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Secondo nucleo tematico

Le patologie dell’intestino tenue e crasso


Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Seconda annualità

Ferdinando Polimeni
Specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva
Patologie dell’Intestino

Duodeno  Infettive
Crasso
Digiuno
Tenue  Infiammatorie
Ileo
 Tumorali
Patologie Infettive
Agenti Responsabili Sintomi Principali
 Virus: Rotavirus……  Diarrea
 Batteri: Salmonellosi…  Dolore
 Protozoi: Giardiasi…  Febbre
 Elminti: Ascaridi.…
Terapia
 Sintomatici
 Reidratazione
 Antibiotici…….
Patologie del Tenue: Malassorbimento
Il Tenue è la sede della Digestione e
dell’Assorbimento del cibo e le sue
patologie provocano principalmente

Tenue Maldigestione e Malassorbimento


dei Nutrienti: Carboidrati, Proteine,
Grassi, Vitamine, Ferro, Calcio……
Sintomi di Malassorbimento

SINTOMI MALASSORBIMENTO

Diarrea, Gonfiore Carboidrati, Grassi


Anemia Ferro, Folati, B12
Fratture Vit D, Calcio
Emorragie Vit K e C
Perdita di peso Nutrienti vari
Patologie Celiachia
Infiammatorie
del Tenue

Infiammazione Cronica Enteropatia


Immuno-infiammatoria
Scomparsa dei Villi Intestinali Legata a 2 fattori:
1. Geni
Malassorbimento 2. Glutine
Celiachia: Sintomi Principali
 Malassorbimento
 Diarrea
 Distensione addominale
 Dolore addominale
 Vomito
 Anemia
 Perdita di peso o scarso accrescimento
 ………………
Celiachia: Diagnosi
Laboratorio Endoscopia Istologia

Anticorpi Duodeno Duodeno Villi Villi


Genetica Normale Celiaco Duodenali Duodenali
Normali Atrofici
Dieta senza glutine
per tutta la vita!!!
Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali
Inflammatory Bowel Diseases (IBD)
Morbo di Crohn

 Ileite
 Ileo-Colite
 Colite
M. di Crohn: Sintomi
M. di Crohn: Diagnosi Endoscopica
Videocapsula Endoscopica

Computer
dedicato

Capsula
Registratore
Videocapsula Endoscopica

Mucosa dell’ileo
segnata da
ulcere di forma
irregolare
M. di Crohn: Diagnosi Radiologica

Ulcere
M. Di Crohn: Diagnosi Ecografica

Ansa intestinale
infiammata con
pareti ispessite e
lume irregolare.

Sezione Trasversale Sezione Longitudinale


Colite Ulcerosa

 Circoscritta al
Crasso
 Diarrea
 Sanguinamento
rettale
 Dolore addominale
 Febbre
Colon normale Colite Ulcerosa
IBD: Presidi Terapeutici
Lieve
Salicilati

Antibiotici

Cortisone

Immunosoppressori

Biologici

Chirurgia
Severa
Patologie Tumorali

 Benigne

 Polipi

Peduncolato Sessile
 Maligne

 Linfomi
 Carcinomi
Linfoma Carcinoma
Cancro Colo-Rettale (CCR) In Italia

Incidenza: 52.400

Mortalità: 18.756 (35%)

Prevalenza: 427.562

Rischio: 7%
Il CCR si può prevenire!
Lesione Precancerosa Asportabile

Polipectomia
Endoscopica
di Polipo
ancora
Benigno
% di Sopravvivenza a 5 anni

Fase Precoce 90 - 100

Metastasi Locali 35 - 60

Metastasi a Distanza 5
Fase Precoce
La Malattia Diverticolare del Colon
La Diverticolosi è la conseguenza
dell’erniazione della mucosa e della
sottomucosa, attraverso lo strato
muscolare, al di sotto della sierosa.

Ipotesi Patogenetiche:
 Alterazioni del collageno legate all’età
 Dieta povera di fibre: Le fibre
distendendo il colon riducono la
pressione endoluminale (L. di Laplace)
La Malattia Diverticolare del Colon

Sintomi
 D. Asintomatica: riscontro radiologico
o endoscopico casuale
 D. Sintomatica: Dolore, meteorismo,
turbe dell’alvo
 D. Complicata : Sigmoidite, Emorragia,
Perforazione, Peritonite, Occlusione
M. Diverticolare: Trattamento
Diverticolosi Asintomatica
 Mantenere la regolarità dell’alvo, Eventuale uso di Fibre

Diverticolosi Sintomatica Diverticolite Acuta


 Prebiotici  Dieta idrica
 Probiotici  Riposo a letto
 Antispastici  Antibiotici Sistemici
 Antibiotici Topici  Ricovero
 Mesalazina
Patologie Funzionali
Sindrome dell’Intestino Irritabile
Irritable Bowel Syndrome (IBS)
Microbiota Intestinale
Sindrome dell’Intestino Irritabile

 Dolore, Gonfiore e Distensione Addominale


 Sollievo con la defecazione
 Borborigmi, Flatulenza
 Alterato aspetto delle feci
 ………………
IBS: Trattamento
Rassicurazione - Abitudini di vita - Dieta
STIPSI DIARREA GONFIORE DOLORE

Fibre Probiotici Probiotici Antispastici


Lassativi Argilla Antischiuma Psicofarmaci
Procinetici Chelanti Biliari Galattosidasi Psicoterapia
Antiperistaltici Antibiotici
Antibiotici
Secondo nucleo tematico
Le Patologie gastriche
Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Seconda annualità

Ferdinando Polimeni
Specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva
Patologie Gastriche

 Gastropatie
 Gastriti
 Ulcera Peptica
 Tumori
Patologie Gastriche
GASTROPATIE
 Stress
 Alcol
 Ipert. Portale
 Ischemia
 Cocaina
 Fans
Ulcere da FANS
Gastropatia Ipertensiva Portale

Inversione del
flusso venoso Gastropatia
portale Ipertensiva
Gastriti: Concetti Chiave
Atrofia
 La Gastrite è un’infiammazione della
mucosa gastrica, che ne provoca nel tempo
l’Atrofia
Normale  La Diagnosi è essenzialmente istologica

 Di per se è asintomatica.
Gastrite Diventa sintomatica solo se associata con
altre Patologie come Ulcera, Dispepsia…….
Helicobacter pylori
 E’ un batterio Gram-negativo, microaerofilo,
spiraliforme, di circa 5 , dotato di flagelli e di
un tropismo elettivo per l’epitelio gastrico

 il 50% della popolazione risulta portatore

 La trasmissione avviene per contagio


interumano (oro-orale ed oro-fecale)
Gastrite da H. pylori: Evoluzione
Gastrite da H. pylori: Evoluzione

Gastrite Superficiale Gastrite Atrofica Metaplasia Intestinale


(Lesione Precancerosa)
H. pylori: Metodiche Diagnostiche

Invasive Non Invasive


 Biopsia Gastrica  Antigeni HP nelle feci
 Test all’Ureasi  Urea Breath Test
 Esame Istologico  Anticorpi???
 Esame Colturale
H. pylori

Terapia Eradicante Attuale

2 o 3 Antibiotici per 10-15 giorni

Fino a 14 compresse al giorno!


Ulcera Peptica
 Soluzione di continuo della mucosa con
interessamento dell’epitelio, tonaca propria,
muscularis mucosae e sottomucosa

 Il 10 % della popolazione occidentale ha nel


corso della vita un’ulcera peptica con
un’incidenza annua dello 0.3%

 Il rapporto maschi/femmine è di 3:1

 La mortalità per ulcera peptica si è ridotta


dal 3.5 all’1/100.000 abitanti
Fisiopatologia dell’Ulcera Peptica

FANS
Fisiopatologia dell’Ulcera Peptica
Ulcera Peptica: Sintomatologia
 Ulcera Gastrica
 Dolore epigastrico esacerbato dal pasto e
attenuato dall’assunzione di Antiacidi

 Ulcera Duodenale
 Dolore epigastrico a digiuno attenuato dal
cibo e dall’assunzione di Antiacidi

 Sintomi aspecifici
 Pirosi, Nausea, Vomito
Ulcera Peptica: Diagnosi

Gastroscopia
Ulcera Duodenale U.D. in via di
in fase attiva cicatrizzazione
Ulcera Peptica: Diagnosi

Biopsia Ulcera Gastrica Ulcera Gastrica


Benigna Maligna
Ulcera Peptica: Terapia
Inibitori della
Cellula Pompa protonica
Parietale
Gastrica Pompa
protonica

Inibitori del
Recettore
H2-Istaminico
Acetilcolina Gastrina Istamina
Precancerosi Gastriche
 Condizioni Precancerose
 Gastrite Cronica Atrofica
 Metaplasia Intestinale Metaplasia
 Ulcera Gastrica
 Polipi Adenomatosi
 Lesioni Precancerose
 Displasie
Diplasia sui
margini di Ulcera
Gastrica
Tumori Benigni dello Stomaco
Spesso Asintomatici

Polipi Polipo Adenomatoso Polipo


Iperplastici (Lesione Precancerosa) Sottomucoso
Tumori Maligni dello Stomaco
%

 Adenocarcinoma 90

 Linfoma 5

 Sarcoma 3

 Carcinoide 1

 Gist 1
Tumori Maligni dello Stomaco
Tumori dello Stomaco: Diagnosi
 La diagnosi viene effettuata con
l’Endoscopia e la Biopsia

 L’Ecoendoscopia visualizza gli strati


della parete gastrica e valuta il grado Cancro
di infiltrazione parietale e linfonodale

 La TAC valuta la diffusione locale,


linfonodale e in altri organi (Metastasi)
Normale
Tumori dello Stomaco: Gastroscopia
Early Gastric Cancer

IIc III
Tumori dello Stomaco: Gastroscopia
Carcinomi Avanzati

Cardiale Antrale

IIc III
Tumori dello Stomaco: Gastroscopia

Leiomiosarcoma Leiomioma o
Leiomiosarcoma?
Tumori dello Stomaco: Ecoendoscopia

Leiomioma
Tumori dello Stomaco: Ecoendoscopia

Polipo o Carcinoma? Carcinoma


Tumori dello Stomaco: Ecoendoscopia

Limitato alla Mucosa: Invade la Mucosa


Polipo Benigno Carcinoma
Resezione Endoscopica Resezione Chirurgica
Tumori dello Stomaco: TC

 Estensione della Malattia

 Risposta alla Chemio/Radio Terapia

 Eventuali Recidive
Tumori Maligni:Terapia Chirurgica
Secondo nucleo tematico
Le patologie del fegato, delle vie biliari e del pancreas
Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Seconda annualità
Dott.ssa M.R.GIOFRÈ
Specialista in Medicina Interna

Dott.ssa M.G.PENSABENE
Specialista in Geriatria
• EPATITI
virali, autoimmuni, esotossiche, genetiche
• TUMORI
cisti, adenomi, HCC

• PANCREATITI
ostruttive, infettive, autoimmuni, esotossiche
• TUMORI
cistici, neuroendocrini, adenocarcinoma

• COLANGITI
litiasiche, flogistiche, infettive, autoimmuni
• TUMORI
polipi, miomi, adenomi, cisti, carcinoidi, carcinomi
SEGNI E SINTOMI

ESAME OBIETTIVO: ispezione, palpazione, percussione,


auscultazione.

ANAMNESI: familiarità, abitudini di vita, viaggi, esordio


sintomi ed evoluzione

ESAMI DI LABORATORIO: indici di citolisi epatica, colestasi,


leucocitosi….
ITTERO
Esordio, durata, associato a dolore addominale, febbre, colore delle feci o delle urine,
esposizione ad agenti virali epatotropi, uso di droghe per via endovenosa, trasfusioni di sangue.
Segno di Murphy

Margine AI bozzuto
di consistenza lignea

Dolorabilità

Epatomegalia
DOLORE ADDOMINALE
a) INIZIO E DURATA: quando è iniziato; improvviso o graduale; persistente
ricorrente, intermittente.
b) CARATTERI: sordo, pungente, urente, crampiforme, colico.
c) LOCALIZZAZIONE: all’esordio, modificazioni della localizzazione, nel tempo,
irradiazione in un’altra zona, superficiale o profondo.
d) SINTOMI ASSOCIATI: vomito, diarrea, stipsi, flatulenza addominale, eruttazione,
ittero, collasso, cambiamento della circonferenza addominale.
e) RELAZIONE CON: ciclo mestruale, mestruazioni anormali, defecazione,
inspirazione, cambiamenti di posizione, assunzione di alcool o di cibo, aspirina o
altri farmaci, stress, momento della giornata.
Diagnosi differenziale
caratteri del dolore

Colecistite Pancreatite Calcoli biliari

Intenso, continuo, a livello Drammatico, improvviso, Episodico, intenso, QSD o


del QSD o epigastrico può straziante, QSS, epigastrico, durata da 15’
essere riferito alla regione epigastrico o ombelicale, a diverse ore, può essere
sottoscapolare dx talvolta a cintura, può riferito alla regione
essere riferito alla spalla sottoscapolare,
sx particolarmente a dx
EPATITE
PROCESSO FLOGISTICO–NECROTICO DEL FEGATO ACCOMPAGNATO DA
UN COINVOLGIMENTO SISTEMICO PIU’ O MENO INTENSO
I VIRUS CHE CAUSANO EPATITE
L’epatite virale è causata da differenti virus non correlati immunologicamente
Incubazione Epatite Epatite
Acuta Cronica
 1968 HBV Epatite B (DNA) 60-90 Quasi sempre SI
giorni sintomatica
 1976 HAV Epatite A (RNA) 10-50 Spesso NO
giorni asintomatica
 1977 HDV Epatite Delta (RNA) ------- Solo insieme Come HBV
HBV (virus
difettivo)
 1983 HEV Epatite E (RNA) 6 sett. NO
circa
 1988 HCV Epatite C (RNA) Variabile Quasi mai SI
2-25 sett. sintomatica (CIRROSI 10%)

 Virus Minori CMV EBV HSV Sintomatiche


Coxackie
Parotite Rosolia
Marcatori sierologici di infezione da HBV Marcatori sierologici di infezione da HCV

Marcatori virali Categorie diagnostiche Marcatori virali Categorie diagnostiche


HBsAg Infezione Anti HCV Esposizione
HCV-RNA Replicazione
Anti HBs Immunità
Anti HBc Esposizione
HBV-DNA, HBeAg Replicazione
IgM anti HBc Malattia

Per escludere un’infezione da virus Per escludere un’infezione da virus


dell’epatite B (HBV), richiedere: dell’epatite C (HCV), richiedere:
• HBsAg • Ab HCV
• anti-HBc Ab
• anti-HBs Ab
Categorie a rischio di infezione da HBV o HCV
• Tossicodipendenti (attivi o che lo siano stati in passato)
• Consumatori di droghe per via inalatoria
• Emodializzati
• Persone sottoposte a procedure invasive mediche, odontoiatriche o estetiche (tatuaggi) in ambienti a
basso standard di sterilizzazione dello strumentario
• Personale sanitario
• Persone emotrasfuse o sottoposte a trapianto d’organo prima degli anni ‘90
• Emofilici che abbiano ricevuto emoderivati prima degli anni ‘90
• Familiari e partner sessuali di soggetti con infezione da HBV/HCV
• Bambini nati da madri con infezione da HBV o HCV
• Carcerati
• Soggetti con infezione da HIV
• Soggetti con attività sessuale promiscua o con precedenti malattie sessualmente trasmesse
• Immigrati provenienti da aree ad alta endemia di infezione da HBV/HCV*

Accanto a queste categorie, la ricerca dei virus dell’epatite B e C deve essere effettuata nei soggetti con:

• Transaminasi alterate in almeno 2 occasioni


• Malattia epatica da altra causa (alcol, sindrome metabolica, malattie autoimmuni)
• Donne in gravidanza
• Prima di intraprendere trattamenti con farmaci immunosoppressivi
EPATITI AUTOIMMUNI
L’AIH è un’infiammazione cronica del fegato ad eziologia sconosciuta, con tendenza ad evolvere in cirrosi
ed insufficienza epatica se non adeguatamente trattata. Predilige il sesso femminile con una frequenza di

3-4 volte superiore rispetto a quello maschile e può esordire in tutte le età.

