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Quodlibet Studio

Filosofia e politica
Tecniche di esposizione
Walter Benjamin e la riproduzione dell’opera d’arte

seguito da

L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica


(Prima versione, settembre 1935)

a cura di Marina Montanelli e Massimo Palma

Quodlibet
Prima edizione: novembre 2016 Indice
© 2016 Quodlibet srl
Via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi, 23 - 62100 Macerata
www.quodlibet.it
Stampa a cura di pde Promozione srl presso lo stabilimento di Legodigit srl - Lavis (tn)
isbn 978-88-7462-880-3

Filosofia e politica
Collana diretta da Elettra Stimilli.

Comitato scientifico: Emanuele Coccia, Dario Gentili, Federica Giardini, Paolo Napoli,
Judith Revel, Massimiliano Tomba.

Volume pubblicato con il contributo dell’Associazione Italiana Walter Benjamin.


7 Prefazione

9 Abbreviazioni
Associazione Italiana Walter Benjamin
Seminario II
Percezione, gioco, estetizzazione
13 Dottrina della percezione e crisi della democrazia
Fabrizio Desideri

37 Repetita: rito versus gioco


Marina Montanelli

59 Eterotopia dell’opera d’arte


Clemens-Carl Härle

Immagini corporee. Riproducibilità e percezione: interscam-


75
bio tra spazio onirico e spazio immaginativo

Mauro Ponzi

Benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione». Pre- e post-


93
storia di una questione controversa

Andrea Pinotti

Aura e riproducibilità. La rivoluzione come avanguardia


109

Francesco Valagussa

Di alcuni motivi nell’ultimo Benjamin a partire da L’opera


123
d’arte

Franco Rella
6 indice

Massa, tecnica, politicizzazione Prefazione

139 La politicizzazione dell’arte. Individuo, massa, mercato


Dario Gentili

La città degli eccentrici. Lineamenti estetici di una politica


153
benjaminiana

Massimo Palma

Arte oltre l’opera. Una lettura antropologico-politica de


173
L’opera d’arte di Benjamin Il Seminario permanente di Studi benjaminiani è stato istituito

Alessandra Campo dall’Associazione Italiana Walter Benjamin (AWB) come occasione
191 Benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà di ricerca, non limitata al solo dialogo tra specialisti, sui testi del
Massimiliano Tomba
filosofo berlinese. Il primo seminario è stato dedicato alla lettura e al
commento del frammento Capitalismo come religione, il cui frutto
205 Walter Benjamin e il potenziale politico delle immagini editoriale, pubblicato presso questi stessi tipi, è stato, nel 2014, Il
Elena Tavani culto del capitale. Walter Benjamin: capitalismo e religione, a cura di
Dario Gentili, Mauro Ponzi ed Elettra Stimilli.
Il secondo Seminario ha preso spunto dalla riedizione, nel 2013,
Benjaminiana del saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecni-

a cura di Marina Montanelli e Massimo Palma ca, apparso come tomo 16 dei Werke und Nachlaß (per Suhrkamp).
In questo volume, curato da Burkhardt Lindner con la collaborazio-
227 Nota critico-filologica ne di Simon Broll e Jessica Nitsche, viene fissata per la prima volta,
L’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita e con rigore storico-critico, la scansione cronologica del testo in cin-
que differenti versioni, ricostruendone altresì la complicata genesi,
241 Walter Benjamin
nonché la travagliata vicenda editoriale, attraverso le corrisponden-
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. ze epistolari, gli appunti preparatori e i frammenti per una possi-
Prima versione
bile prosecuzione. Gli studiosi intervenuti hanno guardato quindi
all’intera officina di lavoro di Benjamin nel periodo della stesura
271 Indice dei nomi
del saggio e non solo, al fine di affrontarne da prospettive diverse i
complessi e molteplici nodi teorici: la caduta dell’aura, la dialettica
tra valore espositivo e valore cultuale nell’opera d’arte, il legame tra
nuovi modi di produzione capitalistici, arte e rivoluzione, i contrasta-
ti rapporti con la Scuola di Francoforte, i debiti contratti con Bertolt
Brecht. Il presente volume raccoglie i testi degli interventi che hanno
scandito e articolato il Seminario, tenutosi nelle sale dell’Istituto Ita-
liano di Studi Germanici, dove l’Associazione ha sede. Alle relazioni
degli studiosi è sempre seguita una feconda e vivace discussione, di
cui si ritrova inevitabilmente un riscontro nei saggi.
8 prefazione

Il libro si divide in tre parti. La prima mette a fuoco gli aspetti Abbreviazioni
più propriamente estetico-antropologici dello scritto benjaminiano,
concentrandosi sui nodi della riproduzione tecnica, delle trasforma-
zioni del medium percettivo, della polarità tra gioco e apparenza
interna all’opera d’arte, nella cornice epocale dei rischi interni al-
l’«estetizzazione della politica». Gli interventi contenuti nella secon-
da si concentrano maggiormente sul precipitato politico del saggio,
sintetizzato nell’enigmatica formula della «politicizzazione dell’arte»
e nella partizione tra una «prima» e una «seconda» tecnica quale si
dischiude alla società di massa. Nella terza parte, infine, viene pro- Benjamin, Kunstwerk = Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter sei-
posta la traduzione della prima versione de L’opera d’arte nell’epoca ner technischen Reproduzierbarkeit, a cura di B. Lindner, in collaborazione
della sua riproducibilità tecnica, pubblicata per la prima volta nella con S. Broll e J. Nitsche, in WN, vol. 16, 2013.
suddetta edizione dei Werke und Nachlaß. Il testo, scritto nel set-
tembre 1935, racchiude in forma ancora incompiuta, e con alcune GS = Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedemann – H.
Schweppenhäuser, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 7 voll., 1972-1989.
significative variazioni, tutte le intuizioni e i concetti centrali che
torneranno poi nelle successive stesure. La traduzione è introdotta GB = Walter Benjamin, Gesammelte Briefe, a cura di C. Gödde – H. Lonitz,
da una breve Nota critico-filologica, finalizzata all’esposizione della 6 voll., Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1995-2000.
complessa storia editoriale del saggio, storia che ne ha determinato,
in maniera talora controversa, la ricezione fino a oggi. OC = Walter Benjamin, Opere complete, a cura di R. Tiedemann – H.
Schweppenhäuser, ediz. it. a cura di E. Ganni, 9 voll., Einaudi, Torino 2000-
I curatori ringraziano Maria Böhmer per i preziosi consigli e suggerimenti 2014.
relativi alla traduzione e l'Atelier autogestito Esc per aver ospitato il lavoro di
revisione. WN = Walter Benjamin, Werke und Nachlaß. Kritische Gesamtausgabe,
21 voll., a cura di C. Gödde – H. Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt a. M. / Berlin,
m. m., m. p. 2008-.

tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte = Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epo-


ca della sua riproducibilità tecnica. Tre versioni (1936-39), tr. it. di M. Baldi, a
cura di F. Desideri, Donzelli, Roma 2012.

tr. Filippini, Opera d’arte = Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca del-
la sua riproducibilità tecnica [Seconda stesura], tr. it. di E. Filippini, in Opere
complete VII. Scritti 1938-1940, Einaudi, Torino 2006, pp. 300-331.

tr. Filippini-Riediger, Opera d’arte = Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’e-


poca della sua riproducibilità tecnica [Prima stesura], tr. it di E. Filippini – H.
Riediger, in Opere complete VI. Scritti 1934-1937, Einaudi, Torino 2004, pp.
271-303.

tr. Filippini-Valagussa, Opera d’arte = Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’e-


poca della sua riproducibilità tecnica, tr. it. di E. Filippini, a cura di F. Valagussa,
con un saggio di M. Cacciari, Einaudi, Torino 2011.
10 abbreviazioni

tr. Pinotti-Somaini, Opera d’arte = Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’e-


poca della sua riproducibilità tecnica (Prima stesura dattiloscritta), tr. it. di E.
Filippini – H. Riediger, rivista da A. Pinotti – A. Somaini, in Aura e choc. Saggi
sulla teoria dei media, a cura di A. Pinotti – A. Somaini, Einaudi, Torino 2012,
pp. 17-49.

tr. Schiavoni, Opera d’arte = Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca


della sua riproducibilità tecnica e altri scritti sui media, a cura di G. Schiavoni,
BUR, Milano 2013, pp. 69-127.

Percezione, gioco, estetizzazione


Dottrina della percezione e crisi della democrazia
Fabrizio Desideri

1. Preludio

Un aspetto che non può essere trascurato del singolarissimo sag-


gio di Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
tecnica, è la costellazione storico-politica da cui sorge e in cui vuole
intervenire. Che il pensiero abbia conseguenze, che il lavoro intel-
lettuale possa e debba in qualche modo incidere sulla trama politica
dei rapporti sociali è convinzione che Benjamin matura soprattutto a
partire dall’amicizia con Brecht. Nel momento in cui il saggio sull’o-
pera d’arte comincia a prender forma, gettando uno squarcio di luce
in una fase cupa della propria esistenza, Benjamin ha già alle spalle
il saggio-conferenza su L’autore come produttore, da leggersi insie-
me a quello sul Surrealismo. Un’opera è rivoluzionaria nella misura
in cui è capace di trasformare dall’interno la tecnica o le tecniche
che ne definiscono il linguaggio e il modo di produzione. Sulla base
di questa tesi relativa alla dimensione politica del rapporto tra la-
voro intellettuale e tecnica, il saggio sull’opera d’arte assume però
una valenza drammatica peculiare. A questo breve testo Benjamin
assegna, infatti, il compito di connettere in maniera diretta il lavoro
sui passages parigini con i tratti più sinistri e minacciosi dell’epo-
ca. Nell’arco critico che disegna tra la crisi del Moderno, al centro
del Passagenwerk, e il presente storico-politico, il Kunstwerkaufsatz
conferisce alle proprie analisi sul nesso tra trasformazioni della per-
cezione, nuove forme di riproduzione tecnica ed esperienza una ca-
rica profetica. La diagnosi dell’attualità si fa telescopage del futuro.
Anche questo aspetto, rispetto al quale Benjamin si mostra del tutto
consapevole1, contribuisce a definire il complesso testuale del lavoro

1
Vedi per questo Fabrizio Desideri, I Modern Times di Benjamin, in tr. Baldi-Desideri,
Opera d’arte, pp. VII-XLV.
14 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 15

sull’opera d’arte (dai lavori preparatori alle diverse versioni e agli


appunti per un’ulteriore elaborazione) come un campo di tensioni
generato da polarità costitutive. Sotto questo profilo il saggio rappre-
senta indubbiamente un unicum all’interno del corpus benjaminiano.
Un buon metodo di approssimazione critica e di comprensione di tale
unicum sarà, pertanto, quello di analizzare alcune di tali polarità.

2. Polarità costitutive

La prima di tali polarità è senz’altro quella di natura meta-testua-


le, cui si è già fatto cenno e di cui ci siamo più distesamente occu-
pati in altri lavori2, tra costellazione storica ed efficacia politica del
saggio. Alla luce di questo nesso e, dunque, del carattere di urgenza
assegnato al testo, si spiega certamente la costante preoccupazione
benjaminiana di assicurare al lavoro una diffusione più ampia di
quella offerta dalla pubblicazione in francese sulla «Zeitschrift für
Sozialforschung», peraltro data alle stampe in una versione sostan-
zialmente censurata e privata dei suoi più espliciti riferimenti teorico-
politici. Di qui i tentativi, tutti falliti, di far tradurre in inglese il lavo-
ro o di vederlo pubblicato in riviste dell’emigrazione tedesca a Mosca
(prima su «Internationale Literatur/Deutsche Blätter» e poi su «Das
Wort»). Un particolare significato lo assumono a questo proposito sia
la vicenda del secondo tentativo di pubblicare a Mosca il testo, dove
Benjamin, nonostante l’appoggio dell’amico Brecht, si vede opporre
il rifiuto del direttore di «Das Wort» Willy Bredel3, sia il fallimento
del tentativo di Jay Leyda, allora curatore della sezione cinematogra-

2 Oltre al saggio citato alla nota 1 rimando ai seguenti miei lavori: Walter Benjamin. Il

tempo e le forme, Editori Riuniti, Roma 1980; La porta della giustizia. Saggi su Benjamin,
Pendragon, Bologna 1995; Il fantasma dell’opera. Benjamin, Adorno e le aporie dell’ar-
te contemporanea, il Melangolo, Genova 20042; con Massimo Baldi, Benjamin, Carocci,
Roma 2008; Tendere l’arco dell’immagine. Sull’ultimo Benjamin: immagine dialettica e Fiat
Iustitia, in La misura del sentire. Per una riconfigurazione dell’estetica, Mimesis, Milano
2013, pp. 237-248; Aura ex machina, in «Rivista di Estetica», vol. 52 (2013), pp. 33-52.
3 Degno di nota è che la stessa rivista, nel 1938, pubblichi il saggio di Willy Haas,

Das kinematographische Zeitalter che, pur senza mai citare Benjamin, si nutre largamente
e polemicamente delle riflessioni e delle informazioni contenute nel saggio benjaminiano
inviato a Bredel e del quale Benjamin aveva chiesto la restituzione in una lettera allo stesso
Bredel il 16 marzo 1937; su questo cfr. GB V (1999), p. 472. Su tutta la vicenda cfr. M.
Baldi, Nota al testo, in tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, pp. LIII-LVI.
Lettera di Benjamin a Jay Leyda, 17 maggio 1937.
16 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 17

fica del Museum of Modern Art di New York, di far tradurre il sag-
gio nella sua versione più estesa su una rivista americana di ispirazio-
ne marxista, «Science and Society: a Marxian Quarterly»4. Entrambi
i fallimenti testimoniano quanto l’originale rapporto con il pensiero
di Marx, che indubbiamente caratterizza le tesi benjaminiane intorno
al declino dell’aura dell’opera d’arte in rapporto alla sua riproduci-
bilità tecnica, fosse estraneo alle correnti impostazioni marxiste in
estetica (e non soltanto a quelle più «ortodosse»). Una traduzione in
inglese o una pubblicazione non censurata del saggio in un contesto
di grande influenza internazionale come quello moscovita avrebbe
avuto un impatto non indifferente anzitutto sul piano di una teoria
dell’arte e dell’estetica in genere, ma non solo. Già nella sua versione
mutila in lingua francese il saggio – come sappiamo – conoscerà una
certa fortuna e attenzione. La sua ricezione sarà però limitata a figure
isolate, seppur significative (allora e in futuro), come lo stesso Jay

4 Vedi per questo le immagini 1 e 2, relative rispettivamente: 1) alla lettera di Benjamin

a Leyda del 17 maggio 1937 (pubblicata per la prima volta in GB V, p. 530 e ora anche
in Benjamin, Kunstwerk, p. 641) in merito all’interesse manifestato da quest’ultimo, in
uno scambio epistolare con Horkheimer, di pubblicare una traduzione inglese del saggio
benjaminiano; 2) alla lettera di Louis Harap, del 30 marzo 1937, a Jay Leyda, dove Harap,
collaboratore della rivista «Science and Society: a Marxian Quarterly», comunica il non
interesse del periodico per la traduzione inglese del saggio benjaminiano. Come apprendia-
mo invece da una lettera del 30 dicembre 1936 di Horkheimer a Benjamin, Leyda, dopo
aver letto la versione francese del saggio sull’opera d’arte, si era rivolto a Horkheimer per
chiedere se non vi fosse anche una versione tedesca su cui basare la traduzione. Horkhei-
mer nella stessa lettera pregava Benjamin di non mettere a disposizione di Leyda tale ver-
sione, onde evitare che emergessero le differenze tra le due stesure (cfr. GB V, p. 458; ora
anche in Benjamin, Kunstwerk, p. 638). Dalla lettera a Leyda qui riprodotta si evince che
Benjamin non aveva alcuna intenzione di seguire il consiglio di Horkheimer. Ma quando
Benjamin scrive a Leyda almeno un tentativo da parte di quest’ultimo di pubblicare il
saggio in inglese era già fallito. Si ignora se Benjamin avesse poi effettivamente inviato una
copia del testo a Leyda e se, nel frattempo, i tentativi di Leyda per la pubblicazione (su
rivista o in volume autonomo, come suggerito dallo stesso Benjamin) fossero continuati.
Entrambi i documenti sono conservati nei «Jay and Si-Lan Chen Leyda Papers and Pho-
tographs» catalogati come Tam.083 presso la «Tamiment Library and Robert F. Wagner
Labor Archive» della New York University. La documentazione delle carte e delle foto
di Jay Leyda e della moglie Si-Lan Chen Leyda è a cura di Peter Filardo e Katja Vehlow.
Si ringrazia qui la Tamiment Library per la possibilità di fotografare e pubblicare le due
lettere prima citate. La figura di Jay Leyda (1910-1988) meriterebbe uno studio specifico,
a partire dalla sua collaborazione con il Moma e dai suoi cortometraggi per giungere ai
suoi lavori sulla storia del cinema sovietico, su Mussorgsky e su Melville. Dal 1973 alla
sua morte Leyda insegnò all’Università di New York. Tra i suoi interlocutori si annoverano
Lettera di Louis Harap a Jay Leyda, 30 marzo 1937. intellettuali come Siegfried Kracauer, Rudolf Arnheim, Erwin Panofsky, Luigi Chiarini.
18 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 19

Leyda e Meyer Schapiro5 a New York o André Malraux, Jean Wahl La seconda polarità è di natura formalmente testuale e riguarda
e Pierre Jean Jouve a Parigi6. Pochi, oltre naturalmente alla cerchia il fatto che non ci troviamo di fronte a un’opera unica e in qualche
di coloro con cui Benjamin a diverso livello collaborava e dialogava modo consegnata a una versione definitiva o paradigmatica, ma di
(da Scholem e Adorno a Brecht, Horkheimer e Kracauer), saranno fronte a un multiplo, a un work in progress di cui esistono solo ver-
coloro che coglieranno, pur dissentendone, l’enorme potenziale cri- sioni più o meno provvisorie e in attesa di revisione e ampliamento8.
tico delle sue tesi. Anche dopo la sua prima pubblicazione nell’edi- Con questa provvisorietà delle stesure si intreccia l’ossessione benja-
zione del 1955 dei due volumi delle Schriften, il saggio passerà quasi miniana, documentata nell’epistolario, per l’unicità della copia di cui
inosservato. Perché dispiegasse il valore radicalmente innovativo e, talvolta dispone. Anche tale ossessione contribuisce a generare una
per alcuni versi, sovversivo delle sue pagine, si dovrà aspettare il Ses- tensione immanente al complesso testuale tra la stabilità del titolo –
santotto. Questo non impedirà, negli anni successivi alla contesta- il nome dell’opera – e il suo carattere instabilmente e inquietamente
zione studentesca, letture più normalizzanti ed eclettiche, addirittura multiplo. In questa tensione, che si alimenta di quella più generale tra
mescolando la prospettiva diagnostica del saggio benjaminiano con la fissazione notazionale della lettera e l’intonazione concettualmente
le tesi heideggeriane circa il rapporto tra arte, tecnica e verità, deli- espressiva del testo, si riflette e si attesta il materialismo messianico
neate in particolare nel saggio-conferenza L’origine dell’opera d’arte. di Benjamin e la sua peculiare appercezione del tempo storico. Una
Quando, invece, quella che si sarebbe dovuta sviluppare era l’idea di tensione che, nel caso del Kunstwerkaufsatz, si coagula nell’immagi-
un confronto virtuale tra posizioni inconciliabili, non solo dal punto ne di un campo di forze tra l’unità dell’opera e la molteplicità delle
di vista politico, ma – ancor prima – teologico-metafisico7. versioni. Un campo di forze certamente relativo alla forma testuale
del saggio, ma anche affine a ciò che si stabilisce tra la serialità del-
5 Sulla visita che Meyer Schapiro, nel settembre del 1939, fece a Benjamin, mentre
le copie dell’opera per principio riproducibile e l’unità immaginale-
questi si trovava nel campo d’internamento di Nevers, vedi la lettera di Benjamin a Gretel
nominale della loro origine.
Adorno del 25 settembre 1939, in GB VI (2000), p. 337. Per l’importanza che Benjamin Appunto come campi di forze e come attrattori interni, non di un
attribuiva a questa visita vedi la lettera sempre a Gretel del 26 giugno 1939 (ivi, p. 309). testo bensì dell’unità d’immagine di un opus multiplum, devono esse-
6 Vedi per questo la lettera di Benjamin a Horkheimer del 10 agosto 1936 (inviata da
re intese le polarità concettuali immanenti alla sua costituzione. Una
Skovsbostrand), in GB V, pp. 352-353. Quanto al contesto parigino non va dimenticato,
però, il rapporto che Benjamin intrecciò con Raymond Aron, dal 1935 fino al 1939 pro- costituzione in forma di un palinsesto intimamente variabile nelle sue
fessore alla «École Normale Supérieure» e dal 1936 rappresentante francese dello «Institut
für Sozialforschung». Tale rapporto iniziò con la tormentata vicenda della pubblicazione
del saggio sulla rivista dell’Istituto. In questa occasione, come riferisce Benjamin, Aron mo- Zeitung» (Am Ursprung? Zu Martin Heideggers Frankfurter Vorlesung, in FZ, Nr. 627-
strò di condividere la protesta benjaminiana nei confronti delle obiezioni censorie di Hans 628, 8 dicembre 1936, p. 11). Vedi per questo W. Benjamin, G. Adorno, Briefwechsel
Klaus Brill, redattore della «Zeitschrift für Sozialforschung» (vedi per questo la lettera di 1930-1940, a cura di C. Gödde – H. Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2005, p. 280.
Benjamin a Horkheimer del 29 febbraio 1936, ivi, pp. 251-252 e ora anche in Benjamin, 8 Nella recente edizione critica del Kunstwerkaufsatz a cura del compianto Burkhardt

Kunstwerk, pp. 560-562). Lindner, in collaborazione con S. Broll e J. Nitsche (Benjamin, Kunstwerk), si presentano
7 Ho trattato diffusamente i temi di questo confronto virtuale nel saggio L’opera d’arte addirittura cinque versioni del saggio, rispetto alle quattro ipotizzate in precedenza. Come
nell’epoca della tecnica. Un confronto tra Benjamin e Heidegger, apparso con diverso ammettono gli stessi curatori la prima versione ha più la forma di un abbozzo, seppur
titolo in «Studi Germanici», n.s., a. XXIX, 1991 [recte 1995], 83-85, pp. 107-24, quindi caratterizzata da un’elaborazione autonoma (con parti che non compariranno nelle altre,
in versione tedesca in Klaus Garber, Ludwig Rehm (a cura di), global benjamin, 3 Bände, come ad esempio il riferimento al dibattito teologico a proposito della differenza tra homo-
Wilhelm Fink Verlag, München 1999, Band 2, pp. 1192-1205 (con il titolo Benjamin iousios (simile nell’essenza) e homousios (eguale per essenza), differenza contenuta in un
und Heidegger. Der Ursprung des Kunstwerkes im Zeitalter seiner technischen Reprodu- solo «iota»; cfr. ivi, Erste Fassung, p. 23; tr. it. infra, p. 252 e ivi, nota 23/7, p. 410). Per le
zierbarkeit) e poi ripreso in F. Desideri, La porta della giustizia, cit., pp. 101-18. Delle molte parti cancellate e per l’incertezza quanto alla struttura del lavoro (non certo quanto
tre conferenze dedicate a L’origine dell’opera d’arte, che Heidegger tenne presso il Freies ai suoi concetti fondamentali), non possiamo che concordare anche noi con questa ipotesi
Deutsches Hochstift nel dicembre 1936, Benjamin ebbe notizia da Gretel Adorno in una e considerare quindi la Erste Fassung un abbozzo preliminare più che una versione come
lettera del 12 gennaio 1937. In questa lettera Gretel parla, in particolare, dell’articolo che le altre. Di seguito le citazioni si riferiranno (salvo diverso avviso) a quella che la suddetta
Dolf Sternberger aveva scritto al riguardo l’8 dicembre 1936 sulla «Frankfurter Allgemeine edizione presenta come Dritte Fassung e che finora era stata ritenuta la Zweite Fassung.
20 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 21

configurazioni. Qui Benjamin fa nietzscheanamente di virtù necessi- nota della versione ritrovata nel 1989 – oggi Dritte Fassung – tra le
tà. La forma di un palinsesto in stato di continua riconfigurazione, carte di Horkheimer: «L’apparenza […] è lo schema più affilato, e con
quanto alla facies che offre a una lettura diretta, riguarda del resto, in ciò più resistente, di tutti i procedimenti magici della prima tecnica, e il
diversa misura, tutta l’ultima opera benjaminiana: dal Passagenwerk al gioco è la riserva inesauribile di tutti i procedimenti sperimentali della
Baudelaire, fino alle Tesi sul concetto di storia. Tra le polarità concet- seconda»9. Sul filo di questa osservazione Benjamin sviluppa la tesi che
tualmente immanenti al saggio, e all’idea di opera d’arte che implica, «al deperimento dell’apparenza, al decadimento dell’aura nell’opera
spiccano indubbiamente quella diacronica, relativa al rapporto tra va- d’arte» si contrappone un «enorme guadagno» quanto allo «spazio di
lore cultuale e valore espositivo, e quella sincronica, relativa alla com- gioco». Messo in questi termini, però, lo spostamento di funzioni suo-
plementarietà e – insieme – alla divaricabilità delle nozioni di gioco e na troppo semplificatorio rispetto alla complessità costitutiva di ogni
apparenza. Con l’epoca della riproducibilità tecnica del Kunstwerk la opera d’arte, anche di quella per principio riproducibile come il film,
variabilità della relazione tra i due poli si traduce in un restringersi del che trova in gioco e apparenza i suoi momenti essenziali. L’ubiquità
valore cultuale a favore di una dilatazione di quello espositivo. In que- dell’immagine estetica, la meccanizzazione del suo processo di pro-
sta dilatazione Benjamin vede la chance per un’emancipazione dell’arte duzione, contiene in sé anche la possibilità che la sfera dell’apparenza
dalla sua origine magico-rituale. La chance non coincide, però, con si ponga mistificatoriamente come assoluta, restaurando all’apice del-
un destino ineluttabile o, semplicemente, con un processo lineare. La la modernità, seppur in forme surrogate, il potere dell’antica magia.
possibilità di opere e pratiche artistiche in cui prevalga il polo cultuale, L’intuizione benjaminiana che riconduce i due poli del gioco e dell’ap-
seppur in forme surrogate o secolarizzate, sta sia nel fenomeno dell’e- parenza alla mimesis come «fenomeno originario» di ogni pratica ar-
stetizzazione del politico sia nell’imporsi di uno star-system che sposta, tistica è, però, giusta e feconda. Solo nel rapporto con questa origine,
anche sul terreno della vita quotidiana, la logica di un’apparenza che che nessuno sviluppo tecnico riesce a estinguere, la dialettica storica
si vuole talvolta (illusoriamente) assoluta, affidandosi tutta ai circuiti tra i due momenti – con l’alternarsi di spostamenti d’accento sull’uno
pre-cognitivi dell’identificazione emozionale. Un’analoga variabilità o sull’altro – può svilupparsi in un senso politicamente emancipati-
caratterizza la polarità sincronica tra gioco e apparenza. Questa sup- vo, conferendo alla sfera dell’apparenza una dimensione di criticità
pone, a sua volta, il contrapporsi di due concezioni antitetiche della alimentata dall’ampliarsi anche in senso direttamente cognitivo dello
tecnica: da un lato, la tecnica che sopprime la propria distanza dalla spazio di gioco. Il cinema questo processo lo può effettuare già a par-
natura in quanto magia e, dunque, in quanto sfruttamento e dominio tire dalla sua stessa forma10. Ma tale possibilità è in ogni caso rimessa
di ciò che manipola; dall’altro, la tecnica come gioco cooperativo con a una drammatica storico-politica.
la natura stessa e, dunque, come un operare mimetico-perfettivo nei La mobilità e variabilità del rapporto polare tra valore cultuale e
suoi confronti. Nel primo caso, la tecnica assume i caratteri di una valore espositivo, tra gioco e apparenza e, quindi, tra tecnica come
ratio immemore della propria origine mimetica (un tema che sarà al magia e tecnica come mimesi perfettiva, si decide sullo sfondo di una
centro della riflessione filosofica adorniana a partire dalla Dialettica complessa dialettica tra passato e futuro. Secondo quanto Benjamin
dell’illuminismo, scritta a quattro mani con Horkheimer, fino a percor- scrive nella lettera a Werner Kraft del 28 ottobre 1935, il suo lavoro
rere per intero la postuma Teoria estetica). Nel secondo caso, l’idea di sull’opera d’arte è come un telescopio collocato in quel luogo del
tecnica si arricchisce sia di motivi propri del socialismo utopico di Fou- presente, ovvero in quella appercezione della sua attualità (nei ter-
rier (già considerati nel lavoro sui passages), sia di motivi schilleriani, mini delle Tesi sul concetto di storia: della sua Jetztzeit), in cui tutto
senza mai dimenticare un’assunzione in chiave antropologica della
valutazione positiva che la mimesis conosce in Aristotele e, per certi 9 Benjamin, Kunstwerk, p. 120; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 71.
aspetti, nello stesso Platone. Su questo sfondo problematico si può co- 10 Per questo vedi F. Desideri, Il tempo dell’immagine: il cinema come forma estetica,
gliere tutta la rilevanza di un’osservazione contenuta in un’importante in L. Guerrini Verga, A. Papi, Filmagogia. Nuovi orizzonti dei saperi, UTET, Torino 2015,
pp. 206-214.
22 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 23

il lavoro sui passages parigini converge come nel suo punto di fuga presente dell’arte, sull’epoca in cui la riproducibilità tecnica si è tra-
prospettico11. La prospettiva che l’analisi sull’opera d’arte nella crisi sformata in principio costitutivo dell’opera, mettono a fuoco il nesso
della tradizione intende guadagnare non riguarda, però, in maniera parimenti epocale tra estetizzazione della politica e crisi della demo-
diretta il futuro. Di esso Benjamin cerca la profetica anticipazione crazia. Questo nesso emerge nella sua forma più drammaticamente
nell’immaginario del XIX secolo, nelle utopie e nei sogni del passato. minacciosa nel momento in cui l’avvento del «tempo dell’immagi-
Così può intendere il suo telescopio teorico-analitico come puntato, ne», di cui il cinema è la forma di veicolazione più potente, si mostra
«attraverso la nebulosa di sangue, su un miraggio del XIX secolo», intimamente solidale con quello sgretolarsi dell’aura che, agli occhi
che si preoccupa di «ritrarre secondo quei tratti che mostrerà in un di Benjamin, non può riguardare unicamente il «qui e ora» dell’o-
futuro stato del mondo liberato dalla magia»12. Il «luogo» del pre- pera d’arte. Nello sgretolarsi e nell’immiserirsi dell’aura, in quel suo
sente è quello in cui risuona «l’ora del destino dell’arte»13. Per fissare declino che Benjamin non intende mai nei termini di una adialettica
i pensieri relativi a questo destino Benjamin – come osserva in una «fine», il senso stesso dell’esperienza umana conosce trasformazioni
lettera ad Annemarie Blaupot Ten Cate del 24 novembre 193514 – ha irreversibili, trasformazioni originate dal tessuto storico che alimen-
mutato l’asse temporale del proprio lavoro, spostandolo dal passa- ta le dinamiche della percezione. Come Benjamin lascia intendere
to (dei passages) al presente. Anticipando temi che saranno svilup- allorché descrive in positivo la nozione di aura come intreccio unico
pati nelle Tesi sul concetto di storia e nei lavori preparatori a esse, e irripetibile, nella dialettica tra prossimità e distanza, tra l’immagine
Benjamin osserva come ogni conoscenza storica si lasci rappresentare di un «qui e ora» e il respiro percettivo16, a essere in gioco è la stessa
nell’immagine di una bilancia che ha raggiunto uno stato d’equilibrio esperienza estetica nella sua forma originaria, ovvero nel suo sorge-
tra il piatto su cui si accumula la conoscenza del passato e quello su re dalla trama spazio-temporale dell’aisthesis. Ma il tempo dell’im-
cui grava la conoscenza del presente. Mentre dal lato del passato l’ac- magine di cui il saggio benjaminiano, con le parole di Abel Gance,
cumulo di fatti e dettagli non è mai eccessivo, sul piatto del presente celebra l’avvento, è il tempo di un’immagine la cui origine è mecca-
acquisiscono massa critica solo pochi elementi. Il peso specifico è qui nizzata: figlia di un dispositivo tecnico. In ciò sta la crisi dell’aura e,
dato, appunto, dalle riflessioni «sulle condizioni di vita (Lebensbe- di conseguenza, dell’esperienza stessa. L’epoca tardo-moderna della
dingungen) dell’arte del presente», riflessioni che assumono i contor- riproducibilità tecnica significa, pertanto, anche l’epoca della povertà
ni di quella teoria materialistica dell’arte di cui sino ad allora molto si di esperienza, del suo ammutolire. Ma questo ammutolimento e im-
era sentito parlare, ma che «ancora nessuno aveva visto con i propri miserimento dell’esperienza umana non è privo di conseguenze. Alla
occhi». Adesso, comunica Benjamin all’amica, questa teoria «c’è»15. criticità di tale fenomeno, alla polverizzazione della stessa identità
umana che può implicare, risponde, come un contraccolpo di na-
tura compensativamente surrogatoria, l’estetizzazione della politica,
3. Crisi dell’aura ed estetizzazione della politica esito diretto del cortocircuito tra due crisi: quella dell’immediatezza
dell’aisthesis e quella della mediazione politica. L’apparenza d’im-
Nell’arco critico teso tra la preistoria del Moderno e la condizio- mediatezza simbolica che si autocelebra nell’estetizzazione del poli-
ne futura di un mondo liberato dalla magia, le riflessioni sullo stato
16 «In un pomeriggio estivo, riposando, seguire una catena montuosa all’orizzonte o
11Cfr. le lettere a Werner Kraft del 28. 10. 1935, GB V, p. 193 e a Max Horkheimer un ramo che getta la sua ombra su colui che riposa – questo significa respirare l’aura di
del 16. 10. 1935, ivi, p. 179. queste montagne, di questo ramo» (Benjamin, Kunstwerk, p. 102; tr. it. cit., p. 52; ma il
12 Ivi, p. 193. passo ritorna con minime variazioni in tutte le versioni ed era già contenuto nella Piccola
13 Ivi, p. 179. storia della fotografia; cfr. Id., Kleine Geschichte der Photographie, in GS II (1977), 1,
14 Ad Annemarie Blaupot Ten Cate, il 24. 11. 1935, ivi, p. 199. pp. 368-385: 378; tr. it. di E. Filippini, Breve storia della fotografia, in OC IV (2002), pp.
15 Ibid. 476-491: 485).
24 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 25

tico, come galvanizzazione e rimessa in circolo di categorie estetiche rettamente teologica. L’artificio della pura apparenza non è altro che
tradizionali – quali quelle di genio, di identificazione empatica e di il governo della menzogna come contraffazione e simulazione della
eroica creatività alimentata da miti –, costituisce una storica reazione verità. In breve, è il diabolico in quanto tale. Sta qui uno dei motivi più
all’ineffettualità della mediazione politica classicamente moderna e, profondi di connessione tra il libro su L’origine del dramma barocco
quindi, alla crisi della stessa idea di rappresentanza. L’intuizione di tedesco e il saggio sul Kunstwerk. Ricordiamo per questo quanto asse-
Benjamin è che tale crisi si prepara e si anticipa nella dimensione rito da Benjamin nelle ultime pagine del libro sul Trauerspiel: «ciò che
percettiva propria di ogni esperienza estetica. Nello spazio estetico, seduce è l’apparenza della libertà»18, ossia l’apparenza dell’autonomia
dunque, in quanto coinvolto nelle trasformazioni indotte dall’appa- che si ostenta come apparenza dell’infinito, mentre nasconde il vuoto
rato tecnico. Nel co-implicarsi di spazio estetico e spazio tecnico, il abisso del male. In una spiritualità assoluta Benjamin vede qui l’auten-
cui prodotto è l’immagine per principio riproducibile, muta così la tico significato di Satana: suicidio dello spirito che si intende emanci-
modalità espositiva e, con essa, la forma stessa della rappresentazio- pare dalla religiosa connessione con la natura. A questa secessione del-
ne. Un mutamento che Benjamin vede effettuarsi non solo nella sfera lo spirito in un’apparenza assoluta fa così da contraltare il polo della
dell’arte, ma anche in quella della politica: materialità inerte, svuotata di ogni anima: puro oggetto a disposizione
di un dispotico arbitrio (certo non estraneo alla tecnica come magia e
La qui constatabile trasformazione della modalità espositiva, dovuta alla annientamento di ogni distanza).
tecnica di riproduzione, si fa notare anche in politica. Si può comprendere la
crisi delle democrazie come una crisi delle condizioni di esposizione dell’uomo
politico. Le democrazie espongono l’uomo politico in modo immediato, nella
sua persona, e precisamente lo espongono ai rappresentanti. Il parlamento è 4. Autoestraniazione dell’umano
il suo pubblico. Con le innovazioni dell’apparecchiatura di registrazione, che
permette all’oratore, durante il discorso, di rendersi udibile a un’illimitata mol- Con questi riferimenti, comunque avvertibili a una lettura non su-
titudine e, poco dopo, di rendersi visibile a un’illimitata moltitudine, l’esposi- perficiale del complesso testuale del saggio, le riflessioni di Benjamin
zione dell’uomo politico di fronte a questa apparecchiatura di registrazione sul destino dell’arte, nel punctum di equilibrio criticamente oscillante
passa in primo piano. Ciò svuota i parlamenti nello stesso tempo in cui svuota
del presente, si fanno carico di una critica teologica del Moderno.
i teatri. La radio e il film trasformano non solo la funzione dell’interprete pro-
fessionista ma, altrettanto, la funzione di colui che, come fa l’uomo politico, Una critica che unifica in una comune tensione teorica, capace di
interpreta se stesso di fronte ad essi. La direzione di questa trasformazione è guardare oltre ogni pur drammatica contingenza (attraverso la «ne-
uguale nell’attore cinematografico e nel politico, malgrado i loro diversi com- bulosa di sangue» di una guerra imminente), il libro sul Trauerspiel,
piti specifici17. il Passagenwerk e l’attualizzazione dei suoi temi rappresentata dal
Kunstwerkaufsatz. Tra i problemi che giungono a un’acuta formu-
L’effetto di mediazione, resa infinita in virtù del principio di ripro- lazione in quest’ultimo vi è indubbiamente quello rubricabile come
ducibilità tecnica che coinvolge la stessa forma della rappresentazione «autoestraniazione dell’umano», ovvero quella dimensione dell’espe-
politica (determinando una «Krise der Ausstellungsbedingungen», una rienza tipicamente moderna che trova il suo momento di focalizza-
crisi delle condizioni di esposizione), si rovescia in una artificiale au- zione e, insieme, il suo banco di prova nel rapporto con gli apparati
tonomia dell’apparenza: nell’artificio illusionistico dell’immediatezza tecnici. Un rapporto che Benjamin intende nei termini di un test al
come sembianza di un’apparenza assoluta. Qui l’origine della critica quale si sottopone l’attore cinematografico o il politico recitando la
benjaminiana del politico a lui contemporaneo – tra la crisi della de- propria parte di fronte a un’Apparatur:
mocrazia borghese e l’estetizzazione fascista della vita politica – è di-

17 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 121-122; Fünfte Fassung, p. 230; tr. it. 18 Cfr. Id., Ursprung des deutschen Trauerspiels, in GS I (1974), 1, pp. 203-430: 404;

cit., pp. 72, 117. In entrambe le versioni il brano compare in nota. tr. it. di F. Cuniberto, Il dramma barocco tedesco, in OC II (2001), pp. 69-268: 263.
26 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 27

Nella rappresentazione dell’uomo mediante l’apparecchiatura il suo estrania- premessa di una presa di distanza dall’immagine come falsa apparen-
mento da sé ha esperito un’utilizzazione sommamente produttiva. Si può com- za, nella tirannia diabolica e sofistica della sua secessione. Politicamen-
prendere quest’utilizzazione dal fatto che lo sconcerto dell’interprete di fronte
te questo significa anche disaggregare l’apparente compattezza della
all’apparecchiatura, quale lo descrive Pirandello, è, di per sé, dello stesso tipo dello
sconcerto dell’uomo di fronte alla propria immagine nello specchio con la quale i massa e, con essa, il presupposto del fascismo come regime autorita-
romantici amavano indugiare. Ora, però, quest’immagine allo specchio è separabi- rio: dittatura della maggioranza che si costituisce nel circuito perverso
le da lui, è divenuta trasportabile. E dove viene trasportata? Di fronte alla massa19. tra mito (remitizzazione della crisi moderna) e doxa. Le osservazioni
benjaminiane intorno al tema della solidarietà come espressione della
Nella versione francese del saggio lo «sconcerto (das Befremden)» è coscienza di classe vanno in questa direzione. Come affermato chiara-
inteso come un «sentiment d’étrangeté», un sentimento di estraneità20. mente in un passo dagli inconfondibili accenti brechtiani contenuto in
Nei confronti di questo sentimento l’apparato tecnico – il dispositivo, un’ampia nota della terza stesura del saggio:
la macchina (da presa) – agisce come un filtro selettivo. Il test cui l’e-
sperienza umana si sottopone è quello di una selezione per adattamen- Il proletariato dotato di una coscienza di classe forma una massa compatta
to. Una selezione che agisce nella trama fragile e sottile che lega corpo- solo dall’esterno, nella rappresentazione dei suoi sopraffattori. Nel momento
in cui esso intraprende la propria lotta di liberazione, la sua massa apparente-
reità e coscienza. Lo spazio di tale azione è quello classico del riflettersi mente compatta, in verità, si è già sciolta. Smette di stare sotto il dominio delle
della propria immagine. Un riflettersi che, nell’indugio romantico sul mere reazioni; passa all’azione. Lo scioglimento della massa proletaria è opera
topos della riflessione di Sé in un’immagine speculare (già al centro della solidarietà. Nella solidarietà della lotta di classe proletaria è abolita la
dell’Alcibiade I platonico)21, si estenua sinistramente in uno sdoppiarsi morta contrapposizione a-dialettica tra individuo e massa; essa, per i compa-
all’infinito. Dal momento che, però, la riflessione non si effettua più gni, non esiste. Per quanto la massa sia decisiva per il capo rivoluzionario, la
mediante uno specchio, l’immagine riflessa dell’uomo si separa da lui e sua più grande prestazione non consiste nel fatto di trascinare le masse verso di
sé, ma nel fatto di lasciarsi sempre di più includere nelle masse, così da essere
diviene «trasportabile». Di fronte alla «massa» ovvero al «pubblico». sempre di più, per esse, uno dei centomila22.
Con la macchina da presa lo sdoppiamento infinito dell’immagine di
sé, che costituiva l’oggetto delle speculazioni romantiche e idealiste, si Il carattere militante del passo, l’illusoria fiducia che il «capo ri-
trasforma in riproducibilità dell’immagine come serie, articolo di mas- voluzionario» potesse davvero essere «uno dei centomila», non può
sa: immagine-oggetto destinata alla circolazione delle merci. In questa farci dimenticare come all’origine di questa tesi vi sia l’idea di stabili-
trasformazione, nel suo spazio storico, l’autoestraniamento abbando- re una stretta connessione tra la critica dell’Einfühlung – in base alla
na la sfera puramente immaginale della riflessione e si palesa come quale il capo rivoluzionario non esigerebbe più un’identificazione
esperienza quotidiana della soggettività moderna. Eppure, proprio in empatica da parte dei propri compagni – e l’estetica come «dottrina
questo livello di effettività, l’alienazione, per Benjamin, può diveni- della percezione» – implicando essa sia una dialettica tra prossimità
re qualcosa di produttivo, una chance di emancipazione dell’umano, e distanza sia il conseguente autoestraniamento.
possibilità per l’Ulisse moderno di ricongiungersi con sé tramite una
dialettica dell’immagine, attraverso le peripezie che lo spazio imma-
ginale tecnicamente riproducibile impone alla coscienza. Per rendere 5. Estetica come «dottrina della percezione»
produttiva l’alienazione moderna è necessario, però, liberare il cinema
dalle catene dei rapporti sociali di produzione in cui è costretto, quale «Le difficoltà che la fotografia aveva procurato all’estetica tradizio-
nale erano un gioco per bambini rispetto a quelle con cui l’attendeva
19
Benjamin, Kunstwerk, p. 121; tr. it. cit., pp. 71-72.
20
Cfr. ivi, Vierte Fassung, p. 183; tr. it. cit., p. 25.
21 Sul tema cfr. F. Desideri, L’ascolto della coscienza. Una ricerca filosofica, Feltrinelli,

Milano 1998. 22 Benjamin, Kunstwerk, nota 1, p. 123; tr. it. cit., nota 17, p. 73.
28 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 29

il film»23: il film come nuova forma dell’opera d’arte impone dunque mienti ha il proprio. Non tanto attraverso rappresentazioni del mondo onirico
una riconsiderazione radicale di cosa si debba intendere per «estetica». quanto attraverso la creazione di figure del sogno collettivo, come quella di
Mickey Mouse che fa il giro del mondo28.
La liquidazione di categorie tradizionali – genio, creatività, originalità,
immedesimazione – come effetto del principio di riproducibilità tecni-
ca dell’immagine conduce però Benjamin a ripensare l’estetica secondo Come attestato dalla nozione di «inconscio ottico», già disvelata
un registro che guarda alla sua doppia origine. La tesi secondo cui dal dispositivo fotografico e di indubbia rilevanza per la comprensio-
«il film si mostra come l’oggetto oggi più importante di quella dottri- ne degli effetti del cinema sul pubblico, la dinamica delle percezio-
na della percezione che presso i Greci si chiamava estetica»24 suona ni esibisce effettualmente, fin nella trama della vita quotidiana, una
infatti tanto ironicamente paradossale, quanto acutamente program- struttura intimamente dialettica che si alimenta della compenetra-
matica25. Quella che Benjamin nella versione tedesca più ampia del zione tra immaginazione e comprensione della realtà. Decisivo e di-
saggio chiama «dottrina» nella versione francese è detta «scienza»26. stintivo è, però, che questa compenetrazione, che restituisce un reale
L’oscillazione terminologica permette di individuare nel testo benjami- allucinato agli occhi dello spettatore cinematografico, non si sviluppa
niano il riferimento all’origine settecentesca dell’Estetica come «scien- in maniera armonica, ma si annuncia «tecnicamente» nella forma
tia cognitionis sensitivae» – secondo la celebre definizione contenuta di choc, ovvero di microcesure del continuum percettivo. La nuova
nell’Aesthetica di Baumgarten – e, dunque, come scienza della perce- forma della dialettica del percepire è così quella costituita dalla tra-
zione, che, dal punto di vista di Benjamin, comprende anche la dina- ma di continuità e discontinuità che detta il tempo all’immagine: un
mica storica delle trasformazioni di quest’ultima; logica economico- tempo, un ritmo costantemente al confine tra la naturalità della sua
culturale dei rapporti sociali di produzione e intelaiatura strutturale irruzione oltre la soglia della coscienza e l’artificialità della sua pro-
della stessa – vale a dire il progresso tecnologico – incluse. Alla luce di duzione tecnica. Il cinema libera «l’effetto di choc fisico»29 prima di
questa scienza si dispiegano le fondamentali analisi relative all’impatto ogni intenzione. Per questo motivo il suo effetto è ben più radicale di
che le nuove tecniche di produzione estetico-artistica hanno sulla vita qualsiasi «choc morale» perseguito intenzionalmente dal Dadaismo.
percettiva delle masse, intese come nuovo soggetto dei Modern Times. Solo in virtù di questo choc aintenzionale, incorporato nella tecni-
Anzitutto rendendo labile la soglia difensiva tra percezione in stato di ca stessa della forma-cinema, l’arte viene svincolata dalle categorie
veglia e percezione onirica. Gli aspetti che la macchina da presa riesce tradizionali che ne ordinavano una ricezione precostituita in senso
a «strappare alla realtà» sconvolgono lo spettro delle normali perce- contemplativo ed è ricondotta alla sua originaria matrice estetica. Il
zioni sensoriali27. Ai nuovi livelli di realtà guadagnati corrispondono principio della riproducibilità tecnica dell’immagine implica così una
inediti modi del percepire. liquidazione intraestetica dell’arte tradizionale.
La massa di spettatori che accoglie l’avvento del tempo dell’im-
E così quei procedimenti della cinepresa sono allo stesso tempo procedure magine come un susseguirsi di choc, quegli choc segnati dall’esplo-
grazie alle quali la percezione collettiva può far proprie le modalità percettive dere della dinamite dei decimi di secondo, è una massa distratta.
individuali dello psicotico o del sognante. Il film ha aperto una breccia nell’an- Appunto per il fatto che questi microchoc al limite della percezione
tica verità eraclitea – i desti hanno il loro mondo comune, ciascuno dei dor- consapevole sono accolti distrattamente, il loro accumulo produce
le deformazioni, le metamorfosi e le catastrofi sensoriali che scon-
23Benjamin, Kunstwerk, p. 112; tr. it. cit., p. 63. volgono adesso il normale commercio percettivo con la realtà. Di
24Ivi, p. 138; tr. it. cit., p. 88. una ricezione distratta, che diviene quasi il canone della fruizione di
25 Ho già argomentato questo tenore ironico-programmatico dell’affermazione benja-
qualsiasi forma artistica (l’ubiqua velocità e discontinuità dell’imma-
miniana circa l’estetica come «dottrina della percezione» secondo i Greci nel saggio I Mo-
dern Times di Benjamin, cit., pp. XXXI-XXXII.
26 Cfr. Benjamin, Kunstwerk, Vierte Fassung, p. 196; tr. it. cit., p. 40. 28 Ivi, p. 132; tr. it. cit., p. 82.
27 Ivi, Dritte Fassung, p. 131; tr. it. cit., p. 82. 29 Ivi, pp. 135-136; tr. it. cit., p. 86.
30 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 31

gine filmica cattura anche quella pittorica tradizionale), si alimenta prima concezione della tecnica, che alimenta la logica del dominio e
la necessità del formarsi di nuove abitudini: dell’assoggettamento in un senso o in un altro (della natura alla tec-
nica o della vita a quest’ultima), e la seconda, la quale, in virtù della
Anche il distratto può abituarsi. O meglio: il poter far fronte a certi compiti sua dimensione cooperativa con la natura, prefigura una dilatazione
nella distrazione dimostra, in primo luogo, che lo svolgerli è divenuto qual- dello spazio di gioco delle nuove forme di arte (il cinema in primis),
cosa di abitudinario. Attraverso la distrazione, quale è offerta dall’arte, viene
mentre limita il potere dell’apparenza delle immagini di cui sono in-
controllato a nostra insaputa fino a che punto sono divenuti assolvibili i nuovi
compiti dell’appercezione30. tessute. Perché l’alternativa non si risolva nell’illusione di un radicale
superamento della prima tecnica da parte della seconda – come se lo
Il film, col favorire una convergenza storicamente inedita tra di- spazio di gioco potesse estinguere l’esteticità dell’apparenza di cui
strazione e abitudine, si fa così «strumento d’esercizio» che trasfor- consiste la vita stessa dell’opera d’arte – è necessario intendere il va-
ma le capacità percettive del pubblico mentre le sottopone allo stress lore e il senso del richiamo ai Greci, allorché Benjamin evoca l’este-
piacevole di un test. Con una duplice conseguenza: sul piano estetico, tica come «dottrina della percezione». La mia tesi è che, proprio con
quella di prefigurare nuove forme di attenzione (quell’attenzione nel- tale richiamo, Benjamin suggerisca la coappartenenza di aisthesis e
la distrazione che trova il suo epilogo espressivo nel riso suscitato dai mimesis come essenziale all’origine dell’arte.
film di Chaplin); sul piano meta-estetico degli atteggiamenti antropo-
logici, la possibilità di costituire una palestra di adattamento rispetto
alla compenetrazione tra tecnica e vita che caratterizza la modernità: 6. Il gioco mimetico e l’origine dell’opera arte

Il cinema serve a esercitare l’uomo in quelle appercezioni e reazioni deter- Senza quest’ultimo passaggio, capace di mostrare come il princi-
minate dal rapporto con un’apparecchiatura, il cui ruolo nella sua vita aumen- pio della riproducibilità tecnica e la pervasiva influenza dei dispositi-
ta quasi quotidianamente. Il rapporto con quest’apparecchiatura gli insegna, vi che lo incorporano non cancelli il nucleo mimetico dell’aisthesis e
al contempo, che l’assoggettamento al suo servizio farà posto alla liberazione della risposta estetica, il compito di armonizzare umanità (il soggetto
attraverso di essa, quando la costituzione dell’umanità si sarà adattata alle
moderno) e Apparatur tecnica si rivelerebbe una cattiva utopia, pe-
nuove forze produttive che la seconda tecnica ha dischiuso31.
rennemente oscillante tra un naturalismo ingenuo e una fede nel pro-
gresso storico. Secondo quanto Benjamin svilupperà anche in lavori
Il senso neutro della funzione di adattamento antropologico e di
successivi (in particolare in Di alcuni motivi in Baudelaire), è già nel-
metabolizzazione del rischio costante, del periculum biopolitico che
la percezione della bellezza che l’aisthesis rivela la sua natura duplex,
la dinamica autonoma del progresso tecnico significa, si presenta
ovvero il suo immaginativo duplicarsi nel fingere mimeticamente il
dunque come drammaticamente aperto a due sviluppi: quello dell’as-
proprio oggetto, fissando la sua fuggevole apparenza nell’oggetto
soggettamento alla tecnica e quello della liberazione attraverso di
dell’esperienza nello «stato di somiglianza»32 che rivela quanto d’in-
essa. In tale alternativa si gioca la costituzione stessa dell’umanità,
definibile vi è nelle cose (secondo la definizione di Valéry citata da
come lascia chiaramente intendere la conclusione del saggio (pre-
Benjamin). La fissazione, per un istante, di quest’immagine (intreccio
sente in tutte le versioni), dedicata al tema marinettiano del «Fiat
del qui e ora dell’esperienza) non è altro che quanto Benjamin identi-
ars – pereat mundus» e, quindi, alla cruciale opposizione tra estetiz-
fica come «aura» e che, come tale, non può essere riferita unicamente
zazione fascista della politica e politicizzazione comunista dell’arte.
Tale alternativa può, però, limitarsi unicamente a una scelta tra la
32 Il bello, scrive Benjamin in Di alcuni motivi in Baudelaire, non è altro che «l’oggetto

dell’esperienza nello stato della somiglianza» (Id., Über einige Motive bei Baudelaire, in
30 Benjamin, Kunstwerk, p. 138; tr. it. cit., p. 88. GS I, 2, pp. 605-653: 639; tr. it. di R. Solmi, Su alcuni motivi in Baudelaire, in OC VII
31 Ivi, pp. 108-109; tr. it. cit., p. 59. (2006), pp. 378-415: 404).
32 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 33

all’esistenza dell’opera d’arte. L’aura, infatti, non deve essere sempli- Il soggetto che imita fa quello che fa solo in apparenza. E certamente la più
cemente assegnata all’esperienza estetica, ma definita anzitutto come antica imitazione conosce un’unica materia a cui dà forma: ovvero il corpo
stesso di colui che imita. Danza e linguaggio, gestualità corporea e labiale sono
«fondamento» in essa: «fondamento esperienziale»33. Anzi, l’aura
le primissime manifestazioni della mimesis. Colui che imita rende apparente
dell’apparenza estetica (unità di quella relazione percettiva in cui un il proprio oggetto. Detto altrimenti: gioca a essere quell’oggetto. E con ciò ci
oggetto è colto come «bello») rappresenta la condizione dell’aura s’imbatte in quella polarità che agisce nella mimesis36.
storicamente determinata quale proprietà delle opere d’arte tradi-
zionali. Una proprietà di cui Benjamin coglie e descrive il declino, La polarità attiva nella mimesis è quella che costituisce i due lati
l’immiserimento. L’acutezza non liquidatoria della diagnosi benja- essenziali dell’arte: «apparenza e gioco». Nella mimesis queste due
miniana invita, però, a rilevare come vi sia un coappartenersi, che dimensioni stanno ripiegate l’una nell’altra come cotiledoni. Ma, svi-
certo può conoscere anche il destino del divaricarsi34 di apparenza luppandosi, la mimesis si mostra come origine non solo dell’attività
auratica e di risposta mimetica. Disponendosi in una tradizione di artistica in queste due forme che la definiscono, piuttosto anche della
pensiero che comincia con il Kant della terza Critica e prosegue con tecnica nei due diversi modi di intenderla e impiegarla (la «prima»
lo Schiller delle Lettere sull’educazione estetica, Benjamin intende e la «seconda» tecnica). In questa complessa relazione tra mimesis,
perfettamente (fin dalle giovanili riflessioni sulla percezione come arte in senso estetico e tecnica si gioca, per Benjamin, la storica e
«lettura») il carattere riflesso della percezione estetica35 nei termini drammatica partita tra estetizzazione della politica e politicizzazione
di un gioco che si presenta in maniera più complessa del gioco tra le dell’arte. Quest’ultima, se non vuole limitarsi all’impotente immis-
facoltà cognitive al centro dell’Analitica del bello kantiana. In questo sione di nuovi contenuti nell’arte per principio tecnicamente ripro-
gioco, immanente alla risposta estetica originata dall’impatto per- ducibile o abbandonarsi all’illusione che la forma filmica possa estin-
cettivo (non estraneo allo choc incorporato dalla forma filmica), è guere l’apparenza per fare posto unicamente a uno spazio di gioco
infatti incluso l’oggetto (in una prestazione immaginativa di natura critico-politico, non può che decidersi nell’incrocio problematico che
proto-finzionale) la cui immagine è per così dire riprodotta. Di con- connette la percezione alla mimesis e l’apparenza al gioco. Un incro-
seguenza, la percezione nella risposta estetica assume già la natura cio problematico questo, propriamente e letteralmente estetico. La
espressiva di un gioco mimetico. politicizzazione dell’arte implica, perciò, la costruzione di quello che
Senza quest’ultima osservazione (in qualche modo implicita nella Kant chiama sensus communis aestheticus, perfettamente consape-
riflessione benjaminiana quale si sviluppa nel complesso testuale del vole del suo valore politico ed emancipativo (come riconoscerà una
saggio sull’opera d’arte, ma non assente in diversi altri testi), non si buona amica di Benjamin come Hannah Arendt).
capirebbe l’importanza della tesi sostenuta da Benjamin nella lunga
nota al paragrafo XI della terza versione. La tesi riguarda appunto la
mimesis come «fenomeno originario di ogni attività artistica»: 7. «Bene comune», comunità dell’aisthesis, aura ex machina

Anche per questi ultimi motivi il carattere programmatico che


33Benjamin, Kunstwerk, p. 120; tr. it. cit., p. 70. Sono le parole contenute nella im- caratterizza la riflessione benjaminiana sull’arte nell’epoca della
portantissima nota dedicata alla mimesis che compare solo nella versione più ampia del sua riproducibilità tecnica si dispone con coerenza nella tradizione
saggio (terza versione).
34 Vedi per questo la tesi sostenuta in F. Desideri, Il fantasma dell’opera. Benjamin, dell’Aufklärung. La programmaticità riguarda qui, anzitutto, l’op-
Adorno e le aporie dell’arte contemporanea, cit., relativa alla fenomenologia dell’arte con- portunità di stabilire un rapporto politicamente fecondo, anche
temporanea, intesa nei termini di una lacerazione dell’aura negli estremi della prossimità sotto il profilo cognitivo, tra l’istanza della riproduzione mimetica
e della distanza.
35 Per questo rimando a Id., La percezione riflessa. Estetica e filosofia della mente,

Raffaello Cortina, Milano 2011. 36 Benjamin, Kunstwerk, p. 120; tr. it. cit., pp. 70-71.
34 fabrizio desideri dottrina della percezione e crisi della democrazia 35

incorporata nel tessuto originario dell’esperienza e il principio di ri- sua esposizione nella parola costituisce una parte del saper fare necessaria al
producibilità incorporato nei dispositivi tecnici. Di questo rapporto, suo esercizio. La competenza letteraria non si fonda più sulla formazione spe-
cializzata, ma su quella politecnica, e diviene così bene comune39.
fotografia e cinema rappresentano l’occasione propizia per testare le
capacità umane di opporsi a un destino di assoggettamento. Questa
occasione, il momento da afferrare, passa attraverso una «formazio- In conclusione e ancora una volta, il «bene comune» non può che
ne politecnica» che favorisca una sinergia cognitiva con i diversi sa- prepararsi in quella comunità del percepire, in quella koinè aisthesis
peri (anche a questo proposito la virtuale opposizione benjaminiana che Benjamin identifica come una innervazione del collettivo. A mu-
alle tesi di Heidegger sull’origine dell’opera d’arte è nettissima). Ad tare, nella prospettiva di questa dimensione non privatistica dell’ai-
esempio, nei termini suggeriti da un passo di Ramuz che Benjamin sthesis40, è l’immagine stessa della bellezza. Una bellezza, quella del
cita con approvazione: film ad esempio, che Benjamin in un appunto destinato alla prosecu-
zione del saggio sull’opera d’arte, chiama «non auratica». Una bellez-
Attualmente assistiamo a un processo affascinante. Le diverse scienze, che za – scrive ancora – che «sta in comunicazione con la scienza»41. Dal
sino ad ora hanno lavorato ognuna per sé e nel proprio ambito, iniziano a con- momento però che anche la bellezza dell’opera d’arte tradizionale di
vergere in merito al proprio oggetto e a unificarsi in una sola scienza: chimica, un Leonardo e di un Dürer stava essenzialmente in comunicazione
fisica e meccanica si intrecciano. È come se oggi osservassimo come testimoni con la scienza, forse sarebbe più giusto dire che si tratta della bellezza
oculari il completamento, enormemente accelerato, di un puzzle, nel quale la di un’aura ex machina42, un’aura che ha passato il test del principio
sistemazione dei primi pezzi ha richiesto molti millenni, mentre gli ultimi, per
via del loro contorno, sono sul punto, con meraviglia dei presenti, di comba-
di riproducibilità. Resta in ogni caso vero, per citare ancora la Notiz
ciare l’un con l’altro come da sé37. di Benjamin, che «se bellezza è la promessa della felicità, allora esso
[il film] rappresenta quell’unica promessa che ancora a noi, a noi sol-
In tal senso la riflessione benjaminiana sul destino dell’arte si ri- tanto fu data nei tempi della più inesorabile lotta di classe»43.
connette alla più generale tesi sviluppata in L’autore come produtto-
re. A conferma del tenore illuministico del suo programma politico,
al diritto di ogni uomo di essere filmato corrisponde il diritto di ogni
uomo a prendere la parola:

[…] oggi non c’è un europeo inserito nel processo lavorativo che, in linea di
massima, non possa da qualche parte trovare l’opportunità per la pubblicazio-
ne di un’esperienza lavorativa, di un reclamo, di un reportage o cose simili38.

Anche questo fatto fa vacillare la tradizionale distinzione tra au-


tore e pubblico:

Il lettore è ognora pronto a divenire uno scrittore. In quanto esperto, quale


è bene o male dovuto divenire all’interno di un processo lavorativo estrema-
mente specializzato – fosse anche esperto di una mansione insignificante –, egli
39 Ibid.
conquista un accesso all’essere autore. Il lavoro stesso prende la parola. E la 40 A tale riguardo si veda anche l’importante libro di Jacques Rancière, Aisthesis.
Scènes du régime esthétique de l’art, Galilée, Paris 2011.
37 Charles Ferdinand Ramuz, Paysan, Nature, in «Mesures», 4 (ottobre 1935), cit. in 41 Benjamin, Kunstwerk, Manuskripte und Notizen zur Fortsetzung, p. 307.

Benjamin, Kunstwerk, p. 121; tr. it. cit., p. 71. 42 Vedi per questo F. Desideri, Aura ex machina, cit.
38 Ivi, p. 125; tr. it. cit., p. 75. 43 Benjamin, Kunstwerk, Manuskripte und Notizen zur Fortsetzung, p. 307.
Repetita: rito versus gioco
Marina Montanelli

Una fitta trama di tensioni concettuali, un complesso ordito in cui


ogni categoria si fa campo di forze, innervazione patente di polarità
tra loro contrapposte, questa l’istantanea che si impone in prima battuta
allo sguardo che tenti di cogliere il grande laboratorio del Kunstwerkauf-
satz nel suo insieme1 – nelle sue differenti stesure e vicissitudini edito-
riali, nell’enorme mole di appunti preparatori, note e materiali per una
possibile prosecuzione del lavoro, che oggi sono a nostra disposizione.
Da questo punto di vista spicca in primo piano la Dritte Fassung del
saggio – secondo la numerazione della nuova edizione critica dei Wer-
ke und Nachlaß: decisamente la più ricca e complessa sotto il profilo
teorico-filosofico, essa presenta per la prima volta «una quadruplice
polarità» concettuale2, che tornerà solo parzialmente nella traduzione
francese del testo a cura di Pierre Klossowski (Vierte Fassung). Insie-
me alle due più note e presenti in tutte le stesure – quella tra «valore
cultuale» e «valore espositivo» e tra «estetizzazione della politica» e
«politicizzazione dell’arte» – fanno qui la loro comparsa, infatti, an-
che altre due polarità: tra «apparenza (Schein)» e «gioco (Spiel)» e tra
«prima» e «seconda tecnica»3. L’ipotesi di lettura che vorrei avanzare

1 Burkhardt Lindner ha parlato a tal proposito di un vero e proprio pensiero per

polarità («Denken in Polaritäten»), là dove tutte le categorie centrali del testo sull’Opera
d’arte «costruiscono per così dire delle ellissi con due punti focali (poli)» (cfr. Burkhardt
Lindner, «Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit», in Id. (a
cura di), Benjamin-Handbuch. Leben-Werk-Wirkung, con la collaborazione di T. Küpper e
T. Skrandies, J. B. Metzler Verlag, Stuttgart 2011, pp. 229-251: 247-249). Anche Fabrizio
Desideri ha molto insistito su questo elemento nel suo I Modern Times di Benjamin, in tr.
Baldi-Desideri, Opera d’arte, pp. VII-XLV: XXXIV. Cfr. anche Id., Dottrina della percezio-
ne e crisi della democrazia, supra, pp. 14-22.
2 Id., I Modern Times di Benjamin, cit., p. XXXIV.
3 Nella Vierte Fassung verrà mantenuta la polarità tra prima e seconda tecnica e sarà

invece riportata solo parzialmente quella tra gioco e apparenza: meglio, questa polarità
38 marina montanelli repetita: rito versus gioco 39

in questa sede prende le mosse proprio dalla polarità, che può definirsi composita, che Benjamin, in maniera allusiva, lascia risuonare nel-
anche «orizzontale» o sincronica4, tra gioco e apparenza: vale a dire da la Dritte Fassung, allora non sembra azzardato intravedere dietro la
quella tensione sempre interna e immanente a ogni opera, costitutiva e categoria di Spielraum quella, cruciale, di gioco e, forzando un po’
fondante il concetto stesso di opera – la sua struttura –, anche quando la traduzione, parlare appunto di spazi di gioco9 e rileggere il saggio
quest’ultima viene meno. La convinzione di fondo che ispira tale tenta- muovendo da qui10.
tivo è che sia questa polarità a fornire la chiave di volta per analizzare e Apparenza e gioco dunque o, se si vuole, se si assume fino in fon-
afferrare l’emersione e l’intreccio di tutte le altre; di più, che sia questa do il radicamento intimo del polo dello Schein nella sfera cultuale,
polarità a delineare le coordinate fondamentali a partire dalle quali rito e gioco: come categorie paradigmatiche, come due esemplarità
diviene possibile comprendere cosa sia quel «futuro stato del mondo che, pur essendo intrinsecamente connesse tra loro, indicano due
liberato dalla magia» di cui Benjamin parla in una lettera del 1935 a posture differenti nei confronti dell’ente nel suo insieme, prima an-
Werner Kraft5. In particolar modo proverò a offrire un approfondi- cora che nell’ambito della produzione artistica. Come due fenomeni
mento della nozione benjaminiana di gioco, allontanandomi, in parte, costitutivi dell’umano, in quanto hanno entrambe a che fare con
dal saggio sull’Opera d’arte, ossia facendo riferimento anche a quella l’esigenza dell’uomo di orientamento e protezione, con l’istituzione
costellazione di testi, articoli e recensioni che tematizzano il problema di ciò che chiamiamo mondo. E però il prevalere di un polo invece
del gioco infantile e del giocattolo. Non è una forzatura infatti ritene- di un altro porta con sé risposte antitetiche a una simile esigenza, un
re che quando Benjamin, nella Dritte Fassung, fonda all’interno della rapporto con la natura e con il tempo, una messa in forma del mon-
mimesis quale «fenomeno originario di ogni attività artistica»6 la ten- do, diversi. Il prevalere di un polo o di un altro, infatti, implica due
sione tra i due poli di apparenza e gioco abbia in mente, in realtà, «lo forme di ripetizione, e quindi due andamenti temporali, differen-
spettro» concettuale «complessivo» dell’elemento ludico7. Spettro che, ti: tempo mitico e ciclico dell’eterno ritorno del medesimo nel caso
del resto, in tutte le sue sfaccettature, non ha mai smesso di attirare del rito, ripetizione costruttiva, che racchiude in sé la possibilità del
l’attenzione e la riflessione di Benjamin. Sebbene quindi il concetto nuovo, nel caso del gioco.
di gioco appaia in forma esplicita soltanto nella terza e nella quarta
stesura del Kunstwerkaufsatz, l’ipotesi che qui si propone è che esso
sia decisivo per cogliere fino in fondo il significato dei nuovi margini
d’azione – Spiel-Räume appunto – che la riproducibilità tecnica inau-
gura e dischiude. Spielraum è infatti parola fondamentale che ricorre
in tutte le stesure8. E se si presta ascolto all’eco della sua articolazione to consueto e corrente del termine, con «champ d’action», ossia campo d’azione, margine
di libertà appunto: cfr. ivi, Vierte Fassung, pp. 174, 189, 192.
9 Cfr. ivi, Dritte Fassung, nota 1, pp. 119-121: 121. Scrive Benjamin dopo aver in-

in quanto tale, esplicitata e argomentata nella Dritte Fassung nella nota finale del § XI, trodotto la polarità di apparenza e gioco: «[...] Was mit der Verkümmerung des Scheins,
viene meno nella traduzione francese (la nota intera viene eliminata), per esser mantenuto dem Verfall der Aura in den Werken der Kunst einhergeht, ist ein ungeheurer Gewinn an
invece, nel § VI, il riferimento al solo concetto di gioco e al rapporto fondamentale tra Spiel-Raum»; tr. it. cit., p. 71: «[...] ciò che si accompagna al deperimento dell’apparenza,
quest’ultimo e seconda tecnica. Cfr. Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, § VI, pp. 105- al decadimento dell’aura nelle opere dell’arte, è un enorme guadagno quanto a spazio di
109, § XI, nota 1, pp. 119-121; Vierte Fassung, § VI, pp. 173-174, § XI, p. 183. gioco» [in entrambi i casi mio il corsivo]. L’inserimento del trattino tra Spiel e Raum sta
4 F. Desideri, I Modern Times di Benjamin, cit., p. XXXIV. a indicare uno scavo e una riflessione che Benjamin compie all’interno della parola al fine
5 A Werner Kraft, il 28. 10. 1935, GB V (1999), p. 193. di evidenziare, letteralmente, l’elemento ludico che innerva e definisce in maniera essen-
6 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 120; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 70. ziale i campi d’azione, gli enormi margini di libertà conquistati dalla riproduzione tecnica.
7 Di questo avviso è stato per esempio Burkhardt Lindner (cfr. B. Lindner, «Das Kunst- Nella resa in italiano questa sfumatura decisiva va persa, a maggior ragione se si traduce
werk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit», cit., pp. 248-249: 249). Spielraum, differentemente dal suo significato corrente, con «spazio di gioco» senza segna-
8 Cfr. Benjamin, Kunstwerk, Erste Fassung, pp. 37-38; Zweite Fassung, pp. 83-84; lare e problematizzare tale forzatura nella traduzione.
Dritte Fassung, pp. 109, 121, 130, 133; Fünfte Fassung, p. 240; per quanto riguarda la 10 È stato in parte questo il tentativo di Miriam Bratu Hansen col suo Room-for-Play:

versione francese, Spielraum viene tradotto da Klossowski e Benjamin, secondo il significa- Benjamin’s Gamble with Cinema, in «October», 109 (2004), pp. 3-45.
40 marina montanelli repetita: rito versus gioco 41

1. Nel saggio sull’Opera d’arte la definizione di cos’è aura si in- all’interno del «tessuto connettivo e trasmissivo della tradizione»14.
treccia anche con quello che Benjamin chiama «fondamento cultuale A ben guardare si potrebbe affermare che le connotazioni tratte
(kultisches Fundament)» dell’arte11, quindi con la dimensione sacrale dall’ambito cultuale siano molto più essenziali all’opera d’arte tra-
e con la tradizione che ogni rito, religioso o profano che sia, istituisce dizionale rispetto a quelle maggiormente note; meglio, a ben guar-
e si preoccupa di continuare a trasmettere nel tempo. L’hic et nunc di dare queste ultime, sebbene siano generate dalle prime, sembrano
un’opera – quel «singolare» e unico «intreccio di spazio e tempo»12 entrare in contraddizione con un aspetto proprio della dimensione
– trova dunque il suo luogo d’origine all’interno dell’orizzonte di una rituale: caratteristica del rito infatti è quella di istituire e rinnovare
tradizione, di più, la «singolarità» dell’opera è «identica», coincide – ogni volta da capo un tipo di temporalità circolare – il rito si pro-
afferma in modo inequivocabile Benjamin – con la sua collocazione pone di ripetere il ciclo. Il fondamento cultuale dell’arte palesa così
dentro questo orizzonte. Così prosegue: un carattere paradossale: se da un lato l’opera, l’aura, viene descritta
come ciò che ha i tratti dell’unicità, dell’irripetibilità, dell’«una volta
Il modo originario di collocazione dell’opera d’arte nel contesto della tra- per tutte (das Ein für allemal)»15, là dove non è ancora entrata nel
dizione trova la propria espressione nel culto. Le più antiche opere d’arte […] meccanismo della riproduzione seriale, dall’altro lato essa è inserita
sono sorte al servizio di un rituale, dapprima […] magico, poi […] religioso.
all’interno del tempo ciclico, ripetitivo del rito; «apparizione unica di
È ora di un’importanza decisiva il fatto che questo modo d’esistere auratico
dell’opera d’arte non si svincoli mai completamente dalla sua funzione rituale. una lontananza»16, manifestazione singolare dell’irripetibile, l’aura,
In altre parole: il valore singolare dell’«autentica» opera d’arte ha sempre la permanendo, ri-appare sempre di nuovo con la funzione di istituire
propria fondazione nel rituale. Tale fondazione può essere mediata quanto si e legittimare questa circolarità. L’opera d’arte auratica resta quindi
vuole, tuttavia essa è riconoscibile come rituale secolarizzato anche nelle forme indissolubilmente legata al tempo mitico, parassitario, dell’eterno ri-
più profane di culto della bellezza13. torno del medesimo, a quella figurazione, per parafrasare il saggio
giovanile Schicksal und Charakter, che raggela la stessa temporalità
L’esperienza auratica dell’arte è quindi inscritta in maniera es- entro il ciclo della ripetizione dell’identico17.
senziale entro questa cornice: rito, culto, dimensione sacrale, magia, È quindi ciò che Benjamin ha definito anche nei termini di un
sono le parole (insieme a quelle più note di unicità, originalità, au- «gioco d’ombre mitico (mytisches Schattenspiel)»18 a istituire un pre-
tenticità, irripetibilità) che definiscono la costellazione concettuale ciso e determinato rapporto con la natura, quel rapporto che, nella
dell’aura. L’opera d’arte in cui predomina il polo dell’apparenza non terza stesura del saggio sull’Opera d’arte, viene sintetizzato anche
solo è inserita nel contesto della tradizione, ma ha un ruolo fonda- sotto il concetto di «prima tecnica (erste Technik)». Caratteristica di
mentale nella trasmissione di essa. In ciò consiste la sua funzione quest’ultima è quella di mirare a una forma di «dominio sulla natu-
sociale, il suo fondamento è rituale in quanto rientra originariamente ra (Naturbeherrschung)»: in società in cui la «tecnica esiste soltanto
nella strumentazione propria del rito, è parte di quella molteplicità di fusa col rituale»19, suo scopo primario è quello di domare le forze
pratiche che, oltre a fondare la comunità, con i suoi modelli di com- naturali, nella misura in cui queste vengono avvertite, per usare le
portamento, le sue istituzioni e i suoi sistemi simbolici, garantiscono
a questi una continuità nel tempo, una permanenza. Il rito infatti è 14 Cfr. F. Desideri, Aura ex machina, in «Rivista di estetica», 52 (1/2013), LIII, pp.
anche ciò grazie a cui il passato, la tradizione, continua ad articolarsi 33-52: 39.
nel presente. D’altra parte all’opera viene conferito il suo carattere 15 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 108; tr. it. cit., p. 58.

di unicità e autenticità soltanto a partire dalla sua specifica posizione 16 Ivi, p. 102; tr. it. cit., p. 52.
17 Cfr. Id., Schicksal und Charakter, in GS II (1977), 1, pp. 171-179: 176; tr. it. di R.

Solmi, Destino e carattere, in OC I (2008), pp. 452-458: 456.


