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LA CINA DAL 1949 AI GIORNI NOSTRI

Marie-Claire Bergére

PARTE PRIMA: L'ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA RIVOLUZIONE (1949-66)

Cap. I – IL RIPIEGAMENTO SULLE BASI CONTINENTALI E L’ORGANIZZAZIONE DEGLI APPARATI (1949-1954)

La vittoria dei comunisti cinesi comporta un'integrazione rapida della nuova Cina nell'orbita sovietica.
Il movimento comunista nazionale si è sviluppato in modo quasi autonomo nel corso dei parecchi decenni e ha trionfato senza l'aiuto
del grande fratello sovietico.

1. La ripresa del controllo delle marche continentali

La caduta dell’impero, il periodo dei signori della guerra, l’avvento della repubbica, la guerra civile e l’invasione giapponese, avevano
dato la possibilità alle periferie della Cina, abitate da minoranze etniche e linguistiche, di emanciparsi e trovare un’indipendenza de
facto dal governo centrale. Dunque, una delle prime preoccupazioni della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 era proprio quella di
riaffermare la sua autorità nelle periferie. Pechino, ricorrendo anche alla forza militare, ma favorevole della non opposizione
dell’URSS, riesce a:
. riconquista Canton e l’isola Hainan
. ottiene il Tibet dall’India a patto di riconoscerne l’autonomia regionale
. si impone nello Xinjiang (non riuscendo però ad eliminare del tutto l’influenza sovietica)
. recupera gran parte dei diritti in Manciuria
Al contrario, la Cina è costretta a riconoscere l’indipendenza della Repubblica popolare di Mongolia.

2. Integrazione della Cina nel blocco socialista e rottura con l'Occidente

L'alleanza con l'URSS, nel 1950


Subito dopo aver proclamato la nascita della Repubblica Popolare Comunista, Mao, superando iniziali divergenze e esitazioni, nel 1950
stipula con Stalin un patto di amicizia con l’URSS di reciproca assistenza che getta le basi per una cooperazione destinata a durare una
decina d'anni e ad integrare la Cina nel blocco socialista. Esso consiste in: ↓
. un'alleanza difensiva diretta contro il Giappone e, implicitamente, contro gli Stati Uniti
. URSS restituisce i diritti, acquisiti dopo la sconfitta nipponica del 1945, sulla ferrovia della Manciuria e sulla base
militare di Port-Arthur
. Cina riconosce l'indipendenza della Repubblica popolare della Mongolia
. URSS si impegna a fornire alla Cina un credito di 300 milioni di dollari americani con bassissimi tassi di interesse
. cooperazione nello sfruttamento di petrolio e dei minerali non ferrosi (tuttavia rimarrà abbastanza limitata)
L’ URSS coglie l'occasione della guerra di Corea del 1950 per spingere la Cina a integrarsi più strettamente nel dispositivo militare,
diplomatico ed economico del blocco socialista.

La guerra di Corea, 1950-52


Il 25 giugno 1950, le truppe nord-coreane superano il 38º parallelo. La Cina non prende parte attiva alla Guerra di Corea, fino a
quando le truppe americane, alla fine di ottobre, non arrivano alla frontiera cino-coreana con l’intento di riunificare la penisola sotto
l’egida degli Stati Uniti. Solo allora la Cina, spinta anche dall’URSS, invia volontari per creare una controffensiva, la quale provocherà
numerose vittime e darà inizio ad una guerra di posizione che si concluderà solo con l’armistizio del luglio 1953.
La guerra di Corea aumenta la dipendenza strategica ed economica della Cina dall’URSS, la fa cadere in un’isolamento diplomatico e
consuma la sua rottura con l’Occidente.

La rottura con l'Occidente


Alla nascita della Repubblica Popolare Comunista, alcune potenze come UK (per questione Hong Kong) riconoscono subito il nuovo
governo anche se decidono di non stabilirci relazioni diplomatiche. Al contrario altre potenze, come gli USA, peggiorano i loro rapporti
con la Cina a causa del trattato di amicizia cino-sovietico e dell’escalation nella guerra di Corea (che diventa una vera e propria guerra
cino-americana) e, in reazione, aumentano il sostegno a Taiwan e attuano un embargo commerciale (sostenuto poi dai suoi alleati). La
Cina mantiene come unico fragile sbocco sul mare, Hong Kong.
Appoggiandsi alla potente URSS, la Cina cerca di evitare le minacce di un accerchiamento internazionale.

3. Adozione del modello sovietico

La Repubblica Popolare Cinese adotta fin dalla sua nascita il modello sovietico di organizzazione e sviluppo della società (pianificazione
centralizzata), in quanto vede l’URSS come stato modello che è riuscito a conciliare modernizzazione e rivoluzione. Mao afferma la
propria fede nel pensiero di Marx secondo cui “lo stato crollerà e il comunistmo si realizzerà”, anche se riconosce che ci vorrà tempo,
in quanto il socialismo non può essere costruito su un’economia antiquata e senza una base minima di industrializzazione; è necessaria
prima una ricostruzione nazionale che renda la Cina ricca e forte, al livello delle altre potenze internazionali.
Mentre la maggior parte delle vittorie rivoluzionarie danno luogo a un lungo periodo di instabilità politica e di guerre civili, la
rivoluzione cinese mette invece fine alle violenze e al caos persistenti; il PCC si impone e domina le scelte di governo.

4. Il Partito comunista cinese


Nel 1949 il Partito Comunista Cinese si da degli statuti, basati su regole del centralismo democratico. Il comitato permanente viene
costituito da Mao Zadong, Liu Shaoqi, Zhou Enlai, Shu De, Chen Yun, personaggi che durante la Lunga Marcia, la lotta anti-nipponica e
la guerra contro il Guomintang, ha dato prova di capacità eccezionali.
Il partito comunista cinese si differenzia da quello sovietico per diversi aspetti:
. il PCC ha scarso reclutamento operaio (si proclama rappresentante del proletariato ma la classe operaia vi svolge un ruolo
secondario) e si compone prevalentemente da intellettuali e quadri militari
. il PCC, nonostante molte crisi e rivalità, rimane sempre molto unito
. il ruolo del PCC è di definire la linea generale, formulando direttive poi trasmesse agli organi dello stato, e di vigilare sulla
loro corretta applicazione; esso occupa una posizione centrale nel funzionamento del regime ma non si sostituisce allo Stato

5. L’Apparato di Stato

. Le istituzioni provvisorie, 1949-1954


Nel 1949 la Repubblica Popolare Cinese si dota di un’organizzazione provvisoria politica ed amministrativa che durerà fino a quanto
la Costituzione del 1954 fisserà le istituzioni permanenti. Tale organizzazione rispecchia i principi di Mao, il quale invita i cittadini a
cooperare con il regime in cambio del rioconoscimento delle libertà individuali.

La Costituzione del 1954


Nel 1954 viene redatta la Costituzione (molto classica: Consiglio di Stato autorità esecutiva, Assemblea Nazionale del Popolo autorità
legislativa), la quale designa un Presidente della Repubblica (primo fu dunque Mao) come capo della Repubblica, un primo ministro
come capo del Governo, sostituisce il Consiglio militare rivoluzionario con un Consiglio per la difesa nazionale, definisce un’Assemblea
Nazionale, una Procura e una Corte popolare.

Il governo delle minoranze nazionali


Le zone (molto ampie, seppur comprendono solo il 6% della popolazione) dove si concentrano le minoranze nazionali non rientrano
nell’organizzazione amministrativa regolare; vige qui il principio dell’autonomia regionale e viene garantita l'eguaglianza delle diverse
nazionalità e il diritto di tutelare lingue, costumi, culture proprie.

6. Professionalizzazione dell’esercito

L’esercito della neo-Repubblica Popolare Cinese, l’APL (esercito popolare di liberazione) è un esercito di guerriglia e di guerra civile:
molto mobile, flessibile e compatto. Esso recluta su base volontaria e, accanto a compiti militari, svolge di mobilitazione, di
propaganda e anche attività economiche.
Durante la Guerra di Corea la Cina si confronta con gli eserciti moderni e si rende conto che è necessaria una modernizzazione
dell’APL, dotarla di artiglieria e aviazione, unificare e centralizzare il suo comando. Tale trasformazione viene attuata grazie all’aiuto
dell’URSS che offre alla Cina un modello di esercito professionale, tecnino e gerarchizzato; l’esercito si fa moderno e potente.
L’APL riesce a rendersi indipendente dai controlli politici, anche se certamente Mao detiene il comando supremo delle forze armate.

La politica applicata al nuovo regime definisce uno Stato nazionalista, autoritario e insieme fautore della modernizzazione.

Cap. II - MOBILITAZIONE DELLE MASSE E TRASFORMAZIONE DELLA SOCIETA'

Il monopolio che il PCC mantiene nel campo dell’ideologia gli permette di mantenere vivo nella società l’ideale di una società
egualitaria. I movimenti di massa svolgono un ruolo essenziale nella vita politica cinese fin dal 1949, a differenza degli altri paesi con a
capo un partito comunista dove non viene dato spazio all’intervento diretto delle masse.
Questo pone la domanda se il socialismo cinese possa essere considerato democratico o per lo meno populista (atteggiamento
culturale e politico che esalta il popolo) e se questa società resa rivoluzionaria dall’alto possa essere considerata una società
rivoluzionaria.

1. Linea di massa e grandi movimenti «Yundong»

Le istituzioni di mobilitazione di massa permanenti (Yundong) come i sindacati operai, le associazioni di donne, la lega della gioventù,
determinano un inquadramento stretto della popolazione. Essi si basano sul principio della “linea di massa” formulato
da Mao, il quale consiste nel dirigere il movimento delle masse popolari sviluppando le loro iniziative dall’interno.
Tali movimenti, pur seguendo gli stessi meccanismi, hanno diversi obbiettivi: educazione del popolo, mobilitazione per la ricostruzione
economica, controllo delle classi sociali pericolose per il regime.

2. Riforma agraria del 1950 e distruzione della classe dei proprietari terrieri

Mao, circa il rapporto tra lavoratore e la terra che sfrutta, distingue in quattro classi: proprietari terrieri (assenteisti, vivono di rendita),
contadini ricchi (sfruttano parte della loro proprietà e affittano il resto), contadini “medi” (hanno sufficiente terra per soddisfare le loro
necessità), contadini poveri (costretti a vendere la loro forza lavoro per sopravvivere).
La riforma agraria del 1950 prevede provvedimenti abbastanza moderati: le terre e i materiali di lavoro che appartengono ai
proprietari terrieri vengono confiscati dal governo e ridistribuite ai contadini (in URSS invece furono i contadini che se ne
appropriarono direttamente). Tale riforma, oltre che obbiettivi economici, attua anche gli obbiettivi politici e sociali di eliminare la
classe dei proprietari terrieri (contro cui i contadini sfogano il loro odio represso) – attuata anche con la forza/uccisione - e stipulare
un’alleanza fra i contadini e il nuovo regime rivoluzionario.
La Guerra di Corea provoca un brutale irrigidimento nella campagna di riforma agraria; gli espropri si allargano ai contadini ricci e
medi.

3. La legge sul matrimonio (1950) e la liberazione delle donne

Nel 1950 venne emanata una legge sul matrimonio, la quale ruppe le tradizioni antiche, derivanti per lo più dal pensiero confuciano.
Fino ad allora la famiglia cinese si fondava su gerarchie e diritti ineguali; la terra veniva ereditata dai figli maschi, la sposa non sceglieva
il marito ed era ad esso sottomesso, le bambine delle famiglie povere spesso venivano uccise sperando nell’arrivo di un maschio o
rischiavano di essere vendute come schiave. La nuova legge emancipa il ruolo della donna: vieta l'unione tra bambini, fissa il
matrimonio a 20 anni per gli uomini e 18 anni per le donne, condanna il concubinato e l'infanticidio, stabilisce il divorzio per semplice
reciproco consenso e privilegia gli interessi della donna in caso di separazione.
Tuttavia la legge non stabilisce l’uguaglianza dei sessi.

4. I movimenti dei «Tre e Cinque Contro» e l'assoggettamento della borghesia degli affari

Nel 1949 nelle grandi città costiere si concentrarono molti capitalisti (borghesi di affari), i quali, decidendo di non rifugiarsi ad Hong
Kong e Taiwan come fecero molti altri spaventati dall’avvento del comunismo, aderirono al nuovo regime. I comunisti ancora non si
sentivano si prendere in mano la direzioni di imprese e si affidarono dunque alle competenze di questi imprenditori.
Mao distingue due categorie di capitalisti: capitalisti patriottici e capitalisti corrotti, legati al Guomindang (Taiwan) e al Giappone.
Solo i primi dunque vengono trattati bene e incoraggiati nelle loro imprese. La fine della guerra civile fa tornare in patria altri
imprenditori scappati all’estero; questo provoca una crescita del settore privato e una stabilità economica sociale.
Con il tempo il governo estendo il suo controllo sulle imprese capitalistiche (prelievo fiscale, assegnazione di materie prime)
provocando malcontenti fra gli imprenditori che oppongono resistenza tramite frode fiscale e corruzione.
In reazione il governo attuò una forte repressione dei quadri corrotti (molti scelsero il suicidio); nel 1955 si procede alla
nazionalizzazione delle imprese industriali commerciali tramite le campagne “Tre contro” e “Cinque Contro”, non incontrando alcuna
seria resistenza, e dunque all’eliminazione della borghesia d’affari cinese.

5. Rieducazione degli intellettuali

Nel 1951 Mao attua una campagna di riforma di pensiero per costringere tutti gli intellettuali a una stretta ortodossia al regime e
indirizzare la loro attività all’attuazione dei suoi obbiettivi. Alcuni intellettuali però vogliono resistere all’influenza del PCC; si assiste
dunque all’esodo di molti giornalisti, scienziati, economisti e tecnici.
Il governo, avendo bisogno di loro per la ricostruzione nazionale, ricorre ora alla seduzione, ora all'intimidazione. Ma alla fine gli
intellettuali si devono piegare alla campagna di riforma del pensiero, denunciata successivamente come imperialismo culturale e
termnata nel 1952 con il PCC che controllava tutti i messi di espressione dell'opinione pubblica (stampa) e le attività letterarie e
artistiche.
Il modello culturale che viene imposto, si ispira al modello sovietico e pone l'accento sulla formazione scientifica e tecnica degli
studiosi; occorre produrre tanti diplomati necessari per l'economia nazionale.
Il numero degli studenti delle superiori si quadruplica.

→ In pochi anni la classe dei proprietari terrieri e dei borghesi urbani sono state eliminate, la famiglia patriarcale tradizionale è stata
superata, gli intellettuali sono stati rieducati. Ma sulla rovina dell'antica società non è stata edificata una nuova società: si tratta di un
potere nuovo al quale la linea di massa conferisce un carattere apparentemente meno brutale ma in realtà più vincolante di quello
dell’autoritarismo. Questo potere tuttavia non è soltanto imposto: è stato accettato più o meno volentieri, nella speranza che si
realizzasse finalmente una modernizzazione economica la cui urgenza è evidente a tutti.

Cap. III – LA COSTRUZIONE ECONOMICA: IL PRIMO PIANO QUINQUENNALE

Dopo un periodo di ricostruzione dal 1949 al 1952, la Cina è pronta a impegnarsi sulla via dello sviluppo, sull'esenmpio e con l’aiuto
sovietico. Il primo piano quinquennale (1953-1957) rappresenta il punto di partenza di una costruzione socialista che implica non
soltanto la trasformazione della Cina in una grande potenza industrializzata, ma anche il cambiamento radicale delle strutture di
produzione.

