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ANTONIA FIORI

LA DECRETALE SI CULPA TUA E LA


RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI MORALI
NEL DIRITTO CANONICO CLASSICO

Isbn 9788828826231

Estratto dal volume:

LA RESPONSABILITÀ GIURIDICA DEGLI


ENTI ECCLESIASTICI
a cura di
Eduardo Baura e Fernando Puig

2020
ANTONIA FIORI 33

ANTONIA FIORI (*)

LA DECRETALE SI CULPA TUA


E LA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI MORALI
NEL DIRITTO CANONICO CLASSICO

SOMMARIO: 1. La responsabilità aquiliana nel diritto canonico classico e la


decretale ‘Si culpa tua’. — 2. Le universitates nella Chiesa. — 3. Il
principio delictum personae in damnum ecclesiae non est converten-
dum. — 4. La responsabilità penale e civile delle universitates nel
pensiero dei decretisti. — 4.1. Condotte omissive e delictum perso-
nae. — 4.2. I delicta personarum e il consenso delle universitates. —
4.3. La chiamata in giudizio delle universitates: accusatio, inquisitio,
actio. — 4.4. Le posizioni di Giovanni Teutonico e Tancredi. — 5.
La responsabilità penale e civile delle universitates nel pensiero dei
decretalisti. — 5.1. La preferenza di Sinibaldo de’ Fieschi per l’a-
zione civile ex delicto. — 5.2. Dall’opinione dell’Ostiense all’accet-
tazione della doctrina Bartoli. — 6. Conclusioni.

1. LA RESPONSABILITÀ AQUILIANA NEL DIRITTO CANONICO


CLASSICO E LA DECRETALE ‘SI CULPA TUA’
Quest’intervento sarà dedicato alla responsabilità
extracontrattuale degli enti morali (1) nel diritto cano-
nico medievale: o meglio, nel lessico giuridico proprio

(*) Università ‘‘La Sapienza’’ di Roma.


(1) Sull’origine giusnaturalistica dell’espressione personae morales o
entia moralia, che si trova per la prima volta nell’opera di Samuel Pufen-
dorf, cfr. R. ORESTANO, Il problema delle persone giuridiche in diritto ro-
mano, Torino, Giappichelli, 1968, p. 15, nota 20 e F. T ODESCAN, Dalla
‘persona ficta’ alla ‘persona moralis’. Individualismo e matematismo nelle
teorie della persona giuridica del secolo XVII, in « Quaderni Fiorentini »
11/12 (1982/83), pp. 87 ss.
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dell’età intermedia, alla responsabilità civile ex delicto


delle universitates. Un argomento che meriterebbe una
più ampia trattazione perché sinora piuttosto trascurato
dalla storiografia, che si è dedicata con maggiore entu-
siasmo alla questione della loro responsabilità penale.
Il limitato interesse degli studiosi sembra però coe-
rente con l’osservazione secondo cui la stessa dottrina
medievale, nell’esegesi delle fonti giustinianee, si sa-
rebbe occupata relativamente poco dell’actio legis Aqui-
liae e della disciplina del damnum iniuria datum (2), te-
nuto conto dell’importanza della materia. Si potrebbe
aggiungere che, su questi temi, i canonisti non si disco-
starono molto dalla trattazione dei legisti, la cui opera
— almeno a partire dalla fine del XII secolo — cono-
scevano approfonditamente. Anche in merito alla re-
sponsabilità dell’ente collettivo astratto, pertanto, le po-
sizioni della dottrina canonistica classica non sono net-
tamente separabili dalle contemporanee elaborazioni
civilistiche, se non per alcuni aspetti, sui quali ci soffer-
meremo. Pur protesa a sviluppare un proprio diritto,
infatti, per tutto l’arco del Medioevo la Chiesa ha com-
piuto una concreta ‘appropriazione’ delle leges romanae
nelle molte materie di proprio interesse, e ha avuto in
ambito privatistico una costante tensione verso il diritto
romano.

(2) Cfr. G. ROTONDI, Dalla ‘lex Aquilia’ all’art. 1151 Cod. Civ. Ricer-
che storico-dogmatiche, in Rivista del Diritto Commerciale 15 (1917), p. 239
e J. SAMPSON, The Historical Foundations of Grotius’ Analysis of Delict,
Brill, Leiden, 2018, (‘‘Legal History Library’’, 24; ‘‘Studies in the History
of Private Law’’, 13), p. 64.
È un’osservazione che — se vera — può essere comunque riferita alla
sola esegesi delle fonti giustinianee: è nota l’importanza della disciplina dei
danni dati in ambito statutario, cfr. ad esempio A. D ANI, Il processo per
danni dati nello Stato della Chiesa (secoli XVI-XVIII), Bologna, Monduzzi,
2006.
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Ci si riferisce in genere alla decretale Si culpa tua di


Gregorio IX (X 5.36.9) come fondamento del principio
della responsabilità aquiliana nel diritto canonico. Devo
però subito avvertire, a parziale sconfessione del titolo
del mio intervento, che la trattazione che segue non po-
trà essere incentrata sull’esegesi della celebre decretale,
in quanto essa disponeva in merito alla responsabilità
delle persone fisiche, per fatto proprio e di animali in
custodia, e nelle trattazioni dei giuristi non veniva quasi
mai richiamata con riferimento alle universitates.
Nel Liber Extra la decretale era singolarmente collo-
cata come ultimo capitolo del titolo de iniuriis et damno
dato, nel libro V. Singolarmente perché i capitoli prece-
denti erano per lo più di provenienza veterotestamenta-
ria (3) e riguardavano fattispecie estremamente circo-
scritte: come il danno provocato da chi apriva una ci-
sterna senza richiuderla, o da un incendio diffusosi nel
campo altrui.
La decretale gregoriana, invece, enunciava un prin-
cipio generale di responsabilità da fatto illecito assai
più ampio di quello della stessa lex Aquilia, ed espri-
meva la ‘‘funzione generalissima’’ (4) a quest’ultima ri-
conosciuta dalla dottrina medievale. Come è noto, in-
fatti, la lex Aquilia originariamente era stata dettata
per ipotesi circoscritte di iniuria determinata da una le-
sione corpore corpori, ipotesi che erano poi state pro-
gressivamente ampliate dalla giurisprudenza classica e

(3) Cfr. H. DONDORP, Crime and Punishment. ‘Negligentia’ for the


canonists and moral theologians, in Negligence, the comparative legal history
of the law of torts, a cura di E.J.H. Schrage, Berlin, Duncker und Hum-
blot, 2011, (‘‘Comparative studies in continental and Anglo-American legal
history’’, 22), p. 103.
( 4) G. R OTONDI , Dalla ‘lex Aquilia’ all’art. 1151 Cod. Civ., cit.,
p. 242.
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nel diritto giustinianeo. Un’affermazione normativa pa-


ragonabile al principio enunciato dal nostro art. 2043
c.c., o in generale dalle codificazioni moderne, in di-
ritto romano non è rintracciabile. Il c. Si culpa tua, in-
vece, svolse questa funzione nell’ambito del diritto ca-
nonico.
Si culpa tua datum est damnum vel iniuria irrogata, seu aliis
irrogantibus opem forte tulisti, aut haec imperitia tua sive negli-
gentia evenerunt: iure super his satisfacere te oportet, nec igno-
rantia te excusat, si scire debuisti, ex facto tuo iniuriam verisimili-
ter posse contingere vel iacturam.
Quodsi animalia tua nocuisse proponas, nihilominus ad sati-
sfactionem teneris nisi ea dando passis damnum velis liberare te
ipsum; quod tamen ad liberationem non proficit, si fera animalia,
vel quae consueverunt nocere, fuissent, et quam debueras non cura-
sti diligentiam adhibere.
Sane, licet qui occasionem damni dat damnum videatur dedisse:
secus est tamen in illo dicendum, qui, ut non accideret, de contin-
gentibus nil omisit.

Nella prima parte il canone prevedeva che chiun-


que, con propria colpa, avesse provocato un danno o
un’iniuria o aiutato altri a provocarne, o avesse causato
l’evento per imperitia o negligentia, avrebbe dovuto
‘‘satisfacere’’. Satisfactio è un’espressione che nel diritto
canonico medievale assunse una pluralità di accezioni
tecniche, non ultima quella di penitenza: in questo ca-
so sta certamente per solutio (5) o recompensatio (6).
Gli elementi alla base della norma erano dunque il
danno, la colpa e il nesso di causalità: e la celebre de-

(5) D. 46.3.52: ‘‘satisfactio pro solutione est’’.


(6) TOMMASO D’AQUINO, Scriptum super Sententiis, lib. 4 d. 15 q. 1 a.
1 qc. 2 ad 1 (cfr. anche Summa Theologiae Supplementum, q. 12 art. 2):
‘‘satisfactio [...] est quaedam iniuriae illatae recompensatio’’.
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cretale, nel fare propria la riflessione canonistica già av-


viata sul tema della responsabilità aquiliana, rispec-
chiava indirettamente anche le posizioni raggiunte dalla
contemporanea dottrina civilistica, cui i decretisti si
erano allineati ratione materiae.
Proverò a sintetizzare gli aspetti più significativi del
canone, nella lettura dei decretalisti, senza soffermarmi,
per brevità e perché esula dal nostro interesse, sulla
parte centrale del testo, quella dedicata al danno pro-
dotto dagli animali, che rendeva esperibile l’actio de
pauperie (7).
Il damnum datum veniva inteso secondo il modello
romano come deminutio patrimonii (8); il riferimento al-
l’iniuria, un termine giuridicamente polisemico (9), in
questo caso serviva a definire l’ingiustizia del danno
con specifico riferimento alla colpa (10) (anche se l’e-

(7) Gl. animalia tua ad X 5.36.9: ‘‘[...] Cum enim liber homo dam-
num dat, locum habet actio legis Aquiliae dum vero quadruper sive ani-
mal, locum habet actio de pauperie : cum vero servus, tunc locum habet
actio noxalis [...]’’.
(8) Inteso come deminutio patrimonii tanto dai civilisti, a partire da
Piacentino (Cfr. G.P. MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale a) Diritto
intermedio, in Enciclopedia del diritto, 39 (1988), p. 1120) quanto dai ca-
nonisti, ad es. Henrici de Segusio cardinalis Hostiensis, Summa Aurea
(d’ora in avanti: OSTIENSE, Summa) ad tit. de damno dato, n. 1, Venetiis
[apud Iacobum Vitalem] 1574, col. 1724.
(9) Può indicare genericamente ‘‘quod non iure fit’’, oppure la con-
tumelia, oppure la colpa con riferimento al danno aquiliano, cfr. G.P.
MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale, cit., p. 1126, nota 236. Sul rap-
porto tra le nozioni di iniuria e culpa nel Corpus Iuris Civilis e nella sua
esegesi medievale, vid. M.F. CURSI, Danno e responsabilità extracontrattuale
nella storia del diritto privato, Napoli, Jovene, 2010, pp. 59-61 e 107-110.
(10) Henrici de Segusio cardinalis Hostiensis, In quintum Decreta-
lium librum Commentaria (d’ora in avanti: OSTIENSE, Lectura) ad X 5.36.9,
n. 1, v. damnum vel iniuriam, Venetiis [apud Iuntas] 1581, fol. 96va: ‘‘ff.
ad legem Aquiliam Sed et si § Iniuriam (D. 9.2.5.1) [...]’’. Il frammento
del Digesto allegato, ulpianeo, spiegava: ‘‘iniuriam autem hic accipere nos
oportet non quemadmodum circa iniuriarum actionem contumeliam quan-
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spressione obbligherà i giuristi a trattare in questa sede


sia dell’actio iniuriarum che dell’actio legis Aquiliae) (11).
Quanto al presupposto soggettivo, la responsabilità
era interamente fondata sulla culpa (12). Perché interve-
nisse colpa, dirà la dottrina canonistica, sulla scorta di
quella civilistica (13), l’autore del danno doveva essere
doli capax (14), cioè capace di intendere la gravità dei

dam, sed quod non iure factum est, hoc est contra ius, id est si culpa quis
occiderit [...] igitur iniuriam hic damnum accipiemus culpa datum etiam
ab eo, qui nocere noluit’’.
(11) Cfr. ad esempio, GOFFREDO DA TRANI, Summa super titulis Decre-
talium ad tit. de iniuriis et damno dato, Lugduni 1519 (repr. Aaalen 1968),
fol. 234va-235vb (470-472). L’Ostiense, nella Summa, preferirà parlare se-
paratamente dell’iniuria (e dell’actio iniuriarum), del damnum datum e del-
l’actio de pauperie (legata alla parte della decretale Si culpa tua dedicata
alla responsabilità per fatto degli animali), inserendo di sua iniziativa due
altri titoli al titolo de iniuriis et de damno dato, (le rubr. de damno dato e
de pauperie). Nel complesso l’Ostiense, nella Summa, ha aggiunto una cin-
quantina di titoli non presenti nel Liber Extra (cfr. K. PENNINGTON, Enrico
da Susa, cardinale Ostiense, in Dizionario biografico dei giuristi italiani, a
cura di I. Birocchi - E. Cortese - A. Mattone - M.N. Miletti, I, Bologna, Il
Mulino, 2013, p. 796).
(12) Come ha sottolineato G.P. MASSETTO, Responsabilità extracon-
trattuale, cit., p. 1126, l’individuazione della colpa come ‘‘elemento impre-
scindibile’’ della responsabilità aquiliana ha allontanato la dottrina inter-
media dalla legislazione statutaria, che invece ‘‘nella configurazione della
responsabilità prescindeva dalla considerazione dell’animus’’. La lettera
della decretale gregoriana, sin dall’incipit, fa sua l’impostazione della dot-
trina civilistica.
( 13) Gl. si culpa ad X 5.36.9: ‘‘Nota quod ad hoc ut teneatur qui
damnum dedit, seu iniuriam irrogavit, necesse est culpam intervenire, alio-
quin non tenetur. Unde infantes et furiosi non tenentur si damnum dede-
rint: quia iudicium animi non habent, ff. ad legem Aquiliam Sed et si §
iniuria et § igitur (D. 9.2.5.1) et 15 q.1 Illud (C.15 q.1 c.2). Impubes ta-
men doli capax tenetur, ut hic, et in c. Illud et § igitur [...]’’. Le glosse
dell’apparato ordinario al Corpus Iuris Civilis sono qui trascritte dall’edi-
zione curata dai Correctores Romani ed approvata da Gregorio XIII, Ro-
mae [in aedibus Populi Romani] 1582.
(14) OSTIENSE, Summa ad tit. de damno dato, § Quando locum, n. 3,
col. 1725: ‘‘Culpam vero semper intelligas sic, ut etiam dolus nomine cul-
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propri atti: erano quindi per definizione non responsa-


