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CENNI STORICI

SOMMARIO: 1.1. Nota metodologica. – 1.2. L’aberratio ictus nel diritto antico; – 1.3. (segue)
e nel diritto intermedio. – 1.4. Il dibattito dottrinale nel secolo XIX. – 1.5. Genesi dell’art.
52 del codice Zanardelli. – 1.6. L’art. 82 del codice Rocco: rinvio – 1.7. La riflessione
contemporanea: rinvio.

1.1. Nota metodologica

E’ opinione diffusa che l’indagine storica presenti profili di notevole

interesse nello studio degli istituti giuridici. Da un lato, infatti, sul piano

dell’interpretazione delle norme vigenti, essa permette di giungere ad una più

profonda comprensione delle soluzioni tecniche adottate dal legislatore attraverso

la ricerca delle ragioni che le hanno determinate e la comparazione con le

alternative che, eventualmente, le hanno precedute. Dall’altro, in un’ottica de


Capitolo 1

lege ferenda, costituisce una premessa indispensabile per impostare seriamente

qualsiasi discorso che abbia ad oggetto un’ipotesi di riforma1.

Le considerazioni appena esposte paiono sufficienti a giustificare la scelta

di premettere anche a questa trattazione un capitolo di carattere storico nel quale,

ripercorrendo le linee dell’evoluzione che ha condotto l’aberratio ictus ad

assumere la sua attuale fisionomia, risultante dall’art. 82 c.p., cercheremo di

offrire un quadro sintetico dei diversi orientamenti che, nei secoli, sono emersi

nell’ambito della riflessione scientifica sull’istituto2.

1.2. L’aberratio ictus nel diritto antico;

Nelle fonti del diritto romano è stato rinvenuto un passo del Digesto che

prende in considerazione l’ipotesi della deviazione dell’offesa su persona diversa

da quella designata:

“Si iniuria mihi fiat ab eo, cui sim ignotus; aut si quis putet me L.
Titium esse, cum sim G. Seius, praevalet quod principale est: iniuriam
eum mihi facere velle”3.

La disciplina che si evince dal testo si ispira al principio di irrilevanza

dell’errore sull’identità della vittima del reato. Ai fini dell’affermazione della

responsabilità è infatti sufficiente che la volontà dell’agente si sia tradotta nella

1
Cfr. A. REGINA, Il reato aberrante, 1970, p. 1.
2
Per un analogo orientamento metodologico cfr. anche V. ZAGREBELSKY, Reato continuato, 1969, p. 1 s.
3
D, 47, 10, fr. 18 – par. 3 (riportato da A. MOSCHINI, voce Errore, in Dig. it., 1895-1898, X, p. 540). Il
Digesto è composto nel VI secolo d. C., per volontà dell’imperatore Giustiniano.

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Cenni storici

realizzazione del fatto (iniuriam... facere velle), in quanto il disvalore della

condotta risiede tutto nella produzione dell’evento lesivo ed è indipendente dalla

individualità del soggetto in concreto offeso. Così, ad esempio, in caso di

omicidio, il reo deve essere punito perché ha voluto uccidere una persona ed una

persona ha effettivamente ucciso.

E’ interessante notare, secondo l’indicazione offerta dal Regina, come la

risoluzione del caso prospettato anticipi, nei suoi tratti essenziali, la scelta operata

dalla legislazione vigente4.

Un altro aspetto che ci pare debba essere messo in evidenza è quello che

vede la aberratio ictus trattata unitamente all’error in persona e sottoposta alla

medesima disciplina. Tale accostamento, presumibilmente dovuto al fatto che in

entrambe le situazioni si configura una divergenza tra volontà e realizzazione che

ha ad oggetto la vittima del reato, trascura in realtà di considerare la profonda

differenza di struttura che, ad un’analisi più attenta, si può cogliere tra le due

fattispecie. Mentre infatti, in caso di error in persona, l’agente colpisce Tizio

avendolo scambiato per Caio, nell’ipotesi di aberratio ictus la deviazione

dell’offesa è la conseguenza di un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del

reato oppure di una causa accidentale che interviene comunque in una fase

successiva alla identificazione del bersaglio.

