ANNO XVIII NUMERO 128 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 1 GIUGNO 2013
Questo saggio stato appena pubblica-
to sullAnnuario di scienze penalistiche Criminalia (anno 2012). Edizioni ETS. 1. Premessa La vicenda giudiziaria relativa alla co- siddetta trattativa stato-mafia, assai nota anche per lampia copertura ricevuta dai media, offre lo spunto per riflessioni che si collocano su piani diversi e, in parte, convergenti. Ci sono ragioni per conside- rare tale vicenda come una sorta di me- tafora emblematica di una serie di com- plesse, e per certi versi patologiche, inte- razioni tra un certo uso antagonistico del- la giustizia penale, il sistema politico-me- diatico e il tentativo di fare maggiore chia- rezza, sotto laspetto storico-ricostruttivo, su alcuni nodi assai drammatici della no- stra storia recente. Da questo punto di vi- sta, non si rinnova soltanto, con toni forse ancora pi enfatizzati, quel conflitto fra politica e giustizia che nellultimo venten- nio ha disturbato il funzionamento della democrazia italiana. Nello stesso tempo, a tornare in discussione linterrogativo di fondo circa gli scopi del processo penale, come pure il connesso problema relativo al ruolo della magistratura, considerato anche nella percezione soggettiva che ne hanno in particolare alcuni magistrati daccusa molto combattivi e pubblicamen- te esposti. Ci sono sul tappeto, inoltre, impegnati- ve questioni tecnico-giuridiche che hanno a che fare con quella che dovrebbe costi- tuire la normale premessa di una indagi- ne, prima, e di un processo penale, dopo: cio la previa individuazione di plausibili figure di reato. Questo in realt un pun- to non controvertibile, ma nel caso della trattativa probabilmente trascurato o non sufficientemente lumeggiato specie nellambito della comunicazione mediati- ca. Si , invero, assistito a un insistente bombardamento televisivo accreditante lidea della trattativa come un crimine gra- vissimo. Ma, se questo il messaggio pi o meno confusamente arrivato al grosso pub- blico, le cose stanno in verit alquanto di- versamente sul piano dellipotesi accusa- toria formulata dai pubblici ministeri. Lorgano dellaccusa, muovendo pregiudi- zialmente da un giudizio di grave disap- provazione etico-politica della presunta trattativa, si infatti imbattuto come me- glio vedremo in seguito in una oggettiva difficolt tecnica: nella difficolt cio di trasporre questa precomprensione in una cornice criminosa idonea a coinvolge- re insieme, avvinti anche simbolicamente come complici di un medesimo delitto, boss mafiosi e membri delle istituzioni. Da qui la ricerca, nella complessa e oscura trama delle vicende oggetto di giudizio, di qualche momento o frammento fattuale che fosse suscettibile di assumere parven- ze di illecito penale; una ricerca tuttaltro che semplice, come confermato dal fatto che altri uffici giudiziari (in particolare di Firenze e Caltanissetta) che si sono occu- pati delle medesime vicende nel pi am- pio contesto delle indagini sulle stragi, non hanno ritenuto di ravvisare ipotesi di rea- to tecnicamente gestibili. Nonostante la difficolt dellimpresa, i pubblici ministeri palermitani coordina- ti dal procuratore aggiunto Antonio In- groia si sono spinti fino a oltrepassare la soglia dinanzi alla quale i colleghi di altre sedi si sono arrestati: la tesi accusatoria, infine escogitata dalla procura di Palermo, ipotizza che alcuni specifici momenti del- la cosiddetta trattativa configurino un con- corso criminoso nel reato di violenza o mi- naccia a un corpo politico (art 338 c.p.). Ipotesi plausibile in termini tecnico-giu- ridici? 2. Una vicenda storico-politica molto com- plessa e ambigua, suscettibile di valutazio- ni non univoche (anche alla luce del princi- pio della divisione dei poteri) Non questa la sede per ricostruire in dettaglio linsieme eterogeneo dei fatti su- scettibili di essere ricondotti sotto leti- chetta di una trattativa, o di pi tratta- tive che sarebbero intercorse fra la ma- fia e lo stato nei primissimi anni Novanta dello scorso secolo: con il duplice obietti- vo secondo lipotesi ricostruttiva dellac- cusa di un ammorbidimento della stra- tegia di contrasto della criminalit mafio- sa (grazie, ad esempio, a una attenuazione del rigore carcerario per i condannati sot- toposti al regime di cui allart 41 bis ord. penit.) e, pi in generale, della stipula di un nuovo patto di convivenza, di una nuo- va intesa compromissoria tra stato e Cosa nostra (nel solco, peraltro, di una tradizio- ne storica di non belligeranza risalente al secondo Ottocento). In sintesi, lipotesi storico-ricostruttiva privilegiata dal grup- po di pubblici ministeri guidati da Antonio Ingroia ribadita in scritti o interviste del- lo stesso Ingroia e, altres, recepita nel- lambito di una letteratura saggistica fian- cheggiatrice (1) riassumibile nel modo seguente. Dopo la conferma in Cassazione il 30 gennaio 1992 delle pesanti condanne in- flitte dai giudici del maxiprocesso, la qua- le ha avuto leffetto di mettere in crisi, an- che simbolicamente, la tradizionale im- punit dei boss, Cosa nostra avrebbe rea- gito ideando e in parte realizzando un pro- gramma stragista avente come fine ultimo la ricostruzione di un rapporto di pacifi- ca convivenza tra il sottomondo mafioso e il mondo politico-istituzionale: le stragi costituivano, in questa prospettiva, uno strumento necessario per piegare psicolo- gicamente il ceto politico di governo, nel senso di indurlo a desistere da una lotta a tutto campo contro la mafia, in vista di nuove intese basate sulla vecchia logica della reciprocit dei favori. Secondo fon- ti informative di matrice segreta, questo piano stragista iniziato con lomicidio del parlamentare siciliano Salvo Lima nel marzo del 1992 prevedeva luccisione di importanti uomini politici come Giulio Andreotti, Claudio Martelli, Calogero Mannino e altri: tutti colpevoli di aver vol- tato le spalle a Cosa nostra, di averla tra- dita e di non aver mantenuto le promesse di aggiustamento del maxiprocesso presso la Corte di cassazione. E in questo fosco e angosciante orizzonte, denso di mortali minacce incombenti e nello stes- so tempo imprevedibili, che nascerebbe liniziativa dei carabinieri del Ros solle- citata, secondo la prospettazione accusa- toria dei pm, da uno dei politici minac- ciati (cio Calogero Mannino) di contat- tare lex sindaco di Palermo Vito Cianci- mino come possibile tramite di comunica- zione con il vertice mafioso corleonese. Questa presa di contatto sfociata in pi in- contri, e ammessa peraltro nel corso del- le indagini dagli stessi ufficiali dei cara- binieri (Mori e De Donno) che ne sono sta- ti protagonisti, avrebbe avuto uno scopo esplorativo finalizzato a tentare qualche strada per far desistere la mafia dal por- tare a termine le azioni criminali pro- grammate. In termini pi espliciti: tastare il terreno per verificare cosa i capimafia potessero richiedere e cosa lo stato, dal canto suo, potesse ragionevolmente con- cedere per bloccare le minacce stragiste. Quanto fin qui succintamente accenna- to delinea lo scenario complessivo in cui si colloca la cosiddetta trattativa stato-ma- fia, nel cui ambito co- Palermo, omicidio Mangione (foto di Nicola Scafiti) Lorgano dellaccusa muove da un pregiudizio di grave disapprovazione etico-politica della presunta trattativa Un piano stragista che prevedeva luccisione, dopo Salvo Lima, di altri uomini politici: Andreotti, Martelli, Mannino Lindividuazione di possibili figure di reato: un punto non controvertibile, ma in questo caso probabilmente trascurato Lipotesi di una nuova intesa nel solco di una tradizione storica di non belligeranza che risale al secondo Ottocento Un saggio lo fa a pezzi IL PROCESSO SULLA TRATTATIVA E UNA BOIATA PAZZESCA Giovanni Fiandaca, tra i pi autorevoli studiosi di Diritto penale, considerato un maestro anche da Ingroia, sostiene che manca il movente, mancano le prove e che non chiara nemmeno la formulazione dei reati di Giovanni Fiandaca (segue nellinserto IV) ANNO XVIII NUMERO 128 - PAG IV IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 1 GIUGNO 2013 me si anticipato i pubblici ministeri palermitani hanno ritenuto di poter rav- visare, a carico dei protagonisti coinvolti (da un lato boss mafiosi, dallaltro ufficia- li dei carabinieri e uomini politici), uni- potesi di concorso criminoso nel reato di cui allart. 338 c.p. Ma, prima di entrare nel merito di questa specifica contesta- zione, siano consentite alcune considera- zioni a carattere preliminare, che hanno a che fare con la logica della divisione dei poteri istituzionali. La prima considerazione da cui pren- dere le mosse, e che potrebbe anche ap- parire superfluo esplicitare, questa: il perseguimento dellobiettivo di far cessare le stragi, in s considerato, mai potrebbe essere giuridicamente qualificato come il- lecito; al contrario, esso pu apparire do- veroso sotto un profilo sia politico che giu- ridico. E, in base al principio della divi- sione dei poteri, compete al potere esecu- tivo e alle forze di polizia ricercare le stra- tegie di intervento necessarie a prevenire la commissione di atti criminosi o a inter- romperne la prosecuzione. Senza che, pe- raltro, la legittimit di tali interventi possa considerarsi condizionata a forme di pre- ventiva autorizzazione o di preventivo as- senso da parte dellautorit giudiziaria. A maggior ragione in momenti di grave e drammatica emergenza, connotati da un diffuso e imprevedibile rischio stragista (come furono, appunto, quelli vissuti nel 92-93) rientra nella discrezionalit politi- ca del governo valutare i pro e i contro, in termini di bilanciamento costi-benefici, della scelta di fare eventuali concessioni ai contropoteri criminali in cambio della cessazione delle aggressioni mortali. Posto che una simile scelta politica ri- sulterebbe piaccia o non piaccia pe- nalmente non censurabile (tranne, ovvia- mente, che si incorra in violazioni palesi e in ogni caso ingiustificabili della legalit penale), sembra per questa stessa ragione difficile ipotizzare che ricadrebbe in una- rea di illiceit penale il comportamento di quanti a vario titolo, sul versante politico- istituzionale, prestano un contributo alla realizzazione di iniziative finalizzate ad ar- ginare la violenza mafiosa. Ma in proposi- to i magistrati della procura di Palermo manifestano un convincimento contrario, cio incline alla criminalizzazione di que- gli esponenti politico-istituzionali che avrebbero avuto un ruolo nel favorire la presunta trattativa (o le presunte trattati- ve). Assai verosimilmente, una simile pro- pensione criminalizzatrice muove come gi accennato da una precomprensione etico-politica (e ancor prima emotiva) orientata nel senso di una assoluta disap- provazione: sino al punto di avvertire ogni ipotesi di possibile trattativa come una eventualit da far rabbrividire (2). In questa ottica di incondizionata condanna politica e morale, il rispetto del principio costituzionale della divisione dei poteri non trova alcuno spazio; e lunica legalit possibile finisce con lessere quella rita- gliata sul modello di una lotta alla mafia che vede come unica istituzione compe- tente la magistratura, stigmatizzando come interferenza illecita ogni intervento auto- nomo di ogni altro potere istituzionale. Sulla base di questi presupposti, implici- tamente diventa dunque la magistratura lunico organo depositario del potere di stabilire cosa competa (o non competa) al governo e agli organi di polizia per salva- guardare anche in forma preventiva lor- dine pubblico, fronteggiando il rischio di future aggressioni criminali. Ogni devia- zione da questo schema, oltre a essere cen- surabile sul piano etico-politico, non po- trebbe non risultare altres sindacabile al- la stregua di una legalit penale concepi- ta per come vedremo in unottica pi sostanzialistica, che rispettosa dei vin- coli formali della tipicit delle fattispecie que trovati di fronte a scelte politico-di- screzionali imputabili a soggetti istituzio- nali in qualche modo e misura competen- ti, ancorch operanti in modo poco traspa- rente. Ma, se di opzioni politico-istituzio- nali pur sempre riconducibili a organi competenti ad adottarle si davvero trat- tato, ancora una volta non si vede ap- punto come si possa pretendere di eser- citare un sindacato penale con riferimen- to anche alle sole attivit preparatorie che hanno precostituito il terreno favorevole ad un esercizio di discrezionalit politico- governativa pro-negoziato. Rimane, peraltro, da chiedersi a questo punto quali concessioni lo stato abbia in concreto finito col fare allesito del tortuo- so percorso trattativista, e quali effettivi vantaggi ne abbia tratto Cosa nostra. Pro- prio in unottica di risultato, quel che ri- mane sfumato e che i pubblici ministeri non si sono sforzati di chiarire se i di- versi approcci finalizzati allo scellerato patto abbiano prodotto frutti sostanziosi, o siano rimasti allo stadio di tentativi privi di esiti tangibili (5). Per quanto se ne sa, se c un beneficio concreto che la mafia ha conseguito, questo viene dallorgano del- laccusa individuato nella revoca di alcu- ni provvedimenti ex art. 41 bis ord. penit. disposta dal ministro della Giustizia Gio- vanni Conso nellanno 1993 nei confronti di circa trecento mafiosi di livello per tutto sommato modesto. Non risultano, per il re- sto, altre forme di cedimento riconducibi- li a decisioni del governo o di suoi espo- nenti. La montagna ha dunque partorito un topolino? Tanto rumore per nulla? Ma, per comprendere meglio il senso complessivo dellimpostazione accusatoria dei pubblici ministeri, bisogna in realt compiere un passo indietro e spiegare an- che la intrigante genesi dellindagine giu- diziaria sfociata infine nella richiesta di rinvio a giudizio per i presunti protagoni- sti della trattativa. 