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ATOMISMO
E CORPUSCOLARISMO
ARMANDO
EDITORE
www.armandoeditore.it
info@armando.it – 06/5894525
Premessa 7
Introduzione 9
Il Seicento: età barocca? 9
La nuova scienza 11
Capitolo primo
Il corpuscolarismo italiano del Seicento. Problemi 15
di metodo
Lo status quaestionis del corpuscolarismo italiano del Seicento 15
Implicazioni semantiche della transizione dall’aristotelismo 19
al corpuscolarismo
Capitolo secondo
L’Accademia degli Investiganti e la scienza moderna 23
a Napoli
L’Accademia degli Investiganti 23
Tommaso Cornelio, il “pratico della scienza” 30
Nota introduttiva 30
Fisica e ipotesi teorica nei Progymnasmata physica 34
Bibliografia 207
Atti del Convegno di studio di Santa Margherita Ligure (14-16 ottobre 1976), La Nuova Italia,
Firenze 1977, p. 14.
1 B. CroCe, Storia dell’età barocca in Italia, Adelphi, Milano 1993: «Non c’è difficoltà
2 R. villari, Introduzione all’uomo barocco, Laterza, Roma-Bari 1988, pp. IX-X: «La
conflittualità “barocca” ha colpito gli storici per la sua intensità, per la sua diffusione e per
l’influenza che ebbe nel momento di pensare e di agire. Lo scontro ideale, politico e religioso,
la continuità e ampiezza della guerra, la crescita dell’antagonismo sociale, la rivoluzione, le
puntigliose questioni di precedenza nella quotidianità del rituale amministrativo ed eccle-
siastico, la frequenza del duello, sono sembrati caratteri propri del periodo […]. L’aspetto
peculiare della conflittualità barocca, infatti, non è tanto il contrasto tra soggetti diversi quanto
invece la presenza di atteggiamenti apparentemente incompatibili o e evidentemente contrad-
dittori all’interno dello stesso soggetto. La convivenza di tradizionalismo e ricerca del nuovo,
di conservatorismo e ribellione, di amore della verità e culto della dissimulazione, di saggezza
e di follia, di sensualità e di misticismo, di superstizione e razionalità, di austerità e “consumi-
smo”, dall’affermazione del diritto naturale e dall’esaltazione del potere assoluto, è fenomeno
di cui si possono trovare esempi innumerevoli nella cultura e nella realtà del mondo barocco».
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La nuova scienza
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4 Baldini, Zanier, Farina, Trevisani, Ricerche sull’atomismo del Seicento cit., pp. 3-6.
5 MoCChi (a cura di), Omaggio a Tommaso Cornelio cit., p. 16.
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6 F. CrisPini, Metafisica del senso e scienze della vita. Tommaso Cornelio, Guida, Napoli
1975, p. 31: «È oramai abbastanza noto, senza che perciò occorra insistervi più di tanto, come
soltanto in una simile disposizione storiografica, invincibilmente dotata del gusto del relativo,
fortemente consapevole della funzione dell’errore nella formazione e nello sviluppo delle
scienze, conscia dell’uso che deve fare e del conto in cui deve tenere le nozioni di accresci-
mento, accumulazione ed evoluzione nelle scienze, si possano ottenere frutti non magri e si
possa rendere intrinsecamente utile lo stesso lavoro di ricerca. Se tutto ciò costituisce la trama
di riferimento più facile ed ovvia di una attuale teoria della storiografia, i suoi punti nodali
sono tuttavia più complessi e le questioni inerenti al significato epistemologico e culturale
delle rivoluzioni scientifiche, quelle inerenti al valore per la scienza della storia delle scienze,
si connettono ad una serie di molti altri problemi in maniera tale da fornire allo storico delle
idee un serio ammonimento a guardarsi dal ricorrere a formule semplicistiche».
7 Baldini, Zanier, Farina, Trevisani, Ricerche sull’atomismo del Seicento cit., p. 21.
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p. 532.
7 P. GallUZZi, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galilei, Leo S. Olschki,
Firenze 2011, p. 4.
8 Baldini, Zanier, Farina, Trevisani, Ricerche sull’atomismo del Seicento cit., p. 11.
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10 S. saMBUrsky, The physical world of the Greeks, Routledge and Kegan Paul, London
1956; trad. It. Il mondo fisico dei greci a cura di V. GeyMonaT, Feltrinelli, Milano 1983, p. 94.
11 I livelli di una teoria, che possono inglobare una certa ontologia, determinate tecniche
matematiche, i risultati di altre teorie, non sono esplicitati contro di essa, bensì tacitamen-
te presupposti. Esistono inoltre regole non formalizzabili, afferenti al concetto kuhniano di
paradigma, concernenti questioni come la desiderabilità di certe riche etc. (T.S. kUhn, The
Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago, Chicago 1962; trad. it. La
struttura delle rivoluzioni scientifiche a cura di A. CarUGo, Einaudi, Torino 2009, pp. 60-64
12 Baldini, Zanier, Farina, Trevisani, Ricerche sull’atomismo del Seicento cit., p. 245.
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1653, datoin luce per l’Accademico detto l’Arrestato, per Camillo Cavallo, Napoli 1652.
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Italy, and France, «A Collection of Voyages and Traverls», London 1752, 6, p. 620.
26 Torrini, L’Accademia degli Investiganti cit., p. 850.
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Nota introduttiva
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previchismo, Giuffrè, Milano 1958, pp. 31-41: «[…] in questo legare la ricerca sulla “natura
delle cose” alle possibilità umane dell’esperienza, a ciò che lo studio individuale può conosce-
re con uno sforzo appunto individuale, determinato. L’antimetafisica è nell’antiuniversalismo,
nell’impossibilità, affermata senza riserve, di superare le condizioni particolari dell’esperien-
za […]. È evidente, in relazione a questa tema, che non ci troviamo in presenza di compiuti
sistemi filosofici che consentano definizioni rigorose, tali da esaurire e concludere – per il
loro stesso rigore e da una certa prospettiva – i termini di una problematica. Nello studiare
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«Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche della Società di Scienze, Lettere e Arti in
Napoli», 70 (1959), p. 74.
32 B. De Giovanni, La vita intellettuale a Napoli fra la metà del ’600 e la restaurazione del
regno. Cap. 1: Il rinnovamento della scienza nella seconda metà del ’600, «Storia di Napoli»,
Società editrice Storia di Napoli, Napoli 1970, p. 413: «[…]la deviazione del meccanicismo
verso il vitalismo, depurata dai miti dell’anima mundi e dalle magiche corrispondenze tra
l’uomo e i fermenti della vita natura è un momento significativo del ripensamento europeo
della fisica cartesiana, che già in Spinoza spengeva la radicalità di certi dualismi, e che nella
scuola dei Chimici o nelle ricerche bio-fisiologiche pareva intesa a riscoprire vita e movimen-
to del meccanismo non più inerte della natura […]. […] una filosofia naturale […] legata più
al modo spirituale di Spinoza al probabilismo sperimentalistico di Gassendi che al dichiarato
dualismo di Cartesio […]».
33 N. Badaloni, Introduzione a G.B. Vico, Feltrinelli, Milano 1961, p. 65, p. 167:
«Nonostante che la teoria dello spiritus fosse sfociata in Della Porta, in Imperato ed in altri
in una filosofia dell’esperienza, il rapporto tra realtà e pensiero restava bloccato, come se non
fosse possibile interpretare una serie di fatti di esperienza ora alla luce di una, ora di altra ipo-
tesi ricerca. Il rapporto esperienza-verità era uno dei punti fermi del periodo della tarda filoso-
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fia scientifica rinascimentale. Ora questo rapporto viene sbloccato; la realtà seguita a produrre
i suoi effetti, ma questi possono essere anche variamente interpretati a seconda delle ipotesi da
cui si prendono le mosse. L’attenzione si sposta dalle cose al pensiero che enuncia la probabile
spiegazione del presentarsi delle cose. Questo passaggio, per quanto ovvio possa sembrare, è
una conquista del gruppo investigante, e facilita la penetrazione del pensiero cartesiano. […]
la filosofia ha accumulato un enorme materiale di ricerche particolari, anatomiche, fisiologi-
che, fisiche, i cui risultati sono venuti in contraddizione da una parte con le leggi generali e
con i princìpi universali che Cartesio aveva esposto, dall’altra con quel concetto dell’animale
macchina su cui Cartesio aveva basato il mantenimento della sostanza pensante. Anche gli
Investiganti hanno cooperato a porre in luce questa crisi. Di fronte al sistema cartesiano si è
venuta sviluppando ora nella cultura europea una filosofia del particolare e del concreto, che
tende a localizzare o a correggere molte enunciazioni generali della metafisica cartesiana. La
successiva elaborazione del pensiero degli Investiganti non poteva non tenere conti di tali ri-
sultati del pensiero europeo, in particolare attraverso Malebranche, ma anche attraverso filoni
più nascosti, quali il pensiero di Tommaso Burnet, o addirittura dello Spinoza».
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41 L. Di Capua, Lezioni intorno alla natura delle mofete, Salvatore Castaldo, Napoli 1683,
pp. 3 sgg.
