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ROMAE
PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS
A M. B.
INDICE GENERALE
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Cenni alla tutela processuale . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 Gli usi linguistici e la loro rilevanza giuridica . . . . . . . 10
1.4 Utilità pratica del constitutum . . . . . . . . . . . . . . 19
2. La qualificazione dogmatica
.
IV Indice generale
.
PAOLO COSTA
.
2 Paolo Costa
4
Dalle conclusioni del Bruns non si può prescindere per comprendere la ricostruzione
dell’editto de pecunia constituta proposta da O. LENEL, EP 3 § 97. In un elenco, pur incompleto,
dei contributi rilevanti, più o meno dipendenti dall’articolo del Bruns, devono ricordarsi
almeno gli studi sui rapporti tra il constitutum e le obbligazioni solidali di E. BODIN, Des effets du
pacte de constitut, in RHD. 12 (1866), 209-228; F. SERAFINI, Nuova interpretazione della L. X Dig. De
pecunia constituta, in AG. 17 (1876), 401-410; ID., Osservazioni ulteriori sulle leggi 8a e 10a dig. De
pecunia constituta, in AG. 18 (1877), 13-14; E. HUSCHKE, Zur Lehre vom Constitutum in der Correalobli-
gation, in Archiv für die civilistsche Praxis, 65 (1882), 230-257, e le voci enciclopediche di E. JOBBÉ-
DUVAL, sv. Constitut (Droit romain), in La Grande Encyclopédie, Paris (s.d.), t. XII, 632-633;
G. HUMBERT, sv. Constitutum, in Dictionnaire des antiquiteés grecque et romaines, Paris 1887, 1454-
1455; R. LEONHARD, sv. Constituere, in PWRE. 4 (1900), 1104-1106. Rilevanti quanto alle ipotesi
sulla genesi del constitutum sono anche le prospettive di J. KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über
constituta pecunia (tr. M. Conrat), in Abhandlungen zum Römischen Staats-und Privatrecht, III, Stuttgart
1885, 200-354 (già pubblicato in olandese: Over constituta pecunia, in Themis, Regtskunding
Tydschrift, 1882 [IV], 1883 [I]) e di J. VALERY, Conjectures sur l’origine et les transformations du pacte
de constitut, in Revue générale du droit, 15 (1891), 528-531; 16 (1892), 193-205; 17 (1893), 52-60,
97-104. Pagine importanti sull’origine dell’istituto e sulla sua tutela processuale si rinvengono
anche nelle principali trattazioni istituzionali che si pongono alle soglie o nei primi anni del
XX secolo, tra i molti: G. F. PUCHTA, Cursus der Institutionen, II, Leipzig, 188110, 130 ss.;
O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., Leipzig 1901, 1371 ss.; C. FERRINI, Note a
C. F. GLÜCK, Commentario alle Pandette, XIII, [trad. it. Milano 1906], 157-206; E. CUQ, Manuel
des institutions juridiques des Romains, Paris 1917, 512 ss.; S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, II,
Roma 19282, 238 ss.
5
G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, II, Tübingen 1911; IV, Tübingen
1920.
6
V. ARANGIO-RUIZ, Le genti e la città, in Annuario dell’Università di Messina (estr. 1914) (=
V. ARANGIO-RUIZ, Scritti di diritto romano, I, Napoli 1974, 519-587); A. GUARNERI CITATI, Contri-
buti alla dottrina della mora, in AUPA. 11 (1923), 161-328 (= estr., Cortona 1923).
7
A. PHILIPPIN, Le pacte de constitut. Actio de pecunia constituta, Paris 1929.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 3
8
G. ASTUTI, Studi preliminari intorno alla promessa di pagamento, I. Il costituto di debito, in Annali del-
la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino 11 (1937), 83-249 = Napoli 1937 (estr.), da dove
d’ora innanzi citerò; ID., Studi intorno alla promessa di pagamento. Il costituto di debito, II, Milano 1941.
L’Astuti non era romanista di formazione e aveva dedicato i suoi primi anni di ricerca ai temi del
diritto delle obbligazioni nel medioevo: gli stessi contributi sul costituto rappresentano ideal-
mente la premessa alla sua monografia successiva sui contratti nella storia del diritto italiano
(I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano I. Parte generale, Milano 1952). Egli approfondisce
con impegno e precisione la ricostruzione della disciplina dell’istituto all’interno del sistema delle
obbligazioni romane, seguendo l’impostazione metodologica che aveva fatto propria dal contatto
accademico con Segrè e con le prospettive sistematiche di quest’ultimo, che era legato alla tradi-
zione pandettistica, ma l’aveva arricchita con l’accoglimento delle più recenti influenze interpola-
zioniste e storicistiche; cfr. M. CARAVALE, Ricordo di Guido Astuti, in Quaderni fiorentini per la storia del
pensiero giuridico moderno 10 (1981), 531-549.
9
J. ROUSSIER, Le constitut, in Varia. Études de droit romain, III, Paris 1958. F. BONIFACIO nella
sua Recensione piuttosto critica a questo testo di Roussier (in TR. 28 [1960], 375) fa una considera-
zione che mi pare ad oggi molto stimolante proprio nell’intraprendere un rinnovato studio del
nostro istituto: «Io non saprei dire se, allo stato delle nostre conoscenze, possa essere di qualche
utilità il riesame ab imis delle fonti sul constitutum, ma sono certo che un tentativo siffatto potrebbe
essere vantaggioso solo se si avvalesse del contributo metodologico che la scienza romanistica
degli ultimi lustri ci ha dato: se, cioè, la ricerca fosse ispirata ad una più ampia prospettiva
storica».
10
Ö. KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, Ankara 1968.
11
A. MAGDELAIN, Le consensualisme dans l’édit du préteur, Paris 1958.
.
4 Paolo Costa
anche il Guizzi nella sua voce per il Novissimo Digesto Italiano e il Kaser12 nel
suo manuale, contribuendo a formare la communis opinio13.
Posizioni più sensibili alle nuove metodologie critiche si incontrano
nelle pagine dedicate al costituto dagli Autori successivi14. Già Tondo15,
nella sua recensione al testo del Roussier, manifesta una prospettiva di
analisi meno influenzata dai canoni intepolazionisti e tale impianto critico
più moderno si riconosce – parzialmente – anche nei successivi contributi
di Frezza16, dedicati soprattutto al constitutum debiti alieni. All’approfondi-
mento specifico del constitutum debiti alieni nel periodo giustinianeo è anche
rivolto un articolo – pressoché coevo – di Archi17, a seguito del quale, per
alcuni decenni, non constano altre ricerche specifiche sul nostro istituto.
In tempi più recenti, gli studi sul costituto di debito hanno avuto nuova
vitalità: la Ricart Martì18 gli ha dedicato all’inizio degli anni ’90 tre saggi
piuttosto generali, uno dei quali, maggiormente approfondito sul tema
dell’adiectus solutionis causa in rapporto al constitutum, a proposito del quale
nel 2008 si sono confrontati anche Hans Ankum19 e Franca La Rosa 20.
Quest’ultima Autrice, in un articolo del 1997 21, presenta alcune
12
F. GUIZZI, Constitutum debiti, in NNDI. 4 (1959), 299-300; M. KASER, Das römische Priva-
trecht. Das altrömische, das vorklassische und klassische Recht, I2, München 1971, 583 ss.
13
Un sostanziale accoglimento delle linee ricostruttive proposte dall’Astuti si trova ad
esempio in B. ALBANESE, Gli atti negoziali nel diritto privato romano, Palermo 1982, 15; G. MELILLO,
sv. Patti (storia), in ED. 32 (1982), 483; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990,
608; G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Torino 19913, 589; A. BURDESE, Manuale di diritto
privato romano, Torino 19934, 491; M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo 19942, 509 ss.;
A. GUARINO, Diritto privato romano, II, Napoli 200112, 941.
14
Di coloro che affrontano il tema in parti, più o meno consistenti, di opere più generali si
darà ampio conto nel prosieguo dell’approfondimento; qui credo sia utile far soltanto menzione
dei contributi espressamente dedicati al tema.
15
S. TONDO, In tema di constitutum debiti, in Labeo 4 (1958), 208-229.
16
P. FREZZA, Questioni esegetiche e sistematiche in materia di constitutum debiti, in Studi in memoria di
G. B. Funaioli, Milano 1961, 701-718 (= P. FREZZA, Scritti, II, edd. F. AMARELLI – E. GERMINO,
Romae 2000, 317-334); ID., Le garanzie delle obbligazioni. Corso di diritto romano, I. Le garanzie personali,
Padova 1962, 229 ss.
17
G. G. ARCHI, Contributi alla critica del Corpus Juris. II. Riforme giustinianee in tema di garanzie
personali, in BIDR. 65 (1962), 131-149 (= G. G. ARCHI, Scritti di diritto romano, III, Milano 1981,
2025-2046).
18
E. RICART MARTÌ, Constitutum debiti y solutionis causa adiectus, in Rev. de la Fac. de Der. de la
Un. Complut. de Madrid, 16 (1990), 241-253; EAD., Perfil del constitutum debiti, in Sem. Complut. de der.
Rom. 3 (1991), 135-148; EAD., Constitutum debiti, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al Prof.
J. L. Murga Gener, ed. J. PARICIO, Madrid 1994, 695-708.
19
H. ANKUM, Quelques problèmes sur le solutionis causa adiectus, in Studi per G. Nicosia, I, Milano
2007, 139-161; ID., Solutionis causa adiectus et constitutum debiti en droit romain classique, in Mémoires de la
Société pour l’histoire du droit et des institutions des anciens pays bourguignons, comtois et romands, 65 (2008)
[Actes des journées internationales de la société d’histoire du droit – Dijion 2007 Le droit, les affaires et l’argent.
Célébration du bicentenaire du code de commerce], 91-97.
20
F. LA ROSA, L’adiectus solutionis causa e il constitutum debiti, in Index 36 (2008), 277-284.
21
F. LA ROSA, Il formalismo del pretore: constituta e recepta, in Labeo 43 (1997), 202-224. Dello
stesso anno è anche lo studio che la stessa Autrice svolge sulla riforma giustinianea del receptum
argentarii e l’assorbimento della sua protezione in seno all’actio de pecunia constituta: EAD., La pressione
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 5
degli argentarii e la riforma giustinianea del constitutum debiti, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto
dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Prof. F. Gallo, Napoli 1997, 445-451.
22
S. SERANGELI, Epistulae e negotia nel diritto romano classico (II): obligationes, [Opuscola 2 (2001)],
Macerata 2001.
23
M. VARVARO, Sulla storia dell’editto De pecunia constituta, in AUPA. 52 (2007-2008), 327-366
(= Studi in onore di R. Martini, III, Milano 2009, 829-871); le posizioni espresse nell’articolo appena
menzionato possono trovarsi parzialmente rifuse in M. VARVARO, Per la storia del certum. Alle radici
della categoria delle cose fungibili, Torino 2008, 180 ss. spec. 198-217.
24
J. D. HARKE, Mora debitoris und mora creditoris im klassischen römischen Recht, Berlin 2005, 101 ss.
25
P. SCHMIEDER, Duo rei. Gesamtobligationen im römischen Recht, Berlin 2007, 116 ss.
26
A. SACCOCCIO, Aliud pro alio consentiente creditore in solutum dare, Milano 2008, 79 ss.
27
F. PULITANÒ, De eo quod certo loco. Studi sul luogo convenzionale dell’adempimento nel diritto romano,
Milano 2009, 314 ss.
28
Si vedano per esempio i frammenti del titolo 13.5 del Digesto commentati da E. STOLFI,
Studi sui Libri ad Edictum di Pomponio I, Trasmissione e fonti – II, Contesti e pensiero, Napoli 2002, passim.
29
Cfr. per un recente confronto ricco di interessanti indicazioni metodologiche:
A. W ATSON , Prolegomena to establishing pre-justinianic texts, in TR. 62 (1994), 113-125 ;
J. H. A. LOKIN, Epilegomena to a century of interpolation criticism, in Collatio iuris romani. Études dédiées à
H. Ankum, à l’occasion de son 65e anniversaire, edd. R. FEENSTRA – A. S. HARTKAMP – J. E. SPRUIT
– P. J. SIJPESTEIJN – L. C. WINKEL, I, Amsterdam 1995, 261-273; ID., Il futuro della critica interpo-
lazionistica. Riflessioni sulla costituzione Tanta 10, in Il tardoantico alle soglie del duemila. Diritto Religione
Società. Atti del Quinto Convegno Nazionale di Studi Tardoantichi, ed. G. LANATA, Pisa 2000, 65-72.
30
Per i riferimenti bibliografici segnalo soprattutto il testo di Varvaro appena menzionato; per
.
6 Paolo Costa
mostrare la poliedricità delle prospettive interpretative che attualmente si agitano su profili rilevanti
del constitutum ricordo soltanto il confronto tra La Rosa e Serangeli sul carattere formale o informale
del constitutum e quello tra la medesima giusromanista ed Ankum sull’adiectus solutionis causa.
31
LENEL, EP 3, 247-248.
32
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 240 e A. F. RUDORFF, De iuris dictione edictum. Edicti
perpetui quae reliqua sunt, Lipsiae 1869 (rist. Barañáin 1997), 106 ss., ipotizzano che l’editto più
antico in luogo di debitam avesse creditam, e ciò a sottolineare la forza del legame originario con
l’actio certae creditae pecuniae e forse con la legis actio per condictionem. Tale congettura è seguita anche
da FERRINI, Note a GLÜCK, cit., 159 nt. c), che rileva come, a suo dire, in origine l’editto riguar-
dasse soltanto debiti di denaro e in particolare di pecunia certa credita e fosse esclusa la possibilità di
constituta di obbligazioni sub condicione, per le quali non si sarebbe potuto parlare di creditum; la vici-
nanza con l’actio certae creditae pecuniae sarebbe anche testimoniata da Gai. 4.171, ove la sponsio dimi-
diae partis dell’actio de pecunia constituta è giustapposta a quella tertiae partis della condictio formulare.
Lenel non accoglie questa proposta ricostruttiva, poiché Ulpiano (D. 13.5.1.5-8; D. 13.5.3;
D. 13.5.11; D. 13.5.18.1 – Ulp. 27 ad ed.) fa chiara e reiterata menzione del debere e della pecunia
debita e ciò farebbe pensare che la parola debitam fosse contenuta nell’editto di età adrianea: mi
pare che tali argomenti siano ancora convincenti, anche perché non contrastano con la conside-
razione del fatto che, in origine – e probabilmente ancora al tempo di Cicerone (cfr. infra § 1.3) –
l’editto facesse riferimento a debiti di pecunia numerata, in ragione del particolare rapporto con la
tutela processuale del credito; cfr. ASTUTI, Studi, I, cit., 50, ove letteratura precedente;
VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 341 (= Studi Martini, III, cit., 842-843); ID., Per la storia del
certum, cit., 205-206. Si noti che di recente LA ROSA, Il formalismo del pretore, cit., 290, sceglie la
congettura creditam, considerandola quella più funzionale alla restituzione dell’originario tenore di
D. 13.5.1.1.
33
Cfr. ASTUTI, Studi, I, cit., 21, ove ne afferma con sicurezza la classicità.
34
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 249; G. SEGRÈ, Le garanzie personali e reali delle obbligazioni, I. Le
garanzie personali, Torino 1933-34, 253. Dubbi su tale inserzione manifesta ASTUTI, Studi, II, cit., 5.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 7
35
D. 13.5.21.1 (Paul. 29 ad ed.): Si sine die constituas, potest quidem dici te non teneri, licet verba edicti
late pateant: alioquin et confestim agi tecum poterit, si statim ut constituisti non solvas: sed modicum tempus
statuendum est non minus decem dierum, ut exactio celebretur. Se è vero che, apparentemente, si tratta di
un costituto che ha efficacia obbligante quantunque concluso sine die, tuttavia la medesima atten-
zione riservata nell’incipit al dies fa percepire quanto si sentisse come centrale la questione della
presenza di tale elemento; ciò è confermato dallo stesso stile della prosecuzione dell’argomenta-
zione: potest dici te non teneri. La prima soluzione che il giurista dà è negativa (pur con una rigidità
attenuata), probabile segno del fatto che questa sia la risposta che deriva dalla tradizione giuri-
dica. La struttura del passo fa propendere per una sua manipolazione o reinterpretazione in età
giustinianea a seguito dell’evoluzione della stipulatio e della riforma del receptum (di cui alla nota
costituzione del 531 [CI. 4.18.2.2]), per il quale ultimo non occorreva l’elemento del dies. Tale
conclusione, che mi sembra ragionevole anche in virtù della stravaganza sistematica del passo
rispetto al contesto, non fu pacificamente accolta in dottrina (cfr. BRUNS, Das constitutum debiti,
cit., 251, 276 ss.; KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1, cit., 1376 ss.; KAPPEYNE VAN DE
COPPELLO, Über constituta pecunia, cit., 261 ss.; P. F. GIRARD, Manuel élémentaire de droit romain, ed.
F. SENN, Paris 19298, 641), ma mi pare difficilmente confutabile a seguito delle stringenti argo-
mentazioni di A. GUARNERI CITATI, Semel commissa poena non evanescit, in BIDR. 32 (1922),
251-252, e soprattutto di ASTUTI, Studi, II, cit., 41, cui rinvio. Qui si può sottolineare che la
tormentata argomentazione di Paolo è forse spiegabile appuntando la nostra attenzione su un suo
stesso inciso: licet verba edicti late pateant: le possibilità di ricondurre al costituto anche un negozio
sine die derivano dall’assenza nel testo edittale del riferimento al dies stesso: infatti il verbo consti-
tuere – che in origine comprendeva in sé il concetto della statuizione di una data e che con questo
significato probabilmente entrò nell’editto – era venuto a perdere questa caratura semantica,
legittimando il dubbio. I classici, o almeno Paolo, dubitarono, ma non tralignarono dalla tradi-
zione, e di ciò si ha una conferma ex post dall’analisi della chiusa forse aggiunta dai compilatori:
l’azione può radicarsi subito, ma il giudice deve concedere un breve termine, non inferiore a
dieci giorni, per il pagamento (modicum tempus ... non minus decem dierum ut exactio celebretur). Si noti
che l’intervento del giudice è autoritativo, ma non è difforme dalla ratio di dilazione dei termini
del pagamento che è propria del nostro istituto, segno della perdurante sopravvivenza e incisività
della funzione del dies constituti. Ciò che si può dunque ipotizzare è che all’età di Paolo il requisito
del dies non fosse già più sentito come di necessaria ricorrenza per la validità e l’efficacia del consti-
tutum. Di questa evoluzione si ha conferma anche in un testo di Scevola (D. 13.5.26 [Scaev. 1
resp.]), in cui, con riferimento al constitutum debiti alieni, il problema della mancanza dell’adiectio diei
neppure si pone. Ciò fa pensare che proprio per questa seconda forma di constitutum, nella quale
prevale la caratura di garanzia, la necessaria presenza del dies non sia più così sentita: proprio il
costituto di debito altrui rappresenta la figura più diffusa nella tarda età classica e nel periodo
giustinianeo. Sul tema del modicum tempus cfr. G. KLINGENBERG, Das modicum-Kriterium, in ZSS.
126 (2009), 187 ss. (spec. 231 ss.), il quale ritiene che la chiusa non debba considerarsi insiticia
bensì classica.
36
Cfr. V. FUCHS, Über das Constitutum, in Archiv für die civilistsche Praxis, 42 (1859), 186 e nt. 44;
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 235, 238; K. F. F. KNIEP, Die Mora des Schuldners nach römischem
und heutigem Recht, I. Rostock 1871, 99-102; KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über constituta pecunia,
cit., 230; KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., cit., 1371 ss.
.
8 Paolo Costa
Si paret N.m N.m A.o A.o sestertium decem milia constituisse se soluturum eove nomine se
satisfacturum esse, neque fecisse quod constituit neque per A.m. A.m stetisse quo minus fieret quod
constitutum est eamque pecuniam cum constituebatur debitam fuisse, quanti ea res est, tantam pecu-
niam C. Aquilius iudex N.m N.m A.o A.o condemnato; si non paret absolvito.
37
ARANGIO-RUIZ, Le genti e la città, cit., 56 ss. (= ID., Scritti, I, cit., 572 ss.).
38
LENEL, EP3, 248 nt. 3.
39
PEROZZI, Istituzioni, II2, cit., 239 e nt. 5; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 72-75; ASTUTI,
Studi, II, cit., 4-10, 188 ss.; ROUSSIER, Le constitut, cit., 16 ss.; T. MAYER-MALY, Rec. a ROUSSIER,
Le constitut, cit., in ZSS. 76 (1959), 617; GUIZZI, Constitutum debiti, cit., 300.
