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Biblioteca del « Calendario »

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Biblioteca
Biblioteca del « Calendario »

1 - Carlo Smuraglia Enciclopedia dei diritti dei lavoratori


2 - Gian Carlo Vicinelli Enciclopedia dei diritti previdenziali
3 - Idomeneo Barbadoro Il libro dell'agricoltura
4 - Idomeneo Barbadoro Enciclopedia del sindacato
5 - Marco Vigni Il libro del mare
6 - Iginio Di Martino Enciclopedia della gestione della scuola
7 - Pavel Puckov Le religioni nel mondo d'oggi
8 - Antonio Rubbi I partiti comunisti dell'Europa occidentale
9 - Tito Saffioti Enciclopedia della canzone popolare
e della nuova canzone politica
10-11. Alba Rossi Dell'Acqua
Dell'Acqua Enciclopedia della matematica
12 - Enzo Funari La psicologia. Scuole e indirizzi
13 - Fulvio Papi Enciclopedia della filosofia contemporanea
14 - Ettore Tibaldi Enciclopedia della vita sessuale
15 - Camillo Brezzi I partiti democratici cristiani d'Europa
16 - Alceo Rìosa, I partiti socialisti d'Europa
17-18. Alba Rossi,
Piera Sasso,
Antonio Damico Enciclopedia della fisica
19 - Giancarlo Lannutti Enciclopedia del Medio Oriente
20 - Guido Fiorentino, Enciclopedia dell'informatica
21-22. Anna Bartolini Gli alimenti tra salute e portafoglio
23 - Sergio Zangirolami Enciclopedia dell'economia politica
24 - Accademia cinese di
medicina tradizionale L'agopuntura
25 - Ugo Leone Enciclopedia dell'ambiente umano
26 - Arrigo Boldrini Enciclopedia della Resistenza
27 - Giorgio Straniero Enciclopedia storica della pedagogia
28 - Giorgio Bini Enciclopedia dell'educazione familiare
29 - S. Fedele G. Restifo Il fascismo. Politica e vita sociale
30 - Giuseppe Bezza L'astrologia. Storia e metodi

Di prossima pubblicazione:

Marinò Livolsi La sociologia. Problemi e metodi


Giuseppe Bezza

L'astrologia
storia e metodi

Teti editore
Copertina di Max Huber

Biblioteca del Calendario. Periodico mensile registrato al n. 329


del Tribunale di Milano in data 27-9-1976.
Direttore responsabile Nicola Teti - N. 30 - Novembre 1980.
© Copyright 1980 Nicola Teti & C. Editore s.r.l. Milano
A mio figlio Elia

« Il paese è quieto, le porte delle case


sono sprangate, i portoni [della città] sono chiusi.
Le sbarre sono abbassate, [la terra] non emette un suono solo le porte dell'ampio
cielo sono aperte e i grandi dei della notte, come sentinelle, sono presenti. Venite, o
grandi stelle, dei della notte »

(Dalla Biblioteca di Assurbanipal, a Ninive, tavoletta K 3507 del British Museum


(Pagina lasciata intenzionalmente vuota per ragioni di numerazione)
Introduzione

Nella storia dell'astrologia in generale e in particolare di quella genetliaca che si


