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Alessandro Del Puppo

Egemonia e consenso
Ideologie visive nell’arte italiana del Novecento

Quodlibet
Prima edizione: dicembre 2019 Indice
© 2019 Quodlibet srl
Via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi, 23 - 62100 Macerata
www.quodlibet.it
isbn 978-88-229-0424-9

Storia dell’arte
Collana a cura di Laura Iamurri

Comitato scientifico: Giovanna Capitelli (Università degli Studi Roma Tre), Laura Cavazzini
(Università di Trento), Valérie Da Costa (Université de Strasbourg), Raffella Morselli (Universi-
tà degli Studi di Teramo), Mauro Natale (Université de Genève).
9 Introduzione
Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio
Culturale, Università degli Studi di Udine. Prid 2018: «Egemonia e consenso».

1. Tintoretto pittore del Novecento


13 Passato e presente
16 Una bella mostra in un brutto anno
21 Tintoretto in camicia nera

2. Sul dubbio vantaggio d’essere pittore europeo


29 Avanguardie di frontiera
31 Un eccentrico a Torino
34 Disegni e quadri
40 Precursore e maestro

3. Silone e Greenberg, 1944


45 Un foglio socialista
48 Le parole per dirlo
50 Cronaca di un plagio
54 O moderno o cristiano

4. Banfi e la moralità della pittura


61 Un saggio di non sola filosofia
63 Moralismo e moralità
66 Poesia moderna e vita morale
6 indice indice 7

67 Moralità e ortodossia 154 Tutti a Venezia


68 Realismo e moralità 156 Due maestri e un singolare allievo
71 Moralità e modernismo
10. Didattica e controdidattica, 1968
5. Cagli/Pizzinato, 1947 161 Svolta «epocale»?

79 Un pittore, due sponde 163 I precedenti

83 Oltre gli schieramenti 164 L’occupazione del 1968

88 Astrattismo classico 172 Da studenti a militanti

91 Continuità attraverso il mito 177 Ritualità e inadempienze


181 Che cosa è rimasto
6. Courbet, 1954
185 Elenco delle illustrazioni
95 Due mostre italiane
187 Indice dei nomi
96 Realismo politico
98 Courbet comunardo comunista
100 Una retrospettiva per la guerra fredda
104 Il gioco delle parti
107 Gli opposti schieramenti
111 Ricordo di cosa?

7. Leoncillo e la crisi del realismo


117 La questione della scultura
124 Il fattore F

8. Eredità bizantine
131 Un termine derisorio
134 Licini e Amalassunta
138 Fontana e Venezia
142 Storiografia e critica

9. Burri/Guttuso, 1960
147 Un confronto possibile?
153 Materia e pittura
Introduzione

I capitoli che compongono questo libro sono dedicati alla fortuna


di antichi maestri come Tintoretto, oppure a recuperi di linguaggi e sti-
li passati come l’arte bizantina; vi sono sondaggi su singole personalità
(tre eccentrici par excellence come Luigi Spazzapan, Corrado Cagli e
Leoncillo) o su somme lezioni, come alcune pagine di Antonio Banfi
che ebbero importanti conseguenze per le arti visive, pur non parlando
apertamente di esse. Ma ci sono anche ricostruzioni un po’ pettego-
le su relazioni pericolose: un vecchio fossile come Gustave Courbet
assurto negli anni della guerra fredda a santino realista e comunista,
oppure Alberto Burri che nel pieno del boom viene letto, interpretato
e anche un po’ copiato da Renato Guttuso. Si troverà inoltre la rico-
struzione di un plagio di solare evidenza (Ignazio Silone che riscrive a
propria immagine e somiglianza un seminale articolo di Clement Gre-
enberg, anche se non se ne accorse nessuno) e il racconto di fatti che
mantennero un certo loro impatto nella longue durée, come la farsesca
occupazione dell’Accademia di Venezia nel 1968.
Questi casi di studio spaziano grosso modo nell’arco di un tren-
tennio, dal 1937 alla fine degli anni sessanta. È una periodizzazione
che sarebbe pressoché impossibile concepire, se non con un certo
stridore di denti, abituati come siamo a cronologie di comodo, come
quelle dettate dalle «generazioni» o dai decenni, e soprattutto a ce-
sure di comodo, specie quando «epocali». In realtà, si tratta qui dei
capitoli di una storia dell’arte fatta e vissuta in Italia, anche se non
necessariamente e soltanto italiana, che incappa in tagliole ideologi-
che (l’imperialismo del 1937, l’«antimperialismo» del 1968), in cla-
morose incomprensioni, oppure in occasioni splendide quanto isola-
te, e per questo ancor più interessanti.
Dietro ciascuno di questi casi trapela lo schermo di sistemi di pen-
siero, di opportunismi, di sbrigative forme di convenienza, d’incom-
10 egemonia e consenso introduzione 11