1. La ricostruzione e il lancio del primo piano quinquennale

Il ritorno alla pace permette al nuovo regime di apprivigionare le città, riassettare la produzione nelle campagne, ripristinare i trasporti,
far riprendere l’economia. Pechino prende come modello la pianificazione sovietica per rispondere alla duplice esigenza:
modernizzazione e rivoluzione. Punto di partenza si ha con il Piano Quinquennale del 1953, di cui contenuto si sa poco, il quale si
scontrò subito con degli ostacoli:
. incertezza esito Guerra di Corea
. l’industrializzazine necessita di imprese gigantesche e costose
L’aiuto prestato dai sovietici intermini di trasferimenti tecnologici e scientifici rappresenta un grande contributo; l’attuazione del piano
esige tuttavia una complicata gestione economica. A tal fine imposta un’organizzazione verticale per cui ogni settore viene affidato ad
un ministero appositamente creato.

2. Linea generale dello Stato durante la transizione verso il socialismo


Le nazionalizzazioni nel settore industriale e urbano
All’inizio del primo piano quinquennale il settore industriale privato era già molto indebolito e il settore nazionalizzato, grazie alle
campagne “Tre contro” e “Cinque contro” è molto progredito; la maggior parte delle imprese di Stato sono poste direttamente sotto
controllo dei ministeri.

La collettivizzazione agraria
Nel 1953 si procede alla collettivizzazione agraria per rispondere alla difficoltà di sfruttamento delle terre, ormai troppo spezzettate in
diverse proprietà e per eliminare l’autoconsumazione che si era sviluppata.
Essa inizialmente fa leva sulla creazione di squadre di aiuto reciprico, che si riunivano stagionalmente, formato da contadini poveri e
medi, nel quale essi mettevano insieme i propri utensili. Successivamente si creano delle cooperative di tipo superiore, o socialiste,
dove l'attrezzatura, il bestiame le terre diventano beni collettivi.
Per finanziare il piano di industrializzazione, i contadini sono costretti a vendere l’eccedenza di grano allo Stato a prezzi fissi; per
placare le proteste il governo lo presenta come sistema di maggior sicurezza per cui in caso di cattivi raccolti sarà lo stesso Stato che
venderà grano a basso prezzo ai contadini.
Tali riforme, da alcuni chiamate Piccolo Balzo in Avanti, furono generalmente impopolari, e condussero a forti resistenze fra i
contadini, costretti a partecipare a riunioni di villaggio di giorni o settimane, finché "volontariamente" non aderissero alla
collettivizzazione. Nonostante le violenze e le sofferenze dalle quali è accompagnata, la collettivizzazione agraria si compie dunque in
Cina con una relativa facilità; essa sempra più vicina alla NEP (1921) che al primo piano quinquennale sovietico.

3. Valutazione dei primi risultati

Alcuni progressi importanti


Il primo piano quinquennale potrebbe apparire come un successo. Il tasso di crescita del prodotto nazionale è aumentato, la
produzione si diversifica con nuove attività (sfruttamento del petrolio, fabbricazione concimi chimici, attrezzature meccaniche). La
raccolta di grano supera gli obiettivi fissati dal piano, il governo intraprendere investimenti realizzati alla costruzione di dighe e canali
per prevenire inondazioni.
Questi successi vengono parzialmente annullati da una crescita demografica che nessuna politica di controllo viene ancora a limitare.

Squilibri economici e inquietudine sociale


L’URSS, avendo a disposizione ampie zone di terra arabile, poteva sacrificare la crescita agricola per quella industriale. La Cina invece,
avendo risorse più limitate, non può adottare la stessa strategia di sviluppo. Scopo principale dell’agricoltura cinese è quello di nutrire
la sua popolazione; numerose inondazioni hanno compromesso i raccolti provocando miserie e panico. Questo costringe il governo ha
lasciare ai contadini la libera disponibilità dei loro surplus; anche in città però diviene difficile la situazione alimentare, dove si assicura
un approvvigionamento a basso costo per i prodotti di base.
La Cina e i cinesi hanno pagato caro il successo del primo piano quinquennale; nascono quindi i primi dubbi e le incertezze
sull'imitazione del modello sovietico.

Cap. IV - PRIMI DUBBI

Quando nel 1956 Nikita Krusciov inizia la destalinizzazione, accusando, in un discorso, Stalin (morto nel 1953) per i crimini commessi, il
PCC viene preso di contropiede. Mao non accetta tali critiche a Stalin il quale, nonostante delle rivergenze, apprezza.
Il Congresso del PCC in reazione riafferma l’unità del PCC: il compromesso con i sovietici è ancora possibile ma ora molto fragile.

1. L'evizione di Gao Gang e Rao Shushi (1954)

Ancora oscuri rimangono i fatti del “caso Gao-Rao”. Gao e Rao sono stati leader durante la guerra civile e dopo la fondazione della
Repubblica Popolare cinese hanno accumulato potere lavorando al comitato centrale e alla commissione di Stato; essi scompaiono
misteriosamente dalla scena politica nello stesso momento. Le dinamiche di queste prime purghe sono ancora misteriose a causa dei
pochi dati disponibili. I testi ufficiale che annunciano la loro destituzione, li accusano di essersi serviti delle strutture regionali di
potere, che controllavano, per imporre i loro punti di vista.

2. L’instabile fazionalismo degli anni 1955-1956

Negli anni ’50 compaiono nel PCC numerose fazioni, le quali non sono ancora gruppi chiusi, ma dinamici. Come mai si arriva a tale
fazionismo?

Il dibattito sulla collettivizzazione rurale


La crisi data dal cattivo raccolto e le difficoltà di rifornimento dell’inverno del 1954 mette in contrapposizione diverse fazioni le quali
vorrebbero porvi rimedio con diversi mezzi. Mao raccomanda l’accelerazione della collettivizzazione delle campagne per ottenere un
sicuro aumento della produzione, ma non tutti i dirigenti sono d’accordo, mostrando di voler tenere più prudenza. Nel dibattito
prevale comunque Mao e si approva il suo progetto.
Nel 1956 Mao lancia il Piano Dodecennale per lo sviluppo delle produzioni agricole (che sostituisce il Primo Piano Quinquennale) con
l’obbiettivo di aumentare la produzione del 150%; la superficie coltivabile viene aumentata e migliorati i metodi lavorativi.
Ma nello stesso anno l’opposizione della maggioranza pone fine all’esperimento e richiama alla prudenza.
Inizia ora la lotta fra le due linee del PCC. Tuttavia nessuno può opporsi apertamente a Mao; dunque fin dal principio, il gioco della
fazioni è dunque dominato dall’orientamento e iniziative maoiste.

Le iniziative di Mao: dal «Problema della cooperazione agricola» (1955) ai «Dieci grandi rapporti» (1956)
Dal 1949 Mao non aveva ancora svolto un ruolo diretto nelle decisioni; nel 1955 invece, con due discorsi sul “Problema della
cooperazione agricola” e sui “10 grandi rapporti”, Mao pone l’attenzione sull’agricoltura e sull’industria leggera, più redditizie, ed
esorta a riabilitare le zone costiere, esortando il PCC a sviluppare il lavoro del fronte unito.
[Mao è radicale quando esalta l’accellerazione della collettivizzazione, utopista per il piano decennale, tirannico per l’esecuzione di
questo piano].

Schieramenti instabili
Mao “scavalca” il gioco delle fazioni aggirando l’apparato stesso, convocando sessioni straorinarie nelle quale ottiene l’approvazione
che gli verrebbe negata nelle stanze regolari del partito e dal governo.
Il gioco delle fazioni non risulta comunque ancora molto chiaro e stabile; certo è che si può già iniziare a distinguere una fazione
moderata, composta essenzialmente dai responsabili della gestione economica e di un gruppo radicale che riunisce intorno a Mao
Zadong (+Liu Shaoqi, Deng Xiaping) coloro che vigilano sulla organizzazione del Partito. Ma questi schieramenti non hanno nessuna
rigidità, lo stesso Mao Zadong poteva, occasionalmente schierarsi dalla parte dei suoi oppositori. È proprio ciò che è costretto a fare in
occasione dell'VIII congresso del Partito.

3. Il fragile compromesso dell'VIII congresso del Partito (1956)

L'VIII congresso del 1956 segna una svolta importante nella storia del PCC e della Repubblica popolare.
Mao apre il Congresso con un discorso dove invita a “unire tutto il Partito, unire tutte le forze interne (anche le elitè non comuniste)
per costruire insieme una grande Cina socialista”, anche in reazione alla paura scaturita dagli eventi del 1956 in Ungheria e Polonia.
Argomenti del congresso:
. si riconosce il successo del regime nei suoi primi anni nella ricostruzione politica ed economica del paese, nel progresso
dell'industrializzazione e nell’attuazione della collettivizzazione
. si riduce il ruolo di Mao nella direazione e si eliminano i suoi pensieri dagli statuti i quali, nel 1945, erano stati messi sullo stesso
livello dei principi marxisti – leninisti
. si ridefiniscono i nuovi orientamenti economici, dopo le critiche al primo piano quinquennale
. si stabilisce che la maggior contraddizione ora in Cina non era fra borghesi e contadini ma fra il bisogno del popolo, il bisogno di
uno sviluppo economico e culturale in contraddizione con le risorse attualmente disponibili
. ci si oppone al culto della personalità
. si cerca di rinsaldare il rapporto fra PCC e masse per prevenire esplosioni simili a quelle che hanno scosso la Polonia e l'Ungheria
Tali provvedimenti, se pur approvati da Mao, vengono sembrano rappresentare un “tradimento” verso di lui.
Gli attacchi di Krusciov a Stalin, la conseguente campagna scatenatasi contro il culto della personalità, la limitazione del piano
decennale di Mao e le accuse a lui rivolte di “impulsiità e avventurismo”, lo costrinsero alla difensiva; i suoi dirigenti si affrettarono a
sottolineare le differenze fra Mao e Stalin, e Mao fu costretto a fare concessioni nel VII Congresso.
Mentre per Mao il problema principale da eliminare è il burocratismo, per Liu Shaoqi la contraddizione principale attuale è la
contrapposizione tra il sistema sociale ormai avanzato e i mezzi di produzione arretrati, per cui dunque bisogna primariamente
sviluppare e modernizzare la produzione. Mao non riesce a far passare la sua idea, mentre viene approvata quella di Zhou Enlai, il
quale presenta anche un “Rapporto sul secondo piano quinquennale” nella quale rifiuta qualsiasi strategia di Balzo in Avanti e sostiene
un ritmo ragionevole di sviluppo (scacco per Mao).

Il disgelo cinese ha inizio. Viene attuata una politica di apertura che permette ai contadini ricchi, agli ex proprietari terrieri e agli ex-
borghesi urbani di unirsi alle cooperative dalle quali prima erano esclusi. Questo viene fatto tenendo conto della situazione interna;
infatti per attuare una ricostruzione interna è necessario l’aiuto e le risorse di tutti.
Altro passo in questo disgelo si ha da parte di Zhou Enlai il quale decide di lasciare maggiore libertà, creatività e tempo lavorativo agli
studiosi, scrittori e scienzati. Sulla stessa onda, anche in come conseguenza alla destalinizzazione, Mao, nello stesso anno (1956),
annuncia la Campagna dei Cento Fiori (“lasciate che 100 fiori sboccino, che 100 scuole gareggino”) - campagna di liberalizzazione -
volta a promuovere lo sviluppo dell’arte, del progresso delle scienze e per dare stimolo allo sviluppo di una cultura socialista in Cina
ma che il realtà aveva come scopo principale quello di garantirsi una maggior legittimazione chiamando tutti i cinesi a partecipare allo
sviluppo economico.

4. La campagna dei Cento Fiori e la fine del consenso sociale

Tuttavia, soltanto nel 1957 la Campagna di liberalizzazione dei Cento Fiori annunciata nel 1956, assume il carattere di un vero proprio
movimento di massa.

Il lancio della campagna e «La giusta soluzione alle contraddizioni all'interno del popolo»
Non tutti i quadri sono d’accordo con la politica di liberalizzazione (a scopo di migliorare la relazione tra il potere e le masse in reazione
agli scontri in Ungheria e Polonia) lanciata dal Partito perché, costringendo quest’ulitmo a maggiore flessibilità e moderazione del
potere, temevano un indebolimento della sua autorità.
È allora che Mao Zedong interviene per giustificare questa liberalizzazione, tramite un discorso “sulla giusta soluzione alle
contraddizioni all'interno del popolo”; qui Mao sottolinea che le contraddizioni presenti all’interno del popolo sono secondarie rispetto
a quelle proletariato-borghesia / socialismo-capitalismo / popoli colonizzati-imperialismo. Queste contraddizioni principali devono
essere risolte con la forza; le contraddizioni nate invece fra il Partito e le masse devono invece essere risolte con la concentrazione, la
critica e l’autocritica, senza rcorrere alla forza. Tali contraddizioni secondarie non nascono da imperfezioni nei rapporti di produzione
ma dalle variazioni (soggettivismo, dogmatismo e burocratismo) dell’apparato digerente. Per superare queste contraddizioni, è
opportuno rettificare lo stile di lavoro del Partito.

La società cinese all'epoca dei Cento Fiori


Quale era la situazione nel 1957? I contadini aveano molte incertezze, tra gli operai c’è malcontento, tra gli studenti e fra gli
intellettuali c’è diffidenza e risentimento verso il regime. Molti contadini dipendono ancora, per la loro sussistenza, dalle assegnazioni
di grano effettuate dallo Stato; si moltiplicano le spartizioni selvagge del grano rubato. Non si verificano rivolte, ma un'agitazione e
delle violenze sporadiche che il governo cerca di arginare; questo non minaccia il regime ma esprime il malcontento e l'ostilità della
popolazione contadina verso i quadri locali.
Anche in città ci sono disagi; la durata degli apprendistati aumenta, i salari diventano più magri e l’insegnamento universitario subisce
palesi pressioni ideologiche.
Le maggiori libertà annunciate da Zhou Enlai e il discorso di Mao sui “Cento fiori” rassicurano alcuni giovani scrittori, convincendoli ad
esprimersi; essi allora denunciano le manchevolezze del regime, insorgono contro il controllo burocratco imposto sulle attività
creative. Ma la maggior parte dei vecchi scrittori, più prudenti, rimange silenziosa. Essi avranno ragione; infatti presto infuria una
critica contro le pubblicazioni dei giovani scrittori. Così, mentre nel 1957 il Partito rilancia la politica di liberalizzazione, gli ambienti
intellettuali hanno perduto ogni fiducia nelle promesse dei dirigenti.

Inoltre, nello stesso anno, viene lanciata la “Campagna di rettifica liberista” contro il burocratismo, il settarismo e il soggettivismo,
basata sugli ultimi discorsi di Mao Tse-tung; essa afferma che il paese è entrato in un nuovo periodo, nel quale si presentano nuove
situazioni e nuovi compiti. Per dirigere la trasformazione della società e la costruzione di un grande paese socialista, il partito
comunista e la classe operaia devono trasformare anche se stessi. Anche i non comunisti sono inviati a partecipare.

L'esplosione contestataria e la repressione antidestrista


In reazione, personalità democratiche si mettono subito alla testa della contestazione - legandosi al malcontendo dei contadini - i
quali, diversamente dalle attese di Mao, non si accontentano di attaccare lo stile di lavoro dei comunisti: se la prendono con la natura
e il ruolo stesso del Partito, denunciano la sua struttura monopolistica, gli studenti - ispirati dagli avvenimenti della Polonia e
dell'Ungheria - mettono in discussione il sistema dello Stato, i giornali reclamano la libertà di stampa.
La situazione è ormai sfuggita di mano. Mao decise allora di dichiarare conclusa l'esperienza della Campagna dei cento fiori (1957) e ha
inizio la campagna di repressione, la cosiddetta Campagna Antidestra. Il regime attua delle vere e proprie purghe. Centinaia di migliaia
di persone sono mandate in campagna, alcuni nei campi di rieducazione (soprattutto vecchi scrittori); il Partito si impossessa della
direzione di riviste e dei giornali e attua un controllo più stretto sull'ambiente studentesco.

