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Che cos'è l'estetica quotidiana? Che funzioni ha?

In che modo la musica e il suono contribuiscono all'estetizzazione nel mondo?

Una controparte interessante dell’estetica quotidiana di cui parla Yuriko Saito è un fenomeno che va
anche sotto il nome di estetizzazione del reale e che presenta un aspetto economico dominante, legato
allo sviluppo di una società ipercapitalistica. Gernot Böhme nel suo testo dedicato al concetto di
“capitalismo estetico” spiega come storicamente l’economia fosse il regno nato per la soddisfazione del
bisogno. Una prima fase di espansione dell’economia fu quindi diretta all’espansione dei bisogni. Nelle
prime fasi del capitalismo industriale, gli imprenditori producevano primariamente per le classi agiate, il
cui reddito non dipendeva da un salario. Progressivamente si capì che aumentando i salari si andava ad
aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori, il che a sua volta andava ad aumentare il profitto e
l’ulteriore richiesta di beni. In questo modo il consumo nutre la crescita economica per mezzo del
profitto. Si giunge a questo punto al capitalismo avanzato, in cui tutte le aree legate alla sfera delle
necessità e della conservazione della vita sono ormai state riempite. Tra queste Böhme menziona ad
esempio “quelle attività della sfera familiare destinate alla riproduzione della vita - cucinare, crescere i
figli, tempo libero. […] Di queste aree l’economia si occupa mediante l’industria dell’intrattenimento, il
fast food [e io aggiungerei il food delivery], il turismo e i servizi per l’infanzia” (p. 14). A questo punto, se
si vuole continuare a crescere, bisogna volgere il consumo non più al solo mantenimento della vita, ma
alla sua intensificazione. Si inaugura così una nuova fase dell’espansione del mercato che riguarda la
trasformazione dei bisogni in desideri: “e ciò perché i desideri non conoscono la possibilità di un
soddisfacimento permanente, poiché il loro soddisfacimento non fa che intensificarli” (p. 11). Gli esseri
umani così, secondo il filosofo tedesco, coltivando e sviluppando la sfera del desiderio assolvono alle
necessità del sistema economico capitalistico, che richiede una espansione costante ed infinita. “Una
volta che l’economia si dedica ai desideri più che ai bisogni essa non svolge più la funzione di preservare
la vita e di permetterne il proseguimento, quanto piuttosto la funzione di intensificarla” (p. 12). Le sfere
economicamente rilevanti dell’intensificazione della vita identificate da Böhme e descritte come
capitalismo estetico sono: il desiderio di “attrezzare” la propria vita, il desiderio di essere visti e uditi, il
desiderio di notorietà, il desiderio di mobilità. Il nuovo sistema economico si regge sul principio
dell’insoddisfazione nella prosperità: tutto ciò che ci circonda viene visto come passibile di aumento o
miglioramento (le nostre attrezzature casalinghe o informatiche diventano subito obsolete, le nostre
vacanze non ci portano mai abbastanza lontano ecc.) e poiché l’obiettivo è l’intensificazione della vita
tutto ciò che viene percepito come antitetico a questo desiderio (disabilità, vecchiaia, ecc.) diviene un
problema o un disvalore. Böhme chiama questo fenomeno ‘capitalismo estetico’ perché si basa su
un’economia che fa leva su un processo chiamato estetizzazione del reale, legato all’idea di lavoro
estetico, definito come un «insieme di attività il cui fine è di attribuire a cose, persone, ambienti un look,
dotandole di una particolare atmosfera». Il nuovo valore che viene attribuito si chiama valore di messa-
in-scena (show value). Se ripensiamo al discorso di Saito sull’estetica quotidiana, possiamo vedere una
decisa affinità col pensiero di Böhme. Possiamo così dire che l’elemento che Böhme definisce lavoro
estetico è qualcosa che - attribuendo valore estetico - ammanta la vita e gli oggetti quotidiani di una
veste che diventa percepibile nella quotidianità

Differenza tra musica partecipativa e presentativa:

Turino nel suo testo si sofferma in particolar modo sulla distinzione tra due modi di fare musica, chiama il
primo participatory music e il secondo presentational music. La musica partecipativa presenta le
seguenti caratteristiche:
1. non prevede una distinzione tra esecutore e pubblico, ma solo tra partecipanti e potenziali
partecipanti.

2. l’attenzione è focalizzata sull’interazione tra partecipanti, sul fare piuttosto che sul prodotto finale. Ciò
non vuol dire che non vi sia attenzione per la qualità del suono prodotto, ma che la qualità viene
giudicata anche sulla base della soddisfazione dei partecipanti, del loro sentirsi bene assieme, piuttosto
che su valori esterni.