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De Nutricatione, Leonardus a Capua lectori, pp. 200 sgg.: «Quotenim aut quanta profert
inventa Progymnasmata illud (ut caetera sileam) quod est de Nutricatione: Scilicet in pri-
mis docet cibos in ventriculo non calore confici, nec acrioribus domtaxat succis dissolutus
exteri, sed alia quadam ratione concoqui: Chylum item non per lacteas Aselii venas ad jecur
permanere, nec omne alimentum per ductus Pecqueti ad cor delabi. Praeterea sanguinem non
in iecinore fieri, nec in corde atque liene, nec ullu, extare in animalium corporibus peculiare-
am sanguinis officinam: neque porro sanguine partes anguscere atque nutriri. Ad haec fellis
ususm obscurum sane est et ignotum aperit. Tum vias indicat per quas linphatica nuncupavit,
originem usumque patefacit. Et tandem veram germanamque glandularum naturam, et utilita-
tem ostendit, ac plurimas interea novas inauditasque observations describit».
43 La figura di Trusiano è molto probabilmente da identificare con quella del medico fio-
rentino Torrigiano de’ Torrigiani. Il Torrigiano, vissuto tra il 1270 e il 1320, studiò a Bologna
a Parigi, allievo dell’istruttore Taddeo e che Marziano Rosa ascrive tra gli esuli espulsi da
Firenze insieme con Dante, è l’autore di un Plusquam commetum in parva Galeni artem. Il
Torrigiano, già noto tra i contemporanei come plus quam Commentator, è indifferentemente
indicato come Turisiano, Crusiano, Trusiano. (Torrini, Tommaso Cornelio e la ricostruzione
della scienza cit., p. 103)
44 Cornelio, Progymnasmata physica, Dialogus in Proemii locum suffectus, p. 2: «Quin
potius undique circumspiciamus, libremus singula, nihilque non examinemus, et seu intelli-
gentiae viribus, seu observatione rationeque, si liceat, sensibus capta, pensemus».
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simul edocere, sed servare semper quod ostendat exquirentibus: inexhaustos esse illius the-
sauros, nec umquam fore, et eiusdem mysteria penitus recludantur; etsi complura ex interiore
deprompta sacrario in lucem dies extrahat, et longioris aevi diligentia».
48 Cornelio, Progymnasmata physica cit., pp. 26-27: «Homines procreari Galenus cen-
suit ex viri mulierisque siminibus permistis, quorum utrumque tam materiae, quam effectio-
nis rationem habere credidit: at Aristoteles scripsit mores effundere semen in quo efficiendi
vis insit, foeminam vero solam praebere materiam, quam putavit esse sanguinem. Ad haec
Aristoteli cor tum sensus motusque, tum vitae et nutricationis principium visum est: sed
Galenus tres contituit in homine principatus non potes tale modo, sed locis etiam disjunctos;
nempe sentiendi movendique vim in cerebro, vigendi in corde, et alendi in jecore».
49 Cornelio, Progymnasmata physica cit., p. 53: «[…] qui medendi rationem a contem-
platione causarum deducere studunt, novas indagaturi sint via; quia nimirum ea nuper phae-
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versatilesque machinas, quae siderum cursum cum coeli ratione congruentem indicant, tem-
porum intervalla designant, et anima coeli phaenomena velut ignara causa repraesentant?
Quis item non su suspiciat praeclara Architectonices machinamenta, et Chymiae miracula, in
quibus gloriari nostra aetas jure optimo potest?»
51 Cornelio, Progymnasmata physica cit., p. 65: «[…] quorum alterum impuntandum na-
turae, quae cum veritatem in profundo (ut ait Democritus) penitus abstruserit, imbecillas dedit
intelligentiae nostrae vires ad illam eruendam; alterum vero philosophantibus, qui naturae
contemplationem praepostero plerumque aggrediuntur».
52 Cornelio, Progymnasmata physica, p. 65: «[…] ita similiter in Physiologia fieri possit,
ut excogitentur hypotheses, quae tametsi non omnino cohereant, omnium tamen rerum natu-
ralium eventa demonstrent».
53 Cornelio, Progymnasmata physica, p. 79.
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cipiis, videntur omnes cum antiquis, et cum Democrito potissimum, conspirare. […] Rectius
ergo locum ponamu ses se intervallum, seu spatium quod a corpore obsidetur; idest ipsam
rei materiam. Quare sicuti corpus intellegi sine loco non potest, ita nequit sine corpore locus
consistere; ac proinde nullum inane esse potest».
58 Cornelio, Progymnasmata physica, pp. 85-103: «Parmenideas unum atque immobile
posuit universum; principia vero due, nempe ignem et terram, vel calidum et frigidum, seu
lumen et tenebras: et illus quidem efficiendi vim habere, hoc vero accipiendi, et quasi patien-
di. In eadem quoque fuisse sententia perhibetur Melissus Parmenides auditor. At Leucippus
rerum initia posuit plenum et inane; et illud quidem in atomos seu corpuscola individua di-
versarum formarum dispertitum hac illac ferri; hoc vero locum praestare, per quem ipsae
atomi ferantur. Omnes atomis atque inani concrescere omnia, et generari voluit. Cum vero
rem omnem uberius esset persequutus, atomorum naturam subtiliter expressit; tradidit enim
illastum numero, tum etiam figurarum varietate infinitas esse; ac iuxta earumdem figuras, nu-
merum, ordinem, dispositionemquemrerum omnium concretiones fieri. Epicurus a Democrito
pleraque omnia accipiens docuit universitatem duabus ad initio rebus constare, corporibus ni-
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mirum et inani. Corpora autem ex quibus concretiones fiunt, et in quae dissoluuntur, individua
esse, et immutabilia, ac figuram diversitate incomprehensibilia».
59 saMBUrsky, Il mondo fisico dei Greci cit., p. 120.
60 redondi, Atomi, indivisibili e dogma cit., pp. 556-566.
61 arisT., Mech., trad. it. Meccanica a cura di M.F. Ferrini, Bompiani, Milano 2010, c. 24.
62 Galilei, Opere cit., VII, p. 476: «E questo, che si dice delle semplici linee, si intenderà
detto delle superfici e dei corpi solidi, considerandoli come composti di infiniti atomi non
quanti: mentre li vorremmo dividere in parti quante, Non è dubbio che potremo disporre in
spazi più ampli del primo occupato dal solito se non con l’interposizione di spazi vacui, vacui,
dico, almeno della materia del solido; ma se intenderemo l’altissima e ultima resoluzione
fatta ne i primi componenti non quanti ed infiniti, potremo concepire tali componenti distratti
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in spazio immenso senza interposizione di spazi quanti vacui, ma solamente di vacui Infiniti
non quanti»
63 FesTa, GaTTo (a cura di), Atomismo e continuo nel XVII secolo, Istituto Italiano per gli
all’infinito? Perché dobbiamo sentire repugnanza maggiore, mentre, cercando l’infinito nei
numeri, andiamo a concluderlo nell’uno? E mentre che rompendo un solido in molte parti e
seguitando di ridurlo in minutissima polvere, risoluto che si fusse ne gl’infiniti suoi atomi non
più divisibili, perché non potremmo dire, quello essere ritornato in un solo continuo, ma forse
è fluido come l’acqua o il mercurio o il medesimo metallo liquefatto?»
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66 Galilei, Opere, VIII, pp. 85-86: «[…] io non so trovare migliore ripiego per risolvere
alcune sensate apparenze, tra le una è questa. Mentre io piglio un corpo duro, o sia pietra o
metallo, E che con martello o sottilissima lima lo vo al possibile dividendo in minutissima ed
impalpabile polvere, chiara corsa è che i suoi minimi, ancora che per la loro piccolezza siano
impercettibili a uno a uno dalla nostra vista dal contatto, tuttavia son eglino ancora quanti,
figurati numerabili […]. Ma se noi tenteremo di vedere tali accidenti nell’acqua, nissuno ve ne
troveremo […]. Da questo mi pare di poter molto ragionevolmente arguire, i minimi dell’ac-
qua, ne i quali ella pur sembra essere risoluta […], esser differentissimi da i minimi quanti e
divisibili; né saprei ritrovare altra differenza, che l’essere indivisibili»
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quae de calore scripta sunt ab Hippocrate. Mihi, inquit, ille, sane videtur id quod calidum
vocamus immortale esse, et cuncta intellingere, cernere, audire, et omnino scire omnia tum
presentia, tum futura. Ejus autem plurima pars, quum turbata essent omnia, in supernam cir-
cumferentiam secessit; et videntus veteres ipsum Aethera nuncupasse. Telesius quoque calori
plus aqueo tribuit; nam lumen praeter caetera, moltumque a calore proficisci voluit. Haec
autem, et alia ejusmodi, esti explicari, et ad naturam revocari quadammodo possint, ita tamen,
ut sonant, a re et physica ratione remota videntur, aut certe hyperbolicus dicta. Enimvero vis
illa, in qua lucis calorisque actio consistit, a motu et agitatione Aetheris revera pendet. Hinc
autem sensus est omnis, animique intelligentia, ut suo loco perspicuum faciemus».
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1663, p. 142: «Dissertationem hanc, quam olim Severino nostro efflagitante conscripseram, in
lucem proferre constitui Camille non vulgaris amice: Confido enim non iniucundam fore re-
rum naturalium studiosis, lucubrationem illa, que Cl. Viro, dim in vivis esset, usque eo placuit,
ut digna visa sit, quae eruditissimis suius de Respiratione Piscium commentarys, infereretur».