3. Un passo indietro: lambiziosa inquisitio generalis sui sistemi criminali integrati Lindagine predetta ha come retroterra una cornice investigativa ben pi ampia e ambiziosa, intitolata dagli stessi pubblici ministeri sistemi criminali. Questa inso- lita e curiosa intitolazione faceva riferi- mento a una investigazione dai confini as- sai estesi una vera e propria inquisitio generalis, che andava alla ricerca di (assai pi di quanto non prendesse le mosse da) ipotesi specifiche di reato incentrata, precisamente, su di un lungo arco tempo- rale che partiva dalla seconda met degli anni Ottanta e giungeva quasi alla fine de- gli anni Novanta, includendo dunque fasi antecedenti e successive alle stragi mafio- se: lintuizione di fondo sottostante a que- sta grande indagine (poi, invero, sfociata in diversi provvedimenti di archiviazione) consisteva nellidea di un intreccio e di una interazione tra un sistema criminale mafioso e un sistema criminale non mafio- so, costituito da massoneria deviata, fi- nanza criminale, destra eversiva e frange dei sevizi segreti (6). Questa coesistenza di sistemi criminali diversi avrebbe avuto alla base, pi che ununica regia, una con- vergenza di interessi in vista del comune obiettivo di rifondare il rapporto con la politica. Sicch, pur trattandosi di entit criminali autonome, si sarebbe assistito a una oggettiva confluenza e integrazione di pi sistemi criminali in un unico sistema criminale complesso. In questo tessuto composito, avrebbero rivestito un ruolo chiave di elementi di collegamento uomi- ni-cerniera come Marcello DellUtri (7). Per completare il quadro, rimane a que- sto punto da aggiungere che, nella visione dei pubblici ministeri, una funzione deci- siva sarebbe spettata alla nascita e allaf- fermazione del nuovo soggetto politico rappresentato da Forza Italia. Nel senso che questa forza emergente avrebbe finito Omicidio Mineo (foto di Nicola Scafiti) Lobiettivo di far cessare le stragi, di per s, non potrebbe mai essere giuridicamente qualificato come illecito Non si capisce se i diversi approcci finalizzati al patto scellerato abbiano prodotto frutti sostanziosi o siano rimasti tentativi In unottica di incondizionata condanna politica e morale, il rispetto della divisione dei poteri non trova alcuno spazio Lidea di un intreccio tra un sistema criminale mafioso e uno no (massoneria deviata, finanza criminale, destra eversiva) incriminatrici. E vero che si potrebbe a questo punto obiettare che lenfasi fin qui posta sul principio della divisione dei poteri non tiene conto di un dato: cio che le inizia- tive volte a venire in qualche modo a pat- ti con Cosa nostra, lungi dallessere deli- berate in forma uffi- ciale dal governo, sa- rebbero state realiz- zate in maniera oc- culta, e avrebbero avuto, per di pi, co- me presunti registi o interlocutori perso- naggi politici che avevano anche un in- teresse egoistico a salvare la propria pelle (come, ad esem- pio, nel caso emble- matico di Calogero Mannino, che rientra- va nel novero dei po- litici direttamente minacciati di morte) o, comunque, a ripristinare rapporti di inte- ressata convivenza con la mafia (come sa- rebbe stato il caso di Marcello DellUtri, anche nel ruolo di fondatore della na- scente Forza Italia e dunque di possibile collegamento politico con Silvio Berlu- sconi). Ora, che elementi di forte ambi- guit e interessi non sempre nobili abbia- no contribuito a rendere meno chiaro e trasparente lo scenario trattativista, molto verosimile. Ma ci basta a modifica- re il carattere di in- trinseca liceit (se non di doverosit) dei tentativi di argi- nare il rischio stragi- sta, trasformando i negoziatori istituzio- nali in una cricca pri- vata in combutta con la mafia per il perse- guimento di interessi egoistici e ignobili? Verosimilmente, non basta. Che il contesto trattativista abbia presentato, nonostan- te tutto, momenti ine- vitabili di coinvolgimento dei piani alti delle istituzioni, sono gli stessi autori del- lindagine giudiziaria a metterlo in evi- denza, a cominciare dal procuratore ag- giunto Antonio Ingroia, il quale espressa- mente sostiene: Appena la trattativa vie- ne avviata la necessit di salvare i politi- ci (e con essi si ha la pretesa di salvare la Repubblica) assume una grande rilevanza istituzionale, e lo sta- to si attiva per rimuo- vere tutti i possibili ostacoli al riguardo (3). Ma, se cos si d per scontato un im- pegno dello stato in quanto tale, per altro verso ignoranza e in- certezza tornano a prevalere rispetto sia allesistenza di una regia unitaria dei tentativi di accordo con la mafia, sia al- lindividuazione di tutti i co-protagonisti impegnati nelle cor- rispondenti attivit preparatorie. In base agli elementi di co- noscenza disponibili, sembrano consentite soltanto congetture o ipotesi. Tra queste, quella di una entrata in campo dei servizi di sicurezza unita- mente a un intervento dellallora capo del- la polizia Parisi, il quale avrebbe a sua volta ricercato e rinvenuto unautore- vole sponda istituzio- nale nel presidente della Repubblica Scalfaro. E si sospet- ta un possibile ruolo proprio del presiden- te Scalfaro nel far s che Giuliano Amato, da lui incaricato nel giugno del 1992 di for- mare un nuovo gover- no, sostituisse i pre- cedenti ministri del- lInterno e della Giu- stizia Scotti e Martel- li (mostratisi troppo combattivi contro la mafia) con i nuovi mi- nistri Mancino e Con- so, considerati pi di- sponibili ad allentare il rigore antimafioso (4). A ben vedere, ipotesi ricostruttive di questo tipo confermereb- bero in realt che, pur in un quadro poco chiaro da arcana imperii, ci si comun- Linventore Roberto Scarpinato. Dal febbraio scorso procuratore generale di Palermo, il ma- gistrato che ha legato gran parte del suo lavoro allistruzione di uninchiesta prati- camente senza fine e senza confini: quella sui cosiddetti sistemi criminali. Un con- tenitore dove sono finiti, a varie riprese, boss e uomini politici, massoni e servizi se- greti deviati. A parte i sistemi criminali, che hanno assorbito gran parte del suo im- pegno professionale, Scarpinato viene pu- re ricordato per avere sostenuto, con Gui- do Lo Forte e Gioacchino Natoli, laccusa al processo Andreotti. Il regista Antonio Ingroia. E laggiunto che, su delega del procuratore Francesco Messi- neo, ha coordinato il pool dellinchiesta sulla presunta trattativa tra i boss mafiosi e alcuni uomini delle istituzioni. Nel no- vembre scorso, quando limponente fasci- colo doveva ancora andare al giudice Pier- giorgio Morosini, chiamato a decidere sui rinvii a giudizio, Ingroia lascia Palermo e parte per il Guatemala, chiamato dallOnu a organizzare un servizio di contrasto alla criminalit di quel paese. Ma ci resta poco pi di un mese perch decide di fondare un partito, Rivoluzione civile, e di candidarsi premier alle elezioni nazionali del 24 e 25 febbraio. Non raggiunge il quorum e rien- tra in magistratura. Il Csm lo assegna ad Aosta, lui non accetta e si mette in ferie. Ci rester fino al 20 giugno. Il bluff della Trattativa MA IL CAPO DIMPUTAZIONE NON REGGE Grandi boss della mafia e uomini della politica e delle istituzioni non possono essere accomunati quali complici dello stesso reato (segue dallinserto III) ANNO XVIII NUMERO 128 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 1 GIUGNO 2013 per interpretare, facendosene carico, quel- la esigenza di rinnovato compromesso tra politica e poteri criminali che la strategia stragista aveva violentemente manifestato a suon di bombe. Non a caso, liter argo- mentativo sviluppato fino in fondo dai pub- blici ministeri perviene alla conclusione che la strategia stragista della mafia si sa- rebbe infine arrestata, per il progressivo esaurimento delle sue ragioni ispiratrici, proprio con lavvento del governo berlu- sconiano: il quale, secondo questa sugge- stione accusatoria, avrebbe infatti assolto la funzione di dare rappresentanza o di fornire copertura legale a interessi crimi- nali di natura eterogenea ma convergente. E, in questo quadro ricostruttivo a tinte as- sai fosche, ha perfino fatto capolino il so- spetto di un possibile coinvolgimento nel- le azioni stragiste del 93-94 (di Roma, Fi- renze e Milano) degli stessi Marcello Del- lUtri e Silvio Berlusconi. Unipotesi accu- satoria cos enorme, infine archiviata (8), aveva in origine una sua autentica plausi- bilit o era soprattutto frutto di un pregiu- dizio demonizzante? In effetti, a meno di cedere a una incoercibile tentazione di leggere gli eventi secondo unottica omni- criminalizzatrice, non sembrano esservi motivi oggettivamente forti per supporre che il passaggio dal vecchio assetto di po- tere basato sulla Dc a quello nuovo (im- personato da Berlusoni) avesse bisogno di stragi come condizione necessaria del suo compimento (9). Non c, forse, bisogno di essere storici o politologi di professione per diagnostica- re nel tipo di narrazione sviluppata dalla magistratura requirente un eccesso (per dir cos) di precomprensione mafiocen- tirca e, pi in generale, criminalizzatrice. Larco temporale di storia italiana fatta og- getto di inquisitio generalis nellambito del- lindagine sui sistemi criminali pu es- sere davvero ricostruito in una chiave pe- nalistica, cos finendo col trascurare la complessit e leterogeneit dei fattori di contesto che contribuivano a spiegare, in questo come del resto in quasi tutti i pe- riodi storici, lavvicendamento delle forze politiche al potere e dei relativi protago- nisti? La tentazione giudiziale di rileggere le dinamiche storico-politiche del nostro paese come se la loro chiave di volta fosse da rinvenire nellinfluenza soverchiante esercitata dai poteri criminali riflette, ve- rosimilmente, una tendenza semplificatri- ce frutto di una sorta di deformazione pro- fessionale tipica della magistratura pi impegnata sul fronte dellantimafia. Si tratta, del resto, di forzature interpretative gi stigmatizzate da valorosi storici di pro- fessione (come Salvatore Lupo), i quali mettono criticamente in guardia dalla fa- cile propensione a dare per scontato lin- tervento di poteri e mandanti occulti (mai peraltro provato in sede giudiziaria) e a congetturare legami sistemici tra questi poteri e luniverso mafioso (10). In propo- sito, stato significativamente osservato proprio da Salvatore Lupo: Continuo a non capire, per fare un esempio, per qua- le ragione i grandi poteri affaristico-poli- tici, spesso chiamati in causa avrebbero dovuto affidare a Cosa nostra il mandato per la strage degli Uffizi. Sarebbe fin troppo facile, proseguendo nella critica al- la tendenza giudiziale a evocare perversi quanto indefiniti intrecci tra poteri crimi- nali ed entit occulte (servizi segreti, mas- soneria deviata, finanza criminale et simi- lia), avanzare il sospetto che neppure i ma- gistrati dellaccusa siano immuni da quel- la sindrome nota come ossessione del complotto, che incessantemente alimenta di epoca in epoca le teorie cosiddette cospirative della storia: le quali tendono a spiegare avvenimenti che hanno cause plurime e complesse, e perci difficili da individuare, come se fossero appunto frut- to di diabolici disegni e di strategie unita- rie nelle mani di Signori del male o del cri- al potenziamento di una cultura antima- fiosa e non si certo impegnata per laf- fermazione del primato della legalit (15). Ma altrettanto vero, per altro verso, che nessun colpo demolitore stato inferto al- la legislazione antimafia; e che, nonostan- te laspro e duraturo conflitto esploso fra politica e giustizia, alla magistratura pe- nale non stato affatto impedito di prose- guire nella sua attivit repressiva, n le stato impedito di dirigere e portare a ter- mine indagini che hanno condotto alla cat- tura di boss anche di prima grandezza. Ci, sul piano dei fatti, non va trascurato: la trattativa, da questo punto di vista, non ha in realt procurato ai mafiosi i vantaggi sperati. Alla fine di tutti i rilievi che precedono, ci sono motivi per prospettare volenti o nolenti questo interrogativo