3. la forte concentrazione richiesta, il livello di immersione, possono portare al senso di flow.

L’abitudine occidentale a considerare la musica come un’attività professionale e altamente specializzata e


qualificata ha condotto, secondo lo studioso americano, a una serie di modifiche nel modo di intendere il
far musica nella sua dimensione partecipativa. Egli sottolinea come fare musica e ballare siano in alcune
società abilità sociali basilari, come per noi parlare, nuotare o andare in bicicletta. La progressiva
professionalizzazione del musicista in occidente ha condotto invece questa abilità a recedere tra le
competenze che la società in cui viviamo si aspetta che acquisiamo. Turino intende anche sfatare l’idea
comune che “partecipazione” implichi un livellamento verso il basso. È diffusa e radicata l’idea che la
musica partecipativa debba essere più semplice, per permettere a ciascuno di potervi prendere parte.
Questo può essere vero in culture, come la nostra, dove vi è una forte frattura tra musica presentativa e
partecipativa, ma in luoghi dove la dimensione partecipativa è la dominante, ciò non è più vero.
Attraverso una serie di casi studio, in particolare in relazione alla musica degli Shona in Zimbabwe, Turino
illustra come società in cui la musica è concepita primariamente come evento partecipativo si possano
creare ruoli adatti ad ogni livello di competenza e come questi possano interagire armonicamente. In
particolare Turino evidenzia come musica partecipativa e presentativa si differenzino nei valori scelti:
nella musica partecipativa il livello di partecipazione è un valore e fa la differenza tra una performance di
successo o meno. Anche se vi sono musicisti più abili di altri, essi saranno portati a diminuire il loro
desiderio di sperimentazione o affermazione personale in favore della partecipazione più vasta. Ciò che
sottolinea Turino è che è importante capire che ci sono gruppi sociali nel mondo per i quali l’aspetto
partecipativo nella musica, nello sport, nelle feste ecc. non è un sottoprodotto di un evento
professionistico più «vero» (l’atletismo, il virtuosismo artistico ecc.), ma un modo per garantire un livello
diffuso di abilità e pratiche che rendono la vita più ricca: «paragonata agli altri ambiti musicali, la musica
partecipativa è la più democratica, meno competitiva e meno gerarchica. Proprio per ciò essa non si
adatta bene ai valori culturali delle società capitalistiche, dove competizione e gerarchia sono dominanti
e dove il profitto è di norma un obiettivo primario. Tuttavia attività partecipative esistono sottotraccia
anche nelle società capitalistiche».

Come si può intendere il concetto di musica?

La musica è un concetto. In quanto tale il suo significato è variabile e, cosa ancora più importante, la sua
esistenza non è da dare per scontata. Un’altra caratteristica fondamentale del concetto di musica è che si
tratta di un concetto classificatore: include alcune cose e ne esclude altre. Il nostro termine italiano
‘musica’ e quelli delle altre lingue europee (music, musique, música, Musik, muzyka) derivano dal
termine greco mousiké, che però NON significava ‘musica’ nel senso odierno. Nella cultura greca infatti
mousiké rimandava all’insieme degli elementi caratterizzanti le Nove muse, ma tra le nove muse non ne
troverete nessuna che incarni esattamente il concetto di musica che abbiamo noi oggi. Se si esaminano
le principali definizioni di ‘musica’ presenti nei dizionari delle lingue europee si noteranno le seguenti
caratteristiche comuni:
- la musica è intesa come composizione che segue dei principi razionali

- la musica è un’arte e una scienza

- la musica ha una funzione estetica e comunicativa

Tutte queste caratteristiche sono il frutto di un lunghissimo processo storico e culturale. Nella cultura
occidentale tradizionalmente il concetto di musica è un concetto-ombrello che racchiude in sé molti
generi (classica, pop, folk, jazz ecc.). Tuttavia si tratta spesso di un concetto che esprime una gerarchia
interna, un catalogatore i cui contenuti non si trovano tutti sullo stesso piano. Nella nostra cultura il
concetto di musica è di norma inoltre connotato positivamente. Ad esempio se dico che una voce “è
musicale” è sempre sottointeso che si tratti di una voce “bella”. E gli animali di cui diciamo che “cantano”
sono animali che godono di una classificazione di favore nella nostra gerarchia animale (aspetto che sarà
importante quando parleremo del legame tra estetica quotidiana ed ecologia, ad esempio). Per arrivare
a svolgere riflessioni di questo genere sulla musica e per riflettere su di essa nella prospettiva
dell’estetica quotidiana, bisogna prima soffermarsi sulla distinzione tra quotidianità ed eccezionalità e
quindi riflettere sui concetti di ovvietà e normalità.

Che cos'è la World Music?