72 Torrini, Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza cit., p. 19.
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decernunt illi, qui considerantes phaenomena nostro potissimum saeculo in Coelo tubi dio-
ptrici ope depraehensa, multiplices illos orbes, quos antiquiores Astrologi ad determinandos
stellarum motus confixerant, e rerum natura eliminantes, in eorumdem locum substituunt
pellucidam, ac summe tenuem substantiqm, aetheris nomine significatam: secus enim neque
praecipuas naturae operationes explicare. Nam, ut silentio propagationem, quis unquam de
condensatione et rarefactione aeris verosimilia dicturum se speret, nisi hac aetheris sbstantia
admissa? Profecto enim si rarefactio et condensatio ita fieret, ut vulgo ponitu, Mundus quan-
doque deficeret, quandoque vero redundaret, vel etiam nunc aliqua eiusdem pars efficeretur
inanis; nunc autem penetratio dimensionum contingeret, quae sane sunt absurda».
74 Cornelio, De cognatione aeris et aquae cit., p. 143: «Quatuor vero vulgarium elemen-
torum ordinem, atque distinctionem evertit natura Coeli parvia, et aeque ac sublunaria regio
mutationibus obnoxia».
75 Cornelio, De cognatione aeris et aquae cit., p. 144: «Libet autem perquirere, quomodo
una eademque aquae natura enumeratas tres formas possit induere. At eius quidem res facilis
videbitur explicatio, si usurpemus hypotheses incomparabilis Philosophi Renati des Cartes:
Etenim aquae particulae (quas atomos appellare licebit, non quidem geometrico rigore, hoc
est omnimo insecabiles, sed Physica ratione, ut sint prima aquae componentia, seu corpuscola
individua, in quae duntaxat ipsum aquae corpus naturaliter dividi ultimo possit) concipiendae
sunt oblongae, ac teretes, quae lentius agitatae soluteque, ut facile repere possint, humoris
figuram subeunt: verum si implicatae rigeant, glaciem effingunt. Denique si celeriter, ac in
gyrum quodammodo actae voluantar, ita ut aliae ab alijs magis ac magis recedant, vaporis
speciem exhibent».
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illam in triplici statu, quasi triformem experimur quotidie. Aliquando enim in glaciem con-
creta, duri corporis speciem rapraesentat: plerunque autem liquentis humoris formam exhibet;
et nonnunquam etiam soluitur in vapores, modo densiores opacosque, modo autem rariores
atque pellucidos»
77 Cornelio, De cognatione aeris et aquae cit., p. 144: «Libet autem perquirere, quomodo
una eademque aquae natura enumerata tres formas possit induere. At eius quidem res facilis
videbitur explicatio, si usurpemus hypotheses incomparabilis Philosophi Renati des Cartes:
Etenim aque particulae […] concipiendae sunt oblongae, ac teretes, quae lentius agitatae solu-
teque, ut facile repere possint, humoris figuram subuent: verum si implicatae rigeant, glaciem
effingunt. Denique si celeriter, ac in gyrum quodammodo actae voluantur, ita ut aliae ab alijs
magis ac magis recedant, vaporis speciem exhibent».
78 Cornelio, De cognatione aeris et aquae cit., p. 144-145: «Caeterum oportunum erit
haec omnia experimentis illustrare. Paretur itaque ampulla vitrea proceriore collo praedita,
et crassa ne frangi facile possit; Hanc ad medium fere collum aquae plenam, igni admove-
bimus: Nam simula c calorem conceperit aqua, turgere sinsim incipit, donec ad fervorem
usque adacta insigniter excrevisse videatur. Interim si eiusdem ostio vesicam omnino inamen,
hoc est compressam inferamus, observabimus hanc confestim intumescere a vaporibus aqueis
sublimia petentibus. Sed ampulla ab igne detracta aqua subsidere, ac in minus spatium cogi
incipit. Demum si ampullam nivibus, nitroque cirecumsepientes aquam in glaciem concre-
scere finamus, videbimus hanc non modo iterum exundare, sed multo quoque maius spatium,
quam antea feruens implerat, comprehendere. Hic glacies aquae innatat, et metalla cocnerta
sub ijsdem liquatis demersa sursum feruntur: ut propterea manifestum sit, non solum a calore,
sed ab ipso etiam frigore ingenti aquam rarefieri, atque in maiorem molem distendi».
79 Cornelio, De cognatione aeris et aquae cit. pp. 145-146. «Aquae igitur particulas oblon-
gas laevesque anguillis vivis, vel recenter mortiuis cum Cartesio comparabimus, ut intelligamus
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qua ratione moveri, ac inter se repere facile possint. At aquam in glaciem concretam con-
feremus cum eiusdem anguillis exsiccates, vel gelu rigentibus, quae quidem in semetipsas
perplicatae impediunt quo minus fluere, ac repere queant […]. Unde constare etiam potest
maiorem, potioremque aeree molis partem esse substantiam etheream; ut propterea nihil aliud
sit aer, quam aether impursus, hoc est vaporibus, atque halitibus e terra advectis inquinatus.
[…] Primum autem liquet non posse intra aquas diutis subesse portiones aereas magnitudinis
conspicue, nisi interea hae alicui duro corpori adhaeserint, secus ob diversitatem loci, quem
sibi vindicant gravia et levia sursum efferuntur in auras. […] At vero nulla unquam vi po-
terimus aquam ita compellere, ut propeterea quasquam e globulis in imo iacentibus sursum
adsurgat. Sed enim aqua et si frigore condensetur, non tamen externo etiam conatu perinde ac
aer, comprimi et in minorem molem contrahi potest».
80 Torrini, Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza cit., p. 29.
81 T. Cornelio, Epistola ad Marcellum Crescetium qua motuum illorum cui vulgo ob
fugam vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a
Timaei Locrensis Crathigenae, «Progymnasmata physica», F. Barba, Venetiis 1663, p. 131:
«At vero quidam Philosophi, qui nihil ultra corticem norunt, de natura, se potius de rebus
naturalibus non aliter loquuntur, quam si illae mentis, rationisque participes, ac propriarum
functionum cosciae forent. Aiunt enim illas rebus amicis oblectari, et ad eas sponte accurrere,
fugere vero inimicas, imo vires suas adversus easdem intendere; et quod non sine risu excipe-
re possum, interdum etim contra propria propensiones sponte moveri, ne vacuum propignatur,
monstrum same formidabile, et ipsius nature terror. Hinc exorta inania illa inscitiaeque plena
vocabula Sympatathiae, Antipathie, Antiperistasis et similia, ad quae tanquam ad sacram an-
choram solent confugere Philosophi nostri, quotiescunque in arcanis cognoscendis caligar
intellectus».
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molto a risolvere in risolvere le difficoltà che ella mi propone, sì perché stimo che a quest’ora
le siano sovvenute le mie raggioni, sì ancora perché la soluzione di queste si contiene essen-
zialmente nel mio libretto, conciosiache la nodrizione si faccia col sangue che è distribuito
e dispensato a tutto il corpo in virtù della palpitazione del cuore, che manda per l’arterie il
sangue a tutte le parti, ciascheduna de’ quali ritiene appo di sì que’ minimi del nodrimento
che le sono proPorZionati. Così come il Sole manda il calore e la luce alla Terra senza che
questa si adopri in tirarli. In quanto all’altro dubbio che V. S. soggiunge cioè che mediante
la mia dottrina si dovrebbe togliere l’appetito delle parti sentievoli, io havrei da dirle molte,
me per hora basterà che io l’accenni due mie proposizioni, che qualche giorno mostrerò con
raggioni et esperienze esser verissimo. L’una di queste sta che io penso non esser parte del
corpo degli animali che pensa, ma dirò con quel poeta nostro Plutarco che la sola mente ode
e vede, ogn’altra cosa è sorda e cieca. La seconda è che io non ho bisogno di ammettere ap-
petito alcuno nelle sostanze corporee, fuor che una convenienza di figura, di sito, di moto o di
grandezza o di altro simile accidente che io soglio chiamar modi. E di ciò ne potrà V. S. vedere
accennato brevemente il mio pensiero a c. 55 del mio libretto».
83 Cornelio, Progymnasmata physica cit., p. 28: «Alij demum obtusiore ingenio donati,
cum nequeant laudem fructumque ex veris, et solidis disciplinis acquirere, ad vanas falla-
cesque arte confungiunt; de quibus ementita miracula praedicant impudenter ij, ut est apud
Ennium, qui sui quaestus caussa fictas suscitant sententias. Hinc factum est ut apud complures
iam hodie Physiologia, et Mathematicae disciplinae tanquam vulgares scientiae pro nihilo
habeantur: nam nascio quid maius sibi pollicentur a Cabala, Alchymia, Astrologia, Magia,
alijsque praestigijs, quas hominum fraus seu superstitio commenta est».
