiche: che consistono nell’aumentare il contenuto


intestinale le feci, con sostanze che siano ricche di scorie (cibi
integrali, crusca, verdura e frutta cotta.

- abbondante apporto di acqua naturale a temperatura ambiente o


appena tiepida ( mai fredda o ghiacciata).

Nel caso di stipsi ostinata la terapia prescritta dal medico si basa sull'uso
dei lassativi e dei clisteri.

138
NB: Nel caso di stipsi con spasmi intestinali (la presenza di dolore è
sintomo di infiammazione intestinale) la dieta invece deve essere
leggera e povera di scorie per mettere a riposo l'intestino.
L'aumento delle scorie verrà fatto successivamente in modo
graduale.

- i lassativi (o purganti):
- sono sostanze che agiscono stimolando la peristalsi con meccanismi
diversi, in modo blando o violento. I lassativi svuotano completamente
il colon, e affinché questo si riempia e si formino di nuovo le feci
occorrono 2 giorni di alimentazione normale. (tener presente che l'uso
dei purganti, essendo in genere sostanze irritanti, ha delle
controindicazioni: NB: non vanno usati i lassativi se è presente dolore
che potrebbe essere spia di una infiammazione intestinale, perché così
si verrebbe ad aumentare ulteriormente l'infiammazione con il rischio di
una perforazione intestinale.)

Malauguratamente l’uso dei lassativi viene effettuato quasi sempre


fuori dal controllo medico, di frequente e senza criterio, il che ne
rende l'azione spesso inefficace e pericolosa.

- clisteri
- Sono eseguiti con l'impiego di circa mezzo litro di acqua tiepida
(semplice o mescolata a diverse sostanze: infuso di camomilla,
sapone, glicerina, olio di oliva emulsionato, ecc.) fatta defluire
attraverso una cannula anale, molto lentamente e a bassa
pressione affinché il paziente possa trattenere il liquido senza che
si scateni immediatamente il riflesso alla defecazione.
Solo dopo mezz'ora, quando il liquido si sarà mescolato con le feci
ristagnanti o avrà stimolato convenientemente la peristalsi, potrà
essere emesso il tutto.
Eventualmente, se occorre, il clistere potrà essere ripetuto dopo
breve tempo.

139
2) DIARREA
è l'evacuazione di feci abbondanti liquide o semiliquide ripetutamente
nel corso della giornata.

Ricordarsi che la diarrea è un sintomo non una malattia e può avere molte
cause:

n chimica (es: purganti, tossine di funghi, ecc.)

n fisica (colpo di freddo)

n batterica (colera, salmonellosi, dissenteria bacillare)

n intolleranze alimentari: un esempio l’intolleranza al lattosio.


Mancando l'enzima che degrada il lattosio, perché l'organismo non
ha ancora imparato a costruirselo, il lattosio giunge invariato al
colon dove viene attaccato dai batteri con conseguente irritazione
intestinale e diarrea conseguente.

Queste cause agiscono attraverso 3 meccanismi:

1) - accelerazione dei movimenti peristaltici delle pareti intestinali e


quindi della velocità di transito delle feci nell'intestino

2) - diminuito assorbimento dell'acqua perché la funzione del colon è


lesionata e così alla fine del colon arrivano feci liquide

3) - aumentata secrezione di liquidi da parte della mucosa intestinale


infiammata dalle feci acide.

La diarrea crea una condizione sempre grave per l'anziano perché:


- altera la flora batterica. (Le feci oltre che liquide sono maleodoranti
per la diversa flora batterica che si sviluppa.)
- non fa assorbire ciò che ha ingerito
- fa perdere una grossa quantità di acqua e di sali
- non vengono prodotte le vitamine perché la flora batterica è diversa

Terapia della diarrea:


-- di fronte ad un caso di diarrea il medico, individuata la malattia di cui la
diarrea è il sintomo, predispone la terapia specifica (ad es. gli antibiotici
se la causa è batterica).

-- importante è la reidratazione e del paziente con acqua per via orale


.
La dieta deve essere liquida con pochissime scorie.

