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Atteggiamenti

Definizione- atteggiamento deriva dal termine latino aptus, adatto e ponto all’azione. Nel senso
comune viene spesso sostituito con il comportamento, ma l’uno e l’altro sono ben differenti.
L’atteggiamento è un qualsiasi giudizio valutativo che ha valenza sia negativa che positiva, ma è
sempre generale e relativamente stabile nel tempo. È quindi un giudizio valutativo soggettivo
verso qualcosa o qualcuno, qualsiasi cosa può essere valutata lungo una dimensione di
apprezzamento. L’atteggiamento l’espressione di una valutazione soggettiva, non osservabile, a
meno che non sia espressa dal soggetto tramite il linguaggio. Gli atteggiamenti possono essere
indirizzati verso concetti astratti, oggetti, abitudini, individui e gruppi sociali. Per definirsi
atteggiamenti devono essere:
1. Relativamente stabili resistono nel tempo e nello spazio, deve mantenersi al di là della
specifica situazione, ma si possono modificare,
2. Generalizzabili  devono avere un certo grado di generalità e astrazione, non deve
riguardare uno stimolo singolo ma tutti gli stimoli che appartengono a quella categoria.
Gli atteggiamenti sono caratterizzati da:
1. Direzione l’atteggiamento verso l’oggetto può essere positivo, neutro o negativo.
2. Intensità l’atteggiamento può essere di intensità moderata o estrema.
L’atteggiamento è considerato come un costrutto fondamentale che precede il comportamento,
che guida le azioni e le scelte che compiamo quotidianamente. È stato considerato un costrutto
chiave per la psicologia sociale e non solo, se riusciamo a comprendere l’atteggiamento delle
persone riusciamo anche a prevedere il loro comportamento (Allport, 1935). Ma spesso è possibile
che gli atteggiamenti non portino ai comportamenti corrispondenti o spesso contrari
atteggiamento è l’opinione che noi abbiamo, il comportamento
è l’azione che facciamo. È da ricordare che le persone esprimo i
loro atteggiamenti tramite i comportamenti.
Rosenberg e Hovland definiscono una struttura ben precisa degli
atteggiamenti, l’ABC degli atteggiamenti, che si compone di:
1. Componete affettiva A (affective component) tutto ciò
che il target suscita in ambito emotivo.
2. Componente comportamentale B (behavioural
component) l’intenzione verso l’azione, verso il
comportamento.
3. Componete cognitiva C (cognitive component) tutte credenze e informazioni che sono
state raccolte sul target.
Atteggiamento verso il fumo Componente cognitiva: Le nostre credenze verso il fumo: ad es.,
“Fumare meno di dieci sigarette al giorno non fa male”;
Componente affettiva (sentimento): Le nostre emozioni verso il fumo: ad es., “Fumare è
piacevole”; “Fumare mi rilassa”; Componente comportamentale: Tendenze all’azione verso il
fumo: ad es., “Ora mi accendo una sigaretta”;
L’intenzione al comportamento dipende dalla cognizione e dalla componente affettiva. Non
necessariamente tutte le tre dimensioni esistono contemporaneamente, ma può esserci una
componete negativa o positiva che porta ad un’intenzione di comportamento. Es. Si può avere un
atteggiamento positivo verso un candidato politico SOLO sulla base di info circa il suo programma
politico (componente cognitiva), senza averlo mai visto, e quindi senza provare simpatia per lui
(componente affettiva).

Tipi di atteggiamenti- Possiamo avere due tipi di atteggiamenti, quelli impliciti e quelli espliciti. Gli
atteggianti espliciti sono delle valutazioni deliberate e consapevoli, che si fondano su processi di
pensiero di tipo riflessivo o controllato. Gli atteggiamenti impliciti sono valutazioni automatiche e
non consapevoli, sono radicate nelle associazioni che si fanno in memoria a lungo termine. Gli
atteggiamenti impliciti non hanno bisogno di nessuno sforzo o intento, è sufficiente la semplice
esposizione; una volta attivati influenzano il comportamento senza che la persona ne sia
consapevole.