11 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 112; tr. it. cit., p. 62. 18 Id., Goethes Wahlverwandtschaften, in GS I (1974), 1, pp. 123-201: 140; tr. it. di R.
12 Ivi, p. 102; tr. it. cit., p. 52. Solmi, Le affinità elettive di Goethe, in OC I, pp. 523-589: 536 [tr. mod.].
13 Ivi, p. 103; tr. it. cit., pp. 53-54. 19 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 108; tr. it. cit., p. 58.
42 marina montanelli repetita: rito versus gioco 43

parole di Ernesto De Martino, come una minaccia per la propria smarriscono l’hic et nunc della loro origine24. Al di là dell’ambito
«presenza», per il proprio «esserci nel mondo»20. Si potrebbe dire propriamente artistico, quindi, la riproducibilità tecnica segna com-
che la prima tecnica opera delle forme di esorcismo nei confronti plessivamente una cesura all’interno del tramandato, uno strappo
della natura. Non casualmente Benjamin, in questo stesso paragrafo, nel processo di trasmissione, da cui la «crisi» dell’umanità; con ciò
dopo aver presentato la tensione tra valore cultuale e valore esposi- sembra alludere però anche alla possibilità di un’interruzione del rito
tivo come quella tensione sempre in atto nell’opera, a tal punto da e, con esso, della temporalità mitica, da cui la possibilità di «rinno-
delineare tutta la storia dell’arte nei termini di un continuo «con- vamento dell’umanità». «Declino» e «chance» nello stesso tempo,
fronto» tra queste due polarità, ricorda che la «produzione artistica «effetto» ineluttabile e «opportunità» epocale di trasformazione25, il
inizia con creazioni che sono al servizio della magia»: «l’alce che venir meno dell’aura si presenta come un fenomeno intimamente am-
l’uomo dell’età della pietra ritrae sulle pareti della sua caverna è uno biguo, il cui raggio d’azione si estende ben oltre la sfera dell’arte: il
strumento magico». Quello che fa l’arte preistorica è di fissare, «al salto di paradigma percettivo coinvolge infatti l’insieme dei rapporti
servizio della magia, certe notazioni che servono alla prassi»21, una fondamentali dell’uomo con la natura, con la tecnica, con la storia.
prassi volta al dominio rassicurante della natura. La discontinuità della riproducibilità tecnica coincide cioè con una
Con l’avvento della riproducibilità tecnica avviene un rovescia- vera e propria discontinuità antropologica, ha a che fare con quel fe-
mento radicale del fondamento cultuale dell’opera d’arte. Afferma nomeno che Benjamin ha chiamato anche «povertà di esperienza»26.
Benjamin: «l’intera funzione sociale dell’arte si è capovolta», «per la Compito dell’indagine materialista sarà allora di «mostrare i rivol-
prima volta nella storia mondiale, la riproducibilità tecnica dell’ope- gimenti sociali» che hanno trovato «la loro espressione in queste
ra d’arte emancipa quest’ultima dalla sua esistenza parassitaria nel trasformazioni della percezione», di analizzare le «condizioni» che
rituale»22. Non solo, il venir meno dell’aura è indice di qualcosa di hanno portato alla situazione qui racchiusa nell’immagine eloquente
più ampio, è un «processo sintomatico», il cui «significato rinvia ben del «decadimento dell’aura (Verfall der Aura)»27.
oltre l’ambito dell’arte»: Ma procediamo con ordine. Quel che accade quindi, dal punto di
vista diacronico e storico sul piano dell’opera d’arte, nel momento in
La tecnica di riproduzione […] stacca il riprodotto dall’ambito della tradi- cui il riprodotto si svincola dall’ambito della tradizione, è un preva-
zione. Moltiplicando la riproduzione, mette al posto della sua presenza unica, lere del valore espositivo rispetto a quello cultuale tale da stravolgere
la sua presenza massiva. E permettendo alla riproduzione di venire incontro al
la funzione, la natura stessa dell’opera. Un vero e proprio salto qua-
ricettore nella sua specifica situazione, essa attualizza il riprodotto. Entrambi
questi processi portano a un violento sconvolgimento del tramandato – a uno litativo appunto:
sconvolgimento della tradizione che è il rovescio dell’attuale crisi e dell’attuale
rinnovamento dell’umanità23. Con i diversi metodi di riproduzione tecnica dell’opera d’arte, la sua esponibilità
è cresciuta in una misura così poderosa che lo spostamento quantitativo tra i suoi
due poli si capovolge […] in una trasformazione qualitativa della sua natura28.
Il nesso tra attualità del riprodotto e tradizione esplode dall’in-
terno: subisce una ridefinizione tale per cui le opere, nel momen-
Parallelamente, sul piano sincronico, all’interno dell’Urphäno-
to in cui si espongono a un’«ubiqua e non lineare attualizzazione»,
men di ogni esperienza estetica, vale a dire entro la duplicazione mi-

20 Cfr. Ernesto De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, 24 F. Desideri, Aura ex machina, cit., p. 39.
Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 222 e Id., Storia e metastoria. I fondamenti di una 25 Cfr. ibid.
teoria del sacro, Argo, Lecce 1995, p. 110. 26 Cfr. W. Benjamin, Erfahrung und Armut, in GS II, 1, pp. 213-219: 215; tr. it. di F.
21 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 105-106, 107; tr. it. cit., pp. 55-56, 57. Desideri, Esperienza e povertà, in OC V (2003), pp. 539-544: 540.
22 Ivi, p. 104; tr. it. cit., pp. 55, 54. 27 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 102; tr. it. cit., p. 52.
23 Ivi, pp. 100-101; tr. it. cit., p. 50. 28 Ivi, p. 107; tr. it. cit., p. 57.
44 marina montanelli repetita: rito versus gioco 45

metica, avviene uno spostamento di baricentro della stessa intensità prendere in prestito le parole di Erfahrung und Armut – e una barba-
verso il polo del gioco rispetto a quello dell’apparenza. Questo porta rica, nuova, quella del «nudo uomo del nostro tempo», del povero di
con sé un altro tipo di postura nei confronti della natura e, quindi, esperienza31. Non il tentativo di dominio, piuttosto «un gioco armo-
una differente disposizione nei confronti della tecnica, tale da neces- nico (ein Zusammenspiel)» – «appassionato» si potrebbe aggiungere
sitare una distinzione nominale rispetto a quella propria della pratica – «tra la natura e l’umanità» caratterizza la seconda tecnica32. Di
rituale: si tratta di ciò che Benjamin chiama «seconda tecnica (zweite più, nel gioco – effettivo luogo di «origine» di quest’ultima – avvie-
Technik)». Si legge nell’importantissima nota del § XI presente solo ne, «per la prima volta e con inconsapevole astuzia», una presa di
nella Dritte Fassung del saggio: distanza dalla natura33. Dalla natura propria del rito, intesa e perce-
pita nella sua immediatezza ed estraneità, come pericolo da domare
Nella mimesis sono sopiti, ripiegati l’uno nell’altro come cotiledoni, en- e addomesticare, dalla natura pensata in termini dicotomici rispetto
trambi i lati dell’arte: apparenza e gioco. Per questa polarità il dialettico può all’uomo, alla storia, all’artefatto tecnico.
mostrare interesse solo se svolge un ruolo storico. Come avviene proprio in
Si sarebbe tentati di affermare che con il gioco avvenga il pas-
questo caso. E questo ruolo è appunto determinato dal contrasto storico mon-
diale tra la prima e la seconda tecnica. L’apparenza, infatti, è lo schema più saggio dalla dimensione naturale a quella storica; in realtà, al di là
affilato, e con ciò più resistente, di tutti i procedimenti magici della prima tec- del fatto che sono la storia stessa e le condizioni sociali a influire
nica, e il gioco è la riserva inesauribile di tutti i procedimenti sperimentali della in maniera determinante, all’interno dell’opera d’arte, sullo sposta-
seconda. […] Il che significa: ciò che si accompagna al deperimento dell’ap- mento di baricentro dal polo dell’apparenza a quello del gioco, il
parenza, al decadimento dell’aura nelle opere d’arte, è un enorme guadagno punto dirimente qui non è il distacco dalla natura tout court, ma
quanto a spazio di gioco (Spiel-Raum)29.
l’abbandono di una precisa modalità di relazione con essa. Si tratta
Si ha qui a che fare, dunque, con una tensione più complessiva-
mente intrinseca e immanente all’umano, in cui il prevalere radica- (cfr. ivi, Erste Fassung, pp. 28, 37; Zweite Fassung, pp. 79, 83; Dritte Fassung, pp. 127,
131; Vierte Fassung, pp. 186, 190; Fünfte Fassung, pp. 235, 240). Tra i manoscritti per
le, da un punto di vista quantitativo, di un polo rispetto a un altro la Dritte Fassung si trova inoltre un appunto sul «concetto di seconda natura» dove si
conduce, nel corso della storia, a una vera e propria «trasformazio- legge che questa «è sempre esistita, in precedenza però non era differenziata dalla prima
ne qualitativa» del rapporto tra uomo e natura e, di conseguenza, ed è diventata seconda nella misura in cui la prima si è formata in seno a essa». Anche qui
dell’uomo stesso così come della natura: a una prima e seconda tec- quindi si ha a che fare con una polarità tutta interna al concetto stesso di natura. Nessuna
rigida dicotomia, piuttosto un polo risulta, fuoriesce dall’altro: poco più avanti Benjamin
nica corrispondono infatti anche una «prima» e «seconda natura» afferma, letteralmente, che è stata la prima natura, «un tempo» a far «emergere da sé (aus
(erste und zweite Natur)30, un’«immagine umana tradizionale» – per sich hervorgehen liess)» la seconda (ivi, Manuskripte zur Dritten Fassung, p. 146).
31 Id., Erfahrung und Armut, GS II, 1, p. 216; tr. it. cit., p. 541.
32 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 108; tr. it. cit., p. 59; nella traduzione francese di
29 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, nota 1, pp. 119-121: 120-121; tr. it. cit., quest’espressione – «jeu “harmonien”» (ivi, Vierte Fassung, pp. 173-174) – risuona, imme-
nota 15, pp. 70-71 [mio il corsivo]. In un appunto per il lavoro su Baudelaire Benjamin, in diato, il riferimento a Fourier e alla sua riflessione sul gioco, sul «lavoro appassionato», sui
assoluta consonanza con questa nota, definisce il fenomeno del decadimento dell’aura nei falansteri, sulla società d’Armonia (cfr. per esempio Charles Fourier, Traité de l’association
termini di uno «stadio di passaggio (ein Durchgangsstadium)», in cui «essa elimina i suoi domestique agricole, Bossange et Cie, Paris/Londres 1922; tr. it. parziale a cura di I. Calvi-
fermenti cultuali per avvicinarsi ad altri non ancora conoscibili»; non casualmente, subito no in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro,
dopo, fa riferimento e rimanda proprio al «passo sul gioco del lavoro sulla riproduzione l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, Einaudi, Torino 1971, pp. 135-290).
(Die auf das Spiel bezügliche Stel[l]e der Reproduktionsarbeit heranziehen)», ossia del È lo stesso Benjamin, del resto, non solo a mettere in evidenza il riferimento, ponendo tra
Kunstwerkaufsatz. Cfr. GS VII (1989), 2, p. 753 (ora tradotto in W. Benjamin, Charles virgolette «harmonien», ma a citare esplicitamente in nota, in entrambe le stesure, Fourier
Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, a cura di G. Agamben, B. (cfr. Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 109; Vierte Fassung, p. 174; tr. it. cit., pp.
Chitussi, C.-C. Härle, Neri Pozza, Vicenza 2012, pp. 556-557: 557). 59, 15). Sul rapporto tra Benjamin e Fourier cfr. anche Wolfgang Asholt, Benjamin und
30 Id., Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 63; in tutte le altre stesure Benjamin parla sem- Fourier, in Klaus Garber, Ludwig Rehm (a cura di), global benjamin, 3 Bände, Wilhelm
pre di «natura di secondo ordine (Natur zweiter Ordnung)» o «di secondo grado (Natur Fink Verlag, München 1999, Band 2, pp. 1032-1044.
zweiten Grades; nature au second degré)» o di «una natura diversa (eine andere Natur)» 33 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 108; tr. it. cit., p. 58.
46 marina montanelli repetita: rito versus gioco 47

dell’abbandono della prima natura, della sua concezione tanto in- be e Kinderliteratur nel suo complesso, questioni pedagogiche sono
genua quanto reazionaria, intrinsecamente fascista: in un appunto l’oggetto di molte recensioni che scrive in questo periodo per più
per la terza stesura del saggio sull’opera d’arte Benjamin individua e riviste, così come di molti testi elaborati per le trasmissioni radiofo-
definisce in maniera netta il nesso essenziale che lega la «prima na- niche a cui comincia a prender parte. È noto come queste riflessioni si
tura» all’ideologia del «Blut und Boden», contro cui è «necessario», inseriscano all’interno di una radicale ricerca antropologica: nessuna
afferma, «far valere la forma ludica della seconda natura (die Spiel- psicologia dell’infanzia quindi, piuttosto una profonda decostruzio-
form der zweiten Natur)»34. La «natura di secondo grado» che viene ne di essa e dei «poli» fondamentali «intorno a cui si raccoglie la pe-
alla luce con la riproducibilità tecnica, quella esito del principio del dagogia borghese»37. Quel che si impone in tutta la sua urgenza è un
montaggio e ben esemplificata dal procedimento filmico, fa saltare «lavoro preparatorio» per una nuova antropologia, «per un’antro-
ogni rigida dicotomia non solo tra prima e seconda tecnica, tra prima pologia marxista» e materialista38 che prenda le mosse non dall’ani-
e seconda natura, ma anche e soprattutto tra natura e storia: essa si ma individuale e astratta del bambino e dallo scandagliamento della
colloca sulla soglia tra naturale e artificiale, nel punto di passaggio stessa, piuttosto dalla «situazione sociale», relazionale e collettiva in
continuo dall’uno all’altro. Come Benjamin scrive già in un famoso cui il bambino è già sempre immerso. Punto di partenza della ricerca
passo di Einbahnstraße: «nella tecnica […] si sta organizzando una benjaminiana è, in altri termini, la convinzione che nel più generale
physis nella quale il […] contatto col cosmo avverrà in forma nuova «impulso al gioco (Drang zum Spielen)» ne vada di qualcosa di deci-
e diversa». Una forma, un tipo di esperienza che non sarà più legata sivo non solo per la comprensione del cosiddetto «mondo infantile»,
«a quel minuscolo frammento del mondo naturale che noi siamo abi- ma anche e soprattutto dell’uomo nel suo complesso39. Infatti, affer-
tuati a chiamare “natura”»35. Questo dal punto di vista filogenetico
e storico. Da un punto di vista ontogenetico, la «natura di secondo
Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M. 1975; tr. it. di E. Castellani e C. A. Bonadies, Walter
grado» emerge già nel gioco, in particolar modo nel gioco infantile, Benjamin. Storia di un’amicizia, Adelphi, Milano 1992, pp. 111-112; cfr. anche Howard
tanto che si potrebbe definire il principio del montaggio, prima anco- Eiland, Michael W. Jennings, Walter Benjamin. A Critical Life, Belknap Press of Harvard
ra che un principio tecnico praticamente realizzato per la prima volta University Press, Cambridge-London 2014, pp. 103, 206).
37 Cfr. W. Benjamin, Eine kommunistische Pädagogik, in WN 13 (2011), 1, a cura
nel cinema, un vero e proprio tratto antropologico.
di Heinrich Kaulen, pp. 225-228: 225; tr. it. di G. Carchia, Una pedagogia comunista, in
OC III (2010), pp. 452-454: 452. Si tratta di una recensione al libro di Edwin Hoernle,
Grundfragen der proletarischen Erziehung, Verlag der Jugendinternationale, Berlin 1929,
2. A partire dalla metà degli anni Venti, in coincidenza col suo pubblicata per la prima volta in «Die neue Bücherschau» nel dicembre del 1929.
38 W. Benjamin, Eine kommunistische Pädagogik, WN 13, 1, p. 227; tr. it. cit., p.
incontro col pensiero marxista, Benjamin inizia a fissare per iscritto,
454. Su questo cfr. anche Giulio Schiavoni, Walter Benjamin. Sopravvivere alla cultura,
sebbene in forma assai concisa e frammentaria e spesso mosso in pri- Sellerio, Palermo 1980, pp. 134-135; Id., Zum Kinde, in B. Lindner (a cura di), Benjamin-
mo luogo dalle stringenti necessità economiche, i propri interessi per Handbuch, cit., pp. 373-385: 379-381.
la sfera dell’infanzia36: gioco, giocattoli vecchi e nuovi, sillabari, fia- 39 W. Benjamin, Altes Spielzeug. Zur Spielzeugausstellung des Märkischen Museums,

in GS IV (1972), 1, pp. 511-515: 514; tr. it. di G. Carchia, Antichi giocattoli. A proposito
dell’esposizione di giocattoli del Museo della Marca, in OC III, pp. 25-29: 28 (pubblicata
34 Benjamin, Kunstwerk, Manuskripte zur Dritten Fassung, p. 146. per la prima volta sulla «Frankfurter Zeitung» il 21 marzo del 1928). Risuonano qui le
35 Id., Einbahnstraße, in WN 8 (2009), a cura di D. Schöttker, con la collaborazione di parole di Schiller, il cui nome non casualmente tornerà anche nei manoscritti per la terza
S. Haug, pp. 11-76: 76; tr. it. di B. Cetti Marinoni, Strada a senso unico, in OC II (2001), stesura del saggio sull’Opera d’arte (cfr. Id., Kunstwerk, Handschriftliche Vorlagen zur
pp. 409-463: 462-463. Dritten Fassung, p. 155); si tratta dell’idea secondo cui l’impulso al gioco definisce ciò che
36 Le prime manifestazioni da parte di Benjamin di un interesse e un’attrazione quasi è umano in senso stretto: «l’uomo gioca», si legge nelle Lettere sull’educazione estetica,
«magica» verso il mondo infantile risalgono agli anni della giovinezza: è attorno al 1918, «soltanto quando è uomo nel senso pieno del termine, ed è interamente uomo solo là dove
secondo la testimonianza di Scholem, che inizia infatti la sua collezione di vecchi libri gioca». È importante sottolineare che in Schiller l’«impulso al gioco» è Spiel-Trieb: un vero
per l’infanzia, stimolato anche dall’«entusiasmo» della moglie Dora per questo genere e proprio impulso «naturale» che, cioè, al pari di quello sensibile e di quello intellettuale,
letterario (cfr. Gershom Scholem, Walter Benjamin. Die Geschichte einer Freundschaft, inerisce alla natura umana. Lo Spieltrieb ha in Schiller un ruolo centrale proprio in quanto
48 marina montanelli repetita: rito versus gioco 49

ma Benjamin, non soltanto «i bambini non costituiscono […] una il rito43. Il giocattolo, in questo senso, è la cristallizzazione concreta,
realtà separata», ma anche «il giocattolo non testimonia una partico- l’esemplificazione pura di questo evento: è, infatti, ciò che una volta
lare vita autonoma»40, piuttosto «rappresenta un confronto» con le è appartenuto alla sfera sacra e ora non più, ciò che una volta aveva
«formazioni collettive», con le «generazioni più anziane», con la «ci- una funzione (quella di essere strumento cultuale, ricorda Benjamin)
viltà economica»41; soprattutto ciò che viene sperimentato nel gioco, e ora non più. Giorgio Agamben proprio a partire da questa formula
nei primi «gesti ludici», sono proprio «i ritmi originari» delle forma- dell’«una volta, ora non più» e approfondendo ulteriormente la ri-
zioni vitali, «il passaggio a una fissazione più esatta delle cose»: «non flessione di Benveniste, oltre che le suggestioni benjaminiane, ha in-
pochi dei giocattoli più antichi» – si legge in Spielzeug und Spielen dividuato nel giocattolo l’essenza dello «Storico allo stato puro», in
– «sono stati […] imposti al bambino come strumenti cultuali» e, quanto passaggio dal ritmo ciclico del tempo sacro al tempo profano,
solo poi, sono «diventati giocattoli»42. Già in queste pagine risalenti umano44. Agamben si è però principalmente soffermato sul solo lato
al 1928, quindi, Benjamin mette in luce il nesso intimo, la tensione distruttivo del gioco. A interessarlo maggiormente è stata la capacità
che sussiste, originariamente, tra sfera rituale e sfera ludica: come nel di alterazione, distruzione e interruzione del gioco rispetto all’ambito
gioco resta sempre un residuo di rito, così nel rito esiste e permane mitico-rituale: se infatti il rito «fissa e struttura» il tempo ciclico del
sempre un aspetto ludico. Ma il gioco, pur provenendo dalla sfera calendario, il gioco, al contrario, «lo altera e distrugge»45. Ma se si
rituale, prende congedo da essa attuando una cesura al suo interno: assume fino in fondo la formula dell’«una volta, ora non più» come
esattamente come accade per l’opera d’arte tecnicamente riprodotta, quella formula in cui è condensata l’essenza stessa del gioco e del
col gesto ludico ci si «stacca […] dall’ambito della tradizione» che giocattolo, vale a dire se la intendiamo non solo in termini diacronici
legittima e conferisce senso alla pratica cultuale. Ciò che viene meno, ma anche sincronici, come Agamben stesso, tra l’altro, sembra sug-
per riprendere la bellissima analisi di Émile Benveniste al riguardo, è gerire46, allora, insieme al lato distruttivo, affiora anche un carattere
l’elemento del mito, ovvero l’ordine discorsivo che fonda e giustifica assolutamente costruttivo del gesto ludico. Quella stessa costruttività
in cui va ricercata l’origine del principio del montaggio e della secon-
da tecnica, in cui a emergere non è tanto lo «Storico allo stato puro»,
quanto, piuttosto, uno spazio intermedio che fa saltare ogni rigida e
svolge la funzione di connettere e unificare gli altri due impulsi, circoscrivendo in tal modo
quello spazio intermedio (che è innanzitutto uno spazio estetico) tra materia e forma, ne- ingenua dicotomia tra natura e storia, tra natura e tecnica: a venire
cessità e libertà, natura e storia, in cui viene a costituirsi, appunto, ciò che è propriamente alla luce è la «natura di secondo grado».
umano (cfr. Friedrich Schiller, Über die ästhetische Erziehung des Menschen in einer Reihe Quel che sembra infatti stare soprattutto a cuore a Benjamin è
von Briefen, in Id., Theoretische Schriften, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt a. M. la costruttività intrinseca al gioco infantile. Meglio, quella capacità
1992, pp. 556-676, Brief 15; tr. it. di G. Pinna, L’educazione estetica, Aesthetica, Palermo
2005, Lettera quindicesima, pp. 53-57: 56; su questo cfr. anche F. Desideri, La misura del distruttiva e, al tempo stesso (o forse proprio per questo), trasforma-
sentire. Per una riconfigurazione dell’estetica, Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 185-196: tiva che solo nel giocare dei bambini si esprime in tutta la sua purezza
192-193). e potenza. Si legge in Antichi giocattoli:
40 W. Benjamin, Kulturgeschichte des Spielzeugs, in WN 13, 1, pp. 123-127: 126-127;

tr. it. di G. Carchia, Storia culturale del giocattolo, in OC III, pp. 49-52: 52. Si tratta di
[…] nessun adulto, pedagogo o fabbricante o letterato, sa trasformare i
una recensione al testo di Karl Gröber, Kinderspielzeug aus alter Zeit. Eine Geschichte des
Spielzeugs, Deutscher Kunstverlag, Berlin 1928, pubblicata per la prima volta nel foglio
giocattoli come i bambini stessi giocando. Una volta nascosta, fatta a pezzi,
letterario della «Frankfurter Zeitung» il 13 maggio del 1928.
41 W. Benjamin, Spielzeug und Spielen. Randbemerkungen zu einem Monumentalwerk, 43 Cfr. Émile Benveniste, Le Jeu comme Structure, in «Deucalion», 2 (1947), pp. 161-

in WN 13, 1, pp. 134-139: 135, 137-138; tr. it. di G. Carchia, Giocattolo e gioco. Osserva- 167; tr. it. di G. Bianco, Il gioco come struttura, in «aut aut», 337 (2008), pp. 123-132.
zioni in margine a un’opera monumentale, in OC III, pp. 88-92: 88-89, 90 (seconda recen- 44 Giorgio Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della sto-

sione al libro di Karl Gröber, Kinderspielzeug aus alter Zeit, pubblicata sulla «Literarische ria (1978), Einaudi, Torino 2001, pp. 73-74.
Welt» il 6 giugno del 1928). 45 Ivi, p. 71.
42 Ivi, pp. 138, 135-136; tr. it. cit., pp. 90, 89. 46 Ivi, p. 74.
50 marina montanelli repetita: rito versus gioco 51

riparata, anche la bambola più regale diventa una buona compagna proletaria principio costruttivo: nulla ha a che fare con gli ingenui e psicologici
nella comune dei giochi infantili47. meccanismi di «immedesimazione» nel o «imitazione» del «mondo
degli adulti»; piuttosto una mimesis creativa, costruttiva è l’attività
I bambini, giocando, costruiscono il nuovo, «si creano», ogni primaria del gioco, una mimesis che, «incorporando» le cose e «non
volta da capo, «un loro piccolo mondo su misura»48; con singola- immedesimandosi» in esse, al tempo stesso, le costruisce e fissa51. E
re caparbietà sono attratti da «materie estremamente determinate», però non si tratta di una creatività ingenua, volontaristica, facente
dal «residuo», dai «prodotti di scarto», da tutto ciò che proviene da capo a un soggetto autonomo e sovrano: non sono qui in questione
luoghi di lavoro in cui «si svolge un’attività visibile sulle cose […] si il genio individuale e le «false analogie con la creatività degli artisti
tratti di quello che si forma nel lavoro del muratore, del giardiniere o adulti». Il bambino ancora non ha costruito interamente la propria
del falegname, del sarto o di qualunque altro». soggettività, la propria individualità, soprattutto ancora non c’è in
lui una separazione netta tra sé e il mondo. Le cose vengono espres-
In questi prodotti di scarto essi riconoscono il volto che il mondo delle
se «attraverso sé», ogni volta da capo montate, smontate, distrutte,
cose rivolge a loro e soltanto a loro. Con essi non imitano tanto le opere degli
adulti, quanto piuttosto mettono in rapporto tra loro questi materiali di scarto assemblate, ricostruite e, in tal modo, fissate e conosciute nelle loro
in modi nuovi e imprevedibili. In questo modo i bambini si formano il loro molteplici sfaccettature e identità52. Il carattere infantile è certamente
mondo di cose, un piccolo mondo nel grande49. prossimo al carattere distruttivo: «riduce l’esistente in macerie non
per amor delle macerie ma della via d’uscita che le attraversa»53, per
Nel gioco infantile, nel rapporto che esso instaura con la materia ricavare dalle cose e dalle loro differenti combinazioni «un rappor-
della realtà, si esplica una capacità combinatoria, di assemblaggio, di to reciproco» ogni volta «nuovo, discontinuo»54. L’uso costruttivo,
continua scomposizione, distruzione e ricostruzione degli oggetti e il e non utilitaristico, degli oggetti da parte del bambino, non è lo stes-
giocattolo altro non è che la concrezione di questa disposizione: «al so del genio artistico, «creatore» che «cerca la solitudine», piuttosto,
bambino si presenta nel giocattolo […] lo spirito da cui scaturiscono proprio come «colui che distrugge», il carattere infantile si attornia
i manufatti, l’intero processo di produzione, e non il semplice pro- di «gente, di testimoni della sua attività»55, il suo agire «è sempre
dotto». Ciò che ha «un impatto primigenio sul bambino» è «l’intero
impianto della sua bambola o del suo cagnolino, a seconda di come
lui riesce a immaginarsene il congegno»; questa è l’unica cosa che il 51 Id., Kinderliteratur, in GS VII, 1, pp. 250-257: 257; tr. it. di G. Carchia, Letteratu-

bambino «vuole sapere», perché solo questo «gli crea la relazione ra per l’infanzia, in OC III, pp. 334-340: 340 (conferenza radiofonica annunciata per la
trasmissione del 15 agosto 1929 per la «Südwestdeutscher Rundfunk» e pubblicata solo
vitale con le sue cose»50. L’essenza del gioco infantile è questo stesso
postuma). Nel saggio Sulla facoltà mimetica Benjamin affermerà che «il gioco infantile è
tutto pervaso da condotte mimetiche», che, da un punto di vista «ontogenetico», esso è la
47 W. Benjamin, Altes Spielzeug, GS IV, 1, p. 515; tr. it. cit., p. 29. «scuola» di tale facoltà (cfr. Id., Über das mimetische Vermögen, in GS II, 1, pp. 210-213:
48 Ivi, p. 514; tr. it. cit., p. 28. 210; tr. it. di R. Solmi, Sulla facoltà mimetica, in OC V, pp. 522-524: 522).
49 Id., Alte vergessene Kinderbücher [II], in WN 13, 1, pp. 624-633: 627; tr. it. di G. Schia- 52 Id., G. F. Hartlaub, «Der Genius im Kinde. Ein Versuch über die zeichnerische Anla-

voni, Vecchi libri per l’infanzia [II], in OC II, pp. 50-57: 52. Si tratta della seconda recensione ge des Kindes (2. stark umgearbeitete und erweiterte Auflage)», in WN 13, 1, pp. 228-229:
che Benjamin scrisse al libro di Karl Hobrecker, Alte vergessene Kinderbücher, Mauritius-Ver- 229; tr. it. di G. Carchia, G. F. Hartlaub, Il genio nel bambino. Saggio sull’attitudine del
lag, Berlin 1924, la quale uscì nel dicembre del 1924 sulla «Illustrierte Zeitung». bambino per il disegno, in OC III, p. 449 (recensione pubblicata per la prima volta in «Die
50 W. Benjamin, Russische Spielsachen, in GS IV, 2, pp. 623-625: 623; tr. it. di G. Schia- literarische Welt» il 19 dicembre 1929). Scrive poco più avanti Benjamin: «il bambino non
voni, Giocattoli russi, in OC IV (2002), pp. 5-6: 5. Scritto probabilmente attorno al 1927, si esprime attraverso le cose, ma esprime le cose attraverso sé. Creazione e soggettività non
questo saggio doveva fungere da accompagnamento alla collezione di undici fotografie di hanno ancora festeggiato nel bambino il loro incontro temerario» (ibid.).
giocattoli russi che Benjamin fece realizzare durante il suo soggiorno moscovita (tra 1926 53 Id., Der destruktive Charakter, in GS IV, 1, pp. 396-398: 398; tr. it. di P. Di Segni, Il

e il 1927). Originariamente doveva esser pubblicato sul supplemento della «Frankfurter carattere distruttivo, in OC IV, pp. 521-522: 522.
Zeitung», lo «Illustriertes Blatt», ma alla fine uscì soltanto nel 1930, e in versione ridotta 54 Id., Einbahnstraße, WN 8, p. 19; tr. it. cit., p. 416.

(almeno sei delle undici foto furono tolte), sulla «Südwestdeutsche Rundfunk-Zeitung». 55 Id., Der destruktive Charakter, in GS IV, 1, p. 397; tr. it. cit., p. 521.
52 marina montanelli repetita: rito versus gioco 53

pubblico»56, innervato dalla relazione, dalla dimensione collettiva. I giocattoli rappresentano in tal senso la condensazione concreta
Sempre in rapporto con la sfera sociale, il gesto costruttivo del bam- della prassi ripetitiva che istituisce le abitudini. Per ciascuno alcuni
bino, contemporaneamente, la istituisce, meglio, inaugura la propria di essi sono esattamente quelle «cose che, più di altre, svilupparono
entrata all’interno di essa. in lui abitudini durature», grazie alle quali «si formarono le attitu-
Ma ciò che rende possibile al bambino la costruzione del «proprio dini che contribuirono a determinare la sua esistenza»60. La ripeti-
mondo oggettuale»57 è «la grande legge che regola l’intero mondo zione del gioco infantile non si configura quindi come ripetizione del
dei giochi, al di sopra di tutte le singole regole e ritmi: la legge della sempre-uguale, il suo ritmo non è quello rituale dell’eterno ritorno
ripetizione (das Gesetz der Wiederholung)». del medesimo, piuttosto è un tipo di movimento che prevede al pro-
prio interno interruzioni, contrazioni, clinamen. Le deviazioni che
Sappiamo che essa costituisce l’anima del gioco infantile; che nulla rende si producono corrispondono alla formazione delle abitudini, sono
più felice il bambino dell’«ancora una volta». Qui, nel gioco, l’oscuro impulso cristallizzazioni e trasformazioni dei gesti reiterati nell’attività ludi-
alla ripetizione agisce con una violenza che è appena minore di quella con cui
ca in consuetudini61. Ciò che il gioco del bambino mette in scena
opera l’istinto sessuale nell’amore. E non per nulla Freud ha creduto di scoprir-
vi un Al di là del principio di piacere. […] «Tutto potrebbe essere egregiamente quindi è un rapporto virtuoso tra ripetizione e novum. La replica
accomodato / se le cose potessero essere fatte due volte» – il bambino agisce di uno stesso gesto o di uno stesso racconto non è mai reiterazione
secondo questa sentenza di Goethe. Solo che per lui non si tratta di due volte, dell’identico, ma, sempre, ripetizione dell’unicum: secondo le parole
ma di cento e mille, all’infinito58. di Paolo Virno, per lo sguardo infantile «ciascuna replica ha valore
di prototipo, di pietra miliare, di experimentum crucis»62, secondo
La ripetizione non è una regola tra le altre, tra le tante che arti- quelle dello stesso Benjamin, l’«ancora una volta (noch einmal)» dei
colano i molti giochi infantili, piuttosto è la regola, l’essenza del ge- bambini è «un fare sempre di nuovo (ein Immer-wieder-tun)».
sto ludico. Principio che fonda lo Spielen, essa però, differentemente
dal testo freudiano citato, non si caratterizza come una coazione a Il bambino si crea tutto ex novo, ricomincia ancora una volta da capo.
ripetere negativa, non è determinata da una pulsione di morte, piut- Questa è forse la radice più profonda del doppio significato del tedesco Spie-
tosto ha a che fare con ciò che rende una vita possibile, vale a dire len: la ripetizione della stessa cosa è forse l’elemento comune ai due sensi della
parola. Non è già un «fare come se», ma «un fare sempre di nuovo», la trasfor-
con la costruzione dell’esperienza, di tutte quelle abitudini che sono
mazione dell’esperienza più sconvolgente in un’abitudine, ciò che costituisce
condizione di possibilità di qualsiasi tipo di orientamento all’interno l’essenza del gioco63.
dell’esistenza.
La ripetizione propria del gesto infantile si configura così come
Perché il gioco, e null’altro, è la levatrice di ogni abitudine. Mangiare, dor- «innervazione creativa (schöpferische Innervation)», il «genio del-
mire, vestire, lavare, sono abitudini che devono essere iniettate nel piccolo cor-
po guizzante in forma ludica, secondo il ritmo di brevi versi. L’abitudine nasce
come gioco, e in essa, anche nelle sue forme più rigide, sopravvive fino alla 60 Id., Berliner Kindheit um Neunzehnhundert, in GS IV, 1, pp. 235-304: 267; tr. it. di
fine un piccolo residuo di gioco. Forme pietrificate e ormai irriconoscibili della E. Ganni, Infanzia berlinese intorno al millenovecento, in OC V, pp. 358-407: 387.
nostra prima felicità, del nostro primo orrore – questo sono le abitudini59. 61 Forte è l’assonanza con le parole di Deleuze, quando, in Différence et répétition,

scrive: «L’abitudine sottrae alla ripetizione qualcosa di nuovo: la differenza […]. L’abitudi-
ne nella sua essenza è contrazione, come attesta il linguaggio quando parla di “contrarre”
un’abitudine [...]» (cfr. Gilles Deleuze, Différence et répétition, Presses Universitaires de
56 W. Benjamin, Notizen zum «destruktiven Charakter», in GS IV, 2, pp. 999-1001: France, Paris 1968; tr. it. di G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina,
1000; tr. it. di U. Gandini, Appunti sul «carattere distruttivo», in OC IV, pp. 523-525: 524. Milano 1997, p. 100).
57 Id., Einbahnstraße, WN 8, p. 19; tr. it. cit., p. 416. 62 Paolo Virno, L’idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita (1994), Quodlibet,
58 Id., Spielzeug und Spielen, WN 13, 1, pp. 138-139; tr. it. cit., p. 91. Macerata 2015, p. 92.
59 Ivi, p. 139; tr. it. cit., p. 92. 63 W. Benjamin, Spielzeug und Spielen, WN 13, 1, p. 139; tr. it. cit., p. 92.
54 marina montanelli repetita: rito versus gioco 55

la variante (das Genie der Variante)»64 modifica continuamente il «insegnano gli imperialisti», ma «dominio del rapporto tra natura
suo ritmo. La «capacità» primaria di cui dispongono i bambini nel e umanità»68.
medium del gioco è quella di «rinnovare», ogni volta da capo, «l’e- L’infanzia è la prima apertura dello «spazio di gioco […] alleato
sistenza», nella ripetizione «centuplice» di uno stesso gesto ludico si della seconda tecnica»69. Spazio che ha a che fare appunto con «l’e-
insinua tale facoltà di «rinnovamento (Erneuerung)» come «pratica sperimento», con «l’instancabile variazione della disposizione spe-
(Praxis)» eterna e «disinvolta»65. rimentale». «Das Einmal ist keinmal», l’una volta è nessuna volta,
è parola tanto del gioco infantile quanto della seconda tecnica70. In
entrambe i casi l’«ancora una volta» è un «fare sempre di nuovo».
3. Questo excursus sul gioco infantile muove da una profonda Benjamin intuisce che sia nel gioco del bambino sia nella serialità
convinzione: quella secondo cui, per Benjamin, soltanto una radi- su grande scala della riproduzione tecnica agisce, o perlomeno può
cale rifondazione dell’antropologia può far balenare chance poli- agire, una ripetizione differente da quella del tempo mitico e del rito.
tico-rivoluzionarie, non solo per l’arte, ma tout court. Il gioco e il L’«una volta per tutte» del fondamento cultuale dell’arte (e della
giocattolo ci dicono che il primo montatore, prima ancora dell’ar- prima tecnica), il «valore di eternità»71 e unicità si rivelano essere
tista politico e dello storico materialista, è il bambino. Nella capa- così vacui, se non fittizi: cristallizzazione auratica di una coazione
cità eterna e «disinvolta» dei bambini di distruggere, scomporre, a ripetere che, in realtà, re-instaura ogni volta l’identico. È la stessa
assemblare, combinare, ricostruire, viene già alla luce la seconda ripetizione che definisce e regola la «fantasmagoria delle merci»: i
tecnica e, con essa, la natura di secondo grado esito del principio modi di produzione capitalistici esibiscono infatti, in maniera esem-
del montaggio. Quel che viene alla luce, cioè, è che l’uomo è già plare, la mistificazione del rapporto tra sempre-uguale e unicità, là
sempre mediato tecnicamente – è lui stesso una costruzione – e dove dietro la sovrapproduzione compulsiva della nouveauté si cela,
che, come scritto nel saggio sull’Opera d’arte, «l’aspetto della re- ancora una volta, la coazione mitica a ripetere il medesimo. Il vero
altà libero dall’apparato» è in verità «quello più artificioso»66. «significato della nouveauté», prodotta senza tregua dai nuovi modi
In tal senso il bambino esemplifica l’umano che noi siamo come di produzione, si legge nel Passagen-Werk, è che in realtà «non c’è
quel punto di passaggio continuo da essere biologico e natura- nulla di veramente nuovo»72. Si tratta di un’azione compensatoria e
le in senso lato a essere inserito nell’universo simbolico, storico, mistificatoria: nel momento in cui l’aura decade, questa, con tutto il
sociale. Nel gioco infantile è, in altre parole, già prefigurata la suo valore cultuale e magico, viene trasferita nella merce. Così sul
possibilità di un «equilibrio tra l’uomo e l’apparecchiatura»67 o, piano dell’esperienza: dinanzi alla sua distruzione, le società a capi-
di nuovo, con Einbahnstraße: «non dominio della natura», come talismo avanzato procedono attraverso una ininterrotta e convulsa
simulazione dell’esperienza (ciò che Benjamin chiama anche «galva-
64 W. Benjamin, Programm eines proletarischen Kindertheaters, in GS II, 2, pp. 763- nizzazione»), al fine di esorcizzare e velare la povertà che contrad-
769: 766-767; tr. it. di G. Carchia, Programma di un teatro proletario di bambini, in OC distingue l’uomo moderno. Dietro l’illusione indotta di una nuova
III, pp. 181-186: 184-185. Testo scritto, come è noto, per Asja Lacis e per il suo progetto
«Renaissance», dietro «il raccapricciante guazzabuglio di stili e di
di fondare anche a Berlino, nel Liebknechthaus, un teatro di bambini. Redatto tra il 1928 e
1929 e pubblicato soltanto postumo, quello a noi pervenuto è la seconda versione del saggio;
la prima, giudicata al Liebknechthaus eccessivamente complicata nella sua esposizione, è
andata perduta.
65 Id., Ich packe meine Bibliothek aus. Eine Rede über das Sammeln, in GS IV, 1, pp. 68 Id., Einbahnstraße, WN 8, p. 76; tr. it. cit., p. 462.
388-396: 389-390; tr. it. di F. Desideri, Tolgo la mia biblioteca dalle casse, in OC IV, pp. 69 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 121; tr. it. cit., p. 71.
456-463: 457 [tr. mod.]. Articolo pubblicato per la prima volta nel luglio 1931 su «Die 70 Ivi, p. 108; tr. it. cit., p. 58.

literarische Welt». 71 Ivi, pp. 108, 111-112; tr. it. cit., pp. 58, 61-62.
66 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 127; tr. it. cit., p. 77. 72 Id., Das Passagen-Werk, D 5a, 5, in GS V (1982), 1, p. 169; tr. it. a cura di E. Ganni,
67 Ivi, p. 130 ; tr. it. cit., p. 80. I «passages» di Parigi, 2 voll., Einaudi, Torino 2010, vol. 1, p. 120.
56 marina montanelli repetita: rito versus gioco 57

visioni del mondo», vi è in realtà soltanto artificio compensativo73. valore, in altre parole, un vero e proprio tratto antropologico79. Non
Dietro l’eterna novità e la presunta rinascita di esperienze auratiche casualmente Benjamin, nell’analizzare l’avvenuta trasformazione del
si nasconde non solo il sempre-uguale, ma vere e proprie forme di medium della percezione, insiste sulla questione dell’abitudine, met-
reazione di cui l’«estetizzazione della politica» è strumento privile- tendo in evidenza la tensione tra continui choc percettivi e capacità di
giato74. In altri termini il capitalismo impiega la seconda tecnica se- (ri)abituarsi che investe in maniera essenziale le forme dell’esperien-
condo i canoni della prima: il problema che si pone non è di formu- za contemporanea: a «quei compiti che, in epoche di svolta storica,
lare proposte migliorative della natura75, ma di instaurare rapporti vengono posti all’apparato percettivo umano […] si fa fronte a poco
di dominio, dell’uomo sulla natura, dell’uomo sull’uomo. È quanto a poco […] mediante l’abitudine». E nel tempo storico della riprodu-
si è palesato in maniera evidente, per Benjamin, con la prima guerra cibilità tecnica si è visto che «anche il distratto può abituarsi»; così
mondiale. Si legge sempre in Einbahnstraße a questo proposito: «poi- «viene controllato a nostra insaputa fino a che punto sono divenuti
ché l’avidità di profitti della classe dominante contava di soddisfarsi assolvibili i nuovi compiti dell’appercezione»80. Forse è proprio qui
a spese di essa, la tecnica ha tradito l’umanità e ha trasformato il che emerge il carattere potentemente prognostico dell’analisi mate-
letto nuziale in un mare di sangue»76. rialista di Benjamin: nell’aver compreso il nesso intimo che lega la
D’altra parte sarebbe ingenuo ritenere che, col rivolgimento stori- ripetizione del gesto infantile, il gioco, alla serialità su grande scala
co che ha portato a emersione, come predominante, il polo del gioco, della produzione contemporanea, nell’aver individuato nella tensio-
la via d’uscita dal mito e le condizioni di liberazione siano già date. ne tra assenza di solide abitudini e capacità umana di ri-acquisirle
La riproduzione tecnica apre sì uno spazio di gioco in cui dalla ripe- ogni volta da capo la riconfigurazione fondamentale dello sfrutta-
tizione seriale sembra emergere la possibilità di un’«unicità priva di mento capitalistico, là dove quest’ultimo ha reso permanente, forma
aura»77, ma, a ben guardare, è proprio in questo spazio che si situa il di vita predominante, l’infanzia, mettendo a valore anche la povertà
«contrasto storico mondiale», il conflitto più aspro col capitalismo. di esperienza. A partire da qui va forse ripensata oggi la questione
Nell’epoca della povertà di esperienza, in cui l’uomo torna a essere della «politicizzazione dell’arte», il «rinnovamento dell’umanità» a
un infante privo di abitudini, «un neonato» che strilla nelle «sudicie partire dalla sua stessa «crisi». Una volta di più va ripensata la «fon-
fasce» del presente78, procedendo a tastoni nella costruzione di nuo- dazione» dell’arte su quella «prassi», «altra» rispetto al rituale, che
ve consuetudini, il capitalismo sussume e mette a valore esattamente è la «politica»81.
questa capacità umana di ri-abituarsi ogni volta da capo, di costruire
il nuovo cavandosela con poco, rende cronica l’infanzia per mettere a

73 W. Benjamin, Erfahrung und Armut, GS II, 1, p. 215; tr. it. cit., p. 540.
74 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 139; tr. it. cit., p. 89.
75 Scrive Benjamin sempre in un appunto manoscritto per la terza stesura del saggio

sull’Opera d’arte: «L’arte, così potrebbe essere formulata la sua definizione, è una proposta
di miglioramento della natura (ein Verbesserungsvorschlag an die Natur) […] è, in altri
termini, una mimesis perfettiva (vollendende Mimesis)» (ivi, Handschriftliche Vorlagen
zur Dritten Fassung, p. 155; sulla «capacità di miglioramento (Verbesserungsfähigkeit)»
del film in quanto opera non auratica cfr. anche ivi, Dritte Fassung, § VIII, pp. 111-112;
tr. it. cit., pp. 61-62).
76 Id., Einbahnstraße, WN 8, p. 76; tr. it. cit., p. 462.
77 Cfr. P. Virno, Convenzione e materialismo. L’unicità senza aura (1986), DeriveAp- 79 Su questo cfr. anche P. Virno, L’idea di mondo, cit., pp. 91-93.
prodi, Roma 2011, p. 18. 80 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 137-138; tr. it. cit., p. 88.
78 W. Benjamin, Erfahrung und Armut, GS II, 1, p. 216; tr. it. cit., p. 541. 81 Ivi, pp. 141, 104; tr. it. cit., pp. 91, 55.
Eterotopia dell’opera d’arte
Clemens-Carl Härle

1. Pochi sono i pensatori che, nella prima metà del Novecento,


hanno tanto insistito quanto Walter Benjamin sui cambiamenti rivo-
luzionari intervenuti nell’ambito della produzione, della riproduzio-
ne e della conservazione delle opere d’arte. Com’è noto, tali cambia-
menti hanno permesso l’emergere di un nuovo genere di opere che
non dipende più dalla mano e dallo sguardo dell’uomo e sollecita
forme di fruizione e di percezione che rischiano di trasformare lo sta-
tuto dell’arte in generale. Più ancora della fotografia, è il cinema a es-
sere al centro della riflessione di Benjamin e le sue osservazioni sullo
choc e sull’apparecchiatura – «quell’aspetto della realtà che rimane
sottratto all’apparecchiatura è diventato […] il suo aspetto più artifi-
cioso e la vista sulla realtà immediata è diventata il fiore azzurro nel
paese della tecnica»1 – non hanno perso niente della loro forza. Più
problematica, invece, appare retrospettivamente la cornice storico-
politica nella quale Benjamin ha inserito le sue riflessioni sul cinema:
innanzitutto lo stesso concetto di riproducibilità tecnica e il modo un
po’ riduttivo in cui Benjamin lo contrappone a quello di originale,
in secondo luogo il ruolo attribuito, probabilmente più per motivi
politici che per motivi direttamente legati all’arte cinematografica,
alla massa in quanto destinatario delle nuove forme d’immagine, e
infine le considerazioni sulla distrazione come forma di appercezione
collettiva del cinema e, mutatis mutandis, anche delle altre forme
artistiche.
Tale cornice rivela la sua problematicità soprattutto quando ven-
gono meno i due assiomi impliciti che stanno alla base del ragio-
namento di Benjamin: la funzione quasi messianica attribuita a ciò

1 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 127; tr. Filippini-Riediger, Opera d’arte, p.

293 [tr. mod.].


60 clemens-carl härle eterotopia dell’opera d’arte 61

che egli chiama «seconda tecnica» e, in maniera complementare, la Entrambe le figure sono invece presenti nell’argomento che apre
missione emancipatrice accordata alle masse come soggetto rivolu- il penultimo capitolo:
zionario. In un brano della terza versione del saggio si legge:
La massa è una matrice dalla quale attualmente esce rinato ogni compor-
La prima tecnica mira effettivamente al dominio della natura, la seconda tamento abituale nei confronti delle opera d’arte. La quantità si è rovesciata in
piuttosto a un gioco reciproco fra la natura e l’umanità. La funzione sociale qualità: le masse sempre più vaste dei partecipanti hanno determinato un modo
decisiva dell’arte di oggi è un’iniziazione continua a questo gioco reciproco. diverso di partecipazione […] Colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte spro-
Questo vale soprattutto per il cinema. Il cinema serve a esercitare l’essere uma- fonda in essa […] La massa distratta, al contrario, fa sprofondare l’opera d’arte
no in quelle appercezioni e in quelle reazioni che condizionano l’approccio dentro di sé; la lambisce con il suo moto ondoso, la avvolge nei suoi flutti4.
a un’apparecchiatura, la cui importanza cresce quasi quotidianamente nella
sua vita. Avere a che fare con questa apparecchiatura gli insegna inoltre che
l’assoggettamento al suo servizio farà posto all’emancipazione che avverrà at- 2. Vorrei proporre qui alcune considerazioni che non si contrap-
traverso di esso solo quando la costituzione dell’umanità si sarà adattata alle
pongono sostanzialmente a quelle presenti nel saggio di Benjamin, o
nuove forze produttive che la seconda tecnica ha dischiuso2.
almeno non a quelle che mi appaiono le più preziose, ma che tuttavia
cercano di liberare il pensiero e l’esperienza dell’arte da una sorta di
Ci pare che la contrapposizione tra originale e riproducibilità tec-
colonizzazione – la chiamerei anche estetizzazione, riprendendo per
nica, che si riflette in quella tra valore cultuale e valore espositivo, tra
l’appunto il termine di Benjamin, ma con un accento leggermente
pratiche magiche e pratiche rivolte al consumo di massa, tra contem-
diverso che accoglie alcune intuizioni di Jean-François Lyotard – ori-
plazione e distrazione, suggerisca un’interpretazione alquanto uni-
ginata dal fatto che alle opere d’arte viene subito attributo, o meglio
voca dell’opera d’arte e delinei inoltre uno sviluppo e un’evoluzione
imposto, un valore espositivo. «Eterotopia dell’opera d’arte»: questa
del fare artistico, in cui, con una sorta di salto pressoché immediato
espressione allude ovviamente a Foucault che, però, tra le eteroto-
dalla preistoria al presente, la prima fase viene assorbita quasi senza
pie non menziona mai l’opera d’arte, ma solo e molto brevemente il
resti nella seconda, cioè nel presente o nella seconda tecnica. In al-
museo5. Il museo entrerà nel mio discorso, non solo perché è l’isti-
tri termini, molto più che in altri saggi, nel testo sulla riproducibili-
tuzione deputata alla conservazione delle opere, ma anche perché è
tà tecnica Benjamin rischia di consegnare il pensiero dell’arte a una
il luogo in cui l’estetizzazione dell’arte si fa sentire con particolare
sorta di storicismo che usa, in maniera più o meno esplicita e più o
violenza. Il termine «eterotopia», che secondo la definizione di Fou-
meno diretta, alcune figure della dialettica hegeliana, quali il rovescio
cault designa un contro-spazio logico e topologico, mi pare in grado
immediato di un elemento nel suo contrario o il cambiamento della
di indicare anche quell’«altrove» in cui si situa il giudizio estetico,
quantità in qualità. La prima figura si trova in un brano all’inizio del
differenziandosi così non solo dal giudizio conoscitivo, ma anche dal
capitolo XV:
giudizio morale e politico.
La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte modifica il rapporto delle masse
con l’arte. Da un rapporto estremamente retrivo, per esempio nei confron-
ti di un Picasso, esso si rovescia in un rapporto estremamente progressivo, 3. Un primo passo in questa direzione richiede un’analisi più appro-
per esempio nei confronti di un Chaplin. Ove l’atteggiamento progressivo è fondita della differenza fra originale e riproducibilità tecnica. Benja-
contrassegnato dal fatto che in esso il piacere procurato dalla visione e dall’e- min distingue tra riproducibilità artigianale o Nachbildung – realizzata
sperienza vissuta si connette immediatamente con l’atteggiamento del giudice
competente3.
4 Ivi,
pp. 136-137; tr. it. cit., pp. 299-300 [corsivo di Benjamin].
5Michel Foucault, Les hétérotopies - Le corps utopique (conferenze del 7 e 21 di-
2 Benjamin, Kunstwerk, p. 108; tr. it. cit., p. 280 [tr. mod.]. cembre 1966), Institut National de l’audiovisuel, Paris 2004; tr. it. di A. Moscati, Utopie
3 Ivi, p. 128; tr. it. cit., p. 294. Eterotopie, Cronopio, Napoli 2006, p. 20.
62 clemens-carl härle eterotopia dell’opera d’arte 63

dagli «allievi per esercitarsi nell’arte, dai maestri per diffondere le ope- un’opera incompiuta e frammentaria – come Le serment du Jeu de
re, e infine da terzi semplicemente avidi di guadagni»6 – e riproducibi- paume di David o L’uomo senza qualità di Musil – o, infine, un’opera
lità tecnica. La prima interviene per così dire a posteriori, in maniera di cui è impossibile e fuori luogo stabilire se sia compiuta o meno,
esterna e indipendente dall’opera riprodotta di cui non intacca, anzi come nel caso di tanti dipinti e acquerelli dell’ultimo Cézanne. E ap-
semmai conferma, lo statuto di originale. La seconda riproducibilità partiene, inoltre, sia a opere la cui configurazione sensibile è dovuta al
interviene, invece, a priori e, rendendo possibile un numero virtual- gesto dell’artista che a opere il cui aspetto appare del tutto anonimo,
mente illimitato di copie identiche generate da un «negativo», cancella «riproducibile» e quasi arbitrario – come nel caso di un ready-made
il concetto stesso di originale, come avviene nel caso della fotografia firmato da Duchamp. La modernità artistica ha inventato non solo la
o del cinema, e com’era in qualche modo già avvenuto nel caso della riproducibilità tecnica, ma ha anche decostruito l’«identità» dell’opera
letteratura con l’invenzione della stampa, anche se Benjamin ne parla stessa, l’insieme dei parametri in virtù dei quali essa può pretendere
solo di sfuggita. La differenza fra originale e riproducibilità concerne, allo statuto di opera d’arte. La singolarità dell’opera, eventualmente
quindi, non tanto la forma, il materiale o il contenuto delle opere, indicata dal suo titolo o dal suo nome, nasce dal modo in cui essa af-
concetti tradizionali che Benjamin cerca giustamente di accantonare, ferma se stessa in assenza di ogni regola o criterio preesistente.
quanto il loro modo di esistenza, la Daseinsweise, e la scommessa del
saggio sta proprio nel tentativo di concepire un’estetica che non solo
prenda in considerazione il fatto che l’opera esista in un unico esem- 4. Assegnare, come fa Benjamin, una tale centralità al modo di
plare o in un numero indefinito di esemplari, ma che addirittura si esistenza dell’opera spinge la teoria dell’arte in una direzione ben de-
fondi su quella differenza, deducendo da essa anche la specificità delle terminata, poiché permette di stabilire uno stretto nesso tra le opere
opere e le distinzioni fra i generi artistici. d’arte e le forme della loro ricezione. L’unicità dell’opera favorisce
Il fatto che l’opera esista in un unico esemplare o in un numero non solo la sua integrazione nel contesto mutevole della tradizione,
illimitato di esemplari, in altri termini la quantificazione della sua Da- ma le conferisce anche una profondità quasi teologica e la collega a
seinsweise, non tocca, però, in alcun modo ciò che, a differenza di una prassi specifica – il culto o il rituale – che ratifica la trascendenza
quello che Benjamin chiamava la sua «unicità (Einzigkeit)», si può – e dell’opera: «Il valore unico (der einzigartige Wert) dell’opera d’ar-
forse si deve – chiamare la sua «singolarità». Se, infatti, l’unicità dell’o- te “autentica” (echt) trova la sua fondazione sempre nel rituale»8.
pera coinvolge il suo hic et nunc, «la sua esistenza unica (einmaliges Com’è noto, Benjamin ha cercato di inserire nell’ambito del culto
Dasein) nel luogo in cui si trova»7, la sua singolarità consiste piuttosto anche la fruizione profana dell’opera d’arte, il culto rinascimentale
nella sua capacità di affermarsi come questa opera che rompe i canoni della bellezza, escludendo in tal modo che, oltre al rituale e alla ripro-
esistenti sorprendendo sempre di nuovo lo spettatore, nella sua non- ducibilità di massa, possano esistere un’altra «prassi» e un altro rap-
classificabilità che relativizza la sua appartenenza a un genere deter- porto con le opere, quello che Kant ha chiamato modus aestheticus:
minato e getta perfino qualche dubbio sulla consistenza del concetto
di arte come genere supremo. Tale singolarità può appartenere tanto Per mediato che sia, questo fondarsi [sc. dell’opera d’arte nel rituale] è ri-
a un quadro o a un affresco quanto a un film o a una fotografia, a un conoscibile, sotto forma di rituale secolarizzato, anche nelle forme più profane
del culto della bellezza. Il culto profano della bellezza, che si sviluppa con il
quartetto d’archi o a una poesia, e indipendentemente dal fatto che
Rinascimento e poi mantiene la sua validità per tre secoli, al termine di questa
l’opera sia una totalità compiuta – un «capolavoro» come la Grande fase, nel momento del primo serio sconvolgimento da cui sia stato colpito,
Messa di Bach –, un’opera «infima» come una statuetta di Giacometti, mette ben in evidenza quei fondamenti9.

6 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 97; tr. it. cit., p. 272. 8 Ivi, p. 103; tr. it. cit., p. 276.
7 Ivi, p. 99; tr. it. cit., p. 273. 9 Ivi, pp. 103-104; tr. it. cit., pp. 276-277.
64 clemens-carl härle eterotopia dell’opera d’arte 65

Nella prima versione del saggio questa posizione è espressa in ma- a una sua incompletezza o incapacità di realizzarsi senza l’aiuto di
niera ancora più esplicita: un’istanza esterna. Insistere su questa dipendenza basta a respingere
la tesi dell’autonomia dell’arte, ed è questo che più di ogni altra cosa
Nel momento in cui l’arte si manifesta come sfera propria, come ambito interessa Benjamin.
autonomo dell’essere (als autonomer Seinsbereich), essa smaschera, nel modo Sostenere che l’autonomia dell’arte è solo «apparente» potrebbe
stesso in cui ciò avviene, quest’autonomia come parvenza. L’arte è fondata nel
però anche significare che l’arte non può darsi da sé la legge che re-
rituale, cioè nell’esistenza religiosa della comunità10.
gola il suo fare, anche se questo non implica necessariamente, come
Benjamin sembra credere, che debba trovare la sua legittimazione in
Benjamin, quindi, non solo stabilisce un legame immediato tra il
una prassi non-artistica, religiosa o politica. Significa piuttosto che
modo di esistenza dell’opera e la forma della sua ricezione, cioè una
l’arte è profondamente an-archica, e tuttavia sempre alla ricerca di
prassi determinata, ma addirittura intravede in quella prassi l’istanza
una legge eventuale, mai originaria o definitiva.
che fonda o deve fondare (Fundierung) l’arte:

Nell’istante in cui nella produzione dell’arte viene meno il criterio dell’au-


tenticità (Echtheit), si trasforma anche la funzione sociale dell’arte. Al posto 5. In due racconti dell’ultimo periodo della sua vita, Kafka allude
della sua fondazione nel rituale deve subentrare la sua fondazione su un’altra a questa tensione irrisolta fra dipendenza e indipendenza, commen-
prassi, vale a dire la sua fondazione sulla politica11. surabilità e incommensurabilità dell’arte. Nell’Artista del digiuno,
l’incapacità del pubblico di sopportare la vista di quel «mucchietto
Quando la sua fondazione nel rituale viene meno, deve subentrare di ossa» che è diventato il corpo del digiunatore, unico indizio visibi-
o instaurarsi (hat zu treten – la frase non è assertiva come suggeri- le della sua pratica artistica, viene temporaneamente superata grazie
sce la traduzione italiana, ma di natura imperativa o prescrittiva) la all’intervento di un impresario che impone una sorta di cornice all’in-
sua fondazione nella politica. Le due modalità di fondazione han- terno della quale anche il dimagrimento riesce a captare la curiosità
no, quindi, uno statuto diverso. Mentre la prima viene presentata degli spettatori. Alcuni guardiani tengono d’occhio la gabbia per im-
da Benjamin come un fatto storicamente accertato o accertabile, la pedire che il digiunatore assuma alimenti di nascosto. Solo a questa
seconda s’impone piuttosto come un compito futuro e epocale, come condizione il digiuno può diventare una scena, uno Schauhungern,
un’esigenza, la cui mancata realizzazione produce quell’inversione una sorta di opera o performance che dà spettacolo, e il digiunatore
paventata alla fine del saggio, cioè l’estetizzazione fascista della poli- un artista applaudito. In Josefine la cantante o Il popolo dei topi,
tica. Poco prima, tuttavia, egli ha parlato dell’«esistenza parassitaria Kafka va ancora oltre. Non c’è più nessuna cornice che permetta di
dell’arte nel rituale»12. L’arte si nutre, si sviluppa o vive a spese di superare la distanza fra l’artista e il destinatario. L’aporia dell’arte è
un «ospite», dal quale va però distinta, poiché nessun parassita è un evocata direttamente nell’indeterminabilità della natura o della qua-
semplice prodotto o un derivato di chi lo ospita. La tesi della fonda- lità, del quid del canto, che è allo stesso tempo un semplice fischio,
zione dell’arte in una prassi determinata, che a Benjamin appare irri- il fischio di un topo qualsiasi, e assolutamente struggente, qualcosa
nunciabile, si rivela, pertanto, più complessa di quanto non appaia in «che non abbiamo mai sentito prima e che non abbiamo nemmeno la
un primo momento. Più che a una fondazione vera e propria, infatti, capacità di sentire, qualcosa che solo questa Josefine, e nessun altro,
l’espressione «esistenza parassitaria» fa pensare a una dipendenza, ci rende capaci di sentire»13. Tocca, quindi, alla stessa Josefine vince-
intima e tuttavia contingente, dell’arte da qualcosa che non è arte, re l’indifferenza del popolo dei topi, la cui devozione, però, non sarà
mai all’altezza della sua arte.
10 Benjamin, Kunstwerk, Erste Fassung, p. 15; tr. it., infra, p. 247
11 Ivi,Dritte Fassung, p. 104; tr. it. cit., pp. 277-278 [corsivo di Benjamin; tr. mod.].
12 Ibid.; tr. it. cit., p. 277 [tr. mod.]. 13 Franz Kafka, Un artista del digiuno. Quattro storie, Quodlibet, Macerata 2013, p. 48.
66 clemens-carl härle eterotopia dell’opera d’arte 67

In entrambi i racconti è in questione l’ostinazione dell’artista che nell’arte concettuale, ma non può mai mancare completamente. È
chiede che il suo fare, nonostante la sua incommensurabilità, susciti il gesto dell’artista a deciderne il grado d’intensità e di complessi-
l’attenzione di un destinatario. Questo non vuol dire che l’arte esista tà, conferendo espressività ai materiali – che fanno da supporto ai
solo in virtù di un destinatario che ne sarebbe in qualche modo l’o- percetti e agli affetti –, ai pigmenti, alle linee e ai volumi, ai suoni,
rigine, il telos o la verità. Vuol dire piuttosto che l’arte è movimento, alle parole e alle frasi, ai blocchi di spazio-tempo e ai movimenti del
che essa «cerca di aprirsi un varco attraverso il tempo – attraverso, corpo. Proprio perché è un essere sensibile, un’opera d’arte si espone
ma non sopra il tempo», come scrive Celan, e che tale movimento ha o, meglio, è sempre già esposta, cioè rivolta alla ricettività di un desti-
la forma di un appello, del rivolgersi a qualcuno14. L’arte ha bisogno natario che può rispondere a quell’appello oppure ignorarlo. Poiché
di una non-arte, e tale bisogno fa parte del suo concetto e si annuncia non vedere è più facile che vedere, non ascoltare più facile che ascol-
come una richiesta, come la sollecitazione dell’attenzione di chi vede, tare, l’arte deve lanciare quell’appello, discreto come un sussurro,
ascolta o legge un’opera. Tale appello o adresse può non ricevere banale come un fischio o violento come un grido, ma deve comunque
risposta, e spesso, se non addirittura sempre, non riceve risposta. farlo e, anzi, non può fare altro né di più.
Non può mai prendere la forma di un’interlocuzione né attuarsi in L’appello iscritto nell’opera d’arte è però duplice. L’opera d’arte,
un patto o in un accordo, e forse non può nemmeno avere la forma infatti, attraverso lo stesso e unico movimento con cui si rivolge a un
di un dialogo, ma chiede in modo imperativo l’esposizione di colui al destinatario, se ne ritrae anche. Sia come oggetto che esiste indipen-
quale si rivolge, la sua auto-esposizione davanti all’opera. Evocando dentemente dall’artista sia come performance che coincide con i mo-
l’esistenza parassitaria dell’opera d’arte nel rituale, Benjamin pensa- vimenti del corpo dell’artista, l’opera si espone in quanto configura-
va forse a una tale richiesta che rende l’opera in qualche modo dipen- zione sensibile e si ritrae in quanto opera del pensiero, di un pensiero
dente da un destinatario, in maniera un po’ analoga alla sopravviven- che pensa per mezzo di colori, volumi, blocchi di tempo, suoni, gesti
za di un’opera d’arte linguistica, il suo Fortleben o Überleben, che è o movimenti. I percetti che l’arte offre sono monogrammi, lineature
sospesa alla sua traduzione, possibile o impossibile, alla sua esposi- o figurazioni non sottomessi alla sintesi intellettuale, perché in quan-
zione in un’altra lingua. Insistere su questa richiesta è un altro modo to pensieri incorporati in una materia sensibile sono non-concetti,
per respingere la tesi dell’autonomia dell’arte, ed è probabilmente tratti staccati, non determinati seconda una regola preesistente. Non
all’origine del rapporto aporetico fra arte e politica. Ma non giusti- esiste alcuna regola valida una volta per tutte che permetta di decide-
fica, né rende necessaria la fondazione dell’arte in una prassi sociale. re dell’essenza o della «natura» della pittura, della musica, della fo-
tografia e stabilire il senso evocato da una singola opera. Al massimo
si può dire che le opere sono alla ricerca di una regola incerta. È a
6. L’appello rivolto al destinatario non è un messaggio e non tra- causa di questa incertezza che l’opera si ritrae e si nasconde, resta in-
smette alcuna informazione. Non è di natura normativa o morale ma commensurabile, pur essendo esposta senza riserve. Ogni leggibilità
nasce dal fatto che l’opera d’arte è, come dice Deleuze, un «essere dipende dall’intervento di un supplemento, presuppone un canone o
sensibile», «poiché l’uomo, preso nella pietra, sulla tela o lungo le una semiotica che stabilisca un rapporto più o meno univoco tra una
parole, è esso stesso composto di percetti e affetti»15. La composizio- traccia sensibile e un contenuto intelligibile che si esprime in essa.
ne o configurazione sensibile di un’opera può essere densa, compatta Nella Critica del giudizio Kant parla di sensazione e di impressioni
o assottigliarsi infinitamente fino a diventare neutra e anonima come rispetto alle quali «non si può veramente decidere se hanno il fon-
damento nel senso o nella riflessione», di «idee estetiche» o dell’im-
14 PaulCelan, Allocuzione (1958), in La verità della poesia, Einaudi, Torino 1993, p. 35. maginazione, «forme arbitrarie di possibili intuizioni» che «danno
15Gilles Deleuze – Félix Guattari, Qu’est-ce que la philosophie?, Editions de Minuit, occasione a pensare molto senza che però un qualunque pensiero
Paris 1991; tr. it. di A. De Lorenzis, Che cos’è la filosofia?, a cura di C. Arcuri, Einaudi, o concetto possa esser loro adeguato, e, per conseguenza, nessuna
Torino 2007 (1996), p. 162.
68 clemens-carl härle eterotopia dell’opera d’arte 69

lingua possa perfettamente esprimerle e farle comprensibili»16. For- 7. L’idea di una polarità tra valore cultuale e valore espositivo, i
se Adorno aveva in mente qualcosa di simile quando sottolineava il cui «mutevoli spostamenti dell’accento da un polo all’altro» scandi-
«carattere di enigma» (Rätselcharakter) delle opere d’arte. scono secondo Benjamin la storia dell’arte, dev’essere esaminata a
Questo gioco tra commensurabilità e incommensurabilità, espo- partire da queste premesse. Almeno a prima vista, i concetti di valore
sizione e occultamento – in verità non si tratta di un occultamento cultuale e di valore espositivo sembrano corrispondere a ciò che Ja-
vero e proprio, ma solo di quell’incomprensibilità che nasce dal fatto kobson chiama «contatto», «un canale fisico e una connessione psi-
che il pensiero incorporato nell’opera non è articolato logicamente cologica fra il mittente e il destinatario, che consenta loro di stabilire
o concettualmente – non può essere inteso né come una «teologia e mantenere la comunicazione»18, nella misura in cui essi cercano di
negativa» dell’arte né come una «dottrina dell’art pour l’art», me- distinguere le opere e il loro statuto in virtù della loro accessibilità o
diante la quale, secondo Benjamin, l’arte reagirebbe all’«avvicinarsi inaccessibilità per lo spettatore, cioè rispetto alla loro visibilità e alla
della crisi»17 provocata dall’emergenza delle tecniche di riproduzio- loro dipendenza o indipendenza dal luogo – parete, muro, suolo –
ne. Tale gioco non invalida, bensì conferma l’«intrinseca» assenza che funge da supporto. Per le opere che
di legge dell’arte, la sua non-autonomia che Benjamin afferma con
energia. D’altro canto, però, è proprio in virtù di questo gioco, di sono al servizio della magia […] è importante soltanto che esistano e non
questa oscillazione ribelle tra commensurabilità e incommensurabili- che vengano viste. L’alce che l’uomo dell’età della pietra raffigura sulle pareti
della sua caverna è uno strumento magico che egli solo casualmente espone da-
tà presente nell’opera come la sua fibra più intima, che l’arte – a dif-
vanti ai suoi simili; l’importante è tutt’al più che lo vedano gli spiriti. Il valore
ferenza di quanto pensava Benjamin – si oppone a ogni tentativo di cultuale come tale induce a mantenere l’opera d’arte nascosta19.
fondazione in una prassi sociale che potrebbe giustificarne l’esistenza
prescrivendole quella legge e quella destinazione che le mancano e L’arte parietale, suggerisce Benjamin, si rivolge a un destinatario
che essa deve inventare sempre di nuovo, in maniera per così dire trascendente. È attraverso il rito o il culto in cui è inserito e non
sperimentale. Talvolta si dice che la pittura ci fa vedere qualcosa che tanto in virtù del suo aspetto visibile che essa entra in contatto con
non abbiamo mai visto, che essa rende irriconoscibile ciò che pensia- il destinatario. Il valore espositivo, invece, mette letteralmente a
mo di conoscere o, come diceva Klee, rende visibile l’invisibile. Forse nudo le opere, le espone privandole della loro protezione, del loro
sarebbe più giusto dire che invece di farci «vedere» l’invisibile, la involucro, e riducendole alla loro mera visibilità di immagini. In
pittura, attraverso i mezzi di cui dispone e le figure improbabili e sor- questo modo ogni distanza si azzera e le opere diventano immedia-
prendenti che crea e inventa, cerca di suggerire che c’è dell’invisibile, tamente accessibili, fino al punto in cui, grazie alla loro riproducibi-
o che non sappiamo «ancora» in che cosa consista la visibilità del vi- lità e ubiquità, esse diventano disponibili per un pubblico generico
sibile, di quel visibile che sembra essere alla portata dei nostri occhi. e indeterminabile:
Non sarebbe questa un’idea estetica, una domanda intorno alla «na-
tura» del sensibile, un gesto che dà «occasione a pensare molto senza Con l’emancipazione delle singole pratiche artistiche dal grembo del rituale
che però un qualunque pensiero o concetto possa essere adeguato»? aumentano le occasioni dell’esposizione dei loro prodotti. L’esponibilità di un
busto, che può essere inviato in qualunque luogo, è maggiore di quella della
statua di un dio che ha la sua sede permanente all’interno di un tempio […].

16 Immanuel Kant, Kritik der Urteilskraft, a cura di W. Windelband, in Kant’s Gesam- 18 Roman Jakobson, Closing Statement: Linguistics and Poetics, in Style in Language,

melte Schriften, a cura della Königlich Preußischen Akademie der Wissenschaften, Reimer, The M.I.T. Press, Cambridge Massachusetts 1960, pp. 350-377; tr. it. di L. Grassi e L.
Berlin 1902 sgg., vol. V (1908), pp. 165-485: 324, 240 e 316; tr. it. di A. Gargiulo, Critica Heilmann, Linguistica e poetica, in Id., Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano
del giudizio, intr. di Paolo D’Angelo, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 327, 151 e 305. 2010 (1966), pp. 181-218: 185.
17 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 104; tr. it. cit., p. 277. 19 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 106; tr. it. cit., p. 278.
70 clemens-carl härle eterotopia dell’opera d’arte 71

Coi vari metodi di riproduzione tecnica dell’opera d’arte, la sua esponibilità funzione dell’apparecchiatura. L’apparecchiatura separa chi vi è as-
è cresciuta in una misura così poderosa, che lo spostamento quantitativo tra soggettato dal fruitore ultimo delle sue prestazioni, come nel caso del
i suoi due poli si è trasformato, analogamente a quanto è avvenuto nelle età
lavoro o in certe forme di sport in cui il cronometro s’impone come
primitive, in un cambiamento qualitativo della sua natura20.
unità di misura che rende le prestazioni «verificabili, anzi adottabili».
D’altra parte, però, l’apparecchiatura, grazie all’enorme esposizione
Pur assicurando il compito che Jakobson attribuisce al «contat-
di colui che si espone di fronte o grazie a essa, accresce quasi automa-
to», cioè la chiusura dell’intervallo che separa il mittente dal desti-
ticamente l’impatto della sua «prestazione». In virtù di questa dupli-
natario, il modo in cui Benjamin concepisce la funzione e l’efficacia
cità l’apparecchiatura favorisce sia le «prestazioni verificabili» – nel
del valore cultuale e del valore espositivo oltrepassa l’aspetto della
lavoro ed eventualmente nello sport – sia quelle assolutamente inve-
semplice trasmissibilità del messaggio. Da un lato i due valori non
rificabili – come quelle del «dittatore», che occupa l’estremo oppo-
sono del tutto indifferenti al contenuto del messaggio, in altri termini
sto dello spettro disegnato da Benjamin. Il cinema sembra occupare
non sono un semplice medio o supporto, come per esempio la voce o
una posizione intermedia: «Il cinema rende esponibile la prestazione
la scrittura, dall’altro lato essi devono non solo garantire la trasmis-
sottoposta a test facendo dell’esponibilità della prestazione stessa un
sione del messaggio, ma promuovere e condizionarne la ricezione.
test. L’attore cinematografico, infatti, non recita davanti a un pubbli-
Il modo in cui Benjamin descrive l’intrusione dell’apparecchiatura
co, ma davanti a un’apparecchiatura»22. L’apparecchiatura sospende
espositiva nella sfera del politico è particolarmente eloquente:
– interrompendo per un attimo il rapporto con il pubblico – e allo
Le democrazie espongono il politico direttamente […] Con le innovazioni stesso tempo intensifica la trasmissione del messaggio e, dunque, il
delle apparecchiature di ripresa, che permettono di far sentire, e poco dopo di contatto con esso. Il messaggio deve comunque raggiungere il suo
far vedere, l’oratore a un numero illimitato di spettatori, l’esposizione dell’uo- destinatario, come la merce che deve essere prima prodotta e poi ven-
mo politico di fronte a queste apparecchiature di ripresa assume un ruolo di duta, realizzando il suo valore soltanto nel momento della vendita.
primo piano […] La radio e il cinema modificano non soltanto la funzione Poiché deve fare i conti con un destinatario indeterminato o in
dell’attore professionista ma altrettanto anche quella di coloro che, come l’uo-
qualche modo indeterminabile, il valore espositivo incontra un pro-
mo politico, interpretano se stessi. La direzione di questa modificazione, a pre-
scindere dai diversi compiti particolari, è la stessa sia per l’interprete cinemato- blema che il valore cultuale non conosce. Il valore dell’esposizione del
grafico che per il politico. Essa persegue l’esposizione di prestazioni verificabili, messaggio o dell’immagine non è mai garantito a priori, e la semplice
anzi adottabili, in determinate condizioni sociali, così come lo sport le aveva ri- analogia tra il gran numero delle immagini disponibili e diffuse e il
chieste dapprima sotto determinate condizioni naturali. Ciò ha come risultato gran numero dei destinatari attuali o virtuali non elimina, ma tutt’al
una nuova selezione, una selezione che avviene di fronte all’apparecchiatura, più nasconde questo fatto. Per essere efficace, cioè affinché le compe-
dalla quale escono vincitori il campione, la star e il dittatore21.
ta davvero un valore, l’esposizione ha bisogno di un supplemento che
persuada il destinatario ad accogliere e fare suo il messaggio che gli è
Al valore espositivo, o almeno ad alcune delle sue forme, inerisce, destinato. Tale accoglienza può essere garantita soltanto da un codice
dunque, una sorta di supplemento retorico e persuasivo che, oltre alla che non solo assicuri la leggibilità immediata del messaggio, ma che
semplice trasmissione del messaggio, deve facilitarne e garantirne la inoltre stimoli la fame quasi ipnotica d’immagini facendo balenare
ricezione da parte del destinatario, problema che nel caso del valore quel piacere più o meno illusorio che il loro consumo può procurare.
cultuale non sussiste perché tale valore è sempre già embedded, in- Tocca alla «pubblicità», in ambito politico e commerciale, incitare
serito nel rituale. Benjamin stenta ad ammettere l’esistenza di questo sempre di nuovo quell’appetito e quel godimento, e non è un caso
supplemento, quando, per esempio, cerca di chiarire il significato e la
22 Ivi, p. 116; tr. it. cit., p. 285 [tr. mod.]. Sull’analogia fra i processi lavorativi, le
20 Benjamin, Kunstwerk, pp. 106-107; tr. it. cit., p. 278 [corsivo di Benjamin; tr. mod.]. prestazioni sportive e le prestazioni dell’attore nello studio cinematografico cfr. il § X del
21 Ivi, nota 1, pp. 121-122: 122; tr. it. cit., nota 11, p. 289 [tr. mod.]. saggio (ivi, pp. 114 sgg.; tr. it. cit., pp. 284-286).
72 clemens-carl härle eterotopia dell’opera d’arte 73

che Benjamin, nella prima versione del saggio, definisca la pubblicità presta particolarmente alla riproduzione massificata […] Ciò signifi-
come ciò «che si rivolge alla massa dei singoli distratti e disseminati ca che i movimenti di massa, e primo fra tutti la guerra, rappresen-
(der zerstreuten Einzelnen)»23, come un elemento indispensabile del- tano una forma del comportamento umano che si presta particolar-
la riproducibilità e conforme alle sue esigenze. Forse «“portarsi più mente all’apparecchiatura»25. Se «l’umanità che in Omero era uno
vicino” le cose è per le masse attuali un’esigenza vivissima», come spettacolo per gli dei dell’Olimpo, ora lo è diventato per se stessa»26,
osserva Benjamin. E se questa «esigenza di impossessarsi dell’ogget- ciò non significa che l’estetizzazione, o meglio l’auto-estetizzazione
to, da una distanza il più possibile ravvicinata»24, questo desiderio dell’umanità, per mettersi in scena, abbia necessariamente bisogno di
di farsi ipnotizzare dalle cose e ancor di più dalle loro immagini è un potere totalitario per cui la guerra è la prima e ultima ratio. Più
davvero così «incontestabile», ciò significa che la retorica dell’espo- affine allo spirito dei tempi appare l’osservazione di Lyotard secondo
sizione ha colto nel segno. la quale l’estetizzazione della vita quotidiana favorita dall’ubiquità
delle immagini è dovuta a una tendenza diversa, se non addirittu-
ra opposta, e cioè al crollo degli ideali politici. «Quando gli ideali
8. L’opera d’arte si espone, ma pretendere a un valore espositivo si- vengono meno come oggetti di fede e modelli di legittimazione, la
gnificherebbe la sua autodistruzione. L’opera d’arte non può che espor- domanda d’investimento non cessa e assume a proprio oggetto la
re se stessa in virtù della sua composizione sensibile. Esponendosi, essa maniera di rappresentarli […]. L’estetica è il modo di una civiltà di-
non può che rivolgersi a una recettività o a un destinatario, tuttavia sertata dai propri ideali. Essa coltiva il piacere di rappresentarli. Si
non dispone di alcun mezzo per forzare la sua attenzione o persuader- chiama allora cultura»27. Si conoscono fin troppo bene i mezzi che
lo. Anzi, quanto più un’opera si espone, tanto più la sua figura sensibile questa messa in scena adopera: spettacolarizzazione, mediatizzazio-
perde l’evidenza, diventa enigmatica e si sottrae alla lettura. Al limite si ne, edonismo, narcisismo, ridondanza dei messaggi, delle immagini,
potrebbe dire che essa espone questo duplice movimento di esposizio- di «sensazioni» di ogni sorta. La prevalenza dell’immaginario – e tal-
ne e sottrazione. Ed è proprio questa piega all’interno dell’opera d’arte volta semplicemente il cliché – deve compensare il reale che si sottrae.
che ogni forma di codice finisce per negare e annullare, trasformandola Ciò che si chiama «cultura», e che viene ideologicamente presentato
o in un oggetto di godimento immediato, distratto ed euforico, oppure come rimedio al deplorabile stato di cose, «consiste nel dissipare il
in un oggetto di conoscenza. Può darsi che un potere esterno, religioso lato di destino, dolore e finitezza presente nell’esistenza dei corpi, in-
o laico, cerchi di impadronirsi delle opere per appropriarsi di quell’in- dividuali e collettivi. [La cultura] è un’estetica senza corpo, messa in
commensurabile che in esse si annuncia, imponendogli un senso, quel finzione con degli aistheta temperati e filtrati»28. E se gli ideali usciti
senso univoco e commensurabile che l’istituzione pretende di incorpo- dalle tradizioni antiche, cristiane e moderne falliscono e il presente
rare e promulgare. Tuttavia, pur essendo impotente di fronte a una tale s’irrealizza in un «immaginario generalizzato», ciò non dipende da
usurpazione cui talvolta addirittura acconsente, l’arte riesce sempre a ciò che si chiama «realtà storica, sociale, politica, tecno-scientifica»,
sottrarsene, in virtù delle modulazioni e delle variazioni del sensibile ma da una pulsione profonda dell’Occidente che spinge a inventare
che sfuggono alla gabbia unitaria del senso. ideali, conoscenze e conquiste per poi invalidarli, recuperarli e rici-
La forma attuale di tale usurpazione si chiama estetizzazione. clarli in forme più o meno museali, più o meno sensazionali. È questo
Benjamin ne aveva individuato l’impatto nella politica, come stru- lo spettacolo che l’umanità offre a se stessa.
mentalizzazione da parte della propaganda fascista delle immagini
fornite dall’apparecchiatura di ripresa: «La riproduzione di masse si 25 Ivi, Erste Fassung, p. 45; tr. it., infra, p. 269.
26 Ivi, Dritte Fassung, p. 141; tr. it. cit., p. 303.
27 Jean-François Lyotard, Anima minima, in Id., Moralités postmodernes, Galilée, Paris
23 Benjamin, Kunstwerk, Erste Fassung, p. 17; tr. it., infra, p. 248 [tr. mod.]. 1993; tr. it. di F. Sossi, Anima minima. Sul bello e il sublime, Pratiche, Parma 1995, p. 117.
24 Ivi, Dritte Fassung, p. 102; tr. it. cit., pp. 275-276 [tr. mod.]. 28 Ivi, p. 118.
74 clemens-carl härle