Come avremo modo di rilevare più avanti, l’autonomia concettuale delle

due ipotesi sarà evidenziata in particolare dalla moderna dottrina tedesca (v.

infra, § 1.4.).

4
A. REGINA, op. cit., p. 2.

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Capitolo 1

1.3. (segue) e nel diritto intermedio.

Superato, a partire dall’XI secolo, il travagliato periodo delle invasioni

barbariche, si assiste, nel solco di una più generale ripresa della vita politica,

economica e spirituale, a quel fenomeno capitale nella storia del diritto europeo

che gli storici chiamano “rinascimento giuridico”5.

In questo contesto, che vede il formarsi della Scuola dei Glossatori prima,

e dei Commentatori successivamente, si sviluppa tra l’altro, stimolata anche dalla

riflessione canonistica, una rinnovata e crescente attenzione nei confronti

dell’aspetto psicologico del reato6 che, per quel che ci interessa, induce ad un

approfondimento del problema relativo al titolo di responsabilità per l’offesa nel

caso della aberratio ictus.

Da quanto riferisce il Regina, si possono individuare, nel pensiero dei

giuristi di questo periodo, due distinti orientamenti di fondo: per il primo, avendo

comunque il soggetto agito intenzionalmente per produrre l’evento lesivo, il fatto

deve essergli imputato come doloso; per l’altro, invece, la deviazione del colpo su

persona diversa rappresenta una frattura tra quanto l’agente si era rappresentato e

quanto, al contrario, si è in concreto prodotto nella realtà storica, sicchè è

5
Cfr. A. CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, 1982, I, p. 105 s.
6
L’indagine sull’elemento psicologico condotta nell’ambito del diritto canonico risale ai c.d. libri
poenitentiales, veri e propri “tariffari” di penitenze che iniziano a diffondersi in Irlanda e in Inghilterra
tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo. Cfr. L. M USSELLI, Storia del diritto canonico, 1992, p. 28 s.

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giocoforza escludere la permanenza del dolo e ricondurre il fatto non voluto ai

principi generali sulla colpa7.

Tra quanti aderiscono al primo orientamento, insieme a Bartolo e Matteo 8,

vi è Claro, il quale, dando anche conto del dibattito che vede confrontarsi tra loro i

giuristi del tempo, così scrive:

“Dicunt etiam aliqui quod si quis volens occidere Titium occidit


Sempronium, non tenetur poena ordinaria homicidii, sed tantum
extraordinaria, ex quo respectu Sempronii non fuit animus occidendi. Et
sic videtur hoc homicidium potius culpa, quam dolo commissum. Et hanc
opinionem dicit tenere Doctores plures numero. […] Sed certe ego si
casum contingeret, illi facerem caput amputari ”9.

Sostengono invece la tesi della sola responsabilità colposa Baldo e,

successivamente, Carerio e Menochio10. Quest’ultima posizione verrà

gradualmente abbandonata e ai fautori dell’unica imputazione dolosa si

opporranno quelli della teoria c.d. pluralistica, che si svilupperà nel moderno

diritto penale particolarmente in area germanica.

1.4. Il dibattito dottrinale nel secolo XIX

7
A. REGINA, op. cit., p. 4.
8
G. LEONE, Il reato aberrante, 1940, p. 79 s.
9
CLARUS JULIUS, Receptarum sententiarum opera omnia, L. V, § Homicidium, n.6 (riportato da G.
LEONE, op. cit., p. 80, nota 2).
10
G. LEONE, op. cit., p. 85 s.