bili coloro che non possedevano iudicium animi, come
furiosi ed infanti. Cause di esclusione della responsabi-
lità saranno poi individuate nell’aver agito per legittima
difesa, o costretti da altri (alterius impulsu) o sotto l’im-
pulso di una forza naturale cui non si poteva resistere
(come la violentia ventorum) (15).
Anche sul piano della gradazione della culpa, i ca-
nonisti assunsero la prospettiva dei legisti. Il diritto ro-
mano aveva distinto tra culpa lata, levis e levissima. I
glossatori civilisti ritenevano che ai fini dell’esperibilità
dell’actio legis Aquiliae ognuno di questi livelli di inten-
sità fosse rilevante. Allo stesso modo Bernardo da
Parma, nella glossa ordinaria al c. Si culpa, riassumendo
un’opinione comunemente accolta, sottolineava che nel
caso previsto dalla decretale si rispondeva anche de le-
vissima culpa (16). È un aspetto da evidenziare perché,
come è noto, era celebre e condivisa tra i canonisti l’o-
pinione di Sinibaldo de’ Fieschi, secondo cui le culpae
levis o levissima non fossero rilevanti nel foro interno,
dal momento che l’assenza di animus nocendi non fa-
ceva sorgere alcun peccato e quindi alcuna esigenza pe-
nitenziale (17). L’accoglimento di questa tesi, tuttavia,

pae contineatur [...], ergo quicquid dolo fit, culpa fieri intelligitur: sed
non convertitur’’.
(15) Gl. si culpa ad X 5.36.9: ‘‘[segue dalla nota 13] et ille non tene-
tur de culpa, qui ad sui defensionem, et incontinenti, et eodem modo
damnum dedit ff. eo. Scientiam § qui cum aliter (D. 9.2.45.4) et de levis-
sima culpa quis tenetur in casu isto, ff. eo. l. 2 (D. 9.2.2), et ille excusatur
a culpa, qui alterius impulsu vel violentia ventorum damnum dedit, ff.
eod. Quemadmodum § si navis et § item Labeo (D. 9.2.29.2-3)’’. Cfr. per
la dottrina civilistica G.P. MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale, cit.,
p. 1131.
(16) Cfr. supra nt. precedente e ad tit. de damno dato § Quando lo-
cum, n. 3, col. 1725: ‘‘in hac actione culpa levissima imputatur’’, ff. ad le-
gem Aquiliam In lege (D. 9.2.44).
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non confliggeva con la generale convinzione che nel


foro contenzioso ai fini della responsabilità aquiliana ri-
levasse anche la culpa levissima.
Il nesso di causalità tra il fatto e il danno, per i ca-
nonisti cosı̀ come i civilisti, doveva essere rappresentato
da una causa propinqua e non remota (18): cioè nella ca-
tena causale la condotta lesiva doveva rappresentare la
ragione prossima del danno, e non la causa prima e più
lontana, in senso temporale ed eziologico. L’occasio re-
mota poteva tuttavia diventare rilevante se si fosse agito
con animus nocendi (19): e dunque occorreva distinguere
tra un evento dannoso che fosse conseguenza di una
condotta non consentita (dare operam rei illicitae) e un
danno che fosse derivato da una condotta lecita (dare
operam rei licitae) (20). In quest’ultimo caso, non sarebbe
sorta responsabilità in capo all’agente che avesse ope-
rato con la necessaria diligenza.

( 17) Cfr. G.P. MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale, cit.,


pp. 1131 ss. Sinibaldo de’ Fieschi espresse la sua celebre opinione nel
commento al c. Sicut dignum (X 5.12.6), Commentaria super libros quinque
Decretalium, Francofurti ad Moenum 1570 (rist. an. Frankfurt a.M. 1968),
ad loc. cit., n. 5, fol. 510v. Ha frainteso la distinzione M. C ARNÌ, La re-
sponsabilità civile della diocesi per i delitti commessi dai presbiteri. Profili
canonistici e di diritto ecclesiastico, Torino, Giappichelli, 2019, p. 140, nel
ritenere che secondo Sinibaldo de’ Fieschi ‘‘in foro conscientiae dalla culpa
levis o levissima non sorge responsabilità extracontrattuale essendo suffi-
ciente la penitenza imposta dal confessore’’.
(18) OSTIENSE, Lectura ad X 5.36.9, v. occasionem, n. 7, ed. cit., fol.
96vb: ‘‘propinquam, non remotam, sic intellige quod hic dicit et ff. ad le-
gem Aquiliam Qui occidit § in hac actione (D. 9.2.30.3)’’.
(19) Cfr. S. KUTTNER, Kanonistische Schuldlehre von Gratian bis auf
die Dekretalen Gregors IX. Systematisch auf Grund der handschriftlichen
Quellen dargestellt, Città del Vaticano, 1935, (‘‘Studi e testi’’, 64),
pp. 195-198.
(20) Ibidem, pp. 200 ss.; cfr. G.P. MASSETTO, Responsabilità extracon-
trattuale, cit., p. 1130.
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Il principio ‘‘qui occasionem damni dat, damnum


dedisse videtur’’, riproposto letteralmente nell’ultima
parte della decretale, è un brocardo che i giuristi ave-
vano tratto dai testi giustinianei in materia di legge
Aquilia (D. 9.2.30.3) (21) e stava appunto ad indicare la
necessità dell’adhibere diligentiam debitam (22) e nihil
omittere de contingentibus (23). Il criterio della normale
diligenza è, per i canonisti come per i civilisti, quello
del prevedere l’evento dannoso nei termini in cui esso è
prevedibile e fare quanto dovuto per impedirlo (24).

2. LE UNIVERSITATES NELLA CHIESA


La vastissima copertura della responsabilità aqui-
liana nel diritto canonico classico naturalmente non ri-
guardava solo i danni provocati da animalia, servi o li-
beri, ma coinvolgeva anche i fatti illeciti di clerici ed
universitates.
Con il termine universitas si indicava una collettività
organizzata titolare di diritti ed obblighi; un insieme di
individui (nel caso di universitates personarum) (25) con-

( 21) Cfr. S. KUTTNER, Kanonistische Schuldlehre, cit., p. 195; G.P.


MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale, cit., p. 1129 e nota 275; H.
DONDORP, Crime and Punishment, cit., p. 102.
(22) Cfr. S. KUTTNER, Kanonistische Schuldlehre, cit., p. 216; O. DE-
SCAMPS, L’influence du droit canonique médiéval sur la formation d’un droit
de la responsabilité, in Der Einfluss der Kanonistik auf die europäische
Rechtskultur, I, Zivil- und Zivilprozessrecht, a cura di O. Condorelli - F.
Roumy - M. Schmoeckel, Köln-Weimar-Wien, Böhlau, 2009, (‘‘Norm und
Struktur’’, 37/1), p. 148.
(23) OSTIENSE, Summa ad tit. de damno dato § Quando locum, n. 3,
col. 1725.
(24) Cfr. M. TALAMANCA, Colpa civile. a) Diritto romano e intermedio,
in Enciclopedia del diritto 7 (1960), p. 519; G.P. MASSETTO, Responsabilità
extracontrattuale, cit., p. 1136.
( 25) Sulla distinzione tra universitates rerum e personarum, molto
esaltata dalla dottrina tedesca ottocentesca ma effettivamente poco pre-
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siderato unitariamente come comunità. Il concetto era


anch’esso di origine romanistica (26), e si applicava in
modo generico tanto a comunità civili (municipium, col-
legium, civitas, societas, etc.) quanto ecclesiastiche e reli-
giose (27). I canonisti parlavano di universitates soprat-
tutto con riferimento a corpora e collegia; non si soffer-
marono a dare specifiche definizioni di queste espres-
sioni, ed è forse la ragione per cui finirono per
classificarle come equivalenti, simili quoad iuris distinc-
tionem (28): anche se in realtà i diversi sostantivi non
erano, né venivano usati, come perfettamente fungi-
bili (29).

sente nel diritto medievale, che in genere usava l’espressione universitas


con riferimento alla sola universitas personarum, J. OTADUY, La ‘universitas
rerum’ como soporte de la personalidad en el derecho canónico, in « Ius ca-
nonicum » 55 (2015), pp. 47-85.
(26) Sull’universitas in diritto romano la letteratura è ampia; per bre-
vità rimando alla bibliografia citata in una pubblicazione recente, R. SIRA-
CUSA , La nozione di ‘universitas’ in diritto romano, Milano, Led, 2016
(‘‘Collana della Rivista di diritto romano. Saggi’’). L’autrice nelle conclu-
sioni definisce quella di universitas una ‘‘nozione empirica’’, poiché il di-
ritto romano non sarebbe pervenuto ‘‘a un concetto tecnico-giuridico defi-
nitivamente teorizzato’’. A. GROTEN, Corpus und Universitas. Römisches
Körperschafts- und Gesellschaftsrecht: zwischen griechischer Philosophie und
römischer Politik, Tübingen, Mohr Siebeck, 2015, (‘‘Ius Romanum’’, 3)
p. 356 a proposito dell’uso del termine universitas nella compilazione giu-
stinianea, parla di ‘‘ein neuer Oberbegriff der Einheit’’.
(27) Sul concetto di universitas nel Medioevo sono ancora fondamen-
tali le pagine di P. MICHAUD-QUANTIN, Universitas. Expressions du move-
ment communautaire dans le Moyen Age latin, Paris, Vrin, 1970, (‘‘L’Église
et l’État au Moyen Age’’, 13), pp. 11-57.
(28) L’espressione citata è di Zabarella, ma ancor più famosa è l’af-
fermazione di Giovanni d’Andrea ‘‘ista vero nomina universitas, communi-
tas, collegium, corpus, societas, sunt quasi unum significantia’’, cfr. P. GIL-
LET, La personnalité juridique en droit ecclésiastique, Malines, W. Godenne,
1927, (‘‘Universitas Catholica Lovaniensis. Diss. Fac. Theol. Series II’’,
18), pp. 150 ss.
(29) cfr. P. MICHAUD-QUANTIN, Universitas, cit., p. 74: secondo l’A. il
significato poteva variare in base agli autori e al contesto, e i termini appa-
ANTONIA FIORI 43

È con questa nozione — universitas — che il diritto


canonico classico si venne a confrontare, in un’epoca
nella quale la categoria di persona giuridica, o morale,
non era ancora stata elaborata, se non nei limiti —
come vedremo — della celeberrima intuizione innocen-
ziana secondo cui una fictio iuris poteva far considerare
l’universitas come persona (30). Prima di allora, la canoni-
stica aveva percorso anche strade diametralmente oppo-
ste all’antropomorfizzazione dell’ente collettivo, come
quella di attribuire la proprietà di beni ecclesiastici a un
luogo materiale, quale l’edificio di un convento, sugge-
rita da Mosè di Ravenna (31).
L’immagine della persona ficta introdotta da Sini-
baldo de’ Fieschi (32) — poi arricchita dai giuristi orlea-

rivano intercambiabili ‘‘sans être vraiment synonymes’’. In generale, socie-


tas era il termine più usato se i partecipanti avevano uno scopo di lucro
(ivi, p. 70), corpus era un termine relativamente astratto che inizialmente
indicava le collettività che non conducevano vita comune, distinte dai col-
legia, i cui appartenenti la conducevano (ivi, pp. 63, 72).
(30) Per la vastissima bibliografia sul tema, si rimanda alla voce di I.
BIROCCHI, Persona giuridica nel diritto medioevale e moderno, in Digesto delle
discipline privatistiche, sez. civ., XIII, Torino, UTET, 1995, pp. 407-420.
(31) Cfr. E. CORTESE, Per la storia di una teoria dell’arcivescovo Mosè
di Ravenna (m. 1154) sulla proprietà ecclesiastica, in Proceedings of the
Fifth International Congress of Medieval Canon Law (Salamanca, 21-25 Sep-
tember 1976), a cura di S. Kuttner - K. Pennington, Città del Vaticano, Bi-
blioteca Apostolica Vaticana, 1980, (‘‘Monumenta Iuris Canonici. Series
C’’, 8) pp. 117-155, ora in ID., Scritti, a cura di I. Birocchi e U. Petronio,
Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1999, I, (‘‘Collecta-
nea’’, 10), pp. 579-617. Cfr. anche E. C ONTE, Intorno a Mosè. Appunti
sulla proprietà ecclesiastica prima e dopo l’età del diritto comune, in A En-
nio Cortese, Roma, Il Cigno Galileo Galilei, 2001, I, pp. 345-367 e ora
parzialmente rielaborato in ID., Diritto comune. Storia e storiografia di un
sistema dinamico, Bologna, Il Mulino, 2009, (‘‘Itinerari’’), pp. 157-188; J.
OTADUY, ‘‘La universitas rerum’’, cit., pp. 54 ss.
(32) Anche se, in realtà, l’espressione persona ficta sembra usata per
la prima volta da Bartolo, cfr. R. FEENSTRA, Histoire des Foundations — A
Propos de Quelques Etudes Recentes, in « Tijdschrift voor Rechtsgeschiede-
nis / Legal History Review » 24/4 (1956), p. 432.
44 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

nesi e trasformata in persona repraesentata (33) — ebbe


grande successo. Il suo grado di astrazione era tuttavia
molto relativo, e di fatto non risolveva i problemi pratici
connessi alla vita dell’universitas: che non poteva giurare,
non poteva delinquere, poteva agire attraverso un rappre-
sentante ma in alcuni casi non poteva stare in giudizio at-
traverso un procuratore, non poteva essere scomunicata.
Nel diritto canonico classico la Chiesa, concepita
come corpus mysticum (34), era formata da una pluralità
di universitates, piccole e grandi (35). Quelle tipiche e
maggiormente ricorrenti nei testi decretistici e decretali-
stici per i temi dei quali ci stiamo occupando erano so-
prattutto le ecclesiae episcopales e i monasteri. Le une e
gli altri avevano al loro interno un elemento collegiale,
il capitolo: al capitolo canonicale erano però ricono-
sciute prerogative assai più ampie di quello monastico,
istituzionalmente subordinato dalla regola benedettina
all’autorità dell’abate (36).
La questione della responsabilità civile e penale
delle universitates in diritto canonico si incontrava ne-
cessariamente con il principio secondo il quale delictum
personae in damnum ecclesiae non est convertendum: la

(33) Ibidem, pp. 423 ss.