interessa dei destini individuali esistono da sempre due livelli: l'uno intende spiegare la
costituzione globale dell'uomo, la sua complessione fisica e psichica e mostrarlo quindi
nella sua particolare e individuale natura; l'altro pretende, di questo medesimo uomo,
svelare anzitempo lo svolgersi della vita, enumerare le gioie, le disgrazie e gli accidenti e
indicare infine il momento della morte.
Questi due livelli sono come quei due uomini che, dice Savinio 1, «convivevano in
Nostradamo: il diurno e il notturno. Sul notturno pesavano gravi sospetti di stregoneria
e di commercio con gli spiriti; il diurno era uno specchiato cittadino...». Se facciamo
corrispondere questi due livelli l'uno al mondo fisico e terreno, l'altro al mondo celeste,
possiamo porre la nascita dell'astrologia all'interno di una loro concezione unitaria
fondata sulla simpatia, la somiglianza e la parentela tra il cosmo e il nostro mondo
sublunare. Intorno al primo secolo della nostra era un certo Arpocrate racconta 2 di uno
studente in medicina che scoprì in una biblioteca di Alessandria uno scritto non
pervenutoci di Nechepso che indicava una serie di cure da attuarsi mediante le piante e
le pietre. Egli provò a mettere in pratica alcune di queste ricette, ma non ebbe che
risultati negativi. Si recò allora disperato a Diospolis e lì Asclepio gli disse che tramite la
lettura del libro, di Nechepso egli aveva conosciuto le simpatie delle piante, il che è
misera cosa se si ignorano i luoghi e i tempi in cui occorre coglierle, poiché le loro
proprietà variano a seconda degli effluvi dell'astro che ne ha favorito la crescita.
La nascita della moderna scienza sperimentale separerà questi due livelli, ma fino al
XVII secolo essi non erano disgiunti. La prima accademia europea a carattere scientifico
fu quella fondata in Napoli nel 1603 da Giovambattista Della Porta, che non separava il
pensiero razionale dal pensiero magico, ma affermava che la ratio deve essere
accompagnata dall'illuminazione. Ancora alla fine del Seicento Johann Baptiste van
Helmont poteva spiegare il magnetismo all'interno della concezione dell'uomo come
microcosmo. Fino ad allora, il pensiero che l'uomo fosse la copia perfetta del mondo
celeste, e quindi l'alleato del cielo, poneva l'astrologia in un posto di primo piano. Lo
stesso Keplero, per il quale non sussisteva il dilemma se essere favorevole o contrario
all'astrologia, concepiva la geometria come una scienza divina, come la ricerca suprema
8 L'astrologia. Storia e metodi
del tempo e dello spazio e dell'ordine del tempo e della forma dello spazio. Egli anzi
rimproverava a Tolomeo di non aver sufficientemente meditato sul modello divino del
mondo, che è un modello geometrico; non nega all'anno tropico di essere il modello
dello zodiaco, ma ciò gli appare insufficiente e preferisce supporre lo zodiaco come retto
da rapporti geometrici spaziali e temporali. Ciò non gli impediva di considerare la
comparsa delle comete in rapporto alle nascite di uomini famosi e illustri come
Mitridate, Alessandro Magno, Maometto.
Mai come nel XVI secolo l'osservazione delle comete fu tanto intensa; ne furono
contate sette nel Quattrocento e quindici addirittura nel Cinquecento. Si calcolavano a
ritroso le effemeridi delle comete passate, di quelle delle quali si aveva notizia dagli
autori classici e che erano state cause o testimoni di avvenimenti straordinari. Seneca 3
esprimeva l'opinione che la scienza, un giorno, scoprirà che anche le comete
s'inseriscono nel meccanismo perfetto dell'universo; per intanto, non mancava chi le
considerava come manifestazioni di pianeti invisibili all'occhio nudo. A partire dall'età
ellenistica l'interpretazione dei fenomeni celesti è una scienza razionale, i suoi cultori
sono chiamati mathematici, laddove la mathesis è la scienza per eccellenza. Nel II secolo
dell'era volgare l'egiziano Claudio Tolomeo ne fa oggetto di un'organica e ampia
trattazione fondata sulle più recenti interpretazioni fisiche della natura. Dopo di lui la
razionalità del discorso astrologico non verrà mai posta in discussione e l'astrologia non
appare, allora, «minimamente diversa, in linea di principio, da una qualsiasi teoria
meccanicistica moderna. Essa si contrappone nettamente all'idea di un dominio
arbitrario degli dei».4
Con la creazione delle prime università italiane nel Trecento l'astrologia entra nelle
accademie; essa spiega la medicina, la fisica, la storia, aiuta la retorica, è amica della
filosofia, non vi è scienza che essa non compenetri. I suoi critici più severi, come Nicolas
Oresme, non si scagliavano sui suoi presupposti, ma sulle sue applicazioni
«genetliache», deprecandone il livello in cui scadeva a scienza del popolo, retta su se
stessa e su mere corrispondenze analogiche. E mentre Oresme rimproverava al re Carlo
V di perdersi dietro pratiche astrologiche, dimenticando le questioni di stato, d'altro
canto affermava che «il vantaggio principale sta nell'applicare questa speculazione al
giudizio degli avvenimenti futuri [...] alla natura dei tempi e alle loro successioni, come
pure alle alterazioni nei corpi umani». 5
Un secolo prima Alfonso X di Spagna, il re saggio, l'Astronomo, dedicava il suo tempo
a compilare meticolosi lapidari magici, dove ognuno dei 360 gradi dello zodiaco era
messo in relazione alla virtù particolare di una pietra. E' Alfonso a divulgare in Europa
Introduzione 9
uno dei testi più nitidi sulla magia naturale e l'astrologia, conosciuto sotto il nome di
Picatrix e che Prosper Marchand, nel suo Dictionnaire historique della seconda metà del
Settecento, definirà «una raccolta di superstizioni ridicole e criminali».
Frutto dell'astrologia medievale araba, il testo del Picatrix ribadisce, nel mondo
occidentale, i nessi profondi tra religione e astrologia. Il suo discorso sul pianeta
dominante riporta al demone di Plotino e di Socrate, all'intelligenza agente di Avicenna.
Ogni individuo ha un intelletto agente. Per Picatrix l'uomo riceve questo suo particolare
intelletto nascendo; esso gli viene direttamente dalla costituzione temporanea dello
spazio celeste e, quindi, dal suo tema di genitura: lì, il pianeta dominante è il suo re
celeste al quale egli si conforma, chiede istruzioni e coraggio e invoca che la potenza del
suo spirito si trasmetta nel proprio, sorta di anima celeste individuale, e pertanto non
consustanziale all'uomo, le cui origini persiane sono rintracciabili nella religione di
Zoroastro.
Ogni religione è ricchissima di immagini astrali. Teofilo d'Antiochia esprime il
pensiero generale di tutta la cristianità tardo-romana quando dice che «il Sole è
l'immagine di Dio, la Luna è l'immagine dell'uomo». È noto come nel cristianesimo dei
primi secoli il Cristo simboleggi il Sole e la chiosa terrestre la Luna, che è la sua
immagine. Vi sono negli scritti di Origene, di s. Ambrogio e di s. Agostino passi
veramente illuminanti. Per la celebrazione della Pasqua cristiana fu scelto il plenilunio,
poiché niente di meglio della Luna piena poteva simboleggiare lo splendore di una
chiesa che rinasce dopo la passione del Cristo. Così, nella prima religiosità cristiana, le
varie fasi della Luna sono le pulsazioni del cuore della chiesa terrestre. Tutto l'enorme
sviluppo dell'angelologia nei primi secoli dell'era cristiana tradisce un fermento astrale,
e bisognerà attendere fino al concilio di Roma del 745 perché papa Zaccaria dichiari che
la chiesa riconosce solo tre angeli: Michael, Raphael, Gabriel; ovvero il Sole, la Luna e
Mercurio che ormai non sono più che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Gli altri non
sono angeli, ma demoni; il dualismo manicheo viene così riproposto, ma per essere
perseguito con le armi del potere.
Muoiono così i sette arcangeli cristiani che corrispondevano ai sette pianeti e che
erano ancora, per i padri della chiesa, la corte del re dei cieli. Più precisamente, essi
rappresentavano il lato diurno e benefico delle sette potenze astrali, mentre il lato
notturno e malefico era impersonato dai demoni. Lo vediamo nel pensiero gnostico,
dove Ialdabaoth, «il primo arconte dell'oscurità» come lo definisce l'Apocrifo di
Giovanni, e che impersonifica il pianeta Saturno, crea una corte planetaria interamente
notturna, a fianco di un settenario angelico che si schiera nella luce del Sole.
10 L'astrologia. Storia e metodi
Valentino, che fra gli gnostici svolse un'opera di sintesi, definisce in chiara chiave
astrologica l'azione sul destino di questi demoni e arcangeli; «Il destino è il concorso di
un gran numero di virtù contrarie. Sono, queste, potenze invisibili ed oscure cui è stata
confidata la cura di dirigere il corso degli astri tramite i quali comandano e presiedono
ad ogni evento. E poiché ognuna di esse è coinvolta nel generale movimento del mondo,
esse dominano su tutto ciò che è stato compiuto nella medesima sfera di movimento». 6
Ma gli gnostici non facevano che rielaborare credenze religiose più antiche. La divisione
delle potenze celesti in angeli e demoni rispecchia la divisione zoroastriana degli
amesaspenta tra quelli creati dal signore della luce Ormuzd e quelli creati dal notturno
Ahriman. Essi sono gli intermediari tra il mondo celeste e quello terrestre, tramite essi
Ormuzd determina il destino di ogni uomo. Come non riconoscere in Vohumano, «il
pensiero buono» o «il buono spirito» che Plutarco chiamerà «il dio della benevolenza» 7,
la natura astrologica del pianeta Giove? La vera religione è posta sotto il suo patrocinio
ed egli, unanimemente considerato dagli astrologi come il regolatore dell'equilibrio
organico, è la forza che fa funzionare la creazione di Ormuzd.
Ormuzd, o Ahura Mazda, è l'essere supremo nella religione zoroastriana. Erodoto lo
traduce con Zeus e con ciò intende la volta celeste. Per la chiesa manichea è Zarvan, che
nella lingua dell'Aveste significa tempo ed è quindi la divinità del tempo, non creata e
autosussistente. Il tempo è, nell'Avesta persiano, ciò che non ha rivoluzione. «Spesso
viene tradotto altrimenti, ci viene fatto apparire inevitabile, quando in realtà è da
intendere come colui che, a differenza dei. corpi celesti, non ha una rivoluzione da
compiere».8
Ma il tempo non è ovunque astratto e impersonale. All'inizio di ogni anno i romani
rivolgevano preghiere ad Anna Perenna e Plinio afferma che è attraverso l'espressione
dell'eternità, del tempo e dell'anno che si mostra Dio. 9 Le manifestazioni del Sole nei
dodici segni dello zodiaco durante il ciclo dell'anno rappresentano in ogni religione le
espressioni della vita divina. Nell'Oriente islamico i Fratelli della purezza chiamavano
lo zodiaco «l'anno filosofico» o religioso che eternamente si rinnovava a ogni equinozio.
Quando il Sole tocca il primo minuto del segno dell'Ariete «ritorna, per così dire, un
certo destino, come se il mondo rinascesse» dice il Ficino nel De vita. La vita di Mosè
ricalca i dodici segni zodiacali, gli eroi solari sono legati al ciclo annuale dello zodiaco,
come lo dimostrano le dodici fatiche di Eracle. Il Cristo stesso, così spesso identificato
con il Sole, risorgeva il diciassettesimo giorno del mese di Nisan, che corrispondeva
all'equinozio di primavera, al segno di rinascita dell'Ariete.
Il calendario dell'anno filosofico dei Fratelli della purezza era scandito dagli equinozi
Introduzione 11
e dai solstizi: la festa equinoziale della primavera rompeva il digiuno del ramadan e
segnava la rinascita del mondo. «È il giorno cui corrisponde l'ingresso del Sole nel segno
dell'Ariete, quando giunge la primavera, i germogli, la dolcezza di vivere, quando scende
ed abita sulla terra la misericordia celeste dell'Epifania, quando il sapere esoterico può
essere divulgato. È per noi un giorno d'allegria, come per i nostri fratelli. Il secondo
giorno [...] è il giorno dell'ingresso del Sole nel segno del Cancro, al limite massimo della
lunghezza dei giorni e della brevità delle notti, poiché in questo giorno è cessato ed è
stato consumato il potere degli oppressori; è un giorno di gioia, di allegria e di buoni
messaggi. Il terzo giorno [...] è il giorno dell'ingresso del Sole nel segno della Bilancia; di
nuovo vi è uguaglianza fra i giorni e le notti, è l'entrata nell'autunno, ossia la resistenza
dell'errore contro la verità, allorché le cose cominciano a rovesciare il loro ordine». Un
quarto giorno, infine, è il giorno delia tristezza e della desolazione. È il giorno del ritorno
alla nostra Caverna, alla Caverna della disciplina dell'arcano e dell'occultazione, ad uno
stato di cose conforme a quello che descriveva l'istauratore della legge dichiarando:
«l'Islam ha iniziato espatriato e ritornerà espatriato, felici coloro che espatriano». È il
segno del Capricorno, tempo dell'inverno, «che i saggi teosofi passano nella loro
caverna, osservando il digiuno rigoroso».10
In queste pagine è stato abbozzato lo sviluppo storico dell'astrologia nell'Occidente.
Non mancano tuttavia inevitabili riferimenti a tradizioni mesopotamiche e orientali. Con
l'offuscarsi e lo spegnersi del pensiero gnostico in Occidente l'interpretazione degli astri
divenne sempre più un fatto raro e singolare, fin quando il suo rifiorire nell'Oriente
islamico non la riportò in Europa e «già nel primo terzo del XII secolo incontriamo gli
attacchi occidentali contro l'astrologia, che ci fanno supporre la sua crescente
importanza».11
La tradizione astrologica del Rinascimento sarebbe stata forse poca cosa senza il
crescere e il formarsi di un'astrologia araba che superava nella tecnica astronomica la
scienza greca e che forniva gli astrologi di un sostegno logico e filosofico. Di quale
fondamento teorico la filosofia islamica dotasse l'astrologia, il De radiis di al-Kindi ne è
un chiaro esempio; in particolare il quarto capitolo, De possibili, dove il filosofo di Basra
discute la nozione di contingenza e di causalità. Non si tratta del determinismo psichico
della moderna psicoanalisi, ma «di una semplice concomitanza, che chiamiamo azione e
passione, nelle cose elementari», di un medesimo «tema di genitura, constellatio, che
produce una data immagine nello spirito dell'uomo».
12 L'astrologia. Storia e metodi
Nel XIII e XIV secolo questo fondamento logico, per cui le azioni umane dipendono
dall'armonia celeste, porterà gli astrologi dell'Occidente cristiano, Guido Bonati, Pietro
d'Abano e Cecco d'Ascoli in particolare, a una posizione critica nei confronti della chiesa
e della provvidenza divina, mentre nei secoli successivi l'attenzione si sposterà
progressivamente sulla capacità umana di agire sul mondo elementare. Poiché l'uomo è
un microcosmo, un minor mundus, «e possiede raggi conformi ai raggi del mondo e
quindi la forza di muovere, in virtù dei propri raggi, le cose esterne, così come il mondo
stesso [...] agita con i suoi raggi le cose secondo movimenti diversi».12 È questo il periodo
della magia naturale che va dal Ficino a Cornelio Agrippa a Paracelso a Campanella e che
si prolunga oltre i confini del XVII secolo. Frattanto, in concomitanza con la bolla papale
del 1586 che vietava la pratica dell'astrologia giudiziaria, alcuni dei maggiori astrologi
del Rinascimento italiano, come Francesco Giuntini e Girolamo Cardano, pubblicarono le
loro opere in Francia. Il primo, in particolare, si rifugiò a Lione dopo aver abbandonato
la veste sacerdotale.
L'astrologia di questo periodo sembra pertanto tornare vieppiù al modello ellenistico
e razionaleggiante, alla dottrina delle natività contenuta nella Tetràbiblos di Tolomeo,
che solo nel Cinquecento appare in edizione integrale latina da una traduzione compiuta
su testo arabo. Essa vuole porsi come scienza, staccandosi dalla magia, dal misticismo e
dai suoi più antichi elementi religiosi. Il suo più chiaro rappresentante, Jean Baptiste
Morin de Villefranche, rifiuta recisamente gli apporti arabi, la magia naturale, le
immagini, i talismani e «le vane finzioni introdotte nell'astrologia dai caldei e dagli
egiziani».13 Egli si dichiara cristiano e Astrologia
Astrologia cristiana intitolerà il suo trattato
William Lilly, il primo astrologo del XVII secolo che non fosse al contempo astronomo.
L'astrologia occidentale sembra così slegarsi dalle sue radici orientali al culmine
stesso del suo declino. Secondo la tesi di Plinio furono i persiani a portare in Grecia
l'astrologia e le arti magiche al tempo delle guerre di Dario e di Serse. In Persia, Egitto,
Mesopotamia e in tutto l'Oriente la religiosità di stato aveva basi cosmologiche, sì che la
scienza dei pronostici era indissolubilmente legata alla religione e alla vita politica. Ora,
dolorosamente separata dalla sua origine e natura escatologica, religiosa e magica,
l'astrologia verrà ben presto isolata come scienza e posta nella condizione di essere
ormai incapace di spiegare l'intera natura. Sarà questa invece, nel secolo successivo, la
pretesa che si prefiggerà l'illuminismo francese sulla base della fisica meccanica.
Introduzione 13