prensioni e di strumentalizzazioni che non di rado fecero velo alle Francesco Tedeschi, Milano 2015; Crocevia Biennale, a cura di Fran-
intenzioni degli autori e delle opere, proiettando di sovente il singolo cesca Castellani e Eleonora Charans, Venezia 2013; Novecento bizan-
e irriducibile episodio di arte visiva (quella vecchia cosa chiamata tino, a cura di Massimo Bernabò e Gerhard Wolf, Firenze 2005; le
creazione, o poesia) verso un «sistema» interpretativo. mostre Luigi Spazzapan. La collezione Citelli della Fondazione Cassa
L’antitesi è di vecchia data e ben inscritta nella storia della cultura, di Risparmio di Gorizia, a cura di Annalia Delneri, Gradisca d’Isonzo
non solo figurativa, dell’Italia del Novecento. Da un lato agisce cioè 2014; Corrado Cagli e il suo magistero. Arte in Italia dalla Scuola Ro-
l’«autore»: individuo, titolare di una propria irriducibile soggettività mana all’astrattismo, a cura di Fabio Benzi, Pordenone 2010 e infine il
e ambizioso di ottenere la convalida, non necessariamente sociale, volume collettaneo L’Accademia di Belle Arti di Venezia. Il Novecento,
della propria creatività e, con essa, il lignaggio d’intellettuale. Dall’al- a cura di Sileno Salvagnini, Treviso 2016.
tro lato si muove un più vasto agglomerato di corpi intermedi – enti A tutti coloro, e non soltanto quelli qui nominati, che mi hanno
ed istituti espositivi, critici e intellettuali, accademici e professionisti procurato queste occasioni di studio e di confronto, rivolgo il mio
della cultura – che agisce entro un sistema, delimitando campi di più sentito ringraziamento. Il libro è dedicato a Maria Mimita Lam-
forze e fluttuando entro categorie e generi. Non sempre con risultati berti in ricordo dei suoi corsi udinesi.
preclari. Talvolta, le parole della storia dell’arte si confondono con la
platea sonante degli esegeti, incappano in forzature, accettano l’iner-
zia (o la forza, che è poi lo stesso) della Storia.
Tali le ragioni del titolo in tal modo escogitato. Non per questo
verrà scomodato Antonio Gramsci e neppure Renzo De Felice. Né
qui ci si dilungherà oltre in considerazioni metodologiche per dissi-
mulare il carattere occasionale ma, tale è l’auspicio, non arbitrario
né incoerente di questi interventi. Non necessariamente i frammenti
raccolti devono comporre un quadro compiuto e rifinito. Quello che
conta è l’abbozzo, ancorché sommario, di un’immagine complessiva.
Lo scopo di questo libro è dunque molto più modesto: dare una
sorta di continuità alle ricerche raccolte nel precedente Modernità
e nazione (2012) per provare a raccontare alcune vicende dell’arte
italiana del Novecento attraverso il prisma delle ideologie visive di
volta in volta sottese.
Le parti che compongono questo libro sono state presentate e di-
scusse nel corso degli ultimi anni in diverse occasioni di studio e sono
state talora pubblicate in prime versioni nei relativi atti o cataloghi.
Ne rendo qui conto: sono i convegni All’origine delle grandi mostre
in Italia (1933-1940), a cura di Marco Folin e Marcello Toffanello,
Ferrara 2012; Storia dell’arte, storia della critica, storia della politica.
L’entre deux guerres in Italia, a cura di Michele Dantini, Perugia 2018;
Antonio Banfi, a cura di Sileno Salvagnini e Enrico Crispolti, Siena
2006; Natura ed espressione: l’apporto sofferto di Leoncillo, a cura di
Stefania Petrillo, Spoleto 2015; Burri nell’arte e nella critica, a cura di
78 egemonia e consenso

avevano accolto la teoria, a scontare il loro marxismo vedendo isteri- 5.


lita, in nome di una rigida ortodossia di partito, l’indubbia fecondità Cagli/Pizzinato, 1947
delle premesse estetiche.
La storia novecentesca di un concetto così difficile, e così perico-
loso, come quello della «moralità» nell’arte sembrerebbe finire qui.
Non che il termine sia poi sparito dalle scritture degli artisti.
I giovani scapestrati firmatari del Manifesto di Albisola Marina
sentirono ancora il dovere, in un’Italia che nel 1957 stava scoprendo-
si moderna e affluente, di scomodare il termine per la loro petizione
di principio. Fa quasi sorridere questo passo, per le sue reminiscenze
futuriste e una certa utopia romantica: «Cerchi concentrici, originati
Un pittore, due sponde
dalle più intime necessita dell’Io, si allargheranno per raggiungere
una apertura totale; sarà la nascita di un linguaggio legittimato da
Più si studiano le vicende dell’arte italiana dell’immediato secon-
un nuovo senso morale»48.
do dopoguerra tanto più emerge come dato di fatto la straordinaria
È davvero arduo provare a capire cosa si volesse intendere con
fluidità di eventi, opere e narrazioni, rispetto alle rigide polarità in-
«nuovo senso morale». Tanto valeva liquidarlo, lasciar perdere le
torno a cui, per comodità di riepilogo, ortodossia o inerzia ideologi-
«intime necessità dell’Io», affidarsi all’evidenza naturale delle cose
ca, si è quasi sempre indugiato.
lasciate affiorare nella loro materialità e assecondate nel loro diveni-
Le ragioni per cui una netta contrapposizione, poniamo, tra pit-
re. In fin dei conti, si possono intendere in questo modo molte cose
tori figurativi e astratti offre un diagramma assai parziale dei som-
accadute durante gli anni sessanta.
movimenti di quegli anni sono date proprio dalla loro eccezionalità.
Come un organismo a struttura semplice, l’artista si confonde con l’am- Nell’arco di un triennio, o poco meno, si compì infatti una delle
biente, si mimetizza con esso, allarga la sua soglia di percezione; apre un rap- più formidabili operazioni di riposizionamento critico, culturale e
porto nuovo con il mondo delle cose. Ciò con cui l’artista entra in rapporto operativo di artisti e intellettuali. Nella nazione c’era molto in gioco.
non viene però rielaborato; su di esso non esprime un giudizio, non cerca un Per alcuni, il difficile mantenimento delle rendite di posizione godu-
valore morale o sociale, non lo manipola: lo lascia scoperto ed appariscente, te nell’ancien régime. Per altri, lo spazio di manovra definitivo per
attinge alla sostanza dell’evento naturale, quale la crescita di una pianta, la scardinare vetusti equilibri e puntare alle non disprezzabili risorse
reazione chimica di un minerale, il comportamento di un fiume, della neve,
d’un nuovo ceto di collezionisti, rastremato ma affluente. Per tutti
dell’erba e del terreno, la caduta di un peso, si immedesima con essi per vivere
la meravigliante organizzazione delle cose viventi49. quanti, le possibilità stesse di continuità del proprio lavoro, una vol-
ta scontato il crollo definitivo del sistema istituzionale di cattedre,
Inizia qui una nuova storia. Non più l’artista che definisce e si defini- committenze, prebende e premi, e il periodo più o meno lungo d’i-
sce attraverso una morale, quanto un operatore che agisce senza pregiu- nattività durante la guerra.
dizio nella natura. Ecologia, non ideologia. Questa almeno l’intenzione. Fascista ambizioso e rampante nel 1935, «giudeo degenerato» nel
giudizio degli Interlandi e dei Pensabene nel 1938, soldato dell’eser-
cito di liberazione nel 1945: l’eccezionalità di Cagli stava nell’aver
48 Guido Biasi, Mario Colucci, Piero Manzoni, Ettore Sordini, Angelo Verga, Manife-
occupato in pochi anni, e con una profonda e diretta vicenda esisten-
sto di Albisola Marina, agosto 1957, in N. Ponente (a cura di), Linee della ricerca artistica
ziale, posizioni così apertamente contrapposte. Aver mantenuto una
in Italia, 1960-1980, catalogo della mostra (Roma, Istituto di Storia dell’Arte, 1981), De
Luca, Roma 1981. presunzione di continuità sul piano artistico e rigettato la retorica
49 G. Celant, Arte Povera, Mazzotta, Milano 1969, s.n.p. della redenzione (non avendone alcun bisogno) è quanto doveva ri-
80 egemonia e consenso 5. cagli/pizzinato, 1947 81