I sintomi, quando presenti, sono caratterizzati da marcata astenia, malessere, poliartralgie e dispepsia fino
a quadri di epatite acuta itterica del tutto indistinguibile dalle forme acute virali o tossiche.

 L’AIH deve essere considerata in diagnosi differenziale ogni qualvolta ci si trovi in presenza
di un’ipertransaminasemia e/o cirrosi senza un’eziologia definita.

La diagnosi si fonda sul riscontro di più elementi clinici, laboratoristici ed istologici, nessuno dei quali
tuttavia è patognomonico di malattia. In assenza di un test diagnostico specifico si è reso necessario lo
sviluppo di score diagnostici.
Score diagnostico per AIH
EPATITI COLESTATICHE
La Colangite Sclerosante Primitiva La Colangite Biliare Primitiva
La diagnosi di CSP si basa sulla combinazione di La CBP è una malattia infiammatoria autoimmune
manifestazioni cliniche (sintomi e segni di colestatica del fegato che può evolvere fino alla cirrosi
colestasi o astenia profusa), alterazioni biliare.
laboratoristiche (in particolare aumento della
L’avanzamento delle tecniche diagnostiche permette oggi
fosfatasi alcalina e della γGT), aspetti di imaging
un riconoscimento precoce della patologia prima
(alterazioni e irregolarità dell’albero biliare
dell’evoluzione in cirrosi, complicanza che si presenta solo
caratterizzate da stenosi e dilatazioni) ed
in un sottogruppo di pazienti.
immagini istologiche.
La diagnosi si basa generalmente sulla presenza di test
epatici indicativi di epatite colestatica associati alla
presenza di anticorpi circolanti anti-mitocondrio (AMA) ed
anti-nucleo specifici per la malattia. La biopsia epatica non
è strettamente necessaria per la diagnosi.
EPATITE ALCOLICA
Nessun test di laboratorio è valido in assoluto ai fini di definire l’eziologia alcolica del danno epatico, anche se, valutando insieme i risultati di
più indagini (ad es. γGT, MCV, AST) si può raggiungere una adeguata sensibilità e specificità diagnostica.

Gli indici di danno epatico alcol-indotto sono:

• Incremento delle transaminasi: (soprattutto AST, con rapporto AST/ALT>1) bassa specificità, ma buona sensibilità (presente in oltre il
50% dei bevitori senza apparente danno epatico).

• Incremento della γGT: in assenza di colestasi, indica induzione enzimatica da etanolo o altri xenobiotici; buona sensibilità ma scarsa
specificità (presente spesso in altre epatopatie con/senza ipertransaminasemia).

• Incremento di MCV: presente nell’80-100% dei bevitori, ma anche nel 20% degli epatopatici cronici non etilisti.

• Incremento dei trigliceridi: di frequente riscontro nella maggioranza dei bevitori.

• Incremento dell’uricemia, presente nel 50% dei bevitori.

• Incremento delle IgA sieriche, presente in circa il 30% dei bevitori non epatopatici, e fino al 60 % degli etilisti cirrotici, ha scarsa specificità.
Quali soggetti sono a rischio di cirrosi epatica e devono essere
sottoposti a valutazione clinicolaboratoristica-strumentale?
Categorie a rischio di cirrosi:
• Portatori di malattia epatica cronica da virus epatitico maggiore (HBV, HCV, HDV)
• Soggetti dediti cronicamente all’alcol
• Pazienti affetti da epatopatia cronica metabolica con transaminasi elevate e/o fibrosi (NASH)
• Portatori di alterazioni del metabolismo del ferro o del rame
• Pazienti affetti da malattia epatica di natura autoimmune
• Portatori cronici di elevazione degli indici epatici in assenza di una causa identificata
• Soggetti in cui l’indice APRI (AST/Piastrine) sia >1.5-2
• Pazienti con rapporto AST/ALT >1, laddove siano state escluse le forme autoimmuni e le alcoliche

Non deve essere mai tralasciata:


• La possibile concomitanza di due o più cause di malattia epatica cronica nello stesso paziente
• L’uso cronico di farmaci e/o rimedi alternativi epatotossici
• La ricerca dettagliata del consumo di alcol
• Anamnesi familiare positiva per patologie epatiche
del paziente con cirrosi epatica.
Quali esami ematici richiedere per accertare la causa di una Cirrosi Epatica
Pur essendo espressione di citolisi e quindi di danno epatocellulare, la presenza di ipertransaminasemia non è
nè indice di gravita di malattia ne di evoluzione. Molti casi di pazienti con epatopatia cronica anche già cirrotica
decorrono per anni con andamento ondulante delle transaminasi o addirittura con costante normotransaminasemia.
Diagnostica strumentale
Alterazioni dell’imaging ecografico indicative di Ulteriori indagini di esclusiva competenza
cirrosi epatica: specialistica:
 Ipertrofia del lobo caudato  Fibroscan e studio della fibrosi
 Margini epatici irregolari  TAC
 Volume epatico ridotto  RMN
 Riduzione calibro sovraepatiche  ColangioRMN
 Splenomegalia  ERCP
 Dilatazione vena porta (diametro>11 mm)  Biopsia epatica
 Flusso ematico epatofugo al colordoppler  EGDS
 Paracentesi
 Cateterismo vene epatiche
COLECISTITE

• È una flogosi che nasce dal concorrere di 2 fenomeni:


Stasi biliare+Calcoli (o bile litogena)
• Incuneamento di un calcolo nel dotto cistico
• Mancato deflusso di bile
• Flogosi chimiche
• Edema pareti della colecisti
• Sofferenza ischemica
• Sovrainfezione batterica
DECORSO

FISTOLA COLECISTO-DIGIUNALE

COLECISTITE ENFISEMATOSA

EMPIEMA

COLECISTI A PORCELLANA
MALATTIE DELLE VIE BILIARI
PANCREATITI
ACUTE CRONICHE

«Processo infiammatorio acuto che si associa ad una «Infiammazione cronica dell’intera ghiandola o più
compromissione morfologica e funzionale del raramente di un suo segmento, che determina la progressiva
parenchima ghiandolare che si presenta con quadri e irreversibile atrofia parenchimale con sostituzione
anatomo-patologici differenti» fibrocalcifica del tessuto ghiandolare e graduale perdita
 SEVERA (necrotico-emorragica) della funzione esocrina»
 LIEVE (edematosa)
•CALCIFICANTE
• Incidenza in Italia: 5-80 su 100,000 dilatazione dei dotti intralobulari (dilatati e stenotici)
• Mortalità: 2,1-7,8% (metà delle morti nella prima e calcoli intraduttali
seconda settimana) calcificazioni parenchimali
• Fattori prognostici: necrosi pancreatica e MOF • OSTRUTTIVA
• Pancreatite necrotizzante: 10-20% dei pazienti con lesioni diffuse
mortalità fino al 25% ( il 30-40% sviluppa infezioni dotti pancreatici regolari
della necrosi).
• Cronicizzazione dopo episodio acuto: 3-13%
EZIOLOGIA IN ITALIA
• Biliare 60%
• Alcolica 8,5%
• Altra 10,5% (uso di farmaci, malattie infettive, HIV,
iperlipidemia, ipercalcemia, malnutrizione ERCP,
ostruzione del dotto di Wirsung, recente intervento
chirurgico, ischemia traumi, Autoimmune)
• Non identificata 21% METODI DI STUDIO

GREY TURNER SIGN


CULLER SIGN
NEOPLASIE PANCREATICHE
Secondo nucleo tematico
Le patologie del cavo orale
Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Seconda annualità

Dott.ssa Laganà Valentina


Specialista in Odontoiatria e Protesi Dentaria
La patologia cariosa
• La carie è una malattia infettiva multifattoriale.
• L’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS, ha definito la lesione, come processo
patologico esterno, localizzato ai tessuti duri del dente con formazione di una cavità.
• È caratterizzata dalla distruzione dei tessuti duri con conseguente cavitazione.
• È multifattoriale, cronica, irreversibile;
• I fattori eziologici sono rappresentati da :
• Suscettibilità dell’ospite;
• Assunzione di carboidrati : saccarosio;
• Placca batterica: Microrganismi acidogeni ed acido-produttori quali : Streptococcus
Mutans e Lattobacilli.

(Young et al., 2007; Yost & Li, 2008).


La patologia cariosa
Eziopatogenesi:
L’introduzione di zuccheri nel cavo orale (saccarosio), determina un abbassamento del
ph del biofim, dovuto dalla produzione di acido lattico, derivante dal metabolismo
batterico.
La riduzione del ph sulla superficie dello smalto, al di sotto del ph critico 3.3, determina
l’instaurarsi di un processo di demineralizzazione.

Lo Streptococcus Mutans ed i Lattobacilli presenti nel biofilm dentale*, in presenza di


saccarosio, producono acido lattico sulla superficie del dente. Questo determina un
abbassamento del ph del cavo orale.
L’instaurarsi dell’ambiente acido al di sotto della soglia critica 3.3 ph, determina l’avvio
di un processo di demineralizzazione dello smalto. (perdita di fosfato di calcio)
Il perdurare di questo stato nel tempo detemina la formazione di una cavitazione.

*La placca batterica è un aggregato di batteri normalmente presenti nella bocca in modo da
formare una struttura organizzata (biofilm) capace di rendere i batteri altamente resistenti alle
difese immunitarie ed ai farmaci (es. antibiotici). Dopo qualche giorno dalla sua formazione, la
deposizione di sali di calcio e di fosfati la trasforma in tartaro.
La patologia cariosa
Fattori Locali:
1. Insufficiente Igiene orale;
2. Anatomia e posizione;
3. Assunzione di fluoro;
4. Scarso potere tampone salivare.

1. La scarsa igiene domiciliare aumenta il rischio di carie per la


continua proliferazione batterica del biofilm e conseguente
produzione di acido;
2. L’affollamento dentario, facilita il deposito di placca sulla Cartina tornasole per
la valutazione del ph
superfice dentaria e riduce la detersione meccanica dello salivare
spazzolino.
3. Il fluoro assunto per via topica e quello contenuto nei
dentifrici, determina un rafforzamento dello smalto. Infatti si
ha la formazione di fluoroapatite, che possiede una maggiore
resistenza al ph critico (resiste fino a 2,5 ph). Il rilevatore di placca a
base di fucsina, mostra
4. La saliva ha un ph neutro (6,4-7) ed esplica un potere la presenza del biofilm
tampone, grazie ai bicarbonati contenuti in essa. Consente sulla superficie
di neutralizzare il ph acido prodotto dai batteri. dentaria post igiene
orale domiciliare
La patologia cariosa
Classificazione di Miller (topografica):
1. Classe I: Depressioni anatomiche, solchi e fossette dei denti
posteriori: Solchi e forami ciechi dei denti anteriori;
2. Classe II: Cavità prossimali di molari e premolari;
3. Classe III: Cavità prossimali di incisivi e canini senza
coinvolgimento dell’angolo incisivo;
4. Classe IV : Cavità prossimali di incisivi e canini con
interessamento di un angolo incisivo;
5. Classe V: Cavità interessanti il terzo gengivale vestibolare o
linguale di tutti i denti;
6. Classe VI : Cavità sulla sommità delle cuspidi dei posteriori e
sul margine incisivo dei denti
La patologia cariosa
Classificazione Clinica: La classificazione clinica secondo i professori Baume e Holtz della Scuola di Medicina Dentale
dell’Università di Ginevra è basata sul grado di penetrazione della carie e distingue 5 livelli.
1. Carie iniziale :Senza cavità, interessa solo lo smalto, con aspetto di macchia biancastra, ruvida e gessosa; è l’unica
reversibile con la fluoroprofilassi;
2. Carie superficiale : Supera la giunzione smalto-dentinale, quindi inizia ad invadere la dentina;
3. Carie profonda: Si estende in profondità interessando il corpo dentinale
4. Carie penetrante: Determina una reazione da parte dell’organo pulpo-dentinale con formazione di dentina terziaria
5. Carie perforante: Comporta esposizione pulpare.