5. Potere e società: letture della crisi del 1957

La campagna dei “Centro fiori” ha avuto principalmente ripercussioni politiche: lotta funzonale all’interno del PCC, scontro ideologico e
strategia burocratica. In quel periodo la Cina soffriva anche di molte difficoltà economiche (contadini che non consegnano le
obbligatorie derrate dei propri raccolti) le quali fanno aumentare i disordini fra il 1956 e il 1957.
La crisi sociale apparve tuttavia come una conseguenza, piuttosto che come una causa, della crisi politica. Per alcuni studiosi queste
crisi periodiche sono legate agli scontri continui fra tentativi utopistici di trasformazione accelerata della società e del sistema di
produzione, con i vincoli strutturali presenti nel paese. Anche se l'episodio dei “Cento Fiori” assomiglierà alle crisi successive, conserva
comunque una sua particolarità; la sua conclusione tragica ha dissipato le illusioni di tutti coloro che avevano creduto all'unione
nazionale e che si erano costruiti l'immagine di un Mao Zadong liberale.

Cap. V – LA VIA CINESE: IL GRANDE BALZO IN AVANTI E LA ROTTURA CINO-SOVIETICA

Nel 1958-1959 la Cina adotta una nuova politica economica, in reazione al conflitto che la vede contrapporsi all’URSS circa la
destalinizzazione, il rifiuto della coesistenza pacfica, la direzione in campo socialista. Con la nuova strategia di sviluppo, il Grande Balzo
in avanti, la Cina spera di recuperare le difficoltà economiche apparse alla fine della transizione del regime verso il socialismo e di
trovare la via per impiantare una società comunista. Tali ambizioni però aggraveranno la rottura cino-sovietica, in quanto la Cina,
intraprendendo una via diversa verso il socialismo, attacca il monopolio sovietico (anche se di fatto rimandno attuati molti elementi
del modello sovietico). In reazione l’URSS interrompe gli aiuti ecoomici, ritira i suoi tecnici e denuncia gli accordi di assistenza. Questa
rottura pesa tutt’oggi sulle relazioni internazionali; essa infatti, al di la dell’aspetto ideologico, è legata a divergenze legate a fattori
geopolitici permanenti.
[*Il Grande balzo in avanti  fu il piano economico e sociale praticato dalla Repubblica Popolare Cinesedal 1958 al 1960, che si propose
di mobilitare la vasta popolazione cinese per riformare rapidamente il paese, trasformando il sistema economico rurale, fino ad allora
basato sull'agricoltura, in una moderna e industrializzata società comunista caratterizzata anche dalla collettivizzazione.
Il Grande balzo si rivelò tuttavia un disastro economico tale da condizionare la crescita del paese per diversi anni. Storicamente, è
considerato dalla maggior parte degli autori come la principale causa della gravissima carestia del 1960 in cui morirono da 14 a 43
milioni di persone.]

1. Una nuova strategia di sviluppo: il Grande Balzo in avanti

Utopia e pragmatismo
Il secondo piano quinquennale non viene mai attuato (1958-1962). In compenso, nel 1958 viene preparato Grande Balzo in Avanti
(riprendendo alcune caratteristiche del piano dodecennale del 1956), il quale presenza obbiettivi ambiziosi: una raccolta di 450 milioni
di tonnellate di cereali, l'aumento di produzione e della qualità in tutti i settori. Si sperava così di poter superare l'Inghilterra in 15 anni,
facendo appello allo sforzo della massa. Oltre a obbiettivi economici, ne prevedeva anche altri di tipo sociale.
Molti lo condanneranno, dopo il suo fallimento, come un’utopia omicida.

Attuazione della nuova strategia economica, 1957-1958


Seppur divisi sulla Campagna dei 100 fiori, Zadong e Liu Shaoqi, entrambi scettici sull’idoneità del modello sovietico, sono d’accordo
sulla necessità di un cambiamento della politica economica in Cina. Forte dibattito si ha circa il decentramento o meno della gestione
economica; Mao Zadong, sperando di indebolire i pianificatori del governo centrale e sperando di rafforzare i quadri locali sottomessi
alla sua influenza, spinge per un netto decentramento e il trasferimento delle responsabilità delle autorità provinciali.
Viene dunque attuato un sistema di direzione “centrale-regionale” (come lo è ora); viene affidato alle autorità provinciali il controllo
sull'industria dei beni di consumo e sulle imprese importanti, le quale potranno ora conservare una parte dei profitti delle imprese di
Stato e ottenere un’indipendenza finanziaria.
La preparazione dell’attauzione del Grande Balzo in Avanti continua anche in una campagna di mobilitazione ideologica. Deng Xiaoping
lancia l'idea di un movimento per l'educazione socialista nelle campagne. I contadini ricchi, accusati di tendenze capitalistiche, sono
perseguitati.
Nel 1958 viene così adottata la linea generale per la costruzione del socialismo; la politica del Grande balzo non incontra più nessuna
opposizione. Compaiono le prime comuni popolari (riferimento alla Comune di Parigi), ovvero unità sociali di base, comprendenti tutte
le attività: agricoltura, industria, commercio educazione e addestramento militare. Si avvia un nuovo modello di vita comunitaria grazie
all'apertura di mense, giardini d'infanzia, sartorie e case di riposo.

Dall' «alta marea» del socialismo (1958) al suo consolidamento (1958-1959)


La relativa flessibilità del Primo Piano Quinquennale della produzione agricola scompare con il Grande balzo. I mercati liberi sono
soppressi, così come i campicelli privati. Effettuato senza aver raggiunto alcun processo tecnologico riespetto al passato, questo
duplice balzo nell'agricoltura e nell'industria sottopone la manodopera a una dura prova. Si lavora giorno e notte.
Per inculcare bene la nuova moralità, il sistema di educazione viene profondamente riformato; viene inserito un nuovo sistema misto
di studio e lavoro. Per dare più sicurezza al paese, Mao Zadong attua l'arruolamento di massa che fa aumentare molto l’esercito.

In un plenum del comitato centrale nel 1958, il suo primo viceministro, critica gli effetti del decentramento mal controllato sullo
sviluppo industriale, denuncia il particolarismo provinciale e lo spreco degli investimenti extrabilancio; sottolinea la necessità delle
priorità nazionali, delle azioni coordinate e di una direzione unificata. Mao Zadong aderisce a queste posizioni conservatrici.
Nel 1959 Liu Shaoqi sostituisce Mao Zedong come presidente della Repubblica; questo sembra dover scongiurare gli ultimi demoni
dell'avventurismo. Liu Shaoqi si mette capo di una Cina in via di pacificazione e della costruzione socialista; nessuno allora sembra
prevedere il rapido deterioramento dei rapporti cino-sovietici.

3. Deterioramento delle relazioni cino-sovietiche (1956-1959)

Sono i fattori geo-politici che rendono grave e duraturo il conflitto cino-sovietico, iniziato nel 1949 e ravvivato nel 1956.
Cause: . volontà sovietica di integrare le zone circostanti nel suo impero di sviluppo economico
. difficoltà di collocare la Cina in rapporto con l’URSS: è una nazione-continente, troppo vasta per essere un satellite; troppo
povera, troppo debole e arrivata troppo tardi alla rivoluzione per essere riconosciuta come partner di uguale rango

!!!!!!!!!

La morte di Stalin (1953), che disprezzava e temeva i cinesi, apre un breve periodo di buone relazioni URSS e Cina. Paradossalmente
però, proprio la destalinizzazione nascono però le prime difficoltà, specialmente dopo le iniziative di Kruscev che sfociano nel 1959,
nella rotura, apertamente consulmata nel 1960.

La fioritura dell'alleanza
La morte di Stalin, nel 1953, fa migliorare i rapporti fra l’URSS e la Cina. Vengono eliminati gli ultimi elementi dei trattati ineguali:
. la base di Port Arthur ritorna alla Cina
. una ferrovia collega il Turchestan cinese e il Turchestan russo
. accordo di cooperazione per l'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare
La solidarietà cino-sovietica si consolida durante la Guerra di Corea e si mantiene dopo l’armistizio di Panmunjon. Questa solidarietà
tuttavia non impedisce alla Cina di perseguire una sua politica estera originale; essa riesce a dare di sé l’immagine di una potenza
insieme rivoluzionaria e ragionevole, pacifica (accetta “non ingerenza” verso i paesi dell’Asia Meridionale). Il ritorno spettacolare della
Cina sulla scena internazionale si ha nella Conferenza di Ginevra del 1954, dove Zhou Enlai si propone come difensore della pace in
Asia. Nella Conferenza di Bandung del 1955 il ruolo di Zhou Enlai  fu rilevante, poiché la Cina dettò l'agenda di questi incontri. Gli
obiettivi prioritari furono: fine del colonialismo, tutela della pace, volontà di sottrarsi dalla politica dei blocchi.
Sempre nel 1955 la Cina non aderisce al Patto di Varsavia, per garantire la difesa dell'est europeo, volendo conservare una certa
autonomia nella politica estera derivata dall'esperienza dell'umiliazione coloniale.

Le esitazioni cinesi di fronte alla destalinizzazione (1956-1957)


La morte di Stalin (1953), diffidente nei confronti dei cinesi, permette la nascita di una buona relazione cino-sovietica.
Tuttavia, poco dopo, nel 1956, Krusciov tiene un discorso con cui avvia la destalinizzazione, in cui:
. denuncia Stalin e il culto della personalità
. sostiene il principio della coesistenza pacifica fra i due blocchi
. sostiene la possibilità di un passaggio non violento al socialismo
I cinesi, i quali avevano legato le vittorie del socialismo a Stalin, interpretano questo discorso di respingimento di Stalin come una
messa in discussione della validità dell’ideologia socialista. Inoltre essi, pur denunciando alcuni suoi gravi errori (repressione
generalizzata, poca vigilanza verso la Germania nel 1940, sfruttamento dei contadini), sostengono che Stalin abbia dato un enorme
contributo alla causa del marxismo-leninismo. È chiaro che, prendendo le difese di Stalin, i dirigenti cinesi vogliono proteggere Mao
Zadong e il loro regime dalle critiche.

La Cina, pur comprendendole rivendicazioni dei partiti comunisti europei che reclamano l’indipendenza naizonale, da precedenza alla
difesa e all’unità del blocco comunista. Dunque, quando nel 1956 Naghy annuncia che l’Ungheria vuole ritirarsi dal Patto di Varsavia, la
Cina appoggia l’intervento sovietico di repressione. Allo stesso modo, la Cina sostiene l’URSS quando essa si schiera contro lo jugoslavo
Tito.

Il fallimento della Cina nella sua politica di apertura in direzione di Taiwan con gli Usa, la mette in contrapposizione con l’URSS circa
l’atteggiamento da tenere verso l’imperialismo, ovvero contro gli Stati Uniti. I sovietici sono spaventati dalla leggerezza con cui Mao
immagina la scomparsa della metà del genere umano in seguito ad una guerra nucleare; per loro l’avvento delle armi nucleari,
contando la loro potenza distruttiva, deve portare ad una distensione est-ovest, dove gli Usa e l’URSS cooperano per il mantenimento
della pace mondiale. Dunque, il punto che più la Cina mette in discussione, è della coesistenza pacifica; questo sembra paradossale in
quanto, da dopo la Conferenza di Bandung, la Cina stessa la persegue.

Nonostante le diverse ideologie, il compromesso è ancora possibile durante la Conferenza di Mosca del 1957 (fra i vari partiti
comunisti), quando viene stipulato un accordo segreto per la difesa in cui l'URSS si impegna ad aiutare la Cina ad acquistare le
conoscenze scientifiche e tecnologiche necessarie alla creazione di un armamento nucleare.

Dal conflitto tra partiti al conflitto tra Stati, 1958-1959


La Crisi dello stretto di Taiwan del 1958 alimenta l’antagonismo cino-sovietico. La Cina prova a riconquistare Taiwan; gli Usa
appoggiano militarmente Chiang Kai-Sheck e l’URSS di Kruscev non manda aiuti alla Cina (se non una lettera rivolta ad Eisenhower).
Dunque, la Cina non riesce a riconquistare Taiwan e la rottura con l’URSS è ormai inevitabile.

4. La crisi di Lushan (1959) e la rottura con l'Unione Sovietica (1960)

Nel 1959 si tiene un plenum del Comitato Centrale a Lushan, nel quale Mao abbatte coloro che cercano di critcarlo, imponendo il
silenzio degli alti dirigenti. Da questo momento in poi, nessuno riuscirà ad impedire che gli eccessi di Mao si trasformino in catastrofi
sempre più gravi. Mao infatti rilancia una poltica di Grande Balzo, i cui pericoli erano già stati denunciati da tutti e da lui stesso. La crisi
di Lushan sfocia con la rottura con l’URSS e l’isolamento diplomatico cinese.

Lo scontro tra Peng Dehuai e Mao Zedong


Circa la politica del Grande Balzo in avanti del 1956, il quale mira a ricentralizzare i sistemi economici ed assicurare la più varia e
migliore qualità, si acuiscono i rapporti fra Mao e il ministro della difesa Peng Dehuai. Mao diffida di Peng e frena la sua ascesa nella
gerarchia del PCC, favorendo al contrario, Lin Biao. Il conflitto fra i due scoppia quando Peng scrive una lettera dove critica la
produzione di acciaio e denuncia le falsificazioni di statistiche, dichiarandone Mao il responsabile. Peng gode di pochi appoggi in
politica ma ha il sostegno dei capi militari; tuttavia, le coincidenze fra gli sviluppi della situazione internazionale (gli attacchi di Kruscev
contro le comuni popolari) e le critiche di Peng, permettono a Mao di far aleggiare il dubbio di collusione. Peng decade da ministro
della difesa e viene condannato a morte; Lin Biao prende il suo posto.

Politicizzazione dell'esercito e rilancio del Grande Balzo


Lin Biao, austero e riservato, non gode sicuramente della fama di Peng. Tuttavia Mao conta su di lui per ricondurre l'esercito sulla via
dello zelo rivoluzionario.
Nel 1960 viene lanciato il “Nuovo Grande balzo”; viene mobilitata la manodopera femminile. Ma il catastrofico raccolto dell'estate e il
ritiro contemporaneo degli esperti sovietici segnala la fine del Grande balzo.

La rottura cino-sovietica
Tra il 1959 e il 1960, il confronto fra la Cina e l’URSS conduce alla rottura aperta. Il nazionalismo cinese si scontra con la volontà
sovietia di rimanere la guida incontrastata nel campo socialista. I cinesi rimproverano all’URSS di non averli appoggiati durante gli
incidenti di frontiera cino-indiani e durante la crisi di Taiwan. Le esortazioni di Kruscev rivolte ai cinesi di ricercare una soluzione
pacifica per la questione di Taiwan aderendo allo spirito di Camp David, suscita irritazione in Cina.

L’URSS ritira i suoi esperti dalla Cina e interrompono le attività di cooperazione tecnica e scientifica in corso (iniziate soprattto da dopo
la Conferenza di Mosca del 1957), intralciando lo sviluppo dell’economia cinese. I due ex-alleati si sentono entrambi offesi; ognuno ha
la sensazione di essere tradito dall’altro.

Il nuovo Grande Balzo in avanti e la rottura cino-sovietica introducono nella vita politica cinese temi nuovi e strategie inedite, che
conosceranno il loro pieno sviluppo nel corso della rivoluzione culturale.

