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Massimo Borghesi - Romano

Guardini. Dialettica e
Antropologia
Filosofia morale
Università degli Studi di Perugia
28 pag.

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MASSIMO BORGHESI – DIALETTICA E ANTROPOLOGIA
Guardini nel 1914 pubblica la prima elaborazione di quello che sarà il suo sistema
filosofico: l’opposizione polare, un’idea di una dialettica polare che struttura il concreto
vivente, l’esistenza umana in particolare. Il saggio del 1914 diventa un volume nel 1925.
Guardini parlerà della sua opera come un esposizione di un orientamento di pensiero
nuovo che supera quello finora in atto; l’idea alla base di questo nuovo pensiero è la
scoperta dell’opposizione polare che domina, scrive Guardini, l’intera estensione della vita
umana e probabilmente non solo di essa ma forse di ogni realtà viva e concreta. Questi
opposti non sono in numero infinito: una serie di opposti oltre la quale non esistono altre
forme di opposizione polare definitive e che tutti gli opposti ancora indicabili sono delle
specie risolvibili negli opposti indicati da noi come nei loro generi.
Questi opposti fondamentali si predispongono secondo relazioni tali da costruire un vero e
proprio sistema degli opposti nel quale si suddividono:
• OPPOSTI INTRAEMPIRICI, che descrivono la tensione polare nel campo dello
sperimentabile, psichico o fisico;
• OPPOSTI TRANSEMPIRICI, il campo dello sperimentabile umano è conformato in
modo tale da doverlo mettere in relazione con una zona di profondità non
sperimentabile, un esteriore al quale corrisponde un interiore. Cosa sia questo interiore
è il campo d’indagine della metafisica gli opposti transempirici si occupano proprio di
come si rapportano interiore ed esteriore.
• OPPOSTI CATEGORIALI: (OP. INTRAEMPIRICI + OP. TRANSEMPIRICI)
Rappresentano gli ultimi gradi di universalità della polarità nei quali la qualità
dell’opposizione ancora rimane, sono i supremi gruppi qualificativi dell’opposizione
polare;
Oltre a quelli categoriali Guardini segnala anche un’altra serie di opposti:
• OPPOSTI TRASCENDENTALI: si fondano non in determinati settori dell’essere ma
nella realtà dell’opponibilità come tale questo gruppo non concerne i contrari
dell’esistenza in quanto tali ma la loro relazione strutturale modulata polarmente.

Ma da dove trae l’idea di opposizione polare? Che esistano opposti non è una novità
anzi appartiene al pensiero platonicamente ispirato (romant., Goethe) e negli ultimi
vent’anni è ricomparso spesso. L’osservazione descrive il contesto storico all’interno del
quale l’idea dell’opposizione polare è apparsa come cifra autentica dell’esistente. Nel 1922
Guardini scrive «Tutto ciò che è vitale ha ripreso in pieno i suoi diritti. Accanto
all’intelletto hanno assunto uguale valore la volontà, l’energia creativa e il sentimento.
L’essere, accanto all’operare, ha acquistato maggiore importanza. Il vero problema è ora
in quale relazione stiano concetto e intuizione, essere ed agire, come l’uno sussista in virtù
dell’altro e l’unità in virtù di tutte le sue componenti».
Il tempo storico con le sue polarizzazioni estreme e i suoi contrasti, induce alla
riconciliazione. Ciò spiega l’influenza di Simmel: Guardini in Der Gegensatz ricorre a
Simmel riferendosi ad una sua opera del 1918 dove sviluppava una metafisica della vita
la vita è flusso continuo e illimitato e allo stesso tempo individualità limitata e
limitante, essa non è il puro fluire e nemmeno l’insieme delle forme che da quel fluire
scaturiscono, è entrambe le cose: è variabile e invariabile, fissa e mobile, formata e
informe, libera e vincolata [...] contraddizioni che esprimono tutte la stessa verità: che la
vita è un continuo trascendersi, un porre confini nell’atto stesso di superarli.

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La forma indica l’individuale, l’irripetibile, che si stacca dal flusso continuo del vivente.
La vita spirituale si può esprimere solo in forme: parole, azioni, dove l’energia
spirituale si attua di volta in volta. Quando queste forme nascono hanno un loro un
significato interiore, si oppongono alla vita che le ha prodotte e che le supera in quanto
fluire eterno; dunque la vita non può adeguarsi ad alcuna forma, deve
TRASCENDERE OGNI FORMA ponendone un’altra e trascendere a sua volta
questa in un processo senza fine. La contraddizione della vita è di esprimersi solo nella
forma senza mai potersi esaurire in essa. La vita è unità di forma e trascendenza non nella
riflessione logica ma in sé come vita la vita come un principio incondizionato che sta alla
base di ogni manifestazione dell’attività umana e che fornisce la chiave di spiegazione di
qualsiasi fenomeno il realizzarsi della vita è il processo di finitizzazione dell’infinito,
processo per il quale la realtà si costituisce e si svolge.
Oswald Spengler: la tensione fra anima apollinea e anima faustiana che ruota intorno alla
polarità natura-storia a cui corrispondono due diversi modi di comprendere cioè esperienza
scientifica e esperienza vivente. Un antitesi tra un modo di concepire la realtà come
divenuto e un modo di concepire la realtà come divenire, vita produttrice di forme.
Jaspers: Lo spirito non è né soggetto né oggetto ma entrambe le cose, non è né finito né
infinito, né particolare né tutto, si può definire come unità di quiete e di movimento, di
divenire e di essere, unità che non è mai data ma è destinata a frantumarsi sempre di nuovo
in antitesi polari – fra di esse ve ne sono due di particolare importanza poiché ogni antitesi
è infondo riconducibile ad esse
• contrasto fra caos materiale e forma: il processo vitale è qui una lotta fra questi due
lati, dalla quale non deve esserci un vincitore ma che mira alla sintesi. La pienezza
della vita materiale dirompe nelle forme che isolano sempre di nuovo quella pienezza.
A seconda della fase del processo nascono dottrine che si schierano per la misura, il
limite e la forma (classicismo e idealismo) e dottrine che si schierano in favore della
libertà da ogni vincolo, della pienezza, della vita, del caos (romanticismo e
naturalismo). Il processo vitale è fra caos e forma, dove la forma razionale è come
le altre forme, viva solo in quanto diviene ed è morta in quanto è divenuta. La
formazione è viva, la forma è morta. La vita è più che forma e deve di continuo
sconvolgere ogni forma determinata in quanto forma finita.
• la seconda dall’opposizione di individuale e universale. L’uomo è legato alla sua forma
di esistenza finita, non solo pretende una totalità ma sente anche l’esigenza di essere
più che un mero particolare, di obbedire ad un universale e di essere parte di un tutto.
La soluzione jasperiana a questi contrasti ispira il demoniaco di Goethe in Dichtung und Wahrheit.
Spengler sostiene che l’incontro con Goethe dipende dalla concezione dello sviluppo
storico come divenire biologico: il rapporto tra sviluppo storico e le sue manifestazioni è
espressione di una forza infinita, la vita, che si realizza in una diverse forme molteplici.
In Simmel un percorso conduce da Nietzsche a Goethe: N. appare a Simmel colui che per
primo ha fatto valere il riconoscimento dell’intrascendibilità della vita, ricercando non al
di fuori ma entro la vita la base di tutte le manifestazioni. Nietzsche diventa così il punto
di partenza dell’incontro con Goethe mediante il quale Simmel può definire
concettualmente la sua nuova prospettiva filosofica. Accoglie di Goethe il senso romantico
dell’infinità della vita come un processo continuo di creazione di forme nuove.

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Le riattualizzazioni della dialettica romantica di Simmel, Spengler e Jaspers rispetto alla
dialettica polare di Guardini si mostrano affini e al contempo diverse: l’analogia risiede
nella struttura di fondo, nella concezione della vita come tensione incessante di opposti; la
differenza invece risiede nel rifiuto del modello goethiano-nietzschiano. Scrive Guardini
nel 1968: « La dottrina degli opposti proviene dalla penetrazione con il pensiero della vita
concreta, dalla necessità di venire a capo di concreti rapporti umani, non ha niente a che
fare con il concetto di polarità di Goethe dove si identifica opposizione e contraddizione».
[ infatti citando Goethe, Jaspers scrive: «Quello che chiamiamo male è solo l’altro lato del
bene, il quale appartiene così necessariamente alla sua esistenza e fa parte del tutto».]
Guardini dirà che l’ESSENZA DELLA VITA UMANA STA NELL’ESSERE UNITÀ
D’OPPOSTI, opposti non contraddizioni.
IL GEGENSATZSYSTEM: LA VITA COME OPPOSIZIONE POLARE
Nel quadro delle opposizioni polari delineato nel Der Gegensatz, si vedono 8 coppie polari
di cui 6 date dagli opposti categoriali e 2 da quelli trascendentali. OPPOSTI:

I.CATEGORIALI II. TRASCENDENTALI


[A] INTRAEMPIRICI [B] TRANSEMPIRICI
1. a) atto – b) struttura 4. a) Produzione – b) Disposizione
2. a) Informale – b) Formale 5. a) Originalità – b) Regola
7. a) Affinità – b) Distinzione
3. a) Singolarità – b) totalità 6. a) Immanenza – b) Trascendenza
8. a) Unità – b) Pluralità

Prima coppia opposti intraempirici: Atto – Struttura è colta a partire dall’esperienza


esterna e da quella interna. Innanzitutto noi sperimentiamo la nostra vita come atto, come
attività e movimento continui, tutti i nostri atti sono espressione di una dinamica che è
percepita come il contrario della quiete. La vita è avvertita come un fiume – con la figura
del fiume Guardini rimanda a Simmel – appartiene al sentimento di fondo (Erlebnis) del
nostro essere. L’immagine del tempo (ancora riferimento a Simmel) vissuto e non di quello
meccanico, è legata a questa forma di vita, il fluire stesso della vita è qui il tempo. Il
tempo meccanico è sempre ugualmente veloce; non il tempo vivo, noi sentiamo che le ore
non corrono sempre allo stesso modo. Quanto più intensa è la vita tanto più rapido va il
tempo. La percezione dell’esistenza come divenire può imporsi al punto da determinare
l’intera visione dell’essere. Non esiste un atto puro poiché se deve essere atto deve avere
almeno un fermo punto di partenza, una direzione. Ogni atto vivo possibile deve
assolutamente contenere un momento o un elemento che non sia esso stesso atto ma
che sorga nella direzione opposta e corrispondente: un momento statico.
Non esiste un divenire puro: per poter fluire deve esserci qualcosa di durevole in esso,
per lo meno identità del fluente e identità della direzione, anche se solo per breve tratto. In
tal modo un flusso vivo contiene necessariamente un elemento dell’opposto significato
cioè la durata, lo stato. La percezione dell’identità, nel cambiamento, perviene sino
all’intuizione del centro personale che ci appare come punto fermo di riferimento, come
titolo di possesso duraturo, come forma. Se l’esperienza della vita-come-atto era quella
del tempo-fiume, quella della vita-come-struttura è data dallo spazio statico.
Nella loro assolutizzazione entrambi i momenti opposti pervengono ad una crisi, quello
dinamico perviene alla crisi del disordinato dinamismo e il momento statico alla crisi
del duro conservatorismo queste crisi vengono superate solo poiché all’interno dei

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singoli sensi direttivi viene fatto affiorare il senso polarmente opposto: il fluire nella
durata, lo stato nell’atto, l’agire nella fermezza. Così essenza e processo appartengono
entrambi alla vita. Queste realtà di fatto statica e dinamica stanno in tal modo l’una
all’altra che ognuno secondo il suo significato primo si stacca dall’altro, esclude
l’altro e arriva nell’assurdo se non riconosce in se stesso l’esistenza di quell’altro e
non la fa emergere. La realtà di questa vicendevole esclusione e inclusione è
l’opposizione polare non è dialettica romantica, non è sintesi di due momenti in un terzo
e neppure un tutto di cui i due rappresentino le parti e nemmeno la mescolanza in vista di
un pareggio. Si tratta di un rapporto originario in tutte e per tutto particolare: l’uno
degli opposti non si può né far discendere nè far salire dall’altro, LA VITA è
QUESTO LEGAME ORIGINARIO. Quando Guardini usa il concetto vita non indica
una vita universale ma la vita individua, il vivente concreto, la vita umana. L’opposizione
polare è il modo della vita umana, una determinazione essenziale dell’uomo vivente, la
polarità appartiene ai tratti fondamentali della vita dell’uomo.
La forma propria dell’unità vivente è di essere unità d’opposti. Alla teoria degli
opposti è estraneo l’uso del romantico di trascurare la specificità delle parti degli opposti,
la loro propria consistenza: per lui tutte le significazioni e le essenza delle cose diventano
la stessa cosa. La vera tensione polare è quella in cui non sarà mai possibile
veramente derivare la struttura dell’atto o il mutamento della durata perché le due
parti opposte sono essenzialmente auto-consistenti.
Si può passare dall’una all’altra solo tramite un salto e questa è secondo Guardini la
grande intuizione di Kierkegaard: la categoria kirkegaardiana del salto consente alla
dialettica polare di non risolversi in identità; un salto da un campo di qualità e di significati
in un altro che non è un assolutamente altro. Tuttavia la riflessione di K. non consente
di intuire il rapporto fra i poli. Solo il principio di analogia permette di spiegare insieme
differenza qualitativa e legame di affinità. Essenza della vita è portare in sé campi e
piani distinti e passare dall’uno all’altro non per la via del miscuglio ma con un salto.
Così compresa la vita appare un abbracciare realtà diverse come se fossero apparentate tra
loro e non disperdersi negli autonomismi: ecco cos’è la vita!
Il nesso che lega tra di loro gli opposti accade nella vita prima che ogni riflessione possa
intervenire. L’unione che la vita persegue prima di ogni speculazione non perviene mai
all’uno-tutto idealistico, la sintesi non è mai compiuta, si può al massimo parlare di un
equilibrio momentaneo fra gli opposti, un attimo breve di raro benessere, un’EUFORIA.
Dunque l’equilibrio è una situazione possibile solo come transito verso una condizione
umana in cui un polo prevale sull’altro. La dialettica guardiniana è un perpetuo
oscillare in cui l’armonia tra i poli è una condizione limite non già quella normale.
Segretamente Guardini combatte con Hegel tentando di delineare un sistema degli opposti aperto proprio
dell’essere finito nell’uni-totalità che chiude inevitabilmente il cerchio dell’esistenza. Guardini stesso
riconosce come lacuna del suo studio di non aver trattato il problema del rapporto tra il fenomeno
dell’opposizione e quello della contraddizione che è come dire non essersi misurato davvero con Hegel .