Immagini tratte dal libro AIC


Odontoiatria restaurativa
La patologia cariosa
Trattamento:
Lesioni attive: procedure per arrestare le lesioni e successivamente i restauri.
Lesioni non attive: esecuzione di un restauro in composito;

Per l’esecuzione dei restauri diretti, vengono utilizzati dei sistemi adesivi, che insieme alle
resine composite s’integrano perfettamente con i tessuti circostanti. Immagini tratte dal libro AIC
Odontoiatria restaurativa
La Patologia PULPARE s
Corona
Il dente è un organo composto da : d
• Corona (smalto) porzione che emerge dalla gengiva; p
• Radice: (cemento) porzione contenuta all’interno dell’alveolo osseo;

• I tessuti che lo compongono sono:


• Smalto: il tessuto mineralizzato più duro del corpo, composto principalmente da cristalli di
idrossiapatite e fosfati di calcio ;
• Cemento: tessuto connettivo che riveste la superficie radicolare e mantiene il dente all’interno c
dell’alveolo alveolo,tramite fibre collagene;
• Dentina: tessuto connettivo composto da microtubuli al cui interno sono presenti delle fibre di Radice
Tomes, che la mettono in comunicazione con i tessuti pulpari;
• Polpa: tessuti connettivo innervato ed altamente vascolarizzato.
La sua funzione è :
• Difensiva : è in grado di rispondere agli insulti di tipo batterico, iatrogeno, attraverso il
processo dell’infiammazione; consente la produzione di dentina terziaria;
• Sensoriale: risponde al danno con il dolore;
• Nutritiva: determina un apporto di sostanze nutritizie e di acqua necessari per il metabolismo
della dentina;
• Formativa: consente la formazione e la mineralizzazione della dentina a partire dagli
odontoblasti.
La Patologia PULPARE
L’avanzamento della lesione cariosa, in prossimità dei tessuti pulpari, determina l’instaurarsi di un processo flogistico a
carico della polpa.
• Nelle fasi iniziali, il processo infiammatorio, insorge in maniera REVERSIBILE (IPEREMIA PULPARE), caratterizzato da
una risposta algica, rapida, agli stimoli termo-chimici (freddo), tattili, meccanici.
• La fase seguente, è rappresentata dalla PULPITE IRREVERSIBILE sintomatica, caratterizzata da dolore intermittente
o spontaneo, esacerbato dagli stimoli caldi, che perdura per minuti dopo la cessazione dello stimolo irritativo ed
aumenta con il clinostatismo.
Il dolore può essere acuto o sordo, localizzato, diffuso o riferito. Il paziente ha difficoltà a localizzare il dente, confondendo
le arcate dentarie (Mascellare, mandibolare).
La caratteristica principale è il dolore pulsante. Questo è secondario all’ incapacità dei tessuti dentinali di estendersi
durante le fasi flogistiche pulpari.
Infatti la polpa tende ad aumentare il proprio volume per via dell’edema tissutale e non trova spazio per estendersi
completamente, andando a sbattere contro le rigide pareti della cavità pulpare.
• La fase seguente è rappresentata dalla NECROSI pulpare: la ridotta permeabilità vascolare a livello apicale non
consente alla polpa di rispondere all’insulto infiammatorio. S’interrompe l’apporto sanguigno e la polpa diventa
necrotica e l’interno del sistema endodontico si colonizza da batteri , metaboliti e prodotti di degradazione dei tessuti
pulpari. La necrosi può essere parziale se interessa un canale radicolare (nei denti pluriradicolari) oppure completa.
Clinicamente il dente non risponde ai test di vitalità ed agli stimoli termo-chimici; diventa asintomatico.
• Se i batteri o i loro metaboliti fuoriescono dall’apice radicolare, possono interessare lo spazio del legamento
parodontale, instaurando il quadro di PERIODONTITE APICALE, caratterizzato da dolore alla percussione o spontaneo
alla masticazione.
La Patologia PULPARE
• La PERIODONTITE APICALE SINTOMATICA: è un’infiammazione dei tessuti periapicali,
caratterizzata da dolore alla masticazione, alla percussione o alla palpazione. È visibile
radiologicamente con uno slargamento dello spazio del legamento parodontale.
• La PERIODONTITE APICALE ASINTOMATICA: è caratterizzata dalla distruzione dei
tessuti periapicali con formazione di una risposta infiammatoria cronica, definita
GRANULOMA PERIAPICALE. Radiologicamente è visibile un’area radiotraparente in
concomitanza dell’apice del dente. Non vi è sintomatologia.
• ASCESSO PERIAPICALE ACUTO: reazione infiammatoria acuta, caratterizzata dalla Evoluzione
formazione di una cavità contenente essudato purulento che potrà rimanere in sede o • Iperemia pulpare
diffondersi nei tessuti molli circostanti. • Pulpite
• Il quadro clinico è rappresentato da dolore acuto ad insorgenza rapida, gonfiore, • Necrosi pulpare
arrossamento e calore della parte. Inoltre è presente uno stato febbrile ed • Periodontite apicale
interessamento dei linfonodi sottomandibolari e cervicali. Il gonfiore può essere presente acuta
nella mucosa intraorale o nei tessuti facciali (vedi infezioni odontogene). • Ascesso
• PERIODONTITE APICALE CRONICA caratterizzata dalla presenza di una FISTOLA un • Periodontite apicale
tragitto trasmucoso, attraverso il quale la formazione cronica di essudato, sarà drenata cronica + fistola
all’esterno della cavità. La fistola rappresenta una valvola di sfogo della raccolta
ascessuale ed una cronicizzazione del processo infiammatorio.
La Patologia PULPARE: trattamento
Il trattamento endodontico (o cura canalare anche detto devitalizzazione) consiste nella rimozione
della polpa infiammata e\o infetta, presente all’interno del dente per tutta la lunghezza delle radici,
nella detersione con agenti chimici, sagomatura dei canali radicolari e nella sua sostituzione con
un’otturazione permanente in guttaperca e cemento canalare.
Il trattamento classico avviene per via ortograda, in senso corono-apicale tramite l’inserimento di
strumenti in acciaio ed in nichel-titanio. Essi consentono una rimozione dei tessuti pulpari o dei
detriti tissutali, lasciando del tessuto dentinale pulito. La detersione chimica, avviene tramite
irrigazione di soluzione a base di ipoclorito al 5,25%, alternato ad acqua ed a EDTA (acido
etilediamminotetracetico) al 17% liquido. I canali e l’apice radicolare vengono sagomati ed otturati
con cemento radicolare e sigillati con un materiale termoplastico (guttaperca).

Il trattamento endodontico per via retrograda o endodonzia chirurgica, (in senso apico-coronale) è
eseguito quando non è possibile accedere al canale per via ortograda (per la presenza di una corona o
perni preesistenti).
L’accesso alla radice ed all’apice radicolare, avviene tramite l’allestimento di un lembo chirurgico.
Le infezioni odontogene
Le infezioni odontogene comprendono l’insieme dei processi flogistici a partire dalle strutture
dentali e parodontali ed il possibile coinvolgimento delle formazioni circostanti quali, basi ossee,
tessuti moli e cute del distretto oro-facciale.
All’interno della categoria, rientrano i quadri clinici della parodontite apicale, gli ascessi, flemmoni
e della cellulite odontogeni.
La necrosi pulpare rappresenta la modalità di contaminazione batterica più diffusa.
Evoluzione clinica:
A seguito della necrosi pulpare, si verifica la
diffusione batterica nei tessuti periapicali.
La successiva evoluzione del quadro infettivo
dipende dal numero di microrganismi patogeni
presenti, dalla loro virulenza e dalle difese
Carica
dell’organismo. Se la bilancia va a favore della batterica
carica batterica e della virulenza, l’infezione virulenza
evolve verso un quadro clinico acuto di Ascesso
o Flemmone. Quando le difese immunitarie Difese
riescono ad arginare l’infezione, essa ha un ospite
andamento cronico (granuloma periapicale).
Le infezioni odontogene
Evoluzione clinica:
L’infezione periapicale si diffonde nel tessuto osseo spongioso, determinando l’infezione endostale.
Nelle fasi successive, essa supera la corticale ossea e mettendo in tensione il periostio, causa al
paziente dolore acuto. L’infezione si diffonde nel tessuto connettivo sottomucoso intraorale o
sottocutaneo.
Il quadro clinico è rappresentato da una tumefazione duro-elastica, con arrossamento mucoso o
cutaneo. Schema evoluzione dell’infezione
Definizione
ASCESSO: Raccolta di materiale purulento in una cavità neoformata dove l’organismo tende a
circoscrivere la lesione.
Nell’ascesso il dolore è circoscritto, si presenta come una massa fluttuante alla palpazione con
margini ben definiti, con cute arrossata e dolente.
Fistolizzazione: drenaggio spontaneo della raccolta ascessuale verso l’esterno dei tessuti;
il dolore si attenua, dovuto alla riduzione della tensione dei tessuti sottomucosi e/o sottocutanei.
Evoluzione: (rara) diffusione dell’infezione nel distretto cervico-facciale;
(rara) Osteomielite (per pazienti con sistema immunitario compromesso). Ascesso palatino

Tumefazione mandibolare
dx e loggia sottomentoniera

Ascesso a
Fistolizazione
partire al
cutanea di
Immagini tratte dal molaretto
ascesso
libro di chirurgia orale superiore
odontogeno
Chiapasco dx
Le infezioni odontogene
Diagnosi:
• Anamnesi: x valutazione dell’andamento dell’infezione.
 Tempo d’insorgenza della sintomatologia;
 Intensità sintomi;
 Presenza\assenza rialzo termico (Febbre).
• Esame obiettivo
 ExtraOs: valutazione del volto, tumefazioni, palpazione;
 IntraOS: palpazione, test vitalità, localizzazione.
• Indagini Radiologiche: RX endorale, OPT, CBCT
Terapia e trattamento:
• Eliminazione dell’agente causale e drenaggio del materiale
purulento.
• Assunzione di antibioticoterapia di supporto. Immagine tratta dal libro di
chirurgia orale Chiapasco
La Malattia Parodontale
La parodontite è una patologia infiammatoria cronica a carattere distruttivo, a carico dei tessuti di sostegno del dente.
E’ causata da specifici agenti patogeni contenuti nella placca dentale che porta ad una disbiosi ospite/batteri con la
conseguente distruzione del tessuto connettivo, riassorbimento osseo e perdita dei denti (Sanz & Quirinen 2005).
Essa rappresenta la sesta malattia cronica non trasmissibile più̀ diffusa al mondo (Tonetti et al 2017) e la causa principale di perdita
dei denti.
Per comprendere l’argomento, è necessario spiegare l’anatomia del parodonto.

Il parodonto comprende:
1. Gengiva: parte di mucosa che ricopre il processo alveolare e circonda la porzione cervicale dei denti. (g.libera, g.aderente;
mucosa alveolare);
 G.L si suddivide in : epitelio sulculare, epitelio giunzionale, tessuto connettivo)
2. Legamento parodontale: fibre collagene che mantengono sospeso il dente all’interno dell’alveolo.
• F. della cresta: fibre che circondano la gengiva libera e la mantengono ben adesa alla porzione cervicale del dente: f.
circolari, f. dento-gengivali, f. dentoperiostali, f.transettali;
• F. orizzontali,
• F. oblique;
• F. apicali.
3. Cemento radicolare: tessuto connettivo mineralizzato che ricopre la superficie radicolare. Esso cosente il
legame del LPD tra la superficie radicolare e l’alveolo.
4. Osso alveolare: tessuto connettivo mineralizzato che sostiene i denti all’interno del processo alveolare
mascellare o mandibolare.
La Malattia Parodontale
• La salute gengivale in un parodonto intatto ed in uno ridotto (stabile) è caratterizzata clinicamente dall’assenza di :
• Sanguinamento;
• Edema;
• Sintomi riferiti dal paziente.
• La gengivite è una condizione infiammatoria sito-specifica che scaturisce dall’accumulo di biofilm* dentale (insieme di
microrganismi organizzati in una matrice extracellulare) e caratterizzata da edema ed arrossamento gengivale in assenza
di perdita d’attacco parodontale. (Trombelli et al. 2018, JCP) . Inoltre essa generalmente non è accompagnata da dolore,
raramente vi è sanguinamento spontaneo e generalmente è associata a modifiche cliniche inapparenti, tali per cui molti
pazienti ne sono ignari. Con la rimozione del biofilm dentale (placca batterica), si ottine la completa restitutio ad integrum.
La gengivite viene definita localizzata (BOP 10-30% dei siti) o generalizzata (BOP >30% dei siti).

*La placca batterica è un


aggregato di batteri normalmente
presenti nella bocca, in modo da
formare una struttura
organizzata (biofilm), capace di
rendere i batteri altamente
resistenti alle difese immunitarie
ed ai farmaci (es. antibiotici).
La Malattia Parodontale Legenda:
• CAL: perdita d’attacco clinico;
NUOVA CLASSIFICAZIONE : per facilitare lo screening e la diagnosi e ne promuove la terapia. • BOP: sanguinamento al sondaggio;
Si basa sull’introduzione del concetto di stadio e di grado. • PPD: profondità di sondaggio;

Lo STADIO si basa sulla gravità e sulla distribuzione della Il GRADO della malattia parodontale suddiviso in 3 gradi: A,B,C
perdita d’attacco parodontale ed include i denti persi per • Incorpora quattro aspetti biologici:
cause parodontali. (severità, complessità di trattamento, 1. Progressione della parodontite basata sulla storia della malattia;
estensione). Viene suddivisa in 4 stadi. 2. Rischio di ulteriore progressione della malattia;
1. Parodontite Stadio I- Grado B: parodontite incipiente. 3. Anticipa risultati di trattamento inferiori in alcuni sottogruppi
Una diagnosi precoce offre efficaci opportunità di cura e di pazienti;
mantenimento nel tempo; 4. Valuta il rischio che può comportare la malattia parodontale
2. Parodontite Stadio II- Grado B: parodontite moderata o il suo trattamento sulla salute generale del paziente.
(CAL 3-4mm), perdita ossea orizzontale (15-33%), BOP+; Tasso di progressione: Include i fattori di rischio: Fumo, diabete. (Inter-relazione con salute
3. Parodontite Stadio III- Grado B: parodontite severa con generale del paziente). (Tonetti et al 2018 JCP)
rischio potenziale di perdita dentale. (CAL≥5mm), denti
persi per paodontite ≤4mm; coinvolgimento forcazioni I-II
grado;
4. Parodontite Stadio IV-Grado B: parodontite complicata
dalla perdita di funzione masticatoria. CAL≥5mm, denti
persi ≥5; difetti cresta ossea severo. BOP+, PPD≥6mm
RBL≥50%orizzontale, ≥3 verticale, forcazioni II-III grado.
Fumatore ≤10 sigarette, Hbac≤7%;
• Grado C: il riassorbimento osseo è maggiore
Sequenza della
rispetto alla quantità di placca presente. progressione della
Fumatore ≥10 sigarette. HbA1c≥7% in pz malattia parodontale,
segni d’infiammazione e
diabetici. perdita ossea crestale
La Malattia Parodontale
La malattia parodontale non è più possibile considerarla come una semplice malattica batterica ma dev’essere interpretata
come una malattia complessa ad eziologia multifattoriale. Comprendere quali siano i fattori modificabili e non modificabili
che predispongono in maniera individuale alla malattia e ne modificano il decorso, è importante per poter ottenere e
mantenere nel tempo la Salute Parodontale. (Lang et al. 2018, JCP)
Fattori di rischio :
• Microbiologici: composizione della placca sopra- sotto gengivale;

• Legati all’ospite: • Ambientali:


Locali: • Fumo;
• posizione ed affollamento dentale; • Assunzione di farmaci;
• Anatomia radicolare; • Stress;
• Restauri debordanti; • Nutrizione.
• Tasche parodontali.
Sistemici:
• Sistema immunitario dell’ospite;
• Diabete;
• Ereditarietà.
La Malattia Parodontale
La diagnosi parodontale è stata interpretata secondo lo schema di classificazione definito nel
World Workshop 2017 sulla classificazione delle malattie e condizioni parodontali e
perimplantari (Caton et al., 2018; Chapple et al., 2018; Jepsen et al., 2018; Papapanou et al., 2018).

