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PAOLO COSTA

PECUNIA CONSTITUTA: IPOTESI INTERPRETATIVE

Excerptum ex Studia et Documenta Historiae et Iuris


LXXVII - 2011

ROMAE
PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS
A M. B.
INDICE GENERALE

1. Caratteri e funzioni della pecunia constituta

1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Cenni alla tutela processuale . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 Gli usi linguistici e la loro rilevanza giuridica . . . . . . . 10
1.4 Utilità pratica del constitutum . . . . . . . . . . . . . . 19

2. La qualificazione dogmatica

2.1 La controversa attribuzione al constitutum della qualifica di


pactum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.2 L’adiectio diei ed i pacta adiecta in continenti . . . . . . . . . 26
2.3 Per una rilettura di D. 13.5.14.3 (Ulp. 27 ad ed.) . . . . . . 29
2.4 Carattere consensuale o unilaterale del constitutum . . . . . . 32
2.5 Il constitutum e la fides . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

3. Il dies constituti ed il termine per l’adempimento

3.1 Il dies constituti e la dogmatica della mora: profili generali . . 40


3.2 Segue: le opiniones di Pomponio e Ulpiano . . . . . . . . 42
3.3 Segue: comparazione con la stipulatio poenae . . . . . . . . 52
3.4 Segue: l’opinio di Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . 58

4. Profili problematici sull’oggetto del debito

4.1 L’interpretazione di D. 13.5.1.6-8 (Ulp. 27 ad ed.) . . . . . 64


a) Problemi di genuinità del testo: l’esemplificazione delle
causae obligationum . . . . . . . . . . . . . . . . 64
b) Segue: la nozione di contractus incerti . . . . . . . . . 66
c) Esempi di estensione dell’oggetto del debito secondo
D. 13.5.1.6 e 8 (Ulp. 27 ad ed.) . . . . . . . . . . . 67
d) Sul constitutum di un debitum ex causa dotis . . . . . . . 70
4.2 Il constitutum di un debito di persona alieni iuris . . . . . . . 72

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IV Indice generale

5. Il constitutum e gli accidentalia negotii

5.1 I constituta di obbligazioni in diem . . . . . . . . . . . . 85


5.2 I constituta puri di obbligazioni sub condicione . . . . . . . . 87
5.3 I constituta sub condicione di obbligazioni pure . . . . . . . . 95

6. I rapporti tra constitutum, datio in solutum ed obligationes cum facultate


alternativa

6.1 Lo status quaestionis su D. 13.5.1.5 (Ulp. 27 ad ed.) . . . . . . 99


6.2 Obbligazione alternativa ed obbligazione cum facultate alternativa 105
6.3 Obbligazione cum facultate alternativa e datio in solutum . . . . . 107
6.4 Linee di configurazione del constitutum de in solutum dando . . . 109

7. L’oggetto del debito ed il dogma della perpetuatio obligationis

7.1 Lo status quaestionis su D. 13.5.23 (Iul. 11 dig.) . . . . . . . 117


7.2 Il dogma della perpetuatio obligationis ed il constitutum . . . . . 122

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PAOLO COSTA

PECUNIA CONSTITUTA: IPOTESI INTERPRETATIVE

1. – Caratteri e funzioni della pecunia constituta


1.1. – Introduzione

La locuzione pecunia constituta, composta da un sostantivo e da un


participio perfetto con valore predicativo, ricorre nella rubrica e nel testo
del Digesto (13.5) e del Codice di Giustiniano (4.18) come specificazione
dell’azione che può essere esperita a tutela della posizione soggettiva
attiva generatasi con il compimento di quell’atto giuridico a lungo indi-
cato dalla dottrina più risalente come constitutum obligatorium o conventionale 1
– per distinguerlo da quello possessorium – e che da quella contemporanea
è normalmente chiamato patto di costituto o, più comunemente, consti-
tutum debiti, utilizzando in ogni caso lessemi complessi che non si rinven-
gono nelle fonti romane. La manualistica maggioritaria delinea concorde
i tratti identificativi dell’actio de pecunia constituta considerandola come lo
strumento processuale dato a tutela di un atto (il constitutum, appunto) col
quale si realizza l’assunzione dell’impegno ad adempiere, ad un termine
prestatuito (il dies constituti), un’obbligazione propria od altrui. Questa
configurazione dogmatica rappresenta l’esito di un percorso che ha
affrancato il nostro istituto dalla riduzione ad una mera promessa di
adempimento – tale la lettura dominante dal Pothier al Windscheid 2 – e
che trova la sua prima cosciente scaturigine in un ampio articolo pubbli-
cato nel 1861 dal Bruns 3, nel primo numero della Zeitschrift für Rechts-
geschichte. Al giusromanista prussiano si deve il rilevante merito di aver
concentrato il fuoco dell’attenzione sulla struttura originaria del negozio e
sul suo processo evolutivo nel diritto romano, a partire dalla centralità che
nella fattispecie ha l’elemento della statuizione del dies. Proprio i risultati

* Ringrazio i Proff. M. Amelotti, M. Bianchini, J. Caimi e C.A. Cannata per i preziosi


suggerimenti con cui hanno accompagnato la stesura di questo lavoro.
1
Cfr. A. MYLIUS, De constituto obligatorio, Lipsiae 1682; E. F. SCHROETER, Dissertatio de consti-
tuto conventionali seu obligatorio, Jena 1664; G. G. BRENDEL, De constituto conventionali, Wittemberg
1694.
2
Cfr. R. J. POTHIER, Traité des obligations, Paris 1761, § 457-493; B. WINDSCHEID, Lehrbuch
des Pandektenrechts, ed. T. KIPP, II, Frankfurt am Main 1906, (§ 284), 163 ss. (= B.WINDSCHEID,
Diritto delle Pandette, edd. C. FADDA – P. E. BENSA, II, Torino 1925, [§ 284], 112 ss.).
3
C. G. BRUNS, Das constitutum debiti, in Zeitschrift für Rechtsgeschichte, 1 (1861), 28-130
(= C. G. BRUNS, Kleinere Schriften, Weimar 1882, 221-312, da dove d’ora innanzi citerò).

.
2 Paolo Costa

interpretativi del Bruns rappresentano il luogo da cui muove la dottrina –


soprattutto di area germanica e francese – che studia il costituto 4.
Una forte caratterizzazione alla ricerca storica sul costituto, e in parti-
colare all’identificazione dei suoi canoni classici, derivò dalla puntuale e
profonda applicazione dei criteri interpolazionistici alle fonti a noi perve-
nute. In tutti i casi in cui la disciplina rinvenibile nella compilazione
giustinianea fosse stata sentita come collidente con la presunta configura-
zione classica dell’istituto, il testo veniva considerato più o meno radical-
mente rimaneggiato: questi sono gli stilemi ermeneutici che informano ad
esempio la metodologia critica del Beseler 5, che in alcuni fascicoli dei suoi
Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen dedica ampio spazio proprio alla
ricerca delle interpolazioni che avrebbero viziato molti testi sul constitutum.
Le conseguenze di queste letture esegetiche supereranno la metà del XX
secolo, ma si vedono fin da subito condizionare l’analisi dell’istituto che
l’Arangio-Ruiz fa in un suo scritto giovanile e le pagine che ad esso riserva
il Guarneri Citati 6 nei suoi studi sulla mora.
Anche la monografia che nel 1929 il Philippin 7 dedica all’actio de
pecunia constituta condivide l’impostazione metodologica interpolazionista

4
Dalle conclusioni del Bruns non si può prescindere per comprendere la ricostruzione
dell’editto de pecunia constituta proposta da O. LENEL, EP 3 § 97. In un elenco, pur incompleto,
dei contributi rilevanti, più o meno dipendenti dall’articolo del Bruns, devono ricordarsi
almeno gli studi sui rapporti tra il constitutum e le obbligazioni solidali di E. BODIN, Des effets du
pacte de constitut, in RHD. 12 (1866), 209-228; F. SERAFINI, Nuova interpretazione della L. X Dig. De
pecunia constituta, in AG. 17 (1876), 401-410; ID., Osservazioni ulteriori sulle leggi 8a e 10a dig. De
pecunia constituta, in AG. 18 (1877), 13-14; E. HUSCHKE, Zur Lehre vom Constitutum in der Correalobli-
gation, in Archiv für die civilistsche Praxis, 65 (1882), 230-257, e le voci enciclopediche di E. JOBBÉ-
DUVAL, sv. Constitut (Droit romain), in La Grande Encyclopédie, Paris (s.d.), t. XII, 632-633;
G. HUMBERT, sv. Constitutum, in Dictionnaire des antiquiteés grecque et romaines, Paris 1887, 1454-
1455; R. LEONHARD, sv. Constituere, in PWRE. 4 (1900), 1104-1106. Rilevanti quanto alle ipotesi
sulla genesi del constitutum sono anche le prospettive di J. KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über
constituta pecunia (tr. M. Conrat), in Abhandlungen zum Römischen Staats-und Privatrecht, III, Stuttgart
1885, 200-354 (già pubblicato in olandese: Over constituta pecunia, in Themis, Regtskunding
Tydschrift, 1882 [IV], 1883 [I]) e di J. VALERY, Conjectures sur l’origine et les transformations du pacte
de constitut, in Revue générale du droit, 15 (1891), 528-531; 16 (1892), 193-205; 17 (1893), 52-60,
97-104. Pagine importanti sull’origine dell’istituto e sulla sua tutela processuale si rinvengono
anche nelle principali trattazioni istituzionali che si pongono alle soglie o nei primi anni del
XX secolo, tra i molti: G. F. PUCHTA, Cursus der Institutionen, II, Leipzig, 188110, 130 ss.;
O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., Leipzig 1901, 1371 ss.; C. FERRINI, Note a
C. F. GLÜCK, Commentario alle Pandette, XIII, [trad. it. Milano 1906], 157-206; E. CUQ, Manuel
des institutions juridiques des Romains, Paris 1917, 512 ss.; S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, II,
Roma 19282, 238 ss.
5
G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, II, Tübingen 1911; IV, Tübingen
1920.
6
V. ARANGIO-RUIZ, Le genti e la città, in Annuario dell’Università di Messina (estr. 1914) (=
V. ARANGIO-RUIZ, Scritti di diritto romano, I, Napoli 1974, 519-587); A. GUARNERI CITATI, Contri-
buti alla dottrina della mora, in AUPA. 11 (1923), 161-328 (= estr., Cortona 1923).
7
A. PHILIPPIN, Le pacte de constitut. Actio de pecunia constituta, Paris 1929.

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 3

e, talora, mostra di rigettare alcuni risultati del Bruns pur considerati


ormai pacificamente acquisiti dalla dottrina del tempo. Nascono anche
come risposta a quest’ultima posizione quelli che – ancora oggi – sono i
principali contributi alla conoscenza del constitutum debiti, cioè i due saggi
consequenziali che l’Astuti 8 consacra al nostro istituto nel 1937 e nel 1941.
Questi studi hanno il perdurante merito di presentare una ricerca
completa di tutta la storia del costituto dalle origini al periodo giusti-
nianeo, con approfondita analisi di fonti giuridiche ed opinioni dottrinali,
che conduce a delineare i tratti nucleari dell’istituto – soprattutto del-
l’originaria struttura e funzione – poi condivisi dalla dottrina successiva.
Tra i limiti di questa ricerca che si possono già ora indicare – altri
saranno analizzati infra a proposito di problemi specifici – si nota un certo
condizionamento dei canoni dogmatici propri della tradizione pandetti-
stica, soprattutto per quanto riguarda il concetto stesso di ‘promessa di
adempimento’, che rappresenta il nerbo tematico della ricerca dell’Astuti.
Oggi poi non può che suscitare perplessità e stimolo alla revisione l’acco-
glimento – talora ben poco discusso – che l’Autore fa di molti risultati, a
volte assai radicali, della critica interpolazionista a proposito dei testi sul
costituto.
Le conclusioni dell’Astuti vengono – tranne alcuni profili marginali –
nella sostanza accolte e riproposte dal Roussier 9 e dalla Karadeniz10, che
negli anni successivi dedicano opere monografiche poco innovative al
constitutum debiti, e dal Magdelain11 nel suo personalissimo studio sul
consensualismo nell’editto del pretore. Sulla linea dell’Astuti si pone

8
G. ASTUTI, Studi preliminari intorno alla promessa di pagamento, I. Il costituto di debito, in Annali del-
la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino 11 (1937), 83-249 = Napoli 1937 (estr.), da dove
d’ora innanzi citerò; ID., Studi intorno alla promessa di pagamento. Il costituto di debito, II, Milano 1941.
L’Astuti non era romanista di formazione e aveva dedicato i suoi primi anni di ricerca ai temi del
diritto delle obbligazioni nel medioevo: gli stessi contributi sul costituto rappresentano ideal-
mente la premessa alla sua monografia successiva sui contratti nella storia del diritto italiano
(I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano I. Parte generale, Milano 1952). Egli approfondisce
con impegno e precisione la ricostruzione della disciplina dell’istituto all’interno del sistema delle
obbligazioni romane, seguendo l’impostazione metodologica che aveva fatto propria dal contatto
accademico con Segrè e con le prospettive sistematiche di quest’ultimo, che era legato alla tradi-
zione pandettistica, ma l’aveva arricchita con l’accoglimento delle più recenti influenze interpola-
zioniste e storicistiche; cfr. M. CARAVALE, Ricordo di Guido Astuti, in Quaderni fiorentini per la storia del
pensiero giuridico moderno 10 (1981), 531-549.
9
J. ROUSSIER, Le constitut, in Varia. Études de droit romain, III, Paris 1958. F. BONIFACIO nella
sua Recensione piuttosto critica a questo testo di Roussier (in TR. 28 [1960], 375) fa una considera-
zione che mi pare ad oggi molto stimolante proprio nell’intraprendere un rinnovato studio del
nostro istituto: «Io non saprei dire se, allo stato delle nostre conoscenze, possa essere di qualche
utilità il riesame ab imis delle fonti sul constitutum, ma sono certo che un tentativo siffatto potrebbe
essere vantaggioso solo se si avvalesse del contributo metodologico che la scienza romanistica
degli ultimi lustri ci ha dato: se, cioè, la ricerca fosse ispirata ad una più ampia prospettiva
storica».
10
Ö. KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, Ankara 1968.
11
A. MAGDELAIN, Le consensualisme dans l’édit du préteur, Paris 1958.

.
4 Paolo Costa

anche il Guizzi nella sua voce per il Novissimo Digesto Italiano e il Kaser12 nel
suo manuale, contribuendo a formare la communis opinio13.
Posizioni più sensibili alle nuove metodologie critiche si incontrano
nelle pagine dedicate al costituto dagli Autori successivi14. Già Tondo15,
nella sua recensione al testo del Roussier, manifesta una prospettiva di
analisi meno influenzata dai canoni intepolazionisti e tale impianto critico
più moderno si riconosce – parzialmente – anche nei successivi contributi
di Frezza16, dedicati soprattutto al constitutum debiti alieni. All’approfondi-
mento specifico del constitutum debiti alieni nel periodo giustinianeo è anche
rivolto un articolo – pressoché coevo – di Archi17, a seguito del quale, per
alcuni decenni, non constano altre ricerche specifiche sul nostro istituto.
In tempi più recenti, gli studi sul costituto di debito hanno avuto nuova
vitalità: la Ricart Martì18 gli ha dedicato all’inizio degli anni ’90 tre saggi
piuttosto generali, uno dei quali, maggiormente approfondito sul tema
dell’adiectus solutionis causa in rapporto al constitutum, a proposito del quale
nel 2008 si sono confrontati anche Hans Ankum19 e Franca La Rosa 20.
Quest’ultima Autrice, in un articolo del 1997 21, presenta alcune

12
F. GUIZZI, Constitutum debiti, in NNDI. 4 (1959), 299-300; M. KASER, Das römische Priva-
trecht. Das altrömische, das vorklassische und klassische Recht, I2, München 1971, 583 ss.
13
Un sostanziale accoglimento delle linee ricostruttive proposte dall’Astuti si trova ad
esempio in B. ALBANESE, Gli atti negoziali nel diritto privato romano, Palermo 1982, 15; G. MELILLO,
sv. Patti (storia), in ED. 32 (1982), 483; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990,
608; G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Torino 19913, 589; A. BURDESE, Manuale di diritto
privato romano, Torino 19934, 491; M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo 19942, 509 ss.;
A. GUARINO, Diritto privato romano, II, Napoli 200112, 941.
14
Di coloro che affrontano il tema in parti, più o meno consistenti, di opere più generali si
darà ampio conto nel prosieguo dell’approfondimento; qui credo sia utile far soltanto menzione
dei contributi espressamente dedicati al tema.
15
S. TONDO, In tema di constitutum debiti, in Labeo 4 (1958), 208-229.
16
P. FREZZA, Questioni esegetiche e sistematiche in materia di constitutum debiti, in Studi in memoria di
G. B. Funaioli, Milano 1961, 701-718 (= P. FREZZA, Scritti, II, edd. F. AMARELLI – E. GERMINO,
Romae 2000, 317-334); ID., Le garanzie delle obbligazioni. Corso di diritto romano, I. Le garanzie personali,
Padova 1962, 229 ss.
17
G. G. ARCHI, Contributi alla critica del Corpus Juris. II. Riforme giustinianee in tema di garanzie
personali, in BIDR. 65 (1962), 131-149 (= G. G. ARCHI, Scritti di diritto romano, III, Milano 1981,
2025-2046).
18
E. RICART MARTÌ, Constitutum debiti y solutionis causa adiectus, in Rev. de la Fac. de Der. de la
Un. Complut. de Madrid, 16 (1990), 241-253; EAD., Perfil del constitutum debiti, in Sem. Complut. de der.
Rom. 3 (1991), 135-148; EAD., Constitutum debiti, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al Prof.
J. L. Murga Gener, ed. J. PARICIO, Madrid 1994, 695-708.
19
H. ANKUM, Quelques problèmes sur le solutionis causa adiectus, in Studi per G. Nicosia, I, Milano
2007, 139-161; ID., Solutionis causa adiectus et constitutum debiti en droit romain classique, in Mémoires de la
Société pour l’histoire du droit et des institutions des anciens pays bourguignons, comtois et romands, 65 (2008)
[Actes des journées internationales de la société d’histoire du droit – Dijion 2007 Le droit, les affaires et l’argent.
Célébration du bicentenaire du code de commerce], 91-97.
20
F. LA ROSA, L’adiectus solutionis causa e il constitutum debiti, in Index 36 (2008), 277-284.
21
F. LA ROSA, Il formalismo del pretore: constituta e recepta, in Labeo 43 (1997), 202-224. Dello
stesso anno è anche lo studio che la stessa Autrice svolge sulla riforma giustinianea del receptum
argentarii e l’assorbimento della sua protezione in seno all’actio de pecunia constituta: EAD., La pressione

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 5

proposte – di sicuro valore e confortate da solidi argomenti – sull’origi-


nario carattere formale del constitutum debiti, che muovono in opposizione
rispetto alla dottrina maggioritaria e che avrebbero suscitato le critiche
del Serangeli in un contributo del 2001 dedicato allo stesso tema 22.
L’approfondimento del tema dell’oggetto della prestazione inerente
all’obbligazione dedotta in costituto è svolto in un lungo articolo (del
2007) di Varvaro 23, il quale ritiene che la possibilità di dedurre in costituto
anche obbligazioni aventi per oggetto prestazioni di res quae pondere numero
mensura constant rappresenti un’innovazione postclassica dell’istituto.
Su temi specifici, come i rapporti tra il constitutum e la mora 24, le obbli-
gazioni solidali 25, la datio in solutum 26, l’actio de eo quod certo loco 27 e altri 28, si
incontrano recenti prese di posizione dottrinali, alcune delle quali saranno
in seguito oggetto di approfondimento e discussione.
L’obiettivo della nostra indagine è quello di rivedere alcuni risultati
degli studi sul constitutum cercando di applicare alle fonti le metodologie
interpretative dell’esegesi contemporanea 29 e di speculare le testimonianze
della giurisprudenza classica al lume delle più recenti acquisizioni dottri-
nali sui temi confinanti al nostro, come quelle che hanno riguardato la
condictio o i pacta, e più in generale il diritto delle obbligazioni. Questo
lavoro non pretende di essere esaustivo, né sul piano dei profili trattati né
sul piano temporale (riferendosi prevalentemente all’età del principato),
ma solo di tracciare alcune linee o suggestioni di ricerca che si auspicano
innovative, rinviando per approfondimenti su altri ambiti materiali o
cronologici ai rilevanti contributi summenzionati 30.

degli argentarii e la riforma giustinianea del constitutum debiti, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto
dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Prof. F. Gallo, Napoli 1997, 445-451.
22
S. SERANGELI, Epistulae e negotia nel diritto romano classico (II): obligationes, [Opuscola 2 (2001)],
Macerata 2001.
23
M. VARVARO, Sulla storia dell’editto De pecunia constituta, in AUPA. 52 (2007-2008), 327-366
(= Studi in onore di R. Martini, III, Milano 2009, 829-871); le posizioni espresse nell’articolo appena
menzionato possono trovarsi parzialmente rifuse in M. VARVARO, Per la storia del certum. Alle radici
della categoria delle cose fungibili, Torino 2008, 180 ss. spec. 198-217.
24
J. D. HARKE, Mora debitoris und mora creditoris im klassischen römischen Recht, Berlin 2005, 101 ss.
25
P. SCHMIEDER, Duo rei. Gesamtobligationen im römischen Recht, Berlin 2007, 116 ss.
26
A. SACCOCCIO, Aliud pro alio consentiente creditore in solutum dare, Milano 2008, 79 ss.
27
F. PULITANÒ, De eo quod certo loco. Studi sul luogo convenzionale dell’adempimento nel diritto romano,
Milano 2009, 314 ss.
28
Si vedano per esempio i frammenti del titolo 13.5 del Digesto commentati da E. STOLFI,
Studi sui Libri ad Edictum di Pomponio I, Trasmissione e fonti – II, Contesti e pensiero, Napoli 2002, passim.
29
Cfr. per un recente confronto ricco di interessanti indicazioni metodologiche:
A. W ATSON , Prolegomena to establishing pre-justinianic texts, in TR. 62 (1994), 113-125 ;
J. H. A. LOKIN, Epilegomena to a century of interpolation criticism, in Collatio iuris romani. Études dédiées à
H. Ankum, à l’occasion de son 65e anniversaire, edd. R. FEENSTRA – A. S. HARTKAMP – J. E. SPRUIT
– P. J. SIJPESTEIJN – L. C. WINKEL, I, Amsterdam 1995, 261-273; ID., Il futuro della critica interpo-
lazionistica. Riflessioni sulla costituzione Tanta 10, in Il tardoantico alle soglie del duemila. Diritto Religione
Società. Atti del Quinto Convegno Nazionale di Studi Tardoantichi, ed. G. LANATA, Pisa 2000, 65-72.
30
Per i riferimenti bibliografici segnalo soprattutto il testo di Varvaro appena menzionato; per

.
6 Paolo Costa

1.2. – Cenni alla tutela processuale


In conclusione di questa parte introduttiva reputo utile, per agevolare
l’intelligibilità di quanto segue, una breve analisi della formula edittale
dell’actio de pecunia constituta ricordando che la rubrica de pecunia constituta si
colloca, nella ricostruzione leneliana dell’Editto perpetuo, nel titolo XVII
(De rebus creditis) al § 97, dopo il paragrafo de eo quod certo loco dari oportet
(§ 96: D. 13.4): entrambe le previsioni edittali si atteggiano quasi da
appendici della clausola Si certum petetur.
Lenel 31, sulla base dei commentari – e di quello ulpianeo in partico-
lare – congettura che la clausola dell’editto De pecunia constituta in età
adrianea 32 sia così formulata:
QUI PECUNIAM DEBITAM CONSTITUIT se soluturum eove nomine se satisfac-
turum esse, in eum iudicium dabo.

Tale ricostruzione si fonda, per la prima parte, sull’indiscussa 33 testi-


monianza di Ulpiano:
D. 13.5.1.1 (Ulp. 27 ad ed.): Ait praetor: “Qui pecuniam debitam constituit”.

Bruns e Segrè 34 ritengono che nell’editto vi fosse anche l’indicazione


del dies constituti (con l’inserzione di una data [ad es. Kal. Ian.]), ma anche
qui preferisco ribadire la scelta di Lenel di non inserire tale riferimento in

mostrare la poliedricità delle prospettive interpretative che attualmente si agitano su profili rilevanti
del constitutum ricordo soltanto il confronto tra La Rosa e Serangeli sul carattere formale o informale
del constitutum e quello tra la medesima giusromanista ed Ankum sull’adiectus solutionis causa.
31
LENEL, EP 3, 247-248.
32
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 240 e A. F. RUDORFF, De iuris dictione edictum. Edicti
perpetui quae reliqua sunt, Lipsiae 1869 (rist. Barañáin 1997), 106 ss., ipotizzano che l’editto più
antico in luogo di debitam avesse creditam, e ciò a sottolineare la forza del legame originario con
l’actio certae creditae pecuniae e forse con la legis actio per condictionem. Tale congettura è seguita anche
da FERRINI, Note a GLÜCK, cit., 159 nt. c), che rileva come, a suo dire, in origine l’editto riguar-
dasse soltanto debiti di denaro e in particolare di pecunia certa credita e fosse esclusa la possibilità di
constituta di obbligazioni sub condicione, per le quali non si sarebbe potuto parlare di creditum; la vici-
nanza con l’actio certae creditae pecuniae sarebbe anche testimoniata da Gai. 4.171, ove la sponsio dimi-
diae partis dell’actio de pecunia constituta è giustapposta a quella tertiae partis della condictio formulare.
Lenel non accoglie questa proposta ricostruttiva, poiché Ulpiano (D. 13.5.1.5-8; D. 13.5.3;
D. 13.5.11; D. 13.5.18.1 – Ulp. 27 ad ed.) fa chiara e reiterata menzione del debere e della pecunia
debita e ciò farebbe pensare che la parola debitam fosse contenuta nell’editto di età adrianea: mi
pare che tali argomenti siano ancora convincenti, anche perché non contrastano con la conside-
razione del fatto che, in origine – e probabilmente ancora al tempo di Cicerone (cfr. infra § 1.3) –
l’editto facesse riferimento a debiti di pecunia numerata, in ragione del particolare rapporto con la
tutela processuale del credito; cfr. ASTUTI, Studi, I, cit., 50, ove letteratura precedente;
VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 341 (= Studi Martini, III, cit., 842-843); ID., Per la storia del
certum, cit., 205-206. Si noti che di recente LA ROSA, Il formalismo del pretore, cit., 290, sceglie la
congettura creditam, considerandola quella più funzionale alla restituzione dell’originario tenore di
D. 13.5.1.1.
33
Cfr. ASTUTI, Studi, I, cit., 21, ove ne afferma con sicurezza la classicità.
34
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 249; G. SEGRÈ, Le garanzie personali e reali delle obbligazioni, I. Le
garanzie personali, Torino 1933-34, 253. Dubbi su tale inserzione manifesta ASTUTI, Studi, II, cit., 5.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 7

ragione di un’inequivoca testimonianza pauliana 35 : da tale mancanza del


dies nella formula non può in ogni caso trarre scaturigine l’argomento del-
l’inessenzialità del dies per aversi un constitutum, come provano la seman-
tica stessa del verbo constituere i suoi usi linguistici, che saranno a breve
analizzati.
Maggiori dubbi si hanno sul fatto che la locuzione se soluturum eove
nomine se satisfacturum esse appartenesse effettivamente all’editto come vuole
il Lenel, che in ciò segue la gran parte della dottrina ottocentesca 36,
proponendo la seguente ricostruzione della formula:

35
D. 13.5.21.1 (Paul. 29 ad ed.): Si sine die constituas, potest quidem dici te non teneri, licet verba edicti
late pateant: alioquin et confestim agi tecum poterit, si statim ut constituisti non solvas: sed modicum tempus
statuendum est non minus decem dierum, ut exactio celebretur. Se è vero che, apparentemente, si tratta di
un costituto che ha efficacia obbligante quantunque concluso sine die, tuttavia la medesima atten-
zione riservata nell’incipit al dies fa percepire quanto si sentisse come centrale la questione della
presenza di tale elemento; ciò è confermato dallo stesso stile della prosecuzione dell’argomenta-
zione: potest dici te non teneri. La prima soluzione che il giurista dà è negativa (pur con una rigidità
attenuata), probabile segno del fatto che questa sia la risposta che deriva dalla tradizione giuri-
dica. La struttura del passo fa propendere per una sua manipolazione o reinterpretazione in età
giustinianea a seguito dell’evoluzione della stipulatio e della riforma del receptum (di cui alla nota
costituzione del 531 [CI. 4.18.2.2]), per il quale ultimo non occorreva l’elemento del dies. Tale
conclusione, che mi sembra ragionevole anche in virtù della stravaganza sistematica del passo
rispetto al contesto, non fu pacificamente accolta in dottrina (cfr. BRUNS, Das constitutum debiti,
cit., 251, 276 ss.; KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1, cit., 1376 ss.; KAPPEYNE VAN DE
COPPELLO, Über constituta pecunia, cit., 261 ss.; P. F. GIRARD, Manuel élémentaire de droit romain, ed.
F. SENN, Paris 19298, 641), ma mi pare difficilmente confutabile a seguito delle stringenti argo-
mentazioni di A. GUARNERI CITATI, Semel commissa poena non evanescit, in BIDR. 32 (1922),
251-252, e soprattutto di ASTUTI, Studi, II, cit., 41, cui rinvio. Qui si può sottolineare che la
tormentata argomentazione di Paolo è forse spiegabile appuntando la nostra attenzione su un suo
stesso inciso: licet verba edicti late pateant: le possibilità di ricondurre al costituto anche un negozio
sine die derivano dall’assenza nel testo edittale del riferimento al dies stesso: infatti il verbo consti-
tuere – che in origine comprendeva in sé il concetto della statuizione di una data e che con questo
significato probabilmente entrò nell’editto – era venuto a perdere questa caratura semantica,
legittimando il dubbio. I classici, o almeno Paolo, dubitarono, ma non tralignarono dalla tradi-
zione, e di ciò si ha una conferma ex post dall’analisi della chiusa forse aggiunta dai compilatori:
l’azione può radicarsi subito, ma il giudice deve concedere un breve termine, non inferiore a
dieci giorni, per il pagamento (modicum tempus ... non minus decem dierum ut exactio celebretur). Si noti
che l’intervento del giudice è autoritativo, ma non è difforme dalla ratio di dilazione dei termini
del pagamento che è propria del nostro istituto, segno della perdurante sopravvivenza e incisività
della funzione del dies constituti. Ciò che si può dunque ipotizzare è che all’età di Paolo il requisito
del dies non fosse già più sentito come di necessaria ricorrenza per la validità e l’efficacia del consti-
tutum. Di questa evoluzione si ha conferma anche in un testo di Scevola (D. 13.5.26 [Scaev. 1
resp.]), in cui, con riferimento al constitutum debiti alieni, il problema della mancanza dell’adiectio diei
neppure si pone. Ciò fa pensare che proprio per questa seconda forma di constitutum, nella quale
prevale la caratura di garanzia, la necessaria presenza del dies non sia più così sentita: proprio il
costituto di debito altrui rappresenta la figura più diffusa nella tarda età classica e nel periodo
giustinianeo. Sul tema del modicum tempus cfr. G. KLINGENBERG, Das modicum-Kriterium, in ZSS.
126 (2009), 187 ss. (spec. 231 ss.), il quale ritiene che la chiusa non debba considerarsi insiticia
bensì classica.
36
Cfr. V. FUCHS, Über das Constitutum, in Archiv für die civilistsche Praxis, 42 (1859), 186 e nt. 44;
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 235, 238; K. F. F. KNIEP, Die Mora des Schuldners nach römischem
und heutigem Recht, I. Rostock 1871, 99-102; KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über constituta pecunia,
cit., 230; KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., cit., 1371 ss.

.
8 Paolo Costa

Si paret N.m N.m A.o A.o sestertium decem milia constituisse se soluturum eove nomine se
satisfacturum esse, neque fecisse quod constituit neque per A.m. A.m stetisse quo minus fieret quod
constitutum est eamque pecuniam cum constituebatur debitam fuisse, quanti ea res est, tantam pecu-
niam C. Aquilius iudex N.m N.m A.o A.o condemnato; si non paret absolvito.