World Music. Il termine presenta una doppia anima: da un lato infatti, come ampiamente testimoniato
dal testo di Philip Bohlman in programma d’esame, musiche “dal mondo” hanno sempre circolato in
Europa, anche ben prima dello sviluppo di tecniche di registrazione. Questa circolazione si è poi
intensificata nel corso del secolo XIX, con lo sviluppo del colonialismo. Compositori del repertorio
classico hanno spesso guardato “altrove” per trarre ispirazione per le proprie musiche, ma non vi è
dubbio che nell’Ottocento questa attenzione per i “suoni esotici” abbia raggiunto un picco (basti pensare
alle composizioni di Debussy, Saint-Saëns, Félicien David, Meyerbeer (con L’Africaine), Verdi (con Aida) o
Puccini (con Turandot). Va da sé che il modo in cui l’alterità veniva rappresentata in queste composizioni
si rifaceva più ad una modalità occidentale di percepire l’alterità, che non ad uno studio reale sul campo
di questa alterità. In questo modo si è data forma ad una modalità di rappresentazione dell’altro che
Edward Said ha chiamato “orientalismo”: un discorso elaborato dall’occidente per definire sé stesso e le
proprie pratiche rispetto ad un altro da sé, e spesso utilizzato per controllare, manipolare e a volte
assimilare l’alterità. Per ciò che concerne il secolo XX, l’interesse per la musica extra-europea ha coinciso
con lo sviluppo mondiale dell’industria discografica e anche col crescente fenomeno dell’immigrazione
da Africa e Sud-America verso l’Europa e l’America del nord. Etichette occidentali cominciano a produrre
incisioni di musiche di paesi extra-Europei a metà secolo. Nel momento in cui musiche africane e
asiatiche cominciano a farsi conoscere in Occidente, musicisti americani ed europei cercano
collaborazioni o fonti di ispirazione dalle nuove incisioni. Nel 1982 nasce WOMAD (World of Music and
Dance), festival internazionale di World Music e collaborazioni tra Youssu N’Dour, Nusrat Fateh Ali Khan,
Ladysmith Black Mambazo, Buena Vista Social Club da un lato e Peter Gabriel, Paul Simon, Ry Cooder
dall’altro cominciano a far diventare la World Music un fenomeno di massa. Come etichetta, il termine
World Music nasce nel 1987 nel momento in cui i responsabili di una serie di case discografiche si
ritrovano a Londra per decidere che nome dare ad una serie, sempre più frequente, di incisioni musicali
dal sapore etnico, non riconducibile all’ambito etnografico. Il problema era dato dal fatto che, in
mancanza di un nome, i negozianti non sapevano fisicamente in quale categoria collocare questi album
e, di conseguenza, gli acquirenti non sapevano dove andarli a cercare. Creare un nuovo termine era
interamente funzionale ad una operazione di marketing mirata all’espansione del mercato discografico.
Tuttavia creare un’etichetta e creare un genere musicale sono due cose differenti, e di conseguenza è
difficile definire la World Music come uno specifico genere musicale. La creazione della categoria
commerciale si sposa molto bene con una caratteristica della nostra epoca che vede l’esplosione del
marketing di prodotti variamente “etnici”, un marketing identitario. Questo si nutre di una ambivalenza
di fondo della vita moderna: un senso di esilio da una dimensione “autentica” della vita e dell’essere che
cerca ricompensa nell’incontro con una alterità “autentica”, ma confezionata per il pronto consumo. Se
pensiamo al discorso di Böhme sul capitalismo estetico, potremmo dire che ci troviamo invece qui di
fronte ad un capitalismo etnico, che si basa però sulla stessa logica di intensificazione della vita che
avevamo incontrato in precedenza. Consumatori, artisti, membri dell’industria culturale creano e
consumano prodotti che associano a valori e modi di vivere che molti percepiscono come ormai perduti
nella modernità capitalista: il capitalismo etnico strizza così l’occhio ad un sentimento nostalgico
dell’Occidente verso un passato “più naturale” ormai irrecuperabile, e ne promettono un fugace assaggio
grazie al prodotto etnico. I fruitori di World Music creano uno spazio in cui si possono immergere e da cui
possono uscire quando vogliono, uno spazio da cui guardare (ascoltare) l’altro senza correre rischi: si
tratta di un ascolto turistico.

Differenza tra estetica generale ed estetica quotidiana?

Cosa si intende per capitalismo estetico?