(34) Cfr. B. TIERNEY, Foundations of the Conciliar Theory. The Contri-
bution of the Medieval Canonists from Gratian to the Great Schism, Cam-
bridge, Cambridge University Press, 1955 (repr. 1968), pp. 132-141 ha ben
spiegato come l’immagine della Chiesa ‘‘corpo mistico’’ fosse solo parzial-
mente avvicinata dai decretisti e decretalisti al concetto di universitas, se
non al di fuori di un ‘‘significato strettamente giuridico’’. La principale im-
plicazione giuridica connessa alla nozione di corpus — in questo caso — era
legata alla subordinazione di tutte le membra ad un unico caput. Cfr. anche
P. GILLET, La personnalité juridique, cit., pp. 41-44 sul fatto che la Chiesa
universale fosse considerata ‘‘une société d’un ordre à part’’.
(35) Parla di ‘‘società corporata’’ C. FANTAPPIÈ, Storia del diritto ca-
nonico e delle istituzioni della Chiesa, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 130.
(36) Cfr. P. MICHAUD-QUANTIN, Universitas, cit., p. 86.
ANTONIA FIORI 45

Chiesa non doveva ritenersi responsabile per le azioni


antigiuridiche dei suoi membri. Ma se il fatto illecito
era stato posto in essere dal vescovo, o deliberato con il
consenso del capitolo, poteva l’ecclesia risponderne di-
rettamente come universitas? E in che modo si formava
ed esprimeva la volontà del collegio? Gli assenti, i dis-
senzienti, erano anch’essi responsabili del fatto illecito
eventualmente imputabile all’universitas?
Erano una serie di problemi complessi, che però —
come abbiamo detto — coinvolsero la dottrina prima di
tutto sul piano dell’individuazione della responsabilità
criminale e solo di riflesso su quello della responsabilità
extracontrattuale, intesa come responsabilità civile ex
delicto.

3. IL PRINCIPIO DELICTUM PERSONAE IN DAMNUM ECCLESIAE


NON EST CONVERTENDUM

Il principio delictum personae in damnum ecclesiae


non est convertendum può leggersi nel Decretum di Gra-
ziano, in C.16 q.6 c.3 (c. Si episcopum), e per la sua ri-
levanza costituisce anche la settantaseiesima delle Regu-
lae iuris in calce al Liber Sextus (37). Ha una sua storia
importante, che vorrei brevemente richiamare.
La fonte del canone grazianeo è una notissima epi-
stola di Gregorio Magno: una delle quattro che il pon-
tefice scrisse nel 603 al suo legato, il defensor Giovanni,
in partenza per la Spagna (38). Si trattava di lettere di

(37) VI. De regulis iuris, 76: ‘‘Delictum personae non debet in detri-
mentum ecclesiae redundare’’.
(38) Gregorii I papae Registrum Epistolarum, ep. XIII.47-50, ed. P.
Ewald, MGH Ep. II, Berlin, 1899, 410-418. Sulle lettere cfr. A. GAUTHIER,
L’utilisation du droit romain dans la lettre de Grégoire le Grand à Jean le
Défenseur, in « Angelicum » 54/3 (1977), pp. 417-428; E. PITZ, Papstresk-
46 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

istruzioni, l’ultima delle quali è giustamente famosa per-


ché, tra i riferimenti normativi che Giovanni avrebbe
dovuto tener presenti nella sua missione, compariva
l’ultima citazione del Digesto di Giustiniano prima della
sua secolare scomparsa (come è noto, da allora si per-
deranno le tracce delle Pandette fino al celebre placito
di Marturi del 1076) (39).
Ma anche la decretale dalla quale è stato tratto il prin-
cipio del quale ci stiamo occupando ha un posto nella sto-
ria del diritto, perché in essa Gregorio Magno forniva un
vero e proprio compendio dei princı̀pi e delle regole che
reggevano l’ordo iudiciarius canonico (40). Il testo ha avuto
un’amplissima circolazione, ed è riprodotto quasi inte-
gralmente in C.2 q.1 c.7, mentre — come si è detto — l’e-
stratto dedicato al principio delictum personae in damnum
ecclesiae converti non potest è in C.16 q.6 c. 3.
Insomma, il contesto nel quale il principio ha trovato
espressione è un contesto non teorico né teologico, ma
strettamente tecnico-giuridico, ed appartiene — anche

ripte im frühen Mittelalter. Diplomatische und rechtsgeschichtliche Studien


zum Brief-Corpus Gregors des Großen, Sigmaringen, Thorbecke, 1990,
(‘‘Beiträge zur Geschichte und Quellen des Mittelalters’’, 14), pp. 184 s;
G. ARNALDI, Gregorio Magno e la giustizia, in La giustizia nell’alto Medio-
evo (secoli V-VIII), I, Spoleto, CISAM, 1995, pp. 76 ss.; A. GONZÁLEZ FER-
NÁNDEZ , Las cartas de Gregorio magno al defensor Juan. La aplicación del
derecho de Justiniano en la Hispania bizantina en el siglo VII, in « Antigüe-
dad y cristianismo » 14 (1997), pp. 287-298.
(39) Cfr. A. FIORI, La ‘Collectio Britannica’ e la riemersione del Dige-
sto, in « Rivista internazionale di diritto comune » 9 (1998), pp. 116 ss.
( 40) Gregorii I papae Registrum Epistolarum, ep. XIII.47, ed. cit.,
pp. 410-412. Sull’importanza di questa epistola nella delineazione dell’ordo
iudiciarius canonico, cfr. L. FOWLER-MAGERL, Ordo iudiciorum vel ordo iu-
diciarius. Begriff und Literaturgattung, Frankfurt a.M., Klostermann, 1984,
(‘‘Ius commune Sonderhefte’’, 19), p. 10 e A. FIORI, Il giuramento di inno-
cenza nel processo canonico medievale. Storia e disciplina della ‘purgatio ca-
nonica’, Frankfurt a.M., Klostermann, 2013, (‘‘Studien zur europäische
Rechtsgeschichte’’, 277), pp. 54 ss.
ANTONIA FIORI 47

storicamente — alla più alta tradizione del diritto cano-


nico.
Nel periodo immediatamente successivo al III Con-
cilio di Toledo, che aveva portato la conversione al cat-
tolicesimo dei Visigoti, nella provincia bizantina di Spa-
gna due vescovi, Ianuario di Malaga e un certo Stefano,
erano stati di fatto scacciati dal governatore bizantino
Comitiolus (41). I due vescovi deposti si erano appellati
al papa, che decise di intervenire inviando il defensor
Giovanni (42).
È a questo proposito, con riferimento al vescovo Ste-
fano, che Gregorio Magno, nel passo poi divenuto cele-
bre, chiese di verificare la regolarità del processo (l’ido-
neità di accusatori e testi, l’introduzione in forma scritta,
il rispetto dei diritti di difesa dell’accusato, etc.). Se la
procedura adottata non fosse stata regolare, la sentenza
avrebbe dovuto essere revocata, condannati a una dura
penitenza i giudici che l’avevano pronunciata, privato del
sacerdozio chi aveva temerariamente preso il posto del
vescovo, scomunicati quelli che avevano ordinato l’usur-
patore. In questo caso Comiziolo avrebbe dovuto tem-
pestivamente restituire tutto ciò che aveva sottratto al
vescovo Stefano e alla sua chiesa, e risarcirlo.

(41) Sull’identità — piuttosto discussa — di Comitiolus, cfr. P. GOU-


BERT, L’administration de l’Espagne byzantine: I. Les Gouverneurs de l’Espa-
gne byzantine, in « Revue des études byzantines » 3 (1945) pp. 121-142;
M. VALLEJO GIRVÉS, Bizancio ante la conversión de los Visigodos: Los obi-
spos Jenaro y Esteban, in El Concilio III de Toledo. XIV Centenario. 589-
1989, Toledo, 1991, pp. 477-483; D. MOROSSI, The Governors of Byzantine
Spain, in « Bizantinistica » 2 ser. 15 (2013), pp. 143 ss.
(42) Probabilmente con un certo ritardo, visto che nel frattempo il
governatore bizantino era morto; cfr. F. SALVADOR VENTURA, The Bishops
and the Byzantine Intervention in Hispania, in The Role of the Bishop in
Late Antiquity. Conflict and Compromise, a cura di A. Fear - J. Fernández
Ubiña - M. Marcos, London - New Dely - New York - Sydney 2013,
pp. 255 ss.
48 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

Ma anche se dall’attenta inquisitio del legato fosse


emersa la colpevolezza del vescovo Stefano, e la sua de-
posizione confermata, comunque Comiziolo o i suoi
eredi — essendo noto al papa il sopravvenuto decesso
del governatore — avrebbero dovuto restituire alla
chiesa tutti i beni sottratti, quia delictum personae in
damnum non est ecclesiae convertendum: ovvero perché
la colpevolezza del vescovo non legittimava che la
Chiesa soffrisse un danno (43).
La distinzione tra i soggetti — da un lato il vescovo
Stefano che deve essere punito, dall’altro il governatore
Comiziolo che deve restituire comunque i beni alla
chiesa — sembra chiara ai giuristi medievali, che nello
stesso Decretum avevano avuto la possibilità di leggere
l’epistola gregoriana (in C.2 q.1 c.7). Non cosı̀ a parte
della storiografia, che ha individuato nel vescovo con-
vinto (e nei suoi eventuali eredi) l’obbligato nei con-
fronti della Chiesa (44).
Ai giuristi medievali era anche sostanzialmente
chiaro che per damnum ecclesiae si dovesse intendere
un damnum in rebus, che si concretizzava in conse-
guenze di natura patrimoniale (45), mentre il delictum —
in una terminologia che è un po’ più confusa di quella
romana e che tende ad assimilare crimina e delicta (46)

( 43) Gregorii I papae Registrum Epistolarum, ep. XIII.47, ed. cit.,


p. 412.
(44) Da ultimo M. CARNÌ, La responsabilità civile della diocesi, cit.,
p. 147, che attribuisce l’obbligo di restituzione agli eredi del vescovo.
(45) Gl. episcopalibus ad C.25 q.2 c.25: ‘‘hic delictum civium, quod
consistit in faciendo, redundat in damnum ecclesiae, et sic est contra 16
q.6 Si episcopum (c. 3), ubi dicitur quod delictum praelati non redundat
in ecclesiae damnum. Sed potest dici quod hic ecclesia non damnificatur
in rebus, licet damnificetur in honore [...]’’.
(46) Die Summa Magistri Rolandi, nachmals Papstes Alexander III.,
ed. F. Thaner, Innsbruck, 1874, ad C.16 q.6 c.3, 55: ‘‘[...] ergo delicti no-
mine crimine intelligitur, non negligentia, veluti adulterium et homicidium
ANTONIA FIORI 49