140
Le EMORRAGIE dell’apparato digerente
Sono perdite di sangue, causate dalla rottura di vasi sanguigni che si trovano
sulle pareti dell’apparato digerente e che si riversano nel lume
dell’apparato digerente e sono portate all’esterno o con il vomito o con
le feci

Le cause dell’erosioni di questi vasi sanguigni sono:


- Gravi infiammazioni di un tratto dell’apparato digerente
- diverticoli,
- ulcera gastroduodenale,
- TBC intestinale,
- Traumi intestinali
- Perforazioni iatrogene (provocate accidentalmente) dal
medico durante indagini strumentali e interventi
chirurgici dell’apparato digerente
- rottura di varici esofagee o rettali (emorroidi),
- ragadi anali
- Tumori dell’apparato digerente

Terminologia: - ematemesi: fuoriuscita di sangue con il vomito

- melena: fuoriuscita di sangue digerito con le feci che appaiono


nere (a fondi di caffè)

- enterorragia emissione di sangue visibile con le feci; più il colore


del sangue è “rosso vivo”, più l’emorragia è bassa (=vicino all’ano.

a titolo di chiarimento riportiamo le tipologie di emorragia digestiva in funzione della


sede di insorgenza
ematemesi melena enterorragia
Esofago +++ ++ ---
Stomaco-duodeno +++ +++ ---
Digiuno-ileo --- +++ +/-
Colon --- ++ +++
retto --- --- +++

Sintomi:
oltre alla constatazione della perdita di sangue possono subentrare i sintomi
dell’anemia (stanchezza, debolezza, dispnea) soprattutto se la perdita è di lieve
entità e prolungata nel tempo.

il SANGUE OCCULTO nelle feci: è la presenza nelle feci di piccole quantità di


sangue da non essere visibili ad occhio nudo (e che non provocano cambiamento
dell’aspetto delle feci). Questa piccola presenza di sangue nelle feci può essere
evidenziabile solo con una ricerca di laboratorio.(=ricerca di sangue occulto nelle
feci)
Questo sanguinamento microscopico ma continuo è indice di numerose patologie
gastro-intestinali (ulcera, varici esofagee, colite ulcerosa, polipi, tumori maligni) per
cui la ricerca di sangue occulto nelle feci rappresenta un importante test per la
diagnosi precoce del cancro del colon-retto ed è consigliata a con cadenza
annuale o biennale a partire dai 45/50 anni di età.

141
OCCLUSIONE INTESTINALE o ILEO
grave patologia che consiste dall'arresto dell'avanzata, del contenuto
dell'intestino (solidi, liquidi e gas). In questo modo i liquidi che sono stati
versati nel lume dell'apparato digerente (saliva, succhi gastrici, pancreatici,
biliari) non vengono più riassorbiti creando un grave squilibrio nei liquidi
circolanti.

Si distinguono innanzitutto due tipi di occlusioni intestinali:

- ILEO MECCANICO dovuto alla presenza di un ostacolo fisico che può


consistere in:
• tumori
• corpi estranei che occludono il lume intestinale (=fecalomi)
• volvolo (la parete intestinale si attorciglia su sè stessa)
• diverticolo infiammato (l'edema della flogosi occlude il lume)
• ernia strozzata
• aderenze (sono cicatrici da precedenti interventi chirurgici o
precedenti flogosi che vanno a “strozzare parete intestinale"
chiudendo così il suo lume

ILEO PARALITICO dovuto all’arresto della peristalsi per paralisi della
muscolatura involontaria del tubo digerente
-

Sintomi dell'occlusione alta (vicina al duodeno):


• vomito
• dolore

Sintomi dell'occlusione del tenue e del colon


- vomito di materiale gastrico e anche intestinale
- arresto dell'emissione di feci e gas
- dolori addominali (per l'intensa contrazione muscolare). Dopo 24 ore il
dolore può scomparire per la definitiva "paralisi" della muscolatura
intestinale.
- grave disidratazione
- profondo malessere, senso di oppressione, secchezza della cute e delle
mucose, tachicardia, ipotensione arteriosa e, se il paziente non viene
rapidamente operato, collasso cardi-circolatorio.

L’occlusione intestinale è sempre una situazione grave e se non viene


trattata con l’intervento chirurgico può determinare la necrosi dell’intestino
con con rischio di perforazione della parete intestinale, peritonite, setticemia e
shock

142
LA STOMIA
(ANO ARTIFICIALE)

L’ano artificiale è chiamato anche stomia e consiste in un'apertura artificiale


praticata mediante intervento chirurgico in una parte antero-laterale dell'addome
nella quale sbocca l'intestino e attraverso la quale vengono espulse le feci.

La stomia non presenta sfintere, cioè non è dotata di muscolatura in grado di


controllare la fuoriuscita dei gas e delle feci.