di fondo al- quanto imbarazzante: stato opportuno immettere e diffondere nella sfera pubbli- ca gli assai infamanti sospetti giudiziari di possibili connessioni fra lo stragismo ma- fioso e laffermazione politica di Silvio Berlusconi, e ci prima che si procedesse a una approfondita verifica (anche pre- ventiva) del loro grado di fondatezza? In realt, si creata una interazione crimi- nalizzatrice allinsegna dellantiberlusco- nismo tra settori della magistratura di punta, settori del sistema mediatico incli- ni a un lavoro di sponda e settori dellop- posizione politica, la quale ha provocato un effetto perverso: quello di esacerbare oltremisura il conflitto politico, veicolando come dimostrata lipotesi, in realt tutta da dimostrare, dellorrenda complicit di Berlusconi e DellUtri nello stragismo. Questa micidiale tossina, capace di avve- lenare il funzionamento della democrazia italiana, provocando atteggiamenti di sfi- ducia e di delegittimazione reciproca fra i versanti politici in conflitto, non stata ef- ficacemente contrastata nemmeno dalla parte pi vigile e critica del mondo intel- lettuale. E come se la cultura di orienta- mento antiberlusconiano, inclusa quella universitaria, avesse in larga misura pre- ferito non impegnarsi sul serio nel dibat- tere pubblicamente la credibilit degli scenari sconvolgenti azzardati nei labora- tori giudiziari, cos sottraendosi al disagio di prendere di petto questioni molto dram- matiche e imbarazzanti, o talvolta pre- stando fede con corrivit alle verit osce- ne congetturate nel chiuso delle procure (16). Comunque, limpressione complessiva che, allesterno dei recinti della magistra- tura antimafia, lipotesi di un Berlusconi complice delle stragi non sia riuscita a im- porsi come verit accettabile da parte di unampia maggioranza di cittadini. E non soltanto perch si sarebbe trattato di qual- cosa di inaccettabile per un senso comune diffuso. A prestar fede allidea di un cri- minoso connubio tra stragismo mafioso e successo politico berlusconiano, come con- tinuare a convivere con un governo gene- rato dal crimine, seguitando a osservare tranquillamente i riti di unapparente nor- malit democratica? Fuori da ogni cinismo ipocrita, di fronte a una cos intollerabile abnormit, coerenza e sensibilit etico-po- litica avrebbero imposto di scendere nel- le piazze e di combattere il criminale al potere con ogni mezzo, perfino con le armi (17). 4. La scarsa plausibilit della specifica fi- gura di reato (art. 338 c.p.) ipotizzata a cari- co dei protagonisti della trattativa Il quadro fin qui riassunto, per quanto carente degli elementi di dettaglio, deli- nea lorizzonte in cui viene a collocarsi lindagine pi specifica sfociata nella ri- chiesta di rinvio a giudizio di dodici pre- sunti protagonisti della trattativa per il reato di violenza o minaccia a un corpo po- litico dello stato (art. 338 e 110 c.p.). Va subito rile- Omicidio Bonanno (foto di Nicola Scafiti) Ha fatto capolino anche il sospetto di un possibile coinvolgimento di DellUtri e Berlusconi nelle stragi del 93-94 Uninterazione criminalizzatrice allinsegna dellantiberlusconismo tra settori della magistratura, del sistema mediatico e dellopposizione Gli storici mettono in guardia dalla facile propensione a dare per scontato lintervento di poteri e mandanti occulti Allesterno dei recinti della magistratura antimafia non stata accettata lipotesi di un Berlusconi complice delle stragi mine (12). Comunque sia, forse superfluo a que- sto punto esplicitare che, agli occhi di un giurista sensibile ai principi, unindagine giudiziaria di cos grande ampiezza come quella incentrata sui sistemi criminali non pu non appari- re poco ortodossa (se non proprio ab- norme). Sarebbe quindi il caso che vi soffermassero la loro attenzione critica gli studiosi del processo penale, e ci allo sco- po di verificare i li- miti di compatibilit di imprese investiga- tive di tale vastit con le regole che di- sciplinano il proces- so penale nellattua- le ordinamento. Che in proposito potesse sorgere qualche pro- blema non certo sfuggito a un esperto magistrato dellaccusa come Antonio In- groia, il quale ha a questo riguardo am- messo: Era unindagine molto ambiziosa, che spingeva fino al limite le potenzialit dello strumento della giurisdizione pena- le. E forse anche per questo non siamo riu- sciti ad arrivare fino in fondo con un pro- cesso. Occorreva trovare prove concrete nei confronti di persone determinate ri- spetto a reati specifici e non ci siamo riu- sciti (13). Come sembra comprovato da questa franca ammissione, lavvio di inda- gini ad amplissimo spettro secondo il mo- dello dellinquisitio generalis, lungi dal muovere dalla previa individuazione di ipotesi specifiche di reato, funge da sonda esplorativa diretta in primo luogo ad ac- certare fenomeni criminali di cui si con- gettura lesistenza, mentre la possibilit di scoprire concreti fatti illeciti e i relativi autori rimane un obiettivo eventuale ed incerto. Da questo punto di vista, lap- proccio ricostruttivo appare pi simile a quello di uno storico o di un sociologo im- pegnati nello studio di contesti di ampio respiro, che non a quello di un magistra- to vincolato alle regole e alle finalit del- lindagine giudiziaria e del processo pe- nale concepito in senso stretto. Ma, per tornare ancora alla questione cruciale del tipo di copertura che il go- verno berlusconiano avrebbe finito col fornire ai poteri criminali, in particolare a quelli a carattere mafioso, viene da chie- dersi: che cosa effettivamente sta dietro alla tesi per dirla ancora una volta con Ingroia di una legalizzazione degli in- teressi criminali pas- sata attraverso lazze- ramento della vec- chia classe politica? (14). Una tale legaliz- zazione andrebbe in- tesa in senso effettua- le o in un senso (per dir cos) simbolico- culturale? E verosi- mile che sia pi per- tinente la seconda ac- cezione, che pu es- sere esplicitata nei seguenti termini: la cultura politica del berlusconismo, privi- legiando il libero dispiegamento dellin- dividualismo egoistico e dispregiando di conseguenza il valore delle regole, ha di fatto alimentato un clima propizio al diffondersi degli illegalismi, cagionando un gravissimo decadimento delletica pub- blica; in questo senso ha poco contribuito Non pi di dieci o undici mesi fa, quando il professore Fiandaca, autore di questo saggio, manifest in pubblico le sue perplessit sul- la consistenza giuridica del processo sulla Trattativa, il procurato- re Antonio Ingroia che di quel processo stato il maestro compo- sitore, concertatore, arrangiatore e direttore dorchestra fece buon viso a cattivo gioco: Se il professore Fiandaca, che io considero un mio maestro, sostiene che la trattativa in s non un reato io non posso che essere daccordo con lui. Ma Giovanni Fiandaca, titola- re di Diritto penale allUniversit di Palermo, non considerato un maestro solo da Ingroia. Ha rappresentato e rappresenta tuttora un punto di riferimento, oltre che per il mondo accademico, anche e soprattutto per la cultura di sinistra. Basti pensare che, nel 1994, su indicazione dellarea progressista, viene nominato allunanimit dal Parlamento membro laico del Consiglio superiore della magi- stratura. Le sue pubblicazioni non si contano, il manuale di Diritto pena- le pi diffuso nelle universit e nelle aule di giustizia porta la sua fir- ma. E tra gli studiosi di scienze giuridiche pi conosciuti in Italia. Il mondo della sinistra, in particolare, lo ha sempre considerato un suo fiore allocchiello e, in materia di Diritto penale, gli attribuisce la stessa autorevolezza per esempio riservata, in materia di Diritto costituzionale, a Valerio Onida. Ritratto di Fiandaca, che anche Ingroia chiamava maestro Il bluff della Trattativa UNA RIEDIZIONE DEI SISTEMI CRIMINALI Le minacce mafiose erano oggettivamente tali da poter condizionare il governo, annullandone il potere di libera determinazione, o da turbarne comunque lattivit? (segue nellinserto VI) ANNO XVIII NUMERO 128 - PAG VI IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 1 GIUGNO 2013 INGROIA, IL PM CHE DIVENTA vato che la prospettazione di questipotesi criminosa frutto di una escogitazione a posteriori e in via residuale, nel senso che essa sembrata apparire ai pubblici mi- nisteri lunico ancoraggio per conferire una veste delittuosa ad alcuni segmenti di una vicenda molto articolata e complessa, ma irriducibile a qualificazioni penalisti- che sicure e univoche alla stregua di pa- radigmi di incriminazione meno eccentri- ci rispetto a quello infine escogitato. In ter- mini pi semplici ed espliciti: per dare le- gittimazione giuridica al preconcetto del- la sostanziale illiceit della trattativa, una qualche figura di reato cui ancorarsi do- veva essere rinvenuta a ogni costo, e dun- que anche al prezzo di possibili forzature. Che si tratti di una imputazione strumen- tale a obiettivi di pregiudiziale incrimina- zione , daltra parte, comprovabile me- diante una rigorosa analisi della imposta- zione accusatoria e delle argomentazioni sottostanti. Orbene, si imputa in sintesi ad alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra (Riina, Provenzano, Brusca, Bagarella e Cin), a tre alti ufficiali del Ros (Subranni, Mori e De Donno) e a due uomini politici (Manni- no e DellUtri) di avere insieme concorso a turbare la regolare attivit del governo italiano con minacce consistite nel pro- spettare lorganizzazione e lesecuzione di omicidi e stragi (alcuni dei quali effettiva- mente commessi), e finalizzate a esercitare pressioni psicologiche in vista dellacco- glimento di benefici richiesti da Cosa no- stra (18). Una imputazione cos congegna- ta tale da giustificare davvero una sus- sunzione del fatto sotto lipotizzata fatti- specie incriminatrice di cui allart. 338 c.p.? A ben guardare, sono avanzabili obie- zioni critiche sul duplice versante delle- lemento oggettivo e dellelemento sogget- tivo. Ma, prima di esplicitarle, appena il ca- so di avvertire che nei confronti dei con- correnti mafiosi la prospettazione del rea- to predetto si traduce in una modalit di incriminazione aggiuntiva rispetto alla ben pi pesante forma di responsabilit penale che su di essi gi comunque grava per le azioni stragiste alla cui realizzazio- ne hanno a vario titolo contribuito; mentre il ricorso allart 338 c.p. assolverebbe una funzione incriminatrice primaria solo nei confronti degli altri protagonisti della trat- tativa estranei alluniverso mafioso: per cui soprattutto la perseguita punibilit di questi ultimi a spiegare lescogitazione, al- trimenti poco spiegabile, di una forma di imputazione cos eccentrica. In aggiunta, non forse superfluo tornare a evidenzia- re leffetto simbolico di forte etichetta- mento censorio di unaccusa che consente di accomunare, quali complici di uno stes- so reato, da un lato grandi boss mafiosi e dallaltro soggetti appartenenti al mondo della politica e delle istituzioni. 4.1. Fatte queste premesse, allo scopo di analizzare pi da vicino il ragionamento giudiziale sviluppato per giustificare lap- plicabilit della fattispecie di cui allarti- colo 338 c.p., utile fare riferimento alle argomentazioni contenute nella memoria del 5 novembre 2012, che la procura di Pa- lermo ha presentato a sostegno della ri- chiesta di rinvio a giudizio. Questa memoria (non particolarmente lunga: una ventina di pagine) contiene una prima parte a carattere pi generale, dove prevalgono considerazioni di sfondo di ti- po storico-politico e socio-criminologico volte a inserire il tema della trattativa in un contesto ben pi ampio, inclusivo del- le presunte implicazioni che la caduta del Muro di Berlino avrebbe avuto sulle dina- miche del rapporto mafia-politica; e una seconda parte, nella quale viene pi di- rettamente affrontata la sostanza giuridi- ca (sic!) della contestazione. Per quanto pi generale e generica, an- che la prima delle due parti va letta con at- tenzione perch a prescindere dalla con- divisibilit delle interpretazioni storico- politiche prospettate concorre a spiegare la logica sottostante allimputazione, spe- cie dove i pm cercano di chiarire che cosa intendano per trattativa. Invero, comin- ciando dallarco temporale di riferimento, questultima si sarebbe dispiegata in pi fasi collocate nel biennio 1992-1994. Ci solleva immediatamente il dubbio, se si possa parlare di una trattativa unica, o di pi trattative avvinte da un qualche dise- gno o nesso unificante. La risposta dipen- de, ovviamente, dal tipo di angolazione vi- suale che si presceglie; e da tale scelta pos- chieste di benefici, in termini di alleggeri- mento della pressione repressiva da parte dello stato, in cambio dei quali Cosa nostra avrebbe posto fine alla strategia omicidia- ria avviata nel 1992), si sarebbe verificata nella stessa fase tem- porale unaltra trat- tativa, apparente- mente autonoma e di- stinta, ma in realt connessa alla prima, avente come specifi- co oggetto questa