Cap. VI – IL PARTITO CONTRO MAO (1960-1965)

Il nuovo Grande Balzo in avanti si conclude nel 1960 con una catastrofe, che costa la vita a 13milioni di uomini e ritarda di un
decennio lo sviluppo della Cina. Il PCC tuttavia non riconosce pubblicamente i suoi errori; il bilancio da esso redatto nel 1961 pubblica
addirittura i successi riportati nel campo industriale e Mao non è oggetto ad alcuna critica.
Tuttavia, Mao nel 1959 si ritra dalla scena politica, lasciando il posto di presidente a Liu Shaoqui. È quest’ultimo, insieme a Deng
Xiaping, Zhou Enlai e Chen Yun, che dovranno rimediare alla situazione; essi adotteranno una politica pragmatica e relativamente
liberale. La ripresa della produzione viene accompagnata da un ritorno alle antiche pratiche: imprese private, speculazione e
corruzione, che la rivoluzione aveva cercato di eliminare.
Mao Zedong si dedicherà dunque a lanciare il movimento di educazione socialista – rivoluzione culturale.

1. Gli anni neri, 1959-1961


La crisi di sussistenza
Solo nel 1980 vengono alla luce i veri dati, inizialmente masherati, provocati dal nuovo Grande Balzo in Avanti.
Nel 1960 si ebbe un disastroso raccolto; si ebbe un declino sia dei consumi che della produzione. All’epoca i dirigenti cinesi ne
attribuirono la responsabilità alle cattive condizioni climatiche (effettivamente esistenti) ma anche la mancanza di vigilanza del governo
ha anch’essa una grave colpa. Il numero delle vittime di questa politica supera, quello delle carestie della fine del XIX sec e della metà
del XX sec.

La crisi industriale
La produzione industriale è di certo aumentata (industria pesante aumenta del 230%), ma i suoi progressi sono costati moltissimo al
paese. Essi infatti non dipendono da un aumento della produttività ma da una forte concentrazone di capitali e manodopera.
Gli economisti oggi dipingono il Grande Balzo come un grande balzo indietro.

2. La censura intellettuale o la «piccola primavera di Pechino» (1961-1962)

Molti sono coloro fra dirigenti, scrittori, intellettuali e pubblicisti (molti appartenenti al PCC) che condannano Mao per il suo abuso di
potere, le ingiustizie commesse verso Peng e la politica omicida del nuovo Grande Balzo. Essi criticano in modo indiretto, ricorrendo ad
allusioni storiche. Nel 1961 viene creata una Commissione di indagine con lo scopo di informarsi sulla politica applicata durante il
Grande Balzo e mettere in evidenza le responsabilità di Mao (Piccola Primavera di Pechino).

3. Il riaggiustamento dell’economia (1961-1965)

L’imminenza di una catastrofe è chiara e i responsabili dell’economia convincono Mao che è necessario un ripiegamento generale. Nel
1960 viene dunque applicata una politica di liberalizzazione, ovvero le “Dodici misure urgenti”, la quale mira a rilanciare la
produzione agricola per tirare fuori il paese dalla crisi. L’agricoltura (a differenza del Grande Balzo dove aveva priorità) diviene la base
dell’economia, riacquistando priorità rispetto all’industria; si restituisce ai contadini libertà e incentivi per mobilitare il loro entusiasmo
e si tenta di tornare al centralismo burocratico. La ripresa si avvia dal 1962. Il governo moltiplica gli investimenti agricoli; ettrificazione
rurale e pompe per l'irrigazione. I settori industriali più favoriti sono quelli che agevolano l'agricoltura: costruzione delle macchine
agricole e fabbricazione di concimi chimici.
Nelle campagne, il ripristino delle libertà - possibilità di coltivare campicelli privati - viene interpretato in modo molto più ampio di
quanto non sia autorizzato dai testi ufficiali; i contadini si disinteressano dunque delle terre collettive per dedicarsi al prorio campicello
e in molte province si ritorna alla produzione familiare.
Tuttavia l’aumento della produzione non è ancora sufficiente per coprire tutti i bisogni della Cina la quale è costretta ad aumentare gli
scambi con l’estero; principali partner sono il Giappone e l’Europa Occidentale (calo del 70% con l’URSS).
Il matrimonio torna ad essere oggetto di transizione finanziaria. La classe dei dirigenti tende a trasformarsi in casta privilegiata.
La difficoltà degli esami universitari non permette ai ragazzi cresciuti in ambienti popolari di accedere all’istruzione; la gioventù
contadina disoccupata bazzica nei parchi pubblici e si compiace di adottare i modi di vestire occidentali. Per molti dirigenti, queste
pratiche devianti rappresentano un grave fattore negativo non tollerabile. Rassicurato dal miglioramento economico e irritato dalle
“pratihe perverse” sul piano sociale e ideologico, Mao lancia un ammonimento a non dimenticare la lotta di classe, a respingere le
influenze capitalistiche e borghesi. Dopo manifestate critiche, le soluzioni di Mao vengono adottate senza modifica; questo consenso,
dato solo per evitare un conflitto aperto con Mao, sorprende ma non provoca illusioni.

4.Il Movimento per l'educazione socialista (1962-1965)

Il Movimento per l’educazione socialista lanciato nel 1962 precede e prepara la rivoluzione culturale. In esso si ripresentano tutti i
temi maoisti:
. controllo del partito da parte delle masse
. soppressione delle gerarchie
. connessione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale
. riaccendere l’ardore rivoluzionario delle masse.
I dirigenti del PCC temono nuovi conflitti sociali nelle campagne; Mao si sforza inutilmente di raddrizzare l’iniziativa emanando nel
1964 una direttiva di cui punti sono: conta dei punti-lavoro in funzione dell’attivismo politico e non del lavoro fornito, e avvio di lavori
d’irrigazione e miglioramento del terreno mobilitando le proprie risorse senza richiedere contributi statali.
Un “movimento di rettifica” tentato dai suoi avversari, fallisce e spinge Mao ad allargare la propria offensiva.
Mao non se la prende più con i soli quadri locali, ma con persone inserite nel Partito, che invocano la via del capitalismo. Primo segno
di questa lotta di idee e di influenza è la riforma dell’Opera di Pechino; le opere tradizionali di contenuto storico vengono sostituite con
opere rivoluzionarie.
I busti e i ritratti del presidente Mao diventano onnipresenti come un tempo quelli di Stalin nell'Urss. Ma i semi fallimenti del
movimento per l'educazione socialista (concluso nel 1965) mette in risalto l'isolamento di Mao Zadong e la sua relativa debolezza. Egli
decide allora di passare alla guerra aperta e di lanciare la Rivoluzione culturale nel 1966.

PARTE SECONDA: LA FUGA NELL’UTOPIA (1966-1976)


Cap. VII – LA RIVOLUZIONE CULTURALE (1965-1969)

La Rivoluzione culturale dura dal 1966 al 1976 e si conclude solo con la morte di Mao. Essa è un fenomeno così complesso e
discontinuo che è molto difficile ricostruirne la storia. Dopo essere esaltata dai maoisti come fonte di legittimità, essa viene
condannata dai successori di Mao come causa di tutti i fallimenti e mali del regime.
Apparentemente la Rivoluzione culturale appare una lotta al potere; Mao vuole eliminare ogni opposizione alla sua politica e lo fa
distruggendo il partito stesso (veterani del PCC imprigionati o uccisi).
[* La Grande rivoluzione culturale ploretaria è una campagna politica cinese, lanciata da Mao il quale voleva rafforzare la sua
autorità all’interno PCC, indebolitasi in seguito al fallimento della politica del Grande balzo in avanti, e frenare il riformismo promosso
dai pragmatici Deng Xiaoping e Liu Shaoqi. Personaggi importanti del PCC furono accusati di minare lo spirito della rivoluzione
proletaria, costretti alle dimissioni e a trasferirsi – soprattutto gli intellettuali – nelle campagne più remote per essere rieducati. Le
distruzioni delle Guardie rosse incitarono i rivali di Mao a organizzare propri eserciti per proteggersi. Lo scoppio di una guerra civile fu
evitato grazie allo sviluppo di Comitati rivoluzionari (1968), al ridimensionamento delle Guardie rosse, costrette a rientrare nelle
scuole. La fine della fase attiva della rivoluzione fu sancita nel 1969, quando Lin Biao viene eletto come successore di Mao. In realtà, la
fine della Rivoluzione avviene secondo molti critici solo dopo la morte di Mao e l’arresto della «Banda dei quattro» nel 1976.]

1. L'attacco contro l'ordine stabilito (1965-1966)

Mao scatena un’offensiva contro gli ambienti letterari di Pechino che si estende poi a strati sempre più vasti della società. Nel 1966
aumentano le violenze nelle università, le quali culminano con la mobilitazione di milioni di guardie rosse che, impugnando il libretto
rosso della rivoluzione di Mao, si impossessano delle città e si accaniscono contro persone o cose vecchie che testimoniano i tempi
passati.
È in questi mesi che si ha un ribaltamento di forza fra Mao e i suoi avversari; quest’ultimi oppongono stranamente (era in gioco il
paese e il loro ruolo) solo una flebile resistenza e Mao prevale.

I prodromi letterari e culturali (1965-1966)


La Rivoluzione Culturale inizia in modo discreto; nel 1966, durante una conferenza Mao chiede che siano epurati gli ambienti letterari.
Scontratosi con il PCC, Mao cambia tattica; costituisce un “Gruppo della rivoluzione culturale” ai quali affida il compito di far circolare
un testo – le Tesi di Febbraio – dove sono enunciati i principi della rivoluzione.

La rivoluzione nell’università e nelle scuole (1966)


Gli studenti di Pechino sono i primi a seguire l’appello di Mao alla rivolta; iniziano grandi mobilitazioni e violenze nelle università
rivolte contro tutti coloro che detengono qualche tipo di autorità. Liu Shaoqui invia nei campus delle squadre di lavoro di militanti
esperti a svolgere attività di organizzazione politica, sedare le agitazioni e proteggere le organizzazioni di partito sotto il suo controllo.
Esse vennero accusate da Mao di essere state mobilitate da Liu per ostacolare la sua politica, e di aver fatto regnare nelle università 50
giorni di terrore bianco.

L'estate delle guardie rosse (1966)


La carta che contrassegna la Rivoluzione Culturale, la Decisione in 16 punti, ne definise gli obbiettivi:
. rovesciare coloro che nel PCC detengono l’autorità e hanno preso la via del capitalismo
. la rivoluzione, per non intralciare la produzione, deve risparmiare tecnici e scienziati
Gruppi radicali, le guardie rosse, vengono incaricate da Mao di attaccare il Partito e la vecchia società. Le guardie rosse sono composte
principalmente da studenti e sono reclutate su base di buona condotta politica e a volte anche su base sociale. In reazione gli alti
dirigenti costruiscono proprie organizzazioni per difendersi.
Alla fine del 1966 si può considerare che le guardie rose abbiano svolto il loro compito: rovesciare l’ordine stabilito mettendo
sottosopra il vecchio mondo. Tuttavia, lacerato da divisioni interne, il movimento ha perso l’utilità politica per Mao e, a partire dal
1967, vengono prese diverse misure per frenare le guardie rosse.
Mao decide di sbarazzarsi di ciò che rimane dell’apparato dirigente del PCC e del goerno, accelerando la Rivoluzione culturale e
passando alla fase della presa di potere; si appella dunque alle nuove forze: classe operaia e esercito.

2. La presa di potere rivoluzionaria (1967)

Nel 1966 si apre un nuovo periodo della Rivoluzione Culturale; la lotta diviene più violenta e confusa, estendensi a strati più ampi di
popolazione.

Intervento del proletariato operaio e rivoluzione del 1967 a Shanghai


Mao incarica le guardie rosse di portare la Rivoluzione culturale nelle fabbriche; gli studenti entrano dunque in contatto con gli operai
delle fabbriche, i quali manifestano simili agitazioni. Città cardine della Rivoluzione fu Shangai; qui la lotta operaia si manifesta già
prima dell’arrivo delle guardie rosse ma vede la formazione di diverse fazioni schierate su campi diversi. Qui preso gli scioperi di
carattere economici si moltiplicano immergendo la città in un caos completo. Viene proclamata la Comune di Shangai e istituito un
Comitato Provvisoro di governo in attesa di future elezioni. Ma tale Comune non riceve l’approvazione di Pechino, il quale preferirà i
Comitati rivoluzionari, che sorgeranno nel 1968, in conseguenza ad una triplice alleanza fra esercito, masse e partito (operai e
l'esercito sono indotti a collaborare con gli studenti per ridurne l'autonomia).

L'appello all'esercito
Mao dunque conta sull’esercito per completare l’opera di distruzione/rinnovamento che le guardie rosse hanno iniziato, ma che la
loro mancanza di disciplina, ha impedito di completare. Tramite una direttiva Mao incarica l’APL di: proteggere i servizi vitali
prendendo il controllo degli edifici pubblici, delle unità di amministrazione e produzione, “sostenere la sinistra” ovvero identificare tra
le fazioni rivali i rivoluzionari veri e aiutarli a prendere il potere eliminando i nemici.
Tuttavia l’esercito si dimostra incapace di svolgere tali compiti a causa delle divisioni interne (coloro che vogliono il rafforzamento del
ruolo specificamente militare e coloro che vogliono uno sviluppo rivoluzionario dell’APL) e alla difficoltà nel riconoscere le fazioni da
appoggiare e quelle da contrastare.
I rivoluzionari però riprendono le loro attvià schierandosi contro il partito e l'esercito, assalendo le unità di produzione o di
amministrazione poste sotto il loro controllo. Mao divulga direttive contraddittorie, facendo aumentare i disordini: inizialmente
impedisce all’esercito di reagire, sostenendo che la rivoluzione spontanea delle masse non debba essere soffocata, ma
successivamente incarica l’esercito di appoggiare le fazioni di sinistra. La situazione peggiora quando i rivoluzionari riescono a rubare
le armi da fuoco; una Commissione d'inchiesta viene così inviata per risolvere i conflitti più gravi.

L'incidente di Wuhan e la fiammata «gauchiste» dell’estate 1967


A Wuhan si accende un’incessante lotta fra ribelli rivoluzionari e conservatori. Approfittando dell’anarchia in cui è sprofondata la Cina,
nel 1967 si sviluppano fiammate gauchiste (ultrasinistra) in tutto il paese, che conducono a nuovi tentativi di presa di potere; l’esercito
diviene bersaglio dei ribelli.
La situazione degenera a Canton e Pechino: Cina rischia di sprofondare nella Guerra Civile. I ribelli rivoluzionari esigono che si
consegnino loro Liu Shaoqi e Deng Xiaoping; se la prendono anche con Zhou Enlai e la sua cerchia.

3. Il ritorno all'ordine (1967-1969)

I gravi disordini in Cina però spaventano; mentre la forza militare si sta indebolendo per distendere i conflitti interni, la minaccia
sovietica alle frontiere Nord-Est si fa sempre più pressante. L’unità nazionale non può venir meno prorio ora.

Denuncia del «gauchisme» e attuazione accelerata dei comitati rivoluzionari


I dirigenti della Rivoluzione Culturale vengono accusati di ultra-gaucismo. L’esercito ritrova il diritto di aprire il fuoco in caso di attacco
da parte dei manifestanti. Tuttavia la pace è ancora lontana.
Il tentativo di ristabilire il controllo, nel 1968 viene organizzata la "Presa del potere" da parte dell’alleanza a tre fra masse, partito e
esercito; i Comitati di Partito devono essere sostituiti con i Comitati Rivoluzionari, controllati da membri delle tre categorie (essi
saranno realmente istituiti solo in quattro province).

Ultimi fuochi della Rivoluzione culturale (1968) e riduzione all'obbedienza delle guardie rosse
I nuovi comitati rivoluzionari vengono visti dai giovani ribelli come una nuova dittatura borghese, in quanto i vecchi quadri continuano
a svolgere una funzione dirigente. Per indebolire le loro organizzazioni di protesta, si obbliga il ritorno degli studenti nelle università e
la ripresa dell'insegnamento. Ma presto (1968) una nuova oscillazione gauchista restituisce speranze ai ribelli rivoluzionari e riaccende
la Guerra civile a Pechino e nelle province (soprattutto nel sud della Cina).
Inizi dunque una campagna di repressione contro le guardie rosse le quali, indebolite, scomparvero; coloro che sfuggono agli arresti e
i massacri sono arruolati nell'APL.

