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ISSN 0391-187X

| estratto
DANNO DA NASCITA E
DANNO DA MORTE:
DUE SENTENZE A
CONFRONTO
di Francesco Paolo Patti
dottrina
DANNO NON PATRIMONIALE

81 DANNO DA NASCITA E DANNO DA MORTE: DUE SENTENZE


A CONFRONTO

di Francesco Paolo Patti – Dottorando in diritto privato europeo

Due revirements della Suprema Corte in tema di « nascita malformata » e « perdita della vita » hanno
di recente ampliato l’area del danno risarcibile. Il confronto tra le pronunce che affrontano situa-
zioni speculari si profila particolarmente interessante con riguardo alle questioni del numero dei
soggetti danneggiati (la vittima e i suoi congiunti) e della funzione del risarcimento del danno non
patrimoniale, la quale nei due casi non sembra coincidere.

Two revirements of the Supreme Court relating to « wrongful birth » and « loss of life » have recently expanded the
scope of recoverable damages. The comparison between the decisions who face specular situations is particularly
interesting with regard to the issues concerning the number of injured people (the victim and his relatives) and the
function of non-pecuniary damages, which does not seem coincident in the two cases.

Sommario 1. Due sentenze che ampliano l’area del danno risarcibile. — 2. Le soluzioni delle Sezioni
Unite e gli elementi costitutivi dell’illecito. — 3. Il danno da « nascita malformata ». — 4. Il danno da
« perdita della vita ». — 5. Gli altri soggetti danneggiati. — 6. Sulla natura « punitiva » delle fattispecie
risarcitorie.

1. DUE SENTENZE CHE AMPLIANO L’AREA DEL DANNO RISAR-


CIBILE
Lo scopo di questo scritto è mettere a confronto due recenti interventi della Suprema Corte
in materia di danno da nascita indesiderata e di danno da perdita della vita con consolidati
orientamenti della giurisprudenza di legittimità e, in particolare, con quello posto dalle
Sezioni Unite del 2008 che, nell’affrontare diverse questioni di fondo riguardanti il risarci-
mento del danno non patrimoniale, costituisce il principale referente per valutare in punto
di diritto la tenuta argomentativa delle due innovative decisioni (1).
Il decisum delle due dibattute sentenze, che altresì esaminano in modo approfondito
diverse questioni connesse al risarcimento del danno non patrimoniale, può essere sinte-
tizzato, per ciò che qui interessa, nei termini che seguono: Cass. n. 16754/2012 ha ricono-
sciuto al nato il diritto al risarcimento del danno da nascita «malformata», originatosi nel
momento del concepimento, a causa dell’omessa o errata diagnosi prenatale (2); Cass. n.
1361/2014 ha affermato la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita della vita,
quale danno altro e diverso dal danno alla salute, specificando che il diritto al ristoro si

(1) Sez. Un. civ, 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it., 2009, I, 120 ss.
(2) Cass. civ., 2 ottobre 2012, n. 16754, in questa Rivista, 2013, 124, con nota di GORGONI; in Foro it., 2013, I, 181 ss.

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acquisisce istantaneamente al momento della lesione mortale e il relativo diritto è trasmis-


sibile iure hereditatis (3).
Entrambe le sentenze segnano significativi revirements rispetto alla giurisprudenza
precedente e, riconoscendo tutela risarcitoria in situazioni che fino a questo momento ne
erano prive, si inseriscono nel quadro di un indirizzo volto a estendere progressivamente
l’area del danno risarcibile (4). La scelta di trattare insieme alcuni profili delle due decisioni
riposa sull’interesse dato dal confronto di due situazioni speculari, l’inizio della vita e la sua
perdita, considerate come danni non patrimoniali da risarcire. Inoltre, entrambe le pro-
nunce sollevano interrogativi simili in merito al rapporto tra il risarcimento del danno
subito dal soggetto leso e quello subito dai suoi congiunti, nonché più in generale sulla
funzione svolta dal risarcimento nei casi in esame, spesso ritenuta punitiva o simbolica.
Il riconoscimento della tutela risarcitoria in fattispecie indubbiamente eccentriche ri-
spetto a quelle normalmente poste all’attenzione degli interpreti richiede necessariamente
un «adattamento», se non un «superamento», di alcune soluzioni alle quali è pervenuta la
giurisprudenza. Infatti, in merito alle questioni in esame, è sufficiente constatare, in via di
prima approssimazione, che, nel caso della nascita «malformata», la condotta lesiva risale
a un momento in cui il soggetto non è ancora nato, in quello della perdita della vita
considerata quale evento di danno, il soggetto «danneggiato», essendo deceduto, non può
avvertire le «conseguenze» dannose.
La delicatezza delle problematiche affrontate emerge dalle motivazioni, in cui gli esten-
sori attraverso un mirabile sforzo ricostruttivo, ricorrendo ai principi che regolano la ma-
teria, pervengono alla soluzione ritenuta più giusta e maggiormente confacente al sentire
sociale, la quale innegabilmente, mettendo da parte alcuni ostacoli di ordine dogmatico,
favorisce il danneggiato e i suoi congiunti. Le sentenze, rispettivamente lunghe settantasei
e centodieci pagine di dattiloscritto, si connotano tuttavia per uno stile argomentativo molto
diverso. La prima, quella sul danno da nascita indesiderata, contiene talvolta disquisizioni
di ordine filosofico o riconducibili alla teoria generale e si caratterizza per un linguaggio
«dottorale» (5); la seconda, quella sul danno da perdita della vita, attraverso il richiamo a un
enorme numero di precedenti giurisprudenziali, offre un quadro esaustivo degli orienta-

(3) Cass. civ., 23 gennaio 2014, n. 1361, in questa Rivista, 2014, 493, con nota d BIANCA, La tutela risarcitoria del
diritto alla vita: una parola nuova della Cassazione attesa da tempo; in Foro it., 2014, I, 719 ss.
(4) Il problema della c.d. nascita indesiderata, in virtù del progresso scientifico, solo di recente si è posto
all’attenzione della giurisprudenza e il revirement operato da Cass. civ. n. 16754/2012 modifica un indirizzo
risalente al 2009. Cass. civ. n. 1361/2014 affronta invece un problema « antico », modificando un orientamento
giurisprudenziale che, sebbene rinvigorito in tempi recenti da un intervento della Corte costituzionale del 1994,
nella sua prima applicazione, a quanto consta, risale al 1925. La questione del danno da morte, alla luce del
contrasto giurisprudenziale sollevato, è stata rimessa alle Sezioni Unite da Cass. civ., 4 marzo 2014, n. 5056 (ord.),
in questa Rivista, 2014, 490; in Foro it., 2014, I, 719 ss. L’affermazione dei due nuovi fatti produttivi di danno
risarcibile sembra fare perno, nel primo caso, sul progresso scientifico che ha dato vita a nuove occasioni di danno,
nel secondo, su un mutamento del sentire sociale. In merito alla progressiva estensione dell’area del danno
risarcibile sono ancora attuali le riflessioni di RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, rist.
1967, 16 ss.
(5) Sul punto, cfr. BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina. Considerazioni in margine al
revirement della Cassazione sul danno da c.d. « nascita malformata », in Riv. dir. civ., 2013, 1519 ss., spec. 1528,
il quale indipendentemente dalle soluzioni giuridiche adottate, reputa la sentenza sulla nascita indesiderata
« troppo “dotta” per un semplice esercizio di interpretazione e applicazione del diritto positivo; troppo impegnata
nel salvaguardare la purezza del “tempo della costruzione (e della finzione) giuridica” per consentirsi di lasciare
spazio a “una specifica visione e dimensione etica delle vicende umane”, eventualmente — perché no? — “per-

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menti giurisprudenziali in tema di danno non patrimoniale e dà conto, con riguardo all’og-
getto specifico della controversia, delle principali opinioni dottrinali esistenti in materia (6).
Le dense motivazioni confermano che la materia del risarcimento del danno non patri-
moniale si profila plasmata in modo crescente dalla giurisprudenza e non è possibile
ricostruirne la disciplina senza tenere conto del «diritto vivente» posto dagli indirizzi
emersi negli ultimi anni, soprattutto ad opera delle Sezioni Unite (7). Le sentenze sui danni
da nascita «malformata» e da «perdita della vita» non possono quindi che essere esami-
nate alla luce degli orientamenti giurisprudenziali in tema di danno non patrimoniale.

2. LE SOLUZIONI DELLE SEZIONI UNITE E GLI ELEMENTI CO-


STITUTIVI DELL’ILLECITO
Con l’intervento del 2008 la Sezioni Unite hanno affermato che l’art. 2059 c.c. «non delinea
una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la
riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presup-
posto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, che si
ricavano dall’art. 2043 c.c.», i quali secondo la ricostruzione della Suprema Corte sono la
condotta, il nesso causale tra condotta ed evento dannoso (connotato quest’ultimo dall’in-
giustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela) e il
danno che ne consegue (il c.d. danno-conseguenza).
L’elemento discretivo tra il risarcimento del danno non patrimoniale e quello patrimo-
niale concerne l’evento dannoso, ossia la lesione dell’interesse protetto, in quanto il secon-
do è connotato da atipicità, mentre il primo da tipicità, perché tale danno, ancora secondo
l’interpretazione accolta dalle Sezioni Unite, è risarcibile solo nei casi determinati dalla
legge e ove siano lesi diritti inviolabili della persona.
Ne consegue che la risarcibilità del danno non patrimoniale «postula, sul piano dell’in-
giustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno». Tale
«selezione» avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via
di interpretazione da parte del giudice, chiamato a individuare la sussistenza, alla stregua
della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona «necessariamente pre-
sidiato dalla minima tutela risarcitoria».
Tra gli esempi addotti dalle Sezioni Unite di diritti individuali la cui lesione determina
l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale, si segnalano la violazione del diritto alla
salute (art. 32 Cost.) e dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). La Corte precisa che la

corsa da aneliti giusnaturalistici” » (riprendendo testualmente tra virgolette alcune delle espressioni utilizzate
nella motivazione); ID., Azioni risarcitorie e “principi giurisprudenziali”, in Contratto impr., 2014, 8 ss.
(6) Sulla struttura della sentenza, sul numero dei precedenti da essa richiamati e sul numero di principi da essa
affermati, cfr. le considerazioni di PARDOLESI, in Foro it., 2014, I, 759 s., il quale, tenuto conto dell’orientamento
precedente che per circa novanta anni ha negato la risarcibilità del danno da morte e la volontà dell’estensore di
compiere un « censimento » della giurisprudenza, reputa il revirement una impresa eroica.
(7) Si può ricordare l’autorevole insegnamento di MENGONI, Il « diritto vivente » come categoria ermeneutica,
in ID., Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, 151: « negli ordinamenti di civil law il precedente
costituito dalla giurisprudenza consolidata non ha la qualità di fonte del diritto, ma nemmeno una mera autorità di
fatto (o morale). In quanto si è formato sulla base di una valutazione intersoggettiva, che ne ha riconosciuto la
coerenza col sistema giuridico e quindi l’universalizzabilità, esso ottiene un’autorità istituzionale che lo introduce
nei processi di concretizzazione del diritto come argomento ab auctoritate di grande peso ancorché non vinco-
lante ».