— richiamava un livello di responsabilità che poteva es-


sere anche più intenso della semplice culpa, e dunque
configurava un atto di rilevanza penale oltre che civile.
Ambito, quest’ultimo, nel quale la colpa come elemento
soggettivo dell’illecito non escludeva (ma anzi nella sua
ampiezza abbracciava) il dolo (47).
Il tema della responsabilità penale delle universitates
sul versante del diritto canonico è stato estesamente
trattato dalla storiografia. Non possono non citarsi —
naturalmente dopo quello di Otto Gierke (48) — i nomi
di Ullmann (49), Zurowski (50) e soprattutto di Giovanni

et similia, pro quibus etiam auctore deposito in suis rebus nihil damni pa-
tietur ecclesia [...]’’; Rolando, l’autore della Stroma, non è più identificato
con papa Alessandro III, cfr. R. WEIGAND, Magister Rolandus und Papst
Alexander III, in « Archiv für katholisches Kirchenrecht » 149 (1980),
pp. 3-44, ora in I D ., Glossatoren des Dekrets Gratians, Goldbach, Keip,
1997, III, (‘‘Bibliotheca eruditorum’’, 18), pp. 73*-114*. RUFINUS VON BO-
LOGNA, Summa Decretorum, ed. H. Singer, Paderborn, 1902 (repr. Aalen
1963), 366, ad C.16 q.6, v. Quod autem ea, que ecclesie debentur: ‘‘cum ibi
delictum crimen proprie infamie vocetur’’. Su Rufino, A. FIORI, Vecchie e
nuove ipotesi sul magister Rufinus, in « Bulletin of Medieval Canon Law »
n.s. 36 (2019), pp. 243-274. Per quanto attiene alla terminologia, A. LEFEB-
VRE-TEILLARD, La responsabilité de l’enfant en droit canonique classique, in
Enfant et romanité, a cura di J. Bouineau, Paris, L’harmattan éd., 2007,
pp. 135-152, ora in EAD. Autour de l’enfant. Du droit canonique et romain
medieval au Code Civil de 1804, Leiden - Boston, Brill, 2008, (qui cit.),
(‘‘Medieval Law and Its Practice’’, 2), p. 133, nota 8, ha ricordato che il
senso generale che il termine delitto conserva nel Medioevo ingloba sia i
crimina, cioè i delicta publica del diritto romano, che i delicta privata.
( 47) Cfr. G.P. MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale, cit.,
p. 1127.
(48) O. VON GIERKE, Das Deutsche Genossenschaftsrecht, Bd. 3., Ber-
lin, 1881.
(49) W. ULLMANN, The Delictal Responsibility of Medieval Corpora-
tions, in « Law Quarterly Review » 64 (1946), pp. 79-96 ora in Id., Scho-
larship and Politics in the Middle Ages: Collected Studies, London, Vario-
rum Reprints, 1978, XII. (‘‘Collected Studies Series’’, 72)
(50) M. ZUROWSKI, Penal Responsability of Organized Communities in
the Writing of the Decretalists: A Study in Evolution, in Proceedings of the
Sixth International Congress of Medieval Canon Law (Berkeley, 28 July—2
50 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

Chiodi, che alla materia — esaminando in parallelo la


dottrina civilista e canonistica dell’età di mezzo — ha
dedicato uno studio fondamentale (51).
Come si è detto, sono assai meno noti i profili cano-
nistici della responsabilità civile, extracontrattuale, delle
universitates. I due aspetti sono però strettamente con-
nessi, perché gli stessi giuristi medievali hanno preva-
lentemente affrontato la questione dell’illecito civile
delle universitates in relazione al problema penale. La
configurabilità dell’accusa criminale degli enti collettivi,
infatti, era legata sia a un problema sostanziale (poteva
una universitas agire con dolo?), sia a un problema pro-
cessuale (poteva essere formalmente accusata?), sia ad
un problema sanzionatorio (come poteva avvenire la
punizione penale e spirituale di enti collettivi astratti
che non avevano un caput da punire né un’anima da
scomunicare?). Rispetto a questa complessità, l’azione
civile si mostrava un rimedio facilmente esperibile, poi-
ché chiamava a rispondere di una semplice culpa, non
presentava ostacoli processuali, e incideva solo sulla
sfera patrimoniale.
Per queste ragioni, come vedremo, i canonisti si de-
dicarono con grande attenzione alla questione della re-
sponsabilità criminale delle universitates e affrontarono
con un interesse secondario il tema della responsabilità
civile per fatto illecito delle stesse: considerando quella
dell’azione civile una strada sempre percorribile — tal-
volta preferibilmente percorribile — sulla quale però

August 1980), a cura di S. Kuttner - K. Pennington, Città del Vaticano,


Biblioteca Apostolica Vaticana, 1985, (‘‘Monumenta Iuris Canonici. Series
C’’, 7), pp. 519-531.
(51) G. CHIODI, ‘Delinquere ut universi’. Scienza giuridica e responsa-
bilità penale delle universitates tra XII e XIII secolo, in Studi di storia del
diritto III, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 91-199.
ANTONIA FIORI 51

credo considerassero sufficiente quanto elaborato dalla


contemporanea dottrina civilistica, proprio come avevano
fatto in tema di responsabilità delle persone fisiche.
In questa sede, per cercare di ricostruire con un mi-
nimo di chiarezza un tema in sé piuttosto intricato, mi
limiterò all’indicazione di significative linee di tendenza,
sacrificando in parte l’esame analitico delle ricchissime
posizioni di decretisti e decretalisti.

4. LA RESPONSABILITÀ PENALE E CIVILE DELLE UNIVERSITA-


TES NEL PENSIERO DEI DECRETISTI

4.1. Condotte omissive e delictum personae


La prima decretistica ha commentato il principio
delictum personae in damnum ecclesiae non est conver-
tendum senza entrare nella prospettiva della responsabi-
lità aquiliana, che era sostanzialmente estranea all’opera
grazianea e ai suoi primissimi esegeti. Peraltro, questi
ultimi parlavano genericamente di ecclesia sia per rap-
presentare istituzioni ecclesiastiche eterogenee (come il
capitolo cattedrale o il collegio dei priori, ed esempio),
sia in relazione al regime delle altre universitates (come
le civitates).
La questione fu inizialmente inquadrata in termini
di analogia con la tutela puerorum, e dunque alla luce
delle norme romane che proteggevano il pupillus — la
Chiesa — dagli atti pregiudizievoli del tutore. Già Ru-
fino aveva aspramente criticato i giuristi che cercavano
di tenere la Chiesa del tutto al riparo dalle conseguenze
degli atti illeciti dei suoi membri evocando le norme
sulla tutela (52). La similitudine tra universitas e pupillo

(52) Cfr. RUFINO, Summa ad C.16 q.6, ed. cit., 366. La similitudine
era in qualche modo suggerita ai canonisti da un dictum di Graziano
52 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

avrà però lunga vita e molta fortuna, tanto da essere an-


cora proposta nel trattato De iure universitatum di Nic-
colò Losa, andato alle stampe nel 1601 (53).
Il merito dei primi esegeti di Graziano è principal-
mente quello di aver creato una griglia logica di distin-
zioni, che offriva gli strumenti per valutare l’eventuale
responsabilità della Chiesa per il fatto illecito di un suo
membro.
La griglia prendeva avvio dalla distinzione tra atti
omissivi e commissivi, e poi (nel caso di questi ultimi)
tra atti attribuibili ad uno o a più soggetti (delictum per-
sonae e delictum personarum). Una volta inquadrati giu-
ridicamente condotta e fatto illecito, se ne potevano va-
lutare le conseguenze in termini di responsabilità crimi-
nale, civile e spirituale.
Il criterio prevalente era dunque quello della diffe-
renza tra delictum in omittendo e delictum in fa-
ciendo (54).

(C.16 q.6 d.p.c.7): ‘‘si ergo delictum personae in damnum ecclesiae con-
verti non potest, quin procurator condicionem ecclesiae potest facere me-
liorem, non deteriorem’’. Cfr. P. G ILLET, La personnalité juridique, cit.,
pp. 92 ss. e 120 s., in particolare sul fatto che l’assimilazione al pupillo le-
gittimava la restitutio in integrum alla Chiesa.
(53) Cfr. I. BIROCCHI, Persona giuridica, cit. pp. 414 s.
(54) Giovanni di Faenza è uno dei pochi decretisti a distinguere tra
delicta privatorum e crimina: i primi si traducono in un damnum ecclesiae
per la sua negligentia; in caso di crimini veri e propri invece (omicidio,
adulterio etc.) solo l’autore ne soffrirà le conseguenze. Summa ad C.16 q.6
c.3 (ms. Bibl. Casanatense 1105, fol. 127rb): ‘‘hoc decretum pars est illius
cap. quod est infra C.2 q.1 Inprimis (c. 7), quia delictum personae non est
intelligendum de omni delicto. Sunt enim quaedam delicta privatorum
quae in dampnum ecclesiae convertitur, ut eius negligentia [...]. Delicti
ergo nomine hic intellige crimen, veluti adulterium, homicidium et similia,
pro quibus auctore dampnato etiam deposito, in suis rebus nichil dampni
paciatur ecclesia [...]’’. Su Giovanni di Faenza, vid. N. HÖHL, Wer war Jo-
hannes Faventinus? Neue Erkenntnisse zu Leben und Werk eines der be-
deutendsten Dekretisten des 12. Jahrhunderts, in Proceedings of the Eighth
ANTONIA FIORI 53

Quando la condotta che aveva causato l’illecito era


stata omissiva, la Chiesa era sempre ritenuta (civil-
mente) responsabile. C’era una generale identificazione
tra omissione e negligenza (55), e l’omissione si identifi-
cava con la mancata osservanza dei propri obblighi, con
il non facere quod debetur. La Chiesa era responsabile
perché l’omissione aveva investito il mancato esercizio
dei doveri istituzionali del chierico: e dunque essa ne ri-
spondeva, in linea generale, per aver attribuito determi-
nate funzioni a un determinato soggetto (in effetti come
culpa in eligendo). Ancor più veniva avvertita questa re-
sponsabilità perché, dopo la riforma gregoriana, l’omis-

International Congress of Medieval Canon Law (San Diego 1988), a cura di


S. Chodorow, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1992,
(‘‘Monumenta Iuris Canonici. Series C’’, 9), pp. 189-203.
(55) TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, IIa-ae q. 54 art. 2: ‘‘ad
negligentiam videtur pertinere omne peccatum omissionis’’.
Rolando nella Stroma (ad C.16 q.6 c.3, ed. cit., 55) distingue il delic-
tum che si identifica con la negligentia, che si ripercuote sulla chiesa, dal
delictum che si identifica con il crimen: in questo secondo caso il solo re-
sponsabile è il chierico, che viene deposto. È il primo a fare questa distin-
zione (seguito da Giovanni di Faenza, cfr. nota precedente), ma i decretisti
successivi in genere preferiranno parlare di condotta omissiva più che di
negligentia: i due concetti, pur non esattamente sovrapponibili, erano con-
siderati analoghi. Questa linea è seguita da Simone da Bisignano (ad C.16
q.6 pr. e ad C.25 q.2 c.25, Summa in Decretum Simonis Bisinianensis, ed.
P.V. AIMONE BRADA, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
2014, (‘‘Monumenta Iuris Canonici. Series A’’, 8), pp. 319 s. e 397), dalla
Summa Parisiensis (ad C.16 q.6 pr., The Summa Parisiensis on the Decre-
tum Gratiani, ed. T.P. MCLAUGHLIN, Toronto, 1952, p. 186), da Onorio
del Kent (ad C.16 q.6 c.2, v. delictum, Magistri Honorii Summa De iure ca-
nonico tractaturus, II, ed. P. LANDAU-W. KOZUR, Città del Vaticano, Biblio-
teca Apostolica Vaticana, 2010, (‘‘Monumenta Iuris Canonici. Series A’’,
5), p. 281). UGUCCIO DA PISA, Summa Decretorum ad C.16 q.6 c.3, v. quia
debitum (Ms. Vaticano BAV Vat. lat. 2280, fol. 222ra): ‘‘delictum vero
persone que consistit in omittendo et negligendo [...] delictum persone
quod consistit in faciendo’’ (la glossa è edita da G. CHIODI, ‘Delinquere ut
universi’, cit., p. 140, nota 92).
54 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

sione dei doveri vescovili di correzione era considerata


di particolare gravità (56).
Quando invece l’atto era commissivo (e di un solo
chierico) allora valeva il principio ‘‘non debet redun-
dare in damnum ecclesiae’’: solo l’autore ne avrebbe ri-
sposto, nei beni o nella persona. Per damnum — come
si è detto — non si doveva intendere nessun tipo di
pregiudizio morale, spirituale o ‘‘nell’onore’’, come
qualche giurista si premurava di sottolineare: il damnum
ecclesiae era inteso, strettamente, in senso patrimoniale.
Nei delicta in faciendo la dottrina decretistica acco-
munava delitti pubblici e privati del diritto romano
(‘‘furtum rapina suasio homicidium adulterium et consi-
milia’’, enumerava Uguccio) (57), tutti caratterizzati da
una responsabilità solo personale dell’ecclesiastico che li
avesse posti in essere, e che avrebbe poi dovuto subirne
le conseguenze sia sul piano penale (ordinariamente con
la deposizione, Rufino parla di una multa) (58), sia civile
(in rebus suis). Nei confronti del chierico incapiente
operava una sorta di responsabilità in solido, che ri-
corda la solidarietà derivante dall’actio legis Aquiliae,

( 56) Di.83 c.2: ‘‘episcopus itaque qui talium crimina non corrigit,
magis discendus est canis impudicus quam episcopus’’; di.86 c.3; ‘‘Facien-
dis proculdubio culpam habet, qui quod potest corrigere negligit emen-
dare’’. Cfr. N. KERMABON, La contribution de la doctrine canonique médié-
vale à la notion de complicité par omission (xiie — xve siècle), in « Revue
d’histoire des Facultés de droit, de la culture juridique, du monde des ju-
ristes et du livre juridique » 34 (2014), p. 135.
(57) UGUCCIO DA PISA, Summa decretorum ad v. quia delictum, C.16
q.6 c.3, ms. Vaticano BAV 2280, fol. 224ra (ed. Chiodi, ‘‘Delinquere ut
universi’’, cit., 140 nt. 92). Su Uguccio W.P. MÜLLER, Huguccio: The Life,
Works, and Thought of a Twelfth-Century Jurist, Washington D.C., The
Catholic University of America Press, 1994 e A. FIORI, Uguccio da Pisa, in
Dizionario biografico dei giuristi italiani, a cura di I. Birocchi - E. Cortese -
A. Mattone - M.N. Miletti, Bologna, Il Mulino, 2013, II, pp. 1997-1999.
(58) RUFINO, Summa ad C.16 q.6, ed. cit., 366.
ANTONIA FIORI 55

ma che veniva presentata quasi come un atto di libera-


lità della Chiesa ed era oggetto di dibattito: secondo al-
cuni (Rufino) la Chiesa avrebbe dovuto intervenire; se-
condo altri, l’incapiente doveva essere condannato a
una pena straordinaria.