sultare inaccettabile, o incomprensibile, agli occhi di tanti intellettua- crosta dei neocubisti, ti accorgi che sotto portano ancora la stinta
li prontamente convertiti1. bandiera del “neorealismo”»5.
Ancor più sbalorditiva la noncuranza con cui il pittore si muove- Se questa era la cornice, non sorprende l’isolamento e l’incompren-
va tra figurazione e astrazione. Così si spiega non solo la ben nota e sione dell’azione di Cagli. È noto che, in sua difesa, un critico marxi-
altrettanto ingenua contestazione dei giovani «formalisti-marxisti» sta come Antonello Trombadori aveva riconosciuto sulle pagine del-
di Forma 1 in occasione della mostra romana di Cagli nel 1947, ma l’«Unità» l’esistenza di un fondamento teorico in grado di ricollegarsi
anche, per fare solo un esempio, i sarcasmi longhiani circa gli «stu- alle esperienze della geometria non euclidea, preannunciando così i
diosissimi fogli a penna» approntati nel 1952 per illustrare la rotta disegni «di quarta dimensione» presentati alla Galleria del Secolo nel
del Po a beneficio dei «Quaderni del disegno popolare»2. Oppure 1949. Si trattava di un nocciolo di problemi matematici che, in quanto
l’incapacità di Francesco Arcangeli nel comprendere gli argomenti tali, potevano rientrare nella sostanza della cultura moderna.
con cui Cagli stava motivando la conversione del «modesto tonali- Era un’idea condivisa anche da Emilio Villa, che proprio nell’atto
sta» Capogrossi alla pittura astratta. Non ci si poteva certo aspettare di presentare il gruppo di Forma 1 scrisse un testo che, a leggerlo
dal critico bolognese un’adesione agli argomenti, certo un po’ in- oggi, non appare certo in contrapposizione al lavoro di Cagli, ben-
tellettualistici, con cui Cagli risaliva a Jung, a Klee o a Riegl. Ma le sì complementare a esso, accogliendo i presupposti di equidistanza
accuse di cinismo e opportunismo stonavano assai se a pronunciarle (o noncuranza) tra realismo e idealismo. Secondo Villa, infatti, la
era colui che nel 1943 aveva denunciato la pittura di Birolli e dei gio- finzione prospettica euclidea era una convenzione ormai indebolita.
vani di «Corrente» come la «radice malata» della pittura italiana3. Egli poteva così invitare i pittori più avveduti a inoltrarsi nel campo
Più in generale, che l’equazione cagliana di possibile coesistenza, dell’intuizione scientifica, in modo da comprendere come «lo spa-
o di non contraddizione, fra formalismo (ossia astrazione) e mar- zio euclideo non rappresenti più uno strumento intoccabile di lavoro
xismo (sub specie engagement realistico) fosse operazione intellet- pacifico, ma solo uno dei possibili casi dello spazio»6. Che un anno
tualmente impervia, nell’Italia manichea del 1947 e dintorni, è fa- dopo Leonardo Sinisgalli scegliesse un disegno di Cagli (accostato,
cile da capire. Ma altrettanto spesso i toni e gli argomenti con cui con una certa sapienza, a Klee) per le tavole del suo Furor mathe-
veniva operata una moralistica censura nei confronti dell’«infinita maticus apparirebbe come una convalida autorevole. Ma tanto la
spregiudicatezza»4 del pittore marchigiano appaiono molto deboli sofisticata operazione di Sinisgalli, nel suo sapore di umanesimo tec-
e di facile disinnesco. Un critico moderato come Marcello Venturoli nologico un po’ rétro, tra Paul Valéry e Savinio, quanto le ermetiche
fornì un buon argomento per sopire le polemiche sollevate da Forma pagine di Villa restavano elegantemente fuori gioco, dinanzi agli ac-
1, riconducendo in sostanza l’episodio all’ingenuità del Cagli post- centi ben più rozzi delle polemiche. Secondo i critici d’area marxista
bellico dinanzi all’asprezza delle contese locali («Forse non ha colto un simile orientamento scientista era piuttosto in grado di controbi-
bene il tempo ed ha sopravvalutato la “democrazia” romana»), e lanciare, e se possibile annullare, i «putridi umori della borghesia»7
additando dietro le minacce il coro zelante degli opportunisti: «L’at- che ancora sopravvivevano nei residui surrealistici e metafisici.
mosfera è surriscaldata, i “cafoni” pullulano; e, se gratti la piccola
5 M. Venturoli, Pugni, schiaffi e pennelli, «La Voce Repubblicana», 6 novembre 1947,