Seconda coppia opposti intraempirici: Formale – Informale. Noi sperimentiamo la


nostra vita come forza formatrice e tale auto-esperienza può divenire così forte da non
riuscire a concepire la vita se non nel formale. Guardini scrive di pensare ai Greci o meglio
all’apollineo per il quale forma, bellezza e verità erano la stessa cosa. Ma l’apollineo non
esaurisce l’esperienza del vivente, non esiste una forma pura qui nell’autoesperienza si
inserisce la direzione polarmente opposta, cioè qualcosa che non è forma, quel qualcosa
che sfugge alla forma, la scioglie, in cui la vita è l’INFORMALE. Il pensiero concettuale
si regge sulla forma è dunque difficile definire questo aspetto della vita se non

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negativamente dicendo ciò che questa vita non è, ma anche la via negationis può indurre in
errore: non è un no alla forma ma qualcosa che sta alla forma non in contraddizione
ma in opposizione. La vita è quel qualcosa che si può esprimere solo in una metafora:
Fülle, informale, questa pienezza non è neppure pensabile, per questo i greci chiamavano
la materia pura, materia prima, pura possibilità, in ultima analisi il caos che non è più
materia informale vivente ma la sua contraffazione. Forma e Fülle si co-appartengono. La
vita dunque deve concepirsi e affermarsi simultaneamente come forma e materia.

Terza coppia opposti intraempirici: Singolarità- Totalità. La vita si esperisce come un


processo che tende al tutto, rivolto a creare la forma totale, l’atto totale e a conservarli.
Non appena, però, la vita è avanzata fino ad un certo grado di totalizzazione, essa perde il
nesso con il “reale”. Una vera totalità deve possedere in sé un minimum si specialità,
singolarità, articolazione, per sussistere viva. La singolarità vivente è anche sintesi,
collegamento; ha in sé un minimum di generalità - tendenza integratrice e differenziatrice:
dapprima ognuna esclude l’altra dalla linea del proprio significato sino a giungere al
confine in cui essa inizia a diventare impossibile se l’altra non affiora in essa dal suo
opposto significato - la vita consiste e si riferisce ad entrambe, è l’una e l’altra insieme.
GLI OPPOSTI CATEGORIALI TRANSEMPIRICI. La realtà che si chiama vita
significa che essa ha un punto sorgivo nel suo intimo, questo punto è il centro della vita:
centro è quel punto di raccordo per il quale è solo possibile la vita, è per così dire un punto
oscillante. Guardini ricorre alla teoria dell’Entelechia (Arist: realtà che ha raggiunto il
pieno grado di sviluppo) di Hans Driesch [biologo, vitalista] per il quale l’entelechia
costituisce un fattore dinamico che agisce sul vivente oltre e attraverso i processi
chimico-fisici: questo fattore non è afferrabile empiricamente, sta oltre l’esperienza ma
ogni cosa sperimentabile accenna ad esso come alla causa da cui deriva e da cui viene
plasmato.
Anche se Guardini non dice nulla in proposito di questo innenpunkt, il centro della vita,
indica quasi certamente l’Ego come luogo dell’identità di sé, l’unità originaria che si
mantiene in seno alle differenze, il punto d’intimità dell’essere vivente. Gli opposti che si
dispiegano nel rapporto tra il piano sperimentabile verso il punto d’intimità si
chiamano TRANSEMPIRICI.
• Prima coppia opposti transempirici: PRODUZIONE-DISPOZIONE. Vivere
significa creare e quanto più viva è la vita quanto più è creatrice. Tuttavia una creatività
assoluta per l’uomo non esiste, non c’è un fare puro, ogni vita finita ha bisogno di
materia. Non la creatività ma l’ordine emerge ora in primo piano: la vita come
DOMINIO. Non esiste il puro disporre, solo chi crea può anche ordinare creare e
organizzare; produzione e disposizione. Di contro la vita è ritmo, ripetizione del
mutamento, ciò significa che essa è per essenza, regola.
• Seconda coppia opposti transempirici: ORIGINALITÀ – REGOLA. Qui la vita
oscillando fra i due può serbarsi integra e non degenerare.
• Terza coppia opposti transempirici: IMMANENZA – TRASCENDENZA. Lo
stare-in-se-stessi, questo orientamento verso l’interno, può condurre la vita alla paralisi:
se la vita si rivolge troppo verso l’interno non trova più la via verso l’esterno. La vita
possiede l’enigmatica potenza di stare fuori-di-sé. Se siamo vivi abbiamo memoria e
previsione, se stessimo chiusi in noi non ci sarebbe nemmeno il presente consistendo la
sua essenza nello stare sopra il confine sottile fra il non-più e il non-ancora. La vita nel
suo attimo presente è ciò che collega il passato e il futuro, ciò che è stato, riattualizzato
nella memoria, incide, è presente nell’oggi, così come ciò che non è ancora è sentito

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come gli appartiene all’oggi. La vita è se stessa e allo stesso tempo al di sopra di sé.
Immanenza e trascendenza. Il centro oscillante è così dominato da una duplice
tensione, è volto su di sé ed è, insieme, aperto alla realtà esterna, al mondo.
GLI OPPOSTI TRASCENDENTALI. Emergono dalla forma dell’opposizione vivente
che nella sua essenza si rivela diversa dalla lettura che privilegia ora l’identità ora la
contraddizione tra poli dell’antitesi. Al contrario i momenti reciprocamente opponibili
devono essere l’un l’altro affini e simili altrimenti nessun rapporto tra loro sarebbe
possibile, devono anche essere diversi e distinti l’un l’altro, altrimenti sarebbe identità
qualitativa.
Gli opposti trascendentali delimitano la forma propria della polarità vivente che non
è né univoco, né analogico: in esso diversità e somiglianza si implicano
vicendevolmente senza risolversi o annullarsi. Le coppie di opposti trascendentali sono:
• AFFINITÀ – DISTINZIONE, descrive l’aspetto qualitativo dell’opposizione
polare;
• UNITÀ – PLURALITÀ, considera invece l’aspetto strutturale.

RAPPORTO DEGLI OPPOSTI FRA LORO (II sez. del Der Gegensatz). Qual è il
legame che unisce tra loro le varie coppie di opposti? Si stabiliscono nel quadro
generale degli opposti una serie di collegamenti incrociati che trascendono l’orizzonte
delle singole coppie. La relazione non sussiste solo per l’elemento opposto all’interno del
proprio paio ma anche per le altre 2 paia di opposizioni all’interno del rapporto incrociato.
In ogni elemento polarmente opposto sono contenuti entrambi gli elementi delle altre 2
paia di opposti.
Il concreto vivente è una totalità in cui i poli si richiamano reciprocamente: in ogni suo
punto è dato il sistema dei rapporti. [rivedi pag41 rapporti in serie]
L’ordine delle serie dell’opposizione polare si fonda su un’affinità qualitativa tra vari
elementi. Rivedi pag 42

IL TIPO IDEALE: Gli opposti non possono realizzarsi mai in purezza dunque quando ciò
accade si ha il tipo ideale che esprime sì valori limite ma questi brillano però solo nel
naufragio della vita naturale. Guardini ipotizza una situazione di equilibrio, nel transito
dalla preponderanza da un opposto a quella dell’altro. Il rapporto di equilibrio è una
situazione eccezionale, possibile solo come passaggio. Esso rappresenta non solo un caso
limite ma anche un valore limite, e come tale brilla solo nel proprio naufragio. L’essenza
della possibilità vitale e della non mortale ma vitale perfezione è la misura. Il variare
della misura è ritmato da un succedersi alternante di poli, continuo oscillare fra poli
opposti. I singoli elementi dell’opposizione polare si ordinano in coppie, le coppie in
gruppi, i gruppi si ordinano nel sistema totale attraverso il quale corre il rapporto d’affinità
delle serie. Costantemente varia il rapporto di misura all’interno di ogni singola coppia di
opposti. Rivedi fine 45/46
LA DIALETTICA. L’affermazione diretta si riferisce immediatamente a ciò che pensa, al
contrario il metodo dialettico elabora una struttura di affermazioni di cui ognuna è in
rapporto con una che le sta accanto ed insieme con essa racchiude il reale pensiero
attraverso questa struttura lo spirito è indotto a lasciare cadere le singole affermazione e a
puntare lo sguardo sull’essenza a partire dal proprio centro vivente. Guardini chiarisce il
senso che assegna al metodo dialettico: quello di essere il procedimento adeguato per
la comprensione del concreto vivente.

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Il concreto vivente è solo un punto di partenza della via verso l’astratto da cui vengono
derivate le formalità dei concetti – quando tale metodo è applicato allo studio dell’uomo si
ha la psicologia analitica. Ma in tal modo il vivente si frantuma mentre un resto di unità
deve essere conservato il procedimento classificatorio come quello genetico perviene
all’universale comune, non però alla determinazione del concreto in quanto individualità
vivente: questo è il motivo per cui ad un certo punto simile unilateralità chiama
necessariamente l’opposta. Il concreto vivente viene sottratto a questo processo scientifico
distruttivo e affidato a uno speciale organo conoscitivo: alla conoscenza irrazionale, un
modo di conoscere più vicino alla vita che non l’intelletto concettuale. Il lavoro
intellettuale della scienza è sentito come morto e mortificante questo atteggiamento
cerca di staccare l’atto di conoscenza vitale da ogni intellettualismo e lo definisce come
sentimento o come istinto.
E’ possibile che conoscenza razionale e intuitiva non si escludano l’un l’altra?
L’impostazione di Guardini conduce a riscoprire l’essenziale unità di tipo polare in cui
consiste il concreto vivente occorre una volontà di razionalità universale che non escluda
l’irrazionale – questa razionalità sente la viva contrapposizione dell’elemento alogico
dell’esistenza accessibile solo all’intuizione. Dal punto di vista della dialettica polare non
è che il risultato mal interpretato che si ha nei confronti dell’oggetto, ora teso a coglierne
l’aspetto formale (procedimento analitico-scientifico che astraendo dalla soggettività
coglie l’oggettivo come universale) ora quello informale (il conoscente si esperisce non
come posto di fronte all’oggetto ma come uno che sente l’oggetto o meglio la
rappresentazione dell’oggetto). Il livello informale, la direzione gnoseologica è ciò che
differenzia un vivente da un altro. Sussiste un tipo di conoscenza intuitiva la quale si
differenzia dal procedimento riflessivo concettuale senza con ciò accedere ad una
posizione irrazionale. La conoscenza è atto, il sentimento non conosce, è esperienza di uno
stato, non è atto. Guardini scrive che la conoscenza intuitiva è soprattutto nel modo
come la persona, le condizioni, le intenzioni ecc. di un altro individuo vengono
afferrate, nella loro concreta, istantanea differenziazione.
Il processo del conoscere appare dominato da una tensione costitutiva tra
concettualità e intuizione: entrambi gli atteggiamenti conoscitivi esistono ma non in
purezza ciò che esiste è sempre un maximum di concettualità reso possibile dal fatto
che vi è intessuto almeno un minimum di conoscere intuitivo e viceversa non esiste un
conoscere puramente intuitivo poiché un’intuizione pura si smarrirebbe,
sprofonderebbe nell’inconscio. Tanto il concetto che l’intuizione non sono in grado di
attingere il vivente concreto. IL CONCETTO è TROPPO VUOTO E L’INTUIZIONE
TROPPO DEBOLE dunque il vivente concreto può essere attinto solo se concetto e
intuizione si applicano ad esso simultaneamente.
Il puro concetto risolverebbe il concreto nell’astratto, la pura intuizione lo farebbe
dileguare nell’inafferrabile. La vita, portatrice della tensione polare, è sopra-razionale
(non extra-razionale: ciò che può essere afferrato dall’intuizione, quindi l’informale) cioè
la totalità del concreto vivente che è tanto razionale quanto extra-razionale, che sta in
ambedue le sfere ma che è più ed è diverso dalla loro sintesi. Nel sopra-razionale stanno
le insolvibili antitesi del concreto: l’essere in tensione ha qualcosa di primario, di
originario e questo luogo che non ha luogo è il centro, mistero della vita il “luogo” dove
gli opposti stanno insieme, da dove partono, dove ritornano.
Al «centro della realtà vivente» è adeguato solo un atto conoscitivo di eguale struttura; il
quale, esso pure sopra-razionale, abbraccia l’elemento razionale e extra-razionale in un

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atto totale superiore: la VISIONE (Anschauung) un atto che vede non l’io in-sé ma nel
suo essere unità-in-tensione dei contrari che animano il vivente.