84 Cornelio, Epistola ad Marcellum Crescetium qua motuum ollorum cui vulgo ob fugam
vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 115: «Superioribus igitur annis cum ad naturales viventium
functiones contemplandas agrederer, haerere coepi in disquisitione illius virtutis, qua viventia
succos quibus aluntur augescuntque, trahere putantus, vulga facultatem attractricem nuncun-
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pant. Arbitrabar enin nulla ratione fieri posse, ut trahens, motum ullum rei attrahendae, impri-
meret, nisi eidem foret alligatum, exemplo manus, uncini aut alterius cuiusvis tractorii organi,
quod quidem non trahit, nisi corpori trahendo fuerit affixum. Sed contrarium tamen mihi
suadere videbantur vires magneticae, electricae, atque etiam motus illi, quo ob fugam vacui
fieri dicuntur; in his enim quae trahuntur, nullo vinculo videntur alligata trahenti. Tandem re
melius pensitata animadverti nullam in memoratius motibus contingere attractionem: verum
ea, que moventur corpora a circumiectis propelli».
85 Cornelio, Epistola ad Marcellum Crescetium qua motuum ollorum cui vulgo ob fugam
vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 111: «Varia semper fuisse hominum ingenia, ac nostros Italos
plerumque in excogitandi rebus exceluisse; nonnullas autem nationes in illustrandis divulgan-
disque aliorum invetis diligentiores ac paratiores sese praestare solitas esse. Motus sanguinis
ad Herveio descriptum iampridem. Agnoverat, et amicis indicaverat Paulus Sarpa Venutus;
quin etiam illum multo ante designaverat Andreas Cesalpinus, qui cum pluribus loci, tum
praecipue libro V quaestionum peripateticarum quaetione IV. Scripsit sanguine ex dextero
cordis ventriculo in sinistrum per pulmones traijci; atque huic sanguinis circulationi optime
respondere ea, quae in dissectione natantur. Opticus item tubnus, quem primus omnium protu-
lisse a Joanne Baptista Porta Neapolitano; neque vero ad eiusmodi artificium amplificandum
profuisse parum videtur industria Galilaei Fontanae Torricelli, aliorumque Italorum. Mitto
sapientiam aristotelico nomini, re autem vera sophisticis tricij iamdiu amanpatam, Italiae pri-
mum assertam fuisse ab illustribus illis philosophicae libertatis vindicibus Telesio, Patritio,
et Galilaeo».
86 Cornelio, Epistola ad Marcellum Crescetium qua motuum ollorum cui vulgo ob fugam
vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 114: «Praestat tamen novas, atque inauditas opiniones commi-
nisci, quam inventas, ubi de illarum vanitate consisterit, obstinate defendere».
53
vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 115: «Ego autem, ut nostri, in plerisque soleo ad utilitata ra-
tione Philosophandi recedere: neque enim ita semper Aristoteli addictus sum, ut quandoque
non probem etiam placita Democriti, ut Platonis; nec item solam veterum Philosophiam ita
veneror, ut aliquando non secter Neotericorum dogmata; quippe placent nonnulla ex Telesio,
complura ex Galilaeo arrident, plutima tandem mihi suppeditat Renatus des Cartes ad eam
Philosophandi methodum, qua ego utor: interdum ert occurrunt disquisitiones, in quibus nec
dicti Auctores, nec quisquam alius mihi plene satisfacit, quapropoter proprias positiones se-
quutus, ea soleo decernere, quae mihi rationum momenta suadere videntur».
54
vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 114: «Quamquam hodie plerique cum prava quadam consuetu-
dine de via deflexerint, eo sensim deducit sint, ut quamcumque semel a Praceptoris hauserunt
disciplinam, eandem pugnacissime tueantur; nec ab illa seu rationum momentis, seu experien-
tiis possint abduci; imo vero aetate provecti obstinatius obdurant; quippe, ut inquid Horatius,
Turpe putant minotibus; et quae Imberber didicere, senes perdenda fateri».
55
vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 204: «Nimirum est illa pura, levis, ac tenuissima substantia,
quae per sublimem fertur locum, sive aetheris, sive ignis, aut Coeli nomine appellare velis:
Quoeque, ut inquit Plato, minutissimis constat partibus; unde per aquam, et terram, et aerem,
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vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 128.
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vacui fieri dicuntur vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur a Timaei
Locrensis Crathigenae cit., p. 123.
93 PlaTo, Timaeus, 79 b-c; trad. It. Timeo a cura di C. GiarraTano in PlaTone, Opere
58
59
atque ad meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., Felicis Caroli Mosca,
Neapoli 1736, p. 18.
96 E. lojaCono, Immagini di René Descartes nella cultura napoletana dal 1644 al 1755,
60
p. 129.
61
ad meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., p. 324: «Ma i buoni, e veri
Filosofi, che an altro fine principale, che di andare rintracciando la verità delle cose, dovendo
con tutto il potere de’ loro sensi osservare ciò, che v’è nel Mondo, certamente più di tutti gli
altri debbono ammirarlo, e dove non ponno giungere col’ loro intendimento a conoscerne la
natura, colmi di meraviglia debbono restare stupefatti. […] Dal quale mio sentimento non
solo non mi parete voi alieni, ma veggio chiaramente, che maravigliando continuamente di
questa machina dell’Universo, e delle sue parti; per altra via non vi siate avanzati nella scienza
delle cose naturali, che per quella della sperienza su le cose delle quali meravigliati vi siete: e
veggo pure, che non isperate farvi progressi, che colla guida e colla scorta dell’osservazioni».
99 PorZio, Opera omnia, medica, philosophica, mathematica, in unum collecta, atque
ad meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., p. 326-327: «E de’ corpi per
li quali l’acqua, per esempio, ascende, si potrebbe dire, ch’ad essi si debbia principalmente
attribuire l’effetto del sollevarsi ella sopra quel che per ragione della sua maggiore gravezza
ridpetto all’aria può parer si convenga […]. A’ quali non fono molto differenti di sentimento,
quei ch’oltre alla gravità ammettono nell’aria, e nelle sue parti la virtù, che chiamano elastica,
colla quale vogliono, che l’aria continuamente, e per tutti i versi prema i corpi […]».
100 La concezione di uno spazio completamente pieno è comune a tutto il gruppo degli
Investiganti e in tale nozione si registra il punto di maggiore attrito con il pensiero di Galilei e
la grandissima influenza che desCarTes ha avuto. Nel De motu, opera composta durante il suo
soggiorno romano, PorZio rimase fedele a tale concezione dello spazio: «Omnes supponunt
corpora figurarum quarumcunque multis modis moveri posse; ac quidem vicinarium muta-
tionibus multa corpora saepius moveri manifestum est». (L.A. PorZio, De Motu Corporum
nonnulla, Bernardini Gessari, Napoli 1704, p. 1.)
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101 PorZio, Opera omnia, medica, philosophica, mathematica, in unum collecta, atque ad
meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., p. 330: «Mi diranno alcuni, che
tutto ciò si spieghi ottimamente co’l concedere all’aria una virtù elastica, colla quale ella pre-
ma da per tutto intorno i corpi, e li sostenti da sotto, e d’intorno non men di quel che di sopra li
prema, e che’l simile faccia l’acqua, onde non debba nelle suddette sperienze alterarsi il peso
de’ corpi. Io per me vi confesso, che non so se questa risposta sciolga le difficoltà. In oltre
quella virtù elastica non mi par tanto chiara, quanto ella si suppone; né so se meccanicamente,
com’è ragionevole si possa spiegare, e credo che vi sia qualche cosa, che debba screditarla.
[…] con tutto ciò vi affermo, che questa pressione non può essere cagione del sorgimento
de’ licori ne’filtri, nelle fistolette, ed intorno a molti corpi, e che con tal supposizione non si
possono spiegar tutti gli effetti, che in questa materia s’osservano».
102 Si tratta del primo ampio riferimento di un moderno napoletano all’opera di Boyle
63
103 PorZio, Opera omnia, medica, philosophica, mathematica, in unum collecta, atque ad
meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., p. 341: «[…] la gravità, o legge-
rezza de’ corpi sia una delle cose per qual, ch’io mi sappia non conoscente, e non ispiegate
ancora da’ Filosofi. Né mi par, che si debba aver per cefto ch’abbiano i corpi continuamente
un movimento, o forza di andare in giù, o in su (mi sia qui lecito, o Signori, considerare il
moto, come cosa distanta da’ corpi). Imperoche può ben essere, che ‘l loro proprio, e naturale
movimento, per lo quale sono tali, quali sono, non sia né in giù, né in su rispetto a quelle cose
che noi abbiamo fatto termine del sopra, e del sotto; ma che in alcuni luoghi per cagione delle
vicine sostanze possa egli ricevere qualche mutazione, o nuova direzione, per la quale è poi
trasporti i corpi verso uno di questi termini, o forse là dove per cagione di altre vicine sostanze
più facilmente li muova, secondo ricerca la loro disposizione».
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ad meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., pp. 342-343: «Tutto ciò dico
io, non perché sia mia intenzione di determinare adesso cosa alcuna intorno alla gravità o
leggerezza de’ corpi; ma bensì per avvisare modestamente coloro, i quali troppo ferventi nelle
loro obiezioni, con questi termini mi volessero atterrare, che prima di proporre le loro ragioni,
sono essi in obbligo di dichiararmi, ciò, ch’intendano ne’ corpi per gravità, o leggerezza; e mi
debbono prima insegnare se i corpi in ogni luogo, ed in ogni tempo si stimare gravi o gravi, o
leggieri, ed in che modo, e per qual cagione, e se’l movimento, o forza, che diciamo gravità,
o leggerezza sia molto diverso dal movimento, o virtù, colla quale si producono ne’ corpi, ed
altri effetti, e molte altre cose intorno a questa stessa materia, mi debbono prima dichiarare».