La stomia può essere:


temporanea quando la stomia viene confezionata come “protezione
temporanea per mettere a riposo l’intestino” (per esempio nel corso di gravi
infiammazioni dell’intestino) e e le feci per essere espulse prendono questa
strada non essendo costrette a percorrere il tratto infiammato. Poi, a
guarigione avvenuta, la stomia viene rimossa e le feci possono riprendere il
loro percorso naturale.

definitiva quando il tratto di intestino che segue la stomia è escluso


definitivamente dal transito delle feci del tratto distale dell’intestino o
completamente asportato per esempio a causa di un tumore .

Possiamo avere principalmente due tipi con posizioni diverse della stomia:

l’ILEOSTOMIA: Quando l’ileo (parte terminale dell’intestino tenue viene


abboccato sul lato destro dell’addome. In questo caso le feci sono per lo più
liquide, abbondanti e acide

COLOSTOMIA: è il colon che viene abboccato alla parte laterale sinistra


dell’addome. Le feci che fuoriescono sono normali, praticamente solide, ma i gas
sono più abbondanti. La fuoriuscita delle feci è più regolare e può essere ancor
meglio controllata mettendo in atto pratiche come l’irrigazione intestinale o
seguendo un’alimentazione controllata.
Le feci che fuoriescono dall'ano artificiale, che ovviamente non può essere
provvisto degli sfinteri, sono raccolte in una sacca che si applica tramite delle
piastre adesive alla cute circondante l'apertura, e devono essere cambiate
periodicamente quando si riempiono.

L'ano artificiale può presentare per il paziente una serie di disagi legati a:
- non accettazione della nuova situazione
- inadeguato insegnamento e cattiva esecuzione delle norme per la cura della
stomia.

In realtà la cura della stomia è abbastanza semplice e consta di poche operazioni:


- l'igiene della stomia
- la sostituzione della sacca
- l'educazione dell'enterostomia

143
1) igiene della stomia:
- Dopo aver staccato la sacca, la cute circostante lo stoma deve essere tenuta
solamente pulita mediante lavaggi con acqua e sapone e staccando con le dita i
residui dell'adesivo della sacca. Molto raramente può essere necessario, per
staccare completamente la colla, aiutarsi usando delicatamente una garza imbevuta
di solvente eseguendo piccole e delicate tamponature della pelle.
L'igiene generale (la doccia o il bagno) possono essere praticati mantenendo il
sacchetto in sede se è vuoto, o togliendolo prima, se è già avvenuta l'evacuazione
delle feci.

2) Sostituzione della sacca: a seconda dei tipi in commercio può essere applicata
direttamente alla cute oppure attaccata ad una placca che è stata adesa intorno allo
stoma. In questo secondo modo è possibile cambiare senza problemi due o tre volte
la sacca senza che la cute ne soffra; la placca si può così cambiare più di rado a
tutto vantaggio della cute. La pelle attorno alla stomia è molto delicata e necessita di
attenzioni e cure igieniche ogni giorno. E’ continuamente esposta a sollecitazioni
meccaniche durante il cambio dei presidi e a irritazioni chimiche causate dalle feci.

L'importante è che la parte adesiva sia solo a contatto della pelle e non della
mucosa intestinale che si vede fuoriuscire dallo stoma (come se fosse un labbro).
Al momento dell'applicazione il paziente deve un po' inarcare la schiena in dietro per
distendere bene la pelle. L'adesivo va compresso dal centro alla periferia, e la cute
deve essere ben asciutta.
La sacca usata, staccata dalla cute, va svuotata nel W.C. e gettata nelle immondizie
dopo averla ripiegata su se stessa e incollata.

3)L'educazione dell'enterostomia consiste nell'abituare l'intestino a funzionare in


maniera tale da creare il meno problemi possibili e impostare una dieta che risponda
ai seguenti requisiti:
- mangiare non più di tre volte al giorno per non aumentare la peristalsi
- evitare i cibi che provocano gas intestinali (legumi e cavoli, spezie in genere,
carne di pesce, ecc)
- preferire cibi astringenti e assorbenti (riso, banane ecc.)
- abbondare con le bevande che devono essere non gassate e limitare il latte

144
PATOLOGIE DEL FEGATO
Richiamo anatomico
Nella cellula epatica che si comporta come un'attrezzatissima officina si compiono
i seguenti processi:
- elaborazione degli zuccheri:
- elaborazione delle proteine:
- funzione detossificante: il fegato inattiva molte sostanze tossiche (tra le quali
molti farmaci) che sono state ingerite o si sono formate all'interno
dell'organismo, trasformandole in sostanze inerti che saranno poi smaltite dal
rene.
- eliminazione dei cataboliti: trasforma le scorie cellulari che vi arrivano col
sangue in UREA che sarà eliminata dal rene.
- formazione della bile: "smontando" l'emoglobina dei globuli rossi ormai usurati
e "tolti dalla circolazione" dalla milza.