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Capitolo 1

La dottrina italiana ampiamente maggioritaria, riallacciandosi ad una

tradizione che, come abbiamo visto, affonda le sue radici nella compilazione

giustinianea, ritiene che, come avviene nell’ipotesi di error in persona, anche

quando l’offesa a persona diversa sia la conseguenza di una difettosa esecuzione,

l’agente debba rispondere di delitto volontario11, in quanto la divergenza tra

intenzione e realizzazione che concerne la vittima del reato non fa venire meno

alcuno dei tre elementi che sorreggono l’imputazione dolosa del fatto: la volontà

colpevole, l’evento lesivo ed il nesso di causalità12.

A questa conclusione si giunge osservando che la legge, nel vietare

determinati atti, non si prefigge come scopo quello di tutelare l’uno o l’altro

individuo in particolare, ma vuole proteggere categorie di beni come la vita o

l’integrità personale, indipendentemente dalla identità dei soggetti di volta in volta

titolari di essi; l’errore sulla persona dell’offeso, da qualsiasi causa determinato,

poiché non cade su di un elemento costitutivo della fattispecie, si atteggia dunque

sempre come errore accidentale e, in quanto tale, non è idoneo ad esplicare alcuna

efficacia scusante13.

Paradigmatico appare, in quanto espressione di una linea di pensiero

largamente diffusa nel nostro paese, un passo del Pessina che, con riferimento al

caso di aberrazione incidente sul delitto di omicidio, così scrive:

11
Sul punto cfr. A. MOSCHINI, op. cit., p. 543.
12
G. B. IMPALLOMENI, L’omicidio nel diritto penale, 1900, p. 180.
13
Per la distinzione fra errore essenziale ed accidentale cfr. S. ROBERTI, Corso completo del Diritto
Penale del Regno delle Due Sicilie secondo l’ordine delle leggi penali, 1833, p. 83.

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Cenni storici

“si ha sempre un omicidio consumato che ha per cagione motrice il


proponimento di uccidere, si ha un effetto che, riguardato in se stesso,
astrazion fatta dell’individuo sul quale cade, non eccede l’intento
criminoso nella sua quantità”14.

La tesi fin qui riferita è stata definita “unitaria”, perché imputa al reo un

unico reato che si ritiene commesso con dolo15.

Nel corso del XIX secolo, in area germanica va diffondendosi invece una

teoria detta “pluralistica” o “della duplicità” o, ancora, “della responsabilità

plurima”, secondo la quale all’aberratio ictus conseguono, almeno astrattamente,

due distinti reati riuniti peraltro, in quanto derivanti dalla stessa azione od

omissione, nel vincolo del concorso formale: il primo, nei confronti della vittima

designata, si arresta allo stadio del tentativo; il secondo, consumato a danno della

persona offesa involontariamente, assume i caratteri dell’illecito colposo16.

A fondamento di tale nuova configurazione della fattispecie aberrante sta

la separazione dell’aberratio ictus dall’error in persona17.

In quest’ultima ipotesi non si dubita dell’esistenza di un delitto doloso18 in

quanto, nonostante lo scambio di persona (Tizio per Caio) sia intervenuto a

14
E. PESSINA, Elementi di diritto penale, 1883, II, p. 10 (riportato da G. L EONE, op. cit., p. 10, nota 1).
15
“Unitaria”, dunque, almeno sotto due profili: unico è infatti il reato che si configura e,
conseguentemente, uno solo il titolo d’imputazione. Poiché si tratta della soluzione accolta dal codice
vigente, l’argomento sarà approfondito più avanti, in sede di analisi dell’art. 82. Il significato del
termine si coglie pienamente dal confronto con la regolamentazione proposta dalla teoria c.d.
pluralistica.
16
La prima formulazione di questa teoria è attribuita a J. J. H AUS, Cours de droit criminel, 1861, n. 135.
Per tutti v. F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, pt. gen., 1867, I, § 262. Tra i
sostenitori di questa impostazione si possono ricordare, tra gli altri, lo Zachariae, il Berner, lo
Schwarze, lo Schutze, l’Oppenhoff, l’Olshausen, il Meyer, il von Bar, il Geyer, lo Herbst, lo Hye, il
Janka, lo Habermaas e il Nypels (citati da B. ALIMENA, voce Del concorso di reati e di pene, in E.
PESSINA (a cura di), Enc. dir. pen. it., 1904, V, p. 533).
17
A. REGINA, op. cit., p. 9 s.
18
Cfr. G. B. IMPALLOMENI, op. cit., p.179.