FORMA VIVENTE: è un fenomeno fondamentale non riconducibile ad altri, è il dato di


fatto che le determinazioni di un ente non coesistono in forma di unità astratta ma in unità
vivente ed aperta all’atto della visione reinterpretazione di tipo dialettico della dottrina
aristotelica di Entelechia da parte di Guardini: essa in quanto forma sussiste come polarità
fra la totale esteriorità di ciò che è materiale e manipolabile ed un’interiorità sempre
più profonda. L’atto vivente, percezione e azione, e il divenire vivente, crescita-
conservazione-decadimento dell’essere, si attuano nella polarità da fuori a dentro, da
dentro a fuori determinati dalla causalità chiamata INIZIATIVA DEL VIVENTE: impulso
a strutturarsi, conservarsi, affermarsi, appartenenti all’individuo e che si scaturisce dal suo
intimo è tale iniziativa che scaturisce dal proprio centro vitale, il fattore portante della
realizzazione della forma vivente.
La polarità esterno/interno diventa anche polarità fra regno della natura e dimensione
spirituale: lo spirito in quanto persona possiede se stesso nella coscienza, è per sé, in sé,
può uscire da sé e ritornarvi, è libero. Ciò non significa che lo spirito nell’uomo si
afferma separato dalla dimensione fisico-corporea: l’uomo è tensione unitaria di
interno ed esterno, anima e corpo, aperta alla visione. E la visione non può venire mai
adeguatamente espressa da un concetto ma solo attraverso un medium che può
coniugare in sé intuizione e concetto insieme: IL SIMBOLO. L’unità di spirituale e
corporeo non deve sopprimere le differenze; relazione e distinzione sono necessarie
entrambe a creare un simbolo che sorge quando qualcosa di interiore di spirituale
trova espressione nell’esteriore ciò che è interiore deve tradursi nell’esteriore con
necessità che scaturisce dalla sua essenza. L’espressione simbolica nella misura in cui
traduce in un’immagine o in un gesto il nesso tra interiorità ed esteriorità è il modo proprio
tramite cui la visione coglie la forma vivente che è tensione di corpo e anima, concetto ed
intuizione. La vita è una figura determinata da una dialettica polare il cui centro, il
punto oscillante verso cui tendono gli opposti e dal quale partono, non può essere
colto se non in un’immagine simbolica. Il corpo è simbolo dell’anima, ne è
manifestazione.

La visione, punto di incontro tra intuizione e concetto, pare ordinata all’atto stesso
del vedere sensibile, come suo approfondimento interno nella percezione della cosa.
Per Guardini la percezione visiva non può non presupporre un minimum concettuale a
partire da cui lo sguardo sulla realtà avviene. Ogni percepire dei sensi è accompagnato o
attraversato da un pensare costante che distingue, compara, ordine e che a sua volta rende
il pensiero migliore, più sicuro, acuto, profondo.
I caratteri della realtà per come si palesano alla percezione non formano un
allineamento di cose singole giustapposte ma un tutto, una struttura in cui ogni
elemento condiziona l’altra. La struttura è data dal fenomeno, non è pensata, è vista.
Vedere [Sehen] significa anzitutto “venir colpiti” [sinnerscheinug] dall’apparire significativo
dell’oggetto e sollecitati alla comprensione del suo contenuto. NELL’ATTO DEL
VEDERE SI PALESA IL MONDO NELLA SUA ESSENZA. Quando io guardo nel
mobile viso di una creatura umana io vedo intelligenza o bontà o collera. Non percepisco
solo pelle e movimento dei muscoli ma afferro un espressione in atto.
Espressione: l’essenziale delle cose, invisibile di per sé, giunge alla visibilità; è il modo
secondo cui qualcosa, che i sensi per se stessi non possono raggiungere, si manifesta nella

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realtà corporea tutto intero il corpo umano, tutto il reale vivente, è espressione. Questa
visione è possibile perché l’anima non si trova nel corpo come un elemento materiale
accanto un altro ma esiste in tutte le singole parti e funzioni nella forma dell’espressione.
Un volto umano vivo è un’anima visibilizzata, uno spirito che si può guardare. Io non
deduco né indovino il capire, ma lo vedo in una percezione che non è lineare perché
muta nella misura in cui variano oggetto e soggetto di percezione.
Il viso, non ogni viso, rimanda all’anima immediatamente e questa può tralucere ma anche
non apparire. Lo sguardo di un viso autentico può divenire intimo e pervaso di spirito ma
lo sguardo può anche essere segno di assenza. Nell’atto del vedere incide l’interiorità, lo
stato d’animo, i quali interagiscono con la realtà. Vedere è cogliere un’essenza la quale
provoca una decisione di apertura o di chiusura nei suoi confronti.
Max Scheler: la conoscenza dell’altro ‘io’ avviene non per analogia o imitazione ma per
percezione immediata dell’esperienza dell’altro nelle sue espressioni corporee.
Espressione è la primissima cosa che l’uomo coglie nell’esistenza che si trova fuori di lui.
Edit Stein: Dall’espressione del volto, dai gesti degli altri so quel che si nasconde nel loro
intimo. Tutte queste datità relative all’esperienza vissuta estranea rimandano ad un genere
di atti nei quali è possibile cogliere la stessa esperienza vissuta estranea. Su tali atti si basa
la conoscenza particolare dell’empatia.

Husserl (Ideen II): l’altro viene colto in forma immediata, intuitiva, come unità di corpo
e di spirito. Quando io vedo un uomo colgo un’esistenza corporea, lo vedo e vedendolo
vedo anche il suo corpo proprio l’apprensione dell’uomo va oltre l’apparizione del corpo.
L’apprensione dell’uomo è l’apprensione di qualcosa che si compie attraverso il medium
dell’apparizione del corpo ma l’uomo non è una mera connessione tra anima e corpo, il
corpo proprio è in quanto tale un corpo proprio colmo della psiche.
GUARDINI ≠ SCHELER: Diversamente da Scheler quel rivelarsi dell’autentico nei dati
immediati appare come l’orizzonte prioritario all’interno del quale si schiude la realtà
corporea. Quando guardo un uomo vedo la sua anima addirittura prima del suo corpo.
Anche se Scheler negava una priorità dell’io sul corpo ammetteva che si potesse
comprendere la bontà o meno di un essere umano dall’unità del suo sguardo prima di
indicare il colore dei suoi occhi.
GUARDINI ≠ KANT: Il fenomeno in Guardini deve avere la sua nozione originaria di
“ciò che appare”, ciò che si offre alla vista, che non è un fantasma [phantasma=illusione]
ma il chiarirsi d’una essenza che ci viene incontro da sé, indipendente rispetto a chi vede.
Il mio sguardo vede l’essenza ma l’essenza guarda fuori di sé, e solo il suo guardare rende
possibile il mio. L’uomo è un animale simbolico, sinolo di ragione e sensibilità,
immagine e concetto, anima e corpo.

Vi è un privilegio di una serie sull’altra? Solo a livello funzionale una qualche priorità è
rintracciabile, per Guardini, nella serie della forma: non perché contenga più valore ma
perché nel complesso della vita si danno funzioni diverse, entrambe egualmente valide e
significative, una delle quali è la rappresentativa e l’ordinatrice. Però l’errore sarebbe
l’incorrere in una coincidenza la serie formale con lo spirituale di contro la informale
pensata come propria della dimensione fisico vitale. La tipologia formale tende a
cancellare la precarietà, a far somigliare con l’Assoluto una realtà assoluta; ad
eguagliare a Dio idee e valori. Il rischio più elevato della volontà di forma è di

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diventare allevamento dell’essere perfetto. Nella sua versione estrema il tipo formale-
spirituale reincontra quella linea per cui tra spirito e materia l’unica dialettica possibile è
quella della negazione radicale, cosa che opera già in Platone per il quale la via dell’uomo
autentico, il filosofo, sta nella liberazione dello spirito dal corpo. Nella filosofia platonica
il rapporto mondo sensibile-mondo idee è concepito così da esistere la possibilità di
deviare nel disprezzo delle cose e in una ostilità verso la vita che espelle la realtà del
mondo dall’ambito dei significati religiosi. Per evitare questo pericolo viene in aiuto
l’intensità della volontà pedagogica che si rivolge a tutto l’uomo.
Nel pensiero di Kant si consacra la scissione tra interiorità e sensibile; Hegel colloca il
significato nello spirito assoluto e vede nella materia l’antitesi in cui lo spirito si fa
consapevole di sé – materia che però essendo posta fuori dallo spirito non costituisce una
modificazione dello stesso. A Kant ed Hegel devono virtualmente seguire Marx e
Nietzsche: lo spirito hegeliano è tanto quanto la materia marxista, simboli di una decisione
di volontà . Nietzsche appariva come colui per il quale la vita significò un’energia che
scorre nell’immenso e sollevandosi incessantemente in ondate colme di valori, forma con
il suo apparire degli esseri che il suo declino irrigidisce in leggi. La vita è una sorta di
avventura temeraria, metafisica. Anche per Guardini una delle due forme fondamentali
di auto-espansione della vita, quella creativo-informale, prevede che più viva si sente
la vita quanto più sgorga da se stessa.
Le analogie tra Scheler e Guardini: per Scheler la concezione della vita in Nietzsche e la
sua posizione sulla morale si contrappongono ad un preciso tipo umano che vedeva
predominare in Europa, cioè ebbe l’intuizione che gli ideali e i valori dell’uomo moderno
appartenessero ad un tipo di uomo nel quale la vita declina piuttosto che crescere, un tipo
di uomo per cui gli ideali si identificano con la conservazione dell’esistenza. Contro
questo tipo di umano, dominato unicamente dal meccanismo degli interessi, Nietzsche
avrebbe sollevato il suo concetto di vita e così anche in Guardini si oppone al vitalismo
creativo, la “sicurezza borghese”. Per Guardini, Nietzsche diviene la figura chiave per
intendere la crisi epocale che vi è in Europa e in particolare in Germania alla fine della
prima guerra mondiale – N. appare come il vendicatore che ripristina i diritti di una
moralità concreata e individuale (interpretazione di Simmel del 1906).
La differenza tra Kant e Nietzsche sta nel fatto che Kant vuole dare una formula alla
morale esistente mentre N. vorrebbe dare un nuovo contenuto a ciò che continua ad
esistere come “morale”. Per Guardini la posizione di N. appare però unilaterale e
deviante: ha il valore di una critica alla cristallizzazione del concetto di forma che
nell’uomo è sempre forma vivente, però poi giunge alla dissoluzione di ogni forma che
abbia una effettiva consistenza ontologica. L’essere non è soltanto singolare ma anche
incompiuto. L’esistenza è assolutamente frammentaria, non ha epilogo in alcun luogo, non
le si addice la parola ‘perfezione’. È spazio infinito, e in esso smisurata possibilità
d’incontro, di lotta, di vittoria, di sconfitta, è non-compiuta, lacerata, del tutto tragia, e ciò
è la sua bellezza. Ciò che conta è il titanismo con cui accetto il mondo e sto al suo gioco
titanismo della finitezza è il risultato di un’assolutizzazione etica del mondo e della
capacità umana di “fare il mondo”.
Przywara: nel primo dopoguerra 2 erano i percorsi ideali, quello tragicistico (uomo e
mondo come caduta di Dio) e quello umanistico (mondo e uomo come Dio). Per Guardini
la dialettica dell’antropologia moderna s’involge nella contraddizione per cui la forma
vivente è ora assolutizzata, ora dilacerata. Vita e forma qui si muovono in antitesi

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contraddittoria: si tratta di riaffermare una totalità vivente dove non solo la forma ma
anche il suo opposto, non contraddizione, sono ricattati.
Respingiamo l’errore di identificare forma con essenza, questa antitesi negativa può
sciogliersi laddove si comprende l’errore che risiede nel passaggio dalla contrarietà
[Gegensatz] propria del vivente alla contraddizione di tipo etico.
In questo trapasso i poli dello spazio esistenziale interno/esterno, sopra/sotto, diventano
essi stessi determinazioni etiche. Guardini distingue “sopra” e “sotto”:
• “sopra”: piano di mera fisicità corporea / “sotto”: impulsi, necessità fisiche,
fatali;
• cielo regno della vita con significati, possibilità, libertà di movimento; terra,
chiusura della volontà dell’altro, nascosto, ”sotto”, zona dell’intuitivo. Fra questi
due regni intercorre l’esistenza quotidiana, individualmente voluta e consapevole.
Nel passaggio dall’ordine spaziale puramente corporeo a quello della vita, le
categorie mutano e mutano se liberiamo nel sopra e nel sotto l’elemento verso cui si
volge la tensione dello spirito: il valore. Il sopra è in contatto con la sfera del valore
Alto indica non solo una direzione spaziale, non solo una energia che si tende verso il
regno della luce ma anche qualcosa che è valido in senso specifico. Al “sopra” inteso
come valore si oppone antiteticamente un “sotto” sinonimo di dis-valore, se ciò accade
si afferma subito la polarizzazione dualistica che salva, in nome del Tutto, la zona del
cattivo sotto facendone un contro-polo il buono “sopra”, identificando uno con lo
spirito e l’altro con la materia. Entrambe le parti degli opposti sono forme di pari
valore solo che si muovono in una diversa direzione di senso: dunque non vanno
definiti come “sotto” e “sopra”, che la persona interpreterebbe necessariamente come
cattivo e buono
(reclamerebbero una decisione) ma come “sopra” e “dentro”, altezza e intimità.

