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CONSERVATORIO G.

VERDI DI MILANO
DIPARTIMENTO DEGLI STRUMENTI A PERCUSSIONE E JAZZ
CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN
PIANOFORTE JAZZ

Diventare Lee Morgan, l’unico modo per


sopravvivere a Philadelphia

Tesi di Storia di Relatore


Sebastiano Bellomia Prof. Riccardo Luppi

_____________________________________
A. A. 2013/2014

1
Indice

Introduzione ……………………………………………………………….... p.3

Philadelphia, un posto migliore per un nero americano ............................. p.4

La musica, uno scontro inevitabile ……………………………………..….. p.6

Gli studi: fare jazz non è più un semplice capriccio ………………...…….. p.8

Alcool e droga: un male necessario ……………………………….………. p. 11

Il jazz: l’arte che si impara nei club ……………………………………….. p.12

Le gig, le session, le opportunità che offre New York …………………….. p.14

L’influenza e l’evoluzione del pensiero musicale …………………..……... p.18

Art Blakey: il peggior maestro che tutti volevano ………………………... p.22

La droga che portava via tutti …………………………………………...… p.25

The sidewinder: il ritorno di Morgan ……………………………..………. p.28

The sidewinder visto da vicino ………………………………………..……. p.30

Tutto è in continua evoluzione, il jazz non è da meno ………………….… p.32

La ripresa di Morgan ……………………………………………………….. p.34

Helen Moore: la donna a cui dovette tanto, persino la sua vita ………….. p.37

Approfondimento tecnico ………………………………………………...… p.40

Conclusioni ……………………………………………………………….…. p.45

Bibliografia ……………………………………………………………….…. p.47

2
Introduzione

Considerato da molti musicisti e compositori di jazz l’erede di Clifford Brown,

Lee Morgan è senza dubbio uno dei protagonisti della scena post-be bop.

Musicista prodigio, sviluppa da giovanissimo abilità tecniche che gli permettono

di esprimere in maniera virtuosistica lo stile “hot” ereditato dai suoi eroi musicali.

Morgan all’età di 18 anni entra a far parte dell’orchestra di Dizzy Gillespie, per

poi passare ai Jazz Messengers di Art Blakey. Anche negli studi della Blue Note

Records hanno un’ottima considerazione di lui, collabora, infatti, con la nota

etichetta discografica prima come sideman e dopo qualche anno come leader. Il

trombettista nato a Philadelphia fa della sua vita un continuo “work in progress”

fino alla fatidica notte di febbraio in cui si è spento per mano della compagna.

Ad oltre 40 anni dalla sua scomparsa il suono della sua tromba resta

inconfondibile: descrittivo, a volte trascinato ma sempre preciso. Non fa mancare

a chi lo ascolta la nostalgia delle note blues.

A differenza di molti altri suonatori di tromba, Lee Morgan, si dimostra anche un

ottimo compositore lasciandoci in eredità dischi caratterizzati da vivacità come

Take Twelve, The Sidewinder, The Gigolo e Infinity.

Delineando un quadro storico dettagliato, analizzando la title track dell’album The

Sidewinder e osservando l’assolo di tromba del brano che porta la firma di Benny

Golson I remember Clifford e della celeberrima Moanin’ si arriverà a

comprendere le dinamiche che portano un ragazzino cresciuto a Tioga, con

pochissime possibilità, a diventare uno dei maestri dell’hard bop, un modello per

musicisti del calibro di Freddie Hubbard, Charles Tolliver e Wynton Marsalis.

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Philadelphia, un posto migliore per un nero americano

Lee Morgan nasce il 10 luglio del 1938 a Philadelphia, la più importante città

della Pennsylvania dove, fin dai primi anni del XX secolo, avviene il più grande

afflusso di coloni neri e ciò si protrae fino agli anni ’70.

Negli anni’30 Philadelphia è la città più industrializzata del paese, conta oltre

2000 fabbriche specializzate nel settore tessile e metallurgico. Per molti neri

Philadelphia rappresenta un’ancora di salvezza, da loro lavoro e la possibilità di

crearsi una famiglia. In mezzo a questo flusso migratorio si trovarono anche Otto

e Nettie Morgan, genitori di Lee, i loro sogni non sono di certo diversi da quelli

dagli altri.

Lee è il più piccolo dei quattro figli in casa Morgan. Poco dopo la sua nascita la

famiglia è costretta a lasciare Tioga, il lavoro scarseggia e sempre più esercizi

commerciali sono costretti a chiudere. I Morgan si trasferiscono quindi nella

Madison Street, e sono una delle prime famiglie nere a stabilirsi in quella zona.

La chiesa occupa un ruolo centrale all’interno del nucleo famigliare. Ernestine

Morgan, sorella maggiore di Lee, è estremamente attiva all’interno della Second

Baptist, tanto da preoccuparsi che anche i fratelli la frequentino. Fin da

adolescente Ernestine ricopre, all’interno della famiglia, un ruolo autorevole al

pari di Nettie. Anche Otto Morgan è attivo sul fronte ecclesiastico tanto da

diventare presidente del Consiglio battista Pentacostale dei diaconi, significativa

posizione di prestigio.

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Per i neri americani sono anni importanti e Otto partecipa in modo attivo alla vita

politica e sociale del suo paese, trasmettendo questo atteggiamento a Lee.

Vengono istituite moltissime associazioni per i diritti dei neri, la più importante a

Philadelphia fu la NAACP, l’associazione nazionale per la promozione delle

persone di colore. Che, fino al 1944, si batte contro la segregazione nelle strutture

pubbliche per poi indire, uno sciopero contro la Philadelphia Transit Co.,

ottenendo l’assunzione di molti conducenti di tram, tra cui il batterista Philly Joe

Jones.

1926, Columbia Avenue. Qualche anno più tardi vi si concentrerà gran parte dei
club di Philadelphia.

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La musica, uno scontro inevitabile.

Il Legame tra Lee e i suoi fratelli è molto solido. Ernestine, Bubby e Jimmy lo

coinvolgono in tutte le attività che svolgono. Lee, non si perde nemmeno una

partita di baseball di Jimmy, anche se atleticamente non ha molte abilità, anzi,

viene spesso preso in giro per il suo buffo modo di correre. Ma fortunatamente lo

sport non è l’unico interesse dei Morgan. La maggior parte del tempo libero infatti

è dedicato alla musica. Bubby non suona nessuno strumento ma ascolta

moltissima musica. Ernestine fin da bambina canta, suona il piano e l’organo

durante le funzioni religiose. Assieme a Bubby ascolta i dischi di bebop e quando

va a qualche concerto nei teatri per neri, è costretta a portare con se il fratellino,

già appassionato a quella musica. Sono proprio Bubby ed Ernestine, una volta

raggiunta un’autonomia economica, a regalare a Lee la sua prima tromba. Lee

Morgan si è già avvicinato allo studio del vibrafono, ma è uno strumento poco

maneggevole e inoltre il padre di Lee, operaio, non può di sicuro permetterselo.

Comincia cosi, grazie alla sorella, a frequentare i corsi per bambini disabili alla

Widenor School. Le sue prime improvvisazioni sono parecchio influenzate dai

metodi classici già adoperati nei conservatori francesi con cui comincia lo studio

della tromba. Rimane fin da subito rapito dallo studio, dal conoscere quello

strumento. Di ritorno da scuola si chiude in camera e studia almeno 4 ore.

Comincia ad ascoltare i dischi di jazz e a trascrive gli assoli con il suo amico Don

Wilson. Non è ancora in grado d’improvvisare, compone degli assoli, ma una

volta conclusa la composizione non è ancora in grado di continuare a comporre

altra musica istantaneamente, del resto suona la tromba da appena un paio d’anni.