Note

1 A. SAVINIO, Vite di uomini illustri, Milano 1958.


2 GRAUX, «Revue de Philologie», t. II, 1878, p. 70.
3 L.A. SENECA, Questioni naturali, 7, 25-26.
4 O. NEUGEBAUER, Le sciente esatte nell'antichità, Milano 1974, p. 203.
5 C. JOURDAIN, Nicolas Oresme et les astrologues à la cour de Charles V, in «Revue de Questions Historiques», 1875.
6 R.P. CASEY, The Excerpts of Clement of Alexandria, London 193S, n. 69.
7 PLUTARCO, De Iside 47.
,

8 J. NYBERG, Cosmogonie et cosmologie mazdéennes, in «Journal Asiatique», CCXIX, 1931.


9 PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale, 1, 34, 7.
10 H. CORBIN, «Eranos Jahrbucher», 19, 1930.
11 F. VON BEZOLD, Astrologische Geschichtsconstruction
Geschichtsconstruction in Mittelalter, in «Deutsche Zeitschrift für Geschichtswissenschaft»,
VIII, 1, 1892.
12 De radiis, V, testo latino a cura di M. T. D'Alverny e F. Hudry, in «Archives d'Histoire Doctrinale et L ittéraire du Moyen
Age», n. 50, 1974.
13 J.B. MORIN DE VILLEFRANCHE, Astrologia gallica,
gallica, prefazione al libro XXI.
Breve storia dell'astrologia

