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Le imprese e gli intermediari finanziari tendono sempre più a intensificare la loro attività sui mercati internazionali: vendono prodotti e
servizi all’estero o acquistano fattori produttivi (capitale, materie prime ecc) da fornitori esteri.
È dunque indispensabile che i manager finanziari conoscano in che modo gli eventi (per esempio, le variazioni dei tassi di interesse) dei
vari Paesi esteri nei quali essi operano incidono sui flussi di cassa ricevuti o pagati e, dunque, sulla redditività dell’impresa o
dell’intermediario finanziario.
Sul mercato dei cambi gli operatori hanno la possibilità di negoziare (cioè scambiare) valuta estera nel modo più efficiente e a costi più
bassi.
Di conseguenza il mercato dei cambi facilita il commercio internazionale, l’approvvigionamento di capitali nei mercati esteri, il
trasferimento del rischio fra gli operatori e la speculazione in valuta estera.
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Il presente capitolo trae largo spunto dal corso di lezioni di Introduzione alla finanza aziendale internazionale, tenute presso l’Università Bocconi dal Prof.A.Bertoni, nonché dai testi: Saunders A.-Cornett M.M.-Anolli M.,
Economie degli intermediari finanziari, p.261 e ss. ;Caselli C., L’avventura della internazionalizzazione, p.227 e ss.; Pellicelli G., La gestione della finanza internazionale, p.130 e ss;N.Grgory Mankiw, Principi di economia, p.545
e ss.; Ross-westerfield-Jaffe, Finanza aziendale, p.1006 e ss.
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La domanda di valute proviene da importatori, fruitori di servizi internazionali, investitori (in uscita), banche ecc., mentre
l’offerta proviene da esportatori, fornitori di servizio, investitori (in entrata), banche ecc.
Essenziale per il funzionamento del mercato dei cambi è l’esistenza di sistemi di telecomunicazione rapidi tramite i quali
svolgere attività di scambio di valute tra i diversi operatori.
Il sistema forse più utilizzato è lo SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, Società per gli
scambi mondiali interbancari in attività finanziare), una cooperativa belga non a scopo di lucro fondata nel 1977.
Lo SWIFT provvede a mettere in contatto i diversi intermediari finanziari, bancari e non, e a trasmettere le operazioni tra loro
attuate.
La rapidità con cui possono essere effettuate le operazioni spesso contribuisce alla trasmissione altrettanto rapida delle
aspettative che gli operatori hanno sull’andamento delle valute e delle attività finanziarie in genere (e che risultano della
massima importanza).
Il mercato è interamente basato sulla massima fiducia: basta la telefonata di una controparte, a cui farà seguito un telex o un
messaggio SWIFT, per definire le modalità dell’addebitamento e dell’accreditamento sui conti di corrispondenza che le
banche intrattengono fra loro, per concludere operazioni di importi ingenti.
Non è possibile sottrarsi ai propri obblighi, anche se ex post il prezzo fatto si rivelasse poco conveniente in relazione
all’effettivo andamento del mercato.
Non vi può essere nessuna sanzione giuridica per comportamenti scorretti: l’unica sanzione è la futura esclusione dal
mercato, poiché la notizia si diffonderebbe immediatamente e nessuno più vorrebbe negoziare con l’operatore che si è
rivelato inaffidabile.
NOTA BENE
Nettamente diverso dal mercato dei cambi è il mercato dei finanziamenti internazionali.
Nel mercato dei finanziamenti internazionali, infatti, non si fa compravendita di valute, ma vengono scambiati depositi e prestiti
in valuta e si formano prezzi che sono i tassi di interesse.
La parte preponderante di questo mercato è quella denominata “euromercato”.
Spesso i due mercati vengono confusi, per cui è importante ricordarne la distinzione, anche se vi sono interconnessioni e
spesso gli operatori sono i medesimi.
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Il mercato dei cambi: gli operatori
Il mercato dei cambi si compone di un mercato all’ingrosso (interbancario) e di un mercato al dettaglio (su base individuale) sui quali
interagiscono i seguenti operatori:
1)I dealers operano in proprio, cioè come acquirenti o venditori in proprio e a proprio rischio, fornendo quotazioni differenziate per
l’acquisto e per la vendita di valuta (bid-ask spread o anche denaro-lettera), talvolta operando come market makers su specifiche valute
(cioè impegnandosi comunque ad acquistare o vendere quelle valute) mentre quando non operano come market makers non sono
obbligati.
2)I brokers non assumono una diretta posizione sulle valute ma agiscono quali semplici intermediari agevolando il contatto tra i diversi
operatori e in relazione a ciò percepiscono semplicemente una commissione.
3)Gli speculatori assumono posizioni in valuta (e dunque un rischio di posizione) con il fine di trarre un profitto dalla dinamica del cambio.