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Quando Otto e Nettie si trasferiscono a Tioga, come la maggior parte dei neri, non

possiedono nulla, nulla da assicurare ai propri figli. Al contrario di quanto si possa

pensare i Morgan non ostacolano in nessuna maniera la passione per la musica del

figlio, gli studi e la sua ossessione per il jazz. Il musicista, nelle comunità nere,

rappresenta una via d’uscita dal ghetto, dalla delinquenza, rappresenta una delle

poche maniere per sopravvivere, e Lee Morgan adolescente, ha già convinto tutti

del suo talento. Morgan quindi cresce in un ambiente consono alla strada che a

breve avrebbe scelto.

I musicisti neri che giungono a Philadelphia, possono contare su un pasto offerto

da alcune famiglie tra cui la famiglia di Lee Morgan. Essere un musicista a

Philadelphia può significare anche sentirsi “esonerato” da rapine da parte di gang

locali, dato che il musicista non rappresenta alcuna minaccia, tutt’altro, è

considerato come una persona da proteggere.

Lee Morgan, ancora ragazzino, non pensa a tutte queste cose, vuole solo passare

le ore chiuso nella sua camera a suonare la tromba, e affronta tutto questo in

maniera quasi religiosa.

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Gli studi: fare jazz non è più un semplice capriccio.

Nel 1953, sotto il consiglio dell’amico sassofonista Kenny Rodgers, Lee Morgan

si iscrive all’istituto tecnico-professionale Mastbaum, che vanta il miglior corso di

musica della città. Nel primo anno alla Mastbaum, nonostante Morgan suona la

tromba da appena un paio d’anni, entra subito a far parte dell’orchestra

concertistica della scuola, della banda e della Philadelphia All-Senior Hight

School. I repertori eseguiti nelle classi di musica sono prettamente d’impronta

classica e bandistica. Al trombettista non va a genio quello stile, non tollera

proprio quei repertori. Arthur

Harper, compagno di scuola di

Morgan, racconta che riempiva le

marce di lick, improvvisava nello

stile che preferiva rischiando, nella

maggior parte dei casi, di farsi

allontanare dall’aula. Dopo qualche

mese infatti, lascia l’orchestra

cittadina. Attraverso la scuola, ha

l’opportunità di

Lee Morgan, nel soggiorno dei genitori, in una foto


recuperata da un album di famiglia

perfezionare la tecnica con Tony Marchione, un trombettista diplomato

recentemente alla Mastbaum. Dopo qualche tempo Morgan sviluppa abilità

tecniche tali da poter pensare ad una carriera da concertista classico, ma sceglie di

sviluppare tutto questo materiale nella musica che lui ama: il jazz.

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Prima del 1954 Lee Morgan non assiste ad una vera e propria lezione di jazz ma,

proprio in quell’anno, incontra Clifford Brown a casa sua, tra la Sansom e la

Farragut, due anni prima di morire nel terribile incidente in automobile. Brown a

ventiquattro anni ha già sviluppato un linguaggio inconfondibile e a Philadelphia

è considerato uno dei migliori, tanto da poter collaborare con musicisti del calibro

di Max Roach, Sonny Rollins, Richie Powell (perse la vita nell’incidente assieme

a lui e la moglie), Sarah Vaughan. Milita, inoltre, nell’orchestra di Tadd Dameron

e in quella di Lionel Hampton. Gli incontri di Lee e Clifford non sono vere lezioni

di musica ma, per lo più, si tratta di chiacchierate tra un giovane trombettista e

l’eroe dei suoi dischi preferiti. Morgan cresce grazie ad un intenso lavoro di

ascolto e confronto: cerca di capire cosa fanno gli altri musicisti, cerca d’imitare il

loro suono, le strutture e i loro lick. Il jazz, sottoforma di accademia non esiste,

l’unico modo per codificare questa musica è impossessarsi del materiale che

offrono i vari Parker, Dizzy, Bud e Miles e, in qualche modo farlo proprio

strumento di conoscenza. I nomi noti, come succede anche oggi, sono anche i più

ascoltati e Morgan ha la fortuna di avere come vero e proprio maestro una di

queste “star”: Clifford Brown. Passeggiando per le strade di Philadelphia, non è

raro incontrare una di queste celebrità come: John Coltrane, Red Garland, Philly

Joe Jones, Miles Davis, Parker e Gillespie.

Tutti sono consapevoli dell’importanza che ha ciò che stanno facendo, hanno

creato un “mestiere” che ha un valore non solo nell’ambiente musicale ma,

soprattutto, da un punto di vista socio-culturale. La comunità mostra entusiasmo e

profondo affetto nei loro confronti che siano sul palco o fuori dai saloon. Questi

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artisti si creano una posizione di rispetto non solo agli occhi della “gente” come

loro, ma la loro musica li introduce al mondo dei bianchi dandogli privilegi e

riconoscimenti. Questa nuova musica non è efficace perché “scimmiotta” generi

già codificati dai bianchi ma, proprio perché nuova e mai sperimentata.

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Alcool e droga: un male necessario

Come affermato nei capitoli precedenti, la figura dell’eroe, del modello da imitare

è molto sentita nell’ambiente jazz. Quelle che sono figure paterne, i maestri,

spesso coincidono con terribili esempi da seguire. Lo stesso Benny Golson, da

quando Lee Morgan entra a far parte della formazione di Art Blakey, vuole essere

per lui una figura paterna, dandogli consigli su come sopravvivere facendo

musica. Di fatto, però,

resta un pessimo esempio.

Tutti sanno che abusa

senza misura di alcool e

droga. Benny Golson non

è però il solo a condurre

una vita di sregolatezze,

anzi, il più noto Charlie

Parker è probabilmente

colui che crea e incarna lo In quest’immagine vengono immortalati due pionieri del bebop:
Charlie Parker e Dizzy Gillespie.
stereotipo del musicista

jazz: abusa di droghe, alcool e, come in voga negli anni ’50, misura l’abilità del

bopper col consumo di eroina. Morgan, fin da giovane, non percorre questa strada

ma sceglie di dedicarsi completamente al suo amore per il jazz.

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Il jazz: l’arte che s’impara nei club.

Come già esposto, Lee Morgan, assieme a Don Wilson, Sam Reed, Kenny

Rodgers e tutta la giovane generazione di jazzisti di Philadelphia, capisce che la

lingua del jazz la puoi metabolizzare sole se prima impari a comprenderla

ascoltandola nei dischi, ai concerti nei club e nei teatri, poi parlandola, provando a

imitare quello che fanno i capiscuola, impadronendosi dei lick, o, come spesso

accade, imparando a memoria interi assoli dei leoni della tromba.

Vincenzo Caporaletti nel 2000 pubblica un importante trattato, “La definizione

dello swing. I fondamenti estetici del jazz e delle musiche audio tattili” in cui

propone per la prima volta il concetto di Principio Audiotattile. Il noto

musicologo ha individuato nel PAT un “medium che dà luogo a una modulazione

fisico-gestuale di energie sonore, agendo in modo determinante ai fini della

strutturazione del testo musicale”. Sembra quindi possibile affermare che il gesto

prevale sul testo. Quest’ultimo viene utilizzato come fonte di trasformazione e,

nella performance, assume sembianze sempre diverse in funzione delle energie

messe in moto dal PAT.