Il primo passo della terapia: mira a guidare il cambiamento di comportamento


motivando il paziente a intraprendere con successo la rimozione del biofilm
dentale sopragengivale e il controllo dei fattori di rischio e può includere i
seguenti interventi terapeutici:
- Controllo del biofilm dentale sopragengivale
- Interventi per migliorare l'efficacia dell'igiene orale [motivazione, istruzioni
(istruzioni per l'igiene orale, OHI)]
- Terapie aggiuntive per l'infiammazione gengivale.
- - Controllo dei fattori di rischio, che comprende tutti gli interventi di
cambiamento comportamentale sulla salute, che eliminano / mitigano i
fattori di rischio riconosciuti per l'insorgenza e la progressione della
parodontite (cessazione del fumo, miglioramento del controllo metabolico
del diabete e forse esercizio fisico, consulenza dietetica e perdita di peso).
- - Rimozione meccanica professionale della placca (PMPR), che comprende
gli interventi professionali volti a rimuovere la placca sopragengivale e il
tartaro, nonchè i possibili fattori di ritenzione della placca che
compromettono le pratiche di igiene orale.
La Malattia Parodontale
La seconda fase (TERAPIA CAUSALE) è volta a controllare (ridurre/eliminare) il
biofilm e il tartaro sottogengivale (strumentazione sottogengivale).
In aggiunta a questo possono essere inclusi i seguenti interventi terapeutici:
- Uso di agenti fisici o chimici aggiuntivi (LASER terapia);
- Uso di agenti modulatori dell’ospite aggiuntivi (locali o sistemici);
- Uso di antimicrobici ausiliari sottogengivali usati localmente (antibiotici topici a
lento rilascio);
- Uso di antimicrobici sistemici aggiuntivi.
La terza fase della terapia è volta a trattare quelle aree della dentatura che non
rispondono adeguatamente alla seconda fase della terapia, allo scopo di ottenere
ulteriore accesso alla strumentazione sottogengivale, o con l’obiettivo di rigenerare
o eliminare quelle lesioni che aggiungono complessità nella gestione della
parodontite (lesioni intra-ossee e di forcazione).
Può̀ includere i seguenti interventi:
- Strumentazione sottogengivale ripetuta con o senza terapie aggiuntive;
-Chirurgia parodontale con lembo di accesso;
- Chirurgia parodontale resettiva;
- Chirurgia parodontale rigenerativa;

La terapia parodontale di supporto ha lo scopo di mantenere la stabilità parodontale in tutti i pazienti con parodontite
trattata, combinando interventi preventivi e terapeutici definiti nella prima e nella seconda fase della terapia, a seconda
dello stato gengivale e parodontale della dentatura del paziente.
Le inclusioni dentarie
Un elemento dentario è definito incluso se permane all’interno della compagine ossea oltre i tempi fisiologici di eruzione.
L'inclusione dentaria è una condizione in cui è possibile apprezzare l'assenza di uno o più elementi dentari nella cavità
orale.
Gli elementi che vanno
incontro più frequentemente
ad inclusione:
• 3° molare inferiore;
• 3°molare superiore;
• Canino superiore;
• Incisivo superiore.

Cause:

Locali Sistemiche
•Permanenza del dente deciduo; •Sindromi malformate genetiche
•Denti sovrannumerari; •Displasia cleido-cranica
•Malposizioni del germe dentale; •Osteopetrosi
•Anchilosi; •Alterazioni endocrine
•Mancanza di spazio in arcata;
•Cisti;
Le inclusioni dentarie
Diagnosi • Sintomatologia
• Anamnesi • Trisma (difficoltà ad aprire la bocca)
• Esame clinico • Dolore in regione mandibolare
• Esami RX • molare irradiato all’orecchio
• Gonfiore gengivale
• Sanguinano gengivale
Diagnosi • Pericoronarite
La diagnosi di inclusione viene formulata dopo aver
eseguito un’accurata anamnesi, un esame clinico e degli
esami radiografici.

Esami strumentali di I° livello: Esami di II° livello:


Rx OPT (ortopantomografia); CBCT
Rx endorali;
RX occlusali;
Rx latero-laterale
L’ inclusione del terzo molare
Classificazione: in base all’angolazione del terzo molare
rispetto all’asse del secondo molare. (classificazione di Winter)
• Ottavo mesio-inclinato;
• Ottavo orizzontale;
• Ottavo verticale;
• Ottavo disto-inclinato.

Classificazione: in base all’angolazione del terzo molare


rispetto alla posizione dell’ottavo rispetto al margine anteriore
della branca montante della mandibola.
(classificazione di Pell&Gregory 1933)
• Classe I: la corona del 8° si trova anteriormente al margine
anteriore della branca montante mandibolare;
• Classe II: metà corona è coperta dalla branca montante;
• Classe III: la corona è completamente coperta dalla branca
montante.

Classificazione: in base al rapporto dei piani occlusali del secondo e del terzo molare. ( Pell&Gregory 1933)
• Classe I: i piani occlusali del 7° ed 8° si trovano sullo stesso livello; Immagine tratta dal libro di
• Classe II: il p. Ocllusale del 8° si trova più apicali, a livello della CEJ del 7°; chirurgia orale Chiapasco
• Classe III: : il p. Ocllusale del 8° si trova più apicali, al di sotto della CEJ del 7°.
L’ inclusione del terzo molare
Terapia: chirurgica di tipo estrattivo:
Prevede, post anestesia tronculare, esecuzione di
un lembo a spessore totale che, esponga l’osso e
l’elemento dentario; si susseguono osteotomia ed
odontotomia per consentire una rimozione della
porzione coronale e successivamente, quelle
radiocolari dell’elemento dentario.

È importante porre attenzione alle strutture nobili


vascolo-nervose : Nervo Alveolare Inferiore.

Decorso del NAI (freccia) Parte dello strumentario chirurgico Immagine proveniente dal libro di
chirurgia orale Chiapasco
3)
Le Anomalie dentarie
Classificazione: Forma e volume:
• Numero; 1. Macrodonzia: elementi dentari anormalmente grandi;
• Posizione; 2. Microdonzia: elementi dentari eccessivamente piccoli;
• Forma e volume; 3. Taurodontismo: dente con corona grande, ampia e biforcazione 2)
• Struttura; apicale;
• Sviluppo. 4. Dilacerazione: netta curvatura della radice di un elemento dentario
rispetto alla corona.;
Struttura:
5. Dens in dente: sviluppo di parte di un elemento dentario all’interno di
• Amelogenesi imperfecta;
un altro dente;
• Dentinogenesi imperfecta;
6. Fusione: due germi permanenti contigui che determinano la
• Ipoplasia dello smalto;
formazione di elementi dentari con camere pulpari separate e uniti a
livello della corona;
Posizione: 7. Geminazione: due germi permanenti contigui che determinano la
• Versione: inclinazione del dente: mesio; formazione di elementi dentari con camera pulpare unica;
linguo; disto; vestiboloversione; 8. Concrescenza: ’unione di due elementi dentari contigui solo a livello
• Inversione: rotazione del dente di 180° sul radicolare.
proprio asse;
• Rotazione sul proprio asse; 4) 6)
• Estrusione: spostamento del dente verso il
piano occlusale; 7)
• Intrusione: spostamento del dente in
direzione apicale.
Le Anomalie dentarie Caso di agenesia: persistenza
del deciduo in arcata

Sede:
• Ectopia: il dente non si trova nella sua sede abituale;
• Trasposizione: due denti contigui invertono la loro posizione;
• Eterotropia: denti localizzati in sede lontana da quella abituale.
Numero:
• Ipodonzia: assenza congenita di massimo 6 elementi dentari ;
• Oligodonzia: assenza congenita di più di 6 elementi dentari;
• Anodozia: completa assenza di elementi dentari;
• Agenesia: assenza del germe del permanente; in cavità persiste il dente
deciduo, senza che venga esfoliato;
• Iperdozia: Elementi sovrannumerari.

I casi di oligodonzia sono spesso


associati a sindromi congenite, quali la
displasia ectodermica, e sono
accompagnati da malformazioni nella
morfologia e nelle dimensioni dei denti
presenti e da disturbi della crescita delle
ossa facciali, con relativo mutamento
dell’aspetto del volto.
Le malocclusioni
Le malocclusioni sono delle disarmonie dento-scheletriche, neuro-muscolari e dentali che determinano un’alterazione
della normale occlusione dentale.
Disarmonia:
• Scheletrica: alterazione del rapporto osseo tra il Mascellare e la Mandibola;
• Dentale: alterazione del rapporto d’intercuspidazione dei denti.
• Neuro-muscolare: alterazione della gestione ed equilibrio
a)
tra le varie strutture muscolari dell’ apparato stomatognatico.
Le malocclusioni possono scaturire da differenti alterazioni:
Di forma;
Di posizione;
Di dimensione;
Di proporzione tra le diverse strutture.
Esiste una classificazione per distinguere le malocclusioni proposta da Edward H.
Angle basata sul rapporto posizionale del primo molare permanente superiore con
l’inferiore.
Angle definì come normale un tipo di occlusione in cui, gli elementi dentali
seguissero una disposizione curva armonica e la cuspide mesiovestibolare del
primo molare superiore contattasse, in massima intercuspidazione, con il solco
vestibolare del primo molare inferiore. a)
Basandosi sugli stessi criteri Angle espose la sua classificazione delle malocclusioni,
dividendole in quattro gruppi :
Le malocclusioni
1) Normo-occlusione I classe: la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore occlude con il solco
vestibolare del primo molare inferiore, gli elementi dentali sono allineati. Ad una I Classe molare
corrisponde un rapporto canino di I Classe: il canino superiore occlude fra canino e primo premolare
inferiore.
2) Malocclusione di Classe I: il rapporto molare e canino è di I classe ma gli elementi dentali non sono
allineati; sono presenti rotazioni ed affollamento.
3) Malocclusione di Classe II: il primo molare superiore è spostato in posizione mesiale rispetto al primo
molare inferiore. Si possono realizzare un rapporto di neutrocclusione (rapporto testa-testa) o di II Classe
piena (la cuspide distovestibolare del primo molare superiore occlude con il solco vestibolare del primo
molare inferiore). Lo stesso tipo di rapporto si può presentare a livello canino.
a. Divisione 1: gli incisivi superiori sono inclinati vestibolarmente; l’OVJ è aumentato.
b. Divisione 2: gli incisivi centrali superiori sono normoinclinati o palatoversi mentre i gli incisivi
laterali superiori sono hanno un’inclinazione vestibolare aumentata; non si ha pertanto un
aumento dell’overjet ma generalmente questo tipo di malocclusione è accompagnata da
aumento dell’OVB.
Cause: - Decifit di crescita mandibolare rispetto al mascellare;
- Eccesso di crescita del mascellare.
4) Malocclusione di Classe III: il molare superiore è spostato in posizione distale rispetto al primo molare
inferiore e la sua cuspide mesiovestibolare occlude in posizione più distale rispetto al solco vestibolare
del primo molare inferiore. Lo stesso tipo di rapporto esiste a livello canino.
Le Malocclusioni OVB
Alterazioni:
L’Overbite, (OVB) : definito come la distanza sul piano verticale tra il margine incisale
degli incisivi centrali superiori e quello degli inferiori, è idealmente di circa 2 mm;
questo valore permette agli incisivi superiori di coprire per circa 2/3 la loro superficie
coronale vestibolare. OVJ
• Può essere:
 OVB+ Aumentato (Deep bite): gli incisivi superiori coprono gli inferiori più di
2mm;
 OVB- Negativo (Open bite): gli incisivi sono completamente distanziati dagli b)
inferiori, lasciando intravedere la porzione interna del cavo orale.
(pz con abitudini viziate: ciuccio, dito); foto b
• L’Overjet (OVJ) definito come misura della distanza sul piano sagittale tra il
margine incisale degli incisivi superiori e quello degli inferiori, è idealmente di circa
2 mm.
 OVJ+ Aumentato: la distanza orizzontale tra gli incisivi centrali superiori ed
inferiori è maggiore di 2mm. (II classi I°div.) foto c c)
 OVJ- Negativo (Morso inverso): la distanza è inversa. (III classi) foto a

a)
Le Malocclusioni
Sul Piano trasversale si possono avere deficit di crescita del mascellare, bilaterale o
monolaterale, che possono determinare quadri clinici di Cross bite (morso incrociato)
1, foto intraorale, con crossbite monolaterale)

Diagnosi:
1. Foto IntraOs, ExtraOs ;
2. Impronte delle arcate dentarie;
3. Esami RX I° livello: Ortopantomografia (OPT), RX laterolaterale (LLT)
4. Esame Cefalometrico.