4.2. I delicta personarum e il consenso delle univer-


sitates
A fronte della quasi unanime valutazione della re-
sponsabilità dell’universitas per i fatti illeciti derivati da
condotte omissive (delictum in omittendo) e della irre-
sponsabilità per la condotta commissiva di uno solo (de-
lictum personae), più complesso era il caso dei delicta
personarum. Questi ultimi potevano essere attribuiti alle
universitates in forza del loro consenso.
Il consenso delle universitates determinava il passag-
gio da una eventuale responsabilità per fatto altrui ad
una responsabilità per fatto proprio. Occorreva in que-
sto caso soppesare la possibilità che esse potessero agire
con dolo, e definire i contorni della loro accusabilità e
punibilità.
Quanto al primo aspetto (il dolo delle universitates)
civilisti e canonisti erano fortemente condizionati da un
passo di Ulpiano, secondo il quale le universitates non
potevano agire con dolo (‘‘quid enim municipes dolo
facere possunt?’’, D. 4.3.15.1), ma potevano rispondere
per il dolo degli amministratori (59).

(59) D. 4.3.15.1: ‘‘sed an in municipes de dolo detur actio, dubita-


tur. Et puto ex suo quidem dolo non posse dari: quid enim municipes
dolo facere possunt? Sed si quid ad eos pervenit ex dolo eorum, qui res
eorum administrant, puto dandam’’. Sul passo P. CLARKE, The Interdict in
the Thirteenth Century: A question of collective guilt, Oxford - New York,
Oxford University Press, 2007, p. 21.
56 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

Come ha compiutamente illustrato Giovanni


Chiodi, nelle scuole civilistiche il dibattito sul consenso
delle universitates aveva visto prevalere la posizione di
Giovanni Bassiano (60), secondo la quale esse dovevano
rispondere degli atti dolosi che avevano approvato (pre-
ventivamente), oppure ratificato (ex post), sulla base del
principio maggioritario. Il consenso doveva però essere
espresso solennemente, nel rispetto delle forme richie-
ste: con una regolare convocazione del consiglio e con
delibera presa a maggioranza.
Anche i canonisti si preoccuparono del consenso,
ma — almeno per un certo tempo — senza addentrarsi
nel problema della formazione dello stesso. Rufino, ad
esempio, aveva messo in luce come, intervenendo il
consenso, la Chiesa dovesse ritenersi responsabile del-
l’atto. Nel caso del rettore che avesse invaso delle terre
ritenendole della propria chiesa, egli sarebbe stato con-
siderato l’unico responsabile se avesse agito sua tantum
auctoritate, diversamente, se avesse agito cum consensu
fratrum la responsabilità avrebbe dovuto essere attri-
buita alla Chiesa (61). Sulle modalità dell’approvazione
della condotta delittuosa, però, i decretisti inizialmente
non si pronunciarono, forse disorientati dal fatto che i
legisti prevedessero la responsabilità collegiale della
Chiesa solo per una delibera presa in forma una-
nime (62), o forse perché ritenevano tacitamente applica-
bile il principio maggioritario secondo i criteri canoni-
stici (63).

(60) Sulla fortuna dell’opinione di Bassiano, G. CHIODI, ‘Delinquere


ut universi’, cit., p. 124.
(61) RUFINO, Summa ad C.16 q.6, ed. cit., 366.
(62) G. CHIODI, ‘‘Delinquere ut universi’’, cit., p. 131.
(63) Sul tema, e in particolare sui concetti di unanimitas, maior pars
e sanior pars, oltre agli ormai classici A. ESMEIN, L’unanimité et la majorité
ANTONIA FIORI 57

Persino un giurista attento come Uguccio da Pisa


ammetteva l’ipotesi che una universitas potesse essere
punita, senza però specificare né le forme del consenso
né quelle della pena. E in effetti neanche affermava che
una Chiesa come universitas potesse essere oggetto di
accusatio: a suo avviso l’accusa doveva essere rivolta
verso il prelato che avesse agito communi consensu cleri-
corum, e allora sarebbe ‘‘sembrato’’ che attraverso di lui
venisse accusata la chiesa (‘‘videretur accusare eccle-
siam’’) (64).

dans les élections canoniques, in Mélanges Fitting. LXXVe anniversaire de


M. le Professeur Hermann Fitting, Montpellier, Société anonyme de l’im-
primerie générale du Midi, 1907 (rist. Frankfurt a. M., 1969), I, pp. 357-
382; E. RUFFINI, Il principio maggioritario nella storia del diritto canonico
(1925), ora in ID ., La ragione dei più. Ricerche sulla storia del principio
maggioritario, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 23-82; J. GAUDEMET, Unani-
mité et majorité (observations sur quelques études récents), in Études histori-
ques à la mémoire de Noël Didier, Paris, Montchrestien, 1960, pp. 149-162
ora in ID., La société ecclésiastique dans l’Occident médiéval, London, Va-
riorum Reprints, 1980, II (‘‘Collected Studies Series’’, 116); e P. GROSSI,
‘Unanimitas’. Alle origini del concetto di persona giuridica nel diritto cano-
nico, in « Annali di storia del diritto » 2 (1958), pp. 229-331, ora in ID.,
Scritti canonistici, a cura di C. Fantappiè, Milano, Giuffrè, 2013, (‘‘Per la
storia del pensiero giuridico moderno’’, 100), pp. 7-113; si segnalano P.V.
AIMONE BRAIDA, Il principio maggioritario nel pensiero di glossatori e decre-
tisti, in « Apollinaris » 68 (1985), pp. 209-285; A. GLOMB, ‘Sententia pluri-
morum’, Das Mehrheitsprinzip in den Quellen des kanonischen Rechts und
im Schriftum der klassischen Kanonistik, Köln-Weimar-Wien, Böhlau,
2008; A. PADOA-SCHIOPPA, Note sul principio maggioritario nel diritto cano-
nico classico, in Der Einfluss der Kanonistik auf die europäische Rechtskul-
tur, 2, Öffentliches Recht, a cura di O. Condorelli - F. Roumy - M.
Schmoeckel, Köln-Weimar-Wien, Böhlau, 2011, (‘‘Norm und Struktur’’,
37/2), pp. 27-38; O. CONDORELLI, ‘Quod omnes tangit, debet ab omnibus
approbari’. Note sull’origine e sull’utilizzazione del principio tra medioevo e
prima età moderna, in « Ius canonicum » 53 (2013), pp. 101-127.
(64) UGUCCIO DA PISA, Summa ad C.12 q.2 c.58, ed. G. CHIODI, ‘De-
linquere ut universi’, cit., pp. 139 s., nota 90.
58 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

4.3. La chiamata in giudizio delle universitates: accu-


satio, inquisitio, actio
È su questo aspetto che vorrei soffermarmi.
Tecnicamente, ai decretisti del secolo XII non era
possibile configurare una responsabilità criminale delle
universitates che si traducesse concretamente in una
chiamata in giudizio. Prima che Innocenzo III, al vol-
gere del secolo e nei primi anni del successivo, introdu-
cesse il rito inquisitorio come procedura straordinaria,
l’unica forma di giudizio penale era il processo ordina-
rio, quello accusatorio (65).
A tale processo ordinario si applicava una regola
del diritto romano, formalizzata anche nel Decretum di
Graziano (C.5 q.3 c.2) (66), secondo la quale in materia
criminale tanto l’accusatore quanto l’accusato dovevano
stare in giudizio personalmente, e non rappresentati da
procuratori (in crimine non intervenit procurator) (67). La
regola, cui la prima canonistica si era attenuta ‘‘piutto-
sto rigidamente’’, a differenza della dottrina civili-
stica (68), rendeva del tutto teorica l’imputabilità — e di

( 65) Sull’introduzione del modello inquisitorio, tra gli altri, J.-M.


CARBASSE, Histoire du droit pénal et de la justice criminelle, 3 ed., Paris,
Puf, 2014, n. 93, pp. 188 ss. e A. FIORI, ‘Quasi denunciante fama’: note sul-
l’introduzione del processo tra rito accusatorio e inquisitorio, in Der Einfluss
der Kanonistik auf die europäische Rechtskultur, 3: Strafrecht und Strafpro-
zeß, a cura di O. Condorelli - F. Roumy - M. Schmoeckel, Köln - Weimar
- Wien, Böhlau, 2012, (‘‘Norm und Struktur’’, 37/3), pp. 351-367.
(66) C.5 q.3 c.2: ‘‘In criminalibus causis nec accusator, nisi per se,
aliquem accusare potest, nec accusatus per aliam personam se defendere
permittitur’’. Le eccezioni a questo principio possono leggersi nelle glosse
ad C.2 q.6 c.40.
(67) Cfr. B. PASCIUTA, Per una storia della rappresentanza processuale.
L’azione ‘alieno nomine’ nella dottrina civilistica e canonistica fra XII e XIII
secolo, in « Quaderni Fiorentini » 37 (2008), pp. 171 ss.
(68) Cfr. Ibidem, p. 172.
ANTONIA FIORI 59

conseguenza la punibilità — delle universitates, fisica-


mente impossibilitate ad essere parte processuale se non
attraverso un rappresentante (sindaco, procuratore o at-
tore) (69).
Al problema della riconducibilità del dolo ad una
universitas si aggiungeva dunque un secondo ostacolo
di natura processualistica, insuperabile fino agli inizi del
Duecento. Propter iuris impossibilitatem, come diranno i
decretisti (70), l’unico modo sicuro, incensurabile, per far
rispondere la Chiesa — o un’altra universitas — per i
delitti ad essa imputabili era abbandonare la via della
persecuzione criminale ed agire de crimine civilmente.
Per i fatti illeciti la Chiesa era civilmente responsabile
senza nessuna limitazione tecnica.
La parola accusandi, nel c. Episcopus qui mancipium
del Decretum (C.12 q.2 c.58) si prestava a questa inter-
pretazione: ‘‘accusare, id est agere’’, ripetevano frequen-
temente i canonisti: e alcuni di essi attraverso le loro al-
legazioni non lasciavano dubbi sul fatto che l’agere fosse
l’agere in civili quaestione (71), ovviamente ex delicto.
Ma anche quando l’introduzione del rito inquisito-
rio ha permesso una soluzione al problema sul piano

( 69) Cfr. P. GILLET, La personnalité juridique, cit., p. 77; B. PA-


SCIUTA, Per una storia della rappresentanza processuale, cit., pp. 174 ss.
(70) Cfr. infra, nota 74.
( 71) B ERNARDO DA PAVIA ad 1 Comp. 1.10.4, v. accusandi (ed. G.
CHIODI, ‘Delinquere ut universi’, cit., p. 144, nota 99): ‘‘[...] quod cum re-
verenciam debeant universitati, eam accusare non debent vel, quod magis
placet, largo modo et ipse poterit accusare, id est agere, ut illud ‘qui accu-
sare volunt, probaciones habere debent’: accusare id est agere, ut C. de
edendo Qui accusare (C. 2.1.4)’’. Il riferimento alla legge del Codice non
lascia dubbi interpretativi, dal momento che anche la glossa ordinaria di
quella legge, alla parola accusare (gl. qui accusare ad C. 2.1.4) specificherà
‘‘id est agere, in civili questione subaudi’’. Su Bernardo da Pavia, vid. A.
FIORI, Bernardo da Pavia, in Dizionario biografico dei giuristi italiani, cit., I,
pp. 231 s.
60 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

criminale, la percorribilità della via civilistica, come ve-


dremo, non è mai stata messa in discussione.
Dopo la riforma processuale di Innocenzo III, le po-
sizioni sulla responsabilità penale sono divenute più va-
riegate. Alano Anglico fu forse il primo (72) ad offrire una
soluzione alternativa all’accusatio, affermando che contro
le universitates non era possibile l’accusa ordinaria ma
era esperibile una procedura extra ordinem, ovvero l’in-
quisitio. E non era una ipotesi teorica, ma anzi era, a suo
avviso, ciò che di fatto già accadeva (‘‘et ita fit sepe de
facto’’) (73). La Glossa Palatina, sulla stessa linea, fu an-
cora più chiara: una universitas non poteva essere accu-
sata propter iuris impossibilitatem, perché nella causa cri-
minale non era consentito difendersi per actorem.
Quindi, si poteva procedere civilmente tramite un’actio,
oppure penalmente per inquisitionem. Altrimenti, l’unica
possibilità restava quella — già prospettata da Uguccio
— di accusare il vescovo o l’amministratore per i delitti
commessi consilio universitatis: ma in questo caso ad es-
sere punito sarebbe stato il soggetto accusato, e l’univer-
sitas non sarebbe stata colpita nei suoi beni (74).