Per Guardini, come per Kierkegaard, il male non è contro-polo del bene, come non lo è il
no del si o il nulla dell’essere. Il bene è ciò che è categoricamente valido che esiste di
suo diritto; il male è ciò a cui giammai è lecito essere e che implica essenzialmente un
non senso. Il bene è ciò che deve esserci, il male non dev’essere e ciò che non occorre che
sia, l’assolutamente superfluo. L’ERRORE STA NEL CONFONDERE UN CONTRASTO
DI TIPO ETICO CON LA POLARITA’ VIVENTE, viene identificata una opposizione con
una contraddizione. Non l’unità in tensione della polarità ma l’aut-aut della
contraddizione.
L’etica moderna culmina nel principio di Kant: Buona è soltanto la volontà per cui la validità morale
non entra nel reale, nella forma viva, ma resta in quella della validità, nella sua sfera.

Nel rapporto con il valore, il soggetto attua se stesso e questa realizzazione si


presuppone si documenti come felicità. La felicità non è altro che la percezione del
valore ottenuto lottando, quando è entrato nella vita, nell’essere. La felicità è il riverbero
esistenziale dell’ideale attuato nella vita: la felicità è vera se si sperimenta
nell’appropriarsi del valore assegnato, o non vera se si sperimenta nel pretendere un valore
non assegnato o minore. Contro l’impostazione kantiana che dualizza la struttura della
conoscenza nel binomio sensibilità-passiva/intelletto-attivo, la riflessione di Scheler
presume di affermare una terza dimensione intuitiva ed emozionale la quale costituisce
il luogo di apprensione dei valori colti nella loro assolutezza anche la parte emozionale
dello spirito, il sentire, il preferire, l’amare, odiare, ha un contenuto ordinario a-priorico
che non è preso in prestito dal pensare e che l’etica in piena indipendenza dalla logica ha il

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compito di rivelare. Di qui la polemica contro Kant per il quale non esiste
un’esperienza morale, contro il presupposto ingiustificato per cui ogni uso del sentire,
amare, odiare, quali atti fondamentali della vita morale costituisca una gratuita assunzione
della natura dell’uomo per la conoscenza del bene e del male. Da Kant accetta la necessità
dell’apriori affinchè la morale possa dirsi universale.
La libertà morale diventa comprensibile solo a partire da entrambe, etica e ontologia, è un
valore ed un essere perché le leggi del dovere e quelle dell’essere sono in ultima istanze
identiche, altrettanto come quelle del conoscere e dell’essere.

Il vero nodo è qui nella ricostruzione di una dialettica morale che muovendosi nello spazio
esistenziale della persona, dominato dalla tensione sopra-dentro, non si traduca in una
contraddizione antropologica tra razionalità e sensibilità. Da un lato la morale dipende
dall’esistenza di una norma, un ideale che a partire da Platone si colloca in alto, sopra di
noi, come legge del nostro essere. Un reale ordine di valori e della loro realizzazione non
è definibile che secondo lo schema della graduazione per altezza.
La norma etica, se autentica, non si risolve in una pura struttura funzionale. Non
significa essa l’oggettivazione di una struttura psicologica, così che determinati modi del
comportamento, essenziali all’esistenza della personalità, proiettandosi nel sovrapersonale
assumono carattere di obbligatorietà assoluta, e neppure come sostiene il sociologismo la
risultanza di interessi sociali tramite cui una condotta viene resa abitudine buona.
Piuttosto si tratta di qualcosa di primario, sussistente per sé.
Qual è però l’organo adeguato capace di discernere tra valori autentici e inautentici?
Guardini riconosce tale funzione alla coscienza [das Gewissen]: c’è in me qualcosa che
per sua natura risponde al bene come l’occhio alla luce, la co-scienza [ge-wissen].
È quell’organo, per mezzo del quale io rispondo al bene e sono conscio con me stesso
che il bene esiste; che ha un’importanza assoluta. L’atto di coscienza è quell’atto con cui
penetro di volta in volta la situazione e intendo che cosa sia, in tale situazione, il
giusto, ossia il bene. Il vero e il buono non sono solo norma ma anche valore. Mentre nel
suo aspetto normativo l’ideale appare collocato in alto, sopra, come valore esso appare
capace di far vibrare l’io da dentro. Ha qualche cosa di dinamico.
Il momento soggettivo ha una specifica realtà e un nome: l’eros. Se così è, coscienza
ed eros si devono chiamare quelle due forme fondamentali della norma e del valore.
Nell’uomo formano un tutto unico.
• Coscienza l’interno deve e può sentire il richiamo della norma nel suo diritto;
• Eros il fondo essenziale e vivo è ordinato al valore;
• Cuore il cuore è esso stesso spirito ma spirito che sente il valore, che porta l’eros.

La conoscenza presuppone l’amore: si riesce a conoscere verità nella misura in cui si


ama. Il cuore rappresenta il livello in cui lo spirito è in connessione viva con la corporeità,
è il punto di passaggio dal sensibile allo spirituale. Nella sua funzione mediatrice, il
cuore rappresenta il punto di incontra tra spirito e vitalità istintuale, dove l’istinto
sale alla spiritualizzazione.

Lo spirito riuscirà a ricreare il mondo degli istinti a formarlo secondo la verità e la libertà
solo se il suo sguardo e la sua volontà entreranno nella sfera del cuore. L’atto del cuore è
atto che alla conoscenza dà, è nutrimento. Il cuore è innanzitutto luogo in cui si rende
evidente per lo spirito il carattere assiologico dell’essere, l’ambito vivo che vibra in noi a
contatto con l’essere che vale.

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Il valore pertanto non è una mera forma a priori che giudica l’essere ma l’eco nel nostro
spirito della preziosità del reale. L’esperienza del valore è strettamente connessa a quella
della realtà nella sua forma oggettiva. È in questo senso che il cuore risponde al valore.
Valore è l’intimo moto significante dell’essere.
L’esperienza morale precede e in ciò Guardini concorda con Scheler, la dottrina
morale.
L’AUTENTICO ASSE ESISTENZIALE DELL’UOMO PASSA LUNGO LA
DIREZIONE
“DENTRO”-“SOPRA” secondo una tensione che vede il cuore rapportarsi all’ideale, al
bene che polarizza la coscienza. Secondo Guardini questa è la grande scoperta di Platone
cioè che l’idea è l’eterna forma significante alla quale si rapporta ogni singola cosa
dell’esperienza ma che, sopra la singola idea e sopra tutte le idee prese insieme sta il
“Bene” che per Platone è il Divino.

LA DIMENSIONE SIMBOLICA DEL MONDO. L’occhio percepisce il corpo altrui


come simbolo della sua anima, sino al punto che è solo nell’anima che coglie il volto
dell’altro. Ora questa percezione simbolica, secondo Guardini, non si attua solo nel
rapporto interpersonale ma anche nell’incontro tra io e mondo naturale. Il mondo è
luminoso nel suo manifestarsi ma è come se rimandasse ad un oltre e questa non è solo un
impressione soggettiva ma una vera e propria percezione dell’oggetto, obiettivamente da
non meno di quella con cui io percepisco un atto intelligente dal volto o uno stato emotivo
dall’atteggiamento di un’altra persona. Tutte le cose attestano se stesse come
direttamente reali ed essenziali ma fanno subito presentire che non sono l’ultima
realtà ma punti di passaggio attraverso cui emerge ciò che è davvero ultimo e
autentico: questo è il carattere simbolico delle cose. Una percezione così coglie la
realtà nella sua simbolicità e coincide, secondo Guardini, con una PERCEZIONE
RELIGIOSA. Nella percezione simbolico-religiosa entra in gioco la totalità dell’uomo
vivente nella sua apprensione del reale, totalità che laddove non sia in atto, anche
l’esperienza religiosa tende a rarefarsi. Infatti la modernità vede quasi scomparire
l’elemento religiosa nel rapporto con la natura: gli atti contemplativi rivolti alla natura
scompaiono, difficilmente avviene un’esperienza davanti ad un albero. Se il mondo appare
come un oggetto, anche la percezione religiosa non è più tale, non è più una percezione
conoscitiva che coglie nella realtà la sua simbolicità, bensì confina ad essere un puro
impulso soggettivo.
La percezione religiosa è percezione simbolica della realtà finita, percezione che coglie
nel finito come tale, in tutta la sua irripetibile concretezza un’intensità di significato
che lo trascende. Omero di Walter Otto: errore è di definire l’atto religioso in modo
unilaterale e come un sentimento.
IL KONFORMITÄTSYSTEM, «SISTEMA DI CONFORMITÀ» DI MAX SCHELER
Secondo Scheler l’atto religioso schiude all’uomo la visione di una sfera concreta
dell’essere e di contenuti intuitivi essenziali che altrimenti rimarrebbero completamente
nascosti all’uomo. Esiste un rapporto essenziale tra atto religioso e sfera religiosa di
oggetti, un rapporto di appartenenza fra le essenze specifiche dell’atto e dell’oggetto
religioso la percezione religiosa è dunque una percezione oggettiva, coglie il finito come
presenza rivelatrice di altro. Rivelare come contrario di ciò che è solo pensato: l’oggetto
finito rivela in quanto simboleggia l’Essere assoluto.
Per Scheler la relazione che consiste nel rivelarsi è una relazione simbolica: dell’esser
segno di qualcosa, dell’alludere di un oggetto ad un altro oggetto. L’atto religioso coglie il

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mondo come la percezione estetica che vede nell’opera d’arte l’espressione dello spirito
del suo creatore ma anche l’opera contiene qualcosa dell’essenza individuale dell’artista.
La presenza di Dio nella creatura come l’artista è presente nell’opera d’arte, si
evidenzia e si sente nell’atto religioso che può percepire l’ente finito come opera,
come creaturalità. L’errore della teologia tradizione è quello di credere di scoprire ciò che
in base al contenuto essenziale si è già ottenuto da una fonte di conoscenza completamente
differente. Si giunge a delle conclusioni dentro il mondo delle concezioni religiose ma si
crede erroneamente di trarre gli argomenti da dati di fatto pre-religiosi.
Ad esempio l’asserzione per cui tutta la natura porta in sé delle tracce del suo
creatore divino è un’affermazione che trova corrispondenza solo in quelle
apprensioni intuitive che aggiungono ai fatti di una concezione extrareligiosa una
concezione religiosa del modo come fenomeno nuovo positivo. Questi fenomeni e
relazioni simboliche intuitive delle cose, della natura con Dio, non si schiudono all’uomo
in tutte le contemplazioni della natura ma solo nella contemplazione religiosa MA ciò che
è ovvio in un contesto non lo è necessariamente in un altro ad esempio nell’era
capitalistica della borghesia la contemplazione religiosa del mondo non è ovvia. Nel
sistema di conformità di Scheler (per cui l’atto religioso perviene a relazioni simboliche e
quello filosofico-metafisico a relazioni causali) il rischio è di una giustapposizione di
prospettive che difficilmente possono integrarsi fra loro. Per Guardini si tratta di rilevare
l’intera struttura polare tra i procedimenti esperienziale-religioso e quello metafisico-
teoretico; esperienza e teoria sono strettamente legate tra di loro in una convergenza che si
palesa là dove si ha presente che ciò che l’esperienza religiosa concepiva come il
definitivo, il salvifico, è uguale a ciò che il pensiero intende come prima causa, fondato in
sé, cioè l’ASSOLUTO.
Vicinanza Guardini- Scheler: Dio, scrive Scheler, si esprime negli avvenimenti della
natura, l’intera natura è suo campo di espressione. stessa analogia tra volto-anima e
natura-Dio che fa Guardini.
MA se fosse invece vero l’inverso? Che io solo nel sentimento interiore vedo l’eterna
visibilità dell’altro? In Guardini diviene modalità di lettura della stessa precomprensione
del mondo naturale. Appena ammettiamo questa inversione il mondo ci appare come
opera: l’opera dell’uomo è vincolata al suo autore non solo per causa formale ma
qualitativamente, concretamente, testimonia di lui, e ciò tanto più energicamente quanto
più l’autore vi è compartecipe, quanto più è originale. Analogamente ogni esistente
pende da qualcosa che è al di là di esso [creaturalità].
L’atto del vedere coglie la relazione del finito con l’Altro – non è forse vero, si chiede
Guardini, che solo l’esperienza di questo vedere è il fondamento al lavoro del pensiero e a
tutto ciò che le prove dell’esistenza di Dio intendono ed adempiono? Il problema non
concerne la validità logica delle prove che è indiscussa ma se l’argomentazione conduce
l’uomo a Dio in modo che alla fine ci sia non solo un giudizio logico ma una convinzione
religiosa. Solo l’esperienza religiosa fa sì che la dimostrazione si ponga in movimento e
veda la direzione in cui muoversi.
Influenza di John H. Newman su Guardini: G richiama il concetto di to realize che
significa il passaggio di un oggetto dallo stato di essere come pura espressione verbale,
puro concetto, a quello di essere come esperienza vitale, in cui viene sentito come realtà.
Lo scopo di Newman è quello di delineare la grammatica dell’assenso, la struttura
mediante cui si esercita il nostro atto di adesione all’essere, sia esso reale o ideale. Gli
assensi possono durare anche in assenza degli atti inferenziali su cui si fondarono