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105 PorZio, Opera omnia, medica, philosophica, mathematica, in unum collecta, atque ad
meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., pp. 344-345: «[…] nondimeno mi
pare, che si debba affermare, che i licori eziandio quando più quieti e stagnanti appariscono ad
ogni più esquisita veduta, abbiano tuttavia gran moto, e che le loro parti senza, ch’l tutto muti
vicino s’agitino continuamente tra se medesime, e perciò altre ascendono, altre discendono,
e quelle, che discese erano di nuovo ascendano senza aver timore di quelle larve di gravità, e
leggerezza, e dell’essere uguali nel peso o nella leggerezza. […] Per lo che si dee dire, che’l
proprio movimento de’ licori non sia in giù, o in su; ma che indifferentemente le loro parti
agitandosi altre ascendano, altre discendano, altre lateralmente si muovano, e tra di loro si
cedano il luogo, e continuamente mutino sito rispetto a se stesse».
106 PorZio, Opera omnia, medica, philosophica, mathematica, in unum collecta, atque ad
meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., pp. 347-348: «E per non replicare
spesse volte le medesime cose per l’avvenire chiameremo analogia la dispisizione, per la qua-
le alcuni licori si mischino insieme, e diremo, che quelli, che non si mischiano, abbiano difetto
di analogia; e similmente diremo, che tra quei licori, e quelle sostanze, che non si sciolgono,
o calcinano in essi, e quelle, né meno se ne possono bagnare, o umettare, come tra’l vetro, e
l’argento vivo, vi sia difetto di analogia».
107 PorZio, Opera omnia, medica, philosophica, mathematica, in unum collecta, atque ad
ad meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., pp. 347-348: «Ne’ quali
mischiamenti di licori non s’ha ragione alcuna di quella famosa sentenza. Omne grave de-
orsum, et leve sursum: non men di quel che di sopra vi dissi, che nell’estrazioni ragione
non se n’avesse. Imperoche quante volte abbiano i licori abalogia, per la quale co’l loro
movimento si possano unire insieme, ancorche l’uno più grave, o leggiero si debba dir
dell’altro, tuttavolta senza aver timore di queste larve, le parti del corpo chiamato più grave
si vedranno sorgere, ed insinuarsi tra le parti del corpo più leggiero, e lateralmente ancora
trascorrere per l’analogia licore».
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ad meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., p. 359: «Sorge l’acqua nel-
le fistole molto anguste, aperte da ambidue gli estremi, essendo elle umide alquanto, cioè
contenendo ne’ loro pori appunti, come se fossero picicole conchette, o acqua, o altro licore
analogo all’acqua, e vi sorge ella da se stessa in virtù del suo proprio movimento, co’l quale
ei unisce, e mischia coll’acqua contenuta ne’ pori delle fistole. Laonde essendo elle molte
anguste di modo, che l’acqua da un lato di avantaggio possa toccar l’acqua dal lato opposto, se
ne vedranno ripiene fin’ a cinque, o sei dita della loro longitudine, e tal’ora assai di più, mas-
simamente se non saranno erte a perpendicolo al piano orizzontale, e vi si vedrà poi l’acqua
giacere in maggior altezza, e sopra il livello dell’acqua soggiancente».
115 PorZio, Opera omnia, medica, philosophica, mathematica, in unum collecta, atque ad
meliorem, commodioremque formam redacta. Tomus II cit., p. 363: «Ed egli è tanto chiaro,
o Signori, che dall’acqua, e dagli altri licori, che noi abbiamo, continuamente escano fumi,
vapori, o espiazioni che dir vogliamo, ed è così manifesto, che queste aspirazioni possano
umettare molte, e molte sostanze, alla quale s’incontrino, e ritornando in forma di licore pos-
sano empiere i pori di quelle, ch’io non istimo per niente necessario, ch’io mi affatichi a
dimostrarlo. Anzi alcuni buoni scrittori sono di opinione, che quest’aria, che tanto è necessa-
ria alla nostra vita, di altro non sia principalmente composta, che delle espirazioni continue,
ch’escono non solo danno le liquide sostanze, ma dalla terra, e da tutti gli altri solidi corpi, che
in questo nostro mondo s’osservano. E credo io, che questa sia la cagione per la quale l’aria
s’osservi diversa, secondo la diversità de’ luoghi, e secondo, che varie sono le sostanze prossi-
me ad essa; conciosiache il vapore, ch’esse dall’acqua per esempio sia assai differente da quel
che dal vino, dall’olio, e similmente da gli altri licori si solleva, e tra di loro assai diverse siano
l’espirazioni, ch’escono da questa, e quella sorte di terra, e che da gli alberi, dalle miniere de’
metalli, del vetriolo, del zolfo, e dall’altre cose s’innalzano. Per lo che mischiandosi coll’aria,
continuamente varie, e varie sostanze, secondo la diversità de’ luoghi per cagione de’ corpi
diversi, ai quali ella è prossima, non dee recarci maraviglia, che non sia ella uniforme, e d’una
medesima natura in tutti i luoghi».
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120 L. di CaPUa, Parere divisato in otto ragionamenti ne’ quali partitamente narran-
dosi l’origine, e’l progresso della medicina chiaramente l’incertezza della medesima si fa
manifesta, Giacomo Raillard, Napoli 1681, pp. 60-61: «Ecco quel sentiero, che segnarono
i barbari da prima, indi i Greci, et ultimamente i modern i nostri filosofanti, che in tan-
to pregio, e tanta fama, gloriosamente salirono. E perché crederemo noi, che l’antica età
avesse e Talete, e Anassimene, e Senofane, e Anassimandro, e Pitagora, ed Empedocle,
e Leucippo, e Democrito, ed Eraclito, ed Anassagora, e Socrate, e Platone, e Aristotele,
ed Epicuro, e Zenone, e tanti e tanti altri filosofi d’immortale fama degli: e si pregino
parimente, e si diano vanto i nostri secoli d’aver recati al mondo il Cardinale Cusano, e’l
Copernico, e’l PAtrici, e’l Telesio, e’l Ramo, e’l Donio, e Ticone, e’l Cheplero, e’l Bruni, e’l
Gilberti, e’l Montagna, e’l Mersenni, e’l Bassoni, e’l Galilei, e lo Stigliola, e’l Campanella,
e’l Verulamio, e Renato, e’l Gassendi, e’l Iungio, e’l Digbi, e l’Oggelandio, e’l Boile, e’l
Borrelli, e’l Maignano, e’l Robervallio, e’l Malpighi, e’l Redi, e lo Stenone, e’l Ricci, e l’U-
liva, e’l PorZio, e’l Bellii, e’l Marchetti, e’l Montanari, e questi, che sommamente fregiano
la nostra Patria Tommaso Cornelio, Giovan Battista Capucci, e D. Carlo Buragna, di cui
ben tostoo s’ammireranno gl’ingegnosi filosofici trovamenti, ed altri incomparabili eroi,
che con gloriosissima gara l’un dell’altro sen vanno per le vastissime regioni della natura
superbi, e alti voli spiegando: se non perché tutti costoro vaghi oltremodo di spiar la sola
verità, non mai a’ detti di niuno trasportar ciecamente si lasciarono. E vivranno sempremai
pe’l contrario senza fama, senza lode appo i saggi, e prudenti stimatori delle cose tutti co-
lori, che togliere non vogliono una sì necessaria libertà; anzi sovente in tanti falli della loro
cieca ostinazione sono tratti, che né senza risa rimembrare, né senza nota d’obbrorio, e di
vitupero nominare unque si possono».
121 R. CoTUGno, La sorte di G.B. Vico e le polemiche scientifiche e letterarie dalla fine del
XVII alla metà del XVIII secolo, Laterza, Bari 1914, pp. 52-53.
72
Il libertinismo erudito
122 A. QUondaM, M. rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, Vol. I,
Guida, Napoli, 1978, pp. 368-369: «Mi trovo impegnato di fare un’apologia in difesa degli
atomisti contro le prediche di un padre predicatore che non ha fatto altro che predicar contro
loro e ha promesso di predicare tutta la vegnente vernata sul medesimo soggetto. Gli ha trattati
da atei, da ignoranti, con cento altri spropositi, sparlando del Gassendo e di Renato e di tutti
gli altri, senza però aver letto nessuno di loro e senza sapere in che consista la dottrina degli
atomi. E perché l’apologia ha da esser fatta per gl’ignoranti, perché con uomini che sanno non
ve ne sarebbe bisogno, stimo di fortificarla assai più coll’autorità che colla ragione. E sopra
tutto ho bisogno della notizia di tutti i libri de’ moderni che seguitano questa maniera di filo-
sofare, tanto di quei che principalmente sostentano la dottrina degli atomi o delle particelle,
che tutti poi tendono ad uno, quanto di quei che filosofando si servono di spiegar le cose per
via di unione di parti, sicché si vede che son della medesima dottrina. Ma perché in questa
città di questi libri ve n’è grandissima scarsezza, e io avrei gusto di nominali distintamente coi
titoli dati ai loro libri e con sapere anche il tempo quando si son stampati, questa notizia non
posso averla che da Vostra Signoria, che da tutta l’Europa è conosciuto pel primo uomo che sia
in aver cognizione di quanto si è scritto, sicché può chiamarsi una viva bibliteca. Soprattutto
avrei caro saper tutti gli italiani, o che hanno scritto in Italia. Di questi io non ho notizia d’altri
che del Berigardi nel Circolo pisano, di Roderico da Castro che fu lettore a Pisa, il Galileo, il
padre Cosmo nella Fisica universale e’l padre rissini ultimamente, monaco olivetano, nella
sua Filosofia naturale. Di quei poi che trattando altre materia filosofiche hanno filosofato per
questa maniera, non so altri che ‘l Borrelli, il signor Redi, il Malpighi e il Montanari, il signor
Dal Papa, e’l Bellini, in alcuni suoi opuscoli».