4)Gli intermediari cercano di approfittare delle opportunità di arbitraggio, ovvero di condizioni di mercato, normalmente temporanee, in cui
è possibile conseguire un guadagno senza assumere alcun rischio: il guadagno deriva infatti dalla contestuale assunzione di una
posizione lunga e corta a condizioni di prezzo differenti
5)Le Banche Centrali. Esse possono intervenire sul mercato dei cambi con operazioni di acquisto o di vendita di valute al fine di
condizionare il corso della propria valuta;
6)Individui ed imprese
Il ricorso delle imprese al mercato dei cambi alimenta un articolato intreccio di relazioni tra gli operatori del mercato. L’immissione di un
ordine da parte del cliente “corporate” alimenta rapporti sia tra diverse banche che operano sul mercato interbancario in qualità di dealers
sia tra tali banche ed i brokers.
In particolare, le banche possono ricoprire vari ruoli, ossia possono assumere la veste di:
broker : intervengono esclusivamente per conto di operatori commerciali e finanziari e non fanno attività di compravendita per conto
proprio;
trader : acquistano e vendono in nome e per conto proprio;
dealer : oltre ad acquistare e vendere assumono anche posizioni scoperte (vendono valuta che non possiedono al momento o che
comunque consegneranno a termine, oppure acquistano valute con pagamento differito).
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Le modalità di quotazione
Il tasso di cambio esprime il valore di una valuta espressa in termini di unità di un’altra valuta. È il prezzo al quale, ad esempio, l’euro può
essere cambiato in dollari statunitensi.
Il cambio può fare riferimento a contrattazioni a pronti (spot) oppure a termine (outright forward e swap).
Ogni cambio è comunque “bilaterale”e può essere espresso in modo:
Diretto quando il valore della valuta domestica è definito “incerto per certo” nel senso che esprime il numero, variabile nel
tempo, di unità della valuta domestica corrispondenti ad una unità della valuta estera. Così, ad esempio, se il valore diretto (o
incerto per certo) di un Euro per un italiano è pari a 1,0170 $/Euro, significa che per comprare un Dollaro servono 1,0170 euro;
Indiretto quando il valore della valuta domestica è definito “certo per incerto” nel senso che esprime il numero variabile di
unità della valuta estera corrispondenti ad una unità della valuta domestica. Se, ad esempio, il valore indiretto (o certo per
incerto) dell’Euro per un italiano è pari a 0,9833 Euro/$, significa che per comprare un Euro servono 0,9833 dollari.
Le operazioni in cambi
Sul mercato dei cambi avvengono due categorie fondamentali di operazioni di compravendita:
1) a pronti
2) a termine
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Gli obiettivi possono essere di natura:
- commerciale (regolamento di scambi di merci e di servizi)
- finanziaria (regolamento di movimenti di capitale)
- speculativa (lo speculatore vende una valuta che si sta svalutando, e se non la possiede se la fa prestare, perché potrà
riacquistarla in futuro ottenendone una maggiore quantità e viceversa acquista una valuta che si sta rivalutando)
Le transazioni a pronti possono essere effettuate tramite una banca commerciale o un intermediario non bancario specializzato in valute
(es. Thomas Cook).
Per esempio, un investitore italiano che intenda acquistare sterline britanniche tramite la propria banca l’8 marzo 2004, in sostanza, vedrà
gli euro trasferiti dal proprio conto bancario a quello del venditore di sterline, a un tasso di € 1 per £ 0.66788 (o € 1.4975 per sterlina).Allo
stesso tempo, le sterline sono trasferite dal conto del venditore in un conto indicato dall’investitore italiano. Se, una volta conclusa la
transazione, l’euro subisce un deprezzamento rispetto alla sterlina (per esempio, € 1 equivale a £ 0.6615 o € 1.5117 per sterlina), il valore
dell’investimento in sterline, riconvertito in euro, aumenta.
Nel caso contrario, se l’euro subisce un apprezzamento rispetto alla sterlina (per esempio, € 1 per £ 0.6695 o € 1.4937 per sterlina), il
valore dell’investimento in sterline, riconvertito in euro, diminuisce.
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La logica di un comportamento di questo genere può essere duplice:
a) impiegare (o coprire) una temporanea eccedenza (o deficienza) della tesoreria in valuta. In altre parole si copre con un’operazione
temporanea uno squilibrio temporaneo della tesoreria e in pari tempo si annullano (o si riducono) i rischi di cambio;
b) prorogare nel tempo una posizione speculativa. L’operatore outright, come abbiamo visto, può acquistare o vendere a termine divise
sulla base di determinate aspettative, che allo scadere del termine possono non essersi ancora verificate, ma rimanere probabili nel
tempo: in tal caso il riporto consente di prorogare la posizione.