Gernot Böhme nel suo testo dedicato al concetto di “capitalismo estetico” spiega come storicamente
l’economia fosse il regno nato per la soddisfazione del bisogno. Una prima fase di espansione
dell’economia fu quindi diretta all’espansione dei bisogni. Nelle prime fasi del capitalismo industriale, gli
imprenditori producevano primariamente per le classi agiate, il cui reddito non dipendeva da un salario.
Progressivamente si capì che aumentando i salari si andava ad aumentare il potere d’acquisto dei
lavoratori, il che a sua volta andava ad aumentare il profitto e l’ulteriore richiesta di beni. In questo modo
il consumo nutre la crescita economica per mezzo del profitto. Si giunge a questo punto al capitalismo
avanzato, in cui tutte le aree legate alla sfera delle necessità e della conservazione della vita sono ormai
state riempite. Tra queste Böhme menziona ad esempio “quelle attività della sfera familiare destinate
alla riproduzione della vita - cucinare, crescere i figli, tempo libero. […] Di queste aree l’economia si
occupa mediante l’industria dell’intrattenimento, il fast food [e io aggiungerei il food delivery], il turismo
e i servizi per l’infanzia” (p. 14). A questo punto, se si vuole continuare a crescere, bisogna volgere il
consumo non più al solo mantenimento della vita, ma alla sua intensificazione. Si inaugura così una
nuova fase dell’espansione del mercato che riguarda la trasformazione dei bisogni in desideri: “e ciò
perché i desideri non conoscono la possibilità di un soddisfacimento permanente, poiché il loro
soddisfacimento non fa che intensificarli” (p. 11). Gli esseri umani così, secondo il filosofo tedesco,
coltivando e sviluppando la sfera del desiderio assolvono alle necessità del sistema economico
capitalistico, che richiede una espansione costante ed infinita. “Una volta che l’economia si dedica ai
desideri più che ai bisogni essa non svolge più la funzione di preservare la vita e di permetterne il
proseguimento, quanto piuttosto la funzione di intensificarla” (p. 12). Le sfere economicamente rilevanti
dell’intensificazione della vita identificate da Böhme e descritte come capitalismo estetico sono:

il desiderio di “attrezzare” la propria vita

il desiderio di essere visti e uditi

il desiderio di notorietà

il desiderio di mobilità
Cosa si intende per Flow?

Nel passato molte definizioni del termine musica hanno sottolineato il fatto che la musica rechi piacere,
ma Turino non ritiene questa una motivazione sufficiente al suo sviluppo ubiquitario. Egli sostiene in
primo luogo che musica e danza assolvano ad una importante funzione identitaria: l’identità collettiva
che forma e sostiene gruppi sociali si articola in pratiche espressive culturali pubbliche, tra cui le arti. In
secondo luogo egli ritiene che la musica sia in grado di connettere tra loro diverse sfere dell’essere
umano e per parlare di questo aspetto si rifà in particolar modo al concetto di flow sviluppato dallo
psicologo Mihaly Csikszentmihalyi. Il flow è uno stato immersivo di intensa concentrazione, quando si è
così intenti in ciò che si sta facendo da far sì che tutto il resto scompaia e che ci si ritrovi interamente
nell’attimo presente. Si tratta di una esperienza che porta a sentirsi fuori dal tempo e che ricorda certi
tratti tipici dell’esperienza estetica nel suo essere percepita come momento straordinario, pur
collocandosi facilmente all’interno delle nostre vite ordinarie e per questo motivo diventa un concetto
importante all’interno del nostro corso. Perché il flow si possa verificare, sono necessarie alcune
condizioni:

1. Vi deve essere un obiettivo chiaro

2. La concentrazione è massima

3. La sfida delle essere commisurata alle capacità individuali (se la sfida è eccessiva si prova frustrazione,
se è tutto troppo semplice si prova noia)

4. La sfida deve essere passibile di diverse gradazioni di difficoltà

5. Vi è perdita di autoconsapevolezza

6. Si ha la percezione di avere tutto sotto controllo

7. Vi è un intenso piacere e una sensazione energizzante finale

La condizione di flow fa coincidere azione e consapevolezza: la mente sprofonda nell’attività come se


l’attore e l’azione venissero a coincidere. Non stiamo osservando ciò che facciamo, ma diventiamo ciò
che facciamo. Poiché lo stato cosciente non può processare un numero illimitato di informazioni al
contempo, quando tutta l’attenzione è richiamata per raggiungere un determinato obiettivo, non vi è più
spazio per altre informazioni. Quando siamo completamente assorbiti in uno sforzo di concentrazione di
questo tipo proviamo un intenso piacere, ci possiamo – per così dire – «liberare di noi stessi» per
qualche tempo, trascendere i limiti del nostro essere e al contempo sentiamo di avere la situazione sotto
controllo. Il motivo per cui Turino si sofferma sul concetto di flow è che si tratta di uno stato molto adatto
a descrivere cosa succeda ai musicisti durante una performance.

Cosa dice il decalogo di Nussbaum?

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