Alla supposta inserzione, nell’editto e nell’intentio in factum concepta della


formula, del riferimento alle promesse di satisfacere si oppone l’Arangio-
Ruiz 37, che ritiene prodotto di un’innovazione giustinianea la possibilità
che fosse oggetto di costituto anche la satisfactio mediante satisdatio o
dazione di pegni. Benché tali argomentazioni siano considerate insuffi-
cienti dal Lenel nella terza edizione dell’Edictum Perpetuum 38, esse trovano
approvazione e approfondimento da parte di Perozzi, Philippin, Astuti,
Roussier, Mayer-Maly e Guizzi 39. La dottrina più recente, dopo aver
sottoposto ad utile revisione questo dibattito, giunge a negare che appar-
tenesse alla formula edittale la locuzione alternativa se soluturum eove nomine
se satisfacturum, altrimenti non si comprenderebbero le ragioni del dubbio
sull’ammissibilità del constitutum se satisfacturum che pure percorreva il
dibattito giurisprudenziale, come provano D. 13.5.14.1-2 (Ulp. 27 ad ed.) e
D. 13.5.21.2 (Paul. 29 ad ed.) 40.
Non si può qui entrare nell’intricato dibattito sul tenore della condem-
natio, sul suo ammontare 41 o sul fatto che sia o meno certa 42 e si rinvia a

37
ARANGIO-RUIZ, Le genti e la città, cit., 56 ss. (= ID., Scritti, I, cit., 572 ss.).
38
LENEL, EP3, 248 nt. 3.
39
PEROZZI, Istituzioni, II2, cit., 239 e nt. 5; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 72-75; ASTUTI,
Studi, II, cit., 4-10, 188 ss.; ROUSSIER, Le constitut, cit., 16 ss.; T. MAYER-MALY, Rec. a ROUSSIER,
Le constitut, cit., in ZSS. 76 (1959), 617; GUIZZI, Constitutum debiti, cit., 300.
40
Per l’approfondimento del problema cfr. A. SANGUINETTI, La promessa del fatto altrui nella
riflessione dei giuristi romani, in SDHI. 65 (1999), 190-192; STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit.,
171-175, ove altra letteratura. Si noti che D. MANTOVANI, Le formule del processo privato romano. Per
la didattica delle Istituzioni di diritto romano, Padova 19992, 68 (n. 67), mostra di condividere ancora la
ricostruzione leneliana e propone una formula, in tutto identica a quella della terza edizione del-
l’EP.
41
RUDORFF, De iuris dictione edictum, cit., 106-108 (§ 97), ritiene che in essa fosse incluso anche
l’ammontare della sponsio dimidiae partis (iudex quanti ea res est, tantam pecuniam et eius dimidiam N.m N.m
A.o A.o condemnato, s. n. p. a.), ma tale ricostruzione è rigettata in dottrina – a partire da BRUNS,
Das constitutum debiti, cit., 249 nt. 47, seguito da KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über constituta
pecunia, cit., 234 ss. – e unanimemente non accolta dopo la presa di posizione di LENEL, EP 3, 251
nt. 3, il quale considera l’esistenza stessa della sponsio come prova del fatto che la condemnatio della
formula non comprendesse la dimidia pars; cfr. ASTUTI, Studi, I, cit., 70 ss. 161 ss.
42
G. BESELER, Das Edictum de eo quod certo loco. Eine rechthistorische Untersuchung, Leipzig 1907,
104 ss.; ARANGIO-RUIZ, Le genti e la città, cit., 57 (= ID., Scritti, I, cit., 573); PHILIPPIN, Le pacte de
constitut, cit., 98. 101 ss.; M. KASER, Quanti ea res est. Studien zur Methode der Litisästimation im klassi-
schen römischen Recht, München 1935, 195 (posizione mutata da ID., Das römische Privatrecht, I2, cit.,
584 nt. 12), suggeriscono che la condemnatio fosse certa e speculare all’intentio, in modo analogo alla
condictio certae pecuniae cosicché l’unica utilità dell’actio de pecunia constituta risiederebbe nella sponsio
dimidiae partis. ASTUTI, Studi, I, cit., 161 ss. 167 ss., si oppone a tale ricostruzione considerando in
particolare insufficienti ed arbitarie le argomentazioni di PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit.,
101-102, per il quale «le constitut ne pouvait porter sur une somme plus forte que la somme
primitivement due» e di conseguenza «ces règles restrictives du constitut n’autorisent guère une
condemnation à plus que la somme principale». Inoltre, Astuti spiega che, considerando in

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 9

brevi cenni successivi l’analisi del tema della sua determinazione al quanti
ea res est o erit, alla presenza o meno del riferimento agli impedimenti
opposti dal creditore all’adempimento di quanto era stato fatto oggetto di
constitutum e ai problemi più generali sul carattere penale o reipersecutorio
dell’azione e sul concorso tra l’actio de pecunia constituta e l’actio de sorte; per
ora, come fondamento per alcune riflessioni di diritto sostanziale,
propongo la seguente ricostruzione, peraltro parzialmente analoga a
quella suggerita dal Roussier 43 :

concorso elettivo la via della delazione del giuramento decisorio rispetto al procedimento per
poena sponsionis, se si ammettesse il carattere certo della condemnatio e che l’unico vantaggio dell’actio
de pecunia constituta rispetto all’actio certae creditae pecuniae fosse la maggiore sponsio, il iusurandum de
pecunia constituta sembrerebbe del tutto inutile. Infatti, la mancata prestazione del giuramento da
parte del convenuto avrebbe prodotto il risultato che il creditore potesse ottenere soltanto la
pecunia (credita) constituta, cioè un esito identico a quello ottenibile con la delazione del iusurandum de
pecunia credita, mentre si sarebbe contemporaneamente esposto ad un rischio maggiore, perché il
debitore avrebbe potuto liberarsi non solo negando l’esistenza del debito, ma anche uno degli
altri presupposti della condanna, menzionati nella formula in factum, che formava l’oggetto del
giuramento. Anche in base a questo argomento – in forza del quale, rebus sic stantibus, nessuno
avrebbe mai fatto ricorso al iusiurandum, che pure è previsto nella formula – Astuti conclude che si
debbano scartare le ipotesi di Beseler e Philippin, sostenendo che a favore di una condemnatio
incerta militi anche l’estensione dell’editto de pecunia constituta a tutte le res quae pondere numero mensura
constant, possibile solo con una condanna al quanti ea res est, tanto più che è probabile che in questo
caso più ampio non potesse applicarsi la sponsio dimidiae partis, in modo analogo alla disciplina del-
la condictio certae rei. Astuti ritiene verosimile che la sponsio abbia, in effetti, rappresentato l’origi-
nario luogo di concentrazione del vantaggio dell’azione, con ruolo preponderante, in quanto
consentiva la realizzazione dello scopo economico del risarcimento, e che successivamente la
giurisprudenza si sia, per gradi, mossa da un criterio oggettivo ad uno soggettivo di stima, con
una considerazione sempre più completa dell’interesse del creditore, secondo una dinamica assi-
milabile a quella che si riscontra in sede di actio de eo quod certo loco e che risultò possibile in ragione
del fatto che la condemnatio fin dall’origine si sia presentata come rivolta al quanti ea res est. Di
recente VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 334 nt. 21 (= Studi Martini, III, cit., 835 nt. 21); ID.,
Per la storia del certum, cit., 200 nt. 712, ricorda che, nelle fonti, è sovente utilizzato il verbo solvere in
riferimento alla pecunia constituta: considerando che nel suo uso più antico tale verbo significa
‘pagare attraverso denaro’ – per questo significato cfr. anche S. CRUZ, Da solutio. Terminologia,
conceito e características, e análise de vários institutos afins, I.1 Época arcaica e clássica, Coimbra 1962,
66 ss.; C. BUZZACCHI, Studi sull’actio iudicati nel processo romano classico, Milano 1996, 62 – l’Autore
ritiene possibile che l’actio de pecunia constituta avesse un oggetto certo e cioè una somma certa di
denaro indicata nella condemnatio.
43
ROUSSIER, Le constitut, cit., 34. Muovendo dagli ancora oggi fondamentali studi di
G. DEMELIUS, Schiedseid und Beweiseid im römischen Civilprozesse, Leipzig 1887, 64 ss., LENEL, EP3,
249, nella ricostruzione dell’editto de pecunia constituta, ritiene che esso contenesse una clausola
relativa alla sponsio et restipulatio dimidiae partis oltre ad una relativa al giuramento davanti al magi-
strato (iusiurandum in iure), in tutto analoga a quella dell’editto solvere aut iurare cogam appartenente
alla rubrica Si certum petetur e riguardante il deferimento del giuramento al convenuto da parte
dell’attore. Tale congettura è ormai pacifica in dottrina: per tutti v. L. AMIRANTE, Il giuramento
prestato prima della litis contestatio nelle legis actiones e nelle formulae, Napoli 1954, 55 ss. 72 ss.;
VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 333 nt. 17 (= Studi Martini, III, cit., 834 nt. 17); ID., Per la
storia del certum, cit., 708. Essa si fonda su D. 12.2.14 (Paul. 3 ad ed.) appartenente al titolo De iureiu-
rando in cui il giuramento de pecunia constituta è collocato sullo stesso piano di quello de pecunia credita
e su uno scolio del maestro bizantino Stefano (sch. ad B. 22.5.34 [Heimb. II, 559 – Sch. B IV,
1458-1459]). L’attore, che doveva aver già prestato il iusiurandum de calumnia (cfr. D. 12.2.34.4
[Ulp. 26 ad ed.] su cui cfr. A. M. GIOMARO, Per lo studio della calumnia. Aspetti di deontologia proces-

.
10 Paolo Costa

C. Aquilius iudex esto. Si paret N.m N.m A.o A.o sestertium X milia constituisse se solu-
turum, neque fecisse quod constituit neque per A.m A.m stetisse quo minus fieret quod constitutum est
eamque pecuniam cum constituebatur debitam fuisse, quanti ea res est, tantam pecuniam, C. Aqui-
lius iudex N.m N.m A.o A.o condemnato; si non paret absolvito.

1.3. – Gli usi linguistici e la loro rilevanza giuridica


Si è già detto che, nelle fonti letterarie e giuridiche, non si incontra
mai la locuzione constitutum debiti: infatti, in esse si trova il verbo constituere,
sovente coniugato nei modi finiti, e designante l’attività di uno o più
soggetti volta a ‘fissare’, ‘stabilire’, ‘determinare’, ‘disporre’ alcunché.
Tale attività di fissazione, stabilimento, determinazione, disposizione
rappresenta il contenuto semantico anche del verbo statuere; nell’analisi del
significato di constituere assume perciò rilevanza la presenza della preposi-
zione cum in funzione di prefisso. Da tale presenza una parte consistente
della dottrina, sulla scorta dei fondamentali studi del Bruns 44, deriva
l’argomento più stringente per individuare, fin dall’origine, una struttura
bilaterale (e quindi di accordo) del constitutum che poi si sarebbe mante-
nuta lungo tutta la sua evoluzione giuridica; a tale impostazione si
contrappone già Philippin 45 che nega tale incidenza semantica del
prefisso, attribuendo ad esso solo una portata rafforzativa del verbo
statuere. Anche Astuti ritiene sopravvalutato il peso dato alla presenza del
cum e individua il significato di constituere in una deliberazione in ordine ad
un atto, la quale emani da un soggetto verso un altro 46.
Di recente Giodice Sabbatelli 47 affronta lo studio del significato
proprio e degli usi giuridici del verbo constituere, muovendo dalle fonti
letterarie più antiche, soprattutto dalle commedie di età medio-repubbli-
cana, e verifica come, nei testi plautini e terenziani, il cum incida sul valore
semantico di statuere talora con il ruolo di prefisso meramente rafforzativo,
indicando con maggiore definitività un processo giunto a compimento o

suale in Roma antica, Torino 2003, 196 ss.) poteva deferire al debitore convenuto nella fase in iure
un giuramento vertente sull’esistenza del credito; il debitore avrebbe potuto a sua volta riferirlo
(cfr. D. 12.2.34.7 [Ulp. 26 ad ed.]), altrimenti si sarebbe trovato di fronte all’alternativa solvere aut
iurare. Non è qui possibile affrontare il dibattito sul regime della sponsio dimidiae partis, sul suo
carattere facoltativo od obbligatorio, sulla sua ammissibilità o meno nel caso di costituto di cose
fungibili: rinvio ai contributi specifici più recenti sul tema, ove altra letteratura: MAGDELAIN, Le
consensualisme, cit., 138 ss.; A. FERNÁNDEZ BARREIRO, Ética de las relaciones procesales romanas:
recursos sancionadores del ilícito procesal, in Sem. Complut. de der. Rom. 1 (1990), 67-68; C. BUZZACCHI,
L’abuso del processo nel diritto romano, Milano 2002, 83 ss.; VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit.,
350 ss. (= Studi Martini, III, cit., 852 ss.).
44
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 229-230.
45
PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 9.
46
ASTUTI, Studi, I, 8; così anche KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, cit.,
88-89.
47
V. GIODICE SABBATELLI, Constituere: dato semantico e valore giuridico, in Labeo 27 (1981),
338-357.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 11

la sicura determinazione di qualcosa, talora con il ruolo di prefisso illa-


tivo, esprimendo un senso di riunione, contestualità, accordo nella deter-
minazione stessa 48.
Questa compresenza dei profili di senso di constituere (con, da un lato,
un maggiore rilievo dato alla pluralità di soggetti che intervengono
nell’azione; dall’altro, il rafforzamento della prospettiva individuale e
volontaristica) si rintraccia anche nelle fonti letterarie successive, con una
tendenziale evanescenza del peso attribuito all’aspetto del ‘decidere
insieme’ a vantaggio della funzione meramente rafforzativa del prefisso
cum nell’economia semantica del sostantivo 49.
Per il delinearsi dell’uso del verbo constituere nel particolare contesto
del nostro istituto giuridico è utile individuare la relazione fra tale verbo e
il sostantivo dies. La rilevanza dell’elemento del dies come oggetto del
constituere negli usi sia letterari, sia giuridici, è correttamente e diffusa-
mente sottolineata da Astuti 50, il quale critica la lettura riduttiva di tale
elemento data dal Bruns 51, ritenendo che l’evoluzione negli usi linguistici
si sia mossa dal costrutto constituere diem (anche nella variante constituere quo
die) al costrutto constituere aliquid in (certam) diem ed a quello constituere se
aliquid facturum (certa die). A livello concettuale si sarebbe passati, quindi,
dalla determinazione di un dies per il compimento di un atto alla determi-

48
Il più antico utilizzo del verbo si rinviene in un verso del Miles gloriosus di Plauto, opera
datata intorno al 206-205 a. C.: Mil. 917: facile esse navem facere, ubi fondata constitutast. Qui il cum
intensifica il senso di costruzione e composizione delle fondamenta della nave, ma si noti che è
descritta un’attività necessariamente integrata da più soggetti che concorrono ad un medesimo
fine. Per noi assai significativi due versi del Trinummus (194-193 a. C.) in cui il verbo constituere
ricorre in un’espressione che comprende anche il sostantivo dies: Trin. 580-581: I hac, Lesbonice,
mecum ut coram nuptiis / dies constituatur. Il constituere appare qui slegato da un’attività materiale con il
valore di decisione che coinvolge più agenti, avendo come soggetto grammaticale il dies nuptiarum,
che dall’angolatura del significato si presenta come oggetto della determinazione. Qui la funzione
del cum può ritenersi più debole, esprimente cioè la contestualità nella scelta del dies, o più forte
(come fa Giodice Sabbatelli), nel senso dell’accordo vero e proprio tra più soggetti. La lettura di
constituere come ‘decidere insieme’ può darsi anche in un altro passo del Miles (808: Nempe tandem
quae dudum constitutast) e in alcuni luoghi di Terenzio (Hecyra 195, Eunuchus 540-541, Phormio 676).
Nell’Amphitruo, che è commedia più recente, il percorso di astrazione dalla materialità del verbo
constituere appare molto marcato in un passo dal quale può evidenziarsi la caratura di intenziona-
lità individuale nel compimento di un atto che abbia efficacia verso altri: il cum rafforza qui il
significato di statuere, che già di per sé indica l’atto di stabilire – ‘statuire’ appunto – in modo fisso
e determinato: Amph. 1051-1052: Neque me Iuppiter neque di omnes id prohibebunt, si volent / quin sic
faciam uti constitui. Sempre con il significato di sicura decisione individuale il verbo si trova in altre
testimonianze plautine (Pseudolus 549) e terenziane (Hecyra 438, Eunuchus 205, Heautontimorumenos
726).
49
Cfr. GIODICE SABBATELLI, Constituere, cit., 340 ss., con specifica attenzione agli usi cicero-
niani.
50
ASTUTI, Studi, I, cit., 11.
51
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 225, appunta la sua attenzione su una sorta di vis attractiva
del verbo constituere, che già in origine avrebbe avuto il significato di promessa di fare o dare
alcunché concentrando in sé anche il requisito del dies e/o del locus in cui tale prestazione si
sarebbe attuata.

.
12 Paolo Costa

nazione di un atto da compiersi in un dato dies: in particolare, l’atto da


compiersi in un dato dies è l’adempimento di una precedente obbligazione
(in origine pecuniaria). Con ciò il dies diventa solo un elemento, pur essen-
ziale, del constitutum e non più l’oggetto strettamente inteso del constituere e
si arriva, così, ad una figura autonoma rispetto al rapporto fondamentale,
con una protezione edittale specularmente autonoma. Il profilo dell’im-
pegno e della promessa rappresenta, quindi, un elemento ulteriore che va
ad inerire al dato semantico del verbo, non mutandolo, bensì implemen-
tandolo. Questo impianto fondamentale del problema, che ha rilevanti
conseguenze sull’intera configurazione dell’istituto, appare ancora oggi
valido e suffragato da molteplici dati testuali convergenti, alcuni riferiti
dallo stesso Astuti e altri che possono essere qui aggiunti.
Nelle fonti letterarie il verbo constituere ha un’applicazione assai
estesa 52, talvolta con preciso rilievo dato all’intenzionalità individuale 53 o
al carattere discrezionale dell’attività 54, più raramente con la sottolinea-
tura del carattere di accordo nell’integrare un’attività o nell’assumere una
decisione 55 e assai di rado con quello di promettere o impegnarsi:
quest’ultima valenza è, invece, ritenuta centrale e prioritaria dal Bruns,
che per questo si attira i condivisibili rilievi critici di Astuti 56.
Un epigramma di Marziale (III, 10), non menzionato dalla Giodice
Sabbatelli né nelle trattazioni sul constitutum, è segno di un uso del verbo
per noi rilevante perché ricorre in esso con il significato di isolare una
somma di denaro ad un fine peculiare, con versamenti a frequenza quoti-
diana:
Constituit, Philomuse, pater tibi milia bina
menstrua perque omnis praestit illa dies,
luxuriam premeret cum crastina semper egestas
et vitiis essent danda diurna tuis.
Idem te moriens heredem ex asse reliquit.
Exheredavit te, Philomuse, pater.

Tra gli usi linguistici, attirano la nostra attenzione proprio quelli in cui
il verbo constituere si collega al sostantivo dies. I costrutti constituere diem (o
tempus), constituere...quo die, constitutus (-a) dies (attestato da fonti più recenti) si
trovano, infatti, giustapposti alle forme forse più risalenti statuere diem, status

52
È sufficiente un rapido spoglio del TLL per constatare come il verbo usato nella forma
transitiva regga i più svariati sostantivi accusativi: a titolo esclusivamente esemplificativo, iter,
vadimonium, mercedem funeris, certa praetia, praetium (Cic., In Verr. 3.171; 5.62), aera militibus, poenas (Cic.,
In Verr. 2.138; Pro Sulla 22.63).
53
Cfr. i passi ciceroniani segnalati da GIODICE SABBATELLI, Constituere, cit., 340: Cic., Ad.
Att. 12.40.5; Ad fam. 2.8.3; 6.7.5.
54
Caes., Bell. Civ. 2.44.3, Sen., Medea 444; Phaedra 266; Tac., Annales 14.3.1.
55
Cfr. Caes., Bell. Gall. 7.83.5; Liv., Ab urbe condita 33.12.1; Tac., Germania, 11.
56
Cui si può, de plano, rinviare in ragione del loro pacifico accoglimento in dottrina e della
non attualità della controversia: ASTUTI, Studi, I, cit., 6-15.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 13

(-a) dies, statutus dies (attestato anch’esso da fonti più recenti): il ricorso alla
locuzione contenente il verbo constituere (in relazione a dies), piuttosto che
statuere, solo in taluni casi pare derivare dalla specifica volontà dell’autore
di porre in rilievo la partecipazione di più persone al momento genetico
dell’attività: l’analisi di svariati testi di Cicerone 57 e Sallustio 58, ma anche

57
Limitandoci solo ad alcuni casi in cui il verbo constituere compare in relazione al sostantivo
dies: per es. Cic. Ad Att. 6.1.16: diem statuo satis laxam, quam ante si solverint, dico me centesimas ducturum,
si non solverint ex pactione. In questo passo che appartiene al suo c.d. Editto in Cilicia, Cicerone, in
qualità di proconsole, fissa un limite per le usurae sui pagamenti dovuti ai pubblicani: ai nostri fini
si noti che qui l’atto appare unilaterale ed imperativo, e pertanto l’utilizzo del verbo statuo
potrebbe giustificarsi proprio con la volontà di rimarcare come la decisione emani da un solo
soggetto. In altri casi, l’impiego del verbo constituere sembra motivato dalla presenza di un accordo
che informa l’azione o almeno dalla partecipazione di più soggetti all’azione stessa: Cic., Ad Att.
12.2.2: te videbo et quidem, ut spero, de via recta ad me. Simul enim et diem Tyrannioni constituemus et si quid
aliud; Cic. In Verr., 2.2.27: Constitui cum hominibus, quo die Messane presto essent; Cic., Ad fam., 7.4.1: si
quod constitutum cum podagra habes, fac ut in alium diem differas; Cic., In Cat. 1.(9).24: cum sciam pactam et
constitutam cum Manlio diem; Cic., Pro Caec., 7.18: placuit Caecinae de amicorum sententia constituere, quo die
in rem praesentem veniretur et de fundo Caecina moribus deduceretur. Conloquuntur; dies ex utriusque commodo
sumitur; Cic., Pro Caec., 9.32: cum ad constitutam diem tempusque venisset, ut deductio moribus fieret; Cic.,
Pro Cael., 25.61: constitutum esse cum servis, ut venirent ad balneas Senias. Deve subito sottolinearsi che la
tenuta probatoria di questa esemplificazione è parzialmente minata dalla presenza di altri
esempi, sempre ciceroniani, in cui il medesimo verbo è, invece, utilizzato per descrivere azioni
del tutto unipersonali: Cic., Ad Fam., 2.11.2: belli magni timor impendet, quod videmur effugere si ad consti-
tutam diem decedemus; Cic., Ad Fam., 7.24.2: dixitque iudicem sibi operam dare constituisse eo ipso die, quo de
P. Sextio in consilium iri necesse erat; Cic., De orat., 1.62: sane, inquit, vellem non constituissem me hodie
venturum esse Laelio. Si noti che negli ultimi due esempi il verbo constituere pare avere il senso più
astratto di ‘promettere’ e che questa generalizzazione del valore semantico non sembra essere
disgiunta da un mutamento di costrutto: infatti, non ricorre più il sostantivo dies, in qualche
modo riassorbito dal verbo stesso.
58
Nelle pagine sallustiane si rinvengono usi di constituere e statuere (sempre in relazione al
sostantivo dies), senza che l’impiego dell’uno piuttosto che dell’altro sembri derivare dalla scelta di
porre l’accento sull’elemento della compartecipazione di più soggetti all’integrazione dell’atto:
Sall., Cat. 36.2: senatus Catilinam et Manlium hostis iudicat, ceterae multitudini diem statuit ante quam sine
fraude liceret ab armis discedere; Sall., Bell. Iug. 70.3: utriusque (scilicet: Iugurthae et Nabdalsae) consilio dies
insidiis statuitur. In questi esempi ricorre l’espressione diem statuere (nella diatesi attiva e passiva),
benché l’atto consista in una decisione presa da più soggetti in accordo tra loro: il senato nel
primo caso, Giugurta e Nabdalsa nel secondo. Rilevante sul piano grammaticale la costruzione
constituere diem seguita dal sostantivo – declinato al caso dativo – esprimente l’azione, che si stabi-
lisce si svolgerà in quel giorno; tale costruzione è individuabile anche in altri passi sia di Sallustio
sia di Cesare tra quelli che seguono. Anche quanto al significato, questa costruzione dà maggiore
rilevanza all’elemento del dies, che si configura come oggetto dell’azione del constituere. Sall., Bell.
Iug. 93.8: (consul) omnis Liguri parere iubet et ei negotio proxumum diem constituit. Sallustio impiega in
questo passo il verbo constituere nonostante l’atto sia del tutto unilaterale nella sua formazione,
consistendo in un ordine militare, posto in un non trascurabile parallelismo con il verbo iubere:
seguendo lo schema di classificazione degli usi di constituere proposto da Giodice Sabbatelli può
dirsi che qui l’autore adoperi tale verbo per sottolineare con maggiore enfasi il valore del-
l’intenzionalità del soggetto agente nel compimento dell’atto. Il particolare impiego del costrutto
die constituto, come complemento di tempo determinato, nel passo seguente, può forse apparire
espressione di un uso linguistico consolidato nella prassi: Sall., Bell. Iug. 13.9: ubi legati satis confi-
dunt, die constituto senatus utrisque datur. In un altro luogo il constituere (usato intransitivamente) mani-
festa, anche per il contesto in cui si pone, la valenza semantica (probabilmente originaria) di
accordo sul giorno in cui compiere un’azione: Sall., Bell. Iug. 66.2: dein compositis inter se rebus, in
diem tertium constituunt.

.
14 Paolo Costa

di Cesare 59 – che in questa sede non può essere dettagliatamente esposta –


mostra, infatti, un panorama semantico assai frastagliato e non univoco.
Passando alle fonti giuridiche e limitando l’analisi soltanto a quelle in
cui vi sia un legame col dies 60, si ritrova, con ancora maggiore evidenza, la
rilevanza di tale elemento come oggetto della statuizione e come elemento
centrale del constitutum.
Già nella legislazione decemvirale – come ricostruita – si incontra un
uso linguistico di grande risalenza:
Tabula II, 2: MORBUS SONTICUS...AUT STATUS DIES CUM HOSTE...QUID
HORUM FUIT UNUM IUDICI ARBITROVE REOVE, EO DIES DIFFISUS ESTO 61.

La norma regola la fattispecie in cui ricorra uno dei due gravi impedi-
menti che impongono il differimento del giudizio: tra questi si trova,
appunto, lo status dies cum hoste 62, cioè il giorno fissato con un forestiero,
l’appuntamento 63. Tale caso ricorre anche nel sacramentum militiae 64 come
motivo di dilazione della presentazione del soldato in armi al console. Nei

59
Per es. Caes., Bell. Gall., 1.4.2: die constituta causae dictionis Orgetorix ad iudicium omnem suam
familiam...coegit. Si noti qui il participio perfetto di constituere usato in funzione attributiva in una
locuzione che esprime un complemento di tempo, all’interno di un contesto di attività giudiziarie,
secondo una costruzione linguistica e stilistica non troppo dissimile rispetto a quella rilevata nel
penultimo passo di Sallustio succitato. Caes., Bell. Gall., 1.8.3: ubi ea dies, quam constituerat cum legatis,
venit; Caes., Bell. Civ., 3.19: responsum est ab altera parte, Varronem...altera die ad colloquium
venturum;...certumque ei rei tempus constituitur. Questi due passi sono spesso richiamati dalla dottrina
che sottolinea il carattere di accordo che inerisce al verbo e il fatto che tale accordo abbia per
oggetto specificamente il dies (o il tempus) e non l’azione da compiersi in tale data. Sempre il carat-
tere di accordo si ritrova in: Caes., Bell. Gall., 1.30.5: ea re permessa diem concilio constituerunt (prin-
cipes). Nei passi seguenti, invece, appare più marcata l’unipersonalità del momento genetico
dell’atto (che spesso consiste in una decisione riguardante lo svolgimento delle azioni belliche):
Caes., Bell. Gall., 1.47.1: Ariovistus ad Caesarem legatos misit: velle se de iis rebus...agere cum eo: uti aut
iterum conloquio diem constitueret aut...; 3.23.8: (Crassus) hac re ad consilium delata, ubi omnes idem sentire
intellexit, posterum diem pugnae constituit; 7.64.1: (Vercingetorix) imperat reliquis civitatibus obsides diemque ei
rei constituit; Caes., Bell. Civ., 3.33.1: a fano Dianae depositas antiquitus pecunias Scipio tolli iubebat.
Certaque eius rei die constituta cum in fanum ventum esset.
60
Per un esempio di altri casi in cui constituere ricorre nelle fonti giuridiche col significato di
tenere comportamenti volontari finalizzati a determinati effetti cfr. Gai 3.142: constituere locationem
et conductionem; D. 10.1.12 (Paul. 3 resp.): constituere fines novos; D. 31.16 (Cels. 16 dig.): constituere reos
stipulandi.
61
Ricostruzione: FIRA2, 31. Il riferimento al morbus sonticus deriva principalmente da Festo/
Paolo (sv. <sonticum morbum>, 372 L.) e da Ulpiano (D. 2.11.2.3 – Ulp. 74 ad ed.); mentre la parte
di norma che qui più interessa, con il riferimento allo status dies, è stata ricostruita attraverso
alcuni passi di Plauto (Curc., 1. 1. 4-6), Cicerone (De off. 1.37) e Festo (sv. status dies <cum hoste>,
414-416 L.).
62
Qui hostis va inteso nel significato antico di peregrinus, come attestano le stesse fonti citate
nella nota precedente.
63
Cfr. G. NICOSIA, Il processo privato romano, II, La regolamentazione decemvirale, Torino 1986,
129 ss.
64
Citato da Gell., 16.4.3-4, che riprende il V libro del De re militari di Lucio Cincio Alimento.
Cfr. S. TONDO, Il sacramentum militiae nell’ambiente culturale romano italico, in SDHI. 29 (1963), 1 ss.;
ID., Sacramentum militiae, in SDHI. 34 (1968), 376 ss. Su Cincio cfr. V. GIUFFRÈ, Letture e ricerche
sulla res militaris, II, Napoli 1996, 242 ss.

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 15

passi di Gellio e di Plauto, come nella voce di Festo (416 L.), a status si
affianca, quasi a completamento del significato, il participio condictus e si
forma il costrutto status condictusque dies. Il valore semantico di condicere, che
ha una valenza giuridica propria e chiaramente delineata, si riverbera così
sul verbo statuo arricchendo la portata del suo senso concreto di determi-
nazione sicura (di un dies) 65. Ancora più significativa è la definizione di
Festo (sv. Status dies <cum hoste> [415 L.]): status dies vocatur iudicii causa consti-
tutus: si individua qui il valore di participio sostantivato attribuito a consti-
tutus, utilizzato per spiegare il significato di status, sempre inteso come
determinazione dell’appuntamento.
A quanto consta dallo spoglio del TLL e del VIR, l’autore giuridico più
antico in cui si rintracci il nostro costrutto è Alfeno Varo in un passo che
si inserisce nel contesto del receptum arbitri, in cui il dies constitutus (compro-
misso) appare inderogabile, insuscettibile di subire un rinvio per volontà
dell’arbiter 66 :
D. 4.8.50 (Alf. 7 dig.): Arbiter ex compromisso sumptus cum ante eum diem, qui constitutus
compromisso erat, sententiam dicere non posset, diem compromissi proferri iusserat.

Sulla base di questo, pur breve, elenco di fonti riengo che possa
ancora convincere la posizione dottrinale 67 che ritiene la fissazione del
giorno come elemento proprio e caratterizzante della fattispecie del consti-
tutum. La comparazione tra gli usi linguistici nelle fonti letterarie e in
quelle giuridiche, in particolare nel titolo de quo del Digesto, mi pare
consentire una possibile suggestione prodromica all’analisi dell’istituto: la
statuizione (i. e. il constitutum) ha per oggetto un dies, una scadenza entro la
quale deve essere tenuto un comportamento (rectius ai nostri fini, essere
adempiuta una prestazione), e tale statuizione ha carattere di definitività o
per la forza dispositiva esercitata dal soggetto da cui promana o perché
derivante da accordo fra più soggetti 68.

65
Cfr. Fest., sv. condictum (39 L.): condictum est quod in commune est dictum; sv. condicere (56 L.):
condicere est dicendo denuntiare; sv. condictio (58 L.): in diem certum eius rei, quae agitur, denuntiatio. Proprio
quest’ultima definizione dà rilievo al dies certus e può rappresentare un indizio indiretto della rile-
vanza del dies anche per gli usi più antichi del costrutto constituere diem.
66
Sul passo seguente cfr. M. TALAMANCA, Ricerche in tema di compromissum, Milano 1958, 7
nt. 14 e 98 nt. 132; K. H. ZIEGLER, Das private Schiedsgericht im antiken römischen Recht, München
1971, 30 ss.
67
ASTUTI, Studi, I, cit., 3 ss.; ROUSSIER, Le constitut, cit., 95, in opposizione a Philippin e
parzialmente a Bruns.
68
Può tentarsi una classificazione degli usi linguistici e dei costrutti per noi rilevanti. È possi-
bile ritenere che tra i sintagmi più risalenti vi sia quello in cui constituere è collegato espressamente
a dies: per esempio, D. 13.5.4: Sed et si citeriore die constituat se soluturum, similiter tenetur; D. 13.5.19 pr.:
sive pure sive certo die constituatur. Ricorrono poi i casi in cui constituere è collegato al verbo solvere
contenuto in una proposizione infinitiva o completiva o altrimenti dipendente. Tale categoria
può distinguersi in due sottocategorie, la prima che comprende i frammenti in cui il verbo consti-
tuere (usato per lo più in forma finita) regge il participio futuro soluturum (D. 13.5.2; 13.5.3.2;
13.5.4; 13.5.5 pr.; 13.5.5.1; 13.5.5.4-6; 13.5.8; 13.5.11 pr.; 13.5.13; 13.5.14 pr.; 13.5.18.1; 13.5.19.2;

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16 Paolo Costa

Le testimonianze principali ai nostri fini dell’uso tecnico-giuridico del


verbo constituere si rinvengono soprattutto nelle opere di Cicerone, senza
trascurare la rilevanza di un passo di Petronio.
Abbiamo già segnalato in nota alcuni dei molti luoghi ciceroniani in
cui il verbo constituere ha il significato di ‘accordarsi’ (o semplicemente
‘dare una disposizione’) sul compimento di un dato atto (spesso preconve-
nuto) in un certo luogo o in un certo tempo; esistono poi casi nei quali il
verbo constituere significa in modo proprio e con caratura tecnico-giuridica
‘promettere’, in un giorno e luogo stabiliti, l’adempimento della presta-
zione oggetto di un’obbligazione precedentemente sorta in capo a sé o ad
altri 69.
Tra i casi di costituti di debito in senso stretto nell’epistolario cicero-
niano si incontra anzitutto un constitutum debiti (alieni), che Cicerone
conclude a favore del debitore originario, Montano, per un debito che
quest’ultimo aveva con Lucio Munazio Planco per essersi reso garante a
favore di Flamma 70.