40
Per l’approfondimento del problema cfr. A. SANGUINETTI, La promessa del fatto altrui nella
riflessione dei giuristi romani, in SDHI. 65 (1999), 190-192; STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit.,
171-175, ove altra letteratura. Si noti che D. MANTOVANI, Le formule del processo privato romano. Per
la didattica delle Istituzioni di diritto romano, Padova 19992, 68 (n. 67), mostra di condividere ancora la
ricostruzione leneliana e propone una formula, in tutto identica a quella della terza edizione del-
l’EP.
41
RUDORFF, De iuris dictione edictum, cit., 106-108 (§ 97), ritiene che in essa fosse incluso anche
l’ammontare della sponsio dimidiae partis (iudex quanti ea res est, tantam pecuniam et eius dimidiam N.m N.m
A.o A.o condemnato, s. n. p. a.), ma tale ricostruzione è rigettata in dottrina – a partire da BRUNS,
Das constitutum debiti, cit., 249 nt. 47, seguito da KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über constituta
pecunia, cit., 234 ss. – e unanimemente non accolta dopo la presa di posizione di LENEL, EP 3, 251
nt. 3, il quale considera l’esistenza stessa della sponsio come prova del fatto che la condemnatio della
formula non comprendesse la dimidia pars; cfr. ASTUTI, Studi, I, cit., 70 ss. 161 ss.
42
G. BESELER, Das Edictum de eo quod certo loco. Eine rechthistorische Untersuchung, Leipzig 1907,
104 ss.; ARANGIO-RUIZ, Le genti e la città, cit., 57 (= ID., Scritti, I, cit., 573); PHILIPPIN, Le pacte de
constitut, cit., 98. 101 ss.; M. KASER, Quanti ea res est. Studien zur Methode der Litisästimation im klassi-
schen römischen Recht, München 1935, 195 (posizione mutata da ID., Das römische Privatrecht, I2, cit.,
584 nt. 12), suggeriscono che la condemnatio fosse certa e speculare all’intentio, in modo analogo alla
condictio certae pecuniae cosicché l’unica utilità dell’actio de pecunia constituta risiederebbe nella sponsio
dimidiae partis. ASTUTI, Studi, I, cit., 161 ss. 167 ss., si oppone a tale ricostruzione considerando in
particolare insufficienti ed arbitarie le argomentazioni di PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit.,
101-102, per il quale «le constitut ne pouvait porter sur une somme plus forte que la somme
primitivement due» e di conseguenza «ces règles restrictives du constitut n’autorisent guère une
condemnation à plus que la somme principale». Inoltre, Astuti spiega che, considerando in
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 9
brevi cenni successivi l’analisi del tema della sua determinazione al quanti
ea res est o erit, alla presenza o meno del riferimento agli impedimenti
opposti dal creditore all’adempimento di quanto era stato fatto oggetto di
constitutum e ai problemi più generali sul carattere penale o reipersecutorio
dell’azione e sul concorso tra l’actio de pecunia constituta e l’actio de sorte; per
ora, come fondamento per alcune riflessioni di diritto sostanziale,
propongo la seguente ricostruzione, peraltro parzialmente analoga a
quella suggerita dal Roussier 43 :
concorso elettivo la via della delazione del giuramento decisorio rispetto al procedimento per
poena sponsionis, se si ammettesse il carattere certo della condemnatio e che l’unico vantaggio dell’actio
de pecunia constituta rispetto all’actio certae creditae pecuniae fosse la maggiore sponsio, il iusurandum de
pecunia constituta sembrerebbe del tutto inutile. Infatti, la mancata prestazione del giuramento da
parte del convenuto avrebbe prodotto il risultato che il creditore potesse ottenere soltanto la
pecunia (credita) constituta, cioè un esito identico a quello ottenibile con la delazione del iusurandum de
pecunia credita, mentre si sarebbe contemporaneamente esposto ad un rischio maggiore, perché il
debitore avrebbe potuto liberarsi non solo negando l’esistenza del debito, ma anche uno degli
altri presupposti della condanna, menzionati nella formula in factum, che formava l’oggetto del
giuramento. Anche in base a questo argomento – in forza del quale, rebus sic stantibus, nessuno
avrebbe mai fatto ricorso al iusiurandum, che pure è previsto nella formula – Astuti conclude che si
debbano scartare le ipotesi di Beseler e Philippin, sostenendo che a favore di una condemnatio
incerta militi anche l’estensione dell’editto de pecunia constituta a tutte le res quae pondere numero mensura
constant, possibile solo con una condanna al quanti ea res est, tanto più che è probabile che in questo
caso più ampio non potesse applicarsi la sponsio dimidiae partis, in modo analogo alla disciplina del-
la condictio certae rei. Astuti ritiene verosimile che la sponsio abbia, in effetti, rappresentato l’origi-
nario luogo di concentrazione del vantaggio dell’azione, con ruolo preponderante, in quanto
consentiva la realizzazione dello scopo economico del risarcimento, e che successivamente la
giurisprudenza si sia, per gradi, mossa da un criterio oggettivo ad uno soggettivo di stima, con
una considerazione sempre più completa dell’interesse del creditore, secondo una dinamica assi-
milabile a quella che si riscontra in sede di actio de eo quod certo loco e che risultò possibile in ragione
del fatto che la condemnatio fin dall’origine si sia presentata come rivolta al quanti ea res est. Di
recente VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 334 nt. 21 (= Studi Martini, III, cit., 835 nt. 21); ID.,
Per la storia del certum, cit., 200 nt. 712, ricorda che, nelle fonti, è sovente utilizzato il verbo solvere in
riferimento alla pecunia constituta: considerando che nel suo uso più antico tale verbo significa
‘pagare attraverso denaro’ – per questo significato cfr. anche S. CRUZ, Da solutio. Terminologia,
conceito e características, e análise de vários institutos afins, I.1 Época arcaica e clássica, Coimbra 1962,
66 ss.; C. BUZZACCHI, Studi sull’actio iudicati nel processo romano classico, Milano 1996, 62 – l’Autore
ritiene possibile che l’actio de pecunia constituta avesse un oggetto certo e cioè una somma certa di
denaro indicata nella condemnatio.
43
ROUSSIER, Le constitut, cit., 34. Muovendo dagli ancora oggi fondamentali studi di
G. DEMELIUS, Schiedseid und Beweiseid im römischen Civilprozesse, Leipzig 1887, 64 ss., LENEL, EP3,
249, nella ricostruzione dell’editto de pecunia constituta, ritiene che esso contenesse una clausola
relativa alla sponsio et restipulatio dimidiae partis oltre ad una relativa al giuramento davanti al magi-
strato (iusiurandum in iure), in tutto analoga a quella dell’editto solvere aut iurare cogam appartenente
alla rubrica Si certum petetur e riguardante il deferimento del giuramento al convenuto da parte
dell’attore. Tale congettura è ormai pacifica in dottrina: per tutti v. L. AMIRANTE, Il giuramento
prestato prima della litis contestatio nelle legis actiones e nelle formulae, Napoli 1954, 55 ss. 72 ss.;
VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 333 nt. 17 (= Studi Martini, III, cit., 834 nt. 17); ID., Per la
storia del certum, cit., 708. Essa si fonda su D. 12.2.14 (Paul. 3 ad ed.) appartenente al titolo De iureiu-
rando in cui il giuramento de pecunia constituta è collocato sullo stesso piano di quello de pecunia credita
e su uno scolio del maestro bizantino Stefano (sch. ad B. 22.5.34 [Heimb. II, 559 – Sch. B IV,
1458-1459]). L’attore, che doveva aver già prestato il iusiurandum de calumnia (cfr. D. 12.2.34.4
[Ulp. 26 ad ed.] su cui cfr. A. M. GIOMARO, Per lo studio della calumnia. Aspetti di deontologia proces-
.
10 Paolo Costa
C. Aquilius iudex esto. Si paret N.m N.m A.o A.o sestertium X milia constituisse se solu-
turum, neque fecisse quod constituit neque per A.m A.m stetisse quo minus fieret quod constitutum est
eamque pecuniam cum constituebatur debitam fuisse, quanti ea res est, tantam pecuniam, C. Aqui-
lius iudex N.m N.m A.o A.o condemnato; si non paret absolvito.
suale in Roma antica, Torino 2003, 196 ss.) poteva deferire al debitore convenuto nella fase in iure
un giuramento vertente sull’esistenza del credito; il debitore avrebbe potuto a sua volta riferirlo
(cfr. D. 12.2.34.7 [Ulp. 26 ad ed.]), altrimenti si sarebbe trovato di fronte all’alternativa solvere aut
iurare. Non è qui possibile affrontare il dibattito sul regime della sponsio dimidiae partis, sul suo
carattere facoltativo od obbligatorio, sulla sua ammissibilità o meno nel caso di costituto di cose
fungibili: rinvio ai contributi specifici più recenti sul tema, ove altra letteratura: MAGDELAIN, Le
consensualisme, cit., 138 ss.; A. FERNÁNDEZ BARREIRO, Ética de las relaciones procesales romanas:
recursos sancionadores del ilícito procesal, in Sem. Complut. de der. Rom. 1 (1990), 67-68; C. BUZZACCHI,
L’abuso del processo nel diritto romano, Milano 2002, 83 ss.; VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit.,
350 ss. (= Studi Martini, III, cit., 852 ss.).
44
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 229-230.
45
PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 9.
46
ASTUTI, Studi, I, 8; così anche KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, cit.,
88-89.
47
V. GIODICE SABBATELLI, Constituere: dato semantico e valore giuridico, in Labeo 27 (1981),
338-357.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 11
48
Il più antico utilizzo del verbo si rinviene in un verso del Miles gloriosus di Plauto, opera
datata intorno al 206-205 a. C.: Mil. 917: facile esse navem facere, ubi fondata constitutast. Qui il cum
intensifica il senso di costruzione e composizione delle fondamenta della nave, ma si noti che è
descritta un’attività necessariamente integrata da più soggetti che concorrono ad un medesimo
fine. Per noi assai significativi due versi del Trinummus (194-193 a. C.) in cui il verbo constituere
ricorre in un’espressione che comprende anche il sostantivo dies: Trin. 580-581: I hac, Lesbonice,
mecum ut coram nuptiis / dies constituatur. Il constituere appare qui slegato da un’attività materiale con il
valore di decisione che coinvolge più agenti, avendo come soggetto grammaticale il dies nuptiarum,
che dall’angolatura del significato si presenta come oggetto della determinazione. Qui la funzione
del cum può ritenersi più debole, esprimente cioè la contestualità nella scelta del dies, o più forte
(come fa Giodice Sabbatelli), nel senso dell’accordo vero e proprio tra più soggetti. La lettura di
constituere come ‘decidere insieme’ può darsi anche in un altro passo del Miles (808: Nempe tandem
quae dudum constitutast) e in alcuni luoghi di Terenzio (Hecyra 195, Eunuchus 540-541, Phormio 676).
Nell’Amphitruo, che è commedia più recente, il percorso di astrazione dalla materialità del verbo
constituere appare molto marcato in un passo dal quale può evidenziarsi la caratura di intenziona-
lità individuale nel compimento di un atto che abbia efficacia verso altri: il cum rafforza qui il
significato di statuere, che già di per sé indica l’atto di stabilire – ‘statuire’ appunto – in modo fisso
e determinato: Amph. 1051-1052: Neque me Iuppiter neque di omnes id prohibebunt, si volent / quin sic
faciam uti constitui. Sempre con il significato di sicura decisione individuale il verbo si trova in altre
testimonianze plautine (Pseudolus 549) e terenziane (Hecyra 438, Eunuchus 205, Heautontimorumenos
726).
49
Cfr. GIODICE SABBATELLI, Constituere, cit., 340 ss., con specifica attenzione agli usi cicero-
niani.
50
ASTUTI, Studi, I, cit., 11.
51
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 225, appunta la sua attenzione su una sorta di vis attractiva
del verbo constituere, che già in origine avrebbe avuto il significato di promessa di fare o dare
alcunché concentrando in sé anche il requisito del dies e/o del locus in cui tale prestazione si
sarebbe attuata.
.
12 Paolo Costa
Tra gli usi linguistici, attirano la nostra attenzione proprio quelli in cui
il verbo constituere si collega al sostantivo dies. I costrutti constituere diem (o
tempus), constituere...quo die, constitutus (-a) dies (attestato da fonti più recenti) si
trovano, infatti, giustapposti alle forme forse più risalenti statuere diem, status
52
È sufficiente un rapido spoglio del TLL per constatare come il verbo usato nella forma
transitiva regga i più svariati sostantivi accusativi: a titolo esclusivamente esemplificativo, iter,
vadimonium, mercedem funeris, certa praetia, praetium (Cic., In Verr. 3.171; 5.62), aera militibus, poenas (Cic.,
In Verr. 2.138; Pro Sulla 22.63).
53
Cfr. i passi ciceroniani segnalati da GIODICE SABBATELLI, Constituere, cit., 340: Cic., Ad.
Att. 12.40.5; Ad fam. 2.8.3; 6.7.5.
54
Caes., Bell. Civ. 2.44.3, Sen., Medea 444; Phaedra 266; Tac., Annales 14.3.1.
55
Cfr. Caes., Bell. Gall. 7.83.5; Liv., Ab urbe condita 33.12.1; Tac., Germania, 11.
56
Cui si può, de plano, rinviare in ragione del loro pacifico accoglimento in dottrina e della
non attualità della controversia: ASTUTI, Studi, I, cit., 6-15.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 13
(-a) dies, statutus dies (attestato anch’esso da fonti più recenti): il ricorso alla
locuzione contenente il verbo constituere (in relazione a dies), piuttosto che
statuere, solo in taluni casi pare derivare dalla specifica volontà dell’autore
di porre in rilievo la partecipazione di più persone al momento genetico
dell’attività: l’analisi di svariati testi di Cicerone 57 e Sallustio 58, ma anche
57
Limitandoci solo ad alcuni casi in cui il verbo constituere compare in relazione al sostantivo
dies: per es. Cic. Ad Att. 6.1.16: diem statuo satis laxam, quam ante si solverint, dico me centesimas ducturum,
si non solverint ex pactione. In questo passo che appartiene al suo c.d. Editto in Cilicia, Cicerone, in
qualità di proconsole, fissa un limite per le usurae sui pagamenti dovuti ai pubblicani: ai nostri fini
si noti che qui l’atto appare unilaterale ed imperativo, e pertanto l’utilizzo del verbo statuo
potrebbe giustificarsi proprio con la volontà di rimarcare come la decisione emani da un solo
soggetto. In altri casi, l’impiego del verbo constituere sembra motivato dalla presenza di un accordo
che informa l’azione o almeno dalla partecipazione di più soggetti all’azione stessa: Cic., Ad Att.
12.2.2: te videbo et quidem, ut spero, de via recta ad me. Simul enim et diem Tyrannioni constituemus et si quid
aliud; Cic. In Verr., 2.2.27: Constitui cum hominibus, quo die Messane presto essent; Cic., Ad fam., 7.4.1: si
quod constitutum cum podagra habes, fac ut in alium diem differas; Cic., In Cat. 1.(9).24: cum sciam pactam et
constitutam cum Manlio diem; Cic., Pro Caec., 7.18: placuit Caecinae de amicorum sententia constituere, quo die
in rem praesentem veniretur et de fundo Caecina moribus deduceretur. Conloquuntur; dies ex utriusque commodo
sumitur; Cic., Pro Caec., 9.32: cum ad constitutam diem tempusque venisset, ut deductio moribus fieret; Cic.,
Pro Cael., 25.61: constitutum esse cum servis, ut venirent ad balneas Senias. Deve subito sottolinearsi che la
tenuta probatoria di questa esemplificazione è parzialmente minata dalla presenza di altri
esempi, sempre ciceroniani, in cui il medesimo verbo è, invece, utilizzato per descrivere azioni
del tutto unipersonali: Cic., Ad Fam., 2.11.2: belli magni timor impendet, quod videmur effugere si ad consti-
tutam diem decedemus; Cic., Ad Fam., 7.24.2: dixitque iudicem sibi operam dare constituisse eo ipso die, quo de
P. Sextio in consilium iri necesse erat; Cic., De orat., 1.62: sane, inquit, vellem non constituissem me hodie
venturum esse Laelio. Si noti che negli ultimi due esempi il verbo constituere pare avere il senso più
astratto di ‘promettere’ e che questa generalizzazione del valore semantico non sembra essere
disgiunta da un mutamento di costrutto: infatti, non ricorre più il sostantivo dies, in qualche
modo riassorbito dal verbo stesso.
58
Nelle pagine sallustiane si rinvengono usi di constituere e statuere (sempre in relazione al
sostantivo dies), senza che l’impiego dell’uno piuttosto che dell’altro sembri derivare dalla scelta di
porre l’accento sull’elemento della compartecipazione di più soggetti all’integrazione dell’atto:
Sall., Cat. 36.2: senatus Catilinam et Manlium hostis iudicat, ceterae multitudini diem statuit ante quam sine
fraude liceret ab armis discedere; Sall., Bell. Iug. 70.3: utriusque (scilicet: Iugurthae et Nabdalsae) consilio dies
insidiis statuitur. In questi esempi ricorre l’espressione diem statuere (nella diatesi attiva e passiva),
benché l’atto consista in una decisione presa da più soggetti in accordo tra loro: il senato nel
primo caso, Giugurta e Nabdalsa nel secondo. Rilevante sul piano grammaticale la costruzione
constituere diem seguita dal sostantivo – declinato al caso dativo – esprimente l’azione, che si stabi-
lisce si svolgerà in quel giorno; tale costruzione è individuabile anche in altri passi sia di Sallustio
sia di Cesare tra quelli che seguono. Anche quanto al significato, questa costruzione dà maggiore
rilevanza all’elemento del dies, che si configura come oggetto dell’azione del constituere. Sall., Bell.
Iug. 93.8: (consul) omnis Liguri parere iubet et ei negotio proxumum diem constituit. Sallustio impiega in
questo passo il verbo constituere nonostante l’atto sia del tutto unilaterale nella sua formazione,
consistendo in un ordine militare, posto in un non trascurabile parallelismo con il verbo iubere:
seguendo lo schema di classificazione degli usi di constituere proposto da Giodice Sabbatelli può
dirsi che qui l’autore adoperi tale verbo per sottolineare con maggiore enfasi il valore del-
l’intenzionalità del soggetto agente nel compimento dell’atto. Il particolare impiego del costrutto
die constituto, come complemento di tempo determinato, nel passo seguente, può forse apparire
espressione di un uso linguistico consolidato nella prassi: Sall., Bell. Iug. 13.9: ubi legati satis confi-
dunt, die constituto senatus utrisque datur. In un altro luogo il constituere (usato intransitivamente) mani-
festa, anche per il contesto in cui si pone, la valenza semantica (probabilmente originaria) di
accordo sul giorno in cui compiere un’azione: Sall., Bell. Iug. 66.2: dein compositis inter se rebus, in
diem tertium constituunt.
.
14 Paolo Costa
La norma regola la fattispecie in cui ricorra uno dei due gravi impedi-
menti che impongono il differimento del giudizio: tra questi si trova,
appunto, lo status dies cum hoste 62, cioè il giorno fissato con un forestiero,
l’appuntamento 63. Tale caso ricorre anche nel sacramentum militiae 64 come
motivo di dilazione della presentazione del soldato in armi al console. Nei
59
Per es. Caes., Bell. Gall., 1.4.2: die constituta causae dictionis Orgetorix ad iudicium omnem suam
familiam...coegit. Si noti qui il participio perfetto di constituere usato in funzione attributiva in una
locuzione che esprime un complemento di tempo, all’interno di un contesto di attività giudiziarie,
secondo una costruzione linguistica e stilistica non troppo dissimile rispetto a quella rilevata nel
penultimo passo di Sallustio succitato. Caes., Bell. Gall., 1.8.3: ubi ea dies, quam constituerat cum legatis,
venit; Caes., Bell. Civ., 3.19: responsum est ab altera parte, Varronem...altera die ad colloquium
venturum;...certumque ei rei tempus constituitur. Questi due passi sono spesso richiamati dalla dottrina
che sottolinea il carattere di accordo che inerisce al verbo e il fatto che tale accordo abbia per
oggetto specificamente il dies (o il tempus) e non l’azione da compiersi in tale data. Sempre il carat-
tere di accordo si ritrova in: Caes., Bell. Gall., 1.30.5: ea re permessa diem concilio constituerunt (prin-
cipes). Nei passi seguenti, invece, appare più marcata l’unipersonalità del momento genetico
dell’atto (che spesso consiste in una decisione riguardante lo svolgimento delle azioni belliche):
Caes., Bell. Gall., 1.47.1: Ariovistus ad Caesarem legatos misit: velle se de iis rebus...agere cum eo: uti aut
iterum conloquio diem constitueret aut...; 3.23.8: (Crassus) hac re ad consilium delata, ubi omnes idem sentire
intellexit, posterum diem pugnae constituit; 7.64.1: (Vercingetorix) imperat reliquis civitatibus obsides diemque ei
rei constituit; Caes., Bell. Civ., 3.33.1: a fano Dianae depositas antiquitus pecunias Scipio tolli iubebat.