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originariamente. Il nostro assenso viene meno mentre perdurano attivamente le
ragioni e l’atto di inferenza che ne costituisce il riconoscimento. Molto spesso
argomenti per niente validi e riconosciuti come tali da noi, non sono abbastanza vigorosi
per piegare la nostra mente verso le conclusioni cui vertono. L’assenso dunque è
incondizionato mentre l’inferenza è sempre condizionata. La domanda che ora si
pone è come possa la coscienza assentire incondizionatamente a nozioni la cui
dimostrazione non può mai essere necessitante? Secondo Newman l’itinerario deduttivo
del pensiero perviene in tal modo a conclusioni le quali sono tanto più certe quanto più il
confronto con l’esperienza diviene serrato e le probabilità convergono verso una
determinata soluzione e non l’altra.
Newman supera l’obiezione di Hume mediante una distinzione tra attività analitica (formale) della
ragione e un’attività spontanea, intuitiva, dell’intelletto denominata come senso illativo o senso delle
inferenze. L’intelletto determina qualcosa che la scienza non può determinare: il limite
delle ragioni sufficienti della prova. L’intelletto è teso a cogliere, mediante un atto
rapido e illuminato, la connessione sintetica delle parti in seno ad una totalità. Come
nel caso di un oggetto della sfera sensibile: afferriamo insieme premesse e conclusione,
percepiamo, quasi istintivamente, la conclusione nelle premesse e attraverso esse e non per
giustapposizione formalmente logica delle proposizioni. Dove fallisce la logica riesce il
mio pensiero naturale. Il pensiero naturale il cui organo appropriato è il senso illativo ha
in Newman la funzione simile a quella che in Guardini ha il momento intuitivo rispetto a
quello concettuale. A Newman la logica appare come l’apriori che precede e guida ogni
formalizzazione del pensiero. Solo la logica può fornire la base universale a partire da cui
la comprensione di esperienze diverse può effettuarsi. La vicinanza con la posizione
gnoseologica guardiniana per cui l’atto concreto del conoscere si effettua nella tensione
polare tra momento logico-formale (universale) e giudizio intuitivo-esperenziale
(individuale). La proposizione che vi è un Dio personale e presente, scrive Newman,
può essere ritenuta in due modi: come verità teleologica o come realtà religiosa. La
proposizione esprime una nozione se concepita ai fini dell’analisi o simili esercizi
intellettuali; la proposizione è immagine della realtà se concepita a scopo di devozione.
La teleologia si occupa dell’apprensione nozionale, la religione dell’apprensione reale.
Con ciò non vuole porre in antitesi religione e teleologia, anzi vorrebbe una conoscenza
nella quale venga superata la formalizzazione del contenuto religioso.
Alcuni rilievi critici parrebbero collocare l’opera di Guardini internamente al filone
platonico-agostiniano del pensiero occidentale. Ciò in parte è vero, tuttavia è un fatto che
la prospettiva di fondo che emerge non si esaurisce nel suddetto filone infatti l’oggetto
proprio della riflessione guardiniana è il concreto vivente la cui forma sussiste e si
attua nella tensione tra interno ed esterno, interiorità e figura sensibile, anima e corpo.
La figura umana è una totalità in tensione in cui poli, organismo fisico e spirito, si
appartengono senza risolversi in identità. Il metodo dialettico ha sempre costituito, nella
storia del pensiero, la formulazione teorica della dinamica mediante cui la ragione
oltrepassando l’apparire sensibile, finito e contingente, perviene ad un regno ideale
sottratto al divenire e alla caducità delle cose. L’originalità della posizione
guardiniana sta invece proprio nel tentativo di coniugare assieme dialettica e
realismo del finito, nel pensare la tensione vivente non come superamento-negazione
dell’esserci concreto ma a partire proprio dalla irriducibile realtà dell’ente finito.
L’idea di opposizione o della polarità sembra appartenere alla struttura fondamentale del
pensiero platonicamente ispirato ma tale pensiero ha anche pericoli specifici:
1. Perdere il corpo e con ciò l’uomo;

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2. Perdere il concreto e cadere nell’astratto;
3. Perdere la storia e cadere nel metafisico.
Platone sfugge a questi rischi grazie alla fondamentale intenzionalità politica del suo
pensare e l’intensità della sua volontà pedagogica. Guardini accoglie l’interpretazione
platonica di Jager per il quale il problema politico appare non solo come l’interesse
centrale dell’uomo platonico ma anche l’intenzionalità ultima del suo pensiero il mondo
platonico è orientato verso due poli: il primo è là dove tendono il moto del pensiero
dell’intera esistenza che culmina in conoscenza; il secondo è là dove si dirige l’educazione
pratica dell’uomo, del singolo come della collettività. La dinamica platonica risulta così
animata da due moti antitetici di cui uno costituito dalla corporeità formata da mezzi
ginnici e musici e l’altro, antitetico, ritorna dalla trascendenza con l’esperienza di vita e
valori acquisiti, al mondo terreno e i suoi compiti. Rivedi 145-146
La possibile genesi dell’estetica guardiniana: si fonda sull’idea di
RAPPRESENTAZIONE, cioè sulla possibilità che ha l’ente sensibile, e segnatamente
il corpo umano, di rivelare, manifestare l’interiorità che lo abita. La dialettica tra
interiorità e figura sensibile, dà luogo ad una gerarchia degli enti, per cui l’immagine
esteriore appare progressivamente come un simbolo dell’interno. Le cose si trovano tra
loro in un diverso rapporto di rango, di valore. Esse rappresentano una crescente
rivelazione di valore o di magnificenza è il quadro metafisico del platonismo.
(Bonaventura??)
La connessione tra ontologia platonica e antropologia guardiniana è possibile poiché per
Guardini il platonismo è nel suo fondo intimamente dinamica: ciò che fa realmente statica
un’immagine è il fatto che in essa in ultima istanza riposa l’essenza, allo stesso modo in
cui essa diviene dinamica per il fatto che l’ultimo conferimento di significato lo derivi da
un valore. Così in Platone se l’idea fosse come tale l’ultima istanza, essa sarebbe solo pura
essenza, archetipo sussistente dell’eterno. Ma essa non lo è, dietro di essa sta il Bene e il
Bene non è forma MA pura pienezza di valore, eterno esser-mosso, che vibra in se stesso.
Fluisce nell’idea e attraverso questa in tutto ciò che è. Rileggi 148
In Bonaventura si tratta di un itinerarium mentis in Deum possibile perché ogni ente
contiene luce, è colmo di significato spirituale, capace di esprimere una giustificazione
divina. Il mondo diviene così la rappresentazione simbolica dell’Assoluto, traccia del
divino di cui le cose sono segni concreti. La concezione simbolico assiologica del reale è
in Guardini un punto fermo derivante da Platone – Agostino – Bonaventura .
L’ontologia dinamica del platonismo per cui l’eros trascende le forme che simbolicamente
orientano al Bene, si lega all’antropologia guardiniana per cui nessun polo dell’esistere
può essere idealizzato come normativo in senso assoluto. Se ciò è innegabile, è vero che la
tendenza dialettica in Guardini coesiste con la tendenza per cui la realtà ha una sua
pregnanza che non può essere sorvolata, né idealizzata, ma si impone con viva evidenza.
Come nota Von Balthasarnon basta dire che Guardini abbia scelto Bonaventura come
primo punto centrale della sua analisi perché questi costituisce il contrappeso determinante
alla scolastica aristotelico-tomista derivato da Platone e Agostino. Se è pur innegabile la
filiazione platonico-agostiniana del pensiero di Guardini, comunque il dichiarato intento è
di procedere verso un platonismo concreto che lo porta nelle vicinanze di Aristotele ciò è
particolarmente evidente in una delle forme chiave del pensiero guardiniano cioè la
«forma-vivente», figura che ritmata dalla tensione materia-forma, è analoga al concetto
aristotelico di entelechìa tradotta sul piano antropologico, questa idea trova il suo
corrispettivo nel rapporto polare che lega tra loro anima e corpo. L’anima diviene qui

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forma del corpo, anzi questo corpo particolare. Anche in questo caso l’analogia con la
posizione aristotelica è evidente. Dunque in sede metafisica, gnoseologica,
antropologica, etica, Guardini dimostra di muoversi in un’orbita di pensiero che non
solo è affine ma in taluni punti nodali si svolge all’interno delle posizioni proprie
della corrente aristotelico-tomista.
Per la precisione le analogie sono più il frutto di una convergenza in forza di un’esigenza
speculativa di tipo realista, piuttosto che l’esito deliberato e consapevole di un recupero
teso a valorizzare una determinata tradizione. La scelta di Bonaventura, antagonista
immediato di Tommaso, non permette di dire che Guardini si sia espresso contro Tommaso
poichè Tommaso e Bonaventura provengono dalla stessa origine. Anche se Guardini
simpatizzava per la linea interiorizzata Platone-Agostino-Bonaventura- pascaliana, l’altra
linea, aristotelico-tomista appare come la complementare, non contraddittoria. In una
lettera del 1919 Guardini scrive circa il rapporto mistica-teologia: non dobbiamo mai
dimenticare che la grande cultura mistica del Medioevo fu possibile solo perché un tesoro
di idee teologiche chiare e vitalmente approfondite era di dominio comune. Ancora una
volta la tensione polare diviene criterio ermeneutico fondamentale. Non è corretto
contrapporre Agostino e Tommaso e questo non per una mera volontà di conciliazione che
elimina le diversità ma perché essi esprimono tendenze e sottolineature che sono entrambe
necessarie. L’immagine di Guardini come pensatore platonico-agostiniano risulta così
contemporaneamente confermata che ridimensionata.
V.EPOCA MODERNA TRA «DIONISISMO DELLA TOTALITÀ» E «FINITISMO
TRAGICO»
L’apriori religioso condiziona la visione del mondo dell’uomo in generale dunque il
mutarsi della forma di tale apriori influenza tanto l’immagine che il soggetto ha del reale
quanto l’immagine che egli ha di se stesso. Nel passaggio tra epoca medievale e moderna,
nel mutarsi dei contenuti e della dinamica del senso religioso, viene alla luce un tipo
antropologico nuovo, la cui tensione vitale è diversa rispetto al modello di Guardini. Dal
punto di vista dell’antropologia polare, l’unità dell’uomo vivente poggia su quel punto
transempirico che abbiamo visto essere il centro verso cui i poli convergono.
Tale punto non è la mera sintesi delle polarità opposte, la situazione di equilibrio
descrive nell’uomo una condizione di transito e non normalmente uno degli elementi
opposti. Un sistema degli opposti che si fissasse in un costante equilibrio, dovrebbe
morire: produrrebbe lo spegnersi di ogni tensione. Il finito assimilandosi all’infinito infatti
non potrebbe che concludere in una impossibilità esistenziale. Secondo Guardini nella vita
finita sempre vi prepondera una delle serie opposte: ciò significa che per questo la vita
finita guarda fuori verso l’aperto, tesa in un’aspettativa continua. Il sistema del
concreto vivente non è un sistema chiuso. La persona che si muove nello spazio
esistenziale dentro-sopra, immanenza-trascendenza, è continuamente in sé e al contempo
fuori di sé, protesa verso una sintesi viva che la sospinge all’incontro con il mondo, gli
altri uomini, Dio. Da qui l’unica, epperò fondamentale, indicazione etica a conclusione
dell’opera guardiniana: l’esistenza umana poiché non può acquietarsi in una situazione
di equilibrio, ne consegue che il suo ethos, (modo di fare, comportamento da cui deriva il
termine Etica) sta nel mantenersi oscillante. L’esistenza umana non può diventare troppo
leggera altrimenti si dilegua nell’indefinito, non può diventare pesante altrimenti
sprofonda; deve poter OSCILLARE, nell’oscillazione si fonda l’insaziata ricerca umana.
L’ethos che scaturisce dall’opposizione polare è dunque la legge del limite la quale
consentendo all’uomo di mantenersi oscillante nella sua tensione vivente, non