Lee Morgan pur non avendo mai elaborato questo pensiero, mette in atto questo

meccanismo fin da ragazzo, servendosi di un giradischi e di un foglio di carta da

musica. La notazione musicale nel jazz, di fatto, è sempre stata complementare al

supporto audio, all’ascolto. Senza quest’ultimo, una partitura di jazz non ha alcun

valore.

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Morgan non più acerbo, ha tutti gli strumenti per imparare, per crescere e formare

il suo stile. Agli esami universitari, che sostengono i suoi coetanei, preferisce le

esibizioni, al Crystal Ball, all’820 Club, allo Spyder Kelly, allo Watts Zanzibar e

in molte altre sale da concerto a North Philadelphia. Ai giovani musicisti di

Philadelphia non importava che reputazione avesse Bird piuttosto che Bud fuori

dal club, comunque sul palco erano decisi batterli.

E’ al negozio di strumenti Music City che Sonny Stitt si cimenta in una di queste

“battaglie” facendo perdere la faccia a Lee Morgan. Durante una jam session gli

stacca Cherokee in una chiave parecchio difficile a un tempo velocissimo. Dopo

questo episodio Lee Morgan scompare per diverso tempo. Don Wilson racconta

“…nessuno sapeva dove fosse, non si vide in nessuna jam session, nessuna. Ma

quando ricomparve sapeva suonare Cherokee in ogni chiave.”

Questo scatto immortala


il trombettista in un club
durante un assolo con il
gruppo col quale si fece
le ossa, i Jazz
Messengers di Art
Blakey.

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Le gig, le session, le opportunità che offre New York

A Philadelphia, nel ’56 Lee Morgan è già conosciutissimo negli ambienti

frequentati dai musicisti professionisti. Gli ingaggi non mancano, ha 2 o 3

spettacoli a settimana che gli fruttano dai venticinque ai trenta dollari. Rispetto ai

molti colleghi costretti ad un lavoro part-time per sopravvivere, ha molto tempo

libero per esercitarsi. Nel luglio dello stesso anno conclude gli studi alla

Mastbaum e, subito dopo la cerimonia di diploma, riceve il primo lavoro a lungo

termine. L’ingaggio gli viene offerto da Art Blakey, un batterista già famoso per

l’esperienza nell’orchestra di Fletcher Anderson e l’importante avventura con

Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Fats Navarro, Sarah Vaughan nell’orchestra bop

di Billy Eckstine, una star internazionale. Lo spettacolo ha luogo in un club a

Philadelphia e dura due

settimane. Art Blakey conosce

già Lee Morgan e conclusasi

l’esperienza con i Jazz

Messengers invita il giovane

trombettista ad unirsi al

gruppo in maniera stabile.

Morgan non si sente pronto a

lasciare la città e decide di

rifiutare l’offerta, del resto le


Lee Morgan, completamente assorto in un assolo.
opportunità ad un giovane La tromba con la campana rivolta verso l’alto non passa di
certo inosservata.
Gli venne fornita proprio da Dizzy Gillespie nel periodo in cui
talento come lui, non possono militò nella sua orchestra.

mancare.

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Quell’estate infatti Lee Morgan lavora moltissimo alternandosi nei vari club e

resort di Philadelphia con gruppi molto conosciuti tra cui il quintetto di Miles

Davis.

Ma l’occasione di abbandonare Philadelphia si ripresenta poco tempo più tardi.

Nell’ottobre del ’56 Lee Morgan viene invitato a New York da Gillespie, a

partecipare ad un’audizione per entrare a far parte della sua big band. Il giovane

decide di partire, è quello che ora vuole davvero. Un paio di giorni dopo

l’audizione per Lee Morgan ha inizio una nuova avventura, in una città in cui

l’industria discografica sta riprendendo piede dopo un lungo periodo di buio

causato dalla seconda guerra mondiale. Dopo pochi giorni dal suo arrivo a New

York, Morgan si ritrova pieno di proposte di collaborazione per delle session in

studio di registrazione. Questo anche grazie a Benny Golson, sassofonista

dell’orchestra di Gillespie che mette in contatto il trombettista con Alfred Lion,

produttore della Blue Note Records.

Il primo disco Morgan lo incide per la Savoy Company con il sassofonista Hank

Mobley. Non apprezza, però, la politica della Savoy che ha previsto la

pubblicazione dei soli brani standard e blues. Il suo debutto ufficiale infatti

dovrebbe coincidere con l’uscita del singolo Gaza Strip tratto dall’album Lee

Morgan Indeed!. Nonostante Morgan dia prova delle sue strabilianti abilità

tecniche, nei primi due album che registra si percepisce ancora parecchia

insicurezza nella costruzione dell’assolo. Nel brano “Roccus”, presenta un

fantastico esempio di tecnica “a mezza valvola”, che consiste nell’interrompere

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una nota prima di averla suonata tutta, il risultato di questo esercizio motorio è un

suono staccato, preciso, anche se non necessariamente “pulito”.

E’ però palese, nell’ascolto l’associazione dei lick ad una determinata cadenza o

tonalità. Brani come Mobleymania, Gaza Strip, Roccus, Reggie Of Chester, Touch

and go e introducing Lee Morgan sono in chiave di Re minore e Fa maggiore.

Morgan stesso qualche anno più tardi confesserà «quando ascoltai le mie prime

registrazioni sembravano così brutte che quasi piansi».

Il ragazzo prodigio venuto da Philadelphia ha conquistato la fiducia dei vertici

della Blue Note Records. L’etichetta discografica sta vivendo un momento di

rinnovo tecnologico (con l’introduzione del vinile da dodici pollici) gestionale

(puntando su prove ed arrangiamenti, aspetto in parte trascurato da altre etichette

come la Savoy o la Prestige) e

morale (prestando particolare

attenzione all’esigenze dei

musicisti). Alfred Lion quasi

da subito accoglie le richieste

di Lee che, non esita

nemmeno un momento

nell’esprimere la propria

volontà nel voler coinvolgere

nelle session gli amici con cui

aveva lavorato a Philadelphia. Per Il pianista Horace Silver in una delle session dell’album
“Lee Morgan Vol. II”

la prima pubblicazione marchiata

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Blue Note, infatti, Morgan contatta il sassofonista Clarence Sharpe, mentre per la

realizzazione di Lee Morgan Sextet, convoca l’amico Kenny Rodgers.

Parallelamente all’attività di session player Lee Morgan si esibisce con l’orchestra

di Gillespie che, all’arrivo del giovane Morgan, vive un anno d’intenso lavoro. Le

radio cominciano a diffonderne la musica e vengono stampati dischi memorabili

come Dizzy Atmosphere. Nonostante le critiche razziste e discriminatorie da parte

di politici e membri delle amministrazioni nei confronti della cultura espressiva

americana nera, la band di Gillespie lavora ininterrottamente fino all’estate del

1957. Da quel momento, gli ingaggi cominciano a venire meno a causa della

recessione economica e Gillespie dopo aver ridotto drasticamente il numero dei

musicisti, si vede costretto a sciogliere il gruppo. Per Lee Morgan non significa di

certo la fine di una carriera. Il suo primo anno da professionista gli regala

numerose possibilità. Lui stesso è pienamente consapevole dell’importanza che

hanno, nell’anno del suo debutto, un’etichetta affermata come la Blue Note e un

musicista del calibro di Dizzy Gillespie. Suo fratello Jimmy dopo l’esperienza in

tour con l’orchestra di Gillespie racconta: «…praticamente tutti sapevano chi era

Lee Morgan».