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125 F. d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofi-
ca della Napoli di fine Seicento, a cura di A. Borrelli, Liguori, Napoli 1995, pp. 1-2.
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126 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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127 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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128 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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129 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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130 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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132 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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133 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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135 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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139 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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140 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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141 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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142 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
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della Napoli di fine Seicento cit., p. 136: «Al terzo mi dice che nessun atomista degl’antichi
stimò gl’atomi punti, e che tutti li chiamavano magnitudines athomos, e perciò lor diedero
moto e figura, e varietà anche di grandezza, e che la questione se la quantità costi d’infiniti
punti e se sia divisibile in infinitum è un’altra cosa della quale gl’atomisti, in quanto son ato-
misti e voglion passare avanti e considerare la generazione delle cose, non se ne piglian briga
e tutte queste dispute le lasciano a gli scolastici, i quali consumano il cervello a studiare falzo.
Per non saper giammai che cosa è il quanto».
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q. 75, a. 4 co.: «Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, cum in hoc sacramento sit
verum corpus Christi, nec incipiat ibi esse de novo per motum localem; cum etiam nec corpus
Christi sit ibi sicut in loco, ut ex dictis patet, necesse est dicere quod ibi incipiat esse per con-
versionem substantiae panis in ipsum. Haec tamen conversio non est similis conversionibus
naturalibus, sed est omnino supernaturalis, sola Dei virtute effecta. Unde Ambrosius dicit, in
libro de sacramentis,
liquet quod praeter naturae ordinem virgo generavit. Et hoc quod conficimus, corpus ex
virgine est. Quid igitur quaeris naturae ordinem in Christi corpore, cum praeter naturam sit
100
ipse dominus Iesus partus ex virgine? Et super illud Ioan. VI, verba quae ego locutus sum vo-
bis, scilicet de hoc sacramento, spiritus et vita sunt, dicit Chrysostomus, idest, spiritualia sunt,
nihil habentia carnale neque consequentiam naturalem, sed eruta sunt ab omni tali necessitate
quae in terra, et a legibus quae hic positae sunt. Manifestum est enim quod omne agens agit
inquantum est actu. Quodlibet autem agens creatum est determinatum in suo actu, cum sit de-
terminati generis et speciei. Et ideo cuiuslibet agentis creati actio fertur super aliquem deter-
minatum actum. Determinatio autem cuiuslibet rei in esse actuali est per eius formam. Unde
nullum agens naturale vel creatum potest agere nisi ad immutationem formae. Et propter hoc
omnis conversio quae fit secundum leges naturae, est formalis. Sed Deus est infinitus actus,
ut in prima parte habitum est. Unde eius actio se extendit ad totam naturam entis. Non igitur
solum potest perficere conversionem formalem, ut scilicet diversae formae sibi in eodem su-
biecto succedant, sed conversionem totius entis, ut scilicet tota substantia huius convertatur
in totam substantiam illius. Et hoc agitur divina virtute in hoc sacramento. Nam tota substan-
tia panis convertitur in totam substantiam corporis Christi, et tota substantia vini in totam
substantiam sanguinis Christi. Unde haec conversio non est formalis, sed substantialis. Nec
continetur inter species motus naturalis, sed proprio nomine potest dici transubstantiatio».
148 ThoMas aQUinas, Summa Theologiae, 50675, Studio Domenicano, Bologna 2015,
III, q. 77, a. 1 co.: «Respondeo dicendum quod accidentia panis et vini, quae sensu de-
prehenduntur in hoc sacramento remanere post consecrationem, non sunt sicut in subiecto in
substantia panis et vini, quae non remanet, ut supra habitum est. Neque etiam in forma sub-
stantiali, quae non manet; et, si remaneret, subiectum esse non posset, ut patet per Boetium,
in libro de Trin. Manifestum est etiam quod huiusmodi accidentia non sunt in substantia
corporis et sanguinis Christi sicut in subiecto, quia substantia humani corporis nullo modo
potest his accidentibus affici; neque etiam est possibile quod corpus Christi, gloriosum et
impassibile existens, alteretur ad suscipiendas huiusmodi qualitates. Dicunt autem quidam
quod sunt, sicut in subiecto, in aere circumstante. Sed nec hoc esse potest. Primo quidem,
quia aer non est huiusmodi accidentium susceptivus. Secundo, quia huiusmodi accidentia
non sunt ubi est aer. Quinimmo ad motum harum specierum aer depellitur. Tertio, quia acci-
dentia non transeunt de subiecto in subiectum, ut scilicet idem accidens numero quod primo
fuit in uno subiecto, postmodum fiat in alio. Accidens enim numerum accipit a subiecto.
Unde non potest esse quod, idem numero manens, sit quandoque in hoc, quandoque in alio
subiecto. Quarto quia, cum aer non spolietur accidentibus propriis, simul haberet accidentia
propria et aliena. Nec potest dici quod hoc fiat miraculose virtute consecrationis, quia verba
consecrationis hoc non significant; quae tamen non efficiunt nisi significatum. Et ideo relin-
quitur quod accidentia in hoc sacramento manent sine subiecto. Quod quidem virtute divina
fieri potest. Cum enim effectus magis dependeat a causa prima quam a causa secunda, potest
Deus, qui est prima causa substantiae et accidentis, per suam infinitam virtutem conservare
in esse accidens subtracta substantia, per quam conservabatur in esse sicut per propriam
causam, sicut etiam alios effectus naturalium causarum potest producere sine naturalibus
causis; sicut corpus humanum formavit in utero virginis sine virili semine».
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152 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
104
154 R. Boyle, Il virtuoso cristiano. Ove si dimostra che l’uomo dedito alla filosofia speri-
mentale è aiutato piuttosto che ostacolato a essere un buon cristiano, in C. PiGheTTi (a cura
di), Opere di Robert Boyle, UTET, Torino 1977, pp. 65-80.
155 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
della Napoli di fine Seicento cit., p. 32-33; V. Ferrone, Scienza Natura Religione: mondo
newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Jovene, Napoli 1982, p. 171.
105
Principe di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle
lettere Apologetiche di Benedetto Aletino, c. 3v.
157 d’andrea, Lettera familiare di Francesco D’Andrea a D. Antonio d’Aquino Principe
di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle lettere
Apologetiche di Benedetto Aletino, pc. 37v.
158 d’andrea, Lettera familiare di Francesco D’Andrea a D. Antonio d’Aquino Principe
di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle lettere
Apologetiche di Benedetto Aletino, c 84v.
106
di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle lettere
Apologetiche di Benedetto Aletino, cc. 15v-16r e 84v-85r.
160 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
107
108
di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle lettere
Apologetiche di Benedetto Aletino cit., 212r.
167 d’andrea, Risposta del Sig. Francesco D’Andrea a favore del Sig.or Lionardo de
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98, 19v-20r.
168 d’andrea, Lettera familiare di Francesco D’Andrea a D. Antonio d’Aquino Principe
di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle lettere
Apologetiche di Benedetto Aletino cit., 20r.
169 d’andrea, Lettera familiare di Francesco D’Andrea a D. Antonio d’Aquino Principe
di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle lettere
Apologetiche di Benedetto Aletino cit., 85r.
109
di Ferolito in difesa de’ pareri di Lionardo di Capoa contro le accuse contenute nelle lettere
Apologetiche di Benedetto Aletino cit., 216v-217r.
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Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 183v-184r.
111
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 253r-v.
173 d’andrea, D’Andrea atomista. L’«Apologia» e altri inediti nella polemica filosofica
112
174 d’andrea, Risposta del Sig. Francesco D’Andrea a favore del Sig.or Lionardo de
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 284r-v.
175 d’andrea, Risposta del Sig. Francesco D’Andrea a favore del Sig.or Lionardo de
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 284v.
113
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 286r-v.
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177 d’andrea, Risposta del Sig. Francesco D’Andrea a favore del Sig.or Lionardo de
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 288r-v.
178 d’andrea, Risposta del Sig. Francesco D’Andrea a favore del Sig.or Lionardo de
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 189r.
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Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 289r-v.
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Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 5v.
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182 d’andrea, Risposta del Sig. Francesco D’Andrea a favore del Sig.or Lionardo de
Capua contro le lettere Apologetiche al Sig.or Principe di Castiglione fatta nella sua dimora
in Procida io credo nel 1697 a 98 cit., 26r.
183 Badaloni, Introduzione a G.B. Vico cit., p. 163.
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185 A. QUondaM, M. rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, Vol. II,
120
Pare Allesandro Pompeo Berti della Congregazione della Madre di Dio, detto tra gli Arcadi
Nicasio Porriniano. All’Illustrissimo Signore Alessandro Buonvisi Patrizio Lucchese,«Le vite
degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d’ordine della generale adunanza
da Giovanni Mario Crescimbeni Canonico di S. Maria in Cosmedin, e Custode d’Arcadia»,
Stamperia di Antonio de’ Rossi alla piazza di Ceri, Roma 1708, 4 (1727), p. 41.