Gli acquisti e le vendite che si susseguono sul mercato a pronti danno luogo alla formazione di un prezzo che è il cambio spot, mentre sul
mercato a termine si forma un cambio a termine (forward).
Tra le due quotazioni esiste ovviamente un legame, che è stato oggetto di formulazioni teoriche da parte degli economisti internazionali.
NOTA BENE
Tasso di cambio nominale = rapporto al quale è possibile scambiare la moneta di un paese con quella di un altro
Tasso di cambio reale = rapporto al quale è possibile scambiare i beni e servizi prodotti in un paese con i beni e servizi prodotti in un altro paese.
Tasso di inflazione = variazione percentuale del livello dei prezzi da un anno all’altro
Tasso di interesse nominale = tasso di interesse come viene abitualmente riferito, senza alcuna correzione degli effetti dell’inflazione
Tasso di interesse reale = tasso di interesse depurato dagli effetti dell’inflazione
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Parità del potere d’acquisto
Una delle teorie che spiega il formarsi dei tassi di cambio tra le valute è la teoria della parità del potere di acquisto, indicata anche con la
sigla PPP, dalle iniziali della dizione inglese Purchasing Power Parity.
La logica alla base della teoria della parità del potere di acquisto
La teoria della parità del potere di acquisto è la più antica teoria di determinazione del tasso di cambio e si fonda su un principio detto
legge del prezzo unico. Questa legge afferma che un bene deve avere lo stesso prezzo in ogni luogo; in caso contrario ci sarebbero
opportunità di profitto non sfruttate. L’applicazione della legge del prezzo unico ai mercati internazionali conduce automaticamente alla
teoria della parità del potere di acquisto. Secondo tale teoria una valuta deve avere il medesimo potere d’acquisto in tutti i paesi. Ovvero,
un euro deve acquistare la medesima quantità di beni e servizi in Italia e in Giappone e lo yen deve acquistare la stessa quantità di beni e
servizi in Giappone e in Italia.
In effetti, il nome attribuito alla teoria è già esplicativo a sufficienza:
- parità significa <<uguaglianza>>
- potere d’acquisto si riferisce al valore della moneta
- parità del potere d’acquisto significa che una unità di qualsiasi valuta deve avere lo stesso valore in tutti i paesi.
Le implicazioni della parità del potere d’acquisto
Che cosa ci dice la teoria della parità del potere d’acquisto sui tassi di cambio? Ci dice che il tasso di cambio nominale corrente tra due
valute dipende dal livello dei prezzi dei due paesi.
Se un euro acquista la stesa quantità di beni in Italia (dove i prezzi sono misurati in euro) e in Giappone (dove i prezzi sono misurati in
yen), il numero di yen per euro deve riflettere i prezzi dei beni in Italia e in Giappone.
Esempio
Se un kilogrammo di caffè costa 500 yen in Giappone e 5 euro in Italia, il tasso di cambio nominale deve essere di 100 yen per euro (500
yen/5 euro = 100 yen per euro). Diversamente, il potere d’acquisto dell’euro non sarebbe il medesimo nei due paesi.
Per analizzare con maggiore chiarezza il meccanismo di funzionamento della teoria è necessario ricorrere a qualche formulazione
matematica.
Si dica
- P livello dei prezzi in Italia (misurato in euro)
- P* livello di prezzi in Giappone (misurato in yen)
- e tasso di cambio nominale (numero di yen necessari per acquistare
un euro)
Stabiliamo ora la quantità di beni che un euro può acquistare all’interno o all’estero.
All’interno, il livello dei prezzi è P, quindi il potere di acquisto di un euro è 1/P.
All’estero un euro può essere cambiato con e unità di valuta straniera e ha quindi un potere d’acquisto di e/P*.
Dato che il potere di acquisto di un euro deve essere uguale nelle due situazioni, avremo:
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1/P = e/P*
che possiamo riscrivere come:
1= e/P* x P ossia
1 = eP /P*
Si noti che il membro sinistro dell’equazione è una costante e che quello destro è il tasso di cambio reale.
Dunque, se il potere di acquisto dell’euro è sempre il medesimo all’interno e all’estero, il tasso di cambio reale – cioè il prezzo relativo dei
beni interni ed esteri – non può cambiare.
Per stabilire le implicazioni di tale analisi sul tasso nominale di cambio, possiamo riscrivere l’equazione per risolvere il tasso di cambio
nominale:
e = P* /P
Cioè, il tasso di cambio nominale è uguale al rapporto tra il livello dei prezzi all’estero (denominato in valuta straniera) e il livello dei prezzi
interno (denominato nella moneta nazionale).
Secondo la teoria della parità del potere d’acquisto, il tasso di cambio nominale tra due valute riflette le differenze del livello dei prezzi nei
due paesi.