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L’influenza e l’evoluzione del pensiero musicale

Il ’57 per Morgan è un anno particolarmente significativo, non tanto per quanto

concerne l’abilità sul palco (di certo le gig a Philadelphia non gli sono mai

mancate), quanto per il bagaglio d’esperienza che il trombettista sta accumulando

negli studi di registrazione. Morgan infatti, dopo poco più di un anno da quando

si stabilisce nella grande mela, ha già inciso sei dischi a suo nome. All’album di

debutto Lee Morgan Indeed! seguono Lee Morgan Vol. II e Lee Morgan Vol. III.

I brani contenuti in quest’ultimo portano tutti la firma di Benny Golson.

Quest’ultimo si può collocare nella lista dei compositori più importanti e più

influenti a partire dalla seconda metà degli anni ’50 assieme a Gigi Gryce (anche

lui presente nelle session di Lee Morgan Vol. III in qualità di alto-sassofonista e

flauitista) e Horace Silver, già convocato il 2 dicembre del 1956 nello studio di

Rudy Van Gelder ad Hackenesack, nel New Jersey.

Alfred Lion e Francis Wolff, proprietari del marchio Blue Note, seguono

attentamente i progressi di Lee Morgan e, nell’autunno del 1957 decidono di

“assicurarselo” stipulando un contratto con il giovane talento. Per i discografici è

l’ennesima prova di fiducia che nutrono ormai da mesi per il giovane talento che

hanno tra la mani. Qualche settimana prima, infatti, viene pubblicato l’album The

Coocker. Per la prima volta Morgan ha la possibilità d’inserire due brani che

portano la sua stessa firma. Questa è l’occasione sta aspettando da tempo per

mettersi in gioco anche come compositore. Stiamo parlando di Heavy Dipper, un

medium swing di trentotto misure precedute da un intro di Philly Joe Jones. La

griglia armonica è condita di numerose cadenze composte (II-V-I) utili per le

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modulazioni (transitorie e dirette)

che presto nell’hard bop

diventeranno un cliché. Se negli

album precedenti nelle sequenze

di II-V tende ad abusare di lick

riconoscibili (spesso associati a

determinate chiavi) in questo si

sente un Morgan molto più


In posa di fianco al suo registratore analogico a
nastro, Rudy Van Gelder, storico fonico della Blue rilassato, lo si sente subito, comincia
Note Records e figura leggendaria nel campo dei
missaggi jazz.
l’assolo con piccole cellule melo-

ritmiche, aggiungendo gradualmente scale per poi sfociare in comici glissati “a

mezzi pistoni”.

La seconda composizione di Morgan pubblicata in The Cooker, New-Ma, è un

blues minore di 12 misure in chiave di Do. Il tema è contrappuntato dal sassofono

di Pepper Adams ed assieme ai numerosi accenti obbligati diventerà uno dei segni

distintivi dell’hard bop. L’album contiene altri tre brani tratti dal repertorio

standard come A Night In Tunisia, Just One Of Those Things e Lover Man. E’

proprio nelle ballad come Lover Man, piuttosto che Since I Feel for You,

registrata 2 mesi dopo e pubblicata nell’album Candy, che si sentono i numerosi

progressi di Lee Morgan. Si sente un Morgan indipendente, slegato dallo spartito.

Il suo sound è più concentrato, le note sono particolarmente definite anche se

ornate di un lieve vibrato. Lo stesso Morgan in un’intervista del ’58 afferma:

«quando sei giovane, fai progressi rapidi…..in sei mesi ne fai talmente tanti che i

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dischi appena usciti sembrano già vecchi». Le differenze tra il disco di Hank

Mobley e l’ultimo lavoro svolto per la Blue Note riguardavano marginalmente la

tecnica, Morgan approda a New York tecnicamente preparatissimo, quanto più il

carattere, il pensiero musicale. Nel 1957 collabora con colossi del jazz come John

Coltrane in Blue Train. Il brano da cui prende il nome il disco è un blues minore

di 12 misure in cui l’esposizione del tema è affidata a Sassofono tenore, tromba e

trombone (Curtis Fuller). Nel primo chorus si alternano botta e risposta tipici del

blues più arcaico di tenor

sax(lead voice), tromba

(un’ottava sotto rispetto

Coltrane) e pianoforte(Kenny

Drew) che, servendosi di

quarto puntato e ottavo,

scolpisce le melodia del tema

ogni due misure. Nel secondo

tema si aggiunge il trombone

di Curtis Fuller che, attraverso Lee Morgan e John Coltrane durante la session di Blue Train.
Morgan abbraccia gelosamente la tromba regalatagli da
Gillespie.
un gioco di armonizzazione per

terze della melodia suonata da Lee Morgan, fornisce maggiore robustezza al tema.

L’armonia del chorus negli assoli diventa quella di un blues in tonalità maggiore.

Morgan è precisissimo, comincia in maniera quasi scherzosa a giocare su due note

prima a distanza di un semitono (IV e III grado rispetto all’accordo), poi a

distanza di un tono (N.F. e settima di dominante) andando molto vicino all’effetto

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growl. L’idea dell’improvvisazione nei primi due chorus di assolo è decisamente

bluesy. A partire dal terzo chorus che Morgan si scatena, probabilmente sotto

provocazione degli accenti su rullante dell’amico di Philadelphia “Philly Joe”.

L’assolo è improvvisamente energico e le frasi sono fluide, la palestra fatta con

l’orchestra del maestro Gillespie ha arricchito esponenzialmente il bagaglio di

materiale improvvisativo di cui fruire. Ciò nonostante, nel 1958 Morgan decide

d’iscriversi alla Julliard School.

Nello stesso anno si vede protagonista della scena newyorkese, esibendosi con

numerose band locali. Per diverso tempo Donald Byrd nella band di Horace

Silver, dopo qualche tempo Silver gli fece la proposta di entrare a far parte del

gruppo ma Morgan, che conosceva i suoi limiti quanto le sue capacità rifiutò

l'offerta lamentandosi del fatto che il pianista venuto da Norwalk(Connecticut)

non pagasse abbastanza.

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Art Blakey: il peggior maestro che tutti volevano

Nonostante una breve collaborazione nell’estate del ’56, Morgan si unisce ai Jazz

Messengers solo nell’autunno del 1958, appena dopo lo scioglimento

dell’orchestra di Gillespie. Il gruppo di Art Blakey è specializzato nell’aprire

carriere a giovani talenti come Lee Morgan. Nonostante all’interno della band ci

sono molti giovani musicisti in cerca del nome (anche l’amico bassista di

Philadelphia Spanky De Brest prese parte al progetto) non mancavano di certo

personaggi già conosciuti su tutta la east coast come Horace Silver, i trombettisti

Kenny Dorham, Bill Hardman, Donald Byrd, l’alto sassofonista Jackie McLean e

in qualche occasione è presente anche il contrabbassista Curley Russel che, nel

momento in cui arriva Morgan, ha già suonato con i più grandi. Benny Golson

prende il posto di McLean ed, oltre ad essere un degno sostituto, fa emergere

rapidamente le sue capacità compositive. Golson all’interno dei Jazz Messengers

è un vero e proprio jolly ed è lui stesso a reclutare Lee Morgan e l’amico pianista

Bobby Timmons e ad allargare il giro di affari del gruppo, a volte scontrandosi

con Blakey, per aver accettato ingaggi per compensi davvero bassi. Tuttavia gli si

possono attribuire altri numerosi meriti, come il nuovo contratto di registrazione

con la Blue Note. Egli convince Alfred Lion ad andare ad ascoltare la band del

batterista di Pittsburgh nonostante non collaborasse con Art Blakey da diverso

tempo. Assieme all’agente dei Messengers, Jack Whittemore, Golson organizza

una tournée in Europa che è un vero successo. I musicisti americani vengono a

conoscenza di una realtà che non avrebbero potuto nemmeno immaginare. La loro

musica in Olanda, Belgio, Germania, Francia e Svizzera ha mota più

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considerazione che nel New Jersey piuttosto che nello stato di New York. Dietro

queste glorie, senza tener conto della palestra da live performer che tutti i ragazzi

della band stanno facendo, si cela un orribile scenario: una delle droghe più

distruttive per il corpo e la mente umana dilaga negli ambienti frequentati dai

jazzisti ed in particolare nel circuito

dei Jazz Messengers. Tutti i giovani

talenti di Philadelphia finiscono col

consumare droga: Lee Morgan,

Spanky De Brest, Bobby Timmons.