(72) Nella seconda redazione del suo apparato decretistico Ius natu-
rale (terminato dopo il 1205, la prima redazione era stata completata in-
torno al 1192) e nelle glosse alla Compilatio I (scritte tra il 1201 e il 1210),
cfr. G. CHIODI, ‘Delinquere ut universi’, cit., pp. 142 s. Per le datazioni
A.M. STICKLER, Alanus Anglicus als Verteidiger des monarchischen Papsttums,
in « Salesianum » 21 (1959), pp. 346-406 e K. PENNINGTON, The Decretalists
1190 to 1234, in The History of Medieval Canon Law in the Classical Period,
1140-1234. From Gratian to the Decretals of Pope Gregory IX, a cura di W.
Hartmann - K. Pennington, Washington D.C., The Catholic University of
America Press, 2008, (‘‘History of Medieval Canon Law’’), pp. 219 s.
(73) G. CHIODI, ‘Delinquere ut universi’, cit., pp. 141 ss.
(74) Glossa Palatina, ad C. 12 q. 2 c. 58, v. accusandi (ms. Vaticano,
BAV Reg. lat. 977, fol. 145va): ‘‘[...] Sed numquid ecclesia vel universitas
potest accusari, cum et quandoque violentiam inferat, ff. quod metus causa
Metum § Animadvertendum (Dig. 4.2.9.1)? Non, propter iuris impossibili-
tatem et quia in crimine non posset se defendere per actorem. Utatur ergo
ANTONIA FIORI 61

Per i decretisti queste ipotesi restarono tutte costan-


temente sul tavolo, e si svilupparono insieme all’idea
che i maiores delle universitas dovessero sempre essere
puniti più gravemente, per il fatto stesso di aver dato il
cattivo esempio.

4.4. Le posizioni di Giovanni Teutonico e Tancredi


Nei primi decenni del Duecento le teorie sulla re-
sponsabilità criminale delle universitates si polarizzarono
su due posizioni.
Da un lato, Giovanni Teutonico (75) negava tenace-
mente qualsiasi possibilità di imputare un crimine ad
una universitas: la quale non poteva commettere dolo,

verbis ‘accusandi’ inproprie pro verbo ‘agendi’, vel intellige cum episcopus
vel actor ecclesie accusatur de aliquo crimine quod commisit consilio uni-
versitatis, puta rapina vel aliquo alio, ar. xvi. q. vi. Placuit (C.16 q.6 c. 2).
Vel intellige cum per inquisitionem proceditur contra universitatem, extra
de symonia Veniens (2 Comp. 5.2.1)’’. Sulle posizioni in materia di respon-
sabilità criminale delle universitates, e la consonanza con la Glossa Palatina,
G. CHIODI, ‘Delinquere ut universi’, cit., pp. 147-149 (in particolare nota
104) e P. CLARKE, The Interdict in the Thirteenth Century, cit., pp. 22 s.
Sulla riconducibilità della Glossa Palatina, terminata entro il 1214, al-
l’insegnamento di Lorenzo Ispano, A.M. STICKLER, Il decretista Laurentius
Hispanus, in « Studia Gratiana » 9 (1966), pp. 461-549 e R. WEIGAND,
Glossen zum Dekret Gratians. Studien zu den frühen Glossen und Glossen-
kompositionen, II, in « Studia Gratiana » 26 (1991), pp. 652 ss. Sui rap-
porti tra l’apparato Ius naturale di Alano Anglico e le glosse di Lorenzo
Ispano A.M. STICKLER, La genesi degli apparati di glosse dei decretisti pre-
supposto fondamentale della critica del loro testo, in La critica del testo. Atti
del II Congresso Internazionale della Società Italiana di Storia del Diritto
(Venezia 18-22 settembre 1967), Firenze, Olshki, 1971, p. 774.
(75) Sull’apparato di Giovanni Teutonico e la revisione successiva di
Bartolomeo da Brescia (tra il 1238 e il 1245), R. WEIGAND, The Develop-
ment of the Glossa ordinaria to Gratian’s Decretum, in The History of Me-
dieval Canon Law, a cura di W. Hartmann - K. Pennington, cit., pp. 82 ss.
Sulle opinioni in materia di responsabilità criminale delle universitates e la
consonanza con la Glossa Palatina, G. CHIODI, ‘Delinquere ut universi’, cit.,
pp. 150 ss. e P. CLARKE, The Interdict in the Thirteenth Century, cit., p. 23.
62 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

non possedeva, aveva necessità di un procurator in cri-


mine, non poteva essere scomunicata, e dunque non po-
teva essere accusata né inquisita (76). Escludendo la pos-
sibilità che una universitas potesse agire con dolo, il
Teutonico considerava punibili solo i maiores che aves-
sero compiuto l’illecito con il consenso del collegio, ma
lasciava aperte le strade dell’azione civile e, in via resi-
duale, dell’inquisitio contro le universitates.
Giovanni, dunque, tra i decretisti si presentava
come il forte sostenitore della tesi che l’azione civile ex
delicto fosse lo strumento più adeguato per far rispon-
dere le universitates degli atti illeciti dei propri membri,
in alternativa alla persecuzione criminale. Non fu però
il solo: come abbiamo detto, i fautori dell’azione civile,
che preferivano leggere agere e actio al posto di accu-
sare ed accusatio, furono numerosi: Bernardo di Pa-
via (77), Bernardo Compostellano Antiquus (78), l’autore

(76) GIOVANNI TEUTONICO, gl. accusandi ad C.12 q.2 c.58: ‘‘Ergo vi-
detur quod alter posset accusare ecclesiam, ut si accusatur qui symoniace
elegit aliquem, ut extra ii de symonia Veniens (2 Comp. 5.2.1), vel quod
metum intulit alicui, ut ff. quod metus causa Metum § fi. (D. 4.2.9.8), sed
contra universitas non potest dolum committere, ut ff. de dolo si ex dolo
(D. 4.3.15), nec dicitur aliquid possidere, ff. de acquirenda possessione l. i
§ ult. (D. 41.2.1.22), nec civitas potest excommunicari, ut xxiiii q.iii Si ha-
bes (C.24 q.3 c.1). Preterea universitas per actorem vel procuratorem
suum debet se defendere, sed in crimine non intervenit procurator, ergo
universitas non potest de crimine conveniri: quod verum est. Dicas ergo:
hic poni verbum ‘accusandi’ pro verbo ‘agendi’ (ms. aggredi). Vel intellige
cum episcopus accusatur de crimine quod commisit de consilio universita-
tis, ut xvi q.vi c. Placuit (C.16 q.6 c.2). Item in modum inquisitionis potest
agi contra universitatem, prout loquitur extra ii de simonia Veniens (2
Comp. 5.2.1). La glossa è qui trascritta dal ms. Vaticano BAV Vat. lat.
1367, fol. 142rb (ma può leggersi anche nell’ed. G. CHIODI, ‘Delinquere ut
universi’, cit., pp. 150 s., nota 110).
(77) Vid. Supra, nota 71.
(78) BERNARDO COMPOSTELLANO ANTIQUUS, ad C. 12 q. 2 c. 58, ‘‘Sed
numquid ecclesia potest accusari? Resp. quod hic accusatio pro accione
ponitur [...]’’, ed. G. CHIODI, ‘Delinquere ut universi’, cit., p. 145, nota
ANTONIA FIORI 63

della Glossa Palatina (79) e, tra i decretalisti, Vincenzo


Ispano (80) e Sinibaldo de’ Fieschi.
Inutile dire che, in quanto autore della glossa ordi-
naria al Decretum di Graziano, Giovanni Teutonico po-
teva vantare una particolare influenza dottrinale. Tutta-
via, la sua opinione su questo tema non diventò mai
maggioritaria, sia perché ridimensionata (addirittura ri-
baltata) nella successiva revisione di Bartolomeo da Bre-
scia (81), sia perché l’apparato ordinario al Liber Extra,

100. L’apparato al Decretum è stato composto intorno al 1205; sull’autore,


S. KUTTNER, Bernardus Compostellanus Antiquus. A Study in the Glossators
of the Canon Law, in « Traditio » 1 (1943), pp. 277-340, ora in ID., Gra-
tian and the Schools of Law, 1140-1234, London, Variorum Reprints,
1983, VI, (‘‘Collected Studies Series’’, 185), con ‘‘Retractationes’’.
(79) Vid. Supra, nota 74.
(80) VINCENZO ISPANO, ad X. 1.18.3, v. accusandi (ms. Paris, BNF lat.
3967, fol. 38va): ‘‘ar. collegium accusari potest, quia plures accusari pos-
sunt ii. q. i. (rectius q. v) Statuit (C.2 q.5 c.25) et ff. ad legem Iuliam de
adulteriis. Qui pupillam (D. 48.5.7). Dicebat dominus az., quod collegium
accusari potest etiam si committat furtum vel rapinam, quia in accusatione
quilibet debet respondere pro se, et ideo quot sunt clerici, tot sunt cause.
Sed in civili potest agi contra ecclesiam, quia possunt defendi per alium,
infra de sindico Sicut (X 1.39.1). Sed contra ff. quod metus causa Metum
§ Animadvertendum (D. 4.2.9.1), nec tenetur collegium illo edicto. Sed il-
lud in civili et in hoc loco fallit regula. Ubi dampnum vel delictum fit ex
re familiari potest agi civiliter et criminaliter, C. de lege Aquilia Ancille
(C. 3.35.3). Potest enim agi contra collegium. Potest agi et per denuncia-
tionem et inquisitionem, infra de sententia et re iudicata Cum I. et A. (3
Comp. 2.18.22). Vinc.’’. La glossa può leggersi anche in G. CHIODI, ‘Delin-
quere ut universi’, cit., p. 160, nota 124.
(81) Basti leggere l’aggiunta alla glossa di Giovanni Teutonico ripro-
dotta supra, nota 76, nella quale Bartolomeo da Brescia sostiene che le uni-
versitates possono sia commettere dolo che essere accusate: ‘‘Ego credo
quod universitas ubi non sint infantes et similes persone accusari potest,
quia dolum committere potest, nec obstat lex illa ff. de dolo Si ex dolo
(D. 4.3.15), quia quod ibi dicitur ‘non potest committere dolum’ suple ‘de
facili’, et vides quod sepe capitulum accusatur et excommunicatur et con-
silium civitatis. B.’’. L’aggiunta è qui trascritta dal ms. Vaticano BAV Vat.
lat. 1367, fol. 142rb, ma può leggersi anche nelle edizioni a stampa del-
l’apparato ordinario al Decretum (gl. accusandi ad C.12 q.2 c.58).
64 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

di Bernardo da Parma, sarà fortemente influenzato dalla


dottrina più moderata di Tancredi.
La tesi di Tancredi, espressa nell’esegesi (ordinaria)
alla Compilatio III, rappresentava infatti l’alternativa alla
rigidissima posizione del Teutonico e, forse per questo,
godette di grande fortuna. Se Giovanni escludeva che
l’universitas potesse essere accusata e punita, Tancredi
— che riproponeva nella propria la glossa del Teuto-
nico — esprimeva favore per l’ipotesi che essa fosse in-
quisita e punita canonice, sottolineando il fatto che i
maiores sarebbero comunque stati sanzionati più dura-
mente (82).

‘‘De facili’’, l’espressione che Bernardo vorrebbe aggiungere a D.


4.3.15 per significare che il dolo delle universitates non è facile ma comun-
que possibile, è un richiamo civilistico (gl. facere possunt ad loc. cit.: ‘‘q. d.
nil facile, quia nec consentire facile possunt [...] sed tamen possunt com
difficultate [...]’’). Cfr. P. CLARKE, The Interdict in the Thirteenth Century,
cit., p. 22; P. GILLET, La personnalité juridique, cit., p. 98.
(82) TANCREDI, gl. officialibus ad 3 Comp. 5.2.2 (ms. Vaticano BAV
2509, fol. 255va): ‘‘[...] Sed numquid collegium poterit accusari vel etiam
inquiri de crimine ipsius?’’ Videtur quod sic, xii q. ii Qui manumittatur
(C.12 q.2 d. p. c.58), supra eo. Veniens l. ii (2 Comp. 5.2.1): nam universi-
tas convenitur ratione metus, ff. quod metus causa Metum § i (D. 4.2.9.1).
Ecclesia enim potest delinquere, ut vii q.i Sicut (C.7 q.1 c. 11). Sed contra,
universitas non debet excommunicari, arg. xxiiii q. ii Si habes (C. 24 q.3
c. 1) nec dolum potest committere, ff. de dolo malo Sed ex dolo (D.
4.3.15), nec universitas dicitur aliquid possidere, ut ff. de adquirenda pos-
sessione l. i § ult. (D. 41.2.1.22). Item universitas per actorem vel sindi-
cum debet se defendere, sed in crimine non intervenit procurator, ut v
q.iii In criminalibus (C.5 q.3 c.2). Ad hoc dicit Io. quod universitas non
potest accusari vel puniri, sed maiores de universitate sunt puniendi. Ego
dico quod licet universitas non possit accusari, potest tamen inquisitio de
excessionibus universitatis vel collegii fieri et canonice puniri: sed maiores
gravius sunt puniendi, ut s. e. t. Veniens l. ii (2 Comp. 5.2.1) et xliiii di.
Comessationes (Di. 44 c. 1) ff. de condicionibus et demonstrationibus
(Nuncupamus?) Municipibus (D. 35.1.97) et xxv q.ii Ita nos Silanorum
(C.25 q.2 c.25). T.’’ Sulla posizione di Tancredi, vid. G. CHIODI, ‘Delin-
quere ut universi’, cit., pp. 157 s.
ANTONIA FIORI 65

Ammessa la responsabilità civile, limitata quella cri-


minale, i decretisti si soffermarono anche sull’esclusione
della sanzione spirituale attraverso la scomunica, ma la
questione sarà più ampiamente affrontata da Sinibaldo
Fieschi che, divenuto poi pontefice con il nome di Sini-
baldo de’ Fieschi, volle regolarla anche legislativamente.