L'astrologia greca

Nella mitologia greca la genesi del mondo, di Urano, il cielo, e di Gea, la terra, e
successivamente di Chronos e Zeus, parte da un Chaos primordiale. «La terra era
deserta e vuota e le tenebre coprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» 1.
I termini ebraici di tohu-wa-bohu esprimono il concetto di deserto, o disordine, e di
vuoto, situazione anarchica e informe. I Rosacroce, chiamando «gas» questa sostanza
primordiale, non si sono molto allontanati dal Chaos delle antiche cosmologie: è il Noun
egizio, padre degli dei, del Sole e degli uomini, è lo spazio omogeneo e indifferenziato dei
cinesi; è ciò che, più tardi, i pitagorici e i neoplatonici chiameranno la protomateria
informale e passiva, in quanto sta al di là del mondo fisico e sensibile, oltre lo zodiaco e
l'intero mondo stellare. Oltre al Chaos, i miti greci postularono il suo polo contrario, l'a-
chaos, ciò che nella tradizione indù è l'akasha, il quinto elemento che non rientra nelle
mutazioni e rappresenta l'etere. In effetti, nelle antiche teogonie greche si riscontrano
molti elementi orientali. In quelle di Ieronimo, Ellanico, Ferecide, ma soprattutto nelle
cosmogonie orfiche, il principio di vita nell'universo è il movimento perpetuo e
s'identifica nel concetto del tempo, ossia l'eterno moto del cerchio zodiacale attorno alla
Terra. Il tempo viene rappresentato come nell' Atharvaveda
Atharvaveda indù nel I millennio avanti
Cristo: è il Dio supremo, è kàla, un cavallo in continuo moto le cui redini sono i sette
pianeti e i suoi mille occhi le stelle fisse. Egli è eterno, ricco di seme, e tutti gli esseri
umani sono le ruote del suo carro.
Nel mito e nella lingua greca il tempo è Chronos. In queste teogonie si identifica con
la sapienza divina creatrice e la sapienza divina è, a sua volta, la necessità razionale
(Adrastea o, appunto, Ananke) che regola l'ordine cosmico e la vita umana. Secondo la
cosmologia di Ieronimo, dall'acqua e dalla terra nacque il Chronos-Eracle, enorme drago
con una testa di leone da un lato e di toro dall'altro. Il rapporto con la costellazione del
Drago è immediato: essa è una costellazione circumpolare, che sorge nel cielo
all'equinozio di primavera e tramonta all'equinozio d'autunno e può, quindi, scandire
l'anno solare, la rotazione del cerchio zodiacale. È, inoltre, nella costellazione del Drago
che si trova il polo nord dell'eclittica.
Secondo gli orfici, dal Chronos-Eracle primordiale nacque Fanes, il dio assimilato al
16 L'astrologia. Storia e metodi
Sole visibile. «Il dio è descritto come possedente quattro teste: quella di un toro, di un
drago e di un leone, nel mezzo delle quali appariva il proprio viso divino [...]. Fanes è il
corpo d'intelligenza del mondo nato dalle qualità dell'uovo, dall'empireo celeste che lo
circonda e che egli riflette. Le teste rappresentano le quattro direzioni della creazione, la
croce fissa dello zodiaco, i quattro elementi; esse simbolizzano il regno della natura. Le
ali di Fanes significano che, simile all'etere, egli è diffuso dappertutto e che, diverso dalla
materia grezza, non è sottomesso all'inerzia. Il potente drago che l'avvolge nelle sue
spire, rivestito di molteplici forme di animali selvaggi, è il serpente zodiacale che,
secondo il linguaggio dei misteri, circonda il corpo del mondo»2. Il serpente è, infatti,
una delle prime rappresentazioni da noi conosciute dello zodiaco. Se per molte ragioni i
miti greci sembrano dipendere e derivare dal Rigveda indù, o dalle tradizioni
mesopotamiche, si può anche congetturare che tutte le tradizioni che parlano del
serpente cosmico e zodiacale abbiano un'unica origine. Secondo la tradizione greca, le
cosmogonie orfiche sarebbero anteriori a Omero, sebbene raccolte e scritte circa due
secoli più tardi.
Poiché le somiglianze delle cosmologie greche «si riscontrano anche in miti
scandinavi e polinesiani» e in molti miti africani, oltre che in tutte le tradizioni
indoeuropee «bisogna pur ammettere che non si spiegano necessariamente con un
influsso diretto, ma piuttosto [...] con una reazione identica della coscienza collettiva,
secondo leggi ancora mal conosciute, di fronte a realtà naturali identiche» 3. Riferisce
infatti il trattato Dell'astrologia dello pseudo-Luciano: «I Greci né dagli Etiopi, né dagli
Egizi appresero niente di astrologia; ma ad essi Orfeo, figlio di Eagro e Calliope, primo
insegnò queste cose, non troppo chiaramente, né fece apparire in luce la dottrina, ma in
servizio dell'arte magica e dei vani discorsi, com'era sua intenzione; perché, toccando la
lira, celebrava le orge e cantava i carmi rituali; ed essendo la lira formata di sette corde,
consuonava con l'armonia degli astri in movimento»4.
Per gli orfici, l'uomo è un composto, in perpetuo divenire, di dodici energie
primordiali. Queste energie sono la frammentazione dell'energia unica e primitiva
rappresentata da Fanes, l'intelligenza del mondo, la mente cosmica che, come tale, è
assimilata al Sole, come riferisce Macrobio nei Saturnalia. Oltre ai pronostici basati
sull'anno zodiacale e alla definizione dei giorni fausti e infausti riferiti al ciclo lunare, gli
orfici avevano un loro piccolo ciclo di dodici anni, basato probabilmente sulla
rivoluzione zodiacale del pianeta Giove. Agli orfici è anche attribuita la concezione del
grande anno. Censorino5 riferisce che il ciclo del grande anno è composto da centoventi
anni comuni, sebbene più oltre 6 affermi che il ciclo del grande anno si compie quando il
Sole, la Luna
Luna e i cinque pianeti
pianeti ritornano a occupare le primitive posizioni zodiacali. Poi-
L'astrologia greca 17
ché nell'estate del grande anno avviene la conflagrazione del mondo, mentre
nell'inverno ha luogo il diluvio, si ha qui la stessa oscura teoria che riprenderà più tardi
Nigidio Figulo, contemporaneo di Cicerone. Apparentemente, questa concezione orfica
del grande anno non ha riferimenti astronomici evidenti, tali da poter consentire di
ricostituire un grande ciclo evolutivo fondato, come nelle tradizioni orientali, sul
movimento di precessione degli equinozi.
È luogo comune affermare che il movimento di precessione degli equinozi fu
scoperto da Ipparco nel II secolo a.C.: confrontando le longitudini delle stelle di qualche
secolo prima con le longitudini da lui realmente osservate, trovò che le longitudini di
tutte le stelle erano aumentate nel corso dei secoli di un medesimo numero di gradi. Ne
dedusse di conseguenza che l'aumento delle longitudini era dovuto a un movimento
retrogrado e uniforme dell'eclittica zodiacale. Eppure, restando all'interno della
tradizione greca, già Platone, due secoli prima di Ipparco, parla, nell'VIII libro della
Repubblica , dei 25.920 anni che porterebbero a una valutazione del movimento di
precessione degli equinozi di un grado ogni 72 anni: cifra diversa da quella di Ipparco e
di Tolomeo (un grado ogni cento anni) e più vicina ai valori attuali.
I culti misterici dei primi greci non intendevano i miti delle antiche cosmologie nel
loro semplice significato allegorico. Nella Teogonia di Esiodo, dei dodici Titani nati da
Urano e Gea, sei sono femminili e sei sono maschili e rappresentano le dodici sorgenti di
vita uscite dal Chaos primordiale. I versi e i ritmi degli antichi poeti erano vere e proprie
formule magico-religiose, di cui più tardi filosofi come Platone e Aristotele
conserveranno ancora una certa consapevolezza. L'ascetismo orfico tendeva alla
purificazione (catarsi) tramite i riti orgiastici. Lo stato festoso, l'orgia, è inteso come
liberazione dell'uomo dalla legge della necessità e come guarigione «omeopatica» dei
mali: «Il flauto», scrive Aristotele nella Politica, «non esplica una efficacia etica, ma
piuttosto produce lo stato d'animo proprio degli orgia, cosicché conviene ricorrere a
esso in quelle particolari situazioni nelle quali la contemplazione ha la potenza di
produrre catarsi». E Platone, nelle Leggi: «le danze accompagnate da musica, e
suscitatrici di entusiasmo rituale, sovrappongono allo scotimento interiore
un'agitazione provocata artificialmente che domina l'agitazione naturale e ristabilisce
un po' per volta l'equilibrio e la calma» 7.
Anche la dottrina della metempsicosi, che non fu solo orfica ma generalmente
presocratica, è generata dal bisogno di liberarsi dalla ruota delle nascite e del destino,
dalla legge inflessibile del circolo zodiacale, sottomesso al tempo. Già nell'antica
cosmologia eptadica si legge: «Il primo posto fra tutte le cose è assegnato al mondo che
regola senza interruzione il corso dell'estate e dell'inverno» e Galeno, nel II secolo d.C.,
18 L'astrologia. Storia e metodi
commenta: «il tempo è la sfera dello zodiaco e degli astri che è causa dell'inverno e
dell'estate»8. Anche i pitagorici identificavano il tempo con la sfera zodiacale e
credevano nella metempsicosi; e Aristotele spiega, nella Fisica, che questa concezione
deriva dal fatto che tutto quello che è nel tempo è anche nella sfera del mondo.
Purtroppo, se le antiche cosmologie greche ci mostrano una sicura rappresentazione
dello zodiaco, è pressoché impossibile, sulla base delle fonti rimasteci, sperare di
ricostruire il quadro di un'astrologia greca «arcaica». All'epoca in cui Platone scrive il
Timeo e parla, come gli orfici, dell'intelligenza del mondo, non esiste forse più un sapere
astrologico organico. Anzi, tra il V e il IV secolo a.C., quando l'astrologia cominciava a
crearsi fondamenti meccanici e matematici, l'osservazione del cielo e l'insegnamento
dell'astronomia divennero ad Atene un reato penalmente perseguibile; ne fecero le
spese, tra gli altri, Socrate e Protagora.
Il conflitto religioso tra i culti lunari e i culti solari si risolve a vantaggio di questi
ultimi. Da questo punto di vista, il pensiero mistico di Platone ci appare teso verso la
legalizzazione degli elementi magici e religiosi. È la codificazione di un culto solare
apollineo e statale che ha sconfitto il culto degli dei lunari, le sue manifestazioni agrarie
e le sue infiltrazioni orientali.
Fu il prevalere dei sacerdoti del Sole che favorì, in periodo ellenistico, la diffusione di
un'astrologia a carattere prevalentemente solare. Gli Astrologumena
Astrologumena di Nechepso e
Petosiride, datati da Riess intorno all'80 a.C.9, erano destinati a divulgare in Grecia
l'astrologia solare egizia con maggior successo dei tentativi che il sacerdote babilonese
Berosso nel III secolo a.C. aveva operato in favore d'una diffusione del sistema
babilonese. Ne consegue che l'astrologia ellenistica ignorava quasi i pronostici lunari. E'
tutta un'antica tradizione divinatoria che viene così esclusa e sepolta; eppure, l'oracolo
lunare di Sparta aveva trattenuto l'esercito in partenza per Maratona fino al giorno del
plenilunio, come riferisce Erodoto10. In epoca ellenistica, Doroteo di Sidone è l'unico
astrologo che parla di uno zodiaco lunare e gli astrologi arabi si riferiranno a lui nella
loro compilazione delle dimore lunari.
La grande importanza assegnata dalla tradizione astrologica occidentale al segno
ascendente e, a tratti, al corpo astrologico del Sole è una conseguenza del prevalere
dell'astrologia solare egizia. Tuttavia, l'egiziano Claudio Tolomeo, nato verso il 100 d.C.
nelle vicinanze di Alessandria, discute criticamente diversi assunti del sistema egiziano.
Egli rifiuta la concezione dei «decani», che due secoli più tardi Finnico Materno
accetterà pienamente; dubita del metodo di Nechepso e Petosiride sull'oroscopo del
concepimento, che si basava sul postillato che il grado zodiacale occupato dalla Luna nel
tema di natività è lo stesso occupato dal segno ascendente al momento del
concepimento. Infine, contrasta con con i presupposti dell'astrologia stellare egizia che dava
L'astrologia greca 19
ampio risalto al segno ascendente della figura oroscopica e, nel III libro della
Tetràbiblos , considera il medio cielo come il punto più importante dei quattro cardini
del tema di natività, in quanto rappresenta la culminazione superiore, il mezzogiorno,
l'età matura dell'uomo e le sue capacità di realizzazione.
La concezione cosmica di Tolomeo appare quella di uno spazio chiuso: dopo la sfera
di Saturno vi è immediatamente quella delle stelle fisse. Occorre però sottolineare che
tutti i rapporti cosmici erano per lui intesi in termini temporali piuttosto che in termini
di spazio. In termini temporali, lo spazio appare infinito e la Terra non è altro che un
punto inesteso nello spazio.
È interessante osservare che, proprio come Keplero millequattrocento anni dopo,
Tolomeo riprende le teorie pitagoriche e nel suo libro Sull'armonia parte dagli accordi
musicali per approfondire e spiegare come le influenze astrali rispecchino l'armonia del
cosmo e come, a sua volta, l'armonia del cosmo obbedisca agli stessi rapporti armonici
musicali.
La vecchia questione per cui ci si chiede se gli antichi greci immaginavano o no il
movimento della Terra esce da un quadro strettamente astrologico. In base alle pure
conoscenze astronomiche, doveva pur esser chiaro che la Terra era dotata di
movimento. Non solo perché ciò è espressamente detto nei testi attribuiti a Ermete
Trismegisto: la stessa ammissione dell'esistenza della precessione degli equinozi
presuppone, di per sé, la conoscenza del movimento dell'asse terrestre. Ora, come s'è