13.5.21 pr.; 13.5.21.2; 13.5.23; 13.5.28; 46.3.59; CI. 4.18.1; I. 4.6.9), la seconda in cui si trova
constituere e l’infinito passivo solvi (D. 2.13.6.3; 13.5.5.9; 39.5.33; 50.8.5.1). Si noti anche l’utilizzo
con satisdaturum (D. 13.5.21.2) e con daturum (D. 13.5.23). In alcuni frammenti constituere ha per
oggetto o per soggetto la locuzione pecunia debita: D. 13.5.1.1; 13.5.3.1; 13.5.11 pr.; 13.5.11.1;
13.5.18.1, o si collega al participio sostantivato debitum: D. 13.5.1.5-6; 13.5.3 pr.; 13.5.5.2; 13.5.11
pr.; 13.5.18.1. In un solo luogo (D. 13.5.20) ricorre l’espressione constitutoriam actionem, che
potrebbe non essere classica. Vi sono, infine, alcuni casi in cui non si usa il verbo constituere
D. 13.5.5.3; 13.5.24; proprio tali passi sono stati oggetto di approfondita analisi da parte di LA
ROSA, Il formalismo del pretore, cit., 205-209 e SERANGELI, Epistulae e negotia nel diritto romano classico,
cit., 17-24, cui rinvio.
69
Su questi passi ciceroniani cfr. G. F. M. DE CAQERAY, Explication des passages de droit privé
contenus dans les œuvres de Cicéron, Paris 1857 (rist. Aalen 1969), 99-100; 531; E. COSTA, Cicerone giure-
consulto, II, Bologna, 1928, 197-199; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 32-35; J. PLATSCHEK,
Studien zu Ciceros Rede für P. Quinctius, München 2005, 38-39.
70
Cfr. Cic., Ad Att. 12.52.1; 14.16.4. È significativo l’utilizzo del constitutum in un tale cumulo
di garanzie. La complessità della fattispecie, per il cumulo di garanzie che ne emerge, muove la
critica moderna (cfr. M. IOANNATOU, Affaires d’argent dans la correspondance de Cicéron. L’aristocratie
sénatoriale face à ses dettes, Paris 2006, 278) a ritenere che il vero garante di Flamma fosse Cicerone
e che Montano non rappresentasse che un prestanome. Ciò farebbe meglio comprendere il
motivo per cui Cicerone si sarebbe assunto una responsabilità inderogabile, come quella nascente
da costituto, ad assistenza di un debito presentato come addirittura di un terzo soggetto. Ciò spie-
gherebbe anche l’intervento del figlio dell’oratore, Marco – Cicero nel testo latino –, disposto a
sacrificare le proprie disponibilità finanziarie per permettere l’adempimento dell’impegno
assunto dal padre, ritrovatosi in crisi di liquidità; si noti, infatti, che, una volta pagato il debito,
sarà Cicerone ad agire in regresso contro Flamma (cfr. Cic., Ad fam., 16.24.1) assumendo su di sé
il rischio dell’insolvenza di quest’ultimo. Si noti anche il riferimento, ovviamente non in senso
tecnico-giuridico, alla fides intesa come affidamento, che – benché qui non sia menzionata a
fondamento del constitutum, ma solo ad indicare la disponibilità di Marco ad assicurare il neces-
sario perché sia onorato l’obbligo assunto dal padre con il costituto – si vedrà essere un elemento
decisivo in tutta la disciplina del nostro istituto. Per un uso simile, cfr. Sall., Cat. 24.2: pecuniam sua
aut amicorum fide sumptam mutuam. Si consideri, peraltro, che – accanto alla lectio ‘ut fide sua’, che
ricorre nel codex Tornesianus Lambini che è quello preferito nell’edizione oxoniense – si rintraccia
anche la lectio ‘uti de suo’ nelle lezioni marginali alla seconda edizione lambiniana (1572-1573), che

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 17

Cic., Ad Atticum 16.15.5: cum enim tanta reliqua sint mihi, ne Terentiae quidem adhuc
quod solvam expeditum est. Terentiae dico? scis nos pridem iam constituisse Montani nomine HS
XXV dissolvere. Pudentissime hoc Cicero petierat ut fide sua. Liberalissime, ut tibi quoque
placuerat, promiseram Erotique dixeram ut sepositum haberet. Non modo <non fecit> sed iniquis-
simo faenore versuram facere Aurelius coactus est.

Sempre alle lettere ad Attico appartiene la testimonianza di un consti-


tutum debiti (proprii) concluso tra Cicerone e Lucio Cincio per la somma
corrispondente al prezzo di alcune statue 71 che quest’ultimo gli aveva
venduto per la villa Tusculana 72.
Cic., Ad Atticum 1.7: L. Cincio HS XXCD constitui me curaturum Idibus Febr.; tu velim
ea, quae nobis emisse et parasse scribis, des operam ut quam primum habeamus.

Un altro esempio di applicazione del constitutum rilevante ai nostri fini


si incontra nella Pro Quinctio, la più risalente delle orazioni ciceroniane
pervenuteci, che presenta molti interessanti profili di applicazione del
diritto privato romano 73 :
Cic., Pro Quinctio 5.18: Quinctius...debere intellegebat, mentiri, quia causa, cur mentiretur,
non erat, non putabat; quasi domi nummos haberet, ita constituit Scapulis se daturum.

La fattispecie è la seguente: Publio Quinzio, patrocinato da Cicerone,


era succeduto come erede nel patrimonio di suo fratello Gaio Quinzio, il
quale era gravato di alcuni debiti nei confronti di Publio Scapula, pure
quest’ultimo defunto. Il constitutum ha per oggetto l’insieme di tali debiti ed
è assunto in favore degli eredi di Scapula (i figli) 74, dopo che è intervenuta
fra le parti una transazione finalizzata a liquidare l’ammontare di tali
debiti, che non erano certi, anche a causa di problemi cambiari. Publio
Quinzio concluse il constitutum dopo che Nevio gli aveva promesso di assi-
curargli il denaro per pagare i debiti ereditari: in ragione di tale promessa
di Nevio, Quinzio aveva anche rinunciato a recuperare tale somma, alie-

sono attribuite al vetus codex. Con tale seconda lectio si sottolineerebbe l’aspetto di presa su di sé del
debito altrui, ma avrebbe una certa evanescenza l’elemento dell’affidamento che, invece, mi pare
centrale nella formazione del constitutum. Sul problema della fides nel constitutum cfr. infra § 2.5. In
ultimo, si ricordi che tale passo è stato considerato non riferibile al constitutum, per l’anomalo uso
del verbo dissolvere, da BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 226 nt. 11 e 233. Lo considera invece «un
vero e proprio constitutum» COSTA, Cicerone giureconsulto, II, cit., 197 e nt. 3, seguito da IOAN-
NATOU, Op. ult. cit., 277-278.
71
Cfr. Cic., Ad Att. 1.8. Su tali spese particolarmente ingenti e sullo stile di vita di Cicerone
cfr. A. DESMOULIEZ, Cicéron et son goût. Essai sur une définition de l’esthétique romaine à la fin de la Répu-
blique, Bruxelles 1976, 266 ss.; IOANNATOU, Affaires d’argent, cit., 216 ss.
72
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 233 nega che qui si sia di fronte ad un esempio di consti-
tutum perché curare nel lessico ciceroniano non potrebbe avere il significato di ‘pagare’ o ‘far
pagare’, ma questa critica è stata dimostrata inconsistente dalla dottrina successiva; cfr. COSTA,
Cicerone giureconsulto, II, cit., 198 nt. 2.
73
Cfr. COSTA, Le orazioni di diritto privato di M. Tullio Cicerone, Bologna 1899, 3-27; cfr. l’edi-
zione de Le orazioni (Milano 1964), a cura di V. ARANGIO-RUIZ, ove rileva specificamente ai
nostri fini p. 15 dell’Introduzione.
74
Cfr. Cic., Pro Quinctio 4.14-17.

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18 Paolo Costa

nando beni da lui posseduti nelle Gallie 75. Quando poi Nevio si sottrasse
all’adempimento della promessa, rifiutando qualsiasi prestito se prima
non avessero trovato un regolamento i conti della società, Quinzio, dopo
aver tentato vanamente di rimuovere Nevio da tale posizione, si ritrovò
costretto a chiedere una breve dilazione nel pagamento ai figli di Scapula
e, mediante rappresentanti, fece vendere, a condizioni molto svantag-
giose, i suoi beni in Gallia, per cui prima aveva lasciato sospeso il bando 76.
Tale celerità e svantaggiosità della vendita fa pensare che già fosse esperi-
bile l’actio de pecunia constituta e che proprio per la consapevolezza della sua
soggezione a tale rimedio processuale, e non per un generico dovere
morale, Quinzio si sia così affrettato a procurarsi i beni necessari per il
pagamento dei debiti 77.
Il constitutum appare avere un carattere d’inesorabilità: fa precipitare
gli eventi. Cicerone scrive che dopo il costituto il debitore è adductus in
summas angustias. L’inesorabilità del nostro negozio deriva dalla natura e
dalla struttura stessa dell’azione che lo protegge. Il giudizio in factum
spinge il giudice a ricercare se vi sia effettivamente stato un costituto e se
sia stato adempiuto; in caso d’inadempimento non si potrebbe evitare la
condanna e ciò rappresenta un forte stimolo per il debitore a celermente
ottemperare 78.
Un’altra fonte letteraria che merita menzione appartiene al Satyricon di
Petronio: durante la celebre cena Trimalchionis si verifica un diverbio tra
Ascilto, uno dei protagonisti principali, e un liberto amico e coetaneo di
Trimalchione, di nome Ermerote. Quest’ultimo difende con ardore la
dignità del proprio status libertinus e del proprio modus vivendi, l’onestà,
correttezza e rispettabilità dei suoi rapporti d’affari, in una vera esalta-
zione di una sorta di ‘etica di ceto’ 79 dei liberti; al vertice di tale autocele-
brazione afferma di non avere alcun constitutum 80 con nessuno:
Petr., Satyricon 57.5: Homo inter homines sum, capite aperto ambulo; assem aerarium
nemini debeo; constitutum habui numquam; nemo mihi in foro dixit: ‘Redde quod debes’.

75
Cfr. Cic., Pro Quinctio 5.18.
76
Cfr. Cic., Pro Quinctio 5.20; cfr.M. TALAMANCA, Contributo allo studio delle vendite all’asta nel
mondo classico, Roma 1954, 132-133.
77
Cfr. COSTA, Cicerone giureconsulto, II, cit., 199.
78
Cfr. ROUSSIER, Le constitut, cit., 126.
79
Così E. LO CASCIO, La vita economica e sociale delle città romane nella testimonianza del Satyricon,
in Studien zu Petron und seiner Rezeption, edd. L. CASTAGNA – E. LEFÈVRE – C. RIBOLDI, Berlin
2007, 10.
80
In tale luogo il sostantivo constitutum è evidentemente usato nella sua accezione tecnico-
giuridica; così M. S. SMITH nel suo commento alla Cena Trimalchionis (Oxford 1975, 156) in cui,
espressamente, non accoglie il significato di ‘fissare un giorno per una causa’ (sostenuto invece,
mi pare a torto, da E. V. MARMORALE nell’edizione da lui curata della Cena Trimalchionis
[Firenze 1961, 104]). Nel Satyricon si ha un’altra occorrenza di tale termine (15.5), ma nel signifi-
cato più comune di ‘appuntamento’. Con tale significato il termine ricorre in molte altre fonti
letterarie: ad es. Cic., Ad Att. 12.1; Pro Caec., 12.

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 19

Il passo manifesta un uso comune, anche nella lingua parlata 81, del
termine constitutum nella sua accezione tecnico-giuridica e conferma il
valore e la forza dell’impegno assunto dal debitore con il constitutum: il
rafforzamento della posizione del creditore che si genera con tale vincolo
sorto in capo al debitore è così significativo che rappresenta titolo di vanto
non avere una posizione patrimoniale e finanziaria tale da aver condotto
alla necessaria conclusione di constituta.
La comparazione tra gli usi linguistici nelle fonti letterarie e in quelle
giuridiche, in particolare nel titolo 13.5 del Digesto, mi pare consenta
alcune prime possibili considerazioni preliminari all’analisi dell’istituto,
che sarà svolta più ampiamente infra.
Osservando i profili generali che lo caratterizzano, può già dirsi che il
constitutum nasca come una statuizione di carattere accessorio relativa alla
realizzazione (rectius: all’adempimento) di determinati comportamenti
(rectius: prestazioni) aventi ad oggetto crediti (inizialmente di denaro); la
statuizione ha per oggetto un dies, una scadenza entro la quale deve essere
tenuto il comportamento già convenuto (rectius ai nostri fini: essere adem-
piuta una prestazione cui il soggetto fosse già obbligato), ma tale statui-
zione ha una causa distinta ed autonoma rispetto a quella che sostiene
l’obbligazione principale, benché la necessaria preesistenza di un rapporto
fondamentale, cioè di un’obbligazione originaria, manifesti il carattere
soltanto relativo, dal punto di vista sostanziale dell’autonomia del consti-
tutum rispetto al vincolo principale. La nostra indagine muove dal ricono-
scimento del ruolo del dies come baricentro della nozione di constitutum: il
dies constituti (o dies in quem constituit o tempus constituti) non rappresenta un
ordinario termine contrattuale, cioè non è un semplice dies a quo, bensì un
termine con una diversa caratterizzazione tipologica e che si può definire
dies intra quem. Il constitutum e il suo riconoscimento giuridico hanno proprio
l’utilità originaria di conferire efficacia alla «statuizione avente ad oggetto
la determinazione di una scadenza perentoria per l’adempimento della
prestazione dovuta in base a determinati negozi obbligatori» 82 e precisa-
mente a quelli tutelati prima con la legis actio per condictionem e poi con l’actio
certae creditae pecuniae.

1.4. – Utilità pratica del constitutum


Molti Autori individuano fin dai momenti originari dell’introduzione
del constitutum una stretta relazione con il contratto di mutuo, e inizial-

81
Sulle caratteristiche del linguaggio usato dai liberti cfr. B. BOYCE, The language of the
freedmen in Petronius’ Cena Trimalchionis, Leiden 1991, passim (in particolare su Ermerote p. 90 ss.).
Più in generale sulla posizione dei liberti nella società romana cfr. A. LOS, La condition sociale des
affranchis privées, in Annales (ESC) 50 (1995), 1011-1043.
82
ASTUTI, Studi, I, cit., 28.

.
20 Paolo Costa

mente con il solo mutuo di denaro, come si può inferire dalle testimo-
nianze ciceroniane appena riportate in cui ricorrono proprio promesse di
pagare somme di denaro determinate; sicuramente è anche rilevante la
stessa specificazione dell’actio con riferimento alla ‘pecunia’ constituta. Ulte-
riore conforto, pur solo indiretto, per ritenere che originariamente
l’oggetto del debito rafforzato dal constitutum fosse pecuniario si trae dall’a-
nalisi di un frammento in cui si fa riferimento a Labeone e Sesto Pedio 83,
che sono i giuristi più risalenti tra quelli citati nel titolo 13.5 del Digesto:
D. 13.5.3.2 (Ulp. 27 ad ed.): Si is, qui et iure civili et praetorio debebat, in diem sit obli-
gatus, an constituendo teneatur? et Labeo ait teneri constitutum, quam sententiam et Pedius probat:
et adicit Labeo vel propter has potissimum pecunias, quae nondum peti possunt, constituta inducta:
quam sententiam non invitus probarem: habet enim utilitatem, ut ex die obligatus constituendo se
eadem die soluturum teneatur.

Qui Labeone, seguito da Pedio 84, afferma la validità di una promessa


di pagare intra certam diem da parte di un debitore già obbligato in diem 85 :
tale costituto ha una funzionalità pratica perché consente al creditore di
fare affidamento sul pagamento ad un tempo prestatuito, affidamento che
l’obbligazione generica, pur a termine, non potrebbe assicurare in ragione
del carattere stricti iuris della formula edittale che ne sanziona la prote-
zione giurisdizionale. Nonostante i problemi di esegesi, che investono la
stessa autenticità del passo, la chiusa et adicit Labeo vel propter has potissimum
pecunias, quae nondum peti possunt, constituta inducta è rilevante sia per muovere
ipotesi sull’origine dell’istituto, sia perché contiene, in modo esplicito e al
plurale, il sostantivo pecunia (-s) e ciò consente di suffragare la tesi che il
constitutum avesse in origine lo scopo di rafforzare l’adempimento di debiti
pecuniari, in particolare sorgenti da mutuo.
In questa fattispecie c’era già un debito che si sarebbe potuto esigere
ad un certo termine, poi interviene un constitutum fissando un altro dies:
Labeone (concorde Pedio) ritiene che il dies constituti prevalga e che il consti-
tutum stesso sia stato introdotto per consentire che con esso il debitore si
impegnasse a pagare entro un dato giorno che può coincidere o meno con
il dies a quo ordinario per l’adempimento dell’obbligazione. È ormai pacifi-
camente ritenuto – seguendo i più volte ricordati studi dell’Astuti – che, in
riferimento all’adempimento dell’obbligazione fondamentale cui accede il
constitutum, il dies constituti non si atteggi come dies a quo, bensì come dies intra

L’attività di Pedio, secondo gli studi più recenti, va collocata nella seconda metà del I
83

secolo d. C.: cfr. C. GIACHI, Studi su Sesto Pedio. La tradizione, l’editto, Milano 2005, 4 ss., 42.
84
Sui rapporti tra Pedio e Labeone cfr. GIACHI, Op. ult. cit., passim, sul nostro passo pp. 7-8
nt. 20.
85
Su tale passo cfr. ASTUTI, Studi, I, cit. 126 ss.; ROUSSIER, Le constitut, cit., 92 ss.; FREZZA,
Questioni esegetiche, cit., 703 (= ID., Scritti, II, cit., 319); VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 347 (=
Studi Martini, III, cit., 850). Il finale sull’utilitas della coincidenza tra dies a quo e dies constituti è
probabilmente frutto di un’interpolazione.Per i profili problematici riguardanti il costituto di
un’obbligazione in diem cfr. infra 5.1.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 21

quem e che vi sia una rilevante differenza quanto all’allocazione del-


l’interesse soddisfatto, con il ricorso all’uno o all’altro meccanismo nego-
ziale: l’inserimento di un dies a quo avvantaggia il debitore che può essere
compulsato ed escusso solo a partire da quel giorno; dall’altra parte il dies
intra quem rappresenta un significativo vantaggio per il creditore che sa che
entro quel giorno vedrà adempiuta la prestazione, avendo un efficace
strumento di tutela nell’actio de pecunia constituta. Tale valutazione del-
l’interesse temporale del creditore manifesta tutta la sua efficienza pratica
nel caso del mutuo, negozio protetto da un’azione stricti iuris, in forza della
quale il giudice non avrebbe potuto concedere dilazioni equitative, né
avrebbe potuto avere riguardo – nello stabilire l’ammontare della condem-
natio – all’utilitas temporis od a qualche pactum adiectum.
D. 13.5.3.2 è significativo perché in esso si discute della validità di un
constitutum di un debito che era già a termine. Labeone ne sostiene la vali-
dità e l’utilità, che è quella di avere a tempo breve (intra diem constituti) ciò
che si sarebbe potuto avere ad un tempo più lungo (ex die): enim utilitatem, ut
ex die obligatus constituendo se eadem die soluturum teneatur. Secondo Labeone
quindi l’utilità originaria del constitutum sarebbe stata per il creditore la
possibilità di pretendere l’adempimento nel dies constituti e, in mancanza,
di agire in giudizio de constituta pecunia, senza la necessità di costituire in
mora il debitore.
Su origine del constitutum e incidenza dell’elemento del dies si pone in
apparente contrasto la Parafrasi di Teofilo nel luogo in cui descrive l’ope-
ratività dell’actio de pecunia constituta 86 :
Theoph., Paraph. 4.6.8: eßxrew¥steiv moi eΩ katoùn nomı¥smata. perie¥tyxo¥n soi.
aßpq¥toyn se taỹta. aßpaitoy¥menov syù kaıù boylo¥menov thùn paroỹsan o¶xlhsin diafygeı̃n,
aßntefw¥nhsav eıßpw̃n o™ti « tƒ deka¥tƒ toỹ mhnoùv taỹta¥ soi katabal√ ». Pareluoy¥shv th̃v
prouesmı¥av, aßpq¥toyn se. e¶legev syù toyùv o™royv tw̃n aßgwgw̃n texnologw̃n mhdamo¥uen
seaytoùn yΩ pey¥uynon eı®nai. oyßdeù gaùr eßperw¥thsiv ge¥gonen, ı™na kinhuƒ kataù soỹ hΩ ex
stipulatu, oyßdeù mandàton parhkoloy¥uhsen, ı™na aΩ rmo¥sq hΩ mandati. eΩ wrakwùv toı¥nyn thùn
shùn aßgnwmosy¥nhn oΩ praetor wΩ v yΩ penantı¥an o™ti ma¥xq taı̃v saytoỹ yΩ posxe¥sesin, w©rise
thùn pecuniae constitutae.

Secondo Teofilo, quindi, il constitutum sarebbe sorto nei casi in cui il


debito fosse già scaduto e si fosse accordata al debitore una dilazione
mediante la fissazione di un termine indeclinabile per il pagamento. Da
tale lettura taluni Autori hanno intravisto una discordanza tra un’asserita
originaria ermeneutica del senso dell’introduzione del costituto e una

86
Per il testo seguo la recente edizione curata da J. H. A. LOKIN – R. MEIJERING –
B. H. STOLTE – N. VAN DER WAL (Groningen 2010), peraltro non discostantesi dall’ed. Ferrini,
ove questa trad.: Centum aureos mihi debebas; obviam tibi veni eos repetens. Cum ita peterentur et velles prae-
sentes angustias effugere, pollicitus es decimo mensis die eos te soluturum. Cum dies iam elapsus esset, repetebam a
te, qui actionum fines suptilius captans nullomodo te teneri aiebas. Non enim stipulatio facta fuerat, ut ex stipulatu
tecum agi posset, neque mandatum erat subsecutum ut mandati actio competeret. Tuam igitur improbitatem praetor
respiciens, quae tuis ipsius promissis adversaretur, pecuniae constitutae actionem proposuit.

.
22 Paolo Costa

tarda revisione di essa. A mio parere le posizioni di Labeone e Teofilo


possono collimare pacificamente 87 : può ritenersi che nel caso di sussi-
stenza di un debito le parti avessero utilità a manovrarne gli effetti tempo-
rali, sia che non vi fosse ancora una scadenza e quindi fosse utile fissarla,
sia che già ci fosse, ma non ancora decorsa, e si volesse stabilire un paga-
mento intra diem constituti, sia che fosse già spirato il termine per l’adempi-
mento e il creditore ritenesse utile concedere una dilazione: in tutti i casi
l’impegno del debitore sarebbe stato protetto dall’actio de pecunia constituta,
che avrebbe sanzionato l’eventuale improbitas del debitore, quoniam grave est
fidem fallere (D. 13.5.1 pr.).
La rilevanza dell’interesse del creditore quanto al tempo dell’adempi-
mento anche in negozi che danno luogo a iudicia stricti iuris è però
evidente: se si parte dalla stipulatio certa die di una certa res, dalle fonti
emerge che i sabiniani permisero che per quantificare la vera rei aestimatio si
riconoscesse efficacia alla clausola di scadenza e non al giorno della litis
contestatio (v. D. 12.1.22; D. 13.3.4) 88 : il peso dell’esistenza di un dies certus
solutionis, tale da mutare perfino i criteri di quantificazione della condanna
all’interno di un processo in cui veniva in gioco una condictio, non sfuggiva
quindi ai giuristi romani ed è ragionevole supporre – con Astuti 89 – che
proprio il problema dell’incidenza sulla condemnatio della valutazione del-
l’interesse diei nel caso di mutuo o di stipulatio certae pecuniae sia a fondamento
della genesi e della disciplina del constitutum debiti. Nel caso della statui-
zione di un dies intra quem (ma anche in quello della pattuizione di usurae
non riversate in una stipulatio cumulativa) la rigidità della formula stricti
iuris avrebbe impedito il riconoscimento dell’efficacia di tali manovre
negoziali, ma appare strano immaginare che l’ordinamento non accor-
dasse tutela a situazioni che possono pensarsi di sicura frequenza. Si
consideri che nella fattispecie parallela della statuizione di un locus solu-
tionis il pretore aveva concesso l’editto de eo quod certo loco, nel quale si ha
proprio riguardo all’interesse del creditore a vedere adempiuta la presta-

87
Cfr. C. FADDA, Le garanzie delle obbligazioni. Lezioni di diritto romano, (edd. M. COLAMONICO
– R. ZINGARELLI), Napoli 1897, 43; ASTUTI, Studi, I, cit., 5; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda
constitutum debiti, cit., 114-115.
88
ASTUTI, Studi, I, cit., 41; ROUSSIER, Le constitut, cit., 106. Tale soluzione portava ad un
nuovo impiego della nozione di mora: prima lo strumento escogitato dai giuristi romani per
permettere la considerazione del danno da ritardo era la stipulazione di una pena convenzionale,
sottoposta alla condizione dell’inadempimento al dies cui era riferita l’obbligazione principale;
con la soluzione sabiniana si inizia a stabilire che il danno da ritardo vada comunque risarcito
per il fatto stesso della tardività della prestazione che rappresenta una lesione dell’interesse del
creditore, anche laddove non venga in considerazione il perimento della cosa, come nel caso del-
le obbligazioni pecuniarie: ciò porterà alla nozione delle c.d. usurae legali, indipendenti dalla
volontà delle parti. Cfr. per fonti e altra letteratura: G. CERVENCA, Contributi allo studio delle usurae
c.d. legali nel diritto romano, Milano 1969, passim; C. A. CANNATA, sv. Mora (storia), in ED. 26 (1976),
924 e 928-929.
89
ASTUTI, Studi, I, cit., 44; così anche ROUSSIER, Le constitut, cit., 107.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 23

zione promessa in un luogo diverso rispetto a quello concordato origina-


riamente 90 : in modo simile nel nostro caso appare utile stimare l’interesse
del creditore all’adempimento in un tempo diverso rispetto a quello
statuito. Dunque l’ipotesi che mi pare ancora oggi più sostenibile rimane
quella di Astuti 91, che vede nell’editto de pecunia constituta lo strumento
processuale che consentiva di far dispiegare efficacia alla fissazione di un
dies certus solutionis che avesse acceduto ad un mutuo di denaro o ad un
negozio formale in cui, di fatto, fosse stato riversato un mutuo (assai
frequentemente una stipulatio, può pensarsi anche un’expensilatio) 92.
La responsabilità di chi è obbligato ex constituto ha tali tratti di partico-
lare rigore perché non aveva per oggetto la semplice dazione della pecunia
debita ad una scadenza fissata solo petitionis causa, ma comportava che dopo
il dies constituti si avesse originariamente una vera e propria impossibilità
giuridica di adempiere – con efficacia liberatoria – la prestazione oggetto
dell’obbligazione principale secondo una dinamica che, come si vedrà
subito di seguito, non è quella del ritardo in senso tecnico, cioè quella del-
la mora, bensì quella dell’illecito contrattuale, intendendo con ciò la viola-
zione di un’obbligazione preeesistente comunque sorta 93.

2. – La qualificazione dogmatica
2.1. – La controversa attribuzione al constitutum della qualifica di pactum
Questione di sicuro interesse classificatorio è quella se il constitutum sia
o meno un pactum; questione aggravata dalla presenza nel nostro titolo di
un frammento ulpianeo che sembra presupporre un collegamento tra la
genesi dell’istituto e l’area concettuale del pacisci 94 :

90
Cfr. F. AMARELLI, Locus solutionis. Contributo alla teoria del luogo dell’adempimento in diritto
romano, Milano 1984, 111 ss., ove letteratura precedente.
91
ASTUTI, Studi, I, cit., 46. Ad ulteriore conforto di questa posizione e concentrando la
nostra attenzione sull’interesse del creditore ad un rafforzamento della propria posizione in forza
della conclusione di un constitutum, si rinvengono conferme significative di questo profilo nelle
fonti letterarie precedentemente indicate. La Pro Quinctio (5.18) dimostra la forza della caratura di
inesorabilità del vincolo assunto col costituto; il Satyricon (57.5) rende ben comprensibile come per
un debitore l’avere sul proprio capo dei constituta sia segno di una situazione finanziaria non
florida e, in ogni caso, di una esposizione a richieste creditorie particolarmente forti e cogenti.
92
Cfr. H. LÉVY-BRUHL, Rec. a ROUSSIER, Le constitut, cit., in RHD. 41 (1963), 108.
93
Definizione conforme a quella della più autorevole civilistica contemporanea; cfr.
C. M. BIANCA, Diritto Civile, V, Milano 1994, 1 ss.; G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità
civile, Padova 2005, 119 ss.; A. D’ANGELO, Buona fede-correttezza nell’esecuzione del contratto, in Trattato
della responsabilità contrattuale, diretto da G. VISINTINI, I, Inadempimento e rimedi, Padova 2009, 101.
94
Per i profili etimologici riguardanti i vocaboli derivanti dalla radice indoeuropea pak-, che
avrebbe il significato originario di ‘rendere stabile’ e successivamente di ‘costituire un legame’ e
da cui discenderebbero pax e pacare (nel VI sec. a. C.), pacere (alla metà del V sec. a. C.), paciscere
(alla metà del III sec. a. C.), pacisci (alla fine del III sec. a. C.), infine nel I sec. a. C. pactio (con
caratura pubblicistica) e pactum (con caratura privatistica), cfr. B. BISCOTTI, Dal pacere ai pacta

.
24 Paolo Costa

D. 13.5.14.3 (Ulp. 27 ad ed.): Constituere autem et praesentes et absentes possumus, sicut


pacisci, et per nuntium et per nosmet ipsos, et quibuscumque verbis.

Tale riferimento al pacisci è considerato interpolato dal Perozzi 95, ma


la dottrina successiva appunta la sua attenzione non tanto sul suo even-
tuale carattere insiticio, quanto sulla correttezza dogmatica dell’inclusione
del constitutum tra i pacta. Le fonti del diritto intermedio, infatti, – all’in-
terno del loro particolare recepimento della nozione di pactum 96 – parlano
di patto di costituto, ma tale nomen, pur invalso nella prassi, diffusissimo nella
letteratura specialmente di area francese 97, e ancora presente nella
dottrina contemporanea 98, significativamente non ricorre nei testi giuri-
dici romani sul constitutum, né può considerarsi conforme al significato

conventa. Aspetti sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall’epoca arcaica all’Editto giulianeo, Milano 2002,
1-16.
95
S. PEROZZI, Il contratto consensuale classico, in Studi in onore di F. Schupfer, Torino 1898, I, 169
(= S. PEROZZI, Scritti giuridici, ed. U. BRASIELLO, Milano 1948, II, 568).
96
Per la nozione di patto nel diritto intermedio e i problemi legati ai c.d. pacta nuda e ai vesti-
menta cfr. ASTUTI, I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, cit., 65 ss. e per i testi preirne-
riani pp. 453 ss.; A. D’ANGELO, Promessa e ragioni del vincolo I. Profilo storico e comparativo, Torino
1992, 71 ss., 83 ss., 99 ss., 115 ss. (in particolare 125 ss. sui rapporti tra obbligazione naturale e
costituto di debito nel diritto comune); P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Bari 1995, 103 ss.
242 ss.; R. VOLANTE, Il sistema contrattuale nel diritto comune classico. Struttura dei patti e individuazione
del tipo. Glossatori e Ultramontani, Milano 2001, passim (sul costituto di debito cfr. pp. 158, 160, 173,
175); E. STOLFI, A proposito di un fondamentale momento della «tradizione romanistica»: l’elaborazione medie-
vale in materia di pacta, in RDR. 2 (2002), 441 ss.
97
Si vedano solo i titoli di queste opere monografiche, tesi di dottorato o articoli sul consti-
tutum: G. FOURCADE-PRUNET, Du pacte de constitut, Paris 1858; T. GOUBET, Du pacte de constitut en
droit romain, Paris 1863; C. REMY, Du pacte de constitut en droit romain, Paris 1864; E. LAMY, Du pacte
de constitut en droit romain, Paris 1870; BODIN, Des effets du pacte de constitut, cit., 209 ss.; L. VANDIER,
Du pacte de constitut en droit romain, Paris 1874; E. GUILLARD, Les banquiers athéniens et romains: trapé-
zites et argentarii, suivis du pacte de constitut en droit romain, Paris 1875; P. TOUSSAINT DE QUIÈVRE-
COURT, Du pacte de constitut en droit romain, Paris 1875; F. HARANGER, Du pacte de constitut en droit
romain, Paris 1880; H. MARMONIER, Du pacte de constitut, Paris 1882; M. BENTÉJAC, De l’action et du
pacte de constitut en droit romain, Bordeaux 1884; H. DE GUIGNÉ, Du pacte de constitut, Paris 1888;
P. L. CONTAT, Du pacte de constitut, Paris 1890; VALERY, Conjectures sur l’origine et les transformations
du pacte de constitut, cit.; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit. Si può notare la persistenza del concetto
di ‘patto di costituto’ anche in opere di civilistica contemporanea volte a mostrare l’attualità del
constitutum nella pratica degli affari e nelle costruzioni giurisprudenziali, cfr. per tutti F. JACOB, Le
constitut ou l’engagement autonome de payer la dette d’autrui à titre de garantie, Paris 1998.
98
Ancora nella dottrina novecentesca riconducono la figura ai pacta praetoria R. MONIER,
Manuel de droit romain, Les obligations, Paris 19545, 200; G. LEPOINTE, Les obligations en droit romain,
Paris 1955, 114. Lo stesso V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli 198914, 334, usa
l’espressione pacta praetoria, benché la consideri «alquanto infelice». G. GROSSO, Il sistema romano
dei contratti, Torino 19633, 192, ritiene la collocazione del constitutum tra i pacta praetoria una «pura
sistemazione di comodo che può dirsi infelice». Analogamente ad Arangio-Ruiz anche
F. SCHULZ, Classical Roman Law, Oxford 1951, 471 e 559-560, inserisce il constitutum tra i pacta prae-
toria, ma poi discute tale denominazione, osservando che nella giurisprudenza e nell’Editto non
ricorre mai il termine di pactum per designare tale atto giuridico, ma è comunque opportuno
usarlo perché la natura giuridica è quella del ‘patto’ inteso come accordo informale. Ancora di
recente inseriscono il constitutum tra i pacta praetoria G. MELILLO, Contrahere, pacisci, transigere. Contri-
buti allo studio del negozio bilaterale romano, Napoli 1994, 235 ss., MARRONE, Istituzioni, cit., 510;
GIACHI, Studi su Sesto Pedio, cit., 7 nt. 19.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 25

tecnico (e perciò da prediligersi) di pactum. Tale significato è stato costruito


dalla dottrina 99 sulla base della disciplina del pactum conventum il quale,
com’è noto, non dava origine ad una azione, ma soltanto ad un’ecce-
zione100; e già da ciò si vede chiaramente come la nozione di pactum fosse
collegata, rectius limitata, all’ambito processuale e come non si possa rico-
noscere nell’edictum de pactis conventis una sorta di «carta del consensualismo
romano»101, attribuendogli un rilievo sul piano del diritto sostanziale che
già ad autorevole dottrina è sembrato insostenibile102. Tra gli Autori che
hanno escluso che il constitutum rappresenti una fattispecie sussumibile al
concetto di pactum si segnalano Manenti103, Ferrini104, D’Ors105, Levy-