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Capitolo 1

viziare il processo motivazionale del reato, l’offesa cade proprio su quel soggetto

che è entrato nella sfera di rappresentazione dell’agente e verso il quale l’azione è

stata intenzionalmente diretta, risultando di conseguenza l’evento pienamente

corrispondente alla previsione e alla volizione del reo19.

Nel caso dell’aberratio ictus, invece, la situazione si presenta più

complessa e deve essere oggetto, come abbiamo visto sopra, di una duplice

valutazione. Se infatti gli atti compiuti nei confronti della vittima designata sono

sorretti dal dolo dell’agente, l’offesa alla persona diversa non è che l’effetto non

voluto di un errore esecutivo o di una causa accidentale e può pertanto essere

imputata, secondo i principi generali, solo se prevedibile ed evitabile con

l’ordinaria diligenza.

La teoria pluralistica non incontra numerose adesioni in Italia20, dove si

avverte forte l’influenza del Carrara:

“Così se taluno volendo uccidere Caio, uccida Tizio, non si potrà


pretendere che costui sia responsabile di tentato omicidio contro Caio e di
omicidio involontario a danno di Tizio. E’ reo dell’omicidio di Tizio: e
quest’ultimo è volontario perché la volontà dell’agente era diretta alla
morte di un cittadino ed il suo braccio l’ha operata”21.

19
L’evento è dunque conforme ai due elementi che compongono il dolo dell’agente.
20
Tra queste segnaliamo BRUSA, Saggio di una dottrina generale del reato, 1884, p. 109 (citato da
LEONE, op. cit., p. 91, nota 1).
21
F. CARRARA, op. cit., § 262. La quasi totalità degli autori che si sono occupati di aberratio ictus cita
questo passo a sostegno della tesi unitaria. In senso contrario si esprime M. R OMANO, Contributo
all’analisi della “aberratio ictus”, 1970, p. 46, nota 89, il quale dubita dell’esattezza del riferimento e
avanza l’ipotesi che il Carrara nel § 262 tratti dell’error in persona e aderisca peraltro, nelle righe
successive, alla teoria di Haus.

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Cenni storici

La concezione unitaria resterà così quella prevalente in dottrina e troverà

consacrazione nelle scelte del legislatore. Il dibattito tuttavia non si placherà e,

anzi, la teoria pluralistica conoscerà, dalla seconda metà del secolo successivo, un

crescente consenso.

1.5. Genesi dell’art. 52 del codice Zanardelli

La preoccupazione che i diversi orientamenti emersi in dottrina possano

riproporsi nelle aule giudiziali e il timore che la giurisprudenza resti invischiata in

complicate questioni interpretative circa il titolo d’imputazione, inducono i

redattori del codice Zanardelli a prendere in considerazione, per la prima volta in

modo organico, il problema della divergenza tra il voluto e il realizzato

concernente la vittima del reato.

Il risultato dei lavori preparatori è l’art. 358 del Progetto di codice penale

per il Regno d’Italia, dove si stabilisce che chi ha cagionato per errore o per causa

accidentale la morte o un danno nel corpo o nella salute ad una persona diversa da

quella che si era proposto di offendere, soggiace alle pene previste per i reati

corrispondenti al fatto commesso e si prevede un particolare regime di valutazione

delle circostanze, in virtù del quale non sono imputate all’agente conseguenze

diverse e più gravi di quelle che questi poteva prevedere22.