3)

3,4)

2)
Le Malocclusioni
Terapia: individualizzata sulla base dei valori ottenuti; 2)

1. Ortodonzia Intercettiva; a,2)


2. Ortodonzia Ortoperdico-funzionale;
3. Ortodonzia Dento-alveolare;

• Ortodozia:
a. Mobile;
b. Fissa,
c. Invisibile.

c,3) b,3) b,3)


Human Papilloma Virus HPV
Gli HPV sono piccoli virus a DNA bielicoidale appartenenti alla famiglia dei Papillomaviridae, caratterizzati da
ubiquitarietà, specie-specificità e tropismo per le cellule epiteliali. Sono stati identificati oltre 130 genotipi di HPV.
Gli HPV vengono distinti in:
• tipi cutanei (infettano principalmente mani e piedi);
• tipi mucosali (che hanno come target la mucosa del cavo orale, delle alte vie aeree e digerenti, del distretto
anogenitale, dell’uretra e della congiuntiva);
Distinzione in grado al rischio oncologico:
• HPV ad alto rischio (High Risk o HR-HPV) HPV 16, 18, 45, 56, 59, 66, 67, 68, 70, 73, 82, associati a lesioni
potenzialmente e francamente maligne (Carcinomi Squamocellulari anogenitali e del distretto testa-collo);
• HPV a rischio intermedio HPV 31, 33, 35, 39, 51, 52, 53, 58;
• HPV a basso rischio (Low Risk o LR-HPV) HPV cutanei 2, 4, 27 e i tipi mucosi 6, 11, 13, 32, 42 più comunemente
associati a malattie benigne (verruche volgari, condilomi e papillomi).
Trasmissione:
1. Contatto orizzontale diretto: (rapporto sessuale con contatto sessuale genitale e/o orale con le mucose di un
soggetto infetto);
2. Indiretto: (tramite strumentario medico, utensili o biancheria contaminati);
3. Verticale: per via materno-fetale (transplacentare prenatale, durante il parto o postnatale).
Nei primi due casi, la trasmissione avviene in presenza di microlesioni dell’epitelio che favoriscono l’ingresso del
virus nelle cellule basali ricettive.
Oral infection by Human papillomavirus: from warts to oral cancer.
Focus on epidemiology, clinics, prevention and therapy
N. Termine, G. Campisi* Università degli Studi di Palermo”
Human Papilloma Virus HPV
Le infezioni anogenitali da HPV riconoscono prevalentemente una trasmissione sessuale da partner infetto.
Il rischio di contrarre l’infezione è strettamente correlato all’attività sessuale e incrementato dai fattori predisponenti.
Quindi il rischio cresce con l’aumentare del numero dei partner (tuttavia, anche il profilattico non protegge
completamente dalla possibilità̀ di infezione).
La trasmissione a livello dell’orofaringe le pratiche sessuali orogenitali (fellatio/sesso orale) possano comportare la
diffusione del virus da un distretto mucosale.
Si stima, infatti, che oltre il 75% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della vita con un virus HPV, con
un picco nelle giovani fino a 25 anni di età. La maggior parte delle infezioni da HPV è transitoria, perchè il virus viene
eliminato dal sistema immunitario prima di sviluppare un effetto patogeno. In caso di infezione persistente, il tempo che
intercorre tra l’infezione e l’insorgenza di lesioni precancerose è di circa cinque anni, mentre la latenza per lo sviluppo di
un tumore, come quello alla cervice, può essere anche di 20-30 anni.
L’infezione da Papilloma virus umano (HPV) rappresenta uno dei principali fattori di rischio per il tumore della cervice.
I principali fattori che possono determinare lo sviluppo del tumore sono:
• Elevato numero di partner sessuali, con conseguente aumento della probabilità di contrarre l’HPV
• Basso livello socio-economico
• Multiparità (aver avuto più di un figlio)
• Fumo di sigaretta
• Uso continuativo per lunghi periodi di estroprogestinici
Manifestazioni orali da HPV
Manifestazioni cliniche nel cavo orale :
Lesioni benigne: Verruca volgare, Papilloma squamoso, Condiloma squamoso,
Iperplasia epiteliale focale;
Sono lesioni verruco-papillari a crescita esofitica che possono presentarsi singole o
multiple e con una superficie liscia o verrucosa dal colorito bianco, roseo o rosso in
dipendenza del livello di cheratinizzazione della lesione stessa.
Asintomatiche che si sviluppano a livello della lingua, palato molle e labbra;
Diagnosi: Istologica; (I genotipi interessati sono LR come HPV 2, 4, 11, 13, 32).
HPV DNA-test;
Terapia: Biopsia escissionale a lama fredda, laser;
Prevenzione:
• vaccino monovalente anti-HPV16;
• Vaccino quadrivalente diretto anti-HPV6,11,16 e 18;
• Vaccino bivalente anti-HPV 16-18.
Il vaccino quadrivalente è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 2006
per la prevenzione delle lesioni precancerose e dei CSC anogenitali (cervicali, vaginali e vulvari)
nelle ragazze di età̀ compresa tra 9 e 26 anni; successivamente è stato esteso anche ai maschi
della stessa fascia d’età per la prevenzione del CSC penieno e anale.
L’indicazione di questo vaccino, che protegge anche nei confronti dei genotipi LR 6 e 11, include
anche la prevenzione dei condilomi e delle verruche anogenitali.
Oral infection by Human papillomavirus: from warts to oral cancer. Focus on epidemiology, clinics, prevention and therapy
N. Termine, G. Campisi* Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Discipline Chirurgiche Oncologiche e Stomatologiche,
Settore Scientifico di Medicina Orale “V. Margiotta”
Lu B, Kumar A, Castellsague X, Giuliano AR. Efficacy and safety of prophylactic vaccines against cervical HPV infection and
diseases among women: a systematic review & meta-analysis. BMC infectious diseases 2011;11:13.
Carcinoma Orale
Il carcinoma a cellule squamose è il più frequente tumore maligno del cavo orale. Origina dall’epitelio di rivestimento del cavo orale e
può insorgere in qualsiasi zona della bocca manifestandosi come un’ulcera, come un nodulo più o meno duro alla palpazione o come
un’escrescenza esofitica che si accresce progressivamente.
Il carcinoma orale interessa prevalentemente i soggetti intorno alla quinte-sesta decade di vita.
È caratterizzato da una prognosi infausta , esso si diffonde per via linfatica nei linfonodi cervicali e per via ematica
formando metastasi anche a livello polmonare.
La sopravvivenza a 5 anni è del 44% . 54% per le donne e 41 % per gli uomini.
In Italia l’incidenza media è di 8,44 nuovi casi l’anno ogni 100 abitanti per gli Uomini e 2,22 per le Donne.
uomini donne
Fattori di rischio:
• Fumo e Tabacco: l’azione cancerogena è dovuta ai composti e prodotti della combustione, che determinano un effetto mutageno
(nitrosamine tabacco specifiche, N-nirtoso-no-nicotina; idrocarburi aromatici policiclici etc); Il rischio di insorgenza del Carcinoma è
di 5-9 volte maggiore nei fumatori rispetto ad un non fumatore;; esso è dose dipendente (fumatori di +20 sigarette/die); Irritazione
termica delle mucose orali (reverse smoking); utilizzo di tabacco masticato (noce di betel);
• Alcool: effetto oncogeno sinergico e moltiplicativo a quello del tabacco nello sviluppo del Ca orale. Dose-dipendente. Funzione di
solvente per altri carcinogeni, inducendo un aumento della permeabilità della mucosa orale ad altri carcinogeni.
• Agenti infettivi: presenza di precedenti lesioni da HPV e candida;
• Fattori nutrizionali: ipoavitaminosi A- C ;
• Igiene orale: una scarsa igiene orale può determinare irritaione delle mucose e predisporre all’insorgenza del Ca;
• Traumatismi cronici: moricatio buccarum, decubiti di manufatti protesici e margini taglienti;
• UV: esposizione raggi UV;
• Stati di immunosopressione: deficit immunitari in pazienti esposti a precedenti fattori di rischio;
• Fattori genetici: anamnesi familiare positiva a Ca orale, rischio aumentato da 2% al 4 %

Il carcinoma orale, manuale di riferimento . Lorenzo Lo Munzio, Sandro Pelo, SIPMO, SidOeCM-F
Carcinoma Orale
Procedure diagnostiche:
• Anamnesi: indagare sui fattori di rischio, storia familiare o presenza di neoplasie in altre sedi;
• Esame obiettivo: Extra OS: valutazione di asimmetrie facciali e gonfiori; IntraOS: valutazione delle caratteristiche
macroscopiche della lesione mucosa orale tramite l’ispezione e la palpazione; valutazione del colore, aspetto di superficie,
omogeneità dei margini, consistenza , sintomatologia; far attenzione alla presenza di precedenti lesioni (macchie colorate, afte
che non regrediscono oltre 2 settimane, ulcere persistenti, mobilità dentali sospette, ipoestesie o parestesie); palpazione dei
linfonodi della regione testa-collo;
• Chemiluminescenza: sfrutta le proprietà di riflessione della luce da parte della mucosa in presenza di acido acetivo all’1%. ( la
mucosa sana appare bluastra, le lesioni appaiono biancastre);
• Fluorescenza tissutale: illuminazione con luce monocromatica (VELscope) . Il tessuto sano appare verde mela, le alterazioni
appaiono marrone scuro.
• Citologia: analisi microscopica delle cellule prelevate dalla superficie mucosa; è poco sensibile ;
• Colorazione al blu di toluidina: colorante acidofilo . Consente di evidenziare le aree di maggior rischio. Essa precede la biopsia.
• Biopsia incisionale: prelievo di parte del tessuto patologico utile nell’intercettazione della displasia durante l’esame istologico ;
• Biospia escissionale: asportazione della lesione in toto.
Sedi: Ca labbro, pavimento cavo orale, lingua, palato ;
Nella sua fase iniziale, il tumore del cavo orale si presenta frequentemente attraverso lesioni pre-
cancerose come macchie o placche bianche e/o rosse, piccole erosioni o ulcere, che non
regrediscono oltre i 15 gg, all’interno della bocca. (leucoplachie, eritroplachie, combinazioni o lesioni
da HPV).
Inoltre, esso può presentarsi come una lesione infiltrante o esofitica con sintomatologia inziale
aspecifica. Il carcinoma orale, manuale di riferimento .
Lorenzo Lo Munzio, Sandro Pelo, SIPMO,
SidOeCM-F
Carcinoma Orale
Classificazione e stadiazione secondo il sistema TNM
Il sistema è basato sulla valutazione di tre componenti :
• Dimensione del tumore primitivo (T); valori da 1 a 4 ; da carcinoma in situ a Ca che invade i tessuti circostanti;
• Coinvolgimento linfonoidale (N);
• Presenza, assenza di Metastasi (M). Valori Mx,M0,M1
Terapia : individuale, in base all’estensione della lesione e del coinvolgimento delle altre strutture anatomiche e linfonoidali.
• Chemioterapia adiuvante ;
• Radioterapia del distretto interessato, testa-collo;
• Chirurgia del tumore primario;
• Chirurgia resettiva;
• Chirurgia ricostruttiva;
Prevenzione:
• Controllo dei fattori di rischio: riduzione dell’uso del tabacco e dell’alcool;
• Istituzione di campagne di sensibilizzazione e di screening orale.
• Adottare corretti stili di vita e sottoporsi a visite periodiche e regolari;
(migliorare l’igiene orale, fare sesso orale protetto, dieta sana ricca in verdura ,frutta
e povera di grassi);
Campagna di prevenzione: Oral Cancer Day
Campagna di sensibilizzazione rivolta al cittadino, con l’obiettivo di promuovere la salute orale attraverso la figura dell’odontoiatra.
Il dentista è il primo specialista in grado di rilevare i sintomi del carcinoma orale e la diagnosi precoce aumenta la probabilità curare il
paziente tempestivamente.
Se rilevato in fase iniziale, l’aspettativa di vita per il tumore del cavo orale è dell’80%.

Il carcinoma orale, manuale di riferimento .


Lorenzo Lo Munzio, Sandro Pelo, SIPMO,
SidOeCM-F
Grazie per l’attenzione
Secondo nucleo tematico
I principi nutritivi e le vitamine
Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Seconda annualità

Prof.ssa Maria Luisa Smorto


I principi nutritivi o nutrienti
• sostanze chimiche presenti negli alimenti che le cellule utilizzano
per la propria crescita, conservazione e riparazione
• essenziali in quanto l’organismo non riesce a produrle in quantità
sufficienti per soddisfare le proprie esigenze e che quindi devono
essere ricavate dal cibo
• hanno la funzione di :
 fornire materiale energetico per la produzione di calore, lavoro o
altre forme di energia (protidi, glucidi, lipidi)
 fornire materiale plastico per la crescita e la riparazione dei
tessuti (protidi e minerali)
 fornire materiale "regolatore" rendendo possibili le reazioni
metaboliche (minerali e vitamine)
• Se analizziamo il corpo umano vediamo che è costituito dal:
 65% di Acqua
 30% di Proteine e Lipidi
 5% di Minerali, Glucidi e Vitamine
• Gli elementi necessari al mantenimento delle funzioni
dell’organismo si dividono in:
 Macronutrienti: composti da cui l’organismo ricava principalmente
energia, come glucidi, lipidi e proteine
 Micronutrienti: sostanze ingerite dall'organismo la cui funzione non
è direttamente correlata alla produzione di energia e alla crescita,
come vitamine e sali minerali
Linee guida per un’alimentazione sana:
 consumare cibi quanto più possibile vari
 privilegiare il consumo di cibi poveri di grassi saturi e di colesterolo
 consumare grandi quantità di vegetali, frutta e cereali distribuiti in più
porzioni
 limitare il consumo di zuccheri
 svolgere almeno 30 minuti al giorno di attività fisica
 mantenere stabile il proprio peso corporeo

La piramide alimentare è un approccio personalizzato


per compiere delle scelte alimentari sane e svolgere
una regolare attività fisica.
I Minerali
• elementi inorganici che costituiscono circa il 4% del peso corporeo totale
e sono concentrati prevalentemente nello scheletro
• tra i principali vi sono: calcio, fosforo, potassio, zolfo, sodio, cloro,
fluoro, magnesio e ferro
• vengono introdotti con l’alimentazione in quantità necessarie e sufficienti
a soddisfare il fabbisogno dell’organismo mentre eventuali eccessi
vengono smaltiti tramite feci e urine
Le vitamine
• nutrienti organici di piccole dimensioni
• essenziali non vengono sintetizzate dall’organismo e quindi devono
essere assunte tramite l’alimentazione oppure sintetizzate da alcuni
batteri presenti nel tratto gastrointestinale come la vitamina K
• richiesti in piccole quantità per consentire il normale accrescimento
dell’organismo e un normale metabolismo. Il loro fabbisogno è
dell’ordine di mg o di μm
• non forniscono energia né sono utilizzabili come materiali da
costruzione
• regolano il metabolismo fungendo da coenzimi
• si trovano negli alimenti in piccole quantità come vitamine vere e
proprie o come precursori di vitamine (provitamine)
Funzioni delle vitamine
 Cofattori enzimatici (Coenzimi o gruppi prostetici): vitamine gruppo B
 Ormoni: vitamina A, vitamina D
 Modulatori o regolatori della crescita: acido folico, vitamina A
 Antiossidanti: vitamina C, vitamina E