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distrugge però il desiderio dell’infinito, ne è anzi condizione. Di per sé, tuttavia,
opposizione polare è limitazione. La teoria degli opposti mostrando l’impossibilità di
attuare gli opposti in forma assoluta, nonché l’inattuabilità di una sintesi completa
tra di essi, acuisce nell’uomo il senso della finitezza. La vita come de-finita è un idea
centrale nelle culture del passato, specialmente in quella classica e poi in quella del
medioevo europeo. Ovviamente la visione del mondo che si facevano gli antichi era
circoscritta: per la loro sensibilità il nettamente definito vale più dell’indefinito
(concezione dominante del cosmo, della polis..). Nel corso dell’evo moderno però la
situazione cambia: ora il mondo e il soggetto tendono ad affermarsi come totalità, come
l’infinito che non ammette un oltre. Dal punto di vista dell’opposizione ne scaturisce una
dialettica tra limite e illimitato. L’era moderna cerca di superare la struttura-
opposizione polare e quindi la contingenza del finito, e di porre in modo assoluto i
fattori costitutivi dell’esistenza. Il limite è come una pelle: respira, sente, trasferisce da
un’altra parte. Il mondo dell’esistenza in cui lavora la mia volontà vitale, invece, tradisce
la tendenza a porre qualcos’altro al posto del vero limite che è trasparente finitezza. La
volontà dell’uomo mira a chiudere il mondo in se stesso e intorno al suo proprio
essere ma ciò significa che il limite nel suo vero senso, sparisce. Il mondo diviene ora
l’indefinito, l’infinito. Sotto il concetto dell’infinito viene inserito quello dell’assoluto
e nasce così un mondo che non è solo un Tutto ma il Tutto sempliciter, il Definitivo,
l’Assoluto.
Esso è una totalità piena, non ammette spazi vuoti. In ciò consiste una delle decisive
convinzioni dell’uomo moderno: che né alla periferia del mondo esiste uno spazio
libero, dove ci sia qualcosa di sovramondano, né nell’intimo mondo una lacuna, nella
quale possa entrare qualcosa di extra mondano. Diversamente, la coscienza religiosa
anteriore all’epoca moderna ha sempre lavorato con le rappresentazioni di uno spazio
vuoto di mondo, intorno al mondo: in questo vuoto intorno al mondo, come nelle lacune
all’interno del mondo, entrava Dio.
Al contrario la coscienza moderna sa che non c’è spazio intorno al mondo, né lacuna
all’interno. Il suo mondo non sopporta niente accanto a sé o dentro di sé. Ha intolleranza
del Tutto. MONDO è TUTTO. Visione che si fa strada attraverso il Rinascimento. Trova la
sua forma compiuta nel panteismo moderno da Giordano Bruno in poi fino al 19esimo
secolo. Dio nel panteismo non è l’altro dal mondo, l’infinito non è separato dal finito, ma
coincide con esso, ne è la legge, la struttura immanente. Rivedi da 165 A 168
L’espressione più compiuta di questa auto-chiusura religiosa del mondo la si ha là dove
anche la morte vuole essere conquistata alla terra. Si attua in ciò la visione dionisiaca
della vita che cerca di comprendere la morte accostando il problema della morte a
quello del sesso, dell’Eros, per cui generazione e morte sono eventi fondamentali
dell’esistenza, potenze elementari che formano la grandezza e la potenzialità della
vita. È quanto accade nel sentimento romantico, che assumendo vita e morte come i due
poli dell’esistenza, dà prova di un vacuo estetismo, sotto il quale si nasconde un inganno
infernale. L’illusione sta qui nell’affermare una uni-totalità composta da vita e morte che
non sono le parti di un tutto ma l’una la negazione dell’altra. L’atteggiamento dell’uomo
verso la morte è di difesa: la morte non è naturale. Nel processo di modernità chi ha
tentato di piegare tale sentimento naturale in una forma per cui la malinconia cede il posto
ad una quiete dell’animo, sono HӦLDERLIN e RILKE, i due poeti richiamati nel saggio
di Heidegger Perché i poeti? – ad essi Guardini ha dedicato due lavori.

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[Hölderlin ha scritto Pane e Vino, una poetica che raffigura il mondo dei miti greci in cui avviene
conciliazione tra Cristo e Dioniso ]. Hölderlin, scrive Guardini, sembra sia stato il primo a
compiere il tentativo di riconquistare al mondo l’al di là, i morti e il loro regno.
Mentre per il positivista e per il borghese la morte è incomoda, lo imbarazza, ora invece
per il poeta, la morte e l’al di là rappresentano una forma reale dell’essere, rispetto
alla quale la vita terrena è l’altra forma non meno reale e significante. Nella sua
poesia defunto e regno dei defunti sono reali, non cadano nell’irrealtà a cui li designava il
pensiero moderno. Restano congiunti al popolo, alla famiglia, alla terra – i morti non
sono ombre, sono in tutto e per tutto positivi. Appartengono all’essere e agiscono
sull’essere. In questo modo il regno dei morti diventa pieno di realtà, appare come l’altra
parte della vita. La weltbild, l’immagine del mondo di Hölderlin, non vuole limitare il
suo valore al piano poetico, si impone invece come realtà a partire dall’esperienza
religiosa, che per Guardini sta appunto alla base della poetica di Hölderlin. Secondo
Guardini, Hölderlin di fronte al cristianesimo della sua epoca, che gli appariva esaurito,
ritrovava spontaneamente l’animo della religiosità antica, ma trasformandola secondo
l’esperienza religiosa cristiana. L’ambiguità di Hölderlin la ritroviamo anche in Rilke dove
abbiamo a che fare con una poetica sorretta da un esperienza religiosa che si nutre di valori
cristiani secolarizzati. Anche qui la vera scommessa si gioca nel recupero della morte alla
vita. Rilke rompe presto con il cristianesimo, in una lettera del 1923 accusa la Chiesa di
aver tradito tutto ciò che profondamente ed intimamente esiste di qua in nome dell’al di là.
Nella stessa lettera afferma che le proprietà che vengono tolte a Dio ricadono sulla
creazione, sull’amore, e sulla morte. Rilke appartiene alla serie degli annunziatori del
messaggio della realtà finita fondata in se stessa. La poesia elegiaca è inno alla caducità
dell’esistenza, la canta in modo che il cuore tramite la sua tristezza dica sì alla vita.
Il sì alla vita di Rilke implica anche un momento in cui il finito cui si dà l’assenso è un
finito chiuso, un finito-infinito, nel senso che comprende anche la morte, il negativo, come
momento interno al suo orizzonte. Ammettere la vita senza la morte e viceversa sarebbe
una restrizione che esclude in ultima istanza ogni infinito. La morte è il lato della vita
posto a rovescio di noi e da noi illuminato: NON ESISTE NÈ UN DI QUA NÈ UN DI
LÀ MA SOLO LA GRANDE UNITÀ. Il mio sacro pensiero è la familiare morte Rilke
qui, secondo Guardini, mira a realizzare ciò che ha tentato di realizzare Nietzsche a
proposito dell’eterno ritorno dell’uguale; e il punto della massima angustia diviene il
luogo del superamento, la breccia per passare nella nuova realtà. In tale superamento
l’illimitato, l’eterno, l’assoluto, a cui egli per amore della terra ha rinunciato, ritorna come
qualità interiore dell’esistenza trasfigurata. L’infinito riemerge, titanicamente, nel cuore
del finito. Heidegger in Perché i poeti? dirà che la poesia di Rilke sta sul crinale che divide
l’età moderna e l’epoca che la segue.

L’età moderna si costituisce a partire dall’idea di un mondo infinito


(esterno=natura; interno=soggetto). Ora il suo declino coincide con la crisi di
quest’idea: la percezione che il tutto è finito si impone in termini sempre più netti. Il
concetto moderno di infinità, secondo Guardini, è problematico poiché ad un certo punto
si inverte ma l’autentico concetto di infinità non può invertirsi, lo può fare solo un
concetto complementare e solo nel concetto dal quale è indipendente. Il vivente concreto
può passare da una polarizzazione ad un’altra però esso è per principio riferito a entrambe.
Invece il vero Assoluto e Infinito non è fenomeno complementare, non ha contro-polo.
L’infinito nell’accezione moderna è cioè un infinito –finito, un infinito che si

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costituisce a partire dal finito inteso nella sua totalità, per cui al di fuori del finito,
senza di esso, è nulla.
Il finitismo tragico in cui conclude l’idea moderna di infinito, trova il suo primo e più
coerente interprete in Nietzsche: per lui la realtà non è più natura ma radicale finitezza; ma
comunque essa deve appagarsi il cuore dell’uomo la dottrina dell’eterno ritorno è il
tentativo di disciplinare l’uomo puramente mondano che non vuole se non ciò che è finito
e perciò non sente più la protesta contro di esso. Questo volere il finito può motivarsi solo
a partire da un rifiuto di Dio come altro dal mondo.
Per Scheler la negazione di Dio non conferisce all’uomo l’esonero dalla propria
responsabilità, non diminuisce la sua indipendenza né la sua libertà, ma al contrario è
sentito come qualcosa che innalza la responsabilità e la sovranità al più alto grado
possibile. Per Guardini l’ateismo moderno non presume più di avere fondazione razionale:
il problema religioso del nostro tempo non consiste solo nel quesito se Dio esista e come
sia, quanto nell’altro, se e come sia possibile una coesistenza del mondo con Dio. Se in
tale coesistenza possa esistere Dio e l’uomo quale compendio della creazione, possa essere
uomo.
Secondo Guardini, prima di Nietzsche è Dostoevskij che ha colto prima questo
fenomeno: l’atteggiamento di Karamazov verso Dio è ribellione per Guardini, non
ateismo, ma attacco aperto; Dio non è negato ma è il nemico, così proietta, Karamazov,
il suo personale dissidio interiore nell’assoluto. Questa tensione della dialettica della
modernità (Niet.), passaggio dall’infinito come mondo all’esaltazione del finito, non può
mantenersi poiché qui i poli assoluto e finito non sono determinati con verità.
La dialettica moderna finito-infinito si risolve in quella tra finito e finito, tra io e mondo
che tendono a una reciproca dissoluzione. L’esso diventa predominante e spegne la
persona. IL MONDO TRIONFA, il trionfo è però solo apparente poiché
nell’estinguere il suo contro-polo, cessa esso stesso di essere un polo e il mondo
sparisce. Mondo non è solo terra ma ciò che si costituisce come spazio tra il soggetto
e la realtà: se si estingue l’io, si estingue il mondo. La tendenza opposta invece privilegia
il soggetto come ente finito, come fondamento, che dà forma alla realtà. Questo
atteggiamento poi si rovescia: perde il mondo per mezzo del mondo. Il contrasto
apollineo-dionisiaco non può che risolversi in una nullificazione tra i due poli:
dall’assolutizzazione del mondo, alla sua crisi, dall’esaltazione del soggetto sino alla
sua eclissi. Per Nietzsche ancora queste due tendenze si incrociano: da un lato il mondo è
Tutto, dall’altro è la volontà di potenza il vero fondamento che da forma all’essere.
L’opposizione tra i due momenti tra riduzione dell’uomo a frammento di natura e
momento titanico, è solo apparente: i due momenti sono interdipendenti e complementari
–questo è l’esito dialettico che emerge dalla polarizzazione tra finito e falso infinito.
Nell’età moderna l’uomo esce dall’ordine di Dio e pretende per sé un’autonomia, lo
stesso uomo che si affatica a distruggere la propria specifica posizione nell’esistenza per
far di sé un vivente qualunque fra i viventi. Se l’Assoluto è cancellato dall’orizzonte,
necessariamente la vita diventerà inquietante, insicura, e l’uomo si getterà fra le braccia
della potenza totalitaria dello Stato.
In un saggio del 1946, Guardini scrive: negli anni appena trascorsi è accaduto qualcosa
che merita una considerazione sulla situazione religioso-spirituale dell’epoca postmoderna
e su quella dell’uomo in generale il Nazionalsocialismo, che non può essere compreso
semplicemente come fenomeno politico di istaurazione di mera tirannide, bensì
presumendo di sostituire il cristianesimo nella coscienza comune, si è affermato come

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una nuova fede – nel Nazismo la presenza religiosa è attestata dall’alone mistico che
circonda la dottrina della razza. Furono presentati come estranei alla specie, come
depravazione cristiano-giudaica, tutti i valori e gli atteggiamenti che si frapponevano a
quel qualcosa di misterioso chiamato “sangue”. [rileggi framm.pag181]
Per spiegare il fenomeno nazista bisogna innanzitutto calarsi nella sua epoca: il
Nazionalsocialismo appare nella Germania degli anni ’30 come possibile soluzione
religiosa e politica a quella crisi della civiltà che segnava radicalmente il ‘900 europeo
tra le due guerre. Nella volontà di colmare il vuoto del Dio assente, il nazismo si
sostituiva nella sua funzione simbolico- religiosa-mitico. Scheler scrive che l’atto religioso è
una dote indispensabile dell’animo umano spirituale, la domanda non è sul fatto che sia possibile
esprimerlo, piuttosto se verrà espresso in modo adeguato o se tende verso un oggetto a cui si tende come
se fosse divino ma che è in opposizione con la natura dell’atto religioso perché appartiene alla sfera dei
beni finiti . Sussiste questa legge essenziale: ogni spirito finito crede ad un Dio o ad un
idolo. La possibilità idolatrica spiega l’affermazione di Guardini, per cui anche la fede
nell’Anti-divino è religiosa. Nel palesarsi di questo nesso, tra potere totalitario e
manipolazione religiosa di una soggettività in crisi, si rende esplicita l’anima politica
della posizione guardiniana. La tendenza totalizzante del potere del secondo dopoguerra
è in atto costantemente nella misura in cui l’io, il soggetto, è come incapace di opporre
resistenza. Ogni fenomeno fra esseri vivi si verifica solo se dal suo polo opposto si fa
incontro una corrispondenza: non si impongono forme di volontà collettive a spesa
dell’individuo se esso non ne abbia volontà – il totalitarismo trionfa solo se il singolo ha
la volontà di liberarsi da se stesso.
Anche l’età moderna ha provato un giorno una sua angoscia (Angst): l’uomo che veniva
da un ordine cosmico ben delimitato si sentì come inghiottito nell’infinità degli spazi, dei
tempi e delle masse. L’angoscia oggi insorgente viene invece da un’esperienza dell’essere.
Angst non si riferisce a qualcosa di determinato ma all’essere, in generale. L’angoscia
è così il sentimento proprio dell’essere-per-la-morte, dell’esistenza stretta in una radicale
finitudine. Per Heidegger l’esistenza autentica si staglia solo nell’assunzione consapevole
della morte come destino della vita. In Nietzsche nel sentimento cosmico moderno si
estingue il sentimento del Tutto infinito e ad ogni punto dell’essere affiora il limite e con
esso anche la possibilità di ciò che è dall’altra parte dell’essere cioè il Nulla, il Nulla come
minaccia dell’essere. Il nulla è il luogo che il rifiuto di Dio ha reso vuoto, lo “spettro di
Dio”, in esso opera la morte. Nella percezione del Nulla l’essere definito dalla morte
sperimenta la propria finitezza radicale. La scomparsa della vecchia idealistica infinità
dello spirito ha dato luogo ad una più pericolosa divinizzazione dell’uomo (Przywara).
185-189
TECNICA E POTERE NELL’ERA POST MODERNA. In una lettera del 1953
Guardini scrive che nel corso dell’era moderna la natura ha una specie di
soggettività, l’uomo la onora, mentre l’uomo futuro invece la prende solo come
oggetto, e per questa oggettività essa si demonizza – la bomba atomica è una
vendetta.
L’oggettivazione del mondo appare come il dato nuovo con cui confrontare il rapporto
soggetto-realtà. Guardini ricomincia a caratterizzare il nostro tempo
dall’oggettualità: il mondo diventa oggetto. Questo rapporto era presente anche prima
nella possibilità dell’uomo di disporre delle cose, ma ora pare che la natura divenga pure
oggetto, risultato del sapere tecnico-scientifico. La natura non è più sentita come
grandezza originaria che va incontro all’uomo ma come materiale per la volontà
dell’uomo. L’esistenza diventa storia, la natura NON controllata, scompare, si risolve