99
Cito solo alcune opere recenti in cui si affronta il tema dei rapporti tra la nozione di patto
e la pecunia constituta: MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 20 ss.; G. MELILLO, sv. Patti (storia), cit.,
479 ss. (spec. 482 e nt. 29); F. STURM, Il pactum e le sue molteplici applicazioni, in Contractus e pactum.
Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana. Atti del convegno di diritto romano e della presenta-
zione della nuova riproduzione della ‘littera Florentina’, Copanello 1-4 giugno 1988, ed. F. MILAZZO, Napoli
1990, 149 ss. spec. 177 ss.
100
Cfr. D. 2.14.7.4 (Ulp. 4 ad ed.): Sed cum nulla subest causa, propter conventionem hic constat non
posse constitui obligationem: igitur nuda pactio obligationem non parit, sed parit exceptionem. Su tale passo cfr.
P. VOCI, La dottrina romana del contratto, Milano 1946, 243 ss.; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit.,
23 ss. 40 ss. spec. 46 e nt. 117; H. P. BENÖHR, Das sogenannte Synallagma in den Konsensualkontrakten
des klassischen römischen Rechts, Hamburg 1965, 13 ss.; G. MELILLO, In solutum dare: contenuto e dottrine
negoziali nell’adempimento inesatto, Napoli 1970, 73 ss.; ID., Contrahere, pacisci, transigere, cit., 212 ss.;
R. SANTORO, Il contratto nel pensiero di Labeone, in AUPA. 37 (1983), 206 ss. 235 ss. 253 ss.;
F. GALLO, Eredità di giuristi romani in materia contrattuale, in SDHI. 55 (1989), 123-190; A. SCHIA-
VONE, La scrittura di Ulpiano. Storia e sistema nelle teorie contrattualistiche del quarto libro ad Edictum, in Le
teorie contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea. Atti del convegno di diritto romano (Siena 14-15
aprile 1989), ed. N. BELLOCCI, Napoli 1991, 146 ss. Cfr. P.S. 2.14.1: ex nudo pacto inter cives Romanos
actio non nascitur, su cui cfr. R. KNÜTEL, Contrarius consensus. Studien zur Vertragsaufhebung im römischen
Recht, Köln-Graz 1968, 61 ss.; B. SCHMIDLIN, Die römischen Rechtsregeln, Köln-Wien 1970, 97 ss.;
R. MEYER-PRITZL, Pactum, conventio, contractus. Zum Vertrags – und Konsenverständnis im klassischen
römischen Recht, in Pacte, convention, contrat. Mélanges en l’honneur du Prof. B. Schmidlin, edd. A. DUFOUR
– I. RENS – R. MEYER-PRITZL – B. WINIGER, Bâle 1998, 114 ss.
101
Così MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 45.
102
Per il dibattito dottrinale sul punto cfr. G. G. ARCHI, Ait praetor: «pacta conventa servabo».
Studio sulla genesi e sulla funzione della clausola nell’Edictum Perpetuum, in De iustitia et iure. Festgabe für
U. von Lübtow zum 80. Geburtsag, edd. M. HARDER – G. THIELMANN, Berlin 1980, 373 ss. spec.
376 ss., ove letteratura (= ID., Scritti di diritto romano, I, Milano 1981, 481 ss. spec. 485 ss.). Di
recente ha ribadito l’insostenibilità della tesi del Magdelain C. A. CANNATA, La nozione di contratto
nella giurisprudenza romana dell’epoca classica, in Autour du droit des contrats. Contributions de droit romain en
l’honneur de F. Wubbe, ed. P. PICHONNAZ, Genève – Zürich – Bâle 2009, 19-48.
103
C. MANENTI, Contributo critico alla teoria generale dei pacta, in Studi Senesi, 7 (1891), 251; ID.,
Pacta conventa servabo, in Studi Senesi, 31 (1915), 203 ss., nega la qualificazione di pactum perché il
constitutum genera un’azione; così anche PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 48.
104
C. FERRINI, Sulla teoria generale dei pacta, in Filangieri, 17 (1892), 65 ss. (= ID., Opere, ed.
E. ALBERTARIO, Milano 1929, III, 243 ss.); ID., Note a GLÜCK, cit., 160 nt. e), oltre a ritenere che
in origine il constitutum fosse un istituto formale, rigetta in quanto «mal detta» l’espressione ‘patto
pretorio’ e lo qualifica ‘patto ordinario’, definizione idonea a distinguerlo dai c.d. pacta praetoria,
ma che non sembra avere alcun sostegno nelle fonti. Anche KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über
constituta pecunia, cit., 247 e 339, parla di ein gewöhnliches pactum.
105
A. D’ORS, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit, in AHDE. 29 (1959), 726, nega la
qualificazione di pactum per il constitutum (e il receptum) con una motivazione chiara, che muove

.
26 Paolo Costa

Bruhl106, Albanese107, Sturm108. Mi pare utile menzionare la posizione di


Burdese – di recente richiamato anche dalla Ricart Martì109 – il quale
comparando D. 13.5.14.3 con D.13.5.1 pr., in cui si parla di constituta ex
consensu facta, ammette che tali frammenti avallino l’idea di una sostanza
consensuale dell’atto, che si può anche considerare classica, ma precisa
che il constitutum (così come il receptum ed il iusiurandum c.d. voluntarium) non
sia mai stato qualificato come patto nelle fonti classiche, né presenti
secondo le prospettive classiche una configurazione pattizia. Anche
Varvaro riafferma, di recente, che l’utilizzo dell’espressione ‘patto
pretorio’ per il constitutum rappresenti una tralatizia sedimentazione della
storiografia romanistica da cogliersi in tutta la sua improprietà110. È
evidente che una soluzione piana della questione non si ritrovi in dottrina,
soprattutto perché la terminologia è usata in modo discontinuo dalla
tradizione romanistica e dagli autori otto – novecenteschi.

2.2. – L’adiectio diei ed i pacta adiecta in continenti


È ormai pacifica la considerazione dell’importanza della statuizione di
un dies nei debiti pecuniari sorgenti da un mutuo, ma la questione che ora
si pone, inerendo alla possibile qualificazione del constitutum come pactum, è
quella di individuare se la figura del dies constituti rappresenti un’evolu-
zione del pactum adiectum 111 oppure abbia avuto una storia autonoma.
I pacta adiecta hanno la funzione di consentire modificazioni degli

dall’essenza ontologica e teleologica dell’istituto: «que el constitutum (y los recepta) no fueran


llamados pacta se explica perfectamente si tenemos en cuenta que servían para agravar la situa-
ción del deudor, lo que resulta el efecto contrario al de los pactos».
106
LÉVY-BRUHL, Rec. a ROUSSIER, cit., 107-108, sottolinea che soltanto i glossatori medie-
vali hanno attribuito al constitutum la denominazione di pactum e che quindi parlare di patti pretori
rappresenti «une manière défectuese de l’exprimer».
107
ALBANESE, Gli atti negoziali, cit., 155, non pone i constituta (e i recepta) tra i pacta praetoria, anzi
ritiene tale designazione ormai superata, e li considera in modo autonomo tra le forme negoziali
libere.
108
STURM, Il pactum e le sue molteplici applicazioni, cit., 177-178, ribadisce che il constitutum nelle
fonti classiche non è mai qualificato come patto, e ciò per la sostanza dell’Editto pretorio che
accordava null’altro che un’exceptio a favore del paciscente, benché dall’angolatura dei moderni,
influenzati dalla già indicata tradizione del diritto intermedio, il nostro negozio presenti una
configurazione che può dirsi pattizia.
109
A. BURDESE, sv. Patto (diritto romano), in NNDI. 12 (1965), 711; RICART MARTÌ, Constitutum
debiti, cit., 698-699.
110
VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 329-331 (= Studi Martini, III, cit., 829-832).
111
Di tale configurazione era sicuro GIRARD, Manuel élémentaire, cit., 641, ove si incontra un
passo che manifesta lo stato della manualistica maggioritaria dei primi decenni del Novecento: «Le
pacte de constitut avait pourtant une nouvelle derogation au principe que le simple pacte ne fait
pas nâitre d’action: il y avait là un pacte adjoint ex intervallo, qui, au lieu de produire seulement une
exception, faisait naître une action, et par suite ce pacte se trouva fournir un procédé très
commode pour obtenir, au moins quant aux créances ayant un certain objet, par un simple accord
de volontés, dénué de toutes formes, possible même entre absents, des résultats qui, selon le droit
civil, n’auraient pu être atteints qu’à l’aide d’un contrat formel, pratiquement d’une stipulation».

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 27

effetti “normali” dei negozi giuridici e nelle fonti si trovano largamente


attestati sia nei contratti onerosi, sia nella donazione112 : tali pacta non
presentano, tuttavia, un regime giuridico unitario non essendo negozi
autonomi, ma elementi di un negozio principale, il cui trattamento giuri-
dico coinvolge anche i pacta che ad esso pertengono113. Dalle fonti risulta
che per i bonae fidei iudicia, ancora secondo la giurisprudenza del III secolo
d. C., valesse il principio pactum adiectum in continenti inest contractui114, mentre
si deve ricordare come sia provato già dal Grosso che l’inerenza dei pacta
adiecta ai negozi protetti da iudicia stricti iuris non possa considerarsi clas-
sica115. Per quanto riguarda la stipulatio è stato dimostrato116 che l’inerenza
ad essa di tali patti rappresenta uno dei prodotti dell’evoluzione deforma-
lizzante di tale negozio, essendo per lungo tempo inammissibile che potes-
sero spiegare efficacia sul terreno di uno strumento così formale patti o
convenzioni accessorie non coperte della necessaria forma. Limitatamente
al caso che più ci riguarda, cioè il mutuo, ricorrono alcuni passi117che
sembrano riconoscere il principio dell’inerenza dei pacta al mutuo118, ma
già Grosso li dimostra ampiamente rimaneggiati per interventi postclassici
e anche bizantini. Tra questi uno riveste per noi particolare interesse:
D. 12.1.22 (Iul. 4 ex Minicio): Vinum, quod mutuum datum erat, per iudicem petitum est:
quaesitum est, cuius temporis aestimatio fieret, utrum cum datum esset an cum litem contestatus
fuisset an cum res iudicaretur. Sabinus respondit, si dictum esset quo tempore redderetur, quanti tunc
fuisset, si dictum non esset, quanti tunc fuisset, cum petitum esset. Interrogavi, cuius loci pretium
sequi oporteat. Respondit, si convenisset, ut certo loco redderetur, quanti eo loco esset, si dictum non
esset, quanti ubi esset petitum.

112
Cfr. GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 178 ss.; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit.,
49 ss.; ALBANESE, Gli atti negoziali, cit., 149 ss.; MELILLO, Contrahere, pacisci, transigere, cit., 253 ss.
113
Cfr. D. 2.14.7.5 (Ulp. 4 ad ed.), su cui R. CARDILLI, Il problema della resistenza del tipo contrat-
tuale nel diritto romano tra natura contractus e forma iuris, in Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto
privato 3, ed. R. FIORI, Napoli 2008, 73 ss., ove letteratura precedente. Si ricordi la distinzione
tra pacta ex (o in) continenti e pacta ex intervallo: i primi, conclusi contestualmente al contratto nell’atto
della sua formazione, concorrevano a modellarlo, e quindi ad esso inerivano ed erano accessori,
sia che fossero pro reo, sia pro actore; i secondi, distinti e autonomi rispetto al contratto, interveni-
vano successivamente alla sua conclusione, non inerendo ad esso, e quindi, soltanto se pro reo,
avevano un’efficacia, che era quella di produrre l’exceptio; cfr. GROSSO, Il sistema romano dei
contratti, cit., 179-180.
114
Cfr. R. KNÜTEL, Die Inhärenz der exceptio pacti im bonae fidei iudicium, in ZSS. 84 (1967),
133 ss.
115
Cfr. G. GROSSO, L’efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia, in Studi Urbinati 1 (1927), 26-69 e II,
1-2 (1928), 1-33 (= ID., Scritti storico-giuridici, III, Torino 2001, 1 ss.) e Efficacia dei patti nei bonae fidei
iudicia. Patti e contratti, in Memorie dell’Istituto giuridico della Regia Università di Torino 2a s., III, Torino
1928, 3-42 (= ID., Scritti, cit., III, 84 ss.). Ai nostri fini fondamentali soprattutto le pp. 4-14 (=
85-99) di quest’ultima opera. Segue esplicitamente Grosso U. BRASIELLO, Sull’elemento subiettivo nei
contratti, in Studi Urbinati 3 (1929), 112 nt. 4.
116
Cfr. J. ROUSSIER, Le pacte adjoint in continenti à la stipulation, in Studi in onore di E. Betti, IV,
Milano 1962, 3-13.
117
Cfr. D. 12.1.7 (Ulp. 26 ad ed.); D. 12.1.11.1 (Ulp. 26 ad ed.); D. 12.1.22 (Iul 4 ex Minicio);
D. 13.3.4 (Gai. 9 ad ed. prov.); D. 22.1.41.1 (Mod. 3 resp.).
118
Come vuole GIRARD, Manuel élémentaire, cit., 630 nt. 5.

.
28 Paolo Costa

Qui si vede con chiarezza che, secondo Sabino (e Giuliano che lo cita
senza dissentire), il tempo (e il luogo) convenuto per l’esecuzione avevano
efficacia per l’aestimatio litis: Grosso119 ritiene probabile che il dies conve-
nuto per la restituzione potesse essere un elemento inerente al mutuo e
suffraga tale tesi indicando il passo di Gaio (3.90) da cui si ricava la
nozione di mutuo come di un contratto in cui avviene la dazione di una
determinata quantità di cose fungibili120 ut accipientium fiant et quandoque nobis
non eadem, sed alia eiusdem naturae reddantur: il quandoque apparirebbe tollerare
la fissazione di un termine per la restituzione e questa possibilità rientre-
rebbe nel concetto stesso di mutuo; sia chiaro però che da tale considera-
zione Grosso non trae una presa di posizione favorevole al ricono-
scimento di una generale inerenza a tale contratto dei pacta adiecta in conti-
nenti. Le conclusioni di Grosso, intermedie tra chi nega ogni rilevanza del-
la statuizione di un dies nel mutuo e chi invece la sostiene, sono accettate
dall’Astuti121, ma in parte emendate, in tempi più recenti, dalla Sacconi122
che sottolinea che per Gaio l’intesa comporti che le cose mutuate vengano
restituite, ma non si precisa se la data di restituzione possa essere oggetto
di un esplicito accordo. Sacconi ammette che D. 12.1.22 fornisca un argo-
mento per sostenere la possibilità di un’intesa esplicita circa il tempo di
restituzione della res di cui tenersi conto per la litis aestimatio, ma sottolinea
che si tratta del caso di un mutuo di derrate e che non si hanno testimo-
nianze nel caso di mutuo di pecunia. Secondo la Sacconi la conventio poteva
contenere un termine per la restituzione e tale termine sarebbe divenuto
integrante l’obligatio 123, ma quello che per noi rileva è che qui il termine si
configuri ancora come dies a quo: l’obligatio sorge immediatamente, ma per
esigere la prestazione deve attendersi la scadenza del dies, pena una pluris
petitio tempore. Va ribadito, per evitare fraintendimenti, che, invece, il dies

119
GROSSO, Efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia. Patti e contratti, cit., 8 (= 90). Tesi poi ribadita
in GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 176. Il nostro passo è normalmente posto in compa-
razione con D. 13.3.4 (Gai. 9 ad ed. prov.) in tema di adiectio loci.
120
Si ricordi che questo attributo, di cui anch’io d’ora innanzi farò uso, non si rinviene nelle
fonti giuridiche romane, nelle quali si trovano piuttosto espressioni come: res quae pondere numero
mensura constant (o consistunt o continentur o valent); cfr. D. 12.1.2.1 (Paul. 28 ad ed.); D. 23.3.42 (Gai 11
ad ed. prov.); D. 30.30 pr. (Ulp. 19 ad Sab.); D. 35.2.1.7 (Paul. lib. sing. ad. leg. Falc.); D. 44.7.1.2
(Gai. 2 aur.); I. 3.14 pr.; cfr. G. GROSSO, Corso di diritto romano. Le cose, Torino 1941, 261 ss. (rist. in
RDR. 1 [2001], 167 ss.).
121
ASTUTI, Studi, I, cit., 48.
122
G. SACCONI, Conventio e mutuum, in Index 15 (1987), 423; così anche PULITANÒ, De eo quod
certo loco, cit., 68 ss., cui rinvio per l’approfondimento del tema e la citazione della letteratura
precedente.
123
Ad un dies creditae pecuniae allude anche D. 26.7.8. Cfr. M. KASER, Mutuum und stipulatio, in
Eranion in honorem G. S. Marikadis, I, Athenai 1963, 170 ss. (= ID., Ausgewählte Schriften II, Napoli
1976, 288 ss.).

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 29

constituti rappresenta un dies intra quem e che per tale finalità le fonti non
sembrano offrire alternative alla conclusione di un constitutum debiti. La
struttura rigida del negozio e della sua tutela processuale a proposito del
mutuo (e in particolare il mutuo di denaro, poiché per gli altri genera già si
è vista la maggiore apertura dei sabiniani quanto al tempo di riferimento
per la litis aestimatio) impediva riconoscimenti di efficacia alla statuizione
della scadenza e apprezzamenti del corrispondente interesse del creditore:
lo stesso limite si verificava anche per la condictio certae rei. Riguardo ad un
possibile avvicinamento, almeno in punto di efficacia pratica, del consti-
tutum ai pacta adiecta, deve sottolinearsi che il constitutum non può confon-
dersi con tali patti, perché, mentre un pactum adiectum in un giudizio di
stretto diritto spiega efficacia in quanto appartenente alla genesi del
negozio tutelato e rivestito della sua forma, invece il constitutum aveva una
speciale e autonoma tutela edittale. Da ciò consegue che non può appli-
carsi al costituto la distinzione intercorrente per i pacta adiecta tra pacta in
continenti e ex intervallo, che sicuramente è stata generalizzata dai bizantini e
che sarebbe, in ogni caso, difficilmente riferibile ai patti relativi al mutuo,
così come alla stipulatio124. Dunque quello che va sottolineato del costituto
non è il suo susseguire in continenti o ex intervallo al debitum, bensì il suo porsi
in relazione di accessorietà con l’obbligazione principale.

2.3. – Per una rilettura di D. 13.5.14.3 (Ulp. 27 ad ed.)


Dalla discussione delle diverse posizioni dogmatiche fin qui presentate
appare chiaro che non può più accogliersi la qualificazione del constitutum
come pactum inteso in senso tecnico, perché le caratteristiche strutturali dei
due istituti confliggono. In base a ciò, tuttavia, non sarebbe ragionevole
pretermettere il problema della presenza di D. 13.5.14.3, semplicemente
congetturando che si tratti di un luogo interpolato. Credo piuttosto che
sia da sottolineare come qui Ulpiano non utilizzi la forma sostantivale
pactum, bensì quella verbale nella diatesi deponente pacisci, richiamando, a
parer mio, tutta la portata semantica che il verbo in tale forma comporta.
La Biscotti raggiunge di recente su questo tema alcuni risultati che mi
sembrano applicabili anche al nostro passo, da lei non commentato, né
citato nella sua pur assai documentata monografia. Muovendo da alcune
testimonianze letterarie di età repubblicana, in particolare plautine125,
l’Autrice ipotizza che la diatesi deponente pacisci, che sostituisce, secondo
un’evoluzione che non trova spiegazioni convincenti neppure negli studi

124
S. RICCOBONO, Stipulatio ed instrumentum nel diritto giustinianeo, in ZSS. 43 (1922), 344 ss.;
GROSSO, Efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia. Patti e contratti, cit., 5; ASTUTI, Studi, I, cit., 60; ID., I
contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, cit., 69.
125
Plaut. Aul. 200 ss. 254 ss.; Asin. 734; Bacchid. 865-871 e 879-883; Poen. 1155-1157; Pseud.
225; cfr. BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 123 ss. spec. 129-132.

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30 Paolo Costa

dei filologi126, la forma pacere delle XII Tavole e il paciscere che si incontra
solo in un passo di Nevio (Bell. Pun. 7), arricchisca il verbo di un significato
più puntuale e specifico rispetto all’originario. Oltre al fondamentale
contenuto semantico di ‘ristabilire la pace, riequilibrando una situazione’,
il verbo pacisci si venerebbe di sfumature di significato, tipiche dei depo-
nenti, che richiamano l’idea del ‘compiere alcunché nel proprio interesse’
e cioè di ‘fare l’atto del pacere nel proprio vantaggio’, sottolineando così la
centralità dell’agente, che sarebbe colui che ha uno specifico e peculiare
interesse a che si realizzi l’azione oggetto del pacisci al posto di un’altra per
lui più dannosa. Secondo la Biscotti il passaggio al sostantivo pactum, che
reca seco l’impronta del tempo perfetto del modo participio nel significato
di ‘ciò che è stato pactum’, porrebbe maggiormente in ombra il ruolo del-
l’agente, in quanto l’azione è ormai data per compiuta, mentre farebbe
risaltare la posizione del soggetto che ne beneficia, su cui ricadono gli
effetti dell’azione. Anche commentando il noto passo di D. 50.17.73.4
(Q. M. Scaev. l. s. o™rwn)127, l’Autrice individua nel pacisci gli elementi dello
scambio riequilibratore e dell’unilateralità dell’atto sul piano della strut-
tura, benché sul piano genetico inizi ad avere un rilievo maggiore l’ele-
mento del consenso, che avrà un ruolo centrale nelle figure contrattuali
che lentamente vanno emergendo e che, secondo la Biscotti, hanno
addentellati riconducibili alla medesima area concettuale del pacisci 128.
Esaminando alcuni passi di Alfeno Varo, tra cui soprattutto D. 18.1.40 pr.
(Paul. 4 epitom. Alfeni dig.), l’Autrice129 individua la presenza nel verbo
pacisci di un’impronta di unilateralità130 che è rafforzata dal suo uso sinoni-
mico, in questo passo alfeniano, con la locuzione legem dicere, cosicché il
pacisci acquisisce una portata semantica assai simile a quella di ‘statuire
unilateralmente’, benché tale unilateralità soggettiva venga attenuata
dalla bilateralità oggettiva del contenuto della statuizione, cioè di quanto
si va a stabilire con l’atto del pacisci: può dirsi, in breve, che divenga
sempre più rilevante la volontà delle parti limitatamente al regolamento
del negozio concluso. La Biscotti risolve131 la sua ricerca ipotizzando che
in età tardo-repubblicana l’atto di pacisci si caratterizzasse per due
elementi contenutistici e uno formale: gli elementi contenutistici sono il

126
Cfr. P. FLOBERT, Les verbes déponents latins de origines à Charlemagne, Paris 1975, 62, 289,
357 ss.
127
D. 50.17.73.4: Nec paciscendo nec legem dicendo nec stipulando quisquam alteri cavere potest, su cui
cfr. BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 147 ss., ove letteratura precedente.
128
BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 157.
129
Cfr. B. BISCOTTI, Il mercante e il contadino, in Labeo 45 (1999), 368 ss.; EAD., Dal pacere ai
pacta conventa, cit., 333 ss., ove letteratura precedente.
130
BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 351.
131
BISCOTTI, Op. ult. cit., 412 ss.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 31

primo funzionale, consistente nell’essere un mezzo per realizzare la


volontà di mantenere un pacifico equilibrio personale e patrimoniale tra
consociati, e l’altro strumentale, consistente nel permettere la ricerca del-
l’equo scambio tra le parti, contemperante gli interessi, che si pone in
prospettiva teleologica rispetto all’elemento funzionale; la caratterizza-
zione formale è ravvisata nell’unilateralità soggettiva dell’atto di pacisci,
che si configura sempre come offerta di una parte finalizzata ad ottenere
alcunché dall’altra. Tale ultima caratteristica evolverebbe con la progres-
siva emersione ed accentuazione dell’elemento dell’accordo tra i due paci-
scenti volto a conseguire uno spostamento di ricchezza, o la soddisfazione
di interessi, senza vulnerare, bensì mantenendo e, ancor più, agevolando
la conservazione dell’equilibrio tra gli interessi stessi.
Le ricerche della Biscotti mi sembrano di sicura utilità per ipotizzare
una rilettura del frammento ulpianeo da cui ci siamo mossi. Può pensarsi,
innanzitutto, che con questa proposizione parentetica Ulpiano non
volesse indicare una categoria giuridica cui ricondurre i constituta: se
questo fosse stato l’obiettivo del giurista mi sembrerebbe difficilmente
spiegabile l’utilizzo dell’infinito invece del participio perfetto sostantivato
– per di più in questa costruzione del periodo in cui il riferimento al
pacisci è solo incidentale; in ogni caso, si potrebbe immaginare che si
riscontrerebbero nelle fonti altri luoghi in cui è utilizzato il concetto di
pacisci, e ancor più il sostantivo pactum ad indicare il constitutum. Proprio il
carattere incidentale del riferimento, l’utilizzo del verbo al modo infinito
e soprattutto la simmetrica specularità con il verbo constituere, che apre il
frammento, anch’esso all’infinito, mi pare che faccia pensare piuttosto ad
una funzione esemplificativo-esplicativa della parentesi posta nel discorso
ulpianeo. La mia opinione è che qui Ulpiano volesse comparare il consti-
tuere al pacisci e non sussumere il primo nell’area concettuale del secondo:
sul piano dogmatico la comparazione, finanche analogica, è natural-
mente cosa ben diversa rispetto ad un’assorbente sussunzione. Il constituere
risulterebbe così più intelligibile per il lettore del commentario ulpianeo
perché vengono richiamate le caratteristiche non tanto del pactum, inteso
in senso tecnico-giuridico, quanto piuttosto del pacisci, inteso probabil-
mente con il significato che aveva nel linguaggio meno specialistico.
Proprio la portata semantica di pacisci, come ricostruita dalla Biscotti, ben
si attaglia, in effetti, ad un avvicinamento al significato di constituere:
studiando gli usi linguistici si è visto come ricorra nel contenuto di senso
di entrambi i verbi la tensione tra l’unilateralità dell’atto della statuizione
ed il coinvolgimento consensuale di altri soggetti che sarebbero stati inve-
stiti dagli effetti della statuizione. Nel constituere, come nel pacisci, può
vedersi un momento genetico unilaterale, con la statuizione di alcunché
da parte di un soggetto e poi un’evoluzione consensuale della dinamica
del rapporto.

.
32 Paolo Costa

Il passo, come già detto, non può non essere posto in riferimento con
il regime della stipulatio; pare che Ulpiano voglia proprio elencare i requi-
siti che distinguono il constitutum dalla stipulatio: la possibile conclusione
inter absentes, per nuntium e quibuscumque verbis. Nel constitutum come nei patti
non c’era il rigore formale caratterizzante la stipulatio e qui ci interessa
sottolineare il collegamento semantico tra l’area del pacisci e quella del
constituere e come alcune modalizzazioni giuridiche del fenomeno pattizio
assonino con le dinamiche genetiche e operative del constitutum. Ciò ci
permette di concludere che il constitutum non sia riconducibile alla cate-
goria dei patti e quindi sia scorretta dogmaticamente l’inclusione nei pacta
praetoria che si è tralatiziamente reiterata in dottrina, ma, ciononostante,
deve riconoscersi che il constitutum abbia un contenuto intimamente
pattizio, se con questo attributo si intende una consensualità di effetti e di
riflessi sulla sfera giuridica individuale; si ricordi però che usiamo una
qualificazione che è il precipitato storico della tradizione medievale, con
tutte le influenze che, nella formazione di tale concetto, hanno avuto la
scienza canonista e il contatto con le consuetudini dell’area germanica.

2.4. – Carattere consensuale o unilaterale del constitutum


Le conclusioni raggiunte sull’area semantica di constituere e ancor più
sui rapporti con l’area del pacisci ci consentono di affrontare il cruciale
nodo del carattere consensuale o unilaterale del constitutum: la dottrina
propende per la tesi della formazione unilaterale, ma l’aspetto formale
non è sufficiente a risolvere il problema sostanziale. Sul piano linguistico
già si è rilevato (supra § 1.3) che l’attribuzione di un valore semantico deci-
sivo alla preposizione cum, che appartiene all’etimo di constituere, forse è
ipotizzabile per le origini dell’istituto, ma non è difendibile per gli usi che
constano dalle fonti, in cui il costrutto constituere alicui se soluturum132 fa risal-
tare la volontà del debitore, mentre non è conferito alcun rilievo letterale
alla volontà del creditore133. Bruns e Philippin, seguiti da Astuti e dalla
Karadeniz134, ritengono che la forma del constitutum sia quella di una
dichiarazione unilaterale e l’idea della convenzione trovi emersione solo
per la presenza del riferimento al creditore, che sotto il profilo grammati-

132
Cfr. P.S. 2.2.1.9; D. 13.5.2; 13.5.3.2; 13.5.4; 13.5.5 pr., 1, 4, 5, 6; 13.5.8; 13.5.11 pr.;
13.5.13; 13.5.14 pr.; 13.5.18.1; 13.5.19.2; 13.5.21 pr., 2; 13.5.23; 13.5.28; 46.3.59; CI. 4.18.1; I. 4.6.
133
L’unico frammento in cui l’espressione constituere quis potest è riferita al creditore è
D. 13.5.16.1, ma deve dirsi che esso è considerato probabilmente rimaneggiato da B. BIONDI, Di
nuovo sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, in BIDR. 26 (1913), 21, seguito da ASTUTI, Studi, I, cit.,
118.
134
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 299; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 14; ASTUTI, Studi,
II, cit., 13 ss.; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, cit., 55 ss. Queste soprattutto
sono le opere monografiche che hanno condizionato la maggior parte della manualistica succes-
siva.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 33

cale è reso con l’uso del caso dativo. Segrè135 compara il momento gene-
tico del constitutum e quello della stipulatio, rilevando il discrimen nel fatto che
l’efficacia del primo dipende soltanto dalla dichiarazione del debitore e
non solo non è necessaria una precedente interrogazione orale o scritta
del creditore, ma essa, qualora vi fosse, sarebbe un elemento di fatto, inin-
fluente e mai indispensabile. Marrone136 sottolinea che nella prassi la
dichiarazione del costituente fosse probabilmente non solo accettata, ma
sollecitata dal creditore che ne avrebbe tratto vantaggio.
D. 13.5.1 pr. sembra militare contro l’impostazione unilateralistica:
Hoc edicto praetor favet naturali aequitati, qui constituta ex consensu facta custodit,
quoniam grave est fidem fallere. Tuttavia, in questo testo137, il costrutto ex
consensu non va inteso come implicante la necessità di una espressa dichia-
razione del creditore per vincolare il debitore, bensì deve dirsi che il
comportamento del creditore possa configurarsi come meramente recet-
tizio della dichiarazione unilaterale (vincolante) del debitore, tanto più
che nei testi non si dà testimonianza di casi o modi di manifestazione del
consenso da parte del creditore. Ciò si spiega anche dal punto di vista
pratico, perché dal costituto non sarebbe potuto discendere alcun pregiu-
dizio in capo al creditore.
In modo assai conciso, ma molto convincente, Burdese138, in critica
alla lettura di Magdelain che vede nel constitutum un esempio del riconosci-
mento pretorio del consensualismo, scrive che non vi sono fondate ragioni
per escludere la sostanziale classicità del richiamo al consenso contenuto
nel frammento riportato, ma ribadisce che l’intervento del creditore non

135
SEGRÈ, Le garanzie personali, I, cit., 269 nt. 1. Cfr. anche PHILIPPIN, Le pacte de constitut,
cit., 49.
136
MARRONE, Istituzioni, cit., 510.
137
La genuinità di questo passo è stata spesso contestata per il richiamo alla naturalis aequitas
ed alla fides e per lo stile enfatico, che sembrano di matrice bizantina: F. PRINGSHEIM, Ius aequum
und ius strictum, in ZSS. 42 (1921), 667 nt. 5; ID., Beryt und Bologna, in Symbolae Friburgenses in honorem
O. Lenel, Leipzig 1931, 267; V. DE VILLA, Studi sull’obligatio naturalis in Studi sassaresi 17 (1939), 65;
ROUSSIER, Le constitut, cit., 13. ASTUTI, Studi, II, cit., 14-15, si pone in una posizione piuttosto
ambigua, mentre a favore della sostanziale classicità del richiamo al consenso si levano le voci
della dottrina più moderna: TONDO, In tema di constitutum debiti, cit., 220; A. BURDESE, Rec. a
ROUSSIER, Le constitut, cit., in Iura 10 (1959), 222; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum
debiti, cit., 144; RICART MARTÌ, Constitutum debiti, cit., 698 ss.; VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit.,
330 nt. 7 (= Studi Martini, III, cit., 830 nt. 7).
138
A. BURDESE, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., in Iura 10 (1959), 213-214; ID., sv.
Patto (diritto romano), cit., 711. L’impostazione del Magdelain incontra analoghe critiche anche da
parte di L. AMIRANTE, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., in BIDR. 63 (1960), 297 ss. (sul
constitutum cfr. pp. 310-311). Anche U. BRASIELLO, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., in
SDHI. 25 (1959), 470, disapprova l’impostazione del Magdelain, ritenendo che la protezione
pretoria accordata al costituto non si fondi sull’elemento soggettivo, in particolare sul consenso,
perché esso non rappresenta l’aspetto concreto e basilare dell’istituto, ma ha un valore secon-
dario. Il Brasiello segue una linea interpretativa di forte svalutazione dell’elemento del consenso
nei negozi giuridici, già proposta in uno studio precedente, che pare – al lume della riflessione
successiva – in gran parte superata; cfr. ID., Sull’elemento subiettivo nei contratti, cit., 103-130.