Eccesso di vitamine → ipervitaminosi


Carenza totale di vitamine → avitaminosi
Carenza parziale o marginale di vitamine → ipovitaminosi
(questa situazione è la più frequente)
Classificazione delle vitamine
• Le vitamine sono un gruppo di sostanze molto eterogenee dal punto di vista
chimico
• Si classificano in base alla loro solubilità in:
 vitamine liposolubili: (A, D, E, K) assorbite nell’intestino tenue insieme ai lipidi
 vitamine idrosolubili (gruppo B , C) disciolte nei fluidi corporei
Vitamine liposolubili Vitamine idrosolubili
Vitamina A (retinolo ed analoghi) Vitamina B1 (tiamina)
Vitamina D (ergocalciferolo D2 e colecalciferolo D3) Vitamina B2 (riboflavina)
Vitamina E (tocoferolo) Vitamina B3 o Vitamina PP (niacina o acido nicotinico)
Vitamina K (naftochinone e derivati) Vitamina B5 o Vitamina W (acido pantotenico)
Vitamina F (acido linoleico e derivati) Vitamina B6 o Vitamina Y (piridossina o piridossamina
Vitamina Q (ubichinone e derivati) o piridossale)
Vitamina B8 o Vitamina H (biotina)
Vitamina B9 o Vitamina Bc o Vitamina M (acido folico)
Vitamina B12 (cobalamina)
Vitamina C (acido ascorbico)
Vitamina A Vitamina D
Vitamina A(retinolo) Vitamina D (calciferolo)
 Fondamentale per consentire il  Essenziale per il metabolismo del calcio e del
processo visivo che avviene a
fosforo e quindi per regolare il processo di
livello della retina
ossificazione
 Interviene nel mantenimento dei
tessuti epiteliali  Carenza: rachitismo (nei bambini),
osteomalacia (negli adulti)
 Carenza: cecità notturna e
xeroftalmia  Fonti: latte e latticini, uova. Viene anche
sintetizzata nell’organismo a partire dal
 Fonti: fegato, burro, latte, colesterolo ed è attivata grazie alla luce solare
formaggi e come provitamina in
carote, pesche, vegetali giallo-
arancione e a foglia verde
Vitamina E Vitamina K
Vitamina E (tocoferolo) Vitamina K (fillochinone)

 Funzione antiossidante →  Interviene nella coagulazione


combatte i radicali liberi del sangue

 Serve a mantenere le  Carenza: rara (emorragie)


membrane cellulari
 Fonti:vegetali a foglia verde,
 Carenza: molto rara (fragilità viene anche sintetizzata dalla
delle membrane dei globuli flora batterica intestinale
rossi)

 Fonti: oli vegetali e germe di


grano, ortaggi a foglia verde
Vitamine del gruppo B
Vitamina B1 Vitamina B2
Vitamina B2 (riboflavina)
Vitamina B1 (tiamina)
 Partecipa come coenzima in
 Partecipa al metabolismo glucidico numerose reazioni metaboliche

 Interviene nella trasmissione  Carenza: rara (lesioni ai lati della


dell’impulso nervoso bocca)
 Carenza: beri-beri, che si manifesta con  Fonti: è molto diffusa negli alimenti
lesioni del sistema nervoso e problemi
cardiaci ed è correlato con una dieta (lievito di birra, carne, latte, uova,
basata esclusivamente sul consumo di cereali integrali, ecc.). È anche
riso brillato sintetizzata, in piccole quantità, dalla
flora intestinale
 Fonti: è molto diffusa (cereali integrali,
lievito di birra, carne, uova, latte, ecc.)
Vitamina PP Vitamina B5
Vitamina PP (niacina) Vitamina B5 (acido pantotenico)

 Partecipa in numerose reazioni  Costituente del coenzima A →


come coenzima interviene nel metabolismo di
glucidi, protidi e lipidi
 Carenza: pellagra i cui sintomi
sono le tre “D”: diarrea,  Carenza: difficile a verificarsi
dermatite e demenza (è
associata al consumo esclusivo  Fonti: tutti gli alimenti ( pantos =
di mais - polenta) ovunque). In parte viene anche
sintetizzata dalla flora
 Fonti: carni, pesce, legumi intestinale
Vitamina B6 Vitamina H
Vitamina B6 (piridossina) Vitamina H (biotina)

 Regola il funzionamento del  Interviene nel metabolismo


SNC e della sintesi di cellulare come coenzima
emoglobina
 Carenza: eccezionale( dermatite )
 Carenza: molto rara (alterazioni
al SNC)  Fonti: molto diffusa (lievito di
birra, legumi, carni, uova).
 Fonti: lievito di birra, fegato, Sintetizzata anche dalla flora
pesce, cereali integrali batterica
Vitamina B9 Vitamina B12
Vitamina B9 (acido folico) Vitamina B12 (cobalamina)

 Interviene nella produzione di  Interviene nella produzione di


globuli rossi globuli rossi
 Carenza: anemia perniciosa.
 Carenza: anemia megaloblastica L’assorbimento della vitamina
Durante la gravidanza la carenza avviene tramite il fattore
è molto grave → spina bifida nel intrinseco.
feto
 Fonti: alimenti di origine
 Fonti: vegetali a foglia verde, animale (carente nei vegetali)
fegato
Vitamina C (acido ascorbico)
 È un antiossidante e contrasta i radicali liberi

 È essenziale per la crescita e la riparazione dei tessuti perché partecipa alla


sintesi del collagene

 Ha un’azione disintossicante

 Aumenta le difese immunitarie

 Fonti: frutta e verdura fresche (kiwi, agrumi, pomodori, ecc.). La vitamina


viene deteriorata durante i trattamenti di conservazione e cottura

 Carenza: scorbuto ( emorragie pelle e mucose,malattia molto comune nei


secoli scorsi tra i marinai )
Il destino metabolico delle vitamine
Il metabolismo

• insieme delle reazioni biochimiche che avvengono


nell’organismo
• la formazione o la rottura dei legami sono catalizzate dagli
enzimi con l’intervento talvolta di coenzimi
• si distingue in:
 anabolismo insieme delle reazioni chimiche di sintesi che
assemblano sostanze semplici in molecole più complesse,
utilizzando più energia di quella che producono
 catabolismo insieme delle reazioni chimiche di degradazione
che demoliscono composti organici complessi in molecole più
semplici, liberando più energia di quella che consumano
• L’appaiamento di reazioni che rilasciano energia e che richiedono
energia è raggiunto attraverso l’ATP
Il metabolismo dei carboidrati
• Durante la digestione i polisaccaridi e i disaccaridi sono scissi in monosaccaridi
che vengono assorbiti nell’intestino tenue. Poiché il glucosio è la fonte prescelta
dell’organismo per la sintesi dell’ATP, il destino del glucosio, assorbito con gli
alimenti, dipende dalle necessità cellulari
• Il catabolismo del glucosio, conosciuto anche come respirazione cellulare,
avviene in quattro fasi:
1. glicolisi
2. formazione di acetilcoenzima A
3. ciclo di Krebs
4. catena di trasporto degli elettroni
• Possono essere riassunte nella reazione:
• La maggior parte del glucosio introdotto nell’organismo viene utilizzato
per la sintesi di ATP
• Quello in eccesso può essere impiegato:
 per la glicogenosintesi cioè sintesi di glicogeno
 per la gluconeogenesi cioè sintesi di nuove molecole di glucosio a
partire da proteine e lipidi. La serie di reazioni è svolta all’interno delle
cellule epatiche in cui la componente di glicerolo dei trigliceridi, l’acido
lattico e certi amminoacidi vengono convertiti in glucosio
Il metabolismo dei lipidi
• I lipidi, come i carboidrati, possono essere utilizzati per produrre ATP a
partire dai trigliceridi
• Vengono utilizzati come molecole strutturali
• Il catabolismo dei lipidi, o lipolisi, è il processo che si svolge in
muscoli, fegato e cellule adipose durante il quale i trigliceridi vengono
scissi in glicerolo e acidi grassi. In questo processo il fegato può
convertire alcune molecole di acetil-CoA in corpi chetonici
• Durante l’anabolismo dei lipidi l’ormone insulina stimola le cellule
epatiche e adipose a sintetizzare trigliceridi a partire non solo dai
grassi, ma anche da carboidrati e proteine
• La maggior parte dei lipidi non è idrosolubile. Per poter essere
trasportati nel sangue devono essere legati a proteine per essere
idrosolubili
• Le lipoproteine sono particelle sferiche dotate di un rivestimento
esterno di proteine, fosfolipidi e colesterolo, che racchiude un nucleo
interno di trigliceridi e altri lipidi.
• Esistono quattro tipi principali di lipoproteine:
1. chilomicroni
2. lipoproteine a bassissima densità (VLDL)
3. lipoproteine a bassa densità (LDL)
4. lipoproteine ad alta densità (HDL)
Il metabolismo delle proteine
• Nel corso della digestione le proteine vengono
degradate in amminoacidi
• Contrariamente ai carboidrati, gli amminoacidi
non vengono immagazzinati e vengono ossidati
per produrre ATP oppure utilizzati per la sintesi di
nuove proteine
• Con la gluconeogenesi gli amminoacidi in
eccesso vengono convertiti in trigliceridi o in
glucosio
• Con il processo di deaminazione nelle cellule
epatiche si verifica la rimozione dei gruppi
amminici dagli amminoacidi con produzione di
ammoniaca che viene accumulata e
successivamente convertita in urea da smaltire
tramite le urine
• La biosintesi della proteine si svolge nei ribosomi sotto la
direzione del DNA e del RNA ribosomiale, messaggero e
transfer
• Gli amminoacidi si dividono in :
 essenziali non prodotti dall’organismo in quantità adeguata e
quindi devono essere introdotti con l’alimentazione
 non essenziali sintetizzati dall’organismo
Metabolismo e calore umano

• L’organismo produce più o meno calorie a


seconda della velocità con cui avvengono le
reazioni metaboliche
• Lo stato basale misura tale velocità a riposo,
in tranquillità e a digiuno
• Il risultato ottenuto esprime il metabolismo
basale

Il calore è una forma di energia misurabile come temperatura ed espressa come unità
chiamate calorie
Una caloria (cal) è definita come la quantità di calore richiesta per aumentare di 1 °C la
temperatura di 1 g di acqua
• I fattori che influenzano la velocità metabolica sono
 l’attività fisica: se aumenta, la velocità metabolica
aumenta
 gli ormoni tiroidei (il testosterone, l’insulina, l’ormone
della crescita): se aumentano i loro livelli nel sangue, la
velocità metabolica aumenta
 il sistema nervoso: durante l’attività fisica o in condizioni
di stress la velocità metabolica aumenta
 la temperatura corporea: se aumenta, la velocità
metabolica aumenta
 l’ingestione di cibo: se aumenta, la velocità metabolica
aumenta
 l’età, se aumenta, la velocità metabolica diminuisce
 altri fattori fra cui il sesso, il clima, il sonno, la
malnutrizione
• Il calore corporeo viene prodotto
continuamente e quindi è necessario
disperderlo per evitare che la
temperatura corporea continui ad
aumentare
• Sono quattro i principali meccanismi
di dispersione:
 irraggiamento
 conduzione
 convenzione
 evaporazione
• Se la quantità di calore prodotto
bilancia la quantità di calore disperso,
la temperatura corporea si mantiene
costante intorno ai 37° C
• I neuroni ipotalamici controllano il bilancio tra
produzione e perdita di calore
• Il centro termoregolatore stimolato da una diminuzione
della temperatura, fa aumentare la temperatura
corporea
• In caso di eccessiva dispersione di calore intervengono dei
meccanismi a feedback negativo che partono dai
termocettori e coinvolgono l’ipotalamo e l’ipofisi con
produzione di ormoni che attivano diversi effettori con
conseguente:
 vasocostrizione
 produzione di adrenalina e noradrenalina
 incremento del metabolismo cellulare
 aumento del tono muscolare
Secondo nucleo tematico
Anatomia e fisiologia intestino tenue e crasso
Pancreas e fegato
Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Prof.ssa Maria Luisa Smorto
Intestino
• continua la digestione e svolge l’assorbimento dei principi nutritivi
• suddiviso in:
 intestino tenue a sua volta diviso in: duodeno, digiuno, ileo
 intestino crasso a sua volta diviso in: cieco, colon, retto

2
Intestino tenue
• in esso avvengono i principali processi della
digestione e dell’assorbimento
• ha un diametro medio di 2,5 cm
• ha una lunghezza di circa 3 m in una persona
viva e più del doppio in un cadavere, a causa
della perdita del tono della muscolatura liscia
dopo la morte
• distinto in tre porzioni:
 duodeno, che è collegato al piloro
 digiuno, lungo 1 m
 ileo, che si collega all’intestino crasso
attraverso lo sfintere ileocecale

3
• caratterizzato da tre tipi di strutture : pieghe circolari ,villi e microvilli
 Pieghe circolari
• creste permanenti della mucosa e della sottomucosa
• aumentano l’assorbimento ampliando l’area superficiale e facendo in
modo che il chimo proceda seguendo un percorso a spirale
Piega circolare
 Villi
• proiezioni digitiformi della mucosa, aumentano la superficie di assorbimento
dell’epitelio intestinale
• ogni villo è costituito da uno strato di epitelio che circonda un asse di lamina
propria al cui interno vi sono un’arteriola, una venula,una rete di capillari
sanguigni e un capillare chilifero
• i nutrienti assorbiti dalle cellule epiteliali passano attraverso la parete di un
capillare o di un vaso linfatico per entrare nel sangue o nella linfa
 Microvilli
• proiezioni della membrana plasmatica presenti sulla superficie degli
enterociti che aumentano la capacità di assorbimento dei nutrienti
Due tipi di movimenti contribuiscono alla motilità
dell’intestino tenue:
 Segmentazioni contrazioni localizzate che
rimescolano il chimo con il succo enterico ma non lo
fanno avanzare
 Peristalsi propulsione in avanti del chimo per un
breve tratto dell’intestino tenue. L’onda peristaltica
avanza lentamente raggiungendo l’estremità
dell’ileo nel giro di 90-120 min. A questo punto si
origina un’altra onda

Il Digiuno deve il nome al fatto che a causa del rapido passaggio del cibo al suo
interno, dopo la morte, risulta spesso vuoto da ingesti: la peristalsi è infatti
molto più veloce che nell'ileo
Cellule dell’intestino
• Enterociti cellule caratterizzate dalla presenza dei microvilli
• Cellule caliciformi mucipare che secernono muco nella mucosa
• Cellule delle ghiandole intestinali, nello spessore della mucosa, che
secernono il succo enterico liquido acquoso, limpido e giallognolo,
leggermente alcalino
• Esistono tre tipi di cellule ghiandolari:
 cellule S che secernono secretina
 cellule CCK che secernono colecistochinina
 cellule K che secernono il peptide inibitore gastrico
• Cellule delle ghiandole duodenali nella sottomucosa del duodeno
secernono muco alcalino per neutralizzare l’acidità del chimo
• Cellule del tessuto linfoide nella lamina propria della mucosa
dell’intestino sono attive nella difesa contro eventuali patogeni presenti
nel cibo. L'ileo presenta abbondanti placche di Peyer
Intestino crasso
• ultimo tratto del tubo digerente, largo circa
6,5 cm e lungo circa 1,5 m
• dallo sfintere ileo-cecale che regola il
passaggio del contenuto, si estende dall’ileo
e presenta quattro regioni principali:
 cieco
 colon
 retto
 canale anale o ano
• le sue funzioni sono:
 completare l’assorbimento dei nutrienti
dell’acqua e dei sali minerali
 produrre alcune vitamine
 aggregare le feci per poi espellerle