visto, la precessione degli equinozi era conosciuta prima di Tolomeo, prima di Ipparco e
prima di Platone.
Tolomeo tuttavia si pone il compito di far concordane le ipotesi più semplici con i
movimenti celesti, anche a costo di dover assumere solo quelle ipotesi astronomiche che
siano convenienti unicamente dal punto di vista dell'osservazione terrestre. Il suo
sistema è, in fondo, una sistemazione scientifica della dualità cielo-Terra. Nella sua
Sintassi matematica dell'astronomia dichiara: «Ci siamo proposti di dimostrare che le
anomalie apparenti delle cinque stelle erranti, come pure quelle del Sole e della Luna,
possono essere tutte ridotte a movimenti uniformi su dei cerchi, poiché solo tali
movimenti convengono agli esseri divini, mentre l'irregolarità è loro estranea». Il
sistema astronomico di Tolomeo coincide così con i desideri di Platone intorno a un
movimento regolare dei pianeti, che sarebbe segno della loro natura divina; ma nello
stesso tempo Tolomeo vuole dare una spiegazione rigorosamente fisica e naturale del
moto degli astri, rifiutando indirettamente il pensiero mistico e religioso di Platone e gli
antichi culti astrali. Quell'astrologia religiosa che è propria di tutta la nostra preistoria
umana e di cui i sabei di Harran ci hanno tramandato suggestive preghiere ai pianeti
non esisteva in Grecia come semplice movimento mistico marginale e periferico.
20 L'astrologia. Storia e metodi
Dovremmo, anzi, stupirci se un popolo che ha istituito templi e culti particolari ai
dodici segni dello zodiaco, sotto l'aspetto dei dodici dei olimpici governatori del mondo,
non avesse posseduto una tradizione culturale verso le divinità planetarie. Ecco allora
Esiodo parlare delle preghiere e delle offerte mattutine e vesperali alla Luna; e Platone
nel Convito11 ci mostra Socrate pregare il Sole all'alba.
Se molti grecisti hanno insistito sull'origine «barbara» dei culti astrali, Platone
nell'Epinomide sembra così rispondere: «A ogni modo poniamo con sicurezza che tutto
ciò che i greci hanno potuto apprendere dai barbari, essi lo hanno portato a un punto di
perfezione più compiuto; così, e tanto più, riguardo al presente argomento, dobbiamo
persuaderci che è la stessa cosa: e cioè che se è certamente difficile scoprire, senza
possibilità di dubbio, tutta la verità in simile materia, nondimeno vi è grande e bella la
speranza che i greci si prenderanno cura di tutti questi dei in maniera realmente più
bella e più giusta che non facciano le tradizioni e il culto venuto dai barbari, e questo in
virtù della "paidèia" dei greci, perché i greci posseggono le prescrizioni dovute
all'oracolo di Delfo e tutto il complesso del culto divino istituito dalle leggi: la divinità
non può essere mai irrazionale, né ignorare la natura umana» 12. Che questo trattato sia
stato scritto da Platone o dal suo discepolo Filippo di Opunte, nondimeno rivela le idee
correnti nel pensiero greco nel IV secolo a.C.
In Five stages of Greek Religion, Gilbert Murray ha scritto che l'astrologia
«s'impadronì della mentalità ellenistica come una malattia fino a quel momento ignota
s'impadronisce d'una qualche remota popolazione isolana». In effetti, una delle
caratteristiche principali dell'epoca ellenistica è il generale ritorno alle tradizioni più
antiche; e questa sorta di ritorno alle credenze originarie riportava alla luce frammenti
di dottrine e di credenze astrali non sempre chiaramente interpretabili. Dalle tombe
mitraiche d'epoca ellenistica, per esempio, vennero scoperte alla fine del secolo scorso
alcune statue che sono le rappresentazioni fedeli dello Zervan iranico, il tempo infinito o
il Fanes orfico;13 e nel pensiero gnostico di Simon Mago si fa riferimento ad antichissimi
testi magici babilonesi sui miti di Ishtar. Filone Biblo, infine, che viveva nel II secolo d.C.,
rispolverava scritti assai antichi la cui autenticità venne casualmente dimostrata con la
scoperta di alcune tavolette ugaritiche risalenti a millecinquecent'anni prima di Cristo.
Ora, l'astrologia di Tolomeo non parte dal pensiero platonico e, pur vivendo egli in piena
epoca ellenistica e nel massimo fiorire delle sette gnostiche, insiste sul fatto che
l'astrologia è una scienza naturale, fondata sulla qualità della materia. Le predizioni
astrologiche sono tratte da cause fisiche che provengono dal moto degli astri: «parlerò
ora di queste cose, mostrando apertamente le semplici cause da cui questi effetti sono
prodotti, respingendo lontano le cose che non hanno una causa fisica e su cui molti
tuttavia non cessano di pignoleggiare curiosamente, al di là dei limiti assegnati alla
L'astrologia greca 21
scienza»14. Se nella sua Sintassi Tolomeo concepisce l'astronomia come la parte più
filosofica delle matematiche, nella Tetràbiblos egli tratta dell'astrologia in quanto
scienza interpretativa dell'astronomia sferica: «Di queste dottrine, quella che precede
[l'astronomia] ha la sua arte che le è propria ; ma la seconda che la segue [l'astrologia]
non raggiunge lo stesso grado di certezza [...] non è così sicura, né così perfetta»15.
Nel primo libro della Tetràbiblos , Tolomeo tratta delle qualità naturali degli astri e
delle loro diverse determinazioni celesti e terrestri. Il secondo tratta dell'astrologia
mondiale che riguarda la ripartizione geografica delle terre abitate secondo i dodici
segni dello zodiaco. Espone inoltre il sistema dei pronostici universali, fondati
soprattutto sull'osservazione delle eclissi di Sole e di Luna. Grazie al sistema babilonese
del «saros» era possibile prevedere anticipatamente non solo il momento esatto di
un'eclisse, ma anche il luogo dove essa si sarebbe prodotta e, quindi, la regione terrestre
che ne avrebbe subito l'influenza. Una carta del cielo veniva così compilata per l'ora, i
minuti e i secondi esatti del momento dell'eclisse, tenendo conto della latitudine e della
longitudine del luogo interessato. Il terzo e il quarto libro trattano dell'astrologia
genetliaca o individuale, ossia del modo di erigere un tema di natività di un essere
umano e la sua interpretazione. Qui, pur conservando al medio cielo – culminazione
superiore o mezzogiorno della genitura – una maggiore energia potenziale, Tolomeo
avverte l'importanza del segno ascendente e della necessità di annotarne con esattezza
il grado, in quanto indispensabile alla determinazione del pianeta maestro della
genitura. Sono inoltre contenute nel terzo libro le questioni della iatromatematica ,
ovvero la medicina astrologica e i rapporti dei segni zodiacali e dei pianeti con il corpo
umano.
In Tolomeo i pianeti non rappresentano virtù morali, né qualità o caratteri divini. Di
primo acchito, può apparire che il sistema aristotelico sia, nel suo complesso,
scarsamente adatto a una costruzione astrologica; eppure, alla base dell'astrologia
razionale di Tolomeo v'è l'approfondimento aristotelico dei rapporti fisici tra corpo e
corpo. L'unità della materia, l'interagire dei suoi quattro elementi costitutivi (il caldo e il
freddo, il secco e l'umido) sono i concetti medesimi che, nel sistema tolemaico, formano
la natura dei pianeti e dei segni zodiacali: Saturno raffredda, Giove riscalda; la Luna e
Venere, in quanto corpi astrologici femminili, creano e portano l'umidità sia come forma
generale del loro influsso sul mondo sublunare, sia nella costituzione dei temperamenti
degli esseri umani.
Sono estranee al rigore di Tolomeo le speculazioni astrali degli stoici e dei
neoplatonici. Egli era forse l'ultimo rappresentante della scuola scientifica di
Alessandria e ci appare assai lontano dal sincretismo mistico religioso dell'epoca
ellenistica, dal risorgere delle antiche tradizioni astrali proprie della speculazione gno-
22 L'astrologia. Storia e metodi
stica, e dallo spirito generale di quel periodo che abbraccia, grosso modo, una larga
fascia che va dal III secolo a.C. al IV della nostra era. In effetti, tra i contemporanei di
Tolomeo vi sono taumaturgi neopitagorici come Apollonio di Tiana o Numenio di
Apomea, o il sacerdote dell'oracolo delfico di Apollo, Plutarco di Cheronea. Lo stesso
Apuleio di Madaura, di pochi anni più giovane di Tolomeo, esprime bene la credenza
dell'epoca alla magia naturale quando ritiene, «sulla fede di Platone, che tra gli dei e gli
uomini si trovino certe potenze divine, intermediarie per loro natura e per loro
posizione, e che mediante loro vengano operate tutte le divinazioni e i miracoli della
magia»16.
Nel secolo successivo, il pensiero filosofico di Plotino coinciderà perfettamente con
l'idea gnostica e giudaica dell'esistenza, fra la Terra e la sfera della Luna, di infiniti esseri
intermediari: i demoni eterni di cui tutta la Terra è popolata e che possono assumere
una corporeità ignea o aerea, terrea o acquea traggono la loro origine da antiche
tradizioni astrologiche; specie dalla concezione egiziana dei decani, volutamente
ignorata da Tolomeo. Il risorgere di queste credenze proponeva una visione astrologica
più mistica e, nel contempo, più duttile e aperta delle recenti sistematizzazioni
tolemaiche di Efestio di Tebe e di Paolo Alessandrimo. In effetti, Plotino le criticava
apertamente e suggeriva una sorta di emendamento alla tecnica astrologica che la
rendesse più compatibile con la visione gnostico-ermetica che dominava l'epoca.
«Plotino», riferisce Macrobio, «dichiara che niente accade agli uomini in virtù della forza
e del potere degli astri, ma gli avvenimenti che la necessità del decreto divino ha
regolato per ognuno di noi, il cammino delle sette stelle erranti, con le sue stazioni e le
sue retrogradazioni, ce li fanno conoscere; così gli uccelli, sia che avanzino nel volo sia
che si fermino, ci significano, attraverso le piume e il canto, cose future che essi
ignorano. E' solo così che si potrà dire che Giove è salutare e che Marte è terribile,
poiché tramite il primo sono significati gli avvenimenti felici e tramite il secondo le
sfortune»17.
Nel secolo successivo, il latino e cristianeggiante Firmico Materno considererà
Plotino un nemico dell'astrologia e la sua avversione lo spingerà a rappresentarlo
agonizzante con una disgustosa cancrena, mentre Giamblico riprenderà la critica al-
l'astrologia razionale, affermando che «la divinazione non si effettua tramite una azione
d'ordine fisico, ma è un che di natura divina e soprannaturale; essa ci viene
direttamente dal cielo» 18. E altrove rifiuta la concezione dei pianeti malefici: «Tu mi
domandi come sia possibile che, fra gli dei, alcuni abbiano un'azione benevola e altri
un'azione malevola. Quest'opinione, tratta dai facitori di oroscopi, è assolutamente falsa.
Invero tutti gli dei sono benefici e sono causa di bene e sono volti solo verso il bene ed
evolvono unicamente attorno al bello e al bene». Giamblico non ignora e non contesta
L'astrologia greca 23
che «l'influenza di Saturno ha una certa forza di tensione» e che quella di Marte «è
motrice», ma spiega che la natura malevola non è in loro, bensì può solo provenire dal
nostro modo di recepire il loro influsso. Così Marsilio Ficino tradurrà quest'idea di
Giamblico sulla ricettività umana degli influssi astrali : «Quella [la forza condensatrice di
Saturno], in verità, cadendo, è di frequente nociva quando è assorbita da una materia
più fredda; questa [la forza motrice di Marte] quando lo è da una più calda. Egualmente
quella nuoce quando è raccolta e costretta come se raggelasse; questa quando è
assorbita da una bollente; ciò avviene nella composizione della materia, cioè quando
quella non è abbastanza calda e perciò più densa; questa, infatti, è di per sé più calda e
sottile. La luce e il calore del Sole, per quanto sembrino giungere debolmente, tuttavia
sono necessari alla vita; similmente tutti gli influssi dei celesti giungono in modo
salutare, per quanto soggetti a cambiare per la differenza della materia accogliente o
perché la debolezza di questa non può facilmente tollerare la forza dei superiori. Tutti i
moti convergono universalmente e dalle esatte parti dell'universo, per quanto fra le
parti più piccole, in questo moto, capiti che qualcuna di esse nuoccia all'altra o che
alcuna di esse non sostenga facilmente il moto dell'universo. Come in una danza corale,
dove mentre i singoli danzano armoniosamente e si raggruppano con gesti fra di loro,
pure, in tutta la danza delle mani e dei piedi vengono premuti ed urtati. E se entra
qualcosa di debole, va in rovina»19.
In verità, l'astrologia ellenistica era divenuta una scienza specializzata che aveva, di
per sé, un'esistenza quasi autosufficiente e, comunque, quasi isolata dalla speculazione
filosofica che si sforzava di ricomporre i modi e le manifestazioni del principio vitale
dell'universo. Poteva così Plotino accusare a ragione gli astrologi di dissolvere la natura
di questo mondo, che è dotata di una causa prima (archè) già di per sé dissolta in tutte le
cose. Attraverso il paziente lavoro di traduzione di Marsilio Ficino, saranno in effetti i
testi di Giamblico, di Proclo e tutti quegli scritti ermetici anonimi che verranno
genericamente chiamati «antichi teologi» a influenzare massicciamente la rinascita di
un'astrologia naturale nel Rinascimento, accanto ai contributi arabi come il testo del
Picatrix.
24 L'astrologia. Storia e metodi