E' evidente che qualsiasi processo patologico che interessa il fegato porterà a
una diminuzione delle sopracitate funzioni con ripercussioni su tutto l'organismo.

L' ITTERO
Si definisce ittero la colorazione giallastra della pelle, delle sclere e delle mucose
causata dall'eccessivo innalzamento dei livelli di bilirubina nel sangue.
Il valore normale della bilirubina totale (indiretta + diretta) è di 1mg/100 ml di
sangue
Affinché l'ittero sia visibile a livello delle sclere (la zona bianca visibile dell’occhio) il
livello totale di bilirubina deve superare 2mg/100 ml. Quando invece l’ittero è visibile
sulla cute e sulle mucose il valore deve superare i 4,5 mg/100 ml.

Che cos'è la bilirubina e come viene formata?


è una proteina che si ottiene dalla parziale rielaborazione dell'emoglobina e si
ottiene nel seguente modo:

- quando i globuli rossi sono invecchiati, sono distrutti principalmente dalla milza
e dall'emoglobina fuoriuscita dai globuli rossi viene staccato il ferro che verrà
riutilizzato e resta in questo modo la globina che viene ulteriormente ridotta a
Bilirubina indiretta e viene riversata nel sangue

- la bilirubina indiretta arriva al fegato tramite la vena porta e viene catturata


dalle cellule epatiche che la trasformano in bilirubina diretta

- la bilirubina diretta assieme ad altri prodotti del fegato (acidi biliari e


colesterolo) costituisce la bile che viene mandata dal fegato nella cistifellea in
attesa di essere "spruzzata" nel duodeno

- la bile passata nel duodeno, emulsiona i grassi nel processo della digestione e
conferisce il caratteristico colore marrone alle feci

La bilirubina stessa, sopra un dato valore è tossica per i neuroni cerebrali

145
Analizziamo ora 3 casi di aumento della bilirubina che si traducono
nella comparsa di ittero:
- 1 caso: ITTERO PREEPATICO (la causa è una distruzione eccessiva di globuli
rossi per vari motivi.)
in questo caso arriva al fegato troppa bilirubina indiretta che non riuscendo ad
essere smaltita dal fegato resta nel sangue in abbondanza e avremo:
• aumento della bilirubina indiretta
• normale bilirubina diretta
• feci normalmente colorate
• urine colorate normalmente

- 2 caso: ITTERO EPATICO


fegato malato (per epatite, o tumore): in questo caso arriva al fegato una quantità
normale di bilirubina indiretta normale che però non riesce ad essere lavorata
dalle cellule epatiche malate e resta nel sangue in quantità eccessiva. L'aumento
della bilirubina indiretta è tale che viene smaltita con l'urina che perciò si colora
di scuro.
Le cellule epatiche lesionate riversano nel sangue degli enzimi che si trovavano
nel loro interno: le transaminasi (SGOT e SGPT). Avremo dunque:
• aumento della bilirubina indiretta
• aumento delle transaminasi
• urine color coca-cola
• feci dapprima di colore normale (perché il fegato si lesiona
gradatamente e all'inizio riesce a produrre un po' di bili) poi sempre
più chiare

- 3 caso: ITTERO POSTEPATICO (o ostruttivo)


ostruzione del coledoco da parte di un calcolo o da un tumore: in questo caso il
fegato che ha trasformato la bilirubina indiretta in diretta non riesce a farla uscire
con la bile. La bilirubina diretta ristagna perciò nel fegato e passa nel sangue.
Avremo dunque:
• aumento della bilirubina diretta
• urine scure (color coca-cola)
• feci chiare (per mancanza della bile)

STEATOSI EPATICA
é un accumulo di grasso nelle cellule epatiche, in genere causata da
un abuso di sostanze alcooliche che alterano la capacità delle cellule
epatiche di elaborare e smaltire i grassi che vi arrivano.