cit. da Misler, La via italiana al realismo cit., p. 125. Sulla situazione romana di questi
1 Cfr. R. Bedarida, Corrado Cagli. La pittura, l’esilio, l’America (1938-1947), Don- anni, cfr. F. Benzi, Gli anni della scuola romana, in Id. (a cura di), Cagli, catalogo della
zelli, Roma 2018. mostra (Ancona, 2006), Skira, Milano 2006, p. 36.
6 E. Villa, Forma 1, Roma, Galleria dell’Art Club, 1947, ora in Critica d’arte 1946-
2 r. l.(onghi), Corrado Cagli e Simone Martini, «Paragone», 25, 1952, p. 64.
3 f.a.(rcangeli), Cataloghi, «Paragone», n. 3, 1950, pp. 62-63 e cfr. Id., Della giovane 1984, a cura di A. De Luca, La Città del Sole, Napoli 2000, p. 31; cfr. C. Portesine, «Ta-
pittura italiana e di una sua radice malata, «Proporzioni», 1, 1943, pp. 85-98. rocchi» o «variazioni»? La collaborazione tra Emilio Villa e Corrado Cagli, «Letteratura
4 La locuzione di Giuseppe Marchiori, che risale al 1953, si legge ora in E. Crispolti, & arte», 15, 2017, pp. 189-199.
7 La definizione è quella data dai giovani di Forma 1 nella lettera a «L’Unità», 13
G. Marchiori, Corrado Cagli, Edizioni d’arte Pozzo, Torino 1964, p. 38.
novembre 1947, ora in Misler, La via italiana al realismo cit., p. 153.
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In verità, siffatti stilemi borghesi non erano affatto spariti. Essi, Oltre gli schieramenti
anzi, furono i nuclei da cui prese forma la poetica postbellica di Ca-
gli. L’autore di dipinti come Teatro tragico, La nascita, Il malgoverno Partirono da qui due questioni importanti. La prima questione è
era consapevole di operare una derivazione da esempi dechirichiani. relativa allo specifico punto di vista che consentì a Cagli di entrare
Approssimandosi ai temi metafisici, Cagli intravide le possibilità di in relazione fruttuosa con artisti francamente distanti tra loro. La
una loro attualità sul piano formale e ideale, quando invece altri pit- seconda questione, cui potremo qui solo accennare, è pertinente al
tori – Birolli tra i primi – vedevano nei maestri storici del Novecento modo in cui la rielaborazione pittorica dei motivi del “mito” svolta
nient’altro che le forme residuali di un vituperato novecentismo. in questi anni manifestasse un triplice carattere di continuità (con le
Nei dipinti che Cagli presentò allo Studio Palma nel 1947 un sem- opere e le intenzioni degli anni d’anteguerra), di coerenza (con i les-
plice tema figurativo, come ad esempio la maschera, poteva infatti sici divergenti di realisti e formalisti) e di congruenza con l’impianto
evolvere a motivo geometrico complesso, echeggiando le complesse ideologico dello storicismo marxista, indipendentemente dalla porta-
articolazioni del nastro di Moebius. Le anatomie dei corpi erano ri- ta e dalla convinzione di un siffatto impegno.
condotte, attraverso un continuo processo di metamorfosi, a un’arti- Tutti questi temi si rintracciano nel rapporto che legò Cagli a Piz-
colazione tra pieni e vuoti, tra forme concave e convesse, giungendo zinato. Un disegno del 1947 dedicato al pittore («Armando Pizzinato
alla risoluzione astratta del motivo figurativo. un segno d’affetto per la sua pittura») è un buon documento d’avvio
Per molte sequenze di opere, insomma, il processo creativo ba- per l’evidenza delle soluzioni formali: le direttrici centrifughe dei fa-
silare sortiva da un tema realistico e si concludeva in un’armonia sci luminosi, l’organizzazione dinamica degli elementi compositivi, la
astratta, in una perenne circolarità tra astrazione e figurazione, come predilezione per le tonalità accese e i colori primari.
segreto appello all’intelligenza della pittura metafisica liberata dalla A quella data, Pizzinato era tra i pochi pittori di area veneziana a
struttura e dalla retorica letteraria. Oppure poteva sfociare in altra essersi compiutamente evoluto dall’incupimento espressionista, fon-
letteratura e altra poesia, come testimonia il sodalizio con Charles dato su forme chiuse e ritorte, sulla qualità insondabile e drammati-
Olson – un episodio che andrebbe studiato anche in relazione alla camente sgraziata di una materia pittorica greve, che ancora costitu-
sottotrama delle allusioni omoerotiche8. iva il motivo unificante dei giovani pittori (Birolli, Morlotti, Vedova)
L’analisi e l’ampia elaborazione di simili nuclei formali (immagini raccolti da Marchiori nel 194610.
primordiali, anziché «figure») fu la strategia adottata da Cagli per Dinanzi alle opere di Pizzinato in seno al Fronte Nuovo delle Arti,
sopravvivere alla recrudescenza della polemica tra astrattisti e rea- i critici più avveduti poterono infatti celebrarne le brillanti qualità,
listi, in tempi in cui – era una voce in qualche modo ufficiale come riconoscendo l’efficace sintesi che il pittore aveva saputo trarre dal
quella di Corrado Maltese a dirlo – non c’era più tempo per aperture modello della prima avanguardia italiana. Pur non facendo nomi,
di credito, sguardi di simpatia a tentativi ed «esperienze»9. Dino Formaggio alludeva con ogni evidenza a Pizzinato quando os-
servava: «è al miglior futurismo e più ancora a quel periodo di stra-
ordinarie ricerche che va dal 1912 al ’18 e corre sotto il nome dubbio
e generico di periodo metafisico della pittura italiana, che corrono
molte simpatie e molte nostalgie»11.
8 D. Colombo, Geometria non euclidea e quarta dimensione nello scambio intellet-
Pizzinato apparve subito come uno dei giovani pittori più convin-
tuale tra Charles Olson e Corrado Cagli, «L’uomo nero», 10, 2013, pp. 166-197; C. Ca-
centi e di sicuro talento. Riconoscendolo come il più dotato e il più
stellani, Corrado Cagli e Charles Olson. La ricerca di nuovi linguaggi tra esoterismo e
geometria non euclidea, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 56,
2014, n. 2, pp. 215-235. 10 G. Marchiori, Pittura moderna italiana, Stampe Nuove, Trieste 1946.
9 C. Maltese, La mostra dell’Art Club, «L’Unità», 30 marzo 1949, in Misler, La via 11 D. Formaggio, Dove va la giovane pittura italiana?, «Le Tre Venezie», 31, 1947,
italiana al realismo cit., p. 137. pp. 268-271.
84 egemonia e consenso 5. cagli/pizzinato, 1947 85