Come si formano- Gli atteggianti si formano attraverso un processo di apprendimento che avviene
attraverso:
1. Esperienza diretta, fornisce informazioni circa un target e ci aiuta a formare credenze e
valutazioni verso di esso, l’esperienza diretta l’atteggiamento avviene tramite diversi
meccanismi come il condizionamento operante, classico e la mera esposizione, ovvero
l’esposizione diretta e ripetuta verso un oggetto porta a un rafforzamento positivo
dell’atteggiamento verso di esso.
Questa idea è stata dimostrata in
uno studio di Zajonc. In questo
studio venivano presentati ai
partecipanti degli stimoli differenti,
copertine di libri, anagrammi e
ideogrammi cinesi, tutti stimoli
verso cui i partecipanti non avevano
nessun tipo di atteggiamento
negativo o positivo. Quello che
veniva detto ai partecipanti era di
prestare attenzione agli stimoli, di
memorizzare i libri, pronunciare gli
anagrammi e riprodurre gli ideogrammi. Quello che veniva manipolato a seconda della
situazione sperimentale era il numero di presentazioni degli stimoli. Ciò che veniva
misurato era quanto i partecipanti misuravano piacevoli gli stimoli. Più gli stimoli venivano
proposti più le opinioni erano positive. Questo avviene perché più uno stimolo diventa
familiare, più pensiamo di interpretarlo, più questo ci dà un senso illusorio di padronanza
dello stimolo e questo ci porta ad avere un atteggiamento positivo. Questo non è un
pattern lineare verso l’infinito, quando ho raggiunto la familiarità e lo stimolo viene
ripresentato può nascere l’effetto noia, portato a formare un atteggiamento negativo.
2. Esperienza indiretta, tramite l’osservazione di atteggiamenti altrui, tramite apprendimento
sociale, è uno dei meccanismi tramite cui raccogliamo informazioni per formare gli
atteggiamenti. Gli atteggiamenti non si formano soltanto attraverso l’esperienza diretta,
ma anche attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l’osservazione di altre
persone (modelli). Bandura parla di modellamento, ovvero Processo di apprendimento che
si attiva quando l’atteggiamento di un
individuo che osserva si modifica in
funzione delle azioni e/o degli
atteggiamenti di un altro individuo
(modello).
3. Teoria dell’auto-percezione/Inferenze
dal nostro comportamento, così come
noi facciamo inferenze sui nostri comportamenti per formare la nostra
autoconsapevolezza, facciamo inferenze sul nostro comportamento per formare i nostri
atteggiamenti. Negli studi di Bem del 1967 si va ad analizzare ciò. Gli sperimentatori
andavano ad indurre nei partecipanti dei comportamenti facciali, simil-sorriso e simil-
corrucciamento, poi facevano leggere loro delle vignette umoristiche. Dopo di che
andavano a chiedere il giudizio su queste vignette. Partecipanti nella condizione in cui
dovevano tenere la biro tra i denti (vs. labbra) mostravano degli atteggiamenti più positivi
verso le vignette. Feedback facciale (indotto) rappresentava il proprio comportamento che
andava ad influenzare l'atteggiamento verso lo stimolo.

A cosa servono- gli atteggiamenti svolgono due funzioni principali:


1. Funzione auto-affermativa o ego-difensiva servono per esprimere e affermare il proprio
sé e la propria identità.
2. Funzione utilitaristica Come gli stereotipi o le categorie, gli atteggiamenti servono per
massimizzare le nostre risorse cognitive, la conoscenza dello stimolo non parte da zero e
abbiamo già un atteggiamento verso di esso che ci permette di massimizzare le nostre
esperienze positive e di minimizzare quelle negative.
3. Funzione conoscitiva gli atteggiamenti permettono di rispondere al bisogno di
conoscenza e di organizzazione delle informazioni; quindi, consentono di conoscere le
caratteristiche degli oggetti, di organizzare tali caratteristiche e di interpretare nuovi
oggetti ed eventi.