Continuando ad essere assunto, l'alcol stesso si trasforma in grassi e


va ad aggravare ulteriormente la steatosi fino ad arrivare alla morte
delle cellule epatiche che saranno poi sostituite da tessuto
cicatriziale duro fibroso.

Come esito finale si avrà quindi il passaggio da steatosi epatica


(con fegato ingrandito poco funzionante) a cirrosi epatica (dove il
fegato è duro e rimpicciolito e non funzionante).

146
CIRROSI EPATICA
è la sostituzione del tessuto necrotico del fegato con un tessuto
duro fibroso senza alcuna capacità di funzionamento.

Complicazioni principali della cirrosi epatica:

1) edemi generalizzati
per mancanza di formazione dell'albumina, a livello dei capillari c'è la
fuoriuscita di liquidi che non rientrano più nei capillari sanguigni, per cui i
tessuti si imbibiscono di liquidi con formazione di :
- edemi periferici (il cirrotico è gonfio)
- ascite (edema della cavità addominale)
- versamento di liquido a livello delle pleure

2) VARICI ESOFAGEE trovando il fegato indurito il sangue si accumula nella


VENA PORTA che porta il sangue al fegato.
Questo sangue cerca allora di passare attraverso altre vie forzandosi
attraverso le piccole vene superficiali dell'addome e del torace e
soprattutto attraverso le vene superficiali dell'esofago. In questo modo
le vene esofagee sono sottoposte ad una pressione superiore e possono
così sfiancarsi dando origine a delle varici.

Se si rompono queste vene, le EMORRAGIE sono inarrestabili (per


mancanza di fibrinogeno) La rottura delle varici esofagee è, tra l'altro, una
delle possibili cause di morte nel cirrotico

Cenni sulla PATOLOGIA DEL RENE E DELLE VIE


URINARIE nell’anziano
Nell’anziano il rene va incontro a sclerosi dei vasi e una diminuzione fino al 40% dei
nefroni, per cui nell'anziano il rene funziona meno che nell'adulto.

Parametri di funzionalità renale: (sono gli esami di routine attraverso i


quali si controlla la funzione del rene):

• azotemia se il rene funziona di meno, non riesce a smaltire l'UREA che


così aumenta nel sangue (=azotemia)

• creatininemia è una sostanza che si forma come catabolita (=scarto) dei


muscoli e che viene smaltita dal rene: se questo funziona meno, questa
sostanza non viene smaltita e si accumula nel sangue.

• esame urine non dovrebbe rivelare né zucchero, né proteine, né globuli


rossi, né globuli bianchi,

• la misura delle urine che deve essere proporzionata all'introduzione di


liquidi.

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GLOSSARIO SINTOMATOLOGICO

poliuria = emissione nel tempo di una quantità aumentata di urina


oliguria = emissione nel tempo di una quantità scarsa di urina
anuria = cessazione dell'emissione dell'urina
disuria = emissione difficoltosa di urina
stranguria = emissione dolorosa di urina
pollachiuria = emissione frequente di piccole quantità di urina

- Le infezioni delle vie urinarie ((CISTOPIELITI, CISTITI, PROSTATITI,


URETRITI, ECC.)

sono la più frequente causa di febbre negli anziani. Hanno per lo più origine
ascendente (=dall'uretra verso il rene) e se cronicizzano possono portare
all'insufficienza renale.

L'infezione ha origine da germi che possono provenire dal vicino intestino


tramite i vasi linfatici, o introdotti con il cateterismo o moltiplicatesi nell'urina
ristagnante.

NB: nella donna l'uretra corta favorisce la risalita dei germi che
prolificano poi nell'urina.

Sintomatologia:
- bruciore a urinare (=stranguria) e a volte dolore in sede renale
- minzione frequente e di piccole quantità di urina (=pollachiuria)
- febbre (di vario tipo, capricciose, senza regola)
NB: sempre pensare a un'infezione delle vie urinarie quando c'è
febbre nell'anziano.
- presenza di sangue nelle urine (= EMATURIA)

NB: A volte questi segni sono così sfumati che si riducono solo alla presenza di
batteri nell'urina.

EVOLUZIONE
Se queste infezioni si presentano frequentemente tanto da essere
considerate croniche, possono portare in tempi più o meno lunghi
all'INSUFFICIENZA RENALE.