Art Blakey, come testimoniano diversi

musicisti che passano dai Jazz

Messengers non fa mai mancare la

Lee Morgan e Art Blakey in una performance di


Rhythm a ning risalente agli anni ’60. Morgan è
droga ai musicisti, sebbene non pagasse intento a sperimentare ritmi su un campanaccio
(cowbell), era solito studiare su percussioni quando
mai a fine ingaggio. aveva particolari idee ritmiche.

Leon Mitchell, appena ventiduenne, collabora con Blakey per la realizzazione di

Late Spring nel 1956. L’importante compositore di North Philadelphia ricorda di

essere riuscito ad ottenere il compenso da Blakey per gli arrangiamenti dell’album

solo dopo averlo minacciato di scaraventarlo giù dalla finestra.

I musicisti che si uniscono ai Jazz Messenger sono dipendenti dalla droga tanto

quanto dal sistema architettato dal batterista. Non percepiscono un salario, ma

girando con Art Blakey si possono fare un nome. Se è vero che il leader dei Jazz

Messengers è un pessimo esempio per i suoi musicisti, specie per quelli in cerca

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di popolarità, è altrettanto vero che offre ottimi insegnamenti musicali di cui

musicisti come Lee Morgan, Wayne Shorter e Gary Bartz possono fare tesoro.

Loro stessi affermarono che nel periodo trascorso con i Messengers impararono a

costruire gli assoli. Quando si pensa al suono di un musicista, ad un particolare

percorso stilistico, spesso viene considerata l’idea che abbia scelto in maniera

consapevole quel determinato modo di suonare, ma nella maggior parte dei casi la

necessità di avere quel tipo di suono è condizionata da un contesto lavorativo. Nel

caso di Morgan si può dire che se non avesse trascorso 5 anni con i Jazz

Messengers non avrebbe mai sviluppato un sound così aggressivo, il sound che gli

ha permesso di emergere, di farsi sentire sopra Blakey. «Con Art» dice Morgan,

«Dovevi avere molta forza».

L’esperienza con Art Blakey segna sicuramente la vita e la carriera di Lee

Morgan. Al di là del pessimo esempio che il leader del gruppo è per molti

giovani, il lungo periodo trascorso con i Jazz Messengers offre a Morgan la

possibilità di sviluppare il suo talento come solista e compositore.

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La droga che portava via tutti

I 4 anni trascorsi a New York cambiano nel bene e nel male la vita di Lee

Morgan. La mole di lavoro è impressionante: compare il suo nome su circa 40

album, dieci dei quali lo rappresentano in copertina. Lui continua a crescere

malgrado abbia completamente perso il controllo sulla sua vita. Nel luglio del ’61,

infatti, la sua carriera sembra finita. Lui e Bobby Timmons non sono più in grado

di gestire il palco e lo stesso Art Blakey si vede costretto a licenziarli dai Jazz

Messengers per far posto a Freddie Hubbard, allora 21enne proprio come Morgan,

e Cedar Walton. Molti musicisti dell’epoca dipendenti dall’eroina non

necessariamente si ritirano dalla scena, la maggior parte è in grado di gestire

consumo di droghe pesanti come l’eroina e numerosi ingaggi. Morgan si sente in

dovere di tornare a Philadelphia per cercare di superare la dipendenza.

Arrivato a Philadelphia Morgan trova un ambiente ostile, la sua cattiva fama lo

precede e diversi dei suoi vecchi amici musicisti diffidano da lui. Non ha soldi e

non può suonare: New York gli ha dato moltissimo ma, allo stesso tempo, gli ha

portato via tutto, persino i denti. La sorella maggiore, Ernestine, si vede costretta

ad occuparsi nuovamente di lui.

Il trombettista confessa di aver registrato troppi dischi e forse troppo presto. Le

parole della critica musicale sono tutt’altro che di conforto, parlano di suono e

fraseggi troppo acerbi, accanendosi su qualche registrazione con i Messengers e

ignorando completamente numerosi album incisi con la Blue Note.

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L’eroina è collocata ai vertici delle tabelle di dipendenza, il tossicodipendente

diventa quasi immediatamente schiavo della molecola elementare e disintossicarsi

è un percorso durissimo, ma sopratutto una delle ultime ipotesi che il soggetto

dipendente prende in considerazione.

Oltre a eseguire diversi furti ai danni dei suoi familiari, degli amici, Morgan non

ha più uno strumento su cui esercitarsi, impegna molti strumenti ricevuti in

prestito, tra cui una tromba regalatagli da Miles Davis.

Non sono chiare le ragioni per cui Lee Morgan decide di riprendere a suonare,

non si capisce quale stimolo abbia trovato dentro di sé il trombettista. Mentre in

molti lo credono morto, tanto che una radio manda in onda una puntata dedicata

all’artista, Lee si presenta un lunedì sera a una jam session al Birdland di New

York. Il controllo limitato dello strumento non influenza la reazione del pubblico

e dei musicisti presenti: restano tutti a bocca aperta.

Morgan riappare ufficialmente sulla scena musicale nel gennaio del 1962 con

l’album registrato in quintetto Take Twelve pubblicato da Jazzland. Fatta

eccezione per Little Spain e Take Twelve le composizioni portarono la firma di

Morgan.

Ricomincia a esibirsi nei locali della città dov’è cresciuto con il quintetto di

Jimmy Heath, sassofonista tenore oltre che amico di vecchia data che non ha

perso fiducia nel concittadino. Durante i concerti con Heath la tromba gli viene

prestata da Wilmer Wise, ma si trattava più di un “comodato d’uso” visto che

questa viene presa in custodia a fine serata dal sassofonista, la fiducia che nutre

Heath nei confronti di Morgan confina sul palco.

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Se è vero che qualche familiare, qualche amico e qualche collega del trombettista

non lo hanno abbandonato alla tossicodipendenza, nel periodo trascorso a New

York molti personaggi dell’ambiente discografico approfittano delle debolezze di

Lee Morgan (cosi come quelle di moltissimi musicisti eroinomani), cercando di

accaparrarsi avidamente i diritti sulle opere che portavano il nome del musicista.

L’amico contrabbassista Reggie Workman dichiara: «a causa del suo stato sociale

e fisico, a quel tempo, sono sicuro che fece concessioni che non avrebbe fatto se

fosse stato un po’ più lucido».

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The Sidewinder, il ritorno di Morgan

Dopo quasi due anni trascorsi a Philadelphia, alla fine dell’estate del 1963 Lee

Morgan si convince a tornare a New York. Decide di riprendere a tempo pieno la

professione del musicista, di rifarsi un nome in una realtà che l’ha completamente

dimenticato, una realtà dove molti lo credono morto. Non appena approdato nella

metropoli viene contattato dal disc jockey di New York Alan Grant per presentare

la sua raccolta Jazz Train Brassily assieme a Freddie Hubbard e Richard

Williams.