22
Cfr. Verbali della Commissione istituita con R. d. il 13 dicembre 1888 allegati alla Relazione con la
quale il Ministro guardasigilli (Zanardelli) presenta il codice penale a S. M. il Re nell’udienza del 30
giugno 1889, 1889, p. 169. Riproduciamo di seguito il testo integrale dell’art. 358: “Chiunque per
errore o per altro accidente, cagiona la morte od un danno nel corpo o nella salute ad una persona
diversa da quella che si era proposto di offendere, soggiace alle pene rispettivamente stabilite per

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Capitolo 1

La norma è collocata nel capo dedicato ai delitti contro la persona e

contempla unicamente le ipotesi dell’omicidio e delle lesioni personali. Soltanto

in seno alla Commissione istituita con l’incarico di procedere alla revisione

definitiva del testo da presentare al Re viene evidenziata l’opportunità di

estendere la formula dell’art. 358 a tutti i tipi di reato.

L’occasione si presenta incidentalmente durante la seduta del 26 febbraio

1889, nel corso della discussione circa l’attenuante della provocazione

disciplinata dall’art. 51 del Progetto23. In tale sede il commissario Faranda fa

notare la necessità di prevedere che l’attenuante sia valutabile anche quando,

nell’impeto d’ira o d’intenso dolore, si sia per errore provocato l’uccisione o il

ferimento di una persona diversa da quella contro la quale l’azione era diretta. La

pertinente osservazione del Lucchini che invoca, nel caso prospettato, l’art. 358,

offre al Faranda lo spunto per denunciare come contraddittorio il fatto che, mentre

l’art. 51 trova applicazione per tutti i reati, l’art. 358 rimanga circoscritto al solo

capo relativo ai delitti di sangue24 e per chiedere che le conseguenze dell’errore

sulla persona siano disciplinate anche in relazione a tutte le altre ipotesi delittuose.

La seduta si conclude con l’accoglimento della proposta e con l’attribuzione ad

una Sottocommissione dell’incarico di trasferire l’art. 358 nel Libro I, una volta

apportate le necessarie modifiche formali al testo della disposizione.

l’omicidio e per le lesioni personali; ma non sono poste a suo carico le circostanze aggravanti del
delitto che derivano dalle qualità della persona uccisa od offesa, e gli sono calcolate le circostanze che
avrebbero diminuita la pena del delitto”.
23
Questo il testo dell’art. 51 del Progetto: “Colui che ha commesso il fatto nell’impeto d’ira o d’intenso
dolore contro chi ne sia stata l’ingiusta causa, soggiace alla pena stabilita per il reato commesso con la
diminuzione determinata nell’articolo precedente”.
24
Cfr. A. REGINA, op. cit., p. 7.

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Nasce così l’art. 52 del codice Zanardelli, che recita: “Quando alcuno, per

errore o per altro accidente, commette un delitto in pregiudizio di persona diversa

da quella contro la quale aveva diretta la propria azione, non sono poste a carico

di lui le circostanze aggravanti che derivano dalla qualità dell’offeso o

danneggiato, e gli sono valutate le circostanze che avrebbero diminuita la pena per

il delitto, se l’avesse commesso in pregiudizio della persona contro la quale la sua

azione era diretta”.

Invero la norma si limita a definire il particolare regime delle circostanze

da applicare nelle ipotesi in cui, per qualsiasi causa, sia erroneamente colpita una

persona diversa dalla vittima designata. I commentatori del tempo ritengono

tuttavia, nonostante la non esplicita formulazione della norma, che in essa sia

sussumibile anche il caso della aberratio ictus e vedono nella scelta del legislatore

l’accoglimento della tesi secondo cui al reo deve essere imputato un solo delitto

consumato25.

1.6. L’ art. 82 del codice Rocco: rinvio

I compilatori del ’30 hanno dedicato all’aberratio ictus l’art. 82 c.p.