Note

1 Genesi, I, 2.
2 M. HALL, Man, the great symbol of the mysteries, New York s.d., p. 70.
3 L. ROBIN, Storia del pensiero greco, Torino 1951, p. 47.
4 Cit. da M. LOSACCO, Introduzione alla storia della filosofia greca, Bari 1929, p. 129.
5 CENSORINO, De die natali, 18, 6.
6 Ivi, 18, 11.
7 Cit. da A. S EPPILLI, Poesia e magia, Torino 1971, p. 324.
8 M. LOSACCO, op. cit., p. 222.
9 «Philologus», 6, 1892.
10 ERODOTO, Storie, VI, 106.
11 PLATONE, Convito, 220D.
12 Epinomide, 987E-988A. Oltre al culto dei dodici dei olimpici, ai quali i Pisistratidi avevano eretto un altare in Atene,
ancora nel II secolo a.C. «gli ateniesi facevano offerte senza vino a M nemosine, a Eos, a Helios, a Selene, alle Ninfe e a
Afrodite Urania». M.P. N ILSSON, Symbolistne astronomlque mystique dans certains cultes pubtics grecs, in «Hommage à F.
astronomlque et mystique
Cumont e J. Bidez», p. 219.
13 F. CUMONT, Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, Bruxelles 1899, pp. 74 ss.
14 TOLOMEO, Tetràbiblos, III, 3.
15 Ivi, prefazione al libro I.
16 APULEIO, Apologia, 43.
17 MACROBIO, Commento al sogno di Scipione, I, 19.
18 GIAMBLICO, Misteri egizi, III, 1
19 Ivi (traduzione di A. Boffino).
L'astrologia nell'impero romano

Magia, stregoneria, sacrifici, presagi, aruspici, scienza oracolare erano in Roma un