188 BerTi, Vita di Giuseppe Valletta Napoletano detto fra gli Arcadi Bibliofilo Atteo cit.,
pp. 43-62.
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191 deCarTes, Gassendi, la MoThe le vayer, laMy, dU haMel, hUeT, réGis, le polemi-
che anticartesiane etc. Tra gli autori inglese spiccarono Boyle, Hobbes, Locjke, i platonici di
Cambridge e i Principia di Newton.
192 CoMParaTo, Giuseppe Valletta cit., pp. 98-99.
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193 Il medico di Capasso si mosse in questa direzione: “Chi non liegge i libri, che le ghietta
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194 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi cit., pp. 1053-
1054.
195 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi cit., pp. 1056-
1057.
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196 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi cit., p. 1064.
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199 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Anrtonio Magliabechi cit., p. 1072.
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200 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi cit., 1076.
201 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno af Antonio Magliabechi cit., pp. 86-90.
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202 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi cit., p. 73.
203 QUondaM, rak (a cura di), Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi cit., p. 120.
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siero di valleTTa, poco interessate a una visione dinamica del suo progetto, forniscono scarsi
aiuti nerll’affrontare la questione della datazione delle opere e delle loro diverse elaborazioni.
Lo studio di tali modificazioni pone innanzitutto il problema di ritrovare sia i manoscritti sia
le stampe, nonché di poter ricostruire in successione le contaminazioni e le aggiunte in modo
da giungere a una corretta lezione delle opere del valleTTa. Il problema storico-filologico fu
già avvertito da Croce che, pur fornendo un breve saggio su valleTTa, in cui fornì indicazioni
utili per l’inquadramento dell’Istoria filosofica, non riuscì a ricostruire le vicende interne delle
scrittute vallettiane, negandone anche una propria dignità storiografica. Il giudizio di Croce fu
successivamente corretto all’ampliarsi degli studi sulla cultura del periodo.
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Ordinario e Canonico nelle cause che si trattano nel Tribunale del Santo Ufficio nella città
e regno di Napoli. Ubi periculum maius intenditur, ibi procul dubio est plenius consulendum,
B.N.N., ms. XI C. 10, ff. 58v-117r.
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214 G. valleTTa, Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (1691-
1697), «Opere filosofiche» a cura di M. rak, Olschki, Firenze 1975, pp. 77-78.
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XXIII. D. 6, f. 147v.
216 Turris fortitudinis propugnata a filiis lucis adversus filios tenebrarum cit., f. 148r.
217 Turris fortitudinis propugnata a filiis lucis adversus filios tenebrarum cit., f. 149r.
218 Turris fortitudinis propugnata a filiis lucis adversus filios tenebrarum cit., f. 149v.
219 Turris fortitudinis propugnata a filiis lucis adversus filios tenebrarum cit., ff. 152-153.
220 Turris fortitudinis propugnata a filiis lucis adversus filios tenebrarum cit., f. 154r-v.
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221 valleTTa, Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (1691-
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223 valleTTa, Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (1691-
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224 valleTTa, Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (1691-
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227 L. aMaBile, Il Santo Officio dell’Inquisizione in Napoli. Narrazionr con molti docu-
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228 BerTi, Vita di Giuseppe Valletta detto fra gli Arcadi Bibliofilo Atteo cit., p. 57 sgg.
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231 valleTTa, Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (1691-
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232 valleTTa, Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (1691-
1697) cit., pp. 125-126: «Quindi San Tommaso stesso, discepolo d’Alberto Magno, si avvalse
nella sua Teologia di quella Filosofia e di quella morale d’Aristotele, che più purgatamente
fu distesa in compendio da San Giovanni Damasceno, avendo da esso preso un modo più
particolare e sincero; e il Campanella afferma che San Tommaso: Nullo pacto putan dum est
Aristotelizasse sed tantum Aristotelem exposuisse, ut occurreret malis per Aristotelem illatis.
E San Tommaso medesimo si lamentò molto con altri Filosofi più giudiciosi del suo tempo
che gli Arabi e i Mori colà nell’Africa avevan contaminata la Filosofia e l’Opere tutte d’Ari-
stotele, per non saper egli molto bene di Greco […]»
164
1697) cit., pp. 127-134: «Il quale [la filosofia platonica e democriteo-epicurea] fu poi segui-
tato da’ maggiori ingegni Italiani, cioè Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola e da
altri cattolici, e particolarmente da Niccola da Cusa e da Pietro Bembo ambuedue Cardinali; il
quale contro d’Aristotele così esclamò: Fovemus serpentem inter viscera nostra. Di maniera
che vedesi per lo più sempre osservata la Platonica, la Democritica e l’Epicurea Filosofia,
essendo che sono tutte uniformi in concedendo che gli Atomi fossero i primi principii di tutte
le cose corporee, e che il sovrano bene del piacere non conista ne’ diletti indegni e brutali, ma
solamente nell’animo, e nella vita onesta e tranquilla della virtù, non come ltrimenti voleva
Aristotele, com’è detto. Fu notato bensì Epicuro per così dire plagiario, avendo pubblicati per
suoi i libri degli Atomi di Democrito, e dannata in lui l’opinione della mortalità dell’anima. Gli
altri suoi sentimenti, per la sua moderazione e moralità, sembrarono così giusti e ragionevoli
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a Girolamo il Santo, ch propose a’ Cristiano di suo tempo la lezioni de’ suoi libri; e da molto
Santi Padri ei fu commendato. […] E Sant’Ambrogio, ancorché più severo d’ogni altro Sanrto
Padre, e nelle Filosofie più rigido, pur egli stimò essere più compatibili gli orti d’Epicuro che
d’Aristotele i portifi, come affatto dannevoli non che pericolosi; perocché ne’ libri degli uffizi
al Cristiano appartenenti, così n’avvisò: Epicuri Hortos tolerabiliores esse Lyceo Aristotelis.
[…] Questa Filosofia adunque d’Epicuro, o se altrimenti chiamar si voglia Democritica, vien
molto largamente divisata e comprovata dall’incomparabile Pier Gassendi, Canonico, e poi
Preposto nella Chiesa di Digne, sua patria, teologo e professore delle Matematiche scienze
in Parigi, il quale fu di pura e castissima vita, e uno de’ più illustri ornamenti della Francia, e
quasi l’oracolo stesso delle lettere del secol nostro, di cui giustamente dir si potrebbe ech’egli
intorno alle cose filosofiche e scienze Matematiche ne diede il giudicio come Pittagora e
spiegolle come Platone. […] Ma sia lecito farne qualche parola, e dir solo che il Gassendi,
avendo appreso nelle scuole la Filosofia d’Aristotele, e da esso poi tutti i varii sistemi degli
antichi Filosofanti, per quanto gli fu permesso dalla condizione umana, e dal suo proprio inte-
dimento e abilità, volle dopo seguitare e perfezionare quella d’Epicuro, come più acconcia e
proPorZionata Filosofia d’ogni altra, ammettendo gli Atomi principii di tutte le cose corporee;
[…]. Sostenendo però che Dio gli abbia creati, e che Dio avesse lor dato il movimento e il
distendimento e la figura. […] Renato desCarTes, prendendo egli più alti principii, fece da
se stesso un altro sistema di Filosofia, il quale ebbe epr fondamento principale d’essa in pro-
vando l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, e su questi veri e saldissimi fondamenti
gettò le sue radici quella sua altissima Filosofia, raggirando sempre le sue Meditazioni intono
a sì nobili e certi principii, a cui aggiunse degli altri a tutti palesi; i quali sono così conformi
a’ buoni e giusti sentimenti, che molti d’essi veggonsi tratti dagli Autori più approvati della
Chiesa. In modo che riconosciutosi ciò dal Padre de Farvague, ch’era allora uno di quelli che
gravemente si opponevano a Renato, divenne egli poi uno de’ più grandi difensori di lui, aven-
do chiaramente in essi ritrovato i medesimi sentimenti della Transunstanzione, ch’era quasi
l’unico e solo punto che l’arrestava. Il che dopo qualche tempo distese nelle sue Conclusioni
Teologiche, le quali aveva ancora cavate dal libro il Cardinale d’Ailly, e Vescovo di Cambrai,
aveva fatto sopra il Maestro delle Sentenze, per manifestare che questo Cardinale propose l’o-
pinione di Renato toccante gli accidenti della Santissima Eucaristia, conforme alla definizione
del Concilio Ecumenico di Costanza».