4. Funzione di espressione di valori permettono di esprimere a sé stessi e agli altri valori
che sono centrali per il sé e di affermare la propria identità.

Relazione tra atteggiamenti e comportamenti- Segando un senso comune i nostri atteggiamenti


sono degli ottimi predittori delle nostre azioni, in realtà ciò non avviene sempre; infatti, il mio
atteggiamento non si traduce sempre in quel comportamento corrispondente. Il primo autore che
ha messo in discussione questa relazione fu LaPiere che nel 1934 condusse uno studio molto
realistico (sul campo), in cui ha passato del tempo con una coppia cinese nel sud della California. In
una prima fase all’insaputa della coppia, accompagnava la coppia a chiedere ospitalità ai
proprietari di strutture di ospitalità. La coppia ovviante non era al corrente dello studio. Ciò che
LaPiere osservava erano i comportamenti dei proprietari. In una seconda fase LaPiere spediva a
tutti i proprietari un piccolo questionario in cui veniva chiesto loro se fossero state propense ad
ospitare persone cinesi all’interno della lor struttura. Se gli atteggiamenti e i comportamenti
fossero legati ci si aspetterebbe che i risultati fossero molto simili. Nel caso del comportamento
solo un caso si era rifiutato di ospitare la coppia cinese nella sua struttura si sono riscontarti dei
comportamenti non discriminatori. Nel caso dell’atteggiamento il 92% degli intervistati rispondeva
negativamente all’intenzione di ospitare la coppia cinese atteggiamento molto discriminatorio.
Ecco che vi è una forte discrepanza tra atteggiamento dichiarato e il comportamento effettivo. Da
qui la psicologia sociale ha cercato di concentrarsi suoi fattori che sembrano essere importanti per
favorire la connessione tra atteggiamento e comportamento:
1. Principio di compatibilità l’atteggiamento e il comportamento si compongono di 4
fattori che devono essere compatibili, per far si che attefg8amnto e comportamento si
rispecchino.
2. Grado di specificità per cui è più probabile che un atteggiamento predica un
comportamento quando hanno lo stesso grado si specificità. es., atteggiamento generale
verso ospitare dei cinesi vs. comportamento specifico (ospitare quella coppia di cinesi).
3. Tempo intercorso tra atteggiamento e comportamentoè più probabile che un
atteggiamento predica il comportamento quando misurati in tempi vicini. es.,
atteggiamento positivo verso un partito politico più probabile si traduca in voto quando
misurato una settimana prima rispetto a un mese prima.
4. Grado di accessibilità dell’atteggiamento tanto più l’atteggiamento è accessibile in
memoria tanto più è probabile si traduca in comportamento. Legato a ciò vi è il concetto di
priming.
5. Forza dell’atteggiamento tanto più forte l’associazione tra l’oggetto dell’atteggiamento e
la valutazione associata, tanto più probabile che l’atteggiamento venga attivato
automaticamente in memoria, collegato con il fattore 3, del grado di accessibilità. La forza
dell’atteggiamento è determinata dalla quantità delle informazioni circa il tema, dal
coinvolgimento personale verso il target ed infine dall’esperienza dirette.
Teoria dell’azione ragionata e Teoria del comportamento pianificato- sono due teorie che partono
dall’assunto che tutti noi prima di decidere se mettere in atto un comportamento basandosi su un
atteggiamento facciamo molte considerazioni. Questo evidenzia il ruolo attivo e razionale
dell’individuo nell’ attuare un comportamento a partire da un atteggiamento verso il
comportamento. In particolare, tre fattori sembrano importanti per prevedere la messa in atto di
un comportamento a partire dall’atteggiamento:
1. La norma soggettiva si cerca di capire come gli altri pensano e si comportano circa quel
target. Ciò che l’individuo pensa che gli altri credano. Le altre persone sono importanti per
l’individuo fungono da orientamento rispetto alla cosa giusta da fare.