Il IX congresso del Partito (1969): un primo bilancio della Rivoluzione culturale


Dopo la destituzione di Liu Shaoqi (1968) e la sua sostituzione con Lin Biao, il IX Congresso del PCC, nel 1969, pone di fatto termine
alla rivoluzione culturale, registrando il rafforzamento degli esponenti radicali del PCC.
Sotto l'influenza dell'esercito si attua la ricostruzione del Partito, cominciando con la creazione di nuovi organi centrali e nuovi statuti
(riaffermano il ruolo predominante del PCC e reintroducono il pensiero di Mao come fondamento teorico del PCC).
Lin Bao afferma la vittoria della Rivoluzione culturale; in realtà però essa non ha portato a termine alcuni degli scopi fondamentali che
le erano stati assegnati da Mao. Peggio ancora, al posto di successori rivoluzionari e strutture politiche più democratiche, ha prodotto
guardie rosse disperate; ha profondamente e durevolmente straziato la società cinese, alterato l'equilibrio tra il potere centrale e i
poteri locali, fra governanti e governati.

Cap. VIII – LA FINE DELL’ERA MAOISTA (1969-1976)

La Rivoluzione Cuturale lascia un sentimento di odio e rivalsa fra i diversi gruppi che si sono fronteggiati, ora ancor più distanti e
irrigiditi. La società rimana agitata. La Rivoluzione non è riuscita a dar potere alle masse, tuttavia non viene ufficialmente ripudiata: ne
rimette il prestigio di Mao. Solo dopo la morte di Mao, si sbloccherà la situazione ora senza via d’uscita.

1. La crescita del fazionalismo, dal IX congresso (1969) al X congresso (1973)

Fino al X congresso, nonostante le forti divergenze interne, si riesce ancora a mobilitarsi per affrontare i grandi problemi nazionali:
ricostruzione degli organismi politici e amministrativi, sviluppo economico, riorientamento della politica estera verso occidente.
Ma i provvedimenti adottati sono spesso contraddittori.

L'arretramento dei radicali


Il IX congresso sancisce la vittoria di Mao Zadong e nella lotta per il potere. Ma tra le varie forze, l’equilibrio è molto instabile; sinistra
maoista non tarda ad indebolirsi in quanto, al suo interno, Lin Biao si oppone a Mao Zedong circa la politica di avvicinamento agli Stati
Uniti. Nel 1971 scompare Lin Biao morto in un incidente aereo; questo altera l’equilibrio delle forze, danneggiando i radicali e
permette la ricomparsa di vecchie personalità come Deng Xiaoping. Inoltre rimette in discussione il ruolo dell'esercito nella vita politica
(molti capi militari decadono); questo non rappresenta però una vittoria del PCC sull’APL ma solo una redistribuzione di ruoli tra le
diverse reti d'influenza militare.
Abbozzo di una politica di riaggiustamento
Lo sforzo per la ricostruzione continua con difficoltà. Bisogna innanzitutto ripristinare l’apparato politico-amministrativo; si da priorità
alla ricostruzione dei comitati provinciali, condotta grazie al sostegno dell’APL il quale, cumulando il potere di direzione di tali comitati
provinciali con quello dei comitati rivoluzionari, ha tra in mano sia potere del PCC sia potere dello Stato. La loro disciplina politica e la
fedeltà al regime impediscono però all’APL di trasformare tale potere in una dittatura militare.

In campo economico, viene attuato il “Movimento di imitazione di Dazhai” il quale incoraggia i contadini a fare sacrifici e praticare
attivismo politico seguendo l’esempio degli agricoltori di Danzhai, i quali hanno distribuito in modo egualitario il razionamento e la
rotazione dei campicelli privati. Questa riorganizzazione provoca però malcontento in alcune zone; di conseguenza nel 1971 questo
sistema viene abbandonato e si pensa di tornare alla collettivizzazione di 3/4 famiglie.

Il sistema educativo viene riesaminato. Nel campo ideologico si critica la pigrizia delle masse le quali si sono accontentate della lettura
del Libretto Rosso. Viene così lanciato il “Movimento di studio del marxismo” che redige un elenco di opere di Marx, Engels, Lenin,
Mao la cui lettura è raccomandata ai membri del Partito.

L’eliminazione di Lin Biao, il ritorno ai vecchi quadri, l’intervento degli elementi militari più moderati, non bastano per imporre la
politica di riaggiustamento, né a prevenire le insorgenze del radicalismo ereditato dalla Rivoluzione Culturale.

Il X congresso del Partito (1973)


Riunito in segreto nel 1973, il X Congresso fa scomparire ufficialmente Lin Biao (considerato destrista?); il suo nome viene eliminato
dagli statuti del Partito.

2. La crisi di regime

Mao, debole per l’anzianità, è sempre più soggetto dall’influenza della sua cerchia. Zhou Enali (primo ministro 1949-1976) cerca di
preservare la produzione economica, l’attività di governo, di impedire il ritorno al disordine e di trionfare nella campagna anti-
confuciana scagliata contro di lui. Anche lui ormai anziano, affida nel 1975 a Deng Xiaoping (vice primo ministro 1975-1983) la
realizzazione del programma delle Quattro Modernizzazioni. Alla morte di Zhou Enlai nel 1976, aumenta il potere la fazione radicale,
capeggiata da Jiang Quing (quarta moglie di Mao) e i suoi tre associati della “Banda dei 4”. Ma il potere, nascendo esclusivamente
dall’accetazione di un capo carismatico, non sopravvive alla morte di Mao Zedong dello stesso 1976.

La Campagna contro Confucio, 1973-1974


Nel momento di declino della forza fisica e dunque potere di Mao, la “Banda dei quattro” (estremisti della riv. culturale) tentarono di
prendere il potere. Segnale ne fu l’avvio della Campagna contro Confucio nel 1973: critica al Confucianesimo il quale sembra
disprezzare il lavoro e i lavoratori manuali. Ma di fatto il vero bersaglio delle critiche è Zhou Enali, il quale aveva aperto all’Occidente,
anche in campo culturale e aveva iniziato un’opera di restaurazione nell’economica, educazione e amministrazione.
Zhou Enlai, molto abile, riesce però a conquistare la campagna, della quale si serve per criticare l'eredità della Rivoluzione culturale e
per mettere a loro volta sotto accusa i radicali. Il movimento man mano sembra non appassionare più le masse e Zhou Enlai riesce a
controllarlo sempre più. I nuovi dibattiti vertono ora sulla scienza, sulle nuove tecnologie, lo sviluppo economico; questo è il segno della
vittoria di Zhou Enlai.

Le prime Quattro Modernizzazioni (1975)


Nel 1975 Zhou Enlai espone un programma di sviluppo destinato ad assicurare il decollo dell’economia cinese: il piano delle Quattro
Modernizzazioni. Ormai anziano, affida a Deng Xiaoping la sua attuazione in proposte concrete; egli scrive tre documenti in cui:
attacca gli ideologi radicali dimentichi dell’economia, approfondisce sullo sviluppo industriale, sulla scienza e sulla tecnologia.
Mentre Zhou Enlai era più propenso al compromesso, Deng Xiaoping attacca frontalmente le difficoltà, risultando a volte provocatorio.
In reazione dunque si ha un’offensiva radicale; gli studenti si mobilitano, le università si riempiono di manifesti di accuse a Deng
Xiaoping e la stampa interviene in sostegno del movimento.

Le manifestazioni di Tien-an Men (1976)


Nel 1976, morti Zhou Enlai e Mao Zedong, la Cina sprofonda in una crisi permanente. Contrariamente alle attese, diviene primo
ministro Hua Guofeng (e non Deng Xiaoping), il quale, per la sua oscurità, è inizialmente accettato da tutti. Egli presto si schiera con i
militari e contro Deng Xiaoping; pensando di fargli un torto pubblica i documenti delle Quattro Modernizzazioni. Questo ebbe però un
effetto boomerang; facendo consocere ad un pubblico più vasto le posizioni di Deng a favore della pacificazione sociale, della
regolarizzazione amministrativa e dello sviluppo economico, si capisce che era molto affine alle posizioni di Zhou Enlai. Dunque
l’omaggio funebre reso dalla folla di Piazza Tien-an men per Zhou Enlai, si trasforma in un un plebiscito per Deng Xiaoping.
Per mettere fine all'agitazione, Hua fa portare via le corone commemorative. Il gesto visto come un sacrilegio; scoppia la rivolta di una
popolazione stanca, frustrata e senza speranze la quale viene repressa duramente.

3. La crisi della società


Nella società cinese persistono traumi post-Rivoluzione Culturale: disordini, scontri fra frazioni, delinquenza, criminalità e mercato
nero persistono e si sviluppano negli anni ’70. La società si frammenta in gruppi antagonisti: operai restii a farsi sottomettere, quadri
spaventati, gioventù scettica, intellettuali ridotti al silenzio.

I disordini operai
Gli operai rivendicano migliori condizioni di vita e di lavoro, salari più elevati, un maggior diritto di controllo sulla gestione delle
imprese. In protesta attuano una resistenza passiva: assenteismo, sciopero bianco, abbandono del posto del lavoro.
Le autorità cercano di ristabilire l'ordine nelle imprese, attuando misure che si rivelano efficaci, anche se gli attivisti locali continuano la
lotta agendo con la mediazione di sindacati, approfittano anche delle campagne di mobilitazione politica come la Campagna di
Confucio. Si cerca di arginarle.

Paura dei quadri, alienazione della gioventù, rassegnazione degli intellettuali


Se le autorità superiori fanno molta fatica a ristabilire un minimo di ordine, le autorità locali spesso non ci provano neppure.
Alcuni quadri hanno paura ad affrontare le masse.
Il malessere non è meno sentito tra i giovani. Alcune guardie rosse hanno scelto l'esilio. La gioventù entusiasta delle grandi
manifestazioni di Tie-an Men rappresenta non molto di più di una generazione perduta.
Gli ultimi anni dell'era maoista non sono molto favorevoli nemmeno agli intellettuali, che non si sono ancora ripresi dai colpi inferti
loro dalla Rivoluzione culturale. Essi tacciono, non producono più nulla.

Verso una disintegrazione della società urbana: il fazionalismo della base


In questa condizione la vita economica e sociale diviene sempre più difficile. La produzione industriale diminuisce per colpa della
disorganizzazione delle imprese e dei trasporti. Le razioni di olio e carne vengono ridotte, nel mercato si trovano ormai raramente i
legumi freschi e diviene difficile riuscire ad acquistare beni durevoli (biciclete, macchine da cucire). Si sviluppa il mercato nero, la
società si frantuma e scoppiano violenze fra gruppi. La frammentazione sociale crea fazionalismo, che si sviluppa rapidamente perché
l’appartenenza ad un gruppo è il mezzo migliore, spesso il solo, per garantire la propria sicurezza e soddisfare i bisogni materiali. Le
solidarietà primarie diventano nuovamente più importanti e più utili della lealtà verso il Partito o lo Stato.
Quando la crisi si aggrava si è costretti all’intervento dell’esercito.

La società urbana di fronte al regime: opposizione o spoliticizzazione?


Si diffonde l’anarchia, la criminalità (furto, violenza, prostituzione) e negli ambienti studenteschi nasce una contestazione più
specificamente politica. Alcune ex-guardie rosse firmano un manifesto che affliggono sui muri di Canton nel 1974; esso attacca la
nuova classe, denuncia il fallimento della Rivoluzione culturale, pretende l'instaurazione di una vera democrazia nel quadro del
socialismo.

PARTE TERZA: VITTORIA E CRISI DEL PRAGMATISMO (1976-1989)

Cap. IX – L’ERA DI DENG XIAOPING: DEOMAOIZZAZIONE E MODERNIZZAZIONE

La storia del post-maoismo comincia non con la morte di Mao Zadong, ma con la vittoria di Deng Xiaoping nel 1978. Dopo un periodo
di transizione durato poco più di 2 anni, durante il quale Hua Guofeng, aveva cercato invano di affermare la propria autorità, Deng
Xiaoping prende il potere. Viene lanciata la de-maoizzazione, la quale prende tratti simili alla destalinizzazione:
. abolire il culto del dittatore defunto
. cancellare gli errori e i crimini del loro regno
La deomaizzazione risulta essere però più profonda e radiale; è più controllata e più ideologicamente prudente. Essa ha successo
anche perché condotta da Deng Xiaoping, uomo di alta levatura politica (uno dei fondatori della Repubblica Popolare ed ha
partecipato a tutte le lotte rivoluzionarie) il quale però non si è mai reso complice degli orrori di Mao, rimanendo saldo sulla sua linea
pragmatica, né autore di politiche di repressione. La sua denuncia della Rivoluzione e degli eccessi maoisti è priva di ambiguità. Ciò è
accompagnato da una serie di riforme di grande portata, le quali hanno l’obbiettivo di ripristinare l'economia e della modernizzazione.

1. Hua Guofeng e la transizione neomaoista (1976-1978)

Nonostante i suoi tentativi (prende distanze dall’estrema sinistra e prova a suscitare il culto della sua personalità), Hua Guofend non
riesce a conservare il potere lasciato in eredità da Mao Zedong e nel terzo plenum del 1978 deve lasciare il potere a Deng Xiaoping.

L'eliminazione della Banda dei quattro


In seguito alla morte di Mao nel 1976, si tentano due complotti. Il primo da parte della “Banda dei quattro” attuato con lo scopo di far
salire al potere Jiang Quing; il secondo associa Hua Guofeng ad alti responsabili dell’apparato civile e militare. Il primo fallisce e la
“Banda dei quattro” viene arrestata, mentre il secondo ha successo.
Alla morte di Mao si ebbe nella fazione maoista una scissione fra coloro che rimangono fedeli a Mao e i (pochi) che iniziano a seguire
Jiang Quing, la quale dunque tentò di perseguire ambizioni personali, fallendo. Hua Guofeng poteva invece contare sul sostegno,
decisivo per il successo del colpo di stato, di un altro maoista affermato Wang Dongxing, di grandi comandanti dell'apparato politico di
Pechino e dei grandi capi militari del sud.

L’impossibile compromesso tra Hua Guofeng e Deng Xiaoping (1977-1978)


Seppur riesca a conquistare il potere molto rapidamente, la coalizione che fonda Hua Guofeng (il quale aveva accresciuto il suo potere
grazie alla Rivoluzione Culturale) nel 1977 non è tuttavia stabile e le sue capacità di manovra sono limitate. Inoltre, i generali vogliono
il ritorno della politica di Deng Xiaoping e l’adozione di una nuova linea pragmatica; il secondo ritorno di Deng Xiaoping del 1975 isola e
paralizza Hua ancora prima che sia privato ufficialmente dei suoi poteri. Deng Xiaoping scrive una lettera a Hua, scusandosi per gli
errori commessi nel 1975, poi avvia una “guerra” nel 1977 fatta di slogan-controslogan/campagne-controcampagne che si concludono
con la disfatta dei neo-maoisti. Tuttavia Deng sarà molto prudente nell’eliminare politicamente i suoi avversari; inizialmente allontana
gli alleati di Hua e poi Hua stesso.