Prende una camera in un hotel residenziale, al centro, non distante da Broadway.

Non cambia molto dalla permanenza a Philadelphia, continua a fare uso di droghe,

a farsi prestare gli strumenti. Questa volta però, non sperpera il denaro di

Ernestine, ma i soldi che guadagna con i numerosi ingaggi che gli vengono

proposti. Il suo giro di affari cresce nuovamente, riacquista una certa credibilità. Il

2 ottobre si reca in studio con Hank Mobley per registrare parte di No room for

squares. Il mese successivo, al Van Gelder Studio incide l’album Evolution del

trombonista Grachan Moncur III. Solo un mese più tardi deve tornare nel New

Jersey allo studio di Van Gelder per incidere un disco, questa volta per la Blue

Note: l’album porta per la prima volta la sua firma in ogni brano e viene intitolato

The Sidewinder. La nota etichetta di New York si sa, aveva una forte risonanza

nell’annunciare i suoi dischi, ma l’album deve il suo successo più di tutti alle idee

che Morgan catalizza nel brano che intitola il disco. La composizione The

Sidewinder definisce uno nuovo stile musicale che nel jazz diviene uno standard:

il soul-jazz. Il produttore del disco Micheal Cuscuna ricorda che l’album che

sancisce il ritorno di Morgan è un successo inaspettato: «la compagnia stampò

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4000 copie, inutile dire che in magazzino in 3/4 giorni era tutto esaurito….».

Raggiunge in poche settimane la venticinquesima posizione della classifica pop e,

nel 1965 va a finire nella TOP 10 Rhythm ‘n Blues. Il disco che rispolvera

l’artista dopo uno dei periodi più bui della sua vita si rivela il maggior successo

commerciale della Blue Note Records.

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The Sidewinder, visto da vicino

Il primo elemento che cattura l’attenzione dell’ascoltatore è senza dubbio il ritmo,

o meglio, il groove: incalzante, fresco, d’indiscutibile modernità. Questo venne

assegnato a Billy Higgins, un musicista molto conosciuto nel jazz avendo suonato

con pilastri del jazz come Charlie

Haiden, Don Cherry, Coltrane,

Ornette Coleman e Monk. Negli

anni ’60 diventerà uno dei

batteristi più ricercati per i lavori

in studio della Blue Note. La

bass line viene destinata a Bob

Cranshaw, storico bassista di

Sonny Rollins e, il
Sopra la copertina del celeberrimo album del 1963
pubblicato dalla Blue Note Records.
riconoscibilissimo riff di

pianoforte che chiama il tema venne affidato a Barry Harris, un musicista che da

qualche anno nell’ambiente hard bop godeva di un certo rispetto. Un’altra

componente fondamentale a giustificare il successo del singolo The Sidewinder è

senza dubbio il perfetto equilibrio tra variazione-ripetizione, soprattutto quando il

compositore decide di estendere la struttura del blues, nella quale gli accordi sono

comunemente distribuiti in 12 misure, a 24 battute. La lead voice viene eseguita

da Morgan, mentre il sassofono tenore di Joe Anderson alterna l’unisono alla

tecnica d’arrangiamento del contrappunto. La melodia, palesemente costruita sul

background ritmico, è così orecchiabile da trascurare uno dei più impressionanti

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assoli di Lee Morgan. Costruito meticolosamente con logica e chiarezza, l’assolo

di tromba mostra una modestia che spesso gli mancava. Il trombettista lascia

spazi, pause tra le sue idee concise a mo’ di punteggiatura, proprio come un poeta

che cerca di elevare l’efficacia di ogni sua dichiarazione.

Nonostante possano sembrare ingredienti accuratamente scelti dal compositore, la

“semplificazione “ del suo hard bop, il timbro blues e le ritmiche del R&B non

facevano di certo parte dei suoi piani. Lui stesso confessò a un giornalista

britannico che compose il brano in 2 minuti, oltretutto con uno scopo di

riempimento.

Successivamente, visto lo straordinario successo dell’album, la Blue Note decise

di pubblicare una versione editata del singolo The Sidewinder.

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Tutto è in continua evoluzione, il jazz non è da meno

Il clamoroso successo di The Sidewinder è un limpido segnale del fatto che

l’attenzione del pubblico si sta spostando su un altro stile. Alfred Lion e Francis

Wolff, che per anni hanno adottato una politica che incentiva molti giovani e

molti generi sperimentali, si vedono costretti ad affrontare una inaspettata

problematica: si sta trasformando il ruolo del produttore. L’intelligenza musicale

diviene la capacità di comprendere l’esigenza del consumatore, la necessità di chi

compra i dischi.

A partire dal 1965 le tracce d’apertura degli album marchiati Blue Note spesso

coincidono con brani in stile Rhythm&Blues. Un clamoroso esempio di

riproposizione di blues esteso è la title track dell’album di Morgan del 1965 The

Rumproller che porta la firma di Andrew Hill. Questa forma viene adottata da

molti compositori intenzionati a scalare le vette delle classifiche pop. Finire in un

accordo di sottodominante alla quarta misura di un chorus diventa un cliché da hit.

Se inizialmente le doti compositive del trombettista non sono comprese dalla

critica e dai numerosi musicisti di jazz, dopo il successo di The Sidewinder anche

il pianista Horace Silver si trova ad elogiare le composizioni di Lee Morgan :

«scrive dei buoni motivi, hanno senso. Sono ben pianificati. Negli ultimi due anni

ha sviluppato l’abilità di piacere al grande pubblico. Guarda i suoi pezzi di

apertura. Specialmente nelle sedute di registrazione, Lee sa esattamente cosa

vuole, e lo ottiene».

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La direzione che prende Morgan dopo The Sidewinder, è quella dell’essenzialità

che molti critici confondono con la semplicità. Tutto ciò è apprezzato dal pubblico

americano e, forse proprio per questo motivo, subisce le necessità di mercato.

Morgan inoltre ricorre sempre più, ove gli è consentito e soprattutto nei brani

commerciali, ad ornamenti stilistici del blues come glissati, staccati, legati ed usa

lo strumento a mezze valvole.

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La ripresa di Morgan

Nel marzo del 1964 Morgan torna a far parte dei Jazz Messengers che fanno

immediatamente un tour lungo la West Coast. Nei mesi di aprile e di maggio

incidono l’ultimo album del sestetto di Blakey per la Blue Note, Indestructible.

Nell’estate dello stesso anno i Messenger si esibiscono in giro per la East Coast e

per New York. In quei mesi Wayne Shorter si unisce al gruppo di Miles Davis e

lascia definitivamente i Jazz Messengers.

L’ampia risonanza del disco di Morgan ha influenze positive anche nel gruppo

che condivide con Art Blakey. Essere un musicista popolare significa aver meno

difficoltà a trovare ingaggi. Per l’intero mese di gennaio del 1965 la band si trova

infatti impegnata in tour in Giappone. Rientrati a New York il Birdland ingaggia il

gruppo come band residente per 2 settimane e, alla fine del mese ripartono per un

tour europeo passando da Francia, Inghilterra e Svizzera. Morgan ritrova una

serenità artistica ed economica che cerca da tempo. Gli è possibile non solo grazie

alle vendite di The Sidewinder, i cui diritti appartenevano in parte a Morris Levy,

il merito va attribuito soprattutto ai familiari del trombettista e agli amici che gli

restarono vicino, i quali si occuparono anche di custodire il suo denaro.