Il museo, tradizionalmente deputato a conservare e mostrare quello Immagini corporee


che Benjamin chiamava l’hic et nunc dell’originale, la sua unicità che Riproducibilità e percezione: interscambio tra spazio onirico e spa-
deriva dal fatto che esso esiste materialmente in un unico esemplare – zio immaginativo
opera d’arte, reperto archeologico, documento storico –, si presta par-
Mauro Ponzi
ticolarmente a questa «messa in immagine» generalizzata. Esso cerca
di resistere, ma questa resistenza si rivela per lo più come una vera e
propria capitolazione. Da un lato, oggi si assiste spesso alla sostituzione
dell’originale con copie, benché la copia sia accessibile virtualmente a
qualunque computer e non abbia bisogno del museo per essere mostra-
ta. Il modello in questo senso è il museo di Altamira che, con il pretesto
1. Gli scritti di Benjamin sull’Opera d’arte nell’epoca della sua ri-
di custodire l’originale, mostra il filmato dei disegni neolitici, suggeren-
producibilità tecnica, nelle cinque versioni del saggio, nelle note, ne-
do così la forma del museo e della biblioteca futura che si limiterà alla
gli appunti e materiali successivi, rappresentano un work in progress,
conservazione degli oggetti custoditi delegando la loro consultazione ed
una costellazione che va esaminata tenendo conto dell’insieme1. Nulla
esposizione ai «media». Il museo diventa così una sorta di «complemen-
ci autorizza a considerare l’ultima versione del 1936 (la quinta, nella
to» dei depositi sotterranei per lo stoccaggio delle scorie nucleari: in un
nuova numerazione proposta dalla Kritische Gesamtausgabe) come
caso si tratta di proteggere l’umanità dal danno delle radiazioni mortali,
quella definitiva. La costellazione degli scritti sull’opera d’arte rende
nell’altro di conservare i tesori insostituibili del passato per un’eventuale
possibili molteplici strategie di lettura, in cui, però, non è possibile
umanità futura. Dall’altro lato, di fronte all’ingiunzione di valorizzare i
elidere le altre versioni, proprio perché il lavoro – in progress, come
valori accumulati e, dunque, sottratti alla valorizzazione commerciale –
si è detto – non è stato mai «concluso». Essa offre perciò una serie di
poiché da un punto di vista strettamente capitalistico, il museo è un ana-
spunti che possono essere sviluppati – e sono stati sviluppati – in di-
cronismo –, e con il pretesto di promuovere la «cultura», i musei sono
verse direzioni e resi «utilizzabili» nel tempo presente. Alcune strategie
tentati di presentare le opere in modo da facilitarne l’estetizzazione. In
di lettura, però, sono decisamente da scartare, proprio in virtù di quel
quanto essere sensibile, l’opera d’arte si presta alla neutralizzazione del
«limite dell’interpretazione» di cui ha parlato Umberto Eco.
suo lato incommensurabile, alla sua trasformazione in una facile preda
Tanto Desideri2 quanto Schiavoni3 hanno esaminato la complessa
per la pulsione scopica. Basta inserirla in una rete di narrazioni che sti-
problematica delle varie stesure del saggio e decostruito la leggenda
molano la curiosità degli spettatori e presentarla al pubblico come occa-
della quinta versione come versione «definitiva». Il nucleo da cui par-
sione per la distrazione – magari come sfondo per un selfie – per dotarla
tire è la terza versione (sempre secondo la nuova numerazione) del
del valore espositivo che le manca. La carenza del visibile – On n’y voit
1936, che è servita da base all’edizione francese, l’unica pubblicata
rien, diceva lo storico d’arte francese Daniel Arrasse non a proposito
quando Benjamin era in vita. Queste due versioni (terza e quarta)
del Quadrato bianco su fondo bianco di Malevič, ma a proposito dei
sono il nucleo centrale di questa costellazione di testi, che vanno in-
quadri più eloquenti della grande tradizione rinascimentale –, il vuoto e
tegrati – quasi come un controcanto – con le varianti della quinta
l’assenza sono il più grande ostacolo per il desiderio di riconoscere tutto,
versione e con gli appunti e materiali successivi. Questi ultimi stan-
riconoscersi in tutto e piacersi in questo riconoscimento. Per dimentica-
no in un rapporto di «tensione» con il nucleo centrale degli scritti
re una volta per tutte che il gesto di far vedere ciò che ci rifiutiamo di
vedere, di alludere alle lacune sconosciute nel fragile tessuto del visibile,
di confrontarci con la nostra cecità intima, è uno dei gesti più essenziali 1 Cfr. Massimo Baldi, Nota al testo, in tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, pp. XLVII-LX.
e indispensabili delle opere d’arte, non solo di quelle della cosiddetta 2 Cfr. Fabrizio Desideri, I Modern Times di Benjamin, ivi, pp. VII-XLV.
3 Cfr. Giulio Schiavoni, Guardare in faccia il presente, in tr. Schiavoni, Opera d’arte,
modernità.
pp. 5-39.
76 mauro ponzi immagini corporee 77

sull’opera d’arte – lo «integrano», lo «correggono», talvolta lo con- Nella misura in cui lo sguardo di Benjamin è rivolto allo sviluppo
traddicono. Così come il nucleo centrale è il risultato di un percorso, delle tendenze in atto, della sovrastruttura nella terminologia marxia-
di cui si possono chiaramente individuare le tappe ne La dottrina na, esso è di natura «prognostica», vuole individuare gli sviluppi futuri
della similitudine (1933) e in L’autore come produttore (1934), dove di simili tendenze. La natura politica del suo saggio è chiaramente indi-
si trovano infatti elementi di intertestualità con il saggio sull’opera cata dalla volontà di «decostruire» concetti tradizionali quali «creativi-
d’arte. Il «rapporto carico di tensione» e la ricomparsa di brani in tà», «genialità», «valore eterno» e «mistero», che sono di derivazione
forma di autocitazione o di montaggio di testi preesistenti sono due romantica e che, negli anni Trenta, facevano parte della «concezione
aspetti della metodologia di Walter Benjamin. fascista dell’arte», per sostituirli con dei concetti «completamente inuti-
Nel paragrafo iniziale del saggio – che è stato tagliato nell’edizione lizzabili ai fini del fascismo» e utilizzabili invece «per la formulazione di
francese – Benjamin cita direttamente Marx, e precisamente il rapporto istanze rivoluzionarie nella politica dell’arte»5. La terza stesura del sag-
tra struttura e sovrastruttura – uno dei cardini del dibattito tra gli in- gio è costellata da una serie di lunghe note, che in parte sono state ridot-
tellettuali di sinistra del 1935 –, indicando in tal modo la sua intenzio- te o cancellate nell’edizione francese, che sono un po’ un controcanto
ne di voler trattare la vexata quaestio tra arte e politica, tra ideologia politico alle argomentazioni del testo che si muovono prevalentemente
e rapporti di forza economico-sociali. Benjamin usa i termini marxiani su un terreno di teoria della comunicazione. Le note sono l’esplicita-
Überbau e Unterbau, che solitamente vengono tradotti con «struttu- zione dell’aspetto politico dei radicali cambiamenti nell’articolazione
ra» e «sovrastruttura» e che hanno avuto alterne fortune nel dibattito interna dei linguaggi artistici e nella loro percezione (Wahrnehmung)
tra gli intellettuali marxisti a partire dagli anni Trenta. Gli «ortodos- da parte del pubblico. Non hanno un carattere accessorio e ridondante,
si» (cioè gli stalinisti e i fautori del realismo socialista) vedevano un ma fanno da contrappeso alle argomentazioni teoriche del testo, che
rapporto meccanico tra i due termini (e quindi un rapporto di stretta a volte sembrano molto astratte e che, così, vengono contestualizzate
dipendenza tra politica e arte); i «dissidenti» (cioè i «formalisti» vici- all’interno del dibattito politico-culturale sulla funzione sociale dell’arte
ni alle avanguardie artistiche) interpretavano la sovrastruttura come che caratterizzava i circoli degli intellettuali di quegli anni.
un’espressione della struttura (e quindi attribuivano all’«ideologia» e L’opera d’arte è stata sempre riproducibile, ma è sussistita sempre
all’arte un’autonomia in grado di anticipare la realtà e di progettare una sostanziale differenza, soprattutto nella percezione del fruitore,
la «struttura»). Marx parla infatti di Bau, Unterbau e Basis per indi- tra l’originale e la copia. Con la fotografia (e con il cinema) assi-
care la struttura materiale della produzione e di Überbau per indicare stiamo a una vera e propria rivoluzione: la riproducibilità tecnica
la sovrastruttura ideologica, politica, giuridica, filosofica, artistica che dell’opera d’arte determina il «deperimento» dell’aura6. Va qui no-
«giustifica» – secondo Benjamin «esprime» – l’apparato di produzio- tato, di sfuggita, che Benjamin utilizza lo stesso termine (Verfall/ver-
ne materiale. Benjamin pone quindi il problema del rapporto (e della fallen) tanto caro a Lukács e ai nostalgici della tradizione – si pensi
differente velocità di sviluppo) tra struttura e sovrastruttura, cioè del a Thomas Mann e agli altri autori che parlavano continuamente di
rapporto tra le condizioni materiali della produzione e dei rapporti di «decadenza dell’Occidente»7 –, ma in un senso opposto: prendendo
classe e la produzione artistica. È evidente che Benjamin nel suo saggio atto di un processo materiale che ha cambiato le condizioni di pro-
vuole sganciare la produzione artistica da qualsiasi rapporto meccani-
co con la «struttura», cioè con la produzione dei beni materiali o con e realtà, tra vero e falso, e riecheggia le problematiche trattate nel saggio sulle Affinità
le condizioni politico-sociali, per focalizzare invece i radicali cambia- elettive. La citazione da Valéry, invece, sottolinea le trasformazioni materiali intervenute
nella produzione artistica del moderno, che hanno modificato la concezione dello spazio,
menti intervenuti nella produzione, nell’articolazione interna e nella
del tempo e della materia stessa.
percezione dell’opera d’arte dovuta alla sua riproducibilità tecnica4. 5 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 97; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 46.
6 Ivi, p. 102; tr. it. cit., 52.
7 Cfr. Mauro Ponzi (a cura di), Klassische Moderne. Un paradigma del Novecento,
4 Il motto, tratto dalla scrittrice francese Claire de Duras e sostituito nella stesura suc-
Mimesis, Milano 2009.
cessiva (la quinta) da una citazione di Valéry, vuole sottolineare la differenza tra apparenza
78 mauro ponzi immagini corporee 79

duzione e di percezione dell’opera d’arte. L’aura «deperisce» perché metà del Novecento. Ognuno ha infatti tentato di «piegare» questo
talvolta – ma nel film e nella fotografia sempre –, se è definibile il qui doppio fenomeno della massificazione della cultura e della riprodu-
e ora dello scatto, non è però identificabile l’originale: la lastra della cibilità tecnica dell’opera d’arte alla propria strategia narrativa e al
macchina fotografica, il negativo del film, non sono l’originale in sen- proprio discorso teorico. La strategia delle neoavanguardie, ad esem-
so tradizionale, non hanno un’«aura», tutte le copie sono originali e pio – che volevano rendere «inutilizzabile» l’opera d’arte mediante la
autentiche. Tutti i concetti dell’estetica tradizionale non valgono più. produzione di un linguaggio artistico che sottolineasse l’incomunica-
Benjamin considera lo sconvolgimento della tradizione una palinge- bilità per impedire la massificazione e la banalizzazione della cultura,
nesi con un valore rivoluzionario e catartico. e quindi, in sostanza, per comunicare solo l’afasia –, finiva per espri-
La modalità in cui si realizza la percezione umana – il medium mere, sia pure paradossalmente e provocatoriamente, la nostalgia per
in cui essa si realizza – non è condizionata solo in senso naturale, l’aura, volendo, appunto, impedire che le masse si «appropriassero»
ma anche in senso storico, cioè cambia con il cambiare dei mezzi dell’arte11. D’altro canto, invece, l’arte di consumo ha seguito la via
di comunicazione e della tecnica di produzione delle opere d’arte. Il opposta per produrre «merci» che andassero incontro ai desideri e
decadimento dell’aura ha a che fare con la cultura di massa. Le masse all’immaginario delle masse, che fossero in grado di diventare dei
vogliono «spogliare l’oggetto del suo involucro», lo sgretolamento feticci e di essere diffuse e vendute in grande quantità. Molto spes-
dell’aura è una «segnatura della percezione», mediante la riprodu- so si dimentica il contesto culturale in cui questo saggio – o questa
zione la strappa a ciò che unico8. Benjamin non parla quindi di «per- costellazione di scritti – è stato prodotto: si tratta del tentativo di
dita» dell’aura con tono nostalgico, bensì di «decadimento» (Ver- Benjamin di fornire una base storica e teorica al problema del rap-
fall), «sgretolamento» (Zertrümmerung), in senso quasi statistico e porto tra struttura e sovrastruttura che era al centro delle polemiche
«oggettivo»9. Il fenomeno è legato alla diversa percezione dell’opera tra gli intellettuali di sinistra alla metà degli anni Trenta. E, proprio
d’arte da parte delle masse (al loro desiderio di «portare vicino sé le in quest’ambito, Benjamin vuole combattere la visione stalinista di
cose») e alla riproducibilità tecnica che strappa l’opera d’arte «a ciò un rapporto meccanico tra situazione politico-sociale e arte, vuole
che è unico». Da un lato, quindi, ci troviamo di fronte a un fenomeno attribuire al linguaggio artistico una sua autonomia werkimmanent
storico, tecnico, oggettivo: nel film, nella fotografia, non ha più senso e, per dirla in termini marxisti, vuole sottolineare la capacità dell’arte
parlare di «originale» e «copia»10. D’altro lato, però, è cambiato di criticare la società, la politica, l’economia, cioè la sua capacità di
proprio il modo di percepire tutte le opere d’arte, anche quelle tradi- porsi in termini critici rispetto all’esistente e di progettare, anche in
zionali, proprio a causa della loro riproducibilità tecnica che ne fa un senso utopico e visionario, il futuro, «andando oltre» le «strutture»
altro oggetto, un’altra merce con il suo carattere di feticcio veicolato socio-economiche del presente.
proprio dalla riproduzione. I due fenomeni – le masse come recettori L’autore come produttore può essere considerato un lavoro pre-
e la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte – sono nel moderno stret- paratorio al saggio sull’opera d’arte. È, per così dire, la faccia espli-
tamente intrecciati e hanno determinato un nuovo modo di percepire citamente «politica» del suo ragionamento sulla funzione dell’arte.
l’arte e l’esigenza di sviluppare nuovi linguaggi artistici. E, infatti, si tratta del testo per un discorso tenuto il 27 aprile 1934
Si è detto e scritto che il saggio sull’opera d’arte di Benjamin è presso l’Istituto per lo studio del fascismo di Parigi, un anno prima
stato quello più citato – e molto spesso a sproposito – nella seconda del congresso degli scrittori rivoluzionari. Trattandosi di un discorso

8 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 103; tr. it. cit., p. 53. 11 Benjamin definisce l’art pour l’art una «teologia dell’arte». La teoria dell’art pour
9 «Was im Zeitalter der technischen Reproduzierbarkeit des Kunstwerks verkümmert, l’art ha prodotto una «teologia negativa […] nella forma dell’idea di un’arte “pura”» (che
das ist seine Aura»; ivi, p. 100 [corsivo mio]; tr. it. cit., p. 50 [tr. mod.]. le avanguardie e le neoavanguardie definiscono «rigorosa»), «che rifiuta non solo ogni fun-
10 Non si può certo cercare l’aura di una foto nel negativo o quella di un film nella zione sociale, ma anche ogni determinazione attraverso un modello oggettivo. Nella poesia
pellicola non ancora sviluppata. Mallarmé ha raggiunto per primo questa posizione». Cfr. ivi, p. 104; tr. it. cit., p. 54.
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nel bel mezzo di un dibattito politico sulla funzione dell’arte nella questo campo si compie in Benjamin la rottura teorica col nihilismo
società moderna, le argomentazioni di Benjamin sono nette, meno nietzscheano16. Il mitico, il magico, lo sciamanico vanno abbandona-
raffinate del solito, quasi apodittiche. Il che ci aiuta a capire il percor- ti in nome della produzione di un codice artistico. L’autore non è un
so concettuale che lo ha portato a scrivere il saggio sul Kunstwerk. «creatore» che attinge al mondo mitico-magico, ma un «produttore»
Benjamin distingue tra tendenza (politica) e qualità (letteraria) di segni che attinge al Bildraum, allo spazio immaginativo, che sarà
dell’opera d’arte12. Egli si propone di dimostrare che un’opera che pure popolato da Traumbilder, immagini oniriche e da Traumkitsch,
palesi la giusta tendenza deve rivelare ogni altra qualità, cioè che da immagini che derivano dalla pubblicità, ma che vengono «rifun-
la politicità di un’opera d’arte risiede nella sua qualità letteraria. zionalizzate» e «montate» in un contesto che ha lo scopo di «portare
La tendenza di una poesia può essere politicamente giusta solo se è alla luce» le dinamiche della comunicazione artistica e per ciò stesso
giusta anche letterariamente. Quando, in polemica con i sostenitori di «esprimere» la struttura dell’epoca «che è sotto i nostri occhi».
del realismo che volevano distinguere tra forma e contenuto, Benja- «Nell’istante in cui nella produzione artistica viene meno il metro
min sostiene che invece di chiedersi qual è la posizione di un’opera dell’autenticità, l’intera funzione sociale dell’arte» cambia radical-
rispetto ai rapporti di produzione bisogna chiedersi qual è la sua mente. «Al posto della sua fondazione sul rituale deve subentrare la
posizione in essi, vuole porre l’accento sulla tecnica letteraria delle sua fondazione su un’altra prassi: vale a dire la sua fondazione sulla
opere d’arte13. Benjamin sostiene che l’autore non è un «creatore», politica»17. Benjamin distingue tra valore cultuale e valore espositivo
ma un «produttore», quasi anticipando la distinzione tra la prima e dell’arte. La prima tecnica è funzionale a una concezione auratica,
la seconda tecnica14. L’intertestualità di questa costellazione di scritti mitico-magica e rituale dell’arte; la seconda tecnica è determinata
sull’opera d’arte si misura anche dal fatto che spesso Benjamin cita, dalla riproducibilità e ha aumentato a dismisura l’«esponibilità»
esplicitamente o implicitamente, se stesso. Ci sono frasi o interi brani dell’opera d’arte. Se la prima tecnica impiega il più possibile l’uomo
che ritornano. Nella polemica contro i sedicenti scrittori rivoluzio- e la sua «prodezza» consiste nel sacrificio umano, la seconda tecnica
nari «a sinistra di tutto», egli cita un brano del suo saggio Malin- impiega la macchina, si distanzia dalla natura e trova la sua essenza
conia di sinistra, in cui li definisce «un fenomeno di disgregazione nel gioco. «Il cinema serve a esercitare l’uomo in quelle appercezio-
borghese»15. ni e reazioni determinate dal rapporto con un’apparecchiatura»18.
Nel saggio sul Kunstwerk Benjamin sostiene che il valore rituale e Benjamin considera il cinema una rivoluzione, gli attribuisce un ca-
auratico dell’opera d’arte, che proviene dalla tradizione, sopravvive rattere liberatorio (evidentemente una liberazione dal mitico-magico)
nella sua forma secolarizzata anche nelle forme più profane di cul- e sottolinea il carattere collettivo di questa trasformazione nella per-
to della bellezza. Ossia, le scelte di estetizzazione dell’arte – quelle, cezione del prodotto artistico.
per intenderci, fatte da Leni Riefenstahl nel cinema, in letteratura Da questo passo sembrerebbe che la seconda tecnica sia applicabi-
da Thomas Mann, da George, da Jünger e persino da Marinetti con le in maniera preferenziale al cinema, dove il principio di riproducibi-
la sua estetizzazione della guerra – sono scelte reazionarie e fasciste lità è pienamente sviluppato. Il cinema esercita l’uomo alla percezio-
che concepiscono l’arte in forma cultuale e sciamanica. Proprio in ne della tecnica determinata dal rapporto con l’apparecchiatura e lo
libera dalla prima tecnica, ossia dalla dipendenza dal mitico-magico.
Il gioco che ne deriva sembra somigliare al gioco dei codici lingui-
12 Cfr. W. Benjamin, Der Autor als Produzent, GS II (1977), 2, pp. 683-701: 683; tr.
stici da decifrare (una sorta di plaisir du text o plaisir des jeux, in
it. di A. Marietti Solmi, L’autore come produttore, in Aura e choc. Saggi sulla letteratura
dei media, a cura di Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Einaudi, Torino 2012, pp. 147-
162: 147. 16 Cfr. M. Ponzi, Organizzare il pessimismo. Walter Benjamin e Nietzsche, Lithos,
13 Ivi, p. 686; tr. it. cit., p. 149. Roma 2007.
14 Ivi, pp. 692-693; tr. it. cit., p. 155. 17 Cfr. Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 104; tr. it. cit., p. 55.
15 Ivi, p. 695; tr. it. cit., p. 157. 18 Ivi, p. 108; tr. it. cit., p. 59.
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tedesco Schaulust), ma anche al gioco da esercitare nel tempo libero, sia una riflessione – malinconica quanto si vuole – sulla riproducibilità
nel tempo liberato dal lavoro, dallo sfruttamento, di cui parla Marx tecnica e sulle sue conseguenze sulla produzione delle opere d’arte.
quando descrive la società senza classi19. Questo carattere liberatorio Nell’atto della ripresa non c’è nessuna aura, ma solo performance di
della seconda tecnica si colora di venature utopiche anche perché in fronte alla macchina da presa. L’aura può intervenire nel momento del-
forte contrasto con il passo precedente, in cui Benjamin ipotizza l’as- la fruizione del prodotto da parte del pubblico. L’attore teatrale recita
sunzione di nuovi significati di questo prodotto (il film) e dell’opera davanti al pubblico, la sua recitazione ha la caratteristica dell’unicità.
d’arte in generale nel futuro, quando la valenza artistica potrebbe L’attore cinematografico recita di fronte a una macchina, può ripetere
diventare irrilevante («accessoria»)20. Quindi Benjamin prospetta un la scena un’infinità di volte, la sua performance viene tagliata e mon-
esito ambivalente per lo sviluppo di questa seconda tecnica: può por- tata. Nel rovesciare il velato distacco di Pirandello dalla macchina,
tare a una liberazione e a una situazione rivoluzionaria, ma anche a Benjamin utilizza argomentazioni brechtiane: nella sua teoria si sente
una situazione di nuovo commerciale, pubblicitaria o ideologica, in l’eco dell’effetto di straniamento22.
cui potrebbe riaffiorare la valenza cultuale e quindi mitico-magica
della prima tecnica. Benjamin non aveva sotto gli occhi l’esperienza
hollywoodiana in tutti i suoi dettagli, ma aveva intuito la possibilità 2. Nella tradizione, di fronte a un numero esiguo di scrittori c’e-
dei nuovi media (radio e cinema) di essere usati come persuasori di ra un numero centuplicato di lettori. Con lo sviluppo della stampa,
massa e di creare nuovi miti e nuovi culti. dei giornali e delle riviste una gran parte dei lettori entra nel novero
Per sottolineare il rapporto con l’«apparecchiatura» Benjamin cita degli scrittori. La distinzione tra autore e pubblico è sul punto di
il romanzo di Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore scomparire. Quello che è accaduto nella letteratura accade oggi nella
(1925), pubblicato inizialmente nel 1916 con il titolo di Si gira, che fotografia e nel film. Nei social networks tutti riproducono la propria
probabilmente ha letto in edizione francese con il titolo di On tourne21. immagine e tutti filmano se stessi. L’affermazione paradossale che
Serafino Gubbio è un uomo-macchina, si identifica con la macchina, ciascuno ha il diritto ad essere filmato non sembra corrispondere a
ma ne vede tutti gli effetti «disumanizzanti», negativi. Benjamin rove- un processo liberatorio o rivoluzionario. Sembra piuttosto un pro-
scia la valenza pirandelliana e se ne serve per accentuare il rapporto cesso dettato da uno sfrenato narcisismo. La natura che parla alla
con l’apparecchiatura come esempio di liberazione dalla prima tec- cinepresa è diversa da quella che parla all’occhio. Lo sguardo della
nica. Pirandello sembra protestare ironicamente contro la diffusione cinepresa è basato sul gioco, sulla «trasfigurazione» della realtà, sulla
delle macchine, contro il fatto che esse progressivamente sostituiscono sua trasformazione in metafora, sulla sua trascrizione in un linguag-
il lavoro dell’uomo e sembra andare nella direzione opposta a quella gio artistico. «Al posto dello spazio intessuto dall’uomo mediante
di Aragon nel Paysan de Paris, che Benjamin cita continuamente nel coscienza, subentra uno spazio intessuto inconsciamente»23.
Passagen-Werk. Ma Benjamin è affascinato dal fatto che il romanzo L’arte è uscita dalla «bella apparenza»: «nella mimesis sono so-
sia ambientato dentro il processo di produzione filmica, sul set, che piti, ripiegati l’uno nell’altro, entrambi i lati dell’arte: apparenza e
gioco»24. L’apparenza è lo schema più affinato, e con ciò più resi-
19 Le origini della concezione dell’arte come gioco sono molteplici e hanno una lunga stente, di tutti i procedimenti magici della prima tecnica, mentre il
tradizione nella cultura tedesca. Schiller, nel frammento 26 delle Lettere sull’educazio- gioco è la riserva inesauribile di tutti i procedimenti sperimentali del-
ne estetica, parla di Spieltrieb, Winckelmann sostiene che il valore «educativo» dell’arte
debba possedere anche un aspetto «dilettevole». Brecht è convinto che il teatro abbia una
funzione politica, ma che non debba mai abbandonare un certo grado di «piacevolezza». 22 Bisogna sottolineare come la teoria di Brecht sul cinema sia invece un po’ diversa e

Il gioco verbale delle avanguardie (soprattutto dei dadaisti) è stato spesso paragonato al forse più complicata e problematica. Su questo cfr. Erdmut Wizisla, Benjamin und Brecht.
gioco infantile. Die Geschichte einer Freundschaft, Suhrkamp, Berlin 2004.
20 Cfr. ivi, pp. 108-109; tr. it. cit., pp. 58-59. 23 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 131; tr. it. cit., p. 81.
21 Cfr. ivi, nota 1, p. 117; tr. it. cit., nota 13, p. 68. 24 Ivi, nota 1, pp. 119-120; tr. it. cit., nota 15, p. 71.
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la seconda25. Nel breve scritto Dottrina della similitudine (1933), imitare – usa quindi la facoltà mimetica – il dispiacere del distacco
Benjamin parla della facoltà mimetica che si esplica nel gioco dei dalla madre e il piacere di rivederla. Il meccanismo di percezione
bambini quando imitano le azioni degli adulti o le esperienze di vita. dell’opera d’arte con la seconda tecnica viene spiegato da Benjamin
All’interno di questa costellazione di scritti (e nei materiali prepara- attraverso questo «gioco» del modello freudiano. Non è dunque la
tori del Passagen-Werk, in maniera ancora più esplicita) il gioco e «nuda vita» e nemmeno l’Erlebnis del soggetto che vengono rappre-
la facoltà mimetica vanno messi in relazione alla dottrina di Freud. sentate nell’opera d’arte e nel gioco infantile (e tantomeno il «sogno»
Benjamin scrive che «l’universo percettivo dell’uomo moderno sem- romantico), bensì la proiezione di una pulsione (quella che in inglese
bra contenere molte meno magiche corrispondenze rispetto a quelle definiscono distortion e in tedesco Entstellung) per cui Sigrid Wei-
degli uomini primitivi»26. Freud parla della psiche dell’uomo moder- gel parla di «distorted similitudes» o di «entstellte Ähnlichkeit»27.
no che ripete i passaggi dell’uomo primitivo preistorico. Benjamin La predisposizione mimetica di un tempo, la chiaroveggenza, si è
sostiene la tesi che si debba parlare di una compiuta trasformazione progressivamente trasferita nel linguaggio e nella scrittura che ci ha
della facoltà mimetica. Il canone attraverso cui si può far luce sulla fornito il più completo archivio della similitudine non sensibile.
facoltà mimetica è il linguaggio. E il linguaggio esprime (consciamen- La produzione di immagini ha la sua origine nella psicoanalisi: è il
te o inconsciamente) le pulsioni (e anche i traumi) del parlante in una modo in cui l’inconscio cerca di comunicare (o meglio di «esprimere»)
serie di simboli o icone o immagini che sembrano incomprensibili. le pulsioni attraverso una loro metaforizzazione, una rappresentazio-
La scrittura diventa, assieme al linguaggio, archivio di similitudini, ne attraverso immagini simboliche nel sogno. Si produce quindi uno
di corrispondenze non sensibili. Quando Benjamin, nel saggio sull’o- spazio onirico (Traum-Raum), a cui attinge a piene mani la comuni-
pera d’arte, parla di gioco, sembra alludere al gioco dei dadaisti e al cazione artistica e la comunicazione in generale. Lo spazio immagina-
gioco infantile. Ma il gioco infantile e la sua facoltà mimetica che tivo (Bildraum) è uno spazio corporeo (Leibraum), scrive Benjamin
nasconde l’inconscio, che anzi spesso è una proiezione di un dispia- nel saggio sul surrealismo28. Parla di «antropologia materialistica»
cere o di un trauma, vanno interpretati alla luce degli scritti di Freud. e fa riferimento alla Psyche come physische Kreatur dell’interiorità
In Al di là del principio di piacere, Freud spiega i meccanismi di dell’uomo, cioè fa esplicito riferimento all’«io corporeo» freudiano,
difesa della psiche – anzi scrive proprio della «corteccia celebrale» – al fatto che le pulsioni affiorano nella corporeità dell’uomo nella sua
nei confronti degli stimoli esterni (degli choc provocati dalle grandi mente (nella «corteccia celebrale» di cui Freud parla in Al di là del
trasformazioni del moderno, nella terminologia benjaminiana). Ma principio di piacere), per cui le immagini (i Denkbilder) attraverso le
parla anche di proiezione, ossia di quel fenomeno per cui la psiche quali avviene la comunicazione del moderno, hanno un aspetto cor-
tende ad applicare gli stessi meccanismi di difesa nei confronti de- poreo, sono prodotti dalla fisicità dell’individuo. L’«innervazione»,
gli stimoli interni che provengono dal profondo, provocando uno di cui parla Benjamin tanto in Strada a senso unico29 quanto nel sag-
«spostamento», facendo l’esempio del gioco infantile. Il bambino che gio sull’opera d’arte, non è una forma sociale di vita, è bensì questa
getta via i giocattoli e si attende che qualcuno glieli riporti vuole solo corporeità dei processi psichici che producono immagini e concetti

25 Il gioco ritorna spesso negli scritti benjaminiani: talvolta legato alla compressione del 27 Sigrid Weigel, Body and Image-Space. Re-reading Walter Benjamin, Routledge,

tempo, talvolta legato al gioco d’azzardo. In Ombre corte II Benjamin parla esplicitamente London-New York 1996, p. 118. Cfr. anche la versione tedesca: Ead., Entstellte Ähnli-
del gioco d’azzardo (cfr. Id., Kurze Schatten, in GS IV (1972), 1, pp. 425-428: 426-7; tr. it. di chkeit: Walter Benjamins theoretische Schreibweise, Fischer, Frankfurt a. M. 1997.
G. Schiavoni, Ombre Corte [II], in OC V (2003), pp. 433-436: 434). Nel Passagen-Werk il 28 W. Benjamin, Der Sürrealismus. Die letzte Momentaufnahme der europäischen In-

tema del gioco d’azzardo riaffiora più volte (cfr. su questo M. Ponzi, La psicologia del gioca- telligenz, in GS II, 1, pp. 295-310: 309; tr. it. di A. Marietti Solmi, Il surrealismo. L’ultima
tore d’azzardo. La «Jetzt-Zeit» e il «carattere distruttivo» del moderno nel «Passagen-Werk» istantanea sugli intellettuali europei, OC III (2010), pp. 201-214: 213.
di Walter Benjamin, in «Studi Tedeschi», a. XXXIII, 3, Napoli 1990, pp. 75-102). 29 Cfr. Id., Einbahnstraße, in WN 8 (2009), a cura di D. Schöttker, con la collabora-
26 Cfr. W. Benjamin, Lehre vom Ähnlichen, GS II, 1, pp. 204-210: 206; tr. it. di F. Bo- zione di S. Haug, pp. 11-76: 44; tr. it. di B. Cetti Marinoni, Strada a senso unico, in OC II
arini, Dottrina della similitudine, in Aura e choc, cit., pp. 141-146: 142. (2001), pp. 409-463: 436. Cfr. anche S. Weigel, Body and Image-Space, cit., p. X.
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e che rendono le immagini stesse (nonché le eventuali nevrosi) degli del passato che balena nell’attimo della conoscibilità è legata al suo
«oggetti», delle «cose» materialmente concrete. Insomma Benjamin aspetto mnemonico. È un’immagine che balena nel momento del pe-
vuole escludere qualsiasi interpretazione «mitica» del sogno e della ricolo e che fa scattare una sorta di memoria involontaria. Il linguag-
produzione di immagini che possa essere ricondotta a un’imposta- gio spaziale dell’aura, con la sua dinamica tra lontananza e vicinan-
zione romantica o neoplatonica, e sottolinea ripetutamente – direi fin za, è una metafora che caratterizza la duplicità insita nella Jetztzeit31.
quasi alla noia – la valenza politica di questa impostazione. Nell’adesso della conoscibilità passato e presente si fondono senza
Aristotele, nel De anima, parla di immagini mnemoniche (imagines mediazione, cioè, senza distanza tra loro. Così come nella combi-
agentes) con la funzione di attivare il ricordo. Freud rovescia questo nazione di immagine, corpo e spazio è in gioco il raggiungimento
principio aristotelico. Le immagini incastonate e memorizzate nell’in- di questa attualità (che vuol dire presenza, Vergegenwärtigung), che
conscio assumono una funzione di simbolo, emergono dalla memoria si contrappone decisamente all’empatia (Einfühlung): una tecnica di
inconscia come indecifrabili. La difficile leggibilità dei sogni, la necessità vicinanza e distanza, uno scambio metabolico tra materia e imma-
di decifrarli, di andare oltre il loro sistema di segni, è data dal fatto che gine32. In uno scritto del 1922-23 (Schemata zum psychophysischen
essi usano un linguaggio in parte legato alle esperienze e alle pulsioni Problem) Benjamin insiste sulla funzione corporea della differenzia-
del soggetto, in parte al Traumkollektiv, a un patrimonio collettivo di zione degli impulsi provenienti dalla eccitazione psichica, facendo
immagini. Questa doppia provenienza rende il linguaggio dell’incon- evidentemente riferimento a Freud33. La memoria è dunque iscritta
scio sempre più enigmatico. Scrivere una storia dei sogni significa scri- nella corporeità del soggetto (tanto nel produttore quanto nel fruito-
vere una grammatica delle immagini oniriche. In questo senso c’è un re) come insieme di tracce permanenti, «che strutturano, in risposta
parallelismo tra il procedimento di Benjamin e quello di Freud: ambe- a certe percezioni, la ripetizione di affetti e immagini mentali ad esse
due vogliono decifrare il linguaggio simbolico dei sogni. Freud per un associate, per cui questa ripetizione non è mai la ripetizione dell’u-
fine terapeutico, Benjamin per comprendere i meccanismi del linguaggio guale, ma sempre un “altro” ritorno, il ritorno dell’Altro»34.
della comunicazione artistica e culturale e della comunicazione in gene- Le immagini mentali (Denkbilder) e le immagini artistiche, nonché
rale nell’epoca moderna. Questa considerazione dell’io corporeo come le proiezioni delle pulsioni in forma di immagine, diventano linguag-
oggetto, come materia, come «cosa», e la conseguente considerazione gio figurato, emblemi, allegorie, e rivelano la loro natura mnemonica,
materiale delle immagini oniriche e delle immagini della comunicazione allorché vengono immagazzinate nella memoria dello spazio imma-
artistica, che comporta il porre l’accento sul «risveglio», ossia sul mo- ginativo. Esse vanno decifrate. Weigel sostiene che c’è uno scambio
mento in cui ci si chiede l’origine di queste immagini (il che coincide in (reversal) tra il linguaggio e i concetti di Freud e il linguaggio e i con-
parte con la terapia psicoanalitica, in parte con l’analisi letteraria per cetti di Marx nella prosa di Benjamin35. La necessità di decifrare le al-
decifrare il linguaggio onirico), stanno alla base della volontà, espressa legorie (o le metafore o i simboli), che sono in sostanza i Denkbilder,
da Benjamin nel Passagen-Werk, di scrivere la storia dei sogni, ossia la espone al rischio di una leggibilità che tradisce o potrebbe tradire l’in-
storia dell’immaginario collettivo. E tale spostamento dal mondo dei tenzione dell’autore (o la funzione della rimozione, della proiezione
sogni al momento del risveglio e dell’analisi dei codici linguistici viene o della sublimazione). Perché è vero che l’autore inserisce nel testo
definito da Benjamin «rivoluzione copernicana».
Il mondo e il materiale primario delle idee e del pensiero sono in 31 Cfr. James McFarland, Constellation. Friedrich Nietzsche & Walter Benjamin in the

atto nella compenetrazione corporea del soggetto pensante. La com- Now-Time of History, Fordham University Press, New York 2013, p. 245.
32 Cfr. S. Weigel, Body and Image-Space, cit., p. 17.
penetrazione di pensiero e azione costituisce «l’attualità universale 33 W. Benjamin, Schemata zum psychophysischen Problem, GS VI, 1, pp. 78-87: 78; tr.
e integrale» – come scrive nel saggio sul surrealismo30. L’immagine it. di D. Gentili, Schemi sul problema psicofisico, in W. Benjamin, La politica e altri scritti,
Mimesis, Milano-Udine 2016, pp. 74-83: 74.
34 S. Weigel, Body and Image-Space, cit., p. 140.
30 Cfr. W. Benjamin, Der Sürrealismus, GS II, 1, p. 310; tr. it. cit., p. 214. 35 Ivi, p. 9.
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artistico la chiave per decifrare la sua strategia di scrittura, ma, nella specifici»39. Questo significa che, nell’arte come nella politica, non
misura in cui utilizza il patrimonio delle immagini che provengono solo è in atto una radicale trasformazione della produzione del lin-
dallo spazio onirico e dallo spazio della comunicazione sociale (non- guaggio (artistico e politico) dovuto alle nuove tecniche e alla «tra-
ché dalle figurazioni simboliche delle sue pulsioni), il testo acquista sportabilità» della riproduzione delle immagini, che rende il discorso
una polisemia che va ben al di là dell’Erlebnis dell’autore e delle sue politico e la recitazione dell’attore una performance, un test di fronte
intenzioni artistiche. Benjamin ha elaborato questa teoria della leggi- alle masse, ma anche che, per ciò stesso, c’è un nuovo modo di per-
bilità in relazione alla memoria corporea. La sua teoria dell’immagine cepire l’arte e la politica. Questo produce una nuova selezione, una
dialettica sottolinea la prassi della lettura, «giacché è solo la lettura selezione di fronte all’apparecchiatura, il cui risultato sono il campio-
che costituisce il già-stato, in primo luogo producendolo come imma- ne, la star e il dittatore.
gine. Non si tratta tanto di una memoria di immagini, di una pratica Questa «trasportabilità» rende quindi preminente il nuovo modo
di ricordo “in relazione a”, e con l’ausilio di immagini. È piuttosto di ricezione, per cui messaggi (artistici e politici) «passano» attraverso
la struttura stessa del ricordo che viene trasportata all’interno di uno nuovi canali, nei quali l’argomentazione è mediata dalla performance
spazio immaginativo e che ha il carattere di immagine»36. Benjamin comunicativa che può far riemergere la prima tecnica con la sua mi-
parla di metaforizzazione, di carica esplosiva, di sviluppo della fo- tizzazione e il suo valore cultuale. È chiaro che quando Benjamin par-
tografia. Ciò che è decifrabile in questo processo non è tanto la co- la di «dittatori» ha in mente Hitler o Stalin, ma le sue considerazioni
noscenza del passato, quanto piuttosto il residuo «di un mondo di riguardano la riproducibilità tecnica che ha modificato radicalmente
sogno», il desiderio-simbolo di un’epoca in rovina37. la comunicazione. Egli aveva intuito che le forme di rappresentanza
della democrazia borghese stavano per essere svuotate di significato a
favore di una comunicazione politica populista, tutta basata sulle ca-
3. «Lo sconcerto (Befremden) dell’interprete di fronte all’apparec- pacità «espositive» della performance del «capo». Queste considera-
chiatura (Apparatur) descritto da Pirandello»38 «spiazza» l’uomo di zioni valgono per l’epoca seguente: oggi le argomentazioni politiche
fronte alla propria immagine allo specchio, perché questa immagine non hanno più peso, vale molto più la capacità «comunicativa» del
è separabile da lui, diventa trasportabile, viene trasportata di fronte personaggio politico, la sua capacità performativa davanti ai media,
alle masse. Così anche l’uomo politico è «esponibile» alle masse me- dove la battuta, l’iperbole, la promessa, il facile slogan, la capacità di
diante la radio e il cinema. Benjamin ha intuito il mutato rapporto «bucare lo schermo» vale molto più di qualsiasi dato reale.
tra cittadini e potere dovuto ai nuovi media già nel 1924 a Napoli, Attraverso il capitale cinematografico, infatti, le capacità rivolu-
quando aveva ascoltato i discorsi di Mussolini alla radio, e aveva zionarie di questo controllo vengono trasformate in senso controri-
avuto modo di verificare l’uso politico del cinema (e dei cinegiornali) voluzionario. Il culto della star esprime lo splendore del suo carattere
da parte di Hitler dopo il 1933. «La radio e il film trasformano non di merce. Il culto del pubblico favorisce l’indole corrotta della massa
solo la funzione dell’interprete professionista, ma altrettanto la fun- che il fascismo cerca di sostituire alla coscienza di classe. La coscien-
zione di colui che, come fa “l’uomo politico”, interpreta se stesso di za di classe proletaria trasforma la struttura della massa proletaria
fronte a essi. La direzione di questa trasformazione è uguale nell’at- nella rappresentazione dei suoi sopraffattori. Nel momento in cui il
tore cinematografico e nel politico, malgrado i loro diversi compiti proletariato intraprende la propria lotta di liberazione la sua massa
è già sciolta: passa all’azione. La solidarietà abolisce la contrapposi-
zione a-dialettica individuo-massa. La più grande prestazione di un
36S. Weigel, Body and Image-Space, cit., p. 143. capo rivoluzionario non consiste nel trascinare le masse verso di sé,
37W. Benjamin, Paris, die Hauptstadt des XIX. Jahrhunderts, GS V (1982), 1, p. 59; tr. it. di
R. Solmi, Parigi, la capitale del XIX secolo, in I «passages» di Parigi, OC IX (2000), pp. 17-18.
38 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 122; tr. it. cit., p. 72. 39 Ivi, nota 1, pp. 121-122; tr. it. cit., nota 16, p. 72.
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ma nel farsi sempre più includere nelle masse40. Questo carattere pa- legata all’industria del tempo libero: di fronte all’obiezione che, nella
lingenetico della seconda tecnica usata dai proletari è forse in linea realtà, i milionari non sposano le segretarie, i produttori cinemato-
con l’atmosfera marxista del convegno degli scrittori rivoluzionari, grafici rispondevano che le segretarie (e le impiegate in generale) non
ma è fortemente venata di utopia. avevano voglia di trascorrere il loro tempo libero a vedere dei film
Grazie alla tecnica cinematografica noi facciamo per la prima volta che rappresentavano la triste storia delle segretarie, bensì volevano
esperienza dell’inconscio ottico, come grazie alla psicoanalisi dell’in- sognare. Quindi il cinema hollywoodiano rappresentava il desiderio,
conscio pulsionale. Del resto, tra le due forme di inconscio esistono costituendo così il miglior esempio dell’interscambio tra spazio im-
le più strette connessioni. «I molteplici aspetti che l’apparecchiatura maginativo e spazio onirico, che è anche però il miglior esempio della
[cioè la macchina da presa] può strappare alla realtà (zoom, rallenta- reintroduzione della prima tecnica, della produzione dell’illusione,
mento dell’azione, ecc.) si collocano infatti al di fuori di un normale dell’apparenza, del mitico-magico.
spettro delle percezioni sensoriali. Molte delle deformazioni e degli Benjamin distingue nettamente, relativamente all’uso del grot-
stereotipi, delle metamorfosi e delle catastrofi che possono investire, tesco, Chaplin da Disney, quasi identificando nel primo l’uso del-
nel film, il mondo dell’ottica, lo investono effettivamente nelle psico- la seconda tecnica, mentre Disney sarebbe l’esempio paradigmatico
si, nelle allucinazioni, nei sogni»41. In altri termini, le immagini che dell’uso della prima tecnica, del ritorno del mitico-magico e del va-
popolano il mondo dei sogni provengono dallo spazio immaginati- lore terapeutico del cinema: far accettare la realtà così com’è, con i
vo del cinema e viceversa. Lo spazio immaginativo (Bildraum) della suoi aspetti deleteri, e con una fuga nel sogno, nel desiderio impossi-
comunicazione è uno spazio collettivo – a cui partecipano tutti. Lo bile. Però, almeno in alcuni passi, il giudizio politico di Benjamin si
spazio onirico è individuale, ma è popolato da immagini che proven- esprime nei confronti del grottesco tout court. L’approccio ironico-
gono dallo spazio collettivo. Questo sogno collettivo viene identifica- grottesco può essere utile per far affiorare una presa di coscienza,
to nel personaggio di Mickey Mouse che fa il giro del mondo. per acquisire quella «coscienza infelice» di cui parla Hegel, ma poi è
Il riso collettivo rappresenta lo scoppio anticipato e salutare necessario il rovesciamento della teoria in prassi.
delle psicosi di massa. I film grotteschi americani e i film di Disney In questo saggio Benjamin mostra di aver capito molto bene il
provocano una terapeutica esplosione dell’inconscio. Il comico e lo rapporto tra cinema e immaginario collettivo in tutte le sue compo-
spaventoso sono strettamente affiancati. Nei film di Disney si assi- nenti: quella liberatoria, quella rivoluzionaria, ma anche quella che
ste alla tendenza a mettere tranquillamente in conto la bestialità e riconduce al divismo e quindi al ritorno del mitico-magico della pri-
la sopraffazione come fenomeni che accompagnano l’esistenza. Qui ma tecnica. Tuttavia, l’aspetto più rilevante della sua analisi dell’arte
c’è un severo giudizio politico sul carattere consolatorio dei film visiva è la scoperta di questo stretto rapporto tra cinema e psicoana-
americani, dei film di Disney e del grottesco. È ovvio che il cinema lisi, ossia l’interscambio di immagini che sussiste tra spazio onirico e
hollywoodiano tende a confermare l’establishment e l’American way spazio immaginativo con tutte le valenze allegoriche e le conseguenze
of life proprio con la sua funzione terapeutica e con le tecniche di psichiche che questo interscambio comporta.
sublimazione e rimozione che giocano sull’inconscio collettivo. Ma La costellazione di scritti legati alle riflessioni sulle tecniche di
questa funzione terapeutica sostitutiva veniva esibita dagli studios produzione dell’opera d’arte, al di là del dibattito politico in cui è
che si autodefinivano dream factory: la fabbrica dei sogni. E, proprio sorta, è oggi più che mai interessante per i numerosi spunti che offre
negli anni Trenta, l’industria cinematografica teorizzava questa fun- – e che si muovono in molteplici direzioni – per decifrare la nuova
zione terapeutica che gli psicoanalisti definirebbero «sublimazione», condizione di produzione e ricezione della comunicazione artistica,
commisurata ai nostri giorni. Sulla valenza politica delle riflessioni
di Benjamin non c’è bisogno di insistere, perché mai come oggi la
40 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, nota 1, p. 123; tr. it. cit., nota 17, p. 73.
41
decisione politica è legata a quella «trasportabilità» dell’immagine
Ivi, p. 131; tr. it. cit., p. 82.
92 mauro ponzi

attraverso i media, per cui i processi di persuasione politica passano Benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione»
per allegorie e icone che giocano sulla suggestione dell’immaginario Pre- e post-storia di una questione controversa
piuttosto che sull’argomentazione razionale. Vale la pena invece ri-
Andrea Pinotti
flettere sull’aspetto corporeo delle immagini, trasmesse attraverso la
comunicazione artistica e non, che consiste nell’uso di un serbatoio
mnemonico in parte derivante dal mondo onirico (soggettivo e col-
lettivo), in parte dalla pubblicità e dalla comunicazione di massa in
generale. Il sottotesto freudiano, che è possibile leggere in controluce
nel saggio sull’opera d’arte (e in maniera più esplicita nel Passagen-
Werk), è forse l’elemento più interessante per comprendere la conce-
1. «Un’altra percezione»
zione «oggettuale», «cosale», materiale delle immagini «innervate»
nella corporeità dell’individuo, le quali ci consentono di riportare
il discorso filmico e comunicativo sul problema – di strettissima at- Walter Benjamin è il filosofo alla cui autorità più di frequente
tualità – del rapporto tra soggetto e oggetto, tra principio di realtà e ci si richiama per sostenere l’idea della storicità della percezione. Il
desiderio, tra accettazione dell’esistente e strategie di cambiamento luogo canonico, celeberrimo e citatissimo, è offerto da un paragra-
(sia pure utopiche o frutto di «proiezioni») che caratterizza l’epoca fo del suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
che è «davanti ai nostri occhi». tecnica. Leggiamolo nella traduzione italiana della prima versione
dattiloscritta del saggio, battuta fra il 1935 e il 1936 (corrispondente
alla terza delle cinque stesure che complessivamente possediamo di
questo scritto, nessuna delle quali venne mai considerata dall’autore
definitiva):

Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza
delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro per-
cezione. Il modo secondo cui si organizza la percezione umana – il medium in
cui essa ha luogo –, non è condizionato soltanto in senso naturale (natürlich),
ma anche storico (geschichtlich). L’epoca delle invasioni barbariche, durante
la quale sorgono l’industria artistica tardoromana e la «Genesi di Vienna»,
possedeva non soltanto un’arte diversa da quella antica, ma anche un’altra
percezione (eine andere Wahrnehmung)1.

L’argomento, qui esposto nel paragrafo IV, viene introdotto a par-


tire dalla seconda versione manoscritta (risalente all’ottobre 1935),
e si conserva in tutte le successive stesure: lo ritroviamo infatti al
paragrafo III della versione francese, tradotta da Pierre Klossowski e
pubblicata nel maggio 1936 con il titolo L’œuvre d’art à l’époque de
sa reproduction mécanisée sulla «Zeitschrift für Sozialforschung»; e

1 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 101-102; tr. Pinotti-Somaini, Opera d’ar-

te, p. 21.
94 andrea pinotti benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione» 95

ancora al paragrafo III della seconda versione dattiloscritta, battuta teriori riferimenti a questa costellazione di problemi si possono sen-
tra la primavera e l’agosto 19362. za dubbio reperire in altri luoghi della sua opera, ma sempre a uno
Il passo, breve quanto perentorio, si presta in prima battuta ai stadio programmatico, come formulazioni di un progetto di ricerca
seguenti rilievi: innanzitutto si profila un problema di scala tempo- a venire, appena intravisto, e verosimilmente stroncato dal destino
rale, poiché la trasformazione nella percezione si verifica «nel giro di tragico che lo attendeva di lì a poco. Così, nella recensione del 1939
lunghi periodi storici (innerhalb großer geschichtlicher Zeiträume)», al libro di Dolf Sternberger dedicato ai panorami, leggiamo della que-
quali quelli che intercorrono dall’antichità (si presume classica) e l’e- stione presentata sotto forma di «domanda»: «Se le impressioni visive
poca delle migrazioni barbariche. In secondo luogo, tali modificazioni dell’uomo non siano determinate solo da costanti naturali (von natür-
percettive avvengono in concomitanza con trasformazioni riguardanti lichen Konstanten), ma anche da variabili storiche (von historischen
i «modi complessivi di esistenza delle collettività umane (gesamten Da- Variablen): questa è una delle domande più all’avanguardia della ri-
seinsweise der menschlichen Kollektiva)», collocandosi pertanto non cerca partendo dalla quale ogni centimetro di risposta è difficile da
sul terreno dei soggetti individuali, quanto piuttosto su quello ano- conquistare»3. Ancora nel 1940, commentando il volume Le regard
nimo e condiviso del sensorio comune. In terzo luogo, la percezione del conservatore per l’arte asiatica del Louvre Georges Salles, Benja-
è concepita non come un’«immediata» apertura al reale, bensì come min richiama «ciò che potremmo chiamare la storia della percezione
un’attività che si «organizza (sich organisiert)» e «si compie (erfolgt)» umana (l’histoire de la perception humaine)»4. In una lettera del 23
in un medium, che è condizionato non solo in senso «naturale (natür- marzo 1940 a Max Horkheimer, sempre riferendosi alla prossimità
lich)» (ad esempio il fatto che l’occhio umano possa percepire colori delle riflessioni di Salles alle proprie indagini sull’opera d’arte, Benja-
solo all’interno di un determinato spettro cromatico, che l’orecchio min cita un passaggio dal volume del conservatore, che mette conto
umano possa udire suoni solo all’interno di un limitato spettro acusti- riportare per intero: «Un’arte differisce da quella che la precede e si
co), ma anche in senso «storico (geschichtlich)»: l’organismo corporeo realizza proprio perché enuncia una realtà di tutt’altra natura che non
stesso, dunque, articolato nei differenti canali sensoriali, è qui inteso una semplice modificazione plastica: essa riflette un altro uomo. Assai
come un intreccio di natura e storia. In quarto, e per ora ultimo luogo, più che dai progressi delle scuole, le condizioni della sua formazione
si allude a una possibile correlazione fra gli artefatti prodotti da una dipendono dalle leggi ancora oscure delle mutazioni umane»5.
determinata cultura in una certa epoca (l’artigianato artistico o i codici Come prova una serie di lettere stese nel 19356, Benjamin conce-
miniati come la Genesi di Vienna ai tempi del tardo impero romano) piva il saggio sulla riproducibilità tecnica come una sorta di teoria
e le modalità percettive degli esseri umani che in quell’epoca vivevano materialistica dell’arte da anteporre a mo’ di premessa gnoseologica
e quegli artefatti producevano e utilizzavano. Espandendo il ragiona- al grande progetto sui passages parigini: è verosimile immaginare che
mento qui solo abbozzato da Benjamin, si potrebbe ipotizzare che tale
correlazione si possa delineare come una possibile connessione fra gli
stili della configurazione e gli stili della percezione. 3 Id., Dolf Sternberger. Panorama oder Ansichten vom 19. Jahrhundert, in WN 13

(2011), 1, a cura di Heinrich Kaulen, pp. 583-591: 584; tr. it. di M. Botto, Panorama o ve-
È certamente raccomandabile trattenersi sul piano delle ipotesi,
dute del XIX secolo, in OC VII (2006), pp. 257-263: 258. Cfr. Dolf Sternberger, Panorama
dal momento che l’argomentazione, enunciata in questo passo con del XIX secolo (1938), Il Mulino, Bologna 1985.
tono apodittico (e altrettanto apoditticamente ripetuta fino ad anni 4 A Max Horkheimer, il 23. 3. 1940, GB VI (2000), pp. 403-425: 418-19; tr. it. di

recenti da molti lettori benjaminiani), non trova purtroppo riscontri M. Botto, Una lettera di Walter Benjamin su Lo sguardo di Georges Salles (1940), in W.
Benjamin, Aura e choc. Saggi sulla letteratura dei media, a cura di A. Pinotti e A. Somaini,
più approfonditi e dettagliati nel resto del corpus benjaminiano. Ul-
Einaudi, Torino 2012, pp. 109-112: 111.
5 Georges Salles, Le regard, Plon, Paris 1939, p. 118.
6 A Gretel Karplus, il 9. 10. 1935, GB V (1999), pp. 170-174: 171; a Max Horkheimer,
2 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, pp. 57-58; Vierte Fassung, p. 168; Fünfte il 16. 10. 1935, ivi, pp. 180-183: 182; a Gershom Scholem, il 23. 10. 1935, ivi, pp. 186-
Fassung, p. 214. 190: 190; a Werner Kraft, il 28. 10. 1935, ivi, pp. 191-194: 193.
96 andrea pinotti benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione» 97

un più ampio sviluppo di questa idea di una storicità della percezione conduce dalle rappresentazioni lineari tipiche dello stile egizio – cor-
correlata alla storicità delle forme d’arte e dei media avrebbe potuto relate a una visione ravvicinata, tattile (taktisch) o aptica (haptisch)10
trovare spazio nel dispiegamento di quel progetto, se la vita e la sto- – ai cromatismi impressionistici e squisitamente ottici (optisch) carat-
ria gliene avessero concesso la possibilità. Così non è stato, e quel che teristici dello stile tardoromano (connessi a una visione distale). A un
noi possiamo fare è cercare di ricostruire la pre- e post-storia di que- analogo passaggio dal tattile/aptico all’ottico fa ricorso anche un’altra
sto nesso concettuale, indagando all’indietro, verso quegli autori che personalità cruciale per la storiografia artistica contemporanea, Hein-
hanno suggerito a Benjamin quella pista metodologica, e in avanti, rich Wölfflin11, per descrivere il passaggio dallo stile rinascimentale,
verso quei teorici che hanno raccolto dopo di lui la sfida, rilancian- dominato dalle linee e dai contorni, allo stile barocco, in cui predomi-
dola sulla sua scia o anche criticamente contestandola. nano le macchie cromatiche e i giochi chiaroscurali. Benjamin non lo
cita esplicitamente, ma ne conosce bene il pensiero, essendo stato suo
allievo all’Università di Monaco nel 191512.
2. Storia dei sensi e storia degli stili Tanto Riegl quanto Wölfflin articolano in senso storico, adattando-
la ai loro scopi stilgeschichtlich, una distinzione che era stata avanzata
Per la ricostruzione delle fonti alle quali Benjamin ha attinto per dallo scultore e teorico Adolf Hildebrand in un breve quanto influente
abbozzare la nozione di storicità della percezione siamo avvantaggiati saggio del 1893, dedicato alla questione della forma nelle arti figura-
dai riferimenti diretti, contenuti in quello stesso paragrafo del saggio tive, distinzione che (a sua volta rifacendosi agli studi di Helmholtz
sull’opera d’arte dal quale abbiamo preso le mosse: «Gli studiosi della sull’accomodazione del cristallino) contrapponeva una modalità rav-
scuola viennese, Riegl e Wickhoff, opponendosi al peso della tradizione vicinata di percezione visiva al colpo d’occhio da lontano13.
classica che gravava su quell’arte [scil. l’arte dell’epoca tardoromana], Quel che risulta altamente problematico e controverso nell’impo-
sono stati i primi ad avere l’idea di trarre da essa conclusioni a propo- stazione data da Riegl e Wölfflin al problema è la costante oscillazio-
sito dell’organizzazione e della percezione nell’epoca in cui fioriva»7. ne (molto più evidente nel secondo che non nel primo) fra piano della
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, Franz Darstellung (raffigurazione, produzione di immagini) e piano della
Wickhoff e Alois Riegl8 – i capiscuola della Wiener Schule, fra gli indi- Vorstellung e della Wahrnehmung (rappresentazione e percezione).
rizzi metodologicamente più influenti della Kunstwissenschaft9 – pro-
muovono una rivalutazione complessiva della produzione artistica ro- 10 L’aggettivo haptisch a sostituzione di taktisch viene da Riegl introdotto a partire
mana di epoca tardoimperiale, contrapponendosi ai pregiudizi di un’e- dall’articolo Spätrömisch oder orientalisch?, in «Beilage zur Allgemeinen Zeitung», 23/4
stetica classicistica che tendeva a scorgervi prodotti di sostanziale de- (1902), pp. 153-156: 155, nota 1.
cadenza culturale e impoverimento formale. In modo particolare Riegl 11 Heinrich Wölfflin, Rinascimento e barocco. Ricerche intorno all’essenza e all’origine

descrive un movimento complessivo nello sviluppo dell’arte antica, che dello stile barocco in Italia (1888), tr. it. della III ed. (1908), Vallecchi, Firenze 1988; Id.,
Concetti fondamentali della storia dell’arte (1915), Neri Pozza, Vicenza 1999. Il cente-
nario di questo secondo volume ha rilanciato la discussione sulle teorie wölffliniane: cfr.
7 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 101-102; tr. it. cit., p. 21. Bence Nanay (a cura di), Symposium: The 100th Anniversary of Wölfflin’s Principles of Art
8 Cfr. Franz Wickhoff, Arte romana (1895), Le Tre Venezie, Padova 1947; Alois Riegl, History, in «The Journal of Aesthetics and Art Criticism», 73/2 (2015), pp. 149-188 (con
Industria artistica tardoromana (1901), Sansoni, Firenze 1953. interventi di B. Nanay, W. Davis, J. Gaiger, M. Newall, D. Bordwell).
9 La letteratura che si è impegnata a ricostruire il debito contratto da Benjamin nei 12 Cfr. le lettere a Fritz Radt del 21. 11. 1915 e del 4. 12. 1915, GB I (1995), p. 289

confronti della Kunstwissenschaft di lingua tedesca (ai nomi di Wölfflin e Riegl andrebbe e pp. 296-298. Per un confronto tra l’impostazione wölffliniana e quella riegliana (con
aggiunto almeno quello di Warburg) è ormai molto vasta. Ci limitiamo a ricordare: Wolf- conseguente privilegiamento della seconda) cfr. W. Benjamin, Strenge Kunstwissenschaft,
gang Kemp, Fernbilder. Benjamin und die Kunstwissenschaft, in Burckhardt Lindner (a in WN, 13, 1, pp. 423-428; tr. it. di A. Marietti Solmi, Scienza dell’arte rigorosa, in Aura
cura di), Walter Benjamin im Kontext, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1978, pp. 224-256; Mi- e choc, cit., pp. 100-104.
chael W. Jennings, Walter Benjamin and the Theory of Art History, in Uwe Steiner (a cura 13 Adolf Hildebrand, Il problema della forma nell’arte figurativa (1893, 19034), Aestheti-

di), Walter Benjamin 1892-1940: Zum 100. Geburtstag, Lang, Bern 1992, pp. 77-102. ca, Palermo 2001, cap. I, pp. 41-45.
98 andrea pinotti benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione» 99

L’enunciato che in Riegl più si avvicina a una definizione del cele- Dal canto suo, Riegl, abbracciando erroneamente un’impostazio-
bre concetto di Kunstwollen («volere artistico» o «volontà d’arte», ne «empirico-psicologica», sbaglierebbe per Panofsky a individua-
nozione di sapore schopenhaueriano da lui più operativamente im- re nei concetti di «ottico» e «tattile/aptico» «due possibilità fonda-
piegata che non teoreticamente giustificata) chiama direttamente in mentali del comportamento esteriormente intuitivo (des äußerlich
causa la percezione visiva: «L’umanità in diversi tempi, in diversa anschauenden Verhaltens)»18, vale a dire due modulazioni dell’An-
maniera, voleva vedere (sehen wollte) rappresentate davanti agli oc- schauung, della percezione visiva.
chi le immagini sensibili (sinnlichen Erscheinungen) secondo il con- Benjamin, come si è visto, sembra invece collocarsi agli antipodi
torno e il colore nel piano e nello spazio»14. Ma tale enunciato si di questa lettura critica panofskyana, e risolvere le oscillazioni di Ri-
trova appunto in un capitolo impegnato nella descrizione dei tratti egl e di Wölfflin a tutto vantaggio di una diretta correlazione, storica-
caratteristici del Kunstwollen tardoromano, cioè delle modalità di mente condizionata, fra percezione e raffigurazione. Ma l’accoglien-
trattazione di contorno, colore, piano e spazio proprie degli artefatti za che riserva alle loro concezioni non è senza riserve. In particolare
della tarda romanità: pitture, sculture, architetture e oggetti dell’ar- riguardo ai viennesi osserva:
tigianato. Quella che oggi chiameremmo la cultura visuale diffusa di
quel periodo è dunque direttamente correlata da Riegl a un Sehen Per quanto notevoli, i loro risultati avevano un limite nel fatto che questi
Wollen, a una volontà di vedere. studiosi [scil. Wickhoff e Riegl] si accontentavano di rilevare il contrassegno
formale (formale Signatur) proprio della percezione nell’epoca tardoromana.
Ancor più esplicito è Wölfflin, là dove afferma: «Ogni artista si
Essi non hanno mai tentato – e forse non potevano sperare di riuscirvi – di
trova di fronte a determinate possibilità ottiche (optische Möglichkei- mostrare i rivolgimenti sociali che in questi cambiamenti della percezione tro-
ten) a cui è vincolato. Non tutto è possibile in ogni tempo. Il modo vavano un’espressione. Per quanto riguarda il presente, le condizioni per una
di vedere ha di per sé una sua storia (Das Sehen an sich hat seine corrispondente comprensione sono più favorevoli19.
Geschichte) e la scoperta di questi “strati ottici” (optische Schichten)
deve essere considerata il compito della storia dell’arte»15. Salvo poi Il rimprovero rivolto a un approccio esclusivamente formalistico,
finire per ondeggiare costantemente in tutta la trattazione fra una concentrato cioè sulle qualità formali (linea, colore, piano, volume)
«evoluzione ottica interna (innere optische Entwicklung)» e le «pos- delle immagini dell’arte e dell’artigianato, si integra con l’esigenza di
sibilità figurative (darstellerischen Möglichkeiten)»16, dunque fra il un’indagine più concretamente rivolta a quelli che abbiamo sentito
percepire e il produrre immagini. definire come i «modi complessivi di esistenza delle collettività uma-
Fra le prime voci critiche che si sollevano contro questa ambiguità, ne (gesamten Daseinsweise der menschlichen Kollektiva)». Due sono
troviamo quella del giovane Erwin Panofsky: Wölfflin prenderebbe i principali autori capaci di soddisfare tale esigenza: Marx e Simmel.
Fra gli excerpta raccolti da Benjamin per il progetto su Parigi capitale
alla lettera un modo di dire che ha un senso figurato: pensa cioè che un’arte, del XIX secolo, due in particolare – ricavati dai Manoscritti economico-
la quale interpreta i dati della visione in un senso lineare o pittorico, veda in modo
lineare o pittorico; e – in quanto non si accorge che, così usato, questo modo di
dire non designa più affatto un processo propriamente ottico bensì un processo L’obiettivo polemico di Panofsky non è il volume wölffliniano del 1915 (non ancora usci-
psichico – assegna alla visione artistico-produttiva quel posto che spetta alla visio- to), ma il saggio che ne costituisce il nucleo seminale: Das Problem des Stils in der bilden-
ne naturale ricettiva, un posto che sta al di qua della facoltà espressiva17. den Kunst, in «Sitzungsberichte der Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaf-
ten», Mittheilung vom 7. December 1911 (1912), pp. 572-578.
18 E. Panofsky, Il concetto del «Kunstwollen» (1920), in Id., La prospettiva «come
14A. Riegl, Industria artistica tardoromana, cit., p. 368. forma simbolica» e altri saggi, cit., pp. 157-177: 170. Più oltre Panofsky ribadisce la sua
15H. Wölfflin, Concetti fondamentali della storia dell’arte, cit., p. 39. diffidenza per qualsivoglia riferimento alla percezione visiva: «I concetti, da lui [scil. Riegl]
16 Ivi, p. 40 [tr. mod.]. introdotti, di “visione da vicino” e di “visione da lontano”, che egli usava specialmente in
17 Erwin Panofsky, Il problema dello stile nelle arti figurative (1915), in Id., La pro- riferimento all’arte di Rembrandt, sono addirittura sospetti» (ivi, nota 18, p. 177).
spettiva «come forma simbolica» e altri saggi, Feltrinelli, Milano 1988, pp. 141-152: 150. 19 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 102; tr. it. cit., p. 21.
100 andrea pinotti benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione» 101

filosofici del 1844 – alludono, seppur in modo piuttosto criptico, a una troviamo ampi riferimenti a quella fenomenologia della sensibilità
correlazione fra storia dell’umanità, storia dei rapporti di produzione e metropolitana che il filosofo berlinese aveva sviluppato in una serie
storia dei cinque sensi: il sistema della proprietà privata avrebbe come di scritti risalenti ai primi anni del Novecento: il capitolo su «Lo
conseguenza una «alienazione di tutti questi sensi»20; la soppressione stile della vita» contenuto nella Filosofia del denaro25; il saggio sulla
della proprietà privata produrrebbe per contro «la completa emanci- moda raccolto in Philosophische Kultur26; l’Excursus sulla sociolo-
pazione di tutti i sensi umani». Nella prospettiva marxiana, dunque, i gia dei sensi contenuto nella große Soziologie27 articolano una de-
cinque sensi sono da intendersi non meramente come «organi immediati scrizione delle trasformazioni subite dal sensorio umano in seguito
(unmittelbare Organe)», bensì come «organi sociali (gesellschaftliche alle modificazioni dello stile complessivo di esistenza e alla «intensi-
Organe)»21, cioè organi la cui attività percettiva è mediata dalle condi- ficazione della vita nervosa (Steigerung des Nervenlebens)» prodotte
zioni storico-sociali nelle quali i corpi percipienti si trovano a esistere. dall’affermarsi della Großstadt moderna28. Il rapporto di azione re-
Se la rivoluzione comunista sovverte e trasforma i rapporti economici ciproca individuato da Simmel fra iperstimolazione offerta dallo stile
e sociali, essa comporterà necessariamente delle conseguenze sul piano di vita metropolitano e anestetizzazione del soggetto blasé viene da
della percezione: in questo senso Benjamin si riferisce alla «dottrina delle Benjamin sottolineato soprattutto in relazione alle ritmiche spazio-
rivoluzioni come innervazioni della collettività»22, come cioè a modi- temporali e alla dialettica vicino-lontano.
ficazioni profonde capaci di incidere storicamente sull’organizzazione Così fenomeni caratteristici della modernità all’apparenza profon-
neurofisiologica e sul sensorio dei Kollektiva. damente eterogenei – come lo spezzarsi del tempo dell’anno nei viaggi
In tale contesto, colpisce il fatto che Benjamin non includa, né frequenti, che sottolineano fenomeni di soglia come partenze e arrivi;
qui né altrove, l’affermazione che in quelle pagine di Marx più aper- la sostituzione del sigaro con la più veloce sigaretta; la riservatezza che
tamente si spinge in direzione di una storicità della percezione: «La introduce una distanziazione rispetto alle eccessive vicinanze prodotte
formazione dei cinque sensi è un’opera di tutta la storia del mondo dai mezzi di trasporto urbani; l’accentuazione del ruolo giocato dal-
sino ad oggi (Die Bildung der 5 Sinne ist eine Arbeit der ganzen bis- la vista nelle condizioni di traffico frenetico – rientrano nell’analisi di
herigen Weltgeschichte)»23. Simmel in un complessivo quadro di storicizzazione della sensibilità e
Se invece ci volgiamo a Simmel, nello spazio che Benjamin gli di culturalizzazione del piano fisiologico: «In generale, con il crescere
riserva fra i materiali e le citazioni raccolte per la Passagenarbeit24, della cultura, l’azione a distanza dei sensi diventa più debole, l’azio-
ne da vicino più forte, e noi diventiamo non soltanto corti di vista
20 W. Benjamin, Das Passagen-Werk, H 3 a, I, GS V (1982), 1, p. 277; tr. it. a cura di E.
(kurzsichtig), ma in generale corti di sensi (kurzsinnig); ma a queste
Ganni, I «passages» di Parigi, OC IX (2000), p. 220. Cfr. Karl Marx, Ökonomisch-philo- distanze più brevi diventiamo però tanto più sensibili»29.
sophische Manuskripte, in MEGA, Sez. I, vol. 2, Dietz, Berlin 1982, pp. 189-438: 392; tr.
it. di N. Bobbio, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1978, p. 116.
21 W. Benjamin, Das Passagen-Werk, X 1 a, 2, GS V, 2, p. 801; tr. it. cit., p. 724. Cfr. K. 25 Georg Simmel, Filosofia del denaro (1900, 19072), UTET, Torino 1984, pp. 607-
Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, cit., p. 393; tr. it. cit., p. 117. 720.
22 W. Benjamin, Das Passagen-Werk, X 1 a, 2, GS V, 2, p. 801; tr. it. cit., p. 724. Sulle 26 Id., La moda (1895), in Id., Saggi di cultura filosofica (1911), Neri Pozza, Vicenza
«innervazioni» cfr. anche Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, nota 1, p. 109; tr. it. cit., nota 1998, pp. 29-52.
4, p. 26; Id., Der Sürrealismus. Die letzte Momentaufnahme der europäischen Intelligenz, 27 Id., Excursus sulla sociologia dei sensi, in Id., Sociologia (1908), Edizioni di Comu-
GS II (1977), 1, p. 310; tr. it. di A. Marietti Solmi, Il Surrealismo. L’ultima istantanea sugli nità, Milano 1998, pp. 550-562. Benjamin conosceva l’excursus in traduzione francese:
intellettuali europei, in Aura e choc, cit., pp. 320-333: 333. Cfr. su questa nozione Miriam Essai sur la sociologie des sens, in Id., Mélanges de philosophie rélativiste. Contribution à
Bratu Hansen, Cinema & Experience. Le teorie di Kracauer, Benjamin e Adorno (2011), la culture philosophique, Alcan, Paris 1912, pp. 17-38.
Johan & Levi, Milano 2013, pp. 170-185. 28 Ai testi simmeliani sopracitati andrebbe almeno aggiunto il saggio Le metropoli e
23 Cfr. K. Marx, Ökonomisch-Philosophische Manuskripte, cit., p. 394; tr. it. cit., p.
la vita dello spirito (1903), Armando, Roma 1995, che tuttavia Benjamin non include fra
119 [tr. mod.]. i suoi estratti.
24 Cfr. W. Benjamin, Das Passagen-Werk, B 7 a, I, M 17, 2, M 8 a, I, GS V, 1, pp. 127, 29 Id., Excursus sulla sociologia dei sensi, cit., pp. 557-558.
561, 545; tr. it. cit., pp. 82, 500, 484-85.
102 andrea pinotti benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione» 103

È nota la centralità della dialettica vicino/lontano nel pensiero organizza la percezione umana – il medium in cui essa ha luogo» con
benjaminiano: una elementare polarità spaziale che può caricarsi di l’ambito dei mass media: è anzi in una tradizione molto più antica,
complesse valenze culturali e simboliche. In quello stesso paragrafo almeno risalente alle riflessioni aristoteliche sul metaxu e sui media
del saggio sull’opera d’arte in cui abbiamo sentito Benjamin enuncia- diaphana (aria, vapore, acqua, vetro) che rappresentano ambienti in-
re la tesi della storicità della percezione, leggiamo di un progressivo termedi nei quali si dispiega l’attività percettiva, che occorre colloca-
«avvicinamento» fra le collettività e le cose promosso dalle moderne re il pensiero mediologico di Benjamin31.
tecniche di riproduzione delle immagini: È tuttavia altrettanto indubbio che le specifiche trasformazioni del
sensorio proprie della modernità sono procurate da innervazioni che
«Portarsi più vicino» le cose è per le masse attuali un’esigenza vivissima, incorporano nelle prestazioni neurofisiologiche dell’organizzazione
quanto la tendenza al superamento dell’unicità di qualunque dato mediante la sensibile umana le nuove possibilità dischiuse dalle invenzioni di ap-
ricezione della sua riproduzione. Giorno per giorno si fa valere in modo sem-
parati ottici che si susseguono rapidamente a partire dagli inizi del
pre più incontestabile l’esigenza di impossessarsi dell’oggetto, da una distanza
il più possibile ravvicinata, nell’immagine, o meglio nella riproduzione30. XIX secolo. Fra gli autori che hanno raccolto e rilanciato la sfida
benjaminiana a esplorare tale plesso problematico va ricordato in
Stereoscopio, panorama, fotografia, cinema: sono alcuni dei prin- primo luogo Jonathan Crary. Integrando le indagini benjaminiane
cipali media ottici che Benjamin interpreta come protesi tecnologiche sulle modalità percettive negli spazi urbani sempre più tecnologiciz-
che producono una trasformazione del sensorio umano moderno in zati della modernità con le ricerche foucaultiane sui nessi che vin-
senso decisamente tattile/aptico. Il movimento dalla tattilità all’otti- colano in un intreccio indissolubile regimi discorsivi, istituzioni del
cità (che Riegl e Wölfflin avevano descritto rispettivamente nel pas- potere, forme epistemiche e dispositivi della visione, Crary si impe-
saggio dall’egizio al tardoromano e dal Rinascimento al Barocco) si gna nella descrizione di una trasformazione storica che conduce dalla
inverte nella dinamica che dalla contemplazione ottica dell’immagine visione «oggettiva», modellata sul dispositivo classico della camera
auratica (lontananza per quanto vicina) conduce alla fruizione emi- oscura caratteristico del XVII e XVIII secolo, alla visione «sogget-
nentemente manipolatoria dell’immagine tecnicamente riprodotta. tiva», contrassegnata dall’avvento agli inizi del XIX secolo di una
L’avvento dei touch screen sembra potentemente inverare questa pre- serie di strumenti ottici (taumatropi, fenachistoscopi, caleidoscopi,
coce intuizione benjaminiana. zootropi, stroboscopi, stereoscopi: ben più rilevanti a suo avviso che
non la fotografia) che accentuano gli apporti dell’elaborazione sog-
gettiva nell’esperienza percettiva. A modificarsi in questo processo
3. Storia dei dispositivi e storia dell’attenzione storico non sono solo le forme della raffigurazione (come vorrebbe
un approccio formalistico), né solo le basi economiche (come prefe-
rirebbe un’impostazione materialistica), ma un complessivo e inter-
Il riferimento, centrale nel saggio benjaminiano sull’opera d’arte, relato campo di forze in cui ne va della stessa soggettivazione, cioè
alla dimensione mediale costituita dai nuovi dispositivi ottici di pro- della costituzione dei soggetti come «osservatori» (nel duplice senso
duzione, diffusione e consumo delle immagini resi accessibili dagli di soggetti che vedono e di soggetti che osservano regole e codici):
sviluppi tecnologici della modernità, imprime al tema del medium
nel suo rapporto con la percezione una peculiare curvatura tecnica. La storia dell’arte non coincide effettivamente con una storia della perce-
Sarebbe indubbiamente riduttivo identificare «il modo secondo cui si zione? Le mutevoli forme di un’opera d’arte nel corso del tempo, non sono
forse la traccia incontestabile di come sia cambiata storicamente la visione stes-
30 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 102; tr. it. cit., p. 22. Mauro Carbone

(Filosofia-schermi. Dal cinema alla rivoluzione digitale, Cortina, Milano 2016) interpreta 31 Cfr. Antonio Somaini, Walter Benjamin’s Media Theory: the Medium and the Appa-

questo passo alla luce di una storicità non solo della percezione, ma anche del desiderio. rat, in «Grey Room», 62 (2016), pp. 6-41.
104 andrea pinotti benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione» 105

sa? Questo studio intende insistere sul fatto che, al contrario, una storia della cano una modificazione profonda delle prestazioni percettive né pos-
visione (se questa è possibile) dipende da una più larga serie di fattori rispetto sono essere concepiti come universalmente riferiti all’umanità tutta
a quelli che può restituirci una semplice analisi dei cambiamenti nelle pratiche
in una data epoca, poiché dipendono dalle competenze cognitive dei
di rappresentazione. […] Se allora abbiamo menzionato l’idea di una storia
della visione, non lo abbiamo fatto che per concepirne l’ipotesi. È del tutto ir- singoli individui. Da storico del cinema, inoltre, Bordwell contesta
rilevante constatare i singoli cambiamenti nel campo specifico della percezione che il montaggio filmico, che Benjamin identifica come strumento
o della visione, poiché esse non hanno una possibile storia autonoma. Quelle principe del training del sensorio moderno chiamato a corrispondere
che cambiano sono invece le molteplici forze e le numerose regole che insieme alla frammentazione del continuum spazio-temporale35, possa avere
compongono la dimensione della percezione. E ciò che determina la visione in esercitato un effetto così pervasivo (e più sulle masse urbanizzate che
un dato momento storico non è una struttura profonda, una base economica o
non su quelle rurali): «This seems a curious commitment to main-
una concezione del mondo, ma piuttosto un aggregato di parti eterogenee che
funzionano su uno stesso piano sociale32. tain, since many films made in the first fifteen years of cinema rely
little upon editing, and thousands of the films that purportedly exem-
Un paio d’anni dopo la pubblicazione dello studio di Crary, Régis plify modern vision consist only of one shot»36.
Debray si pone sotto la tutela di Benjamin e del Valéry della Con- Intervenendo nel dibattito sulla storicità dell’occhio che ha visto
quista dell’ubiquità («Né la materia né lo spazio, né il tempo sono Danto, Rollins, Davis confrontarsi nel 2001 sul «Journal of Aesthe-
più da vent’anni in qua ciò che erano da sempre ») per fondare una tics and Art Criticism»37, Noël Carroll è fra tutti quello che più diret-
indagine mediologica che tiene insieme in una prospettiva storica la tamente chiama in causa le posizioni benjaminiane (e la loro ripresa
dimensione delle tecniche, le prestazioni della visione, le relazioni da parte di Crary), discutendo tanto il paragrafo sulla storicità della
simbolico-culturali33. percezione dal quale abbiamo preso le mosse quanto l’idea che la
Le posizioni di Crary e di Debray (e di Benjamin dietro di loro) cifra caratteristica del sensorio moderno sia quella dell’apprensio-
sono state criticamente impugnate da David Bordwell e Noël Carroll. ne ravvicinata. Riguardo a quest’ultima, Carroll38 ricorda come altri
Domandandosi che cosa propriamente sia in gioco nell’espressione interpreti della modernità abbiano avanzato letture antipodali delle
«storia della percezione», Bordwell esclude che si tratti di una modi- trasformazioni della sensibilità promosse dagli sviluppi tecnologici:
ficazione in senso evolutivo: troppo brevi sono le tempistiche prese ad esempio, Schivelbusch ha insistito sulla dominanza di una perce-
in considerazione da Benjamin perché si possa ammettere una muta- zione panoramica a distanza agevolata dalla diffusione dei viaggi in
zione dei meccanismi neurofisiologici. Al massimo si potrà parlare di treno (ma omette curiosamente di segnalare che è proprio alla teoria
«changes in habits and skills», o in «cognitively monitored ways of benjaminiana della vicinanza che lo stesso Schivelbusch si appoggia
noticing and contextualizing information»34, che tuttavia né impli-
35 «La tecnica sottoponeva il sensorio dell’uomo a un training di ordine complesso.

Venne il giorno in cui il film corrispose a un nuovo e urgente bisogno di stimoli. Nel film
32 Jonathan Crary, Le tecniche dell’osservatore (1990), Einaudi, Torino 2013, pp. 7-8. Di la percezione tramite choc si afferma come principio formale. Ciò che determina il ritmo
Crary si vedano anche: Modernizing Vision, in Hal Foster (a cura di), Vision and Visuality, The della produzione alla catena di montaggio, condiziona, nel film, il ritmo della ricezione»
New Press, New York 1988, pp. 29-49; Suspensions of Perception. Attention, Spectacle, and (W. Benjamin, Über einige Motive bei Baudelaire, GS I (1974), 2, pp. 605-653: 630-631;
Modern Culture, MIT Press, Cambridge (Mass.)-London 1999. tr. it. di R. Solmi, Su alcuni motivi in Baudelaire, in Aura e choc, cit., p. 183).
33 Régis Debray, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente 36 D. Bordwell, On the History of Film Style, cit., p. 143.

(1992), il Castoro, Milano 2010, p. 86. Paul Valéry, La conquista dell’ubiquità (1928), in 37 Il fascicolo è stato parzialmente tradotto in italiano: Arthur C. Danto, La storicità

Id., Scritti sull’arte, Tea, Milano 1984, pp. 107-109. Il passo di Valéry è stato posto dallo dell’occhio. Un dibattito con Noël Carroll e Mark Rollins (2001), a cura di M. Di Monte,
stesso Benjamin a esergo della Fünfte Fassung del saggio sull’opera d’arte, classificata come Armando, Roma 2007. Il contributo di Whitney Davis, Quando le immagini sono presen-
seconda versione dattiloscritta nelle Opere complete Einaudi (cfr. Benjamin, Kunstwerk, ti. Arthur Danto e la storicità dell’occhio è disponibile sul sito: www.sensibilia.it/Archivio/
Fünfte Fassung, p. 207; tr. Filippini, Opera d’arte, p. 300). Davis.%20Quando%20le%20immagini.pdf
34 David Bordwell, On the History of Film Style, Harvard University Press, Cambridge 38 Noël Carroll, La modernità e la plasticità della percezione, in La storicità dell’oc-

(Mass.) 1997, p. 142. chio, cit., pp. 57-77: 63.