tutto indissolubile con i vari culti religiosi che, infiltratisi da ogni provincia dell'impero,
si stratificarono con i culti italici. Attraverso la cultura greca Dyaus-piter diventò
Juppiter; Giunone, che era uno spirito della fecondità femminile, si confuse con Era, la
consorte di Giove. Mercurio, antico dio del commercio, diventò, con il nome di Hermes, il
messaggero degli dei. Saturno, il vecchio numen agricolo della semina cui erano associati
i turbolenti saturnalia, si confuse con il Chronos greco. Lo stesso Marte latino aveva una
funzione agricola prima di essere identificato con il dio greco della guerra.
La lista sarebbe troppo lunga. Dall'Egitto, dalla Mesopotamia, dai fenici, ma anche
dalla Britannia, dai celti e dai germani i culti e gli dei venivano in Roma e spesso si
sovrapponevano ai culti autoctoni senza un'effettiva assimilazione: non era una
semplice trasmigrazione di culti, ma di intieri popoli.
Il cristiano Arnobio diceva che in Roma vi sono tre Giovi, cinque dèi Soli, cinque
Mercurii, cinque Minerve... mentre Macrobio opera numerosissime identificazioni per il
dio Sole: se egli è il padrone degli altri mondi e l'Unico sovrano dei pianeti erranti, allora
egli è responsabile di tutto ciò che avviene attorno a noi: gli altri dei sono allora tante
potenze emanate dal Sole: «il potere del Sole di dare salute lo chiamiamo Apollo, il dono
del linguaggio Mercurio». È questo un discorso nettamente astrologico, dove il ruolo
centrale del Sole non viene sminuito dalla concezione di un'astronomia geocentrica. Il
culto misterico di Mithra prevedeva un'iniziazione di netto sapore astrologico. I sette
gradi di introduzione erano in rapporto ai sette pianeti. I gradi inferiori, raggruppati nei
«servitori», corrispondevano ai pianeti Mercurio, Venere e Marte, noti nel culto mitraico
come il Corvo, lo Sposo e il Soldato. I gradi più alti, raggruppati nei «partecipanti»,
corrispondevano ai pianeti di grande massa e ai due luminari: Giove, Luna; Sole e
Saturno, ossia il Leone, Persiano, Araldo del Sole, il Padre.
Il mistero centrale era imperniato sul viaggio dell'anima: alla nascita essa discendeva
dalla casa della luce attraverso il «cancello del Cancro» e passava attraverso le sette
sfere dei pianeti contaminandosi a ogni stadio di un vizio particolare: la pigrizia a
Saturno, l'ira a Marte, la lussuria a Venere, l'avidità a Mercurio, l'ambizione a Giove. Una
volta nato, l'uomo ha la possibilità di liberarsi dalle impurità attraverso la conoscenza
datagli dall'iniziazione ai misteri. Dopo la morte, se le buone qualità superano le cattive,
l'anima risale attraverso la «porta del Capricorno» ripassando attraverso le sfere dei
pianeti in ordine inverso e liberandosi così di tutte le impurità terrene. Notiamo che il
26 L'astrologia. Storia e metodi
Capricorno, decimo segno dello zodiaco, è nella tradizione orientale la «porta degli dei»;
esso è diametralmente opposto al Cancro, quarto segno dello zodiaco che simbolizza il
passato.
La divinazione stellare romana utilizzava i geni planetari e l'invocazione diretta agli
dei e ai geni era la base essenziale di ogni magia pratica e operativa; l'incantamento
(incantatio ) assumeva la forma di versi e di strofe cadenzate che erano vere e proprie
formule magiche, come ci sono state tramandate da Tibullo, Ovidio e Orazio, e ciò ci
dimostra quanto il mondo latino fosse impregnato delle correnti della gnosi egiziana e
orientale, miste alle tradizioni magiche della Sicilia e delle comunità italiche che
avevano conservato la tradizione divinatoria etrusca.
I riti magici erano indirizzati a figure divine che avevano un preciso riferimento
astrologico. Una di esse era Chronos, assai diverso dall'antico Saturno agricolo, ormai
divenuto dio dell'odio e della vendetta, sotto la cui influenza si fabbricavano amuleti di
piombo. Un'altra divinità era Ecate, considerata la suprema dea della magia, che
sintetizzava in sé le tre divinità lunari Artemide, Selene ed Ecate, il suo riferimento
astrologico erano le eclissi lunari, i noviluni e quindi le tenebre e in effetti le venivano
offerti sacrifici notturni, all'interno di grotte sotterranee nelle quali si accedeva
scendendo una scala di 365 gradini. Non le erano estranei, secondo le testimonianze di
Tito Livio e di Plinio, i sacrifici umani.
In questo quadro prevalentemente magico e misterico l'astrologia ebbe in Roma, agli
inizi, un carattere essenzialmente popolare e dichiaratamente plebeo. Basti pensare alle
feste dei saturnalia, in cui durante sette giorni gli schiavi prendevano il posto e il potere
dei padroni, che li servivano a tavola e ne venivano insultati. Il costume dei soldati
dell'età imperiale di eleggere un rex bibendi, vestito di un manto reale e portato nelle
strade a ubriacarsi e a dettar legge, è una sopravvivenza dei saturnalia. Mentre Plauto si
schierava con la plebe (soprattutto nel prologo del Rudens), non è un caso che
rappresentanti dell'aristocrazia come Ennio e Catone siano contrari all'astrologia e
Valerio Massimo ci riferisce come il fallimento della riforma agraria di Lelio, nel 140 a.C.,
fu seguito dall'espulsione degli astrologi.
Non basta: l'astrologia è un'arma propagandistica in mano al siriano Euno e al cilicio
Athenio, capi degli schiavi ribelli di Sicilia; come pure di Blossio, filosofo di Cuma e
consigliere di Tiberio Gracco; più tardi di Aristonico che sollevò gli schiavi di Pergamo
contro Roma e proclamò la fine della schiavitù e la fondazione della «città del Sole».
L'astrologia sarà spogliata di questa funzione eversiva quando lo stoico Posidonio,
giunto in Roma dalla Grecia-madre, la presenta all'interno di un sistema filosofico
ordinato negli ambienti colti della aristocrazia romana.
Posidonio di Apamea fu il commentatore astrologo del Timeo di Platone e diffuse nel
I secolo a.C. un'astrologia platonizzante. Non sarà estraneo a questo indirizzo neppure
L'astrologia nell'impero romano 27
Marco Manilio che più di un secolo dopo parlerà dell'anima divina come causa motrice
di ogni cosa e, come Platone, farà della Via Lattea la sede delle anime degli eroi.
Nelle scuole stoiche, come riferisce Cicerone nel De divinatione, l'astrologia acquistò
un grande credito e lo stesso sant'Agostino dice di aver appreso l'astrologia dai libri
dello stoico Posidonio, «grande filosofo e astrologo». Seneca, in quanto stoico, non
poteva non accettare le dottrine astrologiche: «Dai lentissimi movimenti dei cinque astri
erranti dipendono le sorti dei popoli». Nel Tieste, egli enumera i dodici segni dello
zodiaco. Lucano, nella Farsalia, ci mo-stra Giulio Cesare sempre indaffarato
nell'osservazione del cielo notturno e ci descrive le proprietà dei pianeti.
È noto che a Roma gli astrologi venivano quasi sempre confusi con gli aruspici, gli
indovini, i maghi in genere. In Tacito, Plinio, Svetonio essi sono chiamati di volta in volta
magi, caldei, matematici e genetliaci. Famoso era Publio Nigidio Figulo, «pitagorico e
mago» a detta di Svetonio, il quale riferisce nella Vita di Augusto che, essendo Ottavio
arrivato tardi in senato dove si discuteva della congiura di Catilina, a causa della nascita
del figlio Ottaviano, Publio Nigidio, conosciuta l'ora del parto, disse che era nato uno che
sarebbe stato signore di tutta la Terra. Poco è rimasto dei suoi scritti; si sa che egli, dopo
il favoloso regno del mitico Saturno e l'attuale età di Giove, pronosticava quella di
Nettuno, cui sarebbe seguita l'era di Plutone. Dopo quest'ultima, infine, sarebbero
intervenute la conflagrazione metaforica del mondo per opera del Sole-Apollo e la
rigenerazione degli uomini.
Nigidio fu, accanto a Vettio Valente e a Marco Manilio, la più grande figura
d'astrologo latino. Vettio Valente, che scrisse sotto Marco Aurelio, è un contemporaneo
di Tolomeo, ma sembra che nei suoi scritti egli segua tradizioni diverse. Egli dichiarava
di usare i calcoli matematici di Ipparco e dei babilonesi Sudines e Kidinnu per le tavole
delle eclissi lunari. I suoi scritti circolarono maggiormente in Medio Oriente, dove
furono tradotti in antico persiano e influenzeranno poi l'astrologia araba di un al-Kindi e
di un Albumasar. Sarà rivisitato nell'Occidente soltanto all'epoca del tardo
Rinascimento.
Già al tempo del conflitto tra Antonio e Ottaviano, Agrippa aveva espulso da Roma gli
«astrologi e maghi», come riferisce Dione Cassio, per la pericolosa inflazione dei
pronostici e delle divinazioni riguardo «ai principi e ai potenti ». Alla fine del suo regno
il «capricorniano» Augusto (aveva fatto coniare una moneta d'argento con il segno del
Capricorno, luogo dello zodiaco dove si trovava la sua Luna di natività) vietò ogni specie
di divinazione riguardo alla morte. Tiberio, che durante il suo esilio a Rodi aveva preso
lezioni di astrologia dal «matematico Trasillo», rinnovò i provvedimenti di Agrippa. No-
28 L'astrologia. Storia e metodi
nostante queste misure, ogni mese, ogni anno gli astrologi predicevano la morte di
Claudio «e tuttavia non c'è da meravigliarsi se sbagliano», spiega Seneca, «perché
nessuno conosce la sua ora di nascita».
Lo stesso Tiberio spesso si rifugiava a Capri «con il suo gruppo di caldei». E' in
quest'epoca che appaiono la Tetràbiblos di Claudio Tolomeo e i cinque libri degli
Astronomica di Marco Manilio.