.
34 Paolo Costa

dovesse in pratica venire a rilievo quale requisito di validità dell’atto,


sembrando sufficiente la dichiarazione unilaterale del debitore, purché
portata a conoscenza del creditore e in assenza di una sua contraria mani-
festazione di volontà, cioè in presenza di una sorta di tacito consenso. La
Ricart Martì139 dubita del carattere unilaterale del constitutum, sostenendo
che normalmente gli atti, la cui costituzione è unilaterale, sono solenni e
formali, mentre il constitutum sarebbe sicuramente informale. Tale posi-
zione si scontra con la più convincente rilettura della La Rosa140 che
propende per la genesi formale del negozio, tanto più che la Ricart
chiama in suffragio i testi che proverebbero la possibilità di concludere
constituta mediante epistulae141, che sono proprio quelli che La Rosa dimo-
stra – con argomenti persuasivi – essere a tal fine non probanti. Tuttavia
la posizione della Ricart può essere accolta laddove sottolinea che per il
costituto occorra comunque un accordo delle volontà del debitore e del
creditore limitatamente alla fissazione del termine per il pagamento e alle
altre condizioni.
Il problema che comunque si pone è quello della forma del consenso
del creditore: taluni Autori sostengono che potesse essere tacito142 e la
questione che si apre, accettando tale ipotesi, è quella del momento del
perfezionamento del negozio143 : la soluzione più ragionevole, benché non
del tutto immune da critiche specialmente in punto di verificabilità
pratica di tale momento, ritengo che sia farlo coincidere con quello della
ricezione da parte del creditore della dichiarazione unilaterale del debi-
tore144 : dal consenso, pur tacito, del creditore non penso che si possa
prescindere per il principio di sovranità sulla propria sfera giuridica che
va comunque rispettato; tanto più che può pensarsi che sovente fosse il
creditore stesso a sollecitare, quando non ad imporre, il constitutum. Se si
vuole usare una definizione di sintesi, ritengo che si potrebbe definire il
constitutum come un atto costitutivamente unilaterale ma sostanzialmente bilate-
rale e consensuale. In ogni caso, tale ultimo profilo – come quello riguar-
dante i rapporti tra constituere e pacisci – andrebbe speculato più
dall’angolatura d’indagine metagiuridica e sociale, che non da quella che
si sforzi vanamente di ricercare la sussunzione ad un concetto specifico145,

139
RICART MARTÌ, Constitutum debiti, cit., 698.
140
LA ROSA, Il formalismo del pretore, cit., passim.
141
D. 13.5.5.3; D. 13.5.24; D. 13.5.26; D.13.5.31.
142
CUQ, Manuel des institutions iuridiques des Romains, cit., 512.
143
Problema analogo a quello che poneva l’art. 36 Codice di Commercio e che pone
l’art. 1333 del Codice Civile.
144
Cfr. SEGRÈ, Le garanzie personali, I, cit., 269 nt. 1, 299; ASTUTI, Studi, II, cit., 20;
BURDESE, Rec. a ROUSSIER, cit., 223; ID., Manuale, cit., 491; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda
constitutum debiti, cit., 89-90.
145
Mi pare che avesse colto nel segno LÉVY-BRUHL, Rec. a ROUSSIER, cit., 107-108: «nous
somme en présence d’une declaration unilatérale du constituant, productrice d’obligation, et

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 35

tanto più che è possibile pensare che a livello di tassonomia delle figure
giuridiche il constitutum fosse fatto rientrare nell’actum, inteso come verbum
generale, secondo la nota classificazione ulpianea (D. 50.16.19 [Ulp. 11 ad
ed.]).
Un modello146, pur lontano, potrebbe trovarsi in due istituti del ius
civile di cui si ha traccia nel manuale gaiano dopo l’esposizione della stipu-
latio e sempre nell’alveo della trattazione delle obligationes verbis contractae: la
dotis dictio e la promissio iurata liberti 147. Quanto alla dotis dictio la dottrina 148
sottolinea che la circostanza che l’atto si perfezioni uno loquente non sia
decisiva per escludere che si tratti di un negozio bilaterale, sostanzial-
mente assimilabile ad un contratto, poiché lo sponsus, cioè il marito dota-
tario, è presente e accetta tacitamente la promessa149. È proprio dando
alla dotis dictio questa lettura sostanziale che si possono scorgere tratti di
somiglianza con il constitutum. Il carattere bilaterale della promissio iurata
liberti è ancora più stemperato, ma non si può negare anche qui il peso di
un’accettazione tacita dell’impegno da parte del dominus (poi patronus) che,
infatti, si dispone a dar luogo alla manumissio anche in ragione del fatto che
vi sia stato il giuramento del servus.
A sostegno della considerazione del rilievo che non può non avere,
nella formazione del vincolo, l’approvazione, pur solo tacita, del credi-
tore, si aggiunga che il constitutum genera, probabilmente – e pur con

sanctionnée par une action spéciale prétorienne, de pecunia constituta, si elle n’est pas exécutée. [...]
Dans la réalité, la fixation d’une date précise a beau être le fait du débiteur et provenir de sa
déclaration, elle n’est pas moins suggérée, et pour tout dire, imposée par le créancier, de telle
sorte que si juridiquement le constitut n’est pas une convention, il est une socialement». Su
D. 50.16.19 (Ulp. 11 ad ed.) cfr. T. DALLA MASSARA, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione
di un concetto nella giurisprudenza classica, Padova 2004, 111 ss., ove letteratura precedente.
146
Cfr. per analogo, benché non approfondito, richiamo LA ROSA, Il formalismo del pretore,
cit., 211.
147
Su questi istituti cfr. A. ORTEGA CARILLO DE ALBORNOZ, Dotis dictio. Iusiurandum liberti,
in Derecho romano de obligaciones, cit., 481 ss., ove ampia bibliografia. Specificamente sul valore reli-
gioso della promissio iurata liberti cfr. C. ST. TOMULESCU, Sulla forma del iusiurandum liberti, in RIDA.
15 (1968), 460 ss.
148
C. SANFILIPPO, Corso di diritto romano. La dote, Catania 1959, 73.
149
Una conferma di tale carattere sostanzialmente bilaterale, almeno dal punto di vista degli
effetti e dell’atteggiarsi della volontà dei soggetti coinvolti, si ha anche da una risalente fonte lette-
raria (Terent., Andria 950-951), certamente atecnica (cfr. G. FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma
antica. Dall’età arcaica al principato, Torino 19953, 188 nt. 38), ma rilevante per valutare l’atto
secondo l’angolatura prospettica della sua sostanza negoziale: nel dialogo, infatti, lo sposo
risponde accipio alla dotis dictio. Con ciò non voglio, ovviamente sostenere la necessità di un’accet-
tazione espressa da parte del futuro marito (così: A. BECHMANN, Das Römische Dotalrecht, II,
Erlangen 1867, 87 nt. 1 e 98; K. CZYHLARZ, Das Römische Dotalrecht, Giessen 1870, 114;
KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1, cit., 201; R. LEONHARD, Dictio dotis, in PWRE. 5.1 (1903),
391; G. ROTONDI, Fonti delle obbligazioni, in Studii varii di diritto romano ed attuale, ed. P. DE FRAN-
CISCI, Pavia 1922, 493), ma mi interessa sottolineare la natura non di mero atto unilaterale bensì
di atto sostanzialmente bilaterale della dotis dictio (così ORTEGA CARILLO DE ALBORNOZ, Dotis
dictio. Iusiurandum liberti, cit., 484; cfr. anche dello stesso Ortega: Dotis dictio, Bolonia 1975, 17 ss.
43 ss. e P. ELLWOOD CORBETT, The Roman Law of Marriage, Oxford 1969, 163).

.
36 Paolo Costa

alcuni limiti – anche un vincolo accessorio del creditore accettante verso il


debitore costituente che è quello di non agire ante diem constituti, secondo
una dinamica assimilabile a quella del pactum de non petendo ad tempus, rite-
nuto implicito nell’accettazione del constitutum. Tale vincolo in capo al
creditore consiste non tanto in un obbligo quanto in una rinuncia nel
tempo, che si può far valere ope exceptionis 150 e che certo non può prescin-
dere dal consenso del creditore.

2.5. – Il constitutum e la fides


Il titolo 13.5 del Digesto si apre – come già visto151 – con un icastico
frammento ulpianeo152 :
D. 13.5.1 pr. (Ulp. 27 ad ed.): Hoc edicto favet naturali aequitati: qui constituta ex
consensu facta custodit, quoniam grave est fidem fallere.

In tale luogo ulpianeo il fidem fallere sembra ripetere i lapidari passi di


Cicerone (perfidiosum et nefarium est fidem frangere [Pro Caecina 3.7]) e di
Seneca (non honestius erat a quibusdam fidem falli, quam ab omnibus perfidiam
timeri [De beneficiis 3.15.3]), che ben compendiano tutta la carica di lesione
dei valori sacri della parola data che si integra con la violazione della fides.
In un altro frammento dello stesso titolo si legge:
D. 13.5.25 pr. (Pap. 8 quaest.): Illud aut illud debuit et constituit alterum: an vel alterum
quod non constituit solvere possit, quaesitum est. Dixi non esse audiendum, si velit hodie fidem
constitutae rei frangere153.

150
ASTUTI, Studi, II, cit., 13 nt. 5; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti,
cit., 60.
151
Supra § 2.4.
152
Per il rilievo della naturalis aequitas richiamata in questo frammento che apre il titolo de
pecunia constituta cfr. U. BABUSIAUX, Zur Funktion der aequitas naturalis in Ulpians Ediktlaudationen, in
Testi e problemi del giusnaturalismo romano, edd. D. MANTOVANI – A. SCHIAVONE, Pavia 2007,
603 ss. spec. 633-634, ove cita D. 4.4.1 pr. (Ulp. 11 ad ed.), altro frammento incipitario di un titolo
(De minoribus viginti quinque annis) in cui si rinviene il riferimento alla naturalis aequitas. Ancora più
recente lo studio di G. FALCONE, L’esordio del commento ulpianeo all’editto sui patti (D. 2.14.1 pr.) tra
critica testuale e studio dei percorsi concettuali, in AUPA. 53 (2009), 223-254, ove in riferimento al nostro
passo (p. 230 nt. 13) si legge: «Ulpiano afferma che l’aequitas naturalis è assecondata da un editto
con cui il pretore “custodisce” il constitutum: tanto più siamo incoraggiati a riconoscere una mede-
sima prospettiva nella laudatio dell’editto De pactis et conventionibus [scil. D. 2.14.1 pr.], in quanto, in
questo caso, l’idea del “custodire” da parte del magistrato era esplicitamente formulata negli
stessi verba praetoris: pacta conventa ... servabo. In sostanza, secondo la lettura che mi pare preferibile,
quel che Ulpiano assume come massimamente ‘congruo alla fides humana’ è l’intervento nomo-
poietico del pretore, nel senso che esso mette a disposizione una tutela giurisdizionale vòlta ad
assicurare la realizzazione della fides humana. Si tratta, a ben vedere, di un ordine di idee ancora
una volta analogo a quello espresso nella laudatio di D. 13.5.1 pr. or ora richiamata: anche in
quest’ultima, infatti, vi è un valore ideale – anzi, il medesimo valore ideale di cui è espressione la
fides humana, e cioè l’aequitas naturalis – che viene raffigurato come “assecondato”, “favorito” da
un editto».
153
La dottrina interpolazionista considera compilatorio il riferimento in questo luogo alla
fides. Cfr. G. BESELER, Einzelne Stellen, in ZSS. 45 (1925), Per un’argomentata ed aggiornata
critica alle posizioni di Beseler sul tema cfr. G. FALCONE, Op. ult. cit., passim.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 37

La fides, com’è noto, rappresenta il fondamento e la misura degli


obblighi tutelati dal pretore e la base su cui poggiano alcuni strumenti
processuali che il pretore appronta, cioè i bonae fidei iudicia154. Già il
Bruns155 sottolinea come proprio la tutela della fides rappresenti il primo
motivo della protezione edittale del constitutum, particolarmente gravosa
per l’inadempiente data la presenza della sponsio dimidiae partis, e, proprio
muovendo – pur non come dato dirimente – dal riferimento alla fides, il
giusromanista tedesco ipotizza l’originaria natura penale156 dell’actio de
pecunia constituta; l’Astuti157 svaluta questa considerazione dicendola non
specificamente probante perché applicabile ad ogni patto e promessa,
collegata o meno ad un debito preesistente, e non significativa per spie-
gare le ragioni dell’intervento pretorio ed incentra la sua analisi molto più
sull’importanza dell’adiectio diei. A mio parere le posizioni di Bruns e di
Astuti sono complementari e non alternative: sia l’elemento del dies sia
quello della fides concorrono a formare i presupposti, pratici ancor prima
che tecnico-giuridici, della tutela del constitutum158.
Il richiamo alla fides si trova anche nella già menzionata lettera di
Cicerone ad Attico:
Cic, Ad Atticum 16.15.5: scis nos pridem iam constituisse Montani nomine HS XXV
dissolvere. Pudentissime hoc Cicero petierat ut fide sua.

Qui si può rintracciare un uso etico, metagiuridico della fides: appunto


sulla fides intesa in questa accezione ritengo che si fondassero i primi
rapporti riconducibili a quella che diverrà la situazione giuridica qualifi-
cabile come pecunia constituta, una volta intervenuta la protezione pretoria,
secondo una dinamica parzialmente simile a quella che porta alcune
figure contrattuali a trovare protezione nei giudizi di buona fede159. Sia

154
Cfr. M. BIANCHINI, Diritto commerciale nel diritto romano, in Dig. Comm. 4 (1989), 322. Sui
bonae fidei iudicia cfr. di recente: C. A. CANNATA, Bona fides e strutture processuali, in Il ruolo della buona
fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del convegno internazionale di studi in onore di
A. Burdese (Padova – Venezia – Treviso, 14-15-16 giugno 2001), ed. L. GAROFALO, Padova 2003, I,
257-273 e A. FERNÁNDEZ DE BUJÁN, De los arbitria bonae fidei pretorios a los iudicia bonae fidei civiles,
in Il ruolo della buona fede oggettiva, cit., II, 31-57, ove letteratura precedente.
155
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 243 ss.
156
Così anche GIRARD, Manuel élémentaire, cit., 640; P. HUVELIN, Cours élémentaire de droit
romain, II, Paris 1929, 108 ss.; SEGRÈ, Le garanzie personali I, cit., 253. Per il problema del carattere
penale o reipersecutorio dell’actio de pecunia constituta cfr. TONDO, In tema di constitutum debiti, cit.,
218 ss., ove discussione della letteratura precedente; per una rilettura personale del tema, cfr.
FREZZA, Questioni esegetiche, cit., 707-708 (= ID., Scritti, II, cit., 323-324); ID., Le garanzie personali, I,
cit., 235-238).
157
ASTUTI, Studi, I, cit., 24 ss.
158
Cfr. L. FASCIONE, Storia del diritto privato romano, Torino 20082, 415: «nella promessa c’è
già l’aspettativa del suo mantenimento: fidem fallere, cioè tradire l’impegno assunto secondo la
fides, è un qualcosa di nuovo che è aggiunto all’obbligazione preesistente, forse solo civile,
facendo riferimento a valori dello ius gentium».
159
Cfr. M. KASER – K. HACKL, Das römische Zivilprozessrecht, München 19962, 154 e nt. 31,
ove letteratura.

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38 Paolo Costa

subito premesso che ovviamente la pecunia constituta non trova tutela in un


giudizio di buona fede, ma proprio per questo è ancora più utile speculare
il concetto di fides, che nel nostro istituto si incontrerebbe ancora non così
evoluto da rappresentare il fondamento tecnico della tutela edittale, bensì
soltanto nel suo fondamento metagiuridico, pratico, se si vuole,‘etico’.
Martini160, in un suo recente intervento proprio sul valore metagiuridico
della fides, in particolar modo vista nel suo rapporto con la pı¥stiv greca,
ha ripreso un passo di Aristotele (Etica a Nicomaco, 8.13.5-7 [1162b]), che
mi pare ai nostri fini assai utile:
e¶sti dhù nomikhù meùn hΩ eßpıù rßhtoı̃v, hΩ meùn pa¥mpan aßgoraia eßk xeiroùv eıßv xeı̃ra, hΩ deù
eßleyueriwte¥ra eıßv xro¥non, kau#deù tı¥ aßntıù tı¥nov . dh̃lon d#eßn tay¥tq toù oßfeı¥lma koyùk
aßmfı¥logon, filikoùn deù thùn aßnabolhùn e¶xei . dioù parß eßnı¥oiv oyùk eıßsı¥n toy¥twn dı¥kai, aßll#
oı¶ontai deı̃n ste¥rgein toyùv kataù pı¥stin synalla¥jontav 161.

All’interno di un discorso sui diversi tipi di amicizia162 fondata sull’uti-


lità, lo Stagirita, parlando dell’amicizia giuridica, specifica che essa si
distingue in un’amicizia commerciale, che è quella che si realizza sulla
piazza, cioè con patti espliciti, e che riguarda lo scambio immediato (eßk
xeiroùv eıßv xeı̃ra), ed in un’amicizia più liberale che ha una proiezione nel
futuro e che si basa sullo scambio di cosa contro cosa: in questo secondo
caso il differimento rappresenta qualcosa di amichevole, tanto che presso
alcuni popoli per situazioni siffatte non sono date tutele processuali, e
coloro tra i quali intercorrono tali rapporti devono rassegnarsi al solo rife-
rimento alla pı¥stiv.
Naturalmente il tema della proiezione nel tempo della soggezione
debitoria riguarda in generale il problema della nascita dell’obbligazione
e della pendenza del vincolo, ma a me interessa sottolineare come la
pı¥stiv sia richiamata a fondamento di tale differimento, perché la base
pratica ed etica è la stessa che fonda i rapporti in cui s’inserisce un consti-
tutum.
Il rispetto della fides, e cioè della parola data, pur al di fuori di ogni
giuramento, è un elemento che inerisce alla struttura fondativa del diritto

160
R. MARTINI, Fides e pistis in materia contrattuale, in Il ruolo della buona fede oggettiva, cit., II, 442-
443; ID., Diritti greci, Bologna 2005, 70-71. Passo già richiamato per altri fini da A. MAFFI, Synal-
lagma e obbligazioni in Aristotele: spunti critici, in Atti del II Seminario Romanistico Gardesano (12-14 giugno
1978), Milano 1980, 19. Per un’analisi approfondita e ricca di citazioni sul ruolo della fides nella
tutela degli accordi cfr. anche G. FALCONE, L’esordio del commento ulpianeo, cit., 226-233.
161
Trad.: «L’amicizia giuridica si realizza sulla piazza, cioè con patti espliciti ed è di due
specie, quella strettamente commerciale si attua come scambio immediato, di mano in mano;
l’altra, più liberale, concede del tempo, dopo aver stabilito il corrispettivo [della merce]. In
quest’ultimo caso il debito è chiaro e non equivoco, anzi c’è qualcosa di amichevole nella proroga
del pagamento: è per questo che presso certi popoli non si può convenire in giudizio per queste
cose, ma costoro credono che coloro che stringono patti fondati sulla fiducia debbano rimettersi
al rischio».
162
Sull’amicizia in Aristotele cfr. C. NATALI, L’amicizia secondo Aristotele, in Bollettino della
Società Filosofica Italiana 195 (2008), 13-28, ove letteratura precedente.

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 39

romano e di grande risalenza, come provano molte testimonianze significa-


tive163. Ai nostri fini è rilevante sottolineare come la fides in un’età in cui
ancora non vi sono forme avanzate di mutuo sia posta a fondamento e
garanzia del credito, il cui mancato rispetto comporta la sottoposizione alla
manus iniectio 164. L’obbligarsi porta con sé l’impegnare la propria parola,
cioè il far sorgere un affidamento, tanto che in un luogo di Papiniano
(D. 16.1.27.2 Pap. 3 resp.) si parla di fidem suam obligari; il rapporto tra il
credere e la fides è sottolineato già da Maroi in uno studio sul fondamento del-
l’obbligatorietà dei contratti nel quale rileva che nella terminologia romana
è da ritenersi ‘creditore’ colui che affida una cosa ad un altro contando sulla
sua parola per la restituzione165. Credere è donner son coeur scrive il Cuq e cioè
attribuire la propria fiducia – rectius fides – ad altri166.
Alcune ricerche di Martini167, meno recenti di quelle citate in prece-
denza, ci vengono in aiuto perché riferiscono un altro passo di Cicerone,
sempre in tema di rapporti tra fides e credito:
Cic., Partitiones oratoriae, 78: In communione autem quae posita pars est, iustitia dicitur,
eaque erga deos religio, erga parentes pietas, vulgo autem bonitas, creditis in rebus fides, in modera-
tione animadvertendi lenitas, amicitia in benevolentia nominatur. Atque hae quidem virtutes
cernuntur in agendo.

Martini si occupa di tale passo per individuare la semantica del verbo


credere e le ragioni della latitudine applicativa dell’editto de rebus creditis, cui

163
Cfr. le fonti letterarie menzionate da U. COLI, Il testamento nella legge delle XII Tavole, in
Iura 7 (1956), 29. Il tema della fides nei rapporti commerciali, e in particolare nelle dinamiche del
credito, ritorna in un passo di Gell., 20.1.41 (citato già da BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 243, in
riferimento al constitutum debiti): Hanc autem fidem maiores nostri non modo in officiorum vicibus, sed in nego-
tiorum quoque contractibus sanxerunt maximeque in pecuniae mutuaticae usu atque commercio: adimi enim putave-
runt subsidium hoc inopiae temporariae, quo communis omnium vita indiget, si perfidia debitorum sine gravi poena
eluderet. FERRINI, Note a GLÜCK, cit., 160 nt. e), ritiene che le ultime parole di questo passo di
Gellio ricordassero la poena dimidiae partis del costituto, ma ciò che a noi più interessa è sottoli-
neare come il testo abbia lo scopo di mettere in risalto la fides in tutto il suo valore anche giuri-
dico-sacrale e giunga a motivare la gravità della sanzione capitale per il debitore insolvente
dicendola prevista proprio sanciendae fidei gratia (20.1.48); cfr. L. PEPPE, Studi sull’esecuzione personale,
I. Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica romana, Milano 1981, 111 ss. Sempre alla fides come
fondamento del vincolo tra debitore e creditore rinvia un passo di Livio (8.28.8) su cui cfr. PEPPE,
Op. ult. cit., 208 ss.
164
Su questa linea anche O. DILIBERTO, Materiali per la palingenesi delle XII Tavole, I, Cagliari
1992, 398 ss.; Cfr. V. GIUFFRÈ, La datio mutui. Prospettive romane e moderne, Napoli 1989, 32 ss.
165
F. MAROI, Il vincolo contrattuale nella tradizione e nel costume popolare, in SDHI. 15 (1949),
100 ss.
166
CUQ, Manuel des institutions iuridiques des Romains, cit., 364. Anche l’etimologia muove a
pensare ad un collegamento tra fides e credere, che probabilmente derivano dalla contaminazione
tra la radice *bhid- e quella *kred-dhe-; cfr. A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la
langue latine. Histoire des mots, Paris 19604 (retirage 2001), sv. fides, 233.
167
R. MARTINI, Per la storia del credere edittale, in Atti del II Seminario Romanistico Gardesano, cit.,
118-119. Sul collegamento più generale tra la fides e le conventiones cfr. anche Cic., De off. 1.23:
Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictrorum conventorumque constantia et veritas; per il commento
di questo ed altri luoghi ciceroniani e in generale l’analisi di questo tema cfr. G. FALCONE,
L’esordio del commento ulpianeo, cit., 226 ss.

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40 Paolo Costa

appartiene – come ‘appendice’, per usare la terminologia del Ferrini168 –


la pecunia constituta e che si apre col noto frammento ulpianeo:
D. 12.1.1 pr. (Ulp. 26 ad ed.) E re est, priusquam ad verborum interpretationem perve-
niamus, pauca de significatione ipsius tituli referre. 1. Quoniam igitur multa ad contractus varios
pertinentia iura sub hoc titulo praetor inseruit, ideo rerum creditarum titulum praemisit: omnes enim
contractus, quos alienam fidem secuti instituimus, complectitur: nam, ut libro primo quaestionum
Celsus ait, credendi generalis appellatio est: ideo sub hoc titulo praetor et de commodato et de pignore
edixit. Nam cuicumque rei adsentiamur alienam fidem secuti mox recepturi quid, ex hoc contractu
credere dicimur. Rei quoque verbum ut generale praetor elegit.

Martini pone in comparazione le frasi omnes enim contractus, quos alienam


fidem secuti instituimus e cuicumque rei adsentiamur alienam fidem secuti con il rife-
rimento cicerionano alla fides nelle res creditae e ne dà un’interpretazione
più ampia rispetto al solo ambito del mutuo, ritenendo piuttosto che si
debbano tener presenti tutti i negozi in cui si fa credito a qualcuno, cioè si
ripone affidamento sulla fides. La fides e il suo rispetto sarebbero dunque il
nucleo – potrebbe dirsi l’eidetica – del creditum. L’Autore propone di spie-
gare l’origine della riconduzione in questo titolo dell’editto di figure altre
rispetto al mutuo facendo riferimento a tale nozione lata di credere; tale
tesi, a mio modesto avviso, spiegherebbe anche l’inclusione nel titolo
XVII dell’Editto dell’actio de pecunia constituta, insieme alla condictio certae
pecuniae e certae rei, all’actio de eo quod certo loco, all’actio commodati, all’actio
pigneraticia e alle compensationes.

3. – Il dies constituti ed il termine per l’adempimento


3.1. – Il dies constituti e la dogmatica della mora: profili generali
Nell’ambito delle obbligazioni protette da azioni stricti iuris il ritardo
nell’eseguire la prestazione che ne forma oggetto rileva solo per stabilire
se sia o meno già esperibile l’azione fondata sull’inadempimento169. Infatti,
anche in caso di stipulatio pura, che quindi creerebbe di norma un’obbliga-
zione immediatamente esigibile, potrebbe comunque esserci uno spazio di
tempo a disposizione del debitore per l’adempimento imposto dalla
natura della prestazione dedotta in obbligazione170. Se il creditore eserci-
tasse la sua azione prima del tempo (cioè prima del dies quo pecunia peti
possit o dies veniens 171) incorrerebbe in pluris petitio tempore (Gai. 4.53 a-b.), in

168
Cfr. FERRINI, Note a GLÜCK, cit., 159 nt. c).
169
Cfr. C. A. CANNATA, La responsabilità contrattuale, in Derecho romano de obligaciones, cit.,
167-168.
170
Casi tipici sono le obbligazioni di dare certo loco o le promesse di costruire un edificio; cfr.
D. 45.1.14 (Pomp. 5 ad Sab.); D. 45.1.41.1 (Ulp. 50 ad Sab.); D. 45.1.60 (Ulp. 20 ad ed.);
D. 45.1.72.1 (Ulp. 20 ad ed.); D. 45.1.137.2-3 (Ven. 1 stipul.).
171
Cfr. D. 50.16.213 (Ulp. 1 reg.); su cui per tutti cfr. C. A. CANNATA, Corso di istituzioni di
diritto romano, II, 1, Torino 2003, 268-271.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 41

quanto la prestazione non sarebbe ancora esigibile: il debitore non


potrebbe ancora compelli ad solutionem 172.
Come già visto, tuttavia, il rigore della formula di stretto diritto
comportava che in tali azioni un danno da ritardo, sia nel caso di un
obbligo nato pure sia in quello in cui fosse acceduto un dies a quo ormai
decorso, non fosse suscettibile di valutazione173, data la precisa corrispon-
denza tra intentio e condemnatio e, pertanto, la mora del debitore, intesa
come strumento per riparare il danno da ritardo174, fosse del tutto irrile-
vante175 e il convenuto non potesse in alcun modo essere condannato al
pagamento di usurae non stipulate176 o a qualsiasi altra prestazione acces-
soria177.
Nonostante tale decisa negazione dell’efficacia della mora debendi nelle
azioni di stretto diritto, la giurisprudenza romana non ignorava che minus
solvit qui tardius solvit (D. 50.16.12.1 [Ulp. 6 ad ed.]) e che l’adempimento in
ritardo recasse nocumento al creditore: è noto che uno dei modi per
rendere rilevante tale interesse del creditore178 consistesse nella stipula-
zione accessoria di una pena convenzionale179 : cioè far accedere all’obbli-
gazione fondamentale una stipulatio 180 che prevedesse l’obbligazione di

172
D. 46.3.103 (Maecen. 2 fideic.). Quando la stipulatio non prevede un termine, né in essa è
dedotta una prestazione che implichi uno spatium temporis per l’adempimento, il debitore è tenuto
ad eseguire la prestazione praesenti die (D. 45.1.41.1 [Ulp. 50 ad Sab.]), cioè il giorno stesso in cui
l’obbligazione è sorta e, in caso di inadempimento, il creditore può esperire l’azione dal giorno
successivo (cfr. CANNATA, Corso di istituzioni, II, 1, cit., 267).
173
Cfr. D. 45.1.84 (Paul. 74 ad ed.); D. 45.1.137.3 (Ven. 1 stipul.); su questi passi cfr.
C. A. CANNATA, Per lo studio della responsabilità per colpa nel diritto romano classico, Milano 1969,
154 ss.
174
Per le due nozioni di mora speculata dall’angolatura della funzione di strumento per
risarcire il danno da ritardo o da quella (originaria) della funzione di strumento per far traslare il
rischio cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 924-925.
175
F. C. VON SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, (tr. it. V. SCIALOJA), VI, Torino
1893, 131 e 159 ss.; B. BIONDI, Sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, in AUPA. I (1911), 66 ss., ove
letteratura precedente; ASTUTI, Studi, I, cit., 96 nt. 178; ID., Studi, II, 2 e 36; S. RICCOBONO JR.,
Profilo storico della dottrina della mora nel diritto romano, in AUPA 29 (1962), 217.
176
Cfr. anche D. 13.3.4 (Gai. 9 ad ed. prov.); RICCOBONO JR., Op. ult. cit., 399.
177
Cfr. D. 13.4.8 (Afr. 3 quaest.); D. 17.1.10.4 (Ulp. 31 ad ed.); D. 19.5.24 (Afr. 8 quaest.);
D. 22.1.38.7 (Paul. 6 ad Plaut.) su cui cfr. B. BIONDI, Il fr. 8 D. de eo quod certo loco, XIII, 4. Spiega-
zione di una lex damnata, in BIDR. 21 (1909), 222 ss.; ID., Sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, cit.,
67-68; RICCOBONO JR., Op. ult. cit., 377-378. Cfr. anche D. 19.5.34 (Ulp. 31 ad ed.); D. 22.1.41.2
(Mod. 3 resp.).
178
La giurisprudenza classica sembrerebbe essere giunta al riconoscimento e alla valutazione
di tale interesse nei casi in cui l’obbligazione di dare derivasse da una stipulatio in cui fosse stato
espressamente indicato un termine (cfr. D. 45.1.114 [Ulp. 17 ad Sab.]).
179
Sulla pena convenzionale, sulla cui comparazione col constitutum cfr. amplius infra, per ora
cfr. R. KNÜTEL, Stipulatio poenae. Studien zur römischen Vertragsstrafe, Köln-Wien 1976. Di tali negozi
le fonti consegnano molte testimonianze: ad es. D. 2.14.40.1 (Pap. 1 resp.); D. 4.8.42 (Pap. 2 resp.);
D. 12.1.40 (Paul. 3 quaest.); D. 22.1.9 pr. (Pap. 11 resp.); D. 47.2.68.1 (Cels. 12 dig.).
180
Tale stipulatio poteva prevedere una pena fissata in una somma unitaria (D. 45.1.8
[Paul. 2 ad Sab.]: Si kalendis Stichum non dederis, decem dare spondes?) o dipendente dall’estensione del
ritardo, in modo analogo ai casi di previsione di usurae per l’inadempimento delle obbligazioni da

.
42 Paolo Costa

pagare una somma di denaro predeterminata, subordinata alla condi-


zione del mancato adempimento entro una certa data, coincidente con il
dies al quale era sottoposto il vincolo principale181.
Ormai è chiaro come il constitutum spiegasse una particolare efficacia
proprio nell’offrire tutela all’interesse del creditore ad un puntuale e
soprattutto tempestivo adempimento e le considerazioni appena svolte
sulla disciplina della mora consentono di meglio comprendere l’utilità
pratica dell’adiectio diei nei negozi che davano luogo ad azioni di stretto
diritto.
Il dies constituti con la sua caratura di dies intra quem comportava che
l’adempimento della prestazione, oggetto del rapporto obbligatorio fonda-
mentale su cui si è innestato il constitutum, si sarebbe potuto realizzare al
più tardi alla data statuita e l’eventuale inadempimento a tale termine non
sarebbe stato senza conseguenze, bensì il creditore avrebbe potuto espe-
rire l’actio de pecunia constituta in cui l’utilitas temporis avrebbe trovato rile-
vante considerazione. Allo spirare del dies constituti, il debitore non avrebbe
potuto impedire da sé l’esperimento dell’actio de pecunia constituta con un’of-
ferta tardiva, in quanto il creditore avrebbe potuto rifiutarla.

3.2. – Segue: le opiniones di Pomponio e Ulpiano


I frammenti182 che vengono in rilievo per i rapporti tra la dottrina del-
la mora e il constitutum appartengono, anzitutto, alla seguente catena
ulpianea:
D. 13.5.16.2-4 (Ulp. 27 ad ed.): 2. Ait praetor: “si appareat eum qui constituit neque
solvere neque fecisse [neque] per actorem stetit, quo minus fieret quod constitutum est”. 3. Ergo si
non stetit per actorem, tenet actio, etiamsi per rerum naturam stetit: sed magis dicendum est subveniri

mutuo (D. 12.1.12 [Pomp. 6 ex Plaut.]; D. 12.1.40; [Paul. 3 quaest.]; D. 45.1.90 [Pomp. 3 ex
Plaut.]). Cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 924; ID., La responsabilità contrattuale, in Derecho romano de
obligaciones, cit., 167 nt. 121. Ovviamente in relazione alle obbligazioni da contratto consensuale o
in genere per i rapporti tutelati da giudizi di buona fede e in materia di tutela e fedecommessi il
danno da ritardo veniva comunque in considerazione, fosse stata o meno conclusa una stipulatio
poenae.
181
L’obbligazione di pagare la pena convenzionale diveniva esigibile, al decorso del termine,
indipendentemente dall’interpellatio rivolta dal creditore al debitore, ad adempiere la prestazione
oggetto del debito scaduto. Spostare il fuoco dell’attenzione dei giuristi sul termine, per la quanti-
ficazione del danno da ritardo, condusse «dal punto di vista tecnico, ad intorbidare i problemi di
inizio della mora» (CANNATA, Mora [storia], cit., 924) e a far coincidere l’avvio del ritardo diretta-
mente con il termine, senza considerare l’interpellatio (cfr. CANNATA, Op. ult. cit., 922 ss.). Tale
centralità del termine già si è vista nella soluzione data dai Sabiniani al caso della mancata resti-
tuzione di vino dato in mutuo, nel quale la quantificazione del valore dell’oggetto dell’obbliga-
zione si sarebbe dovuta calcolare con riferimento al tempo della litis contestatio se non fosse
acceduto un termine, invece con riferimento al termine, se questo vi fosse stato: con ciò la mora
diventava sempre di più uno strumento per imputare al debitore lo svantaggio economico subito
dal creditore per la prestazione tardiva. Cfr. D. 12.1.22 (Iul. 4 ex Minicio); supra § 2.2.
182
Sui frammenti in analisi cfr. ASTUTI, Studi, II, cit., 26 ss., ove letteratura precedente.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 43

reo debere. 4. Haec autem verba praetoris “neque fecisse reum quod constituit” utrum ad tempus
constituti pertinent an vero usque ad litis contestationem trahimus, dubitari potest: et puto ad tempus
constituti.
D. 13.5.18 pr. (Ulp. 27 ad ed.): Item illa verba praetoris “neque per actorem stetisse”
eandem recipiunt dubitationem. Et Pomponius dubitat, si forte ad diem constituti per actorem non
steterit, ante stetit vel postea. Et puto et haec ad diem constituti referenda. Proinde si valetudine
impeditus aut vi aut tempestate petitor non venit, ipsi nocere Pomponius scribit.