106 andrea pinotti benjamin e l’ipotesi di «un’altra percezione» 107

per riflettere intorno all’abbattimento delle distanze prodotto dalla fenomenologico, in virtù del quale quel che vedo dipende da quello di
ferrovia)39. Rigettando su basi evoluzionistiche la possibilità di una cui mi accorgo nel campo visivo (qui però, contra Carroll, non si dà
mutazione percettiva sopraggiunta fra la fine del XIX e gli inizi del vedere senza notare)43, può per contro mutare nel corso del tempo.
XX secolo, Carroll nega in particolare che la flânerie metropolitana La capacità di «twofold attention» (attenzione rivolta tanto al sog-
possa costituire un novum antropologico: getto rappresentato quanto al supporto superficiale dell’immagine:
pensiamo ai celebri ritratti di Arcimboldo) sembra ad esempio richie-
L’apparato percettivo umano, a livello di struttura anatomo-fisiologica, è sta all’osservatore europeo del XVI secolo, ma non a quello del XV
costantemente in movimento, in continua esplorazione dell’ambiente. Questa secolo: una novità attenzionale che Nanay supporta con documenti
caratteristica adattativa ha una lunga storia: serviva già egregiamente ai nostri
iconici e testuali.
antenati preistorici a badare a predatori e prede, a pericoli e opportunità di
ogni genere, non solo il cibo o il riparo, ma anche la compagnia. L’occhio La proposta mediatrice di Nanay è indubbiamente meritevole di
umano raramente è fermo, i movimenti saccadici sono la norma. Non siamo considerazione, non da ultimo per il fatto che valorizza un fattore
diventati dei vigili flâneurs tutt’a un tratto, alla fine del XIX secolo; siamo come quello dell’attenzione (e di termini cognati quali concentrazio-
sempre stati dei flâneurs nati, da molto tempo prima40. ne e distrazione) su cui proprio Benjamin aveva intensamente lavo-
rato44. Fatti salvi i notevoli risultati conseguibili in tale prospettiva,
Come già Bordwell, il massimo che Carroll è disposto a concede- ci si chiede tuttavia se in impostazioni come questa non sopravviva
re è che il piano storico possa intervenire al livello dei cambiamenti una concezione riduttivamente anatomico-fisiologica della dimensio-
nella propensione al «notare» (noticing), all’«attenzionare» elementi ne percettiva, che viene vincolata in modo esclusivo alle prestazioni
del campo percettivo prima trascurati: così, dopo una intensa analisi degli organi sensoriali, senza tener sufficientemente conto di quella
delle nature morte di Cézanne, posso imparare ad accorgermi del naturale propensione al prolungamento tecnico-protesico che appare
fatto che i contorni degli oggetti appaiono percettivamente instabili: costitutiva dell’anthropos, e che oggi – con i rapidi sviluppi delle
«Se l’idea che l’arte trasforma la percezione si riduce al fatto che pos- bio- e nanotecnologie – ci interpella in modo sempre più urgente.
siamo imparare dalle immagini qualcosa del modo in cui il mondo Nel quadro di una riflessione intorno al rapporto fra sensibilità e
appare – e notare alcuni suoi aspetti visibili che prima ignoravamo medialità, Pietro Montani ha recentemente proposto di tornare a in-
– allora l’asserzione sembra difficilmente contestabile»41. terrogare la «formulazione canonica della tesi sulla variabilità storica
A una simile linea argomentativa fondata sul noticing si confor- dell’aisthesis» che, mettendo a frutto le analisi benjaminiane dedicate
ma il recentissimo tentativo di compromesso proposto da Bence Na- al passaggio dal regime «cultuale» al regime «espositivo» dell’arte,
nay42, che discute nella sua disamina Benjamin, la Kunstwissenschaft sottopone a verifica le possibilità offerte dalle contemporanee instal-
e i filosofi analitici sopra citati. Sottraendosi alla secca alternativa lazioni interattive per delineare un orizzonte pratico in cui sono radi-
che contrappone la storicità della visione alla sua astoricità, Nanay calmente trasformati tanto lo statuto tradizionale di «opera» quanto
sostiene che alcuni aspetti della visione sono astorici, altri no. La i ruoli dei produttori e dei fruitori e la nozione stessa di autorialità45.
visione intesa come processo retinico non può essere considerata sto- Integrabile alle ricerche intorno alla storicità dell’attenzione (e ai suoi
rica se non su scala evoluzionistica; la visione intesa come processo
43 Nanay si richiama agli esperimenti condotti da: Arien Mack, Irvin Rock, Attenzione
39 Wolfgang Schivelbusch, Railroad Space and Railroad Time, in «New German Cri- e percezione (1998), McGraw-Hill, Milano 1999; Christopher Chabris, Daniel Simons, Il
tique», 14 (1978), pp. 31-40 (su Benjamin spec. pp. 37-38). Cfr. anche Id., Storia dei viaggi gorilla invisibile... e altri modi in cui le nostre intuizioni ci ingannano (2010), Gruppo 24
in ferrovia (1977), Einaudi, Torino 1988. ore, Milano 2012.
40 N. Carroll, La modernità e la plasticità della percezione, cit., pp. 68-69. 44 Cfr. Carolin Duttlinger, Between Contemplation and Distraction: Configurations of
41 Ivi, p. 60. Attention in Walter Benjamin, «German Studies Review», 30/1 (2007), pp. 33-54.
42 Bence Nanay, The History of Vision, in «The Journal of Aesthetics and Art Criti- 45 Pietro Montani, Tecnologie della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva,

cism», 73/3 (2015), pp. 259-271. Cortina, Milano 2014 (su Benjamin spec. pp. 58-64).
108 andrea pinotti

condizionamenti ideologici)46, questa direzione potrebbe rappresen- Aura e riproducibilità


tare una delle piste più promettenti: sottraendosi alla falsa alterna- La rivoluzione come avanguardia
tiva tra naturale e culturale, organico e tecnico, tale impostazione
Francesco Valagussa
concepisce il sensorio umano come costitutivamente capace di «pro-
lungarsi spontaneamente in artefatti inorganici (protesi della sensibi-
lità) senza, con questo, alterare la sua specificità (della quale andrà
piuttosto osservato che è fin dall’origine “alterata”, espropriata di
ogni presunta autenticità organica»47. La sua apertura alla dimensio-
ne «tecnoestetica» (in cui convergono techne e aisthesis) consente a
tale approccio di investigare l’ampio campo degli artefatti e di quella
diffusa cultura visuale (e più generalmente percettiva) che in essi si
1. Autenticità e tecnica
esternalizza.
«L’intero ambito dell’autenticità (Echtheit) si sottrae alla ripro-
ducibilità tecnica»1. Benjamin concepisce l’aura come quel singolare
intreccio di spazio e di tempo2 del tutto inavvicinabile. Nelle lettere a
un giovane poeta – edite postume nel 1929 – Rilke scriveva che «nulla
può tanto poco toccare un’opera d’arte quanto un discorso critico»3,
poiché «le opere d’arte sono di un’indicibile solitudine e nulla le può
raggiungere poco quanto la critica»4. «Critica» è quell’uso tecnico
della parola che non afferra la singolarità irriducibile dell’opera.
L’autenticità si pone come limite trascendentale della riproducibi-
lità. Un limite che non dipende dall’intensità o dal grado di potenza
che una tecnica sia in grado di dispiegare: l’autentico è per definizio-
ne sottratto al riproducibile come l’uno si sottrae al pensiero. Medi-
tare attorno a tale limitazione consente di fare luce sulla visione del
mondo che la tecnica reca in se stessa: «riproducibilità» implica in sé
una precisa concezione del vero.
Qui pesa enormemente il debito contratto da Benjamin con l’i-
dealismo tedesco: già Hegel aveva mostrato come il conoscere coin-
cidesse con la «presa sulla cosa» – come mostra il binomio Begriff/

1 Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, p. 211; tr. Filippini-Valagussa, Opera d’arte, p. 7.


2 Cfr. ivi, Zweite Fassung, p. 58; Dritte Fassung, p. 102; Vierte Fassung, p. 168; tr. it.
46 Introducendo l’ipotesi di uno «historical change» della visione, già William John cit., nota 18, p. 43. Cfr. inoltre Id., Kleine Geschichte der Photographie, in GS II (1977),
Thomas Mitchell sfiorava l’esigenza di studiare «not just the physiology of lenses and 1, pp. 368-85: 378; tr. it. di E. Filippini, Breve storia della fotografia, in OC IV (2002),
retinas but a whole field of ideological attentiveness — a preselected, preprogrammed grid pp. 476-91: 485.
of features and structures of perception» (Iconology: Image, Text, Ideology, University of 3 Rainer Maria Rilke, Briefe an einen jungen Dichter, Insel, Frankfurt am Main 1929;

Chicago Press, Chicago 1987, p. 175). tr. it. di L. Traverso, Lettere a un giovane poeta, Adelphi, Milano 201220, p. 13.
47 Ivi, p. 35. 4 Ivi, p. 25.
110 francesco valagussa aura e riproducibilità. la rivoluzione come avanguardia 111

begreifen. Concepire (letteralmente cum-capere) significa avvicinare, nietzscheano nell’indagine sull’aura. Lo sviluppo tecnico coincide con
appropriarsi, mangiare, svuotare la cosa: afferrarne l’intrinseca es- la svalutazione dell’aura. «La tecnica della riproduzione […] sottrae
senza, svelarne tutti i segreti, entrare in possesso del suo intimo per il riprodotto all’ambito della tradizione»9. La riproducibilità impatta
poterla produrre indipendentemente dalla sua esistenza naturale. Il sulla tradizione, «a intermittenza, a ondate lontane l’una dall’altra,
vero non è nemmeno il prodotto in quanto risultato finito, ma il mo- ma con un’intensità crescente»10.
vimento stesso di produzione. Produrre è «il vero della cosa». L’istanza tecnica è il basso continuo che progressivamente si im-
«“Avvicinare” le cose spazialmente e umanamente è un’esigenza pone sostituendosi alla tradizione: questo movimento di traslazione
vivissima delle masse attuali, come lo è la loro tendenza al supera- viene caratterizzato icasticamente da Benjamin mediante la polarità
mento dell’unicità di qualunque dato tramite la ricezione della sua statua greca/pellicola cinematografica: da un lato «un pezzo unico
riproduzione»5. Questo menschlich «näherzubringen» caratterizza (aus einem Stück)»11 non perfettibile, destinato ad essere emblema di
l’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte. E la medesi- valori eterni; dall’altro una creazione «di getto (aus einem Wurf)»12,
ma espressione si ritrova nel capolavoro del suo grande avversario6: montata poi in base al criterio di perfettibilità, radicale negazione del
in Essere e tempo Heidegger afferma che «il disallontanamento è valore di eternità.
un avvicinamento guidato dalla visione ambientale preveggente, un L’alce dipinta sulle pareti della caverna, le statue degli dèi acces-
portare nella vicinanza (in die Nähe bringen), quale si ha nelle forme sibili soltanto ai sacerdoti una volta all’anno, le Madonne coperte
del procurarsi, dell’installare, del prendere in mano»7. Se il «disal- nelle cattedrali13 concentrano tutto il proprio valore sull’esistenza,
lontanante» è il carattere intrinseco che rende la dimensione epoca- prescindendo addirittura dal valore di esponibilità. La pala d’altare
le assunta dalla tecnica un tratto destinale della civiltà occidentale, (e a maggior ragione un quadro) si distingue dall’affresco, e così un
l’arte mantiene profonde radici nel cultuale in quanto inavvicinabile: mezzo busto si distingue da una statua collocata al centro del tempio,
a partire dalla prossimità nel valutare i sintomi dell’epoca, si consu- proprio a motivo della loro maggiore esponibilità – che va a detri-
merà tra i due la più radicale delle distanze nella formulazione della mento del loro valore di esistenza. In ambito musicale, per esempio,
«diagnosi». «la sinfonia sorse nel momento in cui la sua esponibilità prometteva
di diventare maggiore di quella di una messa»14.
Il discrimine tra la Cappella Sistina di Michelangelo e la Madon-
2. Genealogia dell’indebolimento dell’aura na Sistina di Raffaello riguarda esattamente la maggiore esponibilità
della seconda rispetto all’intensità dell’hic et nunc che caratterizza la
Se per genealogia si intende «seguire la complessa trama della prima. Benjamin riporta le ricerche di Hubert Grimme sulla Madon-
provenienza, mantenendo ciò che è successo nella dispersione che na Sistina: l’opera venne esposta per le esequie di Papa Sisto V, poi
gli è propria»8, si può dire che Benjamin adoperi lo strumentario a motivo dei vincoli connessi al diritto canonico trasferita presso il

5 Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, p. 215; tr. it. cit., p. 10. 72, poi in M. Foucault, Dits et Ecrits, vol. II, Gallimard, Paris 1994, pp. 136-56; tr. it.
6 Sul rapporto Benjamin-Heidegger cfr. la lettera a Scholem del 20. 01. 1930, GB III Nietzsche, la genealogia, la storia, in «Il Verri», 38/40 (1972), p. 89, poi in Id., Il discorso,
(1997), pp. 501-504: 503; tr. it. di A. Marietti e G. Backhaus, Lettere 1913-1940, Einaudi, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, a cura di M. Bertani, Einaudi, Torino 2001, pp.
Torino 1978, pp. 177-9: 178. Sul tema cfr. Fabrizio Desideri, L’opera d’arte nell’epoca 43-64: 48.
della tecnica. Un confronto tra Benjamin e Heidegger, in Id., La porta della giustizia. Saggi 9 Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, p. 213; tr. it. cit, p. 8.

su Walter Benjamin, Pendragon, Bologna 1995, pp. 101-117. 10 Ivi, p. 209; tr. it. cit., p. 5.
7 Martin Heidegger, Sein und Zeit, § 23, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 200615, p. 11 Cfr. ivi, Zweite Fassung, p. 66; tr. it. cit., nota 32, pp. 49-50: 50.

105; tr. it. di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano 200216, p. 138. 12 Ibid.; tr. it. cit., p. 49.
8 Michel Foucault, Nietzsche, la généalogie, l’histoire, in Aa. Vv., Hommage à Jean 13 Ivi, Fünfte Fassung, p. 221; tr. it. cit., p. 13.

Hyppolite, a cura di M. Foucault, Presses Universitaires de France, Paris 1971, pp. 145- 14 Ibid.; tr. it. cit., p. 14.
112 francesco valagussa aura e riproducibilità. la rivoluzione come avanguardia 113

Convento dei Frati Neri a Piacenza – oggi l’opera è esposta presso la tutta concentrata, condensata nel concetto. Pagine cruciali quelle he-
Gemäldegalerie di Dresda. Il rapporto che l’opera di Raffaello intrat- geliane per comprendere come, anche nell’ottica benjaminiana, l’au-
tiene con la tradizione risente di un accentuato valore di esponibilità ra costituisca in realtà «l’ultimo quasi rifugio»19 del cultuale; l’opera
che a sua volta retroagisce in negativo sul suo valore di esistenza. d’arte è il tramite mediante cui l’autenticità viene intaccata dalla ri-
L’aumento progressivo di esponibilità determina il passaggio dalla producibilità, è il vettore che conduce dal «cultuale» al «tecnico».
dimensione cultuale alla dimensione politica15: la fotografia assume Tale percorso andrebbe ulteriormente dipanato mostrando come tale
assoluta pregnanza nei quotidiani; la radio e le apparecchiature di traslazione conduca la funzione dell’arte dall’orizzonte del rituale a quel-
ripresa trasformano il parlamento nel pubblico del leader politico – lo politico20. Benjamin ne offre una prima esemplificazione procedendo
in breve, le pellicole cinematografiche risultano incapaci di veicolare lungo il clinamen stampa-litografia-fotografia-cinema. Mediante la lito-
valori cultuali16. grafia la grafica guadagnò una «forma illustrativa» capace di accompa-
gnare la dimensione quotidiana21; su questa prima implementazione si
innestò la fotografia che attuò un vero e proprio passaggio di consegne
3. Aura: ultimo quasi rifugio dalla mano all’occhio quale organo deputato a tenere la «cabina di re-
gia» dell’incombenza artistica22. Questi passaggi devono essere letti alla
Pensare a una pura sovrapposizione del nesso cultuale–esponibili- luce della progressiva accelerazione del processo di riproduzione figura-
tà rispetto al rapporto aura–riproducibilità conduce a una distorsio- tiva: sino al culmine costituito dall’operatore cinematografico.
ne dei termini del discorso benjaminiano. Dinnanzi all’invasività del- Oltre una certa soglia, tale accelerazione comporta una esauto-
la tecnica il «cultuale» trova per così dire rifugio nell’aura: cultuale razione del criterio di autenticità da parte dell’istanza di riproduci-
è l’autenticità, il puro valore di esistenza che si riduce e si concentra bilità che si presenta a ondate di intensità crescente: mai la riprodu-
nell’aura dell’opera d’arte. In realtà l’arte è piuttosto il veicolo stori- cibilità giunge a patti con l’autenticità; il predominio del riprodurre
co della dissoluzione dell’aura medesima. sopprime l’autentico, ne mette in crisi le condizioni di possibilità.
Di nuovo, è la grande lezione hegeliana dell’Estetica – peraltro cita- Tale sovvertimento trova compimento nella pellicola cinematografi-
ta nel testo17 – a pulsare nell’opera di Benjamin: quando Hegel scrive ca: la funzione sociale dell’arte ne esce radicalmente trasformata sul
che «per quanto possiamo trovare eccellenti le immagini degli dèi gre- piano qualitativo. Se la litografia implicite poneva già la grafica «al
ci, e vedere degnamente raffigurati il Padreterno, Cristo e Maria, tut- servizio» della politica adoperando il giornale – riviste e quotidiani
tavia questo non basta più a farci inginocchiare»18, individua il nucleo – come supporto materiale, fotografia e cinema intensificarono tale
centrale del problema. Non si venera più religiosamente la statua o più opzione e ne incrementarono i margini di spendibilità. Dall’orizzonte
in generale la figura del divino: il divino si trasforma in concetto, di cui del rituale – e del valore d’esistenza in quanto testimonianza di au-
l’immagine è e rimarrà, appunto, mera «rappresentazione». tenticità – si scivola progressivamente verso la prassi politica, ove il
L’opera d’arte si riduce a pura e semplice esposizione: nulla di valore di esponibilità si traduce in tecniche di diffusione di massa.
sensibile può rendere l’autentica esistenza dell’idea, che ora si trova Nella misura in cui l’aura costituisce il limite trascendentale della ca-
pacità di riproducibilità, si configura una sorta di andamento asintotico,
15 Benjamin, Kunstwerk, p. 219; tr. it. cit., p. 13.
16 Cfr. ivi, p. 226; tr. it. cit., p. 18. 19 Cfr. Giacomo Leopardi, Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica, in
17 Ivi, nota 1, pp. 219-20; tr. it. cit., nota 29, pp. 45-46; ivi, Dritte Fassung, nota 1, Id., Opere, a cura di S. Solmi – R. Solmi, Ricciardi, Milano-Napoli 1956, tomo I, p. 788:
pp. 105-106. la poesia è definita «l’ultimo quasi rifugio della natura».
18 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Vorlesungen über die Ästhetik, in Id., Werke in zwan- 20 Cfr. Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, p. 219; tr. it. cit., p. 13.

zig Bänden, a cura di E. Moldenhauer e K. M. Michel, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1970, vol. 21 Cfr. ivi, p. 209; tr. it. cit., p. 5.

13, p. 142; tr. it. di N. Merker e N. Vaccaro, Estetica, Einaudi, Torino 1997, pp. 121-122. 22 Ivi, pp. 209-210; tr. it. cit., pp. 5-6.
114 francesco valagussa aura e riproducibilità. la rivoluzione come avanguardia 115

dove la crescita della potenza tecnica riduce sempre più l’ambito dell’au- nel processo di produzione. L’affermarsi della riproducibilità – e del-
tenticità. Per mezzo della pellicola cinematografica ha luogo però un la conseguente concezione del vero – determina quel salto qualitativo
vero e proprio salto qualitativo, ossia la radicale soppressione dell’hic et mediante cui si assiste alla soppressione del «cultuale» come valore
nunc. Se storicamente assistiamo a un’erosione progressiva dello spazio di esistenza. Nel cinema ne va dell’arte: in questo impasto di record,
riservato al cultuale, il vero dominio tecnico non si esemplifica soltanto montaggio, esponibilità e merce l’arte vive la sua crisi e subisce una
in un perpetuo compromesso al ribasso cui il cultuale si troverebbe co- trasformazione dovuta a quelle ondate di intensità crescente median-
stretto di volta in volta, bensì nella sua definitiva abolizione. te cui la riproducibilità s’impone via via come criterio.
Tramite la tecnica del montaggio risulta impossibile determinare Qui si consuma la distanza tra Benjamin e Heidegger. Nel saggio
l’originale: innanzitutto l’opera viene «montata», scegliendo le par- L’origine dell’opera d’arte – come contrappunto esplicito all’idea di
ti migliori secondo un criterio che già annuncia il trapassare da un verità sottesa all’orizzonte tecnico – si propone quell’etimo di «veri-
ambito artistico a un contesto sportivo, incentrato piuttosto sulla tà» che superi il mero significato di «adeguatezza» e arrivi a sottoline-
nozione di record23; in secondo luogo i vari esemplari in cui la pelli- are il nesso tra Wahrheit e il plesso gewahren, verwahren, Wahrnis26
cola viene riprodotta rendono impossibile qualificare il pezzo unico. – conservare/preservare/salvaguardia – e soprattutto Bewahrung, il
Un altro rilievo sintomatico in questa direzione viene offerto dal cosiddetto «mantenimento», «preservazione», «custodia»27, cosa
raffronto tra il teatro e il cinema: «l’attore che agisce sul palcosceni- che consente di rintracciare una concezione «altra» del vero – non
co si identifica in una parte. Ciò è spessissimo negato all’interprete più come prodotto quanto piuttosto come «custodia». L’«Ur» comu-
cinematografico»24. A teatro l’aura circonda l’attore. Il ruolo recitato ne al binomio Ursprung-Urstreit28 accentua questo movimento verso
in prima persona – unitariamente – nell’arco di qualche ora di spet- l’originario: heideggerianamente l’arte costituisce il luogo in cui si
tacolo reca in sé una «caratura di autenticità» immensamente supe- dischiude il controcanto rispetto alla concezione dominante del vero.
riore rispetto all’equivalente cinematografico. Nel corso delle riprese Il vero è ritorno all’origine, custodia che preserva e mantiene ciò che
la prestazione artistica tende a svaporare: ogni scena viene ripetuta, la tecnica travolgerebbe tramite le «ondate a intensità crescente».
tagliata, montata; l’autenticità qui fa perdere le proprie tracce. Sin dal titolo del saggio l’atteggiamento benjaminiano si discosta
da questa «istanza restauratrice»29: l’opera d’arte viene trattata nel
Nello studio un salto dalla finestra può venir girato nella forma di un salto contesto dell’epoca tecnica. L’interrogativo verte sulla possibilità di
da un’intelaiatura, in dati casi, però, la fuga che fa seguito può venir girata a inserire l’arte nel contesto dell’attuale visione del mondo: collocare
distanza di settimane nel corso di una ripresa in esterni25.

Si tratta di uno strumento perfetto per veicolare qualsiasi forma di 26 M. Heidegger, Der Spruch des Anaximander (1946), in Id., Holzwege, Klostermann,

messaggio politico-demagogico, ma che respinge qualsiasi valore cultuale. Frankfurt a. M. 1972, p. 320; tr. it. di P. Chiodi, Il detto di Anassimandro, in Id., Sentieri
interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, pp. 299-348: 324.
27 Il termine viene tradotto con «salvaguardia». Cfr. M. Heidegger, Der Ursprung des

Kunstwerkes (1935), in Id., Holzwege, cit., pp. 54-56; tr. it. di P. Chiodi, L’origine dell’o-
4. L’arte all’altezza dei tempi pera d’arte, in Id., Sentieri interrotti, cit., pp. 3-69: 51-52.
28 Cfr. Id., Der Ursprung des Kunstwerkes, cit., p. 49; tr. it. cit., p. 45: «la verità è la

lotta originaria».
Il cinema testimonia emblematicamente il trapassare dell’arte nel- 29 Il «luogo» della svolta coincide con il recupero dell’origine: in piena consonanza con

la forma-merce. Si perdono le tracce dell’aura: tutto viene travolto l’architettura generale del pensiero heideggeriano, ove l’essenza della metafisica coincide
con la dimenticanza di ciò che è più originario dell’ente; l’ente come tale costituisce già il
precipitato di una visione ontologico-scientifica, dunque tecnica, del mondo. Per un’analisi
23 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 69; tr. it. cit., nota 38, pp. 51-52: 52. sistematica del ruolo giocato dall’arte all’interno di tale contesto si rinvia a Friedrich-
24 Ivi, Fünfte Fassung, p. 229; tr. it. cit., p. 20. Wilhelm von Hermann, La filosofia dell’arte di Martin Heidegger, a cura di M. Amato – I.
25 Ibid.; tr. it. cit., p. 21. De Gennaro, Marinotti, Milano 2001, in part. pp. 409-432.
116 francesco valagussa aura e riproducibilità. la rivoluzione come avanguardia 117

l’arte all’altezza dei tempi, evitando di concepirla dunque come gri- 5. Il cinema, alla luce della seconda tecnica
maldello per effettuare una svolta rispetto al loro corso. In questi
termini si gioca anche tutta la problematicità del nesso che intercorre Il cinema conduce (non: riduce) l’arte alla forma-merce. Si dovrà
tra Marx e Benjamin e che qui si può soltanto riassumere nello slo- precisare la differenza tra prima e seconda tecnica agli occhi di Benja-
gan: la rivoluzione o è avanguardia, oppure finisce semplicemente per min: la prima costituisce il dominio sulla natura, la seconda favorisce
coincidere con la conservazione30. il gioco armonioso tra natura e umanità33.
Ora è possibile intendere la connessione tra il saggio sulla ripro- Per inquadrare il profilo storico-critico dell’arte cinematografica
ducibilità tecnica e le più tarde Tesi sul concetto di storia: il famoso come realizzazione di quella tendenza che guida verso la forma-mer-
angelo della nona tesi vede il passato rovesciarsi dinnanzi a sé come ce, ci si potrà valere di un triplice orizzonte d’indagine:
perenne catastrofe31. Con le spalle rivolte al futuro – verso il quale 1) L’apparecchiatura cinematografica. Ciò che determina la scis-
tuttavia viene spinto a causa di quel vento che spira dal paradiso – sione tra il pubblico e l’attore e inoltre frantuma l’aura della reci-
l’angelo non può fermarsi a restaurare la catastrofe, né a ricomporre tazione sul palcoscenico è l’Apparat – in primis la cinepresa – che
i pezzi tornando all’origine: il vento che si chiama progresso continua trasforma la prestazione artistica in un test ottico. Le caratteristiche
a soffiare impigliandosi tra le sue ali e lo costringe a procedere. del sistema di illuminazione, le peculiarità del trucco e l’effetto del
Non si tratta di ricominciare daccapo quella partita che vede il make up decidono quali tratti e quali fisionomie risultino più con-
nero in svantaggio rispetto al bianco (il capitalista che detiene le for- geniali; l’impianto fonico e le attrezzature audio selezionano quali
me di produzione e dunque gode di un «beneficio temporale», un debbano essere i toni di voce delle star. Non solo l’attore viene
capitale-accumulato, rispetto all’operaio): nel corso della partita si ridotto a strumento tra gli altri: anche il pubblico patisce questo in-
deve produrre quella contromossa (il Gegenzug32) che consenta di flusso, poiché l’attitudine professionale della stella cinematografica
compensare la sfasatura temporale volgendola a vantaggio del nero. viene misurata e valutata da un team di esperti che si frappone tra
La partita prosegue – segue il suo corso unidirezionale, scorre in l’attore e il pubblico medesimo. Si montano le sequenze, scegliendo
avanti, ma il «senso» ne viene capovolto. tra le prestazioni migliori, all’insegna del record: non sarà questa
Il cinema costituisce il banco di prova attorno alla praticabilità parola «record» un’eco, estremamente indebolita forse, dell’antica
stessa di un atteggiamento che intenda verificare la tenuta dell’arte istanza del custodire-conservare? Forse la versione «sportiva» del
posta all’altezza dei tempi, all’altezza dei processi di produzione. Se rammemorare?
l’arte sarà in grado reggere l’urto dei tempi, ciò si potrà verificare sol- Il ruolo dello spettatore viene forgiato interamente di nuovo. Non
tanto nell’arte più «avanzata», più d’avanguardia: la cinematografia. è più il monaco che contempla l’icona all’interno della sua cella34:
ogni giorno, alle diverse ore del giorno, sotto le diverse luci del gior-
no, l’immagine veniva contemplata, meditata, macerata nella rifles-
sione; l’opera d’arte nella sua autenticità provocava lo sprofondare
30 Il riferimento è alla raccolta di saggi di W. Benjamin, Avanguardia e rivoluzione.
dell’attenzione dello spettatore nell’opera stessa. Il cinema – al pari
Saggi sulla letteratura, a cura di A. Marietti, Einaudi, Torino 1973. I testi, prevalentemente dei grandi cartelloni pubblicitari – viene invece congegnato affinché
connessi alla letteratura d’avanguardia, erano accomunati dalla tensione benjaminiana a l’attenzione del pubblico sorvoli su di essa: l’attenzione distratta in-
ricercare il potenziale rivoluzionario sotteso alle forme artistiche. ghiotte l’opera medesima35, e non si profonda in essa – come si narra,
31 Cfr. Id., Über den Begriff der Geschichte, in WN 19 (2010), a cura di G. Raulet,

pp. 74-75; tr. it. di G. Bonola – M. Ranchetti, Sul concetto di storia, in OC VII (2006),
pp. 483-493: 487. 33Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 108; tr. it. cit., nota 31, pp. 47-49: 48.
32 Qui ci si riferisce a un’altra celebre immagine delle Tesi sul concetto di storia: la par- 34Cfr. ivi, Fünfte Fassung, nota 1, pp. 241-242; cfr. anche Dritte Fassung, nota 1, pp.
tita a scacchi nella quale il materialismo storico – grazie all’aiuto della teologia – sarebbe 133-134; tr. it. cit., nota 62, pp. 63-64: 64.
in grado di vincere contro qualsiasi avversario. Cfr. ivi, p. 69; tr. it. cit., p. 483. 35 Ivi, Fünfte Fassung, pp. 245-246; tr. it. cit., p. 34.
118 francesco valagussa aura e riproducibilità. la rivoluzione come avanguardia 119

invece, nella leggenda del pittore cinese che entra nella propria opera costi di una pellicola cinematografica, vastità del pubblico fruitore,
a lavoro ultimato36. estromissione di ogni valore cultuale.
2) La massa come matrice, «dalla quale attualmente esce rinato 3) L’effetto-choc diviene contrassegno dell’istanza artistica. Af-
ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d’arte»37. finché l’opera possa incidere su quella coltre di distrazione, in cui
Il termine «classe» risulta ancora troppo idealistico per inquadra- consiste la matrice (consumare-produrre), viene sparata contro il
re la metamorfosi che l’arte subisce nell’ambito cinematografico. fruitore44, assumendo una qualità tattile. L’opera non deve indurre
L’autentica lotta di classe dovrebbe spezzare dall’interno la mas- alla riflessione, non deve costituire occasione di meditazione: l’opera
sa38 a motivo di una «presa di coscienza» capace di modificare le può soltanto colpire. Nessuna Bildung, nessun tentativo di coltivare
strutture profonde che ne garantiscono la compattezza. Permane il e alimentare l’immaginazione; anzi, si tratta di bloccarne quelle dina-
dubbio che si tratti di un’operazione troppo geistig: tale assunzione miche che mettono in gioco il suo stesso funzionamento45.
di consapevolezza non partecipa degli stessi tratti di autenticità del Non il pensiero che si rappresenta l’essere, bensì lo choc – il colpo
«volto» inteso come «ultima trincea»39 del cultuale nella fotogra- inatteso che fa presa – produce l’immagine. La cinepresa così contri-
fia? Se l’uomo stesso e il suo volto sono destinati a scomparire dal- buisce ad ampliare enormemente il patrimonio esperienziale: ripre-
la fotografia, anche la coscienza di classe è destinata a cedere alla sa a rallentatore, deformazione di stereotipi, psicosi, allucinazioni,
massa su tutta la linea. fantasie oniriche vengono integrate e proiettate sullo schermo. La
La massa non si impone come «consapevolezza di sé»: la matri- cinepresa «apre una breccia nell’antica verità eraclitea»46: quello dei
ce non rappresenta, bensì semplicemente produce. La distrazione è sogni è ora il mondo condiviso.
l’atteggiamento inconsapevole che (non) contraddistingue la massa Di qui l’avvelenamento psichico delle masse47 da parte dei film
in se stessa: in parallelo si dovrebbero leggere le tesi benjaminiane grotteschi americani che «provocano una distruzione terapeutica
sull’impazienza del lettore, che comportano una riorganizzazione dell’inconscio»48. Questi tratti mostrano sul piano psichico l’analo-
dello spazio del giornale, tesi che compaiono già ne L’autore come go di quella crisi della rappresentanza a livello politico sulla quale
produttore40 e che saranno riprese nel saggio sull’opera d’arte41. Benjamin riflette a proposito dell’identificazione tra il politico e la
La massa-matrice esemplifica la «produzione consumatrice» del star cinematografica, ove il parlamento viene ridotto a pubblico49.
Marx dei Grundrisse42: «il consumo produce la produzione»43. La «La crisi della democrazia si può intendere come una crisi delle con-
massa non è mera consumatrice, ma in quanto consumatrice detta dizioni di esponibilità dell’uomo politico»50.
letteralmente le regole della produzione stessa e ne configura le con- Ne risulta una prospettiva stratificata e fitta di intrecci: le trasfor-
dizioni di possibilità: non può sfuggire il nesso tra riproducibilità, mazioni insite nel problema della riproducibilità non toccano margi-

36 Benjamin, Kunstwerk, p. 245; tr. it. cit., p. 34. 44 Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, p. 243; tr. it. cit., p. 32.
37 Ibid.; tr. it. cit., p. 33. 45 Cfr. su questi temi Massimo Cacciari, Dialettica del negativo e metropoli, in Id.,
38 Ivi, Dritte Fassung, nota 1, pp. 123-124; tr. it. cit., nota 39, pp. 52-55: 54-55. Metropolis, Officina edizioni, Roma 1973, in part. pp. 50-51.
39 Ivi, Fünfte Fassung, p. 222; tr. it. cit., p. 14. 46 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 83; tr. it. cit., nota 61, p. 62.
40 Id., Der Autor als Produzent, in GS II, 2, p. 688; tr. it. di A. Marietti Solmi, L’autore 47 Ibid.

come produttore, in OC VI (2004), pp. 43-58: 47. 48 Ivi, p. 84; Dritte Fassung, p. 132; Vierte Fassung, p. 191; tr. it. cit., nota 61, pp.
41 Id., Kunstwerk, Fünfte Fassung, p. 232; tr. it. cit., p. 23. 62-63: 63.
42 Karl Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (Rohentwurf) 1857- 49 Ivi, Zweite Fassung, p. 75; Dritte Fassung, nota 1, pp. 121-2; Fünfte Fassung, nota

1858, Dietz Verlag, Berlin 1976 (1953), in MEGA, Sez. 2, vol. 1, Ökonomische Manu- 1, p. 230; tr. it. cit., nota 39, pp. 52-55: 54.
skripte 1857/58, parte I, p. 27; tr. it. di E. Grillo, Lineamenti fondamentali della critica 50 Ibid. In termini non molto diversi Benjamin riflette sull’equiparabilità di figure come

dell’economia politica, La Nuova Italia, Firenze, vol. 1, p. 14. il campione sportivo e il dittatore: ad accomunarli è il rapporto che intrattengono con la
43 Ivi, vol. 1, p. 27; tr. it. cit., vol. I, p. 15. massa.
120 francesco valagussa aura e riproducibilità. la rivoluzione come avanguardia 121

nalmente soltanto alcuni ambiti, ma investono un insieme complesso produzione tendono a fagocitarne le facoltà rendendo necessario un
di strutture. Torna qui la questione di un’arte che sia capace di porsi nuovo periodo di «apprendistato».
all’altezza dei tempi: a risultare trasformata è l’essenza stessa dell’arte. Qui il fascismo si presenta ancora come reazione: nella volontà di
adoperare le nuove forme d’arte – ivi incluso il cinema – allo scopo di
trasmettere e di favorire antichi valori, il fascismo finisce per assumere
6. Innervazioni una posizione di retroguardia. Il tentativo di ristabilire i valori si scon-
tra con l’irrefrenabilità del divenire palesato dal vortice dei processi di
Rispetto alla tecnica che consentiva all’uomo il progressivo domi- produzione. Già Simmel – e prima di lui Nietzsche – notava come «la
nio della natura, la compiuta emancipazione della tecnica rispetto a vita sicura di sé vuole solo liberarsi dalla costrizione della forma in
qualsiasi sostrato naturale costituisce l’esito del superamento di ogni generale»54, escludendo da subito l’idea di una nuova forma-di-cultura
autenticità in direzione di una compiuta riproducibilità: se la tecnica come plausibile soluzione al conflitto della civiltà moderna.
– mescolata al rituale, all’ambito magico-religioso – contribuì all’o- Porre la questione di un’arte all’altezza dei tempi equivale a
rientamento dell’uomo dinnanzi a una natura elementare, l’attuale domandarsi come l’avanguardia possa rivelarsi più congeniale del
tecnica costituisce una sorta di seconda natura, tanto sconosciuta e fascismo nel confronto con i mezzi di produzione. Come l’istanza
impenetrabile quanto la prima. rivoluzionaria possa riappropriarsi di tali mezzi – in ambito artisti-
co – strappandoli al fascismo: nel saggio sull’opera d’arte Benjamin
Questa tecnica emancipata sta però di contro alla società attuale come una prova a impostare quella contromossa capace di rovesciare l’esito
seconda natura, e precisamente, come dimostrano crisi economiche e guerre, della partita a scacchi. Malgrado i bianchi godano del vantaggio tem-
come una natura non meno elementare di quella che fu concessa alla società
porale per cui si trovano a possedere per primi – da subito – i mezzi
primitiva51.
di produzione, i neri potrebbero recuperare tale scarto nella misura
in cui riuscissero a sintonizzarsi meglio degli avversari con l’essenza
La svolta qualitativa costituita dalla soppressione dell’autentico
di tali mezzi di produzione e con le trasformazioni radicali che essi
in vista del riproducibile – del cultuale in vista dell’esponibilità – ge-
comportano.
nera una seconda «elementarità»: economia e guerra ripropongono
Se l’arte un tempo offriva punti di orientamento nella natura ele-
l’inspiegabilità e l’inaccessibilità dell’ingens sylva vichiana. Nulla si
mentare, oggi accelera il processo rivoluzionario. Tale è il significato
sa di questo enorme spazio di azione, di questo terreno artificiale che
dell’innervazione dell’umanità cui è vocato il cinema.
la tecnica instaura.
Le rivoluzioni sono innervazioni della collettività: più precisamente ten-
Di fronte a questa seconda natura – prosegue Benjamin – l’uomo, che l’ha
tativi di innervazione di una nuova comunità, storicamente inedita, che ha il
scoperta, ma che da lungo tempo non la domina più, è certamente destinato a
proprio organo nella seconda tecnica55.
un apprendistato tale come una volta di fronte alla prima natura52.

Il cinema ha il compito storico56 di generare questa innervazione


L’uomo appare inglobato in questa seconda natura: anche ne
consentendo all’umanità di instaurare un nuovo rapporto con la se-
L’autore come produttore, l’uomo attuale è presentato come «uomo
conda natura. Sul passaggio dal dominio dell’umanità sulla natura
ridotto, liquidato, in un ambiente freddo ed estraneo»53, materia da
sottoporre a esami e perizie. In tal senso distrazione, massa, record e
54 Georg Simmel, Der Konflikt der modernen Kultur, Duncker & Humblot, Berlin
51 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, pp. 63-64; tr. it. cit., nota 31, pp. 47-49: 47. 1918; tr. it. di G. Rensi, Il conflitto della civiltà moderna, SE, Milano 1999, p. 43.
52 Ibid. 55 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, nota 1, p. 109; tr. it. cit., nota 31, pp. 47-49: 48.
53 Id., Der Autor als Produzent, GS II, 2, p. 699; tr. it. cit., p. 56. 56 Ivi, Zweite Fassung, p. 64; tr. it. cit., nota 31, pp. 47-49: 47.
122 francesco valagussa

al gioco armonioso tra natura e umanità verte l’intera istanza rivo- Di alcuni motivi nell’ultimo Benjamin a partire da L’opera d’arte
luzionaria.
Franco Rella
Tale innervazione dev’essere intesa tanto in chiave sociologica,
quanto in chiave fisiologica (dall’ottica-contemplativa alla fruizione
tattile): nel cinema come acceleratore della rivoluzione entrano in
gioco sia la prima natura (quella organica), sia la seconda natura.
Nell’arte riposano l’apparenza e il gioco57.

1. Lungo gli anni Trenta abbiamo una serie di testi benjaminiani


che insieme formano una costellazione. Sono Il carattere distruttivo
del 1931, Esperienza e povertà del 1933, L’autore come produttore del
1934, per arrivare quindi ai grandi torsi incompiuti, che tali rimango-
no al termine della sua vita: il Passagenwerk, il libro su Baudelaire e,
ovviamente, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica,
testo solo in apparenza compiuto, di fatto continuamente ripreso e
totalmente aperto. Anzi, dal punto di vista teorico, in rapporto alla
grande ambizione che esso esprime – vale a dire la costruzione di una
nuova estetica materialista – è forse il testo più incompiuto, certamente
il più aperto. Gli altri due complessi, il libro su Baudelaire e il Passa-
genwerk sono certamente anch’essi incompiuti, ma diventano via via
chiare le linee lungo le quali il loro tragitto poteva se non compiersi,
almeno dispiegarsi. Perché forse a Benjamin non era concesso il com-
pimento, o meglio da grande saggista egli non poteva concedersi il
compimento. Il saggio procede infatti per approssimazioni, stringe il
suo oggetto, e si allontana da esso per ritornarvi sempre di nuovo con
rinnovato vigore. Non può davvero finire. Finire significherebbe infatti
risolvere la tensione degli opposti che anima la struttura delle opere,
come anche delle grandi configurazioni storiche.
«Al pensiero appartiene tanto il movimento quanto l’arresto dei
pensieri». Arresto che crea una cesura da cui emerge «una costella-
zione carica di tensioni», ovvero l’«immagine dialettica». Il saggista
si muove in quella direzione, verso il luogo in cui «la tensione tra
gli opposti dialettici è al massimo»1. Tanto l’arresto quanto il movi-

57 Cfr. ivi, Handschriftliche Vorlagen zur Dritten Fassung, pp. 149-163: 155; tr. it. cit., 1 Walter Benjamin, Das Passagen-Werk, N 10a, 3, in GS V (1982), 1, p. 595; tr. it. a

Apparati, pp. 86-87: 87. cura di E. Ganni, I «passages di Parigi», in OC IX (2000), p. 534.
124 franco rella di alcuni motivi nell’ultimo benjamin a partire da l’opera d’arte 125

mento, dunque. Come nelle grandi immagini proustiane che stanno 3. Su queste annotazioni, definite da Adorno «impressionanti» e di
alla base della «rivoluzione copernicana» del risveglio, come l’im- «natura estremamente speculativa», vorrei soffermarmi un poco anche
magine dell’«ora della conoscibilità», si esce dallo choc – l’arresto – in relazione, come si vedrà poi, al saggio sull’Opera d’arte. Adorno
per poi rientrarci, in un movimento che accentra e che divaga, come ipotizza che questa sequenza di notazioni risalga all’ultimo periodo
il caleidoscopio di immagini in Einbahnstraße. È questa la filosofia della vita di Benjamin e spiega il titolo – Zentralpark – a partire dal
del moderno, la filosofia dopo Nietzsche. È questo il movimento di «ruolo centrale» che queste avevano e avrebbero assunto nella stra-
pensiero che Adorno definisce la «prima philosophia che ci è stata tegia benjaminiana, vale a dire, di fatto, la curvatura e la risoluzione
assegnata in compito»2, o addirittura, in un’altra lettera, «come la teorica di quanto si era mosso e doveva muoversi nel libro su Baude-
parola decisiva che oggi può essere detta dalla filosofia»3, e ancora, il laire. Adorno ipotizza anche che il titolo poteva alludere all’espatrio
6 settembre 1936, come «ultima philosophia»4. verso l’America di Benjamin, per il quale gli amici stavano cercando un
appartamento a New York nei pressi di Central Park5.
Rosemarie Heise, sulla rivista «Alternative»6 – che aveva tra l’al-
2. Ho affermato più sopra che il libro su Baudelaire e il Passagen- tro lanciato una campagna di accuse contro Adorno, imputato di aver
werk sono incompiuti, ma che chiare sono le linee lungo le quali il de-marxistizzato Benjamin (campagna ripresa anche in occidente da
loro tragitto poteva dispiegarsi. È necessario oggi cominciare a guar- Arendt e Heissenbüttel) –, data questo testo ai primi mesi del 1938,
dare al Passagenwerk avendo estrapolato da esso il complesso dei in base ad alcune corrispondenze tra le notazioni di Zentralpark e
materiali che avrebbero dovuto confluire nel libro su Baudelaire. Che di La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire. L’argomentazione
cosa rimane del Passagenwerk avendo compiuto questa operazione, è a mio giudizio debole. Benjamin pescava soprattutto nella grande
lo possiamo vedere nelle tesi Sul concetto di storia che probabilmente miniera del Passagenwerk per l’uno come per l’altro testo. Si tratta di
sono pensate non solo come una premessa teorica o, per richiamare capire perché quei frammenti e quelle annotazioni sono state isolate
il Dramma barocco tedesco, come una premessa gnoseologica, come e poi integrate a far corpo in Zentralpark e cosa venivano a prospet-
Benjamin dichiara esplicitamente in molte lettere. A mio giudizio esse tare. Rolf Tiedemann accetta in parte le osservazioni di Heise, ma
sono anche lo schema articolato dell’intero libro sui passaggi di Pari- ipotizza che esse siano state integrate fino all’aprile del 1939, dunque
gi, della Traumdeutung del XIX secolo. sulle soglie di Di alcuni motivi in Baudelaire. Nell’edizione italiana
Cerchiamo di individuare anche le possibili linee di sviluppo del del 2006, da lui curata, Zentralpark viene però posto come una sorta
libro su Baudelaire. A mio giudizio, né il fallito saggio su Parigi ca- di appendice a Parigi del Secondo Impero in Baudelaire7. Giorgio
pitale del Secondo Impero in Baudelaire del 1938 né il bellissimo Agamben nel suo tentativo di ricostruzione del Baudelairebuch lo
saggio Di alcuni motivi in Baudelaire del 1939 ne delineano l’intera pone, senza alcun commento, addirittura tra i materiali preparatori
complessa geografia. Come per il Passagenwerk è necessario ripor- di questo stesso testo8.
tarsi alle tesi Sul concetto di storia, così per il libro su Baudelaire è Io credo che avesse ragione Adorno. Zentralpark spinge il discor-
necessario riferirsi alla sequenza delle annotazioni di Zentralpark, in- so su Baudelaire e attraverso Baudelaire a incorporare le grandi an-
sieme premessa teorica e probabilmente struttura dell’intero saggio.
5 Cfr. GS I (1974), 3, p. 1216.
6 Rosemarie Heise, Der Benjamin-Nachlaß in Potsdam. Interview von Hildegard Bren-
ner, in «Alternative», 56/57 (ottobre-dicembre 1967), pp. 186-194: 193-194.
2 Adorno a Benjamin, il 6. 11. 1934, in Theodor W. Adorno – Walter Benjamin, Brief- 7 Cfr. W. Benjamin, Parco centrale, tr. it. di R. Solmi e E. Ganni, in OC VII (2006), pp.

wechsel 1928-1940, a cura di H. Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1994, vol. I, p. 73. 179-209. L’originale Zentralpark è in GS I, 2, pp. 655-90.
3 Adorno a Benjamin, il 20. 5. 1935, ivi, p. 112. 8 Cfr. Id., Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, a cura
4 Adorno a Benjamin, il 6. 9. 1936, ivi, p. 193. di G. Agamben, B. Chitussi, C.–C. Härle, Neri Pozza, Vicenza 2012, pp. 570-597.
126 franco rella di alcuni motivi nell’ultimo benjamin a partire da l’opera d’arte 127

notazioni teoriche sul risveglio, del plico K, e sulla teoria della storia va al di là della debolezza di molte delle affermazioni che in essa sono
del plico N del Passagenwerk, vale a dire sui temi della dialettica im contenute.
Stillstand e dell’«ora della conoscibilità», che, come vedremo, gioca Uno dei momenti critici del saggio sta nella curvatura immedia-
un ruolo assolutamente decisivo nella genesi dell’Opera d’arte. Que- tamente politica che esso propone. Adorno aveva avvertito Benja-
sti temi sono invece assenti in entrambi i saggi su Baudelaire del 1938 min, in una lettera del 6 novembre 1934, parlando del progetto del
e del 1939. Non solo. Zentralpark, attraverso l’allegoria, recupera Passagenwerk, che «l’estetica» incide «sulla realtà in maniera rivo-
un legame profondo tra i testi di questo periodo e il Dramma baroc- luzionaria incomparabilmente più profonda che non la teoria delle
co tedesco, che viene richiamato in Zentralpark stesso, in numerose classi come deus ex machina»12. Adorno tornerà a ribadire questo
lettere e nelle note stesse del Passagenwerk come un’esigenza di con- avvertimento nella sua lettera del 10 novembre 1938, a proposito
fronto aperta. La mia ipotesi dunque è che Zentralpark fosse davvero di La Parigi del Secondo Impero, là dove afferma che Benjamin si è
il parco, il luogo centrale, in cui far circolare i temi del Baudelaire fatto violenza per «pagare tributi al marxismo» che non giovavano
presi nella loro curvatura filosofica, e non antropologica come in La né al marxismo né a Benjamin, sbarrando la strada ai «suoi pensieri
Parigi del Secondo Impero, insieme ai temi del Passagenwerk o me- più audaci e produttivi sottoposti a una censura preventiva»13. Sta di
glio delle Tesi che ne riassumevano il contenuto teorico e storico, e fatto che il greve apparato politico tiene discosto, in entrambi i testi,
infine i temi affrontatati nel Dramma barocco tedesco. Lo «sprofon- L’opera d’arte e La Parigi del Secondo Impero, sia il nano gobbo
damento allegorico» del barocco9 è in trasparenza lo spleen, ed è allo della teologia, sia la dimensione più autenticamente teorica e dunque
stesso tempo il paradigma dell’allegoria. rivoluzionaria del suo pensiero.
La conclusione dell’Opera d’arte afferma che alla «estetizzazione
della politica che il fascismo persegue», il comunismo «risponde con
4. Il terzo «cantiere» aperto, come si è detto, è quello dell’Opera la politicizzazione dell’arte»14. Tale affermazione sembra rovesciare
d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Il continuo aggirar- quanto Adorno aveva affermato quando scriveva a proposito della
si intorno a questo testo fino al 1939 indica che Benjamin lo conside- tensione rivoluzionaria dell’estetico. Sembra rovesciare quanto Benja-
rava tutt’altro che finito. Che il saggio non fosse concluso lo mostra min stesso aveva affermato nel suo attraversamento di Baudelaire, il
il fatto che, come afferma Massimo Cacciari, per essere compreso poeta dell’annientamento dell’aura nello spleen, in cui non solo si in-
esso deve essere necessariamente ricondotto a Parigi e a Baudelai- travede la perdita dell’aureola, ma anche il collasso del tempo lineare
re10. Benjamin nell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità e progressivo nelle dinamiche metropolitane. Sembra rovesciare quan-
tecnica non l’ha fatto. Il confronto affiora semmai proprio in Zen- to di autenticamente rivoluzionario emerge dalla sua lettura di Kafka
tralpark là dove, nell’annotazione XXXVII, si parla dell’emergenza quale si esprime nella grande lettera a Scholem del 12 giugno 1938.
«dell’allegoria a partire dalla situazione determinata dall’evoluzione Sembra rovesciare quanto emerge dalla sua lettura di Proust in cui egli
tecnica» e della necessità «di rappresentare la disposizione malinco- individua la rivoluzione copernicana del risveglio, l’ora della conosci-
nica di quest’opera poetica», vale a dire dell’opera di Baudelaire11. È bilità e, addirittura, le revers – moins du monde que de la vie même15.
proprio in questo senso che, come asserisce ancora Cacciari, L’opera Il desiderio di essere pubblicato in Russia sulla rivista diretta da
d’arte va ridiscussa, proprio per riscoprirne l’importanza decisiva che Brecht, «Das Wort», il desiderio di essere pubblicato anche in rus-

9 W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, in GS I, 1, pp. 203-409: 406; tr. 12 T. W. Adorno - W. Benjamin, Briefwechsel 1928-1940, cit., p. 74.
it. di F. Cuniberto, Il dramma barocco tedesco, in OC II (2001), pp. 69-268: 266. 13 Ivi, pp. 376-74: 369.
10 Massimo Cacciari, Il produttore malinconico, in tr. Filippini-Valagussa, Opera d’ar- 14 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 92; Dritte Fassung, p. 141; Fünfte Fas-

te, pp. V-XLVI: XVIII. sung, p. 250; tr. it. Filippini-Valagussa, Opera d’arte, p. 38.
11 W. Benjamin, Zentralpark, GS I, 2, p. 685; tr. it. cit., p. 204. 15 Id., Das Passagen-Werk, S 2 e S 3, GS V, 2, p. 679; tr. it. cit., p. 612.
128 franco rella di alcuni motivi nell’ultimo benjamin a partire da l’opera d’arte 129

so probabilmente giustifica questa problematica affermazione. Su di interamente del territorio della mimesis, aprendo, come afferma lo
essa pesa anche il desiderio di un intellettuale chiuso nella tana della stesso Benjamin, all’arte per l’arte, alla denuncia del patto mimetico
Bibliothèque Nationale di essere in qualche modo partecipe – senza da parte di Mallarmé, quando egli afferma che la parola “fiore” non
mediazioni – dell’opposizione al fascismo. è in nessun vaso di fiori, o in Monet quando Kandinskij, osservando
il dipinto Il pagliaio, afferma che nel quadro non si vede alcun pa-
gliaio17. Rimarrebbe da chiarire se la denuncia del patto mimetico
5. Guardiamo più da vicino L’opera d’arte nell’epoca della sua ri- porti a una rinuncia totale della mimesis e del racconto che è stato e
producibilità tecnica. La fotografia e il cinema sfuggono davvero «al che forse è ancora uno degli elementi decisivi della conoscenza. Ma
regno della bella apparenza» in cui si nasconde la vocazione cultua- questo è un altro discorso.
le? Lo stesso Benjamin ha affermato, al contrario, nell’Autore come Comunque, al di là del fatto che quasi tutte le affermazioni di
produttore, che la fotografia «sempre più moderna e tecnicamente Benjamin nel saggio sull’Opera d’arte possono essere contestate, o
capace» mette nelle condizioni di fotografare «un mucchio di im- talvolta apparire quasi incomprensibili – come quando afferma che
mondizia trasfigurandolo», anzi non potendo fare a meno di trasfigu- il sonoro è stato attuato per depotenziare la carica rivoluzionaria del
rarlo nella parvenza che il «mondo è bello»16. Per quanto riguarda il cinema muto, o quando ipotizza che il cinema «sia la forma d’arte
cinema, è vero che l’attore si trova ad essere esecutore di parti anche che corrisponde al pericolo sempre maggiore di perdere la vita»18 –,
distanti tra loro che vengono poi assemblate, ma questa pratica della ciononostante questo saggio è fondamentale. Lo è perché di fatto l’arte
composizione è così diversa dai dipinti delle botteghe rinascimentali contemporanea ha non solo rinunciato ma ha distrutto l’aura. Basti
in cui è già attiva la divisione del lavoro e il maestro affidava ad un pensare alle «sfigurazioni» dell’arte del Novecento e alla violenza che è
allievo il paesaggio e ad un altro gli elementi decorativi? Il montag- racchiusa nella scarnificazione della forma di Giacometti, nell’attacco
gio è sempre «de-auratizzante» oppure, come ha affermato lo stesso al linguaggio di Artaud, nella carne ferita di Bacon, nel taglio di Fonta-
Benjamin, il montaggio surrealista ha «un carattere magico»? na. È fondamentale anche, come vedremo, per altri motivi.
È vero che «l’osservazione simultanea da parte di un vasto pubbli-
co, quale si delinea nel XIX secolo, è un sintomo precoce della crisi
della pittura», oppure è il momento in cui si genera l’impressionismo 6. L’opera d’arte è un testo malinconico. Lo è per l’assenza del
che assume via via un carattere auratico? D’altronde, come scrive nano gobbo, lo è per l’assenza di quel poeta, che è stato e che è suo
Benjamin, «un’effigie medievale della Madonna al momento in cui simile e suo fratello – per l’assenza di Baudelaire. Assente, ma fino
veniva dipinta non era ancora autentica, lo diventa nei secoli seguen- ad un certo punto. Questo saggio lo chiama, in qualche modo lo
ti». Nel prestissimo metropolitano l’impressionismo diventa «auten- suscita. Ricordiamo che nell’Exposé del 1935, che è praticamente
tico» nel giro di alcuni decenni. È altresì vero che opere nate non solo contemporaneo all’Opera d’arte, già si parla di Baudelaire come di
nell’epoca della riproducibilità tecnica, ma avvalendosi anche degli «un ingegno allegorico»19. Benjamin sa che l’allegoria è il più potente
strumenti e degli elementi messi a disposizione dalla tecnica, sono dispositivo di distruzione dell’aura. Baudelaire non c’è, ma comun-
diventate «autentiche» nel giro di pochi anni. Questo vale per esem- que questo testo lo chiama, lo attrae. Arrivo a dire che L’opera d’arte
pio per il dadaismo, per cui contrapporre Hans Arp a Rilke, come
ha fatto Benjamin nell’Opera d’arte, non appare affatto convincente.
17 Wassilj Kandinskij, Sguardo all’indietro, in Id., Tutti gli scritti, 2 voll., tr. it. di L.
Piuttosto possiamo affermare che la fotografia sembra impadronirsi
Sosio, a cura di P. Sers, Feltrinelli, Milano 1973-74, vol. II, p. 157.
18 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, nota 1, pp. 135-136; Vierte Fassung, nota 2,

p. 194; Fünfte Fassung, p. 244; tr. it. cit., nota 66, p. 65.
16 W. Benjamin, Der Autor als Produzent, in GS II (1977), 2, pp. 683-701: 693; tr. it. 19 Id., Paris, die Hauptstadt des XIX. Jahrhunderts, in GS V, 1, pp. 45-59: 54; tr. it. di

di A. Marietti Solmi, L’autore come produttore, in OC VI (2004), pp. 43-58: 51. R. Solmi, Parigi, la capitale del XIX secolo, in OC IX, pp. 5-18: 13.
130 franco rella di alcuni motivi nell’ultimo benjamin a partire da l’opera d’arte 131

nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è alla base del lavoro su 7. Ho detto che Das Kunstwerk in qualche modo genera quel pro-
Baudelaire, forse in modo non del tutto evidente ne La Parigi del Se- getto che potremmo appunto intitolare il Baudelairebuch. È quanto
condo Impero, ancora sofferente per l’assenza del nano gobbo, e per possiamo leggere in una straordinaria e intensa lettera a Gretel Kar-
il pesante tributo pagato ad un’analisi immediatamente politica. È plus del 9 ottobre 1935. Benjamin afferma che potrebbe così presen-
evidente però in Zentralpark. Benjamin quando pensa ai temi dell’O- tarle l’exposé che lei già conosce in una nuova luce. Quale possa esse-
pera d’arte di fatto pensa anche a Baudelaire, pensa alla scoperta re la nuova prospettiva sull’exposé dei Passagen e del Baudelaire che
sconvolgente che la poesia di Baudelaire è «la rinuncia all’incanto allora ne era ancora parte cospicua viene detto quasi con esaltazione:
della lontananza»20, all’aura che si raggrinzisce, scolora e rattrappi-
sce. Baudelaire sa, e anche Benjamin sa, quanto afferma Judith Butler In sostanza non posso entrare nel dettaglio ma dirti soltanto in grandi linee
in un testo molto prossimo a Benjamin, che «ciò che è vivo nell’opera che io – in queste ultime settimane – ho potuto scoprire quel carattere strut-
turale segreto dell’arte attuale che permette, cosa che è per noi decisiva, di
d’arte si muove contro la seduzione e la bellezza»21.
riconoscere ciò che oggi è determinante nel «destino» dell’arte del XIX secolo.
Baudelaire ha trasformato, come afferma Patrick Labarthe in Ho con ciò realizzato in un esempio decisivo la mia teoria della conoscenza che
Baudelaire et la tradition de l’allégorie22, Parigi stessa in un teatro al- è cristallizzata nell’«ora della conoscibilità», che forse non ti è familiare e che
legorico, in cui allegoria rima con malinconia. Parigi e il cuore uma- io ho trattato in modo molto esoterico. Ho trovato quell’aspetto dell’arte del
no, per esempio nella poesia Il cigno, gareggiano nella rapidità con XIX secolo, che solo «ora» è conoscibile, che non lo è mai stato prima e che
cui, in una sorta di terribile fantasmagoria, le immagini si trasfor- non lo sarebbe più avanti23.
mano e tramontano, affondando in un irraggiungibile altrove. Gli
«anni profondi» del cuore umano sono questo altrove. Tutta la città Questi temi tornano anche qualche giorno dopo in una lettera a
è sul bordo dell’altrove, lambisce le terre d’esilio in cui le immagini Horkheimer del 16 ottobre 193524 e poi in una lettera del 24 ottobre
emergono e lampeggiano un istante per finire, come nella poesia A a Gershom Scholem che pure vale la pena di citare:
una passante, in un «mai più».
[Il mio vero lavoro] negli ultimi tempi ha ricevuto un impulso decisivo
Benjamin sa quanto Baudelaire abbia cercato l’arresto del tempo,
da alcune conclusioni fondamentali a cui sono giunto nell’ambito della teoria
o addirittura la sua scomparsa come ne «la camera doppia» dello dell’arte. Costituiscono una serie di linee fondamentali di ordine sistematico
Spleen di Parigi. Se l’epoca della riproducibilità tecnica si è misurata che, unite allo schema storico che ho disegnato circa quattro mesi fa, forme-
su un tempo sbriciolato in attimi, Baudelaire aveva vissuto l’ansia ranno una sorta di reticolo dove si dovranno inserire tutti i particolari. Queste
dell’attimo come incrinatura possibile nella catastrofe di cui lo spleen riflessioni legano la storia dell’arte nel secolo XIX alla conoscenza della sua
è l’unica esperienza che di essa ci è concessa. È in questa catastrofe situazione che da noi è vissuta nel presente […] La loro stesura provvisoria
s’intitola L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica25.
che è necessario trovare spazi, interstizi, crepe, incrinature, per poter-
la destrutturare, per sciogliere il grumo che essa rappresenta, o me-
glio per far esplodere quel «morto viluppo di memorie» di cui parla
8. Quello che emerge da queste lettere, ma soprattutto da quel-
anche Montale In limine a Ossi di seppia, su cui penso di ritornare.
la a Gretel, è che proprio Das Kunstwerk illumina tutto quel che

23 Benjamin a Gretel Karplus, il 9. 10. 1935, in Gretel Adorno – Walter Benjamin,

Briefwechsel 1930-1940, a cura di C. Gödde e H. Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt a. M.


20W. Benjamin, Das Passagen-Werk, J 56a, 12, GS V, 1, p. 417; tr. it. cit., p. 358. 2005, pp. 242-245: 243.
21Judith Butler, Strade che divergono. Ebraicità e critica del sionismo, tr. it. di F. De 24 A Max Horkheimer, il 16. 10. 1935, GB V (1999), pp. 177-180: 179; tr. it. di A.

Leonardis, Raffaello Cortina, Milano 2013, p. 118. Marietti e G. Backhaus, Lettere 1913-1940, Einaudi, Torino 1978, pp. 310-313: 312.
22 Patrick Labarthe, Baudelaire et la tradition de l’allégorie, Droz, Genève 1999, p. 25 A Gershom Scholem, il 24. 10. 1935, ivi, pp. 186-90; tr. it. di A. M. Marietti, Teo-

448. logia e utopia. Carteggio 1933-1940, Einaudi, Torino 1987, pp. 193-6: 196.
132 franco rella di alcuni motivi nell’ultimo benjamin a partire da l’opera d’arte 133

era emerso nell’exposé su Parigi e i Passagen. In questa nuova tastrofe continua»29. Il ricordo, lo scrigno dell’aura, diventa così la
luce emerge l’arte del XIX secolo e soprattutto Baudelaire, che di figura chiave dell’allegoria30, e ne rovescia il senso.
quest’arte non è solo il più grande rappresentante, ma anche il più È di qui che muovo verso la conclusione di queste mie osservazio-
grande dei suoi interpreti e dei suoi teorici. Se dunque fotografia e ni richiamando un poeta che non è dadaista e che pure ha a che fare
cinema hanno condotto Benjamin a Baudelaire, e alla sua aureola in termini propriamente benjaminiani con il declino dell’aura.
caduta e abbandonata nel fango della strada mentre il poeta, senza
aureola, si dirige al bordello, questo è stato possibile perché qui
Benjamin ha attivato uno dei nodi fondamentali del suo pensiero te- 10. Montale in Ossi di seppia vuole distinguersi dai «poeti lau-
orico, veramente la prima philosophia, o meglio la grande filosofia reati», dai poeti con la corona, con l’aureola, poeti «dai nomi poco
del moderno. Ha attivato il dispositivo dell’ora della conoscibilità, usati: bossi ligustri o acanti». Io, per me, scrive Montale, «amo le
che emerge nel cuore del Passagenwerk e che è il centro delle tesi Sul strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere / mezzo
concetto di storia. L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibi- seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla»31. Il poeta
lità tecnica è l’esempio – anzi dalla lettera a Gretel pare addirittura ha ormai soltanto «parole» che sono «come donne pubblicate», non
il primo esempio – in cui questo dispositivo teorico trova la sua ha che «frasi stancate». Molti anni dopo, nelle poesie di Satura II,
applicazione e diventa così, come scrive Benjamin, definitivamente scriverà «La poesia e la fogna, due problemi / mai disgiunti (ma non
«decisivo». te ne parlai)»32.
Questa dimensione che è definita «determinante» e che viene pre- Mi sia concesso richiamare a questo punto un’altra poesia di
sentata come una vera e propria scoperta, è assente dal saggio sull’o- Montale, il poeta senz’aura, e un piccolo frammento del mio libro
pera d’arte, pur essendone alla base. Ed è un’assenza che pesa. Forme del pensiero33.
Da Il dramma barocco tedesco a Parco centrale e alle tesi Sul con-
cetto di storia, attraverso il Passagenwerk e la costellazione di testi
9. È in Zentralpark che l’allegoria unisce l’arte «determinata che abbiamo richiamato all’inizio, è la memoria stessa – che è alla
dall’evoluzione tecnica»26 ad un’altra dimensione ineliminabile. Nel- base di ogni storia – che si fa reliquia. Ritroviamo qui la polemica di
le poesia Il cigno Baudelaire fa rimare allegoria con malinconia27. Nietzsche contro la storia e lo storicismo della II Inattuale, Sull’utili-
Malinconia e allegoria rimano costantemente nel testo benjaminiano tà e il danno della storia per la vita34. Ritroviamo qui la straordinaria
a partire già da Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, per intuizione di Eugenio Montale posta In limine a Ossi di seppia35.
diventare il tema centrale nel Dramma barocco tedesco.
«La mancanza di apparenza e il decadimento dell’aura sono fe-
nomeni identici. Baudelaire mette al loro servizio il mezzo artistico
dell’allegoria»28. L’allegoria agisce dunque in funzione della destrut- 29 Ivi, p. 683; tr. it. cit., p. 202.
30 Ivi, p. 689; tr. it. cit., p. 208.
turazione dell’aura e della parvenza. È questo lo sguardo che trasfor- 31 Eugenio Montale, I limoni (da Ossi di seppia), in Id., Tutte le poesie, a cura di G.
ma il ricordo in cadavere, l’esperienza vissuta in esperienza defunta, Zampa, A. Mondadori, Milano 1984, p. 11.
e che introduce la salvezza solo «nella piccola incrinatura nella ca- 32 Ivi, p. 398 (da Dopo una fuga).
33 Franco Rella, Forme del pensiero. L’eros, la morte, la violenza, Bompiani, Milano 2014.
34 Friedrich Nietzsche, Unzeitgemässe Betrachtungen II. Vom Nutzen und Nachteil

der Historie für das Leben, in Id., Nietzsches Werke. Kritische Gesamtausgabe, III, 1, De
26W. Benjamin, Zentralpark, XXXVII, GS I, 2, p. 685; tr. it. cit., p. 204. Gruyter, Berlin – New York 1972, pp. 239-30; tr. it. di S. Giametta, Sull’utilità e il danno
27Charles Baudelaire, Opere, tr. it. a cura di G. Raboni e G. Montesano, intr. di G. della storia per la vita. Considerazioni inattuali, II, in Opere, a cura di G. Colli e M. Mon-
Macchia, Mondadori, Milano 2012 (1996), pp. 174-179: 176-177. tinari, vol. III, 1, Adelphi, Milano 1972, pp. 257-355.
28 W. Benjamin, Zentralpark, XIX, GS I, 2, p. 670; tr. it. cit., p. 191. 35 E. Montale, Tutte le poesie, cit., p. 7.
134 franco rella di alcuni motivi nell’ultimo benjamin a partire da l’opera d’arte 135

Godi se il vento ch’entra nel pomario non si possono più leggere i nomi scancellati»36. E anche in Proust
vi rimena l’ondata della vita: la possibilità di sfuggire all’erosione del tempo è lo squarcio di un
qui dove affonda un morto
tempo extratemporale in cui il passato si salda al presente, diventa di
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquario. fatto presente, è esperito come tale.
Sono i temi che stanno alla base della genesi dell’Opera d’arte
Il frullo che tu senti non è un volo, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Sono questi che gli hanno
ma il commuoversi dell’eterno grembo; permesso di far emergere la teoria dell’«ora della conoscibilità». Che
vedi che si trasforma questo lembo gli hanno permesso di leggere Baudelaire come un contemporaneo,
di terra solitario in un crogiuolo. e di lì scoprire l’affinità con la desacralizzazione dell’arte che nella
Un rovello è di qua dall’erto muro. fotografia e nel cinema trova una delle sue espressioni. Non l’unica,
Se procedi t’imbatti come Benjamin ben sapeva. Per esempio, oltre a Proust, oltre al sur-
tu forse nel fantasma che ti salva: realismo, con il suo Kafka, con la sua affermazione di una aufbauen-
si compongono qui le storie, gli atti de Zerstörung der Welt37, di un mondo che si costruisce nell’opera
scancellati pel giuoco del futuro. attraverso la distruzione.
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, – ora la sete 11. Vorrei concludere con una sorta di «fuori testo», riaprendo e ri-
mi sarà lieve, meno acre la ruggine… lanciando un problema che ho sollevato più sopra, che ho lasciato aper-
to e che voglio lasciare ancora aperto. Abbiamo la caduta dell’aura nel
Gli Ossi di seppia sono pubblicati nel 1925, tre anni prima della procedimento ipermimetico della fotografia e del cinema. E di converso
pubblicazione del Dramma barocco tedesco, undici anni prima de abbiamo il dissolversi dell’aura nella grande arte del XX secolo, quella
L’opera d’arte, più di quattordici anni prima delle notazioni benja- che ha denunciato e poi rinunciato al patto mimetico. In un’arte dunque
miniane di Parco centrale, eppure Montale era arrivato – in rap- che ha rinunciato alla rappresentazione dell’oggetto, ma che ha operato
porto a questi temi - alle stesse conclusioni a cui era giunto Walter un suo squarciamento, o, come abbiamo detto, una sua sfigurazione.
Benjamin. L’ondata della vita affonda in un «morto viluppo di me- Benjamin ha visto questo nell’arco teso che va dalla conclusione del
morie» là dove l’orto non è solo pomario, ma è anche origine, il Dramma barocco all’esperienza surrealista, quella che con Il paesano di
participio passato di orior, sorgere, nascere. L’orto è ciò che è nato Parigi38 lo inquietava nel momento stesso in cui lo spingeva verso la Pa-
e poi scomparso, pietrificato in un gelido reliquiario. Qui, nel reli- rigi dei passages, verso la Parigi di Baudelaire. Anche per questo conside-
quiario appunto, «si compongono le storie, gli atti» che sono stati ro L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica un cantiere
scancellati, e che rimangono proprio come macerie, ossa, res relic- aperto come il libro su Baudelaire e come il Passagenwerk stesso. Anche
tae. Di qui si può uscire solo con un balzo, attraverso la «maglia a questo va misurato il tema della caduta dell’aura, anche attraverso un
rotta nella rete». Benjamin aveva parlato di una rottura, in Parco inevitabile ampliamento del concetto di tecnica.
centrale e poi nelle tesi Sul concetto di storia, in cui emerge, come
in Montale, l’immagine che «guizza via»: il varco, il balzo rivolu- 36 Marcel Proust, Il tempo ritrovato, in Id., Alla ricerca del tempo perduto, tr. it. di G.
zionario, forse la salvezza. Raboni, Mondadori, Milano 1983-1993, vol. VII, p. 596.
Ugualmente Proust, questo autore intimamente benjaminiano, 37 Franz Kafka, Nachgelassene Schriften und Fragmente, II, a cura di J. Schillemeit, in

afferma che il grande libro della memoria, il libro che si è via via co- Kritische Ausgabe, Fischer, Frankfurt a. M. 2002, p. 105.
38 Louis Aragon, Le paysan de Paris, Gallimard, Paris 1926; tr. it. di P. Caruso, Il pae-
struito, «è un grande cimitero in cui sulla maggior parte delle tombe
sano di Parigi, intr. e cura di F. Rella, Il Saggiatore, Milano 1982.
Massa, tecnica, politicizzazione
La politicizzazione dell’arte
Individuo, massa, mercato
Dario Gentili

1. Un saggio, diverse versioni

È nota l’accidentata vicenda editoriale de L’opera d’arte nell’epoca


della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin. Anche ora che
disponiamo di tutte – così almeno pare – le sue diverse stesure si può
sostenere che il primo scritto ad aver assicurato una certa notorietà al
suo autore non abbia un’unica versione, tanto meno una definitiva. È
dunque l’insieme delle sue versioni a costituire L’opera d’arte.
Una via privilegiata d’accesso a L’opera d’arte, intesa appunto
come composizione delle differenze tra le sue versioni, può essere
rappresentata dal confronto con Max Horkheimer, che in questa vi-
cenda ha svolto un ruolo di primo piano. Innanzitutto perché, in
quanto Direttore dell’Institut für Sozialforschung e della sua rivista
(la Zeitschrift für Sozialforschung), ha commissionato e poi pubbli-
cato il saggio benjaminiano nel primo fascicolo del quinto numero,
nel 1936. Horkheimer ha infatti accolto con molto favore la pro-
posta di Benjamin, che gli è stata annunciata in una lettera del 16
ottobre 1935 con queste parole: «l’ora del destino dell’arte ha suo-
nato per noi, e io ne ho fissato la segnatura in una serie di riflessioni
provvisorie che portano il titolo Das Kunstwerk im Zeitalter seiner
technischen Reproduzierbarkeit. Tali riflessioni tentano di dare una
forma veramente attuale ai problemi della teoria dell’arte – e lo fan-
no dall’interno, evitando ogni riferimento diretto alla politica»1. La
versione che poi Horkheimer si vide recapitare nel 1936 – quella

1 A Max Horkheimer, il 16. 10. 1935, GB V (1999), pp. 176-180: 179; tr. it. di A.

Marietti e G. Backhaus, in Walter Benjamin, Lettere 1913-1940, Einaudi, Torino 1978,


pp. 310-312: 312 [tr. mod.].
140 dario gentili la politicizzazione dell’arte. individuo, massa, mercato 141

che oggi viene denominata Dritte Fassung – non ha in realtà evitato bisogna tanto procedere valorizzando a livello contenutistico tagli
affatto «ogni riferimento diretto alla politica». Anzi. Da questo mo- e modifiche, quanto piuttosto confrontando le rispettive concezioni
mento ha pertanto inizio quella travagliatissima vicenda editoriale dell’opera d’arte di Benjamin e di Horkheimer: confrontare cioè la
le cui tappe sono dapprima un confronto tra Benjamin e Horkhei- versione de L’opera d’arte del 1936 – la cosiddetta Dritte Fassung,
mer per eliminare o stemperare i riferimenti politici troppo espliciti; quella decurtata per la pubblicazione in francese sulla Zeitschrift, ri-
quindi la decisione di pubblicare il testo in traduzione francese (di trovata nel 1989 peraltro tra i materiali del Max Horkheimer Archiv
Pierre Klossowski, a cui ha collaborato attivamente lo stesso Benja- di Francoforte – e il saggio di Horkheimer di poco successivo Arte
min) per evitare le ripercussioni che una sua ricezione in ambito te- nuova e cultura di massa (1941)5.
desco avrebbe potuto comportare; poi i tagli che il redattore della Anche così procedendo, troppe sarebbero le questioni a partire
Zeitschrift Hans Klaus Brill apportò al testo e che suscitarono il viva- da cui avviare un confronto tra Benjamin e Horkheimer sull’opera
ce disappunto di Benjamin presso Horkheimer; infine la sostanziale d’arte nell’epoca della società e della cultura di massa; i due saggi,
approvazione di Horkheimer dei tagli di Brill, che così si giustificò infatti, trattano praticamente la stessa tematica. Mi limiterò dunque
con Benjamin: «Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che la a due questioni, quelle dove maggiormente emerge una differenza
rivista, come organo scientifico, dalla stampa venga coinvolta in di- d’approccio tale da condurre la riflessione a esiti quasi opposti: l’arte
scussioni politiche. Sarebbe una seria minaccia per il nostro lavoro in autonoma o il processo di autonomizzazione dell’arte (o ancora: l’art
questa e forse anche in diverse altre direzioni»2. Alla fine, di fronte pour l’art) e il rapporto tra individuo e massa. In tal modo, sarà an-
a queste argomentazioni, seppur a malincuore, Benjamin accettò la che possibile comprendere come la oggi tanto decantata attualità de
gran parte dei tagli e delle modifiche di Brill. L’opera d’arte in estetica e nelle arti non ne suggelli affatto l’attualità
Oggi abbiamo a disposizione molto del materiale di questa vicen- tout court, anzi.
da e siamo in grado di esprimere un parere su di essa: personalmente
credo che davvero le motivazioni derivanti dalla «opportunità politi-
ca» siano state quelle decisive. Basta scorrere la lista dei tagli e delle 2. L’art pour l’art
modifiche che infine Horkheimer sottopone a Benjamin3. Si tratta
soprattutto della soppressione del primo capitolo del testo – sull’ana- Il riferimento benjaminiano a l’art pour l’art si colloca in una
lisi marxiana del modo di produzione capitalistico e sul rapporto tra posizione cruciale nello sviluppo dell’argomentazione del saggio e
struttura e sovrastruttura – e della modifica del termine «fascismo» sostanzialmente resta identico nelle versioni a nostra disposizione. Si
in «Stato totalitario» o «teoria totalitaria dello Stato» o «dottrine colloca per l’esattezza tra la definizione della nozione di «aura» e la
totalitarie» – espressioni, certo, dal tenore molto horkheimeriano – e distinzione tra le due polarità tra cui si muove la storia dell’arte e che
di «comunismo» con «forze costruttive dell’umanità»4. Per determi- caratterizzano l’opera d’arte: il valore cultuale e il valore espositivo.
nare allora il reale portato «politico» del saggio benjaminiano, non Ecco il brano in questione:

2 Benjamin, Kunstwerk, Dokumente. 1. Korrespondenzen zur Entstehungs- und Publi- Il modo originario di collocazione dell’opera d’arte nel contesto della tra-
kationsgeschichte, pp. 545-647: 579. Si tratta della lettera di Horkheimer a Benjamin del
dizione trovava la propria espressione nel culto. Le più antiche opere d’arte,
18. 03. 1936 (ivi, pp. 579-584). come sappiamo, sono sorte al servizio di un rituale, dapprima di un rituale
3 Cfr. ivi, pp. 581-582.
4 La modifica che forse più interviene sul «contenuto» dello scritto benjaminiano è

quella che corregge: «Le masse detengono un diritto alla trasformazione dei rapporti di 5 Max Horkheimer, Neue Kunst und Massenkultur (1941), in Id., Gesammelte Schrif-

proprietà» con «le masse tendono alla trasformazione delle condizioni di proprietà». Cfr. ten, Band 4 (Schriften 1936-1941), a cura di A. Schmidt, S. Fischer, Frankfurt a. M. 1988,
ivi, Dritte Fassung, p. 139; Vierte Fassung, p. 197; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, pp. 89, pp. 419-438; tr. it. di G. Backhaus, Arte nuova e cultura di massa, in Teoria critica. Scritti
41 (dove la Dritte Fassung compare ancora come «Seconda versione»). 1932-1941, vol. 2, a cura di A. Schmidt, Einaudi, Torino 1974, pp. 305-323.
142 dario gentili la politicizzazione dell’arte. individuo, massa, mercato 143

magico, poi di un rituale religioso. È ora di un’importanza decisiva il fatto che In Horkheimer, essa va a occupare quella collocazione esterna rispet-
questo modo d’esistere auratico dell’opera d’arte non si distacchi mai com- to alla società e alla cultura di massa che consente all’individuo che
pletamente dalla sua funzione rituale. In altre parole: il valore singolare del-
si fa portatore della sua istanza di non esserne fagocitato e, quindi,
l’«autentica» opera d’arte ha sempre la propria fondazione nel rituale. […]
Quando, infatti, con la diffusione del primo mezzo di riproduzione effettiva- di svolgere una funzione critica rispetto al contesto del mondo in
mente rivoluzionario ossia con la fotografia (in contemporanea con l’irruzione cui vive. L’arte autonoma rappresenta il «rifugio» dell’individualità
del socialismo), l’arte avvertì l’approssimarsi della crisi che dopo altri cento critica, quello spazio «fuori dal mondo» – in precedenza prerogativa
anni è divenuta inequivocabile, reagì con la dottrina dell’art pour l’art, che è della religione – da cui può procedere la critica allo status quo. In-
una teologia dell’arte6. somma, l’arte nuova – e con essa l’individualità che in essa si esprime
– è l’ultimo avamposto della «resistenza» alla logica dell’uniforma-
Vengo ora immediatamente a Horkheimer senza commentare zione e del conformismo della società di massa. Nei termini di Benja-
Benjamin, in modo che questo brano di Arte nuova e cultura di mas- min, è come se per Horkheimer l’arte autonoma dovesse rinnovare la
sa risuoni quasi come una diretta risposta alle argomentazioni benja- sua auraticità come forma di resistenza nell’epoca della riproducibi-
miniane: lità tecnica. Anche Benjamin, infatti, considera l’art pour l’art come
l’ultima espressione di resistenza dell’arte tradizionale all’affermarsi
Nell’arte che rifiuta di rendersi comune, è insito un elemento di resistenza.
dell’arte meccanizzata, della seconda tecnica, del prevalere del valore
La resistenza alle costrizioni sociali, quale si è occasionalmente manifestata
nelle rivoluzioni politiche, ha sempre operato nell’ambito privato. […] Ovvia- espositivo su quello cultuale. Ma questa resistenza non va assecon-
mente su questo regno della libertà che cominciava fuori dell’attività lavorativa data e rafforzata, bensì va liquidata. Intendiamoci: sebbene valore
gravavano i vapori velenosi delle forme di dominio presenti e passate; ma esso cultuale e valore espositivo non scandiscano per epoche distinte un
costituiva un rifugio privato, una possibilità di trascendere la funzione sociale qualche «sviluppo» dell’opera d’arte, se tuttavia vogliamo seguire
cui l’individuo era stato ridotto dalla divisione del lavoro. Visti da una tale Benjamin fino in fondo nella sua radicalità, a essere «resistente», a
distanza, gli elementi della realtà si trasformano in immagini che si contrap-
conservare ancora un certo valore cultuale rispetto all’arte meccaniz-
pongono come estranee ai sistemi di concetti convenzionali: in esperienza e in
produzione artistica. [N]elle opere d’arte in quanto oggettivazioni dello spirito zata e riprodotta, è anche la grande arte delle avanguardie storiche a
distaccate dal contesto della pratica materiale sono insiti dei principi che fanno cui fa riferimento Horkheimer (pittura e scultura – le arti figurative
apparire estraniato e falso il mondo nel quale sono sorte. […] Da quando è – sono infatti dal punto di vista «tecnico» in continuità con l’arte
diventata autonoma, l’arte ha preservato l’utopia che è sfuggita alla religione7. tradizionale)8. Certo, per Benjamin non è sufficiente la trasfigurazio-
ne dell’arte attraverso i dispositivi di riproduzione; se l’aura è la qua-
Dal confronto tra questi due brani risulta evidente il giudizio op- lità che la religione e il valore cultuale conferivano all’arte tradizio-
posto che viene pronunciato sull’«arte autonoma» o l’art pour l’art. nale (l’hic et nunc della loro ricezione), è ora la politica (comunista)
a dover conferire al valore espositivo dell’arte riproducibile la sua
peculiare aura: «per la prima volta nella storia mondiale, la ripro-
6 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 103-104; tr. it. cit., pp. 53-54. In un primo
ducibilità tecnica dell’opera d’arte emancipa quest’ultima dalla sua
momento, la parentesi «(in contemporanea con l’irruzione del socialismo)» era stata ta-
gliata da Brill, ma su tenace insistenza di Benjamin è stata poi ripristinata. Tanta insistenza esistenza parassitaria nel rituale. L’opera d’arte riprodotta diviene,
era dovuta al fatto che per Benjamin l’opera d’arte riproducibile (la cosiddetta seconda in misura sempre crescente, la riproduzione di un’opera d’arte desti-
tecnica) con la fotografia si affaccia in ambito tecnico e artistico contemporaneamente al
socialismo in ambito politico. Sono due fenomeni strettamente connessi, impensabili l’uno
senza l’altro; vale a dire che l’opera d’arte riproducibile (o «meccanizzata», come tradotto 8 Tra le avanguardie storiche, Benjamin privilegia il surrealismo, che però critica pro-

in francese) è l’espressione artistica del socialismo e del comunismo – non ve n’è un’altra. prio per aver finito per ridurre una pratica politica a una pratica estetica. Cfr. W. Benjamin,
L’arte auratica o tradizionale viene pertanto storicamente meno. Der Sürrealismus. Die letzte Momentaufnahme der europäischen Intelligenz, GS II (1977),
7 M. Horkheimer, Neue Kunst und Massenkultur, cit., pp. 420-421; tr. it. cit., pp. 1, pp. 295-310; tr. it. di A. Marietti Solmi, Il surrealismo. L’ultima istantanea sugli intellet-
306-307. tuali europei, OC III (2010), pp. 201-214.
144 dario gentili la politicizzazione dell’arte. individuo, massa, mercato 145

nata alla riproducibilità. […] Ma nell’istante in cui nella produzione Mi pare preoccupante, e vedo in questo un residuo sublimato di certi mo-
artistica viene meno il metro dell’autenticità, l’intera funzione sociale tivi brechtiani, che ora trasferisca senza tante cerimonie il concetto di aura
magica sull’«opera d’arte autonoma», assegnando quest’ultima nettamente
dell’arte si è capovolta. Al posto della sua fondazione sul rituale, deve
alla funzione controrivoluzionaria. […] Per quanto dialettico sia il Suo lavoro,
subentrare la sua fondazione su un’altra prassi: vale a dire, la sua esso non lo è quando affronta l’opera d’arte autonoma; ignora l’esperienza
fondazione sulla politica»9. Non è dunque, come sostiene Horkhei- elementare […] che proprio la massima coerenza nell’obbedire alla legge tec-
mer, l’arte a dover prendere il posto della religione nel preservare l’u- nologica dell’arte autonoma trasforma quest’ultima avvicinandola, invece che
topia, bensì la politica. L’arte è di fatto una techne e, in quanto tale, è alla tabuizzazione e alla feticizzazione, allo stato di libertà, di ciò che coscien-
sempre arte di governo degli uomini: arte di governo era la religione temente può venir prodotto, di ciò che è fattibile. [...] L’art pour l’art avrebbe
altrettanto bisogno di essere salvata11.
quando padroneggiava la prima tecnica e arte di governo deve ora
farsi la politica comunista attraverso la seconda tecnica. Altrimenti,
nella misura in cui l’arte si rende autonoma dalla politica, si rende Nello «stato di libertà» che Adorno attribuisce all’arte autono-
disponibile a essere catturata da altre potenze, ad esempio da quella ma non è difficile scorgere quello stesso «regno della libertà» che per
del mercato (e dalla sua peculiare arte di governo)10. Horkheimer comincia al di fuori dell’attività lavorativa e che diventa
Se in Arte nuova e cultura di massa Horkheimer si è espresso indi- prerogativa dell’arte autonoma. Ciò che alla fine Adorno suggerisce a
rettamente a proposito della liquidazione benjaminiana dell’art pour Benjamin è dunque «un’aggiunta di dialettica»12 al suo saggio. Biso-
l’art, Adorno lo ha fatto direttamente in una lunga lettera del 18 gna chiedersi se proprio una tale «aggiunta di dialettica» non finisca
marzo 1936, dove inoltre puntualizza che le sue considerazioni criti- per relegare l’arte a una «funzione di resistenza», quella stessa funzio-
che sono condivise dallo stesso Horkheimer: ne che Benjamin prova a «superare» con la liquidazione dell’art pour
l’art e con l’affermazione dell’arte riprodotta e meccanizzata13. Ador-
no e Horkheimer attribuiscono all’arte fondamentalmente un ruolo di
9
«resistenza» rispetto alla cultura e alla società di massa – e in un certo
Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 104; tr. it. cit., pp. 54-55.
10 Del tutto esplicito è a tal proposito un appunto di Benjamin tra i manoscritti per senso rispetto al capitalismo – mentre Benjamin cerca di affermare la
la Zweite Fassung, dove è evidente la consapevolezza della labilità del confine tra «arte possibilità di un’arte della cultura e della società di massa, che però sia
riprodotta» e «arte mercantile», e della funzione decisiva che deve svolgere la politica «politicizzata». Insomma, per Benjamin, la «politicizzazione dell’arte»
per marcare tale confine – confine che corrisponde, come vedremo, all’articolazione del
avrebbe dovuto farsi espressione di quelle stesse energie di cui in misu-
rapporto tra individuo e massa: «Nella réclame, che si rivolge alla massa dei singoli indi-
vidui distratti, l’arte compie la propria prova mercantile usando un esempio di ricezione ra crescente il mercato capitalista si è andato appropriando.
delle masse, sul quale con la rivoluzione del proletariato farà la propria prova umana.
Ciò implica il fatto che voler fissare dei limiti fra réclame e arte è sostanzialmente infrut-
tuoso. Fruttuosa risulta essere, viceversa, la comparazione delle forme estreme della pro-
3. Individuo e massa
duzione artistica, per esempio quella fra l’immagina votiva e l’immagine pubblicitaria,
e anche la constatazione che chi si raccoglie davanti all’opera d’arte finisca sempre per
avere un atteggiamento religioso, mentre la massa distratta che consente all’opera d’arte Vengo ora al secondo aspetto – strettamente connesso al primo –
di produrre in lei i propri effetti debba sempre attendere dalla politica il riconoscimento che emerge dal confronto tra L’opera d’arte di Benjamin e Arte nuova
della propria dignità umana». Ivi, Manuskripte zur Zweiten Fassung, pp. 94-95; tr. it.
di G. Quadrio-Curzio, Appendice a L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
di Horkheimer: il rapporto tra individuo e massa. In Horkheimer, come
tecnica, OC VI (2004), pp. 308-309. Su questa traccia benjaminiana si potrebbe inserire
Il bene nelle cose di Emanuele Coccia, dove tra le altre cose si afferma la continuità tra 11 Lettera di Theodor W. Adorno a Walter Benjamin del 18. 3. 1936, in Benjamin,

una certa arte tradizionale (quella «esposta» pubblicamente sui muri e sulle pareti) e la Kunstwerk, Dokumente, pp. 584-592: 586-587; tr. it. di G. Quadrio-Curzio, in OC VII
pubblicità; tuttavia, nel legittimare la pubblicità da un punto di vista estetico ed etico, a (2006), pp. 545-549: 546.
differenza di Benjamin, Coccia non contempla il passaggio decisivo per la sua «politiciz- 12 Ivi, p. 589; tr. it. cit., p. 548.

zazione». Cfr. Emanuele Coccia, Il bene nelle cose. La pubblicità come discorso morale, 13 Per intenderci, sarebbe forse giunto il momento di distinguere chiaramente la «dia-

il Mulino, Bologna 2014. lettica negativa» adorniana dalla «dialettica degli estremi» benjaminiana.
146 dario gentili la politicizzazione dell’arte. individuo, massa, mercato 147

già evidenziato, l’autonomizzazione dell’arte corrisponde all’autono- mente superate»16. Tuttavia, seppure nell’epoca della società di massa,
mizzazione dell’individuo rispetto alla società e alla sua logica confor- la conclusione del saggio di Horkheimer ancora lascia aperta all’arte
mistica. Anche l’«individualità» assume dunque una funzione di «re- una possibilità di resistenza, a condizione che il suo linguaggio si renda
sistenza»: «L’individualità non consiste in idiosincrasie e capricci, ma incomprensibile per la cultura di massa, radicalizzando al massimo la
nella forza che le capacità spirituali hanno di resistere alla chirurgia sua autonomia – e quella dell’individuo – dalla società: «forse non è del
plastica praticata dal sistema economico dominante, che mira a ridurre tutto insensato continuare col discorso incomprensibile»17.
tutti gli uomini a una norma unitaria. Gli uomini sono liberi di rico- Passando a Benjamin, tra i diversi brani sul rapporto tra massa e
noscersi nelle opere d’arte esattamente nella misura in cui hanno resi- individuo ne privilegerò uno, particolarmente sorprendente (è tratto
stito al livellamento generale. L’esperienza individuale quale si incarna dalla Dritte Fassung, ma si trova anche nella traduzione francese,
nell’opera d’arte è non meno valida di quella organizzata di cui la socie- non però nella Fünfte Fassung – quella più celebre e diffusa, divenuta
tà si serve per dominare la natura. Sebbene il suo criterio risieda esclu- canonica – e pertanto è tra i meno noti). Lo cito quasi per intero:
sivamente in essa stessa, l’arte è conoscenza non meno della scienza»14.
Individuo e società sono divenute forze che procedono in direzioni Le rivoluzioni sono innervazioni del collettivo: più precisamente, tentativi
opposte e alternative: l’imporsi della società di massa tende alla sop- d’innervazione del nuovo collettivo, storicamente inedito, che ha nella seconda
tecnica i suoi organi. Questa seconda tecnica è un sistema nel quale il padro-
pressione dell’individualità, il cui ultimo rifugio resta l’arte, che a sua
neggiamento delle forze elementari della società rappresenta il presupposto
volta deve rendersi autonoma dalla cultura di massa. Nel passato, nella per il gioco con quelle naturali. […] Infatti, non è certo solo la seconda tecnica
configurazione borghese del mondo, «individuo e società sono concetti che, nelle rivoluzioni, annuncia alla società le proprie pretese. Appunto perché
reciproci. L’individuo si sviluppa in armonia con e in opposizione alla questa seconda tecnica mira anzitutto alla progressiva liberazione dell’uomo
società; questa si dispiega in quanto si dispiegano gli individui, ed essa dalla schiavitù del lavoro, l’individuo, dall’altro lato, vede a un tratto che il
si dispiega in quanto gli individui vengono spezzati. Nel corso di questo proprio spazio di gioco si è espanso indeterminatamente. In questo spazio di
gioco egli non è ancora informato su nulla. Ma in esso egli annuncia le proprie
processo i meccanismi sociali – divisione nazionale e internazionale del
pretese. Quanto più il collettivo, infatti, fa propria la sua seconda tecnica,
lavoro, crisi e prosperità, guerra e pace – rafforzano la loro indipenden- tanto più diviene percepibile, per gli individui che ne fanno parte, quanto poco
za dall’individuo, che di fronte a essi è sempre più estraneo e impotente. finora era toccato a loro, in balia della prima tecnica, il proprio. In altre paro-
La società sfugge agli individui e gli individui sfuggono alla società»15. le, ad avanzare le proprie pretese è il singolo uomo emancipatosi mediante la
In quegli anni Horkheimer riconosce tanto negli Stati totalitari quanto liquidazione della prima tecnica. La seconda tecnica non ha messo al sicuro le
nell’industria culturale americana l’affermarsi della cultura di massa e, sue prime conquiste rivoluzionarie fino a che le questioni vitali dell’individuo
diffuse attraverso la prima – amore e morte – non spingano di nuovo verso
quindi, il venir meno della dialettica tra individuo e società, che con-
una soluzione18.
feriva una «funzione sociale» all’arte in quanto espressione dell’indi-
vidualità, di cui erano le «persone colte» i portavoce: «In Europa la
rappresentanza e la direzione delle masse sono passate dalle persone 16 Ivi, pp. 436-437; tr. it. cit., p. 322 [tr. mod.].
17 Ivi, p. 438; tr. it. cit., p. 323. Sappiamo che in seguito il giudizio positivo di Horkhei-
colte a potenze più coscienti dei propri fini. Nell’arte e nella teoria il
mer sulle possibilità insite nell’arte autonoma cambierà: «Ma dopo che le opere d’arte
posto della critica è stato preso dall’odio reale e dall’astuzia dell’ob- dell’Ottocento si sono pietrificate nei musei, l’astrattismo impallidisce a bene di consumo e
bedienza. Le contrapposizioni di individuo e società, esistenza privata decorazione. Diventa inespressivo e conformistico anche quando assume gli atteggiamenti
e sociale, su cui si fondava la serietà del gioco artistico, sono storica- più ribelli» (M. Horkheimer, Taccuini 1950-1969, Marietti, Genova 1988, pp. 84-85).
Nell’ultima fase della sua produzione, infatti, Horkheimer restituirà alla religione – in
particolare a un «ebraismo critico» – quella radicale alterità rispetto alla società di massa
che negli anni Trenta-Quaranta aveva attribuito all’arte. Su questo cfr. Nicola Emery, Per
14 M. Horkheimer, Neue Kunst und Massenkultur, cit., pp. 419-420; tr. it. cit., pp. il non conformismo. Max Horkheimer e Friedrich Pollock: l’altra Scuola di Francoforte,
305-306 [tr. mod]. Castelvecchi, Roma 2015, in part. pp. 73-80 e pp. 203-231.
15 Ivi, p. 436; tr. it. cit., p. 322 [tr. mod]. 18 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 109; tr. it. cit., p. 59.
148 dario gentili la politicizzazione dell’arte. individuo, massa, mercato 149

È come se Benjamin anticipasse problematiche che solo in seguito molto da quelli dei poeti di un tempo. Baudelaire era costretto a pretendere la
si sono manifestate in tutta la loro pregnanza. La «seconda tecnica» dignità del poeta in una società che non aveva da assegnare dignità di sorta.
[…] In Baudelaire il poeta segnala per la prima volta un valore di esposizione.
di cui scrive non ha trovato di certo espressione nella «rivoluzione
Baudelaire è stato l’impresario di se stesso20.
proletaria», come egli auspicava, ma nemmeno nella biopolitica na-
zista, di cui lo stesso Horkheimer intravide le caratteristiche, quanto
Piuttosto che l’arte nuova e l’arte di avanguardia è oggi lo «stile di
piuttosto nella biopolitica neoliberista. Infatti, la seconda tecnica – in
vita» a esprimere al massimo grado – come «per la prima volta» si è
quanto «padroneggiamento delle forze elementari della società come
verificato con Baudelaire – il «valore di esposizione» dell’opera d’ar-
presupposto per il gioco con quelle naturali» – non comporta l’anni-
te. È lo stile di vita l’ultimo avamposto dell’individualità nella società
chilimento dell’individuo, ma, al contrario, il suo potenziamento. È
globalizzata, ed è il mercato a stabilire il successo o meno – e a quale
quanto Benjamin andava elaborando in quegli stessi anni nella sua
prezzo – della sua aspirazione a distinguersi dalla massa.
interpretazione di Baudelaire, di quel Baudelaire «poeta lirico nell’e-
tà del capitalismo avanzato». Baudelaire è infatti il «tipo» per eccel-
lenza dell’individuo per come viene a configurarsi nell’epoca delle
4. Aura di classe
masse, quando lo «stile di vita» diventa tutt’uno con la produzione
artistica – anzi, perché la sua poesia possa avere mercato, è la stessa
Torno infine ancora sulla funzione che in Benjamin deve giocare
vita di Baudelaire a dover diventare la merce da promuovere. Il suo
la «politica». Perché è ancora una volta la politica che decide del rap-
stile di vita da dandy è allora il potenziamento della sua individuali-
porto tra individuo e massa, tra una condizione in cui tale rapporto è
tà, di quella individualità che deve distinguersi dalla massa uniforme.
giocato nel senso del dominio – sia questo quello dei totalitarismi sia
Ma ciò accade non contro l’affermarsi della società di massa, bensì in
questo quello del mercato neoliberista – e una condizione in cui tale
virtù di essa – ecco un chiaro esempio della «dialettica degli estremi»
rapporto corrisponde al dispiegamento emancipativo e liberatorio
di Benjamin. L’espressione con cui Benjamin definisce l’atteggiamen-
annunciato dall’affermarsi della seconda tecnica, che non è preroga-
to di Baudelaire – il suo essere divenuto «impresario di se stesso» –
tiva né dell’uno né dell’altro polo del rapporto, né dell’individuo né
assomiglia in modo tutt’altro che casuale a quell’«imprenditore di se
della massa. In L’opera d’arte è infatti la «classe» a dover risolvere
stesso» con cui Foucault definisce l’individualità messa a mercato e a
e sciogliere la contrapposizione «a-dialettica» tra individuo e massa.
profitto in epoca neoliberale19:
Cito una nota che compare soltanto nella Dritte Fassung21, quin-
Non vi è alcuna approfondita analisi di Baudelaire che possa trascurare
20 W. Benjamin, Zentralpark, GS I (1974), 2, pp. 655-690: 665; tr. it. di B. Chitussi,
di confrontarsi con l’immagine della sua vita. In verità, tale immagine è de-
terminata dal fatto che egli si è accorto per primo e nella maniera più feconda Parco centrale, in Id., Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato,
a cura di G. Agamben, B. Chitussi, C.-C. Härle, Neri Pozza, Vicenza 2012, pp. 570-596:
di conseguenze che la borghesia era in procinto di ritirare la sua commissione
576-577.
al poeta. Quale commissione sociale poteva prendere il suo posto? Non lo si 21 Si tratta della nota che, nella lettera del 18. 03. 1936, Adorno definisce «tra quanto
poteva domandare a nessuna classe; si poteva al massimo dedurlo dal mercato di più profondo e potente ho incontrato nella teoria politica da quando ho letto Stato e
e dalle sue crisi. […] Ma il medio del mercato, in cui si dava a conoscere, de- rivoluzione [di Lenin]» (cfr. Id., Kunstwerk, Dokumente, pp. 591-592; tr. it. cit., p. 549).
terminava un modo di produzione e anche un modo di vita che differivano di È possibile scorgere gli echi della riflessione benjaminiana in Riflessioni sulla teoria delle
classi, che Adorno scrisse qualche anno dopo (1942), ad esempio nei seguenti passaggi,
dove sembra che egli almeno in parte assuma, dal punto di vista «politico», la concezione
19 Cfr. Michel Foucault, La nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978- benjaminiana della seconda tecnica e la conseguente critica dell’arte autonoma: «Non bi-
1979), Feltrinelli, Milano 2005. Ho approfondito la figura benjaminiana di Baudelaire in sogna pensare che il cinema eserciti un’influenza su soggetti differenti, ma piuttosto che il
quanto prototipo intellettuale del neoliberale «imprenditore di se stesso» in Dario Gentili, suo pubblico gli è affine, e crede già completamente in esso: con i residui dell’autonomia
Cosmo e individuo. Per una genealogia del lavoro intellettuale in epoca neoliberale, «aut scompaiono anche quelli delle ideologie che mediavano fra autonomia e dominio. La di-
aut», 365 (2015), pp. 21-36. sumanizzazione non è un potere esterno, una propaganda comunque intesa, un’esclusione
150 dario gentili la politicizzazione dell’arte. individuo, massa, mercato 151

di – e si tratta di una circostanza significativa – né nella traduzione La definizione dell’aura – «il manifestarsi di una lontananza, per
francese né nella Fünfte Fassung: quanto vicina essa sia» – rimane la stessa, ma una dimensione aura-
tica è ormai recuperabile non più sul piano delle arti, bensì su quello
Nella solidarietà della lotta di classe proletaria è abolita la morta contrap- politico della lotta di classe. In Che cos’è l’aura?, il declino dell’au-
posizione a-dialettica tra individuo e massa; essa, per i compagni, non esiste. ra non deriva più dall’affermarsi della riproducibilità tecnica, ma –
[…] La massa impenetrabile e compatta […] è quella piccolo-borghese. [L]e ma-
all’interno di un dispositivo di sorveglianza e di controllo di tipo
nifestazioni della massa compatta, senza eccezioni, portano sempre con sé un
aspetto panico – sia che esse si esprimano con l’entusiasmo bellico, con l’odio «panoptico», che nel Foucault di Sorvegliare e punire caratterizza la
verso gli ebrei, o con l’istinto di autoconservazione. Una volta chiarita la diffe- forma di potere «disciplinare»24 – dal sottrarsi dell’oppressore allo
renza tra la massa compatta, ovvero quella piccolo-borghese, e la massa dotata sguardo dell’oppresso.
di una coscienza di classe, ovvero quella proletaria, è palese anche il suo signifi- Per concludere, in L’opera d’arte la diagnosi circa il destino e la
cato operativo. […] Il proletariato da parte sua prepara, però, una società in cui funzione dell’arte è quasi inseparabile dalla prognosi; la prognosi sul
non saranno più disponibili le condizioni oggettive, né quelle soggettive, per la
destino dell’arte è direttamente dipendente dalla «decisione politica»
formazione di masse22.
per la «politicizzazione dell’arte» contro l’«estetizzazione della poli-
tica». Per Benjamin, a decidere per la «politicizzazione dell’arte» sa-
La stessa decadenza dell’aura finisce per essere misurata all’inter-
rebbe stata quella rivoluzione politica di classe che avrebbe generato
no del discorso di classe; Benjamin affida infatti alla lotta di classe il
l’«uomo nuovo» al quale l’arte meccanizzata della seconda tecnica era
compito di ristabilire quella lontananza – carica di conflitto – da cui
destinata: la politicizzazione dell’arte, infatti, non comporta un’«arte
si genera l’esperienza dell’aura:
nuova», bensì un «uomo nuovo»25. Non è andata a finire come Benja-
L’aura è il manifestarsi di una lontananza, per quanto vicina essa sia. [Lo min avrebbe voluto: non è la rivoluzione proletaria ad aver generato
sguardo] cessa di assomigliare allo sguardo dell’amata che, sotto quello dell’a- l’«uomo nuovo», sono altre le potenze che ne stanno configurando
mato, alza gli occhi, e comincia piuttosto a somigliare allo sguardo con cui il l’antropogenesi. Eppure, rileggendo oggi L’opera d’arte, la nostra epo-
disprezzato risponde a quello di chi lo disprezza, l’oppresso a quello dell’op- ca sembra ancora sostare presso una soglia – oggi come allora.
pressore. Da questo sguardo ogni lontananza è cancellata; è lo sguardo di chi
si è svegliato da ogni sogno, della notte come del giorno. Tale disposizione
dello sguardo può in determinate circostanze emergere in forma di massa. Ciò in quanto Benjamin presumibilmente vi si riferisce nella lettera ad Alfred Cohn del 17. 11.
avviene quando la tensione fra le classi ha superato una certa soglia. […] Da- 1937, dove, dopo essersi lamentato del fatto che la traduzione francese de L’opera d’arte
vanti al proletariato al lavoro, coloro che godono i frutti di questo lavoro non non avesse potuto contemplare fino in fondo quel «tono nuovo» che era sua intenzione
osano farsi vedere già da molto tempo. [D]iventa estremamente importante avesse il saggio, scrive di aver trovato «la definizione materialistica di “aura” di cui da
lungo tempo era in cerca» (GB V, pp. 605-607: 607). Per un’interpretazione di Che cos’è
poter studiare in pace quelli che appartengono alle classi inferiori, senza essere
l’aura? cfr. Clemens-Carl Härle, Nascita dello sguardo. A proposito del frammento benja-
studiati a propria volta23. miniano Che cos’è l’aura?, in Walter Benjamin. Testi e commenti, a cura di G. Bonola,
«L’ospite ingrato», ns 3, Quodlibet, Macerata 2013, pp. 105-117.
dalla cultura. […] Solo se le vittime si appropriano interamente dei tratti della civiltà domi- 24 Cfr. Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975), Einaudi,

nante, sono in grado di strapparla al dominio. La differenza che rimane si riduce alla nuda Torino 1993, pp. 213-247. In generale, «Il Panopticon è una macchina per dissociare la
usurpazione. […] La pseudometamorfosi della società di classe nella società senza classi coppia vedere-essere visti» (ivi, p. 220).
è così riuscita che gli oppressi sono stati bensì assorbiti, ma ogni oppressione è diventata 25 Così era per gli «artisti» (Brecht, Loos, Klee, Scheerbart) che per Benjamin si erano

palesemente superflua» (cfr. T. W. Adorno, Riflessioni sulla teoria delle classi, in Id., Scritti pronunciati «senza riserve» per la «povertà» e la «barbarie» della propria epoca, i quali si
sociologici, Einaudi, Torino 1976, pp. 348-349). In questo brano adorniano, inoltre, è rivolgevano «al nudo uomo del nostro tempo, che strillando come un neonato, se ne giace
possibile scorgere l’impostazione del rapporto tra capitale e lavoro vivo che sarà propria nelle sudicie fasce di quest’epoca»; e tuttavia, questo «uomo nuovo» niente ha a che fare
dell’epoca postfordista, in particolare secondo la lettura che ne dà il postoperaismo. con la tradizione umanistica e la sua lingua, «perché la somiglianza con l’uomo – questo
22 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 123-124; tr. it. cit., pp. 73-74. principio fondamentale dell’umanesimo – essa [la lingua della gente di Scheerbart] la ri-
23 Id., Was ist Aura?, ivi, pp. 304-306; tr. it. di G. Agamben, Che cos’è l’aura? (Ms fiuta» (W. Benjamin, Erfahrung und Armut, GS II, 1, pp. 213-219: 215-216; tr. it. di F.
BN), in Id., Charles Baudelaire, cit., pp. 25-26. Il frammento risale probabilmente al 1937, Desideri, Esperienza e povertà, in OC V (2003), pp. 539-544: 541).
La città degli eccentrici
Lineamenti estetici di una politica benjaminiana
Massimo Palma

Benedetto colui che crea strani esseri


S. Y. Agnon

1. Politica orizzontale, politica riflessa

In un recente studio sull’arte della «discrezione» il déracinement


généralisé metropolitano – «individui senza radici, senza luoghi, senza
filiazioni» – è stato letto come il «sorgere della politica come orizzon-
talizzazione radicale dei rapporti»1. Non sarebbe estraneo a questo
mondo un certo significato del concetto di «uguaglianza», ma inteso
in chiave topologica, come piano di uguaglianza2. Sarebbe anzi l’ambi-
valente interdipendenza tra la società tutta orizzontale e la tecnica che
produce un eccesso di esposizione ottica («telecamere di sorveglianza,
droni, ingiunzioni alla visibilità, il culto dell’immagine di sé»)3 a pro-
durre inedite possibilità di scomparire, di estendere il dominio della
discrezione, attraverso nuove forme, e con ciò anche nuove tecniche
di anonimato, di sparizione4. Sul piano genealogico, stando a questa
lettura, sarebbe la Parigi-capitale del XIX secolo di Baudelaire-Benja-
min a generare forme inedite di discrezione, là dove sorge «l’amore
della vita urbana ininterrotta, della vita anonima, delle folle, della vita
impersonale»5, dove si genera l’«esperienza delle “città-mondo” del

1 Pierre Zaoui, La discrétion, Autrement, Paris 2013, p. 98; tr. it. di A. Guareschi,

L’arte di scomparire. Vivere con discrezione, Il Saggiatore, Milano 2015, p. 86.


2 Ivi, p. 99; tr. it. cit., p. 86.
3 Ivi, p. 104; tr. it. cit., p. 92 [tr. mod.].
4 Contro i rischi «totalitari» intrinseci alle forme di controllo, Zaoui prospetta una

dicotomia tra una «macropolitica indiscreta» («che deve preservare a ogni costo le forme
di trasparenza democratica e l’accesso di ciascuno alla visibilità per evitare il terrore atroce
dei poteri discrezionali», ivi, p. 119; tr. it. cit., p. 104) e una «micropolitica discreta» («che
promuova le forme di anonimato, le zone di indiscernibilità», ivi, p. 119; tr. it. cit., p. 105).
5 Ivi, p. 106; tr. it. cit., p. 93.
154 massimo palma la città degli eccentrici 155

capitalismo moderno»6. Nel suo riferimento a Benjamin, quest’analisi, dalla loro appartenenza di classe. Si presentano come assembramenti concreti:
che naturalmente tracima in una contemporaneità solo profetizzabile ma socialmente restano in ogni caso astratti, vale a dire isolati nei loro interessi
personali. Loro modello sono i clienti che si radunano – ognuno per il loro
per il critico berlinese, coglie però un profilo d’ambiguità che affliggeva
personale interesse – al mercato attorno alla «cosa comune». Tali assembra-
la ricerca benjaminiana degli anni Trenta, sedimentata nell’archeologia menti hanno sovente un’esistenza solo statistica. In essi rimane celato ciò che li
dei passages ed esplosa concisamente nell’ordito del saggio sull’Opera rende tanto mostruosi. Nel momento in cui, però, questi assembramenti danno
d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica: l’intrico tra politica nell’occhio – a ciò provvedono gli Stati totalitari, rendendo la concentrazione
ed estetica prodotto dai mutamenti tecnici ed economici e i margini di dei propri clienti permanente e obbligatoria a qualsiasi proposito – allora ap-
agibilità critica di quest’intrico. pare con chiarezza il loro carattere ibrido. Appare soprattutto a coloro che si
sono riuniti. Costoro razionalizzano in termini di «destino», in cui la «razza»
Negli studi su Baudelaire, uno dei primi soggetti storici a fronteg-
ritrova se stessa, la casualità dell’economia di mercato che li ha riuniti. Danno
giare il mutamento tecnico relativo all’opera d’arte – il flâneur – viene così nel contempo libero corso all’istinto gregario (Herdentrieb) e all’agire ri-
discusso nella sua analogia e differenza con l’«uomo della folla» di flesso (reflektorisches Handeln)7.
Poe. Benjamin vi arriva per gradi: innanzitutto mostra come nei rac-
conti di Poe dagli uomini della folla emerga un conformismo dubbio, Nel lavoro sull’Ottocento francese, la flânerie (asociale o socievo-
un’orizzontalità, per usare la definizione topologica di Zaoui, che pe- le che sia) si configura a sua volta come espressione sociale strava-
rimetra le condotte secondo una ripetitività distratta e inconsapevole gante della mutazione delle condizioni economiche in atto. Il primo
quanto insolita. Nei comportamenti urbani della Menge si evidenzia saggio benjaminiano su Baudelaire mostra come l’agire di riflesso
un’uniformità d’abitudini e d’abbigliamento non posate né a modo, sulla base di stimoli economici pervada quest’orizzonte urbano di
vi sono facce altrettanto deformate dalla fretta o dall’attenzione ec- eguagliamento e inclusione tra cittadini di pari livello: gli interessi
cessiva al tempo o alle apparenze, vi è confusione nell’imputazione personali, scaturiti da una matrice economica, conducono la massa
delle condotte (gli urtati si inchinano svagatamente a chi li ha spinti): degli interessati a razionalizzare solo ex post i motivi della loro pre-
una strana confusione che farebbe pensare ai postumi dell’ebbrezza senza «al mercato». E questa razionalizzazione è limitata e perlopiù
di qualche disadattato, e invece «si tratta di nobilotti, commercianti, eterodiretta. Precisamente in questo contesto di mutamento econo-
procuratori, agenti, finanzieri». Nella lettura benjaminiana, questi mico si costituisce nel flâneur l’esperienza della folla, come struttura
comportamenti omogeneamente confusi e schematici sorgono in re- che sovrasta il suo consapevole amante, che s’inebria dell’«ultima
altà in relazione a influssi «mimetici» prodotti dall’economia e preci- droga di chi è in balia degli altri»: «il flâneur è un uomo in balia del-
samente dal funzionamento delle macchine nell’industria. la folla», anzi è proprio in questo soggiogamento all’elemento uni-
In superficie, la folla appare come riunione improvvisa di indivi- formante della quantità di individui apparentemente uguali che egli
dui diversi, diversamente interessati, e nella situazione dell’assembra- «condivide così la situazione della merce»8. Ultimo rifugio, ultima
mento il fine materiale pare del tutto contingente e destrutturato. Chi droga, in realtà la folla produce nel soggetto che pensa di galleg-
si assembra davanti a una vetrina, davanti a una partita, davanti a giarvi con fare estetizzante un’inconscia identificazione con la merce,
un incidente stradale, è in effetti socialmente astratto. Ma appunto in ovvero, quale orizzonte di equalizzazione tra indiscernibili – i prezzi
questo accalcarsi astratto maturano gregarietà e mimesi, il cui unico astrattamente commisurabili –, si tramuta nel luogo d’immedesima-
approdo, perlopiù inconsapevole, risulta essere il mercato. zione con la figura «uguale» del valore di scambio.

La folla è in effetti uno scherzo di natura. […] Una strada, un incendio, 7 Walter Benjamin, Das Paris des Second Empire bei Baudelaire, GS I (1974), 2, pp.
un incidente stradale radunano persone che, in quanto tali, non sono definite 511-604: 565, tr. it. di B. Chitussi, La Parigi del Second Empire in Baudelaire, in Id.,
Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, a cura di G. Agam-
ben, B. Chitussi, C.-C. Härle, Neri Pozza, Vicenza 2012, pp. 633-716: 679.
6 P. Zaoui, La discrétion, cit., p. 107; tr. it. cit., p. 94. 8 Ivi, p. 557; tr. it. cit., p. 672.
156 massimo palma la città degli eccentrici 157

2. L’eccentrico identificazione empatica nella forma-merce. Nella società borghese di


massa di metà Ottocento l’eccentricità comincia a presentarsi come
I find freedom only in the realm una strana normalità della folla suscitata da una mimesi riflettente.
Of my own eccentricity
Nella massa ci si muove come in base a un riflesso, solo se stimolati,
D. Bowie
ma questo movimento è tanto eccentrico quanto omologante.
È precisamente questo aspetto bifronte che Benjamin aveva già
V’è un che di clownesco, ma nel senso behaviorista del mecca- indagato tre anni prima anche sul piano delle mutazioni interne alla
nismo comico indotto, nell’impulso gregario che raduna individui percezione dell’artistico. Nella prima versione del testo sull’ope-
isolati attorno alla merce, spacciando la moneta economica per mo- ra d’arte, veniva definita una prima, germinale teorizzazione dello
neta ideologica connotata da pseudo-concetti d’uso politico corren- choc impartito allo spettatore dalla tecnica cinematografica come
te («razza», «destino»). Nel primo saggio su Baudelaire, l’esempio «prova (Probe)» della «libertà concreta, sociale» o, ancora, come
dell’ibrido comportamentismo generalizzato, dai tratti apparente- «negativo […] del positivo del comportamento rivoluzionario». E
mente bizzarri ma economicamente obbligati, è quello dell’eccentrico a portare a rappresentazione questo negativo è appunto l’eccen-
a teatro o al cabaret. trico: «E l’abisso che il suo professionista, l’eccentrico, spalanca
tra il proprio comportamento e quello usuale fornisce un concetto
Nell’esibizione dell’eccentrico (Exzentrik) è evidente un rapporto con l’eco-
nomia. Nei suoi movimenti sconnessi, costui imita tanto le macchine, che asse- dell’entità dell’abisso che divide la nuova dalla vecchia società»11.
stano i loro colpi alla materia, quanto la congiuntura che li assesta alla merce. Su di un tale «professionista» dello choc, che nel cinema – Benjamin
Un’analoga mimesis dello «slancio febbrile della produzione materiale» e delle parla di Exzentrikfilme – aveva celebrato i suoi trionfi nei primi
relative forme di commercio è compiuta dalle particelle della folla descritte da anni Venti, «quando la rivoluzione mondiale sembrava ancora pos-
Poe. Nella descrizione di Poe è prefigurato quanto il luna-park, che trasformò sibile», si fonda quindi l’indagine di un tipo che sfrutta la variazione
l’uomo qualunque in eccentrico, riuscì più tardi a fare con le gabbie volanti e
percettiva offerta dalle nuove condizioni tecnologiche e produttive,
simili passatempi. Nei suoi racconti la gente si comporta come se potesse espri-
mersi solo in base a un riflesso (nur noch reflektorisch)9. per esprimere una potenzialità sociale rivoluzionaria. Governatore
di una percezione mutata, «a casa nei nuovi margini d’azione che
Lo «slancio (giovanilmente) febbrile della produzione materiale» sono sorti con la cinepresa», l’eccentrico «organizza le manovre
è un’espressione marxiana dell’Achtzehnte Brumaire des Louis Bona- con cui vengono fatte le prove per un nuovo tipo di uomo»12. In
parte, a proposito dell’immagine che Marx aveva dell’America10. È ben tre versioni successive alla Erste Fassung del saggio sull’Opera
significativo come in Marx appaia l’elemento della «gioventù» febbri- d’arte (non nell’ultima, più nota) si menziona ancora l’«eccentrico
le, che Benjamin nel citato lascia cadere, e che quasi pare alludere alla (Excentrik), stavolta come il precursore» dei film comici che «pro-
creazione di un «oggetto mercantile» chiamato «gioventù», cent’anni vocano una deflagrazione terapeutica dell’inconscio»: se in questi
dopo. Quel che rileva è però la sottolineatura dell’uniforme eccentrici- prodotti che insistono sull’«inconscio ottico»13 la «tecnicizzazio-
tà – l’uomo qualunque trasformato in eccentrico – iscritta nell’orizzon-
talizzazione della società urbana tardo-capitalistica, già svelata come 11 Benjamin, Kunstwerk, Erste Fassung, p. 37; tr. it., infra, p. 263.
12 Ivi, p. 38; tr. it. cit., ibid.
13 Su questa categoria e i suoi presupposti nella letteratura scientifica e nel cinema cfr.
9 W. Benjamin, Das Paris des Second Empire bei Baudelaire, GS I, 2, p. 556, tr. it. cit., senz’altro Andrea Pinotti – Antonio Somaini, Introduzione, in W. Benjamin, Aura e choc.
p. 671. Saggi sulla teoria dei media, Einaudi, Torino 2012, pp. XXIV-XXVIII. Ma si legga anche
10 L’edizione usata da Benjamin è Karl Marx, Der Achtzehnte Brumaire des Louis il giudizio di Sigrid Weigel, Dettaglio, immagini fotografiche e filmiche. Sull’importanza
Bonaparte, a cura e con introduzione di D. Rjazanov, premessa di F. Engels, Verlag für Li- della storia dei media per la teoria della cultura di Benjamin, in Id., Walter Benjamin. La
teratur und Politik, Wien – Leipzig 1927, p. 30; tr. it. a cura di G. Giorgetti, Il 18 brumaio creatura, il sacro, le immagini, a cura di M. T. Costa, Quodlibet, Macerata 2014 (ed. orig.
di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma 1974 (1948), p. 155. Fischer, Frankfurt a.M. 2008), pp. 257-86: 268: «il film come incognita della teoria foto-
158 massimo palma la città degli eccentrici 159

ne» che avviene nella giustapposizione studiata di frammenti iconici vo, alla de-ritualizzazione dell’opera d’arte, si crea anche attraverso
che durano decimi di secondo è vista come promotrice di un moto le pratiche artistiche che una figura come queste (Benjamin allude
di distanziamento dalle psicosi di massa, l’eccentrico, il mattatore subito dopo a Chaplin) mette in campo con la sua prestazione cor-
del varietà e del cabaret, viene presentato come «il primo inquilino porea, offrendosi allo sguardo di un pubblico che ha imparato a
(Trockenwohner) dei margini d’azione creati dal cinema»14. Ma chi resistere agli choc della vita metropolitana con un incremento della
è dunque il Trockenwohner?15 Durante l’età dell’oro della tarda presenza di spirito17. Eppure – è uno dei tratti più fortunati del
industrializzazione tedesca, è il primo, e precario, inquilino degli Kunstwerkaufsatz – Benjamin osserva come tale Geistesgegenwart
edifici di nuova costruzione, cui spetta l’onere, in cambio di tre mesi sia singolarmente aliena da un potenziamento del soggetto apper-
di alloggio gratuito, di asciugare col proprio apparato respiratorio cettivo e intenzionale: in questa ricezione distratta, l’immagine che
la vernice appena sparsa sulle pareti16. L’apertura al valore espositi- si rivolge allo spettatore choccato e insieme abituato agli choc è
offerta nella sua leggibilità non a una ragione discorsiva, ma a una
grafica di Benjamin aiuta qui a cogliere la categoria dell’inconscio ottico […]. Il confronto
percezione stratificata e neutrale. È leggibile, e «letteralizzata», nel-
tra l’inconscio della psicoanalisi e la macchina fotografica non mir[a] a una mera analogia lo stesso momento in cui la nuova economia mediatica della perce-
tra apparato tecnico e apparato psichico […]. Soltanto con l’aiuto della tecnica diviene zione in quanto «economia aptica» dà vita a una cultura «struttura-
accessibile qualcosa che prima non poteva letteralmente essere visto perché invisibile. […] ta da gesti riflessi e involontari»18. L’eccentrico del cabaret «salva»
Emerge un’esperienza che deriva dalla sostituzione dell’occhio con la macchina fotografica
e dalla diversa relazione che la natura ha con la macchina fotografica: la coscienza, intesa
nella memoria collettiva questo riflesso culturale.
come agente che struttura spazio e tempo, viene sostituita dall’inconscio ottico». In virtù di tali modelli depositati nelle prestazioni di un’arte di
14 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 84; Dritte Fassung, pp. 132-133 [tr. no-
passaggio, il summenzionato richiamo al Luna-Park, nel saggio su
stra]. Le traduzioni divergono notevolmente: tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 83: «fu il Baudelaire, è perfettamente calzante. L’industria dei media universali
loro fresco inquilino»; tr. Pinotti-Somaini, Opera d’arte, p. 43: «il primo inquilino che en-
trava nell’appartamento con le pareti ancora umide»; tr. Filippini-Riediger, Opera d’arte,
va di pari passo con le fabbriche universali e democratiche di diver-
p. 297: «a lui il compito di aspettare che le pareti asciughino»; tr. Schiavoni, Opera d’arte, timento, di svago, e dei loisirs per le classi medie. Nell’esperienza
p. 117: «il loro primo inquilino»; cfr. anche Benjamin, Kunstwerk, Vierte Fassung, pp. di massa della velocità, nell’oltranza universalizzata nell’intratteni-
191-192 (tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 35): «Leur précurseur avait été l’excentrique. mento, a Benjamin interessa isolare il carattere «di riflesso» del com-
Dans les nouveaux champs ouverts par le film, il avait été le premier à s’installer». Sul
mancato utilizzo di questi passi nella Fünfte Fassung (non ancora denominata tale, e consi- portamento: la generalizzazione del comportamento estravagante è
derata «del 1939»), cfr. le affermazioni perentorie di Fabrizio Denunzio, Quando il cinema l’effetto mimetico di una macchina e di una congiuntura materiale,
si fa politica. Saggi su L’opera d’arte di Walter Benjamin, Ombre corte, Verona 2010, pp. dove la normalizzazione della stranezza è cosa fatta, ma dove l’uni-
90-93, che sottolinea la lettura benjaminiana di Chaplin come «un artefice di un atteggia- formità riflessa della bizzarria può anche precludere l’accesso a una
mento progressista nel “consumo” dell’arte», in quanto susciterebbe «un riso internazio-
nalista e immunitario» (atto a difendersi dall’irrazionalismo dell’economia capitalistica). Si soglia critico-emancipativa.
confronti l’esplicito rimando al gesto cinematografico in Chaplin in Benjamin, Kunstwerk,
Erste Fassung, pp. 38-39; tr. it. cit., p. 264, come «serie di piccolissime innervazioni».
15 Il termine ricorre anche in Der Erzähler. Betrachtungen zum Werk Nikolai Lesskows,

GS II (1977), 2, pp. 438-465: 449; tr. it. di R. Solmi, Il narratore. Considerazioni sull’o- Schiavoni, Opera d’arte, p. 117, a spiegare con chiarezza il termine, legato a uno specifico
pera di Nikolaj Leskov, OC VI (2004), pp. 320-342: 329, e in formulazione diversa in un momento storico, come «inquilino essiccatore».
appunto trovato nel lascito di Scholem relativo a questo saggio, cfr. GS VII (1989), 2, pp. 17 Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, p. 244; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p.

801-802: 802; tr. it. di G. Quadrio-Curzio, [Appendice a Il narratore], OC VII (2006), pp. 132; tr. Filippini-Valagussa, Opera d’arte, p. 33. Sul passaggio e sul rapporto tra attenzione
343-345: 344: «non c’era un tempo casa borghese o stanza in cui non fosse morto qualcu- e presenza di spirito in chiave anti-contemplativa (e sulle sue variazioni in riferimento al
no; nelle stanze incontaminate dal morire, oggi i borghesi sono eterni primi inquilini (auf cambio di paradigma dell’opera d’arte), si veda Carolin Duttlinger, Studium, Aufmerk-
ewig Trockenwohner), e quando la loro fine si avvicina gli eredi li stivano nei sanatori». samkeit, Gebet. Walter Benjamin und die Kontemplation, in Daniel Weidner (a cura di),
Cfr. anche GS V, 1, p. 208. Profanes Leben. Walter Benjamins Dialektik der Säkularisierung, Suhrkamp, Berlin 2010,
16 Si veda l’esauriente delucidazione di Pinotti e Somaini alla Dritte Fassung (lì «prima pp. 95-119: 111-112.
versione dattiloscritta») in tr. Pinotti-Somaini, Opera d’arte, nota 17, p. 42, unica, con tr. 18 S. Weigel, Dettaglio, immagini fotografiche e filmiche, cit., pp. 280, 284.
160 massimo palma la città degli eccentrici 161

3. L’allucinazione storica dell’uguaglianza mancanza della domanda, ossia di un suo prezzo di mercato, egli si mette a pro-
prio agio nella vendibilità stessa. In ciò il flâneur supera la prostituta; porta in un
certo senso a spasso il suo concetto astratto. E lo realizza solo nella sua ultima
Quello dei comportamenti non è l’unico territorio di omogenei-
incarnazione: intendo quella del flâneur come uomo-sandwich21.
tà, ben osservabile dall’esterno. Rileva anche, nel comportamento,
l’aspetto interno, che palesa una percezione di uguaglianza nel muo-
L’uguaglianza viene spiegata come «figura centrale dell’apparen-
versi nella folla. Vedremo ora che con mossa iper-storicizzante, nel
za», ovvero, stando a una scansione che Benjamin tenta negli appunti
leggere Baudelaire, Benjamin ravvisa che tale percezione «politica»,
su Baudelaire, mantiene un tratto ontologico minore del tutto intrin-
tipicamente moderna, è in realtà una percezione alterata, provocata
seco all’empatia col valore di scambio, col prezzo. Ciò significa che
dall’hashish o dall’oppio. Ma perché l’uguaglianza post-rivoluziona-
quando si fa uso – in società, dove si è «passionati» perché interessati
ria, lato sensu democratica, dovrebbe essere un’allucinazione?
– del giudizio dell’uguaglianza, ci si fonda su un pregiudizio che tace
Per lettera, Benjamin si confronta in modo complesso direttamen-
il carattere ambiguo e «riducibile» (all’economico) dell’apparenza
te con il concetto di uguaglianza, contrapponendolo a quello a lui
sociale: si precomprendono fenomeni sociali come uguali – quindi
caro di «somiglianza»: «L’uguaglianza è una categoria del conoscere,
anche l’uniformità delle condotte –, solo perché vi si ravvisa un mi-
nella percezione spassionata essa, a rigore, non compare mai»19. Nel
nimo comune denominatore nel valore di scambio e di qui nella loro
complicato – sotto ogni profilo – epistolario con Adorno relativo a
vendibilità tout court come merci. Alla fine, identificandoli come tali.
Baudelaire20 la categoria politica dell’uguaglianza subisce una lettura
Proprio del flâneur, insiste Benjamin, è l’armonizzarsi con la vendibi-
direttamente gnoseologica e sociologica, venendo individuata singo-
lità medesima. Il flâneur imita le merci, si sente a casa nel sapere che
larmente come elemento costitutivo e modale dello Schein: attraverso
anche della sua condotta si dà vendibilità, per quanto, anzi proprio
l’ebbrezza e l’intossicazione l’uguaglianza viene portata all’estensio-
perché stravagante, e finisce per trasformarsi nell’uomo-sandwich
ne generale del suo dominio nella visione poetica, risultando, come
che passeggia ostentando il concetto astratto di vendibilità.
percezione, in realtà null’altro che una risposta estetico-esistenziale
Il passaggio all’empatia col valore di scambio avviene quindi per
all’estensione del dominio del mercato.
il tramite di un processo composito, di cui l’articolazione duplice del-
[Baudelaire] è accorso artificialmente in aiuto dell’allucinazione storica
la mimesis della merce costituisce il tratto decisivo: una percezione
dell’uguaglianza, che si era affermata con l’economia mercantile. E le figure che estetica della merce, da un lato, e il suo riflesso nella condotta socia-
l’hashish ha generato in lui sono decifrabili in questo contesto. L’economia di le della massa. Il flâneur si mimetizza prima col prezzo della merce
mercato arma la fantasmagoria dell’uguaglianza, che si conferma, quale attribu- pensando di poterle corrispondere stilizzando la propria condotta, e
to dell’ebbrezza, al tempo stesso come figura centrale dell’apparenza. «Con que- quando ciò non è richiesto e viene iterata la sua inutilità operativa, si
sta pozione in corpo, vedi Elena in ogni donna». Il prezzo rende la merce uguale mimetizza nella vendibilità in sé. È il prototipo estetico dell’esistenza
a tutte le altre acquistabili allo stesso prezzo. La merce […] si immedesima non
solo e non tanto nei compratori, quanto soprattutto nel suo prezzo. Ma proprio
precaria di chi è costretto ad agire come se trasportasse solo il concet-
in ciò il flâneur è in sintonia con la merce; anzi la imita in tutto e per tutto; in to astratto del proprio lavoro come «vendibile», mercificabile.

19 «La percezione spassionata [sobria, nüchterne] in senso proprio, libera da ogni pre-

giudizio, si imbatterebbe, nel caso più estremo, sempre solo in un simile». (Walter Benja-
4. L’antidoto critico
min a Theodor Adorno, il 23. 02. 1939, GB VI (2000), pp. 224-229: 224; tr. it. parziale in
Id., Charles Baudelaire, cit., pp. 755-757: 755). Nella lettura benjaminiana, dunque, nel sistema urbano del tar-
20 Sull’epistolario con Adorno si veda la lettura di Fabrizio Desideri, Sulla soglia dei
do capitalismo si comincia a essere «eccentrici» assieme, poiché si
Passages. Teologia dell’estetica e liquidazione dell’arte nel carteggio tra Benjamin e Ador-
no, in Id., Il fantasma dell’opera. Benjamin, Adorno e le aporie dell’arte contemporanea, Il
melangolo, Genova 2002, pp. 75-103. 21 Benjamin ad Adorno, il 23. 02. 1939, GB VI, p. 225; tr. it. cit., p. 756.
162 massimo palma la città degli eccentrici 163

imita una macchina produttiva in azione e si imita un momento di della storia benjaminiana – pertiene quel processo di «penetrazione
«plasmazione» della forma-merce. Questa mimesi ha a che fare con nell’anatomia psichica umana», «capace di stimoli equivoci»24, che
l’esperienza del medium creato dalla produzione capitalista, ovvero, è precisamente ciò che può esser usato in chiave emancipativa, attra-
come recita l’Opera d’arte – con la modifica del «modo in cui si orga- verso l’accento posto su una politicizzazione del fruitore che coinci-
nizza la percezione umana»22, collettiva, nel momento in cui è inner- de, come vedremo, con la sua autorializzazione. In quest’accezione
vata d’una tecnica in cui è insito il riproducibile seriale. Ma se questa di montaggio tecnico di similitudini, è possibile operare una «riorga-
serialità non sviluppa una resistenza delle cose e dei media stessi nella nizzazione dell’archivio a cui sono consegnate le tracce – le cancella-
loro pluralità, allora può diventare soltanto un effetto, per quanto ture, le cicatrici – della nostra memoria mediale»25. L’obiettivo etico-
stravagante possa apparire, generando uguaglianze non politiche, ma politico di queste operazioni è l’esatto opposto della derealizzazione
estetizzate, apparenze non usate, ma «intossicate» da un fondamento e dell’anestetizzazione prodotta dal flusso continuo di immagini già
non discusso («con questa pozione in corpo, vedrai Elena in ogni sempre mediali, ed è il mantenimento auto-riflessivo del «debito»
donna»), che è l’organizzazione sociale data. La serialità stravagante, dell’immagine nei confronti della realtà (anche sociale, naturalmen-
l’eccentricità diffusa, se è unicamente effetto irriflesso e copia della te). È la sua discrasia rispetto alla polarizzazione in termini di domi-
vendibilità, non critica nulla, non partecipa di quel ritmo necessario, nio che può crearsi insieme alla derealizzazione per via mediatica, in
iscritto per Benjamin nel nostro percorso antropologico, per cui la quanto l’arte riproducibile serve ormai da «potente agency di media-
facoltà mimetica è quella «dote (Gabe)» che consente allo spirito di zione simbolica in relazione alla sua intrinseca funzione di massa»26.
partecipare di questa frazione di tempo, in cui le similitudini balena-
no fugacemente dal flusso delle cose per poi scomparirvi nuovamen-
te. Un ritmo che custodisce un «momento critico»23. 5. L’accesso all’autorialità
Nella sua formulazione più complessa e stringata aggiornata agli
anni Trenta, la dottrina benjaminiana della percezione fondata sulle A rivelarci come si celi una tensione oligarchica e dominativa
somiglianze non rinuncia quindi al momento critico in cui le «si- nell’uguale produzione di condotte oggettivamente omogenee (e
militudini» vengono estratte e fermate dallo spirito nel tempo. Nel quindi a disposizione dei poteri economici) via media iper-estetizzan-
flusso dei fenomeni storici, il momento in cui la costellazione delle ti e insieme anestetizzanti è ancora il saggio sull’Opera d’arte, col ri-
somiglianze si offre come «leggibile» è un momento quasi segreta- ferimento continuo al capitale investito nei prodotti cinematografici:
mente hegeliano, a prescindere dalle diverse categorie usate, in cui «[si rischia che] un irrefutabile bisogno di nuove condizioni sociali
uno spirito (che certo mantiene ben poco della soggettività autoco- (nach neuen sozialen Verfassungen) venga sfruttato nell’interesse di
sciente) comprende il proprio tempo individuando lo schema di so- una minoranza possidente»27. L’opera d’arte tecnicamente riproduci-
miglianze che consenta una fruizione liberante. La funzione politica
dell’approccio di teoria dell’arte imperniata sulla facoltà mimetica si
24 Thomas Peterson, La storia come montaggio in Benjamin, in Walter Benjamin. Testi
rivela operando nella tecnica e con la tecnica per «montare» le figure
e commenti, a cura di G. Bonola, «L’ospite ingrato», ns 3, Quodlibet, Macerata 2013, pp.
del tempo rappreso nelle sue frazioni percepite come simili. Al mon- 155-172: 159-160.
taggio – cui fa riferimento senz’altro anche la contemporanea teoria 25 Pietro Montani, L’immaginazione intermediale, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 68-

69. A proporre una lettura del montaggio cinematografico in Benjamin come riattualizza-
zione della sua teoria dell’allegoresi (barocca e non) è Giovanni Gurisatti, Costellazioni.
22 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 57; Dritte Fassung, p. 101; Vierte Fassung, Storia, arte e tecnica in Walter Benjamin, Quodlibet, Macerata 2010, pp. 164-168.
p. 168 («la façon dont le mode de perception s’élabore»); Fünfte Fassung, p. 214 (modifica 26 F. Desideri, I Modern Times di Benjamin, in tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, pp.

il lemma con «Sinneswahrnehmung» reso in ogni traduzione con «percezione sensoriale»). VII-XLV: XXXV.
23 Id., Lehre vom Ähnlichen, in GS II, 1, pp. 204-210: 209-10; tr. it. di F. Boarini, 27 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 126; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 76;

Dottrina della similitudine, in OC V (2003), pp. 438-43: 442. tr. Schiavoni, Opera d’arte, p. 109.
164 massimo palma la città degli eccentrici 165

bile è sì una questione di «percezione», percezione di una possibilità litica passa per questa puntuale messa in opera di una massificazione
che si apre e di un rischio che si corre, nella contaminazione inestri- dell’autore, dell’informatore, dell’artista. È l’inizio di quella temperie
cabile tra estetica e politica. Ma il problema politico è come possa di «lavoro parlato», di opinione pubblicizzata dai suoi perlocutori in
prevenirsi e contrastare l’oligarchia implicita nella condotta sociale cui ancor oggi versiamo. L’autorialità diffusa è una condizione effet-
estetizzata. Nel Kunstwerkaufsatz il ragionamento di Benjamin parte tiva, ma, osserva Benjamin, è sempre a rischio d’essere eterodiretta
dall’ineludibile dato iniziale di cui l’analisi del Baudelaire sarà uno (per esempio oggi dai monopolisti dei flussi di comunicazione). La
sviluppo ulteriore: la democratizzazione via media dell’espressione «tecnicalità» si è tradotta dal livello dell’oligarchia esplicita a quello
artistica avvenuta a partire dalla riproducibilità delle immagini e orizzontale dell’expertise trasversalmente comunicabile e, in linea di
dei suoni. Il medium originale del linguaggio, della parola, diventa principio, verificabile, ma anche, per le stesse ragioni «tecniche», più
protagonista, dà origine a quella che – in uno scritto pensato come o meno vendibile in quanto esteticamente ben congegnata, nonché
integrativo a Strada a senso unico, Die Zeitung, pubblicato in «Der seriale. Per questo vi è «percezione» obliqua e travisata dell’oligar-
öffentliche Dienst» nel 1934 e poi confluito prima nell’Autore come chia implicita, perché la comunicazione – anche delle competenze
produttore e poi nell’Opera d’arte – è la Literarisierung der Lebens- – appare orizzontale e imperniata sull’uguale, ma è sostanziata da
verhältnisse. chi detiene le chiavi economiche dell’intero progetto, nei modi più
diversi, ma tutti, alla lunga, produttivi di enormi profitti29.
Il lettore ad ogni momento è pronto a diventare uno scrittore, cioè a descri- Da una parte, la «democratizzazione» apparente della funzione
vere o anche a prescrivere. In quanto esperto, quale è bene o male dovuto di- autoriale, oggi declinata nella chiave della porzione di expertise in
venire all’interno di un processo lavorativo estremamente specializzato – fosse
mano a tutti, per via della «verbalizzazione» del lavoro specializza-
anche esperto di una mansione insignificante – egli conquista un accesso all’au-
torialità (einen Zugang zur Autorschaft). Il lavoro stesso prende la parola. E la to e della pluralità di forme mediali che aprono diverse piattaforme
sua esposizione nella parola costituisce una parte del saper fare (des Könnens) d’espressione: tutti possono partecipare, render partecipi, avere par-
necessaria al suo esercizio28. te, almeno a livello di condivisione dei contenuti. Dall’altra, con-
traddittoriamente, la direzione dei giochi, economica e ideologica,
Die Arbeit selbst kommt zu Wort. Ovvero: non si danno più la- in mano a pochissimi, «scelti in base al censo»30, tende a indirizza-
vori «muti». L’autorialità pertinente al lavoratore, l’esplicitazione re la razionalizzazione di ogni eccentrico «agire di riflesso», né può
verbale delle sue competenze tecniche, la narrazione del lavoro, tut- considerarsi «neutrale». Non è neutrale già anche solo per il motivo
tavia, va di pari passo con l’ampliamento estetico del politico per le platonico, secondo cui la ricchezza (di per sé cieca) come guida della
stesse vie tecniche che consentono il racconto del lavoro. Il politico città disciplinata «non si prende cura della propria educazione»31.
diventa invasivo nella percezione, perché tenta di raccontarsi attra- Che non vuol dire far balenare come soluzione, che pure trapela in
verso un meccanismo che lo pone al centro del flusso dei discorsi Benjamin quando difende la formazione politecnica, la riproposizio-
come elemento esteticamente rilevante. Il mescolarsi di estetica e po-
29 Che il fenomeno sia contraddittorio anche nella sua espressione tecnico-mediatica
28 W. Benjamin, Die Zeitung, in GS II, 2, pp. 628-629: 629; tr. it. di A. Marietti Solmi, è ben evidenziato ancora da Montani: «l’evoluzione dei nuovi media mira alla realizza-
Il giornale, in OC VI, pp. 40-41; ripreso con autocitazione (con la formula «scrive un auto- zione di numerose convergenze in una pluralità di forme mediali piuttosto che alla loro
re di sinistra», ein linksstehender Autor) in Der Autor als Produzent, GS II, 2, pp. 683-701: omogeneizzazione in un singolo medium. […] Si tratta di un movimento fisiologicamente
688; tr. it. di A. Marietti Solmi, L’autore come produttore, in OC VI, pp. 43-58: 46-47, pluralizzante, il quale può essere favorito e incrementato a fronte di una tendenza all’uni-
e poi in Id., Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 77; Dritte Fassung, p. 125 (tr. Baldi-Desideri, ficazione […] multimediale e multisensoriale, […] che dipende da una decisione di politica
Opera d’arte, p. 75; tr. Schiavoni, Opera d’arte, pp. 106-107); Vierte Fassung, p. 185 (tr. economica». Che può giungere a un novello Gesamtkunstwerk proposto nella merce me-
Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 27); Fünfte Fassung, p. 232 (tr. Filippini-Valagussa, Opera diatica venduta (P. Montani, L’immaginazione intermediale, cit., pp. 10-11).
d’arte, pp. 23-24; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, pp. 119-120, dove si noti l’aggiunta «in 30 Resp., VIII, 553a.

Unione Sovietica [è il lavoro stesso a prender la parola]»). 31 Ivi, 554b.


166 massimo palma la città degli eccentrici 167

ne stantia d’uno schema che metta in antitesi l’educazione e la forma- pragmatica – questa lotta è scoppiata quando la fisica quantitativa non era che
zione tecnica, l’una classica e rivolta al passato di «rovine» riattivabi- una pura teoria e si trovava di fronte a una tecnica magica ben sviluppata33.
li dall’eccellenza del sapere, l’altra innovativa e proiettata al futuro.
Vuol dire semmai che ogni formazione deve mirare a quella tecnica Quest’argomentazione di Weil sembra poter gettar luce sulla di-
che Benjamin chiama «seconda», che reca sempre in sé uno spazio stinzione delle «due» tecniche tipica della Dritte Fassung34 (e della
di gioco, in cui è implicita – nella sua faglia mimetica –, benché in Zweite e della Vierte), perlomeno relativamente al discorso della pri-
modo diverso dal dominio sulla natura tipico della «prima», «una ma, di dominare la natura, invece che «giocarci», prender le distanze,
misura di violenza»32, che va gestita giocando sul delicato crinale sperimentare – contro, quindi, «l’interpretazione pragmatica», utili-
di una politicizzazione dei suoi mezzi che sia «orizzontale» e non taria, che ha preso spesso il sopravvento.
verticale, emancipativa e non dominativa. Se non è questa la sede per È l’intervento di una distanza ludica – uno Spielraum che è innan-
proporre un’analisi approfondita della differenza tra le due tecniche, zitutto un margine neutro (l’elemento ludico c’è, ma è richiamato solo
tenteremo di mostrarne almeno un aspetto dirimente nella direzione riflessivamente dalla sottolineatura dello Spiel come contraltare allo
suggerita, partendo da un possibile parallelo della distinzione. Schein) – a esser potenziato dalla seconda tecnica e dalle nostre «arti».
L’epoca cinematografico-fotografica che si apriva davanti a Benjamin
– rispetto a cui noi siamo spettatori di un potenziamento – è quindi
6. Le due tecniche (e una conferma della loro distinzione) quella di un Abstand von der Natur, e non di una Naturbeherrschung.
Il cinema serve ad abituare, serve all’adeguamento a quel rapporto con
Nei materiali relativi al lavoro sull’Opera d’arte Benjamin si se- l’Apparatur che è vita quotidiana. Questa seconda tecnica abitua a vive-
gna un passo estremamente significativo del filosofo tedesco Eric(h) re questa distanza, ad abitarla, dove distanza non è estraniamento. La
Weil, che parla di due tecniche, la tecnica della fisica quantitativa e tecnica distanzia dalle cose, in modo giocoso, che va però (deve essere)
la tecnica della magia – in rapporto alla natura. Le due tecniche si compreso anche come critico, pena la produzione di un effettivo estra-
sfidano, ma non per questioni utilitarie – entrambe si confrontano niamento e l’estetizzazione senza politicizzazione. Il commento di Benja-
con la natura. min a Weil apparentemente è estrinseco. Parte da un’autocitazione.

In rapporto alla natura vi sono […] due specie di orientamento (almeno), L’«appassionato[»] desiderio delle masse odierne di «avvicinarsi» alle cose
il sistema quantitativo della fisica moderna e il sistema qualitativo della fisica potrebbe esser solo l’altra faccia del sentimento della costante estraneazione
magica (per esempio del Rinascimento). I due sistemi sono completi…, entram- che la vita odierna ha oggi come conseguenza per l’essere umano non solo
bi sono autonomi, indipendenti l’uno dall’altro. Ciò che è rimarchevole è che rispetto a se stesso ma anche rispetto alle cose35.
questi due sistemi, malgrado la loro reciproca indipendenza, si combattano.
In questa lotta, non ne va dell’utilità tecnica; anche la magia possiede la sua L’autocitazione è tratta da uno dei paragrafi iniziali del Kunstwerkauf-
tecnica… Certamente non si approda allo stesso punto con le due tecniche. Ma satz, dal cuore dell’introduzione del concetto di aura: «avvicinare le
poiché la base teorica condiziona l’orientamento verso gli scopi, gli scopi pos-
sibili e le realizzazioni possibili sono in armonia. E malgrado ciò, c’è stata la 33 Par rapport à la nature, in Benjamin, Kunstwerk, pp. 274-275 (da Eric Weil, De l’in-
lotta delle due fisiche e – ciò che è interessante per il rifiuto dell’interpretazione
térêt que l’on prend à l’histoire, «Recherches Philosophiques», IV, 1934/5, p. 121; ora in
Id., Essais et conférences, vol. 1, Philosophie, Vrin, Paris, 1991 (1970), p. 225; tr. it. di R.
32 Cfr. F. Desideri, Il vincolo mimetico. Benjamin e la questione della tecnica, in Id., Il Morresi, in Id., Dell’interesse per la storia ed altri saggi di teoria e storia delle idee, a cura
fantasma dell’opera, cit., pp. 133-154: 145, nota 18, che parte dal frammento 98 di GS VI di L. Sichirollo, intr. di Rol. Caillois, Bibliopolis, Napoli 1983, pp. 31-53: 47).
(1985), p. 127 («forse l’uomo dell’età della pietra disegna l’alce in maniera così incompara- 34 Soprattutto nel § XI di Kunstwerk, Dritte Fassung, nota 1, pp. 119-120; tr. Baldi-

bile, poiché la mano che guidava lo stilo si ricordava ancora dell’arco con cui ha ucciso l’ani- Desideri, Opera d’arte, pp. 70-71; la distinzione invece è presentata nel § VI, ivi, nota 1, p.
male»). In queste stesse pagine vi è una feconda lettura della «seconda tecnica» come svilup- 108 e ancor meglio p. 109; tr. it. cit., pp. 58-59.
po della dottrina della facoltà mimetica e della sua intrinseca polarità di apparenza e gioco. 35 Par rapport à la nature, ivi, pp. 274-275.
168 massimo palma la città degli eccentrici 169

cose spazialmente e umanamente è un’esigenza vivissima delle masse [Il kitsch] è l’ultima maschera del banale, con la quale ci abbigliamo nel so-
attuali»36. Benjamin passa a commentare diversamente da quanto fat- gno e nel dialogo per ricevere in noi la forza dello scomparso mondo delle cose38.
to nel paragrafo terzo (o quarto, dipende dalle versioni), dove quella
notazione evidenziata dallo spaziato aveva legato unicità e durata al Il kitsch onirico si propone quindi quale residuo soggettivo del
valore cultuale dell’immagine e ripetibilità e fugacità alla riproduzio- mondo delle cose che ci è stato reso apparenza dalla tecnica. Quando
ne37. Proprio questa fugacità, nell’analisi di Benjamin, stimola le masse le cose prendono figura in un sogno (la Sache einer Traum a invertire
all’avvicinamento spaziale e aptico – un tentativo di impossessamento il marxiano Traum einer Sache39), allora il rapporto «tecnico» ha
ripetuto e ingegnoso, il che non toglie che si afferra soltanto l’Abbild e smarrito la sua interna faglia critica e politica e si presta, lavora all’e-
non il Bild, il riprodotto. Una chiave di quell’osservazione centrale per stetizzazione massificata.
delineare il rapporto vicinanza-lontananza nell’aura e nel suo declino
Dall’epoca di Luigi Filippo è evidente nella borghesia un tentativo di rifarsi
è proprio nel commento lasciato al passo di Weil, che presuppone l’in-
dell’assenza di tracce della vita privata nella metropoli. Esso viene compiuto
tero paragrafo VI della Dritte Fassung, sul duplicarsi delle tecniche, e il tra le quattro mura di casa. È come se la borghesia impegnasse il proprio onore
sottrarsi della tecnica scientifica ai procedimenti della tecnica magica. perché negli eoni non si perda la traccia, se non dei suoi giorni terreni, almeno
Si capisce forse qui, di contro a una passione attivata dai soli interessi dei suoi accessori e oggetti d’uso40.
economici particolari, la matrice «non-pragmatica» del desiderio di
avvicinarsi alle cose come doppio speculare dell’Entfremdung della La radice di questa estetizzazione è tutta borghese. L’appartamento
vita quotidiana. È infatti in questione lo Spielraum critico-riflessivo si fa guscio (si noti come la distruzione dell’aura nel Kunstwerkaufsatz
dello Spiel: la seconda tecnica deve cercare – tramite la scienza, attra- è presentata come «liberazione dell’oggetto dal suo involucro»41), la li-
verso la «dinamite dei decimi di secondo» o quant’altro – una diversa bertà percepita si fa resistenza al controllo proprio nel momento in
forma di avvicinamento che allontani l’estraneazione. Se la tecnica non cui tutto è un lasciar segni, in cui la fotografia fissa per la prima volta
illumina i margini «ludici» nella percezione, aprendo a un montaggio «in modo duraturo ed equivocabile le tracce di un uomo»42. Alla
del simile che sia accessibile e agibile al fruitore, fallisce il suo compito ricerca delle tracce, si costituiscono i perituri archivi che mimano
e si ritrae in una nuova modalità magico-cultuale. E quando la tecnica l’«incognito dell’essere umano», ma proprio con lo strumento fo-
impone una ricezione solo passiva a quell’esaminatore distratto che è il tografico, il mezzo che ha aperto al valore espositivo. Il rischio è di
pubblico, resta aperta, per approssimarsi alle cose, solo la categoria – serbare oggetti d’uso, memori unicamente del loro esser stati merce,
problematicissima – del Traumkitsch, affrontata in una glossa qualche identificabili con la sola vendibilità.
anno prima, nei primi lavori relativi al Surrealismo.