Le pubblicazioni dal 1964 al 1966 come The Rumproller, Gigolo, Infinity e

Cornbread vendono un discreto numero di copie ma sono lontane dai numeri di

The Sidewinder. Nonostante cerca di sfruttare gli elementi blues e R&B che

caratterizzarono le sue composizioni di successo, Morgan deve attendere il

settembre del 1966 per apparire nella classifica Billboard(una delle più importanti

classifiche d’America) con l’album Search for the New Land. Quest’album dà

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inizio ad una nuova entusiasmante fase della sua carriera. Morgan si trova ad

incidere con il più “moderno” dei gruppi che abbia mai avuto. Hancock al piano,

Wayne Shorter al sassofono tenore, Grant Green

alla chitarra

che apre il

brano che

intitola Da sinistra, Wayne Shorter, Art Blakey e Lee Morgan. Il meglio dei Jazz
Messenger.

l’album con

un arpeggio

psichedelico,

Billy Higgins

alla batteria,

Reggie Workman al basso. La struttura del brano è parecchio lontana dalle forme

dei suoi brani di successo. La ritmica non è presente da subito. Inizialmente,

piano, basso e batteria colorano e impreziosiscono il tema di Lee Morgan, sarà

l’amico di Philadelphia di Morgan a chiamare il groove di Higgins e Hancock ad

oltre un minuto dall’inizio del brano per poi eclissarsi nell’ultima “A”. E poi

ancora, terminata l’esposizione del tema il basso, in completa solitudine per 4

intere misure, lancia l’assolo di Wayne Shorter. L’intero brano è costruito in

questa maniera. Anche in questo caso Morgan mostra un’acuta intelligenza nel

sapersi muovere anche in territori ben lontani dalla soul di The Sidewinder.

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Per quanto Lee Morgan ha riconquistato la fiducia dei soci della Blue Note, agli

occhi dei manager che hanno procurato ingaggi fino ad allora e dei proprietari dei

club di New York non è altrettanto credibile.

Ciò nonostante nella seconda metà del decennio ’60-’70 Morgan riesce ad

insediarsi in alcuni club di Manhattan come il Club Ruby e lo Slugs grazie alla

collaborazione con la SpotLite Productions di Jim Harrison.

A partire da questo periodo, Morgan diviene consapevole dei limiti delle sue

capacità fisiche. La sua immaginazione e il proprio pensiero musicale soffrono

l’inaffidabilità dell’imboccatura. Nel 1966 la Blue Note Records pubblica The

Gigolo. Questa pubblicazione rappresenta l’ultima sessione nel Van Gelder Studio

in cui il talento custodito fra le mura della Blue Note è in grado di gestire in pieno

controllo il suono deciso, intonato, spigoloso, che l’hanno distinto da tutti i

trombettisti dell’epoca al primo ascolto. Le difficoltà tecniche di Morgan

graveranno soprattutto sulla costruzione degli assoli.

Nel decennio più importante per la discografia di Morgan, egli non abbandona

mai la ricerca musicale, ma nemmeno quella commerciale. La sua astuzia consiste

proprio nel trovare spesso e volentieri un equilibrio tra entrambe le esigenze.

Molti brani registrati nel periodo ’67-’70 sono testimoni della volontà di Morgan

di sposare il “suo” hard bop con ritmi latini, tant’è vero che molti critici musicali

adoperarono il termine Calypso per identificare album come Caramba.

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Helen Moore: la donna a cui dovette tanto, persino la sua vita

Nella seconda metà del decennio “clou” della carriera di Lee Morgan, non è raro

imbattersi in un suo assolo fra le putride mura dello Slug. Morgan, infatti, in quel

club trascorre l’ultima parte della sua attività concertistica. Il locale è squallido e

l’ambiente di tossici e spacciatori non è sicuramente stimolante per un musicista

che da anni lotta contro la dipendenza da eroina.

Helen Moore è una ragazza di 19 anni che si stabilisce a New York in seguito alla

morte del marito. Gravita, come molte altre della sua età, attorno all’ambiente jazz

della metropoli. E’ affascinata dai temi che affrontano i musicisti neri quali lo

sfruttamento da parte dei gestori bianchi dei club piuttosto che la distribuzione

pilotata dell’eroina ad Harlem. Helen ottiene grande rispetto da personaggi

parecchio noti e di frequente li invita a proseguire la serata nel suo appartamento a

pochi isolati dal Birdland, sulla cinquantatreesima.

Proprio in una di queste notti, dopo una serata trascorsa allo Slug, conosce Lee

Morgan, seppur sposato da diversi anni con la modella e ballerina Kiko

Yamamoto, cede al fascino dell’attraente e loquace ragazza di Brunswick County.

Intorno al 1968 il trombettista si trasferisce nell’appartamento di Helen. Helen

Moore, impiegata come amministratrice governativa, decide di prendersi cura

della salute di Morgan, divenendo a tutti gli effetti la figura materna di cui il

musicista, ormai 30enne allo sbaraglio, necessita. Helen crede seriamente di

riuscire a far allontanare Morgan dalla droga ed impiega tutti i mezzi a sua

disposizione, vigilando 24 ore su 24 sulla vita di Lee. Oltre ad affiancare Morgan

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nel programma di recupero a base di metadone, non si perde un solo concerto del

musicista, tanto da ricoprire il ruolo di manager del trombettista.

Helen non riesce ad eliminare del tutto la presenza della droga nella vita di Lee

ma, quanto meno, riesce a ridurne il numero di dosi e, gli effetti positivi nella vita

di Morgan cominciavano a mostrare i primi risultati. Nei primi mesi del 1970

Morgan riesce a costituire una nuova band a cui prendono parte il sassofonista con

cui registra l’album d’impronta latin Caramba Bennie Maupin, l’ex collega

contrabbassista nei Messengers Jymie Merritt, il pianista Harold Mabern e il

batterista Mickey Rocker. Il gruppo comincia ad esibirsi nei locali di New York

per poi proseguire lungo east-coast passando da Philadelphia, Detroit, Baltimora,

Chicago e Antigua.

Nel giugno del 1970 il quintetto registra un concerto per la Blue Note all’Hermosa

Beach, un locale in cui Morgan suona già ai tempi dell’orchestra di Gillespie. La

sessione mostra limpidi segnali di serenità e lucidità del trombettista che, rispetto

all’album The Gigolo, ha un controllo del suono molto più misurato. Helen Moore

funge da vero e proprio manager della band: gestisce i contratti ed organizza i

viaggi. Dopo qualche tempo Maupin e Rocker lasciano la band per seguire

rispettivamente Hancock e Gillespie. La separazione da questi musicisti non

risulta affatto un ostacolo, vengono presto rimpiazzati da Billy Harper e Freddy

Waits. L’anno successivo il gruppo ripercorre l’itinerario dell’anno precedente.

Morgan, ricorda Harper, è energico come non mai, è veramente entusiasta di

capitanare il progetto e risulta essere un grande motivatore.