La sequenza, che contiene il commento di Ulpiano ad alcuni verba


praetoris, è stata oggetto di molte analisi esegetiche, complicate dal fatto
che, nell’ordine in cui si trova nella compilazione giustinianea, essa
presenta un salto logico-espositivo dalla prospettiva del creditore a quella
del debitore e poi di nuovo a quella del creditore; a ciò aggiungendo
l’inserzione del fr. 17 di Paolo che riguarda un’altra volta il debitore. Di
recente Harke ha sostenuto che la disposizione del testo sia stata alterata e
che il fr. 16 § 3 sia fuori posto, proponendo una ricostruzione della catena
– differente rispetto a quella della Palingenesia leneliana – che pare possi-
bile ed utile per una migliore comprensione della disciplina183 :
Item illa verba praetoris “neque per actorem stetisse” eandem recipiunt dubitationem. Et
Pomponius dubitat, si forte ad diem constituti per actorem non steterit, ante stetit vel postea. Et puto
et haec ad diem constituti referenda. Proinde si valetudine impeditus aut vi aut tempestate petitor non
venit, ipsi nocere Pomponius scribit. (D. 13.5.18 pr.).
<Ergo si non stetit per actorem, tenet actio, etiamsi per rerum naturam stetit: sed magis
dicendum est subveniri reo debere>. (D. 13.5.16.3)
Ait praetor: “si appareat eum qui constituit neque solvere neque fecisse neque per actorem stetit,
quo minus fieret quod constitutum est.”
Haec autem verba praetoris “neque fecisse reum quod constituit” utrum ad tempus constituti
pertinent an vero usque ad litis contestationem trahimus, dubitari potest: et puto ad tempus consti-
tuti. (D. 13.5.16.2 e 4).

Con questo spostamento, risulterebbe meno oscura l’esegesi del fr. 16


§ 3, il cui incipit riguarda il caso in cui l’impedimento all’accettazione non
sia dipeso da fatto imputabile al creditore (si non stetit per actorem), che
andrebbe così a specificare il fr. 18 pr., nel quale si discutono proprio le
parole dell’editto184 neque per actorem stetisse.

183
HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 102; cfr. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II,
Lipsiae 1889, n. 792 (pp. 578-579). Sulla densissima e complessa monografia di Harke cfr.
l’ampia e puntuale Recensione di C. A. CANNATA, Iura 57 (2008-2009), 281-324, spec. 320 ss.
184
A proposito del riferimento agli impedimenti opposti dal creditore all’adempimento di
quanto era stato fatto oggetto di constitutum FREZZA, Questioni esegetiche, cit., 712-714 (= ID., Scritti,
II, cit., 328-330); ID., Le garanzie personali, I, cit., 252-255, – seguendo alcuni rilievi di BRUNS, Das
constitutum debiti, cit., 237 e di KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., cit., 1374 – ampiamente
discute e critica l’attribuzione (peraltro dubitativa) di LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., n. 792
nt. 1 (p. 579 n. 1); ID., EP 3, 250 nt. 1 (seguito da ASTUTI, Studi, II, cit., 9; ROUSSIER, Le constitut,
cit., 26; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 127 nt. 269), delle parole si appareat eum qui constituit
neque solvere neque fecisse [neque] per actorem stetit alla formula, ritenendo di doverle piuttosto attribuire
al testo dell’editto. Secondo Frezza dallo spoglio delle fonti si ricava che con le parole ait praetor o
verba praetoris i commentatori si riferivano non al modello di formula in factum accolto dall’editto,
ma ad un testo dell’editto stricto sensu inteso, né si può qui riconoscere un’interpolazione di questo
genere, che rappresenterebbe un hapax nel Corpus giustinianeo. L’Autore, riprendendo un’ipotesi

.
44 Paolo Costa

I frammenti presentano una complessa descrizione del modo in cui si


pongono le parti del negozio e, eventualmente, del processo nascente
dall’esperimento dell’actio de pecunia constituta, in rapporto al termine
statuito, che ha una funzione centrale nell’istituto e su cui si fonda la già
sottolineata inesorabilità del costituto stesso: l’elemento del dies intra quem
ha quindi significativi momenti di tangenza con la dottrina della mora.
Per una ragione logica, consistente nell’utilità di seguire la dinamica
fisiologica di un rapporto obbligatorio, la nostra analisi inizia dal fr. 16
§§ 2 e 4, direttamente concatenati secondo la ricostruzione di Harke, nei
quali Ulpiano interviene in una controversia sul senso delle parole neque
fecisse quod constituit, che si riferiscono al mancato adempimento del debi-
tore: dal testo si evince che alcuni giuristi, probabilmente per attenuare la
rigidità del regime del constitutum 185, ritenessero dilazionabile la solutio fino
al tempo della litis contestatio, rendendo così il dies constituti un termine che,
di fatto, sembra assimilabile al dies a quo, il quale ultimo è, peraltro, inse-
rito abitualmente nell’interesse del debitore. Sul confine della latitudine
temporale del neque fecisse vi era incertezza 186 (dubitari potest 187), probabil-
mente perché il problema era reso meno limpido dalla presenza della
regola generale per cui un debitore a termine può liberarsi, adempiendo
almeno fino al momento della litis contestatio 188. Ulpiano con la sua
opinione (et puto 189 ad tempus constituti) pare voler rifare chiarezza, ritor-

prospettata ma poi lasciata cadere dal BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 237, propone di attribuire
le parole contenute nei frammenti in analisi al testo della sponsio dimidiae partis. Come elementi a
suffragio della verisimiglianza della sua ricostruzione Frezza indica la congruenza fra tale testo e
quello dell’unico esempio di sponsio conservato da Gai. 4.92 e il suo maggior rispetto dei partico-
lari morfologici e sintattici del commento edittale, a partire dalla non necessità di mutare il si
appareat in si paret, come fa il Lenel. Pur non negando una certa persuasività della proposta di
Frezza, a me pare ancora convincente l’ipotesi leneliana della previsione in seno alla formula del-
la locuzione per creditorem quo minus stetisse, in quanto proprio il dovere in capo al giudice di verifi-
care che non ricorra tale stato di fatto produttivo delle già viste conseguenze giuridiche, dovere
che sorgeva dall’essere tale requisito previsto nelle parole tecniche della formula, può spiegare il
copioso dibattito tra i giureconsulti classici sul punto.
185
Cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 126-127.
186
Non pare condivisibile la considerazione, pur accolta da ASTUTI, Studi, II, cit., 27-28, di
GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 239-240 [= estr., 79-80], che scrive: «Il dubitari
potest (e non già dubitatur) non importa poi necessariamente che vi fossero altri giuristi di diversa
opinione, né può impressionare il puto, perché è noto che i giuristi classici nel manifestare le
proprie opinioni non solevano usare affermazioni enfatiche o assolute, le quali invece apparten-
gono spesso ai compilatori». Contro tale lettura e ritenendo che ci fossero fattori di incertezza
interpretativa cfr. STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit., 52 nt. 32.
187
Sul valore del dubbio nelle controversie tra giuristi cfr. M. BRETONE, Ius controversum nella
giurisprudenza classica, estr. da: Memorie. Accademia nazionale dei Lincei, s. 9, 23.3 (2008), 773-784,
827-829.
188
Cfr. GUARNERI CITATI, Op. ult. cit., 239 [= estr., 79]; ASTUTI, Studi, II, cit., 27 e nt. 6;
ROUSSIER, Le constitut, cit., 108; STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit., 53 e nt. 35.
189
Sull’uso di puto in Ulpiano cfr. T. HONORÉ, Ulpian. Pioneer of human rights, Oxford 20022,
65.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 45

nando al significato originario che è il più aderente alla lettera


dell’editto190 e che dà il corretto effetto al dies constituti, che altrimenti non
ne avrebbe avuto alcuno191: ci si discosta qui dai canoni generali, «parce
que le débiteur n’est pas poursuivi en tant que tel et par l’action du
contrat, mais par une action en responsabilité qui est fondée précisément
sur le défaut de paiement au jour fixé»192.
A proposito del fr. 18 pr.193, stabilire la proiezione temporale nel caso
del fatto del creditore che avesse liberato il debitore offerente la presta-

190
MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 127, sottolinea che qui con l’uso di puto Ulpiano non
vuole esprimere un’opinione personale, bensì consolidare con la sua autorità una tradizione
interpretativa legata al senso letterale del contenuto dell’editto (Magdelain parla di formula, in
adesione alla ricostruzione leneliana): «par un puto qui tombe de très haut, Ulpien tranche une
controversie qui n’aurait pas du naître».
191
La ribadita constatazione della centralità del dies constituti mi muove a prendere posizione
anche sul difficile tema del parametro temporale della condemnatio, che vede la dottrina assai
divisa. Ritengono, infatti, che il giudice dovesse fare riferimento al quanti ea res est: BRUNS, Das
constitutum debiti, cit., 248 ss.; LENEL, EP3, 251; ASTUTI, Studi, II, cit., 10; F. SCHWARZ, Die Grund-
lage der condictio im klassischen römischen Recht, Münster-Köln 1952, 284; SCHULZ, Classical Roman
Law, cit., 561; R. ZIMMERMANN, The Law of obligations: roman foundations of the civilian tradition, Cape
Town 1990, 511; H. ANKUM, Le laconisme extrême de Papinien, in Homenaje al Prof. G. Martinez Diez,
Madrid 1994, 51 nt. 36 (= H. ANKUM, Extravagantes. Scritti sparsi sul diritto romano, edd. C. MASI
DORIA – J. E. SPRUIT, Napoli 2007, 287 nt. 36); GUARINO, Diritto privato romano, cit., II, 941 nt.
82.4.1. Il fondamento testuale della scelta di questo parametro di condanna è individuato, espres-
samente ad es. dal Lenel, in D. 13.5.18.2-3 (Ulp. 27 ad ed.). MANTOVANI, Le formule del processo
privato romano, cit., 68 (n. 67), nella ricostruzione della formula inserisce il quanti ea res est, ma poi
alla nt. 254 specifica come anche erit sia plausibile. A questi Autori si oppongono, indicando
come parametro di riferimento il momento della condanna, KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte,
II.1., cit., 1375; ROUSSIER, Le constitut, cit., 34; TALAMANCA, Istituzioni, cit., 608. È ovviamente
arduo giungere, allo stato delle fonti disponibili, ad una sicura ipotesi ricostruttiva; credo,
tuttavia, di poter ritenere più conforme al rilievo più volte fatto sulla valutazione dell’interesse del
creditore, come nucleo teleologico dell’introduzione dell’actio de pecunia constituta, l’esclusione del
carattere certo della condemnatio e propendere per l’inserimento nella formula del quanti ea res est,
che permette al giudice una valutazione più completa dell’interesse del creditore all’adempi-
mento entro il dies constituti (cfr. anche VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 336 [= Studi Martini,
III, cit., 837]; ID., Per la storia del certum, cit., 201). Inoltre, il fatto che la situazione degli interessi si
consolidi e sia giudizialmente conosciuta al momento della litis contestatio è in linea con quanto si
vedrà sulla parziale possibilità di offerta usque ad tempus iudicii, rifiutabile solo per iusta causa non
accipiendi, come emerge da D. 13.5.17 (Paul. 29 ad ed.). Naturalmente anche – e soprattutto – tale
carattere della condanna, che consentiva una piena considerazione della posizione creditoria
rappresenta un segno importante dell’utilità concreta del constitutum ed una delle ragioni per le
quali il creditore avrebbe preferito agire de pecunia constituta piuttosto che de sorte per ottenere ben
più piena soddisfazione.
192
ROUSSIER, Le constitut, cit., 108.
193
Frammento giudicato sostanzialmente genuino già dalla critica interpolazionista. GUAR-
NERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 239 nt. 3 [= estr., 79 nt. 3], ha comunque sostenuto un
rimaneggiamento riduttivo ad opera dei compilatori, ritenendo «impossibile che Ulpiano avesse
scritto: Pomponius dubitat... e che continuasse dando la propria opinione (et puto) facendola seguire
da una citazione pomponiana, collegata per mezzo di un proinde». Il Guarneri propone una lectio
diversa del passo suggerendo di leggere (anziché et puto et haec): et putat (Pomponius) haec... Mi pare
che tale suggestione sconvolga eccessivamente il testo classico ed estrometta immotivatamente il
verbo puto, che in questo senso ricorre con frequenza nel commento ulpianeo all’editto e mi
sembra non sospettabile di un intervento dei compilatori.

.
46 Paolo Costa

zione – secondo le parole della formula: neque per Aulum Agerium stetisse quo
minus fieret quod constitutum est194 – è questione analogamente problematica.
In giurisprudenza si agitava un dubbio sul fatto se tale locuzione si rife-
risse esclusivamente al tempo che precede il dies constituti o solo a quel
momento specifico o anche al periodo successivo. Dal punto di vista delle
tecniche interpretative i giuristi non sono qui di fronte ad un mero caso di
attribuzione, più o meno estensiva, di significato ad un termine edittale,
ma devono «precisare e quasi integrare il dettato del pretore, collocando
nel tempo un’attività che egli indicava semplicemente come passata»195.
Riguardo al riferimento temporale dell’azione espressa con il verbo
stetisse, Ulpiano, con un nuovo puto, pone fine all’indecisione interpretativa
in cui sembra che ancora versasse Pomponio. Il giurista di Tiro risolve il
dubbio, indicando come tempo di riferimento il dies constituti: l’impedi-
mento a ricevere la prestazione imputabile al creditore, verificatosi ed
esauritosi prima di tale dies, non scalfisce l’obbligazione ed al dies il paga-
mento resterà dovuto. Ma dopo tale termine, così come l’eventuale offerta
sarebbe tardiva, parallelamente il rifiuto di ricevere la prestazione opposto
dal creditore non potrebbe trovare considerazione, tranne taluni casi in
cui sarebbe concessa un’eccezione, come vedremo in D. 13.5.17. Il
giurista dà un’interpretazione “sistematica”196 dei verba praetoris ricorrendo
alla stessa nozione in riferimento sia alla solutio sia al fatto del creditore
impeditivo dell’adempimento: il tempus constituti è indicato da Ulpiano sia
(nel fr. 16 § 4) come limite temporale ultimo entro il quale la prestazione
avrebbe potuto essere eseguita dal debitore, sia (nel fr. 18 pr.) come
momento in cui possa considerarsi verificato un fatto imputabile al credi-
tore, tale da rendere irresponsabile l’obbligato inadempiente.
Questa circostanza ha rilevanti conseguenze perché l’eventuale
impossibilità giuridica di adempiere la prestazione che si fosse prodotta
dopo il vano decorso del dies constituti non avrebbe liberato il debitore
contro il quale si sarebbe potuta esperire l’actio de pecunia constituta, conside-
rando definitivamente ineseguita la prestazione oggetto dell’obbligazione
sorta ex constituto; specularmente l’impedimento esimente del creditore
verificatosi dopo lo spirare del termine non avrebbe avuto l’effetto di

194
Tale espressione non è propria in modo peculiare dell’actio de pecunia constituta e se ne trova
una simile nell’interdetto de migrando (cfr. D. 43.32.1 pr. [Ulp. 73 ad ed.], LENEL, EP3, 490),
nell’actio Serviana (cfr. LENEL, EP3, 494 ss.), nell’actio pigneraticia (LENEL, EP3, 254 ss.) e probabil-
mente nell’actio fiduciae (LENEL, EP3, 292 ss.). In questi casi, che riguardano il settore delle
garanzie reali, la situazione giuridica descritta nella formula è quella per cui il bene isolato a
garanzia di un credito perde tale carattere quando il debitore si ritrovi nell’impossibilità di adem-
piere per il fatto del creditore; cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 127-128.
195
STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit., 53.
196
Così STOLFI, Op. et l. ult. cit.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 47

rendere irresponsabile il debitore. Quando, dunque, l’offerta o la presta-


zione fossero state poste in essere dopo il tempus constituti, il giudice avrebbe
dovuto condannare l’inadempiente in quanto tali prestazioni intempestive
non avrebbero potuto operare producendo un’estinzione ipso iure: al
massimo si sarebbe potuta avere un’operatività ope exceptionis, nel senso
che, una volta adempiuta la prestazione post diem constituti, l’azione sarebbe
sopravvissuta, ma il debitore avrebbe potuto opporre l’exceptio doli197.
Ulpiano, nello stesso frammento, ricorda una soluzione, questa volta
non dubitativa, di Pomponio, secondo la quale se il creditore fosse stato
impedito nell’accettazione dell’offerta di pagamento da motivi di salute198
o da forza maggiore (valetudine aut vi aut tempestate), comunque la mancata
accettazione gli sarebbe imputabile e il debitore sarebbe liberato: tale
effetto non è tuttavia disastroso perché, pur essendo estinta l’obbligazione
ex constituto, sopravvive, ovviamente, l’obbligazione principale e la sua
autonoma tutela, certo non più rafforzata dal possibile esperimento del-
l’actio de pecunia constituta199.
La fisionomia del dies constituti comporta che la struttura del negozio
non consenta l’offerta post diem: il fatto esimente del creditore al momento
del dies libera il debitore perché altrimenti, se si negasse tale efficacia libe-
ratoria, significherebbe ammettere la validità di un’offerta tardiva, e ciò in
collisione con la funzione stessa del constitutum. Dopo il dies viene meno la
possibilità (giuridica) di adempiere e la scadenza ha la funzione (normal-
mente propria della litis contestatio) di fissare irrevocabilmente, agli effetti
della condanna, la situazione giuridica di responsabilità contrattuale, deri-
vante dall’inadempimento 200.
Tale impossibilità dell’offerta post diem traligna rispetto alla disciplina
ordinaria: nel diritto comune è possibile l’offerta tardiva, che produce la
purgatio morae e parallelamente fa sorgere la mora accipientis 201; tale diffe-

197
Cfr. GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 240 nt. 1 (= estr., 80 nt. 1); ASTUTI,
Studi, II, 28 e nt. 8.
198
FREZZA, Le garanzie personali, I, cit., 344 nt. 1, chiarisce che la valetudo come circostanza
rilevante per scusare o meno l’inadempimento nelle fonti ricorre secondo questi canoni: laddove
l’ordinamento tende ad interpretare più benevolmente il contenuto di determinati obblighi la
valetudo è scusante (così in tema di obligatio operarum [D. 38.1.15 pr. – Ulp. 38 ad ed.; D. 38.1.23.1 –
Iul. 22 dig.; D. 38.1.39 pr. – Paul. 7 ad Plaut.], di contumacia [D. 42.1.53.2 – Hermogen. 1 iuris epit.],
di vadimonium [D. 2.11.2.3 – Ulp. 74 ad ed.; D. 22.3.19.1 – Ulp. 7 disp.], di receptum arbitri
[D. 4.8.15-16 pr. – Ulp. 13 ad ed.], di alienatio iudicii mutandi causa facta [D. 4.7.4.3 – Ulp. 3 ad ed.],
di auctoritas tutoris [D. 26.8.10 – Paul. 24 ad ed.]); laddove, invece, l’ordinamento interpreta in
modo rigoroso il contenuto di un obbligo, lì non considera la valetudo come circostanza scusante
ed è questo il caso del frammento in analisi; altri esempi in tema di compromissum (D. 4.8.23.1
[Ulp. 13 ad ed.]; D. 44.7.23 [Afr. 7 quaest.]).
199
Cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 132.
200
Cfr. ASTUTI, Studi, II, 36.
201
Per tutti cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 927; sulla purgatio morae cfr. di recente
I. REICHARD, Die Verzugsbereinigung bei Marcellus und Papinian, in Festschrift für R. Knütel zum 70.

.
48 Paolo Costa

renza rispetto al diritto comune rende già facilmente intelligibile come le


regole della mora, intesa in senso tecnico-giuridico, non si applichino al
constitutum 202. Una situazione simile si riscontra in materia di stipulatio
poenae, con l’applicazione del principio semel commissa poena non evanescit 203.
Anche in questi casi, alla scadenza prevista nella promessa penale (che
è un dies intra quem che accede alla condicio poenalis) nessuna offerta tardiva
può svolgere l’effetto di emendare la mora: quando la prestazione non è
stata resa nel tempo fissato, la poena è dovuta e il creditore può rifiutare
l’offerta, senza per questo incorrere in mora accipiendi. Tale rigidità del
regime rappresenta un aspetto importante della disciplina della stipulatio
poenae, che – secondo i recenti studi della Sicari 204 – potrebbe dare luogo
ad una forma di responsabilità oggettiva.
Una responsabilità assoluta da ritardo rappresenta un regime estraneo
alla teoria generale della mora 205 e questo estremo rigore porta ad alcuni
temperamenti che lasciano trasparire un maggiore favore per il debitore,
a partire dalla previsione contenuta nel fr. 16 § 3:
D. 13.5.16.3 (Ulp. 27 ad ed.): Ergo si non stetit per actorem, tenet actio, etiamsi per rerum
naturam stetit: sed magis dicendum est subveniri reo debere.

Il passo, collocato nella già vista ricostruzione di Harke a seguito del


fr. 18 pr., rappresenta un ulteriore commento alle parole dell’editto neque
per actorem stetisse 206. Nell’incipit del frammento, Ulpiano dà ai verba praetoris
un’interpretazione letterale secondo la quale il debitore, in mancanza di
un impedimento opposto dal creditore alla ricezione della prestazione 207,

Geburtstag, edd. H. ALTMEPPEN – I. REICHARD – M. J. SCHERMAIER, Heidelberg 2009,


909-929.
202
Cfr. BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 252 ss.; ASTUTI, Studi, II, 36 ss.; MAGDELAIN, Le
consensualisme, cit., 129; ID., Note sur la Purgatio Morae, in Droits de l’antiquité et sociologie juridique.
Mélanges H. Lévy-Bruhl, Paris 1959, 200 (= A. MAGDELAIN, Jus Imperium Auctoritas. Etudes de droit
romain, Rome 1990, 680).
203
Principio espresso ad es. in D. 4.8.23 pr. (Ulp. 13 ad ed.), D. 44.7.23 (Afr. 7 quaest.) e
D. 45.1.113 pr. (Procul. 2 ep.). Cfr. GUARNERI CITATI, Semel commissa poena non evanescit, cit., passim
(pp. 244 ss.); P. FREZZA, La clausola penale, in Studi in memoria di L. Mossa, II, Padova 1961, 269 ss.
315 ss.; ID., Le garanzie personali, I, cit., 269 ss. 315 ss.; A. SICARI, Pena convenzionale e responsabilità,
Bari 2001, 286 ss.; E. CHEVREAU, Le temps et le droit: la réponse de Rome. L’approche du droit privé, Paris
2006, 205.
204
SICARI, Pena convenzionale, cit., 205 ss., ove ampia discussione della letteratura precente.
205
Ciò anche per autori che – come A. MONTEL, La mora del debitore. Requisiti nel diritto romano
e nel diritto italiano, Padova 1930, 20 ss. 159 ss. – ritengono applicabile già per diritto classico la
regola dies interpellat pro homine.
206
La locuzione per eum stare quominus è usata nelle fonti sia nelle ipotesi di mora sia in quelle
di inadempimento e indica la relazione oggettiva, cioè inerente al piano naturalistico, tra una
persona ed un fatto, senza alcun rilievo dell’elemento soggettivo: ciò trova conferma nel nostro
passo dallo stesso accostamento dell’espressione si non stetit per actorem a quella si per rerum natura
stetit. Cfr. O. GRADENWITZ, Quotiens culpa intervenit debitoris, perpetuari obligationem, in ZSS. 34 (1913),
261 ss.; ASTUTI, Studi, II, 37 nt. 36; RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina della mora, cit., 185.
207
Come non si può parlare, in senso tecnico, di mora debendi in caso di mancata prestazione
al dies constituti, così credo che non si possa neppure parlare, per la fattispecie indicata dall’espres-

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 49

è sempre tenuto de pecunia constituta, benché la mancata prestazione al dies


constituti non gli sia soggettivamente imputabile, ma per rerum naturam
stetit 208. L’assolutezza di tale responsabilità non è difforme dalle caratteri-
stiche del costituto in età classica, che va a rafforzare un’obbligazione che
ha per oggetto la prestazione di somme di denaro o di res quae pondere
numero mensura constant, che quindi per loro natura non periscono. In diritto
comune vale il principio per cui in caso di obbligazione di cose fungibili,
se all’offerta della species scelta, non accettata ingiustificatamente dal credi-
tore, sia seguito il suo perimento, senza dolo del debitore, quest’ultimo
sarebbe liberato 209 ; tale regime è, tuttavia, inapplicabile al costituto
perché è in relazione al dies constituti che si ha riguardo al fatto del credi-
tore, non prima né dopo (come si è visto nel fr. 18 pr.): se allo spirare del
termine l’offerta non è accettata per un fatto del creditore ciò genera la
liberazione del debitore, senza che rilevi un eventuale successivo peri-
mento di quanto dedotto in costituto 210. Il perimento inciderebbe sulla
sopravvivenza dell’obbligazione principale, che si estinguerebbe per
impossibilità sopravvenuta, con effetti liberatori per il debitore, se esso si
verificasse in costanza di mora accipiendi.
Come nota giustamente il Magdelain 211, la responsabilità assoluta del
debitore sorge da un particolare concorso di discipline: da un lato il
rischio del perimento della cosa è in capo al debitore per il regime delle

sione per actorem (o creditorem) stare quominus (di cui ai frr. 16 §§ 3-4 e 18), di mora accipiendi in senso
tecnico; ciò ben si vede dal fr. 18 pr. in cui ci si riferisce esclusivamente al dies e non si conferisce
alcuna rilevanza al fatto che la mancata accettazione dipenda da valetudo aut vis aut tempestas. Tale
conclusione, già di ASTUTI, Studi, II, 37-38, è accolta da MAGDELAIN, Note sur la purgatio morae,
cit., passim e ribadita di recente da HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 100 ss. Harke
propone un’approfondita analisi dei requisiti della mora debitoris e della mora creditoris, ritenendole
parallele e analoghe: come il debitore non incorre in mora senza la potestas di eseguire la presta-
zione, né senza iusta causa per la sua conoscenza del tempo della prestazione, così non vi sarebbe
mora accipiendi senza potestas di accettare, né senza speculare iusta causa per la conoscenza del
tempo della prestazione (cfr. anche CANNATA, Rec. a HARKE, cit.). Con ciò è superata la conce-
zione dominante che ritiene che la mora del creditore, a differenza di quella del debitore, sia
indipendente dalla colpevolezza e che a suffragio di questa tesi porta passi come D. 4.8.23
(Ulp. 13 ad ed.) e soprattutto come D. 13.5.18 pr. (Ulp. 27 ad ed.) (cfr. M. KASER, sv. Mora, in
PWRE. 16.1 [1933], 274; ID., Das römische Privatrecht. Das altrömische, das vorklassische und klassische
Recht, I2, München 1971, 517 e nt. 36; A. MONTEL, sv. Mora [diritto romano], in NNDI. 10 [1975],
900; ZIMMERMANN, The Law of obligations, cit., 820). Harke nega che questi passi contengano casi
di mora accipiendi e ritiene piuttosto che rappresentino esempi dell’applicazione della particolare, e
non generalizzabile, disciplina della stipulatio poenae e del constitutum (v. amplius infra). Già
T. GIARO, Excusatio necessitatis nel diritto romano, Warszawa 1982, 239 nt. 30, critica la generalizza-
zione operata da Kaser del principio che si rinviene in D. 13.5.18 pr., spiegando che esso dipende
dalla disciplina particolare del constitutum.
208
Sul significato di rerum natura in questo luogo cfr. C. A. MASCHI, La concezione naturalistica
del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano 1937, 70-71.
209
Cfr. D. 30.84.3 (Iul. 33 dig.) e D. 46.3.72 pr. (Marc. 20 dig.); su cui cfr. CANNATA, Mora
(storia), cit., 928.
210
MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 131 e nt. 284.
211
MAGDELAIN, Op. ult. cit., 131.

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50 Paolo Costa

obbligazioni che hanno per oggetto cose generiche 212, dall’altro lato il
fatto che il debitore sopporti il rischio del ritardo (che poi significa
inadempimento al dies constituti) anche per ragioni di forza maggiore non
deriva dal diritto comune, ma è proprio della disciplina del costituto.
Il rigore di tale conseguenza 213, che probabilmente rappresentava la
lettura consolidata 214 del testo dell’editto e quella più conforme alla
funzione e all’essenza del dies constituti, è mitigato dal giurista nella chiusa
(sed magis dicendum est subveniri reo debere), laddove esclude la responsabilità
del debitore in caso di impedimenti alla prestazione che, pur non attribui-
bili al creditore, rientrino comunque nella sua sfera 215.
Quest’ultima parte è considerata un’aggiunta giustinianea dal Guar-
neri Citati 216, il quale anzitutto sul piano sostanziale rileva una grave
incoerenza logica rispetto al precedente significato attribuito da Ulpiano
ai lemmi edittali: non vi sarebbe consequenzialità tra il tenet actio inferito
direttamente dalla formula e la conclusione, protettiva del convenuto, cui
il giurista perviene. Ritenere liberatorio l’impedimento causato dalla
“natura delle cose” pare al Guarneri impossibile e rappresenterebbe uno
spiccato indizio formale dell’interpolazione l’uso del sed magis, del dicendum
est e del subvenire. Il solco tracciato dal Guarneri è percorso dalla maggior
parte della dottrina della prima metà del Novecento e la genuinità del
passo è negata da Beseler, Astuti e Magdelain 217, che individuano un’insa-
nabile contraddittorietà tra le due parti del frammento e l’inammissibilità
di una generalizzazione di tal fatta. Solo a partire da Knütel 218, che pure
non nega che sul piano testuale possa esserci stata una concentrazione
riduttiva e semplificativa dell’originale ulpianeo, si inizia a proporre
un’esegesi conservativa della sostanza del testo.
Il cauto sed magis dicendum lascia, in effetti, trasparire la sussistenza di
opinioni differenti sul punto: tali contrasti sono però spiegabili con il fatto
che attenuare la responsabilità del debitore significhi derogare alla disci-
plina ordinaria del constitutum e un tale risultato non può che derivare da

212
Sul perimento dell’oggetto di un’obbligazione generica cfr. C. A. CANNATA, Appunti sulla
impossibilità sopravvenuta e la culpa debitoris nelle obbligazioni da stipulatio in dando, in SDHI. 32 (1966),
66-70.
213
MAGDELAIN Op. et l. ult. cit., considera questo rigore, che definisce come responsabilità
assoluta da ritardo, l’elemento caratterizzante tutta la nozione e la funzione del costituto.
214
La ricollocazione di Harke nella quale il fr. 16 § 3 segue immediatamente il fr. 18 pr. può
fare ipotizzare che la soluzione maggiormente rigorosa sia da attribuirsi a Pomponio, che risulta
citato immediatamente prima, o ad una tradizione a lui riconducibile. Infatti, tale rigore nei
confronti del debitore è in toto speculare all’atteggiamento che si può riscontrare nei confronti del
creditore nella chiusa del fr. 18 pr.
215
Così HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 103.
216
GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 237 e nt. 1 (= estr., 77 e nt. 1).
217
G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, in ZSS. 66 (1948), 266; ASTUTI,
Studi, II, 26 nt. 2; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 130 nt. 281. 134 nt. 293. 170 e nt. 383.
218
KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 219-220 spec. 220 nt. 49.

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 51

un confronto dialettico tra giuristi in sede di elaborazione scientifica, ma


ancor prima di applicazione concreta, dell’istituto 219. Ciò che più rileva
sottolineare è che la giurisprudenza tardo-classica si sia mossa nel senso
chiaramente riconoscibile di favore per il debitore, già gravato dalla
responsabilità particolarmente forte che caratterizza il costituto: l’esito
della sua riflessione è anzitutto rappresentato dal riconoscimento della
protezione del debitore constituens qualora fosse stato chiamato in giudizio
per inadempimento al costituto dovuto ad impedimenti alla prestazione
non imputabili al creditore, ma comunque riconducibili oggettivamente
alla sua sfera di controllo, come emerge nella chiusa del fr. 18 pr.
Tale maggiore rischio (in senso atecnico) per il creditore sembra
giustificabile non solo dalla riconducibilità, sul piano oggettivo, alla sua
sfera del fatto impeditivo dell’accettazione, ma anche da una ragione più
basilare e cioè che il costituto rappresenti un rilevante rafforzamento della
posizione creditoria e quindi appaia non irragionevole un’ulteriore atte-
nuazione della responsabilità del debitore, nel caso peculiare della impos-
sibilità ad adempiere per rerum naturam. Non pare, quindi, stringente
l’inferenza di chi, come il Guarneri Citati 220, neghi la genuinità della solu-
zione fondandosi su un parallelo con il fr. 18 pr. in cui, nello stesso caso
dell’impossibilità non imputabile di ricevere la prestazione, il creditore
perde la possibilità di agire. Piuttosto dal collegamento col fr. 18 pr. (sotto-
lineato da Harke) mi sembra, pur con tutta la cautela che deve aversi a
fronte di un testo così oscuro 221, che si possa dedurre addirittura la conclu-
sione opposta.
Le due fattispecie sono, infatti, parzialmente coincidenti: l’impedi-
mento all’accettazione della prestazione non è dipeso dall’attore né nel
caso indicato nel fr. 16 § 3, né nel caso indicato nel fr. 18 pr.: nella prima
ipotesi l’impedimento del creditore è rappresentato dalla malattia o dalla
forza maggiore, nella seconda dalla “natura stessa delle cose”; si tratta
comunque di cause non imputabili soggettivamente ad alcuna delle parti
e che certamente non lasciano delineare alcun profilo di colpevolezza del
debitore 222.
Alleviare la responsabilità del debitore è dunque ragionevole e non

219
Sulla rilevanza concreta delle controversie interpretative tra giuristi classici cfr. BRETONE,
Ius controversum, cit., 809 ss.
220
GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 237 (= estr., 77).
221
Il sed magis iniziale, in effetti, può essere segno di un ritocco, ab externo, del passo, ma
quanto tale intervento, se ipotizzabile, possa avere inciso sulla sostanza non si può dire con sicu-
rezza: in ogni caso il dubbio su un possibile rimaneggiamento formale non ci esonera dal tenta-
tivo di attribuire un significato, coerente col sistema, al frammento. Sull’uso di magis est e costrutti
affini cfr. BRETONE, Ius controversum, cit., 833-844.
222
Per tale ultimo rilievo cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 219.