Ambiguità della linea politica durante la transizione


La riconquista del potere da parte di Deng Xiaoping e gli sforzi di Hua Guofeng per sostenere la sua linea maoista, rendono ambigua la
politica degli anni di transzione. Sul piano ideologico sembra essere dominante il pensiero dei maoisti ma nel corso del tempo si mette
sempre più in luce da dissonanza pragmatica.
Nel 1978 Deng Xiaoping avvia la conciliazione del regime con gli intellettuali, esortandoli a non perdere più tempo nelle riunioni
politiche.
La politica economica rimane metro di paragone delle diverse linee politiche; nel 1978 Hua propone un grande Piano Decennale che
sembra l’incrocio fra il Grande Balzo in Avanti e le Quattro Modernizzazioni; viene data priorità all’industria pesante e alla siderurgia.
Accanto a tale piano Deng Xiaoping affianca una strategia in 30 punti, i più importanti dei quali sono: ritorno agli incentivi materiali,
ripristino della disciplina del lavoro, rafforzamento dei quadri, aumento delle importazioni di tecnologie straniere.
L’irrealismo di tale programma si manifesta nello stesso 1978; si prova allora a risolvere la situazione approvando una nuova
regolamentazione.
L’uomo forte è ora Deng Xiaoping; la via della demaoizzazione è aperta.

2. Demaoizzazione e liberalizzazione

Deng Xiaoping, forte della sua vittoria, impone la demaoizzazione (apertura all’Occidente, modernizzazione, rilancio economico) ma le
opposizioni lo costringono ad adottare una strategia duttile. I suoi obbiettivi chiave saranno: accelerare la modernizzazione e
preservare un quadro tecnologico e politico solido.

Una demaoizzazione controllata


Il terzo plenum del Comitato Centrale del 1978 sancisce il potere di Deng Xiaoping; questo appare come la conclusione di un processo
di liberalizzazione avviato nella Primavera precedente quando venne promulgata la Costituzione (1978) che garantiva la libertà di
sciopero, di dibattere pubblicamente le proprie opinioni e di affiggere manifesti.
Deng inizia anche una Campagna del criterio della verità (“Il criterio della verità è la pratica”), in cui condanna il dogmatismo
ideologico maoista e sottolinea la necessità di basare lo sviluppo su valutazioni realistiche delle forze disponibili.

Tuttavia, nel 1979, Deng Xiaoping reprime il movimento democratico, incontrollato e pericolo per l’egemonia del partito e annunciò
che la base ideologica del suo regime si sarebbe basata su “Quattro principi cardinali” ovvero:
. seguire la via socialista
. sostenere la dittatura del proletariato
. sostenere la supremazia del PCC
. aderire al marxismo-leninismo e al pensiero di Mao
Tuttavia, la de-maoizzazione non viene abbandonata, anche se assume forme più moderate. Viene approvata una risoluzione che
riconosce l’arroganza di Mao che lo portò a disprezzare le regole della direzione collegiale la democrazia all’interno del PCC; si
distingue però fra gli errori che Mao commise a causa di un’applicazione frettolosa e dei suoi principi, e il suo pensiero che invece non
viene condannato.
Nel 1983 i primi tentativi di liberalizzazione sono presto contraddetti dalla brutale campagna contro la criminalità. Viene poi attuata la
censura delle idee e quella dei costumi; viene condannato il modo di vestirsi, pettinarsi, svaghi e musiche dell’Occidente corrotto.
Successivamente i controlli di stringono ancora sulla stampa e sugli intellettuali, i quali sono “liberi all’interno del socialismo” e devono
essere portavoce del Partito.

I limiti della demaoizzazione... e le sue conquiste


Le tortuosità della demaoizzazione sono dovute alle opposizioni incontrate dalla politica di Deng Xiaoping tra i dirigenti; inoltre i vecchi
maoisti, sepur arginati, godono ancora di sostenitori nei gradi intermedi del PCC.
Nella Costituzione del 1982 si dedica largamente alla descrizione delle nuove istituzioni politiche; viene ridefinito il ruolo del PCC,
viene creata una commissione militare centrale, nascono assemblee popolari e governi popolari locali limitando il ruolo del PCC nelle
province, e vengono enunciati i doveri dei cittadini (meno accento sui diritti).

3. La modernizzazione economica

Nel 1978 Deng Xiaoping impone la propria politica di modernizzazione; negli anni seguenti si assiste a riaggiustamenti e riforme.
Occorre aspettare il 1984 per avere un bilancio di tale politica.

La pesante eredità del quinquennalismo e del maoismo


Nel 1978 l’economia cinese presenta molti punti deboli; la crescita dell’agricoltura negli ultimi 20 anni è stata lenta, la manodopera è
abbodante ma non qualificata – spesso analfabeta, la crescita ha riguardato principalmente l’industria pesante mentre sono
scomparse le piccole imprese familiari (lasciando molti senza lavoro), le attrezzature non sono moderne ma imperfette, costose e poco
produttive, le fabbriche dello stato operano spesso in perdita e l’offerta non soddisfa la domanda. L’unico aspetto positivo è il calo del
tasso di natalità.
Strategia del riaggiustamento e successo della collettivizzazione rurale
Nel 1978 è chiara la necessità di una riforma economica; la principale conquista di essa è la progressiva De-collettivizzazione del
settore agricolo, attravero l’attuazione del “Sistema delle responsabilità a livello familiare”; si torna dunque alll’impresa familiare,
ognuna delle quali si specalizza in un’attività (piscicoltura, allevamento, arboricoltura). Allo stesso tempo si aumenta la specializzazione
e commercializzazione delle culture. Nei mesi sucessivi viene elaborata una strategia di riaggiustamento.
La liberalizzazione nelle campagne oltre all’agricoltura, riguarda anche altre attività come: commercio, trasporti, artigianato e piccole
industrie. Le consegne di quote obbligatorie allo stato vengono soppresse, le comuni scompaiono e le strutture colletivi diminuiscono.
Tale de collettivizzazione provoca uno spettacolare aumento della produzione, la quale raggiunge quote record (407 milioni di
tonnellate di granaglie).
Tuttavia nel settore industriale e urbano la strategia di riaggiustamento non produce gli stessi successi; si prova dunque a dare ad
alcune imprese di Stato maggiore autonomia finanziaria e maggiore potere decisionale ma ben presto questa piccola riforma viene
bloccata.

Rilancio del terzo plenum (1984) e boom industriale (1984-1985)


Successivamente venne attuata una riforma per regolare il mercato e rendere più armonioso e rapido lo sviluppo; venne riformato il
sistema dei prezzi (prima fissati senza tener conto di quantità e rarità dei prodotti) applicando una progressiva liberalizzazione. In
questo modo le imprese, delle quali è stato cambiato il metodo di finanzi manto, riusciranno a diventare indipendenti.
Tale politica di riaggiustamento segna una rottura con il maoismo; ma anche una rottura con il socialismo?
La politica di riaggiustamento viene adottata non su base ideologica ma in risposta ad un urgente bisogno di sviluppo.
Essa provoca un rapido sviluppo delle imprese del settore statale; i risultati più spettacolari sono quelli dell’industria leggera nel 1985,
mentre le industrie pesanti sono più lente.
Non molto tempo dopo però la crescita subisce un calo in seguito alla scarsità di mezzi di trasporto, all’insufficienza di energia elettrica,
alla scarsità di materie prime e all’aumento di inflazione. La riforma dei prezzi viene congelata e le facilitazioni alle imprese, diminuite;
tuttavia il sistema riesce a resistere a tale violenta scossa.

La politica delle Quattro Modernizzazioni è stata pianificata per rispondere alle esigenze della Cina, importando conoscenze sviluppate
nei paesi sviluppati, i quali sono i principali fornitori della Cina. Nel 1985 il deficit con l’estero si è accentuato e il governo ha reagito
adottando tendenze protezionistiche (aumento tassi doganali), nella speranza di aumentare la propria capacità di esportazione.
Vengono istituite zone economiche speciali pronte ad accogliere investimenti stranieri grazie a incentivi: oneri fiscali, esenzioni
doganali.
L’integrazione della Cina nelle relazioni economiche internazionali avviene in seguito alla sua adesione alle grandi organizzzazioni,
come FMI e Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Questa apertura avvenne non senza critica da parte di coloro che
avevano ancora un forte odio verso l’Occidente a causa del passato coloniale.
Per mobilitare l'opinione pubblica si fa leva sul nazionalismo o sulla xenofobia piuttosto che sugli incentivi ideologici e sulla
pianificazione. Nonostante i rischi ai quali è esposto, il processo di riforma continua.

Cap. X – LE QUATTRO MODERNIZZAZIONI E IL SOCIALISMO ALLA CINESE

La riforma, con lo scopo di accelerare lo sviluppo in seguito alla crescita demografica incontrollata, è pragmatica e risponde ad
un’urgenza economica piuttosto che ideologica. L’attuazione delle “Quattro Modernizzazioni” apporta grandi modifiche al
funzionamento della società e alla gerarchia dei suoi valori. Questi provvedimenti prendono il nome di “Socialismo alla cinese”; si fa
appello alla società e alle sue capacità per accelerare la modernizzazione.
Per lasciare libero corso alle iniziative degli agenti sociali, vengono eliminati vari obblighi, che comportano un ritorno al sociale;
ricompaiono molte forze sociali che si erano credute distrutte dall’azione centralizzatrice e pianificatrice della burocrazia.

1. Riforma e società rurale

La decollettvizzazione della produzione agricola ha provocato una triplicazione della redita contadina dal 1979; il reddito individuale è
aumentato, insieme al potere di acquisto per beni di consumo e nuove abitazioni.

La riforma e il funzionamento interno della società rurale


La riforma, non prevendendo alcun meccanismo amministrativo per garantire la distribuzione delle risorse, provoca nella società un
aumento delle disparità sociali. Milioni di contadini sono costretti ad abbandonare il lavoro nel campo per permettere all’agricoltura di
modernizzarsi; molti nuclei familiari in difficoltà ricevono viveri ma non hanno soldi per pagarli. Accanto ai poveri, si forma una nuova
classe di ricchi; famiglie specializzate in colture commerciali (zucchero, sostanze oleose) più costose dei cereali oppure contadini che
hanno lasciato il lavoro della terra per iniziare imprese artigianali e industriali. In una società che per decenni era stata nutrita da ideali
egualitari, queste situazioni sono mal vissute; scoppiano violenze, saccheggi e distruzioni di attrezzature.
Il ruolo delle donne declina; il loro lavoro viene sottovalutato (l’impresa familiare valorizza il ruolo del figlio), in famiglia sono
sottoposte all’autorità del capofamiglia e aumentano esponenzialmente gli infanticidi femminili. Questo è anche dovuto
all’imposizione della Legge del figlio unico introdotta nel 1979 (la quale però fa fatica ad accettata nelle campagne – dove le donne
attuano una resistenza non dichiarando la loro gravidanza. Allora vengono attuate retate per imporre alle donne in gravidanza di
abortire), fondamentale per il piano di Deng Xiaoping che cerca di pianificare le nascite. Dal controllo della crescita demografica ne
vale il successo delle “Quattro modernizzazioni”; essa diventa dunque così la prima e priorità nazionale.
L’espansione demografica, insieme alla volontà di bloccare l’immigraizione verso le città, spinge alla ristrutturazione dello spazio
rurale; si sviluppano dei piccoli paesi che nel corso di pochi anni si moltiplicano.
La riforma e i rapporti della società rurale con il potere
La de collettivizzazione della produzione, lasciando alle famiglie il compito di organizzare la produzione e attribuendo ai quadri locali
solo di diffondere e vigiliare sull’applicazione delle direttive, ha provocato una netta diminuzione dell’influenza del potere sulla società
rurale. Affidata a se stessa, quest’ultima è tornata alle credenze e violenze tradizionali; feste popolari per scongiurare calamità
naturali e violenze omicide (non verso il PCC o il governo) in ambito rurale – che provocano l’intervento dell’esercito.
Nonostante la larga autonomia ricevuta, la società rurale non si sottrae al potere e non c’è rischio che ad esso si ribelli.

2. Riforma e società urbana

Anche se in tempi più lunghi, anche la società urbana ha beneficiato delle “Quattro modernizzazioni”, grazie all’aumento dei salari,
diminuzione della disoccupazione e aumento dei prodotti di consumo che hanno migliorato la vita dei cittadini cinesi.

Incidenze della riforma sulla condizione operaia


I salari degli operai ed impiegati aumentano molto, anche se l’aumento viene parzialmente annullato dall’inflazione (soprattutto del
prezzo di alcuni alimenti: carne, pesce, uova – cereali e oli rimangono stabili). Il governo da aiuti economici ai residenti ma essi si
rivelano insufficienti; tuttavia il livello di vita dei cttadini è elevato dal 1978.
Nuovi posti di lavoro vengono creati. I lavoratori statali hanno la garanzia di un lavoro indeterminato, di avanzamenti per anzianità e la
trasmissione del lavoro rimane ereditaria. Nelle industrie private invece, viene liberalizzata la modalità di assunzione, la quale avviene
per mezzo di esami/colloqui. I licenziamenti per incompetenza o assenteismo avvengno solo in casi eccezionali.

Resistenze della burocrazia


Voluta dal governo centrale, la riforma prende di contropiede gran parte della burocrazia locale, in quanto essa minaccia le abitudini
sulle quali i quadri locali basavano illoro potere. I quadri locali dunque oppongono resistenza alla Riforma, cercando di frenanrne
l’attuazione o di usare le misure di liberalizzazione e decentralizzazione a loro favore. Si diffondono così frode, corruzione, frodi fiscali
e sprechi.
Dunque, la politica delle “Quattro modernizzazioni”, oltre a rendere la vita dei cittadini più libera, confortevole e varia, fa anche
nascere nella società un malessere diffuso e profondo.

3. Società, modernizzazione e socialismo

Una società in libertà vigilata


Come ogni regime riformatore, anche quello di Deng Xiaoping si scontra con la difficoltà di concedere un po’ di libertà, ma non totale;
si adotta quindi il concetto di “libertà vigilata”; viene ridata la possibilità di culto e riaperte Chiese, seminari, monasteri buddisti ma
vengono colpiti coloro che seguono in Vaticano non schierandosi dalla parte della Chiesa patriottica ufficiale.
Agli scrittori viene ridata una certa libertà di creazione ma le loro attività rimangono oggetto di attenta sorveglianza e richiami
all’ordine.
Scoppiano manifestazioni contro l’invasione di prodotti di consumo giapponesi sul mercato interno (in memoria dei duri ricordi
dell’invasione nipponica del 1937-1945) ma si contiua ad adottare la politica di apertura perché la Cina necessità di tecnologie, capitali
stranieri e prodotti.
Per il regime il rischio dell’apertura sociale non è tanto quello di proiettare la Cina verso il capitalismo, piuttosto quello di ripiombare
nelle divisioni.

Pragmatismo e legittimità
Per Deng Xiaoping non contano quali sono i valori della società, conta che essi siano utili alla riforma. Questa flessibilità della riforma
contribuisce alla sua efficacia ma, al contempo, fa nascere una certa confusione, nociva ai fondamenti ideologici del potere e
fortemente denunciata come tale dagli avversari di Deng.
Per restaurare una legittimità, già scossa dalla de-maoizzazione, Deng cerca di radicarla in nuovoi miti fondatori, di creare un passato
più lontano di tradizione per rivendicarne l’eredità. La battaglia per la legittimità si basa su: unità, modernizzazione e sovranità.

L’introduzione di pene per reati economici si rivela di applicazione arbitraria; questo fa si che l’opinione pubblica diffidi dell’apparato
giudiziario e consideri la corruzione dei quadri come un problema interno al Partito. Per Deng Xiaoping, non basta rendere il partito
degno di fiducia ma esso deve anche diventare idoneo per assicurare i compiti della modernizzazione.