volta la promessa da parte della mafia di restituire al patrimo- nio pubblico pregia- tissime opere darte rubate e, come con- tropartita, la conces- sione degli arresti do- miciliari ad alcuni boss di vertice. Orbene, dallinsie- me di tutti questi ri- ferimenti contenuti nella memoria redat- ta dallaccusa si desu- me un quadro tratta- tivista molto comples- so e articolato, che si presta in verit a let- ture non univoche gi in punto di fatto. Non ci troviamo di fronte a vicende su- scettibili di essere ricondotte, con un gra- do di certezza al di l di ogni ragionevole dubbio, a una sola e unitaria narrazione processuale; la possibilit di pi letture parrebbe non esclusa, in particolare, ri- spetto alla controvertibile esistenza di un unico e coerente disegno, condiviso nei contenuti da tutti i protagonisti, capace davvero di fungere da colla idonea a tenere insieme tenta- tivi di intesa che si frammentano in epi- sodi diversi, si collo- cano in contesti tem- porali differenziati e si impersonano, di volta in volta, in atto- ri mutevoli. Non un caso che siano gli stessi pubblici mini- steri come si visto a mettere in eviden- za la propensione di Cosa nostra ad adat- tare i suoi piani di azione ai cambia- menti contingenti del contesto di riferi- mento, al di fuori di schemi rigidi e pre- determinati in antici- po. Se le cose stanno co- s, ne deriva allora come possibile risvolto tecnico-giuridico un notevole incremento di difficolt nel giustificare, non ultimo sul piano dellele- mento soggettivo, la configurabilit di un concorso penalmente rilevante da parte dei presunti attori politico-istituzionali nelle minacce o violenze realizzate dai ma- fiosi ai danni del governo. In termini pi espliciti: i protagonisti esterni a Cosa no- stra erano costantemente consapevoli de- gli obiettivi via via perseguiti dalla mafia con una chiarezza tale da rendere plausi- bile un loro dolo di concorso nelle minac- ce rivolte al governo? (v. anche infra, 4.5). 4.2. Ma procediamo per gradi, a partire dallelemento oggettivo del reato contesta- to. A questo scopo, utile richiamare la se- conda parte della memoria dellaccusa, quella in cui come anticipato si proce- de alla costruzione della impalcatura giu- ridica dellimputazione, preliminarmente puntualizzando: Il presente procedimen- to non ha per oggetto in senso stretto la trattativa. Nessuno imputato per il solo fatto di aver trattato. Non ne sono imputa- ti i mafiosi e neppure gli uomini dello sta- to. Piuttosto, seguitano a precisare i pub- blici ministeri, la contestazione si riferisce a precise e specifiche condotte di reato realizzate nellambito della trattativa ed attribuite, rispettivamente, a soggetti in- tranei ed estranei alla mafia. Ai primi (cio ai mafiosi di vertice Rii- na, Provenzano, Brusca, Bagarella e al po- stino Cin), si imputa in realt un ruolo di autori immediati del delitto principa- le, in quanto hanno commesso, in tempi di- versi, la condotta tipica di minaccia a un corpo politico dello stato, in questo caso il governo, con condotte diverse, ma avvinte da un medesimo disegno criminoso. Ora, volendo sorvolare su una certa approssi- mazione di linguaggio tecnico, quel che laccusa sembra voler dire che gli uomi- ni di mafia chiamati in causa sarebbero stati gli esecutori di condotte tipiche di mi- naccia. Ma lecito chiedersi: mediante quali modalit esecutive concrete? In ef- fetti, a prendere sul serio lesigenza di pre- cisione della contestazione, innanzitutto quale riflesso del principio penalistico di tipicit, sarebbe onere dellaccusa circo- scrivere anche in dettaglio i fatti addebi- tati. Ma questonere nel caso di specie non risulta assolto cos come in teoria si do- vrebbe. Invero, in base a quanto dato com- prendere, le condotte realizzate dai ma- fiosi avrebbero una valenza minacciosa in un primo tempo implicita e, successiva- mente, anche esplicita. Linizio della strategia criminale di con- dizionamento del governo, secondo i pub- blici ministeri, coincide con lassassinio delleuroparlamentare siciliano Salvo Li- ma nel marzo del 1992: ma in questa fase sembrerebbe trattarsi di una minaccia ma- nifestata in forma non espressa, simbolica, per facta concludentia. Nessun dubbio sul- la configurabilit in punto di diritto di mi- nacce attuate anche in forma implicita; so- lo che, al di l della forma di manifesta- zione utilizzata, la valenza e la direzione minacciosa del fatto dovrebbero in ogni ca- so poter essere colte in maniera sufficien- temente univoca. E cos anche nel caso del delitto Lima? In effetti, se si considera la fase temporale in cui questomicidio si col- loca, insieme con la catena di eventi che immediatamente lo precede, la sua obiet- tiva leggibilit in chiave di manifesto an- nuncio di una strategia del terrore ten- dente a piegare lo stato mediante la pro- spettazione di omicidi futuri di altri uomi- ni politici (prospettazione che si vorrebbe implicita nella presunta valenza in questo senso simbolica del medesimo delitto Li- ma), appare tuttaltro che scontata. Piutto- sto, nel marzo 1992 (e cio a poca distanza dal passaggio in giudicato delle severe condanne inflitte nel maxiprocesso), leli- minazione di Lima poteva ben essere in- terpretata come una punizione a carattere retrospettivo, cio come una semplice ven- detta per il mancato aggiustamento in Cassazione dei pesantissimi esiti repressi- vi del lavoro giudiziario di Falcone e Bor- sellino: una ritorsione, dunque, anche per la umiliante smentita della tradizionale fa- ma di impunit dei boss. Nella narrazione ricostruttiva dellaccu- sa, alla presunta minaccia implicita nel delitto Lima avrebbero fatto seguito mo- menti di minaccia anche espressa, coinci- denti in particolare con la predisposizio- ne e linoltro del c.d. papello, cio del te- sto contenente le richieste dei benefici che il governo avrebbe dovuto concedere in cambio dellinterruzione degli attacchi stragisti. Secondo i pubblici ministeri, li- noltro di tale documento costituirebbe un ulteriore momento esecutivo della condot- ta tipica (in mancanza di ulteriori preci- sazioni, da presumere della condotta ti- pica ai sensi dellart 338 c.p.). Sennonch, a questo punto sorge un problema di qua- lificazione penalistica che sembra sfuggire ai magistrati palermitani. Cio, se vero che la trattativa in se stessa priva di ri- levanza penale; e se vero che una tratta- tiva per aver svolgimento presuppone uno scambio comunicativo fra le parti, finaliz- zato ad accertare le rispettive condizioni dellintesa da stipulare, come pu allora linoltro del papello costituire, di per s, momento esecutivo di una minaccia pe- nalmente rilevante? Riprendendo il filo della narrazione ac- cusatoria, dopo la presentazione delle ri- chieste mafiose si sarebbero succeduti ul- teriori episodi di minaccia realizzati di nuovo in forma implicita, e di entit gra- vissima, perch sfociati (oltre che nelluc- cisione prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino, nel maggio e nel luglio 1992) in attentati mortali in luoghi pubbli- ci ai danni di vittime innocenti nel corso del 1993. Al riguardo, appena il caso di ri- levare che sebbene la memoria dei pub- blici ministeri si astenga dal fare le dovu- te precisazioni in proposito i capi di Co- sa nostra menzionati nel capo di imputa- zione difficilmente potrebbero essere tut- ti ugualmente qualificati come esecutori materiali di condotte violente riconduci- bili (oltre che a ben pi gravi figure di rea- to, anche) alla fattispecie incriminatrice di cui allart. 338 c.p.: delle condotte violente in questione, tradottesi in eventi stragisti- sono anche derivare indicazioni sul modo di ricostruire le condotte candidabili ad assumere rilievo penale. E da notare che in proposito la lettura della memoria scritta della procura evi- denzia qualche oscillazione (se non pro- prio incoerenza) nel modo di argomentare dellaccusa. Per un verso, i pubblici mini- steri affermano che le prove raccolte ap- paiono sufficienti per ricostruire la trama di una trattativa, sostanzialmente unitaria, omogenea e coerente, ma che lungo il suo iter ha subito molteplici adattamenti, ha mutato interlocutori e attori, da una parte e dallaltra, allungandosi fino al 1994, al- lorquando le ultime pressioni minacciose finalizzate ad acquisire benefici e assicu- razioni hanno ottenuto le risposte attese (quali tipi di risposte appaganti i mafiosi abbiano ricevuto, e in particolare da par- te di chi non viene per esplicitato; e que- sta non certo una omissione irrilevante in un contesto argomentativo che dovreb- be sorreggere una imputazione penale). Mentre in una parte successiva della stes- sa memoria si legge: la stipula del patto politico-mafioso si dispieg attraverso va- ri tentativi in successione []. Nel piano criminale di quella stagione non ci fu una progressione rigidamente predeterminata, almeno da parte di Cosa nostra, che dimo- str al contrario la capacit di adattarsi agli eventi, secondo la sua migliore tradi- zione. Ancora, in un altro passo del me- desimo testo si sostiene che, in aggiunta al- la trattativa in cui si inserisce la vicenda del cosiddetto papello (contenente le ri- La trattativa si sarebbe dispiegata in pi fasi nel biennio 1992-94. Una premessa storica sulla caduta del Muro di Berlino Linizio della strategia criminale di condizionamento del governo, secondo i pm, coincide con lomicidio di Salvo Lima Un ruolo ambivalente. Una tale visione del ruolo del pubblico ministero etichettabile in Lomicidio di Paolino Riccobono, 13 anni. Il 19 gennaio 1961 a Tommaso Natale, borgata di Palermo (foto di Nicola Scafiti) L a sovrapposizione del profilo politico con quello giuridico nel processo pe- nale risale allultimo periodo dellantica Roma repubblicana, praticamente vec- chio come il mondo, nota a un certo pun- to del suo saggio il professore Fiandaca, ma realisticamente mostra di non credere nella soluzione del problema attraverso il recupero di una astratta purezza del di- ritto. Sembrerebbe una astruseria e fini- rebbe per relegare il giudizio penale in un campo marginale specie di questi tem- pi in cui il magistrato dellaccusa sempre pi tende a presentarsi come attore po- litico-mediatico come dimostra anche la singolare evoluzione professionale del dottore Ingroia. Per c un limite a tutto e nel caso del processo sulla cosiddetta trattativa stato largamente superato co- me Fiandaca dimostra, a cominciare dal capo di imputazione faticosamente rita- gliato a partire non da un singolo fatto ma da un comportamento ritenuto degno di inda- gine a prescindere, sul- la base di un pregiudi- zio che vuole assegnata alla magistratura la competenza unica della lotta alla mafia, cos da considerare una illeci- ta interferenza qualsia- si altro intervento. La radice del processo che, come ha detto il procu- ratore Messineo, deve occuparsi di fatti illumi- nando le ombre, sta tut- ta qui. E da qui parte il ragionamento del professore Fiandaca che per non si fer- ma alla descrizione di un conflitto di at- tribuzione di poteri ma ne coglie la ragione ul- tima in una teoria co- spirativa della storia as- sunta dallaccusa nella sua variante mafiocen- trica. Una chiave di lettura, ricorda il giuri- sta di sinistra, forte- mente criticata dal la- voro di uno storico di si- nistra come Salvatore Lupo. Tutto, per laccu- sa, deve convergere in una sintesi e non az- zardato vedere nella ascesa al governo di Berlusconi la sinte- si cui, al di l di chi siede sul banco de- gli imputati, punta la macchinosa inqui- sizione. A questa tesi in fondo i fatti so- no piegati. La spiegazione di una scon- fitta politica con la cospirazione di so- verchianti e onnipotenti forze del male, capaci di costruire nel fronte del bene pericolose quinte colonne. Lo schema esige lo sminuzzamento dei fatti e la estrapolazione solo di alcuni di essi e la loro concatenazione fino a falsare il qua- dro generale. Schema antico, perfeziona- to da chi sa proporlo davanti a una tele- camera. Tutto considerato, la lectio ma- gistralis del professore Fiandaca non solo una eccellente arringa difensiva. E anche un saggio politico. Massimo Bordin Tutto per laccusa deve convergere in una sintesi (e sembra proprio il Cav.) Il pm nei pasticci Nino Di Matteo. E il magistrato che, con Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, so- sterr in aula laccusa al processo per la presunta trattativa tra la mafia e alcuni uo- mini dello stato. Di Matteo, che prima di ap- prodare a Palermo stato pm a Caltanis- setta in uno dei quattro processi per la stra- ge di via DAmelio dove fu massacrato Pao- lo Borsellino, stato il rappresentante del- laccusa anche nei due processi contro lex generale dei Ros Mario Mori: il primo, quel- lo per la mancata perquisizione al covo di Riina, si gi concluso con lassoluzione. Il secondo ancora in corso: il pm ha gi chie- sto una condanna a nove anni di carcere. Di Matteo oggi sotto procedimento di- sciplinare, assieme al procuratore France- sco Messineo, per le intercettazioni tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino: il pm ne avrebbe confermato ai giornali le- sistenza e il capo non glielo avrebbe conte- stato. (segue dallinserto V) Professor Giovanni Fiandaca ci dotati pur sempre secondo laccusa di valenza coartante rispetto alle decisioni del governo, i grandi capi di Cosa nostra sono stati verosimilmente mandanti, piut- tosto che esecutori materiali. Ed sempre in veste di concorrenti morali, e non gi di esecutori, che potrebbero essere chiamati a rispondere non solo di omicidi e stragi in s considerati, ma altres di omicidi e stra- gi interpretati come violenza o minaccia ai sensi dellart. 