Certaque eius rei die constituta cum in fanum ventum esset.
60
Per un esempio di altri casi in cui constituere ricorre nelle fonti giuridiche col significato di
tenere comportamenti volontari finalizzati a determinati effetti cfr. Gai 3.142: constituere locationem
et conductionem; D. 10.1.12 (Paul. 3 resp.): constituere fines novos; D. 31.16 (Cels. 16 dig.): constituere reos
stipulandi.
61
Ricostruzione: FIRA2, 31. Il riferimento al morbus sonticus deriva principalmente da Festo/
Paolo (sv. <sonticum morbum>, 372 L.) e da Ulpiano (D. 2.11.2.3 – Ulp. 74 ad ed.); mentre la parte
di norma che qui più interessa, con il riferimento allo status dies, è stata ricostruita attraverso
alcuni passi di Plauto (Curc., 1. 1. 4-6), Cicerone (De off. 1.37) e Festo (sv. status dies <cum hoste>,
414-416 L.).
62
Qui hostis va inteso nel significato antico di peregrinus, come attestano le stesse fonti citate
nella nota precedente.
63
Cfr. G. NICOSIA, Il processo privato romano, II, La regolamentazione decemvirale, Torino 1986,
129 ss.
64
Citato da Gell., 16.4.3-4, che riprende il V libro del De re militari di Lucio Cincio Alimento.
Cfr. S. TONDO, Il sacramentum militiae nell’ambiente culturale romano italico, in SDHI. 29 (1963), 1 ss.;
ID., Sacramentum militiae, in SDHI. 34 (1968), 376 ss. Su Cincio cfr. V. GIUFFRÈ, Letture e ricerche
sulla res militaris, II, Napoli 1996, 242 ss.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 15
passi di Gellio e di Plauto, come nella voce di Festo (416 L.), a status si
affianca, quasi a completamento del significato, il participio condictus e si
forma il costrutto status condictusque dies. Il valore semantico di condicere, che
ha una valenza giuridica propria e chiaramente delineata, si riverbera così
sul verbo statuo arricchendo la portata del suo senso concreto di determi-
nazione sicura (di un dies) 65. Ancora più significativa è la definizione di
Festo (sv. Status dies <cum hoste> [415 L.]): status dies vocatur iudicii causa consti-
tutus: si individua qui il valore di participio sostantivato attribuito a consti-
tutus, utilizzato per spiegare il significato di status, sempre inteso come
determinazione dell’appuntamento.
A quanto consta dallo spoglio del TLL e del VIR, l’autore giuridico più
antico in cui si rintracci il nostro costrutto è Alfeno Varo in un passo che
si inserisce nel contesto del receptum arbitri, in cui il dies constitutus (compro-
misso) appare inderogabile, insuscettibile di subire un rinvio per volontà
dell’arbiter 66 :
D. 4.8.50 (Alf. 7 dig.): Arbiter ex compromisso sumptus cum ante eum diem, qui constitutus
compromisso erat, sententiam dicere non posset, diem compromissi proferri iusserat.
Sulla base di questo, pur breve, elenco di fonti riengo che possa
ancora convincere la posizione dottrinale 67 che ritiene la fissazione del
giorno come elemento proprio e caratterizzante della fattispecie del consti-
tutum. La comparazione tra gli usi linguistici nelle fonti letterarie e in
quelle giuridiche, in particolare nel titolo de quo del Digesto, mi pare
consentire una possibile suggestione prodromica all’analisi dell’istituto: la
statuizione (i. e. il constitutum) ha per oggetto un dies, una scadenza entro la
quale deve essere tenuto un comportamento (rectius ai nostri fini, essere
adempiuta una prestazione), e tale statuizione ha carattere di definitività o
per la forza dispositiva esercitata dal soggetto da cui promana o perché
derivante da accordo fra più soggetti 68.
65
Cfr. Fest., sv. condictum (39 L.): condictum est quod in commune est dictum; sv. condicere (56 L.):
condicere est dicendo denuntiare; sv. condictio (58 L.): in diem certum eius rei, quae agitur, denuntiatio. Proprio
quest’ultima definizione dà rilievo al dies certus e può rappresentare un indizio indiretto della rile-
vanza del dies anche per gli usi più antichi del costrutto constituere diem.
66
Sul passo seguente cfr. M. TALAMANCA, Ricerche in tema di compromissum, Milano 1958, 7
nt. 14 e 98 nt. 132; K. H. ZIEGLER, Das private Schiedsgericht im antiken römischen Recht, München
1971, 30 ss.
67
ASTUTI, Studi, I, cit., 3 ss.; ROUSSIER, Le constitut, cit., 95, in opposizione a Philippin e
parzialmente a Bruns.
68
Può tentarsi una classificazione degli usi linguistici e dei costrutti per noi rilevanti. È possi-
bile ritenere che tra i sintagmi più risalenti vi sia quello in cui constituere è collegato espressamente
a dies: per esempio, D. 13.5.4: Sed et si citeriore die constituat se soluturum, similiter tenetur; D. 13.5.19 pr.:
sive pure sive certo die constituatur. Ricorrono poi i casi in cui constituere è collegato al verbo solvere
contenuto in una proposizione infinitiva o completiva o altrimenti dipendente. Tale categoria
può distinguersi in due sottocategorie, la prima che comprende i frammenti in cui il verbo consti-
tuere (usato per lo più in forma finita) regge il participio futuro soluturum (D. 13.5.2; 13.5.3.2;
13.5.4; 13.5.5 pr.; 13.5.5.1; 13.5.5.4-6; 13.5.8; 13.5.11 pr.; 13.5.13; 13.5.14 pr.; 13.5.18.1; 13.5.19.2;
.
16 Paolo Costa
13.5.21 pr.; 13.5.21.2; 13.5.23; 13.5.28; 46.3.59; CI. 4.18.1; I. 4.6.9), la seconda in cui si trova
constituere e l’infinito passivo solvi (D. 2.13.6.3; 13.5.5.9; 39.5.33; 50.8.5.1). Si noti anche l’utilizzo
con satisdaturum (D. 13.5.21.2) e con daturum (D. 13.5.23). In alcuni frammenti constituere ha per
oggetto o per soggetto la locuzione pecunia debita: D. 13.5.1.1; 13.5.3.1; 13.5.11 pr.; 13.5.11.1;
13.5.18.1, o si collega al participio sostantivato debitum: D. 13.5.1.5-6; 13.5.3 pr.; 13.5.5.2; 13.5.11
pr.; 13.5.18.1. In un solo luogo (D. 13.5.20) ricorre l’espressione constitutoriam actionem, che
potrebbe non essere classica. Vi sono, infine, alcuni casi in cui non si usa il verbo constituere
D. 13.5.5.3; 13.5.24; proprio tali passi sono stati oggetto di approfondita analisi da parte di LA
ROSA, Il formalismo del pretore, cit., 205-209 e SERANGELI, Epistulae e negotia nel diritto romano classico,
cit., 17-24, cui rinvio.
69
Su questi passi ciceroniani cfr. G. F. M. DE CAQERAY, Explication des passages de droit privé
contenus dans les œuvres de Cicéron, Paris 1857 (rist. Aalen 1969), 99-100; 531; E. COSTA, Cicerone giure-
consulto, II, Bologna, 1928, 197-199; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 32-35; J. PLATSCHEK,
Studien zu Ciceros Rede für P. Quinctius, München 2005, 38-39.
70
Cfr. Cic., Ad Att. 12.52.1; 14.16.4. È significativo l’utilizzo del constitutum in un tale cumulo
di garanzie. La complessità della fattispecie, per il cumulo di garanzie che ne emerge, muove la
critica moderna (cfr. M. IOANNATOU, Affaires d’argent dans la correspondance de Cicéron. L’aristocratie
sénatoriale face à ses dettes, Paris 2006, 278) a ritenere che il vero garante di Flamma fosse Cicerone
e che Montano non rappresentasse che un prestanome. Ciò farebbe meglio comprendere il
motivo per cui Cicerone si sarebbe assunto una responsabilità inderogabile, come quella nascente
da costituto, ad assistenza di un debito presentato come addirittura di un terzo soggetto. Ciò spie-
gherebbe anche l’intervento del figlio dell’oratore, Marco – Cicero nel testo latino –, disposto a
sacrificare le proprie disponibilità finanziarie per permettere l’adempimento dell’impegno
assunto dal padre, ritrovatosi in crisi di liquidità; si noti, infatti, che, una volta pagato il debito,
sarà Cicerone ad agire in regresso contro Flamma (cfr. Cic., Ad fam., 16.24.1) assumendo su di sé
il rischio dell’insolvenza di quest’ultimo. Si noti anche il riferimento, ovviamente non in senso
tecnico-giuridico, alla fides intesa come affidamento, che – benché qui non sia menzionata a
fondamento del constitutum, ma solo ad indicare la disponibilità di Marco ad assicurare il neces-
sario perché sia onorato l’obbligo assunto dal padre con il costituto – si vedrà essere un elemento
decisivo in tutta la disciplina del nostro istituto. Per un uso simile, cfr. Sall., Cat. 24.2: pecuniam sua
aut amicorum fide sumptam mutuam. Si consideri, peraltro, che – accanto alla lectio ‘ut fide sua’, che
ricorre nel codex Tornesianus Lambini che è quello preferito nell’edizione oxoniense – si rintraccia
anche la lectio ‘uti de suo’ nelle lezioni marginali alla seconda edizione lambiniana (1572-1573), che
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 17
Cic., Ad Atticum 16.15.5: cum enim tanta reliqua sint mihi, ne Terentiae quidem adhuc
quod solvam expeditum est. Terentiae dico? scis nos pridem iam constituisse Montani nomine HS
XXV dissolvere. Pudentissime hoc Cicero petierat ut fide sua. Liberalissime, ut tibi quoque
placuerat, promiseram Erotique dixeram ut sepositum haberet. Non modo <non fecit> sed iniquis-
simo faenore versuram facere Aurelius coactus est.
sono attribuite al vetus codex. Con tale seconda lectio si sottolineerebbe l’aspetto di presa su di sé del
debito altrui, ma avrebbe una certa evanescenza l’elemento dell’affidamento che, invece, mi pare
centrale nella formazione del constitutum. Sul problema della fides nel constitutum cfr. infra § 2.5. In
ultimo, si ricordi che tale passo è stato considerato non riferibile al constitutum, per l’anomalo uso
del verbo dissolvere, da BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 226 nt. 11 e 233. Lo considera invece «un
vero e proprio constitutum» COSTA, Cicerone giureconsulto, II, cit., 197 e nt. 3, seguito da IOAN-
NATOU, Op. ult. cit., 277-278.
71
Cfr. Cic., Ad Att. 1.8. Su tali spese particolarmente ingenti e sullo stile di vita di Cicerone
cfr. A. DESMOULIEZ, Cicéron et son goût. Essai sur une définition de l’esthétique romaine à la fin de la Répu-
blique, Bruxelles 1976, 266 ss.; IOANNATOU, Affaires d’argent, cit., 216 ss.
72
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 233 nega che qui si sia di fronte ad un esempio di consti-
tutum perché curare nel lessico ciceroniano non potrebbe avere il significato di ‘pagare’ o ‘far
pagare’, ma questa critica è stata dimostrata inconsistente dalla dottrina successiva; cfr. COSTA,
Cicerone giureconsulto, II, cit., 198 nt. 2.
73
Cfr. COSTA, Le orazioni di diritto privato di M. Tullio Cicerone, Bologna 1899, 3-27; cfr. l’edi-
zione de Le orazioni (Milano 1964), a cura di V. ARANGIO-RUIZ, ove rileva specificamente ai
nostri fini p. 15 dell’Introduzione.
74
Cfr. Cic., Pro Quinctio 4.14-17.
.
18 Paolo Costa
nando beni da lui posseduti nelle Gallie 75. Quando poi Nevio si sottrasse
all’adempimento della promessa, rifiutando qualsiasi prestito se prima
non avessero trovato un regolamento i conti della società, Quinzio, dopo
aver tentato vanamente di rimuovere Nevio da tale posizione, si ritrovò
costretto a chiedere una breve dilazione nel pagamento ai figli di Scapula
e, mediante rappresentanti, fece vendere, a condizioni molto svantag-
giose, i suoi beni in Gallia, per cui prima aveva lasciato sospeso il bando 76.
Tale celerità e svantaggiosità della vendita fa pensare che già fosse esperi-
bile l’actio de pecunia constituta e che proprio per la consapevolezza della sua
soggezione a tale rimedio processuale, e non per un generico dovere
morale, Quinzio si sia così affrettato a procurarsi i beni necessari per il
pagamento dei debiti 77.
Il constitutum appare avere un carattere d’inesorabilità: fa precipitare
gli eventi. Cicerone scrive che dopo il costituto il debitore è adductus in
summas angustias. L’inesorabilità del nostro negozio deriva dalla natura e
dalla struttura stessa dell’azione che lo protegge. Il giudizio in factum
spinge il giudice a ricercare se vi sia effettivamente stato un costituto e se
sia stato adempiuto; in caso d’inadempimento non si potrebbe evitare la
condanna e ciò rappresenta un forte stimolo per il debitore a celermente
ottemperare 78.
Un’altra fonte letteraria che merita menzione appartiene al Satyricon di
Petronio: durante la celebre cena Trimalchionis si verifica un diverbio tra
Ascilto, uno dei protagonisti principali, e un liberto amico e coetaneo di
Trimalchione, di nome Ermerote. Quest’ultimo difende con ardore la
dignità del proprio status libertinus e del proprio modus vivendi, l’onestà,
correttezza e rispettabilità dei suoi rapporti d’affari, in una vera esalta-
zione di una sorta di ‘etica di ceto’ 79 dei liberti; al vertice di tale autocele-
brazione afferma di non avere alcun constitutum 80 con nessuno:
Petr., Satyricon 57.5: Homo inter homines sum, capite aperto ambulo; assem aerarium
nemini debeo; constitutum habui numquam; nemo mihi in foro dixit: ‘Redde quod debes’.
75
Cfr. Cic., Pro Quinctio 5.18.
76
Cfr. Cic., Pro Quinctio 5.20; cfr.M. TALAMANCA, Contributo allo studio delle vendite all’asta nel
mondo classico, Roma 1954, 132-133.
77
Cfr. COSTA, Cicerone giureconsulto, II, cit., 199.
78
Cfr. ROUSSIER, Le constitut, cit., 126.
79
Così E. LO CASCIO, La vita economica e sociale delle città romane nella testimonianza del Satyricon,
in Studien zu Petron und seiner Rezeption, edd. L. CASTAGNA – E. LEFÈVRE – C. RIBOLDI, Berlin
2007, 10.
80
In tale luogo il sostantivo constitutum è evidentemente usato nella sua accezione tecnico-
giuridica; così M. S. SMITH nel suo commento alla Cena Trimalchionis (Oxford 1975, 156) in cui,
espressamente, non accoglie il significato di ‘fissare un giorno per una causa’ (sostenuto invece,
mi pare a torto, da E. V. MARMORALE nell’edizione da lui curata della Cena Trimalchionis
[Firenze 1961, 104]). Nel Satyricon si ha un’altra occorrenza di tale termine (15.5), ma nel signifi-
cato più comune di ‘appuntamento’. Con tale significato il termine ricorre in molte altre fonti
letterarie: ad es. Cic., Ad Att. 12.1; Pro Caec., 12.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 19
Il passo manifesta un uso comune, anche nella lingua parlata 81, del
termine constitutum nella sua accezione tecnico-giuridica e conferma il
valore e la forza dell’impegno assunto dal debitore con il constitutum: il
rafforzamento della posizione del creditore che si genera con tale vincolo
sorto in capo al debitore è così significativo che rappresenta titolo di vanto
non avere una posizione patrimoniale e finanziaria tale da aver condotto
alla necessaria conclusione di constituta.
La comparazione tra gli usi linguistici nelle fonti letterarie e in quelle
giuridiche, in particolare nel titolo 13.5 del Digesto, mi pare consenta
alcune prime possibili considerazioni preliminari all’analisi dell’istituto,
che sarà svolta più ampiamente infra.
Osservando i profili generali che lo caratterizzano, può già dirsi che il
constitutum nasca come una statuizione di carattere accessorio relativa alla
realizzazione (rectius: all’adempimento) di determinati comportamenti
(rectius: prestazioni) aventi ad oggetto crediti (inizialmente di denaro); la
statuizione ha per oggetto un dies, una scadenza entro la quale deve essere
tenuto il comportamento già convenuto (rectius ai nostri fini: essere adem-
piuta una prestazione cui il soggetto fosse già obbligato), ma tale statui-
zione ha una causa distinta ed autonoma rispetto a quella che sostiene
l’obbligazione principale, benché la necessaria preesistenza di un rapporto
fondamentale, cioè di un’obbligazione originaria, manifesti il carattere
soltanto relativo, dal punto di vista sostanziale dell’autonomia del consti-
tutum rispetto al vincolo principale. La nostra indagine muove dal ricono-
scimento del ruolo del dies come baricentro della nozione di constitutum: il
dies constituti (o dies in quem constituit o tempus constituti) non rappresenta un
ordinario termine contrattuale, cioè non è un semplice dies a quo, bensì un
termine con una diversa caratterizzazione tipologica e che si può definire
dies intra quem. Il constitutum e il suo riconoscimento giuridico hanno proprio
l’utilità originaria di conferire efficacia alla «statuizione avente ad oggetto
la determinazione di una scadenza perentoria per l’adempimento della
prestazione dovuta in base a determinati negozi obbligatori» 82 e precisa-
mente a quelli tutelati prima con la legis actio per condictionem e poi con l’actio
certae creditae pecuniae.
81
Sulle caratteristiche del linguaggio usato dai liberti cfr. B. BOYCE, The language of the
freedmen in Petronius’ Cena Trimalchionis, Leiden 1991, passim (in particolare su Ermerote p. 90 ss.).
Più in generale sulla posizione dei liberti nella società romana cfr. A. LOS, La condition sociale des
affranchis privées, in Annales (ESC) 50 (1995), 1011-1043.
82
ASTUTI, Studi, I, cit., 28.
.
20 Paolo Costa
mente con il solo mutuo di denaro, come si può inferire dalle testimo-
nianze ciceroniane appena riportate in cui ricorrono proprio promesse di
pagare somme di denaro determinate; sicuramente è anche rilevante la
stessa specificazione dell’actio con riferimento alla ‘pecunia’ constituta. Ulte-
riore conforto, pur solo indiretto, per ritenere che originariamente
l’oggetto del debito rafforzato dal constitutum fosse pecuniario si trae dall’a-
nalisi di un frammento in cui si fa riferimento a Labeone e Sesto Pedio 83,
che sono i giuristi più risalenti tra quelli citati nel titolo 13.5 del Digesto:
D. 13.5.3.2 (Ulp. 27 ad ed.): Si is, qui et iure civili et praetorio debebat, in diem sit obli-
gatus, an constituendo teneatur? et Labeo ait teneri constitutum, quam sententiam et Pedius probat:
et adicit Labeo vel propter has potissimum pecunias, quae nondum peti possunt, constituta inducta:
quam sententiam non invitus probarem: habet enim utilitatem, ut ex die obligatus constituendo se
eadem die soluturum teneatur.
L’attività di Pedio, secondo gli studi più recenti, va collocata nella seconda metà del I
83
secolo d. C.: cfr. C. GIACHI, Studi su Sesto Pedio. La tradizione, l’editto, Milano 2005, 4 ss., 42.
84
Sui rapporti tra Pedio e Labeone cfr. GIACHI, Op. ult. cit., passim, sul nostro passo pp. 7-8
nt. 20.