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tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti
dalla Costituzione nel presente momento storico, ma in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. a
un processo evolutivo, deve ritenersi consentito al giudice di rinvenire nel sistema costitu-
zionale «indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale
siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenen-
do a posizioni inviolabili della persona umana».
Venendo all’esame delle sentenze, occorre osservare che le Sezioni Unite non indicano
una soluzione per i due casi. Non è presente nessun riferimento alle problematiche riguar-
danti il danno da nascita indesiderata; mentre per quanto riguarda il danno da perdita della
vita, rilevata l’inesistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, i giudici si limitano
a fare il punto in merito all’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimi-
tà (8).
I precedenti del 2008 sono tuttavia presi in considerazione dalle pronunce in commento:
da un lato, Cass. n. 16754/2012 si propone espressamente di analizzare «tutti gli elementi
della fattispecie concreta onde inferirne la legittima riconducibilità alla fattispecie astratta
dell’illecito aquiliano in tutti i suoi elementi di struttura così come descritti dall’art. 2043
c.c.»; dall’altro lato, Cass. n. 1361/2014, posto che i residui elementi dell’illecito non presen-
tano risvolti problematici, si sofferma soprattutto sul binomio «danno evento»/«danno
conseguenza» e sull’affermazione delle Sezioni Unite, secondo cui solamente il danno
conseguenza è risarcibile e non anche il danno evento.
Le ragioni di interesse legate a Cass. n. 16754/2012 attengono a ogni elemento dell’ille-
cito: le argomentazioni relative alla condotta lesiva, al nesso di causalità e al danno ingiusto
nella lettura della Suprema Corte denotano tratti di originalità. In questa sede, ci si occu-
perà precipuamente del danno ingiusto, ma per esigenze di completezza devono ricordarsi,
sia pure brevemente, gli elementi della condotta lesiva e del nesso di causalità individuati
dalla sentenza da ultimo citata, i quali invece non meritano approfondimento con riguardo
alla fattispecie decisa da Cass. n. 1361/2014, in cui la condotta lesiva e il nesso di causalità si
inseriscono nella diffusa fattispecie del sinistro stradale causalmente collegato a una con-
dotta colposa.
Nel caso del danno da nascita «malformata», la condotta colposa del medico, che ha
omesso di informare correttamente la paziente, si manifesta «sotto il duplice profilo della
non sufficiente attendibilità del test in presenza di una esplicita richiesta di informazioni
finalizzate, se del caso, all’interruzione della gravidanza da parte della gestante, e dal difetto
di informazioni circa la gamma complessiva delle possibili indagini e dei rischi ad essa
correlati». In altri termini, il medico non ha informato in modo esaustivo la gestante sugli
strumenti per verificare se il concepito fosse portatore di patologie e ha omesso di disporre
la diagnosi necessaria.
L’aspetto innovativo attiene alla circostanza che il danneggiato, non essendo ancora
considerato «soggetto di diritto», bensì mero «oggetto di tutela», da un punto di vista
giuridico, non è un centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive nel momento in
cui il medico pone in essere la condotta lesiva. Il problema è risolto ascrivendo la fattispecie

(8) Diversamente, POLETTI, La dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non
patrimoniali, in questa Rivista, 2009, 92, la quale ritiene che la risposta delle Sezioni Unite, con riguardo alla
configurabilità del risarcimento del danno da perdita della vita, sia stata « implicitamente » negativa.

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risarcitoria alla c.d. categoria dei danni futuri, definiti, in modo difforme rispetto alla no-
zione diffusamente accolta (9), come i danni «che al tempo della consumazione della con-
dotta illecita non si sono ancora (o non si sono del tutto) prodotti pur in presenza di elementi
presuntivi idonei a ritenere che il pregiudizio si produrrà». Il danno si verificherà soltanto
al momento della nascita, anche se la condotta lesiva, consistente nell’omessa diagnosi, è
avvenuta in un momento precedente (10). In questo modo, la sentenza supera sul punto il
precedente giurisprudenziale che aveva riconosciuto la soggettività giuridica del nascitu-
ro (11): la scelta dei giudici, in contrasto con il noto dettato normativo della l. n. 40/2004, non
è peraltro andata esente da vivaci critiche (12).
La soluzione della Suprema Corte, che può ritenersi soddisfacente a prescindere dal
problema della soggettività dell’embrione, era stata seguita, in un caso di danno da procre-
azione da una risalente sentenza del Tribunale federale tedesco, in cui si è affermato che
non rileva la mancanza di una persona fisica (danneggiata) al momento dell’illecito, in
quanto oggetto della controversia non è il danno di un feto o di un non concepito, ma è il
danno sofferto per essere nato malato (13).
Anche la questione del nesso di causalità offre notevoli spunti di riflessione. La nascita
«malformata», intesa come evento di danno nei termini che verranno descritti nel prossimo

(9) Per danni futuri si intendono generalmente « quei danni di cui si prevede con ragionevole certezza il
verificarsi in un tempo successivo alla domanda di risarcimento »: così BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità2,
Milano, 2012, 178. Nello stesso senso, già R. SCOGNAMIGLIO, voce Risarcimento del danno, in Noviss. Dig. it., XVI,
1969, 17. Pertanto, la definizione comunemente accolta non riguarda i danni verificatisi in un momento successivo
rispetto alla consumazione della condotta. A ben vedere, tutti i danni si producono dopo la consumazione della
condotta. Il dato rilevante, nel caso di specie, è che, nel momento in cui il danneggiante pone in essere la condotta
illecita, al danneggiato non possono (ancora) essere imputate situazioni giuridiche soggettive.
(10) La sentenza richiama Cass. civ., 3 maggio 2011, n. 9700, in Danno resp., 2011, 1168 ss., con nota di GALATI,
Uccisione del padre e danno al nascituro; in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 1270 ss., con nota di PALMERINI, Il
concepito e il danno non patrimoniale; in Corr. giur., 2012, 382 ss., con nota di SUPPA, Risarcimento del danno
anche al concepito nato dopo la morte del padre nell’incidente stradale, secondo cui anche il soggetto nato dopo
la morte del padre naturale, verificatasi per fatto illecito di un terzo durante la gestazione, ha diritto nei confronti
del responsabile al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per i pregiudizi di natura non
patrimoniale e patrimoniale che gli siano derivati.
(11) Cfr. Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10741, in Foro it., 2010, I, 141 ss., con nota di BITETTO, Fecondazione
assistita, malformazioni fetali e ristoro del bebé prejudice; in Danno resp., 2010, 144 ss., con nota di DI CIOMMO,
Giurisprudenza normativa e « diritto a non nascere se non sano ». La Corte di cassazione in vena di revirement;
in questa Rivista, 2009, 2075 ss., con nota di GORGONI, Nascituro e responsabilità sanitaria; in Nuova giur. civ.
comm., 2009, I, 1268 ss., con nota di CRICENTI, Il concepito soggetto di diritto ed i limiti dell’interpretazione; in Dir.
fam., 2009, 118 ss., con nota di BALLARANI, La Cassazione riconosce la soggettività giuridica del concepito: indagine
sui precedenti dottrinali per una lettura « integrata » dell’art. 1 c.c., secondo cui, stanti la soggettività giuridica —
entro determinati limiti — del concepito e il suo diritto a nascere, nei confronti di questo e dei suoi genitori
rispondono per i danni, patrimoniali e non, connessi a rilevanti patologie del feto, i sanitari che abbiano mancato
di informare la madre (il cui rapporto con i medici produce effetti protettivi nei confronti del nascituro) dei
probabili rischi connessi all’assunzione di farmaci per facilitare il concepimento, quando tali sostanze abbiano
determinato l’insorgenza di gravi malformazioni del nascituro.
(12) Cfr. BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina. cit., 1524: « la trasformazione di quello che il
legislatore ha qualificato come “soggetto” in quello che la giurisprudenza definisce espressamente “oggetto”
assume aspetti davvero inquietanti di “creatività” giurisprudenziale ». Tra i lavori monografici in argomento, sia
pure con riguardo alla situazione antecedente all’intervento del 2012, cfr., da ultimo, VALONGO, Il concepito come
soggetto dell’ordinamento. Tra procreazione naturale e procreazione assistita, Perugia, 2011, passim.
(13) Cfr. BGH, 20 dicembre 1952, in JZ, 1953, 307 ss., da cui muove il noto saggio di RESCIGNO, Il danno da
procreazione, in Riv. dir. civ., 1956, 614 ss. Nella specie, la patologia del nato era stata causata dalla condotta
negligente di un dipendente dell’ospedale nel praticare una trasfusione di sangue alla madre.

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paragrafo, appare alla Suprema Corte «senz’altro riconducibile, secondo un giudizio pro-
gnostico ex post, all’omissione, una volta che una condotta diligente e incolpevole avrebbe
consentito alla donna di esercitare il suo diritto all’aborto». Si afferma così una «equipara-
zione quoad effecta » tra la fattispecie dell’errore medico che non abbia evitato l’handicap
evitabile ovvero che tale handicap abbia cagionato e l’errore medico che non abbia evitato
la nascita «malformata» (14). Sotto il profilo probatorio, in presenza della malformazione, il
descritto nesso eziologico è presumibile in virtù della richiesta di accertamento diagnostico
avanzata dalla madre nei confronti del medico, dalla quale può inferirsi che la conoscenza
delle anomalie del feto avrebbe indotto quest’ultima a interrompere la gravidanza, mentre
deve dirsi esistente ove ricorra una espressa e inequivoca dichiarazione, da parte della
madre, della volontà di interrompere la gravidanza nel caso in cui dalla diagnosi risulti una
malattia del feto (15).

3. IL DANNO DA « NASCITA MALFORMATA »


Cass. n. 16754/2012 afferma che il danno subito dal nato è costituito «dalla individuazione
di sintesi della “nascita malformata”, intesa come condizione dinamica dell’esistenza rife-
rita ad un soggetto di diritto attualmente esistente». Nonostante il tentativo di ancorare il
risarcimento a un evento di danno descritto in modo analitico e presentato come un pre-
giudizio diverso sia dalla nascita sia dall’handicap in sé considerati, tenuto conto che
l’evento di danno nell’immaginario comune costituisce un accadimento che avviene in un
momento conseguente alla condotta illecita (nella specie, come si è detto, il difetto di
informazione e l’omessa diagnosi), si ha l’impressione che nel caso di specie l’«evento di
danno» possa soltanto essere rinvenuto nella nascita (16).
Aderendo all’impostazione delle sentenze di «San Martino», per configurare una fatti-
specie di danno non patrimoniale risarcibile, tale evento dovrebbe integrare la violazione di
un diritto della persona di rango costituzionale. Pur apparendo paradossale, per i motivi
che verranno esposti, porre la questione nei termini che seguono, Cass. n. 16754/2012
omette di indicare quale è il diritto leso dalla nascita, mentre sebbene — a rigore —
l’elemento non figuri tra quelli individuati dalle Sezioni Unite, concentra l’esame sulla
diversa questione relativa alle norme costituzionali su cui trova «il suo fondamento» la
domanda risarcitoria avanzata dal bambino disabile.