338 c.p.. Non da escludere che queste distin- zioni tecniche siano state pretermesse nel- la sintetica memoria dei pubblici ministe- ri perch forse considerate implicite e, perci, superflue. Ci non toglie, tuttavia, che lapproccio complessivo dellaccusa ri- sulti in molte parti generico e approssi- mativo nel descrivere le condotte oggetto di imputazione (con conseguente sottova- lutazione del principio di tipicit penale, anche nei suoi risvolti garantistici a carat- tere processuale); e, sotto alcuni aspetti, assai carente. Tra i profili non secondari trascurati, rientra ad esempio quello rela- tivo al potenziale di idoneit delle minac- ce mafiose: erano oggettivamente tali da poter condizionare il governo, annullan- done o riducendone il potere di autonoma e libera determinazione, o da turbarne co- munque lattivit? Per verificare in positi- vo tale idoneit, senza darla presuntiva- mente per scontata, occorrerebbe in realt prendere in considerazione pi analitica- mente i singoli episodi violenti realizzati nelle diverse fasi della strategia mafiosa e accertare se in ciascuno di essi possa dav- vero riconoscersi un significato intimida- torio nei diretti confronti del governo, per- cepibile come tale da soggetti istituzional- mente legittimati a impersonare il potere esecutivo. E tuttaltro che dimostrato in- fatti che, nella situazione drammatica e og- gettivamente confusa di quellangosciante biennio, allinterno delle compagini go- vernative che si sono succedute fossero sempre percepibili in termini chiari e uni- voci gli obiettivi perseguiti con la strategia stragista, peraltro nel dubbio allora come oggi irrisolto circa la fonte e la regia uni- che o plurime (mafia, servizi segreti de- viati, gruppi della destra eversiva, entit esterne con interessi convergenti non me- glio definite, ecc.) delle aggressioni crimi- nali che si succedettero nel tempo. Insom- ma, guardando agli eventi con la prospet- tiva di allora, non affatto detto che emer- gesse con sufficiente chiarezza che le ri- petute azioni criminali avrebbero perse- guito sempre il medesimo obiettivo come, con logica ex post, ha ipotizzato laccusa di piegare i governi di turno a venire a pat- ti col potere mafioso. Ma, se non si sicu- ri al di l di ogni ragionevole dubbio che a quel tempo questo tipo di chiarezza vi fosse, manca in realt il presupposto per potere verificare il grado di idoneit og- gettiva della strategia intimidatrice mafio- sa. Tanto pi che il destinatario delle mi- nacce non sarebbe stato un semplice con- siglio comunale o una commissione di con- corso, bens il governo della Repubblica italiana: cio un organo costituzionale, do- tato di poteri, di competenze, di risorse e di forze anche militari tuttaltro che inido- nee (almeno in teoria) a contrastare anche attacchi di tipo stragista. 4.3. Ma vi di pi. Secondo il modo di ra- gionare sviluppato dallorgano dellaccusa, la valenza minacciosa della strategia stra- gista di Cosa nostra, cos come avviata col delitto Lima, avrebbe avuto due destinata- ri pi immediati (rispetto al governo come tale) nelle persone di Giulio Andreotti e Calogero Mannino, entrambi componenti del governo allora in carica: il primo nel- la qualit di presidente del Consiglio, il se- condo nel ruolo di ministro per gli Inter- venti straordinari nel mezzogiorno, non- ch successiva e ormai designata vittima del progetto omicidiario in danno dei po- litici che non avevano mantenuto i patti. Orbene, alla stregua di una simile rico- struzione, il governo finisce col fungere da destinatario indiretto delle intimidazioni mafiose: lo diviene cio attraverso il tra- mite rappresentato dalle persone dei due rappresentanti governativi Andreotti e Mannino. Il che in effetti non contrasta con linterpretazione dominante dellart. 338 c.p., la quale ritiene sufficienti che la con- dotta tipica sia indirizzata a singoli com- ponenti dellorgano collegiale, ma a una condizione: purch la violenza o minaccia siano dirette a incidere sul funzionamen- to dellorgano come tale. Esiste nel nostro caso la prova che i mafiosi intendevano inequivocabilmente indirizzare le loro mi- ANNO XVIII NUMERO 128 - PAG VII IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 1 GIUGNO 2013 nacce allistituzione-governo in quanto ta- le? A parte i possibili dubbi in proposito, la complessiva impostazione accusatoria incappa, con specifico riferimento allallo- ra ministro Mannino, in una vistosa con- traddizione il cui peso tale da avvalora- re lassunto della scarsa plausibilit del- lintero ricorso alla fattispecie di cui al- lart. 338 c.p. A ben vedere, la contraddi- zione risiede nel fatto che laccusa, argo- mentando cos come ha argomentato, fini- sce con lattribuire a Calogero Mannino il doppio ruolo di vittima e complice di uno stesso reato: cio egli rivestirebbe, da un lato, la condizione di soggetto passivo del- le minacce mafiose rilevanti ex art. 338 c.p. (nonch, di persona fisica privata minac- ciata di morte) e, dallaltro, il ruolo di con- corrente nella realizzazione del medesimo reato di violenza o minaccia al governo. Come spiegare questo pirandelliano sdop- piamento di Mannino, che da (per dir co- s) delinquente privato contribuirebbe a realizzare un reato ai danni di se stesso nella funzione di ministro? Il paradosso troverebbe spiegazione nel fatto che, se- condo la ricostruzione accusatoria, Manni- no si sarebbe attivato per sollecitare i propri terminali nel territorio per richie- dere a Cosa nostra la contropartita per in- terrompere la strategia di frontale attacco alle istituzioni politiche, cos di fatto pro- ponendosi come intermediario dellorga- nizzazione mafiosa nella ricerca di nuovi equilibri con la politica: proprio questo ruolo di intermediazione secondo il ra- gionamento giuridico dei pubblici mini- steri si tradurrebbe in un contributo ati- pico di sostegno, penalmente rilevante ex art 110 e ss. c.p., alle condotte tipiche di violenza o minaccia realizzate diretta- mente dai mafiosi (questo schema di re- sponsabilit concor- suale basato sul ruolo di intermediazione varrebbe, oltre che per Mannino, anche per Marcello DellU- tri come esponente politico intervenuto quale intermediario in fasi successive, nonch per gli uffi- ciali dei carabinieri Subranni, Mori e De Donno). A supporto di una tale costruzione giuridica, che appare invero ben lungi dal- lesibire cogenza e persuasivit imme- diate, la stessa accusa prospetta una pre- sunta analogia con la punibilit a titolo di concorrente ammes- sa in giurisprudenza dellintermediario di una estorsione: nel senso che cos come concorre in questultimo reato colui il qua- le trasmette alla vittima le richieste del- lestorsore, analogamente concorrerebbe- ro nel reato di cui allart 338 c.p. quanti si incaricano di far pervenire al governo le richieste minacciose di Cosa nostra. A ben vedere, lanalogia pi apparen- te che reale (a parte linammissibilit, in linea di principio, di una analogia in ma- lam partem). A differenza che nellestor- sione, in cui lestra- neo che funge da tra- mite di solito condi- vide lobiettivo illeci- to perseguito dalle- storsore, gli interme- diari non mafiosi del- la trattativa stato-ma- fia agivano sorretti dalla prevalente in- tenzione di contribui- re a bloccare futuri omicidi e stragi: un obiettivo, dunque, in s lecito, addirittura istituzionalmente do- veroso. E ancora: se la trattativa in s co- me ammesso dagli stessi pubblici mini- steri non pu assu- mere come tale rilie- vo penale, come pu invece risultare pe- nalmente vietata una attivit di interme- diazione funzionale a una trattativa in s lecita? Daltra parte, che la funzione di inter- mediazione svolta dagli esponenti politici e dagli ufficiali dei carabinieri mirasse al- lobiettivo salvifico di porre argine alle violenze mafiose e non gi di supportare Cosa nostra nei suoi attacchi contro lo sta- to sembra confermato proprio da quella che sarebbe stata levoluzione politica de- gli eventi secondo gli stessi pubblici mini- steri. Dopo lattivazione degli apparati di sicurezza e la loro presa di contatto con lex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, nei piani alti delle istituzioni avrebbe pre- so sempre pi piede il progetto di mettere in salvo i politici contingentemente mi- nacciati e le potenziali vittime innocenti, sollecitando ogni azione utile a rimuovere possibili ostacoli e a favorire il consegui- mento dellobiettivo (dalla sostituzione del rigido ministro dellInterno Vincenzo Scotti col presuntamente pi morbido Nicola Mancino, allattenuazione, nel 1993, del regime di cui allart. 41 bis ord. penit. a opera di Giovanni Conso, succeduto nel ruolo di ministro della Giustizia al pi in- transigente Claudio Martelli, ecc.) (19). 4.4. Tutto ci premesso, rimane ancora da affrontare un nodo ermeneutico per nulla secondario, inerente sempre alla struttura oggettiva dellart 338 c.p.: ci si ri- ferisce alla possibilit di far rientrare, in un concetto quale quello di corpo politi- co, un organo costituzionale come il go- verno (cio lorgano appunto che, secondo il ragionamento dellaccusa, sarebbe stato nel caso di specie destinatario ultimo del- le minacce stragiste). Infatti, secondo una consolidata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale basata su argomenti sia semantici sia sistematici (20), la nozione di La contraddizione: laccusa finisce con lattribuire a Calogero Mannino il doppio ruolo di vittima e complice di uno stesso reato Lomicidio di Giovanni Giangreco. Il 5 settembre 1960 a Villabate, in provincia di Palermo (foto di Nicola Scafiti) ATTORE POLITICO-MEDIATICO n termini di populismo giudiziario. Giuste le critiche di Magistratura democratica e Anm corpo politico non pu ricomprendere gli organi costituzionali (come il governo o le Assemblee legislative o la Corte costitu- zionale), dal momento che a essi appresta esplicitamente tutela la diversa fattispecie di cui allart. 289 c.p.: la quale, cos come modificata dal legislatore del 2006 (21), sot- to la rubrica attentato contro organi co- stituzionali e contro assemblee regionali sanziona (con la reclusione da uno a cin- que anni) la commissione di atti violenti diretti a impedirne in tutto o in parte, an- che temporaneamente, lesercizio delle funzioni. Mentre la precedente formula- zione normativa di questa stessa fattispe- cie risultava in effetti di portata pi ampia, e ci per due ragioni: da un lato, perch il fatto tipico era pi genericamente indica- to con la formula fatto diretto a, senza menzione espressa del connotato della vio- lenza; dallaltro, era esplicitamente preso in considerazione (e sanzionato con pena pi lieve) anche leffetto meno grave del mero turbamento dellesercizio delle fun- zioni costituzionali. Orbene, abbastanza verosimile che a orientare i pubblici mi- nisteri a favore dellapplicabilit al caso di specie (non gi dellart. 289, bens) dellart. 338 c.p. sia stata, appunto, la constatazio- ne della (sopravvenuta per effetto dellin- tervenuta modifica normativa) impossibi- lit di ricondurre allattuale e pi ristret- to testo dellart. 289 c.p. condotte di valen- za soltanto minacciosa, e idonee come tali a turbare (pi che a impedire) il funziona- mento di un organo quale il governo ovve- ro a influenzarne in qualche modo le deli- berazioni. Ma lintento accusatorio di attribuire ri- lievo penale alle minacce, cui i mafiosi sarebbero ricorsi per esercitare pressioni sul governo allo scopo di piegarlo alla trat- tativa, giustifica la palese forzatura erme- neutica di qualificare corpo politico lo stesso governo, al pari di un consiglio co- munale o di una commissione elettorale? Contro una simile assimilazione interpre- tativa non depone soltanto il confronto te- stuale con lart. 289 c.p., ma altres addu- cibile un argomento logico-sistematico di notevole peso: cio lart. 393 bis c.p. preve- de espressamente lapplicabilit della scri- minante della reazione legittima al caso in cui la violenza o minaccia a un corpo poli- tico (art. 338 c.p.) siano commesse per rea- gire a un atto arbitrario di un soggetto pub- blico, mentre una analoga causa di non pu- nibilit non prevista in relazione al rea- to di cui allart. 