maturo dei tre veneziani del Fronte Nuovo, Gillo Dorfles ne celebrò Ho creduto di fare del realismo nel ’48 accettando i contenuti precisi della
la «festosa ed opulenta ricchezza del colore che ha bisogno di venir vita sociale e pensando che la formulazione perentoria del titolo e le linee, i
guinzagliata per raggiungere un compiuto trionfo formale»12. Forse piani e i colori impegnati in un senso di movimento vitale, sia nello spazio
dinamico che nel timbro del colore, fossero sufficienti a comunicare quella che
oggi si tende a dimenticarlo, ma in quegli anni il suo nome veniva
io dicevo «la mia emozione viva».
speso alla pari di Guttuso; il «most vigorous member of the Fronte»
poteva così essere elogiato, nella seminale collettiva newyorkese del In seguito egli accentuerà il contenuto sociale, incrementando
1949, per i suoi «broad, lurid contrasts of color» e la matrice futuri- l’aggressività delle immagini e abbandonando le suggestioni indivi-
sta13. Dipinti come Esorcismo, Cantiere o Canale della Giudecca di- duali, per giungere alle opere del 1951, quand’anche Cagli s’accostò
mostravano l’applicabilità di un nuovo linguaggio nei diversi generi brevemente a espliciti modi realisti: «Nessun arbitrio compositivo.
del paesaggio, della veduta e della costruzione fantastica. Così gli atteggiamenti, i gesti, in una logica naturale di movimento e
Al culmine di questa fase si potevano tuttavia intravedere i ger- controllati a lungo sin nei particolari. E un controllo anche nel colo-
mi del nuovo orientamento sicuramente favorito, anche se non certo re, quel colore che prima avevo fatto vivo e violento»15.
generato, dalla recrudescenza della polemica ideologica. Un cauto Intanto, l’eredità del futurismo storico era stata ormai assorbita
osservatore come Diego Valeri poté scrivere, in occasione della per- nel formalismo astratto, ed è in questo senso che si deve intendere
sonale che nel 1949 seguì il clamoroso riposizionamento neorealista: la retrospettiva alla Biennale del 1950. In quella occasione Umbro
il suo tormento davanti all’oggetto, all’oggetto amato e ripudiato allo tempo
Apollonio scrisse parole di presentazione che tendevano a saldare
stesso, aggredito altra volta con violenza espressionista ed ora risolto in audaci l’eredità della prima avanguardia con le tensioni attuali: «Quello sta-
sistemi di ritmi lineari e romantici, appare una intera verità umana, una pro- to di irrequietudine costretta nel labirinto geometrizzato dei piani e
fonda necessità di vita: non già una forma mentis, bensì una forma cordis14. dei colori di alcune tra le espressioni stilistiche del secolo risale agli
avvertimenti dei primi futuristi; né diversamente avviene per certi
Il motivo formale poteva essere convertito in una materia viva, assiomi che caratterizzano il fare artistico odierno». L’orientamento
con una più esplicita funzione sociale. Nel testo di autopresentazione unidirezionale delle campionature successive, come ad esempio gli
Pizzinato confermò il legame con il futurismo ma, a quel punto, «più invii italiani alla prima Documenta di Kassel (con le assenze assai
quello di Majakovskij che quello di Boccioni». La sua ricerca formale esplicite di Cagli e Pizzinato) confermava quanto la prevalente linea
infatti si era compiutamente avviata verso un rapporto agonistico venturiana ambisse a risolvere in sé ogni possibile continuità con la
con la vita, per una nuova e futura società: «parto da una realtà in tradizione di futurismo e metafisica16.
movimento, dò una realtà in movimento». Il mercato americano, che pure continuava ad apprezzare l’opera
È chiaro che si trattava, ora, di un movimento storico, dello spa- di Pizzinato, chiedeva, sempre più, dipinti slegati da qualunque so-
zio d’azione dell’individuo, insomma un’eredità del futurismo più sul spetto di contenutismo sociale. In maniera tanto brusca quanto espli-
piano del rapporto tra arte e società che non come determinazione cita, per le vie interposte di Afro Basaldella (in un carteggio che, per
stilistica. Pizzinato confermò questa linea anche quando si accostò in quegli anni, è del tutto noncurante verso le polemiche politiche), Ca-
maniera definitiva al realismo: therine Viviano raccomandò a Pizzinato di mettere da parte le icono-
grafie rabbiose e «to be a painter first». In quel «first» risuona tutta

12 G. Dorfles, Il Fronte Nuovo delle Arti, «Domus», 221, luglio 1947, pp. 42-44. 15 Pizzinato. Testo di Luigi Ferrante e scritto di Armando Pizzinato, Il Pincio, Roma
13 J. T. Soby, A. H. Barr (a cura di), Twentieth Century Italian Art, catalogo della 1952, s.n.p.
mostra (New York, The Museum of Modern Art) 1949, p. 32. 16 U. Apollonio, I firmatari del primo manifesto futurista, in 25. Esposizione biennale
14 Mostra personale del pittore Armando Pizzinato, Galleria di Pittura, Milano, Bol- internazionale d’arte, Ferrari, Venezia 1950, p. 57; Documenta, Kunst der XX Jahrhun-
lettino n. 4, febbraio 1949. derts, Kassel 1955.
86 egemonia e consenso 5. cagli/pizzinato, 1947 87