(14) Afferma che « la malformazione non è conseguenza dell’omissione, bensì di un presupposto di natura
genetica, rispetto al quale la condotta del sanitario è muta sul piano della rilevanza eziologica naturalistica »,
MONATERI, Il danno al nascituro e la lesione della maternità cosciente e responsabile, in Corr. giur., 2013, 63. In
senso critico, v. PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile: il ripensamento della cassazione, in Nuova
giur. civ. comm., 2013, 204, la quale manifesta « l’impressione che sia accantonato, con un salto logico che non ci
si cura di dissimulare, l’elemento della causalità giuridica ».
(15) Sulla prova del nesso eziologico nei casi di nascita « indesiderata », anche in merito agli sviluppi giurispru-
denziali successivi a Cass. civ. n. 16754/2012, v. PUCELLA, Legittimazione all’interruzione di gravidanza, nascita
« indesiderata » e prova del danno (alcune considerazioni in merito a Cass. civ., 22.3.2013, n. 7269), in Nuova
giur. civ. comm., 2013, II, 653 ss.; TRECCANI, Richiesta di accertamento diagnostico e onere della prova: i primi punti
fermi della Corte di cassazione, in Danno resp., 2013, 1076 ss.
(16) Quanto alla descrizione dell’evento di danno, se posti a confronto con l’articolata formulazione di Cass. civ.
n. 16754/2012, sorprendono per la semplicità gli esempi addotti da GORLA, Sulla cosiddetta causalità giuridica:
« fatto dannoso e conseguenze », in Riv. dir. comm., 1951, I, 413, il quale menziona eventi naturalistici agevolmente
identificabili, come la ferita, la morte, ecc.

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Nella parte della sentenza intitolata «[l]’interesse tutelato» la Suprema Corte manifesta
il convincimento che la domanda risarcitoria del bambino sia fondata sugli artt. 2, 3, 29, 30,
31 e 32 della Costituzione. Il pregiudizio alla salute del minore risiederebbe non nella
«malformazione in sé considerata» o nell’«infermità intesa in senso naturalistico», bensì
nella «condizione evolutiva della vita handicappata intesa come proiezione dinamica del-
l’esistenza che non è semplice somma algebrica della vita e dell’handicap, ma sintesi di vita
ed handicap, sintesi generatrice di una vita handicappata» (17). Successivamente si descri-
vono nel dettaglio le ragioni per cui si assumono violate le altre norme costituzionali: l’art.
2, alla luce della limitazione del minore allo svolgimento della propria personalità sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali; l’art. 3, poiché «si renderà sempre più evidente la
limitazione al pieno sviluppo della persona»; gli artt. 29, 30 e 31 poiché la dimensione
familiare «alterata» dal nuovo arrivo impedisce o rende più ardua la concreta e costante
attuazione dei diritti e dei doveri.
A molti commentatori non è sembrata condivisibile la scelta di trattare la nascita alla
stregua di un evento di danno. Affinché vi sia un danno è necessaria una «diminuzione» o
«una perdita», ossia un fatto che determini un peggioramento nella condizione del sogget-
to (18). Nel caso di specie, anche senza ricorrere alla controversa figura del diritto «a non
nascere se non sani», salvo considerare la condizione della persona mai nata migliore di
quella nata malformata, la condotta omissiva del medico non ha determinato nocumento al
bambino, purtroppo già portatore della sindrome di Down. La situazione è molto diversa
rispetto a quella decisa dal noto precedente del 2009, dove la gestante non era stata infor-
mata sui probabili rischi connessi all’assunzione di farmaci per facilitare il concepimento,
ed effettivamente le sostanze assunte, a seguito della condotta negligente dei sanitari,
avevano determinato l’insorgenza di gravi malformazioni del nascituro (19), o l’ulteriore
ipotizzabile evenienza che la patologia del nascituro, correttamente diagnosticata, potesse
essere alleviata o guarita. Al di là della scelta di considerare il nascituro «soggetto di diritti»
od «oggetto di tutela», anche se la madre fosse stata correttamente informata sul ventaglio
di diagnosi prenatali disponibili, la condizione cromosomica del nascituro non sarebbe
stata modificata (20). In definitiva, pur volendo ascrivere la fattispecie alla categoria dei
danni futuri (con il significato individuato nella sentenza), ammettendo la possibilità che

(17) Nel senso che, in caso di omessa diagnosi di malformazioni, l’unica via percorribile per riconoscere il
risarcimento del danno al nato è ipotizzare un danno « esistenziale » subito da quest’ultimo, collegato al mancato
esercizio del diritto di autodeterminazione della madre, v. già DI MAJO, Mezzi e risultato nelle prestazioni mediche:
una storia infinita, in Corr. giur., 2005, 41, secondo cui tuttavia il danno « non troverebbe supporto neppure negli
interessi costituzionalmente protetti ».
(18) Cfr. la definizione di danno, inteso come « fatto fisico », di DE CUPIS, voce Danno (dir. vig.), in Enc. dir., XI,
Milano, 1962, 622: « Danno significa nocumento o pregiudizio, vale a dire annientamento o alterazione di una cosa
favorevole; le forze naturali come l’opera dell’uomo, come possono creare o incrementare una situazione favore-
vole, così possono distruggerla o menomarla ».
(19) Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10741, cit.
(20) Dalla motivazione della sentenza n. 16754/2012 traspare in modo evidente che il Collegio è consapevole
degli indicati problemi ricostruttivi. La Suprema Corte ritiene tuttavia di risolverli attraverso la descrizione
dell’evento di danno nei termini della suddetta « condizione evolutiva della vita handicappata », che sarebbe
diversa dalla mera nascita e dal mero handicap, i quali considerati singolarmente non sarebbero danni. Come si
vedrà a breve, gli « elementi sintomatici » della « sintesi dinamica » che, secondo i giudici di legittimità, costitui-
scono l’evento di danno sembrano fatti della vita di un soggetto portatore di handicap, comunque non riconducibili
alla condotta omissiva del medico.

 P. 7 7 0 responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014


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DANNO NON PATRIMONIALE 81

l’evento dannoso si manifesti in un momento successivo alla condotta, allorché il danneg-


giato diviene «soggetto di diritti», non è sembrato che la condotta del medico abbia causato
al bambino un danno ingiusto (21).
In questa prospettiva, i fatti che secondo la Suprema Corte integrerebbero violazioni dei
principi costituzionali non sono eventi di danno, bensì, per dirla con le parole di Ronald
Laing, «fatti della vita», che spesso, purtroppo, caratterizzano l’esistenza del soggetto
malformato. Fatti della vita — nel caso di specie, non prodotti da un danno ingiusto — che
ovviamente non riguardano soltanto il bambino affetto da sindrome di Down, la cui altera-
zione cromosomica non sia stata accertata a causa di un comportamento negligente del
medico, ma con minore o maggiore intensità possono coinvolgere ogni persona disabile (22).
Secondo una diversa lettura della sentenza il danno risarcibile «non è costituito dalla
differenza che in ipotesi passa tra il nascere malato ed il non nascere affatto», ma soltanto
dalla «malattia» del nato (23). Posto che la «malattia» da un punto di vista naturalistico non
è stata causata dalla condotta del medico, si ritiene che «ciò che conta in questi giudizi di
causalità» sarebbe «il nesso giuridico che lega, a prescindere dal dato biologico, la condotta
colpevole del medico al pregiudizio risentito dal minore, ossia l’omessa diagnosi con la

(21) Cfr. CARUSI, Revirement in alto mare: il « danno da procreazione » si « propaga » al procreato?, in Giur. it.,
2013, 809, secondo cui l’illecito del medico « non ha mutato le prospettive del concepito dal nascer sano al nascer
“malformato” (o dal nascere in un ambiente familiare sereno al nascere in un ambiente familiare turbato), ma ha
concorso nella catena di eventi che ha portato il bambino a nascere “malformato” (e in un ambiente scosso)
piuttosto che a non nascere; e l’interesse a non venire in vita rimane enigmatico, inesperibile, incommensurabile:
un interesse la cui prospettazione, prima ancora d’ogni disquisizione in termini di ingiustizia, mette “in scacco” il
concetto di danno ». Nel senso che il predicato del « danno ingiusto » costituisce il punctum dolens della motiva-
zione, v. PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile: il ripensamento della Cassazione, cit., 202 ss.
Afferma che « quand’anche si renda colui che nasce “un soggetto senza passato”, il danno che si vuole ristorare non
emerge da una comparazione di una vita normale [...] con una vita da disabile, bensì tra quest’ultima e la
non-vita », MUCCIOLI, Diagnosi prenatale inesatta e responsabilità del medico, in Contratti, 2013, 585. Nel senso
che la condizione dell’« essere » e quella del « non essere » sono incomparabili, CACACE, Il giudice “rottamatore” e
l’enfant préjudice, in Danno resp., 2013, 160; MASTRORILLI, To be or not to be: comparare l’incomparabile, ivi, 493.
Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10741, cit.
(22) Nella specie, anche la circostanza che « il bambino, venuto ad esistenza, non ha trovato, o non ha potuto
trovare, un ambiente familiare e sociale, ed in particolare una madre, in condizioni di accudirlo come sarebbe stato
nel caso la sua nascita fosse stata la conseguenza di una scelta ponderata » (identificata come danno risarcibile da
DI CIOMMO, Giurisprudenza normativa, cit., 151 ss., e, sia pure non esattamente negli stessi termini, dalla sentenza
in esame, nonché da MUCCIOLI, Diagnosi prenatale inesatta e responsabilità del medico, cit., 592 s.) sembra
difficilmente configurabile alla stregua di un danno ingiusto in capo al nato, in quanto corrisponde ad una mera
eventualità, sotto il piano causale ardua da accertare, il fatto che la mancata ponderazione determini un « ambiente
familiare e sociale » peggiore rispetto a quello in cui il bambino si troverebbe ove la malformazione fosse cono-
sciuta e la nascita frutto di una scelta ponderata. Non può esservi alcuna certezza in ordine alla reazione della
madre che ha conosciuto la patologia del nascituro: ad esempio, non è escluso che la conoscenza, pur non
inducendo la donna ad abortire, a causa di un pressante sentimento di rimorso, determini una situazione addirit-
tura peggiore rispetto a quella della nascita a seguito di omessa diagnosi. E, allo stesso tempo, nulla esclude che,
pur al cospetto di una scelta ponderata da parte della madre, l’esperienza ignota della nascita del soggetto
malformato determini nel nucleo familiare una situazione di disagio identica a quella scaturente dalla omessa
diagnosi.
(23) Così CRICENTI, Il concepito ed il diritto di non nascere, in Giur. it., 2013, 818, secondo cui « l’azione del
minore non è la richiesta di una risposta ad una questione di ontologia radicale: è meglio nascere malato che non
nascere affatto. È un’azione di responsabilità civile che mira al risarcimento dell’unico danno possibile, quello
consistente nel fatto di essere nato malato, e dunque della malattia. È un’azione di risarcimento del danno alla
salute, piuttosto che una recriminazione per il fatto di essere nati ».