85
Su tale passo cfr. ASTUTI, Studi, I, cit. 126 ss.; ROUSSIER, Le constitut, cit., 92 ss.; FREZZA,
Questioni esegetiche, cit., 703 (= ID., Scritti, II, cit., 319); VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 347 (=
Studi Martini, III, cit., 850). Il finale sull’utilitas della coincidenza tra dies a quo e dies constituti è
probabilmente frutto di un’interpolazione.Per i profili problematici riguardanti il costituto di
un’obbligazione in diem cfr. infra 5.1.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 21
86
Per il testo seguo la recente edizione curata da J. H. A. LOKIN – R. MEIJERING –
B. H. STOLTE – N. VAN DER WAL (Groningen 2010), peraltro non discostantesi dall’ed. Ferrini,
ove questa trad.: Centum aureos mihi debebas; obviam tibi veni eos repetens. Cum ita peterentur et velles prae-
sentes angustias effugere, pollicitus es decimo mensis die eos te soluturum. Cum dies iam elapsus esset, repetebam a
te, qui actionum fines suptilius captans nullomodo te teneri aiebas. Non enim stipulatio facta fuerat, ut ex stipulatu
tecum agi posset, neque mandatum erat subsecutum ut mandati actio competeret. Tuam igitur improbitatem praetor
respiciens, quae tuis ipsius promissis adversaretur, pecuniae constitutae actionem proposuit.
.
22 Paolo Costa
87
Cfr. C. FADDA, Le garanzie delle obbligazioni. Lezioni di diritto romano, (edd. M. COLAMONICO
– R. ZINGARELLI), Napoli 1897, 43; ASTUTI, Studi, I, cit., 5; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda
constitutum debiti, cit., 114-115.
88
ASTUTI, Studi, I, cit., 41; ROUSSIER, Le constitut, cit., 106. Tale soluzione portava ad un
nuovo impiego della nozione di mora: prima lo strumento escogitato dai giuristi romani per
permettere la considerazione del danno da ritardo era la stipulazione di una pena convenzionale,
sottoposta alla condizione dell’inadempimento al dies cui era riferita l’obbligazione principale;
con la soluzione sabiniana si inizia a stabilire che il danno da ritardo vada comunque risarcito
per il fatto stesso della tardività della prestazione che rappresenta una lesione dell’interesse del
creditore, anche laddove non venga in considerazione il perimento della cosa, come nel caso del-
le obbligazioni pecuniarie: ciò porterà alla nozione delle c.d. usurae legali, indipendenti dalla
volontà delle parti. Cfr. per fonti e altra letteratura: G. CERVENCA, Contributi allo studio delle usurae
c.d. legali nel diritto romano, Milano 1969, passim; C. A. CANNATA, sv. Mora (storia), in ED. 26 (1976),
924 e 928-929.
89
ASTUTI, Studi, I, cit., 44; così anche ROUSSIER, Le constitut, cit., 107.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 23
2. – La qualificazione dogmatica
2.1. – La controversa attribuzione al constitutum della qualifica di pactum
Questione di sicuro interesse classificatorio è quella se il constitutum sia
o meno un pactum; questione aggravata dalla presenza nel nostro titolo di
un frammento ulpianeo che sembra presupporre un collegamento tra la
genesi dell’istituto e l’area concettuale del pacisci 94 :
90
Cfr. F. AMARELLI, Locus solutionis. Contributo alla teoria del luogo dell’adempimento in diritto
romano, Milano 1984, 111 ss., ove letteratura precedente.
91
ASTUTI, Studi, I, cit., 46. Ad ulteriore conforto di questa posizione e concentrando la
nostra attenzione sull’interesse del creditore ad un rafforzamento della propria posizione in forza
della conclusione di un constitutum, si rinvengono conferme significative di questo profilo nelle
fonti letterarie precedentemente indicate. La Pro Quinctio (5.18) dimostra la forza della caratura di
inesorabilità del vincolo assunto col costituto; il Satyricon (57.5) rende ben comprensibile come per
un debitore l’avere sul proprio capo dei constituta sia segno di una situazione finanziaria non
florida e, in ogni caso, di una esposizione a richieste creditorie particolarmente forti e cogenti.
92
Cfr. H. LÉVY-BRUHL, Rec. a ROUSSIER, Le constitut, cit., in RHD. 41 (1963), 108.
93
Definizione conforme a quella della più autorevole civilistica contemporanea; cfr.
C. M. BIANCA, Diritto Civile, V, Milano 1994, 1 ss.; G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità
civile, Padova 2005, 119 ss.; A. D’ANGELO, Buona fede-correttezza nell’esecuzione del contratto, in Trattato
della responsabilità contrattuale, diretto da G. VISINTINI, I, Inadempimento e rimedi, Padova 2009, 101.
94
Per i profili etimologici riguardanti i vocaboli derivanti dalla radice indoeuropea pak-, che
avrebbe il significato originario di ‘rendere stabile’ e successivamente di ‘costituire un legame’ e
da cui discenderebbero pax e pacare (nel VI sec. a. C.), pacere (alla metà del V sec. a. C.), paciscere
(alla metà del III sec. a. C.), pacisci (alla fine del III sec. a. C.), infine nel I sec. a. C. pactio (con
caratura pubblicistica) e pactum (con caratura privatistica), cfr. B. BISCOTTI, Dal pacere ai pacta
.
24 Paolo Costa
conventa. Aspetti sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall’epoca arcaica all’Editto giulianeo, Milano 2002,
1-16.
95
S. PEROZZI, Il contratto consensuale classico, in Studi in onore di F. Schupfer, Torino 1898, I, 169
(= S. PEROZZI, Scritti giuridici, ed. U. BRASIELLO, Milano 1948, II, 568).
96
Per la nozione di patto nel diritto intermedio e i problemi legati ai c.d. pacta nuda e ai vesti-
menta cfr. ASTUTI, I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, cit., 65 ss. e per i testi preirne-
riani pp. 453 ss.; A. D’ANGELO, Promessa e ragioni del vincolo I. Profilo storico e comparativo, Torino
1992, 71 ss., 83 ss., 99 ss., 115 ss. (in particolare 125 ss. sui rapporti tra obbligazione naturale e
costituto di debito nel diritto comune); P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Bari 1995, 103 ss.
242 ss.; R. VOLANTE, Il sistema contrattuale nel diritto comune classico. Struttura dei patti e individuazione
del tipo. Glossatori e Ultramontani, Milano 2001, passim (sul costituto di debito cfr. pp. 158, 160, 173,
175); E. STOLFI, A proposito di un fondamentale momento della «tradizione romanistica»: l’elaborazione medie-
vale in materia di pacta, in RDR. 2 (2002), 441 ss.
97
Si vedano solo i titoli di queste opere monografiche, tesi di dottorato o articoli sul consti-
tutum: G. FOURCADE-PRUNET, Du pacte de constitut, Paris 1858; T. GOUBET, Du pacte de constitut en
droit romain, Paris 1863; C. REMY, Du pacte de constitut en droit romain, Paris 1864; E. LAMY, Du pacte
de constitut en droit romain, Paris 1870; BODIN, Des effets du pacte de constitut, cit., 209 ss.; L. VANDIER,
Du pacte de constitut en droit romain, Paris 1874; E. GUILLARD, Les banquiers athéniens et romains: trapé-
zites et argentarii, suivis du pacte de constitut en droit romain, Paris 1875; P. TOUSSAINT DE QUIÈVRE-
COURT, Du pacte de constitut en droit romain, Paris 1875; F. HARANGER, Du pacte de constitut en droit
romain, Paris 1880; H. MARMONIER, Du pacte de constitut, Paris 1882; M. BENTÉJAC, De l’action et du
pacte de constitut en droit romain, Bordeaux 1884; H. DE GUIGNÉ, Du pacte de constitut, Paris 1888;
P. L. CONTAT, Du pacte de constitut, Paris 1890; VALERY, Conjectures sur l’origine et les transformations
du pacte de constitut, cit.; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit. Si può notare la persistenza del concetto
di ‘patto di costituto’ anche in opere di civilistica contemporanea volte a mostrare l’attualità del
constitutum nella pratica degli affari e nelle costruzioni giurisprudenziali, cfr. per tutti F. JACOB, Le
constitut ou l’engagement autonome de payer la dette d’autrui à titre de garantie, Paris 1998.
98
Ancora nella dottrina novecentesca riconducono la figura ai pacta praetoria R. MONIER,
Manuel de droit romain, Les obligations, Paris 19545, 200; G. LEPOINTE, Les obligations en droit romain,
Paris 1955, 114. Lo stesso V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli 198914, 334, usa
l’espressione pacta praetoria, benché la consideri «alquanto infelice». G. GROSSO, Il sistema romano
dei contratti, Torino 19633, 192, ritiene la collocazione del constitutum tra i pacta praetoria una «pura
sistemazione di comodo che può dirsi infelice». Analogamente ad Arangio-Ruiz anche
F. SCHULZ, Classical Roman Law, Oxford 1951, 471 e 559-560, inserisce il constitutum tra i pacta prae-
toria, ma poi discute tale denominazione, osservando che nella giurisprudenza e nell’Editto non
ricorre mai il termine di pactum per designare tale atto giuridico, ma è comunque opportuno
usarlo perché la natura giuridica è quella del ‘patto’ inteso come accordo informale. Ancora di
recente inseriscono il constitutum tra i pacta praetoria G. MELILLO, Contrahere, pacisci, transigere. Contri-
buti allo studio del negozio bilaterale romano, Napoli 1994, 235 ss., MARRONE, Istituzioni, cit., 510;
GIACHI, Studi su Sesto Pedio, cit., 7 nt. 19.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 25
99
Cito solo alcune opere recenti in cui si affronta il tema dei rapporti tra la nozione di patto
e la pecunia constituta: MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 20 ss.; G. MELILLO, sv. Patti (storia), cit.,
479 ss. (spec. 482 e nt. 29); F. STURM, Il pactum e le sue molteplici applicazioni, in Contractus e pactum.
Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana. Atti del convegno di diritto romano e della presenta-
zione della nuova riproduzione della ‘littera Florentina’, Copanello 1-4 giugno 1988, ed. F. MILAZZO, Napoli
1990, 149 ss. spec. 177 ss.
100
Cfr. D. 2.14.7.4 (Ulp. 4 ad ed.): Sed cum nulla subest causa, propter conventionem hic constat non
posse constitui obligationem: igitur nuda pactio obligationem non parit, sed parit exceptionem. Su tale passo cfr.
P. VOCI, La dottrina romana del contratto, Milano 1946, 243 ss.; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit.,
23 ss. 40 ss. spec. 46 e nt. 117; H. P. BENÖHR, Das sogenannte Synallagma in den Konsensualkontrakten
des klassischen römischen Rechts, Hamburg 1965, 13 ss.; G. MELILLO, In solutum dare: contenuto e dottrine
negoziali nell’adempimento inesatto, Napoli 1970, 73 ss.; ID., Contrahere, pacisci, transigere, cit., 212 ss.;
R. SANTORO, Il contratto nel pensiero di Labeone, in AUPA. 37 (1983), 206 ss. 235 ss. 253 ss.;
F. GALLO, Eredità di giuristi romani in materia contrattuale, in SDHI. 55 (1989), 123-190; A. SCHIA-
VONE, La scrittura di Ulpiano. Storia e sistema nelle teorie contrattualistiche del quarto libro ad Edictum, in Le
teorie contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea. Atti del convegno di diritto romano (Siena 14-15
aprile 1989), ed. N. BELLOCCI, Napoli 1991, 146 ss. Cfr. P.S. 2.14.1: ex nudo pacto inter cives Romanos
actio non nascitur, su cui cfr. R. KNÜTEL, Contrarius consensus. Studien zur Vertragsaufhebung im römischen
Recht, Köln-Graz 1968, 61 ss.; B. SCHMIDLIN, Die römischen Rechtsregeln, Köln-Wien 1970, 97 ss.;
R. MEYER-PRITZL, Pactum, conventio, contractus. Zum Vertrags – und Konsenverständnis im klassischen
römischen Recht, in Pacte, convention, contrat. Mélanges en l’honneur du Prof. B. Schmidlin, edd. A. DUFOUR
– I. RENS – R. MEYER-PRITZL – B. WINIGER, Bâle 1998, 114 ss.
101
Così MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 45.
102
Per il dibattito dottrinale sul punto cfr. G. G. ARCHI, Ait praetor: «pacta conventa servabo».
Studio sulla genesi e sulla funzione della clausola nell’Edictum Perpetuum, in De iustitia et iure. Festgabe für
U. von Lübtow zum 80. Geburtsag, edd. M. HARDER – G. THIELMANN, Berlin 1980, 373 ss. spec.
376 ss., ove letteratura (= ID., Scritti di diritto romano, I, Milano 1981, 481 ss. spec. 485 ss.). Di
recente ha ribadito l’insostenibilità della tesi del Magdelain C. A. CANNATA, La nozione di contratto
nella giurisprudenza romana dell’epoca classica, in Autour du droit des contrats. Contributions de droit romain en
l’honneur de F. Wubbe, ed. P. PICHONNAZ, Genève – Zürich – Bâle 2009, 19-48.
103
C. MANENTI, Contributo critico alla teoria generale dei pacta, in Studi Senesi, 7 (1891), 251; ID.,
Pacta conventa servabo, in Studi Senesi, 31 (1915), 203 ss., nega la qualificazione di pactum perché il
constitutum genera un’azione; così anche PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 48.
104
C. FERRINI, Sulla teoria generale dei pacta, in Filangieri, 17 (1892), 65 ss. (= ID., Opere, ed.
E. ALBERTARIO, Milano 1929, III, 243 ss.); ID., Note a GLÜCK, cit., 160 nt. e), oltre a ritenere che
in origine il constitutum fosse un istituto formale, rigetta in quanto «mal detta» l’espressione ‘patto
pretorio’ e lo qualifica ‘patto ordinario’, definizione idonea a distinguerlo dai c.d. pacta praetoria,
ma che non sembra avere alcun sostegno nelle fonti. Anche KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über
constituta pecunia, cit., 247 e 339, parla di ein gewöhnliches pactum.
105
A. D’ORS, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit, in AHDE. 29 (1959), 726, nega la
qualificazione di pactum per il constitutum (e il receptum) con una motivazione chiara, che muove
.
26 Paolo Costa
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 27
112
Cfr. GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 178 ss.; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit.,
49 ss.; ALBANESE, Gli atti negoziali, cit., 149 ss.; MELILLO, Contrahere, pacisci, transigere, cit., 253 ss.
113
Cfr. D. 2.14.7.5 (Ulp. 4 ad ed.), su cui R. CARDILLI, Il problema della resistenza del tipo contrat-
tuale nel diritto romano tra natura contractus e forma iuris, in Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto
privato 3, ed. R. FIORI, Napoli 2008, 73 ss., ove letteratura precedente. Si ricordi la distinzione
tra pacta ex (o in) continenti e pacta ex intervallo: i primi, conclusi contestualmente al contratto nell’atto
della sua formazione, concorrevano a modellarlo, e quindi ad esso inerivano ed erano accessori,
sia che fossero pro reo, sia pro actore; i secondi, distinti e autonomi rispetto al contratto, interveni-
vano successivamente alla sua conclusione, non inerendo ad esso, e quindi, soltanto se pro reo,
avevano un’efficacia, che era quella di produrre l’exceptio; cfr. GROSSO, Il sistema romano dei
contratti, cit., 179-180.
114
Cfr. R. KNÜTEL, Die Inhärenz der exceptio pacti im bonae fidei iudicium, in ZSS. 84 (1967),
133 ss.
115
Cfr. G. GROSSO, L’efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia, in Studi Urbinati 1 (1927), 26-69 e II,
1-2 (1928), 1-33 (= ID., Scritti storico-giuridici, III, Torino 2001, 1 ss.) e Efficacia dei patti nei bonae fidei
iudicia. Patti e contratti, in Memorie dell’Istituto giuridico della Regia Università di Torino 2a s., III, Torino
1928, 3-42 (= ID., Scritti, cit., III, 84 ss.). Ai nostri fini fondamentali soprattutto le pp. 4-14 (=
85-99) di quest’ultima opera. Segue esplicitamente Grosso U. BRASIELLO, Sull’elemento subiettivo nei
contratti, in Studi Urbinati 3 (1929), 112 nt. 4.
116
Cfr. J. ROUSSIER, Le pacte adjoint in continenti à la stipulation, in Studi in onore di E. Betti, IV,
Milano 1962, 3-13.
117
Cfr. D. 12.1.7 (Ulp. 26 ad ed.); D. 12.1.11.1 (Ulp. 26 ad ed.); D. 12.1.22 (Iul 4 ex Minicio);
D. 13.3.4 (Gai. 9 ad ed. prov.); D. 22.1.41.1 (Mod. 3 resp.).
118
Come vuole GIRARD, Manuel élémentaire, cit., 630 nt. 5.
.
28 Paolo Costa
Qui si vede con chiarezza che, secondo Sabino (e Giuliano che lo cita
senza dissentire), il tempo (e il luogo) convenuto per l’esecuzione avevano
efficacia per l’aestimatio litis: Grosso119 ritiene probabile che il dies conve-
nuto per la restituzione potesse essere un elemento inerente al mutuo e
suffraga tale tesi indicando il passo di Gaio (3.90) da cui si ricava la
nozione di mutuo come di un contratto in cui avviene la dazione di una
determinata quantità di cose fungibili120 ut accipientium fiant et quandoque nobis
non eadem, sed alia eiusdem naturae reddantur: il quandoque apparirebbe tollerare
la fissazione di un termine per la restituzione e questa possibilità rientre-
rebbe nel concetto stesso di mutuo; sia chiaro però che da tale considera-
zione Grosso non trae una presa di posizione favorevole al ricono-
scimento di una generale inerenza a tale contratto dei pacta adiecta in conti-
nenti. Le conclusioni di Grosso, intermedie tra chi nega ogni rilevanza del-
la statuizione di un dies nel mutuo e chi invece la sostiene, sono accettate
dall’Astuti121, ma in parte emendate, in tempi più recenti, dalla Sacconi122
che sottolinea che per Gaio l’intesa comporti che le cose mutuate vengano
restituite, ma non si precisa se la data di restituzione possa essere oggetto
di un esplicito accordo. Sacconi ammette che D. 12.1.22 fornisca un argo-
mento per sostenere la possibilità di un’intesa esplicita circa il tempo di
restituzione della res di cui tenersi conto per la litis aestimatio, ma sottolinea
che si tratta del caso di un mutuo di derrate e che non si hanno testimo-
nianze nel caso di mutuo di pecunia. Secondo la Sacconi la conventio poteva
contenere un termine per la restituzione e tale termine sarebbe divenuto
integrante l’obligatio 123, ma quello che per noi rileva è che qui il termine si
configuri ancora come dies a quo: l’obligatio sorge immediatamente, ma per
esigere la prestazione deve attendersi la scadenza del dies, pena una pluris
petitio tempore. Va ribadito, per evitare fraintendimenti, che, invece, il dies
119
GROSSO, Efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia. Patti e contratti, cit., 8 (= 90). Tesi poi ribadita
in GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 176. Il nostro passo è normalmente posto in compa-
razione con D. 13.3.4 (Gai. 9 ad ed. prov.) in tema di adiectio loci.
120
Si ricordi che questo attributo, di cui anch’io d’ora innanzi farò uso, non si rinviene nelle
fonti giuridiche romane, nelle quali si trovano piuttosto espressioni come: res quae pondere numero
mensura constant (o consistunt o continentur o valent); cfr. D. 12.1.2.1 (Paul. 28 ad ed.); D. 23.3.42 (Gai 11
ad ed. prov.); D. 30.30 pr. (Ulp. 19 ad Sab.); D. 35.2.1.7 (Paul. lib. sing. ad. leg. Falc.); D. 44.7.1.2
(Gai. 2 aur.); I. 3.14 pr.; cfr. G. GROSSO, Corso di diritto romano. Le cose, Torino 1941, 261 ss. (rist. in
RDR. 1 [2001], 167 ss.).
121
ASTUTI, Studi, I, cit., 48.
122
G. SACCONI, Conventio e mutuum, in Index 15 (1987), 423; così anche PULITANÒ, De eo quod
certo loco, cit., 68 ss., cui rinvio per l’approfondimento del tema e la citazione della letteratura
precedente.
123
Ad un dies creditae pecuniae allude anche D. 26.7.8. Cfr. M. KASER, Mutuum und stipulatio, in
Eranion in honorem G. S. Marikadis, I, Athenai 1963, 170 ss. (= ID., Ausgewählte Schriften II, Napoli
1976, 288 ss.).