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nella storia. Anche l’uomo viene preso sempre di più come oggetto ma nel suo caso
l’obiettivo è il dominio, un’umanità pianificata, guidata, secondo una prospettiva per la
quale teoria e tecnica dello stato totalitario manifestano una tendenza che si esprima nei
procedimenti di controllo (controllo consentito dallo sviluppo delle nozioni scientifiche) degli
individui che derivano dalla ricerca e dalla tecnica psicologica, dall’eugenetica, dal
controllo delle nascite. L’accresciuto potere dell’uomo sulla natura apre la possibilità
di un profondo dominio dell’uomo da parte dell’uomo. “Potere. Esperimento di
istruzione” è un saggio del ’51 in cui Guardini scrive che sia la natura che l’uomo sono
sempre più alla mercé del potere economico, tecnico, statale...l’uomo tiene in suo
potere la natura, ma insieme l’uomo tiene in suo potere l’uomo, lo stato tiene in suo
potere il popolo e il sistema tecnico-economico la vita. Tutto ciò è possibile
nell’orizzonte del tempo presente, dove il potere non incontra più limiti e tende dunque a
dare forma e contenuto ad un’esistenza anonima. Una sempre più netta
economicizzazione dell’uomo tende a trattare l’uomo nello stesso modo in cui una
macchina tratta la materia da cui ricava i suoi prodotti. Nella società attuale ciò che
esiste è una crescita continua di materiali, prodotti, processi che non stanno in armonia fra
loro dunque in qualunque modo si voglia esprimere questa realtà di fatto è chiaro che
domina un elemento del caos che deriva dall’uomo. Per la comprensione di un epoca è
istruttivo chiedere quale immagine del mondo sente come normativa: oggi si può dire che
sono anzitutto valori di dominio a determinare il sentimento della vita contemporanea. Se
l’antico dominio poggiava sull’accordo con le forme del mondo e le divinità che si
manifestavano in esse, il nuovo dominio mette in dubbio se le cose siano fondate su
un’essenza. La sua immagine fondamentale è il dittatore che pone l’essenza.
Sul tema della tecnica Guardini aveva potuto ascoltare la conferenza di Heidegger “ La
questione sulla tecnologia” in cui H. esprimeva il processo di mercificazione del mondo
provocato dalla tecnica moderna con il termine BERSTAND cioè patrimonio che è la
natura e perfino l’uomo. Il vero punto di convergenza tra Heidegger e Guardini risiede
nella determinazione dell’essenza della tecnica moderna cosa c’è dietro lo sforzo della
tecnica scientifica? 1) il tentativo di liberarsi della terra come vincolo esistenziale; 2) far
esplodere l’uomo-atomo per andare oltre l’uomo attuale; 3) volontà di liberarsi di Dio.
Solo l’avvento della tecnica nei suoi termini moderni rende possibile l’ipotesi di un
oltre uomo, per il quale Dio non è che il proprio sé affermato nella sua onnipotenza.
La duplicità tipica del rapporto macchina-uomo, dell’automatizzazione che realizza
contemporaneamente la liberazione dalla fatica e la negazione dell’esperienza viva.
L’uomo rimette alla macchina una prestazione tecnica che prima dominava e ciò lo
rende più libero e contemporaneamente fa che vada persa una possibilità del creare,
del vivere il mondo. La storia del processo tecnico degli ultimi due secoli è storia di
emancipazione che è insieme dominio e estraneazione dalla natura. La cultura che
precedette l’affermazione della tecnica era caratterizzata dal fatto che l’uomo poteva
personalmente sperimentare ciò che aveva realizzato con il proprio lavoro armonia uomo-
natura. Ora viceversa l’uomo perde la ricchezza della sua creazione: può dare a queste
macchine qualsiasi compito sviluppando così un potere in aumento costante ma ciò
significa che chi produce rinuncia alla individuale vitalità del lavoro e si abitua a voler
produrre solo ciò che è consentito dalla macchina. Per la dialettica guardiniana che l’uomo
faccia qualcosa il cui effetto rimanga fuori da lui è impossibile perché ogni agire umano si
polarizza. Con l’automatizzazione sorge un mondo di pensiero a cui è conforme il
carattere oggettivo del nuovo uomo e la sua crescente incapacità di sentimento.

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L’oggettivazione del mondo diventa oggettivazione degli uomini: la tentazione che la
macchina contiene è che essa consente di portare all’estremo la tendenza di risolvere la
natura nella storia, con la conseguente recisione del legame tra cultura e natura.

Qual è allora il pensiero di Guardini di fronte il tempo nuovo?


Lettere dal lago di Como. Pensieri sulla tecnologia (1923/1925) Il panorama delle lettere
è il nord Italia degli anni ’20 con la sua realtà sociale contadina che sta lasciando il posto
all’industrializzazione - la macchina penetra in un paese che non aveva fino a quel
momento posseduto una cultura. Vidi piombare la morte su una vita di infinita bellezza.
Ciò che declina è il mondo dell’umanità legata alla natura. Prevale l’astratto e l’uomo
si afferma in una sfera che è in un ordine secondario. Il giudizio è negativo: questo
processo non è umano.
Nell’ultima lettera, la nona, Guardini precisa la sua posizione verso l’epoca
contemporanea in termini che rimarranno invariati nel corso della sua riflessione: il fattore
umano dell’antichità si dissolve con il fatto nuovo che entra nella storia ed opera in modo
distruttivo perché incontra un uomo che non è fatto per lui, perché l’uomo idoneo a vivere
insieme a lui non esiste ancora per Guardini l’unica strada possibile è quella di non
irrigidirci verso il nuovo perché il nostro posto è nel divenire. A noi è imposto il
compito di dare forma a questa evoluzione e possiamo assolvere a tale compito solo
aderendovi onestamente ma rimanendo sensibili a tutto ciò che di inumano è in esso.
Il nostro tempo non è anteriore a noi stessi, noi stessi siamo il nostro tempo. Siamo in
rapporto col tempo come lo siamo con noi stessi.
BISOGNA DIRE Sì AL PRESENTE STORICO. Nelle lettere parla anche del
movimento giovanile tedesco, Jugenbewegung, legato alla pienezza culturale del passato,
al suo insorgere ha preso posizione contro la meccanicizzazione: la convinzione di
migliorare la vita senza la tecnica. Il genuino movimento giovanile scrive Guardini, non è
restaurazione romantica perché dovrebbe essere una sola cosa con il tempo venturo ma
l’adesione all’oggi non contiene nessun facile ottimismo. L’epoca contrassegnata dal
trapasso di due momenti della storia di cui quello che viene è ancora incerto è stesso
periodi di crisi ma crisi è sempre decisione fra possibilità negative e positive, il punto è
vedere dove cade la decisione. Nella volontaria accettazione del tempo si profila la
posizione guardiniana: la reazione romantica che guarda al passato si distingue da quella
utopistica ottimista guidata dall’idea di progresso – l’adesione al presente in Guardini si
motiva a partire da un’opinione pratica, dove la caratteristica oscillazione della sua
riflessione non indica contraddizione di prospettive. La decisione per il tempo e non
contro il tempo assume il significato del tutto positivo di umanizzare l’età della tecnica
senza per questo rifiutarne i risultati pratici e le grandi acquisizioni teoriche.

Qual è il problema che si pone come centrale nell’uomo del nostro tempo?
Una volta l’uomo aveva come primo obiettivo quello di affermarsi di fronte la natura che
lo minacciava perché egli non l’aveva ancora dominata. Man mano che l’uomo entrava in
possesso della terra liberava con la sua stessa azione forze nuove. Queste andarono
crescendo e oggi, scatenate hanno provocato un nuovo caos.
Nella storia siamo ritornati al punto in cui si trovò l’uomo primitivo quando affrontò il
compito di creare il mondo. L’età moderna aveva accolto come assoluta vittoria l’aumento
della potenza scientifica e tecnica; le sue conquiste le erano senz’altro apparse come un
progresso ma l’aumento del potere non è più percepito come sinonimo di elevazione dei
valori della vita. La soluzione dunque non può essere data dal rifiuto della tecnica o
dalla diminuzione del potere bensì dal suo dominio. L’epoca futura in definitiva non

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dovrà affrontare il problema dell’aumento del potere ma quello del suo dominio. Si
tratta di passare dal potere sulle cose al potere sul proprio potere. Guardini riporta
l’esempio di Gandhi: ha disarmato la potenza coloniale inglese unendo alla richiesta di
libertà del suo popolo la rinuncia all’esercizio della forza, costringendo il suo avversario a
scegliere tra dignità e brutalità – presupponendo però l’etica occidentale e una comune
tavola di valori tra oppresso e oppressore; ciò non avrebbe avuto presa sul cinismo
totalitario. Occorre si formi una nuova umanità, libera, forte.
Non può identificarsi con l’umanesimo borghese perché il borghese non ha elaborato uno
stile di dominio o un ethos ma si è sempre ritirato dietro nell’anonimato. L’uomo che ora
intendiamo, mette decisamente al secondo posto l’utilità e al primo la grandezza della
struttura del mondo che si impone. Hiroshima ci ha reso coscienti di vivere all’orlo della
rovina fino a che dura la storia. L’uomo nuovo sente questo pericolo, per lui non esiste
l’ottimismo della fede nel progresso, sa che è responsabile di un mondo affidato alla
libertà e la libertà non consiste nel seguire l’arbitrio personale o politico ma ciò che è
richiesto dalla natura dell’essere. L’uomo futuro è illiberale, ciò non significa che non ha il
senso della libertà ma che per l’atteggiamento liberale non si può introdurre vita in alcuno
elemento poiché esso genererebbe la lotta. Si dovrebbe invece dire che s’impone
l’esigenza di prese di posizioni individuali rispetto al mondo e alla propria attività. Per
Guardini questo livello trova espressione nella filosofia vitalistica cioè una mentalità
che vede nella vita il valore supremo e per cui i valori della verità, del bene, del giusto
del bello sono irradiazioni della realtà autentica, della vita. Guardini, influenzato anche
dalla lettura assidua di Thomas Mann nel ’64 scrive che tra le cose più incomprensibili
che esistono rientra la cecità del liberalismo (il liberalismo tedesco è stato il padre del
nazismo) che realizza così l’esatto opposto di ciò che si ripromette l’idea di libertà
disancorata da ogni norma e valore in senso obiettivo si capovolge paradossalmente
in una schiavitù senza pari.

L’epoca nuova richiede un potere capace di dominare il proprio potere, questo è il suo
limite fondamentale espresso dalla rottura della bipolarità uomo-Dio a favore dell’uomo. Il
rifiuto di Dio ha significato per l’uomo moderno, il rifiuto a governare il proprio
potere. Sempre più evanescente divenne quel che doveva valere ancora come norma
comune per l’uomo come uomo. Cosa rimane? Lotte di ogni tipo in cui è decisivo solo il
brutale successo. Anche l’idea, la norma, sono solo brutali randelli, dietro i quali si
nascondono gli egoismi di gruppo. Guardini noterà come nell’arco della modernità la
negazione è stata diretta per molto tempo verso la Rivelazione e i contenuti etici,
individuali, sociali che si sono scaturiti da essa. L’autentica personalità assieme al suo
mondo di valori e atteggiamenti era scomparsa dalla coscienza con il rifiuto della
rivelazione. La soggettività moderna può sorgere storicamente solo in un suolo cristiano.
Nel 1945 Guardini legge il pensiero di Heidegger focalizzando i suoi riferimenti ad
affermazioni di H. come queste: ciò che prima determinava l’uomo ha perso la sua
efficacia. L’amore che domina il suo mondo non è più il principio efficiente e
operante di ciò che avviene e questo è ciò che significa metafisicamente l’espressione
“Dio è morto” Il declino dei valori, scrive Guardini, appare connesso alla morte del
Dio cristiano. Questa morte ha una rilevanza pratico-politica ben precisa, citando
Heidegger: “se Dio e gli dei sono morti, ne viene che il dominio sull’ente come tale,
come terra, ricade nelle mani del nuovo volere dell’uomo”. Nella prospettiva di Guardini
il potere trapassa da potere dell’uomo a potere sull’uomo, perché la sfera della potenza, nel