la neutralizzazione delle istanze sociali entro il grazioso e inoffensivo primi anni Trenta. E cosa aveva scritto Cagli in quel remoto 1934?
gusto internazionale dispensato da Lionello Venturi e compagnia17. È bene rileggerlo: «Non credo più alla pittura metafisica o alla co-
Non meno unidirezionale fu la critica comunista che a quel punto siddetta pittura astratta: ma cerco di rappresentare gli oggetti reali in
prese il pittore sottobraccio, difendendone (come Mario De Micheli una atmosfera astratta».
alla Biennale del 1952) il «coraggio figurativo» e «l’accanita coe- L’incapacità di voler cogliere il valore potenziale e fecondo dell’o-
renza». Quel che non venne mai detto fu l’esplicita scelta di parte scillazione tra figurativo e astratto, irrigidendosi in un’improduttiva
del pittore, con il corollario della fuoriuscita dal mercato più ricco e contrapposizione, trovava conferma nelle critiche di Arcangeli agli esi-
remunerativo. Mentre non si perse l’occasione per censurare le derive ti «astratto-concreti» di Afro, la cui tensione tra purezza cromatica e
dell’invenzione estenuata e strepitosa di una «formula o modulo o strutturazione allusiva dell’oggetto era considerata dal critico una solu-
sigla», che in quegli anni voleva dire, senza nominarli nemmeno, i zione epiteliale, al limite del piacevole decorativismo19. In realtà, questo
nemici di classe dell’astrazione segnica. Assai arduo, a quel punto, percorso era ormai apprezzato in chiave internazionale, come documen-
era capire quanto invece quei due estremi – il realismo di Pizzinato, tano gli allestimenti dei quadri di Cagli, Afro, Santomaso e Pizzinato al
il grafismo d’un Capogrossi – potevano trovare un termine medio e Museum of Modern Art di New York nel 1949, e lungo le pareti della
una giustificazione formale anche nel lavoro di Cagli. galleria di Catherine Viviano in occasione della nota mostra Five italian
Troppo spesso la critica figurativa appariva impaniata nell’inutile painters, l’anno seguente20. È per questa ragione che, almeno in un pri-
e sterile contrapposizione tra astrazione e figurazione. E anche quan- mo tempo, il nome di Cagli apparve in lizza per il gruppo degli Otto21.
do essa era in grado di distinguere gli esempi migliori, come nel caso Le cose, come si sa, andarono diversamente. D’altra parte, erano
del recupero longhiano di Alberto Magnelli nel 1950, si riconosceva quelli tempi in cui una disinvolta libertà di movimento tra figurazio-
nei suoi dipinti astratti della seconda metà degli anni ’30 (visti in ne e astrazione era perlopiù intesa come irresponsabilità, compro-
Italia alla Quadriennale del 1935) un fondamento realistico («una messo od opportunismo. Contro cui si poteva agire, come abbiamo
figuratività sia pure incondita è ancora al fondo di ogni astrattismo»: visto nel capitolo precedente, con la clava della «moralità».
come se fosse quello il problema), ma anche l’ambiguità di un’icono- Ci volle del tempo, ma fu proprio Guttuso che riuscì a intendere
grafia al limite dell’esoterico, con il rischio di pervenire a una critto- un po’ meglio la compresenza di pitture astratte e figurative di Cagli.
grafia colorata: «l’astrattismo avrebbe provveduto ai magici emblemi Quelle presentate alla Biennale 1954 si potevano leggere come una
dell’intellettualismo figurativo moderno»18. Senza rendersi conto che rivendicazione di priorità rispetto ai clamorosi sviluppi di ben altri
proprio questa era una pista fondamentale per una diversa genealo- «fenomeni» – una locuzione piuttosto stizzita dietro cui, ancora una
gia italiana dell’arte astratta: quella che aveva portato Cagli all’aral- volta, aleggiava il nome di Capogrossi. E con lucidità di giudizio,
dica allucinata degli episodi del 1948-49 come i Tarocchi, Il Bagatto, Guttuso richiamò opportunamente per Cagli il nome di Klee, ricono-
L’imperatore, la Ruota della fortuna e alla loro risoluzione astratta scendo la necessità storica di tenere aperta l’«operante contraddizio-
di qualche anno dopo. E quanto allora avrebbero potuto aiutare di- ne» tra astrazione e realismo22.
pinti come le Pietre 1935 di Magnelli, se correttamente inserite in un In effetti, da tempo ormai Cagli era orientato allo sviluppo di una
più vasto confronto europeo di astrazione organica: partendo dal- pittura basata sul processo di formazione, anziché sul riconoscimento
le riproduzioni delle tavole del mirabile repertorio di Ernst Haeckel
Kunstformen der Natur (Lipsia, 1899-1904) nei «Cahiers d’Art» del
19 f.a.(rcangeli), Afro, «Paragone», n. 3, 1950, pp. 60-61.
1934, o dal Léger dei Fragments de silex o dei Troncs d’arbres dei 20 Cfr. «Spazio», n. 2, agosto 1950, p. 84.
21 L. M. Barbero, S. Salvagnini, Afro, gli Otto, l’America attraverso gli archivi, in L.
17 Lettera di C. Viviano ad Afro, 30 novembre 1950, in B. Drudi, Afro. Da Roma a Caramel (a cura di), Afro & Italia-America. Incontri e confronti, catalogo della mostra
New York. 1950-1968, Gli Ori, Prato-Siena 2008, p. 94. (Udine e Pordenone, 2006-2007), Mazzotta, Milano 2006, p. 58.
18 R. Longhi, Visita a Magnelli, «Paragone», 1, 1950, p. 60. 22 R. Guttuso, L’arte è in pericolo di morte?, «Rinascita», IX, 1954, p. 693.
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della forma. Nei Ritmi cellulari del 1949 e nei fogli “a quattro dimen- Questo sforzo, al di là degli schieramenti più o meno fittizi e delle
sioni”, egli aveva usato il disegno come scandaglio dei processi creativi distinzioni di comodo, fu condiviso dagli intellettuali più sensibili
delle forme prima che esse potessero farsi figura. Appoggiandosi, come alle urgenze del momento. Ritroviamo accenti non dissimili nel passo
è noto, alle teorie dell’archetipo junghiano, il pittore ricercava una for- d’un pittore fieramente avverso a Cagli come Renato Birolli. Il quale
ma artistica che ricomponesse il dissidio tra la natura indifferenziata così scriveva al suo collezionista Achille Cavellini nel 194825:
dell’inconscio e la struttura razionale della conoscenza.
Non è il problema, nella sua estrinsecazione razionale, che dobbiamo ama-
re – ma il momento in cui esso è rilevato dalla piena adesione alle realtà vi-
venti. Io non intendo tesaurizzare alcuni risultati astratti e su quelli spiegarmi
Astrattismo classico la realtà; è questa e il concetto ch’io ho di essa, che mi permetteranno dei
nuovi risultati. Altrimenti siamo dei formalisti. Non esiste e non può esistere
La trama dei rapporti e degli incontri che Cagli strinse in que- una condizione astratta nella operazione creativa. È tuttavia obbligo morale
gli anni, operando sui diversi piani della produzione artistica, della dell’artista di buttare occhiate in là, oltre il confine del conosciuto.
riflessione critica e della promozione culturale, e muovendosi con
franchezza e disinvoltura sui fronti più disparati, può essere quindi È in questo quadro ancora una volta di responsabilità morale dell’in-
ricondotta a unità e coerenza entro questo quadro. Anticipando un dividuo, di vocazione per i valori d’una più vasta dignità espressiva, a un
ragionamento che troverà sviluppo nel lavoro di Giulio Carlo Argan linguaggio attuale ed efficace per un destinatario collettivo che l’esem-
su Klee, già nel 1951 Cagli mise in esergo a un suo testo di presen- pio di Cagli trovò una convergenza nel gruppo dei giovani pittori fio-
tazione alle fotografie astratte di Pasquale De Antonis una frase del rentini del gruppo «Arte d’Oggi»: Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Alvaro
pittore svizzero che è un po’ la chiave di tutto questo discorso: «l’ar- Monnini, Gualtiero Nativi. Questi pittori erano orientati ad un’astra-
tista non si sente vincolato alla realtà perché non è tanto il risultato zione geometrica funzionale e calibrata, attenta a ritrovare la perduta
delle forze creative della natura che lo potrebbe interessare quanto le chiarezza del significato architettonico, sulla scia della grande tradizione
stesse forze capaci di determinare le forme»23. toscana e nella concretezza di un rinnovato rapporto tra pittura murale
Quello che interessava Cagli del lavoro di De Antonis era la com- e architettura. Questa posizione, resa esplicita dal manifesto Astratti-
prensione della natura processuale del fatto visivo, che come tale costi- smo classico, si approssimava per scelte stilistiche al nitido concretismo
tuiva – era sempre Cagli a dirlo – «l’unità della nostra coscienza», abro- degli astrattisti lombardi del Movimento Arte Concreta, anche se non
gando ogni soluzione di continuità tra pittura e fotografia, tra realismo era esente da accenti populisti, come da risvolti vernacolari.
e astrazione, tra astrazione lirica e cromatica e astrazione geometrica. Tuttavia, era proprio sul piano di una possibile confluenza di mo-
Presentando la pittura di Gastone Novelli in un cruciale 1956, tivi astratti e contenuti sociali che i giovani pittori toscani trovarono
Cagli confermò la coscienza del «perpetuo divenire nella biologia un’intesa ideale con Cagli. Ci furono occasioni d’incontro diretto,
come nella fisica, nella psichiatria come nella geometria»24. Il suo come la conferenza fiorentina su Decadenza o primordio con cui
tentativo era anche quello d’allargare faticosamente gli orizzonti, Cagli intese difendere, nel turbolento novembre 1948 e proprio su
spesso provinciali e a quel punto drammaticamente lacerati, dell’u- invito del gruppo «Arte d’Oggi», le correnti astratte oggetto degli
manesimo tradizionale. strali togliattiani26. Ma vi furono anche ragioni più squisitamente