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 29
constituti rappresenta un dies intra quem e che per tale finalità le fonti non
sembrano offrire alternative alla conclusione di un constitutum debiti. La
struttura rigida del negozio e della sua tutela processuale a proposito del
mutuo (e in particolare il mutuo di denaro, poiché per gli altri genera già si
è vista la maggiore apertura dei sabiniani quanto al tempo di riferimento
per la litis aestimatio) impediva riconoscimenti di efficacia alla statuizione
della scadenza e apprezzamenti del corrispondente interesse del creditore:
lo stesso limite si verificava anche per la condictio certae rei. Riguardo ad un
possibile avvicinamento, almeno in punto di efficacia pratica, del consti-
tutum ai pacta adiecta, deve sottolinearsi che il constitutum non può confon-
dersi con tali patti, perché, mentre un pactum adiectum in un giudizio di
stretto diritto spiega efficacia in quanto appartenente alla genesi del
negozio tutelato e rivestito della sua forma, invece il constitutum aveva una
speciale e autonoma tutela edittale. Da ciò consegue che non può appli-
carsi al costituto la distinzione intercorrente per i pacta adiecta tra pacta in
continenti e ex intervallo, che sicuramente è stata generalizzata dai bizantini e
che sarebbe, in ogni caso, difficilmente riferibile ai patti relativi al mutuo,
così come alla stipulatio124. Dunque quello che va sottolineato del costituto
non è il suo susseguire in continenti o ex intervallo al debitum, bensì il suo porsi
in relazione di accessorietà con l’obbligazione principale.
124
S. RICCOBONO, Stipulatio ed instrumentum nel diritto giustinianeo, in ZSS. 43 (1922), 344 ss.;
GROSSO, Efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia. Patti e contratti, cit., 5; ASTUTI, Studi, I, cit., 60; ID., I
contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, cit., 69.
125
Plaut. Aul. 200 ss. 254 ss.; Asin. 734; Bacchid. 865-871 e 879-883; Poen. 1155-1157; Pseud.
225; cfr. BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 123 ss. spec. 129-132.
.
30 Paolo Costa
dei filologi126, la forma pacere delle XII Tavole e il paciscere che si incontra
solo in un passo di Nevio (Bell. Pun. 7), arricchisca il verbo di un significato
più puntuale e specifico rispetto all’originario. Oltre al fondamentale
contenuto semantico di ‘ristabilire la pace, riequilibrando una situazione’,
il verbo pacisci si venerebbe di sfumature di significato, tipiche dei depo-
nenti, che richiamano l’idea del ‘compiere alcunché nel proprio interesse’
e cioè di ‘fare l’atto del pacere nel proprio vantaggio’, sottolineando così la
centralità dell’agente, che sarebbe colui che ha uno specifico e peculiare
interesse a che si realizzi l’azione oggetto del pacisci al posto di un’altra per
lui più dannosa. Secondo la Biscotti il passaggio al sostantivo pactum, che
reca seco l’impronta del tempo perfetto del modo participio nel significato
di ‘ciò che è stato pactum’, porrebbe maggiormente in ombra il ruolo del-
l’agente, in quanto l’azione è ormai data per compiuta, mentre farebbe
risaltare la posizione del soggetto che ne beneficia, su cui ricadono gli
effetti dell’azione. Anche commentando il noto passo di D. 50.17.73.4
(Q. M. Scaev. l. s. o™rwn)127, l’Autrice individua nel pacisci gli elementi dello
scambio riequilibratore e dell’unilateralità dell’atto sul piano della strut-
tura, benché sul piano genetico inizi ad avere un rilievo maggiore l’ele-
mento del consenso, che avrà un ruolo centrale nelle figure contrattuali
che lentamente vanno emergendo e che, secondo la Biscotti, hanno
addentellati riconducibili alla medesima area concettuale del pacisci 128.
Esaminando alcuni passi di Alfeno Varo, tra cui soprattutto D. 18.1.40 pr.
(Paul. 4 epitom. Alfeni dig.), l’Autrice129 individua la presenza nel verbo
pacisci di un’impronta di unilateralità130 che è rafforzata dal suo uso sinoni-
mico, in questo passo alfeniano, con la locuzione legem dicere, cosicché il
pacisci acquisisce una portata semantica assai simile a quella di ‘statuire
unilateralmente’, benché tale unilateralità soggettiva venga attenuata
dalla bilateralità oggettiva del contenuto della statuizione, cioè di quanto
si va a stabilire con l’atto del pacisci: può dirsi, in breve, che divenga
sempre più rilevante la volontà delle parti limitatamente al regolamento
del negozio concluso. La Biscotti risolve131 la sua ricerca ipotizzando che
in età tardo-repubblicana l’atto di pacisci si caratterizzasse per due
elementi contenutistici e uno formale: gli elementi contenutistici sono il
126
Cfr. P. FLOBERT, Les verbes déponents latins de origines à Charlemagne, Paris 1975, 62, 289,
357 ss.
127
D. 50.17.73.4: Nec paciscendo nec legem dicendo nec stipulando quisquam alteri cavere potest, su cui
cfr. BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 147 ss., ove letteratura precedente.
128
BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 157.
129
Cfr. B. BISCOTTI, Il mercante e il contadino, in Labeo 45 (1999), 368 ss.; EAD., Dal pacere ai
pacta conventa, cit., 333 ss., ove letteratura precedente.
130
BISCOTTI, Dal pacere ai pacta conventa, cit., 351.
131
BISCOTTI, Op. ult. cit., 412 ss.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 31
.
32 Paolo Costa
Il passo, come già detto, non può non essere posto in riferimento con
il regime della stipulatio; pare che Ulpiano voglia proprio elencare i requi-
siti che distinguono il constitutum dalla stipulatio: la possibile conclusione
inter absentes, per nuntium e quibuscumque verbis. Nel constitutum come nei patti
non c’era il rigore formale caratterizzante la stipulatio e qui ci interessa
sottolineare il collegamento semantico tra l’area del pacisci e quella del
constituere e come alcune modalizzazioni giuridiche del fenomeno pattizio
assonino con le dinamiche genetiche e operative del constitutum. Ciò ci
permette di concludere che il constitutum non sia riconducibile alla cate-
goria dei patti e quindi sia scorretta dogmaticamente l’inclusione nei pacta
praetoria che si è tralatiziamente reiterata in dottrina, ma, ciononostante,
deve riconoscersi che il constitutum abbia un contenuto intimamente
pattizio, se con questo attributo si intende una consensualità di effetti e di
riflessi sulla sfera giuridica individuale; si ricordi però che usiamo una
qualificazione che è il precipitato storico della tradizione medievale, con
tutte le influenze che, nella formazione di tale concetto, hanno avuto la
scienza canonista e il contatto con le consuetudini dell’area germanica.
132
Cfr. P.S. 2.2.1.9; D. 13.5.2; 13.5.3.2; 13.5.4; 13.5.5 pr., 1, 4, 5, 6; 13.5.8; 13.5.11 pr.;
13.5.13; 13.5.14 pr.; 13.5.18.1; 13.5.19.2; 13.5.21 pr., 2; 13.5.23; 13.5.28; 46.3.59; CI. 4.18.1; I. 4.6.
133
L’unico frammento in cui l’espressione constituere quis potest è riferita al creditore è
D. 13.5.16.1, ma deve dirsi che esso è considerato probabilmente rimaneggiato da B. BIONDI, Di
nuovo sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, in BIDR. 26 (1913), 21, seguito da ASTUTI, Studi, I, cit.,
118.
134
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 299; PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 14; ASTUTI, Studi,
II, cit., 13 ss.; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, cit., 55 ss. Queste soprattutto
sono le opere monografiche che hanno condizionato la maggior parte della manualistica succes-
siva.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 33
cale è reso con l’uso del caso dativo. Segrè135 compara il momento gene-
tico del constitutum e quello della stipulatio, rilevando il discrimen nel fatto che
l’efficacia del primo dipende soltanto dalla dichiarazione del debitore e
non solo non è necessaria una precedente interrogazione orale o scritta
del creditore, ma essa, qualora vi fosse, sarebbe un elemento di fatto, inin-
fluente e mai indispensabile. Marrone136 sottolinea che nella prassi la
dichiarazione del costituente fosse probabilmente non solo accettata, ma
sollecitata dal creditore che ne avrebbe tratto vantaggio.
D. 13.5.1 pr. sembra militare contro l’impostazione unilateralistica:
Hoc edicto praetor favet naturali aequitati, qui constituta ex consensu facta custodit,
quoniam grave est fidem fallere. Tuttavia, in questo testo137, il costrutto ex
consensu non va inteso come implicante la necessità di una espressa dichia-
razione del creditore per vincolare il debitore, bensì deve dirsi che il
comportamento del creditore possa configurarsi come meramente recet-
tizio della dichiarazione unilaterale (vincolante) del debitore, tanto più
che nei testi non si dà testimonianza di casi o modi di manifestazione del
consenso da parte del creditore. Ciò si spiega anche dal punto di vista
pratico, perché dal costituto non sarebbe potuto discendere alcun pregiu-
dizio in capo al creditore.
In modo assai conciso, ma molto convincente, Burdese138, in critica
alla lettura di Magdelain che vede nel constitutum un esempio del riconosci-
mento pretorio del consensualismo, scrive che non vi sono fondate ragioni
per escludere la sostanziale classicità del richiamo al consenso contenuto
nel frammento riportato, ma ribadisce che l’intervento del creditore non
135
SEGRÈ, Le garanzie personali, I, cit., 269 nt. 1. Cfr. anche PHILIPPIN, Le pacte de constitut,
cit., 49.
136
MARRONE, Istituzioni, cit., 510.
137
La genuinità di questo passo è stata spesso contestata per il richiamo alla naturalis aequitas
ed alla fides e per lo stile enfatico, che sembrano di matrice bizantina: F. PRINGSHEIM, Ius aequum
und ius strictum, in ZSS. 42 (1921), 667 nt. 5; ID., Beryt und Bologna, in Symbolae Friburgenses in honorem
O. Lenel, Leipzig 1931, 267; V. DE VILLA, Studi sull’obligatio naturalis in Studi sassaresi 17 (1939), 65;
ROUSSIER, Le constitut, cit., 13. ASTUTI, Studi, II, cit., 14-15, si pone in una posizione piuttosto
ambigua, mentre a favore della sostanziale classicità del richiamo al consenso si levano le voci
della dottrina più moderna: TONDO, In tema di constitutum debiti, cit., 220; A. BURDESE, Rec. a
ROUSSIER, Le constitut, cit., in Iura 10 (1959), 222; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum
debiti, cit., 144; RICART MARTÌ, Constitutum debiti, cit., 698 ss.; VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit.,
330 nt. 7 (= Studi Martini, III, cit., 830 nt. 7).
138
A. BURDESE, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., in Iura 10 (1959), 213-214; ID., sv.
Patto (diritto romano), cit., 711. L’impostazione del Magdelain incontra analoghe critiche anche da
parte di L. AMIRANTE, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., in BIDR. 63 (1960), 297 ss. (sul
constitutum cfr. pp. 310-311). Anche U. BRASIELLO, Rec. a MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., in
SDHI. 25 (1959), 470, disapprova l’impostazione del Magdelain, ritenendo che la protezione
pretoria accordata al costituto non si fondi sull’elemento soggettivo, in particolare sul consenso,
perché esso non rappresenta l’aspetto concreto e basilare dell’istituto, ma ha un valore secon-
dario. Il Brasiello segue una linea interpretativa di forte svalutazione dell’elemento del consenso
nei negozi giuridici, già proposta in uno studio precedente, che pare – al lume della riflessione
successiva – in gran parte superata; cfr. ID., Sull’elemento subiettivo nei contratti, cit., 103-130.
.
34 Paolo Costa
139
RICART MARTÌ, Constitutum debiti, cit., 698.
140
LA ROSA, Il formalismo del pretore, cit., passim.
141
D. 13.5.5.3; D. 13.5.24; D. 13.5.26; D.13.5.31.
142
CUQ, Manuel des institutions iuridiques des Romains, cit., 512.
143
Problema analogo a quello che poneva l’art. 36 Codice di Commercio e che pone
l’art. 1333 del Codice Civile.
144
Cfr. SEGRÈ, Le garanzie personali, I, cit., 269 nt. 1, 299; ASTUTI, Studi, II, cit., 20;
BURDESE, Rec. a ROUSSIER, cit., 223; ID., Manuale, cit., 491; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda
constitutum debiti, cit., 89-90.
145
Mi pare che avesse colto nel segno LÉVY-BRUHL, Rec. a ROUSSIER, cit., 107-108: «nous
somme en présence d’une declaration unilatérale du constituant, productrice d’obligation, et
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 35
tanto più che è possibile pensare che a livello di tassonomia delle figure
giuridiche il constitutum fosse fatto rientrare nell’actum, inteso come verbum
generale, secondo la nota classificazione ulpianea (D. 50.16.19 [Ulp. 11 ad
ed.]).
Un modello146, pur lontano, potrebbe trovarsi in due istituti del ius
civile di cui si ha traccia nel manuale gaiano dopo l’esposizione della stipu-
latio e sempre nell’alveo della trattazione delle obligationes verbis contractae: la
dotis dictio e la promissio iurata liberti 147. Quanto alla dotis dictio la dottrina 148
sottolinea che la circostanza che l’atto si perfezioni uno loquente non sia
decisiva per escludere che si tratti di un negozio bilaterale, sostanzial-
mente assimilabile ad un contratto, poiché lo sponsus, cioè il marito dota-
tario, è presente e accetta tacitamente la promessa149. È proprio dando
alla dotis dictio questa lettura sostanziale che si possono scorgere tratti di
somiglianza con il constitutum. Il carattere bilaterale della promissio iurata
liberti è ancora più stemperato, ma non si può negare anche qui il peso di
un’accettazione tacita dell’impegno da parte del dominus (poi patronus) che,
infatti, si dispone a dar luogo alla manumissio anche in ragione del fatto che
vi sia stato il giuramento del servus.
A sostegno della considerazione del rilievo che non può non avere,
nella formazione del vincolo, l’approvazione, pur solo tacita, del credi-
tore, si aggiunga che il constitutum genera, probabilmente – e pur con
sanctionnée par une action spéciale prétorienne, de pecunia constituta, si elle n’est pas exécutée. [...]
Dans la réalité, la fixation d’une date précise a beau être le fait du débiteur et provenir de sa
déclaration, elle n’est pas moins suggérée, et pour tout dire, imposée par le créancier, de telle
sorte que si juridiquement le constitut n’est pas une convention, il est une socialement». Su
D. 50.16.19 (Ulp. 11 ad ed.) cfr. T. DALLA MASSARA, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione
di un concetto nella giurisprudenza classica, Padova 2004, 111 ss., ove letteratura precedente.
146
Cfr. per analogo, benché non approfondito, richiamo LA ROSA, Il formalismo del pretore,
cit., 211.
147
Su questi istituti cfr. A. ORTEGA CARILLO DE ALBORNOZ, Dotis dictio. Iusiurandum liberti,
in Derecho romano de obligaciones, cit., 481 ss., ove ampia bibliografia. Specificamente sul valore reli-
gioso della promissio iurata liberti cfr. C. ST. TOMULESCU, Sulla forma del iusiurandum liberti, in RIDA.
15 (1968), 460 ss.
148
C. SANFILIPPO, Corso di diritto romano. La dote, Catania 1959, 73.
149
Una conferma di tale carattere sostanzialmente bilaterale, almeno dal punto di vista degli
effetti e dell’atteggiarsi della volontà dei soggetti coinvolti, si ha anche da una risalente fonte lette-
raria (Terent., Andria 950-951), certamente atecnica (cfr. G. FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma
antica. Dall’età arcaica al principato, Torino 19953, 188 nt. 38), ma rilevante per valutare l’atto
secondo l’angolatura prospettica della sua sostanza negoziale: nel dialogo, infatti, lo sposo
risponde accipio alla dotis dictio. Con ciò non voglio, ovviamente sostenere la necessità di un’accet-
tazione espressa da parte del futuro marito (così: A. BECHMANN, Das Römische Dotalrecht, II,
Erlangen 1867, 87 nt. 1 e 98; K. CZYHLARZ, Das Römische Dotalrecht, Giessen 1870, 114;
KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1, cit., 201; R. LEONHARD, Dictio dotis, in PWRE. 5.1 (1903),
391; G. ROTONDI, Fonti delle obbligazioni, in Studii varii di diritto romano ed attuale, ed. P. DE FRAN-
CISCI, Pavia 1922, 493), ma mi interessa sottolineare la natura non di mero atto unilaterale bensì
di atto sostanzialmente bilaterale della dotis dictio (così ORTEGA CARILLO DE ALBORNOZ, Dotis
dictio. Iusiurandum liberti, cit., 484; cfr. anche dello stesso Ortega: Dotis dictio, Bolonia 1975, 17 ss.
43 ss. e P. ELLWOOD CORBETT, The Roman Law of Marriage, Oxford 1969, 163).
.
36 Paolo Costa
150
ASTUTI, Studi, II, cit., 13 nt. 5; KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti,
cit., 60.
151
Supra § 2.4.
152
Per il rilievo della naturalis aequitas richiamata in questo frammento che apre il titolo de
pecunia constituta cfr. U. BABUSIAUX, Zur Funktion der aequitas naturalis in Ulpians Ediktlaudationen, in
Testi e problemi del giusnaturalismo romano, edd. D. MANTOVANI – A. SCHIAVONE, Pavia 2007,
603 ss. spec. 633-634, ove cita D. 4.4.1 pr. (Ulp. 11 ad ed.), altro frammento incipitario di un titolo
(De minoribus viginti quinque annis) in cui si rinviene il riferimento alla naturalis aequitas. Ancora più
recente lo studio di G. FALCONE, L’esordio del commento ulpianeo all’editto sui patti (D. 2.14.1 pr.) tra
critica testuale e studio dei percorsi concettuali, in AUPA. 53 (2009), 223-254, ove in riferimento al nostro
passo (p. 230 nt. 13) si legge: «Ulpiano afferma che l’aequitas naturalis è assecondata da un editto
con cui il pretore “custodisce” il constitutum: tanto più siamo incoraggiati a riconoscere una mede-
sima prospettiva nella laudatio dell’editto De pactis et conventionibus [scil. D. 2.14.1 pr.], in quanto, in
questo caso, l’idea del “custodire” da parte del magistrato era esplicitamente formulata negli
stessi verba praetoris: pacta conventa ... servabo. In sostanza, secondo la lettura che mi pare preferibile,
quel che Ulpiano assume come massimamente ‘congruo alla fides humana’ è l’intervento nomo-
poietico del pretore, nel senso che esso mette a disposizione una tutela giurisdizionale vòlta ad
assicurare la realizzazione della fides humana. Si tratta, a ben vedere, di un ordine di idee ancora
una volta analogo a quello espresso nella laudatio di D. 13.5.1 pr. or ora richiamata: anche in
quest’ultima, infatti, vi è un valore ideale – anzi, il medesimo valore ideale di cui è espressione la
fides humana, e cioè l’aequitas naturalis – che viene raffigurato come “assecondato”, “favorito” da
un editto».
153
La dottrina interpolazionista considera compilatorio il riferimento in questo luogo alla
fides. Cfr. G. BESELER, Einzelne Stellen, in ZSS. 45 (1925), Per un’argomentata ed aggiornata
critica alle posizioni di Beseler sul tema cfr. G. FALCONE, Op. ult. cit., passim.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 37
154
Cfr. M. BIANCHINI, Diritto commerciale nel diritto romano, in Dig. Comm. 4 (1989), 322. Sui
bonae fidei iudicia cfr. di recente: C. A. CANNATA, Bona fides e strutture processuali, in Il ruolo della buona
fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del convegno internazionale di studi in onore di
A. Burdese (Padova – Venezia – Treviso, 14-15-16 giugno 2001), ed. L. GAROFALO, Padova 2003, I,
257-273 e A. FERNÁNDEZ DE BUJÁN, De los arbitria bonae fidei pretorios a los iudicia bonae fidei civiles,
in Il ruolo della buona fede oggettiva, cit., II, 31-57, ove letteratura precedente.
155
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 243 ss.
156
Così anche GIRARD, Manuel élémentaire, cit., 640; P. HUVELIN, Cours élémentaire de droit
romain, II, Paris 1929, 108 ss.; SEGRÈ, Le garanzie personali I, cit., 253. Per il problema del carattere
penale o reipersecutorio dell’actio de pecunia constituta cfr. TONDO, In tema di constitutum debiti, cit.,
218 ss., ove discussione della letteratura precedente; per una rilettura personale del tema, cfr.
FREZZA, Questioni esegetiche, cit., 707-708 (= ID., Scritti, II, cit., 323-324); ID., Le garanzie personali, I,
cit., 235-238).
157
ASTUTI, Studi, I, cit., 24 ss.
158
Cfr. L. FASCIONE, Storia del diritto privato romano, Torino 20082, 415: «nella promessa c’è
già l’aspettativa del suo mantenimento: fidem fallere, cioè tradire l’impegno assunto secondo la
fides, è un qualcosa di nuovo che è aggiunto all’obbligazione preesistente, forse solo civile,
facendo riferimento a valori dello ius gentium».