289 c.p. Questa differenza di disciplina, spiegabile considerando che sa- rebbe pi difficilmente ipotizzabile una reazione legittima del privato contro un at- to arbitrario proveniente da un organo co- stituzionale come il governo, conferma in- direttamente in realt che questultimo non sussumibile sotto la nozione di cor- po politico di cui allart. 338 c.p. 4.5. I rilievi fin qui svolti consentono di accennare in poche battute agli aspetti problematici relativi allelemento sogget- tivo: i quali emergono, in particolare, ri- guardo alla configurabilit di un vero e proprio dolo di concorso nel reato di cui allart. 338 c.p. in capo ai concorrenti non mafiosi. In termini pi espliciti: attribuibile agli esponenti politici e agli ufficiali dei carabinieri, interagenti nel ruolo di inter- mediari istituzionali della trattativa, una autentica coscienza e volont di concorre- re con i mafiosi nella realizzazione di vio- lenze e minacce ai danni del governo? Non un caso che, in proposito, laccusa non si sforzi di fornire esplicite motivazioni, pre- ferendo implicitamente ripiegare su di una sorta di dolo in re ipsa. Sennonch, il dolo di concorso andrebbe in questo caso accertato senza presunzioni e con partico- lare scrupolo, e ci per una ragione evi- dente che forse superfluo esplicitare: la volont di svolgere ruoli di intermediazio- ne tendenti allobiettivo (salvifico) di argi- nare le stragi, di per s infatti non impli- ca n direttamente, n indirettamente la ulteriore volont di supportare Cosa no- stra nella realizzazione della sua strategia criminale volta alla trattativa. Daltra parte, se tale ulteriore volont ri- sultasse davvero provata, coerenza impor- rebbe di aggravare la qualificazione giuri- dica delle presunte condotte concorsuali in questione: nel senso, ad esempio, di ele- vare anche a carico di Mannino, DellUtri, Mori e De Donno unimputazione di con- corso esterno nel- Lart. 338 e lidea di far rientrare in un concetto quale quello del corpo politico un organo costituzionale come il governo (segue nellinserto VIII) L a questione della presunta trattativa tra lo stato e la mafia ha avuto un effet- to fragoroso e in qualche caso traumatico sul piano mediatico, politico e processua- le. E, tuttavia, c un altro livello pi profondo che sottende a quelle dimensioni cos visibili e interferisce potentemente con esse, rendendole pi complesse. In al- tre parole, il tema, cos maldestramente po- sto dal corteo sudaticcio dei giustizialisti, richiama un importante dilemma di filo- sofia del diritto e la sua lacerante ricadu- ta nella sfera delletica pubblica. Adope- rarsi per prevenire violenze e morti per mano di organizzazioni criminali pu arri- vare a configurare un reato? Questo dubbio radicale sulla presunta trattativa corre lungo questo testo di Giovanni Fiandaca. In s, adoperarsi per evitare violenze e morti cosa buona. Ma non c cosa buona che non possa essere contestata se, nel tentati- vo di perseguirla, dia luogo a illegalit, abusi, ingiustizie. Non a caso la tortura non ci piace (almeno, a me non piace): neanche nel caso di una ticking bomb, legittimo sottoporre a sevizie fisiche o morali i pre- sunti autori di un grave reato, che pure po- trebbe realizzarsi. Anche se a fin di bene, non smetterebbe di essere una grave ini- quit. E una lesione del diritto. Dunque, pure adoperarsi per prevenire violenze e morti per mano di organizzazioni crimina- li non di per s, sempre e comunque, le- gittimo n, tanto meno, esente da critiche e contestazioni (in ultima analisi, anche di natura penalistica). Insomma, siamo anco- ra ai fondamentali quesiti etici: la bont del fine non giustifica qualsiasi mezzo. Da qui pu partire una riflessione seria su quanto sottintende la materia trattata nel dibattimento di Palermo e sullinterrogati- vo che lo percorre: seppure ispirata da giu- sti propositi (e non sempre, nemmeno di questo, i pubblici accusatori sembrano con- vinti), la trattativa stata condotta in mo- do tale da offendere beni giuridici rilevan- ti e costituzionalmente protetti? Qui si con- centra lattenzione del giurista: quali sono le violazioni di beni o diritti fondamentali che le parti avverse avrebbero compiuto mediante quellaccordo, o quel tentativo di accordo? In che cosa, e come, nel corso del- la trattativa si sarebbe realizzato latten- tato a un corpo politico dello stato, perse- guito dallarticolo 338 del codice penale, chiamato in causa dalla procura di Paler- mo? Alla serrata critica di Fiandaca, il rea- to contestato sembra via via evaporare, la- sciando campo aperto alle motivazioni po- litiche della sua evocazione, plasticamente evidenziate a posteriori dalla partecipa- zione alla competizione elettorale del suo portabandiera. A reggere lintera ipotesi ac- cusatoria resta ben poco, quasi nulla. So- pravvive appena, e solitaria, quelletichetta moralistica, che omologa tutto e tutti in una sorta di mistica della lotta al compromes- so, impedendo cos di individuare quanti, con le mafie e grazie alle mafie, hanno dav- vero trattato e lucrato. E quella stessa eti- chetta moralistica, che definisce collabo- razionisti quanti, invece che alla prestidi- gitazione retorica, si affidano alla fatica ter- ribile e drammatica della politica, con tut- ta la sua impotenza e la sua miseria. Luigi Manconi Letichetta moralistica che omologa tutti nella mistica della lotta al compromesso Il bersaglio grosso Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica il primo di una lunga lista di testimoni, in tutto 172, che i pubblici mi- nisteri chiedono di convocare nellaula bunker di Pagliarelli. Protagonista, tra giugno e dicembre dellanno scorso, di un duro braccio di ferro con la procura di Pa- lermo per via delle intercettazioni nelle quali erano finite alcune conversazioni tra lui e lex ministro Mancino (la Consulta ne ha poi ordinato la distruzione), il capo del- lo stato, se la Corte decider di convocar- lo, dovr chiarire un passaggio della lette- ra che il suo consigliere giuridico, Loris DAmbrosio, gli aveva consegnato pochi giorni prima di morire. Tra i testi di peso ci- tati dallaccusa anche Pietro Grasso, pre- sidente del Senato, Carlo Azeglio Ciampi, il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, lex presidente del Con- siglio Giuliano Amato. ANNO XVIII NUMERO 128 - PAG VIII IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 1 GIUGNO 2013 lassociazione mafiosa, analogamente a quanto contestato allaltro intermedia- rio Massimo Ciancimino. Ma vi di pi. Perch non spingersi sino al punto di ipo- tizzare forme di concorso nelle stesse azio- ni stragiste, se fosse vero che gli interme- diari come laccusa sostiene avrebbero con il loro comportamento rafforzato in Co- sa nostra il convincimento che la prosecu- zione del suo programma criminoso vio- lento risultava efficace in vista della trat- tativa? Interrogativi come questi, proprio perch derivanti da un organico e coeren- te sviluppo logico delle stesse premesse accusatorie, necessiterebbero di un pi adeguato vaglio giudiziale. 5. Le intercettazioni indirette del presi- dente della Repubblica, il conflitto di attri- buzione dinanzi alla Corte costituzionale e il conseguente tormentone politico-me- diatico Lindagine sulla trattativa stata anche occasione di un grosso tormentone poli- tico-mediatico-giudiziario protrattosi dal luglio 2012 alla fine dello stesso anno: cau- sa scatenante unattivit di intercettazione telefonica nei confronti dellex ministro Nicola Mancino, nellambito della quale venivano indirettamente captate con- versazioni tra questultimo e il capo dello stato. Il grave conflitto istituzionale deri- vatone non si incentrato soltanto sulla delicata questione costituzionale relativa alla definizione delle prerogative del pre- sidente della Repubblica (in particolare, sotto il profilo di una legittima intercetta- bilit delle sue conversazioni per fini di giustizia), rispetto alla quale sono non a ca- so subito emersi nel pubblico dibattito orientamenti contrastanti (22). Il contrasto sfociato in una vera e propria contrap- posizione tra il Quirinale e gli uffici giudi- ziari palermitani in seguito alla decisione del presidente Napolitano che ha finito con il cogliere di sorpresa i pm del capo- luogo siciliano (23) di sollevare un con- flitto di attribuzione dinanzi alla Corte co- stituzionale. Tale decisione, oltre a essere percepita dai magistrati siciliani come una inattesa dichiarazione di guerra istituzio- nale, stata addirittura interpretata in al- cuni ambienti politico-giornalistici favore- voli alla procura di Palermo come sinto- matica di una inammissibile volont di in- terferenza del capo dello stato, volta a met- tere al riparo dallazione giudiziaria espo- nenti politici in qualche modo coinvolti nella vicenda della trattativa. Ecco che la complessa e controvertibile questione giu- ridico-costituzionale sul tappeto ha finito, cos, con lessere contingentemente stru- mentalizzata in vista di obiettivi politici pi generali (precisamente, nel senso che la perseguita delegittimazione di Giorgio Napolitano risultava, al momento, funzio- nale a una pi ampia contestazione del suo complessivo ruolo politico-istituzionale, non ultimo quale ispiratore e garante del cosiddetto governo dei tecnici presieduto da Mario Monti, inviso a pi settori politi- ci non soltanto di sinistra) (24). Il clima di esasperata contrapposizione amplificava le gi forti valenze politiche dellazione dei pm palermitani. In loro di- fesa, e contro un loro temuto isolamento, il Fatto quotidiano lancia un pubblico ap- pello che raccoglie centinaia di migliaia di adesioni (25). E seguono iniziative politi- che pubbliche cui partecipa il procuratore aggiunto Antonio Ingroia nonostante che, nel corso del loro svolgimento, continui ad aver corso la campagna di sospettose insi- nuazioni sul conto del capo dello stato (26). Nellaspro conflitto finiscono volenti o nolenti con lessere coinvolti esponenti molto qualificati della cultura giuridica di matrice accademica, i quali, intervenendo nel dibattito giornalistico, assumono posi- zioni ora di adesione ora di critica rispet- to alla scelta del presidente della Repub- blica di chiamare in causa la Consulta. A favore della procura di Palermo si schie- rano in particolare Gustavo Zagrebelsky (27) e Franco Cordero (28), mentre in soc- corso della presidenza della Repubblica prendono posizione tra altri Andrea Manzella (29), Valerio Onida (30) e Gian- luigi Pellegrino (31). Ma al di l del merito della questione di contemporanea indagine giudiziaria: si- no al punto di illustrare (per dir cos di- datticamente), in interviste rilasciate ai maggiori quotidiani o in pezzi scritti di proprio pugno, il senso e le finalit del procedimento sulla trattativa, talvolta per- sino tentando di filosofeggiare su questio- ni ardue come quella dei rapporti tra giu- stizia e ragion di stato (37). A lungo andare, questo eccesso di espo- sizione pubblica dallimpatto non poco confusivo, tale da rendere viepi evane- scente la distinzione tra un Ingroia-magi- strato daccusa e un Ingroia-attore politico tout court, ha finito per suscitare (non mai troppo tardi?) le reazioni critiche di Magistratura democratica (corrente di ori- ginaria appartenenza del Nostro), dellAs- sociazione nazionale magistrati e dello stesso Consiglio superiore della magistra- tura: reazioni invero convergenti nel sot- tolineare che il pur legittimo intervento pubblico del magistrato non deve sovrap- porsi al lavoro giudiziario e deve, comun- que, essere svolto in modo da non offusca- re limmagine di terziet della giurisdizio- ne, specie quando si sia titolari di proce- dimenti penali su cui si concentra latten- zione della pubblica opinione (38). Sennonch, queste critiche di indebita sovraesposizione mediatica incontrano la resistenza del magistrato che ne diretto destinatario (39), e ci per motivazioni di fondo che sembra opportuno qui esplicita- re. Esse infatti si ricollegano alla partico- lare concezione che un pm come Ingroia ha maturato del proprio ruolo professio- nale, e che egli ha in qualche modo cerca- to anche di teorizzare. In sintesi, si tratta dellidea che il magistrato, in particolare quello daccusa, sia nella realt italiana di oggi chiamato a svolgere una funzione (che lo stesso Ingroia definisce) simile a quella di un tribuno del popolo (sic): si allude a una figura di magistrato che interloqui- sca direttamente con lopinione pubblica, spieghi al popolo le collusioni tra potere politico e poteri criminali, educhi i citta- dini al rispetto della legalit e contribui- sca ad additare (agli stessi politici di me- stiere) i principi di una buona politica (40). Una tale visione del ruolo del pubblico ministero, etichettabile volendo in ter- mini di populismo giudiziario, tradisce una ideologia professionale che finisce, in ogni caso, con lesasperare la vocazione politico-pedagogica dei titolari dellazione penale. Ci sino al punto, in effetti, di in- nescare rapporti di sostanziale contiguit (se non proprio continuit) tra