Come nelle Georgiche di Virgilio, in Manilio sono la necessità e le angustie dei primi
tempi umani che portano alla ragione, alla ratio, attraverso la quale l'uomo supera la
spiegazione mitologica e religiosa dei fenomeni celesti e considera razionalmente
l'influsso degli astri sulla vita terrena. Quindi, d'accordo con la filosofia stoica, la ragione
umana arriva alla comprensione della ragione universale che governa gli astri.
Come egli stesso scrive all'inizio del primo libro, Manilio riferisce dottrine
astrologiche di altre tradizioni «che nessuno prima di me ha ricordato». Una di queste è
la divisione dello zodiaco in otto parti (octotopos : Manilio conserva la denominazione
greca), della quale parlerà più tardi, nel IV secolo, Firmico Materno e che ci ricorda da
vicino gli otto trigrammi fondamentali cinesi.
«La spiegazione di questo sistema è semplice,» dice A. Volguine, «se gli angoli
dell'oroscopo corrispondono ai punti cardinali che indicano le stagioni, ognuna di
queste otto case rappresenta nell'oroscopo le mezze stagioni dell'anno. Come la natura
astrologica di ogni quarto del cielo riflette la natura della stagione corrispondente, così
ognuna di queste otto divisioni traduce le caratteristiche della mezza stagione» 1.
Ricollegandoci sempre all'astrologia cinese notiamo che alla prima di queste
divisioni, corrispondente al segno intero dell'Ariete più metà del segno del Toro,
appartiene una natura maschile yang, alla seconda una natura femminile ynn e così di
seguito. Ne risulta che tutti i segni cardinali sono maschili e yang e tutti i segni mutevoli
o cadenti sono femminili o ynn.
Gli Astronomica di Manilio, che contengono ugualmente l'elenco delle dodici sorti
lunari, le dodecatemorie (che gli arabi mostrano di conoscere da altre fonti) e i
significati degli ascendenti e dei decani, furono riscoperti solo nel Quattrocento da
Poggio Bracciolini, dopo essere rimasti sconosciuti durante tutto il Medioevo, e
influenzarono poi grandemente l'astrologia rinascimentale.
Grande diffusione in Roma ebbe il libro di Nechepso e Petosiride che passava per
essere l'opera di un sacerdote egiziano (Petosirid) collaboratore di un leggendario re
(Nechepso). Esso parlava dei gradi zodiacali pieni e vuoti, della ruota di fortuna, della
progressione dell'ascendente e insisteva soprattutto sullo stato atmosferico del cielo:
L'astrologia nell'impero romano 29
già i babilonesi davano grande importanza ai fenomeni meteorologici, non escludendo
neppure la dilezione del vento. Questo libro, che era già conosciuto da Nigidio Figulo e
da Manilio, apre all'astrologia la medicina, regolando l'alimentazione sul movimento
degli astri.
Dopo la capitolazione di Alessandria nel 296, Diocleziano rinnova un'ennesima volta
le proscrizioni per i maghi e gli astrologi; nel 319 Costantino decretò che nessun
indovino poteva entrare in una casa privata, neppure in quella di un amico personale,
sotto pena d'impalamento per il mago e della deportazione par l'ospite. Sembra tuttavia
che le pressioni e le esigenze dell'aristocrazia lo costrinsero non far valere il decreto se
non per le operazioni di magia nera.
Il cambiamento di rotta fu però di breve durata, perché Costanzo II rinnovò nella
primitiva severità il decreto di Costantino: l'indossare un amuleto contro le malattie,
testimonia Ammiano Marcellino, o la semplice accusa di aver passeggiato dopo il
tramonto in un cimitero erano sufficienti per essere condannati. Di fronte a queste
iniziative draconiane, il cristianesimo ha la soddisfazione di vedere i propri vescovi, in
base all'editto del 409, posti a controllare che tutti i libri dei «matematici» siano bruciati
sotto i loro occhi.
Non ci si deve allora meravigliare se l'astrologo Firmico Materno del IV secolo, dopo
aver pregato il Sole, la Luna e i pianeti di conservare eternamente l'impero a Costantino
e ai suoi successori, scrive nel secondo libro del suo trattato: «Solo l'imperatore non è
soggetto al movimento degli astri [...]. Poiché egli è il signore dell'intero universo, il suo
destino è regolato dalla volontà del Dio supremo e, giacché la superficie intiera della
Terra è sottomessa alla potenza dell'imperatore, egli stesso si trova posto nel novero
degli dei che la divinità principale ha istituito per la creazione e la conservazione di ogni
cosa».
Purtroppo, nel suo primo libro Firmico si contraddice, commentando oroscopi di
personalità come Silla e Giulio Cesare. E il suo stesso monito agli astrologi di non
interessarsi degli oroscopi degli imperatori cadde nel vuoto: racconta Ammiano
Marcellino che Giuliano seppe da un oracolo che Costanzo sarebbe morto all'ingresso di
Giove in Acquario e di Saturno nel venticinquesimo grado della Vergine.
Lo stesso Ammiano Marcellino, che arrivò a Roma verso il 380 d.C., racconta che
«molta gente fra loro [gli aristocratici romani] nega l'esistenza di potenze spirituali nel
cielo, e tuttavia essi non si mostrano mai in pubblico, non pranzano e non si bagnano
senza aver prima attentamente consultato l'effemeride per sapere, ad esempio, dove si
trova Mercurio o quale parte del Cancro occupa la Luna nella sua corsa nel cielo».
30 L'astrologia. Storia e metodi
Nell'epoca imperiale l'astrologia regnò sovranamente fin oltre il III secolo e aiutò il
passaggio dall'antico antropomorfismo ellenico alla teologia cristiana. Verso il 270 d.C.
Aureliano divinizzò il Sole e fece del suo culto una religione di stato: l'anniversario del
Sole, fissato al solstizio d'inverno (23 dicembre) diventò la più grande festa dell'anno
romano e più tardi Costantino vi trasferì la nascita di Cristo che i cristiani celebravano
all'epifania. Il culto solare di Aureliano e di Costantino, prima di essere confuso con la
persona dell'imperatore, era un culto d'origine orientale — il Sol invictus — che
riposava sul fondamento astrologico che il Sole, determinando il movimento dei pianeti,
le loro stazioni, i loro movimenti diretti e retrogradi, era la potenza sovrana che governa
gli dei e gli uomini. D'altra parte, più s'affievoliva in Roma il culto tradizionale di Giove,
più saliva quello di Mithra e del Sole. E' una vera teologia solare, che ha per fondamento
teorie di meccanica celeste, precise suddivisioni astronomiche di concetti astratti come
il tempo; che attribuisce, come già i pitagorici, una natura divina ai numeri: è, insomma,
una teologia astrale. Non a caso, poiché astrologicamente gli occhi sono sotto il dominio
del Sole, in molti passaggi di Filone, Manilio e Firmico la vista è considerata l'organo
sensoriale più importante. D'altra parte gli occhi, in quanto unico strumento di
osservazione del cielo, sono dal punto di vista religioso gli intermediari fra gli dei e la
ragione umana.
L'orazione al Sole dell'imperatore Giuliano, che Gemisto Pletone porterà poi negli
ambienti rinascimentali fiorentini vicini al Ficino, è tipica al riguardo. «Fin dalla mia
infanzia» racconta nella sua biografia, «fui penetrato d'amore ardente per i raggi del
Sole e l'estasi in cui mi tuffava la luce dell'etere non mi spingeva solo a guardarlo, ma, se
mi capitava d'uscire la notte in un cielo sereno e puro, io dimenticavo tutto [...]. Nessun
libro di astronomia mi era mai capitato tra le mani, e preferisco dimenticare ciò che
pensavo degli dei, e nonostante [...] seppi rendermi conto da solo del movimento della
Luna, opposto a quello del resto dell'universo, senza aver mai incontrato alcun dotto in
materia».
Giuliano fu l'ultimo imperatore non cristiano di Roma. Dai tempi di Plauto, in cui la
divinazione era sempre riferita a entità mate-riali, a riti e culti popolari, assistiamo ora,
ai tempi delia decadenza dell'impero, a una credenza negli astri essenzialmente
esoterica e iniziatica. Non che mancasse un livello esoterico ai tempi di Cicerone: è
interessante notare come lo stesso Cicerone trasforma in sogno ciò che per i caldei, gli
egiziani e gli astrologi iniziati del periodo ellenistico era una pura visione estatica: lo
spettacolo delle sfere planetarie e della terra lontana vista dall'alto del cielo delle stelle
fisse, che egli descrive nel Sogno di Scipione 2. Ciò lo ritroviamo nel libro di Ermete
L'astrologia nell'impero romano 31
Trismegisto quando insegna che la parte divina dell'uomo può salire al cielo, mentre il
corpo rimane sulla terra.
E anche in Vettio Valente, Manilio, Finnico e Seneca troviamo espressa la credenza
che l'intelletto umano può elevarsi fino alle stelle.
Si può ritenere che il propagatore di questo misticismo astrale sia lo stoico
Posidonio, che Seneca definiva dotato di «animo contemplativo». Tuttavia di misticismo
siderale è impregnata tutta la letteratura sacra egiziana, le religioni iraniche e indiane, i
culti astrali dei sabei e non, era pertanto estraneo all'età ellenistica. Lo stesso Tolomeo,
così spesso definito arido matematico in lotta, suo malgrado, con le fantasiose tradizioni
astrologiche, è l'autore di questi versi conservati nell'Antologia Palatina:
«So che, mortale, per un sol dì son nato,
ma quando degli astri la folta schiera inseguo
nel loro circolare moto
i miei piedi non toccano terra
e salgo fin presso Zeus, nutritore di dei,
a saziarmi d'ambrosia».

Note

1 A. VOLGUINE, L'ésotérisme
L'ésotérisme de l'astrologie, Paris I953, p. 150.
2 M.T. CICERONE, Il sogno di Scipione , VI, 12, 14.

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