5. LA RESPONSABILITÀ PENALE E CIVILE DELLE UNIVERSITA-


TES NEL PENSIERO DEI DECRETALISTI

5.1. La preferenza di Sinibaldo de’ Fieschi per l’a-


zione civile ex delicto.
La meritatissima fama della quale gode Sinibaldo
de’ Fieschi come canonista è legata in misura non pic-
cola alla dottrina delle persone giuridiche, della quale è
tradizionalmente ritenuto l’iniziatore. È celebre in parti-
colare una sua espressione che per la prima volta ‘an-
tropomorfizzava’ l’ente collettivo astratto e conduceva
alla definizione di persona ficta (‘‘cum collegium in
causa universitatis fingatur una persona’’) (83).
Otto Gierke (84) e poi Francesco Ruffini (85) hanno
rappresentato il pensiero innocenziano come uno spet-
tacolare antecedente della Finktionstheorie di Savigny,
ma è stato ormai chiarito dagli studi che sono se-

(83) SINIBALDO DE’ FIESCHI, Commentaria ad X 2.20.2, n. 5, ed. cit.,


fol. 270vb (= VI 2.10.2).
(84) O. VON GIERKE, Das Deutsche Genossenschaftsrecht, Bd. 3., cit.,
pp. 279 s.
(85) F. RUFFINI, La classificazione delle persone giuridiche in Sinibaldo
dei Fieschi (Sinibaldo de’ Fieschi) ed in Federico Carlo di Savigny, in Studi
giuridici dedicati e offerti a Francesco Schupfer nella ricorrenza del XXXV
anno del suo insegnamento, II, Studi di storia del diritto italiano, Torino,
F.lli Bocca, 1898, pp. 313-393, e in ed. sep. Torino, 1868 (qui cit.) e ora
in I D. Scritti giuridici minori, II, Scritti giuridici varii, Milano, Giuffrè,
1936, pp. 5-90.
66 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

guiti (86), che tale interpretazione enfatizzava l’espres-


sione di Sinibaldo portandola fuori dal suo specifico
Contesto e, sostanzialmente, attribuiva ad essa signifi-
cati ultronei rispetto a quelli propri (87).
Ad onta della fama di Sinibaldo de’ Fieschi come
grande teorico della persona giuridica, anche legata ad
una efficace e fortunata classificazione dei collegia (88),
sul tema della responsabilità delle universitates le sue
conclusioni vennero accolte solo parzialmente dai giuri-
sti successivi. Si può dire che abbia disegnato in modo
pressoché definitivo lo schema delle sanzioni, spirituali
e temporali, che ad una universitas potevano essere in-
flitte, ma non altrettanta fortuna ebbero le sue opinioni
sulla responsabilità civile e criminale.
Come Giovanni Teutonico prima di lui, anche Sini-
baldo era convinto che l’universitas non potesse essere
né accusata né punita. Fondamentalmente negava che

(86) Cfr. P. GILLET, La personnalité juridique, cit., pp. 163-168; A.


HANIG, Innozenz IV., Vater der Fiktionstheorie?, in « Österreichisches Ar-
chiv fur Kirchenrecht » 3 (1952), pp. 177-213; R. FEENSTRA, Histoire des
Foundations, cit., p. 412 s.; M.J. RODRÍGUEZ, Innocent IV and the Element
of Fiction in Juristic Personalities, « The Jurist » 22 (1962), pp. 287-318; S.
PANIZO ORALLO, Persona jurı́dica y ficción. Estudio de la obra de Sinibaldo
de Fieschi (Inocencio IV), Pamplona, Eunsa, 1975, pp. 428 ss.; A. CAMPI-
TELLI , ‘Cum collegium in causa universitatis fingatur una persona’. Rifles-
sioni sul commento di Sinibaldo dei Fieschi (X 2.20.57), in « Apollinaris »
63 (1990), pp. 125-134; da ultimo J. OTADUY, La ‘universitas rerum’, cit.,
pp. 68 s.
(87) Secondo S. KUTTNER, Methodological Problems Concerning the
History of Canon Law, in « Speculum » 30 (1955), p. 548, la tesi di Gierke
rappresenterebbe il paradigmatico caso di uno studioso che cede ‘‘to the
temptation to pick out some striking, well-coined turn of phrase that will
become misleading if isolated from its juristic and practical context and ta-
ken as a general axiom’’.
(88) Cfr. F. RUFFINI, La classificazione delle persone giuridiche, cit.,
pp. 14-18; P. GILLET, La personnalité juridique, cit., p. 108; M.J. RODRÍ-
GUEZ, Innocent IV and the Element of Fiction, cit., pp. 291-293; I. BIROC-
CHI, Persona giuridica, cit., p. 412.
ANTONIA FIORI 67

essa potesse delinquere, essendo il suo (universitas) un


nomen iuris, e non personarum (89): è chiaro dunque
quanto la fictio che portava a considerarla ‘persona’
fosse per il giurista assai limitata negli effetti.
Ammettendo però in ipotesi che la commissione di
un crimine fosse ascrivibile ad una persona ficta, come i
suoi predecessori Innocenzo escludeva il ricorso ad un
processo ordinario per accusationem. Quanto all’inquisi-
tio, era possibile condurne una sullo status universitatis,
ma poi solo gli effettivi delinquentes avrebbero potuto
essere puniti.
L’inquisitio de statu ecclesiae era una forma di inqui-
sitio generalis, nella quale si procedeva normalmente de
plano et sine strepitu, senza necessità della litis contesta-
tio, e senza necessità di testes legitimi. Benché potesse
anche essere avviata aliquo prosequente, in genere vi pro-
cedeva il giudice d’ufficio, in conseguenza delle visite
periodiche che doveva compiere in quanto vescovo, e
nelle quali svolgeva una inquisitio ‘‘tam de clericis quam
de laicis’’ (90). Il suo sbocco era quello eventuale del pas-
saggio ad una inquisitio contra singularem personam: ov-
vero, sosteneva Innocenzo, contro (le persone fisiche
de)i singoli delinquentes, non contro l’universitas (91).
Insomma, Sinibaldo non faceva mistero del fatto di
guardare con sfavore all’ipotesi che si agisse criminaliter
contro una universitas.

(89) SINIBALDO DE’ FIESCHI, Commentaria ad X 5.39. 52 (53), n. 1, ad


v. consiliarios, ed. cit., fol. 557rb: ‘‘[...] universitas, sicut et capitulum, po-
pulus, gens et huiusmodi nomina sunt iuris et non personarum’’
( 90) OSTIENSE descrive efficacemente l’inquisitio de statu ecclesiae
nella sua Summa ad X 5.1, § Qualiter procedatur inquisitio ed. cit., col.
1476 s.
(91) SINIBALDO DE’ FIESCHI, Commentaria ad X 5.3.30, v. abbatibus,
ed. cit., fol. 500vb: ‘‘[...] Praeterea potest inquiri super statu universitatis,
sed nec tunc puniuntur nisi delinquentes [...]’’.
68 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

La soluzione che invece riteneva preferibile (ade-


rendo ancora alla posizione di Giovanni Teutonico), era
che si agisse civiliter ex delicto, in forza delle azioni
aquiliana, o vi bonorum raptorum, o iniuriarium, per il
perseguimento di una pena pecuniaria:
nos dicimus quod universitas non potest accusari, nec puniri,
sed delinquentes tantum; civiliter autem conveniri et pecunialiter
92
puniri possunt ex delicto rectorum ( ).

Il concetto di pena — che a noi sembra stridere


con la funzione tipicamente risarcitoria che siamo soliti
attribuire alla responsabilità extracontrattuale — è uti-
lizzato da Innocenzo nel pieno rispetto dell’origine ro-
manistica di queste azioni, che — civili o pretorie che
fossero — nascevano come azioni penali derivanti da
obbligazioni ex delicto. Queste ultime — tradizional-
mente caratterizzate da nossalità, intrasmissibilità passi-
va e solidarietà — traevano origine dalla commissione
di offese considerate private, e vincolavano l’offensore
nei termini di una sanzione pecuniaria destinata all’offe-
so. Si trattava cioè di azioni penali nella loro finalità,
ma esperite nelle forme del processo privato. E la pena
pecuniaria cui Innocenzo si riferiva era dunque una pe-
na che veniva riscossa dalla persona offesa.

(92) Ibidem. Ha giustamente suscitato critiche l’opinione di W. ULL-


MANN , The Delictal Responsibility, cit., pp. 81 s., secondo il quale alcune
false interpretazioni del pensiero di Sinibaldo de’ Fieschi sarebbero deri-
vate da un uso ambiguo dei termini ‘‘criminale’’ e ‘‘civile’’: ‘‘a corporation
can do no wrong — ‘universitas nihil potest dolo facere’ — by which dic-
tum he obviously meant ‘no canonical wrong’ [...]. Innocent envisaged as
‘civil’sanctions the interdict and suspension which could be inflicted only
on ecclesiastical bodies’’. L’ipotesi di Ullmann è stata confutata prima da
R. FEENSTRA , Histoire des Foundations, cit., p. 422 e poi da M.J. R ODRÍ-
GUEZ, Innocent IV and the Element of Fiction, cit., pp. 301 s.
ANTONIA FIORI 69

In età classica e giustinianea le tre actiones citate da


Sinibaldo avevano assunto di fatto le caratteristiche di
azioni miste (con funzione sia penale che reipersecuto-
ria). Ma nel caso dell’actio legis Aquiliae, nonostante al-
cuni tentativi medievali di ‘depenalizzare’ l’azione, la fi-
nalità risarcitoria non riuscirà a prevalere su quella pe-
nale fino al tardo diritto comune (93).
Una pena pecuniaria, sebbene con funzione diffe-
rente, veniva suggerita da Sinibaldo de’ Fieschi anche
nel caso in cui fosse stata intrapresa un’azione criminale
(fondata ad esempio sulla lex Cornelia de sicariis, o sulla
lex Iulia de vi publica). Dal momento che l’irrogazione
della poena capitis o della relegazione erano material-
mente inappropriate per una universitas, tali sanzioni
avrebbero dovuto essere mutatae in pene pecuniarie (94),
come già aveva suggerito, tra i legisti, Giovanni Bas-
siano (95).
La sentenza doveva essere eseguita sui bona commu-
nia, se l’universitas ne disponeva; altrimenti essa
avrebbe patito una capitis deminutio concretizzabile
nella perdita del privilegium universitatis (96). Qualora
fosse stata decisa una colletta per il pagamento della
sanzione, avrebbero dovuto esserne esclusi coloro che
avevano espresso parere sfavorevole al delitto, i bam-

(93) Cfr. G. ROTONDI, Dalla ‘lex Aquilia’ all’art. 1151 Cod. Civ., cit.,
p. 248; G.P. MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale, cit., pp. 1153 ss.
(94) SINIBALDO DE’ FIESCHI, Commentaria ad X 5.39. 52 (53), n. 2, ad
v. consiliarios, ed. cit., fol. 557rb: ‘‘item poena capitali, vel mortis, vel rele-
gationis punietur universitas si contra eam agitur criminaliter l. Cornelia
de siccariis vel l. Iulia de vi publica vel quacunque alia, sed poena capitis
mutabitur in pecuniariam, ut ff. de his qui notantur infamia Quid ergo §
Poena (D. 3.2.13.7)’’.
(95) Cfr. G. CHIODI, ‘Delinquere ut universi’, cit., p. 113.
( 96) Sul privilegio vid. P. G ILLET, La personnalité juridique, cit.,
pp. 111-113.
70 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

bini, e tutti coloro che potevano essere considerati sine


culpa.
La medesima necessità di punire chi si fosse effetti-
vamente reso responsabile del delitto aveva rilevanza
sul piano delle pene spirituali. Innocenzo, come altri
giuristi prima di lui, escludeva che una universitas po-
tesse essere scomunicata.
Già Agostino aveva vietato la scomunica collettiva,
in un passo di un’epistola al giovane vescovo Ausilio (97)
confluito nel Decretum di Graziano (C.24 q.3 c.1). Se-
condo Sinibaldo, la scomunica delle universitates era in-
sostenibile sulla base di due princı̀pi (98): per la loro in-
capacità di delinquere e, soprattutto, perché una sco-
munica generalizzata avrebbe colpito anche gli inno-
centi (99).
Da pontefice, al concilio di Lione del 1245, Sini-
baldo de’ Fieschi trasformò la disapprovazione dottri-
nale in un divieto normativo di scomunica nei confronti
di universitates o collegia. Il canone, successivamente in-
serito nel Liber Sextus, specificava che la proibizione di
scomunica collettiva non impediva la sanzione nei con-
fronti di coloro che, all’interno del collegio, si fossero
dimostrati colpevoli (100). Tuttavia, qualora i rectores
avessero commesso crimini su mandato o successiva ra-

(97) Ep. 250, PL 33, col. 1066.


(98) SINIBALDO DE’ FIESCHI, Commentaria ad X 5.39. 52 (53), n. 1, ad
v. consiliarios, ed. cit., fol. 557rb.
(99) Cfr. V. PIERGIOVANNI, La punibilità degli innocenti nel diritto ca-
nonico dell’età classica, II, Le penae e le causae nella dottrina del sec. XIII,
Milano, Giuffrè, 1971-1974, (‘‘Collana degli Annali della Facoltà di Giuri-
sprudenza dell’Università di Genova’’, 29-30), pp. 131 ss.
(100) VI 5.11.5, c. Romana ecclesia: ‘‘[...] in universitatem vel colle-
gium proferri excommunicationis sententiam penitus prohibemus, volentes
animarum periculum vitare [...], sed in illos dumtaxat de collegio vel uni-
versitate, quos culpabiles esse constiterit, promulgetur’’.
ANTONIA FIORI 71

tifica dell’universitas, restava aperta la possibilità che


l’universitas stessa fosse colpita da sospensione o inter-
detto (101).