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dottrina
81 DANNO NON PATRIMONIALE

malattia del bambino» (24). Ammettendo che il danno da prendere in considerazione è la


mera malattia e accogliendo l’idea dell’esistenza di una dimensione giuridica della causa-
lità, il giudizio controfattuale potrebbe essere compiuto in questi termini: il medico è causa
della malattia poiché un suo diligente operato avrebbe evitato il danno (la malattia), sia pure
attraverso l’aborto (25).
Ad avviso di chi scrive, la malattia non può essere trattata come un evento di danno. Lo
schema della causalità omissiva, ben noto al fautore della tesi appena descritta (26), postula
l’esistenza di un obbligo di agire idoneo a evitare l’evento o quantomeno il rischio specifico
che questo si verifichi. La corretta diagnosi del feto avrebbe sì contribuito alla scelta di
abortire, ma non avrebbe potuto eliminare la malattia, e, come è spiegato nell’altra sentenza
in commento, la salute è cosa ben diversa rispetto alla vita. Anche ricorrendo all’artificio del
«nesso giuridico», affermare che l’aborto avrebbe evitato la malattia costituisce un salto
logico: nella sequenza causale l’aborto ha l’effetto di evitare la nascita, ma non la malattia
che preesiste ad essa. In altri termini, l’omissione è causa del mancato aborto e non della
malattia, la quale non costituisce un evento imputabile al medico (27). Del resto la stessa
sentenza, pur rimarcando la condizione di infermità del nato, non manca di considerare la
nascita nell’individuare l’evento di danno.
Giova a questo punto riportare il pensiero dell’estensore della sentenza, manifestato in
uno scritto sul tema del nesso di causa, in cui, mettendo in luce lo spirito che ha guidato la
Suprema Corte nel decidere il caso, si afferma che sebbene i passaggi della motivazione
«non sempre conseguono l’intento di offrire alla delicatissima questione una risposta de-
finitiva e coerente, un dato, peraltro, ne emerge con chiarezza cristallina. I giudici di
legittimità hanno scelto di adottare una ipotesi di causalità. Ancor prima che una regola o
un criterio» (28).
Posto che il riconoscimento del risarcimento del danno al nato costituisce una vera e
propria scelta «politica» dei giudici di legittimità, destinata a favorire il soggetto portatore di
handicap, potrebbe non avere molto senso discutere sulla «tenuta argomentativa» dei
passaggi salienti della motivazione poiché è evidente — e, come visto, sembra confermato

(24) CRICENTI, Il concepito ed il diritto di non nascere, cit., 819.


(25) CRICENTI, op. loc. cit. Sembra proprio questa la strada percorsa da un obiter dictum di Cass. civ., 3 maggio
2011, n. 9700, cit., secondo cui il figlio « si duole in realtà non della nascita ma del proprio stato di infermità (che
sarebbe mancato se egli non fosse nato) ».
(26) Cfr. CRICENTI, Il problema della colpa omissiva, Padova, 2002, 86 ss.
(27) La malattia, precedendo temporalmente la nascita, non può essere considerata un effetto di quest’ultima.
La tesi sembra confondere la sequenza Grund-Folge (fondamento-conseguenza) con quella Ursache-Wirkung
(causa-effetto). La prima presenta carattere atemporale ed è una sequenza corretta soltanto da un punto di vista
logico-analitico, la seconda costituisce una relazione effettivamente reale. « Se x non fosse nato, allora x non
sarebbe malato »; « se il dottore non avesse fatto nascere x, allora x non sarebbe malato »; « se il dottore non avesse
fatto nascere x, allora x non avrebbe subito il “danno” di essere malato ». Queste implicazioni sembrano formal-
mente corrette (da un punto di vista logico), ma un esame più rigoroso rivela la presenza di un sofisma. Infatti, la
condizione di possibilità della vita (la nascita di x o l’omesso aborto di x) non può in alcun modo esser posta a
fondamento della malattia (in quanto danno subito) come sua condizione sufficiente (basti pensare che molte
patologie del feto, ma non quella del caso di specie, possono essere eliminate prima della nascita). In ogni caso, il
diritto si cura soltanto della sequenza « causa-effetto » e non di quella « fondamento-conseguenza ».
(28) TRAVAGLINO, La questione dei nessi di causa, Milano, 2012, 87, 127, il quale discorre di una « dimensione
politica » della causalità « che potrebbe più utilmente attivare i circuiti mentali della consapevolezza, piuttosto che
alimentare assai ingenue inquietudini delle tante tricoteuses domestiche dell’interpretazione » (72 s.).

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dottrina
DANNO NON PATRIMONIALE 81

dalle parole dell’estensore della sentenza — che il risultato da raggiungere ha determinato


alcune forzature nella ricostruzione dogmatica della fattispecie.
Sotto questo profilo, per individuare la questione di fondo sottesa alla pronuncia, una
volta ricordate alcune incongruenze della sentenza sotto il profilo dogmatico, possono
richiamarsi le parole di un commentatore, il quale, rilevato che il principio di solidarietà «è
il grande assente nella motivazione della decisione», pone l’interrogativo se l’esigenza di
assicurare una condizione di vita meno disagevole debba essere riconosciuta dal diritto
«soltanto per i nati “malformati” sopravvissuti alla mancata interruzione della gravidanza,
o anche per tutti quelli che tali comunque entrano nel mondo con gli stessi problemi» (29).
Emerge allora — ancora, nella prospettiva del contributo ricordato — il problema di garan-
tire il rispetto del principio di eguaglianza sostanziale venendo incontro a tutti i portatori di
handicap e, sullo sfondo, l’impressione che la soluzione a detto problema non possa essere
offerta dall’istituto della responsabilità civile, ma richieda un intervento pubblico di solida-
rietà sociale (30).

4. IL DANNO DA « PERDITA DELLA VITA »


Cass. n. 1361/2014 afferma che il danno da perdita della vita costituisce un danno non
patrimoniale risarcibile, «quale bene supremo dell’individuo, oggetto di diritto assoluto e
inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della tutela
civilistica». Alla luce del bene leso, diversamente dalla sentenza sulla nascita, non sussi-
stono dubbi in ordine alla presenza di una lesione di un diritto inviolabile.
Nel caso del danno da morte, il problema del riconoscimento della tutela risarcitoria, da
tempo affrontato in dottrina, attiene alla difficoltà di configurare l’esistenza di un diritto, il
credito risarcitorio derivante dalla morte, in capo a una persona che al momento dell’ac-
quisto cessa di essere in vita (31).
Secondo la tesi contraria all’ammissibilità di siffatto risarcimento del danno, fatta pro-
pria dalla Corte costituzionale con un noto arresto, oggetto di risarcimento può essere
soltanto la perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, mentre la
morte non può essere considerata una perdita a carico della persona offesa, poiché que-
st’ultima non è più in vita (32). Il risarcimento del danno è configurabile esclusivamente nel

(29) Cfr. BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina, cit., 1525.
(30) Così, in termini interrogativi, ancora BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina, cit., 1525 s.
(31) A favore della configurabilità del risarcimento del danno da morte « immediata», POLACCO, Sulla massima
« momentum mortis vitae tribuitur », in Studi in onore di Brugi, Palermo, 1910, 171 ss.; MONTEL, La legittimazione
attiva nell’azione di risarcimento per la morte di una persona, in Temi emil., 1930, II, 105 ss.; ID., Ancora in tema
di legittimazione attiva nell’azione di risarcimento per uccisione, in Riv. dir. priv., 1931, II, 271 ss.; CARIOTA
FERRARA, Il momento della morte è fuori dalla vita?, in Riv. dir. civ., 1961, I, 134 ss., spec. 137 s., il quale tuttavia
ritiene che la morte non faccia parte della vita. Più di recente, in senso contrario rispetto alla risarcibilità del danno
da uccisione, BONILINI, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983, 457 ss., secondo cui « l’evento morte, quando non
sia la conseguenza di un semplice accadimento naturalistico, è rimirato dal diritto nella predominante dimensione
di iscrizione ad altri di responsabilità che trovano la loro sede nell’ambito della pretesa punitiva dello Stato »;
NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 127 ss., la quale ritiene « impossibile » il
danno biologico da morte, in quanto il danno alla salute implica necessariamente l’esistenza della vittima.
(32) Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, in Foro it., 1994, I, 3297 ss., con nota di PONZANELLI, La Corte costitu-
zionale e il danno da morte, la quale ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2043 c.c., sollevata in riferimento agli artt. 2 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non consente il
risarcimento iure hereditario del « danno biologico da morte ». La sentenza rinviene un limite strutturale della