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52 Paolo Costa

una surrettizia intrusione collidente con la logica del sistema: conferma a


fortiori si rinviene nel fr. 17, in cui Paolo ritiene equo accordare un’ecce-
zione nel caso in cui il creditore abbia ingiustificatamente rifiutato di
accettare la prestazione persino post diem constituti, caso che, se non è ovvia-
mente sovrapponibile, tuttavia neppure si pone in contrasto con l’inter-
pretazione conservativa del fr. 16 § 3 che si è cercato di proporre 223 e
secondo la quale il debitore è liberato dalla responsabilità in caso di impe-
dimenti alla prestazione dovuti alla rerum natura. Inoltre rendere più stretto
il collegamento concettuale, ancor prima che palingenetico, col fr. 18 pr.
suggerisce un’ulteriore ipotesi interpretativa: in quest’ultimo frammento
Ulpiano riferisce l’opinione sulla perdita della possibilità di agire ex consti-
tuto per il creditore impedito ad adempiere per malattia o forza maggiore,
ascrivendola a Pomponio; sul punto c’era probabilmente un ius contro-
versum e Pomponio era intervenuto per chiarirlo. In modo simile può
pensarsi che non vi fosse una communis opinio sul caso della prestazione
mancata per rerum naturam e che Ulpiano volesse proporre con comprensi-
bile prudenza lo scioglimento del nodo interpretativo con la sua – o forse
di nuovo riconducibile a Pomponio – opinione più favorevole al debitore.

3.3. – Segue: comparazione con la stipulatio poenae


Il carattere più diffuso di un certo favor per il debitore nelle ipotesi di
responsabilità c.d. assoluta 224 si riconosce anche dall’accostamento del
constitutum alla stipulatio poenae che il Knütel sottolinea 225 e che è ribadito
poi da Apathy e da Harke 226. A quest’ultimo Autore si deve una precisa
comparazione con alcuni frammenti, da tempo risalente fatti oggetto di
una ricerca interpretativa copiosa e complessa 227, in tema di stipulatio
poenae che presentano profili di rilevante corrispondenza con il regime del
costituto e che dispongo secondo l’ordine dell’evoluzione storica che ha,
per ultimo, ricostruito Harke, in accordo con i risultati già in precedenza
proposti dal Knütel 228 :
D. 4.8.40 (Pomp. 11 var. lect.): ... quemadmodum Servius ait, si per stipulatorem stet, quo
minus accipiat, non committi poenam.

223
Tutta la disciplina della mancata prestazione al tempo convenzionalmente stabilito
durante l’età classica ha un’evoluzione con sempre maggiore attenzione alla situazione del debi-
tore; cfr. ad es. S. RICCOBONO JR., La genesi della mora come mezzo di attuazione del favor debitoris nel
diritto romano, in Il circolo giuridico, 1963, 5-15.
224
Cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, 129 ss.; ID., Note sur la Purgatio Morae, cit., passim.
225
L’accostamento, sotto i profili in analisi, è già rilevato da ASTUTI, Studi, II, 26 nt. 2 (in
critica al Guarneri Citati, che, come già visto, lo nega) e soprattutto da MAGDELAIN, Le consensua-
lisme, 141 ss.; ID., Note sur la Purgatio Morae, cit., passim.
226
Cfr. P. APATHY, Mora accipiendi und Schadenersatz, in ZSS. 114 (1984), 195; HARKE, Mora
debitoris und mora creditoris, cit., 103-104.
227
Su cui cfr. per ora SICARI, Pena convenzionale, cit., 47 ss. 127 ss. 173 ss. 337 ss.
228
Cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 212 ss. 218 ss. 258 ss.

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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 53

D. 22.2.8 (Ulp. 77 ad ed.): Servius ait pecuniae traiecticiae poenam peti non posse, si per
creditorem stetisset, quo minus eam intra certum tempus praestitutum accipiat.
D. 45.1.115.2 (Pap. 2 quaest.): Item si quis ita stipuletur: “si Pamphilum non dederis,
centum dari spondes?” Pegasus respondit non ante committi stipulationem, quam desisset posse
Pamphilus dari. Sabinus autem existimabat ex sententia contrahentium, postquam homo potuit dari,
confestim agendum et tamdiu ex stipulatione non posse agi, quamdiu per promissorem non stetit, quo
minus hominem daret...
D. 44.7.23 (Afr. 7 quaest.): ... nam et si arbiter ex compromisso pecuniam certo die dare
iusserit neque per eum, qui dare iussus sit, steterit, non committi poenam respondit...
D. 4.8.23.1-2 (Ulp. 13 ad ed.): 1. [Celsus] ait, si iusserit me tibi dare et valetudine sis
impeditus, quo minus accipias, aut alia iusta ex causa, Proculum existimare poenam non committi,
nec si post kalendas te parato accipere non dem. Sed ipse recte putat duo esse arbitri praecepta, unum
pecuniam dari, aliud intra kalendas dari: licet igitur in poenam non committas, quod intra kalendas
non dederis, quoniam per te non stetit, tamen committis in eam partem, quod non das. 2. Idem ait
nihil aliud esse sententiae stare posse, quam id agere, quantum in ipso sit, ut arbitri pareatur senten-
tiae.

Nei primi due frammenti indicati 229, Pomponio e Ulpiano riportano


l’opinione di Servio Sulpicio Rufo, il quale pensava che si per stipulatorem
stet, quo minus accipiat, non committi poenam e cioè che la mancata accettazione
della prestazione, nei modi e tempi stabiliti, da parte del creditore 230, privi
quest’ultimo della legittimazione ad agire per la richiesta della penale. Nel
primo frammento la regola è espressa in termini generali, nel secondo si fa
invece riferimento ad una sua applicazione nel caso della pecunia traiecticia.
La conclusione di Servio, ovviamente rilevante per la sua risalenza 231,
appare conforme alla natura e agli scopi della stipulatio poenae 232 : rappre-
sentando essa una forma di garanzia 233 contro l’inadempimento, posta
soprattutto in favore del creditore, appare ragionevole che, qualora sia
proprio quest’ultimo ad impedire l’adempimento, il debitore, che si era
diligentemente comportato in attuazione del vincolo obbligatorio, non
possa essere chiamato a rispondere della penale 234. Discusso è il procedi-

229
La genuinità dei quali, nelle parti in analisi, non è mai stata revocata in dubbio, cfr. per
tutti SICARI, Pena convenzionale, cit., 339 e nt. 38 e 346 nt. 50, ove letteratura precedente.
230
Scelgo di non parlare di mora creditoris in adesione al pensiero di Harke, esposto supra alla
nt. 207, il quale nega che nei casi di mancata accettazione della prestazione dovuta al dies
previsto nella stipulatio poenae e nel constitutum possa parlarsi di mora accipiendi in senso tecnico.
Peraltro anche SICARI, Op. ult. cit., 338 nt. 37, in commento a questi passi pone il problema del
contenuto del concetto di mora creditoris, dei suoi limiti ed effetti benché non dia poi proposte riso-
lutive.
231
Rappresenta, infatti, la prima attestazione dell’utilizzo della promessa penale nella pecunia
traiecticia; cfr. SICARI, Op. ult. cit., 226.
232
Si tratta qui di una stipulatio poenae congiunta (o accessoria o di garanzia) in cui «nella
conceptio verborum si assumeva di pagare l’obbligazione avente ad oggetto la prestazione cosiddetta
primaria, soggiungendo a questa clausola stipulatoria una seconda con cui si prometteva, nel
caso d’inesecuzione di detta prestazione, la pecunia», cosi M. TALAMANCA, sv. Pena privata (diritto
romano), in ED. 32 (1982), 712-713.
233
Per tale funzione della stipulatio poenae cfr. SICARI, Op. ult. cit., 23 ss., ove discussione della
letteratura precedente.
234
Cfr. D. DAUBE , Condition prevented from materialising, in TR. 28 (1960), 280-281;

.
54 Paolo Costa

mento con cui si sarebbe tradotto in atto il principio così affermato e la


dottrina si è chiesta se il debitore fosse sciolto ipso iure dall’obbligo della
penale al momento della mancata accettazione della prestazione o se fosse
protetto dalla possibilità di opporre una exceptio doli al creditore che avesse
preteso, giudizialmente, la penale 235. Ciò che si deve notare è che nella
valutazione della mancata accettazione è pretermesso ogni accertamento
sui motivi che l’hanno determinata, in particolare sull’elemento sogget-
tivo, cioè sulla volontarietà o meno del rifiuto o sull’incapacità a ricevere
la prestazione 236.
Tale fattispecie è del tutto parallela a quella descritta per il constitutum
nella chiusa di D. 13.5.18 pr., ove si riporta l’opinione di Pomponio: si
valetudine impeditus aut vi aut tempestate petitor non venit, ipsi nocere. In entrambi i
casi si incontra un negozio che interviene a rafforzare un precedente
vincolo obbligatorio, nel marcato interesse del creditore 237, il che giustifica
una previsione tanto di tanto rigore, ma comunque non disastrosa per il
creditore stesso, perché la perdita della possibilità di ottenere soddisfa-
zione in forza del constitutum o della commissio poenae non gli fa perdere la
legittimazione ad agire per pretendere il suo credito principale.
In D. 45.1.115.2 e in D. 44.7.23 238 si focalizza la posizione del debitore
con la presenza di una regola generale, ascrivibile a Sabino, in base alla
quale la penale non scade e quindi non si può agire ex stipulatu, finché vi
sia, per il debitore, impossibilità di adempiere. Si noti il peso dato alla
colpevolezza del debitore nel non adempiere, che può considerarsi un’at-
tenuazione della rigida responsabilità assoluta che si incontra, ad esempio,
in un altro passo in cui Paolo riporta, aderendovi, un’opinione di Sabino e
Proculo.
D. 45.1.8 (Paul. 2 ad Sab.): In illa stipulatione: “si kalendis Stichum non dederis, decem
dare spondes?” mortuo homine quaeritur, an statim ante kalendas agi possit. Sabinus Proculus
exspectandum diem actori putant, quod est verius: tota enim obligatio sub condicione et in diem

A. WATSON, The Law of Obligations in the Later Roman Republic, Oxford 1965, 2; K. VISKY, Das
Seedarlehn und die damit verbundene Konventionalstrafe im römischen Recht, in RIDA. 16 (1969), 400;
SICARI, Op. ult. cit., 338-339.
235
Così GUARNERI CITATI, Semel commissa poena non evanescit, cit., 241 ss.; ma cfr. anche
FREZZA, La clausola penale, cit., 341 ss.; ID., Le garanzie personali, I, cit., 341 ss.
236
Sul punto cfr. anche GIARO, Excusatio necessitatis nel diritto romano, cit., 63 ss.
237
Ovviamente non si tratta di esclusivo interesse del creditore: già si è visto come nel caso
del constitutum in origine ci fosse probabilmente proprio l’interesse del debitore ad una dilazione
nel tempo di adempimento; nel caso della stipulatio poenae anche il promittente ottiene un
vantaggio, pur solo indiretto, perché da essa veniva utilmente stimolato ad adempiere, secondo
una convinzione diffusa nella prassi romana, come dimostra una costituzione di Caracalla del
213 (CI. 2.55.1) in cui si legge: poena promittitur, ut metu eius a placitis non recedatur (su cui cfr.
P. VOCI, La responsabilità del debitore da stipulatio poenae, in Studi in onore di E. Volterra, III, Milano
1971, 327 e nt. 32).
238
Non entro negli intricati nodi interpretativi e di genuinità dei testi che complicano l’ana-
lisi soprattutto del primo di questi due frammenti, la discussione del quale rappresenta il princi-
pale nucleo tematico del recente studio di SICARI, Pena convenzionale, cit., 47 ss.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 55

collata est et licet ad condicionem committi videatur, dies tamen superest. sed cum eo, qui ita
promisit: “si intra kalendas digito caelum non tetigerit”, agi protinus potest. Haec et Marcellus
probat.

Nella fattispecie si ha una stipulazione in cui il promissor si obbliga a


dare dieci se non avrà dato Stico alle calende del mese. Prima del termine
lo schiavo muore, senza che l’evento sia imputabile al debitore: con ciò si
rende impossibile la consegna e si avvera l’evento dedotto nella condicio
poenalis. Secondo Sabino e Proculo la poena sarà comunque dovuta, ma
occorrerà attendere lo spirare del termine convenuto.
Il frammento è matrice di difficoltà interpretative soprattutto perché
segnalerebbe una contraddizione interna al pensiero di Sabino, oscillante
tra il riconoscimento del carattere soggettivo o oggettivo della responsabi-
lità da stipulatio poenae, oscillazione che si fa ancora più forte se si confron-
tano passi di altri giuristi classici 239 : non si può penetrare qui il groviglio di
questioni sul tema, ma giova richiamare la consolidata corrente dottri-
nale 240 che individua un fondamentale elemento discretivo tra le due fatti-
specie nel termine, convenzionalmente stabilito in D. 45.1.8, ed assente,
invece, in D. 45.115.2: è al momento del termine che si valuterà il non
adempimento e, nel caso riportato da Paolo, essendo lo schiavo premorto,
non potendosi avverare l’evento dedotto in condizione, in quel momento
sarà possibile la petitio poenae 241.
Il fatto che, nel caso in cui manchi la praefinitio temporis 242, sia riconosci-
bile un’attenuazione del criterio oggettivo di imputazione della responsabi-
lità e che tale riconoscimento sia l’esito di una controversia interpretativa
tra giuristi, mentre, nel caso in cui sia fissato un termine di adempimento, la
soluzione più rigorosa sia accolta in modo pacifico e condiviso dalle diverse
scuole fa muovere verso una possibile considerazione. Inizialmente il
meccanismo della stipulatio poenae, che pone in condicione la prestazione
primaria e che rende l’inadempimento della stessa presupposto per la
commissio poenae, consentiva di affrancare l’obbligazione di pagare la pena
convenzionale da criteri soggettivi di imputabilità dell’inadempimento del-
la prestazione che forma oggetto della prior obligatio; con l’evoluzione
successiva tale rigidità inizia ad attenuarsi 243 e le prime incrinature nel
sistema si registrano nei casi in cui manchi la statuizione del termine e solo
dopo in quelle in cui sia stato statuito un certus dies, cui, tuttavia, la disciplina
di favore per il debitore non resta estranea, come si vede in D. 44.7.23 in
cui si è incontrata l’opinio di Africano.

239
Su ciò cfr. TALAMANCA, sv. Pena privata (diritto romano), cit., 720-722; SICARI, Op. ult. cit.,
173 ss.
240
Cfr. SICARI, Op. ult. cit., 211 ss., ove letteratura precedente.
241
TALAMANCA, Op. ult. cit., 720 e nt. 60.
242
Per usare la terminologia comune in sede di legato penale; cfr. D. 36.2.19 (Iul. 70 dig.).
243
Cfr. TALAMANCA, Op. ult. cit., 722.

.
56 Paolo Costa

In D. 4.8.23.1-2 si affronta il caso in cui un arbitro abbia ordinato ad


un soggetto di dare alcunché intra kalendas e questi abbia promesso una
poena per l’inadempimento. La prima opinio presentata è quella di Proculo,
il quale sostiene, con ciò approfondendo l’opinio di Servio (di cui a
D. 4.8.40) nel senso di un ancora maggiore favor per il debitore, che, se
l’accipiens al termine fissato fosse impedito a ricevere per valetudo o altra
giusta causa, la penale non sarebbe divenuta efficace, neppure qualora,
post kalendas, il creditore fosse nuovamente (o fosse divenuto) pronto a rice-
vere. Celso, seguito da Ulpiano, sottolinea che gli obblighi imposti dall’ar-
bitro sono due: unum pecuniam dari, aliud intra kalendas dari, perciò la
commissio poenae non è scattata perché l’obbligato non ha eseguito la presta-
zione intra kalendas in quanto ciò non dipende da un fatto a lui ascrivibile,
ma perché ha inadempiuto il primo obbligo, il pecuniam dari; nel § 2 Celso
aderisce alla dottrina più evoluta di Sabino, secondo la quale si ha respon-
sabilità del debitore solo per i casi di inadempimento che gli siano imputa-
bili.
Sul piano della comparazione tra il constitutum e la stipulatio poenae,
dopo aver ricordato il fatto che in entrambi gli istituti il termine 244 è un
dies intra quem – e non un dies a quo –, si noti come la responsabilità assolu-
tamente rigorosa in capo al constituens, delineata in D. 13.5.16.2-4 e 18 pr.,
per il caso di inadempimento nella prestazione, sia assai simile a quella
gravante sul promissor in forza della stipulatio poenae 245 : l’evoluzione attenua-
trice di tale severità si muove parallelamente in entrambi i negozi e si
concentra nel prevedere la liberazione (non importa qui se ipso iure o ope
exceptionis, com’è più probabile) del debitore se la mancata prestazione sia
dovuta al fatto del creditore. In questa ipotesi, Proculo (seguendo, implici-
tamente, Servio) dà per la commissio poenae la stessa soluzione che Ulpiano
propone (attribuendola in parte a Pomponio) nel fr. 18 pr.: da un lato il
debitore non è considerato in ritardo, e quindi non è tenuto alla poena, se il
creditore è impedito nell’accettare la prestazione da valetudo o da alia iusta
causa, al termine previsto per l’offerta, né la petitio poenae sarà più possibile,
in seguito, qualora il creditore, dopo il termine, volesse (o si fosse posto in
condizione di) accettare; dall’altro lato la mancata accettazione della
prestazione, oggetto dell’obbligazione rafforzata con un constitutum, al dies
constituti libera il debitore dalla subordinazione alla responsabilità deri-
vante dal constitutum stesso, anche se il fatto del creditore non sia soggetti-
vamente rimproverabile, né oggettivamente attribuibile a quest’ultimo.
Tale parallelo tra i due istituti è nella sostanza presentato già da
Harke, il quale nel commento a D. 13.5.16.3 congiunto a D. 13.5.18 pr.,

244
Ovviamente si tratta di un elemento essenziale nel costituto, mentre nella promessa
penale potrebbe mancare la fissazione di un termine; cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 135 ss.
245
Cfr. HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 100-101.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 57

dopo aver sottolineato come Ulpiano e Pomponio abbiano fatto il passo


compiuto da Proculo per la promessa penale, sottolinea che però non
sono potuti giungere ai risultati di Sabino e Celso, per quanto riguarda
l’inadempimento incolpevole del debitore, così argomentando 246 :
Daß sie nicht zur Ansicht Sabinus’ und Celsus’ durchdringen, die den Verfall
der stipulatio poenae an die Voraussetzungen des Schuldnerverzugs gebunden haben,
liegt am Wortlaut des Edikts, das den Gläubigerverzug als Maßstab vorgibt. Diese
Regelung läßt sich zwar vorsichtig teleologisch reduzieren, indem unverschuldete
Annahmehindernisse der mora accipiendi 247 gleichgestellt werden. Einer Umkehrung
in den Tatbestand des Schuldnerverzugs ist der Ediktswortlaut im Unterschied zu
der von Servius für die Strafstipulation aufgestellten Juristenregel dagegen nicht
zugänglich.

Harke ritiene che la ragione del mancato riferimento ai presupposti


dell’attribuzione soggettiva della responsabilità per inadempimento nel
caso del costituto, a differenza dell’esito della riflessione in materia di
stipulatio poenae (di cui a D. 4.8.23.1-2), sia da individuarsi nel fatto che la
lettera dell’editto indicasse come caso che libera il constituens solo il si non
stetit per actorem e non accordasse rilievo a quanto inerisce alla sfera del
debitore, valutando solo oggettivamente il neque fecisse 248.
Ora, a mio sommesso parere, Harke non ha adeguatamente valoriz-
zato l’interpretazione del fr. 16 § 3 (che pure egli aveva utilmente posto in
relazione con il fr. 18 pr.); per meglio comprendere il senso di questo
oscurissimo passo riporto il luogo corrispondente dei Basilici 249 :
B. 26.7.16.3 (Heimb. III, 137 – Sch. A IV, 1299): $O mhù eßmproue¥smwv poiw̃n
y™per aßntefw¥nhsen, yΩ po¥keitai. oΩ deù fysikw̃v eßmpodisueıùv bohueı̃tai.

Il frammento è utile perché fa risaltare l’essenza dell’impedimento che


ostacola l’adempimento del debitore constituens: quest’ultimo è “soccorso”
perché impedito per cause naturali: oΩ deù fysikw̃v eßmpodisueıùv bohueı̃tai. Il
creditore e la sua sfera di controllo qui, a differenza del fr. 18 pr., non
vengono in gioco: non potrebbe certo dirsi, in sede di interpretazione, che
il subveniri reo sia giustificato da un rischio assunto dal creditore; tutto il
passo si incentra sul debitore e sulla sua possibilità di adempiere al dies
constituti: possibilità oggettiva, in rerum natura – fysikw̃v.

246
HARKE, Op. ult. cit., 103-104.
247
Qui Harke usa in senso atecnico (rispetto alla sua impostazione, su cui v. supra nt. 207) la
locuzione mora accipiendi a designare la mancata accettazione della prestazione.
248
Qui Harke riprende, peraltro non citando espressamente a questo proposito la fonte, la
posizione di GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 237 (= estr., 77), che scrive sul fr. 16
§ 3 (parlando, in modo piuttosto impreciso, di ‘pena’ in riferimento all’oggetto dell’obbligazione
da costituto): «io non credo che avessero ammesso nel nostro caso l’exceptio doli perché la formula,
contenendo già l’inciso “neque per actorem stetisse”, determinava in maniera precisa, e con
esclusione di tutti gli altri, il caso in cui il debitore non doveva sopportare la pena».
249
Trad. (Heimbach): Qui constituta die non facit, quod constituit, tenetur. Ei vero, qui naturaliter impe-
ditus est, subvenitur.

.
58 Paolo Costa

In base a tali suggestioni che derivano dai Basilici mi sembra non


pienamente convincente l’asserzione di Harke sulla irrilevanza, per
l’editto, di quanto pertiene al debitore, perché proprio su di esso si
incentra il frammento ulpianeo. Pertanto mi pare che sia l’emersione di
un sempre più delineato favor per il debitore ad aver condotto ad ammet-
tere l’equità (più letteralmente: l’opportunità – sed magis dicendum est...) del
riconoscimento di un’efficacia liberatoria (mediante uno strumento non
specificato) alle cause di impedimento alla prestazione non imputabili al
debitore; peraltro, tale ammissione non credo che sia da ritenersi l’esito
della riflessione dei giuristi soltanto in tema di commissio poenae, ma possa
riconoscersi similmente individuabile, e generata da un simile processo di
evoluzione interpretativo-applicativa, anche nell’ambito della pecunia
constituta e, dunque, le discipline del constitutum e della stipulatio poenae, sotto
i profili appena considerati, sembrano ancora più vicine di quanto lo
stesso Harke non abbia già rilevato.

3.4. – Segue: l’opinio di Paolo


I compilatori nel titolo 13.5 interruppero il commento ulpianeo all’e-
ditto ed inserirono il seguente frammento di Paolo 250 che rappresenta
un’ulteriore testimonianza della centralità dell’elemento del dies (in quem
constituit) e del progressivo affievolimento dei rigori della responsabilità del
debitore da costituto ad opera dei giuristi tardo-classici:
D. 13.5.17 (Paul. 29 ad ed.): Sed et si alia die offerat nec actor accipere voluit nec ulla
causa iusta fuit non accipiendi, aequum est succurri reo aut exceptione aut iusta interpretatione, ut
factum actoris usque ad tempus iudicii ipsi noceat: ut illa verba “neque ferisse” hoc significent, ut
neque in diem in quem constituit fecerit neque postea.

Il caso è quello del debitore che, inadempiente al dies statuito, abbia


offerto successivamente (quindi tardivamente) di rendere la prestazione, e
il creditore abbia rifiutato senza motivo: allo spirare del dies constituti, la
prestazione non è considerata da Paolo giuridicamente impossibile,
mentre tale era ritenuta da Ulpiano in D. 13.5.16.4 laddove scriveva che il
debitore può liberarsi solo adempiendo ad tempus constituti. Dopo il
termine, la situazione non è di impossibilità, bensì assimilabile ad una
sorta di mora (in senso atecnico 251) secondo uno schema che, sul piano
logico se non propriamente su quello ontologico, è avvicinabile all’im-
pianto della stipulatio poenae nel pensiero di Celso 252. Quest’ultimo, in un
passo già indicato (D. 4.8.23.1), affronta il caso di una stipulatio poenae, alla

ROUSSIER, Le constitut, cit., 108, esprime una posizione non condivisibile nella sua generi-
250

cità, scrivendo che si può dubitare dell’autenticità dell’intera soluzione proposta da Paolo.
251
Tale precisazione è necessaria, da subito, perché la disciplina della mora non è applicata
al constitutum, in particolare per quanto riguarda la purgatio.
252
Cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 193.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 59

cui condicio poenalis accede un termine: nel caso in cui il promissor non
adempia al termine per causa a lui non imputabile, Celso ritiene che
questi sia tenuto al pagamento non per la violazione del termine, ma per
l’inadempimento di per sé considerato, in quanto gli obblighi sono due ed
autonomi, l’uno sorto dal rapporto principale, l’altro dalla promessa
penale.
Anche Paolo sembra distinguere la promessa a termine (rectius: ad
tempus constituti) in una promessa ‘doppia’ (doppelte Versprechen 253), includente
da un lato un obbligo a termine, dall’altro un obbligo ordinario di adem-
pimento. Con il mancato rispetto del termine, il debitore, benché non
possa godere di alcuna causa che lo esima dall’adempiere 254, non vede la
sua situazione del tutto compromessa, perché, se l’offerta tardiva fosse
rifiutata dal creditore (senza alcuna causa iusta non accipiendi), a quest’ultimo
che poi esperisse l’actio de pecunia constituta potrebbe opporre un’exceptio doli
– e qui sta il cuore dell’evoluzione attribuibile a Paolo – realizzando una
(atecnica 255) purgatio morae. Al giurista 256 pare equa la concessione in tal
caso di un’eccezione al debitore, che ovviamente rappresenta un rimedio
equitativo soltanto processuale, dal quale non può inferirsi un’efficacia
liberatoria, iure honorario, dell’offerta.
Già si è detto che una responsabilità assoluta da ritardo rappresenta
un regime estraneo alla teoria generale della mora e, infatti, proprio
questo estremo rigore porta ad un temperamento con la previsione del-
l’exceptio, che dà una protezione al debitore indipendentemente dalla
perdita o dalla conservazione dell’oggetto destinato al pagamento, con
una configurazione del tutto peculiare 257. Il diritto comune 258, infatti,
prevedeva che l’offerta tardiva, anche se rifiutata dal creditore, estin-
guesse la mora e il rischio del successivo perimento della cosa oggetto del-
la prestazione passasse in capo al creditore. La giurisprudenza estese
questa soluzione, che originariamente si riferiva a debiti di specie e che
operava ipso iure, anche all’ambito delle obbligazioni generiche, conside-

253
KNÜTEL, Op e l. ult. cit.
254
KNÜTEL, Op et l. ult. cit., vede qui un’altra risonanza della dottrina di Celso, esposta in
D. 45.1.93 (Paul. 17 ad Plaut.).
255
Atecnica perché diversi sono requisiti ed effetti rispetto alla disciplina ordinaria, come
evidenzia MAGDELAIN, Note sur la Purgatio Morae, cit., passim; cfr. anche HARKE, Mora debitoris und
mora creditoris, cit., 104 nt. 80.
256
Già da parte di alcuni Autori di inizio Novecento normalmente inclini a individuare
interpolazioni e rimaneggiamenti nei testi della giurisprudenza classica, la soluzione, che si
appunta sulla iusta causa non accipiendi, sembra da attribuirsi a Paolo e non da considerarsi una
manipolazione giustinianea; cfr. GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 223 ss. 240 (=
estr., 73 ss. e 80); così anche ASTUTI, Studi, II, 29. Contra G. DONATUTI, Iustus, iuste, iustitia nel
linguaggio dei giuristi classici, in Annali dell’istituto giuridico dell’Università di Perugia 33 (1921), 405 ss.
257
Cfr. MAGDELAIN, Note sur la Purgatio Morae, cit., 200 (= ID., Jus Imperium Auctoritas, cit.,
680) seguito da CHEVREAU, Le temps et le droit: la réponse de Rome, cit., 204.
258
Cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 927.

.
60 Paolo Costa

rando che l’offerta implicasse l’individuazione delle cose dedotte in presta-


zione e concedendo, nel caso di perimento fortuito della cosa, l’exceptio doli
al debitore.
Tuttavia, come ha messo in risalto il Knütel, nel caso di cui al fr. 17,
per accordare l’eccezione non si richiede neppure il perimento della cosa
e il debitore è ancora più tutelato. Il creditore non resta però del tutto
scoperto: deve sempre aversi presente la caratteristica del costituto di
rappresentare il rafforzamento di un’obbligazione fondamentale, che
peraltro con il costituto non viene novata 259. La Primärobligation persiste e,
se viene inadempiuta, l’esperimento dell’azione per ottenere soddisfazione
non è certo bloccato dall’exceptio doli, che interviene solo a paralizzare
l’actio de pecunia constituta 260. Ciò che il creditore perde è, ovviamente, il
vantaggio aggiunto che gli derivava dal costituto e cioè la considerazione
e valutazione, fatta sostanzialmente in suo favore, dell’interesse temporis
(Zeitinteresse); tale nocumento però deriva da un suo comportamento, e
cioè dal rifiuto senza alcuna giusta causa dell’offerta tardiva: rifiutando, il
creditore accetta di perdere la considerazione dell’utilitas temporis.
La posizione del creditore si è già visto come sia posta in rilievo, con
attenzione agli interessi ad essa pertinenti, anche nello stesso nucleo
precettivo del frammento: l’exceptio è data solo se il creditore non abbia
avuto una iusta causa non accipiendi, così come in caso di stipulatio poenae la
purgatio morae è possibile solo si...nec actoris ius ex mora deterius factum sit
(D. 2.11.8-Gai. 29 ad ed.). Tali profili emergono con chiarezza dal passo
corrispondente dei Basilici in cui si assegna effetto liberatorio al paga-
mento fino alla litis contestatio solo se non danneggia l’interesse del credi-
tore 261:
B. 26.7.17 (Heimb. III, 137 – Sch. A IV, 1299): #En w∞
ü mhù diafe¥rei t√ eßna¥gonti.

Nello scolio (anonimo) al passo si specifica che tale interesse va valu-


tato soprattutto (non direi esclusivamente, benché così prima facie appaia)
se il creditore è un pragmateyth¥v, e ciò è forse segno di una disciplina
particolare successiva 262 :
Sch. ad B. 26.7.17 (Heimb. III, 137 – Sch. B V, 1795): ... eßn w∞ ü oyß die¥fere t√
eßnagonti, toỹt# e¶sti, eı¶per oyßk h®n pragmateythùv oΩ eßna¥gwn, ı™na e¶xh zhmı¥an tinaù eßj
ayßtw̃n hû wßfe¥leian.

Dallo spoglio dei documenti in cui sono contenuti usi linguistici giuri-
dicamente rilevanti constano alcune attestazioni del termine pragmateyth¥v

259
Cfr. D. 13.5.18.3 (Ulp. 27 ad ed.).
260
Cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 193.
261
Trad. (Heimbach): Si actoris non intersit.
262
Trad. (Heimbach): Si actoris non intererat, hoc est, si actor negotiator non erat, ut exinde damnum vel
commodum haberet.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 61

nella prassi 263 con il significato di commerciante/negoziante/mercante e


due occorrenze nelle Novelle: nel proemio della Nov. 122 (544 d. C.) e in
Nov. App. 5: nella prima 264 il termine sembra avere un significato piut-
tosto esteso indicando genericamente quanti si occupano di negotiationes
(pragmateı¥a); nella seconda 265 il sostantivo è utilizzato in modo generico ad
indicare un soggetto che commercia 266.
L’inserzione del riferimento all’interesse di un commerciante isolato
da tutti gli altri possibili destinatari di un constitutum mi induce a pensare
che il maggiore favore – o meglio il mantenimento dello status quo – atte-
stato nello scolio possa derivare da un mutamento normativo – di cui non
si ha traccia nelle fonti – che abbia esteso le possibilità di liberazione del
debitore fino alla litis contestatio, senza più aver riguardo all’interesse del
creditore, a meno che quest’ultimo non sia – appunto – un pragmateyth¥v.
Tornando al passo di Paolo, in esso si trova, pertanto, un’ulteriore
conferma dell’evoluzione della giurisprudenza ispirata dal favor per il debi-
tore, già incontrata nei passi ulpianei 267, pur con la necessaria considera-
zione degli interessi della parte attiva, che sarà molto sottolineata nei
Basilici. Si noti che in un caso parzialmente analogo (D. 4.8.23 pr.
[Ulp. 13 ad ed.]) il regime della stipulatio poenae è, perfino, meno favorevole
per il debitore e si prevede che l’exceptio doli sia accordata non per opporsi
all’azione del creditore che in precedenza avesse rifiutato senza giusta
causa l’offerta, bensì contro lo stipulator che, a seguito del mancato adem-
pimento al termine fissato nella condicio poenalis, abbia accettato l’offerta
(tardiva) e, ciononostante, abbia poi esperito l’actio ex stipulatu per richie-
dere la penale. Dunque, nella promessa penale l’eccezione è accordata in
caso di esecuzione tardiva, nel costituto è sufficiente che l’offerta (e non
l’esecuzione) tardiva sia stata ingiustificatamente rifiutata 268.