2. La capacità di controllare il comportamento si immagina la messa in atto di quel
comportamento e si fanno delle valutazioni sulle risorse corrette e adeguare per
controllare il comportamento. Se percepisco di non avere il controllo su quel
comportamento allora non lo metterò in atto e vice versa se sento di poter mantenere il
controllo.
3. L’intenzione dell’individuo tanto più ho la volontà di mettere in atto un comportamento
tanto più è probabile che lo metta in atto, perché mi sento convinto di metterlo in atto. È
una valutazione interna dell’individuo: tanto più c’è la volontà e la motivazione di mettere
in atto quel comportamento, tanto più è probabile venga messa in atto.

Se uno o più fattori non vanno nella stessa direzione il comportamento collegato all’atteggiamento
non può essere attuato nasce nelle persone una sensazione di dissonanza. Nella teoria del
comportamento pianificato, si aggiunge come fattore predittori delle intenzioni comportamentali
e del comportamento stesso il controllo comportamentale, ovvero la percezione di essere in
grado di mettere in atto il comportamento. Il controllo percepito dall’individuo sul
comportamento pianificato ha una forte influenza nell’attuarlo veramente, se l’individuo si
percepisce in grado di attuarlo allora verrà messo in atto.
Gli atteggianti possono cambiare- Anche se si parla del fatto che gli atteggiamenti sono stabili nel
tempo possono essere cambiati. Il
cambiamento è determinato da:
1. Auto-valutazione e introspezione tentativo di riduzione
Nel caso di dissonanza cognitiva le
presone cambiano i propri
atteggiamenti piuttosto che i
propri comportamenti per due
motivazioni fondamentali: 1) la
dissonanza generalmente si
riferisce a comportamenti passati,
che non sono quindi modificabili;
2) per il principio del minimo sforzo, cambiare atteggiamenti è molto meno dispendioso
che cambiare comportamenti. Quando se ne fa esperienza si cerca subito di trovare una
coerenza interiore. La coerenza cognitiva si ristabilisce, in un primo luogo modificando il
comportamento, se però non modifichiamo il nostro comportamento questo e
l’atteggiamento non sono coerenti, cambiamo quindi il nostro atteggiamento.
Il cambio di atteggiamento per ripristinare la coerenza cognitiva può nascere anche attraverso:
a. Giustificazione dello sforzo la dissonanza è esperia quando la persona a seguito di un
notevole sforzi raggiunge un risultato modesto. Se un individuo compie uno sforzo
considerevole per raggiungere un obiettivo, considererà più attraente quell’obiettivo
rispetto a un obiettivo raggiunto senza grandi sforzi. Per ridurre la dissonanza, la persona
giustifica i suoi sforzi modificando il suo atteggiamento verso l’obbiettivo raggiunto,
giudicandolo particolarmente piacevole. È molto più facile considerare il nostro obbiettivo
piacevole se si sono impiegati molti sforzi, che considerare l’obbiettivo spiacevole o che
non abbia raggiunto le nostre aspettative dopo tutti gli sforzi, se ciò avvien tendiamo a
giustificare il tutto combinando il nostro atteggiamento. Nell’esperimento di Aronson e
Mills del 1959 delle studentesse di un college americano che erano interessate a
partecipare ad uno gruppo di discussione sulla psicologia sessuale. Per poter partecipare
veniva chiesto loro di fare un test di ingresso, che consisteva nel pronunciare parole volgari
davanti a degli sconosciuti (condizione ad alto sforzo), a delle altre studentesse veniva
chiesto di pronunciare delle parole legate al sesso ma non volgari (condizioni a basso
sforzo), nella condizione di controllo venivano affidate casualmente delle ragazze al gruppo
di studio senza test. Dopo il test ad ogni ragazza ascoltava poi la registrazione di una
discussione del gruppo cui avrebbero partecipato. La registrazione era creata dagli
sperimentatori appositamente noiosa. Dopo l’ascolto veniva chiesto alle studentesse
quanto giudicavano piacevole la discussione e il gruppo. I risultati dimostrano che più alto
era lo forzo più alto era il livello di piacevolezza del gruppo di discussione. Le ragazze che
avevano compiuto un grande sforzo per entrare nel gruppo riducevano la propria
dissonanza cognitiva convincendosi che il gruppo e la discussione erano assolutamente
piacevoli. Le ragazze che avevano compiuto uno sforzo minimo o nessun sforzo non
avevano l’esigenza di ridurre la propria dissonanza; quindi, giudicavano il gruppo come
effettivamente era, cioè noioso.