36 Benjamin, Kunstwerk, Zweite Fassung, pp. 58-59; Dritte Fassung, p. 102; Vierte

Fassung, pp. 168-169: «la masse revendique que le monde lui soit rendu plus “accessible” 38 Id., Traumkitsch (1926, pubblicato nel 1927 come Glosse zum Sürrealismus), in GS II,

avec autant de passion…»; tr. it. cit., p. 9; Fünfte Fassung, p. 215; tr. Filippini-Valagussa, 2, pp. 620-622: 622; tr. it. di G. Carchia, Kitsch onirico, in OC II (2001), pp. 378-380: 379. Su
Opera d’arte, p. 10; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 102 («portare più vicino a sé le cose questa Glossa, e sul nesso che lega l’interesse per il surrealismo alla Passagenarbeit, si veda A.
spazialmente e umanamente è un ardente desiderio delle masse attuali»). Cfr. anche Erste Mecacci, Il Kitsch, Il Mulino, Bologna 2014, pp. 69-70, che legge il surrealismo come «sforzo
Fassung, p. 13; tr. it., infra, p. 246. di riappropriarsi della prossimità delle cose, di oggetti ormai dileguati» (ivi, p. 70).
37 Si consideri incidentalmente come la nota che appare nella Fünfte Fassung, nota 1, p. 215 39 «Il “sogno di una cosa” deve trovare posto nell’immagine dialettica – fermo restan-

(tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, nota 8, p. 102; tr. Filippini-Valagussa, Opera d’arte, nota 20, p. do la liquidazione del mito nell’immagine dialettica» (da W. Benjamin, Neue Thesen, in
42), singolarmente inverte la prospettiva, passando dal fruitore (le masse) all’autore. Ecco l’inci- GS I, 3, pp. 1173-1175: 1174; tr. it. di G. Gurisatti in Id., Charles Baudelaire, cit., p. 926).
pit: «potersi avvicinare umanamente alle masse può significare: poter rimuovere dal campo visivo 40 Id., Das Paris des Seconde Empire bei Baudelaire, GS I, 2, p. 548; tr. it. cit., p. 664.

la [la tr. Filippini omette «sua (seine)», probabilmente per il riferimento comprensibile solo con 41 Id., Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 59; Dritte Fassung, p. 102; Vierte Fassung, p.

quanto segue] funzione sociale. Nulla garantisce che un ritrattista di oggi, se dipinge un chirurgo 169; Fünfte Fassung, p. 215.
famoso a colazione nella cerchia dei suoi cari, ne colga la funzione sociale […]». 42 Id., Das Paris des Seconde Empire bei Baudelaire, GS I, 2, p. 550; tr. it. cit., p. 666.
170 massimo palma la città degli eccentrici 171

7. Emancipazione, lavoro e nuove pretese proletariato come collettivo si muova in modo da poter pretendere di
esser legittimamente «ripreso». In questione è l’Anpassung dell’uma-
Benjamin si approssima quindi a una prima definizione di cosa nità alle nuove forze produttive – «giocose» – che la seconda tecnica
voglia dire usare politicamente la seconda tecnica. Rispondere a ha dischiuso: in questione è il rapporto col lavoro.
questa domanda significa spiegare anche qualcosa della politicizza-
zione dell’arte? Il tema implicito nella «ricerca» di una pratica non Scopo delle rivoluzioni è accelerare questo adattamento. Le rivoluzioni
sterile, non soltanto copiata, di archiviazione delle tracce è quello sono innervazioni del collettivo: più precisamente, tentativi d’innervazione del
nuovo collettivo, storicamente inedito (erstmalig), che ha nella seconda tecnica
dell’an-estetizzazione della questione giuridico-politica sollevata da
i suoi organi. Questa seconda tecnica è un sistema in cui il padroneggiamento
Benjamin con l’enigmatico detto: «Ogni uomo odierno ha la pretesa delle forze elementari della società rappresenta il presupposto per il gioco con
(Anspruch) di essere filmato»43. Come dare una lettura non «warho- quelle naturali. […] Appunto perché questa seconda tecnica mira anzitutto
liana» di questo appello alla ripresa cinematografica per ciascuno?44 alla progressiva liberazione dell’uomo dalla corvée del lavoro (Arbeitsfron),
Esiste, si dà una democrazia esplicita di contro agli effetti di senso l’individuo dall’altro lato vede a un tratto che il proprio margine d’azione si è
e di linguaggio insiti nel regime dell’oligarchia implicita nel sistema espanso indeterminatamente. In questo margine d’azione egli non è ancora a
casa (weiss es noch nicht Bescheid). Ma in esso egli annuncia le proprie esigen-
economico che gestisce i contenuti informativi e artistici?
ze (Forderungen). Quanto più il collettivo, infatti, fa propria la sua seconda
La curiosa espressione para-warholiana ha un suo doppio in uno tecnica, tanto più diviene tangibile (fühlbar) per gli individui che ne fanno par-
scritto polemico di argomento cinematografico, la Replica a Oscar te quanto poco finora era toccato loro, in balia della prima, il proprio. In altre
H. Schmitz. L’oggetto della disputa è La corazzata Potëmkin. parole ad avanzare le proprie pretese (Anspruch erhebt [cancellato: annunciare
esigenze, Forderungen anmeldet]) è il singolo uomo emancipatosi mediante la
Il proletariato è un qualcosa di collettivo, così come quegli spazi sono spazi liquidazione della prima tecnica46.
del collettivo. […] In questo film, per la prima volta il movimento delle masse
possiede quel carattere assolutamente architettonico e comunque per nulla mo- Il riferimento, ancorché vago, è naturalmente a Fourier, primo
numentale […] che prova il loro diritto ad essere riprese dal cinema (das Recht documento dell’esigenza di «avere il proprio» tramite il gioco tecnico
ihrer Kinoaufnahme)45. con la natura. Sono temi che avranno notoriamente un’eco nella tesi
XI Sul concetto di storia47.
Già nel 1927, il nuovo cinema russo suggerisce a Benjamin come
il proletariato si palesi come quel «collettivo» che conferma, grazie 46 Id., Kunstwerk, Dritte Fassung, nota 1, p. 109; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p.
alla sua dinamica («architettonica» ma non «monumentale»), il pro- 59 [tr. mod.]. Riportiamo anche la traduzione dell’edizione Valagussa (tr. Filippini-Vala-
prio diritto (Recht) a esser oggetto di ripresa. Ma è l’ultima, densa gussa, Opera d’arte, nota 31, pp. 47-49: 49), sensibilmente diversa anche dalla tr. Filippini-
nota al paragrafo VI della Dritte Fassung che spiega meglio perché il Riediger, Opera d’arte, nota 4, p. 280 (le cui soluzioni sono sostanzialmente analoghe a
quelle di Schiavoni, Opera d’arte, nota 12, p. 87, e le cui varianti significative segnaliamo
tra parentesi quadre): «appunto a motivo del fatto che questa seconda tecnica mira so-
43 Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 125; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte, p. 74; prattutto alla crescente liberazione dell’uomo dal giogo [tr. Filippini-Riediger: schiavitù]
cfr. tr. Pinotti-Somaini, Opera d’arte, p. 37, unica traduzione a rendere Anspruch «pretesa» del lavoro, dall’altro lato l’individuo nello stesso tempo vede smisuratamente ampliato il
(diversamente dalla tr. Filippini-Riediger, Opera d’arte, p. 291, di cui è una revisione). proprio spazio d’azione. In questo spazio d’azione egli non sa ancora nulla [tr. Filippini-
44 A negare recisamente ogni parentela è F. Desideri, I Modern Times di Benjamin, cit., Riediger: si sente ancora spaesato]. Avanza però le proprie istanze in questo spazio. Poiché
p. XLV: «tra il semplice dare “espressione” e il pervenire al proprio diritto (riconoscendo quanto più la collettività si appropria della sua seconda tecnica, tanto più diviene tangibile
all’immagine il suo valore di testimonianza) Benjamin vede l’antitesi “politica” con il fa- agli individui che vi appartengono quanto poco finora è diventato loro proprio nell’incanto
scismo. Dopo l’effimera ubriacatura del post-moderno, anche in ciò sta l’attualità del suo [tr. Filippini-Riediger: sotto la suggestione] della prima tecnica. In altre parole è il singolo,
modernismo critico che non può essere confuso con l’apoteosi pop dell’apparenza». Ma emancipato tramite la liquidazione della prima tecnica, che accampa la propria pretesa».
si veda anche la più dubbiosa discussione in Id., Il fantasma dell’opera, cit., pp. 144-50. 47 Id., Über den Begriff der Geschichte, in WN 19 (2010), a cura di G. Raulet, pp.
45 W. Benjamin, Erwiderung an Oscar A. H. Schmitz, GS II, 1, pp. 751-755; tr. it. di G. 75-77; tr. it. di M. Palma, Sul concetto di storia, in Id., Scritti politici, intr. di G. Pedullà,
Carchia, Replica a Oscar H. Schmitz, in OC II, pp. 617-621: 619. Editori Internazionali Riuniti, Roma 2011, pp. 309-311.
172 massimo palma

Quel che si può evincere, anche dalla presenza del concetto di Arte oltre l’opera
Anspruch-«pretesa», è il nesso che Benjamin sta stringendo tra l’in- Una lettura antropologico-politica de L’opera d’arte di Benjamin
nervazione politico-rivoluzionaria del collettivo (il momento extra-
Alessandra Campo
ordinario del «politico») e il quotidiano in cui si registra un adat-
tamento della seconda tecnica, che aiuta a emanciparsi soprattutto
dall’uso della natura in chiave dominativa, e dalla società intesa come
dominio «naturalizzato». L’arte fondata sulla politica non è solo una
formula ad effetto, ma mira a fondare l’espressione umana sull’e-
mancipazione sociale di ogni individuo espressa tramite una tecnica
che ha nella mimesi critica (e nella sua capacità di reperire somi-
1. Nel confrontarmi con la riflessione benjaminiana sull’opera d’ar-
glianze distese nella storia) il suo fondamento. Chiudere con la prima
te tratterò il complesso di testi e redazioni di cui è costituita la tormen-
tecnica vuol dire emanciparsi dalla lotta dominativa contro la natura
tata storia redazionale ed editoriale del saggio L’opera d’arte nell’epo-
ma anche emanciparsi dal lavoro vissuto come Arbeitsfron, corvée
ca della sua riproducibilità tecnica come fosse un unico testo, anche
del lavoro. Questa è la pretesa del nuovo collettivo, che si esprime nel
se per le questioni che si faranno evidenti più avanti, farò particolare
voler essere somiglianza tecnica e riproducibile di questa «emancipa-
riferimento a quella che, in base al notevole lavoro realizzato dai cura-
zione». Il diritto-pretesa di esser filmati significa, quindi, mostrare la
tori del volume XVI della Gesamtausgabe di Benjamin1, risulta essere
propria somiglianza con un lavoro diverso, in un territorio depurato
la Dritte Fassung di questo saggio. L’approccio qui assunto, sia chiaro,
dal dominio dell’uomo sull’uomo e della tecnica sulla natura – un
non corrisponde a una presa di posizione esegetico-filologica in senso
territorio che si fa politico, nei margini garantiti dallo spazio di gioco
stretto, tanto più che non è il principio filologico in senso rigoroso a
del nuovo modo di percezione, nel momento in cui si fa figura: «la
guidare le riflessioni che seguono: il mio obiettivo è piuttosto quello di
massa distratta che consente all’opera d’arte di produrre in essa i
provare a individuare cosa Benjamin ci lasci da pensare, oggi, al di là di
propri effetti deve sempre attendere dalla politica il riconoscimento
una stretta interpretazione del suo pensiero in quanto tale. Un’eredità
della propria dignità umana (von der politischen Haltung ihre men-
intellettuale e filosofica – questa una delle tesi di fondo che alimentano
schenwürdige Gestalt zu gewärtigen hat)»48.
il presente contributo – che proprio nel saggio sull’opera d’arte trova
una sorta di testamento particolarmente significativo.
Due premesse sono qui importanti per evitare pericolosi frain-
tendimenti dell’argomentazione nella quale ci si addentrerà a breve:
1) l’approccio appena presentato richiede, ovviamente, di pensare il
saggio nel contesto di tutta la produzione benjaminiana (con tutte le
difficoltà del caso, dando per assodato che un testo di poche pagine
non pretende affatto di scioglierle e risolverle in maniera definitiva
e compiuta); 2) in questo senso, il presente contributo è orientato a
cercare risposte a interrogativi che vanno oltre la riflessione benjami-
niana in senso stretto (vi si farà riferimento in sede di conclusione).
L’assunto fondamentale da cui muoverò è il seguente: il testo
48 Benjamin, Kunstwerk, Manuskripte zur Zweiten Fassung, MS 382, pp. 92-95: 95;
sull’opera d’arte non è (solo) un saggio sull’opera d’arte. Non lo è, se
tr. it. di U. Marelli, Appendice a L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica,
in OC VI, pp. 304-319: 309. 1 Benjamin, Kunstwerk.
174 alessandra campo arte oltre l’opera 175

lo si vuole intendere esclusivamente come un saggio di teoria dell’ar- come proprio in questo sentire sia individuabile quel Bestimmungsgrund
te. Il saggio di Benjamin può ottenere adeguata comprensione, se che, permettendoci di conferire senso alla molteplicità di stimoli in cui
se ne rispetta la vocazione intrinseca fondamentale, quella di essere siamo immersi, fonda per noi la possibilità di articolare un mondo e,
un saggio di «antropologia politica». Del resto questo ci viene detto appunto, di abitarlo. Vale la pena tuttavia soffermarsi proprio su questo
nelle righe che ne introducono il tema: passaggio: è in uno specifico modo del sentire che si radica la possibilità,
per l’essere umano, di abitare uno spazio sensato che, come tale, non
I concetti che in quanto segue vengono introdotti per la prima volta nella può che essere condiviso e condivisibile4. È quindi sulla base di questo
teoria dell’arte si distinguono da quelli correnti per il fatto di essere del tutto sentire che tale spazio può essere uno spazio comune – uno spazio so-
inutilizzabili per gli scopi del fascismo. Per converso essi sono utilizzabili per la
ciale, e, in ultima istanza, appunto, politico. La capacità peculiarmente
formulazione di esigenze rivoluzionarie nella politica dell’arte2.
umana di articolare senso sulla base di una modalità specifica di sentire
il mondo, quindi, fonda contemporaneamente la dimensione essenzial-
L’intento politico di Benjamin è qui dichiarato. Il saggio si propo-
mente politica dell’abitare umano. E se l’estetica è quella disciplina che
ne di introdurre concetti radicalmente nuovi all’interno della teoria
indaga e pensa questo sentire, estetico sarà il fondamento su cui antro-
dell’arte, la cui potenza innovativa ha una ricaduta – ed è usata con
pologia e politica essenzialmente si incontrano.
una intenzionalità – dichiaratamente politica: la rivoluzione capa-
Esiste una linea di riflessione filosofica che rappresenta un emi-
ce di contrastare il fascismo. Allo stupore che potrebbe cogliere il
nente punto di riferimento in questo senso e che, partendo da Kant,
lettore nel trovare associati un programma filosofico-politico e un
passa per lo Schiller delle Lettere sull’educazione estetica e giunge
saggio di «teoria dell’arte» si potrà rispondere attraverso il solo ap-
alle fondamentali riflessioni di Arendt. Altri hanno saputo ampia-
parente paradosso per cui proprio l’intento politico di questo saggio
mente ricostruire questo paradigma5. Qui si tenterà piuttosto di ve-
gli conferisce un carattere «estetico» peculiare. Non posso evitare di
dere come questo plesso teorico funzioni nel pensiero benjaminiano.
chiarire, seppur brevemente, questa prospettiva, che si radica nella
concezione dell’estetica promossa da Emilio Garroni3 e che chi scri-
ve ha ereditato dalla scuola presso cui si è formata, quella di Pietro
2. Nel saggio sull’opera d’arte vi è un concetto in particolare che
Montani. Questa linea di pensiero interpreta l’estetica come una di-
racchiude e sintetizza questo rapporto tra antropologia e politica, ed
sciplina «non speciale», ossia come una riflessione filosofica che non
è il concetto di «medialità». Andrea Pinotti e Antonio Somaini6 han-
è dedicata innanzi tutto e in primo luogo a un oggetto specifico – l’o-
no brillantemente sottolineato l’importanza dei concetti di medium
pera d’arte –, ma che indaga e riflette piuttosto su quel fondamento
e medialità nel pensiero benjaminiano, nonché l’originalità con cui
sensibile (estetica deriva dal greco aisthesis, che significa percepire,
sentire) che rende possibile la nostra esperienza in generale e il cui
4 Su questo punto non si può fare a meno di rinviare ai paragrafi della Critica della
«lavoro» di elaborazione del reale trova nell’arte una configurazione
facoltà di giudizio dedicati al «senso comune» (in particolare i §§ 39-40). Fin dal di-
esemplare ma non esclusiva. scorso kantiano si fa evidente che questa dimensione condivisa del fondamento stesso
Non è possibile ricostruire qui la parabola di pensiero che a partire dell’esperienza umana ha a che fare con il linguaggio. Peraltro in Benjamin non mancano
da Kant e dalla Terza Critica, nella peculiare lettura di Garroni, mostra considerazioni dedicate proprio al linguaggio, non esenti anch’esse dalla presenza di un
orientamento riflessivo antropologico: Il compito del traduttore, Sulla lingua in generale e
sulla lingua dell’uomo e, per certi versi, anche Sulla facoltà mimetica, testo a cui si farà più
2 «Die im folgenden neu in die Kunsttheorie eingeführten Begriffe unterscheiden sich ampio riferimento nelle pagine che seguono.
von geläufigeren dadurch, dass sie für die Zwecke des Faschismus vollkommen unbrauch- 5 Cfr. Pietro Montani, Bioestetica: senso comune, tecnica e arte nell’età della globaliz-

bar sind. Dagegen sind sie zur Formulierung revolutionärer Forderungen in der Kunstpo- zazione, Carocci, Roma 2007.
litik brauchbar» (Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 97; tr. Pinotti-Somaini, Opera 6 Cfr. Andrea Pinotti - Antonio Somaini, Introduzione, in W. Benjamin, Aura e choc.

d’arte, p. 17). Saggi sulla letteratura dei media, a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Einaudi, Torino 2012,
3 Cfr. Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano, Garzanti, 1992. pp. IX-XXVIII.
176 alessandra campo arte oltre l’opera 177

Benjamin li tratta – originalità che è stata rilevata anche dai curatori umano con il reale, è al contempo naturale e storico – è antropolo-
dell’edizione tedesca cui facciamo qui riferimento7. In Benjamin la gico proprio in quanto costitutivo del modo in cui l’uomo sta nel
medialità non ha tanto a che vedere con il concetto di medium cui più mondo, laddove, tuttavia, questa modalità umana dello «stare nel
siamo avvezzi, quello, cioè di «mezzo» di comunicazione, strumento mondo» si modifica storicamente. Detto altrimenti: le forme di que-
o «supporto» di un messaggio «tecnicamente» prodotto e trasmesso. sta medialità essenziale, di questo specifico antropologico, non sono
In Benjamin il medium rappresenta la modalità stessa della relazio- date una volta per tutte. Il medium della percezione (assumendo tutta
ne umana con il mondo. Nei termini usati fin qui: il medium è quel la pregnanza del doppio genitivo), quindi, non indica semplicemente
sentire che caratterizza e fonda la capacità – e la possibilità – speci- la percezione come mezzo (di presa sul mondo), ma il luogo che la
ficamente umana di abitare un mondo dotato di senso. La medialità percezione è, come spazio di articolazione di specifiche condizioni
è, cioè, un tratto eminentemente antropologico8. Questo sentire è, antropologiche storicamente determinate e delle condizioni sociali a
cioè, per Benjamin, ineludibilmente mediato. In questo senso egli può esse corrispondenti. Ora, quella contemporanea, ci viene detto qui, è
parlare di un «Medium der Wahrnehmung», un medium della per- la condizione di decadimento dell’aura. Un numero notevole di pagi-
cezione. Un tratto eminentemente antropologico ma, si badi, poiché ne e parole sono state spese sulla nozione di aura in Benjamin. Non
questo punto è essenziale, che non si determina solo a livello natu- potrà certo essere questo il luogo per un ripensamento radicale di tale
rale, che non è, cioè, biologicamente dato una volta per tutte. Esso concetto. Quello che interessa in questa sede è che attraverso di esso
è piuttosto un elemento radicalmente storico. Nel saggio sull’opera la questione dell’arte irrompe all’interno di una riflessione che fin qui
d’arte si legge: pareva potersi sviluppare in senso strettamente antropologico.
Eppure, proprio nel mettere in luce il carattere storico del rapporto
Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza mediato dell’uomo con il mondo, proprio qui Benjamin reputa op-
delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro per- portuno inserire le proprie considerazioni sulla perdita dell’aura. È
cezione. Il modo secondo cui si organizza la percezione umana – il medium in
ormai fin troppo noto: secondo Benjamin, in regime di riproducibilità
cui essa ha luogo –, non è condizionato soltanto in senso naturale, ma anche
storico. […] E se le modificazioni nel medium della percezione di cui noi siamo tecnica, l’opera d’arte perde i connotati da essa assunti in una prospet-
contemporanei possono venir intese come una decadenza dell’aura, sarà anche tiva estetica moderna, quelli cioè dell’arte originale, autoriale, opera
possibile indicarne i presupposti sociali9. di genio, unica, irripetibile, avvolta da una sorta di guaina sacrale che
la pone su di un piano altro rispetto a quello del mondo e della realtà
Lo sguardo benjaminiano è rivolto quindi a scandagliare questo ordinari. L’arte auratica è, dice Benjamin, arte dotata di valore cultua-
medium della percezione, a coglierne gli aspetti peculiari: i quali sono le, un’arte la cui visibilità è secondaria rispetto al suo stesso esistere in
e naturali e storicamente condizionati. Il medium della percezione, quanto depositaria di una sacralità specifica, unica, quasi intangibile.
il rapporto sensibile sulla cui base si articola il rapporto dell’essere Un’arte, possiamo ancora aggiungere, che rispecchia una specifica me-
dialità percettiva, quella auratica, appunto, ormai giunta al tramonto,
7
giacché il medium della percezione della contemporaneità si modifica
Cfr. Benjamin, Kunstwerk, pp. 680 e sgg.
8 Cfr. ivi, p. 680: «Aber man kann Benjamins anthropologische Überlegungen me- proprio nel senso di un Verfall der Aura il cui aspetto fondamentale,
dientheoretisch übersetzten. Der Mensch in seiner Körperlichkeit ist das erste Medium». si badi, sono le condizioni sociali di cui è espressione. Perché è qui
9 «Innerhalb grosser geschichtlicher Zeiträume verändert sich mit der gesamten
che si può cogliere il senso e il significato dell’arte all’interno di una
Deseinsweise der menschlichen Kollektiva auch die Art und Weise ihrer Wahrnehmung.
riflessione eminentemente antropologico-politica: se l’arte è una confi-
Die Art und Weise, in der die menschliche Wahrnehmung sich organisiert – das Medium,
in dem sie erfolgt – ist nicht nur natürlich sondern auch geschichtlich bedingt […]. Und gurazione significativa della modalità specifica della relazione umana
wenn die Veränderungen im Medium der Wahrnehmung deren Zeitgenossen wir sind, sich con il mondo in una data epoca storica, l’arte senz’aura rende visibile
als Verfall der Aura begreifen lassen, so kann man dessen gesellschaftliche Bedingungen come si trasforma il medium della percezione nelle condizioni sociali
aufzeigen» (ivi, Dritte Fassung, pp. 101-102; tr. it. cit., p. 21).
178 alessandra campo arte oltre l’opera 179

contemporanee, è cioè il luogo in cui si dà a vedere la modalità con- to la nostra percezione – quel sentire fondativo e fondante di cui si di-
temporanea di quella medialità che caratterizza il rapporto dell’essere ceva – si realizza oggi in e attraverso la tecnica, che possiamo ricono-
umano contemporaneo con il proprio mondo. È opportuno sottoline- scere nell’arte del passato un’auraticità ormai al tramonto, laddove
are a questo punto che per Benjamin una delle prime condizioni inedite il soggetto contemporaneo, le collettività umane, le masse, scoprono
che caratterizzano la dimensione socio-politica contemporanea è quel- una presa sul mondo tecnicamente mediata, che ha nell’arte massi-
la dell’affermazione di un nuovo soggetto storico: le masse. Il tratto mamente esposta ed esponibile una sua configurazione essenziale. E
antropologico di cui si è già ampiamente detto va cioè ripensato alla in essa, questo è dirimente, si dà a vedere una chance politica inedita,
luce delle «collettività umane», poiché sono esse, oggi, ad articolare il preclusa al medium percettivo di tipo cultuale. Il valore espositivo
senso del mondo umanamente abitato. Il medium della percezione, in dell’opera d’arte esprime una possibilità pratica, socio-politica.
altre parole, è essenzialmente plurale: la «forma» in cui una tale plu- Ora, questa interpretazione del rapporto tra arte cultuale e arte
ralità può trovare espressione è quella dell’esposizione estrema, radi- espositiva e del passaggio dal Kultwert all’Ausstellungswert può es-
calmente opposta all’isolamento cultuale dell’opera auratica (il valore sere colta fino in fondo solo a patto di fare lo sforzo di ripensare
espositivo che soppianta quello cultuale). la nozione stessa di opera d’arte alla luce del senso originario e più
Ora, proprio quest’ultimo passaggio è di estrema importanza e va profondo del termine «arte». Tale significato originario doveva esse-
quindi percorso nella sua radicalità, cercando di coglierne gli aspetti re ben chiaro a Benjamin, poiché anche nella lingua tedesca – forse
troppo spesso trascurati. Bisogna evitare infatti l’errore di pensare per certi aspetti in modo ancora più forte che in italiano – il termine
il rapporto tra Kult- e Ausstellungswert in Benjamin come un mero Kunst porta con sé tutta la storia di un concetto che ha nella nozio-
passaggio di testimone cronologicamente determinato. È indubbia- ne di techne – tecnica – la propria radice. Ancora una volta la Ter-
mente vero che, secondo Benjamin, la riproducibilità tecnica, per- za Critica kantiana rappresenta un riferimento ineludibile in questo
mettendo la ri-produzione e diffusione su larga, larghissima scala, di senso, laddove tiene a sottolineare la differenza tra la Kunst – l’arte
opere un tempo accessibili solo in un qui e ora determinati, ha lace- nel senso di un «saper-fare» tecnico che, in quei passaggi kantiani,
rato il velo auratico e dato all’opera d’arte una visibilità storicamente trova esemplificazione non a caso in pratiche come la fabbricazio-
unica. Tuttavia non è questo il centro della sua argomentazione. La ne di scarpe – e la schöne Kunst – l’arte in senso estetico moderno,
questione è più complessa e più essenziale. Il punto fondamentale è l’arte bella, l’opera creativa di genio. L’arte auratica, per dirla con
quale condizione socio-politica, quale modalità dell’umano rapporto Benjamin. Ora, quando parla dell’arte nell’epoca della sua riproduci-
con il mondo si dia a vedere in questo passaggio. Quello che Benja- bilità tecnica, Benjamin pare avere ben presente la sopravvivenza e la
min coglie è che la riproducibilità tecnica rappresenta una trasforma- presenza nella nozione di Kunst della sua radice «tecnica» e sembra
zione della presa mediata che l’uomo ha sul reale in una direzione che riscoprirne tutta la portata filosofica proprio introducendo il concet-
permette di ri-vedere l’opera d’arte cultuale alla luce delle possibilità
innovative aperte dalla sua nuova esponibilità. Oggi, cioè, possiamo
connessione tra storiografia e politica, che è identica a quella teologica tra rammemora-
vedere l’arte del passato come cultuale, auratica, in quanto la sua
zione e redenzione. Questo presente si condensa in immagini che si possono chiamare
riproducibilità tecnica ce la mostra come quell’arte che lascia il posto immagini dialettiche. Esse rappresentano una trovata “salvifica” per l’umanità» (W. Benja-
all’arte del valore espositivo10. O, da un’altra prospettiva: è in quan- min, Manuskripte – Entwürfe und Fassungen, in Über den Begriff der Geschichte, WN 19
(2010), a cura di G. Raulet, pp. 110-111; tr. it. di G. Bonola - M. Ranchetti, Appendice a
Sul concetto di storia, in OC VII (2006), pp. 512-513). Questo sguardo che si condensa in
10 Questa prospettiva è coerente, peraltro, con l’interpretazione che Benjamin offre immagini che oggi rivelano il senso di un’intera epoca nell’attimo che lo porta a visibilità è
dello sguardo storico, del modo in cui si guarda alla storia: «Lo storico […] afferra la lo sguardo fondamentale con cui la storia viene presa in carico nella prospettiva benjami-
costellazione in cui la sua epoca è venuta ad incontrarsi con una ben determinata epoca niana. Egli chiama questo attimo «Jetzt der Erkennbarkeit», l’ora della conoscibilità, no-
anteriore. Fonda così un concetto di presente come quell’adesso, nel quale, per così dire, zione fortemente presente nel saggio sull’opera d’arte e che permea la visione che Benjamin
sono disseminate e incluse schegge del tempo messianico. Questo concetto istituisce una ha del passaggio da Kult- a Ausstellungswert, in una prospettiva storico-politica.
180 alessandra campo arte oltre l’opera 181

to di valore espositivo. L’arte riproducibile tecnicamente («prodotta la nostra argomentazione. In questo saggio Benjamin, affrontando la
in vista della propria riproducibilità») è l’arte ricondotta dall’ambito questione della mimesis (la complessità del suo significato in filosofia e
elitario e sacrale dell’«opera» a quello antropologicamente più origi- in estetica in particolare può esser qui assunta, ma non argomentata),
nario di un «fare», di un «avere a che fare con oggetti», che in effetti scrive: «la più alta capacità di produrre somiglianze è propria dell’uo-
caratterizza la modalità specifica con cui l’uomo esercita il proprio mo […] Egli non possiede, forse, alcuna funzione superiore che non sia
commercio con il mondo. Il passaggio dalla dimensione cultuale a condizionata in modo decisivo dalla facoltà mimetica»11.
quella espositiva, allora, non dice solo o semplicemente che l’opera La mimesis è interpretata, qui, come un mettere in relazione: non
d’arte fotografata può essere vista da un pubblico più vasto, ma che semplice imitazione, ma l’individuazione di nessi inediti, capaci di far-
l’opera, l’ergon, l’oggetto del culto estetico si disintegra ora (ecco la ci vedere, cogliere qualcosa, di articolare così in modo inedito la no-
lacerazione dell’aura) nelle molteplici pratiche che la tecnica moder- stra esperienza del reale. E tale capacità, ecco il tratto fondamentale,
na lascia emergere, porta a visibilità – espone, appunto. La chance è «propria dell’uomo», è un tratto antropologico eminente. Quindi la
politica e rivoluzionaria allora – possiamo anticiparlo – risiede nella facoltà mimetica, a ben guardare, è il pendant di quel sentire di cui si
possibilità, inaugurata dallo sviluppo delle nuove tecniche di ripro- diceva all’inizio e che senza eccessive forzature possiamo associare al
duzione, di permettere alle masse, il soggetto «collettivo» della mo- saper-fare che in Grecia andava sotto il nome di techne, nel senso di
dernità, di accedere a quelle pratiche che finora potevano avvicinare una inaggirabile medialità del rapporto umano con il mondo. Anche
soltanto nella visione dell’opera realizzata e compiuta una volta per qui è interessante che il dato antropologico abbia un’immediata tor-
tutte. Le masse possono ora invece mettere mano in quel fare di cui sione storica: «questa facoltà ha una storia […], né le forze mimetiche,
l’opera è (una) possibile configurazione e che caratterizza la libertà né gli oggetti mimetici sono rimasti gli stessi nel corso dei millenni»12.
umana di profilare un mondo, di ritagliarne il senso e il significato. In che senso, tuttavia, Benjamin parla qui di una «facoltà» mime-
In quella medialità, insomma, che, lo si è visto, rappresenta una fon- tica? Non certo nel senso kantiano del termine, quanto piuttosto in
damentale cifra storico-antropologica. quello di una specifica corrispondenza dell’uomo con il mondo e la
Riassumendo e rielaborando, nella contemporaneità per Benjamin natura, o meglio, di una «rete di connessioni» con il mondo in cui
il medium della percezione si trasformerebbe nella direzione di un de- l’uomo è immerso e che, al contempo, l’uomo costantemente costru-
cadimento dell’aura. Tale decadimento annuncia però condizioni so- isce (è forse superfluo sottolineare quanto questo tema anticipi l’at-
ciali in cui la possibilità di una medialità plurale e condivisa attraverso tenzione che Benjamin rivolgerà alla nozione di correspondances in
la riappropriazione di pratiche diffuse di elaborazione del senso vie- Baudelaire). Si tratta cioè di una modalità di rapporto con il mondo,
ne aperta dalle nuove potenzialità dischiuse dallo sviluppo tecnico, di che è al contempo un percepire e un produrre e che, ancora una vol-
contro all’incombente minaccia che su questo stesso scenario storico ta, si caratterizza per il suo tratto eminentemente storico: «la facoltà
esercita il fascismo (non va infatti dimenticato che Benjamin scrive di produrre somiglianze – per esempio nelle danze, la cui più antica
queste riflessioni nella seconda metà degli anni Trenta). Per compren- funzione è appunto questa –, e quindi anche quella di riconoscerle, si
dere la complessità di questo apparente paradosso – l’estrema possibi- è trasformata nel corso della storia»13.
lità rivoluzionaria nell’epoca del fascismo – è necessario aprire una pa- La facoltà mimetica, allora, come facoltà specificamente umana
rentesi che ci allontanerà temporaneamente dal testo sull’opera d’arte. di produrre somiglianze, è quella capacità di sentire nessi, analogie,
significati inediti nel mondo e, al contempo, di produrli, nonché, tra-

3. Nel saggio del 1933 Sulla facoltà mimetica è possibile trovare al- 11 W. Benjamin, Über das mimetische Vermögen, GS II (1977), 1, pp. 210-213: 210-

cune anticipazioni rispetto alla nozione di Medium der Wahrnehmung, 211; tr. it. di R. Solmi, Sulla facoltà mimetica, in OC V (2003), pp. 522-525: 522.
12 Ivi, p. 211; tr. it. cit., p. 522.
assieme ad alcune riflessioni che possono essere di estremo aiuto nel- 13 Ibid. [mio il corsivo].
182 alessandra campo arte oltre l’opera 183

mite essi, di produrre il mondo stesso. Nella facoltà mimetica, si noti, 4. Sul piano socio-politico queste trasformazioni si manifestano
sentire e produrre, percepire e fare sono due facce della stessa meda- nei fenomeni della omologazione e standardizzazione del sentire at-
glia. È interessante che nella prima versione di questo saggio questa traverso la produzione in serie, dello choc metropolitano che impo-
facoltà sia dichiaratamente ascritta alla percezione, Wahrnehmung, verisce l’esperienza18, della manipolazione politica del sentire sociale
in quanto «presa della e sulla verità» (Wahr-nehmung). Il medium attraverso la fascinazione esercitata proprio in virtù delle nuove pos-
della percezione del saggio sull’opera d’arte trova già qui i primi ger- sibilità tecniche, dell’avvento delle forme comunicative tipiche dei
mi della sua più matura elaborazione. regimi totalitari e dell’affermazione dei fascismi. E tuttavia – questo
Ora, Benjamin attribuisce a questa facoltà mimetica un progres- il punto essenziale, il portato davvero innovativo del saggio sulla ri-
sivo indebolimento, nel corso della storia. In altri termini, la facoltà producibilità tecnica – Benjamin suggerisce il paradosso – il para-
peculiarmente umana di cogliere somiglianze tra le cose, di instau- dosso della modernità - per cui solo in questa nuova modalità del
rare nessi sempre nuovi, invisibili e tuttavia capaci di costituire un rapporto con le cose la massa può trovare riscatto. Il luogo di questo
mondo, si indebolisce inesorabilmente. Ma ancora in questo saggio paradosso è proprio la tecnica, motivo per cui è essenziale, come si
Benjamin si chiede «se si tratta qui della decadenza di questa facol- è detto, fare lo sforzo di ripensare la nozione di Kunst alla luce di
tà oppure della sua trasformazione»14. quella di techne.
Proprio alla luce del saggio sull’opera d’arte appare evidente Un tale ripensamento permette ancora una volta di cogliere il
che, a prescindere dal valore positivo o negativo che le si voglia at- portato antropologico della nozione di arte e della elaborazione che
tribuire, questa trasformazione ha un significato storico essenziale, essa subisce nel testo benjaminiano, là dove la techne, la tecnica che
poiché dice qualcosa dell’epoca – quella che Benjamin chiama mo- l’arte è, non è altro che quel saper-fare che caratterizza la modalità
dernità – in cui essa accade e, soprattutto, qualcosa dell’uomo – e umana di determinare se stesso rispetto a un mondo. Una modalità
della società – che in tale epoca esiste e agisce. Si tratta, lo si è visto naturale che sconfina continuamente nel non-naturale. Un’attitudine
sopra, dell’epoca il cui soggetto diviene il collettivo, le masse. originaria e fondante che ha già sempre a che fare con l’artificiale.
Ma è anche l’epoca in cui «il mondo percettivo dell’uomo mo- Un modo di stare nel mondo che è sempre al confine tra natura e
derno non contiene più che scarsi relitti di quelle corrispondenze e tecnica, appunto. La naturalità dell’uomo è quella che costantemente
analogie magiche che erano familiari ai popoli antichi»15. È l’epoca trascende se stessa nel tecnico – il suo specifico sentire, il suo radica-
cioè in cui il sentire dell’uomo non si esercita più in senso magico, sa- mento sensibile (estetico!) nel mondo è già sempre un fare capace di
crale – in altri termini: in senso auratico –, poiché le cose – questo ce produrre un non-naturale.
lo dirà proprio il saggio sull’opera d’arte – sono rese incredibilmente Ma cosa succede insomma con l’avvento della riproducibilità
più vicine proprio dallo sviluppo tecnico16. tecnica? Cosa ci fa vedere l’opera d’arte tecnicamente riproducibi-
Da questo punto di vista la trasformazione della facoltà mimetica le? L’opera d’arte, cioè, che ritorna alla propria originaria vocazione
è conseguenza di questo sviluppo socio-culturale nella direzione di tecnica, appunto? In parte lo abbiamo già visto. Non si tratta sem-
una presa oggettiva-oggettivante sulle cose17. plicemente della fine di un tipo di arte, quella cultuale: è la cultualità
a esplodere nella riproducibilità fino a farsi massimamente esposta.
14 W. Benjamin, Über das mimetische Vermögen, cit., p. 211; tr. it. cit., p. 523. L’epoca delle esposizioni universali, dello choc metropolitano, delle
15 Ibid. esplosive diffusioni di immagini attraverso i nuovi strumenti offerti
16 «[...] “portarsi più vicino” le cose è per le masse attuali un’esigenza vivissima» (Id.,
dalla fotografia e dal cinema, del bombardamento di informazioni
Kunstwerk, Dritte Fassung, p. 102; tr. it. cit., p. 22). Su questo si vedano anche i saggi su
Baudelaire e i materiali sui Passages.
17 Discorso che trova il suo pendant filosofico-linguistico nel saggio Sulla lingua in

generale e sulla lingua dell’uomo, capitolo questo che ci porterebbe troppo lontano dal 18 Cfr. anche i saggi su Baudelaire e, ovviamente, Erfahrung und Armut, in GS II, 1, pp.

tema centrale, ma che varrebbe la pena essere approfondito. 213-219; tr. it. di F. Desideri, Esperienza e povertà, in OC V, pp. 539-544.
184 alessandra campo arte oltre l’opera 185

attraverso la stampa: a ben guardare quest’epoca non chiude con Il Gleichgartiges – ciò che è dello stesso genere, l’uguale-a-se-stesso
l’aura, ma la dilata fino a farla giungere in ambiti altri rispetto a – paradossalmente, allora, diviene il polo privilegiato del rapporto sen-
quelli finora considerati strettamente artistici. La fascinazione cul- sibile (e fondante) con il mondo. Questo mutamento avviene proprio
tuale si estende all’oggetto quotidiano prodotto in serie, all’eccesso là dove il velo auratico che garantisce l’originalità e l’unicità viene por-
di stimoli della vita metropolitana moderna e della società di massa. tato oltre se stesso, oltre il mondo conchiuso dell’arte bella, ed estende
Si tratta di un nuovo modo della percezione, quello che corrisponde la fascinazione all’oggetto comune, diviene esso stesso, cioè, oggetto di
al nuovo soggetto che sono le masse, al nuovo corpo dell’umano, al riproducibilità indeterminata. È un eccesso di aura, altrimenti detto, a
nuovo medium della percezione stessa. Ecco quindi che il Kultwert mettere in crisi quella facoltà mimetica, quel principio estetico dal radi-
si fa Ausstellungswert: l’aura, massimamente dilatata, si rovescia nel cale valore antropologico. In questa prospettiva il valore espositivo – il
proprio contrario. tutto portato a esposizione, a visibilità – è la radicalizzazione del valore
In questo contesto l’interesse principale di Benjamin è individuare cultuale, la sua estrema propaggine. Il fascismo sarebbe espressione po-
una chance rivoluzionaria, la possibilità che le condizioni attuali per- litica e storica di questo fenomeno. Ma, al contempo – questo è lo sforzo
mettano alle masse di operare la rivoluzione nei confronti del fasci- filosofico più profondo nella riflessione intrinseca al testo benjaminiano
smo, che pure in queste stesse condizioni pare prosperare. Il punto è –, proprio questo valore può essere, invece, il rovesciamento rivoluzio-
che quella stessa dilatazione dell’aura che porta alla sua lacerazione e nario – ed escatologico – di tale processo. Proprio qui, cioè, proprio in
all’irruzione dei valori espositivi può sempre richiudersi in una auto- queste condizioni, la rivoluzione, il riscatto si fanno possibili.
celebrazione, una cultualizzazione portata all’estremo: questo, dopo Perché, se (come abbiamo visto) è il fare tecnico a rendere l’uomo
tutto, è il fascismo. Scriverà infatti Benjamin che il contesto contem- ciò che è, qui vi è il richiamo a una tecnica che sappia essere all’al-
poraneo così caratterizzato rappresenta il luogo in cui trionfano la tezza dell’epoca in cui accade. E questa tecnica è arte, può essere
figura del divo come quella del duce, che della cultualità auratica arte, proprio perché sa spezzare la ritualità celebrativa, è in grado
sono espressioni significative. Perché l’ottundimento del sentire è il di divenire attimo che mostra e crea le condizioni per un agire rivo-
pendant di un produrre e di un fare – ce lo diceva il saggio sulla facol- luzionario. Può rendere visibile e conoscibile qui e ora il rovescia-
tà mimetica – altrettanto autoriferito, e quindi non aperto alle sem- mento dialettico che si rende possibile. E lo può fare solo se rinuncia
pre nuove possibilità configurative, incapace di cogliere somiglianze, a ripotenziare una cultualità autoreferenziale, riscoprendo invece la
i nessi significativi inediti («magici», diceva il testo del 1933), che propria originaria dimensione di pratica condivisa e mai isolabile in
permettono di ridefinire costantemente il mondo e, quindi, di non un’opera conchiusa, un fare che proprio i nuovi mezzi di riproduzio-
«subirlo» in una forma imposta e immodificabile. Proprio l’epoca ne mettono a disposizione dei molti, dei tutti del collettivo sociale, di
della riproducibilità tecnica, del corpo sociale tecnicamente innerva- contro all’isolamento elitario del genio estetico.
to e pervaso, è quella in cui il sentire pare appiattirsi sull’omogeneo:

La liberazione dell’oggetto dalla sua guaina, la distruzione dell’aura sono il 5. È Benjamin stesso a fornire indicazioni fondamentali in questo
contrassegno di una percezione la cui «sensibilità per ciò che nel mondo è dello senso nei passaggi della Dritte Fassung in cui introduce il concetto di
stesso genere» è cresciuta a un punto tale che essa, attraverso la riproduzione,
«seconda tecnica». Riprendendo un tema che abbiamo incontrato nel
reperisce l’uguaglianza di genere anche in ciò che è unico19.
saggio sulla Facoltà mimetica, qui Benjamin ci dice che l’arte cultuale
è sempre stata, tradizionalmente, al servizio della magia. La società
19 «Die Entschälung des Gegenstandes aus seiner Hülle, die Zertrümmerung der Aura, di quest’arte era quella in cui la tecnica esisteva fusa con il rituale20.
ist die Signatur einer Wahrnehmung, deren “Sinn für das Gleichartige in der Welt” so
gewachsen ist, dass sie es mittels der Reproduktion auch dem Einmaligen abgewinnt»
(Benjamin, Kunstwerk, Dritte Fassung, pp. 102-103; tr. it. cit., p. 22). 20 Ivi, p. 107; tr. it. cit., p. 25.
186 alessandra campo arte oltre l’opera 187

Esiste tuttavia una seconda tecnica, corrispondente a un altro tipo Il film è cioè il luogo di esposizione di una pratica in cui ne va della
di società, la nostra, quella attuale. È possibile quindi osservare una costituzione stessa dell’esser-uomo, che interpella il corpo collettivo
contemporaneo, perché sappia esercitare un sentire all’altezza delle
differenza tendenziale tra quella tecnica e la nostra, e questa consiste nel potenzialità dischiuse dall’Apparatur tecnica, che mette finalmente
fatto che la prima tecnica impiega l’uomo il più possibile, mentre la seconda a disposizione di molti non solo la possibilità di vedere l’opera ma,
lo fa il meno possibile. Per la prima tecnica, l’impresa più grande è in un certo
si passi il gioco di parole, i mezzi per operare la sua stessa realizza-
senso costituita dal sacrificio umano, mentre quella della seconda si muove
nella direzione degli aerei teleguidabili in grado di fare a meno dell’equipaggio zione23. Non più un’opera d’arte ma un’arte nel senso di una techne,
umano21. un fare, una pratica pubblica, politica, collettiva (e quindi esposta,
condivisa) in cui si rende visibile, ora, l’umanità che lascia il posto
La (nostra) seconda tecnica si distingue, sorprendentemente, per a una nuova umanità, quella della rivoluzione, quella dell’uomo che
il fatto di non impiegare l’uomo, di non sacrificarlo a se stessa, cosa con la liquidazione della prima tecnica si è emancipato.
che invece scopriamo essere peculiare della prima tecnica. Anzi, piut- In questo risiede il potenziale rivoluzionario. Perché a questa pra-
tosto, la seconda tecnica si distingue in quanto promuove una inte- tica condivisa e diffusa (democratica, diremmo noi) corrisponde un
razione tra umanità e natura (Zusammenspiel zwischen der Natur medium percettivo che sa aprirsi alle possibilità di cui il corpo sociale è
und der Menschheit). Questa interazione essenziale, questo «gioco innervato24, le possibilità di rimettere sempre mano alle configurazioni
comune e reciproco» si realizza pienamente per Benjamin nel film, di senso cui si rapporta per riarticolarle secondo principi nuovi, mai
nel cinema, là dove il rapporto con la natura e con il mondo rive- ipostatizzabili – e quindi mai passibili di manipolazione totalitaria. Del
la la sua essenziale medialità, poiché si esercita in maniera radicale resto il film non è che questo, è montaggio: una forma di medialità
attraverso strumenti tecnici (che Benjamin nomina introducendo il rispetto alla realtà che si caratterizza non per la ripetizione magica (la
celebre termine «Apparatur»). Qui troviamo in un oggetto specifico, mimesis della facoltà mimetica), ma per la sua capacità di smontare
qual è il film, la perfetta sintesi esemplificativa delle argomentazioni e rimontare il mondo – con tutto il portato materiale, concreto che
precedenti: un oggetto tecnico-artistico non interpretabile nel sen- questo porta con sé – secondo criteri nuovi: «Poi è venuto il cinema e
so dell’opera compiuta tradizionale, dell’opera cultuale di genio, ma con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo
un’arte che è innanzi tutto una tecnica, e che esiste mostrando costi- simile a un carcere; così noi siamo ormai in grado di intraprendere
tutivamente le pratiche, il fare, su cui si fonda e si costruisce: tranquillamente avventurosi viaggi in mezzo alle sue sparse rovine»25.
Il cinema mostra e realizza in modo più esplicito e dichiarato,
il rapporto con tale apparecchiatura gli insegna anche che l’asservimento cioè, quella forma dell’abitare il mondo che la tecnica moderna ha
al suo servizio farà posto alla liberazione attraverso di esso, quando la dispo-
sizione di spirito dell’umanità si sarà adeguata alle nuove forze produttive rese 23 Non è di secondaria importanza il fatto che Benjamin abbia in mente qui il cinema
accessibili dalla seconda tecnica22. di Dziga Vertov, che era esplicitamente mosso da questa idea partecipativa di cinema.
24 Innervation è termine benjaminiano che contribuisce a restituire l’idea fisica, cor-

porea di questi fenomeni. In questo senso possiamo parlare di una nuova umanità, una
21 Benjamin, Kunstwerk, p. 108; tr. it. cit., pp. 25-26: «[...] kommt es auf den tenden- nuova carne, addirittura, che si costituisce proprio nel suo rapporto con la tecnica attuale
ziellen Unterschied zwischen jener Technik und der unsrigen an, der darin besteht, dass die e la rivoluzione auspicata è innanzi tutto antropologica, poiché riplasma quel fondamento
erste Technik den Menschen so sehr, dass die zweite ihn so wenig wie möglich einsetzt. Die sensibile – estetico, potremmo dire – che determina il rapporto dell’uomo con il mondo
charakteristische Grosstat der ersten Technik ist gewissermassen das Menschenopfer, die e, con esso, la costituzione stessa dell’esser-uomo – la sua Verfassung, appunto. Cfr. ivi,
der zweiten liegt auf der Linie der fernlenkbaren Flugzeuge, die keine Piloten brauchen». p. 109; tr. it. cit., nota 4, p. 26 e i commenti dei curatori dell’edizione critica nello stesso
22 Ivi, pp. 108-109; tr. it. cit., p. 26: «Der Umgang mit dieser Apparatur belehrt ihn zu- volume (ivi, pp. 679-680).
gleich, dass die Knechtung in ihrem Dienst erst dann der Befreiung durch sie Platz machen 25 Ivi, p. 130; tr. it. cit., p. 42: «Da kam der Film und hat diese Kerkerwelt mit dem

wird, wenn die Verfassung der Menschheit sich den neuen Produktivkräften angepasst Dynamit der Zehntelsekunden gesprengt, so dass wir nun zwischen ihren weitverstreuten
haben wird, welche die zweite Technik erschlossen hat». Trümmern gelassen abenteuerliche Reisen unternehmen».
188 alessandra campo arte oltre l’opera 189

reso possibile, corrispondendo a modalità del sentire umano speci- pata dai vincoli magico-sacrali del paradigma estetico-soggettivistico
fiche dell’epoca contemporanea, ma lo fa in senso opposto rispetto moderno, apre la possibilità di un nuovo spazio di pratiche condi-
all’ottundimento standardizzante e omologante cui sembra essere vise. In questo senso: una democratizzazione del libero esercizio del
condotto in modo inarrestabile il corpo sociale collettivo della mo- fare tecnico.
dernità – le masse cittadine irreggimentate dal lavoro di fabbrica
come la borghesia asservita al mercato. Si badi che la cultualità ma-
nipolatrice e asservente che Benjamin ha felicemente battezzato con 6. Il complesso saggio benjaminiano, dalla storia redazionale tan-
la celeberrima espressione «estetizzazione della politica» può interve- to difficile e tormentata, si rivela esser quindi, come si diceva all’ini-
nire proprio in virtù di questo ottundimento, là dove esso si ripiega zio, ben più di un saggio di teoria dell’arte: in esso sono rintracciabili
su di un autoreferenzialismo di cui l’opera auratica è espressione pe- fondamentali riflessioni legate a un pensiero antropologico-politico
culiare nella forma, per esempio, del cinema di regime e, in generale, rivolto all’individuazione di spazi per l’esercizio di un autentico agire
in tutte quelle forme di politica-spettacolo che in regime di riprodu- rivoluzionario capace di reagire al fascismo. Le forme in cui questo
cibilità tecnica sembrano raggiungere il proprio apice. L’arte è qui esercizio si manifesta dicono, quindi, qualcosa di fondamentale sulla
opera compiuta e chiusa in se stessa, e agisce, quindi, nella direzione modalità del sentire, del rapportarsi al mondo che contraddistingue
di una riduzione di quella medialità antropologica che marca la con- l’uomo che di tale esercizio è autore.
dizione stessa, per l’uomo, di avere un mondo e di poterne articolare Le questioni che qui si sollevano, come si accennava all’inizio,
un senso. Tale articolazione, infatti, può essere esercitata solo là dove portano inevitabilmente oltre la riflessione di carattere squisitamente
gli orizzonti e i confini dell’esperienza possibile all’uomo si prestino benjaminiano, e interpellano la nostra epoca su diversi piani. Innanzi
a un costante lavoro di ricomprensione e di ridefinizione. Il «fare tutto ci si potrebbe chiedere se quelle pratiche tecniche emancipative
tecnico» che ha luogo nell’arte della massima esposizione e della la- e condivise che Benjamin ha pensato di individuare nel cinema ab-
cerazione dell’aura, infatti, come si è visto, fa «saltare questo mondo biano oggi, nella rete, nelle pratiche web-based, un ovvio prosegui-
simile a un carcere», ne fa esplodere le forme già date e lo ripensa, mento. Esperienze come quelle della Primavera araba hanno dato sul
lo riorganizza secondo criteri nuovi e come tali liberanti. È questa la momento l’impressione che proprio questo si stesse realizzando. E
«politicizzazione dell’arte» che Benjamin contrappone all’estetizza- tuttavia le evoluzioni più recenti, ma di segno diametralmente oppo-
zione e che auspica – e riconosce – come forma contemporanea per la sto, di eventi contigui seppur di matrice differente, impongono nuovi
lotta politica contro il fascismo. Un «render-politica l’arte»: la possi- e urgenti interrogativi. Le vicende politiche attuali, a livello nazio-
bilità di farne una pratica comune, collettiva, un saper-fare liberante nale e mondiale, rappresentano un terreno di studio ineludibile, che
e rivoluzionario perché condiviso, le cui condizioni sono es-poste, mette fin da subito in campo la criticità sempre insita nell’idea di un
a disposizione, i cui apparati tecnici permettono a tutti di mettere potenziale liberante in senso democratico delle nuove tecnologie. E,
mano nel e sul mondo, di distruggerlo per ricostruirlo. del resto, non serve arrivare alle esperienze più pericolose legate, per
La riflessione benjaminiana quindi, in questo senso, mostra le esempio, al deep web o al terrorismo, per interrogarsi sulla reale pos-
trasformazioni che il medium della percezione, la medialità speci- sibilità di un effettivo innalzamento del livello delle prestazioni socio-
ficamente umana, subisce nella contemporaneità e, segnalandone le politiche rese possibili dalle attuali pratiche tecniche condivise. Uno
criticità, ne rivela anche tutte le implicazioni e le potenzialità politi- sguardo all’esperienza dei social media sarebbe già sufficiente per
che, nella direzione di un ripensamento del rapporto tra l’uomo e il aprire – come di fatto accade – un ampio dibattito sull’argomento.
mondo e di un fare che ne permetta un’inedita articolazione, mai de- E tuttavia non si può negare che l’innervazione tecnica preconiz-
finita una volta per tutte. Si tratta quindi di riconoscere e sprigionare zata da Benjamin trovi oggi una realizzazione imprevedibilmente
questo potenziale che attraversa una forma di tecnica che, emanci- potente. Vale la pena allora chiedersi, sul versante etico e antropolo-
190 alessandra campo

gico, cosa ci dica della nostra umanità questa relazione mediale con Benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà
il mondo, nelle forme che abbiamo oggi sotto gli occhi. Benjamin in
Massimiliano Tomba
fondo si poneva gli stessi interrogativi, rispondendo in senso politico-
escatologico nelle modalità che abbiamo visto (e che tuttavia varreb-
be la pena confrontare con altre posizioni interne al suo pensiero e
ravvisabili in altri suoi testi, che sarebbe difficile affiancare pacifica-
mente alle pagine del saggio sull’opera d’arte).
Forse è questo il compito che tocca in sorte agli epigoni, che rac-
colgono in eredità un pensiero che così tanto ancora dà da pensare:
lo sforzo intellettuale di rilanciare il portato antropologico e, in defi-
L’analisi sulla decadenza dell’aura (Verfall der Aura)1 non dovreb-
nitiva, etico di queste riflessioni. Il compito, detto altrimenti, di ren-
be prescindere da un assunto irrinunciabile: «non esistono epoche di
dere giustizia all’umanità e rendere «capace di giustizia» la società,
decadenza (Verfallszeiten)»2. La perdita dell’aura è il sintomo di una
umanità e società che si innestano e si riflettono nelle forme attuali
nuova configurazione sociale e antropologica. Essa non è l’indice di
del medium percettivo.
un declino culturale, ma un campo di possibilità i cui esiti sono un
problema eminentemente politico. Da questa prospettiva, cioè come
un intervento politico nel campo estetico, va inteso lo scritto di Benja-
min sull’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
Le ultime tre versioni tedesche di questo saggio, scritte dal 1935
al 1936, si aprono con il nome di Marx nella prima riga e i compiti
del «comunismo» nell’ultima. Da Marx al comunismo. È tra questi
due estremi che è compresa la traiettoria politica del testo. Nel mezzo
il tentativo benjaminiamo di costellare il Verfall der Aura in una ri-
configurazione del trascendentale, dell’individuo, della divisione del
lavoro e dei rapporti di proprietà. Quest’ultimo aspetto è spesso tra-
scurato dalla letteratura sull’Opera d’arte. Per Benjamin, riconfigura-
re la perdita dell’aura nel contesto dei rapporti di proprietà costituiva
un compito urgente perché il fascismo e le «dottrine totalitarie»3 sta-
vano incanalando l’energia liberata dalla tecnica in nuove gerarchie
sociali all’interno dello stato e nella guerra verso l’esterno4.

1 Verfall der Aura: termine ambiguo e che racchiude in sé una pluralità di significati,

che comprendono il «declino», il «decadimento», la «perdita», la «frantumazione» e lo


«scadimento».
2 Walter Benjamin, Das Passagen-Werk, N I, 6, in GS V (1982), 1, p. 571; tr. it. a cura

di E. Ganni, I «passages» di Parigi, in OC IX (2000), p. 511.


3 Id., Kunstwerk, Vierte Fassung, pp. 165-199: 199; tr. Baldi-Desideri, Opera d’arte,

Versione francese, pp. 3-43: 43. Salvo diversa indicazione, si farà qui riferimento all’ultima
stesura del testo, la quinta (ivi, pp. 207-250; tr. Filippini-Valagussa, Opera d’arte).
4 Ernst Jünger, Der Arbeiter. Herrschaft und Form, Hanseatische Verlagsanstalt, Ham-

burg 1932; tr. it. di Q. Principe, L’operaio. Dominio e forma, Guanda, Parma 2004; Carl
192 massimiliano tomba benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà 193

Il suo saggio, si diceva, inizia con Marx e specificamente con l’a- cambiare anche i criteri in base ai quali giudichiamo della qualità e
nalisi marxiana della struttura economica, che Benjamin intende pro- del senso complessivo dell’arte.
seguire nella sovrastruttura con la stessa esigenza di prognosi con Concetti come genialità, stile, forma e contenuto vanno intesi
la quale Marx aveva analizzato il modo di produzione capitalistico. storicamente allo stesso modo delle categorie che stanno alla base
La questione è che la sovrastruttura ha non solo reso evidenti i cam- dell’esperienza del soggetto moderno. Se si considerano i mutamenti
biamenti della struttura economica, ma sta anche mostrando nuove in corso nella sovrastruttura da questo punto di vista storico, che è
possibilità che preludono a una diversa organizzazione sociale. Nel poi quello di Marx, anche il concetto di individuo va considerato
momento in cui il rivolgimento della sovrastruttura, «che procede come un episodio storico, la cui fine può essere pensata anche come
molto più lentamente di quello della infrastruttura»5, si è allineato un nuovo inizio. Ma tra questi due momenti, fine ed inizio, non c’è
a quest’ultimo, nuovi differenziali temporali si sono aperti. Questa nessun automatismo o dialettica storica. C’è invece un campo di
configurazione fa sì che il campo dell’arte possa diventare un nuovo possibilità e di intervento politico che può essere orientato in dire-
terreno della lotta di classe. Bisogna però abbandonare lo sguardo zioni diverse e contrapposte. In un breve saggio del 1932, Theater
nostalgico tanto caro alle forze della reazione. Vanno eliminati, scri- und Rundfunk, Benjamin articola l’esigenza di politicizzare la radio
ve Benjamin, «un certo numero di concetti tradizionali – quali i con- attraverso le categorie introdotte dal teatro brechtiano: «al posto
cetti di creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero –, con- della formazione (Bildung) esso [il teatro epico] colloca l’istruzione
cetti la cui applicazione incontrollata (e per il momento difficilmente (Schulung), al posto della distrazione (Zerstreuung) il raggruppa-
controllabile) induce a un’elaborazione in senso fascista del materiale mento (Gruppierung)»8. Con queste sostituzioni Benjamin mostra
concreto»6. Rimpiangere l’individuo classico, che è poi l’individuali- una possibile configurazione nella quale un nuovo tipo di esperienza
tà borghese che sta declinando assieme all’aura, partecipa dei feno- si combina con un nuovo rapporto tra individuo e collettivo, e la li-
meni compensativi presenti in tutte le forme fasciste di esaltazione quidazione della distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettua-
del leader, il cui carisma aumenta proporzionalmente al farsi sempre le può essere riorganizzata in una nuova forma di istruzione9. Oggi,
più piccolo dell’individuo, che proietta nel capo carismatico tutto ciò non solo l’arte, ma anche la conoscenza, il sapere e interi processi
che perde in termini di individualità. cognitivi sono soggetti a quella riproducibilità tecnica che Benjamin
Per Benjamin invece, creatività e genialità possono essere elimi- aveva analizzato nella produzione artistica. Il lavoro intellettuale
nate se solo si riesce a cogliere la possibilità emancipativa racchiusa tende a farsi collettivo, opera di gruppi di ricerca le cui modalità
nell’erosione della distinzione che separava il pubblico dall’autore. di lavoro, già dominanti nelle scienze naturali, si impongono anche
Questa possibilità è offerta dalla riproduzione tecnica dell’opera alle cosiddette scienze dello spirito. Il grande intellettuale umanista
d’arte. Il lettore, l’ascoltatore e il fruitore di opere d’arte «è sempre capace di citare a memoria interi brani di Dante, Goethe e Shake-
pronto a diventare scrittore»7. L’accesso ai mezzi di stampa, macchi- speare, testi che egli esibiva come biglietti da visita nella società delle
ne fotografiche, cineprese e tastiere elettroniche permettono a chiun- lettere, è diventato un bizzarro anacronismo nell’epoca in cui tutte
que di diventare un autore, un regista e un musicista. Certo, devono le opere dei grandi classici della letteratura possono essere tenute in
tasca e consultate all’occasione attraverso uno smartphone. Un tale
sforzo mnemonico si addice di più a un fenomeno da baraccone che
Schmitt, Der Begriff des Politischen. Text von 1932 mit einem Vorwort und drei Corollari- alla levatura dell’intellettuale.
en, Duncker & Humblot, Berlin, 2008 (1963); tr. it. di P. Schiera, Il concetto di «politico»,
in Id., Le categorie del «politico», a cura di G. Miglio – P. Schiera, Il Mulino, Bologna
1984 (1972), pp. 87-165. 8 Id., Theater und Rundfunk. Zur gegenseitigen Kontrolle ihrer Erziehungsarbeit, in
5 Benjamin, Kunstwerk, p. 207; tr. it. cit., pp. 3-4. GS II (1977), 2, pp. 773-775: 775; tr. it. di G. Schiavoni, Teatro e radio. Sul reciproco con-
6 Ivi, p. 207; tr. it. cit., p. 4. trollo della loro azione educativa, in OC V (2003), pp. 198-201: 200 [tr. mod.].
7 Ivi, p. 232; tr. it. cit., p. 24. 9 Id., Kunstwerk, pp. 252-253 e p. 263; tr. it. cit., p. 83 [come Appendici al lavoro].
194 massimiliano tomba benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà 195

Si può fare un parallelo con la prima rivoluzione industriale. Così del cinema»13? Benjamin, naturalmente, non sta da nessuna delle due
come i saperi artigiani furono espropriati e incorporati nelle macchi- parti. Per questo viene facilmente frainteso. Non perché eclettico e in-
ne trasformando il virtuoso in lavoratore salariato, i saperi rimasti classificabile. Ma perché apre strade inusuali sia per la teoria sia per la
fino ad oggi ai margini della produzione capitalista vengono incor- politica. Conformemente a uno stile ricorrente in molti dei suoi scritti,
porati in nuove macchine che calcolano, memorizzano e correggono è attraverso una citazione che Benjamin si fa strada e riposiziona la
errori al posto degli esseri umani. La scomparsa dell’artigiano ha domanda sulla tecnica e l’arte. La quinta versione dell’Opera d’arte (in
lasciato il posto alla creatività organizzata in gruppi di lavoro collet- lavorazione fino al 1939) si apre con un lunga citazione di Paul Valéry.
tivo al servizio della produzione in serie. Analogamente assistiamo Vale la pena riportare il brano per intero.
all’eclissi del grande intellettuale, che resta un’immagine molto eu-
ropea e moderna dell’intellettuale. La comparsa della superstar della Le nostre belle arti sono state istituite – e i loro caratteri e il loro uso isti-
cultura, che assuma spesso i tratti clowneschi delle star del cinema, tuito – in un tempo molto diverso dal nostro, da uomini il cui potere d’azione
sulle cose era insignificante in confronto a quello che possediamo noi. Ma il
non è la prova di una controtendenza, ma esprime piuttosto il sin-
sorprendente sviluppo dei nostri mezzi, la duttilità e la precisione che hanno
tomo di quella crisi ed è una figura della compensazione come lo è il raggiunto, le idee e le abitudini che hanno introdotto ci garantiscono cambia-
leader autoritario in politica. menti imminenti e assai profondi nell’industria del bello. Vi è in tutte le arti
La produzione artistica e culturale tolta dalle mani del genio in- una parte fisica che non può più essere considerata e trattata come si è fatto
dividuale e socializzata può diventare sia un fenomeno dell’istupidi- finora, che non può prescindere dalle realizzazioni della conoscenza e della ca-
mento di massa sia una nuova forma di esperienza e vita socializzata. pacità moderne. Né la materia, né lo spazio, né il tempo sono da vent’anni ciò
che erano sempre stati. Bisogna aspettarsi che novità così grandi trasformino
Adorno puntò l’indice sul primo fenomeno. Benjamin tenne sempre
completamente la tecnica delle arti, agiscano con essa sulla stessa invenzione,
l’occhio sinistro aperto sulla seconda possibilità. Alla progressiva giungano forse a modificare meravigliosamente anche la nozione di arte14.
insignificanza del singolo all’intero di rapporti politici ed economi-
ci che sfuggono totalmente al suo controllo si può rispondere con Valéry combina lo sviluppo tecnico e l’accrescimento del pote-
un’aristocratica difesa del sé; con l’«estetizzazione della politica»10 re sulle cose con la trasformazione della materia, dello spazio e del
delle masse adoranti il grande capo; oppure con la «politicizzazione tempo e, quindi, con una nuova nozione di arte. Ma, si potrebbe
dell’arte»11 che educa a una nuova socialità consapevole. aggiungere, con la trasformazione di spazio, tempo e materia prende
forma una nuova modalità di esperienza e un nuovo soggetto tra-
scendentale. Poche righe dopo il passo citato, Valéry si sofferma sul
1. Tecnica e politica carattere di ubiquità delle nuove opere d’arte: è oggi possibile, scri-
veva Valéry nel 1928, «ascoltare in un punto qualunque del globo,
Come deve essere pensato il rapporto della tecnica con la politica nello stesso istante, un’opera musicale eseguita non importa dove»,
per sfuggire alla doppia trappola del romanticismo e del prometeismo? ed è anche possibile, «in qualsiasi momento, riprodurre a volontà
In altre parole, come si evita l’ode di Marinetti alla bellezza della ve-
locità degli aeroplani la cui elica «sembra applaudire come una folla
entusiasta»12, e il lamento di Heidegger, secondo cui «sotto il dominio
13 Martin Heidegger, Bremer und Freiburger Vorträge (1949), in Id., Gesamtausgabe, III
della tecnica, l’udire e il vedere vengono meno a causa della radio e
sez., vol. 79, a cura di P. Jaeger, V. Klostermann, Frankfurt a. M. 1994 (20052); tr. it. di G.
Gurisatti, Conferenze di Brema e Friburgo, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2002, p. 107.
10 Benjamin, Kunstwerk, p. 250; tr. it. cit., p. 38. 14 Paul Valéry, La conquête de l’ubiquité, in Aa. Vv., De la musique avant tout chose,
11 Ibid. Editions du Tambourinaire, Paris 1928, poi in P. Valéry, Pièces sur l’art, Darantière, Paris
12 Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del futurismo (1909), in http://www.classi- 1931, ora in Id. Œuvres, Gallimard, «nrf», Paris 1960, vol. II, 1284-1288: 1284; tr. it. di
citaliani.it/futurismo/manifesti/marinetti_fondazione.htm. V. Lamarque, Scritti sull’arte, postfaz. di E. Pontiggia, TEA, Milano 1996, p. 107.
196 massimiliano tomba benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà 197

un’opera musicale»15. Con i moderni mezzi tecnici di comunicazione e perfino economici, su cui si può questionare all’infinito, si presenta
i sensi, da individuali, iniziano a farsi collettivi. Ma questo processo come neutrale. Il Novecento è stato il secolo che, nel nome di un
può anche assumere i caratteri distruttivi del fascismo. E per questo illimitato sviluppo tecnologico, ha visto la socialdemocrazia confor-
va politicamente orientato. marsi alle idee della classe dominante e alla sua fede nel progresso18.
In alcuni appunti scritti nel 1940 per sviluppare il progetto sull’O- Il pensiero liberale è appagato dalla pretesa neutralità della tecnica e
pera d’arte, Benjamin discute l’opera di Carl Schmitt su Neutralizza- dai vantaggi della spoliticizzazione perché vede in essi la possibilità
zione e depoliticizzazione. Schmitt scriveva: di superare il conflitto e riunire classi, sessi e confessioni religiose
in una comune fede nel progresso tecnico e nel comfort. Ad esso
Le scoperte del XV e XVI secolo agivano in senso libertario, individualisti- si contrappone il tentativo di riarticolare una politicizzazione degli
co e ribelle; è propria della scoperta dell’arte della stampa la libertà di stampa. ambiti vitali. Storicamente fascismo e comunismo si contendevano
Oggi le scoperte tecniche sono il mezzo per un tremendo dominio delle masse;
quest’ultimo campo.
della radio è proprio il monopolio radiofonico, del film la censura cinemato-
grafica. La decisione circa la libertà e la servitù non si trova nella tecnica in Per Benjamin, che si assume il compito di un intervento politico
quanto tecnica. Essa può essere rivoluzionaria e reazionaria, può servire alla nel campo dell’arte, la questione riguarda la liquidazione dell’indi-
libertà e all’oppressione, alla centralizzazione e alla decentralizzazione. Dai viduo e la modificazione dell’esperienza fin dentro le strutture del
suoi specifici principî e dai suoi punti di vista non deriva né una problematica soggetto trascendentale. Il possibile nesso tra questo processo e il fa-
politica né una risposta politica. scismo, non solo come fenomeno storico, ma come espressione della
società di massa, venne sottolineato da Adorno e Horkheimer negli
E Benjamin prosegue: Elementi dell’antisemitismo di Dialettica dell’illuminismo. Il sog-
getto, dispensato dal lavoro della sintesi trascendentale, percepisce
La questione di Schmitt è quindi: quale politica è abbastanza forte per ser-
esperienze preconfezionate, che Adorno e Horkheimer chiamarono
virsi della tecnica come un mezzo e conferirle un «senso definitivo»? La sua
risposta è: solo quella politica in grado di politicizzare ogni ambito vitale allo ticket: «Nel mondo come produzione in serie la stereotipia come
stesso modo di come essi sono stati neutralizzati dall’economia e dalla tecnica16. schema di questa produzione prende il posto del lavoro categoriale.
Il giudizio non si basa più sull’atto effettivo della sintesi, ma su una
Questa annotazione del 1940 permette di illuminare il finale del sussunzione cieca. […] Chi percepisce non è più presente nel processo
testo sull’Opera d’arte. Per Schmitt la questione riguarda una politica della percezione»19. L’individuo diventa il fascio di stimoli e rispo-
abbastanza forte da impadronirsi della tecnica e ridefinire i «rag- ste studiato dalla psicologia comportamentale, che sorge quando il
gruppamenti amico-nemico che crescono sul nuovo terreno»17. In al- pensiero e le azioni individuali hanno già raggiunto un alto grado di
tre parole, la via indicata dal fascismo è quella della ripoliticizzazione meccanicizzazione. Oppure, si potrebbe anche dire che il comporta-
degli ambiti depoliticizzati dalla pretesa neutralità della tecnica. La mentismo è esso stesso, accanto all’educazione e all’arte moderna,
tecnica, infatti, a differenza dei problemi teologici, metafisici, morali un dispositivo atto a produrre un determinato tipo umano nell’epoca

18 W. Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, in WN 19 (2010), a cura di G. Rau-


15 P. Valéry, Œuvres, II, p. 1285; tr. it. cit., p. 108. let, pp. 75-77; tr. it. di G. Bonola – M. Ranchetti, Sul concetto di storia, in OC VII (2006),
16 Benjamin, Kunstwerk, Manuskripte und Notizen zur Fortsetzung, p. 310; tr. it. cit., pp. 483-493: 488-489. Pochi nella tradizione marxista hanno puntato il dito sul carattere
p. 93 [tr. mod.]. Il brano citato è tratto da Carl Schmitt, Über das Zeitalter der Neutralisie- non neutrale della tecnica e delle macchine. Spesso, come è il caso di Renato Panzieri,
rungen und Entpolitisierungen (1929), in Id., Der Begriff des Politischen, cit., pp. 73-87: hanno pagato a caro prezzo il loro dissenso.
84; tr. it di A. Caracciolo, L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni, in Id., 19 Theodor Wiesengrund Adorno – Max Horkheimer, Dialektik der Aufklärung.

Posizioni e concetti. In lotta contro Weimar-Ginevra-Versailles, Giuffré, Milano 2007, p. Philosophische Fragmente (1947), in T. W. Adorno, Gesammelte Schriften, vol. 3, Suhr-
212. kamp (Taschenbuch Wissenschaft), Frankfurt a. M. 2003; tr. it. di R. Solmi, Dialettica
17 Ivi, p. 86; tr. it. cit., p. 215. dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1966 (ora 1997, con introd. di C. Galli), p. 216.
198 massimiliano tomba benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà 199

della crisi dell’individuo. In questo caso, altre modalità di intervento giare senza essere disturbati dalla musica25. Adorno, d’altro canto,
erano e sono possibili. Per Benjamin la liquidazione dell’individuo, non era affatto convinto della teoria benjaminana della distrazione.
annunciata da Marx nel campo economico quando parlava degli in- Quest’ultima esprimeva secondo Adorno un sintomo della crescente
dividui come di «categorie personificate», si è ora palesata nell’arte. incapacità di concentrazione del pubblico, che non può più soppor-
Non c’è più un soggetto che contemplando l’opera d’arte si abban- tarne alcuna forma e si arrende alla banalità dell’industria culturale.
dona «al flusso delle sue associazioni»20. Piuttosto, il flusso è costru- Le critiche adorniane, con le quali Benjamin non voleva né poteva
ito collettivamente nel montaggio filmico e il soggetto è spossessato polemizzare nel suo scritto, riecheggiano nelle osservazioni di Geor-
della funzione sintetico-trascendentale che gli era propria. Ciò che ges Duhamel sul cinema, definito «un passatempo per iloti, (…) uno
per Adorno e Horkheimer era oggetto di preoccupazione, se non di spettacolo che non esige alcuna concentrazione, che non presuppone
sconforto, è per Benjamin un campo di possibilità. alcuna facoltà di pensare»26. E il commento di Benjamin potrebbe
Il cinema, nel rendere collettiva la visione delle immagini, non è la essere esteso anche a molte delle osservazioni di Adorno: «È eviden-
causa della distruzione dell’esperienza individuale, ma risulta piutto- te che si tratta in fondo della vecchia accusa secondo cui le masse
sto essere la forma adeguata della liquidazione di quel fenomeno sto- cercano soltanto distrazione, mentre l’arte esige dall’osservatore il
rico che è l’individuo borghese. Il cinema produce infatti una «rice- raccoglimento»27. Una ulteriore osservazione di Duhamel permette
zione collettiva simultanea» che non era possibile alla pittura21; una di mostrare ex negativo la direzione intrapresa da Benjamin. Andan-
modificazione del trascendentale kantiano attraverso l’ampliamento do al cinema, scrive Duhamel, «non sono già più in grado di pensare
dello spazio e la compressione o dilatazione del tempo con il rallenty; quello che voglio pensare. Le immagini mobili si sono sistemate al
l’io penso non è più al centro del processo sintetico: «al posto di uno posto del mio pensiero»28. Duhamel coglie un elemento strutturale
spazio elaborato dalla coscienza dell’uomo interviene uno spazio ela- del cinema, ma per distanziarsene al fine di salvare la capacità indi-
borato inconsciamente»22. Questa elaborazione inconscia è non solo viduale di riflessione autonoma. Benjamin, invece, che non ha alcu-
collettiva e distratta, ma si estende fino a incorporare l’«inconscio na nostalgia per il soggetto della modernità, vede nel decentramento
ottico» della cinepresa23. E poiché questi processi di riconfigurazione della sintesi trascendentale una nuova possibile configurazione del
del collettivo avvengono in buona parte inconsciamente, bisogna fare rapporto tra individuo e collettivo.
attenzione alla ricezione nella distrazione, che per Benjamin costitui-
sce «il sintomo di profondissime modificazioni nell’appercezione»24.
L’architettura ha da sempre fornito l’esempio dell’importanza di 2. La distruzione dell’Aura
un’esperienza distratta. Camminare (guardare) quotidianamente tra
le abitazioni e usarle (toccarle) contribuiscono alla formazione di un La distruzione (Zertrümmerung) dell’aura è il campo di interven-
mondo simbolico comune. L’occhio e il tatto vengono oggi accompa- to di una nuova individuazione29. Ci sono almeno tre aspetti che
gnati dall’ascolto collettivo, dalla musica in sottofondo che si ritrova denotano la frantumazione dell’aura. In primo luogo le opere d’arte
in moltissimi luoghi pubblici come stazioni, aeroporti, negozi e bar. non solo diventano riproducibili, ma sono predisposte alla riprodu-
Certo, si può giungere agli eccessi di magia sonora di cui parlava Paul
Valéry quando osservava che non si può più prendere un caffè o man-
25 P. Valéry, Œuvres, vol. II, cit., p. 1286; tr. it. cit., p. 109.
26 Georges Duhamel, Scènes de la vie future, Mercure de France, Paris 1930, p. 58; cit.
20 Benjamin, Kunstwerk, p. 244; tr. it. cit., p. 32. in Benjamin, Kunstwerk, p. 245; tr. it. cit., pp. 33-34.
21 Ivi, p. 237; tr. it. cit., p. 27. 27 Ivi, p. 245; tr. it. cit., p. 34.
22 Ivi, p. 240; tr. it. cit., p. 30. 28 G. Duhamel, Scènes de la vie future, cit., p. 52; cit. in Benjamin, Kunstwerk, p. 244;
23 Ivi, p. 241; tr. it. cit., p. 31. tr. it. cit., p. 33.
24 Ivi, p. 247; tr. it. cit., p. 35. 29 Ivi, pp. 215-6; tr. it. cit., pp. 10-11.
200 massimiliano tomba benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà 201

cibilità e prodotte per essere riprodotte. Come è avvenuto con la pro- e della pubblicità31. Ribelle, piuttosto, sarebbe mettere in discussione
duzione in serie delle merci, che ha modificato il loro valore d’uso e i rapporti di proprietà in generale e quelli che sovraintendono anche
i corrispondenti bisogni umani, similmente il prodotto artistico ha questo ramo della produzione, in particolare. L’arte, che potrebbe
cambiato sia la propria natura sia quelle dell’esperienza ad essa cor- sbocciare a nuova vita dopo la fine dell’aura, resta bloccata all’inter-
rispondente. Ne sono un esempio i ready-made di Duchamp. Con no dei rapporti di proprietà esistenti ed è per questo che la riflessione
l’aura cade anche il valore cultuale legato all’ambito del rituale nel sull’arte è al tempo stesso una riflessione politica.
quale l’opera d’arte era precedentemente esperita in un rapporto ver- Il fascismo reagisce alla crisi dell’aura quando supplisce alla perdita
ticale tra artista e fruitore. Ora, e questo è il secondo aspetto, le opere della dimensione cultuale con i rituali di piazza, il culto del leader e
d’arte sono non solo riproducibili, ma anche collettive. Non sono nuove gerarchie. Così come il fascismo compensa con il capo cari-
il prodotto di un individuo ma, si pensi al cinema, di un collettivo smatico la perdita di significato dell’individuo moderno nella crisi
organizzato come industria dove l’attore è trattato alla stregua di un della democrazia borghese, similmente il capitale cinematografico
attrezzo. I titoli di coda di un film danno in sostanza l’organigramma cerca di conservare nel culto del divo la «magia della personalità che
della fabbrica che lo ha prodotto. Il cinema, come anche la radio, da tempo è ridotta alla magia fasulla del suo carattere di merce»32. I
rende collettiva anche la visione e l’ascolto. Il cinema riunisce in una mezzi per promuovere il divo e il dittatore sono, comunicativamente,
sala un collettivo che fa esperienza della stessa opera, e, alterando gli stessi: l’estetizzazione della politica. Per questo le due figure ten-
le forme pure kantiane di spazio e tempo, rende possibile la stessa dono ormai sempre di più a confondersi.
esperienza simultaneamente in luoghi diversi del mondo e nei tempi Questo incantesimo può essere spezzato se si rompe con ciascu-
diversi delle proiezioni. no dei tre tipi di compensazione: quella fascista del culto del capo,
Infine, ed è questo il terzo aspetto della distruzione dell’aura, quella hollywoodiana del divo, quella romantica e postmoderna-
viene erosa la distinzione tra autore e pubblico. «Il lettore è sem- finanziaria dell’aura del valore di scambio. Il compito è difficile. E
pre pronto a diventare autore» e ogni individuo «può avanzare la sarebbe semplice affermare che anche Benjamin ha fallito, mentre il
pretesa di venire filmato» e di filmare30. In altre parole la gerarchia pessimismo di Adorno ha avuto ragione. Se non fosse che la questio-
tradizionale tra artista e fruitore è minata alle fondamenta e viene ne aperta allora non è ancora risolta. La strada imboccata da Benja-
tenuta in vita attraverso artifici di mercato che innalzano il valore min consisteva nel portare la crisi fin dentro le strutture più profonde
di scambio di una qualche opera compensando la perdita dell’aura dell’individuo e della sua capacità di percezione. Questa strada aveva
con l’aura del denaro. Le tele bianche di Robert Ryman possono es- un nome: «politicizzazione dell’arte»33. Un’arte collettiva per un col-
sere «fatte» da chiunque ed è questo il contenuto artistico di quelle lettivo consapevole. L’artista mette qui in discussione la sua funzione
opere, non certo il fatto che Ryman le ha fatte per primo. Questo è «all’interno dei rapporti di produzione di un’epoca»34. E, quindi, dei
solo un escamotage per conferire all’opera la parvenza di un’aura rapporti di proprietà.
che ne giustifichi il valore di scambio. Un’arte realmente adeguata Il differenziale temporale aperto dall’arte riproducibile tecnica-
alla fine dell’aura sarebbe quella che rinuncia ad apporre la targhetta mente permette di mostrare una particolare tensione tra struttura e
col nome dell’autore e, quindi, a rivendicare una qualche proprietà
sull’oggetto. Ma i galleristi sono là a difendere il mercato e ciò che 31 Daniele Balicco, Nietzsche a Wall Street, in «Le parole e le cose», 2014 (http://www.

espongono, in ultima istanza, sono targhe col nome. L’arte contem- leparoleelecose.it/?p=4680), ora in Id., Nietzsche a Wall Street. Teoria, letteratura e capita-
lismo, Quodlibet, Macerata 2016.
poranea finge di essere ribelle per sopravvivere a se stessa, ma resta 32 Benjamin, Kunstwerk, p. 231; tr. it. cit., p. 22. Su Starkultus e fascismo cfr. le Aus-
in realtà completamente assimilata e riproduce le regole del mercato gewechselte Seiten der Dritten Fassung, ivi, p. 145.
33 Ivi, p. 250; tr. it. cit., p. 38.
34 Id., Der Autor als Produzent, in GS II, 2, pp. 683-701: 686; tr. it. di A. Marietti
30 Benjamin, Kunstwerk, p. 232; tr. it. cit., pp. 23, 24. Solmi, in OC VI (2004), pp. 43-58: 45.
202 massimiliano tomba benjamin: l’aura oltre i tradizionali rapporti di proprietà 203

sovrastruttura. Una tensione, va anche detto, che ridefinisce gli stessi La tecnica ha cambiato il rapporto con la materia, ma questa
termini marxiani di struttura e sovrastruttura. L’erosione della di- trasformazione, a cui si accompagna una «percezione sensoriale
stanza gerarchica tra autore e fruitore mostra l’obsolescenza delle modificata»38, resta bloccata all’interno dei rapporti di proprietà tra-
attuali strutture gerarchiche in un punto almeno dei rapporti umani. dizionali. Anche il cambiamento antropologico che Benjamin ravvi-
A questo genere di obsolescenza corrisponde, in un’altra sfera, quella sava nella modificazione della percezione resta bloccato a metà stra-
dei rapporti di proprietà, che invece il fascismo difende. «Compa- da se non è integrato dalla modificazione dei rapporti di proprietà.
gni, parliamo dei rapporti di proprietà» aveva detto Bertolt Brecht Questa, che come mostrò Hegel diventa mediatore universale delle
nell’intervento parigino al I Congresso internazionale degli scrittori relazioni tra soggetti giuridici, è l’espressione del soggetto moderno
per la difesa della cultura del 1935. «Le masse hanno diritto a un in quanto volontà libera infinita39. Questa volontà infinita si erge a
cambiamento dei rapporti di proprietà», gli fa eco Benjamin nello padrone assoluto della natura imprimendovi il marchio della propria
scritto sull’Opera d’arte35. Infatti le potenzialità liberatrici mostrate volontà. La materia è non più un ostacolo per il soggetto, ma al
da Benjamin nell’erosione dell’aura possono dispiegarsi solo all’in- contrario un potenziamento della sua volontà. Su di essa il soggetto
terno di rapporti di proprietà modificati. Anzi, quelle potenzialità ha non solo lo ius utendi, ma, modernamente, anche lo ius abutendi.
premono verso un esito della modernità diverso da quello tracciato Quest’ultimo lato, che è poi quello distruttivo, ha preso il sopravven-
dall’individualismo proprietario. Ma fino a quando quelle poten- to e l’umanità assiste, come fosse uno spettacolo, all’annientamento
zialità restano soffocate all’interno dei tradizionali rapporti di pro- della natura e al proprio. Questa distruzione è, in fondo, un altro
prietà, la diagnosi pessimista di Adorno rischia di risultare corretta. mezzo per esperire la distruzione dell’aura.
Non solo: «se l’utilizzo naturale delle forze produttive viene frenato L’alternativa va ricercata per tentativi. Nel Passagen-Werk Benja-
dall’ordinamento attuale dei rapporti di proprietà, l’espansione dei min ricopia un lungo passo dai Manoscritti marxiani del 1844 anno-
mezzi tecnici, dei ritmi di lavoro, delle fonti di energia spinge verso tandolo con la seguente definizione: «dottrina delle rivoluzioni come
un utilizzo innaturale»36. Questo esito è la guerra, cioè la possibilità innervazioni del collettivo». Il passo marxiano mette in relazione
di politicizzare anche la tecnica, al fine di riplasmare i raggruppa- proprietà e sensi umani: «La soppressione della proprietà privata è…
menti schmittiani di «amico e nemico». Le potenzialità della tecnica, la completa emancipazione di tutti i sensi umani…; ma è un’emanci-
che ha reso riproducibile l’arte ed eroso il concetto di aura, possono pazione siffatta… perché i sensi e lo spirito degli altri uomini sono di-
essere impiegate per la fabbricazione del culto del grande capo. Gli ventati la mia propria appropriazione. Oltre questi organi immediati
aeroplani, che potrebbero essere utilizzati per spargere sementi, ven- si formano quindi organi sociali…»40. I sensi possono svilupparsi
gono usati per «seminare le bombe sopra le città»37. L’utilizzo dei come organi sociali se il carattere antagonistico delle relazioni tra in-
computer, che potrebbe liberare un’immensa quantità di tempo di dividui proprietari viene superato e la natura cessa di essere materia
lavoro, viene invece dirottato verso il controllo totale della vita dei che «esiste gratuitamente» ed è là per essere sfruttata, così come la
singoli e la saturazione del loro tempo in tempo di lavoro. Proprio
quando il lavoro potrebbe essere enormemente alleggerito dall’uso
dei computer portatili, esso diviene invece una dimensione totalitaria 38 Ibid.
e ansiogena che occupa l’intera giornata dei lavoratori, i quali ricevo- 39 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts. Natur-
no e-mail, messaggi e telefonate connesse al lavoro in ogni momento recht und Staatswissenschaft im Grundrisse (1821), in Id., Werke, Redaktion E. Molden-
hauer – K. M. Michel, vol. 7, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1986 (1970), §§ 41-71, pp.
del giorno.
102-155; tr. it. di G. Marini, Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza
dello stato in compendio, con le aggiunte di Eduard Gans, a cura di G. Marini, Laterza,
35 Benjamin, Kunstwerk, p. 248; tr. it. cit., p. 36. Roma-Bari 2010 (19992), pp. 51-72.
36 Ivi, p. 249; tr. it. cit., p. 37. 40 W. Benjamin, Das Passagen-Werk, X Ia, 2, in GS V, 2, p. 801; tr. it. cit., p. 724. Si
37 Ivi, p. 250; tr. it. cit., p. 38. veda anche Id., Kunstwerk, p. 148.
204 massimiliano tomba

intendevano i liberali, socialdemocratici e fascisti41. Marx, nelle stes- Walter Benjamin e il potenziale politico delle immagini
se pagine citate da Benjamin, aggiungeva: «Infatti non solo i cinque
Elena Tavani
sensi, ma anche i cosiddetti sensi spirituali, i sensi pratici (il vole-
re, l’amore, ecc.), in una parola il senso umano, l’umanità dei sensi,
si formano soltanto attraverso l’esistenza dell’oggetto loro proprio,
attraverso la natura umanizzata»42. L’arte, dopo l’aura, ha il com-
pito di esprimere questa «natura umanizzata». La materia non più
come ostacolo, ma nemmeno come romantica natura incontaminata.
Piuttosto una materia e una natura innervata di relazioni qualitative,
come quelle che Goethe cercò di esplorare nella sua Teoria dei colori
Il mio punto di partenza per una rilettura del saggio su L’opera
inserendosi e rivitalizzando in tal modo una tradizione della moder-
d’arte è la seguente domanda: come si ribadisce o si modifica, nel
nità alternativa a quella riduzionista e quantitativa tracciata da De-
passaggio dall’immagine prodotta dialetticamente all’immagine ri-
scartes e Newton. Ma l’accesso a questa «natura umanizzata» non
prodotta tecnicamente – quindi nel passaggio dall’immagine dialetti-
si ottiene a basso prezzo. Non è una cosmologia new age in vendita
ca all’immagine tecno-artistica – quel bisogno di trovare una «prova
nel mercato delle fedi. Essa richiede differenti rapporti di proprietà.
della verità dell’agire presente»1 che è sotteso, come suo movente
storico-politico, all’intero percorso filosofico intrapreso da Walter
Benjamin? Nel tentativo di avvicinarmi a una risposta proverò a fare
interagire, per così dire, la costituzione dell’«immagine dialettica»
e quella dell’immagine riproducibile tecnicamente nelle interferen-
ze teoriche ed estetiche a cui danno luogo all’interno della dottrina
dell’immagine di Benjamin, sintetizzabile in due movenze principali:
il potere di presenza e di presentificazione e il potere di ripetizione e
riproduzione tecnica dell’immagine.