Cap. XI – FINE DI REGNO O FINE DI REGIME? L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA INTERNA DAL 1986 AL 1989

Dal 1986 il ritmo della riforma economica si accelera. Questo rende necessario un passaggio ad un’economia mista e nel frattempo
provoca numerosi fenomeni di destabilizzazione economica: inflazione, indebitamento con l’estero, squilibri settoriali. Ora dunque la
riforma fatica a compiersi. Urta con la natura del regime e con l’importanza delle tradizioni; le resistenze della burocrazia e della
società divengono ostacolo per i progressi auspicati dai dirigenti riformisti.
Dunque nel 1988 si assiste ad un’alta inflazione, un potere impotente, una politica austera irrisa, un malcontento sociale e una
contestazione intellettuale sempre più radicale.
L’imminente successione di Deng Xiaoping (rimasto dirigente nonostante il suo semiritiro ufficiale) accresce le tensioni e incertezze.
1. L'emergenza di un'economia mista e le turbolenze della riforma (1985-87)

Nel 1985 vengono introdotti meccanismi di mercato nel vecchio sistema di economia pianificata; emerge dunque una struttura
dualistica. Questo è reso possibile da arretramento dello Stato, il quale rinuncia a controllare molte attività. Nelle campagne viene
meno il monopolio statale dei prodotti agricoli.
Le cooperative specializzate vengono sostituite da mercati locali; la Banca Popolare cinese abbandona il monopolio e lasciando campo
d’azione alle banche di stato; nel campo industriale la produzione statale diminuisce – la maggior parte della produzione dipende ora
dall’industria rurale e urbana. La liberalizzazione però genera caos sia in campagna che in città.
Gli effetti benefici della riforma agraria del 1978-1980 si sono esauriti. Sintono più grave è il malessere del settore agricolo dove si ha
una grave stagnazione della produzione cerealicola; l’impresa familiare ha raggiunto i suoi limiti e gli impianti di irrigazione sono difficili
da mantenere e sviluppare. I quadri locali, incaricati della spartizione di tali prodotti, speculano sui loro prezzi e i contadini sono
costretti ad acquistare concimi ad alto prezzo o a farne a meno.
La rapida crescita del settore industriale è accompagnata da squilibri e inflazione; il governo centrale ha perso il controllo del ritmo
degli investimenti, così come non ha più potere sulle transazioni e attività economiche.
Tutte queste difficoltà si ripercuotono sulle relazioni economiche cinesi con l’estero; le importazioni crescono ma la Cina è costretta a
chiedere prestiti stranieri, triplicando il debito con l’estero. Di conseguenza, gli imprenditori stranieri si fanno più prudenti; Pechino
allora crea una “Commissione per gli investimenti stranieri” che semplifichi le procedure amministrative, riuscendo a permettere un
rilancio delle firme dei contratti.

2. Le incertezze del potere: dalla liberalizzazione del «Doppio Cento» (estate 1986) al XIII congresso del PCC (ottobre 1987)

Dal 1978 lo sviluppo della riforma ha compiuto passi indietro; con l’accelerazione dell’attività riformatrice del 1986, si hanno problemi
sempre più difficili da superare per la classe politica. La riforma diviene dunque fonte di scontro fra la fazione liberale e conservatrice,
le quali entrambi aspirano al controllo del potere.

I dibattiti politici e il Doppio Cento dell'estate 1986


I dibattiti dell’attività riformatrice degli anni 1985-1986 riguardano problemi essenziali e mettono in luce inquietudini e speranze. La
stampa provinciale fa eco alle critiche dei conservatori i quali, denunciano l’arretramento dell’ideale socialista (ostili ad ogni
pluralismo) e del fervore ideologico, lo stato di abbandono di molte province (cessazione di investimenti e convenzioni da parte del
regime), l’abbandono della disciplina da parte del centro. Presto il caos aumenta e minaccia, oltre che il regime, anche la società e la
cultura cinese.
I conservatori vogliono porre rimedio alla crisi, opponendosi alle riforme istituzionali e all’apertura all’Occidente dei liberali,
sostenendo un ritorno ai valori morali fondametali. Nel 1986 nasce dunque il “Movimento di libera discussione e proposte” – il Doppio
Cento (in riferimento alla “Campagna dei 100 fiori”), espressione del tentativo dell’ala più avanzata dei riformisti di riconquistare il
campo ideologico. Questa campagna da voce a molte critiche e proposte.

La reazione conservatrice e la caduta di Hu Yaobang


La reazione conservatrice si avvia dal 1986 e riguarda l’ambito ideologico (Hu Yoabang, ex segretario generale del Partito, viene
costretto a dimettersi) e l’ambito economico.
Le manifestazioni studentesche, seppur legate al dissidio per il potere, non hanno un ruolo determinante nello svolgimento di questa
lotta, che si svolge essenzialmente all’interno degli apparati statali; tutt'al più hanno contribuito ad affrettare la caduta di Hu Yaobang,
sospettato di averle incoraggiate. Tali movimenti di protesta appaiono come la ripetizione di quelli precedenti; tuttavia la solidarietà
fra studenti e intellettuali che inseme lottano per libertà, democrazia e migliori condizioni materiali, gli conferiscono autonomia.
Essi vengono sedati con una repressione apparentemente non brutale; gli ammonimenti diffusi dalla stampa sembrano far tornare la
calma nei campus.
In seguito alle manifestazioni studentesche, nel Plenum, i conservatori impongono severi limiti alla liberalizzazione della vita letteraria
e intellettuale. Motivo determinante di questo rovesciamento di tendenza politica sembra essere stato il cambiamento di
atteggiamenti di Deng Xiaoping; forse questo va interpretato come una “dialettica alla cinese”, una maniera di gestire il fazionismo. In
una cultura che attribuisce maggiore influenza a ruolo della personalità che al peso delle idee, spetta al dirigente supremo fare
coesistere le differenti correnti politiche e ideologice, raggiungendo un compromesso, dando garanzie qua e la senza impegnarsi
veramente né da una parte né dall'altra.

L'effimera campagna contro la «liberalizzazione borghese» e il XIII congresso nazionale del Partito (ottobre 1987)
Nel 1987 i conservatori lanciano una Campagna contro la liberalizzazione borghese contro l’allora segretario generale del PCC Hu
Yaobang e contro chi sosteneva che la riforma politica dovesse accompagnare quella economica. Si torna a parlare di unità, stabilità,
centralismo democratico e ruolo dirigente del PCC; si attuano purghe, si torna all’ortodossia ideologica, si rafforza il controllo sulle
pubblicazioni, la riforma economica viene rallentata e la liberalizzazione dei prezzi soppressa.
Nel 1987 Zhao Ziyang diviene il nuovo segretario generale del PCC al posto di Hu Yaobang; egli esalta i progressi compiuti fino al 1978
e esorta al rispetto della disciplina ideologica e alla continuazione della riforma di apertura.
Nel compromesso con i conservatori, Zhao bilancia il nuovo impulso dato al cambiamento economico con un’estrema prudenza in
materia di riforma politica. Egli introduce il concetto di “stadio iniziale del socialismo”: dal momento che la Cina ha compiuto la
propria rivoluzione prima che si completassero i processi di industrializzazione, commercializzazione e trasformazione tecnologica,
realizzati altrove nel quadro del capitalismo, è necessario ora recuperare il ritardo e compiere il percorso di modernizzazione, preludio
per l’instaurazioe di un vero e proprio sistema socialista. Respinge la separazione dei poteri e il pluralismo e riafferma il ruolo dirigente
del PCC. Ripartisce dunque tra le funzioni del PCC e tra quelle del governo: al Partito spetta la formulazione di principi e di linea
generale mentre al governo spetta selezionare gli amministratori professionisti incaricati dell’esecuzione.
Nel Congresso si ha una ritirata dei veterani, tra cui Deng Xiaoping, e si ha un ringiovanimento del personale.
Nonostante il successo di Zhao Ziyang al XIII Congresso, molte rimangono le inertezze sul futuro della riforma, date anche dalla
mancanza di norme sulla successione di Deng Xiaoping; Zhao Ziyang viene considerato l'erede presunto, ma rimane comunque
subordinato all'autorità di Deng. Come primo ministro, sempre nel 1987, viene eletto Li Peng, molto diverso da Zhao per esperienze
passate, temperamento ed idee.

3. L'esplosione del maggio-giugno 1989

Dopo poco più di un anno, la linea tenuta dal regime innesca una crisi più grave; il tentativo di combinare la liberalizzazione economica
(liberali) con l’autoritarismo politico (conservatori), era probabilmente contraddittoria nei suoi stessi termini (anche se tale
combinazione è un fenomeno frequente nei paesi dell’Asia Centrale).
Questo fallimento è dato sia dalla mancanza di competenza della burocrazia reclutata solo su fervore ideologico e zelo attivistico, e
dall’indignazione suscitata dal lusso e corruzione dei quadri che ha eroso la fiducia popolare nel regime e nelle sue riforme.
L'esplosione nel 1989 è proceduta da una lunga crisi, che riguarda nello stesso tempo l'economia, lo Stato e la società; il 1988 è l’anno
in cui crescono tutti i pericoli.

1988, anno di tutti i pericoli


Dopo la vittoria Zhao Ziyang, nel 1988, attua un rilancio della riforma, reso possibile dai buoni risultati economici del 1987 dove erano
aumentate le importazioni, erano state ricostruite le riserve in valuta e il Pil era aumentato. Alla crisi inflattiva, causata dal ritorno alla
liberalizzazione dei prezzi e ad altre liberalizzazioni annunciate, si aggiunge quella crisi agricola. Queste difficoltà economiche creano
divisioni all'interno degli apparati dirigenti.
Il degrado della situazione economica porta alla sospensione della riforma; i fallimenti di Zhao Ziyang lo privano del sostegno di Deng
Xiaoping, mentre Li Peng aumenta il suo potere.
In Cina si teme per la disoccupazione e i tumulti che potrebbero essere provocati dalla chiusura delle fabbriche; le succursali delle
banche chiudono i crediti. Gli interessi economici e politici si alleano per fare pressione sul governo centrale; i consumi rimangono
eccessivi; i prezzi aumentano. Accanto alle difficoltà economiche, cresce il malcontento sociale. La politica di austerità è accettata
malamente, in quanto colpisce in modo ineguale i diversi gruppi sociali; lusso, corruzione dei quadri e il loro nepotismo sono
provocano indignazione; la criminalità dilaga.
Il potere centrale ricorre allora alla forza (repressione Tibet: Dalai Lama suggerisce una soluzione politica “un paese, due sistemi” ma la
Cina la respinge). Studenti e universitari, a fine anni ’70 maggiori sostenitori di Deng Xiaoping, i quali dovevano a lui la loro
riabilitazione sociale-politica dopo le persecuzioni delle Rivoluzione Culturale, sono ora i manifestanti di maggior scontento; i primi
criticano la qualità del sistema educativo e i secondi rimproverano al governo di sacrificare gli interessi a più lunga scadenza del paese.
Tuttavia il malcontento sociale, rimane frammentario: ogni gruppo – contadini, operai, minoranze etniche, studenti, intellettuali –ha le
proprie rivendicazioni. Ma intanto è stato costruito un formidabile apparato di sicurezza e di repressione.

Tien-an Men, maggio-giugno 1989


L’esplosione del Maggio 1989 segna il passaggio dalla crisi ordinaria alla tragica repressione.
I contadini-operai sono alla ricerca disperata di lavoro; le province tentano di resistere al piano di austerità; sale il malumore degli
intellettuali; la morte del Panchem Lama provoca manifestazioni religiose. Apparentemente il PCC sembra unito per reprimere
violentemente la rivolta, ma sembra che sia preso di mira Zhao Ziyang – il quale riconosce di aver avuto fretta e di non aver
organizzato per tempo un sistema di regolamentazione macroeconomica.
Questo lascia un vuoto di potere; molti dirigenti vorrebbero far decadere Zhao, ma egli gode dell’appggio delle province costiere e
dall’area liberale dell’apparato.
Ma il regime ora deve fronteggiare la più grave crisi in cui si sia imbattuto dalla morte di Mao Zadong; essa dura circa 2 mesi e
attraversa 5 fasi: il lutto, la sfida, la tregua, il confronto, il massacro.
I disordini si estendono in numerose città, ma è a piazza di Tien-an Men, importante luogo simbolico del regime, che la crisi si avvia e si
conclude.
1. Lutto → Alla morte improvvisa di Hu Yaobang (ex-segretario del PCC - riformista), gli studenti ne approfittano per esprimere
il loro malcontento; i campus si riempiono di manifesti che denunciano l’abbandono della riforma politica, il ritorno del
conservatorismo, i metodi considerati dittatoriali di Deng Xiaoping (accusano anche Li Peng).
2. Sfida →  tramite il “Quotidiano del Popolo” Deng Xiaoping accusa gli studenti dicomplottare contro lo Stato e fomentare
agitazioni di piazza; in reazione nell’Aprile 1989 si ha una grande manifestazione illegale di 50.000 studenti in piazza di Tien-an Men;
la popolazione comincia ad appoggiarla. Il tutto si conclude con una repressione violenta decisa da Li Peng, il quale ne approfittò della
mancanza di Zhao Ziyang (in visita all’estero). Li si incontrò solo con Deng Xiaoping il quale, nonostante si fosse ritirato da tutte le
cariche più importanti, restava personaggio estremamente influente nella politica ciniese; con lui accertò di avere una comunanza di
vedute. [Nello stesso anno i regimi comunisti in Europa erano stati rovesciati – il che porta al crollo del muro di Berlino e alla
dissoluzione dell’URSS].
3. Tregua → Zhao Ziyang esorta a una soluzione negoziata della crisi. L’atmosfera si distende e Zhao Ziyang afferma che gli
studenti non sono ostili al regime; reclamano solo l’approfondimento della riforma e il rafforzamento della lotta contro la corruzione. I
corsi universitari riprendono e piazza di Tien-an Men si svuota; la fine del movimento sembra vicina.
4. Confronto → gli studenti più radicali rifiutano la smobilitazione, momento che nessuna delle loro rivendicazioni è stata
soddisfatta. Ricorrono allo sciopero della fame (ora infatti le rivolte studentesche decidono di non essere più violente, perché la
violenza le renderebbe illegittime), il quale minaccia di screditare il regime, proprio quando si contava di ristabilire la calma in
occasione della visita ufficiale di Gorbaciov. Alla vigilia di tale scontro, 2.000 scioperanti si insediano a piazza di Tien-an Men e i mezzi
di informazione simpatizzano con essi; questa visitia infatti aveva dato loro una nuova occasione per affermare la loro presenza;
Gorbaciov, dopo Hu Yaobang, era diventato il modello del riformatore democratico che gli studenti contrappongono ai propri dirigenti.
Le manifestazioni si estendono.
Il PCC difficilmente accetta il confronto. Li Peng impone la legge marziale ma le truppe dell'APL inviate per disperdere le manifestazioni
in Piazza Tien-an Men arretrano davanti alla popolazione che si avvia ad incontrarli pacificamente; Pechino è nelle mani dei
manifestanti esultanti. È la fine del regno di Deng Ziaoping?
Gli studenti si sforzano di amministrare al meglio gli spazi di libertà che hanno ottenuto ma, abbandonato a se stesso, il movimento fa
fatica a trovare nuove ispirazioni. Intanto continuano i negoziati e compromessi; si rivela difficile nel partito trovare la maggioranza per
condannare Zhao Ziyang.
5. Massacro → La mobilitazione popolare, il silenzio del potere (soprattutto di Deng Xiaoping) e l’intensificarsi dei movimenti di
truppe fanno temere la guerra civile. Il confronto si chiude con un massacro selvaggio; l’esercito entra a Pechino, sparando con il mitra
sulla popolazione che cerca di opporsi con le mani nude alla sua avanzata, sgomberando la piazza Tien-an Men. In un discorso
televisivo, Deng Xiaoping si assume la responsabilità della repressione e condanna il movimento studentesco come il tentativo
controrivoluzionario e di rovesciamento del partito comunista; la caccia ai contestatori e ai loro simpatizzanti è aperta.
L’apparato di propaganda comincia subito a costruire uno scenario adatto a legittimare la repressione e la ripresa del potere da parte
dei conservatori. All’estero lo shock è profondo; l’incontro con Gorbaciev aveva puntato le telecamere sulla Cina. L’orrore del
massacro finale ha mostrato quello che davvero la Cina era, creduta dal mondo intero, nell’ultimo decennio, liberale. Questo evento
appare come tentativo di nascita della democrazia soffocata sul nascere.