b. Obbedienza indotta Si esperisce dissonanza quando la persona è indotta da fonti
esterne (ad es., un’autorità) a comportarsi in modo contrario a un proprio atteggiamento.
Se si è indotti a metter in atto in compramento contrario ad un nostro atteggiamento in noi
nasce una dissonanza. Nello studio di Festinger e Carlsmith del 1959 veniva chiesto a degli
studenti universitari veniva chiesto di fare dei compiti motori per mezz’ora, compiti molto
noiosi. Dopo di che lo sperimentatore chiedeva di mentire al partecipante e dire ad un altro
partecipante che lo studio fosse molto interessante. A metà dei partecipanti venivano dati
20 dollari se avessero mentito, all’altra metà sarebbe stato dato un dollaro. Dopo di che
veniva chiesto loro di giudicare il compito su una scala da molto interessante a molto
noioso. I partecipanti che avevano ricevuto un’alta ricompensa consideravano molto noiosi
i compiti e viceversa per coloro i quali avevano ricevuto una ricompensa bassa. Ciò che
accade in entrambi i casi si crea una dissonanza, ma nel primo caso la dissonanza è risolata
da una ricompensa esterna,
essendo che la dissonanza è
risolta allora si giudica il
compito com’è sul serio, “Ho
mentito per denaro”. Il loro
atteggiamento verso il
compito (“Il compito è
noioso”) non si modifica, il
compito era effettivamente
noioso.; nel secondo caso con
una ricompensa molto bassa
la dissonanza non è risolta
dal dollaro, allora si modifica il proprio atteggiamento non trovando una soluzione per la
dissonanza. Il fatto di aver messo in atto un comportamento (mentire) dissonante con
l’atteggiamento (mentire è sbagliato) non viene giustificato dalla ricompensa, in quanto
troppo bassa. Si crea quindi dissonanza. “Non ho mentito”. Il loro atteggiamento verso il
compito si modifica per ridurre la dissonanza: “Il compito in fondo non era così male, anzi a
ripensarci era interessante”. Questo è anche definito come giustificazione insufficiente.
c. Dissonanza postdecisionale il periodo precendete ad una decisione è carattereizzao da
incetrezza dato che la maggior parte delle alternative in una scelta comportano vantaggi e
svantaggi, spesso dopo aver preso una decisione possiamo avere dei rimpianti ecco che qui
entra in gioco la dissonanza postdecisionale, solitamnte il soggetto tende a cambiare
attegiamenti per giustificare la decisione appena presa.
2. Fonti esterne comunicazione persuasiva con le altre persone. La comunicazione
persuasiva è intesa come un processo comunicativo verbale o non verbale in cui un
gruppo di individui influenza i comportamenti e atteggiamenti dei destinatari. I mezzi della
comunicazione persuasiva possono essere: interazioni faccia a faccia, mass media e i social
media. Hovland è stato il primo studioso a occuparsi della persuasione nell’ambito della
psicologia sociale durante gli anni 60’, ovvero durante la guerra fredda. Gli vennero dati dei
finanziamenti per provare a trovare il modo più efficace di persuadere la popolazione
americana ad armarsi. Hovland si basa molto sulle caratteristiche della fonte, del
messaggio e del destinatario per definire un’efficace comunicazione persuasiva.