L’agency dell’ambiguità

Nel saggio Per un ritratto di Proust Benjamin mette già a dispo-


sizione gli ingredienti principali di una teoria dell’immagine intesa
fondamentalmente come strumento epistemico di conoscenza sto-
rica e di comprensione storico-sociale (e politica). Qui assistiamo,
come più tardi avverrà per l’immagine dialettica descritta nel Pas-
sagen-Werk, alla convergenza nell’immagine di due concetti ten-
denzialmente antitetici, in questo caso tratti da Proust. Il primo è il
41 W. Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, WN 19, pp. 75-77; tr. it. cit., pp. 488- concetto di «tessitura del ricordo». Il secondo concetto è quello di
489.
42 Benjamin si serve di Karl Marx, Der historische Materialismus. Die Frühschriften,

a cura di S. Landshut – J. P. Mayer, Kröner, Leipzig 1932; tr. it. di N. Bobbio, Manoscritti 1 Cfr. Walter Benjamin, Das Passagen-Werk, O° 5, in GS V (1982), 2, p. 1027; tr. it. a

economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 2004 (1968), p. 114. cura di E. Ganni, I «passages» di Parigi, in OC IX (2000), p. 937.
206 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 207

«eternità». Al primo concetto è affidato il compito di costruire lo movimento o rimando. L’arresto infatti non è altro che una distru-
spazio dell’immagine. E cioè la zona in cui possano confluire tutti zione. Distruzione della continuità3 e insorgenza della frattura, del
i frammenti di pensieri, le immagini e le sensazioni che affollano la taglio, della cesura: legge di un dispositivo immaginale che intende
memoria involontaria, così da configurare una «soglia» in cui il ri- esplicitamente somigliare a una tecnica rivoluzionaria. Così che ogni
cordo involontario e le sparse riflessioni riprendono vita attraverso la fermento storico-politico che movimenta un nome o un’immagine
loro ricaduta materiale nel tessuto del testo. Grazie invece al secondo («merce», passage) non ha altro scopo, in questo contesto, che quello
concetto proustiano estrapolato da Benjamin, quello di «eternità», si di dar luogo al dispositivo rivoluzionario dell’interruzione4.
profila quel tempo che può essere tempo dell’immagine, come attimo Ma questo non basta per giungere a definire «dialettica» l’im-
sospeso di concentrazione e combustione del tempo corrente, di in- magine. Soprattutto se, come è il caso di Benjamin, non solo non
terruzione del corso del tempo. L’immagine che ne scaturisce non fa si intende considerarla come se fosse la risultante di un metodo di
che registrare ed esibire il fatto che spazio e tempo sono giunti a un pensiero, ma nemmeno si ritiene che la sua sostanza temporale possa
«punto di indifferenza» propizio a configurare l’immagine come un essere intesa come se fosse l’emanazione di un pensiero storico. Que-
campo di forze e cioè come lo spazio-tempo di una manifestazione di sto sarebbe precisamente l’errore e il limite che Benjamin riscontra
verità2. Propizio, possiamo aggiungere, a ogni immagine che voglia nella dialettica della storia hegeliana5. La dialettica dell’immagine
diventare «dialettica», secondo le successive indicazioni di Benjamin. nasce piuttosto come un’oscillazione sospesa tra dimensioni diverse
È tuttavia nel Passagen-Werk che Benjamin affida in modo esplici- e tendenzialmente in opposizione, dunque tali da configurare una
to a ciò che chiama «immagine dialettica» la capacità di istituire un polarità: passato e presente, sogno e risveglio, parola e immagine6.
modo politico e non storiografico di rapportarsi alla storia e all’og- Ed ecco che l’ambiguità entra in scena e viene eletta a legge di una
getto nella sua storicità. Le categorie politiche messe in gioco – in dialettica che, più che mostrare, cela le polarità che la costituiscono.
alternativa a un’indagine storiografica che Benjamin vede soggetta Il suo è un movimento di ripresa e di ripetizione che si dissimula e
all’ideologia del progresso – riguardano sia il movente, e cioè l’in- così si carica di tensione. Se «l’arte moderna cita continuamente la
teresse che orienta nella direzione di un certo oggetto storico, sia il preistoria» come secondo Benjamin avviene a proposito della Parigi
modo di essere «discontinuo, intermittente» della situazione storica sotterranea e sottomarina di Baudelaire, ciò accade «attraverso l’am-
che tale oggetto veicola e che può acquisire una «superiore attualità» biguità che è propria dei rapporti e dei prodotti sociali dell’epoca.
attraverso l’adeguato riconoscimento reso possibile dalla sua collo- Ambiguità è l’apparizione immaginale della dialettica, la legge della
cazione e «presentificazione» nell’immagine dialettica. La politicità, dialettica in stato di quiete»7.
dunque, si aggancia al fattore discontinuo, alla capacità di cesura e
di frattura del continuum storico: sarà questo il punto di forza anche 3 Cfr. Id., Das Passagen-Werk, N 7, 6, GS V, 1, p. 587; tr. it. cit., p. 527.
del carattere potenzialmente politico delle tecno-arti, fotografia e ci- 4 Id., Über den Begriff der Geschichte, Tesi XV, in WN 19 (2010), a cura di G. Raulet, pp. 69-

nema, ma anche, in parallelo, del teatro epico e «gestuale» di Brecht. 81: 79; tr. it. di G. Bonola - M. Ranchetti, Sul concetto di storia, in OC VII (2006), pp. 483-93: 491.
5 Id., Das Passagen-Werk, Q°, 21, GS V, 2, pp. 1037-1038; tr. it. cit., p. 951.
La struttura dell’immagine dialettica, presentata come una «Dia- 6 Per i principali significati di immagine dialettica in Benjamin si veda Hermann
lektik im Stillstand», viene approntata da Benjamin proprio al fine Schweppenhäuser, Dialektischer Bildbegriff und «dialektisches Bild» in der kritischen The-
di esibire una tale cesura o interruzione necessaria: questa diversa orie, in «Zeitschrift für kritische Theorie», Heft 16 (2003), poi in Id., Denkende Anschau-
modalità della lettura della storia non potrebbe risultare efficace se ung – anschauendes Denken, LIT Verlag, Berlin 2009, pp. 57-98: 85-86; tr. it. parziale: Il
concetto dialettico di immagine nella teoria critica, in Elio Matassi, Elena Tavani (a cura
non venisse di fatto affidata all’arresto in un’immagine di qualunque
di), Theodor W. Adorno (1903-2003). L’estetica. L’etica, volume monografico di «Cultura
tedesca», 26 (2004), pp. 123-140.
2 Cfr. W. Benjamin, Zum Bilde Prousts, in GS II (1977), 1, pp. 310-324: 311, 319-320; 7 W. Benjamin, Paris, die Hauptstadt des XIX. Jahrhunderts, in GS V, 1, pp. 42-59:

tr. it. a cura di A. Marietti, Per un ritratto di Proust, in OC III (2010), pp. 285-297: 286, 55; tr. it. di R. Solmi, Parigi. La capitale del XIX secolo, in OC IX, pp. 5-18: 14 [tr. mod.].
293. Sull’ampia discussione epistolare che ha avuto luogo tra Benjamin e Adorno in merito al
208 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 209

L’immagine senza aura (prima intersezione) Tuttavia – e siamo a una prima intersezione tra le due immagini
– è opportuno notare che non solo l’immagine riproducibile tecnica-
Come si pone l’immagine riprodotta tecnicamente rispetto all’im- mente, ma anche l’immagine dialettica pone in atto un procedimento
magine dialettica? Quale struttura presenta e quali sono o sarebbero di recesso, di fuga dall’aura. In particolare, per l’immagine dialettica
i suoi «contenuti di esperienza»? si tratta di sfuggire alla tirannide del tempo racchiuso nel passato
Il principale contenuto d’esperienza della prima sembra avere un come in uno scrigno, del tempo che chiede di essere riconosciuto nel-
più chiaro carattere politico: la vicinanza e strutturale avvicinabilità la sua lontananza e autorità, la tirannide di un passato che proprio
dell’immagine riprodotta smentisce il culto dell’immagine come di in virtù di questa irraggiungibilità e sacralità pretende di proiettarsi
ogni potere (divino, politico, economico), ritenuto inavvicinabile e sul presente, invece di diventare presente a un superiore livello, come
dunque inafferrabile per i comuni mortali e cioè per le masse8. viene qui richiesto.
Possiamo dire che l’essere senza aura rappresenta la dotazione In questo senso la Jetztzeit o attualità dell’immagine dialettica
potenzialmente politica delle immagini riproducibili tecnicamente. benjaminiana come tempo della costruzione di una presenza com-
Certo è del tutto evidente, e Benjamin non manca di sottolinearlo, batte sul piano dell’esperienza e della scrittura della storia la stessa
che tale potenzialità possiede un senso ambivalente. L’ambivalenza battaglia che le immagini non auratiche combattono sul piano dell’e-
riguarda la possibilità di un loro utilizzo in senso fascista, tale cioè da sperienza estetica e della produzione culturale contro un’attitudine di
tenere le masse prigioniere dell’aura (il culto del duce), nonostante la tipo contemplativo che mantiene le distanze dall’oggetto. Ed è anzi
loro presenza nei media tecnologici, oppure in senso socialista, sotto solo grazie alle immagini tecnologiche (e grazie al saggio di Benjamin
il segno dell’uguaglianza e dell’autogoverno9. sull’Opera) che si esplicita con chiarezza come la tirannide di una
L’ambiguità si può qui tuttavia sciogliere a favore della seconda conoscenza storica improntata alla storiografia tradizionale consista
ipotesi – questo l’implicito suggerimento di Benjamin – e cioè di una nella tirannide del tempo dell’hic et nunc imprigionato all’interno
possibile politicità (socialista) dell’arte tecnologica, anche in base alla dell’opera auratica, non diversamente dal tempo dell’accadimento
semplice considerazione che il «senza aura» dell’immagine riprodot- storico, sigillato nel passato.
ta con mezzi tecnici comporta un sottrarsi all’unicità (del «qui e ora» Con queste premesse l’unico vero rito di passaggio di cui si fa
o del duce), a favore della molteplicità. Nega l’autorità dell’uno e si carico l’immagine dialettica è quello di una conoscenza storica che
spende a favore dei molti10. Non casualmente del resto la rivoluzione transita dall’ora all’ora, cioè che non ammette altro che «attualità»,
tecnologica della fotografia viene messa in parallelo con la nascita disconoscendo ogni peso alla tradizione e al continuum della storia.
del socialismo11, ed è con un linguaggio politicamente orientato che L’immagine diventa luogo ospitale di questa interruzione, spazio-
Benjamin parla di una «emancipazione» dell’arte dall’ambito del ri- tempo dove il fare un’esperienza della verità storica significa attivare
tuale, grazie appunto alla riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, una strana dialettica temporale – decisamente eterodossa e impensa-
che la arruola nelle fila della prassi politica12. bile all’interno di un decorso storico. Mentre in tale decorso, infatti,
passato e presente sono destinati a non incontrarsi mai, trovando-
concetto di dialettica rimando a Fabrizio Desideri, Tendere l’arco dell’immagine. Dialekti- si lungo una linea di successione che assegna loro un posto diverso
sches Bild e Fiat Iustitia, in Daniele Guastini et al. (a cura di), Alla fine delle cose, prefazio- corrispondente alla distanza che separa l’evento trascorso dall’oggi,
ne di P. Montani, Usher, Firenze 2011, pp. 101-108: 107. l’immagine dialettica fa interloquire passato e presente in regime di
8 Cfr. Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, § IV, nota 1, pp. 216-217; tr. Filippini-
vicinanza e l’unico movimento che ammette sarebbe il rovesciarsi gli
Valagussa, Opera d’arte, nota 26, p. 44.
9 Cfr. ivi, Nachwort, pp. 247-250; tr. it. cit., pp. 36-38. uni sugli altri di tempi-ora preventivamente isolati e resi liberi di en-
10 Cfr. ivi, § II, pp. 211-214; tr. it. cit., pp. 6-9. trare in attrito. Viceversa, se lo Jetzt fosse inteso come attimo irripe-
11 Cfr. ivi, § IV, pp. 216-219; tr. it. cit., pp. 11-13.
12 Ivi, pp. 218-219; tr. it. cit., pp. 12-13.
tibile incastonato nel corso del tempo, si troverebbe nella condizione
210 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 211

pseudo-auratica di qualcosa di unico che però, nella sua lontananza, ce ripetizione della storia15. Di contro, è proprio l’immobilizzazione
rivela anche la sua impotenza a valere produttivamente per le do- del passaggio che rende discontinua, «a salti», la dialettica di que-
mande che l’oggi rivolge a quanto è accaduto in passato. sta immagine16, e rende possibile una ripetizione dell’ora del passato
All’esposizione dialettica qui non si chiede dunque altro che far come citazione capace, con la sua semplice comparsa, di farsi indice
apparire il movimento dall’«ora» all’«ora» come un «differenziale della crisi o delle necessità dell’oggi.
temporale» che porta il fatto storico a urtare con il presente, a desta- Una replica rivoluzionaria e portatrice di genuina conoscenza sto-
bilizzarlo e distoglierlo da ogni assicurazione al filo della continuità rica si contrappone dunque a una ripetizione acritica e omogeneiz-
temporale13. È in questo urto, nella esibizione di una situazione di zante. Si tratta di una distinzione che nel caso di Benjamin trova un
crisi, nella costruzione di una «costellazione di pericoli»14, che, a ben suggerimento decisivo nella teologia e nel «rimando» del passato alla
guardare, arriva a prodursi qualcosa come una «superiore attualità» redenzione17. Il passato rimandato alla redenzione è infatti soggetto
del passato. Dove la superiorità non è un derivato residuale dell’au- a un’inversione di tendenza rispetto al destino di sparizione, di anni-
torità di ciò che è stato, ma consiste nella capacità di un determinato chilimento e di impotenza che nega a ciò che è stato ogni possibilità
evento trascorso di farsi materia storica per il presente e in questo di revoca o di ritorno: l’inversione coincide con la possibilità di ri-
senso di amplificare, espandere l’ora che ne ha fatto un evento stori- presentarsi come (superiore) attualità.
co, e in tale espansione rispondere a richieste specifiche mosse dalla Quella di Benjamin si profila dunque come una dialettica del cor-
situazione (rischiosa, pericolosa) del presente. tocircuito storico, un dispositivo di matrice più surrealista che hege-
È piuttosto evidente che qui non si tratta semplicemente di un liana, il cui portato storico e politico non può evidentemente esaurir-
tornare attuale o della replica di un avvenimento, incurante delle si sul piano del rapporto tra immagini e parole.
mutate condizioni storiche. Impensabile, dal punto di vista «mate- Sotto il profilo della conoscenza storica la principale conquista
rialistico» di Benjamin, una ripetizione del fatto storico nel senso messa a disposizione dall’immagine dialettica è di fungere da princi-
di una sua «ricostruzione»; una simile operazione dovrebbe potersi pio espositivo della citabilità dell’oggetto storico, con il vantaggio di
avvalere di quel «tempo omogeneo e vuoto» che è il tipo di tempo- scollegare tale oggetto dalla catena di fatti regolata da un principio
ralità da cui la costruzione dell’oggetto storico prende nettamente le di causalità e un corso del tempo che ora viene arrestato, fermato
distanze. Non a caso Benjamin ricorre all’ossimoro di un movimento proprio all’interno dell’attimo della sua presentificazione18.
che non si muove, e cioè di una Dialektik im Stillstand per rendere In quanto l’immagine dialettica risulta mobilitata al fine di fare
simultanei l’ora di ciò che è stato e l’ora presente, liberandoli dell’in- esplodere l’energia storica contenuta nei cosiddetti fatti storici, e por-
quadramento sequenziale che deriverebbe dal loro rapporto «pu- tarla su un piano di leggibilità e di esibizione, tale immagine viene in
ramente temporale» e legandoli invece in una sorta di temporalità definitiva chiamata da Benjamin a coniugare lo straniamento surre-
inerente alla «presentificazione» del passato. È una temporalità che alista con il metodo di una «presentificazione» di matrice fenome-
consiste nel fermento di una costellazione «carica di tensioni», che nologica, che però deve rinunciare alla componente intenzionale e
di fatto fa implodere l’ora sull’ora e ciò che rivela, la catastrofe del soggettiva.
presente, sarebbe per Benjamin la massima riprova della necessaria L’immagine diventa a tutti gli effetti un dispositivo in grado di
dissoluzione dell’«apparenza del sempre-uguale» riferita alla sempli- sovrapporre l’estrazione dello Jetzt dal passato e il suo accostamen-
to senza mediazioni allo Jetzt del presente con l’allestimento di una
13 Cfr. W. Benjamin, Das Passagen-Werk, N 7 a, 2, GS V, 1, p. 587 e Q°, 21, in GS V,

2, pp. 1037-1038; tr. it. cit., pp. 527 e 951; si veda anche ivi, GS V, 1, pp. 594-595; tr. it. 15 Cfr. Id., Das Passagen-Werk, N 9, 5, GS V, 1, p. 591; tr. it. cit., p. 531.
cit., p. 534. 16 Cfr. ivi, N 2a, 3, p. 577; tr. it. cit., p. 516.
14 Cfr. ivi, N 7, 2, GS V, 1, p. 587; tr. it. cit., p. 526. Di «momento del pericolo» Ben- 17 Id., Über den Begriff der Geschichte, Tesi II, WN 19, pp. 69-70; tr. it. cit., pp. 483-484.

jamin parla anche in Über den Begriff der Geschichte, WN 19, p. 72; tr. it. cit., p. 485. 18 Cfr. gli appunti preparatori delle Tesi, ivi, p. 141; tr. it. cit., p. 498.
212 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 213

scena percettiv0-conoscitiva orientata da qualche urgenza oggettiva dall’immagine dialettica diventa in Benjamin un vero e proprio ritua-
e collettiva. Diventando al tempo stesso un dispositivo del risveglio, le epistemico, praticato in tutti i territori che attraversa.
fuori dalla portata dell’effetto «narcotizzante» della storia pensata Questo movimento doveva fondamentalmente coincidere per
dallo storicismo19. Benjamin con una ripetizione nel senso di una «citazione», convoca-
zione di elementi eterogenei e potenzialmente contraddittori in una
zona immaginale di confronto e di scontro. Scrivendo di storia lo sto-
La citazione e lo scatto (seconda intersezione). rico (materialista e non storicista) porterebbe alla ribalta, citandolo,
un oggetto storico del passato, per farlo risultare esposto nell’imma-
Sulla base di quanto fin qui evidenziato è piuttosto chiaro che le gine dialettica come un ready-made della storia.
«immagini dialettiche» non solo contengono e fanno valere al loro Hannah Arendt ha osservato: Benjamin «divenne un maestro (a
interno varie istanze riconducibili alle immagini prodotte e riprodot- master) quando scoprì che la trasmissibilità del passato era stata sosti-
te tecnicamente, ma rendono operativa come vero e proprio metodo tuita dalla sua citabilità»22. Per Benjamin «il passato parlava di sé an-
epistemico e critico l’istanza principale di cui le immagini tecnolo- cora soltanto attraverso cose che non erano tramandate», essendogli
giche si fanno portatrici, e cioè la legittimazione della ripetizione di diventate perfettamente chiare «l’irreparabile rottura della tradizione
contro all’ideologia dell’hic et nunc e dell’autorità di ciò che è unico. e la perdita di autorità» del tramandato. Di qui l’«ambiguità del gesto
Senza dubbio infatti è proprio in forza di una ripetizione che lo Jetzt in relazione al passato» che Benjamin tanto apprezzava in autori come
del passato può essere estratto dal passato e ripresentato nella sua Kafka e Leskov e che egli stesso praticava come collezionista soprattut-
«superiore attualità» in forma di immagine dialettica, cioè in modo to di citazioni, «coralli e perle» da esibire all’occasione23.
tale da mostrarsi dotato di una inquietudine che lo movimenta al suo Sul fronte operativo che porta alla produzione dell’immagine ri-
interno e lo rende proficuamente ambiguo nel suo presentarsi come producibile tecnicamente, dunque in quanto rientra nel programma
specifico nome-immagine (passage, merce). generale di un avvicinamento del lontano, notiamo che persino lo scat-
«La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo to fotografico, prima di rimandare a riflessioni sul rapporto tra arte e
omogeneo e vuoto, ma quello pieno di “attualità”», leggiamo in una medium o tra autore e produttore, risponde per Benjamin innanzitutto
delle ultime Tesi20. Qui il criterio utilizzato da Benjamin per conce- al bisogno di fissare ciò che scorre, di rendere vicino e stabilmente af-
pire la storia come un tempo «pieno» e fare dell’immagine dialettica ferrabile ciò che si allontana. Fra i tanti gesti tecnici richiesti dai nuovi
lo strumento di questa inedita scrittura di storia, contro l’idea di pro- apparecchi e dalle nuove tecnologie, telefono in testa, il più ricco di
gresso e lo storicismo, si avvale precisamente di una differenziazione conseguenze, afferma Benjamin, è stato lo scatto del fotografo: «ba-
interna al concetto di ripetizione e di riproduzione non dissimile da stava premere un dito per fissare un evento per un periodo illimitato di
quella che nel saggio sull’Opera vede contrapposta la ripetizione e tempo»24. In questo caso si trattava di un’esperienza tattile-aptica, che
riproduzione tradizionale (manuale) di un’opera alla sua riproduzio- però, significativamente, non solo era ripetibile su scala planetaria, se-
ne e riproducibilità tecnica. Anche nel caso della costruzione di un condo «lo spirito della tecnica»25, ma andava anche incontro a quella
oggetto storico si contrappongono successione e simultaneità, con-
tinuum e cesura rivoluzionaria del modo di percepire, giudicare e 22 Hannah Arendt, Introduction, in W. Benjamin, Illuminations, a cura di H. Arendt,

costruire il mondo21. Il movimento o gesto dell’interruzione esibito Fontana, London 1973, p. 43.
23 Cfr. Ead., Walter Benjamin: L’omino gobbo e il pescatore di perle (1968), in Ead., Il fu-

turo alle spalle, tr. it. di L. Ritter Santini, Il Mulino, Bologna 1981, pp. 105-170: 158-160, 164.
19 Cfr. W. Benjamin, Das Passagen-Werk, K1 a, 6, GS V, 1, p. 493; tr. it. cit., p. 435. 24 W. Benjamin, Über einige Motive bei Baudelaire, in GS I (1974), 2, pp. 605-653:
20 Cfr. Id., Über den Begriff der Geschichte, Tesi XIV, WN 19, p. 78; tr. it. cit., p. 490 630; tr. it. di R. Solmi, Su alcuni motivi in Baudelaire, in OC VII, pp. 378-415: 397.
[tr. mod.]. 25 Id., Einbahnstraße, in WN 8 (2009), a cura di D. Schottker, in collaborazione con S.
21 Cfr. Id., Das Passagen-Werk, GS V, 1, p. 586; tr. it. cit., p. 526.
Haug, pp. 11-76: 75-76; tr. it. di B. Cetti Marinoni, Strada a senso unico, in OC II (2001),
pp. 409-463: 462.
214 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 215

esigenza di fermare e rendere accessibile alla presa delle categorie per- cata di stabilire o ristabilire un ordine, non demarca più ma attraversa
cettive ciò che propriamente non si lascerebbe fissare e che su un piano e più che segnare un limite traccia un percorso che allarga il suo raggio
diverso porta alla costruzione di un’immagine dialettica. di azione a territori prima interdetti. Questo movimento o passaggio
Nell’atto di scattare una fotografia l’autore è un produttore, se- doveva poter essere traducibile, per Benjamin, sul piano dei rapporti
condo l’indicazione fornita dallo stesso Benjamin in un altro conte- sociali come sul piano della produzione intellettuale e culturale.
sto26. Lo scatto, fosse pure artistico, ripete e ribadisce l’appartenenza È su questa base, e cioè pensando alla loro espandibilità, che alcuni
del fotografo all’ampia categoria degli utilizzatori di una tecnologia, concetti-immagine che Benjamin estrapola dal contesto generale del-
nella fattispecie della fotografia. Al tempo stesso però, lo abbiamo la modernità, la merce-feticcio, il passage, la stazione, possono a suo
visto, lo scatto è un gesto di cesura, a metà tra l’intenzionale e il mec- avviso dare vita ad altrettante «immagini dialettiche», nel momento
canico. Non più quindi una cesura «nel movimento del pensiero», cioè in cui si dispongono a configurare quella zona o territorio nei
come nella definizione di immagine dialettica, ma cesura all’interno quali possa aver luogo l’esperienza che Benjamin descrive nei termini
di quel complesso di gesti e atti che si innesta e si ibrida con il mezzo di una esperienza di «soglia».
tecnologico. La prassi e il suo modus operandi specificamente tecno- Posta sotto il regime e criterio epistemologico della «presentifi-
logico si sostituiscono al pensiero e al suo modo di operare. cazione» è proprio l’ambiguità di nomi e immagini a predisporre un
Non diversamente dalla riproduzione, tecnicamente assistita, del simile passaggio dimensionale nel senso di una «transizione» non
prodotto tecno-artistico e dal suo ripetibile e ripetuto coinvolgimen- estranea a certi riti di passaggio, in quanto tiene insieme elementi tra
to collettivo del pubblico, con la nota conseguenza della «recezione loro contraddittori29. L’esperienza di soglia farebbe leva soprattutto
collettiva simultanea» del prodotto stesso, anche l’atto di scattare sulla potenza amplificatrice e distorsiva dell’ambiguità, che confe-
una foto o comunque di avviare l’apparecchiatura che sarà delegata a risce al nome o immagine del passato una sorta di agency specifica,
erogare l’immagine, dunque l’atto della produzione, è un gesto iden- una capacità di partecipazione attiva all’operazione di presentifica-
ticamente e meccanicamente ripetibile e citabile. Dove evidentemente zione che ne fa l’oggetto specifico dell’immagine stessa.
una dimensione di produzione collettiva e diffusa, interna a una pra- Altra questione quindi che si pone è se nel passaggio da quella co-
tica chiaramente codificata per via delle caratteristiche tecniche del stellazione che Benjamin chiama «immagine dialettica» all’immagine
mezzo, viene a interessare tutti i suoi possibili utilizzatori27. riproducibile tecnicamente possiamo registrare una persistenza del-
l’«esperienza di soglia». Ed eventualmente di che tipo di persistenza
si tratti.
Espansioni (terza intersezione) Siamo qui in presenza di vari elementi che suggeriscono una se-
conda intersezione tra le due immagini. Un «valore di esposizione»
«Come soglia il confine passa attraverso le strade», leggiamo nel sembra infatti riguardare anche l’immagine dialettica almeno nel
Passagen-Werk28. Che è come dire che la linea di demarcazione, incari- senso che ciò che vi si produce è un potenziamento, un’espansione
dell’attualità dell’oggetto storico, che nella configurazione deve poter
26 W. Benjamin, Der Autor als Produzent, in GS II, 2, pp. 683-701; tr. it. di A. Marietti risultare integrato alla realtà e agli interessi (politici) del presente,
Solmi, L’autore come produttore, in OC VI (2004), pp. 43-58. dunque in grado di fornire un qualche materiale, se non addirittura
27 Il che evidentemente comporta anche una notevole standardizzazione dei gesti o atti
un materiale esplosivo, a sostegno della «verità dell’agire presente».
richiesti. Solo in apparenza questa sarebbe stata più una preoccupazione di Adorno che
Nel Profilo che Adorno ha dedicato a Walter Benjamin sono mes-
non di Benjamin, soprattutto là dove questi denuncia il fatto che anche temi rivoluzionari,
se proposti da «routiniers» della rivoluzione, non fanno che rifornire il sistema dell’intrat- se in evidenza con chiarezza due questioni che toccano il nostro que-
tenimento di nuovi materiali e nuovi effetti, senza trasformare in alcun modo le forme di
produzione culturale (cfr. ivi, pp. 691-693; tr. it. cit., pp. 49-51).
28 Id., Das Passagen-Werk, C 3, 3, GS V, 1, p. 141; tr. it. cit., p. 94. 29 Cfr. ivi, L 2, 6, GS V, 1, pp. 515-516; tr. it. cit., p. 458.
216 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 217

sito. Che cioè il punto centrale della filosofia benjaminiana («l’idea re il lontano. Per l’immagine dialettica, il cui obiettivo è costruire un
della salvezza di ciò che è morto») e l’obiettivo di un totale «abban- oggetto storico, l’annullamento della distanza dal passato deve poter
dono all’oggetto» sono di fatto resi possibili da una micrologia in cui produrre l’urto di un risveglio rispetto all’ipnosi del tempo vuoto e
«la tecnica dell’ingrandimento fa muovere l’irrigidito e fermare ciò continuo: qui si innesta il movente «rivoluzionario» di liberare il pas-
che è mosso»30. Da cui si evince non solo che l’immagine dialettica di sato della sua falsa autorità per conferirgli un ruolo di primo piano
Benjamin è già il risultato di uno sguardo divenuto «fotografico», ma nella possibilità datagli dall’immagine dialettica, di liberare energia
che l’immagine intesa in tal senso è in grado di esercitare un potere storica e politica a contatto con il presente.
dimensionale orientabile sui dati di varia natura (storica, immagina- Si tratta di una prima mossa del programma che secondo Benja-
le, verbale), che entrano nella sua sfera. min può portare proficuamente a liberare la produzione culturale
Proviamo dunque a verificare se sia possibile pensare a un carat- e intellettuale da competenze e settorializzazioni che fanno il gioco
tere di soglia (espansione, mutamento) anche per l’immagine ripro- dell’ordine borghese. Che può condurre cioè a una maggiore e più
ducibile tecnicamente. Credo si possa rispondere di sì, precisando diffusa partecipazione e utilizzo del prodotto, e sul piano della produ-
che in questo caso l’espansione riguarda una dimensione non tanto zione può orientare nella direzione di una «fusione» di diversi mezzi
storica ed epistemologica, come avviene per l’immagine dialettica, di produzione, e di diverse tecniche e dunque a una rimozione della
quanto piuttosto una dimensione direttamente estetico-politica. In «barriera tra scrittura e immagine», per cui si dovrà chiedere alla fo-
altre parole ora l’espansione va verso una riproduzione senza limiti tografia di farsi accompagnare da didascalie, e viceversa agli scrittori
per quanto concerne l’immagine, mentre il mutamento collegabile di «fare fotografie»31, indicazione messa in pratica da Benjamin a
alla nozione di soglia diventa, sul piano della ricezione dell’immagi- partire dal titolo del saggio Il surrealismo. L’ultima istantanea sugli
ne stessa, un allargamento del suo potere di esponibilità, quindi un intellettuali europei32. E sembra proprio che questo tipo di scrittura,
allargamento della sua presenza alla moltitudine di tutti coloro che letteraria, storica o filosofica, in grado di farsi fotografica, di diven-
sono o possono essere raggiunti dall’immagine tecnica. tare un’arte spaziale e non più temporale, trovi il suo caso esemplare
Ma uno spazio di soglia, tale da prevedere uno straripamento e nell’«immagine dialettica». Qui siamo però ancora sul piano di un
un mutamento è anche la sala cinematografica, descritta da Benja- modello utile alla critica (letteraria o d’arte), che può trarre giova-
min come un luogo di trasformazione e di espansione dell’auto-per- mento da una «ambiguità» utile a leggere le opere senza ridurre la
cezione del pubblico, mista a consapevolezza di sé come collettivo. lettura a ripetizione assiomatica dei loro stessi programmi33. Mentre
Nella sala la massa è percorsa da risate, attraversata dalla corrente è indubbio che l’espansione più significativa e più lungimirante sot-
elettrizzante degli choc percettivi che si susseguono nel corso della to il profilo dell’interesse storico-politico è e resta quella collegabile
proiezione del film. L’inerente politicità di questa esperienza consiste- all’allargamento del valore espositivo dell’immagine tecnologica.
rebbe nella possibilità di liberarsi dei confini dell’individualità, fisica Per l’immagine riprodotta tecnicamente infatti il medesimo obietti-
e psichica, un rompere gli argini della singolarità per amplificare la vo di «avvicinamento» è conseguito con altri mezzi, e cioè attraverso
coscienza collettiva.
Abbiamo visto che nel programma complessivo di Benjamin im- 31 Cfr. W. Benjamin, Der Autor als Produzent, GS II, 2, pp. 692-694; tr. it. cit., pp. 50-52.
magine dialettica e immagine riproducibile tecnicamente si alleano 32 Cfr. Id., Der Sürrealismus. Die letzte Momentaufnahme der europäischen Intelligenz,

nel perseguire, con diverse strategie, l’intento, variamente articolato in GS II, 1, pp. 295-310; tr. it. di A. Marietti Solmi, Il Surrealismo. L’ultima istantanea
sugli intellettuali europei, in OC III, pp. 201-214.
ma dominato da un persistente interesse storico-politico, di avvicina- 33 Riprendo l’espressione da Didi-Huberman. Alle sue osservazioni del tutto condi-

visibili, ma tutte interne al piano della critica (letteraria, artistica), credo sia opportuno
30 Theodor Wiesengrund Adorno, Profilo di Walter Benjamin (1955), in Id., Prismi. Saggi affiancarne altre, più vicine alle preoccupazioni storico politiche di Benjamin. Cfr. Georges
sulla critica della cultura, Einaudi, Torino 1972, pp. 233-247: 246-247; la definizione che dà Didi-Huberman, Supposition de l’aura. Du maintenant, de l’Autrefois et de la Modernité,
delle immagini dialettiche è «cristallizzazioni obiettive del movimento storico» (ivi, p. 243). in «Les Cahiers du Musée national d’art moderne», n. 64, Eté 1998, pp. 95-115: 100.
218 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 219

quella che potremmo chiamare, forzando un po’ la mano a Benjamin, Immediatezze


la tecnicizzazione di tutti quei «rapporti di vita» che egli aveva ritenu-
to unificabili, forse sotto l’influenza del teatro epico di Brecht, sotto il A questo punto è possibile fare un bilancio, per quanto provvi-
segno di una «letterarizzazione» in grado di sancire la collaborazione sorio, rispetto alla domanda da cui siamo partiti, che si chiedeva
con la parola di tutte le arti in quanto sensibili al politico34. L’espandi- in sostanza quali e quanti fili connettessero in Benjamin l’immagine
bilità dell’immagine tecnicizzata rende qualitativa una riproducibilità prodotta e cioè costruita dialetticamente all’immagine tecno-artisti-
meccanica che potrebbe apparire solo quantitativa: produce cioè in ca, cioè all’immagine prodotta e riprodotta tecnicamente. Per riassu-
breve tempo una trasformazione dei rapporti di vita all’interno delle mere, possiamo osservare che si sono profilate soprattutto due linee.
masse che da quelle immagini vengono investite e chiamate in causa Una prima linea vede convergere immagine dialettica e immagine
come produttori e ricettori distratti di prodotti e immagini. Per Benja- tecno-artistica nel farsi entrambe portatrici di un effetto di cesura e
min la massa è pronta nel suo insieme e in modo sostanzialmente indif- di choc capace di dischiudere un inedito spazio immaginale e per-
ferenziato ad accogliere l’opera tecnologica «nel suo grembo»35. cettivo. Nel linguaggio di Benjamin, choc significa interruzione-e-
Questa capacità di inglobare e assimilare l’opera tecnologica da risveglio e il risveglio è predisposto ad assumere un risvolto politico
parte delle masse è una circostanza che, al pari della distrazione che di tipo «rivoluzionario» per l’effetto di frattura che produce. A vari
caratterizza la sua ricezione, è riprova di una certa fiducia nella situa- livelli, è la politica che deve poter conseguire, tramite queste cesure,
zione percettiva condivisa e al tempo stesso di una certa confidenza il suo primato sulla storia40. Il suo punto di partenza è il risveglio
con il mezzo tecnologico, con la possibilità di acquisire una compe- della coscienza storica dovuto al capovolgimento della visione della
tenza sufficiente a passare disinvoltamente dal ruolo di pubblico a storia, per cui è il passato a ricadere sul presente e non più il presente
quello di produttore-autore36. Per Benjamin, un’esplicita e promet- a tentare di avvicinare un passato irraggiungibile.
tente inversione di tendenza rispetto alla crescente «proletarizzazio- Una seconda linea, meno appariscente ma non meno rilevante,
ne» dell’umanità37. Di contro allo spossessamento e all’esclusione, le che lega le due immagini, è l’effetto espansivo. Sul versante dell’im-
masse avanzano richieste perentorie e si fanno matrici di attitudini magine riprodotta e riproducibile tecnicamente essa comporta però
percettivo-sociali nei confronti dell’arte e del mondo, spostando l’ac- una dislocazione dell’espansione caratteristica dell’esperienza di so-
cento dalla dimensione individuale a quella collettiva dell’esperien- glia, dal piano di uno spazio-tempo costruito (proprio dell’immagine
za38. Benjamin non manca di evidenziare come i metodi di riprodu- dialettica come oggetto storico) al piano della diffusione e dell’al-
zione tecnica costituiscano «una tecnica della riduzione» che rende largamento della sfera di influenza dell’immagine. Dove il potenzia-
ogni oggetto o immagine più vicino, accessibile, dominabile39. mento è ora del tutto rivolto all’esterno e finisce per coincidere con
un valore espositivo reso «assoluto» dalla riproducibilità tecnica
34 W. Benjamin, Der Autor als Produzent, GS II, 2, p. 694; tr. it. cit., p. 52; l’espressione «let- dell’immagine.
terarizzazione» è presente anche in Id., Kleine Geschichte der Photographie, in GS II, 1, pp. 368- Il riscontro di alcuni tratti caratteristici come l’isolamento, l’in-
385: 385; tr. it. di E. Filippini, Piccola storia della fotografia, OC IV (2002), pp. 476-491: 491.
35 Id., Kunstwerk, Fünfte Fassung, § XV, pp. 245-247; tr. it. cit., pp. 33-36. Un’imma-
grandimento, l’espansione, ci ha permesso di registrare molte e signi-
gine e un termine analogo sarebbero stati utilizzati, più di recente, da Alfred Gell, che ha ficative somiglianze tra la struttura dell’immagine dialettica e quella
pensato come «recipient» la moltitudine di coloro che accolgono l’intervento attivo degli dell’immagine fotografica o cinematografica. Questo tuttavia non
oggetti o degli ambienti sulla percezione (cfr. Alfred Gell, Art and Agency: an Anthropolo- deve ridurre o offuscare alcune innegabili e importanti differenze.
gical Theory, Oxford 1998, pp. 222, 236).
36 Cfr. Benjamin, Kunstwerk, Fünfte Fassung, §§ V, XV, pp. 219-222, 245-247; tr. it. Se focalizziamo infatti l’obiettivo conoscitivo e politico che si col-
cit., pp. 13-14, 33-36. lega a ciascuna delle due immagini, ci imbattiamo in differenze molto
37 Ivi, Nachwort, pp. 247-250: 247; tr. it. cit., pp. 36-38: 36.
38 Ivi, § III, pp. 214-216; tr. it. cit., pp. 9-11.
39 Id., Kleine Geschichte der Photographie, GS II, 1, p. 382; tr. it. cit., p. 488. 40 Cfr. Id., Das Passagen-Werk, K 1, 2, GS V, 1, p. 491; tr. it. cit., p. 433.
220 elena tavani walter benjamin e il potenziale politico delle immagini 221

rilevanti. In particolare, nel passaggio dall’immagine prodotta dia- effetti molto diversi rispetto all’assenza di mediazioni che nell’im-
letticamente all’immagine riprodotta tecnicamente mutano in realtà magine dialettica rovescia un nome su un’immagine e viceversa,
la strategia e le finalità conoscitive. In primo luogo il compito che si o il passato nel presente. Ora l’immediatezza riguarda il rapporto
assume l’immagine dialettica è quello di offrire ad accadimenti diffe- tra produzione e riproduzione: «la riproducibilità tecnica dei film
riti nel tempo lo spazio di un incontro che si configura poi, alla prova si fonda immediatamente nella tecnica della loro produzione»44, il
dei fatti, piuttosto come un impatto – un urto destinato (se riuscito) che conferisce immediatamente a tale produzione il carattere di pro-
a generare straniamento e nuove intuizioni. dotto di massa, e potenzialmente politico nei suoi effetti. Una sorta
Nel caso dell’immagine riproducibile tecnicamente il testimone è di «dialetticità» sembra curiosamente interessare anche l’immagine
passato all’apparecchiatura, la quale, una volta avviata, si assume tecnologica, nell’ambiguità o inseparabilità di produzione e ripro-
il compito di effettuare le varie operazioni che conducono alla ri- duzione tecnicizzata, ma con un importante distinguo. L’opera tec-
produzione tecnica delle immagini. Rispetto all’immagine dialettica nicizzata, a differenza dell’opera d’arte tradizionale, nasce già come
la strategia di Benjamin punta quindi a conseguire inedite aperture oggetto-immagine e questo precisamente in forza dell’immediatezza
per la critica e per la conoscenza, soprattutto storica. Il metodo è di del rapporto tra tecnica di produzione e tecnica di riproducibilità
trasporre senza mediazioni le categorie della conoscenza e dell’espe- dell’oggetto tecno-artistico. Ciò significa che tale oggetto nasce come
rienza, in particolare storica e linguistica, in categorie proprie della realtà dotata di una propria virtualità strettamente tecnica, funzio-
percezione spazio-temporale. Si tratta di un metodo già praticato nel nale a una crescita esponenziale, oltre che di mercificazione, di op-
Dramma barocco tedesco, dove l’allegoria funge da proto-immagine portunità espositive dei prodotti dell’arte. L’ampliamento, la diffu-
dialettica. Qui la storia si secolarizza sulla scena e «il movimento del sione, l’espansione generalizzata che fanno parte del fenomeno della
tempo viene catturato e analizzato in un’immagine spaziale. L’im- riproducibilità tecnica di tale oggetto-immagine risulteranno allora
magine dello spazio scenico – o più esattamente della corte – diven- politici almeno in questo: rendendo impossibile un pensiero della
ta la chiave del comprendere storico»41. Vicende e personaggi della produzione artistica che prescinda dalla sua destinazione pubblica
storia sono presentati nel dramma barocco non secondo l’ordine di e comune.
un decorso temporale, ma «coreograficamente», in una compresen-
za di elementi delimitata nel quadro della corte del principe, in cui
il dramma barocco vede «lo scenario eterno, naturale, del decorso
storico»42. Per questa ragione il dramma barocco si trova in perfetta
sintonia con la figura dell’allegoria, considerata la capacità, che le
viene attribuita, di presentare la storia mondana e il suo senso come
un arcaico «paesaggio irrigidito», pietrificato – che già ora isola sin-
goli attimi della storia esibendone il momento caduco, l’ora colto nel
suo difetto (la perdita, l’occasione mancata), estraneo all’epos che lo
riconcilierebbe con la natura43.
Da parte sua, invece, la struttura dell’immagine riproducibile tec-
nicamente presenta in particolare un’immediatezza che ha natura ed

41 W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, in GS I, 1, pp. 203-430: 271; tr.

it. di F. Cuniberto, Il dramma barocco tedesco, in OC II, pp. 69-268: 132.


42 Ibid.
43 Cfr. ivi, pp. 342-343; tr. it. cit., pp. 202-203. 44 Id., Kunstwerk, Fünfte Fassung, § IV, nota 1, p. 218; tr. it. cit., nota 27, p. 44.
Benjaminiana
Walter Benjamin

L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

Prima versione
(settembre 1935)

a cura di
Marina Montanelli e Massimo Palma
Nota critico-filologica
L’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita

1. Breve storia di un testo riproducibile

a) Storia originaria e post-storia del Kunstwerkaufsatz

La storia controversa del testo più famoso e discusso di Walter


Benjamin ebbe inizio nel settembre 1935, con alcuni appunti stesi
su un blocchetto di carta beige. Qualche settimana dopo, l’autore
comunicò in alcune lettere di aver cominciato la stesura di un saggio
che sin dall’inizio recò il titolo L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica1. Oggi, con l’edizione critica pubblicata nel
2013 per i tipi di Suhrkamp nell’ambito dei Werke und Nachlaß,
disponiamo di almeno cinque stesure accertate. Rispetto a quanto
già noto finora, è stato riconosciuto e stabilito il testo di una Erste
Fassung, di cui, in questa sede, viene proposta una traduzione italia-
na. Proprio a partire dal nuovo lavoro editoriale curato da Burkhardt
Lindner in collaborazione con Simon Broll e Jessica Nitsche – del
quale riportiamo qui, con sforzo di sintesi, i risultati di maggior rilie-
vo, per presentare lo stato dell’arte al lettore italiano –, è necessario
approcciare d’ora in poi il testo benjaminiano.
Come noto, il saggio ebbe un’unica pubblicazione quando l’au-
tore era in vita: nel quaderno 1 del numero 5 della «Zeitschrift für
Sozialforschung» del 19362 apparve il frutto di un acribico lavoro

1 Si tratta delle lettere del 1935 rispettivamente a: Gretel Adorno, il 9 ottobre (GB V

(1999), pp. 170-173: 171), Max Horkheimer, il 16 ottobre (ivi, pp. 177-180: 179), Alfred
Cohn, il 21 ottobre (ivi, pp. 183-184), Gershom Scholem, il 24 ottobre (ivi, pp. 186-190:
190), Werner Kraft, il 28 ottobre (ivi, pp. 191-194: 193), Annemarie Blaupot ten Cate,
il 24 novembre (ivi, pp. 198-199: 199). I passaggi decisivi al riguardo sono riportati per
esteso in Benjamin, Kunstwerk, Entstehungs- und Publikationsgeschichte, pp. 320-324.
2 Id., L’oeuvre d’art à l’époque de sa reproduction mécanisée (traduit par Pierre Klos-

sowski), in «Zeitschrift für Sozialforschung», 5 (1936), Editions Felix Alcan, pp. 40-68
228 nota critico-filologica l’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita 229

redazionale e censorio svolto da Hans Klaus Brill su sollecitazione di Solo nel 1963, con la prima edizione a sé stante del saggio in un
Max Horkheimer. L’allora presidente dell’Istituto di Ricerca Sociale, volume di scritti di «sociologia dell’arte», il testo comincia a cono-
ormai esiliato a New York, aveva premura di non collocare politica- scere una notorietà che non cesserà di aumentare7. In questa edizio-
mente la rivista dell’Istituto in un filone troppo ristretto della pubbli- ne, lo scritto benjaminiano – il cui successo è facilitato anche dal
cistica antifascista («dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere rilievo assunto nei dibattiti del Sessantotto – viene continuamente
per evitare che la rivista come organo scientifico venga trascinata ripubblicato e solo nel 1976, con la nona ristampa del volume, il suo
nelle discussioni della pubblicistica politica», scrive Horkheimer a un testo viene tacitamente adeguato alla redazione dell’odierna Fünfte
Benjamin assai irritato da quanto operato dal segretario e delegato Fassung, nell’ambito dell’impresa delle Gesammelte Schriften avviata
parigino sul suo saggio)3. nel 1972.
Nonostante i vari tentativi che furono fatti, il testo non vide mai Nel 1974 era infatti uscito il primo volume comprendente le
una sua edizione tedesca finché Benjamin rimase in vita (né tanto- Abhandlungen, tra cui si annoverano ben tre diverse stesure del sag-
meno inglese, per la quale si era parimenti speso)4. La prima pub- gio: quella che oggi, sulla scorta dell’edizione Lindner, chiamiamo
blicazione in lingua tedesca del saggio risale infatti soltanto al 1955, Seconda versione veniva presentata come Erste Fassung in una stam-
nel quadro del primo grande tentativo di sistemazione del corpus pa completamente normalizzata rispetto al manoscritto originale8;
benjaminiano: le Schriften curate dagli Adorno. Qui viene pubbli- l’odierna Fünfte Fassung, già nota da quasi vent’anni, veniva edi-
cata la versione del Kunstwerkaufsatz che oggi è catalogata come ta come Zweite Fassung sulla base del dattiloscritto del testo steso
Fünfte Fassung5, utilizzando una copia dattiloscritta predisposta da con Brecht nel 19369; infine veniva riproposta la versione francese
Gretel solo dopo la morte di Benjamin. Tale Quinta stesura era sta- (Französische Fassung) pubblicata in vita10. Si noti tuttavia come già
ta approntata con la collaborazione di Brecht nell’estate del 1936 e nell’apparato critico che dava conto dei testi fino ad allora rinvenu-
destinata, senza successo, alla pubblicazione nella rivista moscovita ti nel lascito benjaminiano e relativi a L’opera d’arte si parlasse di
«Das Wort»6. una «primissima stesura» («diese[r] früheste[n] Niederschrift», poco
dopo «früheste Fassung»), relativa agli appunti e alle annotazioni
dell’autunno 1935, che non veniva restituita integralmente, in quan-
(quaderno 1); il saggio termina a p. 66, alle pp. 67-68 si trovano invece le sintesi tedesca
e inglese (ora, come Vierte Fassung, in Benjamin, Kunstwerk, pp. 164-199, le sintesi ivi, to ritenuta unicamente preparatoria a quella che i curatori delle Ge-
pp. 200-202). Il testo ebbe anche una stampa in estratto, identica nel contenuto, ma con sammelte Schriften avevano catalogato come «prima versione defini-
paginazione autonoma (pp. 2-30); su questo cfr. GS I, 3, p. 1017 e Id., Kunstwerk, pp.
386-387.
3 Si vedano le lettere di Benjamin a Horkheimer del 29 febbraio 1936, GB V, pp. 250- 7 Cfr. Id., Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit. Drei

252 e del 14 marzo 1936, ivi, pp. 259-261: 260. La frase citata nel testo è contenuta nella Studien zur Kunstsoziologie, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1963. Il libro, secondo una prassi
risposta di Horkheimer del 18 marzo 1936, in Benjamin, Kunstwerk, pp. 579-582: 579. che riguarderà poco dopo anche l’Italia, include, oltre a un sottotitolo editoriale, anche i
4 Su questo cfr. Fabrizio Desideri, Dottrina della percezione e crisi della democrazia, saggi Kleine Geschichte der Photographie e Eduard Fuchs, der Sammler und der Histo-
supra, pp. 14-18. riker. In questo volume, inoltre, le note del saggio vengono stampate in coda al testo e
5 W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, cadono alcuni corsivi previsti da Benjamin.
in Schriften, a cura di Th. W. Adorno – G. Adorno, in collaborazione con F. Podszus, 8 Id., Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (Erste Fas-

Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1955, vol. I, pp. 366-405. Il testo è quasi identico al dattilo- sung), in GS I (1974), 2, pp. 431-469 (ora, in versione diplomatica, Zweite Fassung, in Id.,
scritto originale della Fünfte Fassung, ma contiene numerosi refusi (cfr. Id., Kunstwerk, Kunstwerk, pp. 52-92).
Entstehungs- und Publikationsgeschichte, pp. 372-374). 9 Id., Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (Zweite Fas-
6 Che il dattiloscritto della Quinta versione risalga all’estate 1936, in occasione del sung, poi, a partire dalle ristampe successive alla pubblicazione del volume VII delle GS
soggiorno di Benjamin in Danimarca presso Brecht, è dimostrato dai curatori della nuova nel 1989, Dritte Fassung), in GS I, 2, pp. 471-508 (ora, in versione diplomatica, Fünfte
edizione critica (ivi, pp. 353-359: 354-355). Su questo si vedano anche le due fondamentali Fassung, in Id., Kunstwerk, pp. 207-250).
lettere di Benjamin del 9 e del 10 agosto, rispettivamente a Willy Bredel e ad Alfred Cohn, 10 Id. L’oeuvre d’art à l’époque de sa reproduction mécanisée, GS I, 2, pp. 709-739,

ivi, pp. 635-637. oggi Vierte Fassung, in Id., Kunstwerk, pp. 164-199.
230 nota critico-filologica l’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita 231

tiva (erste definitive Fassung)» del saggio (oggi Zweite Fassung). Già A mettere ordine nel trambusto cronologico ed editoriale del
dal 1974, insomma, anche per ragioni di spazio («per via dei limiti Kunstwerkaufsatz è intervenuta nel 2013 l’edizione proposta da
di dimensione di questa edizione»), si evitava di proporre la pubbli- Lindner, Broll e Nitsche. Questa parte dal presupposto che alcuni
cazione della stesura originaria – l’odierna Erste Fassung –, certo in degli appunti già pubblicati dalle Gesammelte Schriften come Para-
parte cancellata attraverso un segno trasversale tracciato dallo stesso lipomena della Prima versione (oggi Seconda), uniti agli altri fogli
Benjamin su alcuni fogli, ma impaginata quasi integralmente, e prov- manoscritti dello stesso bloc-notes non pubblicati perché cancellati
vista del titolo definitivo del testo11. Sta forse in questa scelta l’inizio da Benjamin, formino in realtà un complesso testuale definibile come
della confusione che seguirà. «Prima versione».
Alla situazione già complicata di una triplice versione edita e pre- Sono tre i mutamenti essenziali che si ricavano da questa edizione:
sentata nel 1974, si venne ad aggiungere, in virtù del ritrovamento di a) l’aggiunta di una Prima versione anteriore alle altre, che altera
un altro dattiloscritto tra le carte di Horkheimer presso la biblioteca quindi ulteriormente la numerazione già mutata del 1989; b) alla
universitaria di Francoforte, la stesura presentata, nel 1989, nel vo- traduzione francese viene attribuito uno status di versione «a sé» (la
lume VII delle Gesammelte Schriften come Zweite Fassung12 e giu- Vierte Fassung); c) la Quinta versione (ex Dritte) perde ogni possibi-
stificata come segue: «Il dattiloscritto trovato anni fa tra i materiali lità di esser datata al 1939, come la stragrande maggioranza della ri-
del Max-Horkheimer-Archiv […] si è dimostrato essere la versione cezione ha potuto fare per decenni, benché resti nondimeno accertato
purtroppo mancante al momento in cui furono stabilite le due stesure che i lavori di rimaneggiamento di quest’ultimo testo si protrassero
del lavoro nel 1974. Essa rappresenta la prima versione dattiloscritta per anni, sicuramente fino al 1939. L’opera d’arte nell’epoca della
definitiva, risalente alla fine del 1935/inizio del 1936, scaturita da sua riproducibilità tecnica viene quindi presentata come un laborato-
quella manoscritta, la quale, in alcuni luoghi, venne considerevol- rio a partire dal quale in meno di un anno Benjamin, per motivi sia
mente modificata. È il lavoro nella versione in cui Benjamin lo voleva teorici sia pragmatici, redige – con diversi gradi di perfezionamento
pubblicare all’inizio»13. – ben cinque versioni del testo.
Si tratta di quella che oggi è numerata come Terza versione, senza
ombra di dubbio la più complessa e impegnativa sul piano teorico.
Ha infatti profondamente modificato anche la ricezione del testo. b) Storia di una fortuna: L’opera d’arte in Italia
Presentata come Seconda versione (ma altresì, si badi, come «prima
versione dattiloscritta»), andava ad alterare sensibilmente la nume- Spostiamoci dunque in Italia. Come è valso per quasi ogni scritto
razione stabilita dalle stesse Gesammelte Schriften, dando adito a benjaminiano fino al 2010, si deve all’editore Einaudi la traduzio-
una lunga serie di equivoci da parte di editori e studiosi, trovatisi ne e diffusione de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
improvvisamente di fronte a quattro varianti di uno stesso testo, il tecnica. Già nel 1966 Enrico Filippini traduce l’edizione «separata»
cui ordine interno continuava a cambiare e la sequenza cronologi- tedesca, di tre anni anteriore, rendendo noto al pubblico italiano il
ca a distendersi su quattro anni: quella che le Gesammelte Schriften testo di quella che sarebbe diventata nel 1974 la Seconda versione,
chiamavano, dal 1989, «Terza versione» (oggi Quinta) veniva infatti poi nel 1989 Terza e che oggi sappiamo essere la Quinta14. Come
ancora comunemente datata al 1939. l’originale tedesco, il volume presenta in traduzione anche altri saggi
di contorno, più pertinenti (Piccola storia della fotografia) o meno (il
11 saggio su Fuchs, ma anche i commenti alle liriche di Brecht). Questo
GS I, 3, p. 1037.
12 W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit
(Zweite Fassung), in GS VII, 1, pp. 350-84 (ora, in versione diplomatica, Dritte Fassung,
in Id., Kunstwerk, pp. 96-141). 14 Cfr. Id., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, prefaz. di C.
13 GS VII, 2, p. 661. Cases, tr. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1966.
232 nota critico-filologica l’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita 233

volume ha avuto una fortuna impressionante e per anni è rimasto che già da quindici anni si profilava complessa per il lettore novizio,
la base fondamentale per un approccio al Benjamin teorico dell’arte ma altrettanto per lo studioso18.
in Italia. Le ristampe non si contano. Nel 1991, e poi nel 2000 e nel Con scelta altrettanto opinabile, in appendice a quello stesso vo-
2008, Einaudi lo ha riproposto aggiungendovi una nota firmata da lume veniva proposto il testo – ma, si badi, non tradotto – della ver-
Paolo Pullega15. sione francese del saggio19.
Fino ai primi anni del nuovo millennio, dunque, in Italia l’unica Coerentemente con la decisione assunta nel 2004, nel 2006, all’u-
versione conosciuta resta quella, per certi versi più agevole, ma anche scita del volume VII delle Opere complete, la ben più nota «ultima»
più povera teoricamente, che in Germania era nota sin dalla silloge versione (oggi Quinta) veniva numerata come Seconda stesura20,
delle Schriften del 1955. nella classica resa di Enrico Filippini, e collocata cronologicamente
Le cose cambiano, e solo per certi versi in meglio, nel 2004. ancora nel 193921.

c) La moltiplicazione delle numerazioni d) La moltiplicazione delle traduzioni

È il 2004 quando nel volume VI della nuova impresa delle Opere Si giunge così al 2010, in questa situazione di crescente confusione
complete Einaudi, comprendente gli scritti dal 1934 al 1937, viene per lo studioso italiano che abbia familiarità con l’edizione delle Ge-
proposta finalmente la traduzione italiana di quella che allora era co- sammelte Schriften (chiusasi ormai nel 1989), di cui le Opere complete
nosciuta come Seconda versione, oggi Terza. La base lessicale ricalca dovrebbero peraltro rappresentare una traduzione forte anche delle
le scelte di Enrico Filippini, ma le parti inedite e le numerosissime acquisizioni materiali e filologiche successive22. Nel 2010 sono infatti
varianti, nonché la revisione dell’intero, si debbono attribuire a Hell- scoccati i settant’anni dalla morte di Benjamin, i suoi scritti sono di-
mut Riediger, che co-firma la traduzione16. L’importante novità rap- ventati di dominio pubblico e si sono programmate nuove traduzioni
presentata dalla resa di quella che è la versione più ricca dello scritto di molti dei suoi testi. Chi ne aveva gestito i diritti in Italia fino a quel
benjaminiano viene parzialmente offuscata da una discutibile scelta
editoriale: la versione tradotta viene chiamata «Prima stesura», ben- 18 Si vedano le spiegazioni riportate in OC VI, p. 574: «Se si considera come versione

ché corrisponda a quella che allora era la Zweite Fassung17. Defi- a sé stante anche quella manoscritta – ricostruita a suo tempo dai curatori, pubblicata
nendo «irrilevanti» le differenze tra questa stesura e la Erste (oggi, nel 1974 in GS I, 2, pp. 431-69 ma non compresa nel presente volume – allora questa
Zweite) – tesi discutibile sotto molti profili – l’edizione italiana delle nostra “prima stesura” deve essere considerata la “seconda”; si spiega così la differente
numerazione tra l’edizione tedesca e quella italiana. All’epoca della pubblicazione in GS,
Opere complete decideva di distanziarsi da quella tedesca, da cui la versione manoscritta assumeva una particolare rilevanza, essendo l’unico documento da
pure dipendeva per larghissima parte, e introduceva, magari per sem- cui si poteva desumere la forma originaria del saggio. Con il ritrovamento della “prima
plificazione, un ulteriore elemento di confusione in una situazione versione” dattiloscritta, appare inutile riproporre anche il manoscritto, tanto più che le
differenze tra i due documenti sono irrilevanti».
19 Id., L’oeuvre d’art à l’époque de sa reproduction mécanisé [sic!], ivi, pp. 527-546.
15 W. Benjamin, L’opera d’arte della sua riproducibilità tecnica, prefaz. di C. Cases, tr. 20 Id., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [Seconda stesura], in

it. di E. Filippini, con una nota di P. Pullega, Einaudi, Torino 1991. OC VII (2006), tr. it. di E. Filippini, pp. 300-331. Si noti che la traduzione si basa ancora
16 Id., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [Prima stesura], in OC sul testo delle Schriften (cfr. ivi, p. 544) e non su quello delle GS (viene presentata però con
VI (2004), tr. it. di E. Filippini – H. Riediger, pp. 271-303 (con l’aggiunta dei Paralipomena l’aggiunta di Paralipomena e materiale vario, tradotti da Ginevra Quadrio Curzio, ivi, pp.
e materiale vario, tradotti da Ugo Marelli, ivi, pp. 304-319, a partire dagli appunti presen- 332-42, e corrispondenti ai frammenti in GS VII, 2, pp. 670-680).
tati in GS I, 3, pp. 1039-1051 e GS VII, 2, pp. 665-669). 21 Si veda però ivi, p. 545, dove, mentre si parla della versione in questione (l’odierna
17 Si noti altresì come nelle stesse Note al testo la presente stesura venga indicata, Quinta) come «seconda stesura tedesca», si afferma che il lungo lavoro durò «dal 1936
probabilmente a causa di un refuso, come traduzione della Erste Fassung invece che della al 1940».
Zweite, secondo la numerazione delle GS (cfr. OC VI, p. 571; cfr. anche GS VII, 1, p. 350). 22 Si pensi al caso, per alcuni versi analogo, dell’Infanzia berlinese.
234 nota critico-filologica l’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita 235

momento non si è fatto trovare impreparato e ha proposto così un’ulte- le censure tra una stesura e un’altra. Viene proposta una nuova tra-
riore nuova edizione del saggio su L’opera d’arte, curata da Francesco duzione dell’odierna Terza versione (lì Seconda)29, così come dell’o-
Valagussa23, che, utilizzando ancora una volta la traduzione di Filippi- dierna Quinta (lì Terza)30.
ni (quella basata sull’edizione Adorno-Adorno delle Schriften), presen- A prescindere dalla numerazione e dalla datazione delle stesure,
ta in dettaglio le varianti di tutte le versioni fino ad allora disponibili. che nel 2012 dovevano ancora necessariamente basarsi sull’apparato
Impresa fondamentale, perché, seppur in nota, prende atto, attraverso delle Gesammelte Schriften, si tratta indubbiamente dell’edizione più
una saggia numerazione per lettera (A, B, C, D, che corrispondono completa di cui possa disporre lo studioso italiano.
oggi rispettivamente alla Seconda, Terza, Quarta, Quinta stesura)24, Ma il 2012 è anche l’anno in cui viene pubblicata un’ulteriore
di una quadruplice versione del testo. È chiaro altresì che questa scelta traduzione dell’attuale Dritte Fassung, nell’importante silloge Aura e
editoriale rappresenta tuttavia in modo non troppo perspicuo le speci- choc, a cura di Andrea Pinotti e Antonio Somaini, che rivedono sen-
ficità delle tre versioni (alcune d’importanza assoluta), relegandole in sibilmente la traduzione di Filippini e Riediger, con correzioni e note
nota, peraltro assieme alle note dello stesso Benjamin alla cosiddetta preziose, numerandola come «Prima stesura dattiloscritta 1935-36»31
Terza versione (oggi Quinta)25. Inevitabilmente, essendo ancora lonta- (definizione giusta, che corregge e definisce più esattamente la dizione
na la pubblicazione del volume 16 dei Werke und Nachlaß, Valagussa di Prima stesura utilizzata dalle Opere Complete, ma che introduce un
non può che catalogare l’attuale Seconda versione come Prima26, pre- ulteriore criterio di distinzione per la numerazione – la dicotomia ma-
sentando di essa soltanto le variazioni più significative. noscritto-dattiloscritto). Nell’Introduzione, viene segnalata l’esistenza
Il 2012 rappresenta un anno altrettanto decisivo per le sorti italia- di «una primissima versione manoscritta, stesa tra il settembre e l’ot-
ne del saggio più noto di Benjamin. Esce infatti per i tipi di Donzelli, tobre del ’35» (quella oggi denominata Zweite Fassung), di un «dat-
grazie alla curatela di Fabrizio Desideri, un’edizione che presenta in tiloscritto, battuto tra la fine del 1935 e i primi di febbraio del 1936,
sequenza ben tre versioni e che garantisce, con notevole riguardo che teneva conto dei commenti di Horkheimer e veniva posto alla base
filologico, la massima perspicuità delle varianti27. Viene tradotta per della pubblicazione in francese» (l’odierna Dritte), della «traduzione
la prima volta la versione francese28 e vengono segnalate le varianti e francese» (l’attuale Vierte) e della «stesura finale», che avverrebbe «fra
la primavera del 1936 e il 1939» (l’odierna Fünfte)32.
23 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, a cura di F. Nel 2012 vede la luce infine, in una breve raccolta di scritti benja-
Valagussa, tr. it. di E. Filippini, con un saggio di M. Cacciari, Einaudi, Torino 2011. miniani, ancora un’altra traduzione della ormai «cosiddetta versione
24 Cfr. ivi, p. 41.
del 1939» (scil. Quinta versione), per mano di Rossella Rizzo e a
25 L’edizione ha anche il merito di riproporre per intero gli apparati tratti da: GS I, 3,
cura di Federico Ferrari33.
pp. 1039-44 (definiti Paralipomena, varianti e materiale vario per la prima versione; cfr. tr.
Filippini-Valagussa, Opera d’arte, pp. 71-76); GS I, 3, pp. 1044-1051 (definiti Paralipomena
e materiale vario sulla terza versione; cfr. tr. Filippini-Valagussa, pp. 77-84); GS VII, 2, pp. in vita. Infatti, come ribadiscono sia Fabrizio Desideri (ivi, p. IX) sia Massimo Baldi (ivi, p.
665-670 (chiamati Primo plico di appunti; cfr. tr. Filippini-Valagussa, pp. 85-89); GS VII, XLVIII), alla base della traduzione francese c’è la «seconda versione tedesca» (oggi Terza).
2, pp. 671-680 (chiamati Secondo plico di appunti; cfr. tr. Filippini-Valagussa, pp. 90-100). 29 Ivi, Seconda versione tedesca, pp. 45-91.
26 Si noti che Francesco Valagussa, nella sua Nota introduttiva (ivi, pp. XLVII-LIV: 30 Ivi, Terza versione tedesca, pp. 93-138. Si noti, relativamente alla datazione di que-

XLVIII), e secondo quanto riportato già nelle Anmerkungen delle GS (I, 3, p. 1037), allude sta stesura, come venga costantemente e correttamente precisato che essa è la versione
all’esistenza di una «prima stesura», non definitiva e «sotto forma di plico di appunti nel «cosiddetta del 1939», la data, cioè, è «da intendersi [...] ad quem» (M. Baldi, Nota al
Benjamin Archiv, con la dicitura Ms 977 [recte: 997]-1023», che corrisponde all’attuale testo, ivi, p. XLVII).
Erste Fassung e ai manoscritti a essa relativi (si veda anche, per un’attestazione analoga, F. 31 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Prima ste-

Valagussa, Nota introduttiva, cit., p. LIV). sura dattiloscritta 1935-36 [postuma], in Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, a cura
27 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Tre versioni di A. Pinotti – A. Somaini, Einaudi, Torino 2012, pp. 17-49.
(1936-39), tr. it. di M. Baldi, a cura di F. Desideri, Donzelli, Roma 2012. 32 Cfr. Andrea Pinotti – Antonio Somaini, Introduzione, ivi, pp. 5-15: 5-6.
28 Ivi, pp. 3-43. Si noti come la suddetta stesura venga, nel volume, collocata per pri- 33 Cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e altri

ma, probabilmente in quanto unica versione a esser stata pubblicata mentre Benjamin era scritti, tr. it. di Rossella Rizzo, a cura di F. Ferrari, SE, Milano 2012, pp. 11-48.
236 nota critico-filologica l’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita 237

Nel 2013, è il turno di un’ulteriore e ottima traduzione dell’odier- WN GS TRADUZIONI ITALIANE


na Dritte Fassung (ma ancora nominata «Seconda versione – 1936»), Erste Fassung Non pubblicata (salvo estrat- Infra, pp. 241-270
sempre all’interno di una raccolta di scritti benjaminiani, a cura di ti in GS I, 3, pp. 1039-1044;
Giulio Schiavoni34. Vengono proposte in nota le differenze più signi- GS VII, 2, pp. 668-669)
ficative tra la Seconda (in realtà Terza) e la Terza (in realtà Quinta) Zweite Fassung Erste Fassung, GS I, 2, pp. tr. Filippini-Valagussa, Ver-
versione, di cui si afferma come «alcuni critici propendono a col- 431-469 sione A (traduzione parzia-
le in note integrative)
locarne la stesura addirittura fra il 1936 e il 1937»35. L’edizione di
Schiavoni si avvicina così ai risultati del volume 16 dei Werke und Dritte Fassung Zweite Fassung, GS VII, 1, tr. Filippini-Riediger, Prima
pp. 350-384 Stesura, in OC VI, pp. 271-
Nachlaß, uscito nel frattempo da alcuni mesi. 303
Nel 2013 il flusso continuo di traduzioni del saggio, cominciato
quando quest’ultimo è divenuto di pubblico dominio, si è arrestato tr. Filippini-Valagussa, Ver-
– proprio in corrispondenza con l’uscita dell’edizione critica tedesca sione B (traduzione parzia-
le in note integrative)
a oggi definitiva. Alla luce di questi dati, è possibile dunque attestare
che le molteplici traduzioni italiane dello scritto su L’opera d’arte pa- tr. Baldi-Desideri, Seconda
lesano oggi talune differenze e ritardi rispetto alle ultime acquisizioni versione, pp. 45-91
storico-filologiche della ricerca.
tr. Pinotti-Somaini, Prima
versione dattiloscritta, in
Aura e choc, pp. 17-49
e) Versioni e traduzioni: schema sinottico (1966-2016)
tr. Schiavoni, Seconda ver-
sione – 1936, pp. 69-127
Presentiamo in questa sede, per offrire al lettore un più agevole
Vierte Fassung Französische Fassung, GS I, tr. Filippini-Valagussa, Ver-
orientamento nel labirinto delle numerose stesure del Kunstwerkauf- 2, pp. 709-739 sione C (traduzione parzia-
satz, uno schema sinottico delle varie versioni e delle traduzioni ita- le in note integrative)
liane sin qui a nostra disposizione.
tr. Baldi-Desideri, Versione
francese, pp. 3-43
Fünfte Fassung Fino al 1989: Zweite Fas- tr. Filippini, pref. Cases
sung, GS I, 2, pp. 471-508

Dopo il 1989: Dritte Fas- tr. Filippini, Seconda stesu-


sung, GS I, 2, pp. 471-508 ra, in OC VII, pp. 300-331

tr. Filippini-Valagussa, Ver-


sione D

tr. Baldi-Desideri, Terza


versione, pp. 93-138

tr. Rizzo-Ferrari
34 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e altri scritti
sui media, a cura di G. Schiavoni, BUR, Milano 2013, pp. 69-127.
35 G. Schiavoni, Presentazione, ivi, pp. 65-68: 67.
238 nota critico-filologica l’opera d’arte nell’epoca della sua traducibilità gratuita 239

2. La Prima versione rimaneggiati da Benjamin negli appunti per una possibile prosecuzio-
ne del saggio.
L’importanza dell’emersione di questa prima stesura consiste nel Che questa debba essere considerata una stesura autonoma, per
render finalmente possibile una visione d’insieme sulla genesi del sag- quanto ancora abbozzata e incompiuta, è dimostrato anche dalla
gio su L’opera d’arte. Nonostante il suo carattere di bozza infatti, struttura formale del testo, la quale verrà mantenuta in seguito: già
non solo il titolo – e quindi l’oggetto della trattazione –, che più volte qui infatti la trattazione risulta suddivisa in capitoli a sé stanti, secon-
viene riscritto da Benjamin sugli stessi fogli manoscritti, è già fissato, do una sequenza ovviamente ancora provvisoria. La Erste Fassung
ma, soprattutto, l’arco argomentativo è già tracciato in tutta la sua consta quindi di 24 capitoli. Risultano assenti però – o comunque
complessità e ampiezza. Ciò a cui il lettore può assistere, sfogliando mancano le cifre nella numerazione dei fogli manoscritti – i capitoli
le pagine della Erste Fassung, è, letteralmente, il formarsi dei temi e 5 e 20.
dei concetti fondamentali che innerveranno poi, in maniera più com- Tutti i 28 fogli manoscritti provengono da un unico e piccolo
piuta, le successive stesure. Come è stato notato anche dagli stessi bloc-notes (8,0 x 11,5 cm), salvo un foglio a quadretti (Ms 1024 -
curatori tedeschi dell’edizione dei Werke und Nachlaß, quel che qui WBA 458/28) di dimensioni leggermente più grandi (9,5 x 17 cm).
si staglia in primo piano è il procedere di Benjamin per prove e ten- Alcune parti del manoscritto erano state già pubblicate, nelle Ge-
tativi, la primigenia apertura della pista di ricerca: non è un caso che sammelte Schriften, erroneamente come Paralipomena alla Zweite
nel testo non si trovino ancora le citazioni o i riferimenti bibliografici Fassung (Erste secondo la catalogazione delle GS). In particolare in
(fatta eccezione per il rimando finale a Marinetti e al suo Manife- GS I, 3, pp. 1039-1044: Ms 1008 (WBA 453/12), Ms 1009 (WBA
sto futurista) che saranno invece presenti nelle redazioni posteriori, 453/13), Ms 1011 (WBA 453/15), Ms 1013 (WBA 453/17), Ms 1014
come se Benjamin stesse ancora esplorando i passaggi e le giuntu- (WBA 453/18), Ms 1016 (WBA 453/20), Ms 1017 (WBA 453/21),
re della propria riflessione. Così come ancora manca la Premessa Ms 1019 (WBA 453/23); in GS VII, 2, pp. 668-669 invece: Ms 993
programmatica col rinvio esplicito all’analisi marxiana dei modi di (WBA 455/2).
produzione capitalistici e del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Per quanto concerne la presente traduzione, non trattandosi di
E però, sebbene nel testo siano senza dubbio frequenti interruzioni, un’edizione critica, si è preferito, per quanto possibile, normalizzare
errori e correzioni, cancellature, ripetizioni e inserimenti supplemen- il testo, al fine di favorirne e agevolarne la leggibilità: fatta eccezione
tari, sebbene la stessa terminologia trovi ancora una formulazione per la numerazione dei capitoli, le cui cifre vengono riportate tra
oscillante tra differenti versioni36 e l’andamento complessivo della parentesi quadre nel corpo del testo in corrispondenza con la collo-
trattazione sia tutt’altro che lineare, i punti focali della speculazio- cazione originaria nel manoscritto tedesco, non si troveranno qui i
ne benjaminiana sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità molti segni diacritici che invece la stampa diplomatica dell’edizione
tecnica vengono qui per la prima volta individuati e concepiti; di più, tedesca dei Werke und Nachlaß utilizza per segnalare gli interventi di
non pochi passaggi della presente versione trovano in questa sede la Benjamin stesso nel testo. Parimenti, si è deciso di non rilevare i refu-
loro formulazione definitiva che sarà poi ripresa e trasportata nelle si e le imprecisioni grammaticali e sintattiche che pure a volte compa-
altre stesure. D’altra parte ci si imbatte spesso anche in passi e spunti iono, correggendoli piuttosto tacitamente; così come di non riportare
che non torneranno più nelle Fassungen posteriori, ma che saranno l’intestazione, col titolo del saggio, che viene ripetuta da Benjamin
su molti fogli manoscritti, con lo scopo di garantire una maggiore
36 Si veda su questo il caso esemplare, all’interno della polarità tra valore cultuale fluidità al testo. Si è altresì deciso di elidere le cancellature operate
(Kultwert) e valore espositivo (Ausstellungswert), dell’utilizzo di ulteriori categorie, che da Benjamin stesso, salvo quando rappresentavano varianti concet-
rendono l’articolazione concettuale più ampia e complessa, come valore di consumo (Kon- tualmente significative (in questo caso sono state segnalate nelle note
sumwert), valore didattico (Lehrwert) e, nei Manuskripte zur Ersten Fassung, valore di a piè di pagina con numerazione araba). Allo stesso modo, per gli
record (Recordwert), in Benjamin, Kunstwerk, pp. 16, 49.
240 nota critico-filologica

inserimenti testuali, che l’edizione dei Werke und Nachlaß riproduce Walter Benjamin
secondo i criteri della stampa diplomatica nel luogo originario in cui L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica
si trovano nel manoscritto, si è optato per integrarli direttamente nel Prima versione
testo, segnalandoli tra parentesi uncinate, per offrire un andamento
maggiormente coerente e lineare della trattazione al lettore. Infine,
tutti i corsivi che si trovano nel testo, eccetto le espressioni in lingua
straniera, sono dello stesso Benjamin.