10
• a valle dello sfintere inizia il primo
segmento dell’intestino crasso detto
cieco
• l’altra estremità del cieco è fusa con la
porzione più lunga del crasso, il colon
• a una estremità di questo tratto si
osserva una corta struttura tubulare
detta appendice vermiforme o cecale
lunga circa 5-9cm e larga 1cm, costituita
da tessuto linfatico con funzione di filtro

L’appendice non è più in grado di assorbire i nutrienti, per questo


è detta a volte la "tonsilla addominale". Proprio l'azione di filtro
può causarne a volte l‘infiammazione o appendicite che,
quando è acuta, rende necessaria la sua asportazione chirurgica
detta appendicectomia.
• il colon è diviso in:
 ascendente
 trasverso
 discendente
• il colon ascendente sale sul lato destro
dell’addome, raggiunge la superficie
inferiore del fegato e gira a sinistra, da
qui continua attraverso l’addome
prendendo il nome di colon trasverso
fino al lato sinistro dove si incurva sotto
il bordo inferiore della milza e scende
come colon discendente
• il tratto a forma di S detto colon
sigmoideo comincia presso la cresta
iliaca dell’anca sinistra e termina con il
retto
• il retto il cui tratto terminale prende il nome di
canale anale, provvisto di un orifizio, l’ano,
circondato da uno sfintere interno di
muscolatura liscia (involontaria) e da uno esterno
di muscolatura scheletrica (volontaria)
• i movimenti peristaltici spingono il materiale
fecale dal colon al retto le cui pareti,
distendendosi, stimolano i recettori dello
stiramento che innescano il riflesso di
defecazione finalizzato allo svuotamento del
retto
L’endoscopia intestinale è un esame
strumentale che permette l’esplorazione del
tratto digestivo basso nel sospetto di una
malattia intestinale (infiammazione, ulcera,
tumore, polipi, diverticoli)
Il riflesso della defecazione
• Gli impulsi partono dal midollo spinale e viaggiano attraverso i nervi parasimpatici
fino a raggiungere il colon discendente,il sigmoideo, il retto e l’ano
• La conseguente contrazione dei muscoli rettali accorcia il retto aumentando al
suo interno la pressione
• Viene rilasciato lo sfintere anale interno
• Lo sfintere anale esterno è controllato volontariamente
• Alla defecazione collaborano anche il diaframma e i muscoli addominali
• Nei bambini la defecazione avviene solo attraverso il riflesso in quanto non sono
capaci di controllare lo sfintere anale esterno
Pancreas
• organo posizionato al di sotto dello
stomaco
• le sue secrezioni vengono immesse
nel duodeno attraverso il dotto
pancreatico maggiore di Wirsung
• formato da:
 una parte esocrina costituita dagli
acini le cui cellule epiteliali
ghiandolari all’interno secernono il
succo pancreatico
 una parte endocrina organizzata in
isolotti del Langerhans secernenti gli
ormoni: glucagone, insulina, che
regolano il livello di glucosio nel
sangue, somatostatina e il
polipeptide pancreatico
Il succo pancreatico
• liquido incolore, con un pH leggermente alcalino che neutralizza
l’acidità del chimo,
• composto di acqua, sali, bicarbonato di sodio ed enzimi, tra cui:
 amilasi pancreatica che digerisce l’amido
 tripsina, chimotripsina e carbossipeptidasi peptidasi che agiscono
sulle proteine; tali enzimi sono prodotti in forma inattiva cosa che
impedisce l’attacco dell’organo stesso

 enterochinasi permette alla tripsina di passare dalla forma inattiva


alla forma attiva
 lipasi pancreatica che digerisce i trigliceridi

 ribonucleasi e desossiribonucleasi che digeriscono gli acidi nucleici


Fegato e cistifellea
• Il fegato è il secondo organo più
grande del corpo umano. È situato
al di sotto del diaframma ed è
ricoperto da tessuto connettivo

• La cistifellea è un piccolo sacco a


forma di pera che pende verso il
basso dal bordo anteriore del fegato
• suddivisibile in quattro lobi: destro, sinistro, quadrato e caudato
• costituiti da molte unità funzionali chiamate lobuli, ognuno dei quali è
composto da cellule epiteliali specializzate chiamate epatociti,
disposte attorno a una vena centrale. Tali cellule producono la bile che
entra nei canalicoli biliari che si riversano, alla periferia, nei dotti biliari
Dotti biliari • I dotti biliari si fondono e formano il
dotto epatico destro e sinistro, che
si uniscono e fuoriescono nel dotto
epatico comune; più avanti questo si
unisce al dotto cistico che proviene
dalla cistifellea per formare il dotto
biliare comune o coledoco che
nell’ampolla di Vater si unisce al
dotto pancreatico
• Lo sfintere di Oddi attorno al dotto
comune allo sbocco del duodeno si
chiude quando l’intestino tenue è
vuoto e la bile refluisce nel dotto
cistico verso la cistifellea, dove viene
immagazzinata
• Nel fegato troviamo dei capillari detti sinusoidi al cui centro si
trovano le cellule di Kupffer che hanno il compito di distruggere
globuli rossi senescenti, batteri e materiali estranei convogliati dal
sangue venoso proveniente dal tratto gastrointestinale
La Bile
• contiene sali biliari e pigmenti
biliari
 I sali biliari favoriscono
l’emulsione dei grassi
 I pigmenti biliari derivano
dalla demolizione dell’eme
dell’emoglobina dei globuli
rossi senescenti
 In questo processo si
ottengono ferro, globina e
 Quando la bilirubina passa
bilirubina: il ferro e la globina
nell’intestino, viene degradata
vengono riciclati, mentre parte
dalla flora batterica e uno dei
della bilirubina viene legata
prodotti finali è la stercobilina che
all’acido glucuronico e secreta
conferisce il colore alle feci
con la bile
Funzioni del fegato
• svolge importanti funzioni metaboliche:
 produce la bile
 favorisce la trasformazione degli alimenti assorbiti, in particolare attraverso
l'emulsione dei grassi e la sintesi del colesterolo e dei trigliceridi.
 ha un ruolo nel metabolismo delle proteine e nella riduzione dei loro scarti
tossici, nella gestione e nell'immagazzinamento degli zuccheri
Funzioni del fegato Azione

23
Digestione nell’intestino tenue
• Il chimo che entra nel tenue contiene carboidrati e proteine parzialmente
digeriti. Il completamento della digestione avviene per l’azione sinergica del
succo pancreatico, della bile e del succo enterico
• La digestione dei carboidrati avviene da parte dell’amilasi pancreatica su
amidi e destrine mentre maltasi, saccarasi e lattasi degradano
rispettivamente maltosio, saccarosio e lattosio
• La digestione delle proteine è effettuata ad opera degli enzimi
contenuti nel succo pancreatico (tripsina, chimotripsina, elastasi e
carbossipeptidasi), ognuno dei quali scinde uno specifico legame
peptidico fra amminoacidi diversi. La digestione proteica è
completata dalle peptidasi prodotte dagli enterociti che ricoprono i
villi. I prodotti finali sono: aminoacidi, dipeptidi e tripeptidi
• La digestione dei lipidi è svolta dai sali biliari che emulsionano i trigliceridi,
attaccati poi dalla lipasi pancreatica per ottenere due molecole di acidi
grassi e una di glicerolo

• La digestione degli acidi nucleici è attuata dalla ribonucleasi sull’RNA e


dalla deossiribonucleasi sul DNA: i nucleotidi vengono ulteriormente scissi in
zuccheri pentosi, fosfati e basi azotate
Assorbimento nell’intestino tenue
• consiste nel trasferimento di molecole di nutrienti nel sangue e nei vasi linfatici
attraverso le cellule epiteliali della mucosa
• avviene per diffusione semplice, ma anche per diffusione facilitata, per osmosi
e per trasporto attivo
• Il 90% avviene nell’intestino tenue, il restante 10% nello stomaco e nell’intestino
crasso
L’assorbimento dei lipidi e dei sali biliari è possibile grazie all’emulsione delle molecole lipidiche di
maggiori dimensioni in micelle, goccioline composte da molecole di sali biliari, acidi grassi a catena
lunga, monogliceridi, colesterolo, da cui i lipidi diffondono negli enterociti dei villi.
Qui vengono impacchettati in chilomicroni, grandi particelle sferiche di lipidi ricoperte da uno strato
proteico di apolipoproteine, che entrano nel circolo linfatico attraverso un capillare chilifero

Micelle
Chilomicroni
Digestione e assorbimento nell’intestino crasso
•Dopo il pasto, si intensificano i movimenti peristaltici portandone il contenuto
verso il retto
•La tonaca mucosa presenta solo i microvilli degli enterociti finalizzati ad
aumentare la superficie assorbente. Sono presenti oltre alle ghiandole intestinali
che secernono muco, i noduli linfatici
•Per assorbimento dell’acqua il chimo acquisisce una consistenza solida o
semisolida e prende il nome di feci formate da: acqua, sali inorganici, cellule
epiteliali sfaldate dalla mucosa del tratto gastrointestinale, batteri, materiali
digeriti non assorbiti, parti indigeribili di cibo
•Il chimo viene completamente digerito a opera della Flora microbica o
microbiota intestinale, batteri simbionti presenti nel lume del colon che
fermentano tutti i residui di carboidrati, rilasciando idrogeno, anidride
carbonica e metano, scindono le proteine in amminoacidi e
decompongono la bilirubina in stercobilina
•La flora batterica buona svolge varie funzioni utili
Fasi della digestione
• Le attività digestive avvengono in tre fasi:
1.fase encefalica: prepara bocca e stomaco all’arrivo del cibo. L’odore,
la vista, il suono o il pensiero del cibo attivano i centri nervosi nel
cervello che tramite i nervi stimolano le ghiandole salivari a secernere la
saliva e le ghiandole gastriche a secernere succhi gastrici
2.fase gastrica: comincia con l’arrivo del cibo nello stomaco. Ha lo
scopo di continuare la secrezione gastrica e stimolare la motilità
intestinale
3.fase intestinale: inizia quando il cibo raggiunge l’intestino tenue. I
processi sono di tipo inibitorio, per rallentare l’uscita del chimo dallo
stomaco e impedire così l’eccessivo riempimento del duodeno
e
• Tali attività sono mediate dai due principali ormoni secreti
dall’intestino tenue: la secretina e la colecistochinina
Secretina
Fegato
• ormone peptidico prodotto dalle cellule S del duodeno
al contatto con il chimo acido
Cistifellea
 stimola la secrezione (da qui il nome ) nel pancreas di
Stomaco
liquidi alcalini (ioni bicarbonato) per tamponare l'acidità
del chimo proveniente dallo stomaco
 diminuisce lo svuotamento gastrico inibendo la motilità
 elimina lo stimolo che ne causa la produzione (feedback
negativo)
Stimolo
Inibizione
Colecistochinina (cck)
• ormone secreto dal duodeno (ed in minor quantità dal digiuno), dopo un pasto
ricco soprattutto in proteine e grassi, determina:
 la secrezione di succo pancreatico ricco di enzimi digestivi
 la contrazione della parete della cistifellea e il rilascio di bile
 la contrazione dello sfintere pilorico per rallentare lo svuotamento gastrico
 il senso di sazietà, agendo sull’ipotalamo
Secondo nucleo tematico
L’anatomia e la fisiologia della faringe
dell’esofago e dello stomaco
Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Seconda annualità

Prof.ssa Maria Luisa Smorto


Faringe
• condotto imbutiforme in
comune con l’apparato
respiratorio ed in cui passa il cibo
ingerito dalla bocca
• costituito da muscolatura
scheletrica e ricoperto da
mucosa
• si estende dalle coane all’esofago
e alla laringe
• diviso in:
 nasofaringe o rinofaringe
 orofaringe
 laringofaringe
Naso faringe o rinofaringe
• parte posteriore delle cavità nasali, coinvolto
nella respirazione, si continua nella laringe
che presenta un opercolo cartilagineo detto
epiglottide che si abbassa quando il bolo si
avvia all’esofago, impedendo l’entrata di
particelle nelle vie respiratorie
Orofaringe
• porzione della faringe che comunica con
la cavità orale dove transita il cibo prima di
finire nell’esofago
Laringofaringe
• porzione inferiore della faringe, che si trova a
livello dell’epiglottide e che si continua con la
laringe e l’esofago; è detta anche ipofaringe
La faringite, chiamata comunemente mal di gola, è un'infiammazione della
faringe, acuta o cronica, che provoca difficoltà nel deglutire e talvolta può essere
accompagnata da tosse e secrezione.
Esofago
• canale muscolo-membranoso, ricoperto da epitelio squamoso, lungo circa 25 cm
• scende verticalmente lungo il collo tra la trachea e la colonna vertebrale, prosegue
nel torace e attraversa il diaframma
• presenta due sfinteri:
 sfintere esofageo superiore a muscolatura scheletrica che regola il passaggio di
cibo dalla faringe nell’esofago
 sfintere esofageo inferiore a muscolatura liscia che regola il transito dall’esofago
nello stomaco
• la parete esofagea è formata da tre strati di tessuti detti tonache: mucosa,
sottomucosa, tonaca muscolare
L'ernia iatale dipende dal passaggio di parte dello stomaco, attraverso l’
apertura o forame del diaframma, e successiva fusione con l'esofago nel
torace. E’ generalmente associata a reflusso acido da incontinenza dello
sfintere esofageo inferiore.
Deglutizione
• passaggio del cibo dalla bocca all’esofago e allo stomaco, facilitato dalla saliva e
dal muco
• inizia come un’azione volontaria di preparazione, poi continua involontariamente
• l’epiglottide, chiudendosi, fa transitare il bolo nell’esofago
• avviene in tre fasi:
1. Fase orale: il bolo è spinto sul retro della cavità orale dalla lingua e dal palato
(fase volontaria)
2. Fase faringea: il palato molle e l’ugola si sollevano per chiudere il nasofaringe; il
bolo passa attraverso l’orofaringe
3. Fase esofagea: il cibo è spinto attraverso l’esofago nel processo della peristalsi
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• Le fibre muscolari circolari nel tratto
di esofago al di sopra del bolo si
contraggono, il lume dell’esofago si
restringe spingendo il bolo verso il
basso
• Le fibre muscolari longitudinali poste
intorno alla base del bolo si
contraggono, accorciando l’esofago e
spingendo le sue pareti verso l’esterno
• Dopo che il bolo si è spostato verso la
sezione successiva dell’esofago, la
muscolatura circolare sopra di esso si
contrae e il ciclo si ripete
• Quando il bolo è prossimo alla fine
dell’esofago, lo sfintere esofageo
inferiore si rilascia e il bolo passa nello
stomaco
Stomaco • organo muscolare a forma di sacco,
con una capacità media di circa 1,2 L
negli adulti (ma può arrivare fino a 4 L).
• posto sotto il diaframma
• ha la funzione di una camera di
mescolamento e di magazzino di
contenimento
• fra il piloro e il duodeno si trova lo
sfintere pilorico
• costituito da quattro regioni principali:
 Cardias circonda l’orifizio superiore
dello stomaco
 Fondo porzione superiore a sinistra del
cardias
 Corpo parte centrale
 Piloro regione ristretta inferiore
• Quando lo stomaco è vuoto la mucosa si solleva in larghe
pieghe chiamate rughe
• La parete gastrica presenta:
 la mucosa, composta da epitelio colonnare semplice che si estende
anche sotto la superficie formando colonne di cellule secretrici chiamate
ghiandole gastriche, che ricoprono stretti canali, le fossette gastriche
• Le secrezioni delle ghiandole gastriche (dette succhi gastrici) fluiscono
nelle fossette gastriche e da qui riversano nel lume dello stomaco
 la sottomucosa gastrica
formata da connettivo
lasso
 la tonaca muscolare che
contiene tre strati di
muscolatura liscia:
 longitudinale esterno
 circolare intermedio
 obliquo interno
 la tonaca sierosa, facente parte del
peritoneo viscerale, composta da
epitelio squamoso semplice e
tessuto connettivo areolare
L'ulcera gastrica è una lesione della parete dello stomaco. Può variare da una semplice
erosione della mucosa fino alla completa perforazione della parete.
E’ stato dimostrato dagli scienziati, Premio Nobel per la medicina 2005, Robin Warren e
Barry Marshall, che la causa dell'ulcera gastrica è un batterio, l'Helicobacter pylori,
confutando la dottrina medica che sosteneva da decenni che le ulcere fossero causate
da stress, cibo piccante ed eccesso di acido.