23 Fotografie astratte di De Antonis. Testo di C. Cagli, Galleria dell’Obelisco, Roma 25 R. Birolli, lettera del 15 dicembre 1948 a Achille Cavellini, in G. A. Cavellini, R.

1951, s.n.p. Cfr. I. Schiaffini, La mostra «Fotografie astratte» all’Obelisco nel 1951: il Birolli, Uomo pittore, Edizioni della Conchiglia, Milano 1960, pp.15-16.
sodalizio fra Pasquale De Antonis e Corrado Cagli, «Rivista di studi di fotografia», 6, 26 Cfr. C. Crescentini, Corrado Cagli e la sperimentazione continua, in S. Troisi (a

2017, pp. 28-49. cura di), Corrado Cagli: i percorsi del mito. Opere 1929-1976, catalogo della mostra
24 C. Cagli, G. Novelli 1956, «Dimensione», Roma, ottobre 1956. (Messina, 2009), Charta, Milano 1999, p. 17.
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pittoriche, che potevano risalire alle tre linee lungo cui si andava Continuità attraverso il «mito»
sviluppando la ricerca astratta di Cagli: quella formale, sviluppata
perlopiù in tele orizzontali (le Impronte 1949 e opere come Gli ad- Nella sua gioventù, Cagli aveva dedicato un dipinto al tema del
dii, A Naxos, Partenze); quella coloristica e texturale, che parte dalle neofita: all’adepto, a colui che si avvia a una forma di esperienza
Scale cromatiche di Vienna, 1950, e segue gli sviluppi delle tessiture attingendo all’attualità dei «nuovi miti». Trent’anni dopo, in un’in-
realizzate con l’aerografo sopra la paglia di Vienna, con la garza e la tervista a «L’Europeo», il pittore vorrà ascriversi alla tradizione di
rete metallica; quella disegnativa e lineare, che dai disegni a china del Klee – il sondaggio in profondità – in opposizione a quella di Picasso,
1949 (La gabbia, Ricercarii) si sviluppa in motivi sdoppiati e ripetuti, definita come l’estroversione in superficie29.
fino a generare pattern geometrici semplificati. Per giungere infine Una possibile chiave di lettura, a mio avviso, sta proprio qui: far
alle configurazioni architettoniche, di ammirevole sintesi tra i diversi mediare la struttura visiva del profondo (Klee) con la psicologia del
motivi qui elencati, che trovarono spazio in tele di formato verticale profondo (il mito). Da questo punto di vista, l’opera poteva essere un
e ambizione monumentale, come le “impronte indirette” di Ça ira o oggetto, o una qualità dal valore unico e assoluto, studiata e strappa-
Due modi in uno del 1951, le cui partizioni riecheggiano nelle coeve ta dalla casualità naturalistica, e isolata nella realtà con il suo porsi
composizioni di Gastone Novelli27. come forma. Tale realtà viveva al di fuori del tempo e dello spazio,
È sul piano di un simile grande stile monumentale, inoltre, che si irriducibile agli strumenti descrittivi della razionalità – al loro dispie-
può leggere l’approdo astratto, in quegli stessi anni, del siciliano Nino garsi come successioni storiche, o distinzioni stilistiche. Incapsulata
Franchina. Già ammesso nel ristretto novero degli scultori del Fronte nel simbolo, questa realtà originale e primordiale poteva rifuggire
Nuovo delle Arti, Franchina aveva colpito per la consistenza larga e dalla descrizione realistica.
“primaria” delle sue statue, nate come esplicita reminiscenza – «il a su Credo che Cagli volesse qui silenziosamente rivendicare la conti-
remonter jusqu’aux premiers principes de la nature et de la fonction nuità tra le sue prime mitologie del 1935 e il lavoro avviato dieci anni
de son art»28 – di un motivo classico come i telamoni fra le rovine dopo, al di là dei referenti sociali e politici. Forse per i giovani di For-
della vallata dei templi ad Agrigento. Senza scordare, per questo, di ma 1 era una soluzione troppo facile, o troppo disinvolta per il loro
rivendicare un esplicito engagement politico, come risulta dalla sua moralismo. Ma credo che l’unico vero errore, fonte d’interpretazioni
sottoscrizione della famosa lettera inviata a «Rinascita» nel 1948 in fuorvianti, fu per Cagli quello di farsi presentare da Bontempelli:
replica della critiche di Togliatti all’arte astratta. non solo per il testo, piuttosto infelice, ma proprio perché il senso
In modo analogo, la ripartizione dei motivi in forme aperte e chiu- del mito, nella penna del vecchio accademico, appariva ormai come
se (come le due sculture eponime del 1948) manifesta una palmare il fossile di un tempo trascorso. Credo anche che Cagli fosse molto
affinità con le articolazioni formali con cui Cagli, appena un anno più a conoscenza delle riflessioni sul mito e sull’etnografia di quanto
prima, stava esplorando le possibilità della spazialità metafisica, lui stesso abbia mai detto; e che certe sue allusioni en passant (per
come prospettiva complessa di oggetti nello spazio. Il segno d’una esempio, ad autori come Lucien Lévy-Bruhl) possano consentire una
possibile ed efficace osmosi tra l’ispezione pittorica e la ricerca pla- diversa sistemazione della questione.