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dottrina
81 DANNO NON PATRIMONIALE

caso in cui tra la condotta lesiva e il momento della morte intercorra un lasso di tempo
sufficiente affinché il diritto al risarcimento del danno «entri nel patrimonio dell’offeso». Il
danno non patrimoniale risarcito non coincide tuttavia con «la morte», ma con il diverso
pregiudizio di natura fisica o psichica che il soggetto subisce prima di morire.
Il descritto indirizzo riprende un orientamento dottrinale e giurisprudenziale maturato
in epoca risalente, relativamente al «danno patrimoniale» derivante da morte. Il quesito
affrontato atteneva alla natura iure proprio o iure hereditatis del diritto fatto valere dai
superstiti. Si osservava che pur ammettendo nel caso di morte c.d. immediata l’esistenza di
un intervallo fra due momenti, la lesione e la morte, la vittima non potrebbe trasferire iure
hereditatis altro diritto «se non il reddito perduto durante l’intervallo» (33).
Attraverso gli indirizzi della Suprema Corte che, nel riconoscere la lesione non patri-
moniale subita nell’«apprezzabile lasso di tempo» tra il momento della lesione e la morte,
hanno contribuito a elaborare le controverse figure del danno biologico terminale, del
danno morale terminale, del danno da perdita della salute da agonia consapevole e del
danno catastrofale, la soluzione accolta in campo patrimoniale venne trasmessa a quello
non patrimoniale e tuttora costituisce l’orientamento dominante (34).
Un recente incontro di studio promosso presso la Corte di cassazione, al quale hanno
partecipato giudici e autorevoli studiosi, ha costituito un’occasione per discutere nuova-

responsabilità civile, in cui sia l’oggetto che la liquidazione del danno devono riferirsi non alla lesione di per se
stessa, ma alle conseguenti perdite a carico della persona offesa. La Corte costituzionale ha ripreso la soluzione di
un risalente precedente della Corte di cassazione (Cass. del Regno, Sez. Un., 22 dicembre 1925, n. 3475, in Foro it.,
1926, I, 328 ss.). Sulla sentenza, cfr. anche, in senso critico, ALPA, Lesione del diritto alla vita e « danno biologico da
morte », in Nuova giur. civ. comm., 1995, II, 153.
(33) Cfr. GENTILE, voce Danno alla persona, in Enc. dir., XI, 1962, 670 s.: « se la morte sopravvenga dopo un certo
tempo dalla lesione, il danno afferente a questo periodo, si trasferisce bensì agli eredi (e questa volta iure
hereditatis) ma il danno consiste solo in quello che si è verificato nel tratto fra la lesione e la morte, e cioè per un
capitale corrispondente al mancato reddito lavorativo di quel periodo ». In senso contrario, si era espresso MONTEL,
Problemi della responsabilità e del danno, Torino, 1952, il quale ammetteva la legittimazione iure hereditario
osservando che il diritto al risarcimento « non sorge quando la vittima è già morta bensì al momento stesso in cui
essa viene colpita e tra questi due momenti deve pur sempre intercedere un intervallo di tempo che, per quanto
breve fino all’attimo, è sufficiente a che durante il suo corso il leso acquisti il diritto ai danni derivanti dalla lesione »
(citato da Gentile). L’impostazione del problema è la stessa della citata Cass. del Regno, Sez. Un., 22 dicembre 1925,
n. 3475, cit., secondo cui « intanto è possibile l’esperimento iure haereditatis di un’azione di danni dipendenti dalla
morte di una persona, in quanto il diritto al risarcimento fosse acquisito già a costei, nel momento del decesso. Ma
se tali danni, in quanto derivanti dalla morte, non possono logicamente non essere a questa successivi, è eviden-
temente assurda la concezione, rispetto ad essi, di un soggetto originario di diritto che più non esisteva quando i
medesimi si verificarono [...]. Onde, in rapporto alla persona del lesionato, come subbietto dell’azione di danni,
questi restano senz’altro confinati nell’ambito dei danni verificatisi dal momento della lesione a quello della morte,
ed è soltanto rispetto ad essi che gli eredi possono agire iure haereditatis ». Suscita stupore a parere di CASO, Il bene
della vita e la struttura della responsabilità civile, in Foro it., 2014, I, 769, la circostanza che nonostante la
« rivoluzione copernicana del danno alla salute » il problema in esame venga dalla giurisprudenza ancora risolto in
base ad una decisione degli anni venti.
(34) Per una dettagliata ricostruzione degli orientamenti della Suprema Corte relativamente ai c.d. « danni
terminali », cfr. GUIDI, Storia e vicissitudini del danno da morte, in Danno resp., 2013, 1207 ss. Dopo la pronuncia
della Corte costituzionale del 1994, la quale, come è stato ricordato, ha negato la risarcibilità del danno da morte
che segua « immediatamente » l’evento lesivo, la giurisprudenza di legittimità è stata indotta a elaborare le
fattispecie risarcitorie menzionate nel testo, che ai fini risarcitori postulano la sussistenza di un determinato lasso
di tempo tra la lesione e la morte. Per alcune considerazioni critiche in merito agli indicati indirizzi giurispruden-
ziali, v. già PUCELLA, Danni da morte e tutela dei congiunti, in Responsabilità civile. Danno non patrimoniale,
diretto da Patti, a cura di DELLE MONACHE, Torino, 2010, 643 ss.

 P. 7 7 4 responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014


dottrina
DANNO NON PATRIMONIALE 81

mente del problema (35). Sono stati messi in luce alcuni aspetti critici dell’indirizzo, come ad
esempio, la difficoltà di concretizzare il suddetto parametro dell’«apprezzabile lasso di
tempo», l’insufficienza del risarcimento del danno in molti casi liquidato dai giudici del
merito, l’irrazionalità, a fronte della gerarchia dei diritti fondamentali — in cui la vita
innegabilmente figura al primo posto —, di non riconoscere una tutela risarcitoria per la
perdita della vita (36). La sentenza in esame nella parte finale della motivazione recepisce
alcune delle indicazioni provenienti dalla dottrina, espresse sia nel corso del ricordato
seminario che in recenti contributi dottrinali, e perviene, svolgendo un’argomentazione
autonoma, a riconoscere la risarcibilità del danno in caso di morte che consegua immedia-
tamente alla lesione.
Anzitutto, sotto il profilo metodologico, la sentenza accoglie il suggerimento secondo cui
è errato in riferimento a problemi nuovi, «dietro ai quali pulsano contrasti in chiave assio-
logica», «pretendere di giustificare le soluzioni in funzione di categorie classificatorie
preconfezionate», osservandosi che nel caso di specie il limite risulta ancora più parados-
sale perché le categorie derivano dalla giurisprudenza. Nell’affrontare un problema occor-
re prendere atto che le categorie «non sono trovate dall’operatore giuridico, ma sono da lui
(consapevolmente o inconsapevolmente) costruite in vista del caso pratico che si tratta di
risolvere» (37). Ora, la questione del danno da perdita della vita non può propriamente
definirsi come «nuova», essendo oggetto di approfondimenti in dottrina da oltre un secolo,
ma è evidente che le categorie messe a punto negli anni non si addicono in pieno alle sue
caratteristiche e, soprattutto, volendo utilizzare le parole della sentenza in esame, induco-
no, allo stato, a raggiungere un risultato ermeneutico che «appare non del tutto rispondente
all’effettivo sentire sociale dell’attuale momento storico».
Assieme a diversi argomenti della dottrina volti a contrastare l’indirizzo contrario alla
risarcibilità del danno da morte, come ad esempio quello in base al quale tra fatto e diritto
esiste una relazione «logica» e non già «temporale», per cui sarebbe possibile affermare
che, nel determinare la scomparsa della persona, la morte comporta altresì l’insorgenza
della pretesa risarcitoria e la trasmissione di questa agli eredi (38), la Suprema Corte riporta

(35) Si tratta del seminario svoltosi il 17 ottobre 2012, dal titolo « Perdita della vita e risarcimento del danno »,
nel quale sotto la direzione del presidente Preden, sono intervenuti i professori Cesare Massimo Bianca, Nicolò
Lipari, Pietro Rescigno e il giudice costituzionale Mario Rosario Morelli.
(36) Sono queste le principali « criticità » rilevate dal presidente Preden in riferimento al suddetto indirizzo. In
merito al problema dell’ampiezza dell’intervallo temporale, cfr. DINI, Risvolti risarcitori della fine di una vita.
Danni da uccisione e integralità del risarcimento, in questa Rivista, 2012, 1586, la quale, sulla scorta di un esame
dei precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte, rileva che la valutazione del tempo minimo di sopravviven-
za necessario ai fini della risarcibilità del danno compete al giudice di merito ed è insindacabile in sede di
legittimità. La conseguenza dell’orientamento, ad avviso dell’Autrice, è la « totale discrezionalità del giudice, il
quale, senza il punto di riferimento nomofilattico, si trova a navigare a vista ».
(37) Gli svolgimenti riportati sono di LIPARI, Danno tanatologico e categorie giuridiche, in Riv. crit. dir. priv.,
2012, 531 s. (e in Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, 212 s.), il quale, con riguardo alla soluzione offerta
dalla giurisprudenza prima del revirement al caso del danno tanatologico, osserva che gli schemi ricostruttivi
adottati non sono gli unici possibili e pone in risalto che « la vita, riconducibile alla sfera dei diritti e alla loro relativa
tutela finché appartiene al suo titolare, debba essere intesa nell’ottica dei beni nel momento in cui viene distrutta,
risultando quindi non più riconducibile ad un titolare, ma non per questo, nella sua oggettività, immeritevole di
tutela nell’interesse dell’intera collettività ». La tesi del c.d. danno collettivo, pur ritenuta suggestiva, non viene
accolta dalla sentenza, la quale tuttavia ritiene imprescindibile l’impostazione secondo cui le categorie dogmatiche
create e poste dagli interpreti non possono divenire delle « gabbie argomentative ».
(38) Così MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 1998, 509 ss.

responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014 P. 7 7 5 


dottrina
81 DANNO NON PATRIMONIALE

la posizione dottrinale che rileva come la circostanza per cui la prestazione risarcitoria non
è percepita dal danneggiato ma dagli eredi non incida sul titolo dell’obbligazione, né estin-
gua la sua funzione risarcitoria, poiché la vittima trae vantaggio dall’acquisizione del rela-
tivo credito per via ereditaria, il quale accresce l’eredità lasciata ai propri congiunti (39).
Una volta esposti gli orientamenti giurisprudenziali (40) e quelli dottrinali, ormai sempre
più propensi ad ammettere il risarcimento del danno, l’ultimo scoglio è rappresentato dal
principio posto dalle Sezioni Unite nel 2008, «quale assioma o postulato», secondo cui so-
lamente il danno conseguenza è risarcibile e non anche il danno evento (41). Il problema —
che, evidentemente non sussiste ammettendo l’idea che l’interprete non debba restare ad
ogni costo vincolato dalle categorie coniate per mano della giurisprudenza per casi innega-
bilmente diversi da quello di specie —, come è già stato messo in luce, è che la vittima essendo
deceduta non può subire le conseguenze dannose derivanti dall’illecito. La sentenza in
esame, pur mostrando una certa insofferenza nei confronti del principio, ritiene, in virtù del
breve tempo trascorso dalle pronunce delle Sezioni Unite, di non poterne prescindere. Il
superamento del principio minerebbe le fondamenta della ricostruzione sistematica attuata
dalle Sezioni Unite, ponendosi in contrasto con basilari esigenze di certezza del diritto, che
si sostanziano nella conoscibilità della regola e nella prevedibilità della sua applicazione.
La Suprema Corte tenta di aggirare l’ostacolo argomentando dalla «logica interna» del
descritto principio. La perdita della vita, per antonomasia, non può avere conseguenze inter
vivos per il danneggiato, ma il relativo danno, posta l’importanza del bene leso, deve
determinare conseguenze risarcitorie. In quest’ottica il ristoro del danno da perdita della
vita costituisce «ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei
soli danni-conseguenza», in quanto la morte ha per conseguenza «la perdita non già solo di
qualcosa bensì di tutto. Non solo di uno dei molteplici beni, ma del bene supremo, la vita,
che tutto il resto racchiude. Non già di qualche effetto o conseguenza, bensì di tutti gli effetti