Helicobacter pylori ulcera


• Le ghiandole gastriche contengono
tre tipi di cellule ghiandolari
esocrine che secernono i loro prodotti
nel lume dello stomaco:
 cellule mucose superficiali e del
colletto: secernono muco
 cellule parietali: producono acido
cloridrico, che disinfetta e attiva il
pepsinogeno, e il fattore intrinseco
coinvolto nell’assorbimento della
vitamina B12
 cellule principali: secernono
pepsinogeno, enzima inattivo
 Un quarto tipo di cellule G, presenti nelle
ghiandole gastriche, secernono l’ormone
gastrina che stimola la secrezione gastrica
• I succhi gastrici contengono:
 acqua
 acido cloridrico che rende il pH gastrico compreso tra 1,5 e 2,5, uccide
i batteri, scioglie le parti coriacee e fibrose degli alimenti e trasforma il
pepsinogeno in pepsina, un enzima che idrolizza le proteine in peptidi
 gastrina che oltre a stimolare la produzione di succo gastrico
aumenta le contrazioni delle pareti muscolari dello stomaco

18
 una lipasi acidica secreta dalle cellule principali delle ghiandole del fondo,
che funziona a un pH ottimale compreso tra 3 e 6. Rimuove solo un acido
grasso da ciascuna molecola di trigliceride che può attraversare la mucosa
intestinale
 chimosina o rennina prodotta assieme al pepsinogeno. E’ necessario alla
digestione della caseina presente nel latte. La sua produzione è maggiore
nel periodo neonatale
• Una volta che il cibo ha raggiunto lo stomaco, le pareti si stendono, il pH aumenta e
si avvia la peristalsi gastrica che consiste in onde di mescolamento gastrica. Esse
macerano il cibo che, mescolato con il succo gastrico, diventa chimo
• Gli alimenti ricchi di carboidrati restano nello stomaco poco tempo
• I cibi proteici permangono più a lungo
• I grassi permangono più a lungo delle proteine
• le cellule epiteliali gastriche sono impermeabili alla maggior parte dei nutrienti, per
cui non c’è un elevato assorbimento
• vengono assorbiti:
 acqua
 ioni
 acidi grassi a catena corta
 principi attivi di alcuni farmaci
 alcol
Il vomito (detto anche emesi, dal greco èmesis) è l'espulsione rapida
attraverso la bocca di materiale gastrointestinale, provocata dalla
rapida contrazione involontaria dei muscoli dell'addome, associata ad
un'apertura del cardias in seguito ad un'onda antiperistaltica che parte
dal digiuno.
Solitamente il vomito è preceduto da nausea e conati; il conato è un
atto involontario senza espulsione del contenuto gastrico.
Il vomito si differenzia dal rigurgito perché quest'ultimo è una risalita
del contenuto gastrico nella bocca che avviene senza la contrattura dei
muscoli dell'addome e non è preceduta da nausea.
La mucosa gastrica contribuisce in modo significativo insieme al fegato, che svolge la gran parte
del lavoro, alla metabolizzazione dell'alcool introdotto. Le cellule della mucosa gastrica
dispongono di diversi tipi di enzimi che sono in grado di metabolizzare l'alcool detti alcool
deidrogenasi. L'introduzione di elevate quantità di alcool provoca un danno alla mucosa come
conseguenza della incapacità dei fisiologici meccanismi di difesa di proteggere il rivestimento
interno dello stomaco. Le bevande alcoliche a bassa gradazione di alcool, come birra e vino, sono
forti stimolanti della secrezione acida dello stomaco .

Il consumo di alcolici
Secondo nucleo tematico
La struttura del tubo digerente
Anatomia e fisiologia della bocca
Percorso di potenziamento-orientamento
“BIOLOGIA CON CURVATURA BIOMEDICA”
Seconda annualità

Prof.ssa Maria Luisa Smorto


Panoramica dell’apparato digerente

L’apparato digerente è costituito da due


gruppi di organi:

•gli organi del tratto gastrointestinale


(bocca, faringe, esofago, stomaco,
intestino tenue e intestino crasso)

•gli organi annessi (denti, lingua,


ghiandole salivari, fegato, cistifellea o
colecisti e pancreas)
Funzioni dell’apparato digerente
• L’apparato digerente svolge sei processi di
base:
1. ingestione
2. secrezione
3. mescolamento e propulsione
4. digestione meccanica e chimica
5. assorbimento
6. escrezione
Struttura del tubo digerente e del peritoneo
Il tubo digerente è rivestito da quattro strati o tonache:

1. Mucosa

2. Sottomucosa
Mucosa
3. Muscolare
Sottomucosa

4. Sierosa
Muscolare

Sierosa
•La tonaca mucosa è la membrana più
interna costituita da:
tessuto epiteliale o lamina epiteliale
in contatto con il contenuto del tratto
gastrointestinale
tessuto connettivo o lamina propria
formata da tessuto connettivo
mucosa muscolare o muscolaris
mucosae formata da muscoli lisci

• le contrazioni della mucosa creano


pieghe che aumentano la superficie
disponibile per l’assorbimento e la
digestione
• la mucosa contiene noduli linfatici
superficiali che proteggono il tratto
gastrointestinale
• La tonaca sottomucosa è
costituita da tessuto connettivo
lasso
• irrorata da numerosi vasi
sanguigni e linfatici nei quali
penetrano le molecole dei
nutrienti
• contiene reti di neuroni
appartenenti al sistema nervoso
enterico che controllano le
secrezioni degli organi del tubo
digerente
• La tonaca muscolare è costituita da spesso
strato di tessuto muscolare sia volontario
(nella porzione superiore: bocca, faringe e
parte superiore dell’esofago) sia involontario
(nella porzione inferiore)
• I muscoli involontari sono formati da un
foglietto interno di fibre circolari e uno
esterno di fibre longitudinali. La contrazione
involontaria di tali muscoli permette la
frantumazione fisica del cibo, il
mescolamento con le secrezioni digestive e la
sua progressione lungo il tubo digerente

Lo sfintere anale esterno è formato da


muscolatura scheletrica e consente la
defecazione
I neuroni enterici controllano la frequenza e
la forza delle contrazioni
• La tonaca sierosa è lo strato esterno che
circonda gli organi del tratto
gastrointestinale formata da epitelio
squamoso semplice e da tessuto
connettivo lasso o areolare
• detta anche peritoneo viscerale, ricopre
gli organi della cavità addominale
• secerne un liquido viscido e acquoso che
permette ai visceri di scorrere facilmente
contro gli altri organi
• il peritoneo parietale ricopre la parete
della cavità addominale
Struttura del peritoneo
• le pieghe del peritoneo contengono
vasi sanguigni, linfatici e nervi che
raggiungono gli organi addominali
 il grande omento è una piega del
peritoneo che si distende sopra il
colon trasverso e l’intestino tenue,
partendo dalla grande curvatura dello
stomaco (una specie di coperta di
grasso)
• i suoi linfonodi forniscono macrofagi
e plasmacellule produttrici di anticorpi
che combattono le infezioni
• contiene notevoli quantità di tessuto
adiposo
• Il mesentere è la parte del peritoneo che collega l’intestino tenue
alla parete addominale posteriore
La bocca
• detta anche cavità orale è
formata da
 labbro superiore ed inferiore
 guancia
 palato duro
 palato molle
 lingua
• Le labbra, labbro inferiore e
superiore, sono pieghe carnose
poste attorno alla bocca
• Le guance formano le pareti
laterali della cavità orale
 Sia le guance che le labbra sono
rivestite sul lato esterno dalla pelle
e all’interno da una mucosa e
prendono parte sia alla
masticazione che all’articolazione
del linguaggio
• Il palato duro è formato dalle
ossa mascellari e palatine e
forma il tetto della cavità orale Palato duro

• Il palato molle, costituito da


tessuto muscolare, si trova
posteriormente al palato duro
Palato molle
Ugola
 Dal palato molle pende
un’escrescenza chiamata ugola
che impedisce l’ingresso del
cibo e dei liquidi nella cavità
nasale

 Sul retro del palato molle si trovano le tonsille


palatine che hanno funzione di difesa
Tonsille immunitaria contro gli agenti patogeni in
ingresso dalla bocca
• La lingua è un organo composto da
muscolatura scheletrica e da mucosa
 I muscoli linguali manipolano il cibo
per la masticazione, lo compattano e lo
spingono sul retro della bocca,
alterando la forma e le dimensioni della
lingua per la deglutizione e per
l’articolazione del linguaggio
 Il frenulo linguale è una piega
della mucosa che posto sul
pavimento della bocca limita i
movimenti della lingua verso
l’interno

 Le tonsille linguali sono poste alla base della lingua


 Le papille, alcune delle quali sono sede del senso del gusto, sono
protuberanze poste sulla superficie superiore e sui lati
Umami in lingua giapponese significa "saporito" e indica per la precisione il sapore di
glutammato, che è particolarmente presente in cibi come la carne, il formaggio ed altri alimenti
ricchi di proteine.
• Le tre paia di ghiandole salivari sono
organi annessi posti esternamente
alla bocca. Rilasciano le loro
secrezioni nei dotti che si aprono nella
cavità orale
 le parotidi sono poste inferiormente e
anteriormente alle orecchie
 le ghiandole sottomandibolari si
trovano nel pavimento della bocca,
inferiormente rispetto alla mandibola
 le sottolinguali sono poste sotto la
lingua e sopra le ghiandole
sottomandibolari
• Altre ghiandole salivari minori sono disseminate all’interno della bocca e
producono saliva in quantità minima
La saliva
• secreta dalle ghiandole salivari è
composta per il 99,5 % di acqua e per lo
0,55 % di soluti
 L’acqua aiuta a sciogliere il cibo per poter
dare inizio ai processi di digestione
 I soluti contengono enzimi e muco:
l’amilasi salivare avvia la digestione degli
amidi nella bocca; il lisozima uccide i
batteri; il muco lubrifica il cibo
Lisozima
• La salivazione, controllata dal sistema
nervoso autonomo, serve a rendere
umide le mucose e fluidi i movimenti della
lingua e delle labbra nel parlare
I denti
• organi accessori collocati in alveoli ossei,
cavità contenute nelle ossa mascellari e
nella mandibola, ricoperti dalle gengive e
tappezzati dal periodonto, un denso
tessuto connettivo che ancora i denti
all’osso
• costituiti da tre parti:
 Corona parte visibile sopra il livello della
gengiva
 Radice parte conficcata nell’alveolo
 Colletto parte che congiunge la corona alla
radice
• formati da dentina, tessuto connettivo
calcificato che conferisce al dente forma
e durezza
• a livello della corona la dentina è
ricoperta dallo smalto formato da
fosfato e carbonato di calcio che ha il
compito di proteggere il dente dal
logoramento della masticazione e
costituisce una barriera contro gli acidi
 Nella radice, la dentina è ricoperta dal
cemento, sostanza di consistenza ossea
 All’interno del dente la cavità o camera
pulpare è ripiena di polpa, tessuto
connettivo, innervata e irrorata da vasi
sanguigni e linfatici
 Dalla cavità pulpare si estendono nella
radice dei sottili prolungamenti detti
canali radicolari, ognuno dei quali
presenta un’apertura alla base
attraverso la quale passano vasi e nervi
 I denti cominciano a spuntare attorno ai sei mesi di vita fino a raggiungere un
massimo di 20 denti decidui o da latte
 Tra i 6 e i 12 anni vengono persi i denti decidui e compare la dentizione
permanente
Denti decidui o da latte

Dentizione permanente
• I denti si differenziano in seguito alla loro
funzione in:
 Incisivi: i più centrali, a forma di cappello,
servono per tagliare, sono in numero di 8
 Canini: vicini agli incisivi, appuntiti, servono
per lacerare e trattenere il cibo, sono in
numero di 4
 Premolari: hanno due cuspidi per frantumare
e tritare il cibo, sono in numero di 8
 Molari: hanno due o più cuspidi smussate ed
hanno la stessa funzione dei premolari, sono
in numero di 12
La carie dentaria (dal latino caries, «corrosione, putrefazione») è una malattia
degenerativa dei tessuti duri del dente, smalto e dentina, causata dai comuni
microrganismi presenti nel cavo orale, principalmente quelli adesi al dente nella forma
di placca batterica, che origina dalla superficie e procede in profondità, fino alla polpa
dentale.
Digestione nella bocca
• La digestione meccanica nella bocca è
dovuta alla masticazione
• Il cibo viene triturato dai denti, mescolato
con la saliva in seguito ai movimenti della
lingua e ridotto ad una massa morbida
facilmente deglutibile chiamata bolo
• La digestione chimica avviene grazie
all’enzima amilasi salivare o ptialina
prodotto dalle ghiandole salivari nella
bocca che catalizza l’idrolisi dei
carboidrati, in particolare degli amidi
cotti (zuccheri complessi), formati da
catene di glucosio
 Si originano: il maltosio (2 subunità di glucosio), il maltotriosio ( 3 subunità
di glucosio) e le destrine (oligosaccaridi a 5 -10 subunità di glucosio)
 L’enzima agisce per circa un’ora finché viene inattivata dai succhi gastrici

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