[1] In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibi-


le. Quel che gli uomini avevano fatto poteva sempre, in linea di prin-
cipio, esser rifatto da altri. Rispetto a ciò, la riproducibilità tecnica
dell’opera d’arte è qualcosa di nuovo, che all’inizio si afferma nella
storia con un ritmo estremamente graduale. Si pensi alla xilografia,
con cui la grafica è divenuta per la prima volta tecnicamente riprodu-
cibile, alla sua validità secolare, che è stata limitata solo dall’incisio-
ne su rame. All’incisione su rame subentra l’acquaforte e, all’inizio
del XIX secolo, la litografia. Se le più antiche forme di riproduzione
si attenevano ancora, con un certo grado di libertà, ai procedimenti
originali della pittura e della grafica, i quali sfuggivano a ogni ripro-
duzione tecnica, con la litografia la grafica entra in un rapporto di af-
finità più stretta con l’opera tecnicamente riproducibile, ossia con la
stampa. La riproducibilità tecnica dell’arte raggiunge uno stadio fon-
damentalmente nuovo con la fotografia, che non richiede più alcun
contributo della mano attiva in senso artistico, piuttosto riproduce
direttamente la natura o l’arte. Ma non solo la tecnica riproduttiva
fotografica è assai più autonoma di ogni precedente tecnica mecca-
nica di riproduzione, piuttosto, anche a livello quantitativo, questa
tecnica di riproduzione è ampiamente superiore rispetto a tutte le
precedenti. Le copie (Abzüge) delle lastre fotografiche sono, fatte sal-
ve le eccezioni, di uguale valore sul piano qualitativo, a differenza
delle copie delle tavole di legno e anche delle lastre di rame.
In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile.
Quel che gli uomini avevano fatto poteva sempre, in linea di prin-
cipio, esser rifatto da altri. Simili repliche (Nachbildung) venivano
realizzate dagli allievi per esercitare l’arte, dai maestri per diffondere
le opere, come pure da terzi zelanti. Rispetto a questi procedimenti,
la riproduzione tecnica dell’opera d’arte è qualcosa di nuovo, che
242 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 243

si impone nella storia a ritmo intermittente, a ondate distanti l’una di tipo chimico o meccanico, le quali non si possono effettuare sulla
dall’altra, ma con intensità crescente. Con la xilografia per la prima riproduzione; quella dei secondi è oggetto di una tradizione, e una
volta la grafica è divenuta tecnicamente riproducibile; come si sa, ciò qualche possibilità di coglierla sussiste solo in prossimità dell’origina-
accadde in Occidente assai prima che anche la scrittura e, con essa, le. L’hic et nunc dell’originale costituisce il concetto della sua auten-
la poesia divenissero tecnicamente riproducibili grazie alla stampa. ticità (Echtheit) e su quest’ultima, a sua volta, si fonda quell’idea di
Sono note le enormi trasformazioni che la stampa – la riproducibi- tradizione che ha trasmesso quest’oggetto fino ai giorni nostri come
lità tecnica della scrittura – ha provocato nella letteratura. Questi qualcosa di medesimo e di identico. L’intero ambito della autenticità
cambiamenti costituiscono tuttavia solo un caso speciale, benché si sottrae alla riproducibilità tecnica – e naturalmente non solo tec-
particolarmente rilevante, del fenomeno che viene qui considerato nica. Mentre l’autentico, però, rispetto alla riproduzione manuale,
sotto il profilo della storia universale. Alla xilografia subentrano che ha di solito bollato come falsificazione, ha serbato la sua piena
l’incisione in rame e l’acquaforte e, all’inizio del XIX secolo, la lito- autorità, per la riproduzione tecnica ciò non accade. La ragione è
grafia. Se le più antiche forme di riproduzione si attenevano ancora duplice. In primo luogo, rispetto all’originale la riproduzione tec-
ai procedimenti originali della pittura e della grafica, i quali sfug- nica risulta più autonoma di quella manuale. Nella fotografia, essa
givano a ogni riproduzione meccanica, con la litografia la grafica può mettere in risalto aspetti dell’originale che non sono accessibili
entra in una connessione più stretta con la parola. Con la litografia, all’occhio umano, ma solo a un obiettivo regolabile e atto a scegliere
infatti, la riproducibilità tecnica dei disegni aumenta a una velocità arbitrariamente il proprio punto di vista. Questa è la prima ragione.
tale che l’immagine può iniziare a tenere il passo della stampa. Que- Ma, in secondo luogo, la riproduzione tecnica può portare la copia
sto processo giunge al suo compimento con la fotografia. Ma d’altra [3] dell’originale in contesti che non sono raggiungibili dall’originale
parte la fotografia inaugura uno standard fondamentalmente nuovo stesso. Soprattutto, le rende possibile andare incontro al fruitore, che
nell’ambito della riproducibilità tecnica in genere. Non richiede cioè sia in forma di fotografia o di disco. La cattedrale abbandona il suo
più alcuna mano attiva in senso artistico, che debba mediare tra sito originario, per essere accolta nello studio di un amante dell’arte.
immagine e duplicazione attraverso la trasposizione del disegno che L’opera corale, che veniva eseguita in una grande sala o a cielo aper-
essa opera sul blocco di legno, sulla lastra di rame o sulla pietra. to, trova posto in una stanza di piccole dimensioni. Queste mutate
Con l’esclusione della mano attiva e mediatrice, la riproduzione tec- circostanze possono del resto lasciare intatta la consistenza dell’ope-
nica dell’immagine, nel corso di un lungo sviluppo, raggiunge quello ra d’arte – ma in ogni caso svalutano il suo hic et nunc. Se questo non
standard che costituì il punto di partenza per la riproducibilità mec- vale in alcun modo solo per l’opera d’arte, ma parimenti, ad esempio,
canica del suono. Con la sua introduzione alla fine del diciannove- per un paesaggio tropicale che scorre davanti agli occhi dello spetta-
simo secolo è iniziata definitivamente l’epoca della riproducibilità tore in un film, tuttavia con l’opera d’arte, attraverso tale processo,
tecnica dell’opera d’arte. viene toccato un nodo assai sensibile, che nessun oggetto in natura
esibisce. Si tratta della sua autenticità. L’autenticità di una cosa è il
[2] Anche nella riproduzione più riuscita viene a mancare qualco- complesso di tutto ciò che in essa è storicamente tramandabile, dalla
sa: l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza unica nel luogo in sua testimonianza storica fino alla sua pura durata materiale. Ma
cui si trova; ma in questa esistenza unica, e in null’altro, si è compiuta decisivo qui è che quest’ultima è sempre il fondamento e il sostrato
la storia a cui l’opera d’arte, finché è esistita, è stata sottoposta. In della prima. Là dove, come nella copia, il sostrato si sottrae all’uo-
questa storia si annoverano tanto le trasformazioni che essa può aver mo, così anche la testimonianza storica – il significato della cosa –
subito nella sua struttura fisica nel corso del tempo quanto i mutevoli finisce per oscillare. Certo, solo questa; ma ciò che con essa prende
rapporti di possesso (Besitzverhältnisse) in cui può esser entrata. La a vacillare è l’autorità storica della cosa, è il suo peso tradizionale.
traccia delle prime la si può solitamente ricavare soltanto da analisi Si può, se si vuole, riunire queste caratteristiche sotto il concetto di
244 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 245

aura e dire: ciò che viene soppresso nell’epoca della riproducibilità te di un numero illimitato di singoli individui. Meglio, si richiede
tecnica dell’opera d’arte è la sua aura. Questo processo è sintomati- loro di essere immediatamente apprendibili da parte delle masse e
co: il suo significato va ben al di là dell’ambito dell’arte. La tecnica da ognuno all’interno di queste masse>. La riproduzione massiva di
di riproduzione – così può formularsi in termini generali la questione opere d’arte non è dunque soltanto connessa con la produzione di
– stacca in misura maggiore o minore il riprodotto dall’ambito della massa di oggetti industriali, ma anche con la riproduzione di massa
tradizione. Moltiplicando la copia, al posto della sua presenza unica di comportamenti e azioni umani. Trascurare questi nessi significa
essa pone la sua presenza massiva. E permettendo alla copia di venire precludersi ogni mezzo per determinare la funzione odierna dell’arte.
incontro allo spettatore nella sua specifica situazione, attualizza ciò
che viene copiato. Ambedue questi processi portano a un violento La trasformazione della modalità espositiva attraverso la tecnica
sconvolgimento del tramandato, a uno sconvolgimento della tradi- di riproduzione si fa notare anche in politica. La crisi delle demo-
zione, che è l’altra faccia dell’attuale crisi e dell’attuale rinnovamen- crazie si può comprendere come una crisi delle condizioni di esposi-
to dell’umanità. Essi sono strettamente connessi con i movimenti di zione dell’uomo politico. La democrazia, infatti, espone il politico,
massa dei nostri giorni. Il loro agente più potente è il cinema. Anche nella sua persona e senza mediazione alcuna, di fronte alla gente. Il
nella sua forma più positiva, anzi proprio in essa, il suo significato Parlamento crea le condizioni favorevoli per questa modalità esposi-
sociale non è pensabile senza questo suo effetto distruttivo, catartico: tiva1. Con le innovazioni delle apparecchiature di registrazione, che
la liquidazione, nell’eredità culturale, del valore della tradizione. Se consentono agli oratori, durante il discorso, di rendersi udibili e, di
tale fenomeno è massimamente evidente nei grandi film storici da lì a poco, visibili a un numero illimitato di persone, l’esposizione del
Cleopatra e Ben Hur fino a Federico e Napoleone*, in misura mag- politico davanti a queste apparecchiature diviene decisiva. I parla-
giore o minore si fa valere quasi in ogni film di finzione. menti si svuotano di pari passo con i teatri. E la radio e il cinema, che
subentrano al posto di questi ultimi, non modificano radicalmente
[4] L’apparire massificato di beni, il cui valore un tempo non solo la funzione dell’attore che si mette alla prova di fronte a loro,
era neanche lontanamente legato alla loro singolarità, non è limi- ma, in misura non minore, la funzione del politico. Ciò determina
tato all’arte. Non vale neppure la pena richiamare l’attenzione sul- una nuova selezione mediante l’apparecchiatura, da cui escono vinci-
la produzione di merci, in cui, naturalmente, questo fenomeno si è tori la star e il dittatore.
palesato per la prima volta. È più importante sottolineare che esso La «forma» in cui entrambi si sono dovuti ritrovare è stata espres-
non è limitato né alla sfera dei beni naturali né a quella dei beni sa, ben prima di queste tecniche di riproduzione, nello sport moderno2.
estetici, ma si impone, non in misura minore, anche tra i beni morali.
Nietzsche annunciò l’esistenza, per ogni individuo, di un proprio cri- Cosa è propriamente l’aura? Un singolare intreccio di tempo e
terio morale. Questa prospettiva è superata: nei rapporti sociali dati spazio: l’apparizione unica di una lontananza, per quanto vicina essa
è infeconda. In tali rapporti decisivo per la valutazione del singolo possa essere. Seguire, nella quiete di un pomeriggio estivo, il profilo
è il suo standard morale. È incontestabile che il singolo individuo
vada valutato secondo la sua funzione nella società. Il concetto dello 1 Affiancata dalla cifra 2ab in matita rossa e blu, compare qui (Benjamin, Kunstwerk,

standard morale, però, oltrepassa questa prospettiva. Questa è la sua pp. 12-13: 13) una variante del passo, in cui il soggetto sottinteso («La democrazia») è
prerogativa. Dove infatti, in passato, si richiedeva esemplarità sul volto al plurale (il verbo stellt aus diventa infatti stellen aus), secondo la formulazione che
tornerà poi, con lievi modifiche, nella Zweite Fassung (cfr. ivi, p. 75) e nell’importante nota
piano morale, il presente esige riproducibilità. Esso riconosce come
al § XII della Dritte Fassung (cfr. ivi, nota 1, pp. 121-122: 122): «[scil.: Le democrazie]
corrette e opportune solo quelle modalità di pensiero e di condotta espongono il politico senza mediazione alcuna, e precisamente lo espongono di fronte a dei
che attestano, accanto alla loro esemplarità, la loro apprendibilità. rappresentanti. Il Parlamento è il suo pubblico».
2 Al margine sinistro di questa frase compare una variante: «[La “forma”] in cui en-
<E precisamente qui si esige più della loro apprendibilità da par-
trambi devono assolvere alle loro prestazioni speciali [è stata espressa...]» (cfr. ivi, p. 13).
246 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 247

dei monti all’orizzonte o un ramo che getta la sua ombra sull’osserva- forma secolarizzata del rituale. Essa si manifesta per la prima volta
tore, finché l’istante o l’ora hanno una parte nel loro apparire – que- nel Rinascimento; ossia, nel momento in cui l’arte si presenta come
sto vuol dire respirare l’aura di questi monti, di questo ramo. Adesso, sfera propria, come ambito autonomo dell’essere, essa smaschera,
«avvicinare» le cose a sé, anzi alle masse, è un’esigenza appassionata nel modo stesso in cui ciò avviene, quest’autonomia come parvenza.
dei contemporanei, tanto quanto superare l’unicità di ogni situazione L’arte è fondata nel rituale, cioè nell’esistenza religiosa della comu-
attraverso la sua riproduzione. Ogni giorno si fa valere in modo sem- nità. E, contemporaneamente al sorgere del primo grande mezzo di
pre più incontestabile il bisogno di afferrare l’oggetto a una distanza riproduzione meccanica, la fotografia, ma si può altresì dire con la
il più ravvicinata possibile nell’immagine, anzi nella copia. E, inequi- nascita del socialismo, l’arte procede al rafforzamento delle trincee
vocabilmente, la copia, per come è presentata dal giornale illustrato e dietro cui dispone le sue torri d’avorio; allora, con la teoria dell’art
dal cinegiornale, si differenzia dall’immagine. Unicità e durata sono, pour l’art, che è propriamente una teologia dell’arte, divengono chia-
in questa, tanto strettamente intrecciate quanto, in quella, fugacità ramente evidenti le sue fondamenta nel rituale. Proprio quell’indagi-
e ripetibilità. Spogliare l’oggetto del suo involucro – il frantumar- ne che si occupa dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
si dell’aura – è la segnatura di una percezione, il cui senso per ciò tecnica deve render conto di questi nessi. Infatti solo quest’indagi-
che nel mondo è simile (Gleichartiges) si è affinato a tal punto, che ne conduce alla cognizione che è decisiva in questa sede: per la pri-
essa, mediante la riproduzione, lo strappa anche a quanto è unico. ma volta nella storia mondiale, la riproducibilità tecnica dell’ope-
Nell’ambito dell’intuizione si ripete il processo che, nell’ambito della ra d’arte emancipa quest’ultima dalla sua esistenza parassitaria nel
teoria, ha assegnato crescente importanza alla scienza statistica. L’al- rituale. L’opera d’arte riprodotta è, in misura sempre maggiore, la
lineamento della realtà alle masse e delle masse a essa è un evento di riproduzione di un’opera d’arte predisposta per la riproducibilità.
portata illimitata tanto per il pensiero quanto per l’intuizione. Nella fotografia, per esempio, è possibile una molteplicità di copie;
la questione della copia autentica non ha alcun senso. Ma nell’istan-
[6] La singolarità dell’opera d’arte coincide col suo esser colloca- te in cui, nella produzione artistica, il concetto di autenticità viene
ta nel contesto della tradizione. Ma questa stessa tradizione è qual- meno, l’intera funzione sociale dell’arte si è rovesciata. Al posto della
cosa di assolutamente vivente, di straordinariamente mutevole. Ad sua fondazione sul rituale è subentrata la sua fondazione su un’altra
esempio, un’antica statua di Venere stava in un contesto tradizionale prassi: ossia la sua fondazione sulla politica.
completamente differente presso i Greci, che ne facevano un oggetto
di culto, rispetto a quello in cui si trovava presso i monaci medievali, [7] La distrazione, che comincia sempre più a determinare l’at-
che vi scorgevano un idolo nefasto. Ma ciò che a entrambi, in egual teggiamento del pubblico davanti all’opera d’arte, necessita di
modo, si faceva incontro con essa era la sua singolarità o, in altri un’indagine più dettagliata. Tale indagine deve partire dal fatto fon-
termini, la sua aura. La forma più originaria di collocazione dell’ope- damentale che il film non viene recepito da un singolo ma da una
ra d’arte nel contesto della tradizione trovava la sua espressione nel massa. Questo stato di cose conduce subito a una legge decisiva.
culto. Come sappiamo, le opere d’arte più antiche sono al servizio Essa concerne il valore di consumo (Konsumwert) dell’opera d’arte,
del rituale, dapprima di un rituale magico, poi religioso. È adesso di il quale, in antitesi col suo valore didattico (Lehrwert), si mette al
un’importanza decisiva che questo modo di esistenza auratico dell’o- servizio della distrazione. Questa legge suona: il valore di consumo
pera d’arte non si svincoli mai completamente dalla sua funzione ri- di un’opera è tanto più grande quanto maggiore è la massa che può
tuale. In altre parole: il valore singolare dell’opera d’arte «autentica» recepirla simultaneamente. Conseguentemente è facile comprendere
è fondato sempre su criteri teologici. Questa fondazione può esser come la forma di ricezione funzionale alla distrazione si distingua
mediata quanto si vuole, tuttavia, anche nelle forme più profane del nella maniera più netta dalla forma di ricezione funzionale al racco-
culto della bellezza (Schönheitsdienst), è ancora riconoscibile come glimento: l’una espone (exponiert) l’opera d’arte davanti a una mas-
248 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 249

sa, l’altra mette al suo cospetto il singolo. Ma, andando più a fondo, Quest’innovazione trova il suo compimento in seno alla massa.
si può formulare la questione anche come segue: quanto maggiore è Essa rende la reazione di una stessa massa davanti a un film incom-
il valore di consumo dell’opera d’arte, tanto più quest’ultima viene parabilmente più autoritativa rispetto a quella davanti a un dipinto.
incontro al suo pubblico, quanto minore esso è, tanto più l’ope- Di gretti ignoranti al cinema ve ne sono tanto pochi quanto di amanti
ra esige di essere raggiunta dai singoli. E precisamente lo esige con dell’arte. Si confronti la tela su cui scorre il film con quella su cui è
l’autorità dell’originale, il quale può pretendere di essere raggiunto dipinta l’immagine. In entrambi i casi si ha certamente a che fare con
nel suo qui e nel suo ora. È invece assai rilevante che le opere d’arte una tela che resta uguale, che non varia nelle sue dimensioni. Ma
esposte attraverso la radio – alle quali, non diversamente da quelle l’immagine sull’una muta, quella sull’altra no. La tela dipinta invita
cinematografiche, non corrisponde più in senso stretto alcun origi- l’osservatore alla contemplazione; davanti a essa egli può abbando-
nale, raggiungendo esse stesse, in primo luogo, il singolo individuo, narsi al flusso delle sue associazioni. Davanti a quella cinematografi-
in secondo luogo e contemporaneamente, infiniti altri – fanno arre- ca non può farlo. Non appena l’ha afferrata con lo sguardo, questa
trare, nella ricezione dell’opera d’arte, l’atteggiamento contempla- è già cambiata. Non può esser fissata né come un dipinto né come
tivo a favore di uno maggiormente distratto. E ciò, nonostante il la realtà. Il flusso di associazioni di colui che la osserva viene subito
singolo venga messo qui, apparentemente, di fronte all’opera d’arte. interrotto dal cambiamento dell’immagine. Su questo si basa l’effetto
Ma questo star di fronte è completamente diverso da quello del sin- di choc del film, che, come ogni effetto di choc, vuol essere accolto da
golo individuo dinanzi all’originale nel suo qui e ora. L’essenza di un incremento della presenza di spirito. Il film è la forma d’arte cor-
quest’ultimo fenomeno si può cogliere particolarmente bene a parti- rispondente al pericolo di vita latente in cui vivono i contemporanei.
re dal ruolo sociale del dipinto. Il dipinto, anche dopo la separazione Corrisponde a profonde trasformazioni dell’apparato appercettivo;
della pittura profana da quella cultuale, ha sempre preteso, in ma- trasformazioni come quelle che vive, nell’esistenza privata, ogni pas-
niera eminente, un atteggiamento contemplativo da parte di uno o sante nel traffico della metropoli e, su scala storico-mondiale, chiun-
pochi individui. La contemplazione di massa e simultanea di dipinti que lotti contro l’ordine sociale contemporaneo.
in esposizione, che inizia nel XIX secolo, è un primo sintomo della
crisi della pittura, una crisi che non è stata in alcun modo scatenata [9] Nel terzo decennio del diciannovesimo secolo la moda dei
dalla sola fotografia, piuttosto, in relativa autonomia da essa, dalla panorami è nel pieno della sua fioritura. Il panorama si pone com-
pretesa che il prodotto artistico avanzava nei confronti della massa, piti che solo la fotografia può assolvere. Reca con sé una domanda
a cui ampi settori dell’arte grafica si erano adeguati nella réclame. che in ultima analisi soltanto la fotografia può riuscire a soddisfare.
La réclame, che si rivolge alla massa dei singoli distratti, mette alla Si può operare in maniera concisa un parallelo tra il Dadaismo e la
prova mercantile ciò che l’arte nell’epoca della sua riproducibilità pittura dei panorami. Non è casuale che, in entrambi i casi, si tratti
tecnica deve mettere alla prova politica. È infruttuoso dedurre dal- di fenomeni di moda fugaci. A entrambi è toccato il compito – il
la loro differente finalità confini stabili e insuperabili tra réclame e compito nondimeno importante ed ereditabile – di produrre nella
arte. È invece fruttuoso, ad esempio, confrontare l’una con l’altra società una domanda alla cui completa soddisfazione la tecnica non
ed esaminare le due forme estreme della produzione artistica rap- era ancora giunta. Il Dadaismo produsse la domanda del cinema. Lo
presentate dall’immagine devozionale e [8] dalla grafica pubblicita- mostrano le seguenti circostanze: 1) Il Dadaismo cercò di avvicina-
ria: l’atteggiamento di colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte re l’opera d’arte alle masse e non lo fece formando in modo più o
può, in ogni momento, nuovamente trasformarsi in atteggiamento meno superficiale il popolo, piuttosto attualizzando l’opera d’arte:
religioso, mentre quello di colui che lascia agire distrattamente l’o- ponendola nel bel mezzo di uno scandalo. 2) Il Dadaismo, attraver-
pera d’arte su di sé esperisce nell’atteggiamento dell’uomo politico so l’utilizzo fondamentalmente svalutante dei propri materiali, cercò
un’innovazione integrale. di sbarazzarsi della loro aura e del loro carattere di autenticità. Ad
250 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 251

esempio applica biglietti, bottoni e simili su un quadro. 3) Il Dadai- Ma, in ogni caso, significativo in esse è un elemento: la velocità con
smo promuove la letterarizzazione dell’opera d’arte, mettendo fine cui avevano luogo le loro reazioni. È impossibile, di fronte a un
al suo apparire come mondo in miniatura, come cosmo che basta a quadro dadaistico o a una poesia di August Stramm, concedersi del
se stesso. A questo proposito la sua incomprensibilità è uno degli tempo per il raccoglimento e la presa di posizione come davanti a un
strumenti migliori. L’opera d’arte incomprensibile non basta a se dipinto di Picasso o a una poesia di Rilke. Del resto la distrazione
stessa. Esige comprensione. E a tal riguardo non bisogna dimentica- non esige affatto la reazione nella forma di una presa di posizione.
re che il film muto, all’inizio, veniva spiegato da un commentatore. Non si danno infatti in alcun modo confini rigidi tra la distrazione
4) Il Dadaismo cerca di produrre con i suoi contenuti lo «choc» che prodotta da un dipinto o da uno spettacolo e quella prodotta da una
il film provoca con la sua struttura tecnica. Ogni produzione della passeggiata su un sentiero di montagna o in una valle. Anche e so-
domanda che sia radicalmente nuova e pionieristica è destinata a prattutto in questo contesto si conferma una volta di più la posizio-
oltrepassare il segno. Il Dadaismo lo fa, allorché sacrifica i valori di ne sotto ogni riguardo centrale del cinema nella situazione odierna
mercato, che pertengono al film in così larga misura, a favore di altri dell’arte. Si conferma nella misura in cui il film effettua una sintesi
obiettivi – di cui naturalmente non è consapevole nella forma qui di distrazioni apparentemente molto diverse, le quali si basano su
descritta. I Dadaisti davano molto meno peso alla spendibilità mer- quanto accade davanti a qualcuno e con qualcuno. Entrambi questi
cantile delle loro opere d’arte che alla loro inutilizzabilità come og- processi, che certamente in epoca primitiva coincidevano (così come
getti di sprofondamento contemplativo. Il contrario dello sprofon- coincidono anche nel sogno), si sono infine dissociati, così che, ad
damento è la distrazione. Allo sprofondamento contemplativo, che esempio, nella tragedia e sulla pista da ballo si presentano abbastan-
nella degenerazione della borghesia è divenuto una scuola di com- za distinti l’uno dall’altro. Ma questa dissociazione non dura a lun-
portamento asociale, si contrappone la distrazione come passaggio go. E il film la revoca apertamente. Il processo che col film si svolge
al comportamento sociale. Ne è la dimostrazione il Dadaismo. Tali davanti allo spettatore assesta a quest’ultimo – più esattamente, as-
opere producevano una distrazione delle più violente, spostando sesta alla sua retina – una serie continua di piccoli colpi. Nel film
l’attenzione dell’osservatore3, non appena entrate nel suo orizzonte, distrazione e raccoglimento si sono indistinguibilmente fusi l’una
da loro stesse agli altri osservatori4. <Il film entra subito in contatto nell’altro. Esso ha rivisto e corretto l’estremo rilievo dell’elemento di
con loro, che sia un contatto amichevole o ostile. Con ciò si mettono distrazione insinuato dal Dadaismo nell’arte, la sua uniformazione
adesso in relazione due differenti ordini di processi, ossia quanto col Luna-Park, a favore di una sintesi di un polo con l’altro.
accade davanti a qualcuno e quanto accade con qualcuno>. L’effetto
altamente distrattivo di tali opere si fonda sul fatto che esse provo- [11] Varia
cano immancabilmente una divisione in fazioni. È in questo modo Giacché si parla della diffusione di massa delle opere d’arte deter-
che il Dadaismo ha fatto valere – e ancora una volta alla manie- minata dallo stato attuale della tecnica, viene spontaneo dire qual-
ra maldestra, financo eccessiva, del precursore – un elemento assai cosa sulla diffusione di massa del sapere, per la quale, altrettanto,
importante di distrazione, un elemento che differenzia il pubblico sussistono tutti i presupposti tecnici. In questo ambito, almeno in
distratto dalla comunità artistica raccolta. Nella distrazione l’opera Europa occidentale, non sono ancora emerse pratiche in grado di
d’arte si fa scandalo, persino, eventualmente, mero pretesto di un competere con lo standard del film. Ciò dipende tra l’altro dal fatto
atteggiamento attivo dei soggetti. Ovviamente questo atteggiamento che le classi dominanti sono più diffidenti rispetto alla diffusione
attivo non dipende dagli eccessi delle scandalose scene dadaistiche. di massa del sapere che rispetto alla diffusione di massa dell’arte.
Sono state loro a gettare discredito sulla divulgazione della scienza
3 Prima, cancellato con una riga: «dei consumatori (der Konsumenten)» (cfr. Benjamin, e, praticando e incentivando una certa modalità divulgativa, hanno
Kunstwerk, p. 20). fatto la loro parte per giustificare questo discredito. Non è un caso
4 Anche qui risulta cancellato con una riga «consumatori (Konsumenten)» (cfr. ibid.).
252 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 253

che negli ultimi cento anni la divulgazione della scienza sia scesa Nella fotografia il valore espositivo comincia a far arretrare il va-
profondamente al di sotto del livello che aveva raggiunto ai tem- lore cultuale su tutta la linea. Quest’ultimo però non si ritira senza
pi dell’Illuminismo. Né è un caso che la nostra epoca veda sorgere opporre resistenza. Si apposta piuttosto in un’ultima trincea: il volto
nuovamente grandi divulgatori (Popularisatoren). Si pensi a Lenin, umano. Non è affatto un caso che il ritratto sia al centro delle prime
a Eddington e a Freud. fotografie. Nel culto del ricordo dei propri cari lontani o defunti il
valore cultuale dell’immagine trova l’ultimo rifugio. Nell’espressione
Nelle opere cinematografiche la riproducibilità tecnica del prodotto fugace, nelle prime fotografie, di un volto umano l’aura fa capolino
non è, come ad esempio nelle opere pittoriche o musicali, una condi- per l’ultima volta. È questo a costituirne la melanconica e incompa-
zione esterna della loro diffusione di massa; al contrario, la riproduci- rabile bellezza. Ma là dove l’uomo è scomparso dalle fotografie, lì
bilità tecnica delle opere cinematografiche è immediatamente fondata per la prima volta il [valore] espositivo si rivela superiore al valo-
sulla tecnica della loro produzione. Quest’ultima non solo rende pos- re cultuale. L’incomparabile importanza di Atget, che immortalò le
sibile nella maniera più immediata la diffusione di massa delle opere strade parigine attorno al 1900 in vedute deserte, sta nell’aver dato
cinematografiche, ma addirittura la impone. La impone, poiché la pro- a questo processo la sua sede. Di lui si è detto molto giustamente che
duzione di un film è così costosa che un consumatore che, per esempio, le fotografava come si fotografa il luogo del delitto. Anche il luogo
potrebbe permettersi un dipinto, non può più permettersi un film. Il del delitto è deserto. <E anche le strade durante la guerra civile lo
film è un’acquisizione del collettivo tramite gli istituti di distribuzione sono>. Esso viene fotografato per via degli indizi. Con Atget gli scatti
per così dire a ciò delegati. Dal canto loro gli imprenditori hanno la fotografici cominciano a diventare elementi probatori nel processo
tendenza a far dipendere dall’aumento dei costi di produzione di un storico. È questo a costituire il segreto significato politico di Atget.
film la sua pretesa di attenzione da parte della sfera pubblica. A tal I suoi scatti già esigono una ricezione in senso determinato. Non è
punto che, con la crisi scoppiata con la diffusione del cinema, infine loro adeguata una contemplazione libera di spaziare. Essi inquietano
anche il teatro – per giustificare dinanzi al pubblico la sua pretesa di l’osservatore, che sente che per accedervi deve cercare una via deter-
attenzione – ha cercato di elevare artificiosamente le sue spese con sce- minata. Sono poi le riviste illustrate a proporgli dei segnavia. Giusti
ne teatrali lussuose ed enormi cachet per le star. o sbagliati – non importa. Nelle riviste la didascalia è divenuta per
la prima volta obbligatoria. Ed è chiaro che essa ha un carattere del
[12] Varia tutto diverso rispetto al titolo di un dipinto. <Le direttive che riceve
La contesa che si è disputata nel corso del XIX secolo tra la pittura attraverso la didascalia chi osserva le immagini della rivista illustrata
e la fotografia intorno al valore artistico dei loro prodotti risulta oggi diventano nel cinema, in maniera eminente, ancor più precise e pe-
bizzarra e confusa. Il che però non inficia la sua pregnanza, al contra- rentorie, là dove il modo d’intendere ogni singola immagine da parte
rio, richiama l’attenzione su di essa. Anche la contesa degli Ariani e dell’osservatore sembra rigorosamente prescritto dalla sequenza di
degli Atanasiani sullo iota in ὁμοιούσιος suona a noi oggi bizzarra e tutte le immagini precedenti>.
confusa. In verità, questa contesa era l’espressione di un rivolgimento
storico mondiale, di cui, come tale, nessuno dei due contendenti era [13] Per cogliere la situazione odierna dell’arte è utile conside-
consapevole. Questo vale anche per la contesa tra pittura e fotografia. rare la star cinematografica. A distinguere la star cinematografica
In essa trova la sua espressione lo sconvolgimento di portata univer- da quella teatrale è il fatto che la sua prestazione artistica, nella sua
sale dell’arte, che per la prima volta, nell’epoca della sua riproducibi- versione originale che è alla base della riproduzione, non è unitaria,
lità tecnica, si svincola dal suo fondamento teologico, ma per perdere piuttosto consta di tante singole prestazioni, il cui hic et nunc viene
la sua autonomia apparente. Questa contesa annuncia che è venuto determinato da preoccupazioni del tutto contingenti legate agli affitti
meno l’interesse per un’esistenza speciale e regionale dell’arte. degli studi, alla disponibilità di partner, alla scenografia e così via. A
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distinguerla inoltre dalla star teatrale è il fatto che la sua prestazione originariamente sportivo, che non si riscontra affatto nella realtà, ma
artistica, nella sua forma originale che è alla base della riproduzione, solo ed esclusivamente nell’oggetto di una ripresa cinematografica.
non avviene di fronte a un pubblico casuale, piuttosto di fronte a Di quale elemento si tratta? Esso risulta dalla considerazione seguen-
una commissione di tecnici che, del resto – in qualità di direttore di te: il fondamento dello sport consiste nel costruire un sistema di pre-
produzione, regista, cameraman, fonico, addetto alla luci, etc. –, pos- scrizioni, che, in ultima istanza, porta le modalità di comportamento
sono trovarsi in qualsiasi momento nella condizione di intervenire, umane a esser misurate attraverso criteri fisici elementari: la misura-
in misura maggiore o minore, sulla sua produzione artistica. Si tratta zione in secondi e centimetri. Sono queste misurazioni a stabilire il
qui di un tratto distintivo molto importante sul piano sociale: l’in- record sportivo. L’antica forma agonale si dilegua rapidamente nella
tervento di una commissione competente nel corso della prestazione pratica sportiva moderna.
artistica stessa. Questo tratto distintivo rende possibile integrare con
una determinazione positiva la cognizione negativa contenuta nel- [14] Questa pratica si allontana dalle competizioni che misurano
la formula secondo cui la realtà riprodotta nel film non è un’opera l’uomo con l’uomo. Non per nulla si diceva di Nurmi che corresse
d’arte. Il suddetto tratto distintivo dal forte impatto sociale consente contro l’orologio. Con ciò viene stabilito il ruolo attuale della pratica
infatti di riconoscere la formazione della realtà riprodotta nel cinema sportiva. Si svincola da quella agonale, per imboccare la direzione
come una realtà sportiva5. La commissione pronta all’intervento nel del test. Nulla è più comune per il test nella sua forma moderna che
corso della rappresentazione è, infatti, tra tutte le altre forme di espo- misurare l’uomo con un’apparecchiatura6. In confronto all’apparec-
sizione, indispensabile solo per quella sportiva, in cui assume l’ufficio chiatura dei test la prestazione sportiva è estremamente primitiva.
arbitrale. <Questa giuria ha un ruolo anche nel cinema. Molte scene Ma a differenza di quella sportiva la prestazione nel test meccaniz-
vengono, notoriamente, girate in più varianti. Un grido d’aiuto, per zato non può essere esposta. Ciò ha ridotto il suo significato sociale.
esempio, può esser registrato in differenti versioni. La giuria opera Ed esattamente questo è il punto su cui interviene il film. Il film ren-
poi una scelta tra queste diverse versioni. Si può anche dire che essa de esponibile la prestazione sottoposta a test (Testleistung), facendo
stabilisca quale sia il record tra queste grida, là dove la misura è co- dell’esponibilità della prestazione stessa un test. Perché l’attore cine-
stituita dalla loro esponibilità>. Innanzitutto quindi occorre stabilire matografico non recita di fronte a un pubblico ma di fronte a un’ap-
se il processo che costruisce l’oggetto di una ripresa cinematografi- parecchiatura. Il capo operatore sta esattamente al posto in cui sta il
ca – fin tanto che l’uomo è al suo centro – non sia forse soprattutto direttore dell’esperimento nella prova attitudinale. E la prestazione
affine a un processo sportivo piuttosto che a quello che imita. Ne richiesta all’attore cinematografico, soprattutto alla star, consiste nel
risulta il fatto che in un assassinio o in una scena d’amore il film mantenere la propria umanità di fronte all’apparecchiatura. Chi ha
coglie soprattutto un elemento sportivo; e precisamente un elemento parlato anche una sola volta al microfono sa che non è possibile
farlo senza modificare profondamente la propria umanità. <Recitare
sotto la luce dei riflettori e, al tempo stesso, rispondere verbalmente
5 In questo punto seguono due passaggi dalla formulazione incompiuta e cancellati con
alle esigenze del microfono è una prestazione sottoposta a test7 di
una doppia riga continua dallo stesso Benjamin: «Il pubblico che interviene nel corso della
rappresentazione <?> <XX> sport, ad esempio nel combattimento di pugilato, in modo
particolarmente chiaro <X>. Così chiaro, detto tra parentesi, che anche il pubblico più lon- 6 Qui compare un passo con due differenti tipi di cancellature, una con riga doppia

tano si adatta per quanto possibile a un atteggiamento tanto competente quanto invadente. che presenta parole incomplete e perciò di difficile resa, una con riga singola. Escludendo i
<X> la particolare forma <X> nei combattimenti pugilistici o nella Sei giorni. Ma tratti a cancellatura doppia (che segnaliamo con omissis), risulta una frase di agevole com-
questi sono solo specifici anelli di congiunzione tra la manifestazione sportiva e quella prensione, che riportiamo: «Nel […] test pienamente meccanizzato viene infine a cadere
cinematografica. La formula generale per il loro comportamento invece deriva dalla se- anche la regola del gioco, che nello […] sport concilia il sistema di misurazione della fisica
guente considerazione» (cfr. Benjamin, Kunstwerk, p. 25) [il punto interrogativo così come con la prestazione umana» (cfr. ivi, p. 26).
le «X» sono inserite dai curatori tedeschi; le seconde stanno per una parola, o parte di 7 Originariamente Benjamin aveva scritto: «prestazione sportiva (Sportsleistung)» in-

parola, indecifrabile]. vece di «prestazione sottoposta a test (Testleistung)» (cfr. ivi, p. 27).
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prim’ordine. Anch’essa mobilita l’uomo nella sua interezza. Ma non parecchiatura, è divenuta il fiore azzurro nel paese della tecnica. – Il
più come l’agone nella sua armonica manifestazione complessiva, medesimo stato di cose, che si distingue in tal modo da quello del
piuttosto nella sua politecnica capacità di adattamento>. teatro, lo si può confrontare, in maniera ancora più istruttiva, con
quello che sussiste nella pittura. Abbiamo qui una domanda da porre:
L’interesse sociale per questa prestazione è enorme. Poiché un’ap- che rapporto c’è tra l’operatore e il pittore? E qui è concesso farsi gui-
parecchiatura è ciò dinanzi a cui la stragrande maggioranza degli dare da quel concetto di operatore che apprendiamo dalla medicina:
abitanti delle città, negli uffici e nelle fabbriche, e per l’intera durata l’operatore medico, il chirurgo, rappresenta un polo di un ordine il
della giornata lavorativa, deve, in misura sempre più ampia, alienarsi cui altro polo è rappresentato dal mago. L’atteggiamento del mago,
dalla propria umanità. Di sera queste stesse masse riempiono i cine- che guarisce un malato attraverso l’imposizione della mano, è diverso
ma, per esperire come la star cinematografica si prenda al loro posto da quello del chirurgo, che esegue un intervento nel corpo dei malati.
la rivincita, là dove la sua umanità (o ciò che appare loro tale) non Il mago mantiene la distanza naturale tra sé e colui che si sottopone
solo si afferma di fronte all’apparecchiatura, ma mette addirittura al trattamento; detto in maniera più precisa: egli la diminuisce solo di
quest’ultima al servizio del proprio trionfo. poco e l’aumenta di molto. Sfrutta il pathos della distanza. Il chirurgo
Ma recitare significa qui: conservare la propria umanità nel faccia procede in modo inverso: egli diminuisce di molto la distanza rispet-
a faccia con l’apparecchiatura. to a colui che si sottopone al trattamento, e la accresce solo di poco
(cioè attraverso il riguardo e l’accortezza con cui la sua mano si muove
[15] Una ripresa cinematografica – e, in particolar modo, quella tra gli organi). In una parola: differentemente dal mago <che si cela
di un film sonoro – offre una visuale che mai prima e in nessun luogo ancora dietro il medico pratico>, il chirurgo rinuncia, nel momento
era stata pensabile. Essa rappresenta un processo a cui non si può più decisivo, a mettersi di fronte al suo malato da uomo a uomo; piuttosto,
assegnare alcun punto di vista dal quale l’apparecchiatura di ripresa, penetra in lui operativamente. Mago e chirurgo si comportano come il
che non appartiene all’azione come tale, non cada nel campo visivo pittore e il cameraman. Il pittore, nel suo lavoro, osserva una naturale
dello spettatore. (Spesso l’apparecchiatura finisce addirittura addosso distanza dal dato reale, il cameraman, al contrario, penetra profonda-
agli attori). Questa circostanza, più di ogni altra, rende le somiglianze mente nel tessuto della realtà. Le immagini che i due ne traggono sono
eventualmente esistenti tra una scena cinematografica e una teatrale enormemente diverse. Quella del pittore è un’immagine totale, quella
estremamente superficiali e irrilevanti. Il teatro conosce per principio del cameraman un’immagine più volte frammentata, le cui parti si ri-
il luogo a partire dal quale quel che accade, in ogni momento e senza trovano sotto una legge nuova e assai singolare; ma la rappresentazio-
difficoltà, può esser compreso solo come illusorio. In rapporto alla ne filmica del reale è, per l’uomo odierno, la più prossima alla realtà,
ripresa cinematografica questo luogo non c’è. La sua natura illusoria è poiché con essa l’apparecchiatura è inserita nel modo più profondo
una natura di secondo ordine, è un risultato del montaggio (Schnitt). nell’opera d’arte8.
Il che vuol dire: nello studio cinematografico l’apparecchiatura è pe-
netrata così profondamente nella realtà che l’aspetto puro di quest’ul- Le competenze tecniche richieste a un interprete cinematografico
tima, libero dal corpo estraneo dell’apparecchiatura, è il risultato di sono differenti da quelle richieste a un attore teatrale. Quasi mai le star
una specifica procedura tecnica, vale a dire della ripresa attraverso del cinema sono attori eccellenti in senso teatrale. Anzi, il più delle vol-
l’obiettivo appositamente regolato; il risultato di questa ripresa e del te, sono stati attori di secondo o terzo rango quelli ai quali il cinema
suo montaggio (Montierung) con qualcosa di simile. L’aspetto della ha d’improvviso aperto una grande carriera. <E d’altronde raramente
realtà libero dall’apparecchiatura è per così dire diventato, a questo
punto, il risultato di una complicata procedura realizzata con l’aiuto
8 Compare qui cancellato, al posto di Kunstwerk, il termine Wirklichkeit, ossia
di quella stessa apparecchiatura. La realtà immediata, libera dall’ap-
«realtà» (cfr. Benjamin, Kunstwerk, p. 29).
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i migliori interpreti cinematografici hanno tentato il salto dal cinema al presta alla riproduzione meccanica, ossia alla standardizzazione: è
teatro. Queste circostanze sono connesse con la natura particolare del ci- per questo che le masse gli voltano le spalle. Dal punto di vista della
nema>. Ciò è stato possibile perché, per il cinema, è molto meno impor- prospettiva storica, l’aspetto più importante nell’opera di Brecht è,
tante che l’interprete rappresenti un altro dinanzi al pubblico piuttosto forse, che la sua produzione drammatica consente al teatro di assu-
che se stesso di fronte all’apparecchiatura. Il tipico attore cinematogra- mere la sua forma più sobria e modesta, addirittura più ridotta, così
fico rappresenta solo se stesso. È l’antitesi più radicale al tipo del mimo. da poter, in certo qual modo, svernare.
Questa circostanza riduce la sua impiegabilità sulla scena teatrale, ma la
estende in maniera straordinaria nel film, poiché la star cinematografica [16] I Greci conoscevano un’unica forma di riproduzione tecnica:
cattura il suo pubblico innanzitutto nella misura in cui sembra aprire a il conio. Le monete erano l’unica opera d’arte a poter esser prodotta
ognuno la possibilità di «fare l’attore». L’idea di farsi riprodurre attra- su larga scala. Tutte le altre opere erano uniche e non riproducibili
verso l’apparecchiatura esercita un’immane fascinazione sull’uomo con- tecnicamente. Di conseguenza dovevano esser fatte per l’eternità. I
temporaneo. Certamente anche prima la ragazzina fantasticava di salire Greci, a partire dallo stadio della loro tecnica, erano costretti a pro-
sul palcoscenico. Ma, rispetto a questa fantasticheria, il sogno di fare durre nell’arte valori eterni. A questa circostanza essi devono la loro
l’attore cinematografico ha due vantaggi decisivi. In primo luogo il con- posizione unica nella storia dell’arte, rispetto alla quale i posteri sono
sumo degli interpreti nel cinema è assai maggiore che nel teatro (perché in grado di determinare la propria. Ora, non vi è alcun dubbio che
nel film l’interprete rappresenta solo se stesso). In secondo luogo, l’idea la nostra si trova al polo opposto rispetto a quella dei Greci. Mai
di veder diffuse alle grandi masse la propria figura e la propria voce fa prima d’ora le opere d’arte sono state tecnicamente riproducibili in
impallidire, per l’uomo odierno, lo splendore del grande attore teatrale. grado così alto e su scala così ampia come lo sono per noi. Nel film
noi abbiamo una forma peculiare il cui stesso carattere artistico è le-
Varia gato indissolubilmente alla circostanza della propria riproducibilità.
Da sempre la vita delle masse è stata decisiva per il volto del- Con il cinema l’opera d’arte ha acquisito una qualità che i Greci le
la storia. Ma che queste masse, consapevolmente e, per così dire, avrebbero probabilmente concesso in ultima istanza o che avrebbe-
come muscoli di questo volto, ne esprimano la mimica – questo è ro considerato come la più inessenziale: si tratta della sua capacità
un fenomeno completamente nuovo. Nell’arte tale fenomeno si fa di miglioramento. Il film compiuto è tutt’altro che una creazione in
valere in maniera molteplice e particolarmente drastica. L’arte può un sol getto, esso è montato a partire da numerosissime immagini
contare tanto più sull’attenzione che suscita quanto più si fonda sulla singole tra cui il montatore può scegliere, immagini che, del resto,
riproducibilità e quanto meno pone al centro l’opera originale. Se sin da principio, nella successione delle riprese e fino al risultato de-
oggi l’arte drammatica è, tra tutte, quella colpita in modo più evi- finitivo, potevano esser migliorate a piacimento. <Per produrre il suo
dente dalla crisi, ciò dipende dalla natura della cosa stessa; poiché, Opinion publique, che è lungo 3000 metri, Chaplin ne ha fatti girare
per l’opera interamente circoscritta nell’ambito della riproduzione 125000>. Il film è quindi l’opera d’arte maggiormente suscettibile di
meccanica, non c’è contrasto più estremo che col gesto ogni volta miglioramento. E che questa sua capacità di miglioramento sia con-
nuovo e incalcolabile dell’attore. <Ogni osservazione più ravvicinata nessa con la sua rinuncia radicale al valore di eternità risulta dalla
conferma questo contrasto insuperabile, poiché ciò che il film preten- controprova. Per i Greci, la cui arte era affidata alla produzione di
de dall’interprete sono prestazioni, le quali hanno luogo al di fuori valori eterni, al vertice delle arti si trovava quella tra tutte meno su-
del contesto interpretabile di un ruolo. Così un salto dalla finestra scettibile di miglioramento, vale a dire l’arte plastica, le cui creazioni
di una prigione può>9. Tra tutte le arti il teatro è quello che meno si sono, letteralmente, d’un sol pezzo. La decadenza dell’arte plastica
nell’epoca dell’opera d’arte montabile è ovvia.
9 Il testo si interrompe qui improvvisamente (cfr. Benjamin, Kunstwerk, p. 31).
260 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 261

Chi vuole comprendere un duomo romanico deve avere un’idea nella musica da ballo. In modo meno evidente, ma non con una por-
di cosa sia accaduto all’uomo romanico che sia entrato in esso. Na- tata minore, questa tendenza si fa valere nel film, il quale, attraverso
turalmente se ne è sentito trasportato. Ma come? Ci sono così tanti l’effetto di choc della sua sequenza di immagini, insinua un elemento
modi di lasciarsi trasportare. Certamente quello dell’amante dell’arte tattile nella stessa sfera ottica.
non è qui esemplare. Il trasporto dell’uomo romanico – ossia del cri-
stiano contemporaneo di questo duomo nell’epoca della sua genesi – [17] Si potrebbe rappresentare l’intera storia dell’arte secondo
non era un trasporto di tipo emotivo; sarà stato, anche solo in grado lo schematismo di un confronto tra due polarità interne all’opera
modesto, edificante. All’incirca come è per l’uomo di oggi entrare in d’arte stessa e scorgere sostanzialmente la legge del suo corso nel-
un garage. Il paragone ha le sue buone ragioni. Infatti difficilmen- lo spostamento di baricentro da un polo all’altro. Questi due poli
te può trovarsi un edificio, entrando nel quale in maniera rilassata sono il suo valore cultuale e il suo valore espositivo. La produzione
l’uomo di oggi si trasformi tanto profondamente quanto entrando artistica comincia con creazioni che sono al servizio della magia.
in un garage. L’ingresso rilassato è qui determinante. Entrando nella Di queste creazioni è importante unicamente che siano presenti, ma
cella del braccio della morte di un carcere la vittima si trasforma in non che vengano viste. L’alce che l’uomo dell’età della pietra ritrae
modo più decisivo, ma questo non accade in maniera rilassata. Ora, sulle pareti della sua caverna è uno strumento magico, che solo per
la funzione sociale assolutamente particolare e determinante dell’ar- caso egli espone davanti ai suoi simili; al massimo è importante che
chitettura, più di ogni altra forma artistica, sta nel suscitare il nuovo lo vedano gli spiriti. Il valore cultuale come tale insiste proprio sul
sentimento vitale in una forma in cui l’apparizione rappresentativa mantenere l’opera d’arte occultata: certe statue degli dei sono ac-
di esso si compenetra, insolubilmente, col carattere di abitudine di cessibili solo al sommo sacerdote nella cella del tempio, certi quadri
questo stesso sentimento. Dove si realizza tale unità, là vi è stile. I raffiguranti Madonne restano per quasi tutto l’anno coperti, certe
garage sono le costruzioni più pregne di stile del nostro tempo, in cui sculture nei duomi medievali non possono esser colte dall’occhio
gli uomini non abbandonano la propria casa per salire su un veicolo, umano da alcun punto. Con l’emancipazione delle singole pratiche
piuttosto, rincasando, entrano nella loro abitazione come un veicolo artistiche dal grembo del culto aumentano le occasioni per la loro
che viene condotto nel suo garage. esposizione. L’esponibilità di un busto, che può essere spedito e spo-
stato di qua e di là, è maggiore di quella di una statua di un dio, che
Anche il distratto può abituarsi – sì, proprio lui. Ricezione tat- ha la sua collocazione fissa all’interno della cella. L’esponibilità del
tile e distrazione non si escludono a vicenda. L’automobilista, il cui quadro è maggiore di quella del mosaico e dell’affresco che lo han-
pensiero va «completamente altrove», per esempio al suo motore no preceduto, e se l’esponibilità di una messa, per sua natura, non
danneggiato, si abituerà meglio alla moderna forma del garage ri- è forse inferiore a quella di una sinfonia, a ogni modo la sinfonia
spetto allo storico dell’arte che si ponga dinanzi a essa per sondarne è nata nel momento in cui la sua esponibilità promise di diventare
lo stile. La ricezione nella distrazione, che si manifesta, con enfasi maggiore di quella della messa. Con i diversi metodi di riproduzione
crescente, in quasi tutti i campi dell’arte, è il sintomo di una decisiva tecnica dell’opera d’arte la sua esponibilità è cresciuta in misura così
riorganizzazione delle funzioni dell’apparato appercettivo umano, il straordinaria che lo spostamento d’accento quantitativo tra i suoi
quale si vede posto di fronte a compiti che possono esser risolti sol- due poli si rovescia, similmente a quanto accaduto in epoca prei-
tanto collettivamente. Al tempo stesso è il sintomo di una crescente storica, in uno spostamento di tipo qualitativo. Infatti come in età
importanza dell’appercezione tattile, la quale si estende dall’architet- preistorica l’opera d’arte, per il peso assoluto che gravava sul suo
tura, dove essa è originariamente a casa, alle restanti arti. Ciò è assai valore cultuale, divenne in primo luogo uno strumento della magia,
evidente nel caso della musica, in cui un elemento essenziale del suo che soltanto più tardi è stato in certo qual modo riconosciuto come
più recente sviluppo, il jazz, ha avuto il suo agente più importante opera d’arte, così oggi l’opera, per il peso assoluto che grava sulla
262 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 263

sua esponibilità, diviene uno strumento del test (Testprüfung), che, giunge ad assicurarci un immenso, potente, e finora appena presen-
però, sarà riconosciuto da tutti come tale solo più tardi. E se lo sco- tito, margine d’azione (Spielraum). I nostri uffici, le nostre camere
po della magia è stato di influire in maniera utile sulla natura e sugli ammobiliate, le bettole, le nostre strade metropolitane, le stazioni e le
accadimenti esteriori, oggigiorno si tratta del tentativo sperimentale fabbriche sembravano10 imprigionarci senza speranza. Poi è venuto
di influire sull’uomo stesso e di potenziarlo secondo quella moda- il cinema e ha fatto saltare, con la dinamite dei centesimi di secon-
lità capace di rendergli i rapporti con l’apparecchiatura qualcosa do, questo mondo-prigione, cosicché, adesso, intraprendiamo lunghi
di ovvio e naturale. La proiezione cinematografica rappresenta la e avventurosi viaggi tra le sue rovine disseminate ovunque. Con il
predisposizione di questo esperimento. Il suo compito sociale è, in primo piano si dilata lo spazio, con il rallentatore il movimento. <È
una parola, questo: fare dell’immane e straordinaria apparecchiatu- ovviamente una natura diversa quella che parla alla cinepresa rispet-
ra della nostra epoca la materia dell’innervazione umana. E cioè di to a quella che parla all’occhio; diversa innanzitutto perché al posto
un’innervazione collettiva che riesca a realizzare nell’ambito della di uno spazio intessuto dall’uomo in modo conscio ne subentra uno
tecnica ciò che ognuno è capace di realizzare sul proprio corpo. intessuto inconsciamente. Se è ormai usuale, per esempio, che uno si
renda conto, sia pure solo in maniera approssimativa, dell’andatura
[18] La modalità di riproduzione operata dalla fotografia con un delle persone, d’altra parte questi non sa certamente nulla in più del
quadro è diversa da quella operata dal film rispetto a una scena allestita loro portamento nella frazione di secondo in cui «muovono un pas-
nello studio cinematografico. Nel primo caso il riprodotto è un’opera so». È la cinepresa, con i suoi mezzi ausiliari – rallentatori, ingrandi-
d’arte e la riproduzione non lo è più; non lo è, così come non è un’opera menti –, a renderglielo accessibile. Egli viene a conoscenza di questo
d’arte la prestazione del direttore di un’orchestra sinfonica; essa, piut- inconscio ottico solo attraverso di essa, così come dell’inconscio pul-
tosto, nel migliore dei casi, è una prestazione artistica. Le cose stanno sionale attraverso la psicanalisi. Ma come quest’ultimo nella battuta
diversamente nel caso della ripresa cinematografica. Qui, infatti, già il ri- di spirito infrange la convenzione, così il primo la infrange nello choc.
prodotto non è un’opera d’arte e la riproduzione lo è tanto poco quanto L’eccentrico è il suo professionista; egli è a casa nei nuovi margini
una qualsiasi fotografia. Anzi, l’opera d’arte nasce qui, nel migliore dei d’azione che sono sorti con la cinepresa. E al loro interno organizza le
casi, dal montaggio di un gran numero di riproduzioni. L’opera d’arte manovre con cui vengono fatte le prove per un nuovo tipo di uomo>.
originale si forma nel film a partire dalle riproduzioni di cose che né in sé E nei nuovi margini d’azione che si formano lo choc è ora a casa, è
sono opere d’arte né risultano tali nella fotografia. Ma cosa sono questi la nuova peculiare prova per verificare non l’astratta libertà della vo-
processi riprodotti – nel film – se non sono opere d’arte? lontà, piuttosto quella concreta, sociale. A dire il vero quest’ultima,
secondo la sua effettiva forma positiva, è politica. E lo choc non lo è;
La risposta deve prendere le mosse dalla prestazione artistica pro- è negativo. Ma è il negativo di nient’altro che, appunto, del positivo
pria dell’attore cinematografico. del comportamento rivoluzionario. Lo choc sconfessa le convenzioni
su cui [si basa il vecchio ordine sociale. E l’abisso che il suo profes-
[19] Tra le funzioni sociali del film la più importante è quella di sionista, l’eccentrico, spalanca tra il proprio comportamento e quello
produrre un equilibrio tra l’uomo e l’apparecchiatura. Questo compi- usuale, fornisce un concetto dell’entità dell’abisso che divide la nuo-
to non spetta affatto solo all’uomo, men che mai alla sola star, piut- va dalla vecchia società]11. Non casualmente il trionfo dei film con
tosto è la macchina da presa a partecipare in modo decisamente es-
senziale alla sua risoluzione. Rendendo essa – attraverso i primi piani, 10 Nell’originale (Benjamin, Kunstwerk, p. 37) il verbo è al presente (scheinen); in accordo
la messa in rilievo di dettagli nascosti, il risalto dato agli ambienti con le forme temporali delle frasi successive, si è scelto di tradurlo all’imperfetto (del resto lo
più ordinari – sempre più drastica e inevitabile la comprensione delle stesso Benjamin correggerà la forma verbale già a partire dalla Zweite Fassung, cfr. ivi, p. 83)
11 Il passo riportato tra parentesi quadre è cancellato con una riga continua (cfr. ivi,
costrizioni da cui la nostra esistenza è governata, da un lato, dall’altro
p. 37).
264 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 265

protagonista l’eccentrico (Exzentrikfilme) avviene all’inizio degli anni cenda. Il film ha intensificato la successione delle immagini, l’occhio
Venti, quando la rivoluzione mondiale appariva ancora possibile. Il ha imparato a fungere da ammortizzatore. Anche le forme, in cui i
riso, che questi film suscitavano, era un riso rivoluzionario. A questo due sono venuti a conoscenza l’uno dell’altro, si possono ripercorrere
proposito si può riconoscere Chaplin come figura storica. storicamente. Prima che comparisse il film, esistevano i libricini in cui
le foto, se le si facevano sfrecciare davanti a sé con una pressione del
[21] La formula in cui si esprime, secondo il suo aspetto tecnico, pollice, rappresentavano allo spettatore un incontro di pugilato o un
la struttura dialettica del film suona: immagini discontinue si avvi- match di tennis. Nei passages c’erano le macchine automatiche, dove,
cendano l’un l’altra secondo una successione continua. La teoria del girando una manovella, veniva fatta scorrere una serie di immagini
film dovrebbe soddisfare entrambi i dati di questa formula. In primo più o meno lascive. Un altro e più importante antecedente del film
luogo, per quanto concerne la continuità, non può essere ignorato è il Kaiserpanorama. In particolare, nel suo caso, non aveva luogo
che il nastro trasportatore della catena di montaggio, il quale gioca soltanto un accomodamento rispetto allo choc con cui le immagini si
un ruolo tanto decisivo nel processo di produzione, viene rappre- sostituivano e susseguivano l’un l’altra – quello choc che, in queste
sentato, nel processo del consumo, per certi versi, dalla pellicola strutture, per così dire a mo’ di avvertimento, veniva annunciato dal
cinematografica. I due dovrebbero esser sorti all’incirca contempo- segnale di un campanello –, piuttosto si preparava con loro anche un
raneamente. Il significato sociale dell’una non può esser pienamente accomodamento sociale. Poiché già queste immagini che avevano ini-
compreso senza quello dell’altro. In ogni caso questa comprensione ziato a mettersi in movimento venivano viste da un pubblico raccolto
è ancora ai suoi primissimi inizi. Le cose non sono del tutto ana- in un medesimo luogo. Ora, avviene certamente qualcosa di simile
loghe con l’altro elemento, quello della discontinuità. Possediamo, di fronte ai quadri o nelle gallerie, ma senza che la loro architettura
rispetto al suo significato, almeno un’indicazione molto importante, venga incontro più da vicino a questo pubblico. Invece, nel Kaiserpa-
che consiste nella circostanza per cui il cinema chapliniano, tra tutti, norama, sono previsti posti la cui ripartizione davanti a differenti ste-
ha ottenuto finora il successo maggiore. Il motivo è estremamen- reoscopi segnala la pluralità dei fruitori delle immagini. Il vuoto può
te concreto. Il gesto di Chaplin non è propriamente teatrale. Non esser benissimo avvertito come piacevole in una pinacoteca, già non
avrebbe potuto reggere sulla scena. La sua straordinaria importanza più col Kaiserpanorama, in nessun caso col cinema. E però ognuno,
consiste nel fatto che questi monta l’uomo all’interno del film secon- nel Kaiserpanorama – come per lo più in una pinacoteca –, ha ancora
do la sua gestualità – quindi secondo il suo portamento sia fisico sia davanti un’immagine tutta per sé. Così la dialettica della questione
spirituale. È questa la novità del gesto di Chaplin: egli disarticola il si esprime proprio nel fatto che qui, poco prima che l’intera contem-
movimento espressivo umano in una serie di piccolissime innerva- plazione di immagini, col film, subisca un mutamento improvviso e
zioni. Ogni singolo suo movimento è composto da una serie di scat- divenga collettiva, il principio della contemplazione individuale di
tose particelle di movimento. Sia che ci si attenga alla sua andatura immagini vien fuori con un nitore pari a quella con cui si esprimeva
o al modo in cui maneggia il suo bastoncino o alza il suo cappello, è un tempo nella contemplazione dell’immagine divina nella cella da
sempre la medesima e frammentata successione di piccolissimi mo- parte del sacerdote.
vimenti, che eleva la legge della successione delle immagini filmiche
a legge della motricità umana. Su cosa si basa allora la comicità di [23] Le segnature dell’epoca, che questa riflessione sull’opera
questo comportamento? d’arte indaga, incidono sulla politica in maniera di gran lunga più
diretta di quanto si potrebbe esser propensi a credere. I movimenti,
[22] L’occhio è venuto incontro al film nella sua capacità di ac- nel cui corso le masse, con un’enfasi e una consapevolezza finora sco-
comodamento, come d’altra parte il film, nel corso dello sviluppo nosciute, conquistano il primo piano della scena storica, hanno reso
tecnico, è venuto incontro all’occhio. Si sono assestati e affiatati a vi- necessarie delle trasformazioni profonde in entrambi gli ambiti – in
266 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 267

quello estetico come in quello politico. Queste trasformazioni, che, in Nel manifesto per la guerra di Marinetti, uscito su La Stampa, si dice:
tutti e due gli ambiti, sono innanzitutto trasformazioni sociali, sono «Da ventisette anni i futuristi si oppongono a che la guerra venga
il campo di battaglia delle lotte politiche del presente. Esse ricevono definita come antiestetica. Pertanto asseriscono: … la guerra è bella,
il loro carattere particolare attraverso il tentativo, ampiamente dif- perché – grazie alle maschere antigas, ai terrificanti megafoni, ai lan-
fuso, di organizzare quei movimenti di massa senza tener conto del ciafiamme e ai piccoli carri armati – fonda il dominio dell’uomo sulla
sovvertimento delle basi sociali, di cui sono espressione e condizione, macchina soggiogata. La guerra è bella perché inaugura la sognata
nell’ordine dei rapporti di produzione e di proprietà. Questo tenta- metallizzazione del corpo umano. La guerra è bella, perché arricchi-
tivo ampiamente diffuso è quello intrapreso dal fascismo. Il segreto sce un prato in fiore delle fiammanti orchidee delle mitragliatrici. La
di tale tentativo sta nel dare ai movimenti di massa un’espressione guerra è bella perché riunisce in una sinfonia il fuoco di fucili, le can-
invece di organizzarli. Oppure, detto altrimenti: il fascismo cerca di nonate, le pause tra gli spari, i profumi e gli odori della decomposi-
dare a questi movimenti di massa una forma immediata, invece di zione. La guerra è bella, perché crea nuove architetture, come i grandi
condurli alla loro forma mediata attraverso il sovvertimento dei rap- carri armati, le geometriche squadriglie aeree, le spirali di fumo ele-
porti di produzione e di proprietà. Questa forma immediata in cui si vantisi da villaggi bruciati e molto altro ancora... I poeti e artisti del
manifestano i movimenti di massa privati del loro scopo proprio, ap- futurismo... si ricordino di questi principi di un’estetica della guerra,
parentemente senza finalità, ma in verità al servizio dei fini di pochi, è perché da essi venga illuminata... la loro lotta per una nuova poesia
il fascismo. Il fascismo, di conseguenza, porta all’estetizzazione della e una nuova plastica!». In questo manifesto tutto è ridicolo, salvo
vita politica. A tale estetizzazione della vita politica il comunismo una cosa: la sua interrogazione principale. Se, infatti, alla domanda
risponde con la politicizzazione dell’arte. Così, incidentalmente, esso intorno all’estetica della guerra presente – ossia intorno alla relazio-
arriva a constatare come l’idealismo piccolo borghese, il quale vede il ne tra il meccanismo dell’appercezione dell’uomo contemporaneo e
suo campo d’azione nell’arte minacciato dal progresso tecnico, trovi lo stato attuale della tecnica bellica – risponde non un bello spirito,
profondamente rifugio nella politica. A partire da Hitler la tradizione ma un dialettico, ne consegue allora una risposta rivoluzionaria. La
di Schwabing ha fatto il suo ingresso in politica; e con Marinetti il cognizione da cui essa deve prendere le mosse è che la grande trasfor-
futurismo, sbarazzatosi dei suoi elementi rivoluzionari, ha procla- mazione del meccanismo appercettivo dell’umanità corrisponde, da
mato l’estetizzazione della politica con lo spirito del borghesuccio un lato, a un reale sviluppo della tecnica, dall’altro, a un’indicazione
furioso. La cognizione di questo stato di cose è decisiva, poiché tutti virtuale12 <relativa al suo impiego nel processo di produzione. Ma
gli sforzi volti all’estetizzazione della politica convergono in un uni- essa determina il cambiamento profondo di quest’ultimo, il quale, da
co punto. Questo punto è la guerra. La guerra, e soltanto la guerra, parte sua, non è possibile in modo altrettanto profondo nella società.
rende possibile dare uno scopo ai movimenti di massa su larga scala Se tale cambiamento della società, vale a dire dell’ordinamento della
salvaguardando i rapporti di proprietà tradizionali. In questi termi- proprietà e, quindi, della produzione, viene impedito, allora l’incre-
ni può esprimersi la situazione dal punto di vista delle masse. Dal mento dei mezzi tecnici, dei ritmi produttivi, delle fonti di energia,
punto di vista della tecnica si esprime nel modo seguente: la guerra, etc. spinge verso un altro tipo di impiego. Essi vengono utilizzati nel-
e soltanto la guerra, rende possibile mobilitare tutti i mezzi tecnici la guerra, la quale, con le sue distruzioni, produce la prova del fatto
dell’epoca salvaguardando i rapporti di proprietà tradizionali. È ov- che la società non era matura per fare della tecnica il proprio organo,
vio che l’apoteosi della guerra da parte del fascismo non si basava su che la tecnica non era forte abbastanza per padroneggiare le forze
queste riflessioni. Tuttavia è istruttivo gettare uno sguardo su di esse, sociali elementari … da un lato, con il suo impiego insufficiente nel
sia anche solo per legare alla loro considerazione della guerra come
opera d’arte la sua caratteristica, conforme al vero, quale si lascia 12 Appare in questo punto una prosecuzione alternativa della frase cancellata da Benja-

eventualmente evincere molto bene dal punto di vista «estetico». [24] min: «[un’indicazione virtuale] relativa ai profondi mutamenti della costituzione sociale»
(cfr. Benjamin, Kunstwerk, p. 43).
268 walter benjamin l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. 1a versione 269

processo di produzione dall’altro13 … rivolta schiavile della tecnica politica perseguita dal fascismo, il comunismo gli risponde con la
(Sklavenaufstand der Technik), in cui la storia riscuote i propri cre- politicizzazione dell’arte.
diti nel modo più spietato. Se la società dovesse impedirle la media-
zione attraverso il processo di produzione, essa raggiungerà la stessa La riproduzione di masse si presta particolarmente alla riprodu-
meta in maniera diretta. Invece di impiegare il potenziale fornito dal- zione massificata. Nei grandi cortei di festa, nelle adunate mostruose,
la tecnica per la produzione di beni, lo utilizzerà per la distruzione di nelle grandi manifestazioni sportive e nella guerra, i quali tutti, oggi,
uomini. Al posto della materia avrà per oggetto il materiale umano; vengono portati davanti alla macchina da presa, la massa guarda in
e precisamente come oggetto delle sue armi da fuoco ed esplosivi>. faccia se stessa. <Ora, questo processo, la cui portata è naturalmente
Dove queste ultime condizioni non si verificano, la storia riscuote i smisurata, è connesso, nel modo più profondo, con lo sviluppo del-
propri crediti nel modo più spietato. Essa garantirà, in ogni caso, i la tecnica di riproduzione>. Ora, è qui decisivo che i movimenti di
loro diritti ai nuovi bisogni dell’apparato appercettivo umano – in massa si presentino in generale più chiaramente all’apparecchiatura
base a come essi vengono condizionati dall’adeguamento dell’atti- che all’occhio. Gruppi di centinaia di migliaia di persone si colgono
vità umana all’apparecchiatura14. Se la società non dovesse permet- meglio da una prospettiva a volo d’uccello piuttosto che da un punto
terglielo secondo una modalità mediata dal processo di produzione, di vista posto sullo stesso piano e se questa prospettiva è accessibile
raggiungerà la stessa meta in maniera immediata. Invece di centrali all’occhio umano tanto quanto all’apparecchiatura, allora per l’im-
elettriche installerà nel paesaggio l’uomo stesso, ossia eserciti. Invece magine che l’occhio ne ricava l’ingrandimento a cui è sottoposta la
di esporre l’occhio allo choc delle immagini, esporrà il corpo umano, ripresa non è più possibile. Ciò significa che i movimenti di massa,
nel fuoco delle mitragliatrici, allo choc della materia stessa. Invece e primo fra tutti la guerra, rappresentano una forma del comporta-
di impiegare la forza delle masse da essa dispiegate sulla materia, la mento umano che si presta particolarmente all’apparecchiatura.
impiegherà sul materiale umano (del nemico). Invece di promuovere
l’annientamento dell’aura attraverso il potenziamento dei trasporti, Le segnature dell’epoca, che questa riflessione sull’opera d’arte
intraprenderà, impedendo la circolazione, l’inclusione dell’estrema indaga, incidono sulla politica in maniera di gran lunga più diretta
lontananza nel calcolo più prossimo in forma di computazioni ba- di quanto si potrebbe esser propensi a credere. Innanzitutto è già
listiche e conseguirà, con la guerra chimica, il più letterale e diretto evidente che i mutamenti profondi avvenuti in entrambi gli ambiti –
annientamento dell’aura. Invece, quindi, di mostrare i nuovi bisogni quello estetico come quello politico – sono connessi con quel grande
dell’apparato associativo, l’umanità stessa mostra il proprio appara- movimento delle masse nel cui corso queste ultime, con un’enfasi
to associativo come spettacolo ideale. Questo è, chiaramente, il com- e una consapevolezza finora sconosciute, conquistano il primo pia-
pimento dell’art pour l’art – e l’umanità, che con Nietzsche era anco- no sulla scena storica. Ciò trova la sua espressione drastica in due
ra uno spettacolo per gli dei, lo è diventata adesso per se medesima. dei più importanti cambiamenti dell’epoca, la cui comune e naturale
L’autoestraniamento ha raggiunto quel grado tale per cui l’umanità forma di manifestazione è il fascismo. Si tratta del tramonto della
può fare esperienza del proprio annientamento come soddisfazione democrazia e della preparazione della guerra. Adesso, presumendo
delle sue più elevate esigenze estetiche. Questa è l’estetizzazione della che questa affermazione, a cui seguirà la prova, sia pertinente, si po-
trebbe sollevare la domanda: come è possibile, nell’ambito dell’arte,
aspettarsi una funzione salvifica da forze che, nell’ambito della po-
13 Questo passo trova una formulazione compiuta nelle stesure successive: cfr. Benja-
litica, conducono al fascismo? Bisogna rispondere in questo modo:
min, Kunstwerk, Zweite Fassung, p. 92; Dritte Fassung, p. 141; Vierte Fassung, p. 199;
Fünfte Fassung, p. 250. l’arte non è soltanto, come ha mostrato la psicanalisi, quell’ambito
14 Nel testo compare questa variante cancellata: «[in base a come essi vengono con- specifico in cui i conflitti della singola esistenza possono esser con-
dizionati] nella forma di choc dell’esperienza e nella forma di test della prestazione nel dotti a una risoluzione, piuttosto ha la stessa funzione, forse in modo
montaggio» (cfr. ivi, p. 43).
270 walter benjamin

ancora più intenso, su scala sociale. Perciò la forza devastante, insita Indice dei nomi
nelle tendenze in essa pacificate, vale tanto poco contro l’arte quanto
(Il nome di Walter Benjamin non è incluso nell’Indice. In corsivo l’indicazione delle
la follia, in cui i conflitti individuali che il creatore ha pacificato in pagine relative alla Prima versione del saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua
essa avrebbero potuto farlo precipitare in vita, <in modo diretto o in- riproducibilità tecnica).
diretto>. All’estetizzazione della vita politica perseguita dal fascismo
il comunismo risponde con la politicizzazione dell’arte.

È la peculiarità del fascismo, quella di dare l’espressione più im-


mediata a questi movimenti di massa. E tale espressione più imme-
diata è la guerra.
In Germania la tradizione di Schwabing ha fatto il suo ingresso
Adorno Karplus, Gretel, 18n, 19n, Baudelaire, Charles, 20, 31 e n, 44n,
in politica. In Italia il futurismo si è spogliato dei suoi elementi ri- 95n, 131 e n, 227n, 228 e n, 234 105n, 123-124, 125 e n, 126-127,
voluzionari per proclamare, nello spirito del borghesuccio furioso Adorno, Theodor Wiesengrund, 14, 129, 130 e n, 131, 132 e n, 135, 148
Marinetti, l’estetizzazione della politica. 18, 32, 68, 100n, 124 e n, 125, e n, 149 e n, 150n, 153-154, 155 e n,
127 e n, 144, 145n, 149n, 150n, 156, 159, 160 e n, 161, 164, 169n,
160 e n, 161n, 194, 197 e n, 198- 181, 182n, 183n, 207, 213n
199, 201-202, 207n, 214n, 215, Baumgarten, Alexander Gottlieb, 28
216n, 228 e n, 234 Benjamin (Pollak Kellner), Dora, 46n
Agamben, Giorgio, 44n, 49 e n, 125 e Benveniste, Emile, 48, 49 e n
n, 149n, 150n, 155n Bertani, Mauro, 111n
Amato, Massimo, 115n Bianco, Giuseppe, 49n
Aragon, Louis, 82, 135n Blaupot ten Cate, Annemarie, 22 e n,
Arcuri, Carlo, 66n 227n
Arendt, Hannah, 33, 125, 175, 213 e n Boarini, Francesca, 84n, 162n
Aristotele, 20, 86 Bobbio, Norberto, 100n, 204n
Arnheim, Rudolf, 17n Bonadies, Carlo Alberto, 47n
Aron, Raymond, 18n Bonola, Gianfranco, 116n, 151n, 163n,
Arp, Hans Jean, 128 179n, 197n, 207n
Arrasse, Daniel, 74 Bordwell, David, 97n, 104 e n, 105 e
Artaud, Antonin, 129 n, 106
Asholt, Wolfgang, 45n Botto, Margherita, 95n
Atget, Eugène, 253 Bratu Hansen, Miriam 39n, 100n
Brecht, Bertolt, 7, 13-14, 18, 82n,
Bach, Johann Sebastian, 62 83n, 127, 151n, 202, 206, 218,
Backhaus, Giorgio, 110n, 131n, 139n, 228 e n, 229, 231, 259
141n Bredel, Willy, 14 e n, 228n
Bacon, Francis, 129 Brill, Hans Klaus, 18n, 140, 142n, 228
Baldi, Massimo, 9, 13n, 14n, 21n, 37n, Broll, Simon, 7, 9, 19n, 227, 231
38n, 75n, 77n, 140n, 158n, 159n, Butler, Judith, 130 e n
163n, 164n, 167n, 168n, 170n,
* Benjamin fa qui riferimento verosimilmente ai seguenti lungometraggi: Cleopatra, 171n, 191n, 234n, 235n, 237 Cacciari, Massimo, 9, 119n, 126 e n,
di Cecil B. DeMille (USA 1934); Ben Hur, di Fred Niblo (USA 1925); Fridericus Rex, di Balicco, Daniele, 201n 234n
Arzen von Czerépy (Germania 1922); Napoléon, di Abel Gance (Francia 1927).
272 indice dei nomi indice dei nomi 273

Caillois, Roland, 167n 140n, 151n, 158n-160n, 163n, 164n, Giorgetti, Giorgio, 156n Kant, Immanuel, 32-33, 63, 67, 68n,
Calvino, Italo, 45n 166n-168n, 170n, 171n, 183n, 191n, Gödde, Christian, 9, 19n, 131n 174-175
Caracciolo, Alberto, 196n 208n, 228n, 234 e n, 235n, 237 Goethe, Johann Wolfgang, 41n, 52, Kaulen, Heinrich, 47n, 95n
Carbone, Mauro, 102n Didi-Huberman, Georges, 217n 193, 204 Kemp, Wolfgang, 96n
Carchia, Gianni, 47n, 48n, 51n, 54n, Disney, Walt, 90-91 Grassi, Letizia, 69n Klee, Paul, 68, 151n
169n, 170n Duchamp, Marcel, 63, 200 Grillo, Enzo, 118n Klossowski, Pierre, 37, 39n, 93, 140
Carrol, Noël, 104, 105 e n, 106 e n, 107 Duhamel, Georges, 199 e n Grimme, Hubert, 111 Kracauer, Siegrfried, 17n, 18, 100n
Caruso, Paolo, 135n Dürer, Albrecht, 35 Gröber, Karl, 48n Kraft, Werner, 21, 22n, 38 e n, 95n, 227n
Cases, Cesare, 231n, 232n, 237 Duttlinger, Carolin, 107n, 159n Guastini, Daniele, 208n Küpper, Thomas, 37n
Castellani, Emilio, 47n Guattari, Pierre-Félix, 66n
Celan, Paul, 66 e n Eco, Umberto, 75 Guerrini Verga, Loretta, 21n Labarthe, Patrick, 130 e n
Cetti Marinoni, Bianca, 46n, 85n, 213n Eddington, Arthur, 252 Guglielmi, Giuseppe, 53n Lacis, Asja, 54n
Cézanne, Paul, 63, 106 Eiland, Howard, 47n Gurisatti, Giovanni, 163n, 169n, 195n Lamarque, Vivian, 195n
Chabris, Christopher, 107n Emery, Nicola,147n Landshut, Siegfried, 204n
Chaplin, Charlie, 30, 60, 91, 158n, Engels, Friedrich, 156n Haas, Willy, 14n Lenin, Vladimir Ilič Ul’janov, 149n, 252
159, 259, 264 Harap, Louis, 16-17 Leonardo da Vinci, 35
Chiarini, Luigi, 17n Ferrari, Federico, 235 e n, 237 Härle, Clemens-Carl, 44n, 125n, 149n, Leopardi, Giacomo, 113n
Chiodi, Pietro, 110n, 115n Filardo, Peter, 17n 151n, 155n Leskov, Nicolaj Semënovič, 158n, 213
Chitussi, Barbara, 44n, 125n, 149n, 155n Filippini, Enrico, 9-10, 23n, 59n, 104n, Haug, Steffen, 46n, 85n, 213n Leyda, Jay, 14-16, 17n, 18
Coccia, Emanuele, 144n 109n, 127n, 158n, 159n, 164n, 168n, Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 91, Leyda, Si-Lan Chen, 17n
Cohn, Alfred, 151n, 227n, 228n 170n, 171n, 191n, 208n, 218n, 231- 109, 112 e n, 203 e n Lindner, Burkhardt, 7, 9, 19n, 37n,
Colli, Giorgio, 133n 233 e n, 234n, 235, 237 Heidegger, Martin, 18n, 19n, 34, 110 38n, 47n, 96n, 227, 229, 231
Costa, Maria Teresa, 157n Fontana, Lucio, 129 e n, 115 e n, 194, 195n Lonitz, Henri, 9, 19n, 124n, 131n
Crary, Jonathan, 103,104 e n, 105 Foster, Hal, 104n Heilmann, Luigi, 69n Loos, Adolf, 151n
Cuniberto, Flavio, 25n, 126n, 220n Foucault, Michel, 61 e n, 110n, 111n, Heise, Rosemarie, 125 e n Lukács, György, 77
Czerépy, Arzen von, 270n 148 e n, 151 e n Heissenbüttel, Helmut, 125 Lyotard, Jean-François, 61, 73 e n
Fourier, Charles, 45n, 171 Helmholtz, Hermann von, 97n
D’Angelo, Paolo, 68n Freud, Sigmund, 52, 84-87, 252 Hermann, Friedrich-Wilhelm, 115n Macchia, Giovanni, 132n
Dante Alighieri, 193 Hildebrand, Adolf, 97e n Mack, Arien, 107n
Danto, Arthur, 105 e n Gaiger, Jason, 97n Hitler, Adolf, 88-89, 266 Malevič, Kazimir Severinovič, 74
David, Jacques-Louis, 63 Galli, Carlo, 197n Hobrecker, Karl, 50n Mallarmé, Stéphane, 79n, 129
Davis, Whitney, 97n, 105 e n Gance, Abel, 23, 270n Hoernle, Edwin, 47n Malraux, André, 18
Debray, Régis, 104 e n Gandini, Umberto, 52n Horkheimer, Max, 17n, 18 e n, 20-21, Mann, Thomas, 77, 80
de Duras, Claire Louisa Rose Bonne, 76n Ganni, Enrico, 9, 53n, 55n, 88n, 100n, 22 e n, 95 e n, 131 e n, 139-142 e n, Marelli, Ugo, 172n, 232n
De Gennaro, Ivo, 115n 123n, 125n, 191n, 205n 143-145, 146 e n, 147 e n, 148, 197 Marietti Solmi, Anna Maria, 80n, 85n,
De Leonardis, Fabio, 130n Gans, Eduard, 203n e n, 198, 227n, 228 e n, 230, 235 97n, 100n, 110n, 116n, 118n, 128n,
Deleuze, Gilles, 53n, 66 e n Garber, Klaus, 18n, 45n 131n, 139n, 143n, 164n, 201n,
De Lorenzis, Angela, 66n Gargiulo, Alfredo, 68n Jaeger, Petra, 195n 214n, 217n
De Martino, Ernesto, 42 e n Garroni, Emilio, 174 e n Jakobson, Roman, 69 e n, 70 Marinetti, Filippo Tommaso, 80, 194
DeMille, Cecil B., 270n Gell, Alfred, 218n Jennings, Michael J., 47n, 96n e n, 238, 266-267, 270
Descartes, René, 204 Gentili, Dario, 7, 87n, 148n Jouve, Pierre Jean, 18 Marini, Giuliano, 203n
Desideri, Fabrizio, 9, 13,14n, 18n, 21n, George, Stefan, 80 Jünger, Ernst, 80, 191n Marx, Karl, 17, 76, 82, 87, 99, 100 e
26n, 28n, 32n, 35n, 37n, 38n, 41n, Giacometti, Alberto, 62, 129 n, 116, 118 e n, 156 e n, 191-193,
43n, 48n, 54n, 75 e n, 77n, 110n, Giametta, Sossio, 133n Kafka, Franz, 65 e n, 127, 135 e n, 213 198, 204 e n
Kandinskij, Wassilj, 129 e n Matassi, Elio, 207n
274 indice dei nomi indice dei nomi 275

Mayer, Jacob Peter, 204n Platone, 20 Schiller, Friedrich, 32, 47n, 48n, 82n, 175 Tavani, Elena, 207n
McFarland, James, 87n Podszus, Friedrich, 228n Schivelbusch, Wolfgang, 105, 106n Tiedemann, Rolf, 9, 125
Mecacci, Andrea, 169n Poe, Edgar Allan, 154, 156 Schmidt, Alfred, 141n Traverso, Leone, 109n
Melville, Hermann, 17n Pontiggia, Elena, 195n Schmitt, Carl, 192n, 196 e n
Michel, Karl Markus, 112n, 203n Ponzi, Mauro, 7, 77n, 81n, 84n Scholem, Gershom, 18, 46n, 95n, 110n, Valagussa, Francesco, 9, 109n, 126n,
Michelangelo Buonarroti, 111 Principe, Quirino, 191n 127, 131 e n, 158n, 227n 127n, 159n, 164n, 168n, 171n,
Miglio, Gianfranco, 192n Proust, Marcel, 127, 134, 135n, 205, Schöttker, Detlev, 46n, 85n, 213n 191n, 208n, 234 e n, 237
Mitchell, William John Thomas, 108n 206n Schweppenhäuser, Hermann, 9, 207n Valéry, Paul, 31, 76-77n, 104 e n, 195
Moldenhauer, Eva, 112n, 203n Pullega, Paolo, 232 e n Sers, Philippe, 129n e n, 196n, 198, 199n
Monet, Claude-Oscar, 129 Shakespeare, William, 193 Vehlow, Katja, 17n
Montale, Eugenio, 130, 133 e n, 134 Quadrio Curzio, Ginevra, 144n, 145n, Sichirollo, Livio, 167n Vertov, Dziga (Denis Arkad´evič Kaufman),
Montani, Pietro, 107 e n, 163n, 165n, 158n, 233n Simmel, Georg, 99-100, 101 e n, 121 e n 187n
174, 175n, 208n Simons, Daniel, 107n Virno, Paolo, 53 e n, 56n
Montesano, Giuseppe, 132n Raboni, Giovanni, 132n, 135n Sisto V, papa (Felice Peretti), 111 Volpi, Franco, 195n
Montinari, Mazzino, 133n Radt, Fritz, 97n Skrandies, Timo, 37n
Morresi, Ruggero, 167n Raffaello Sanzio 111-112 Solmi, Renato, 31n, 41n, 51n, 88n, Wahl, Jean, 18
Moscati, Antonella, 61n Ramuz, Charles Ferdinand, 34 e n 105n, 113n, 125n, 129n, 158n, Weidner, Daniel, 159n
Musil, Robert, 63 Ranchetti, Michele, 116n, 179n, 197n, 181n, 197n, 207n, 213n Weigel, Sigrid, 85 e n, 87 e n, 88, 157n,
Mussolini, Benito, 88 207n Solmi, Sergio, 113n 159n
Mussorgsky, Modest Petrovič, 17n Rancière, Jacques, 35n Somaini, Antonio, 10, 80n, 93n, 95n, Weil, Eric(h), 166, 167 e n, 168
Raulet, Gérard, 116n, 171n, 179n, 197n, 103n, 157n, 158n, 170n, 174n, Wickhoff, Franz, 96 e n, 99
Nanay, Bence, 97n, 106n, 107n 207n 175 e n, 235 e n, 237 Winckelmann, Johann Joachim, 82n
Newall, Michael, 97n Rehm, Ludwig, 18n, 45n Sossi, Federica, 73n Windelband, Wilhelm, 68n
Newton, Isaac, 204 Rella, Franco, 133n, 135n Stalin (Iosif Vissarionovič), 89 Wölfflin, Heinrich, 96n, 97 e n, 98 e n,
Niblo, Fred, 270n Rensi, Giuseppe, 121n Steiner, Uwe, 96n 99, 102
Nietzsche, Friedrich, 81n, 87n, 110n, 111n, Riediger, Hellmut, 9-10, 59n, 158n, Sternberger, Dolf, 18n, 95 e n
121, 124, 133 e n, 201n, 244, 268 170n, 171n, 232 e n, 235, 237 Stimilli, Elettra, 7 Zampa, Giorgio, 133n
Nitsche, Jessica, 7, 9, 19n, 227, 231 Riefenstahl, Leni, 80 Stramm, August, 251 Zaoui, Pierre, 153n, 154 e n
Nurmi, Paavo, 255 Riegl, Alois, 96-97 e n, 98, 102
Rilke, Rainer Maria, 109 e n, 128, 251
Omero, 73 Ritter Santini, Lea, 213n
Rizzo, Rossella 235 e n, 237
Palma, Massimo, 171n Rjazanov, David, 156n
Panofsky, Erwin, 17n, 98 e n, 99 e n Rock, Irvin, 107n
Panzieri, Renato, 197n Ryman, Robert, 200
Papi, Angelo, 21n
Pedullà, Gabriele, 171n Salles, Georges, 95 e n
Peterson, Thomas, 163n Schapiro, Meyer, 18 e n
Picasso, Pablo, 60, 251 Scheerbart, Paul, 151n
Pinna, Giovanna, 48n Schiavoni, Giulio, 10, 47n, 50n, 75 e
Pinotti, Andrea, 10, 80n, 93n, 95n, n, 84n, 158n, 159n, 163n, 164n,
157n, 158n, 170n, 174n, 175 e n, 171n, 193n, 236 e n, 237
235 e n, 237 Schiera, Pierangelo, 192n
Pirandello, Luigi, 26, 82-83, 88 Schillemeit, Jost, 135n

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