(39) Cfr. BIANCA, Il danno da perdita della vita, in Vita not., 2012, 1500 ss.; ID., La tutela risarcitoria del diritto
alla vita, cit., 501 s. In definitiva, la trasmissione ereditaria è considerata una forma di « utilizzo » del diritto al
risarcimento, in quanto la trasmissione del credito risarcitorio agli eredi è il momento di realizzazione del vantag-
gio patrimoniale.
(40) L’unico precedente giurisprudenziale di legittimità che si è espresso, sia pure in un obiter dictum, in senso
favorevole alla risarcibilità del danno da morte immediatamente conseguente all’evento lesivo, ha affermato che
non rileva la distinzione tra evento di morte mediata o immediata, in quanto la morte cerebrale « non è mai
immediata, con due eccezioni: la decapitazione o lo spappolamento del cervello »: Cass. civ., 12 luglio 2006, n.
15760, in questa Rivista, 2006, 2400; in Corr. giur., 2006, 1379, con nota di PONZANELLI, Pacs, obiter, miopia
giornalistica e controllo della Cassazione sulla quantificazione del danno, secondo cui al di fuori di queste ipotesi
il risarcimento del danno non patrimoniale sarebbe risarcibile. La constatazione non è tuttavia sufficiente a
superare l’indirizzo che nega il risarcimento del danno da morte, in quanto in applicazione del risalente principio
al quale ha aderito la Corte costituzionale, pur ammettendo un intervallo fra i due momenti (lesione e morte), « la
vittima non potrebbe conseguire altro diritto che quello derivante dalla lesione, non quello derivante dalla morte »:
GENTILE, voce Danno alla persona, cit., 671.
In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da illecito, è trasferibile mortis causa, facendo
parte del credito del defunto verso il danneggiante ed i suoi solidali.
(41) L’affermazione è presente altresì nelle importanti sentenze in tema di causalità: cfr. Sez. Un. civ., 11
gennaio 2008, n. 581 (in questa Rivista, 2008, 841, con nota di GRECO): « [s]e sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è
un danno-conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria ».

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dottrina
DANNO NON PATRIMONIALE 81

e conseguenze» (42). La perdita della vita, secondo la Suprema Corte, deve essere valutata ex
ante rispetto all’evento che la determina, in un momento in cui il soggetto è certamente
interessato a proseguire la propria esistenza, e non ex post, allorquando la vita stessa non
ha più valore per chi l’ha perduta (43). Si precisa che la fattispecie non integra un danno in
re ipsa, il danno da perdita della vita alla stregua degli altri danni non patrimoniali deve
essere sempre allegato e provato, anche mediante il ricorso a presunzioni.
Si perviene così all’enfatica affermazione secondo cui «[n]egare alla vittima il ristoro
per la perdita della vita significa determinare una situazione effettuale che in realtà rimorde
alla coscienza sociale».

5. GLI ALTRI SOGGETTI DANNEGGIATI


Un problema comune alle due fattispecie di illecito esaminate potrebbe concernere l’esi-
genza di «bilanciare» il risarcimento accordato per la nascita malformata e la perdita della
vita, da un lato, e il risarcimento spettante a vario titolo ai congiunti, dall’altro lato. Tenuto
conto delle ragioni che hanno indotto la Suprema Corte a rendere l’innovativa pronuncia,
non sembra che nel caso del danno derivante dal comportamento negligente del medico, il
revirement possa comportare una diminuzione delle poste risarcitorie spettanti agli altri
familiari coinvolti che, pur scaturendo dalla medesima condotta lesiva del medico, trovano
titolo in una fattispecie di illecito «contrattuale» diversa rispetto a quella «extracontrattua-
le» dalla quale trae origine il risarcimento del nato. Diversamente, nel caso del danno da
perdita della vita appare prevedibile un maggiore contenimento del ristoro liquidato dalla
giurisprudenza ai congiunti poiché sembra che l’attribuzione — iure proprio — ai familiari
del defunto del risarcimento di danni non patrimoniali, comprensivi non solo delle soffe-
renze fisiche (danni biologici) o psichiche (danni morali o soggettivi), ma anche dei c.d.
danni esistenziali consistenti nell’alterazione degli assetti affettivi e relazionali all’interno
della famiglia abbia avuto, tra gli altri obiettivi, quello di mitigare la sensazione di ingiustizia
derivante dal non ammettere il risarcimento del danno da perdita della vita iure heredita-
rio.
Rispetto ai precedenti casi di nascita indesiderata, anche prescindendo dalla novità
relativa al riconoscimento della legittimazione in capo al nato, la sentenza in esame amplia
la platea dei soggetti legittimati ad ottenere il risarcimento del danno da omessa diagnosi.

(42) Nel senso che l’argomentazione della Suprema Corte costituisce una « sottigliezza non meno apodittica »
di quella su cui si fonda l’orientamento che nega la risarcibilità del danno da perdita della vita, v. PALMIERI-
PARDOLESI, Di bianco o di nero: la « querelle » sul danno da morte, in Foro it., 2014, I, 764.
(43) Ritiene che la Suprema Corte abbia orientato la valutazione del bene della vita in una fase ex ante « nella
quale il soggetto non è affatto indifferente all’opzione fra sopravvivere o morire e, anzi, il permanere in vita ha, per
lui, un valore inestimabile », MEDICI, Danno da morte, responsabilità civile e ingegneria sociale, in Foro it., 2014, I,
772.

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81 DANNO NON PATRIMONIALE

Oltre alla moglie, non soltanto il marito della gestante, come già avvenuto in precedenza (44),
ma anche i fratelli e le sorelle del bambino malformato hanno diritto al risarcimento (45).
Alla luce del significativo numero dei soggetti coinvolti nella vicenda risarcitoria può
porsi l’interrogativo se sia davvero necessario creare, con l’ausilio delle ricordate argomen-
tazioni, una fattispecie di illecito extracontrattuale ad hoc per il nato, configurando a suo
favore il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. Sul punto, la Suprema Corte in
modo esplicito rileva come, nel riformare l’indirizzo giurisprudenziale precedente, non sia
«del tutto appagante [...] l’evocazione di quella sensazione di sotterfugio cui ricorrerebbe la
giurisprudenza per riconoscere il risarcimento in via indiretta all’handicappato, né la pur
suggestiva considerazione volta a rilevare la contraddizione logica del riconoscere il risar-
cimento del danno ai genitori e non riconoscerlo al minore nato con la malattia», tuttavia
non nega che il risarcimento del danno da «nascita malformata» mira ad attribuire «diret-
tamente al soggetto che di tale condizione di disagio è personalmente portatore il dovuto
importo risarcitorio, senza mediazioni di terzi, quand’anche fossero i genitori, ipotetica-
mente liberi di utilizzare il risarcimento a loro riconosciuto ai più disparati fini». In defini-
tiva, il risarcimento del danno liquidato direttamente al nato costituisce la strada più sicura
per garantire l’utilizzo del denaro a miglioramento della «qualità» di vita del soggetto
Down; tuttavia anche in tale ipotesi in realtà nulla esclude che i genitori, rappresentanti
legali del minore incapace, adoperino le risorse per fini che esulano da quanto strettamente
necessario al mantenimento del soggetto disabile. Inoltre, con riguardo al risarcimento del
danno subito dal nato, si segnala il rischio che la soluzione «inneschi duplicazioni risarci-
torie rispetto a quanto è già stato risarcito a favore dei genitori al fine di compensare le spese
necessarie per l’assistenza del figlio» (46).
Nel caso del danno da morte, la sentenza n. 1361/2014 rileva che la soluzione della
giurisprudenza precedente nel riconoscere una pluralità di voci di danno in capo ai con-
giunti «pone il rischio di confusioni concettuali ovvero di avallare l’idea dell’uso strumen-
tale di determinati istituti per sopperire al mancato riconoscimento di altri». Come è stato
affermato in uno dei commenti alla decisione, l’indirizzo che negava il risarcimento del
danno da morte immediatamente conseguente alla lesione, per rimediare alla lacuna, ha
dato vita a «traiettorie alternative», in primo luogo — si è già ricordato — attraverso
l’elaborazione di nuove figure di danno non patrimoniale subito dalla vittima nel lasso di
tempo intercorrente tra la lesione e la morte, in secondo luogo, accordando con una certa

(44) Cfr. Cass. civ., 4 gennaio 2010, n. 13, in questa Rivista, 2010, 1027; in Giur. it., 2011, 76 ss., la quale accorda
il risarcimento del danno al padre argomentando dagli effetti protettivi scaturenti dal contratto di prestazione di
opera professionale. Nel senso che il padre deve considerarsi tra i soggetti « protetti » dal contratto stipulato con il
ginecologo e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempi-
mento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, poiché gli effetti negativi del comportamento
del ginecologo si ripercuotono anche sulla sua sfera personale, v. già Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20320, in Foro
it., 2006, I, 2097 ss., con nota di BITETTO; Cass. civ., 10 maggio 2002, n. 6735, ivi, 2002, I, 3115 ss., con note di PALMIERI
e SIMONE.
(45) Per ciò che concerne il risarcimento dei fratelli e delle sorelle del soggetto affetto da sindrome di Down, cfr.
CARUSI, Revirement in alto mare, cit., 812, il quale solleva il dubbio che « un’eccessiva larghezza nella ricognizione
dei danni riflessi, oltre a metter capo ad illogiche duplicazioni dei risarcimenti, venga a tradire un discutibile
atteggiamento psicologico e culturale (di tutt’altro che sicura conformità al disegno costituzionale) nei confronti
della “disabilità” ». Nel senso che la posizione dei fratelli e delle sorelle sarebbe troppo remota per consentire di
includerli « nell’orbita protettiva del contratto », PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile, cit., 201.
(46) PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile, cit., 204.