5.2. Dall’opinione dell’Ostiense all’accettazione della


doctrina Bartoli
Come si è detto, un aspetto del pensiero di Sini-
baldo de’ Fieschi sul nostro tema ebbe un particolare
successo, ovvero la sistemazione delle sanzioni civili, pe-
nali e spirituali da infliggere alle universitates.
L’idea che queste ultime dovessero preferibilmente
civiliter conveniri et pecunialiter puniri ex delicto non
ebbe invece grande fortuna. Se Sinibaldo aveva aderito
alla posizione espressa da Giovanni Teutonico, il suo al-
lievo Enrico da Susa fece sua la tradizionalmente con-
trapposta opinione di Tancredi, che si era mostrato più
conciliante sulla persecuzione criminale per viam inqui-
sitionis delle universitates.
Nella lectura alla decretale Dilectus filius (X 5.3.30),
l’Ostiense ripropose integralmente la celebre glossa di
Tancredi (102), aggiungendo che se attraverso l’inquisitio

(101) SINIBALDO DE’ FIESCHI, Commentaria ad X 5.39. 52 (53), n. 1, ad


v. consiliarios, ed. cit., fol. 557rb: ‘‘[...] fatemur tamen quod si rectores ali-
cuius universitatis vel alii aliquod maleficium faciunt de mandato universi-
tatis totius vel tantae partis quod invitis aliis maleficium fecerint, vel etiam
sine mandato fecerint, sed postea universitas, quod suo nomine erat fac-
tum, ratum habet, quod universitas punietur specialis poena suspensionis
et interdicti [...]’’. P. CLARKE, The Interdict in the Thirteenth Century, cit.,
pp. 25 s. e passim.
( 102) O STIENSE, Lectura ad X 5.3.30, v. et officialibus, n. 8 ss., ed.
cit., fol. 20vb: ‘‘[...] sed numquid universitas seu collegium ipsum poterit
accusari aut inquiri de crimine ipsius? Videtur quod sic ar. 12 q.2 Qui ma-
numittitur (C.12 q.2 d. p. c.58), supra eo. Veniens (X 5.3.19): ecclesia
enim delinquere potest, 7 q.1 Sicut vir (C.7 q.1 c. 11). Et ratione metus
universitas convenitur, ff. quod metus causa Metum ii § ii (D. 4.2.9.1).
72 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

(non solo generalis, ma anche contra singulares) fosse


stato accertato che ‘‘tota universitas vel maior pars’’
avesse commesso il delitto, ‘‘tota universitas’’ doveva es-
sere punita, con una pena pecuniaria o ‘‘alia temporali
pena apta’’ e con una adeguata pena spirituale, come
l’interdetto (103).
Il rischio di punire persone innocenti non era di-
menticato, ma l’Ostiense invocava la specialità del caso,
e la pubblica necessità che i delitti non rimanessero im-
puniti a causa della difficoltà di provare la colpevolezza
di alcuni e non di altri (‘‘et potest reddi specialitatis ra-
tio, ne alias propter difficultatem probationis delicta re-
maneant impunita’’) (104).

Sed contra: quia universitas non debet excommunicari, arg. 24 q.3 Si ha-
bes (C. 24 q.3 c. 1), nec dolum committere potest, ff. de dolo, Sed ex
dolo § 1 (D. 4.3.15.1). Nec dicitur universitas aliquid possidere, ff. de ad-
quirenda possessione l. i § pen. (D. 41.2.1.21). Item universitas non potest
per se agere nec conveniri, sed per sindicum vel actorem, ff. quod cuiu-
scumque universitatis l. i et ii (D. 3.4.1-2) et no. supra de sindico c. unico
(X 1.39.1). Et in crimine non intervenit procuratorem (sic) ut le. et no. su-
pra de accusationibus Veniens § Licet (X 5.1.15). Si ergo per se vel per
alium non potest conveniri in hoc casu, ergo nec puniri, ii q. i Nos in
quemquam (C.2 q.1 c.1). Solutio. Dixit Io. quod universitas non potest ac-
cusari vel puniri, sed maiores de universitate tantum, ut hic dicitur et su-
pra eo. Veniens (X 5.3.19) quae tamen contrarium probat. Unde et supra
in contrarium est inducta. T. vero dixit (et bene) quod licet universitas et
collegium accusari non possit, potest tamen inquisitio fieri de excessibus
[...]’’. Come si vede la glossa di Tancredi trascritta supra, alla nota 82 è ri-
prodotta da Ostiense con pochissime modifiche.
(103) Ibid. ‘‘[...] Intelligas non solum contra collegium sed etiam con-
tra singulares: et si reperiatur tota universitas vel maior pars deliquisse tota
universitas puniri potest, non capitaliter, corporaliter vel etiam spirituali-
ter, id est per excommunicationis sententiam, cum nec unum corpus tan-
tum aptum ad hoc habeant, nec animam, sed alias in pecunia vel alia tem-
porali pena apta, vel spirituali, puta per sententiam interdicti’’.
(104) Ibid.
ANTONIA FIORI 73

A partire dall’opera dell’Ostiense, l’idea di proce-


dere civiliter ex delicto venne sostanzialmente dimenti-
cata dalla decretalistica.
Non voglio intendere, con questa affermazione, che
il ricorso al rimedio civile fosse negato: la possibilità di
esperire l’actio legis Aquiliae non era mai esclusa (nean-
che in concorrenza con un procedimento inquisitorio di
natura penale, perché non era considerata un’azione ad
vindictam, diversamente dall’actio iniuriarum pri-
vata) (105). Tuttavia, i canonisti preferirono che anche
alle universitates venisse applicato il principio generale
che voleva di pubblico interesse la repressione dei reati.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, per quale
motivo il tema della responsabilità extracontrattuale
delle universitates sia stato quasi ignorato, come pro-
blema giuridico a sé stante, dalla canonistica. Credo si
possano fare a questo proposito due ipotesi: la prima,
poc’anzi suggerita, è che la via criminale dell’inquisitio,
una volta ampiamente ammessa dall’Ostiense, sia stata
considerata preferibile sotto molti aspetti, anche di poli-
tica giudiziaria, alla via civilistica. La seconda, che non
esclude la prima, parte dalla constatazione che, se sulla
questione della responsabilità penale delle universitates i
canonisti hanno espresso alcune originalità, sul piano
della responsabilità civile la loro prospettiva è rimasta
completamente ancorata alla visione romanistica. E dun-
que è possibile che non abbiano trattato direttamente il
tema preferendo abbracciare le teorie dei legisti.

(105) ANTONIO DA BUDRIO, In Librum Quintum Decretalium Commen-


tarij, Venetiis [apud Iuntas] 1578, ad X 5.37.2 n. 2, 106rb; PANORMITANO
(Niccolò Tedeschi), Commentaria in Decretales Gregorii IX, Venetiis [apud
Iuntas] 1582 (versione elettronica cur. da Barbara Bellomo, con introdu-
zione di K. Pennington, Roma, Il Cigno Galileo Galilei, 2000) ad X 5.36.1
n. 9, fol. 233ra.
74 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

Certo è che, anche sul piano della responsabilità pe-


nale, i maggiori esponenti del diritto canonico sceglie-
ranno di accogliere in toto l’articolata (ma assai lineare)
teoria espressa da Bartolo da Sassoferrato nel com-
mento alla l. Aut facta (D. 48.19.16) (106). Il Panormi-
tano, evidentemente scontento delle soluzioni offerte
dai suoi maestri e colleghi, aderirà alla dottrina di Bar-
tolo con questa ingrata motivazione:
Doctores nostri parum boni hic dicunt, unde concludo hanc
materiam post Bartolum, hunc articulum eleganter examinantem in
107
praeallegata l. Aut facta ( ).

Bartolo, peraltro, prendeva come punto di partenza


la posizione di Sinibaldo de’ Fieschi e la sua preoccupa-
zione che fossero puniti degli innocenti; e, senza smen-
tire la possibilità di una valida azione civile contro l’uni-
versitas che avesse commesso un atto illecito (‘‘pro de-
lictum non est dubium, quod potest universitas conve-
niri civiliter’’) (108), sottilmente distingueva tra delitto e
delitto per capire se essa potesse delinquere, e tra colle-
gio e collegio (parvum o diffusum) (109) per capire se po-

(106) BARTOLO DA SASSOFERRATO, In tertium tomum Pandectarum Dige-


stum Novum Commentaria, Basileae 1562, ad D. 48.19.16 § Nonnunquam,
913 s. Cfr. A. BETTETINI, ‘Societas delinquere potest’. La responsabilità pe-
nale degli enti in diritto canonico, in Recte sapere. Studi in onore di Giu-
seppe Dalla Torre, a cura di G. Boni - E. Camassa - P. Cavana - P. Lillo -
V. Turchi, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 80 ss.; D. QUAGLIONI, ‘Universi
consentire non possunt’. La punibilità dei corpi nella dottrina del diritto co-
mune, in Persone giuridiche e storia del diritto, a cura di L. Peppe, Torino,
Giappichelli, 2004, (‘‘Università degli Studi Roma Tre, Fac. di Giurispru-
denza - Dip. Studi Giuridici’’, 7), pp. 81 ss.
(107) PANORMITANO, ad X 5.3.30, n. 10, ed. cit., fol. 104va.
(108) BARTOLO DA SASSOFERRATO, ad loc. cit., n. 5, 913b.
(109) Ibidem, n. 7, 914a: ‘‘Sed si esset talis poena, quae aeque cade-
ret in universitatem et in singulos, ut est poena pecuniaria, tunc si quidem
est collegium, ut collegium priorum, qui sunt numero decem vel similium,
ANTONIA FIORI 75

tesse essere punita, e in che modo, e infine valutava la


possibilità che, punita l’universitas, potessero essere pu-
niti anche i singoli (110).

6. CONCLUSIONI
Il tema della responsabilità extracontrattuale delle
universitates nel diritto canonico classico è strettamente
connesso con la questione della loro responsabilità pe-
nale. Decretisti e decretalisti mostrarono grande sensibi-
lità per il problema penale, e sembrarono voler delegare
ai legisti i profili propriamente privatistici.
In un momento storico nel quale la ‘personifica-
zione’ dell’ente collettivo era ancora avvertita come una
fictio iuris che valeva per alcuni aspetti e non per altri
(occorreva un caput per una pena capitale, e ‘‘requiritur
verum corpum et animam baptizatam’’ per una scomu-
nica, dirà il Panormitano) (111) era particolarmente im-
portante capire quali atti potessero essere imputati all’u-
niversitas come soggetto unitario e quali no.
Accursio, che di Sinibaldo de’ Fieschi era contem-
poraneo, riteneva che l’universitas non fosse altro che
gli uomini che ne facevano parte (112). Allora, se l’unità
dell’universitas era una fictio, diventava indispensabile

non punientur omnes de collegio, sed tantum illi qui consenserunt [...].
Sed si esset collegium magnum et diffusum, ut est populus, seu aliqua
communitas, tunc quia discernere consentientes a non consentientibus es-
set difficile, tota civitas et tota universitas punietur’’.
(110) Nel caso di un delitto nel quale poteva essere punita l’universi-
tas, venivano puniti anche i singoli, come istigatori; per i delitti ‘‘quae non
sunt proprie per universitatem’’ accadeva il contrario, cioè i singoli dove-
vano essere puniti come autori e l’universitas come fieri faciens vel ratum
habens, ibid, n. 12, 914b.
(111) PANORMITANO, ad X 5.3.30, n. 12, ed. cit., fol. 104vb.
(112) ACCURSIO, gl. non debetur ad D. 3.4.7.1: ‘‘[...] quia universitas
76 ALLE RADICI DELLA RESPONSABILITÀ

distinguere gli atti illeciti compiuti dai singoli da quelli


imputabili all’universitas, in quanto effettivamente deli-
berati attraverso i suoi organi. Non solo, come si è
detto, il consenso delle universitates regolarmente for-
matosi determinava il passaggio da una eventuale re-
sponsabilità per fatto altrui ad una responsabilità per
fatto proprio, ma rientrava in questa medesima prospet-
tiva l’idea che — anche all’interno della deliberazione
del collegio — la sanzione dovesse colpire solo gli effet-
tivi responsabili del delitto, e non gli innocenti.
Nel lungo processo di elaborazione di questa pro-
blematica, la responsabilità civile da fatto illecito si è in-
cardinata nei dibattiti sulla responsabilità penale con
una sorta di riconosciuta funzione suppletiva. Si poteva
mettere in dubbio la capacità delle universitates di com-
mettere atti dolosi, ma non la possibilità che rispondes-
sero per colpa; si poteva discutere la loro imputabilità
in un giudizio penale, ma non che si potesse agire con-
tro di loro civilmente; si poteva essere scettici sull’impo-
sizione di alcuni tipi di pene, ma non sull’irrogazione di
sanzioni pecuniarie o di provvedimenti risarcitori.
Non stupisce, dunque, che giuristi come Giovanni
Teutonico, o Sinibaldo de’ Fieschi, abbiano preferito la
via del processo civile ex delicto a quella dell’azione pe-
nale. Ma questa scelta, in fondo, delegava all’esistente
disciplina romanistica la regolamentazione di temi e
prospettive assai nuovi. La scelta opposta, quella di
puntare sull’esigenza attualissima dell’interesse pubblico
alla repressione dei crimini, anche quando commessi da
soggetti di difficile qualificazione, si è mostrata nel
lungo periodo la più feconda.

nil aliud est nisi singuli homines qui ibi sunt [...]’’, cfr. G. CHIODI, ‘Delin-
quere ut universi’, cit., p. 117.

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