159
Cfr. M. KASER – K. HACKL, Das römische Zivilprozessrecht, München 19962, 154 e nt. 31,
ove letteratura.
.
38 Paolo Costa
160
R. MARTINI, Fides e pistis in materia contrattuale, in Il ruolo della buona fede oggettiva, cit., II, 442-
443; ID., Diritti greci, Bologna 2005, 70-71. Passo già richiamato per altri fini da A. MAFFI, Synal-
lagma e obbligazioni in Aristotele: spunti critici, in Atti del II Seminario Romanistico Gardesano (12-14 giugno
1978), Milano 1980, 19. Per un’analisi approfondita e ricca di citazioni sul ruolo della fides nella
tutela degli accordi cfr. anche G. FALCONE, L’esordio del commento ulpianeo, cit., 226-233.
161
Trad.: «L’amicizia giuridica si realizza sulla piazza, cioè con patti espliciti ed è di due
specie, quella strettamente commerciale si attua come scambio immediato, di mano in mano;
l’altra, più liberale, concede del tempo, dopo aver stabilito il corrispettivo [della merce]. In
quest’ultimo caso il debito è chiaro e non equivoco, anzi c’è qualcosa di amichevole nella proroga
del pagamento: è per questo che presso certi popoli non si può convenire in giudizio per queste
cose, ma costoro credono che coloro che stringono patti fondati sulla fiducia debbano rimettersi
al rischio».
162
Sull’amicizia in Aristotele cfr. C. NATALI, L’amicizia secondo Aristotele, in Bollettino della
Società Filosofica Italiana 195 (2008), 13-28, ove letteratura precedente.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 39
163
Cfr. le fonti letterarie menzionate da U. COLI, Il testamento nella legge delle XII Tavole, in
Iura 7 (1956), 29. Il tema della fides nei rapporti commerciali, e in particolare nelle dinamiche del
credito, ritorna in un passo di Gell., 20.1.41 (citato già da BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 243, in
riferimento al constitutum debiti): Hanc autem fidem maiores nostri non modo in officiorum vicibus, sed in nego-
tiorum quoque contractibus sanxerunt maximeque in pecuniae mutuaticae usu atque commercio: adimi enim putave-
runt subsidium hoc inopiae temporariae, quo communis omnium vita indiget, si perfidia debitorum sine gravi poena
eluderet. FERRINI, Note a GLÜCK, cit., 160 nt. e), ritiene che le ultime parole di questo passo di
Gellio ricordassero la poena dimidiae partis del costituto, ma ciò che a noi più interessa è sottoli-
neare come il testo abbia lo scopo di mettere in risalto la fides in tutto il suo valore anche giuri-
dico-sacrale e giunga a motivare la gravità della sanzione capitale per il debitore insolvente
dicendola prevista proprio sanciendae fidei gratia (20.1.48); cfr. L. PEPPE, Studi sull’esecuzione personale,
I. Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica romana, Milano 1981, 111 ss. Sempre alla fides come
fondamento del vincolo tra debitore e creditore rinvia un passo di Livio (8.28.8) su cui cfr. PEPPE,
Op. ult. cit., 208 ss.
164
Su questa linea anche O. DILIBERTO, Materiali per la palingenesi delle XII Tavole, I, Cagliari
1992, 398 ss.; Cfr. V. GIUFFRÈ, La datio mutui. Prospettive romane e moderne, Napoli 1989, 32 ss.
165
F. MAROI, Il vincolo contrattuale nella tradizione e nel costume popolare, in SDHI. 15 (1949),
100 ss.
166
CUQ, Manuel des institutions iuridiques des Romains, cit., 364. Anche l’etimologia muove a
pensare ad un collegamento tra fides e credere, che probabilmente derivano dalla contaminazione
tra la radice *bhid- e quella *kred-dhe-; cfr. A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la
langue latine. Histoire des mots, Paris 19604 (retirage 2001), sv. fides, 233.
167
R. MARTINI, Per la storia del credere edittale, in Atti del II Seminario Romanistico Gardesano, cit.,
118-119. Sul collegamento più generale tra la fides e le conventiones cfr. anche Cic., De off. 1.23:
Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictrorum conventorumque constantia et veritas; per il commento
di questo ed altri luoghi ciceroniani e in generale l’analisi di questo tema cfr. G. FALCONE,
L’esordio del commento ulpianeo, cit., 226 ss.
.
40 Paolo Costa
168
Cfr. FERRINI, Note a GLÜCK, cit., 159 nt. c).
169
Cfr. C. A. CANNATA, La responsabilità contrattuale, in Derecho romano de obligaciones, cit.,
167-168.
170
Casi tipici sono le obbligazioni di dare certo loco o le promesse di costruire un edificio; cfr.
D. 45.1.14 (Pomp. 5 ad Sab.); D. 45.1.41.1 (Ulp. 50 ad Sab.); D. 45.1.60 (Ulp. 20 ad ed.);
D. 45.1.72.1 (Ulp. 20 ad ed.); D. 45.1.137.2-3 (Ven. 1 stipul.).
171
Cfr. D. 50.16.213 (Ulp. 1 reg.); su cui per tutti cfr. C. A. CANNATA, Corso di istituzioni di
diritto romano, II, 1, Torino 2003, 268-271.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 41
172
D. 46.3.103 (Maecen. 2 fideic.). Quando la stipulatio non prevede un termine, né in essa è
dedotta una prestazione che implichi uno spatium temporis per l’adempimento, il debitore è tenuto
ad eseguire la prestazione praesenti die (D. 45.1.41.1 [Ulp. 50 ad Sab.]), cioè il giorno stesso in cui
l’obbligazione è sorta e, in caso di inadempimento, il creditore può esperire l’azione dal giorno
successivo (cfr. CANNATA, Corso di istituzioni, II, 1, cit., 267).
173
Cfr. D. 45.1.84 (Paul. 74 ad ed.); D. 45.1.137.3 (Ven. 1 stipul.); su questi passi cfr.
C. A. CANNATA, Per lo studio della responsabilità per colpa nel diritto romano classico, Milano 1969,
154 ss.
174
Per le due nozioni di mora speculata dall’angolatura della funzione di strumento per
risarcire il danno da ritardo o da quella (originaria) della funzione di strumento per far traslare il
rischio cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 924-925.
175
F. C. VON SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, (tr. it. V. SCIALOJA), VI, Torino
1893, 131 e 159 ss.; B. BIONDI, Sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, in AUPA. I (1911), 66 ss., ove
letteratura precedente; ASTUTI, Studi, I, cit., 96 nt. 178; ID., Studi, II, 2 e 36; S. RICCOBONO JR.,
Profilo storico della dottrina della mora nel diritto romano, in AUPA 29 (1962), 217.
176
Cfr. anche D. 13.3.4 (Gai. 9 ad ed. prov.); RICCOBONO JR., Op. ult. cit., 399.
177
Cfr. D. 13.4.8 (Afr. 3 quaest.); D. 17.1.10.4 (Ulp. 31 ad ed.); D. 19.5.24 (Afr. 8 quaest.);
D. 22.1.38.7 (Paul. 6 ad Plaut.) su cui cfr. B. BIONDI, Il fr. 8 D. de eo quod certo loco, XIII, 4. Spiega-
zione di una lex damnata, in BIDR. 21 (1909), 222 ss.; ID., Sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, cit.,
67-68; RICCOBONO JR., Op. ult. cit., 377-378. Cfr. anche D. 19.5.34 (Ulp. 31 ad ed.); D. 22.1.41.2
(Mod. 3 resp.).
178
La giurisprudenza classica sembrerebbe essere giunta al riconoscimento e alla valutazione
di tale interesse nei casi in cui l’obbligazione di dare derivasse da una stipulatio in cui fosse stato
espressamente indicato un termine (cfr. D. 45.1.114 [Ulp. 17 ad Sab.]).
179
Sulla pena convenzionale, sulla cui comparazione col constitutum cfr. amplius infra, per ora
cfr. R. KNÜTEL, Stipulatio poenae. Studien zur römischen Vertragsstrafe, Köln-Wien 1976. Di tali negozi
le fonti consegnano molte testimonianze: ad es. D. 2.14.40.1 (Pap. 1 resp.); D. 4.8.42 (Pap. 2 resp.);
D. 12.1.40 (Paul. 3 quaest.); D. 22.1.9 pr. (Pap. 11 resp.); D. 47.2.68.1 (Cels. 12 dig.).
180
Tale stipulatio poteva prevedere una pena fissata in una somma unitaria (D. 45.1.8
[Paul. 2 ad Sab.]: Si kalendis Stichum non dederis, decem dare spondes?) o dipendente dall’estensione del
ritardo, in modo analogo ai casi di previsione di usurae per l’inadempimento delle obbligazioni da
.
42 Paolo Costa
mutuo (D. 12.1.12 [Pomp. 6 ex Plaut.]; D. 12.1.40; [Paul. 3 quaest.]; D. 45.1.90 [Pomp. 3 ex
Plaut.]). Cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 924; ID., La responsabilità contrattuale, in Derecho romano de
obligaciones, cit., 167 nt. 121. Ovviamente in relazione alle obbligazioni da contratto consensuale o
in genere per i rapporti tutelati da giudizi di buona fede e in materia di tutela e fedecommessi il
danno da ritardo veniva comunque in considerazione, fosse stata o meno conclusa una stipulatio
poenae.
181
L’obbligazione di pagare la pena convenzionale diveniva esigibile, al decorso del termine,
indipendentemente dall’interpellatio rivolta dal creditore al debitore, ad adempiere la prestazione
oggetto del debito scaduto. Spostare il fuoco dell’attenzione dei giuristi sul termine, per la quanti-
ficazione del danno da ritardo, condusse «dal punto di vista tecnico, ad intorbidare i problemi di
inizio della mora» (CANNATA, Mora [storia], cit., 924) e a far coincidere l’avvio del ritardo diretta-
mente con il termine, senza considerare l’interpellatio (cfr. CANNATA, Op. ult. cit., 922 ss.). Tale
centralità del termine già si è vista nella soluzione data dai Sabiniani al caso della mancata resti-
tuzione di vino dato in mutuo, nel quale la quantificazione del valore dell’oggetto dell’obbliga-
zione si sarebbe dovuta calcolare con riferimento al tempo della litis contestatio se non fosse
acceduto un termine, invece con riferimento al termine, se questo vi fosse stato: con ciò la mora
diventava sempre di più uno strumento per imputare al debitore lo svantaggio economico subito
dal creditore per la prestazione tardiva. Cfr. D. 12.1.22 (Iul. 4 ex Minicio); supra § 2.2.
182
Sui frammenti in analisi cfr. ASTUTI, Studi, II, cit., 26 ss., ove letteratura precedente.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 43
reo debere. 4. Haec autem verba praetoris “neque fecisse reum quod constituit” utrum ad tempus
constituti pertinent an vero usque ad litis contestationem trahimus, dubitari potest: et puto ad tempus
constituti.
D. 13.5.18 pr. (Ulp. 27 ad ed.): Item illa verba praetoris “neque per actorem stetisse”
eandem recipiunt dubitationem. Et Pomponius dubitat, si forte ad diem constituti per actorem non
steterit, ante stetit vel postea. Et puto et haec ad diem constituti referenda. Proinde si valetudine
impeditus aut vi aut tempestate petitor non venit, ipsi nocere Pomponius scribit.
183
HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 102; cfr. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II,
Lipsiae 1889, n. 792 (pp. 578-579). Sulla densissima e complessa monografia di Harke cfr.
l’ampia e puntuale Recensione di C. A. CANNATA, Iura 57 (2008-2009), 281-324, spec. 320 ss.
184
A proposito del riferimento agli impedimenti opposti dal creditore all’adempimento di
quanto era stato fatto oggetto di constitutum FREZZA, Questioni esegetiche, cit., 712-714 (= ID., Scritti,
II, cit., 328-330); ID., Le garanzie personali, I, cit., 252-255, – seguendo alcuni rilievi di BRUNS, Das
constitutum debiti, cit., 237 e di KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., cit., 1374 – ampiamente
discute e critica l’attribuzione (peraltro dubitativa) di LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., n. 792
nt. 1 (p. 579 n. 1); ID., EP 3, 250 nt. 1 (seguito da ASTUTI, Studi, II, cit., 9; ROUSSIER, Le constitut,
cit., 26; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 127 nt. 269), delle parole si appareat eum qui constituit
neque solvere neque fecisse [neque] per actorem stetit alla formula, ritenendo di doverle piuttosto attribuire
al testo dell’editto. Secondo Frezza dallo spoglio delle fonti si ricava che con le parole ait praetor o
verba praetoris i commentatori si riferivano non al modello di formula in factum accolto dall’editto,
ma ad un testo dell’editto stricto sensu inteso, né si può qui riconoscere un’interpolazione di questo
genere, che rappresenterebbe un hapax nel Corpus giustinianeo. L’Autore, riprendendo un’ipotesi
.
44 Paolo Costa
prospettata ma poi lasciata cadere dal BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 237, propone di attribuire
le parole contenute nei frammenti in analisi al testo della sponsio dimidiae partis. Come elementi a
suffragio della verisimiglianza della sua ricostruzione Frezza indica la congruenza fra tale testo e
quello dell’unico esempio di sponsio conservato da Gai. 4.92 e il suo maggior rispetto dei partico-
lari morfologici e sintattici del commento edittale, a partire dalla non necessità di mutare il si
appareat in si paret, come fa il Lenel. Pur non negando una certa persuasività della proposta di
Frezza, a me pare ancora convincente l’ipotesi leneliana della previsione in seno alla formula del-
la locuzione per creditorem quo minus stetisse, in quanto proprio il dovere in capo al giudice di verifi-
care che non ricorra tale stato di fatto produttivo delle già viste conseguenze giuridiche, dovere
che sorgeva dall’essere tale requisito previsto nelle parole tecniche della formula, può spiegare il
copioso dibattito tra i giureconsulti classici sul punto.
185
Cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 126-127.
186
Non pare condivisibile la considerazione, pur accolta da ASTUTI, Studi, II, cit., 27-28, di
GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 239-240 [= estr., 79-80], che scrive: «Il dubitari
potest (e non già dubitatur) non importa poi necessariamente che vi fossero altri giuristi di diversa
opinione, né può impressionare il puto, perché è noto che i giuristi classici nel manifestare le
proprie opinioni non solevano usare affermazioni enfatiche o assolute, le quali invece apparten-
gono spesso ai compilatori». Contro tale lettura e ritenendo che ci fossero fattori di incertezza
interpretativa cfr. STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit., 52 nt. 32.
187
Sul valore del dubbio nelle controversie tra giuristi cfr. M. BRETONE, Ius controversum nella
giurisprudenza classica, estr. da: Memorie. Accademia nazionale dei Lincei, s. 9, 23.3 (2008), 773-784,
827-829.
188
Cfr. GUARNERI CITATI, Op. ult. cit., 239 [= estr., 79]; ASTUTI, Studi, II, cit., 27 e nt. 6;
ROUSSIER, Le constitut, cit., 108; STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit., 53 e nt. 35.
189
Sull’uso di puto in Ulpiano cfr. T. HONORÉ, Ulpian. Pioneer of human rights, Oxford 20022,
65.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 45
190
MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 127, sottolinea che qui con l’uso di puto Ulpiano non
vuole esprimere un’opinione personale, bensì consolidare con la sua autorità una tradizione
interpretativa legata al senso letterale del contenuto dell’editto (Magdelain parla di formula, in
adesione alla ricostruzione leneliana): «par un puto qui tombe de très haut, Ulpien tranche une
controversie qui n’aurait pas du naître».
191
La ribadita constatazione della centralità del dies constituti mi muove a prendere posizione
anche sul difficile tema del parametro temporale della condemnatio, che vede la dottrina assai
divisa. Ritengono, infatti, che il giudice dovesse fare riferimento al quanti ea res est: BRUNS, Das
constitutum debiti, cit., 248 ss.; LENEL, EP3, 251; ASTUTI, Studi, II, cit., 10; F. SCHWARZ, Die Grund-
lage der condictio im klassischen römischen Recht, Münster-Köln 1952, 284; SCHULZ, Classical Roman
Law, cit., 561; R. ZIMMERMANN, The Law of obligations: roman foundations of the civilian tradition, Cape
Town 1990, 511; H. ANKUM, Le laconisme extrême de Papinien, in Homenaje al Prof. G. Martinez Diez,
Madrid 1994, 51 nt. 36 (= H. ANKUM, Extravagantes. Scritti sparsi sul diritto romano, edd. C. MASI
DORIA – J. E. SPRUIT, Napoli 2007, 287 nt. 36); GUARINO, Diritto privato romano, cit., II, 941 nt.
82.4.1. Il fondamento testuale della scelta di questo parametro di condanna è individuato, espres-
samente ad es. dal Lenel, in D. 13.5.18.2-3 (Ulp. 27 ad ed.). MANTOVANI, Le formule del processo
privato romano, cit., 68 (n. 67), nella ricostruzione della formula inserisce il quanti ea res est, ma poi
alla nt. 254 specifica come anche erit sia plausibile. A questi Autori si oppongono, indicando
come parametro di riferimento il momento della condanna, KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte,
II.1., cit., 1375; ROUSSIER, Le constitut, cit., 34; TALAMANCA, Istituzioni, cit., 608. È ovviamente
arduo giungere, allo stato delle fonti disponibili, ad una sicura ipotesi ricostruttiva; credo,
tuttavia, di poter ritenere più conforme al rilievo più volte fatto sulla valutazione dell’interesse del
creditore, come nucleo teleologico dell’introduzione dell’actio de pecunia constituta, l’esclusione del
carattere certo della condemnatio e propendere per l’inserimento nella formula del quanti ea res est,
che permette al giudice una valutazione più completa dell’interesse del creditore all’adempi-
mento entro il dies constituti (cfr. anche VARVARO, Sulla storia dell’editto, cit., 336 [= Studi Martini,
III, cit., 837]; ID., Per la storia del certum, cit., 201). Inoltre, il fatto che la situazione degli interessi si
consolidi e sia giudizialmente conosciuta al momento della litis contestatio è in linea con quanto si
vedrà sulla parziale possibilità di offerta usque ad tempus iudicii, rifiutabile solo per iusta causa non
accipiendi, come emerge da D. 13.5.17 (Paul. 29 ad ed.). Naturalmente anche – e soprattutto – tale
carattere della condanna, che consentiva una piena considerazione della posizione creditoria
rappresenta un segno importante dell’utilità concreta del constitutum ed una delle ragioni per le
quali il creditore avrebbe preferito agire de pecunia constituta piuttosto che de sorte per ottenere ben
più piena soddisfazione.
192
ROUSSIER, Le constitut, cit., 108.
193
Frammento giudicato sostanzialmente genuino già dalla critica interpolazionista. GUAR-
NERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 239 nt. 3 [= estr., 79 nt. 3], ha comunque sostenuto un
rimaneggiamento riduttivo ad opera dei compilatori, ritenendo «impossibile che Ulpiano avesse
scritto: Pomponius dubitat... e che continuasse dando la propria opinione (et puto) facendola seguire
da una citazione pomponiana, collegata per mezzo di un proinde». Il Guarneri propone una lectio
diversa del passo suggerendo di leggere (anziché et puto et haec): et putat (Pomponius) haec... Mi pare
che tale suggestione sconvolga eccessivamente il testo classico ed estrometta immotivatamente il
verbo puto, che in questo senso ricorre con frequenza nel commento ulpianeo all’editto e mi
sembra non sospettabile di un intervento dei compilatori.
.
46 Paolo Costa
zione – secondo le parole della formula: neque per Aulum Agerium stetisse quo
minus fieret quod constitutum est194 – è questione analogamente problematica.
In giurisprudenza si agitava un dubbio sul fatto se tale locuzione si rife-
risse esclusivamente al tempo che precede il dies constituti o solo a quel
momento specifico o anche al periodo successivo. Dal punto di vista delle
tecniche interpretative i giuristi non sono qui di fronte ad un mero caso di
attribuzione, più o meno estensiva, di significato ad un termine edittale,
ma devono «precisare e quasi integrare il dettato del pretore, collocando
nel tempo un’attività che egli indicava semplicemente come passata»195.