NB: Il nursing consta essenzialmente:


- mantenere un'accurata igiene personale per impedire che urina o feci
ristagnanti mantengano contaminato l'orifizio dell'uretra
- cambiare frequentemente indumenti intimi, biancheria, eventuali pannoloni,
ecc.
- tener somministrati molti liquidi
- seguire scrupolosamente la terapia medica

INSUFFICIENZA RENALE

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È una gravissima situazione patologica che consiste nell’insufficienza del rene a
compiere la funzione di depurare il sangue dall’urea che così si innalza nel sangue
fino a risultare tossica.
L’insufficienza renale è indice che il rene è gravemente lesionato, in genere in modo
irreversibile.

A questa condizione l'anziano arriva più facilmente perché i suoi reni, che
hanno un numero di nefroni ormai sclerotici, lavorano già in condizioni limite.

Cause:
pre-renali (da cause precedenti al rene)
- insufficienza cardiocircolatoria
- disidratazione, emorragie, ustioni, shock da traumi, stati febbrili protratti

renali: tutte le patologie renali

post-renali: da ostacolo al deflusso dell'urina (es: calcoli o adenoma della prostata,


ecc.)

Sintomi dell’insufficienza renale si instaurano progressivamente e


consistono in:
- oliguria
- edemi generalizzati
- ipertensione arteriosa
- sonnolenza e confusione mentale fino al "coma uremico"

NB:- azotemia e creatininemia aumentate nel sangue

La terapia consiste nella dialisi periodica. Questa consiste nel far passare il sangue
del paziente attraverso una macchina che lo depura dall’urea.
La dialisi è eseguita due volte la settimana in ambiente ospedaliero appositamente
attrezzato.
=======================================

anatomofisiologia della minzione (=atto dell'urinare):

la MINZIONE è un atto riflesso con controllo volontario

- i muscoli che vi partecipano sono:


i muscoli addominali e della vescica
i muscoli degli sfinteri (striati e lisci)

- il meccanismo nervoso è dato da:


Sistema Nervoso Centrale
Sistema Nervoso Autonomo (simpatico e parasimpatico)

- controllo a feed-back:
nella vescica ci sono dei sensori che "sentono" se è vuota o piena

viene informato il SNC che attiva i motoneuroni dei muscoli a svuotarla

quando è vuota il sensore lo comunica al SNC che fa cessare gli stimoli


dello svuotamento

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RITENZIONE DI URINA
E' l'impedimento parziale o totale all'emissione dell'urina che si trova nella vescica.
E’ una situazione grave che richiede un rapido intervento di svuotamento della vescica
tramite un catetere inserito nell’uretra

Cause:
- tumori voluminosi della prostata nel maschio, e il prolasso uterino nella
donna che, schiacciando l’uretra impediscono all’urina di uscire.
- indebolimento dei muscoli della vescica che non riescono più a "spremere"
all'esterno l'urina. Questo è il caso di persone indebolite e allettate da
lungo tempo.
- perdita dello stimolo nervoso della minzione per lesioni dei nervi che
innervano la vescica (ictus, lesioni del midollo spinale, ecc)
- abuso di sedativi

I sintomi della ritenzione di urina iniziano con dei segni premonitori:


- indebolimento del getto
- bruciori e difficoltà ad urinare
- aumento della frequenza della minzione (=pollachiuria) fino ad arrivare alla
cessazione completa dell'emissione di urina:
- dolore violento, pallore, sudorazione, comparsa di un "globo vescicale"
palpabile nell'addome.

Terapia: si basa sul cateterismo e un intervento specifico sulle cause (se


possibile)

INCONTINENZA URINARIA
é l'emissione involontaria di urina, per la perdita della capacità di controllarne
volontariamente l'emissione.
Nell'anziano rappresenta un problema molto frequente, soprattutto nei soggetti
ospedalizzati o istituzionalizzati e in particolar modo nei soggetti di sesso
femminile.

Cause dell'incontinenza urinaria:

♦ da lesione degli sfinteri nel corso di manovre operatorie come


cateterismi, cistoscopie, estrazioni di calcoli, operazioni alla prostata,
ecc.

♦ da lesioni nervose (ictus, Parkinson, Alzheimer,ecc.) che comportano


il "non comando" degli sfinteri

♦ da infiammazioni locali della vescica (cistiti o calcolosi) con perdita


di funzione degli sfinteri

NB: una incontinenza urinaria transitoria si riscontra soprattutto


nell'anziano allettato per la perdita della sua indipendenza, negli stati
confusionali transitori o dipendenti da cause psicologiche, e nelle
infezioni acute delle vie urinarie.
* * *

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