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vuoto causato dall’eclisse di Dio, appare sempre più come forma di vita priva di
baricentro.
Com’è possibile superare quella dialettica moderna che identificando finito con
infinito porta l’elemento religioso ad essere strumento di chiusura del mondo in se
stesso? Occorrerebbe all’uomo un punto archimedeo: una posizione di appoggio “fuori”
dal mondo potrebbe sussistere solo se qualcosa di sovra-mondano si elevasse
all’interno delle realtà date – diverso per natura, per qualità, essenzialmente.
Poggiandomi sopra un Diverso io vedrei finalmente il mondo a tutto tondo, avrei una
distanza per lo sguardo d’insieme e un criterio per una piena valutazione. Quel punto
sovra-mondano dovrebbe essere rispetto al mondo diverso ma anche totalmente positivo,
integrante: a queste condizioni esso renderebbe idoneo e libero questo è il momento in cui
il fatto storico della Rivelazione penetra nella conoscenza del mondo. Solo nel rapporto
con l’avvenimento di Cristo, con il Dio in e al di sopra del mondo diviene possibile
per Guardini quel distacco dal mondo che è condizione trascendentale della libertà.
CRISTO è LA RADICE DELLA LIBERTA’ VIVENTE, il credente ha un luogo per
essere diverso, una posizione altra verso il mondo rispetto a tutti i rapporti intra-mondani.
Questa idea di Cristo come radice della libertà vivente si rafforza in Guardini anche alla
luce del Nazionalsocialismo e non a caso il saggio del 1946 è dedicato ad un’analisi
politico-religiosa del nazismo che abbia al centro proprio Cristo come fonte e fondamento
della libertà europea. Secondo Guardini la biologizzazione nazional-socialista aveva
come scopo di portare lo spirito tedesco nel suo orizzonte precristiano, dominato
dalle potenze naturali e dai suoi miti. L’io in questo orizzonte non è concepito come
persona ma come figura individuale parte del Tutto. In questa esperienza ciò che l’uomo
chiede ai suoi salvatori è di essere protetto dalla minaccia della morte, dell’inverno, della
notte, e di qui la letizia nel ritorno del sole, della primavera, della salute. Cristo non
apporta quella liberazione che la primavera apporta nei confronti dell’inverno bensì
spezza la catena di quel Tutto in cui sia inverno che primavera, sia luce che buio,
sono intrecciati e fissati, cioè la natura.
Cristo libera dal potere della natura in generale, per una libertà che non viene dalla natura
ma dalla sovranità di Dio; egli spezza, alla radice, la potenza che la natura esercita
sull’uomo asservendolo mediante il laccio della propria condizione mortale. Solo
Cristo, come punto archimedeo rivela che c’è l’altro, essendo lui stesso l’Altro. Per
questo il nazionalsocialismo è ostile verso il cristianesimo, verso la figura di Cristo come
forma di libertà europea – il nazionalsocialismo mirava a distruggere la dimensione
europea: il nazismo verificava l’assunto novalisiano del Cristianità o Europa (Christenheit
oder Europa ). Nulla è più falso dell’opinione per cui il dominio moderno sul mondo nella
conoscenza e nella tecnica abbia dovuto esser raggiunto lottando in contraddizione con il
cristianesimo – è vero il contrario: l’enorme rischio della scienza e della tecnica
moderna è divenuto possibile solo sul fondamento di quell’indipendenza personale
che Cristo ha dato all’uomo. La libertà e quindi la posizione antropologica determinata
dal cristianesimo è condizione trascendentale per il dominio della natura in senso
moderno.
L’Europa nella misura in cui non rinnega l’archè originario che la costituisce, Cristo
come figura archetipa che la plasma ha in sé le risorse per dominare il proprio
potere. La libertà cristiana non è solo libertà dal mondo ma anche da se stessi, dalla
propria potenza. Secondo Guardini infatti l’Europa alla cui essenza appartiene la
sollecitudine di custodire con onestà e fedeltà l’elemento storico finito può indicare la
strada in cui tale essenza si accordi con il dominio. Non è compito dell’America il cui

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orientamento è ancora troppo legato alla fede nel progresso universale e sicuro; né compito
dell’Asia la cui storia anche se antichissima sembra separarsi da questo passato e
precipitarsi nelle nuove possibilità con rapidità; l’Africa è prematura: il suo incontro con la
scienza è confuso. Il compito non può che essere dell’Europa che ha avuto tempo per
perdere le illusioni: all’Europa autentica è estraneo l’ottimismo assoluto, la fede nel
progresso universale e necessario e i valori del passato sono vivi in essa così da
permetterle di capire cosa ci sia in gioco. Il compito essenziale affidato all’Europa,
secondo Guardini, è quello di accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica
e contemporaneamente di domare questa potenza. Il compito che compete all’Europa
richiede un tipo umano la cui forma essenzialmente dipende dalla figura di Cristo.
Il cristianesimo specie quello moderno è in grado di paragonarsi con la sfida del
tempo? Il pericolo della modernità è dato da una spiritualizzazione del cristianesimo
che lascia il mondo il balia di se stesso. Si sviluppa una religiosità puramente
religiosa: la religione diviene sempre più interiore, meno mondana, sempre meno capace
di venire a contatto con il contenuto concreto dell’essere. Una religiosità senza cose,
senza mondo, che contrappone alla presunta materialità una presunta spiritualità
sviluppando il rischio che la religione finisca con il diventare mondanamente vuota e
che l’atto religioso si compia ai margini della vita finché, alla fine, il rifiuto della
religione, l’ateismo venga sentito come una liberazione. Guardini è d’accordo con il
giudizio di Scheler: il limite del protestantesimo luterano è di aver diviso Dio e il mondo,
anima e corpo contribuendo a far nascere nel popolo tedesco l’ideale di una interiorità del
solo sentimento, sbagliata, che per mantenere una vita interiore dello spirito rifiuta
l’esterno, il pubblico, il politico, il sociale della morale cristiana. Una tale posizione
cristiana prepara uomini della rinuncia e non cristiani impegnati nella lotta della
trasfigurazione del mondo. Perdita politica anche della Chiesa come rappresentanza della
Persona di Cristo Guardini apprezzava il saggio di Carl Schimitt del 1923 in cui si
chiariva che il potere politico del cattolicesimo non si fonda su mezzi economici né
militari: la Chiesa è una persona giuridica ma non una s.p.a., rappresenta la civitas
humana, il rapporto storico con l’incarnazione e il sacrificio in croce di Cristo,
rappresenta Cristo stesso; il Dio che è fatto uomo nella realtà storica. L’eclisse della
dimensione rappresentativa della Chiesa coincide con la negazione della realtà
dell’incarnazione di Dio. Dio si è fatto realmente uomo visibile dunque nessun uomo
visibile può abbandonare a se stesso il mondo o troncherebbe il rapporto tra il mondo
e Dio. Le potenze non sono disposte a tollerare una rappresentazione reale di Cristo nel
mondo per questo il grande tradimento imputato alla Chiesa è di non concepire cristo
o il cristianesimo come affare privato e puramente interiore, facendone anzi una
istituzione formale e visibile.

Secondo Shmitt è lampante l’immagine in questo senso data da Dostoevskij nei Fratelli
Karamazov della LEGGENDA DEL GRANDE INQUISITORE: Il Grande Inquisitore
di Dost. Confessa di aver ceduto alle tentazioni del diavolo perché sa che l’uomo è per
natura malvagio e che solo il sacerdote cattolico può avere il coraggio di caricarsi della
dannazione implicita in tale forma di potere – qui Dost. Proietta sulla chiesa cattolica il
proprio potenziale ateismo. La leggenda narrata da Schmitt diviene la cifra della
tentazione cui il cristianesimo è sottoposto: una sua conclamata purezza che coincide
con la sua estraneazione dal mondo e dalla sfera del potere.

Guardini si chiede: di fronte a questo Cristo non ha forse ragione il Grande


Inquisitore?

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In questa figura di Cristo il fatto cristiano è sentito come un’esigenza di responsabilità
totale e insieme come qualcosa di assolutamente fuori del comune. Guardini, interpretando
la Leggenda, conclude nel rifiuto del cristianesimo teso unicamente verso ciò che è
alto e profondo, incapace di misurarsi con la realtà così come è e la vita deve
confrontarsi con quella sfera mediana dove si è continuamente sollecitata a decidersi per
l’una o l’altra. La sfera mediana come luogo di decisione dove un uomo si forma e si
misura con il reale. La chiesa è espressione non solo di due ambiti limite ma anche ed
essenzialmente delle possibilità medie dell’elemento cristiano. Il cristo del Grande
Inquisitore non ha un rapporto effettivo con il mondo, è un Cristo che esiste solo per
sé. Qual è la correzione che il Grande Inquisitore vuole introdurre? Far valere
l’uomo della realtà, affermando che l’esigenza cristiana deve partire da quello che
l’uomo è, non da ciò che dovrebbe essere. Il no che Guardini oppone al Cristo
Dostoevskijano è perché è la cifra dell’esisto spiritualistico cui conclude parte del
cristianesimo moderno nel suo processo di estraneazione dal mondo. L’ateismo moderno,
per Guardini, è il volto speculare di una interiorizzazione del cristiano che solca la
modernità: nei secoli moderni il fedele più che vivere La Chiesa, viveva nella Chiesa,
poiché la religione fu sentita come appartenente solo alla sfera della soggettività.

In ambito cattolico coloro che pervennero ad una elaborazione sistematica di una dialettica
della polarità vivente furono Guardini e Przywara (pshvara): quest’ultimo diceva che ciò
di cui abbiamo bisogno è una filosofia di un movimento fluttuante avanti e indietro fra i
poli, la filosofia di una tensione mai sciolta fra i due poli. Una polarità che è uno sguardo
profondo sull’essere della creaturalità, una creaturalità che è una domanda aperta, la cui
risposta è Dio come essere puro, al di sopra della polarità.

Muhler: La chiesa come coincidentia oppositorum, come luogo dove tutte le


opposizioni, nel dominio vero e sincero del cristianesimo, devono sussistere nell’unità; in
essa devono poter svolgere senza nessun impaccio tutta la loro vitalità. La chiesa come
coincidentia oppositorum diventa una realtà che si configura come possibile soluzione dei
contrasti che dominano la vita – il cattolicesimo è vivo perché comprende in sé opposti.
La chiesa è coincidetia oppositorum nella misura in cui è l’unità universale e originale
degli opposti che costituiscono la totalità della vita, anche in essa vivono poli opposti
ma sempre all’interno dell’unità della fede – ad esempio in essa si trovano unite tanto la
personalità individuale che la vita comunitaria) la Chiesa non si identifica con nessuna
delle parti opposte ma con l’unità vivente di esse. La Complexio oppositorum indica
una somma di parti aggiunte una all’altra senza alcuna relazione interiore, invece la
Chiesa è coincidentia perché è l’unità viva, profonda e originale dei poli opposti. La
chiesa per questo pur rimanendo salda nella fede è aperta alle differenti correnti del tempo
storico in cui si trova a vivere: segue le oscillazioni spirituali della realtà storico-sociale
in cui si trova. La Chiesa nel suo essere dentro le strutture e al contempo libera da esse, si
documenta come diretta manifestazione del Dio in e al-di-sopra del mondo.
L’atteggiamento cattolico non proibisce di porre l’accento in un senso o nell’altro, chiede
solo che il senso opposto non venga eliminato e non venga perduto il contatto con la
totalità.
Per Guardini il compito centrale del nostro tempo è di vedere di nuovo giustamente
la relazione tra Chiesa e personalità: la personalità non è un’opposizione contraddittoria
rispetto la Chiesa ma il suo vivente polo opposto. A partire dalla seconda metà degli anni
20 in Germania riprendevano vigore quelle correnti dualistiche proprie del cristianesimo
riformato che riprodurranno l’antico Antiromischer Affekt (l’affetto antiromani) nel

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dissidio tra spirito e istituzione della Chiesa lo sforzo di Guardini si situa in questo
orizzonte, teso a coniugare dialettica e realismo; una consapevole reazione allo spirito del
tempo e qualifica il punto preciso in cui il pensare guardiniano si innesta dentro la
tradizione cattolica.
Hegel: la dialettica spirito come forma e spirito come dissolutore di ogni forma si
manifesta nelle due figure gnostica ed escatologica. Guardini: Romanticità è nostalgia di
un rifugio sicuro ma romantico è anche il sentimento polarmente opposto, il desiderio di
vagare, di sperimentare tutto, per il quale ogni limitazione significa grettezza.
Il romantico racchiude in sé in modo peculiare la possibilità del caos e quella della
ristrettezza ed ognuno con cattiva coscienza perché la possibilità contraria è costantemente
in agguato. Adoratori della forma sono coloro che si trovano nel caos. Leggi 268-269

Il renouveau cattolico tedesco declina negli anni ‘20, la capacità di sintesi del pensiero
cattolico si rivela più fragile del previsto. Occorre un impianto più solido. Nel ‘22
Guardini raffigura la fisionomia cristiana in una atteggiamento di resistenza capace solo
nel recupere del “centro”, capace di spezzare idealmente il cerchio per cui il potere si
poneva come assoluto il nazionalsocialismo farà dell’impolitico Guardini una figura
politica, un oppositore – In Welt und Person afferma che il mondo diventa sempre più
completo, dispiega come propri valori considerati prima possesso privato dell’esistenza
cristiane e respinge indietro ciò che è cristiano. Il non credente deve uscire dalle nebbie
della laicizzazione: deve attuare onestamente la sua vita senza Cristo e senza il Dio da
Cristo rivelato. Il momento essenziale della dimensione cristiana è l’epifania, il momento
in cui il divino appare in forma sensibile. Il cristiano diviene rappresentazione vivente di
Cristo. Rileggi 280-282

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