Riguardo al riferimento temporale dell’azione espressa con il verbo
stetisse, Ulpiano, con un nuovo puto, pone fine all’indecisione interpretativa
in cui sembra che ancora versasse Pomponio. Il giurista di Tiro risolve il
dubbio, indicando come tempo di riferimento il dies constituti: l’impedi-
mento a ricevere la prestazione imputabile al creditore, verificatosi ed
esauritosi prima di tale dies, non scalfisce l’obbligazione ed al dies il paga-
mento resterà dovuto. Ma dopo tale termine, così come l’eventuale offerta
sarebbe tardiva, parallelamente il rifiuto di ricevere la prestazione opposto
dal creditore non potrebbe trovare considerazione, tranne taluni casi in
cui sarebbe concessa un’eccezione, come vedremo in D. 13.5.17. Il
giurista dà un’interpretazione “sistematica”196 dei verba praetoris ricorrendo
alla stessa nozione in riferimento sia alla solutio sia al fatto del creditore
impeditivo dell’adempimento: il tempus constituti è indicato da Ulpiano sia
(nel fr. 16 § 4) come limite temporale ultimo entro il quale la prestazione
avrebbe potuto essere eseguita dal debitore, sia (nel fr. 18 pr.) come
momento in cui possa considerarsi verificato un fatto imputabile al credi-
tore, tale da rendere irresponsabile l’obbligato inadempiente.
Questa circostanza ha rilevanti conseguenze perché l’eventuale
impossibilità giuridica di adempiere la prestazione che si fosse prodotta
dopo il vano decorso del dies constituti non avrebbe liberato il debitore
contro il quale si sarebbe potuta esperire l’actio de pecunia constituta, conside-
rando definitivamente ineseguita la prestazione oggetto dell’obbligazione
sorta ex constituto; specularmente l’impedimento esimente del creditore
verificatosi dopo lo spirare del termine non avrebbe avuto l’effetto di
194
Tale espressione non è propria in modo peculiare dell’actio de pecunia constituta e se ne trova
una simile nell’interdetto de migrando (cfr. D. 43.32.1 pr. [Ulp. 73 ad ed.], LENEL, EP3, 490),
nell’actio Serviana (cfr. LENEL, EP3, 494 ss.), nell’actio pigneraticia (LENEL, EP3, 254 ss.) e probabil-
mente nell’actio fiduciae (LENEL, EP3, 292 ss.). In questi casi, che riguardano il settore delle
garanzie reali, la situazione giuridica descritta nella formula è quella per cui il bene isolato a
garanzia di un credito perde tale carattere quando il debitore si ritrovi nell’impossibilità di adem-
piere per il fatto del creditore; cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 127-128.
195
STOLFI, Studi sui Libri ad edictum, II, cit., 53.
196
Così STOLFI, Op. et l. ult. cit.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 47
197
Cfr. GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 240 nt. 1 (= estr., 80 nt. 1); ASTUTI,
Studi, II, 28 e nt. 8.
198
FREZZA, Le garanzie personali, I, cit., 344 nt. 1, chiarisce che la valetudo come circostanza
rilevante per scusare o meno l’inadempimento nelle fonti ricorre secondo questi canoni: laddove
l’ordinamento tende ad interpretare più benevolmente il contenuto di determinati obblighi la
valetudo è scusante (così in tema di obligatio operarum [D. 38.1.15 pr. – Ulp. 38 ad ed.; D. 38.1.23.1 –
Iul. 22 dig.; D. 38.1.39 pr. – Paul. 7 ad Plaut.], di contumacia [D. 42.1.53.2 – Hermogen. 1 iuris epit.],
di vadimonium [D. 2.11.2.3 – Ulp. 74 ad ed.; D. 22.3.19.1 – Ulp. 7 disp.], di receptum arbitri
[D. 4.8.15-16 pr. – Ulp. 13 ad ed.], di alienatio iudicii mutandi causa facta [D. 4.7.4.3 – Ulp. 3 ad ed.],
di auctoritas tutoris [D. 26.8.10 – Paul. 24 ad ed.]); laddove, invece, l’ordinamento interpreta in
modo rigoroso il contenuto di un obbligo, lì non considera la valetudo come circostanza scusante
ed è questo il caso del frammento in analisi; altri esempi in tema di compromissum (D. 4.8.23.1
[Ulp. 13 ad ed.]; D. 44.7.23 [Afr. 7 quaest.]).
199
Cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 132.
200
Cfr. ASTUTI, Studi, II, 36.
201
Per tutti cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 927; sulla purgatio morae cfr. di recente
I. REICHARD, Die Verzugsbereinigung bei Marcellus und Papinian, in Festschrift für R. Knütel zum 70.
.
48 Paolo Costa
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 49
sione per actorem (o creditorem) stare quominus (di cui ai frr. 16 §§ 3-4 e 18), di mora accipiendi in senso
tecnico; ciò ben si vede dal fr. 18 pr. in cui ci si riferisce esclusivamente al dies e non si conferisce
alcuna rilevanza al fatto che la mancata accettazione dipenda da valetudo aut vis aut tempestas. Tale
conclusione, già di ASTUTI, Studi, II, 37-38, è accolta da MAGDELAIN, Note sur la purgatio morae,
cit., passim e ribadita di recente da HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 100 ss. Harke
propone un’approfondita analisi dei requisiti della mora debitoris e della mora creditoris, ritenendole
parallele e analoghe: come il debitore non incorre in mora senza la potestas di eseguire la presta-
zione, né senza iusta causa per la sua conoscenza del tempo della prestazione, così non vi sarebbe
mora accipiendi senza potestas di accettare, né senza speculare iusta causa per la conoscenza del
tempo della prestazione (cfr. anche CANNATA, Rec. a HARKE, cit.). Con ciò è superata la conce-
zione dominante che ritiene che la mora del creditore, a differenza di quella del debitore, sia
indipendente dalla colpevolezza e che a suffragio di questa tesi porta passi come D. 4.8.23
(Ulp. 13 ad ed.) e soprattutto come D. 13.5.18 pr. (Ulp. 27 ad ed.) (cfr. M. KASER, sv. Mora, in
PWRE. 16.1 [1933], 274; ID., Das römische Privatrecht. Das altrömische, das vorklassische und klassische
Recht, I2, München 1971, 517 e nt. 36; A. MONTEL, sv. Mora [diritto romano], in NNDI. 10 [1975],
900; ZIMMERMANN, The Law of obligations, cit., 820). Harke nega che questi passi contengano casi
di mora accipiendi e ritiene piuttosto che rappresentino esempi dell’applicazione della particolare, e
non generalizzabile, disciplina della stipulatio poenae e del constitutum (v. amplius infra). Già
T. GIARO, Excusatio necessitatis nel diritto romano, Warszawa 1982, 239 nt. 30, critica la generalizza-
zione operata da Kaser del principio che si rinviene in D. 13.5.18 pr., spiegando che esso dipende
dalla disciplina particolare del constitutum.
208
Sul significato di rerum natura in questo luogo cfr. C. A. MASCHI, La concezione naturalistica
del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano 1937, 70-71.
209
Cfr. D. 30.84.3 (Iul. 33 dig.) e D. 46.3.72 pr. (Marc. 20 dig.); su cui cfr. CANNATA, Mora
(storia), cit., 928.
210
MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 131 e nt. 284.
211
MAGDELAIN, Op. ult. cit., 131.
.
50 Paolo Costa
obbligazioni che hanno per oggetto cose generiche 212, dall’altro lato il
fatto che il debitore sopporti il rischio del ritardo (che poi significa
inadempimento al dies constituti) anche per ragioni di forza maggiore non
deriva dal diritto comune, ma è proprio della disciplina del costituto.
Il rigore di tale conseguenza 213, che probabilmente rappresentava la
lettura consolidata 214 del testo dell’editto e quella più conforme alla
funzione e all’essenza del dies constituti, è mitigato dal giurista nella chiusa
(sed magis dicendum est subveniri reo debere), laddove esclude la responsabilità
del debitore in caso di impedimenti alla prestazione che, pur non attribui-
bili al creditore, rientrino comunque nella sua sfera 215.
Quest’ultima parte è considerata un’aggiunta giustinianea dal Guar-
neri Citati 216, il quale anzitutto sul piano sostanziale rileva una grave
incoerenza logica rispetto al precedente significato attribuito da Ulpiano
ai lemmi edittali: non vi sarebbe consequenzialità tra il tenet actio inferito
direttamente dalla formula e la conclusione, protettiva del convenuto, cui
il giurista perviene. Ritenere liberatorio l’impedimento causato dalla
“natura delle cose” pare al Guarneri impossibile e rappresenterebbe uno
spiccato indizio formale dell’interpolazione l’uso del sed magis, del dicendum
est e del subvenire. Il solco tracciato dal Guarneri è percorso dalla maggior
parte della dottrina della prima metà del Novecento e la genuinità del
passo è negata da Beseler, Astuti e Magdelain 217, che individuano un’insa-
nabile contraddittorietà tra le due parti del frammento e l’inammissibilità
di una generalizzazione di tal fatta. Solo a partire da Knütel 218, che pure
non nega che sul piano testuale possa esserci stata una concentrazione
riduttiva e semplificativa dell’originale ulpianeo, si inizia a proporre
un’esegesi conservativa della sostanza del testo.
Il cauto sed magis dicendum lascia, in effetti, trasparire la sussistenza di
opinioni differenti sul punto: tali contrasti sono però spiegabili con il fatto
che attenuare la responsabilità del debitore significhi derogare alla disci-
plina ordinaria del constitutum e un tale risultato non può che derivare da
212
Sul perimento dell’oggetto di un’obbligazione generica cfr. C. A. CANNATA, Appunti sulla
impossibilità sopravvenuta e la culpa debitoris nelle obbligazioni da stipulatio in dando, in SDHI. 32 (1966),
66-70.
213
MAGDELAIN Op. et l. ult. cit., considera questo rigore, che definisce come responsabilità
assoluta da ritardo, l’elemento caratterizzante tutta la nozione e la funzione del costituto.
214
La ricollocazione di Harke nella quale il fr. 16 § 3 segue immediatamente il fr. 18 pr. può
fare ipotizzare che la soluzione maggiormente rigorosa sia da attribuirsi a Pomponio, che risulta
citato immediatamente prima, o ad una tradizione a lui riconducibile. Infatti, tale rigore nei
confronti del debitore è in toto speculare all’atteggiamento che si può riscontrare nei confronti del
creditore nella chiusa del fr. 18 pr.
215
Così HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 103.
216
GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 237 e nt. 1 (= estr., 77 e nt. 1).
217
G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, in ZSS. 66 (1948), 266; ASTUTI,
Studi, II, 26 nt. 2; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 130 nt. 281. 134 nt. 293. 170 e nt. 383.
218
KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 219-220 spec. 220 nt. 49.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 51
219
Sulla rilevanza concreta delle controversie interpretative tra giuristi classici cfr. BRETONE,
Ius controversum, cit., 809 ss.
220
GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 237 (= estr., 77).
221
Il sed magis iniziale, in effetti, può essere segno di un ritocco, ab externo, del passo, ma
quanto tale intervento, se ipotizzabile, possa avere inciso sulla sostanza non si può dire con sicu-
rezza: in ogni caso il dubbio su un possibile rimaneggiamento formale non ci esonera dal tenta-
tivo di attribuire un significato, coerente col sistema, al frammento. Sull’uso di magis est e costrutti
affini cfr. BRETONE, Ius controversum, cit., 833-844.
222
Per tale ultimo rilievo cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 219.
.
52 Paolo Costa
223
Tutta la disciplina della mancata prestazione al tempo convenzionalmente stabilito
durante l’età classica ha un’evoluzione con sempre maggiore attenzione alla situazione del debi-
tore; cfr. ad es. S. RICCOBONO JR., La genesi della mora come mezzo di attuazione del favor debitoris nel
diritto romano, in Il circolo giuridico, 1963, 5-15.
224
Cfr. MAGDELAIN, Le consensualisme, 129 ss.; ID., Note sur la Purgatio Morae, cit., passim.
225
L’accostamento, sotto i profili in analisi, è già rilevato da ASTUTI, Studi, II, 26 nt. 2 (in
critica al Guarneri Citati, che, come già visto, lo nega) e soprattutto da MAGDELAIN, Le consensua-
lisme, 141 ss.; ID., Note sur la Purgatio Morae, cit., passim.
226
Cfr. P. APATHY, Mora accipiendi und Schadenersatz, in ZSS. 114 (1984), 195; HARKE, Mora
debitoris und mora creditoris, cit., 103-104.
227
Su cui cfr. per ora SICARI, Pena convenzionale, cit., 47 ss. 127 ss. 173 ss. 337 ss.
228
Cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 212 ss. 218 ss. 258 ss.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 53
D. 22.2.8 (Ulp. 77 ad ed.): Servius ait pecuniae traiecticiae poenam peti non posse, si per
creditorem stetisset, quo minus eam intra certum tempus praestitutum accipiat.
D. 45.1.115.2 (Pap. 2 quaest.): Item si quis ita stipuletur: “si Pamphilum non dederis,
centum dari spondes?” Pegasus respondit non ante committi stipulationem, quam desisset posse
Pamphilus dari. Sabinus autem existimabat ex sententia contrahentium, postquam homo potuit dari,
confestim agendum et tamdiu ex stipulatione non posse agi, quamdiu per promissorem non stetit, quo
minus hominem daret...
D. 44.7.23 (Afr. 7 quaest.): ... nam et si arbiter ex compromisso pecuniam certo die dare
iusserit neque per eum, qui dare iussus sit, steterit, non committi poenam respondit...
D. 4.8.23.1-2 (Ulp. 13 ad ed.): 1. [Celsus] ait, si iusserit me tibi dare et valetudine sis
impeditus, quo minus accipias, aut alia iusta ex causa, Proculum existimare poenam non committi,
nec si post kalendas te parato accipere non dem. Sed ipse recte putat duo esse arbitri praecepta, unum
pecuniam dari, aliud intra kalendas dari: licet igitur in poenam non committas, quod intra kalendas
non dederis, quoniam per te non stetit, tamen committis in eam partem, quod non das. 2. Idem ait
nihil aliud esse sententiae stare posse, quam id agere, quantum in ipso sit, ut arbitri pareatur senten-
tiae.
229
La genuinità dei quali, nelle parti in analisi, non è mai stata revocata in dubbio, cfr. per
tutti SICARI, Pena convenzionale, cit., 339 e nt. 38 e 346 nt. 50, ove letteratura precedente.
230
Scelgo di non parlare di mora creditoris in adesione al pensiero di Harke, esposto supra alla
nt. 207, il quale nega che nei casi di mancata accettazione della prestazione dovuta al dies
previsto nella stipulatio poenae e nel constitutum possa parlarsi di mora accipiendi in senso tecnico.
Peraltro anche SICARI, Op. ult. cit., 338 nt. 37, in commento a questi passi pone il problema del
contenuto del concetto di mora creditoris, dei suoi limiti ed effetti benché non dia poi proposte riso-
lutive.
231
Rappresenta, infatti, la prima attestazione dell’utilizzo della promessa penale nella pecunia
traiecticia; cfr. SICARI, Op. ult. cit., 226.
232
Si tratta qui di una stipulatio poenae congiunta (o accessoria o di garanzia) in cui «nella
conceptio verborum si assumeva di pagare l’obbligazione avente ad oggetto la prestazione cosiddetta
primaria, soggiungendo a questa clausola stipulatoria una seconda con cui si prometteva, nel
caso d’inesecuzione di detta prestazione, la pecunia», cosi M. TALAMANCA, sv. Pena privata (diritto
romano), in ED. 32 (1982), 712-713.
233
Per tale funzione della stipulatio poenae cfr. SICARI, Op. ult. cit., 23 ss., ove discussione della
letteratura precedente.
234
Cfr. D. DAUBE , Condition prevented from materialising, in TR. 28 (1960), 280-281;
.
54 Paolo Costa
A. WATSON, The Law of Obligations in the Later Roman Republic, Oxford 1965, 2; K. VISKY, Das
Seedarlehn und die damit verbundene Konventionalstrafe im römischen Recht, in RIDA. 16 (1969), 400;
SICARI, Op. ult. cit., 338-339.
235
Così GUARNERI CITATI, Semel commissa poena non evanescit, cit., 241 ss.; ma cfr. anche
FREZZA, La clausola penale, cit., 341 ss.; ID., Le garanzie personali, I, cit., 341 ss.
236
Sul punto cfr. anche GIARO, Excusatio necessitatis nel diritto romano, cit., 63 ss.
237
Ovviamente non si tratta di esclusivo interesse del creditore: già si è visto come nel caso
del constitutum in origine ci fosse probabilmente proprio l’interesse del debitore ad una dilazione
nel tempo di adempimento; nel caso della stipulatio poenae anche il promittente ottiene un
vantaggio, pur solo indiretto, perché da essa veniva utilmente stimolato ad adempiere, secondo
una convinzione diffusa nella prassi romana, come dimostra una costituzione di Caracalla del
213 (CI. 2.55.1) in cui si legge: poena promittitur, ut metu eius a placitis non recedatur (su cui cfr.
P. VOCI, La responsabilità del debitore da stipulatio poenae, in Studi in onore di E. Volterra, III, Milano
1971, 327 e nt. 32).
238
Non entro negli intricati nodi interpretativi e di genuinità dei testi che complicano l’ana-
lisi soprattutto del primo di questi due frammenti, la discussione del quale rappresenta il princi-
pale nucleo tematico del recente studio di SICARI, Pena convenzionale, cit., 47 ss.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 55
collata est et licet ad condicionem committi videatur, dies tamen superest. sed cum eo, qui ita
promisit: “si intra kalendas digito caelum non tetigerit”, agi protinus potest. Haec et Marcellus
probat.
239
Su ciò cfr. TALAMANCA, sv. Pena privata (diritto romano), cit., 720-722; SICARI, Op. ult. cit.,
173 ss.
240
Cfr. SICARI, Op. ult. cit., 211 ss., ove letteratura precedente.
241
TALAMANCA, Op. ult. cit., 720 e nt. 60.
242
Per usare la terminologia comune in sede di legato penale; cfr. D. 36.2.19 (Iul. 70 dig.).
243
Cfr. TALAMANCA, Op. ult. cit., 722.
.
56 Paolo Costa
244
Ovviamente si tratta di un elemento essenziale nel costituto, mentre nella promessa
penale potrebbe mancare la fissazione di un termine; cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 135 ss.
245
Cfr. HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 100-101.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 57
246
HARKE, Op. ult. cit., 103-104.
247
Qui Harke usa in senso atecnico (rispetto alla sua impostazione, su cui v. supra nt. 207) la
locuzione mora accipiendi a designare la mancata accettazione della prestazione.
248
Qui Harke riprende, peraltro non citando espressamente a questo proposito la fonte, la
posizione di GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 237 (= estr., 77), che scrive sul fr. 16
§ 3 (parlando, in modo piuttosto impreciso, di ‘pena’ in riferimento all’oggetto dell’obbligazione
da costituto): «io non credo che avessero ammesso nel nostro caso l’exceptio doli perché la formula,
contenendo già l’inciso “neque per actorem stetisse”, determinava in maniera precisa, e con
esclusione di tutti gli altri, il caso in cui il debitore non doveva sopportare la pena».
249
Trad. (Heimbach): Qui constituta die non facit, quod constituit, tenetur. Ei vero, qui naturaliter impe-
ditus est, subvenitur.
.
58 Paolo Costa
ROUSSIER, Le constitut, cit., 108, esprime una posizione non condivisibile nella sua generi-
250
cità, scrivendo che si può dubitare dell’autenticità dell’intera soluzione proposta da Paolo.
251
Tale precisazione è necessaria, da subito, perché la disciplina della mora non è applicata
al constitutum, in particolare per quanto riguarda la purgatio.
252
Cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 193.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 59
cui condicio poenalis accede un termine: nel caso in cui il promissor non
adempia al termine per causa a lui non imputabile, Celso ritiene che
questi sia tenuto al pagamento non per la violazione del termine, ma per
l’inadempimento di per sé considerato, in quanto gli obblighi sono due ed
autonomi, l’uno sorto dal rapporto principale, l’altro dalla promessa
penale.
Anche Paolo sembra distinguere la promessa a termine (rectius: ad
tempus constituti) in una promessa ‘doppia’ (doppelte Versprechen 253), includente
da un lato un obbligo a termine, dall’altro un obbligo ordinario di adem-
pimento. Con il mancato rispetto del termine, il debitore, benché non
possa godere di alcuna causa che lo esima dall’adempiere 254, non vede la
sua situazione del tutto compromessa, perché, se l’offerta tardiva fosse
rifiutata dal creditore (senza alcuna causa iusta non accipiendi), a quest’ultimo
che poi esperisse l’actio de pecunia constituta potrebbe opporre un’exceptio doli
– e qui sta il cuore dell’evoluzione attribuibile a Paolo – realizzando una
(atecnica 255) purgatio morae. Al giurista 256 pare equa la concessione in tal
caso di un’eccezione al debitore, che ovviamente rappresenta un rimedio
equitativo soltanto processuale, dal quale non può inferirsi un’efficacia
liberatoria, iure honorario, dell’offerta.