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1697) cit., pp. 177-179: «E chi per molto ha passeggiato ne’ Licei, e per poco dimorato nelle
Scuole de’ Filosofi moderni, ben conosce la natura di tanti animali, de’ quali non favella
Aristotele, insegnata dall’Aldrovando, dal Vorstio e dal Bauhino; la virtù, e la qualità di tante
erbe e di tante piante portate a noi dagli Antipodi, e fatte descrivere dal Principe Federigo
Cesi, ed ora più abbondamente descritte nel libro detto Hortus Malabaricus; la natura di tanti
minerali e di tante cose acculte, taciuta da Aristotele scoverta dal Cardano, dallo Scaligero,
da Giorgio Agricola e da Ferrante Imperato. Ed intorno alla struttura del corpo umano quan-
te cose si sono scoverte da’ moderni? Gasparre Asellio ritrovò le vene lattee: il Pacqueto
il sacco latteo, col dutto toracico, chilifero; Virsungio il canaletto pancreatico; Tommaso
Bartolino i vasi linfatici; Maercello Malpighi quante meraviglie ha detto intorno alla struttura
del cervello, delle ghiandole, e de’ polmoni; e l’ovario delle donne, che distrugge affatto la
dottrina della generazione dell’uomo d’Aristotele, ritrovato dal Vanhorne? E l’aggiramento
del sangue da Guglielmo Harveo, dimostrato pria da Paolo Serpi e da Andrea Cesalpini, e
tanti sperimenti nella natural Magia del nostro Giovambattista Della Porta; le maravigliose
invenzioni nella Chimica da Basilio Valentino, da Teofrasto Paracelso e dal Vanhelmont; e le
osservazioni alla circumpulsione, secondo la mente di Platone; intorno alla vita, al nutrimen-
to, alla parentela dell’aria, dell’acqua, descritte dal nostro Tommaso Cornelio; e tante altre
spiegazioni del Capucci, del Severino, del nostro Lionardo da Capua ne’ suoi Pareri e nelle
Mofete, e di Francesco Redi. Il nobilissimo ritrovamento dell’argento vivo ne’ cannelli per
la prova del vuoto del Torricelli, esaminata alla lunga dal Padre Bartoli Gesuita; de’ Vortici
del gran Renato; e di tanti, tant’altri ritrovati del Verulamio, del Borrelli, del Keplero, del
Gilberto, dello Stelliola, del Campanella, del Digby, del Gassendi, del Boyle e d’altri. […]
Nell’Astronomia che non hanno scoverto i moderni? Dimostrando che i Cieli essere fluidi, e
non più orbi solidi come vollero gli antichi; pianeti stimati prima fare i loro giri intorno alla
terra, muoversi intorno al Sole; Venere mutar le sue fasi, o figure a guisa di Luna; Mercurio
e Marte ancora far lo stesso; Giove essere circondato da quattro stelle, chiamate Medicee, e
Saturno da cinque altre, come disse il Cassini; esser la Luna un corpo di superficie disuguale
e montuosa; ritrovarsi nella faccia del Sole molte macchie di disuguale grandezza e di varia
durazione, agli antichi ignote; e la qualità e la disposizione delle Comete e d’altri corpi celesti,
non intese da Aristotele ed investigate da Ticone e dal Galilei; […] ne’ gravi cadenti accele-
rarsi il moto secondo i numero spari, ed essere il tempo radice quadrata dfello spazio decorso,
e non già esser vera la dottrina d’Aristotele il quale disse che i gravi di diverso peeso avessero
diversa accelerazione, secondo la proporziione della gravità; il mezzo non continuare, ma im-
pedire piuttosto il moto de’ proetti; […] l’aria essere un corpo elastico, e potersi questa estrar-
re da qualche spazio; […] Ma qual penna potrà giammai abbastanza celebrare i nobilissimi
ritrovanti del Telescopio, del Microscopio, dell’Igroscopio e del Termometro; della Bussola
nell’arta nautica, e dall’istromento da render dolci le sale acque del mare, e di cotante altre
cose nuove che alla giornata si van ritrovando? Onde si viene più e più sempre a conoscere la
debolezza dell’antiche Filosofie e la verità delle moderne […]».
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239 valleTTa, Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (1691-
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Tra la fine del 1703 e gli inizi del 1704 fu data alle
stampe, imperfetta, clandestinaed edita all’insaputa del
suo autore, una ricerca in materia di storia della filo-
sofia che fu indicata nelle intitolazioni apocrife come
Istoria filosofica, Storia della filosofia e Storia della
filosofia corpuscolare243. Quest’opera fu l’esito di una
riflessione decennale iniziata con una traccia di poche
righe inserita ad apertura del trattato inquisitoriale del
1691-1692. Quest’ultimo fu compilato per analizzare
le ragioni filosofiche dei tumulti e delle lotte cittadine
provocate, a partire dal 1688, dal noto “processo agli
ateisti”, teso a colpire gli intellettuali atomisti napole-
tani. Negli anni 1693-1694 il discorso originario subì
una profonda frattura, perché Valletta sottopose il tratta-
to a un processo di modificazione e arricchimento della
243 Esistono cinque esemplari della stampa clandestina di cui non sono state ritrovate le
copie manoscritte; sono inoltre prive di indicazione dell’autore, della data e del luogo di pub-
blicazione e di titolazione. Il titolo qui utilizzato è quello proposto da Rak, mentre, nelle
lettere a Magliabechi, valleTTa chiamò quest’opera Filosofia.
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244 M. rak, La parte istorica. Storia della filosofia e libertinismo erudito, Guida, Napoli
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fica” di Giuseppe Valletta, «Rivista di Storia della Filosofia», XLIII (1988), Angeli, Milano,
p. 183.
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246 rak, La parte istoria. Storia della filosofia e libertinismo erudito cit., pp. 32-38.
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Filosofia ebbe sua origine da Ferecide Siro, a cui succedette Pitagora, ed a lui il suo figliuolo.
[…] Questa adunque Filosofia, o che di voglian seguitare i principii di Democrito o d’Epi-
curo, ebbe l’origine e ‘l primo suo nascimento nella nostra Magnagrecia, che comprendea
quasi tutta la spiagia marittima del nostro Regno e tutta quella estremità de’ liti lche l’uno e
l’altro mare superiore ed inferiore circorda. […] E tutto ciò che da Mosè fu detto intorno alla
Giustizia egli [Pitagora]ridusse in compendio, al dir del medesimo Clemente l’Alessandrino,
e Giuseppe [Ebreo] stesso […]».
250 valleTTa, Istoria filosofica (1697-1704) cit., pp. 229-231: «Oltracciò egli fu il primo
che nella Grecia manifestasse, con forti argomenti, l’immortalità dell’Anima […]. E – quan-
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tunque egli sostenesse la strana opinione della trasmigrazione […] – egli si dee nientidimaco
questo fallo a lui condonare, perché nemo fuit Philosophorum, qui peccavit aliqua, come disse
il Gassendi nell’Epistole. […] Egli fu ancora colui che insegnò Dio esser Unità, e mente che
si diffonde in tutte le parti dell’Universo».
251 valleTTa, Istoria filosofica (1697-1704) cit., pp. 231-237: «Or la medesima Filosofia
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255 valleTTa, Istoria filosofica (1697-1704) cit., pp. 255-260: «Quanto al nostro proposito
però non mi pare doversi tener gran conto della considerazione del Burnet nel libro dell’Ar-
cheologia, cioè non aver noi alcuna certa notizia che Sanchoniathon avesse parlato della
Filosofia degli Atomi e seguentemente nemmen di Mocho potersi affermare, imperoché di fa-
cile gli risponderemo, primieramente che se Scrittori contanto antichi non puossi con certezza
affermare che cosa abbiano scritto, molto meno potrassi giudicare con verità che non abbiano
scritto. […] Assai più debole si è l’altro argomento di Burnet, quando ei dice che questa si fu
una invenzione di Posidonio Filosofo per oscurar la gloria di Leucippo e di Democrito, primi
inventori, secondo lui, di questa Filosofia».
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Filosofiche e Scienze Matematiche giudicato come Pittagora ed esplicate come Platone. […]
volle finalmente seguitare e perfezionare quella d’Epicuro come la più acconcia e verisimile
d’gn’altra Filosofia, espliciando col mezzo degli Atomi, o sia particelle, le più secrete maravi-
glie della Natura. Fu quindi seguitata la Filosofia Corpuscolare dalle migliori e più rinomate
Cattedre di Europa».
261 valleTTa, Istoria filosofica (1697-1704) cit., p. 292.
197
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cordarci d’un altro mostro di empietade Aristotelica cioè a dire di Benedetto Spinoza, Giudeo
di nazione ma di professione Ateista, poiché, se ben egli pubblicato avesse nel MDCLXIII
un libro de’ rprincipii di Renato, nulladimeno o si ha a credere che allora era di tal peste
imbrattato, perché nemo repente fuit turpissimus, o perché avesse divisati per minsegnarli in
forma di dimostrazioni ad un sio Discepolo, come si dice nella Prefazione fatta al medesimo
libro dello Spinosa da Ludovico Meyer, ma che in fatti non fusse stato mai Renatista. […]
Non esservi altra via, ei disse, che questa nostra mortale, senza veruna speranza di premio o
tema di supplicio dopo la morte. Esser perciò lecito a chi che sia di recare ad effetto qualunque
desiderio si voglia, secondo lo stato di Natura potere l’un uomo rendersi Signore dell’altro,
ed usar ogni violenza ed inganno, e che solamente a quello che vien disposto per legge dalla
Città ciascuno viene obbligato di ubbidire, perché a lei spetta, dic’egli, di determinare qual
cosa sia giusta o ingiusta, pio od empia, secondo i sentimenti testè mentivati del medesimo
Hobbes e del Baron Herbet».
265 sPinoZa, Epistolario. Carteggio Spinoza/Stensen. Settembre/ottobre 1761, pp. 1444-
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Fonti primarie
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