Sotto la rubrica “Offesa di persona diversa da quella alla quale l’offesa era

diretta” la norma dispone che “quando, per errore nell’uso dei mezzi di

esecuzione del reato, o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da

25
Cfr. B. ALIMENA, op. cit., p. 536; L. MAJNO, Commento al codice penale italiano, III ed., 1911, I, p.
153.

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Capitolo 1

quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse

commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto

riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’articolo 60” e,

al secondo comma, che “qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche

quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il

reato più grave, aumentata fino alla metà”.

Al di là della nuova formulazione del testo, che risponde ad esigenze di

maggiore chiarezza, è confermata la scelta di fondo del codice Zanardelli circa

l’imputazione dolosa del fatto. Innovative, rispetto al previgente art. 52, risultano

invece la previsione dell’aberratio ictus con doppio evento (2° co.) e l’estensione

dell’istituto a tutti i reati, comprese le contravvenzioni26.

L’art. 82 e le problematiche ad esso connesse saranno oggetto di specifica

analisi nel corso di questo studio.

1.7. La riflessione contemporanea: rinvio

Il dibattito dottrinale non si è placato con l’approvazione dell’art. 82 e anzi

ha evidenziato nuovi motivi di contrasto. Parallelamente alle discussioni

concernenti i problemi applicativi della disposizione, si è sviluppata infatti quella

avente ad oggetto la natura della stessa: per gli uni meramente dichiarativa, in

26
Il progresso rappresentato dall’art. 82 c.p., è testimoniato dal favore manifestato dalla dottrina, che
lamentava l’inadeguatezza dell’art. 52 cod. abr. Tra gli altri cfr. V. M ANZINI, Trattato di diritto penale
italiano, V ed. agg., 1981, II, p. 65; N. NATALI, Offesa per “aberratio ictus” di persona diversa da
quella alla quale l’offesa era diretta, in Giust. pen., 1939, II, c. 395.

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Cenni storici

quanto conforme ai principi generali sull’imputazione soggettiva, per gli altri,

all’opposto, costitutiva e derogatoria rispetto alla disciplina del dolo desumibile

dal sistema27. Questi ultimi, riproponendo sostanzialmente la teoria pluralistica di

Haus, sostengono che, in assenza dell’art. 82, la situazione di fatto da esso

disciplinata darebbe luogo ad un concorso tra un delitto tentato e un reato

colposo28.

La discussione, che potrebbe apparire ormai sterile e meramente

accademica, si carica oggi di nuovo significato alla luce della più recente

riflessione sul principio di colpevolezza che scaturisce dal sistema della

Costituzione repubblicana, in particolare dall’art. 27, comma 1, nella

interpretazione di esso data dalla Corte Costituzionale. La tesi secondo cui l’art.

82 maschera in verità un’ipotesi di responsabilità oggettiva, che non dovrebbe più

trovare spazio nel nostro ordinamento, trova oggi sempre maggiori adesioni.

L’indagine sulla reale natura della norma si impone dunque come

imprescindibile ed anche di questo aspetto ci occuperemo nel corso della

trattazione.

27
In realtà le posizioni della dottrina sul carattere innovativo dell’art. 82 sono varie e molteplici, in
quanto plurimi sono i profili di volta in volta considerati. Qui abbiamo voluto limitarci a prendere in
esame solo quello di maggiore rilevanza e sul quale abbiamo impostato la nostra breve indagine storica:
quello cioè inerente al criterio d’imputazione. Le posizioni relative agli altri profili, rispetto ai quali può
porsi il problema della natura costitutiva o dichiarativa della disposizione, saranno esaminate nel
prosieguo, ciascuna a suo luogo.
28
In questo senso E. ALTAVILLA, voce Errore e ignoranza, in Nuovo dig. it., 1938, V, p. 494; E.
CAPALOZZA, Circostanze aggravanti, “error in persona”, “aberratio ictus” nel vecchio e nel nuovo
codice, in Scritti giuridico penali ( 1932-1962 ), 1962, p. 91. Contra F. ANTOLISEI, Manuale di diritto
penale, pt. gen., XIII ed. agg., 1994, p. 390; V. MANZINI, op. cit., p. 65.

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