agire giudi- ziario e agire politico: come se la differen- za tra la giustizia penale e la politica ri- guardasse pi i mezzi impiegati, che non i fini ultimi presi di mira. Una visione siffatta, che certamente contrasta non poco con la concezione libe- raldemocratica del principio della divisio- ne dei poteri (almeno cos come prevalen- temente intesa nel contesto europeo-con- tinentale), pu probabilmente contribuire a spiegare un fenomeno unico nella storia dellItalia repubblicana: quello di un ma- gistrato che, in sostanziale continuit con la sua precedente attivit, ha fondato un partito, gli ha dato il suo nome e s can- didato alla guida del governo. Nessuna to- ga passata alla politica e ce ne sono sta- te diverse, in tutte le epoche, fino a Di Pie- tro e De Magistris, per lappunto aveva tentato un salto tanto ardito e repentino. Ingroia s (41). Tanto ardimento non , per, stato pre- miato dai cittadini elettori: alle elezioni nazionali del 24 e 25 febbraio 2013, Rivo- luzione civile e il suo leader-simbolo An- tonio Ingroia non hanno raggiunto la soglia di voti necessaria per fare ingresso in Par- lamento. E verosimile che questo falli- mento sia in realt, e non a caso, dipeso dalla percezione diffusa di unispirazione eccessivamente punitiva del progetto politico ingroiano (che dava infatti lim- pressione di identificarsi con un program- ma repressivo incentrato su manette, se- questri e confische di patrimoni e di esse- re, viceversa, povero di proposte a conte- nute positivo e di ampio respiro). Comunque, per lex procuratore aggiun- to elettoralmente sconfitto si prospetta, or- mai, il dilemma tra il ritorno in magistra- tura (ma non pi come pm) e labbandono definitivo della toga per continuare a im- Perch la contrapposizione tra i pm di Palermo e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano finita alla Consulta Nemmeno i suoi colleghi Di Pietro e De Magistris erano arrivati dove arrivato Ingroia. Un salto ardito e repentino Omicidio Borone, lo strazio della madre (foto di Nicola Scafiti) Il bluff della Trattativa LINTERMEDIARIO NON SEMPRE E COME I BOSS Esiste la prova che i mafiosi intendevano inequivocabilmente indirizzare le loro minacce allistituzione-governo e non a singoli ministri? (segue dallinserto VII) giuridico-costituzionale, considerata sia in se stessa sia nelle sue implicazioni di or- dine politico-istituzionale, vale la pena an- che qui segnalare un evento di pi ampia portata (per dir cos) politico-culturale. Cio un importante quotidiano di ispira- zione progressista come Repubblica, in ge- nere favorevole allazione della magistra- tura inquirente, intorno alla querelle esti- va delle intercettazioni presidenziali si spacca invece in due orientamenti con- trapposti: il fondato- re Eugenio Scalfari (32) duella contro lil- lustre collaboratore e costituzionalista di vaglia Gustavo Zagre- belsky, a difesa del presidente Napolita- no sospettato di dele- gittimare i magistrati daccusa; mentre dal canto suo il direttore Ezio Mauro (33), sen- za sconfessare nessu- no dei contendenti, ragiona sul problema del grave conflitto tra politica e giustizia, prospettando come tesi che un certo po- pulismo giudiziario diffusosi anche nella cultura di sinistra avrebbe finito col far propri mentalit, pulsioni e linguaggi che sarebbero ogget- tivamente di destra (34). Senza potere qui entrare nel merito degli eterogenei fat- tori (anche culturali) che hanno pi in ge- nerale contribuito, nella storia italiana dellultimo ventennio, a elevare notevol- mente il tasso di politicit dellintervento della magistratura penale, quanto alla re- cente vicenda interna al quotidiano la Re- pubblica una cosa sembra fuori discussio- ne: essa testimonia dello stretto e perver- so intreccio che venuto a stringersi tra unindagine giudiziaria come quella sulla trattativa, i divergenti giudizi sulloperato di Giorgio Napolitano quale promotore del governo Monti (re- sponsabile di una po- litica di sacrifici sofferti soprattutto dai ceti sociali pi de- boli) e il modo di con- cepire lazione delle forze di sinistra an- che nella difficile in- terazione tra politica e giustizia penale. Comunque sia, la spe- cifica questione og- getto del conflitto di attribuzione stata infine sciolta con un verdetto costituziona- le (sent. 15 gennaio 2013, n.1) che ha, com noto, ricono- sciuto in pieno la fon- datezza delle ragioni sottostanti al ricorso del presidente della Repubblica. Comera da attendersi, questa presa di posizione della Consulta stata diversamente accolta, da commentatori di opposti versanti, sulla base di valutazioni che vanno ben al di l del suo impianto mo- tivazionale sul piano tecnico-giuridico. Non sorprende, quindi, che dal fronte pi vicino alle procure si sia levata laccusa di una Corte costituzionale cortigiana (35). E neppure sorprende molto che, per parte sua, il procuratore aggiunto Ingroia abbia nel corso di unintervista dichiarato di sen- tirsi profondamente amareggiato a cau- sa di una sentenza costituzionale bizzar- ra, spiegabile soltanto grazie al prevale- re delle ragioni del- la politica su quelle del diritto (36). Forse non super- fluo puntualizzare che, al momento del- lamara intervista, il coordinatore dellin- dagine sulla trattativa si trovava gi in Ame- rica centrale a rico- prire il nuovo incari- co, conferitogli dal- lOnu, di capo dellu- nit investigativa del- la commissione inter- nazionale contro lim- punit in Guatemala. Ma, meno di due me- si dopo, lex procura- tore aggiunto di Pa- lermo faceva ritorno in Italia per parteci- pare, come candidato premier di un nuovo movimento politico di sinistra radicale (em- blematicamente de- nominato Rivoluzio- ne civile), alle elezio- ni nazionali del feb- braio 2013 (v. anche infra, par. 6). Una singolare evo- luzione professionale che ha, alla fine, por- tato allo scoperto una vocazione politica in verit da qualche tempo sospettabile in un pm cos combattivo e pubblicamente esposto? 6. Il magistrato dellaccusa come attore po- litico-mediatico: un ruolo ambivalente tra giustizia e politica Tra gli aspetti pi interessanti e merite- voli di analisi del procedimento sulla trat- tativa stato-mafia rientra, indubbia- mente, laccentuato attivismo politico- mediatico in partico- lare del magistrato che ha coordinato il gruppo dei pubblici ministeri assegnatari dellinchiesta: il pro- curatore aggiunto Antonio Ingroia, ap- punto. Questo ruolo iper-attivistico alle- sterno delle aule giu- diziarie non si tra- dotto soltanto come era gi accaduto, for- se per non nella stessa misura, ad al- tri magistrati daccu- sa divenuti ben noti al grosso pubblico in una frequente e in- sistita presenza nei media scritti e parla- ti. La specificit del- linterventismo di un magistrato come In- groia dipesa da fat- tori aggiuntivi, legati al convincimento di dovere e potere pren- dere posizione in pubblico proprio su- gli stessi temi oggetto Licona delle patacche Massimo Ciancimino. I 172 eccellentis- simi uomini delle istituzioni (da Napolita- no a Ciampi) che laccusa chiede di convo- care nellaula bunker servono pi a dare appariscenza al processo che non sostanza; almeno questa la tesi di molti avvocati di- fensori. La testimonianza centrale di tutto limpianto processuale quella di Massimo Ciancimino, figlio di quel don Vito, per po- chi mesi anche sindaco di Palermo, che tra gli anni Ottanta e Novanta fu amico e con- sigliori dei pi sanguinari boss corleonesi, da Tot Riina a Bernardo Provenzano. So- lo che, fino a questo momento, Massimuc- cio risulta impedito: i magistrati di Bolo- gna lo hanno arrestato per evasione fisca- le e associazione a delinquere. Non la pri- ma volta che finisce in galera da quando, avendo limpellente necessit di salvare il patrimonio miliardario accumulato da donVito, ha deciso di trasformarsi in ven- triloquo del padre e di diventare, secondo la definizione dello stesso Ingroia, una icona dellantimafia. A un certo punto, per, con la tecnica del copia e incolla, ha inserito in una lista di nomi, che don Vito aveva predisposto per segnalare alcuni funzionari infedeli, quello di Gianni De Gennaro, ex capo della polizia. Lazzardo gli costato il carcere, lincriminazione per calunnia e la conseguente qualifica di pa- taccaro. Il bersaglio n. 2 Nicola Mancino. Lex ministro dellIn- terno, ex presidente del Senato e del Con- siglio superiore della magistratura lim- putato (falsa testimonianza e nulla pi) per il quale i pm hanno chiesto gi, nella prima udienza del processo, la formula- zione di unaggravante. Mancino non vuole sedere nello stesso banco accanto ai boss Giovanni Brusca, Tot Riina, Nino Cin e Leoluca Bagarella, imputati come lui ma di violenza e minaccia a un cor- po politico dello stato, il reato cardine per il quale sono stati rinviati a giudizio anche lex senatore del Pdl, Marcello Del- lUtri, e tre ex alti ufficiali del Ros, il grup- po speciale dei Carabinieri per il contrasto alla criminalit organizzata: Antonio Su- branni, Mario Mori e Giuseppe De Donno. Calogero Mannino, ex ministro democri- stiano, colpito dalla stessa imputazione, ha chiesto e ottenuto il rito abbreviato. Se ne parler al prossimo autunno. Il presidente della corte dAssise, Alfre- do Montalto, ha gi fatto sapere, con gra- ve disappunto dei rappresentanti dellac- cusa, che n a Napolitano n a Mancino possono essere rivolte domande relative alle conversazioni telefoniche che loro hanno avuto, che sono state intercettate, e che la Corte costituzionale ha ordinato di distruggere, in quanto lesive delle pre- rogative del capo dello stato. ANNO XVIII NUMERO 128 - PAG IX IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 1 GIUGNO 2013 pegnarsi nellattivit politica. 7. Il processo penale polifunzionale (e il ruolo marginale del diritto?) Quale che sar il futuro destino del ma- gistrato coordinatore delle indagini, il pro- cesso sulla trattativa seguir dora in avan- ti il suo corso sotto la gestione di altri ma- gistrati, non solo inquirenti ma anche giu- dicanti. Con decreto del 7 marzo 2013, il Gip del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini ha infatti disposto il rinvio a giu- dizio di dieci imputati, chiamati a rispon- dere di concorso nel reato di violenza o mi- naccia a un corpo politico dello stato. da segnalare che il provvedimento di rinvio a giudizio, mentre si astiene dal prendere posizione sui problematici pro- fili di diritto penale sostanziale connessi alla applicabilit nel caso di specie delli- potesi criminosa di cui allart. 338 c.p. (v. supra, par. 4), muove invece critiche al- lapproccio dei pubblici ministeri in par- ticolare sotto laspetto di una mancata in- dicazione delle fonti di prova relative ai diversi e complessi temi della piattaforma accusatoria e alle differenti posizioni giu- diziarie (a tale deficit cerca di supplire il Gip, provvedendo egli stesso a indicare, nelle trentaquattro pagine del decreto che dispone il giudizio, tutte le circostanze considerate probatoriamente rilevanti, de- sumendole da novanta faldoni di materia- li probatori contenenti a loro volta un numero di pagine abbondantemente supe- riori alle 300.000!). Ad avviso di chi scrive, come rilevato in precedenza, il lavoro dei pubblici ministe- ri risulta in realt non meno deficitario an- che sotto il profilo preliminare di una man- cata contestazione di precise modalit di condotta concorsuale a ciascuno dei pre- sunti protagonisti dellintesa trattativista; e risulta, altres, censurabile a causa del mancato approfondimento dei presupposti di applicabilit della fattispecie di cui al- lart. 338 c.p., non ultimo dal punto di vista della legittima riconducibilit alla nozione di corpo politico di un organo costituzio- nale quale il governo (cfr. supra, 4.4). Come gi detto, si riceve pi in genera- le limpressione che laccusa sia venuta meno allimpegno di mettere alla prova, in maniera sufficientemente meditata, tutte le potenziali capacit di prestazione dello strumentario penalistico al cospetto delle complesse e ambigue vicende pi o meno forzatamente sussunte sotto la comoda eti- chetta della trattativa. Discutibile per le ragioni tecniche gi evidenziate, lopzione qualificatoria prescelta in termini di con- corso nel reato di cui allart. 