L’implicazione fondamentale di questa teoria è che il tasso di cambio nominale varia al variare del livello dei prezzi.
Il livello dei prezzi in ogni dato paese si aggiusta in modo da mantenere in equilibrio la quantità di moneta domandata e quella offerta.
Poiché il tasso di cambio nominale dipende dal livello dei prezzi, dipende anche dall’offerta e dalla domanda di moneta in ciascun paese.
Se la banca centrale di uno dei due paesi aumenta l’offerta di moneta e provoca un innalzamento del livello dei prezzi, provoca anche un
deprezzamento rispetto alla valuta degli altri paesi del mondo.
In altre parole, se la banca centrale stampa quantità eccessive di moneta, questa perde valore sia in termini di beni e servizi che può
acquistare, sia in termini di quantità di valuta straniera con la quale può essere scambiata.
I limiti della teoria della parità del potere d’acquisto
La parità del potere d’acquisto fornisce un modello semplificato per la determinazione del tasso di cambio nominale. Tale teoria dimostra
la propria efficacia per comprendere molti fenomeni economici. In particolare, è utile nello spiegare le tendenze di lungo termine, quali il
deprezzamento di una valuta rispetto ad un’altra o il suo apprezzamento.
Inoltre può anche spiegare le profonde variazioni che intervengono nel tasso di cambio nominale durante fenomeni di iperinflazione.
Ma la teoria della parità del potere d’acquisto non è perfetta: non sempre il tasso nominale di una valuta si muove in modo da garantire
che abbia il medesimo valore reale in ogni paese.
Ciononostante, la teoria della parità del potere d’acquisto costituisce una solida base per la comprensione dei cambi.
L’effetto Fisher
La teoria enunciata dall’economista americano afferma che il tasso di interesse nominale in un paese è pari alla somma tra il tasso di
interesse reale e il tasso di inflazione atteso.
Molte ricerche empiriche hanno confermato questa teoria.
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È risultato, infatti, in vari paesi, che il principale fattore economico ad agire sui tassi di interesse nominali è costituito dalle attese circa
l’andamento futuro dell’inflazione.
L’effetto Fisher agisce anche tra paesi diversi e le differenze tra i tassi di interesse reali riguardanti due monete possono anticipare future
oscillazioni dei cambi.
La teoria della parità dei tassi di interesse
Il tasso di cambio a termine e quello a pronti sono legati dallo stesso genere di operazione di arbitraggio implicata dalla legge del prezzo
singolo.
In primo luogo è utile esaminare la terminologia utilizzata in questo paragrafo.
Se il cambio a termine è maggiore del cambio a pronti, per una certa valuta, si usa dire che la valuta in questione è, nelle contrattazioni a
termine, negoziata a un premio (il che implica che la valuta nazionale è negoziata a sconto).
La circostanza che i cambi forward siano a premio o a sconto in confronto alla valuta nazionale dipende, secondo la teoria dei tassi di
interesse, dal livello relativo dei tassi di interesse nei mercati della valuta straniera e di quella nazionale.
Più precisamente, il teorema della parità dei tassi di interesse afferma che se i tassi di interesse sono più elevati sul mercato nazionale
che in un certo mercato estero, la valuta estera sarà negoziata a premio sul mercato forward; e se i tassi di interesse sono più bassi sul
mercato nazionale, la valuta straniera sarà negoziata a sconto nel forward.
In particolare, in assenza di ostacoli alla perfetta mobilità dei capitali, gli operatori possono investire in attività finanziarie denominate in
valute diverse.
Se gli agenti (avversi al rischio) intendono coprirsi dal rischio di fluttuazioni future del tasso di cambio, possono effettuare operazioni in
valuta a termine per garantirsi un valore futuro certo in valuta nazionale.
In questo caso operazioni di arbitraggio sul mercato garantiscono che in equilibrio si raggiunga la parità dei tassi di interesse coperta:il
differenziale tra i tassi di interesse deve essere pari al premio o sconto a termine.
Se si considerano invece operatori neutrali al rischio, che non intendono cioè coprirsi dal rischio di fluttuazioni future dei cambi, la
condizione di equilibrio sul mercato valutario è data dalla parità dei tassi di interesse scoperta: il differenziale tra i tassi di interesse deve
essere pari al tasso di deprezzamento atteso del cambio.
In altri termini, il mercato è in equilibrio quando i rendimenti attesi su attività finanziarie con caratteristiche simili, ma denominate in valute
diverse, sono uguali tra loro.
L’evidenza empirica conferma la validità della parità dei tassi di interesse coperta, mentre per quanto riguarda la parità scoperta l’analisi
empirica è più complessa poiché richiede una specificazione delle aspettative degli agenti, elemento, quest’ultimo, non direttamente
osservabile.
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