a. Fonte la fonte deve essere autorevole, a parità del contenuto del messaggio se
la fonte è percepita come autorevole il messaggio risulta persuasivo. Lo stesso
messaggio è più persuasivo quando viene espresso da una fonte autorevole (o
presunta tale) del tema rispetto ad un non esperto. In uno studio veniva chiesto a
degli studenti la loro opinione circa la
possibilità degli stati uniti di costruire un
sottomarino atomico. In una seconda
fase veniva presentato un brano in cui
c’era un’opinione circa questa
possibilità, i brani dallo stesso contenuto
erano tre, ciò che variava era
l’autorevolezza della fonte. La fonte del
primo testo era un celebre professore di
fisica (autorevole) e la seconda fonte era
un periodico comunista (fonte non autorevole). Ciò che veniva misurata era la
modifica degli atteggiamenti da parte degli studenti. Per gli studenti che erano stati
sottoposti al testo firmato dalla fonte autorevole cambiavano di molto il loro
atteggiamento.
Gli influencer marketing sono degli individui identificati dalle aziende come determinanti nell’
influenzare l’opinione pubblica, costituiscono un target importante cui indirizzare messaggi
pubblicitari, al fine di accelerarne l’accettazione presso un pubblico più vasto. Si distinguono in tre
diversi tipi: 1) Social broadcaster: Persone con alta notorietà acquisita al di fuori della rete (ad es.,
star del mondo dello spettacolo, sportivi).2) Mass influencer: Persone con forte presenza sui social
media e numeroso seguito che sono riconosciuti come esperti in un campo specifico dalle
community con cui interagiscono.3) Potential influencer (o micro-influencer): Individui
potenzialmente influenti per il proprio network di conoscenze, in genere community di piccole
dimensioni. I principi della comunicazione persuasiva dei mass influencer:1) La
credibilità/autorevolezza della fonte: Tanti più like, condivisioni e followers tanto più aumenta la
credenza che l’influencer sia autorevole in quell’ambito specifico.2) La mera frequenza di
esposizione: Tanto più si è esposti alla fonte di persuasione (mass influencer e post), tanto più
aumenta la percezione di piacevolezza della fonte.3) Conformismo e bisogno di appartenenza:
Seguire un mass influencer aumenta il senso di appartenenza degli individui a un particolare
gruppo in cui si condividono obiettivi e interessi comuni.
b. Messaggio se i messaggi attivano paura e minaccia, come nelle campagne di
prevenzione, sono molto efficaci. Un eccessivo grado di paura però può provocare
nel destinatario un altro stato di ansia che lo potrebbe portare ad allontanarsi dal
messaggio stesso, perché elicitano un grado di minaccia troppo forte da portare il
destinatario ad evitarlo. Una maggior efficacia sembra che la abbiano i messaggi
che si focalizzano sulle conseguenze positive dell’atteggiamento.
c. Destinatario Le persone con bassa autostima vengono persuase più facilmente
rispetto alle persone con alta autostima. Un altro aspetto che non riguarda le
caratteristiche individuali ma quelle situazionali, ovvero se le persone sono distratte
in una determinata situazione sono molto più predisposte ad essere persuase,
rispetto a quando prestano piena attenzione. Nel modello di Petty e Cacioppo del
1986 si spiega come avviene ciò. Quando le presone ricevono un messaggio
persuasivo possono attuare due diversi percorsi di elaborazione del messaggio: 1)
percorso centrale e 2) percorso periferico, predisposizione a farsi persuadere. La
scelta di seguire uno o l’altro percorso dipenda da: 1) motivazione se alta p.
centrale 2) competenza della persona verso il tema del messaggio se alta p.
centrale, 3) risorse cognitive a disposizione se alte p. centrale. Il percorso
periferico si attiva con maggior frequenza, soprattutto quando si è esposti a
messaggi pubblicitari. Gli indizi periferici sono particolarmente importanti affinché il
messaggio sia persuasivo: 1) Attrattività fisica della fonte; 2) Credibilità (percepita)
della fonte. i due percorsi possono produrre un cambiamento dell’atteggiamento,
tutta via il percorso centrale può produrre un cambiamento più duraturo,
profondo e meno influenzabile, il percorso periferico può produrre un
cambiamento più breve, superficiale e più soggetto a influenze.

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