stica della tridimensionalità trova infine convalida nell’evoluzione di Nella sua pittura postbellica coesistono infatti almeno quattro
Franchina, che nei primi anni Cinquanta pervenne a forme più sti- linee. La prima è l’esplorazione della spazialità straniata di metafisi-
lizzate e planari, con la sperimentazione della policromia e la resa ca e surrealismo. Certo, De Chirico, ma anche e soprattutto il Max
dinamica di materiali tradizionalmente non scultorei. Ernst che si poteva vedere nelle retrospettive di New York nel 1942
e di Parigi nel 1950: il pittore che si divertiva a scalzare il sussiego
27 E. Crispolti, Il magistero di Cagli, in Benzi (a cura di), Cagli cit., p. 74.
29 Corrado Cagli spiega le ragioni artistiche del proprio avanguardismo, «L’Europeo»,
28 D. Chevallier, Nino Franchina. Sculptures, Galerie Pierre, Paris 1949, s.n.p.
XXI, n. 7, febbraio 1965.
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dei surrealisti in opere cardine come Mattamathics, oppure in Jeune per aprire la cultura progressista italiana verso una riconsiderazione
homme intrigué par le vol d’une mouche non euclidienne: fornendo del problema del mito. Un mito che egli considerava come forma
a Cagli, come a molti altri, spunti per titoli imprevedibili e tecniche embrionale e poetica dell’origine: un momento aurorale che tendeva
innovative come la decalcomania30. anch’esso a farsi storia. Il mito che spingeva il creatore all’elabora-
La seconda linea, che si ricollega anch’essa alle sperimentazioni zione fantastica era infatti una forza prestorica e assoluta per defini-
di Ernst, è la generazione esoterica di forme e di configurazioni, al di zione; ma, appena esso veniva colto, diveniva soggetto alle categorie
fuori della griglia ortogonale e della finzione prospettica: una sorta e alle condizioni della storia32.
di scherzosa epifania del numero, che venne colta, come si è visto, da Le forme attuali della pittura e le forme embrionali del mito pote-
Sinisgalli. vano, dunque, partecipare a una concezione storica del divenire, alla
Una terza linea è la presenza della forma in sé, come impronta, pari d’ogni configurazione realistica. È in questo comune storicismo
simbolo silenzioso e assoluto; come fenomeno originario e archetipo, di mito e astrazione che, a mio avviso, si situano la continuità tra il
che trae origine al di fuori dei costrutti razionali e dei suoi rove- Cagli del 1935 e quello del 1950, e le possibilità tanto del realismo
sciamenti surrealistici. Un darsi della forma che precede o aggira la come del formalismo: la condensazione in motivi grafici, i segni ar-
razionalità. Questa possibilità non è contraddetta dalla quarta linea, chetipici, l’esplorazione inconscia, la ripetizione come controllo della
quella propriamente realistica e narrativa: il vituperato figurativismo forma, la forma ripetuta che diviene modulo.
che, scavalcando la logica dei fronti contrapposti, tanto imbarazzava Il mito e l’astrazione come fatti calati nella storia, al pari del-
i critici. E perché non è contraddetto? Perché in quegli stessi anni, e la descrizione realistica e narrativa. Cagli poteva essere accusato di
io credo che Cagli lo sapesse, nel panorama culturale italiano erano intellettualismo e magari di non eccelse qualità pittoriche. Non di
attive forze intellettuali desiderose di dare un fondamento storicisti- sprovvedutezza.
co – vale anche a dire, ovviamente, dialettico, nel senso marxista del
termine – ad esperienze culturali che ai più apparivano naturalmente
avverse ad esso: l’arte astratta e la mitografia.
Per l’Argan di Pittura italiana e cultura europea cubismo e arte
astratta erano infatti realtà immanenti, non rappresentazioni: fatti e
fenomeni sociali, come tali partecipi del concetto storico e concreto
dell’europeismo dell’arte moderna; una pittura che si poneva come
momento della storia del mondo. L’arte non era una rappresentazio-
ne ma un fatto; non un’invenzione, che ricadeva sempre nel natura-
lismo, bensì impegno di un fare, che è necessariamente realistico. La
pittura moderna esisteva quindi, come si è letto nel quarto capitolo,
nella moralità dei fatti concreti; essa non li rappresentava, bensì li
portava a compimento, così partecipando allo svolgimento storico31.
In quegli stessi anni, Cesare Pavese stava con molte difficoltà va-
rando l’ambizioso piano editoriale della “collana viola” einaudiana

30 Cfr. per questo W. Spies, J. Drost, S. Collombat, Max Ernst. Vie et oeuvre, Musée

National d’Art Moderne, Paris 2007, pp. 171 e sgg.


31 G.C. Argan, Pittura italiana e cultura europea (1946) ora in Id., Studi e note cit., 32 C. Pavese, Il mito, «Cultura e realtà», n. 1, maggio-giugno 1950, ora in Id., La

pp. 21-56. letteratura americana e altri saggi, Einaudi, Torino 1953, pp. 345-351.

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