Già si è detto che una responsabilità assoluta da ritardo rappresenta
un regime estraneo alla teoria generale della mora e, infatti, proprio
questo estremo rigore porta ad un temperamento con la previsione del-
l’exceptio, che dà una protezione al debitore indipendentemente dalla
perdita o dalla conservazione dell’oggetto destinato al pagamento, con
una configurazione del tutto peculiare 257. Il diritto comune 258, infatti,
prevedeva che l’offerta tardiva, anche se rifiutata dal creditore, estin-
guesse la mora e il rischio del successivo perimento della cosa oggetto del-
la prestazione passasse in capo al creditore. La giurisprudenza estese
questa soluzione, che originariamente si riferiva a debiti di specie e che
operava ipso iure, anche all’ambito delle obbligazioni generiche, conside-
253
KNÜTEL, Op e l. ult. cit.
254
KNÜTEL, Op et l. ult. cit., vede qui un’altra risonanza della dottrina di Celso, esposta in
D. 45.1.93 (Paul. 17 ad Plaut.).
255
Atecnica perché diversi sono requisiti ed effetti rispetto alla disciplina ordinaria, come
evidenzia MAGDELAIN, Note sur la Purgatio Morae, cit., passim; cfr. anche HARKE, Mora debitoris und
mora creditoris, cit., 104 nt. 80.
256
Già da parte di alcuni Autori di inizio Novecento normalmente inclini a individuare
interpolazioni e rimaneggiamenti nei testi della giurisprudenza classica, la soluzione, che si
appunta sulla iusta causa non accipiendi, sembra da attribuirsi a Paolo e non da considerarsi una
manipolazione giustinianea; cfr. GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 223 ss. 240 (=
estr., 73 ss. e 80); così anche ASTUTI, Studi, II, 29. Contra G. DONATUTI, Iustus, iuste, iustitia nel
linguaggio dei giuristi classici, in Annali dell’istituto giuridico dell’Università di Perugia 33 (1921), 405 ss.
257
Cfr. MAGDELAIN, Note sur la Purgatio Morae, cit., 200 (= ID., Jus Imperium Auctoritas, cit.,
680) seguito da CHEVREAU, Le temps et le droit: la réponse de Rome, cit., 204.
258
Cfr. CANNATA, Mora (storia), cit., 927.
.
60 Paolo Costa
Dallo spoglio dei documenti in cui sono contenuti usi linguistici giuri-
dicamente rilevanti constano alcune attestazioni del termine pragmateyth¥v
259
Cfr. D. 13.5.18.3 (Ulp. 27 ad ed.).
260
Cfr. KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 193.
261
Trad. (Heimbach): Si actoris non intersit.
262
Trad. (Heimbach): Si actoris non intererat, hoc est, si actor negotiator non erat, ut exinde damnum vel
commodum haberet.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 61
263
Cfr. F. PREISIGKE, Wörterbuch, III, sv. pragmateyth¥v (p. 142).
264
Sulla Nov. 122 cfr. M. BIANCHINI, Controllo dei prezzi e autonomia delle associazioni di mestiere
in Nov. Iust. 122, in Studi in memoria di G. Tarello, I, Saggi storici, Milano 1990, 117-140 (sul significato
del termine v. p. 122) (= M. BIANCHINI, Temi e tecniche della legislazione tardoimperiale, Torino 2008,
177-200, spec. 182).
265
Si tratta di una fonte sul commercio della seta con i barbari, su cui cfr. D. SIMON, Die
Byzantinischen Seidenzünfte, in Byzantinische Zeitschrift, 68 (1975), 23-46.
266
Con questo significato più lato il termine è riferito anche da A. H. M. JONES, Il tardo
impero romano (284-602 d. C.), III, trad. it. Milano 1981, 1307-1308, che lo accosta ad e¶mporov. Si
noti che nel Breviarium Novellarum Iustiniani di Teodoro non ricorre più il termine pragmateyth¥v
riassorbito nel – forse ancor più generico – e¶mporov.
267
HARKE, Mora debitoris und mora creditoris, cit., 104-105, nella sua personale ricostruzione del
concetto di mora accipiendi, evidenzia come in questo caso non si faccia ricorso alla formulazione
astratta per creditorem stat quo minus accipiat, ma si descriva il comportamento (... offerat nec actor acci-
pere voluit ...) e sottolinea la rilevanza dell’offerta del debitore, che rappresenta il momento in cui il
creditore viene a conoscenza del dovere di accettare e quindi l’unico tempo da cui può iniziare la
mora.
268
MAGDELAIN, Note sur la Purgatio Morae, cit., 202 (= ID., Jus Imperium Auctoritas, cit., 682),
riporta un frammento di Gaio, in tema di vadimonium, che sembrerebbe dimostrare che il regime
.
62 Paolo Costa
di favore del costituto abbia avuto un’estensione della propria latitudine applicativa a coprire
anche la stipulatio poenae: D. 2.11.8 (Gai. 29 ad ed. prov.) ove si prevede che il convenuto possa
opporre un’exceptio all’attore che agisca per ottenere la pena, in base al fatto che il primo si sia
presentato in lieve ritardo in ius, purché tale ritardo non abbia danneggiato l’attore. In realtà
anche questo passaggio di Gaio non è pienamente parallelo alla disciplina del constitutum perché
riguarda comunque un caso di esecuzione (e non di offerta) tardiva. Ciò che si nota è certamente
un’attenuazione generale della responsabilità (per Magdelain ‘assoluta’) da stipulatio poenae. Sulla
presenza nel vadimonium di una stipulatio poenae cfr. LENEL, EP 3, 81; TALAMANCA, sv. Pena privata
(diritto romano), cit., 727.
269
Il riferimento alla iusta interpretatio è considerato da sopprimere, se si vuole riavere il testo
classico, dalla dottrina presocché unanime; cfr. E. ALBERTARIO, Contributi alla storia della ricerca
delle interpolazioni, Pavia 1913, 4 e 10; GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina, cit., 240 ss. (= estr.,
80 ss.); ASTUTI, Studi, II, cit., 30 ss.; MAGDELAIN, Le consensualisme, cit.,132 nt. 285. 134 nt. 291 e
293. 169 nt. 380; ID., Note sur la Purgatio Morae, cit., 200 nt. 4 (= ID., Jus Imperium Auctoritas, cit.,
680 nt. 4); ROUSSIER, Le constitut, cit., 108; M. KASER, Restituere als Prozeßgegenstand. Die Wirkungen
der litis contestatio auf den Leistungsstand im römischen Recht, München 19682, 122. Lo stesso KNÜTEL,
Stipulatio poenae, cit., 192 e nt. 29, che pure ritiene il testo genuino, subito limita tale conclusione
scrivendo che è comunque molto sospetto.
270
Una iusta interpretatio e un’exceptio, infatti, si escludono a vicenda e non possono riposare
sullo stesso fondamento giuridico, in quanto iustus richiama la conformità al diritto, mentre
l’exceptio rappresenta una deroga per motivi di aequitas. Partendo da questi presupposti Guarneri
conclude che l’alternativa attribuita a Paolo non possa appartenergli, ma rappresenti un rima-
neggiamento giustinianeo sul modello di altri come: vel officio iudicis vel doli exceptione (D. 4.9.3.5
[Ulp. 14 ad ed.]) o doli exceptione submovebitur vel officio iudicis consequetur, ut indemnis maneat (D. 9.4.11
[Ulp. 7 ad ed.]). Per la discussione del problema e altri esempi cfr. GUARNERI CITATI, Contributi
alla dottrina, cit., 241 e nt. 1 (= estr., 81 e nt. 1).
271
Cfr. GUARNERI CITATI, Op. ult. cit., 240 ss. (= estr., 80 ss.); ASTUTI, Studi, II, cit., 30 ss.;
cfr. Autori e Opere indicati alla nt. 269.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 63
protraggono, invece, fino all’estremo limite del tempus iudicii la facoltà del
debitore di offrire con efficacia liberatoria la propria prestazione e tale
concezione dipenderebbe, secondo il Guarneri, dal cambiamento della
funzione dell’exceptio nella procedura della cognitio, in cui tutto rientra
nell’officium del funzionario che è anche giudice e quindi la tutela del
convenuto avviene sempre officio iudicis 272.
Il Knütel 273 ha una posizione meno drastica, ritenendo il testo suscetti-
bile di sospetti, ma sostanzialmente genuino, e accettando, già per diritto
classico, la possibilità di una liberazione ipso iure (rectius: mediante iusta
interpretatio) dalla responsabilità da costituto del debitore che si fosse visto
ingiustificatamente rifiutare un’offerta tardiva. Secondo Knütel tale inter-
pretatio si concentra sul sintagma edittale neque per actorem stetit, quo minus
fieret ed implica che il comportamento del creditore rilevante per la libera-
zione sia quello integrato non solo fino al tempus constituti, ma fino alla litis
contestatio: ciò sarebbe spiegabile perché l’obbligazione del debitore si
compone di una promessa con una prestazione a termine e di un’altra con
una prestazione da rendersi ‘comunque’ (überhaupt): e quindi al creditore
nuocerebbe processualmente un ingiustificato rifiuto di ricevere anche
dopo lo spirare del termine, in un modo simile a quanto si verifica nel
caso di purgatio morae. Ora se questa costruzione ha l’indubbio pregio di
conservare il testo senza ipotizzare rimaneggiamenti giustinianei, mi pare
che contenga un profilo di fragilità: se il factum actoris si riferisce al tempus
iudicii e ciò deriva dall’interpretatio più iusta della formula, perché ricono-
scere anche un’exceptio? Sarebbe bastata la formula stessa: è la considera-
zione del Guarneri Citati e conserva il suo valore. Una iusta interpretatio di
tale specie rende inutile l’exceptio, che pure è prevista, e la lettura del
Knütel non affronta questo problema: se tale interpretazione fosse un
risultato genuino della giurisprudenza classica ritengo che il riferimento
all’exceptio non ci sarebbe sicuramente stato.
I passi sul constitutum appena discussi 274 non sarebbero poi, ovviamente,
272
Il senso del mantenimento di questo passo rimaneggiato da parte dei compilatori va
speculato alla luce del mutamento della natura del constitutum nel periodo tardo. Quando esso
assume il ruolo di una vera e propria promessa di adempimento, la fattispecie descritta nel fr. 17
è probabilmente vista come il caso di un constitutum contenente un dies certus solutionis, allo spirare
del quale il debitore sarebbe in mora (peraltro con una contraddizione sistematica rispetto al
fr. 18 pr., che è ispirato ad un ben più evidente favor per il debitore). Nel fr. 17 permane il riferi-
mento all’exceptio, che però è reso sterile dalla iusta interpretatio che impone la liberazione ipso iure
del debitore, con l’offerta (che integra il facere – condizione dell’assoluzione) possibile, anche dopo
il dies constituti, fino alla litis contestatio (nel nuovo processo: post narrationem propositam et contradictionem
obiectam). Con ciò lo stesso termine muta la sua funzione e subisce un’attenuazione del suo peso,
in quanto mantiene solo la limitata funzione nel caso in cui il suo decorso nuoccia al creditore o
lo privi dell’interesse alla prestazione; cfr. ASTUTI, Studi, II, cit., 32.
273
KNÜTEL, Stipulatio poenae, cit., 193-194.
274
Cioè D. 13.5.16.2-4 e 18 pr. (Ulp. 27 ad ed.) e 13.5.17 (Paul. 29 ad ed.).
.
64 Paolo Costa
Così: BIONDI, Sulla dottrina romana dell’actio arbitraria, cit., 99; GUARNERI CITATI, Contributi
275
alla dottrina, cit., 244 ss. (= estr., 84 ss.); ROUSSIER, Le constitut, cit., 108.
276
Sulla possibilità di dedurre in constitutum un debito da delitto v. D.13.5.29 (Paul. 24 ad ed.):
Qui iniuriarum vel furti vel vi bonorum raptorum tenetur actione, constituendo tenetur. La genuinità di tale
generica formulazione è revocata in dubbio da ASTUTI, Studi, II, cit., 216, il quale sottolinea che
comunque l’applicabilità dell’istituto rispetto all’adempimento di obbligazioni ex delicto potrebbe
riconoscersi solo nel caso in cui il debito fosse già stato riconosciuto in modo definitivo e accer-
tato l’ammontare e non più contestabile. Tale posizione mi pare condivisibile perché conforme ai
caratteri di certezza che deve avere l’oggetto del costituto.
277
BRUNS, Das constitutum debiti, cit., 275 e nt. 98-99, 291 e nt. 120; KAPPEYNE VAN DE
COPPELLO, Über constituta pecunia, cit., 225, 242 ss.; KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1., cit.,
1378.
278
ASTUTI, Studi, II, cit., 210 e nt. 2-3, ove letteratura precedente.
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 65
279
Cfr. S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, in AUPA. 3-4 (1917), 689.
280
Per un elenco degli Autori che ritengono il passo interpolato v. A. SACCOCCIO, Si certum
petetur. Dalla condictio dei veteres alle condictiones dei giustinianei, Milano 2002, 55 nt. 119. Anche
VARVARO, Per la storia del certum, cit., 149, che pure manifesta radicali perplessità sulle prospettive
di Saccoccio quanto alla nozione di certum, ritiene che alcuni sospetti di interpolazione siano da
considerarsi meno solidi di quanto non appaiano in prima vista.
281
Tale profilo coinvolge il tema della c.d condictio generalis su cui SACCOCCIO, Si certum petetur,
cit., 59 ss.
282
Particolarità di fattispecie che SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., 78-79, spiega ipotizzando
che il frammento appartenga al commento di Ulpiano al titolo XVII dell’Editto del pretore,
dedicato alle res creditae (e in cui trova disciplina anche la pecunia constituta) e che qui il giurista
voglia ricordare come si era formata storicamente la categoria e quali fossero le fattispecie a
protezione delle quali si poteva originariamente esperire la condictio certi. Secondo Saccoccio i
giustinianei avrebbero modificato il discorso ulpianeo espungendone la parte storica e dividen-
dolo in due parti: la prima rinvenibile in D. 12.1.1.1 che manterrebbe la sua caratura introduttiva
originaria, l’altra, che oggi si ritroverebbe in D. 12.1.9, con la funzione di mostrare come la
condictio (certi) avesse in origine un oggetto unitario riconducibile al modello della legis actio per
condictionem e comprendente tutte le pretese volte ad un certum dare, intendendo per certum non solo
un oggetto determinato o determinabile, ma anche dovuto con sicurezza da parte del debitore.
Su tale tesi che sta al cuore dell’indagine di Saccoccio v. infra, ma deve dirsi già ora che è confor-
memente a tale impostazione dogmatica che Saccoccio ritiene che il predicato certi con cui è
qualificata la condictio nel frammento in analisi o sia stato apposto dai giustinianei per marcare la
.
66 Paolo Costa
distinzione tra questa condictio che deriva dalla legis actio per condictionem e la condictio incerti; oppure
che la qualificazione sia di Ulpiano, il quale abbia quindi voluto utilizzare il certum come
elemento di catalizzazione dei diversi casi di applicazione della condictio. Deve sottolinearsi e
condividersi la posizione di VARVARO, Per la storia del certum, cit., 151 nt. 506, che si oppone a tale
ipotesi, perché non suffragata da alcun indizio testuale convincente; inoltre, dal frammento non
si potrebbero cogliere legami fra la condictio certi e la legis actio per condictionem o un’esposizione
basata sul rapporto di derivazione della prima dalla seconda né un’esposizione storica dell’azione
diretta al conseguimento di un certum.
283
Su tutto questo problema cfr. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., 73-74 (a nt. 155 un elenco
degli Autori che propendono per la genuinità del testo ulpianeo).
284
Tale espressione ricorre anche in D. 46.4.18 pr. (Flor. 8 inst.).
285
Cfr. A. PERNICE, Parerga IV, in ZSS. 13 (1892), 254; RICCOBONO, Dal diritto romano classico
al diritto moderno, cit., 689; E. ALBERTARIO, Ancora sulle fonti dell’obbligazione romana, in Rendiconti del-
l’Istituto Lombardo II, 59 (1926), 420 (= ID., Studi di diritto romano, III, Obbligazioni, Milano 1936, 110);
PHILIPPIN, Le pacte de constitut, cit., 55; ROUSSIER, Le constitut, cit., 15 e 89 nt. 1; M. KASER, Das
römische Privatrecht. Die nachklassischen Entwicklungen, II2, München 1975, 383 nt. 80.
286
Cfr. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., 37 ss.; VARVARO, Per la storia del certum, cit., 137 ss.,
151.
287
D. 46.4.18 pr. (Flor. 8 inst.): Et uno ex pluribus contractibus vel certis vel incertis vel, quibusdam
.
Pecunia constituta: ipotesi interpretative 67
exceptis, ceteris et omnibus ex causis una acceptilatio et liberatio fieri potest; cfr. PERNICE, Parega IV, cit.,
253 ss.; F. DE VISSCHER, La condictio et le système de la Procédure formulaire, Gand – Paris 1923, 71.
288
Così VARVARO, Per la storia del certum, cit., 152 nt. 514.
289
Per la sostanziale genuinità del passo, salve le incongruenze, asimmetrie e mancanze di
ordine logico dell’esposizione, propende KARADENIZ, Klasik Roma Hukukunda constitutum debiti, cit.,
99 ss.
.
68 Paolo Costa
290
Cfr. ASTUTI, Studi, II, cit., 212 ss.
291
Con la menzione dello scopo dotale il negozio formale della stipulatio diveniva causale; cfr.
FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma antica, cit., 189, ove altra letteratura.
292
Cfr. C. A. CANNATA, sv. Obbligazioni nel diritto romano, medievale e moderno, in Dig. Civ. 12
(1995), 420 ss. Per GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 63-64, la bipartizione delle fonti delle
obbligazioni secondo l’antitesi contractus-delictum propria dell’impostazione sabiniana aveva
condotto ad una estensione del concetto di contratto e ciò troverebbe conferma in alcuni passi in
cui il contratto è semplicemente posto in antitesi con il delitto (D. 5.1.57 [Ulp. 41 ad Sab.];
D. 5.3.14 [Paul. 20 ad ed.]; D. 14.5.4.2 [Ulp. 29 ad ed.]; D. 50.16.10 e 12 [Ulp. 6 ad ed.]) ed in altri
in cui sembra che si riconosca un contractus in figure in cui si perde anche l’elemento della bilate-
ralità, come il legato (D. 45.2.9 pr. [Pap. 27 quaest.]; D. 50.17.19 pr. [Ulp. 24 ad Sab.]), la nego-
tiorum gestio (D. 3.5.15 [Paul. 7 ad Plaut.]), la communio (D. 42.4.3 pr. [Ulp. 59 ad ed.]) e la tutela
(Gai. 4.182, oltreché proprio D. 13.5.1.6). Tali luoghi sono stati tutti sospettati di semplificazioni
o rimaneggiamenti, benché di recente J. PARICIO, Una historia del contrato en la jurisprudencia romana,
in AUPA. 53 (2009), 107, neghi ogni interpolazione. In ogni caso, non sembrano passi decisivi in
quanto l’accenno al contractus è fatto in modo vago e generico, talora mediante assimilazione, e
soprattutto al solo scopo negativo di nominare l’area non coperta dal delictum.
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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 69
293
D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.); cfr. di recente su questo passo e più in generale su questo tema,
PARICIO, Op. ult. cit., 71-115, ove letteratura precedente; CANNATA, La nozione di contratto nella
giurisprudenza romana dell’epoca classica, cit., passim.
294
E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni. Parte generale, III, Milano 1938,
251 ss.
295
ALBERTARIO, Ancora sulle fonti dell’obbligazione romana, cit., 420 (= ID., Studi di diritto romano,
III, Obbligazioni, cit., 110).
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70 Paolo Costa
Il passo in oggetto si inserisce nel tema della restituzione della dote 301;
il marito aveva fatto un constitutum avente per oggetto l’obbligazione di
restituire la dote oltre l’id quod facere potest: il giurista dice che egli è tenuto
Tra i molti v. GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., 14 ss. e di recente CANNATA,
296
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Pecunia constituta: ipotesi interpretative 71
per l’intero, ma nei confronti della moglie può essere condannato soltanto
‘nei limiti del possibile’.
Ai fini della comprensione del frammento in esame occorre ricordare
che la formula dell’actio rei uxoriae 302 prevedeva che il iudex condannasse il
marito (o il pater) a restituire (rectius a praestare) alla moglie o al padre di lei
quod melius aequius erit, con molte possibilità