 P. 7 7 8 responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014


dottrina
DANNO NON PATRIMONIALE 81

facilità tutela risarcitoria ai parenti del defunto (47). Sotto quest’ultimo profilo, la sentenza in
esame potrebbe determinare uno stravolgimento del sistema risarcitorio dei danni da
perdita della vita, che risulterebbe focalizzato non tanto sulla posizione dei superstiti,
quanto su quella del defunto, ossia del vero soggetto danneggiato. Da un punto di vista
pratico, ne deriverebbe una semplificazione della disciplina poiché ai diritti al risarcimento
del danno dei congiunti si sostituirebbe il diritto iure hereditario al risarcimento del danno
da perdita della vita. Appare dunque esatta l’osservazione secondo cui occorre valutare se
l’innovativo indirizzo, come avvenuto con il danno biologico, in grado di riassorbire tutti i
segmenti della lesione psico-fisica, «non si candidi a razionalizzare il sistema dei rimedi
indiretti rappresentati dalla gemmazione di poste di danno elaborate pretoriamente a
fronte della irrisarcibilità del bene vita» (48).
In proposito, non si nega che il cambiamento avrebbe degli effetti radicali, in virtù
dell’ovvia considerazione che, a differenza del diritto al risarcimento iure proprio, il risar-
cimento del danno iure hereditario spetta soltanto agli eredi o ai soggetti a favore dei quali
il de cuius ha disposto in via testamentaria. Inoltre, contribuendo a formare il patrimonio
del defunto, il risarcimento ripagherebbe eventuali debiti ereditari (49). In quest’ottica, posto
che non sembra sostenibile un sistema risarcitorio che, a fronte della morte, assicuri il
ristoro sia iure hereditario che iure proprio nelle forme elaborate dalla giurisprudenza,

(47) In questo senso, PALMIERI-PARDOLESI, Di bianco o di nero: la « querelle » sul danno da morte, cit., 763, i quali
discorrono di una « inconfessata, ma anche ipocrita, compensazione — del ristoro accordato a congiunti (e din-
torni) della vittima per il danno morale da essi sofferto a seguito della scomparsa del loro caro ». Riguardo alla
risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale si è di recente affermato che il giudice di merito deve
accertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona deceduta, se, a seguito del fatto lesivo, si sia
determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente
diverse: cfr. Cass. civ., 22 agosto 2013, n. 19402, in Mass. Foro it., 614; Cass. civ., 13 maggio 2011, n. 10527, in Foro
it., 2011, I, 2709, con nota di richiami, dove, pur ammettendo la possibilità di far ricorso a presunzioni semplici, si
è ritenuta inidonea, ai fini del ristoro di tale pregiudizio, la deduzione di fatti inerenti alla perdita di abitudini e riti
propri della quotidianità della vita. Relativamente al danno da perdita del rapporto parentale richiesto dai con-
giunti non appartenenti alla famiglia nucleare del de cuius, nel senso che il risarcimento non può prescindere dalla
dimostrazione della convivenza, v. Cass. civ., 16 marzo 2012, n. 4253, in Corr. giur., 2012, 1062, con nota di NOBILE,
Risarcibilità del danno non patrimoniale per morte del parente non convivente; in disaccordo con siffatta
limitazione, Cass. pen., 4 giugno 2013, n. 29735, in Foro it., 2014, II, 86; e, nella giurisprudenza di merito, Trib.
Roma, 9 aprile 2013, ivi, 2013, I, 2316. Inoltre, la perdita di una persona cara è stata riconosciuta quale fonte di una
specifica voce di danno non patrimoniale risarcibile anche dove manchi un rapporto di parentela da Cass. civ., 7
giugno 2011, n. 12278, in Rep. Foro it., 2011, voce Danni civili, n. 254; Trib. Milano, 12 settembre 2011, in questa
Rivista, 2012, 1648, con nota di POTÈ, Lesione del rapporto famigliare e convivenza tra persone dello stesso sesso;
in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 207 ss., con nota di LORENZETTI, Anche al convivente same-sex spetta il
risarcimento del danno per la morte del compagno, dove si è evidenziata l’insufficienza della prova di una
relazione amorosa, per quanto caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo,
dovendosi dimostrare l’esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti con vicendevole assistenza
materiale e morale.
(48) Così SIMONE, Il danno per la perdita della vita: « die hard » 2.0., in Foro it., 2014, I, 768. Anche la pronuncia
Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, in Foro it., 2011, I, 1035, contraria alla risarcibilità iure hereditario del danno da
morte ha affermato che il nuovo indirizzo « si risolverebbe in breve, come l’esperienza insegna, in una diminuzione
di quanto riconosciuto iure proprio ai congiunti, che percepiscono somme comunque connesse ad un’onnicom-
prensiva valutazione equitativa ».
(49) La suddetta notazione, in tempi passati, è stata utilizzata quale argomento contrario alla configurabilità di
un diritto al risarcimento del danno iure hereditario, da GENTILE, voce Danno alla persona, cit., 671, il quale,
affermando che il diritto al risarcimento spetta ai superstiti iure proprio, osserva che « i creditori del de cuius non
potrebbero far valere i propri diritti creditori nei confronti degli aventi diritto sulla somma ad essi dovuta quale
risarcimento del danno ».

responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014 P. 7 7 9 


dottrina
81 DANNO NON PATRIMONIALE

risulta più arduo, tenuto conto degli interessi dei congiunti, stabilire quale, tra quelli indi-
cati, sia il modello preferibile (50).
Il problema principale risulta mitigato dalla circostanza che molto spesso le persone alle
quali spetterebbe il risarcimento iure proprio, in seguito alla morte del congiunto, corri-
spondono agli eredi. Pertanto, l’abbandono degli indirizzi relativi al risarcimento dei pre-
giudizi esistenziali subiti dai congiunti determinerebbe una situazione insoddisfacente
soltanto per coloro che non godono di diritti successori, in particolare i conviventi delle
persone defunte. Sebbene l’argomento meriterebbe di essere approfondito, ad avviso di chi
scrive, in questi casi, la tutela del convivente non dovrebbe discendere dall’applicazione
dell’istituto della responsabilità civile, ampliando il numero dei soggetti legittimati a otte-
nere iure proprio un ristoro, bensì riconoscendo diritti successori in capo allo stesso con-
vivente. In definitiva, la tutela del convivente costituisce una questione di carattere gene-
rale, la quale trascende il campo dell’illecito extracontrattuale (51). A ciò si aggiunga che,
come è stato osservato, il mero riconoscimento di forme di risarcimento iure proprio
determina situazioni di profonda ingiustizia nelle ipotesi in cui la vittima non annoveri
congiunti che lamentino un danno, poiché il danneggiante non sarebbe tenuto ad alcun
risarcimento (52).
In ogni caso, le ragioni individuate dalla sentenza n. 1361/2014 sembrano superare
qualsiasi dubbio: in virtù della natura dell’interesse leso, affinché il sistema si presenti
coerente e rispettoso dei principi costituzionali, alla morte cagionata con dolo o colpa deve
conseguire una tutela di tipo risarcitorio che si parametri al pregiudizio subito dalla persona
non più in vita.
Ad un risultato analogo, nel senso di una semplificazione o razionalizzazione della
disciplina, potrebbe addivenirsi altresì con riguardo al risarcimento del danno non patri-
moniale riconosciuto nel lasso di tempo intercorrente tra la lesione e la morte. La netta
distinzione tra «danno alla salute» e «danno da morte», tratteggiata dalla sentenza, induce
però a maggiore cautela poiché la diversità tra gli interessi tutelati si profila marcata, visto
che la morte costituisce un pregiudizio diverso rispetto ai nocumenti di vario genere che il
danneggiato subisce prima del trapasso. Tenuto conto delle incertezze di ordine applicativo
e delle potenziali diseguaglianze si ritiene che l’orientamento possa essere abbandonato,

(50) È proprio su questo profilo che si incentra la motivazione di Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, cit.:
« [p]retendere che [la tutela] sia data “anche” al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di
far conseguire più denaro ai congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che sarebbe in linea col comune sentire
o col principio di solidarietà che il risarcimento da perdita della vita fosse erogato agli eredi “anziché” ai congiunti
(se, in ipotesi, diversi) o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato ». Peraltro, sebbene non si ritenga che
il risarcimento del danno in tal caso svolgerebbe una funzione punitiva, che lo Stato esperisca un’azione risarci-
toria iure hereditario dopo aver accertato la mancanza di successibili, appare un’evenienza remota.
(51) In proposito, come è noto, la ormai risalente Corte cost., 26 maggio 1989, n. 310, in Foro it., 1991, I, 446, ha
affermato che è infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 582 c.c., nella parte in cui non
equiparano — ai fini della successione legittima — il convivente more uxorio al coniuge, in riferimento agli artt. 2
e 3 Cost.
(52) In questo senso, in termini provocatori, con riferimento al danno da morte immediatamente conseguente
alla lesione, PALMIERI-PARDOLESI, Di bianco o di nero: la « querelle » sul danno da morte, cit., 764: « che dire, allora,
dell’autore dell’illecito che, quando tronca la vita di colpo, risponde solo se la vittima annovera familiari che
possano piangerlo? ». Mettendo particolarmente in luce gli interessi delle persone superstiti, ritiene invece sod-
disfacente l’indirizzo inaugurato dalle sentenze gemelle del 2003, FRANZONI, L’illecito2, in Trattato della respon-
sabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2010, 939.

 P. 7 8 0 responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014


dottrina
DANNO NON PATRIMONIALE 81

quantomeno nei casi in cui il periodo di vita tra la lesione e la morte sia molto breve e, nella
prospettiva dell’indirizzo in esame, abbia rappresentato soprattutto una base argomenta-
tiva per affermare che il danneggiato acquista il diritto al risarcimento prima di morire.

6. SULLA NATURA « PUNITIVA » DELLE FATTISPECIE RISARCI-


TORIE
La riflessione finale investe la funzione svolta dal danno non patrimoniale nei due casi
decisi dalla Suprema Corte. Com’è noto, i giudici di legittimità mediante alcuni celebri
arresti hanno affermato che «alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di
restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, anche mediante
l’attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze
del danno subìto mentre rimane estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione
del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta» (53).
Ebbene, all’indomani della sentenza sul danno da nascita «malformata» non si è man-
cato di rilevare il carattere sanzionatorio o punitivo assunto dalla condanna al risarcimento
in favore del figlio e i rischi di over-deterrence derivanti dal ricorso alla c.d. medicina
difensiva (54). Analogamente, con riguardo alla decisione sul danno da perdita della vita, si
è affermato che, nella specie, la funzione del risarcimento del danno potrebbe essere
qualificata come «simbolica, nel senso che la condanna risarcitoria intende in questo caso
ripristinare, sia pure con il mezzo inadeguato dell’attribuzione di una somma di denaro, il
valore della persona, che l’evento lesivo con effetti letali aveva azzerato» (55). In effetti, uno
dei principali argomenti contrari al risarcimento del danno da perdita della vita atteneva
alla problematica relativa alla funzione del risarcimento. Uno dei precedenti, ad esempio,
movendo dalla funzione della tutela risarcitoria, preordinata a mantenere il danneggiato
indenne dalle conseguenze negative che dalla lesione del diritto derivano, mediante il
ripristino del bene perduto, ha affermato che «è logicamente inconfigurabile» tale funzione