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Nonostante Morgan ha instaurato una relazione stabile ed ufficiale con Helen

Moore, incontra altre donne e durante le sue performance spesso intrattiene le

ragazze del pubblico, il tutto davanti agli occhi di Helen. La donna che ha aiutato

Lee Morgan nel momento più buio della sua vita, è a conoscenza delle relazioni

con le altre donne. Il trombettista spesso la mette in imbarazzo, e la umilia. Anche

se il rapporto tra i due sta attraversando una crisi da diverso tempo, Morgan è

perfettamente in grado di scindere la sua vita privata dal suo lavoro e il suo

quintetto comincia ad avere un’ottima fama tanto da convincere il manager dei

Messengers ad organizzargli un tour europeo. Ma in Europa Lee Morgan e i suoi

musicisti non ci andranno mai. Helen Moore non lo permetterà. La sera del 19

febbraio 1972, allo Slug, successe qualcosa, qualcosa a cui non si potrà

rimediare. Dopo l’ennesima lite, Helen si allontana dal club e riappare appena

dopo la fine del secondo set. Morgan si avvicina a lei e discutono in maniera

animata. Lui la picchia. Helen estrae la sua calibro trentadue argentata dalla borsa

e spara un colpo. Quel colpo di pistola gela l’intero locale, nessuno si capacita del

corpo del musicista per terra, con gli occhi spalancati, senza vita. Helen Moore, la

donna che ha allontanato la vita del talentuoso ragazzo di Philadelphia dai club

più osceni della periferia di New York, ha deciso di liberarsi del peso di quelle

umiliazioni, di tutte quelle sofferenze. Helen Moore, la donna che ha amato più di

tutti uno dei musicisti più popolari degli anni ’60, sarà ricordata come “la donna

che ha sparato a Lee Morgan”.

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Approfondimento tecnico: Moanin’

Non appena approdato nei Jazz Messengers, il giovane Lee ha la possibilità di

registrare uno dei più influenti dischi Hard bop, se non altro il più conosciuto

inciso dalla band diretta da Art Blakey. L’album registrato nello studio di Rudy

Van Gelder nel 1958 deve il suo successo soprattutto alla modernità delle

indimenticabili composizioni di Benny Golson, il quale s’imbatte in nuove

soluzione armoniche, organizza i brani con forme atipiche e condisce turn around

di sostituzioni inedite. Gli assoli di Morgan rivelano la sua devozione per lo stile

del maestro Clifford Brown, caratterizzato da aggressivi attacchi ritmici, lunghe

frasi melodiche culminanti in suoni acuti staccati e lo stesso timbro, caldo e

scintillante.

La traccia che intitola l’album è l’unico brano a portare la firma di Bobby

Timmons. Nonostante manchino ancora 5 anni perché venga pubblicato The

Sidewinder, Moanin’ ha un potente sapore soul-jazz, esaltato dalla melodia. La

scelta della tecnica “botta e risposta” tra piano e fiati riconduce immediatamente

l’ascoltatore al Gospel e alle forme più arcaiche di blues.

La linea di basso di Jymie Merritt non ricalca il consueto “walking bass” ma

presenta una figurazione ritmica che marca il primo e il terzo colpo della misura.

Lo swing che porta Blakey, al contrario, enfatizza i beat due e quattro.

L’assolo di Morgan:

Dopo il feel di batteria che lancia l’assolo di Morgan il trombettista si aggrappa in

maniera aggressiva a delle note della scala blues prese in registro altissimo.

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Riscopre le prime 8 misure di brevi frasi, concise, in cui ironicamente, si

autocelebra.

Nelle seconde 8 misure Blakey pilota in maniera molto evidente un calo di

dinamiche, questo ovviamente condiziona l’intenzione di Morgan, il quale, con un

tono decisamente più pacato ma pur sempre farsesco, porta avanti il monologo a

“botta e risposta”, questa volta fruendo di ribattuti all’interno di gruppi di terzine.

L’intonazione oscillante delle note, riveste il musicista del carattere soul-blues che

lo risalterà qualche anno dopo specialmente nei suoi dischi.

Nella sezione B del “suo” chorus Lee Morgan s’imbatte in una lunghissima frase

bop alla Clifford Brown ricorrendo ad approcci cromatici per passare da una scala

all’altra lasciando respirare il pensiero musicale solo alla fine della terza misura,

ripetendo delle crome di RE pensate even eights per poi culminare su delle terzine

di quarti che chiamano l’ultima A del ritornello. Qui si percepisce l’interplay che

Morgan cerca con la ritmica che, munendosi due note terzinate, richiama

l’attenzione dell’autore del brano. Nel secondo chorus Morgan sperimenta

qualcosa di diverso: s’imbatte in un gioco di ribattuti alternando due note. Alla

nona misura del secondo chorus l’erede di Clifford sceglie di richiamare lo

schema di autocitazione, caratteristico della melodia blues, che aveva già

sfoderato all’inizio del suo assolo lasciando molleggiare la sua tromba su due

note. Si ritrova poi, ad insediarsi nella B ripercorrendo la stessa scala suonata nel

chorus precedente. L’ultima A assegnata al trombettista comincia con note lunghe

e morbide. Non stancandosi dei richiami della tradizione blues, ancora una volta

Morgan dà prova di una forte personalità colorando lo spartito di citazioni che

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s’inseguono, ornate, una dopo l’altra di attacchi sempre più pungenti. L’ennesima

dimostrazione di ascolto collettivo arriva alla fine dell’assolo, nel momento in cui

Benny Golson afferra magistralmente le note del trombettista, come a voler

terminare la frase cominciata dall’amico, peccando spudoratamente di complicità.

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Conclusioni

Il mio percorso formativo in conservatorio, mi ha dato l’opportunità di conoscere

il maestro Greg Burk, il quale mi ha saputo trasmettere la passione per l’Hard bop,

lo stile successo al bebop negli anni ’50 da leggende del jazz come Art Blakey,

Benny Golson e Horace Silver. I quali esplorano nuovi territori armonici,

riscoprono l’importanza della musica organizzata, non lasciano mai al caso intro

e code e, allo steso tempo, danno massimo respiro all’improvvisazione. Art

Blakey, vero e proprio talent scout, sceglie per il suo gruppo un componente

geniale: Lee Morgan. Il trombettista ha dato un nuovo impulso al genere

dimostrandosi un ottimo compositore dalla brillante fama. Mi è sembrato quasi

doveroso approfondire le mie conoscenze in merito a un fuori classe della tromba

che riuscì a definire un nuovo genere: il soul-jazz, con l’ever green “The

sidewinder”.

Questo elaborato è stato sviluppato seguendo le varie fasi della vita dell’artista.

Ho scelto di contestualizzare quest’ importante figura musicale, da prima della

nascita alla sua precoce morte. E’ infatti indispensabile indagare sulla personalità

e sul bagaglio culturale di un artista per capire a pieno la sua musica con le

relative evoluzioni e sfumature. Come ampiamente approfondito in queste pagine,

Lee Morgan ha lasciato un segno indelebile nella cultura jazz. Il gesto estremo

della compagna del trombettista, Helen Moore, che lo ha assassinato con un colpo

di pistola, ha privato il mondo della musica di una linfa vitale. Non è possibile

sapere cosa ancora avrebbe potuto regalarci questo genio assoluto, e in che

maniera avrebbe scelto di sorprenderci, ma ciò che è percepibile ascoltando una

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take a caso delle sue centinaia di session, è che il posto che ha conquistato nella

hall of fame del jazz gli spetta di diritto.

« La tromba di Morgan è un colpo di pistola nell’oscurità. Anche se

accompagnata da grandi musicisti, al suo cospetto, tutti i suoni restano muti nella

notte e restano solo i suoi acuti, a far luce…»

Nat Hetnof

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Bibliografia

libri di autore Lee Morgan – La vita, la musica e il suo tempo (T. Perchard) Odoya, 2007.
singolo I segreti del jazz (S. Zenni )

articoli tratti http://musicians.allaboutjazz.com/musician


da internet http://en.wikipedia.org/
http://www.billboard.com/artist/306849/lee-morgan/biography

Documentari Bob Cranshaw Remembers Lee Morgan and "The Sidewinder"


e/o riviste su https://www.youtube.com/watch?v=JMtvXd6TKUw#t=228
internet

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