263
Cfr. F. PREISIGKE, Wörterbuch, III, sv. pragmateyth¥v (p. 142).
264
Sulla Nov. 122 cfr. M. BIANCHINI, Controllo dei prezzi e autonomia delle associazioni di mestiere
in Nov. Iust. 122, in Studi in memoria di G. Tarello, I, Saggi storici, Milano 1990, 117-140 (sul significato
del termine v. p. 122) (= M. BIANCHINI, Temi e tecniche della legislazione tardoimperiale, Torino 2008,
177-200, spec. 182).
265
Si tratta di una fonte sul commercio della seta con i barbari, su cui cfr. D. SIMON, Die
Byzantinischen Seidenzünfte, in Byzantinische Zeitschrift, 68 (1975), 23-46.
266
Con questo significato più lato il termine è riferito anche da A. H. M. JONES, Il tardo
impero romano (284-602 d. C.), III, trad. it. Milano 1981, 1307-1308, che lo accosta ad e¶mporov. Si
noti che nel Breviarium Novellarum Iustiniani di Teodoro non ricorre più il termine pragmateyth¥v
riassorbito nel – forse ancor più generico – e¶mporov.
267
HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 104-105, nella sua personale ricostruzione del
concetto di mora accipiendi, evidenzia come in questo caso non si faccia ricorso alla formulazione
astratta per creditorem stat quo minus accipiat, ma si descriva il comportamento (... offerat nec actor acci-
pere voluit ...) e sottolinea la rilevanza dell’offerta del debitore, che rappresenta il momento in cui il
creditore viene a conoscenza del dovere di accettare e quindi l’unico tempo da cui può iniziare la
mora.
268
MAGDELAIN, Note sur la Purgatio Morae, cit., 202 (= ID., Jus Imperium Auctoritas, cit., 682),
riporta un frammento di Gaio, in tema di vadimonium, che sembrerebbe dimostrare che il regime

.
62 Paolo Costa

La seconda parte del testo, a partire dall’espressione aut iusta interpreta-


tione, è stata considerata rimaneggiata dai compilatori 269 sia per il
contrasto che mina i fondamenti dell’argomentazione giuridica, in
quanto, per spiegare soluzioni presentate come analoghe, nel primo caso
si fa riferimento all’aequitas, nel secondo alla iustitia 270, sia soprattutto
perché contiene una contraddizione interna, che è rilevata in modo
convincente da Guarneri Citati, seguito da Astuti e, nella sostanza, dalla
dottrina successiva 271. Tale contraddizione consisterebbe nell’estensione
degli effetti del neque fecisset, cioè del mancato adempimento dovuto ad un
factum actoris, fino al tempus iudicii, piuttosto che fino al tempus constituti: se,
appunto, si ammettesse tale interpretazione, il debitore non troverebbe
più tutela nell’exceptio, ma nella formula stessa: il debitore, infatti,
provando di aver compiuto l’offerta e l’ingiustificato rifiuto, dimostre-
rebbe di avere posto in essere ciò a cui era obbligato e quindi il giudice lo
manderebbe assolto. Il controsenso è stato spiegato così da Guarneri:
Paolo nel tenore originale del frammento probabilmente diceva soltanto
che fosse equo soccorrere il costituente con un’exceptio, qualora il creditore
senza alcuna giusta causa avesse rifiutato di ricevere la prestazione offer-
tagli in un giorno diverso da quello statuito, e, concordemente ad
Ulpiano, riferiva le parole neque fecisset al tempus constituti. I compilatori

di favore del costituto abbia avuto un’estensione della propria latitudine applicativa a coprire
anche la stipulatio poenae: D. 2.11.8 (Gai. 29 ad ed. prov.) ove si prevede che il convenuto possa
opporre un’exceptio all’attore che agisca per ottenere la pena, in base al fatto che il primo si sia
presentato in lieve ritardo in ius, purché tale ritardo non abbia danneggiato l’attore. In realtà
anche questo passaggio di Gaio non è pienamente parallelo alla disciplina del constitutum perché
riguarda comunque un caso di esecuzione (e non di offerta) tardiva. Ciò che si nota è certamente
un’attenuazione generale della responsabilità (per Magdelain ‘assoluta’) da stipulatio poenae. Sulla
presenza nel vadimonium di una stipulatio poenae cfr. LENEL, EP 3, 81; TALAMANCA, sv. Pena privata
(diritto romano), cit., 727.
269
Il riferimento alla iusta interpretatio è considerato da sopprimere, se si vuole riavere il testo
classico, dalla dottrina presocché unanime; cfr. E. ALBERTARIO, Contributi alla storia della ricerca
delle interpolazioni, Pavia 1913, 4 e 10; GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 240 ss. (= estr.,
80 ss.); ASTUTI, Studi, II, cit., 30 ss.; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit.,132 nt. 285. 134 nt. 291 e
293. 169 nt. 380; ID., Note sur la Purgatio Morae, cit., 200 nt. 4 (= ID., Jus Imperium Auctoritas, cit.,
680 nt. 4); ROUSSIER, Le constitut, cit., 108; M. KASER, Restituere als Prozeßgegenstand. Die Wirkungen
der litis contestatio auf den Leistungsstand im römischen Recht, München 19682, 122. Lo stesso KNÜTEL,
Stipulatio poenae, cit., 192 e nt. 29, che pure ritiene il testo genuino, subito limita tale conclusione
scrivendo che è comunque molto sospetto.
270
Una iusta interpretatio e un’exceptio, infatti, si escludono a vicenda e non possono riposare
sullo stesso fondamento giuridico, in quanto iustus richiama la conformità al diritto, mentre
l’exceptio rappresenta una deroga per motivi di aequitas. Partendo da questi presupposti Guarneri
conclude che l’alternativa attribuita a Paolo non possa appartenergli, ma rappresenti un rima-
neggiamento giustinianeo sul modello di altri come: vel officio iudicis vel doli exceptione (D. 4.9.3.5
[Ulp. 14 ad ed.]) o doli exceptione submovebitur vel officio iudicis consequetur, ut indemnis maneat (D. 9.4.11
[Ulp. 7 ad ed.]). Per la discussione del problema e altri esempi cfr. GUARNERI CITATI, Contributi
alla dottrina, cit., 241 e nt. 1 (= estr., 81 e nt. 1).
271
Cfr. GUARNERI CITATI, Op. ult. cit., 240 ss. (= estr., 80 ss.); ASTUTI, Studi, II, cit., 30 ss.;
cfr. Autori e Opere indicati alla nt. 269.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 63

protraggono, invece, fino all’estremo limite del tempus iudicii la facoltà del
debitore di offrire con efficacia liberatoria la propria prestazione e tale
concezione dipenderebbe, secondo il Guarneri, dal cambiamento della
funzione dell’exceptio nella procedura della cognitio, in cui tutto rientra
nell’officium del funzionario che è anche giudice e quindi la tutela del
convenuto avviene sempre officio iudicis 272.
Il Knütel 273 ha una posizione meno drastica, ritenendo il testo suscetti-
bile di sospetti, ma sostanzialmente genuino, e accettando, già per diritto
classico, la possibilità di una liberazione ipso iure (rectius: mediante iusta
interpretatio) dalla responsabilità da costituto del debitore che si fosse visto
ingiustificatamente rifiutare un’offerta tardiva. Secondo Knütel tale inter-
pretatio si concentra sul sintagma edittale neque per actorem stetit, quo minus
fieret ed implica che il comportamento del creditore rilevante per la libera-
zione sia quello integrato non solo fino al tempus constituti, ma fino alla litis
contestatio: ciò sarebbe spiegabile perché l’obbligazione del debitore si
compone di una promessa con una prestazione a termine e di un’altra con
una prestazione da rendersi ‘comunque’ (überhaupt): e quindi al creditore
nuocerebbe processualmente un ingiustificato rifiuto di ricevere anche
dopo lo spirare del termine, in un modo simile a quanto si verifica nel
caso di purgatio morae. Ora se questa costruzione ha l’indubbio pregio di
conservare il testo senza ipotizzare rimaneggiamenti giustinianei, mi pare
che contenga un profilo di fragilità: se il factum actoris si riferisce al tempus
iudicii e ciò deriva dall’interpretatio più iusta della formula, perché ricono-
scere anche un’exceptio? Sarebbe bastata la formula stessa: è la considera-
zione del Guarneri Citati e conserva il suo valore. Una iusta interpretatio di
tale specie rende inutile l’exceptio, che pure è prevista, e la lettura del
Knütel non affronta questo problema: se tale interpretazione fosse un
risultato genuino della giurisprudenza classica ritengo che il riferimento
all’exceptio non ci sarebbe sicuramente stato.
I passi sul constitutum appena discussi 274 non sarebbero poi, ovviamente,

272
Il senso del mantenimento di questo passo rimaneggiato da parte dei compilatori va
speculato alla luce del mutamento della natura del constitutum nel periodo tardo. Quando esso
assume il ruolo di una vera e propria promessa di adempimento, la fattispecie descritta nel fr. 17
è probabilmente vista come il caso di un constitutum contenente un dies certus solutionis, allo spirare
del quale il debitore sarebbe in mora (peraltro con una contraddizione sistematica rispetto al
fr. 18 pr., che è ispirato ad un ben più evidente favor per il debitore). Nel fr. 17 permane il riferi-
mento all’exceptio, che però è reso sterile dalla iusta interpretatio che impone la liberazione ipso iure
del debitore, con l’offerta (che integra il facere – condizione dell’assoluzione) possibile, anche dopo
il dies constituti, fino alla litis contestatio (nel nuovo processo: post narrationem propositam et contradictionem
obiectam). Con ciò lo stesso termine muta la sua funzione e subisce un’attenuazione del suo peso,
in quanto mantiene solo la limitata funzione nel caso in cui il suo decorso nuoccia al creditore o
lo privi dell’interesse alla prestazione; cfr. ASTUTI, Studi, II, cit., 32.
273
KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 193-194.
274
Cioè D. 13.5.16.2-4 e 18 pr. (Ulp. 27 ad ed.) e 13.5.17 (Paul. 29 ad ed.).

.
64 Paolo Costa

spiegabili se si considerasse il dies un semplice dies a quo, perché si


dovrebbe di conseguenza riconoscere l’efficacia liberatoria del pagamento
fino alla litis contestatio: i dubbi di Ulpiano e Paolo segnalano, invece,
l’importanza essenziale che essi attribuivano alla scadenza all’interno del-
la pecunia constituta 275, la quale rappresenta così sul piano sostanziale origi-
nario un mezzo, e certamente tra i più sicuri, per far accedere un termine
perentorio ad un rapporto obbligatorio e dare sicurezza al creditore
contro le possibili manovre dilatorie del debitore.

4. – Profili problematici sull’oggetto del debito


4.1. – L’interpretazione di D. 13.5.1.6-8 (Ulp. 27 ad ed.)
Ulpiano nel suo commento alle parole pecuniam debitam contenute nella
clausola edittale attesta un’ampia applicabilità del costituto:
D. 13.5.1.6-8 (Ulp. 27 ad ed.): 6. Debitum autem ex quacumque causa potest constitui, id
est ex quocumque contractu sive certi sive incerti, et si ex causa emptionis quis pretium debeat vel ex
causa dotis vel ex causa tutelae vel ex quocumque alio contractu. 7. Debitum autem vel natura
sufficit. 8. Sed et is, qui honoraria actione, non iure civili obligatus est, constituendo tenetur: videtur
enim debitum et quod iure honorario debetur. Et ideo et pater et dominus de peculio obstricti si
constituerint, tenebuntur usque ad eam quantitatem, quae tunc fuit in peculio, cum constituebatur:
ceterum si plus suo nomine constituit, non tenebitur in id quod plus est.

Questo passo è decisivo per la determinazione dell’ambito di applica-


zione del constitutum nella giurisprudenza classica, in quanto conduce a
riconoscere la possibilità di innestare un costituto sopra ogni debito, per
qualunque causa sorto, da contratto o da delitto 276, testamentario, civile,
pretorio o anche soltanto naturale.
a) Problemi di genuinità del testo: l’esemplificazione delle causae obligationum
La dottrina tradizionale rileva molte tracce di interpolazione 277, in
particolare per l’inciso id est ex quocumque contractu sive certi sive incerti e per le
esemplificazioni e generalizzazioni successive considerate unanimemente
un intervento tribonianeo 278. In questo caso i compilatori avrebbero

Così: BIONDI, Sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, cit., 99; GUARNERI CITATI, Contributi
275

alla dottrina, cit., 244 ss. (= estr., 84 ss.); ROUSSIER, Le constitut, cit., 108.
276
Sulla possibilità di dedurre in constitutum un debito da delitto v. D.13.5.29 (Paul. 24 ad ed.):
Qui iniuriarum vel furti vel vi bonorum raptorum tenetur actione, constituendo tenetur. La genuinità di tale
generica formulazione è revocata in dubbio da ASTUTI, Studi, II, cit., 216, il quale sottolinea che
comunque l’applicabilità dell’istituto rispetto all’adempimento di obbligazioni ex delicto potrebbe
riconoscersi solo nel caso in cui il debito fosse già stato riconosciuto in modo definitivo e accer-
tato l’ammontare e non più contestabile. Tale posizione mi pare condivisibile perché conforme ai
caratteri di certezza che deve avere l’oggetto del costituto.
277
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 275 e nt. 98-99, 291 e nt. 120; KAPPEYNE VAN DE
COPPELLO, Über constituta pecunia, cit., 225, 242 ss.; KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., cit.,
1378.
278
ASTUTI, Studi, II, cit., 210 e nt. 2-3, ove letteratura precedente.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 65

ampliato l’originario testo ulpianeo con l’aggiunta di esempi per estendere


o rendere generale la regola enunciata dal giurista in termini più ridotti 279.
Secondo molti autori il passo mostra l’influente presenza del concetto
astratto di contractus proprio della dogmatica bizantina e ricorda il capitale
passo ulpianeo sulla condictio certi:
D. 12.1.9 pr.-3 (Ulp. 27 ad ed.): Certi condictio competit ex omni causa, ex omni obliga-
tione, ex qua certum petitur, sive ex certo contractu petatur sive ex incerto: licet enim nobis ex omni
contractu certum condicere, dummodo praesens sit obligatio: ceterum si in diem sit vel sub condicione
obligatio, ante diem vel condicionem non potero agere. 1. Competit haec actio etiam ex legati causa et
ex lege Aquilia. Sed et ex causa furtiva per hanc actionem condicitur. Sed et si ex senatus consulto
agetur, competit haec actio, veluti si is cui fiduciaria hereditas restituta est agere volet. 2. Sive autem
suo nomine quis obligatus sit sive alieno, per hanc actionem recte convenitur. 3. Quoniam igitur ex
omnibus contractibus haec certi condictio competit, sive re fuerit contractus factus sive verbis sive
coniunctim, referendae sunt nobis quaedam species, quae dignum habent tractatum, an haec actio ad
petitionem eorum sufficiat.

Tale luogo è stato considerato fitto di interpolazioni da dottrina auto-


revole e anche non troppo risalente 280, sia per profili contenutistici 281, sia
per profili formali, in particolare per le esemplificazioni dei titoli (causae) in
base ai quali sorgono obbligazioni protette con la condictio, che sono stilisti-
camente parallele alle esemplificazioni delle causae delle obbligazioni che
possono essere oggetto di costituto: proprio su questo punto di recente
Saccoccio sostiene che le esemplificazioni non paiano giustificate da
nessuna delle possibili ragioni che la dottrina propone per motivare un
intervento dei compilatori, soprattutto per la particolarità delle fattispecie
paradigmatiche qui richiamate – come la causa legati, la causa furtiva, la lex
Aquilia e il fedecommesso 282 – che contrasta con l’assenza di altre ipotesi

279
Cfr. S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, in AUPA. 3-4 (1917), 689.
280
Per un elenco degli Autori che ritengono il passo interpolato v. A. SACCOCCIO, Si certum
petetur. Dalla condictio dei veteres alle condictiones dei giustinianei, Milano 2002, 55 nt. 119. Anche
VARVARO, Per la storia del certum, cit., 149, che pure manifesta radicali perplessità sulle prospettive
di Saccoccio quanto alla nozione di certum, ritiene che alcuni sospetti di interpolazione siano da
considerarsi meno solidi di quanto non appaiano in prima vista.
281
Tale profilo coinvolge il tema della c.d condictio generalis su cui SACCOCCIO, Si certum petetur,
cit., 59 ss.
282
Particolarità di fattispecie che SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., 78-79, spiega ipotizzando
che il frammento appartenga al commento di Ulpiano al titolo XVII dell’Editto del pretore,
dedicato alle res creditae (e in cui trova disciplina anche la pecunia constituta) e che qui il giurista
voglia ricordare come si era formata storicamente la categoria e quali fossero le fattispecie a
protezione delle quali si poteva originariamente esperire la condictio certi. Secondo Saccoccio i
giustinianei avrebbero modificato il discorso ulpianeo espungendone la parte storica e dividen-
dolo in due parti: la prima rinvenibile in D. 12.1.1.1 che manterrebbe la sua caratura introduttiva
originaria, l’altra, che oggi si ritroverebbe in D. 12.1.9, con la funzione di mostrare come la
condictio (certi) avesse in origine un oggetto unitario riconducibile al modello della legis actio per
condictionem e comprendente tutte le pretese volte ad un certum dare, intendendo per certum non solo
un oggetto determinato o determinabile, ma anche dovuto con sicurezza da parte del debitore.
Su tale tesi che sta al cuore dell’indagine di Saccoccio v. infra, ma deve dirsi già ora che è confor-
memente a tale impostazione dogmatica che Saccoccio ritiene che il predicato certi con cui è
qualificata la condictio nel frammento in analisi o sia stato apposto dai giustinianei per marcare la

.
66 Paolo Costa

frequentemente richiamate nelle opere giuridiche precedenti come l’actio


empti e l’actio locati. Evidentemente se i giustinianei avessero voluto rielabo-
rare il testo ulpianeo orientandolo in conformità alla costruzione della
condictio generalis da loro elaborata può pensarsi che avrebbero utilizzato
una terminologia più generale, che è poi quella confluita negli scolii ai
Basilici, ad esempio nel lungo scolio del giurista Stefano a B. 23.1.4
(Heimb. II, 591 = Sch. B IV, 1503 ss.) 283.
Tali considerazioni possono essere svolte anche per il nostro passo,
benché la molto maggiore genericità delle esemplificazioni addotte non
possa fare escludere un intervento almeno formale dei compilatori.
b) Segue: la nozione di contractus incerti
Non chiaro è anche il concetto di contractus incerti/incertus cui fanno
richiamo i due frammenti 284, considerati interpolati dalla dottrina maggio-
ritaria 285. Il problema dell’attribuzione di significato all’aggettivo incertus
contenuto nel nostro passo coinvolge il più generale e complesso profilo
della nozione del certum, che di recente ha formato oggetto di un dibattito
vivo in dottrina, che non può qui essere affrontato: si rinvia pertanto alle
pagine a ciò dedicate da Saccoccio e da Varvaro 286, che presentano molti
profili di divergenza. Ai nostri fini interessa solo notare come Varvaro,
commentando l’espressione contenuta in D. 13.5.1.6, si limiti a ricordare
che il frammento è stato da lungo tempo ritenuto di conio giustinianeo e a
citare, con tono adesivo, gli Autori che ne contestano la genuinità. Aiuti
interpretativi non ci arrivano neppure dall’unico altro luogo in cui si
rinviene l’espressione, D. 46.4.18 pr. (Flor. 8 inst.) 287, pure questo conside-
rato non genuino dalla dottrina pressoché unanime.
Nella riconosciuta difficoltà di dare una lettura sicura della nostra

distinzione tra questa condictio che deriva dalla legis actio per condictionem e la condictio incerti; oppure
che la qualificazione sia di Ulpiano, il quale abbia quindi voluto utilizzare il certum come
elemento di catalizzazione dei diversi casi di applicazione della condictio. Deve sottolinearsi e
condividersi la posizione di VARVARO, Per la storia del certum, cit., 151 nt. 506, che si oppone a tale
ipotesi, perché non suffragata da alcun indizio testuale convincente; inoltre, dal frammento non
si potrebbero cogliere legami fra la condictio certi e la legis actio per condictionem o un’esposizione
basata sul rapporto di derivazione della prima dalla seconda né un’esposizione storica dell’azione
diretta al conseguimento di un certum.
283
Su tutto questo problema cfr. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., 73-74 (a nt. 155 un elenco
degli Autori che propendono per la genuinità del testo ulpianeo).
284
Tale espressione ricorre anche in D. 46.4.18 pr. (Flor. 8 inst.).
285
Cfr. A. PERNICE, Parerga IV, in ZSS. 13 (1892), 254; RICCOBONO, Dal diritto romano classico
al diritto moderno, cit., 689; E. ALBERTARIO, Ancora sulle fonti dell’obbligazione romana, in Rendiconti del-
l’Istituto Lombardo II, 59 (1926), 420 (= ID., Studi di diritto romano, III, Obbligazioni, Milano 1936, 110);
PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 55; ROUSSIER, Le constitut, cit., 15 e 89 nt. 1; M. KASER, Das
römische Privatrecht. Die nachklassischen Entwicklungen, II2, München 1975, 383 nt. 80.
286
Cfr. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., 37 ss.; VARVARO, Per la storia del certum, cit., 137 ss.,
151.
287
D. 46.4.18 pr. (Flor. 8 inst.): Et uno ex pluribus contractibus vel certis vel incertis vel, quibusdam

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 67

espressione il mio sommesso avviso è che, innanzitutto, non sia scontato


che l’espressione contractus incertus rinvenibile in D. 12.1.9 pr. e D. 46.4.18
pr. corrisponda a quella di contractus incerti di cui a D. 13.5.1.6: l’utilizzo del
caso genitivo potrebbe non essere casuale tanto più che dal punto di vista
della concinnitas testuale riferire l’attributo a contractus avrebbe consentito
una progressione del discorso ben più sciolta e immediata. Da tale rilievo
derivo un’ipotesi di lettura del frammento appartenente al titolo De pecunia
constituta come riferentesi a contratti che avessero per oggetto una presta-
zione incerta i quali senz’altro non potevano essere rafforzati con il costi-
tuto in età classica, quando come si è visto poteva aversi solo constituta di
debiti di denaro o di quantità di altre cose fungibili: questo luogo sembre-
rebbe quindi da considerarsi manipolato a seguito della riforma giusti-
nianea. Forse meno probabile, ma non da escludersi, è che in tale passo
ulpianeo si faccia riferimento ai debiti sottoposti a condizione o
termine 288.
Ciò che a noi interessa di più rilevare è l’estensione dell’applicabilità
dell’istituto ben oltre i confini della sola pecunia certa credita: la formula,
infatti, richiedeva come presupposto oggettivo semplicemente e generica-
mente una pecunia debita e perciò la giurisprudenza conferì vasta latitudine
applicativa al mezzo processuale posto a tutela del costituto e di conse-
guenza si estese l’area dei possibili oggetti del debito 289.
c) Esempi di estensione dell’oggetto del debito secondo D. 13.5.1.6 e 8 (Ulp. 27
ad ed.)
Il riferimento ulpianeo ai debiti che possono rappresentare oggetto di
constitutum, qualunque sia la loro causa, rappresenta un’interpretazione del-
la clausola edittale posta a sanzione della pecunia constituta, che comporta
un progresso evolutivo rispetto all’originario collegamento del nostro isti-
tuto con le situazioni giuridiche protette dall’actio certae creditae pecuniae o
certae rei. Collegamento originario che già si è visto essere determinato
dall’opportunità di consentire un’efficace adiectio diei solutionis nel caso di
negozi che generassero debiti pecuniari: efficacia della statuizione che
sarebbe stata altrimenti impossibile, data l’identità tra l’intentio e la condem-
natio nelle azioni di stretto diritto. La giurisprudenza, avendo la possibilità
di utilizzare la nuova actio de pecunia constituta con le peculiari caratteri-

exceptis, ceteris et omnibus ex causis una acceptilatio et liberatio fieri potest; cfr. PERNICE, Parega IV, cit.,
253 ss.; F. DE VISSCHER, La condictio et le système de la Procédure formulaire, Gand – Paris 1923, 71.
288
Così VARVARO, Per la storia del certum, cit., 152 nt. 514.
289
Per la sostanziale genuinità del passo, salve le incongruenze, asimmetrie e mancanze di
ordine logico dell’esposizione, propende KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, cit.,
99 ss.

.
68 Paolo Costa

stiche di sicurezza e protezione che attribuiva all’attore (come la sponsio


dimidiae partis), ne diede lentamente una sempre più larga applicazione,
riconoscendo validità al constitutum di ogni debito di denaro o di altre res
quae pondere numero mensura constant, anche se fondato su causae debendi
diverse da quelle protette dalla condictio formulare, purché fosse determi-
nato e certo l’oggetto della prestazione promessa, che veniva dedotto in
constitutum 290. Ad una ormai consolidata estensione dei possibili debiti fa
riferimento il passo, forse rimaneggiato, di Ulpiano, che prevede la possi-
bilità di dedurre in costituto anzitutto il pretium dovuto ex causa emptionis, e
cioè il corrispettivo di un contratto di compravendita: in tale caso il vendi-
tore vedeva rafforzata la sua posizione creditoria con una garanzia di
puntuale adempimento tutelata da un’autonoma azione, che andava a
cumularsi alla tutela dell’emptio-venditio. Gli altri esempi di constituta nomi-
nati da Ulpiano hanno per oggetto summae dovute ex causa dotis vel ex causa
tutelae vel ex quocumque alio contractu. Il primo dato da rilevare è quella che
pare una riconduzione di tali figure al contratto: sono, infatti, presentate
come casi esemplificativi del contenuto tipologico espresso dalla formula
finale riassuntiva ex quocumque alio contractu.
Per quanto riguarda la causa dotis, ai fini del riferimento al concetto di
contractus, non porrebbe problemi il modo di costituzione della dote consi-
stente nella promissio dotis, in quanto applicazione della stipulatio, conclusa
dotis nomine 291. Invece, la dotis dictio è un negozio formale unilaterale,
menzionato nel celebre passo delle Istituzioni di Gaio (3.95a-96) – oltre che
in D. 23.3.46.1 (Iul. 16 dig.) – ove è ricondotto tra le aliae obligationes verbis
contractae. Com’è noto, nel manuale gaiano la latitudine delle obbligazioni
ex contractu copre tutta l’area delle obbligazioni da fatto lecito 292 : tuttavia
nella maggioranza delle fonti il concetto è più limitato e soprattutto si
coagula attorno agli elementi della bilateralità e soprattutto della conventio,

290
Cfr. ASTUTI, Studi, II, cit., 212 ss.
291
Con la menzione dello scopo dotale il negozio formale della stipulatio diveniva causale; cfr.
FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma antica, cit., 189, ove altra letteratura.
292
Cfr. C. A. CANNATA, sv. Obbligazioni nel diritto romano, medievale e moderno, in Dig. Civ. 12
(1995), 420 ss. Per GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 63-64, la bipartizione delle fonti delle
obbligazioni secondo l’antitesi contractus-delictum propria dell’impostazione sabiniana aveva
condotto ad una estensione del concetto di contratto e ciò troverebbe conferma in alcuni passi in
cui il contratto è semplicemente posto in antitesi con il delitto (D. 5.1.57 [Ulp. 41 ad Sab.];
D. 5.3.14 [Paul. 20 ad ed.]; D. 14.5.4.2 [Ulp. 29 ad ed.]; D. 50.16.10 e 12 [Ulp. 6 ad ed.]) ed in altri
in cui sembra che si riconosca un contractus in figure in cui si perde anche l’elemento della bilate-
ralità, come il legato (D. 45.2.9 pr. [Pap. 27 quaest.]; D. 50.17.19 pr. [Ulp. 24 ad Sab.]), la nego-
tiorum gestio (D. 3.5.15 [Paul. 7 ad Plaut.]), la communio (D. 42.4.3 pr. [Ulp. 59 ad ed.]) e la tutela
(Gai. 4.182, oltreché proprio D. 13.5.1.6). Tali luoghi sono stati tutti sospettati di semplificazioni
o rimaneggiamenti, benché di recente J. PARICIO, Una historia del contrato en la jurisprudencia romana,
in AUPA. 53 (2009), 107, neghi ogni interpolazione. In ogni caso, non sembrano passi decisivi in
quanto l’accenno al contractus è fatto in modo vago e generico, talora mediante assimilazione, e
soprattutto al solo scopo negativo di nominare l’area non coperta dal delictum.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 69

che, come ci tramanda lo stesso Ulpiano richiamando Sesto Pedio 293,


rappresenta il più profondo contenuto, oltreché il carattere ontologica-
mente e tipologicamente discretivo, del contractus.
Se, per l’interpretazione del frammento in oggetto, si accogliesse l’ipo-
tesi – di così difficile conferma – di un riflesso della nozione estensiva del
contratto che sarebbe, tralatiziamente e indirettamente, rifluita nel
pensiero ulpianeo, si porterebbe a coerenza la riconduzione operata da
Ulpiano (o dal compilatore che abbia rimaneggiato tale luogo) della figura
generale di un debito ex causa dotis a quanto dovuto ex contractu. Ma tale
proposta interpretativa non mi convince pienamente, parendomi una
forzatura del passo di difficile difesa sul piano dogmatico.
Ancora più problematico è poi riferire al contratto anche la gestio tute-
lare, come fa l’Albertario 294 che chiama a conforto Gai. 4.182 in cui la
tutela apparirebbe collocata tra le fattispecie in cui ex contractu aliquis debitor
sit, in contrasto con un passo delle Res cottidianae (D. 44.7.5.1 [Gaius 3
aur.]) dove, in conformità con la differente divisio obligationum propria del-
l’opera, l’autore sottolinea che i tutori non proprie ex contractu obligati intelle-
guntur. Sul frammento ulpianeo in analisi, in particolare, l’Albertario 295,
pur definendo tale testo «malconcio per opera dei compilatori» e conside-
rando «certamente non classica» l’esplicazione sive certi sive incerti aggiunta
dopo la menzione del contractus e la generalizzazione finale vel ex quocumque
alio contractu, tuttavia sostiene che questa generalizzazione, dopo il riferi-
mento alla tutela, non si sarebbe potuta produrre in tale guisa dalla fretta
di un commentatore o di un interpolatore se il testo classico non l’avesse
in qualche modo ispirata, se, cioè, non avesse già contenuto tra i para-
digmi di contractus almeno alcune figure tra cui l’emptio, la promissio dotis (e
forse la dotis dictio), la gestio tutelare. Quest’ultima lettura non è ovviamente
irragionevole, ma mi pare sia eccessivamente ardito ammettere nella
dottrina di Ulpiano quella che in fondo sarebbe una piana ricezione della
bipartizione gaiana delle fonti delle obbligazioni. Credo che a tale propo-
sito sia piuttosto condivisibile la lettura di chi vede nell’avvicinamento
gaiano della tutela al contractus la traccia di una necessità di sistemazione
delle figure a scopo didattico, nel senso di rendere esauriente e onnicom-
prensivo il binomio contractus-delictum senza un eccessivo rilievo dato alla

293
D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.); cfr. di recente su questo passo e più in generale su questo tema,
PARICIO, Op. ult. cit., 71-115, ove letteratura precedente; CANNATA, La nozione di contratto nella
giurisprudenza romana dell’epoca classica, cit., passim.
294
E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni. Parte generale, III, Milano 1938,
251 ss.
295
ALBERTARIO, Ancora sulle fonti dell’obbligazione romana, cit., 420 (= ID., Studi di diritto romano,
III, Obbligazioni, cit., 110).

.
70 Paolo Costa

precisione dogmatica delle costruzioni concettuali 296. La stessa imposta-


zione gaiana si atteggia differentemente nelle Res cottidianae (D. 44.7.1 pr.
[Gai. 2 aur.]) in cui la tutela, come la gestione di affari, il legato e la comu-
nione, rientra nelle variae causarum figurae 297 : in un contesto di tale ambi-
guità classificatoria difficilmente può pensarsi che Ulpiano abbia accolto
implicitamente una costruzione così peculiare come quella delle Institu-
tiones di Gaio.
Dati questi presupposti penso che non si possa argomentare dal testo
in oggetto per un piano inquadramento della gestio tutelare e della dotis
dictio tra i contratti e ciò porta a confermare l’ipotesi secondo la quale la
chiusa vel ex quocumque alio contractu rappresenti un’aggiunta successiva e a
dire che la causa dotis e la causa tutelae costituiscano causae obligationum nomi-
nate, volte a specificare l’incipit del frammento ulpianeo in cui si legge 298 :
debitum ex quacumque causa potest constitui.
d) Sul constitutum di un debitum ex causa dotis
L’analisi compiuta su D. 13.5.1.7 ci permette di affermare che potesse
essere oggetto di constitutum il debito del soggetto costituente la dote
assunto nei confronti del marito dotatario con la promissio o la dictio,
concordando così con l’Astuti 299 che già riteneva che non fosse necessario
pensare ad un constitutum intervenuto a rafforzare una cautio rei uxoriae. Il
riferimento a quanto taluno debba ex causa dotis può considerarsi più
ampio appuntando l’attenzione su un altro frammento ulpianeo
(D. 13.5.3 pr.), che probabilmente rappresenta la prosecuzione del
commento all’Editto contenuto in D. 13.5.1300.
D. 13.5.3 pr. (Ulp. 27 ad ed.): Quod si maritus plus constituit ex dote quam facere poterat,
quia debitum constituerit, in solidum quidem tenetur, sed mulieri in quantum facere potest condem-
natur.

Il passo in oggetto si inserisce nel tema della restituzione della dote 301;
il marito aveva fatto un constitutum avente per oggetto l’obbligazione di
restituire la dote oltre l’id quod facere potest: il giurista dice che egli è tenuto

Tra i molti v. GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 14 ss. e di recente CANNATA,
296

Op. ult. cit., 41 ss.


297
Cfr. G. GROSSO, sv. Contratto (diritto romano), in ED. 9 (1961), 750 (= ID., Scritti, III, cit.,
687).
298
Anche V. DE VILLA, L’obbligazione naturale nel diritto classico, in Studi in onore di E. Betti, II,
cit., 387-388, sottolinea che in riferimento all’emptio, alla dote ed alla tutela si parla in termini
generici di causa e non di contratto.
299
Cfr. ASTUTI, Studi, II, cit., 215 nt. 17, il quale fa un’ipotesi, che mi pare di dubbia utilità e
che comunque è descritta per negarne la necessaria ricorrenza, del caso di una cautio rei uxoriae
fatta dalla donna sui iuris, successivamente non venuta in manum mariti.
300
Cfr. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., n. 788 (pp. 577-578).
301
Per le note istituzionali sul tema v. C. A. CANNATA, sv. Dote (dirit.to romano), in ED. 14
(1965), 1 ss. (spec. 3-5); GUARINO, Diritto privato romano, cit., II, 587, ove altra letteratura.

.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 71

per l’intero, ma nei confronti della moglie può essere condannato soltanto
‘nei limiti del possibile’.
Ai fini della comprensione del frammento in esame occorre ricordare
che la formula dell’actio rei uxoriae 302 prevedeva che il iudex condannasse il
marito (o il pater) a restituire (rectius a praestare) alla moglie o al padre di lei
quod melius aequius erit, con molte possibilità