(53) La pronuncia principale è Cass. civ., 19 gennaio 2007, n. 1183, in questa Rivista, 2007, 1890; in Foro it.,
2007, I, 1460, con nota di PONZANELLI, Danni punitivi: no, grazie, la quale ha sancito la contrarietà all’ordine
pubblico interno dei danni punitivi. In tempi più recenti la Suprema Corte ha altresì affermato che va cassata la
pronuncia con cui sono stati dichiarati il riconoscimento e l’efficacia in Italia di una sentenza statunitense che « pur
non contenendo un esplicito rinvio all’istituto dei danni punitivi », aveva condannato il convenuto al pagamento di
un ingente importo a titolo di risarcimento del danno, senza dar conto della ragionevolezza e proporzionalità di tale
somma in rapporto ai criteri risarcitori interni (Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1781, in Danno resp., 2012, 609, con
nota di PONZANELLI, La Cassazione bloccata dalla paura di un risarcimento non riparatorio). Inoltre, si rinvengono
decisioni in cui i giudici di legittimità affermano che la liquidazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c. postula, in ogni
caso, l’accertamento di un danno, altrimenti ne risulterebbe snaturata la funzione del risarcimento, e si darebbe
vita ad una pena privata per un comportamento lesivo: Cass. civ., 19 agosto 2011, n. 17427, in questa Rivista, 2012,
112, con nota di ZIVIZ, Le immissioni intollerabili al vaglio dei principi delle Sezioni Unite.
(54) Cfr. PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile, cit., 204; CACACE, Il giudice « rottamatore » e
l’enfant préjudice, cit., 139 ss. Sul problema della « medicina difensiva », v. anche MUCCIOLI, Diagnosi prenatale
inesatta e responsabilità del medico, cit., 593.
(55) C. SCOGNAMIGLIO, Il problema del danno da morte: il danno non patrimoniale torna alle Sezioni Unite, in
Giustizia civile.com, Editoriale del 20 marzo 2014, 3. Per un’ulteriore esplicazione della funzione simbolica, v. ID.,
Dignità dell’uomo e tutela della personalità, in Giust. civ., 2014, 91, ove si legge, riprendendo una intuizione di
CRICENTI, Persona e risarcimento, Padova, 2006, 190 s., che il risarcimento costituirebbe un « riconoscimento
simbolico del valore attribuito alla persona e di riconoscimento, sul piano sociale della ingiustizia della sua
valutazione ».

responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014 P. 7 8 1 


dottrina
81 DANNO NON PATRIMONIALE

quando il soggetto non è più in vita (56). Come si vedrà più avanti, anche in considerazione
dell’orientamento maturato nella Suprema Corte, secondo cui il diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale può essere oggetto di cessione (57), il citato argomento si profila
debole, in quanto «dà per scontata la coincidenza tra il punto soggettivo di incidenza del
danno e il titolare dell’azione risarcitoria» (58).
Prima di valutare nel dettaglio i due casi in esame, è necessario svolgere una premessa
di ordine generale relativamente alla funzione attualmente assegnata al risarcimento del
danno non patrimoniale. Allo stato, le posizioni della giurisprudenza e di gran parte della
dottrina sembrano convergere sulla tesi della natura riparatoria del risarcimento del danno
non patrimoniale. Negli studi più recenti è emerso che il concetto di riparazione non
implica necessariamente un’equivalenza tra il danno e il risarcimento, per cui non può
affermarsi la natura sanzionatoria dell’istituto per il solo fatto che il pregiudizio non è
suscettibile di valutazione economica (59). Un dato ormai acquisito, fatto proprio anche da
alcuni sostenitori della tesi secondo la quale il risarcimento del danno non patrimoniale
avrebbe una funzione satisfattiva, è quello che il risarcimento, orientato a svolgere una
funzione riparatoria, non si quantifica avendo riguardo alla condotta del danneggiante ma
al pregiudizio subito dal soggetto leso. In questo quadro, sembra che possa scorgersi una
funzione sanzionatoria o punitiva del risarcimento soltanto nei casi in cui la quantificazione
del risarcimento determini l’obbligo di corrispondere un ammontare che, secondo le tec-
niche liquidatorie comunemente adottate, debba ritenersi eccessivo.
Impostato il problema nei termini che precedono, nel caso deciso da Cass. n. 16754/2012
non sembra possibile negare la funzione punitiva del risarcimento del danno non patrimo-
niale accordato al nato. Indipendentemente dal rischio di duplicazione delle poste risarci-
torie dei familiari, se si accogliesse la tesi secondo cui non è configurabile un pregiudizio in
capo al nato (supra, n. 3), il risarcimento non potrebbe logicamente essere destinato a
riparare un danno, ma costituirebbe soltanto una reazione alla condotta illecita del medico.
Non rileverebbe la circostanza che il risarcimento mira ad alleviare il dolore del soggetto
disabile, poiché in assenza dell’indicato presupposto, cardine del sistema della responsa-
bilità, il risarcimento costituirebbe una vera e propria pena privata. La sentenza si sofferma

(56) Cfr. Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, cit.: « non solo non è giuridicamente concepibile che sia acquisito dal
soggetto che muore, e che così si estingue, un diritto che deriva dal fatto stesso della sua morte (chi non è più non
può acquistare un diritto che gli deriverebbe dal non essere più), ma è logicamente inconfigurabile la stessa
funzione del risarcimento che, in campo civile, non è nel nostro ordinamento sanzionatoria (funzione garantita
invece dal diritto penale), ma riparatoria o consolatoria. E in caso di morte, esclusa ovviamente la funzione
riparatoria, neppure la tutela con funzione consolatoria può, per la forza delle cose, essere attuata a favore del
defunto ». Nello stesso senso, Cass. civ., 17 luglio 2012, n. 12236, in Arch. circ.., 2012, 1096 ss.
(57) Nel senso che il diritto di credito relativo al risarcimento del danno non patrimoniale, così come risulta
trasmissibile iure hereditatis, può anche formare oggetto di cessione per atto inter vivos, non presentando
carattere strettamente personale, v. Cass. civ., 3 ottobre 2013, n. 22601, in Foro it., 2014, I, 876 ss.
(58) Così LIPARI, Danno tanatologico e categorie giuridiche, cit., 530.
(59) È questo il risultato al quale perviene dopo un’articolata ricostruzione del pensiero dei giuristi italiani in
merito al problema della funzione del risarcimento del danno non patrimoniale, compiuta esaminando l’antica tesi
della « pecunia doloris », le teorie satisfattive e quelle che rinvengono nel risarcimento una pena privata, D’ADDA,
La funzione del risarcimento del danno non patrimoniale, in Responsabilità civile. Danno non patrimoniale, cit.,
115 ss., spec. 136 ss. Nel senso che le decisioni delle Sezioni Unite del 2008 hanno determinato l’abbandono di una
qualsiasi finalità punitiva del risarcimento del danno non patrimoniale, v. BARBIERATO, Risarcimento del danno e
funzione deterrente, in questa Rivista, 2009, 1182, alla quale si rinvia per i riferimenti dottrinali.

 P. 7 8 2 responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014


dottrina
DANNO NON PATRIMONIALE 81

sul problema della funzione dell’istituto soltanto con riguardo alla fattispecie contrattuale
con effetti protettivi (che riguarda i familiari del bambino disabile), affermando che la
responsabilità del medico è «predicabile non soltanto per la circostanza dell’omessa dia-
gnosi in sé considerata (ciò che caratterizzerebbe il risarcimento per un inammissibile
profilo sanzionatorio/punitivo, in patente contrasto con la funzione propria della respon-
sabilità civile), ma per la violazione del diritto di autodeterminazione della donna nella
prospettiva dell’insorgere, sul piano della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichi-
ca». Le parole della Suprema Corte sembrano confermare la tesi della natura punitiva del
risarcimento, poiché, con riguardo alla posizione del minore, sussiste soltanto l’elemento
dell’omessa diagnosi, ossia della condotta lesiva.
Non svolge invece una funzione punitiva o sanzionatoria il risarcimento del danno da
perdita della vita. Sebbene non siano ancora chiare le modalità con le quali il risarcimento
del danno verrà quantificato, esso si porrà in linea con gli standard utilizzati per la quan-
tificazione degli altri danni non patrimoniali. In definitiva, si tratterà di elaborare una nuova
casella delle tabelle adoperate dalla giurisprudenza, che costituisca una base di partenza
per il computo del risarcimento. Si ribadisce che nessun pregio sembra avere l’affermazio-
ne, talvolta presente nella giurisprudenza, secondo cui il risarcimento del danno da morte
avrebbe una funzione punitiva poiché sarebbe destinato a soggetti diversi rispetto alla
vittima, non potendo per essa svolgere una funzione «consolatoria». Come risulta dalla
sentenza n. 1361/2014 e negli scritti di autorevoli studiosi, l’ordinamento non tollera risar-
cimenti aventi natura punitiva nell’ammontare, ma ammette che non vi sia identità tra il
soggetto leso e quello che fa valere il credito risarcitorio. Anche nei confronti della persona,
titolare di un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, deceduta dopo l’evento di
danno ma prima della liquidazione giudiziale del danno (conseguenza), il risarcimento
spesso non potrà svolgere una funzione «riparatoria o consolatoria» se non nel senso,
sopra ricordato, del vantaggio discendente dall’acquisizione del relativo credito per via
ereditaria e lo stesso, a ben vedere, accade nel caso del danno da morte che consegua
immediatamente alla lesione. Infatti, il mero credito risarcitorio, né liquido né esigibile, ove
il danneggiato non abbia la possibilità di disporne non allevia il suo dolore se non in virtù
del miglioramento per la posizione degli eredi (60). Affinché possa ritenersi svolta la funzio-
ne «riparatoria o consolatoria», nel senso che appare presupposto da alcuni precedenti
giurisprudenziali (61), non sarebbe allora sufficiente il sorgere del credito, ma sarebbe
necessaria la sua realizzazione o la possibilità di disporne. Aderendo all’interpretazione
privilegiata dalle ricordate sentenze si perverrebbe all’insoddisfacente risultato di dover
ammettere l’esistenza un risarcimento con connotati sanzionatori tutte le volte in cui non
sia il danneggiato a ottenere il denaro o a disporre del credito.

(60) È sufficiente pensare alle fattispecie in cui la giurisprudenza riconosce il risarcimento del danno subito
nell’« apprezzabile lasso di tempo » intercorrente tra la lesione e la morte. Come può affermarsi che in queste
ipotesi il risarcimento svolge per il danneggiato una funzione consolatoria o riparatoria? Sotto il profilo funzionale,
quale differenza intercorre « nella sostanza » rispetto all’ipotesi di morte immediatamente conseguente all’evento
lesivo?
(61) Cfr., tra le ultime, Cass. civ., 28 gennaio 2013, n. 1871, in Foro it., 2013, I, 834, la quale ha escluso la
risarcibilità del danno non patrimoniale iure hereditatis in favore dei parenti delle vittime del disastro aereo di
Ustica del 27 giugno 1980; Cass. civ., 17 luglio 2012, n. 12236, cit.; Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, cit.

responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2014 P. 7 8 3 

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