338 c.p. ha, co- munque, consentito allaccusa di perse- guire un obiettivo politico-simbolico ine- dito nella storia giudiziaria italiana: chia- mare per la prima volta a rispondere in- sieme, come concorrenti di un medesimo delitto, ex ministri, alti ufficiali dei cara- binieri e boss mafiosi(42). Ma, al di l del formale (e discutibile) inquadramento giu- ridico-penale dei fatti, il senso sostanziale delladdebito - come messaggio accusato- rio indirizzato soprattutto allesterno del circuito giudiziario - suona cos: lo scelle- rato patto stato-mafia si tradotto in un di- segno politico eversivo, equivalso a un doloso tradimento della legalit democra- tica in vista della stipula di un rinnovato accordo di opportunistica convivenza tra le istituzioni statali e il potere mafioso. Se tale il senso sostanziale dellipote- si accusatoria, tra gli obiettivi di maggiore conoscenza da perseguire nella futura fase dibattimentale rientrerebbe, innanzitutto, una pi approfondita verifica dellinsieme dei reali obiettivi presi di mira nel tenta- re di bloccare l escalation stragista, esplo- rando in contraddittorio leffettivo ruolo svolto dai principali soggetti responsabili dellazione di governo nei drammatici e oscuri primi anni Novanta. Si prospetta dunque una sorta di processo alla politica governativa di allora, prima ancora che a singoli esponenti politico-istituzionali so- spettabili di comportamenti penalmente rilevanti. Ma questo tendenziale sovrap- porsi tra giudizio politico e giudizio pena- le tuttaltro che nuovo nella storia e, pi in particolare, nella storia giudiziaria. In- vero, elementi di ambivalenza e ragioni di intreccio tra ottica repressiva e disappro- vazione etico-politica tendono sia pure in misura differente a seconda dei diversi ca- si storici a presentarsi come costanti ti- piche dei processi che coinvolgono vicen- de politicamente rilevanti, come com- provato anche da esperienze processuali di un passato ormai lontano, tra le quali al- cune ben note risalenti agli ultimi secoli della Roma repubblicana(43). E non cer- to un caso che linterferenza tra paradig- mi politici e paradigmi penalistici di giu- dizio si sia da allora storicamente ripro- posta in pressoch tutti i casi, in cui si so- no celebrati importanti procedimenti giu- diziari aventi ad oggetto reali o presunte violazioni del diritto commesse da espo- nenti politici o detentori di pubblici pote- ri nellesercizio delle rispettive funzioni: come, per fare riferimento alla pi recen- te storia italiana, nellesperienza giudizia- ria per vari aspetti emblematica di Mani Pulite(44). Il rischio di forte sovrapposizione tra prospettiva giudiziaria e prospettiva poli- tica si aggrava viepi allorch, come pure accaduto e continua ad accadere, pren- dono piede tendenze dichiaratamente po- pulistico-giustizialiste che teorizzano luso del potere punitivo come strumento di pa- lingenesi politico-sociale o come leva per promuovere il ricambio delle classi diri- genti. Ma, anche fuori da ogni tentazione di esplicita finalizzazione politica dellazione giudiziaria, il pericolo che il processo fun- ga da strumento aperto a usi impropri (o che comunque il valore garantistico del- limparzialit venga sacrificato alla logica strategica di una preconcetta opzione re- pressiva), sempre latente in tutti i casi in cui si tratta di far luce su complesse vi- cende storico-politiche di possibile ma controvertibile rilevanza criminale(45): co- me, appunto, nel caso della presunta trat- tativa stato-mafia. Far luce o maggior luce su una vicenda siffatta vuol dire fare del processo uno strumento di indagine stori- ca ad ampio spettro; e, nello stesso tempo, un laboratorio di analisi politologica, un teatro mediatico in cui si contrappongono dinanzi al grosso pubblico narrazioni con- trapposte di eventi oscuri e in cui, altres, si proiettano immaginarie dietrologie di ti- po complottistico alimentate da ansie e paure collettive. Un sovraccarico funzio- nale del processo, dunque, che sarebbe per illusorio pensare di poter azzerare, riguadagnando una completa separazione purista tra sfera giuridica in senso stret- to e angolazioni altre. Piuttosto, nella so- ciet della giustizia mediatizzata in cui vi- viamo, il diritto gestito in senso rigorosa- mente tecnico, oltre ad apparire una astru- seria concettuale per iniziati, rischia di scadere a paradigma di giudizio seconda- rio, se non proprio marginale. E nondimeno auspicabile che, nella fu- tura evoluzione del processo sulla trattati- va, la magistratura sia daccusa che giudi- cante punti a un equilibrato contempera- mento tra l esigenza di ampliare loriz- zonte conoscitivo sugli scenari storico-po- litici di un ventennio addietro, e le ragio- ni del diritto (da tenere in conto nel ri- spetto dei limiti anche formali delle fatti- specie legali). Un maggiore impegno nel- laffrontare, con coerenza e rigore, i com- plessi profili di diritto penale sostanziale potr giovare in pi direzioni. Da un lato, ai fini di un pi attento vaglio della plau- sibilit giuridica della contestazione in- centrata su di unipotesi di concorso nel reato di cui allart. 338 c.p.; ma, dallaltro, anche in vista della ricerca di eventuali paradigmi criminosi alternativi pi adatti a inquadrare i fatti in questione. Ove una verifica pi approfondita, in punto di di- ritto penale sostanziale, dovesse invece sfociare nel riconoscimento dellirrilevan- za penale dei fatti oggetto di giudizio, un tale esito rischierebbe invero di frustrare aspettative di punizione indotte da un bombardamento informativo sulla trattativa finora attuato secondo un taglio decisamente criminalizzatore. Ma questa preoccupazione, almeno in teo- ria, non dovrebbe da sola costituire motivo sufficiente per avallare alla fine forme di penalizzazione impropria. E realistico auspicare che le ragioni del diritto, come tali, facciano ancora sentire la loro voce e trovino in qualche misura ascolto? Si ha limpressione che laccusa sia venuta meno allimpegno di mettere alla prova tutte le capacit dello strumento penale E realistico auspicare che le ragioni del diritto facciano sentire la loro voce e trovino in qualche misura ascolto? Il bluff della Trattativa LA PUNIZIONE COME PALINGENESI? Inaccettabili le tendenze populistico-giustizialiste che teorizzano luso del potere punitivo come leva per promuovere il ricambio delle classi dirigenti (1) Cfr. INGROIA, La trattativa. Giusto in- dagare, nellUnit del 20 giugno 2012; ID., Io so, libro-intervista a cura di G. Lo Bianco e S. Riz- za, Milano, 2012, 29 ss.; LO BIANCO e RIZZA, Lagenda nera della seconda Repubblica, Milano, 2010, 17 ss. Per un approccio non privo di dubbi critici nei confronti delle ipotesi ricostruttive dei ma- gistrati palermitani v., invece, DEAGLIO, Il vi- le agguato, Milano, 2012, 78 ss. (2) In questi termini si esprime, da magi- strato con esperienza di lavoro presso la pro- cura nissena, TESCAROLI, Se le bombe paga- no. Breve storia della trattativa stato-mafia, in Micro-Mega, n. 8/2012, 61. (3) INGROIA, Io so, cit., 29. (4) INGROIA, Io so, cit., 30 ss. In merito alla vicenda della sostituzione dei ministri dellIn- terno e della Giustizia si veda il libro autobio- grafico di SCOTTI, Pax mafiosa o guerra? A ven- ti anni dalle stragi di Palermo, Roma, 2012, 227 ss. (5) In proposito, nella memoria della procu- ra di Palermo del 5 novembre 2012 si parla, in modo molto generico, di cedimento, seppure parziale, dello stato. (6) INGROIA, Io so, cit. 25. (7) INGROIA, Io so, cit., 24 ss. (8) Dopo una lunga indagine, stata formu- lata una apposita richiesta di archiviazione in data 7 agosto 1998 a firma del procuratore ag- giunto di Firenze Francesco Fleury, dei sosti- tuti Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi, Ales- sandro Crini e dellallora sostituto procurato- re nazionale antimafia Pietro Grasso: per rife- rimenti a tale provvedimento archiviatorio cfr. LO BIANCO e RIZZA, Lagenda nera, cit., 403 s. (9) Si veda MACALUSO, Politicamente scor- retto, intervista con P. Calderola, Roma, 2012, 36. (10) LUPO, Potere criminale, intervista con G. Savatteri, Roma-Bari, 2010, 157 ss. (11) LUPO, Potere criminale, cit., 169. (12) Per recenti e lucidi riferimenti alle teo- rie cospirative cfr. PANEBIANCO, Malati di complottismo, in Sette (Supplemento del Cor- riere della Sera) del 7 dicembre 2012. (13) INGROIA, Io so, cit., 24. (14) INGROIA, Io so, cit., 20. (15) Cfr. GALLI C., Il diritto e il rovescio, Udi- ne, 2010. (16) Emblematico di un simile atteggiamen- to, ad esempio, larticolo della giornalista SPI- NELLI, La patria delloblio collettivo, nella Stampa del 6 giugno 2010. (17) In senso analogo cfr. lintervista del so- ciologo RICOLFI, Compagnia di giro, a cura di A. Calvi, nel Riformista del 18 dicembre 2009. (18) Differenti, invece, gli addebiti rispetti- vamente relativi a: Massimo Ciancimino (figlio dellex sindaco di Palermo Vito Ciancimino), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per avere rafforzato Cosa nostra fun- gendo da tramite di comunicazione tra que- stultima, il proprio padre e i carabinieri del Ros; Nicola Mancino, ex ministro dellInterno, sospettato di falsa testimonianza; lex ministro della Giustizia Giovanni Conso, indagato per false informazioni al pubblico ministero. (19) In proposito, pi diffusamente, IN- GROIA, Io so, cit., 29 ss. (20) Ci si limita a rinviare al quadro di dot- trina e giurisprudenza tracciato in CRESPI- FORTI-ZUCCALA (a cura di), Commentario bre- ve al codice penale, Padova, 2008, 830 s. (21) Al riguardo v. NOTARO, Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione, in Legisl. pen., 2006, 401 ss. (22) Nellambito del vivace dibattito subito accesosi nella stampa si persino assistito evento, certo, inconsueto a un confronto di- retto tra le contrapposte posizioni del procu- ratore capo di Palermo e di un celeberrimo giornalista: cfr., rispettivamente, MESSINEO, Le intercettazioni indirette non sono lesive dellimmunit e SCALFARI, Ma lordina- mento vieta di violare le prerogative del capo dello stato, entrambi nella Repubblica dell11 luglio 2012. (23) Cfr. MARTINARO, Ingroia: non mi aspettavo il ricorso del Colle, nel Corriere del- la Sera del 23 settembre 2012. (24) Che la strumentalizzazione politico-me- diatica della questione delle intercettazioni in- dirette con Nicola Mancino tendesse a coin- volgere in senso delegittimante il Quirinale, stato riconosciuto e denunciato dallo stesso presidente della Repubblica nellambito del discorso di inaugurazione della Scuola per ma- gistrati di Scandicci: per riferimenti al riguar- do cfr. la Repubblica del 16 ottobre 2012. (25) Si veda il Fatto quotidiano dell11 agosto 2012 (e dei giorni successivi dello stesso mese). (26) Si allude, ad esempio, alla partecipazio- ne di Antonio Ingroia alla Festa dellItalia dei valori tenutasi a Vasto, durante il cui svolgi- mento venivano pubblicamente lanciate criti- che nei confronti del capo dello stato: cfr. PA- LAZZOLO, Ingroia: la politica collusa blocca la verit, nella Repubblica del 23 settembre 2012. (27) ZAGREBELSKYG., Napolitano, la Con- sulta e quel silenzio della Costituzione, nella Repubblica del 17 agosto 2012; ID., Il Colle, le procure e lo spirito della Costituzione, nel me- desimo quotidiano in data 23 agosto 2012. (28) CORDERO, La geometria del diritto, nella Repubblica del 6 dicembre 2012. (29) MANZELLA, Conflitto di poteri. Le- quilibrio smarrito, nella Repubblica del 16 lu- glio 2012. (30) ONIDA, Il ruolo del Tribunale dei mi- nistri, nel Corriere della Sera del 19 agosto 2012. (31) PELLEGRINO, Quel conflitto da risol- vere, nella Repubblica del 28 luglio 2012; ID., Lambizione fisiologica dei poteri in lotta, nella Repubblica del 23 agosto 2012. (32) SCALFARI, Perch attaccano il capo dello stato, nella Repubblica del 19 agosto 2012. (33) MAURO, Un giornale, le procure e il Quirinale, nella Repubblica del 24 agosto 2012. (34) Sulla divaricazione di posizioni allin- terno di Repubblica cfr. anche PANSA, La Re- pubblica di Barbapap. Storia irriverente di un po- tere invisibile, Milano, 2013, 19 ss. (35) Cfr. leditoriale del Fatto quotidiano del 5 dicembre 2012. (36) Intervista rilasciata a Salvo Palazzolo, nella Repubblica del 5 dicembre 2012. (37) Cfr. ad esempio lintervento dal titolo La giustizia, la politica e la ragion di stato, a firma di INGROIA nel Corriere della Sera del 9 agosto 2012. (38) Per riferimenti cfr., ad esempio, Corrie- re della Sera del 20 settembre e del 7 ottobre 2012. In argomento, per un approccio pi tec- nico v. LEONE, La libert di opinione del ma- gistrato: riflessioni sul caso Ingroia, in Qua- derni costituzionali, n. 2/2012, 411 ss. (39) Si veda lintervista rilasciata a L. Milel- la, dal titolo Ingroia verso il divorzio dalle to- ghe rosse. Accuse offensive, Md non pi la stessa, nella Repubblica del 10 ottobre 2012. (40) Cfr. INGROIA, Io so, cit., 144 ss. A soste- gno si veda TRAVAGLIO, Il pm imparziale quello morto, nellEspresso del 27 settembre 2012. (41) Cos, efficacemente, BIANCONI, Di cer- to non mi ritiro dallattivit politica, nel Cor- riere della Sera del 26 febbrario 2013. (42) Sul versante giornalistico, questo aspet- to di novit ad esempio sottolineato da BOL- ZONI, Trattativa stato-mafia. Boss e politici a processo, nella Repubblica dell8 marzo 2013. (43) Cfr. NARDUCCI, Processi politici nella Ro- ma antica, Roma-Bari, 1995. (44) Si veda PORTINARO, Introduzione al vo- lume collettivo Processare il nemico, trad. it., a cura di A. Demandt e P. P. Portinaro, Torino, 1996, XI. (45) Per acuti rilievi in proposito cfr. ancora PORTINARO, Introduzione, cit., IX ss. NOTE Palermo, omicidio Borone (foto di Nicola Scafiti)