Crisi di successione o crisi di regime?


Nato tra gli studenti, la protesta di estende poi tra i quadri, i giornalisti, gli operai e persino fra alcuni elementi dell’esercito. I temi
mobilitati sono: libertà, democrazia (dagli studenti) e denuncia della corruzione (dagli altri).
I contadini invece non si sono mossi; la protesta ha mobilitato solo la città (più quelle settentrionali).
L’APL ha svolto un ruolo determinante nella crisi, tuttavia non si parla di push militare.
Le rivalità tra fazioni nel PCC, che si approfondiscono con l'avvicinarsi della successione di Deng Xiaoping, paralizzano il potere giorno
dopo giorno; sembra che il movimento di protesta sia incoraggiato da alcuni politici dello stesso PCC, i quali condividevano proteste e
speravano di servirsene per assumere il potere.

Ripercussioni immediate della tragedia di piazza Tien-an Men si hanno nelle relazioni della Cina con il mondo esterno; il mondo
occidentale ha visto tale crisi come una soffocazione di un tentativo cinese di emancipazione e liberazione.
Il potere di Deng Xiaoping e il PCC sopravvivono tuttavia alla crisi di Maggio/Giugno 1989.
La restaurazione conservatrice è all’opera, ma i problemi alla base della crisi (successione di Deng Xiaoping, direzione della riforma)
non sono ancora stati risolti.

PARTE QUARTA: DALL’ISOLAMENTO ALL’APERTURA (1960-1999)

Cap. XII – LA POLITICA ESTERA DELLA CINA A PARTIRE DAL 1960

Dal 1960 la politica estera cinese cambia nettamente, ha conosciuto una rivoluzione completa: dall’alleanza con l’URSS si passa
all’avvicinamento con gli Usa, prima di assumere un corso più indipendente.
I fattori che hanno portato all’approfondimento del conflitto cino-sovietico sono:
la divergenza negli interessi nazionali e le ambizioni rivali fra i due paesi socialisti (entrambi volevano erigersi a modello rivoluzionario
di riferimento).
Le esigenze di sicurezza nazionale combinate con quelle di modernizzazione economica spingevano invece la Cina verso gli Usa.
L’alleanza cino-sovietica degli anni 1950-60 rappresenta l’ultima fase della subordinazione della Cina ad una potenza straniera; dopo la
rottura, la Cina cerca di definire il proprio ruolo, in quanto nazione indipendente, nel mondo moderno. La diplomazia cinese
contemporanea rimane subordinata e opportunista: essa reagisce a situazioni create da altre potenze, cercando di trarne vantaggio. Il
divario che separa discorso e pratica indica la distanza tra ciò che è la Cina e ciò che vorrebbe essere.

1. Ripiegamento e isolamento (1960-1970)

Dopo la rottura dell’alleanza cino-sovietica a fine anni ’50 e la Rivoluzione Culturale, la Cina si trova per un decennio in un relativo
isolamento, non essendo ancora pronta ad avvicinarsi agli Usa (che considera ancora come minaccia imperialistica) e non incontrando
l’interesse da parte dell’occidente (Francia e Giappone escluse) ad un simile riavvicinamento.

Alla ricerca di una nuova concezione dell'ordine mondiale


La rottura con l’URSS aveva portato la Cina ad abbandonare una visione dicotomica di un mondo diviso in un campo socialista e in un
campo imperialista e a sostenere l’esistenza di una zona intermedia che comprendeva tutti i paesi diversi dagli Usa e dalle nazioni
dell’area socialista  Mao ne fa riferimento in un discorso a Mosca nel 1957.
Mao nel settembre 1962 (10° plenum dell’VIII congresso) dunque introduce la nozione di “revisionismo”, dichiarando che il sistema
internazionale è govenato da tre forze principali:
-imperialismo
-socialismo
-revisionismo
Nel 1964 ritorna sul concetto di “zona intermedia” distinguendo due zone:
una (più o meno il “Terzo Mondo” per gli occidentali) che riunisce i paesi di Asia, Africa e America Latina  il criterio di appartenenza a
questa zona non è il sottosviluppo economico ma l’esistenza di una dominazione politica (secondo le analisi cinesi);
l'altra, le nazioni del mondo capitalista (sfruttati e controllati dagli Usa) come Europa occidentale, Canada, Australia, Nuova Zelanda e
Giappone  loro situazione ambigua che rende possibile una solidarietà parziale con i paesi della prima zona intermedia e una lotta
comune contro l’imperialismo.
La radicalizzazione ideologica che accompagna la Rivoluzione culturale mette in ombra la “Teoria delle zone intermedie”  la Cina
ritorna ad una visione bipolare del mondo, che Lin Biao espone nel settembre 1965 (Viva la guerra vittoriosa del popolo) sostituendo
all’antinomia socialismo/capitalismo-imperialismo la contrapposizione tra le nazioni ricche (le città) e le nazioni povere (le campagne);
esorta inoltre ad estendere la lotta rivoluzionaria al pianeta. Questa nuova teoria diverge molto da quella delle zone intermedie, in
particolare perché l’URSS, considerato un paese evoluto e industializzato, è inserita nei paesi sfruttatori.
Nel 1968 i cinesi propongonon la nozione di social-imperialismo per denunciare l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, considerata
segno di espansionismo sovietico; dunque, la lotta cinese contro l’imperialismo si rivolge ora anche verso l’Urss.
Negli anni ’60-’70 predomina la corrente radicale, la quale fa apparire voluto, più che subito, l’isolamento crescente della Cina,
l’inasprimento del conflitto con l’Urss e l’antagonismo persistente con gli Usa.

Inasprimento del conflitto con l'URSS e persistenza dell'antagonismo con gli Stati Uniti
Alla fine degli anni ’50 le posizioni cinese e sovietica circa la destalinizzazione (iniziata nel 1956), sui problemi di sviluppo economico e
sulla politica di distensione, erano diventate sempre più divergenti. Nel luglio 1959 l’Urss denuncia il “Trattato di cooperazione
atomica” in materia di difesa nazionale, interrompe gli accordi economici e ritira i tecnici sovietici, nel luglio 1960. Questa escalation
porta gli ex-alleati ad un confronto armato sulla comune frontiera del fiume Ussuri, nella primavera del 1969.
Il conflitto è già scoppiato nel campo socialista  in occasione della Conferenza dei partiti comunisti a Mosca nel 1960 e del XXII
congresso del partito comunista dell’URSS nell’ottobre 1961, due crisi internazionali sanciscono la definitiva rottura:
la guerra di frontiera cino-indiana del settembre-novembre 1962 e la Crisi di Cuba dell’ottobre dello stesso anno.
Circa quest’ultima, l’Urss, per salvaguardare la distensione, accetta di ritirare i suoi missili dall’isola il 26 ottobre, mentre la propaganda
cinese incita i cubani alla resistenza e alla lotta contro l’imperialismo americano. La Conferenza cino-sovietica riunita a Mosca nel luglio
1963  intento di ridurre le divergenze tra le due potenze, si conclude però con la rottura del dialogo. La firma del Trattato di Mosca
del 1970 sulla cessazione degli esperimenti nucleari nell’atmosfera rende palese la politica di distensione russo-americana, che la Cina
condanna violentemente. Pechino, dall’autunno 1963, incoraggia la creazione di partiti marxisti-leninisti (scissionisti) in diversi paesi
europei, asiatici e latino-americani.
Nel 1963 la Cina denuncia i trattati ineguali dell’epoca zarista e chiede una revisione del tracciato delle frontiere. Le manifestazioni
xenofobe dei primi anni della Rivoluzione culturale (1966-1967) assumono spesso un tono antisovietico.
Dopo l’invazione sovietica della Cecoslovacchia del 1968 la crisi cino-sovietica entra nella fase più acuta; Pechino denuncia l’invasione
come crimine abominevole del <<social-imperialismo>> e attacca il Patto di Varsavia, visto come strumento di espansionismo
sovietico. La tensione cresce, il conflitto ideologico degenera in fermento nazionalista, ed esplode nel marzo 1969 con l’incidente sul
fiume Ussuri. La Cina, rispetto all’Urss, è però in una situazione di inferiorità; Zhou Enlai  cede alle pressioni sovietiche accettando di
incontrare Aleksei Kosygin (premier dell’URSS), invece Lin Biao e i radicali si oppongono alla politica di pacificazione col social-
imperialismo  nonostante ciò il 20 ottobre 1969 a Pechino si aprono dei negoziati tra i viceministri degli affari esteri, per tentare di
regolare il problema delle frontiere.
Per quanto riguarda il rapporto con gli USA, alla fine del 1968 Zhou Enlai fa un primo tentativo per stabilire contatti con gli Stati Uniti
 approcio che trova l’opposizione di Lin Biao e i radicali.
Dunque gli Usa, ad inizio anni ’70, rimangono il principale avversario cinese, in quanto si oppongono alla riunificazione nazionale
(integrazione di Taiwan nella RPC, riconoscendo il principio dell’unica Cina) e impediscono al governo di Pechino di svolgere un ruolo
internazionale degno di lui – escludendola dall’Onu.
Tuttavia la Cina adotta la prudenza nelle relazioni con gli Usa; nonostante la condanna dell’<<aggressione americana>> a Cuba e
l’intervento degli USA nella guerra in Vietnam, quando nel 1964 avvengono gli Incidenti del golfo del Tonchino fra navi americane e
nord-vietnamite, la Cina evita il confronto diretto con gli Usa in Vietnam – così come fece anche nello stretto di Taiwan.

I soli segni di distensione della Cina con l’Occidente si hanno nei rapporti commericiali con il Giappone (diviene il suo partner ufficiale,
in conseguenza alla rottura cino-sovietica) e nei rapporti diplomatici con la Francia. Solo nel decennio successivo questa distensione
avviata con l'Occidente genererà un avvicinamento agli Stati Uniti.

Arretramento dell'influenza cinese in Asia e nel mondo


La rivalità cino-sovietica si inasprisce in quanto entrambe vogliono raggiungere il primato in Asia (nonostante alcuni successi locali, è
l’Urss che sembrerà prevalere). Il confronto diviene di scala mondiale; Urss e Cina si contendono i paesi sottosviluppati (Asia, Africa e
America Latina). La Cina riesce solo per breve tempo a stabilire buone relazioni con l’India; presto però l’interesse indiano per il Tibet e
la richiesta di rettifica dei confini (dopo i trattati ineguali) da parte della Cina, diviene nuovo motivo di frizione. Il Dalai-Lama e molti
altri tibetani lasciano il proprio paese per rifugiarsi in India. Presto le strette relazioni fra Urss e India aggravano ancor più la situazione.
Nell’indocina, durante la Seconda guerra del Vietnam del 1964, i maoisti hanno optato per una “guerra prolungata”; non possono
fornire al Vietnam del Nord l’armamento necessario al confronto con le forze americane e si preoccupano che l’influenza dell’URSS –
data dall’importanza del suo aiuto militare – provochi un processo di satellizzazione nel Vietnam del Nord.
Il colpo di stato in Cambogia nel 1970 permette alla Cina di lanciare un’offensiva diplomatica e riaffermare il proprio ruolo nella
penisola al pari di Usa e Urss; la Cina accoglie il principe cambogiano cacciato dal colpo di stato e permette di far organizzare a Canton
una Conferenza dei popoli indocinesi. Tuttavia questo non riesce a colmare la sua scarsa influenza in Vietnam del Nord, sempre più
sotto l’influenza sovietica. Inoltre, i rapporti con l’Indonesia, rimasti buoni fino al 1965, si guastano dopo i fatti di Cambogia; la Cina
condanna la creazione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico del 1967 che riunisce gli Stati non comunisti della regione
(Thailandia, Filippine, Malesia, Indonesia e Singapore) e non intrattiene con essi alcun tipo di relazioni diplomatiche.
Nel Medio Oriente la situazione non è più favorevole alla Cina. L’Egitto di Nasser, lo Yemen e la Siria si avvicinano all'URSS. La Cina
accorda il sostegno, dal 1964, all’OLP, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina.
Alla fine degli anni ’50, la decolonizzazione in Africa fa nascere buone relazioni diplomatiche fra la Cina e i nuovi stati indipendenti
(Guinea, Ghana, Mali, Zaire, Senegal e Tanzania). Altrettanto buoni si fanno i rapporti con l’Africa francofona: Congo, Repubblica
centroafricana, Dahomey. Tuttavia presto l’influenza cinese in Africa diminuisce in seguito ai vari colpi di stato che si susseguono o di
fronte all’aumento di influenza da parte di altre potenze.
Nell’America Latina, la Cina ha ancora scarsa influenza  non intrattiene nessuna relazione diplomatica con i partiti comunisti locali
che si rivolgono invece a Mosca. Anche i buoni rapporti Cino-Cubani, con Fidel Castro, si guastano dopo la crisi dei missili del 1962.

Questo “isolamento” cinese è provocato dagli eccessi della rivoluzione culturale, la quale ha fatto apparire la Cina come una potenza
debole e pericolosa. Zhou Enlai capisce allora che la politica estera della Cina deve essere ricostruita, su basi nuove.
2. Avvicinamento all'Occidente e politica d'apertura (1970-80)

Tra il 1970 e il 1980, la Cina si avvicina progressivamente all’Occidente: “apertura con le nazioni al di là dei mari”. Tale apertura
rimane comuque selettiva, in quanto esclude l’Urss, con la quale continua il confronto.

Una nuova riflessione sull'ordine mondiale


La Cina, dal 1964, si dota di una forza nucleare primitiva ma rimane comunque in ritardo circa l’armamento e tecnologia militare;
l’esercito di terra manca di strutture di trasporto e comunicazione, cannoni e missili anti-aerei. Questa inferiorità, sommata alla paura
di una futura intesa fra Usa e Urss (in cui la Cina verrebbe marginalizzata – diffidenza dei colloqui che porteranno al SALT), rende
l’isolamento diplomatico cinese molto pericoloso. Nel 1969 Nixon inizia un ritiro progressivo delle truppe dal Vietnam; questo lascia
presupporre una revisione della politica americana in Asia in Corea del sud, Taiwan e Giappone, dove l’Urss potrebbe tentare di
colmare il vuoto lasciato dagli americani. La dottrina Breznev fa approfondire l’antagonismo cino-sovietico in quanto al conflitto
ideologico, si aggiunge il timore cinese di un accerchiamento da parte di alleati o satelliti sovietici.
Tra le due superpotenze (“superpotenza” = paese imperialista che con la forza bruta tenta di imporre la sua egemonia), entrambe
temibili, la Cina riconosce come suo maggiore avversario l’Urss. Secondo la Cina, questa brama di egemonia, ha portato a spaccare sia
il blocco capitalista che quello socialista, e ha progondamento trasformato il sistema internazionale e i rapporti fra le forze, che si
riorganizzeranno secondo una tipologia ternaria. La Teoria dei tre mondi, formulata da Mao nel 1974, verrà spesso ripresa da Deng
Xiaoping davanti all’ONU:
. primo mondo → dove si trovano le due potenze egemoniche: USA e URSS
. secondo mondo → comprende Giappone, Europa e Canada
. terzo mondo → nel quale la Cina ha scelto di collocarsi accanto agli altri paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina
Questa retorica, anche dopo la morte di Mao (1976), rimarrà fondamento della strategia cinese. Circa il primo mondo, fin dall’inizio, il
tirmore verso l’Urss, porta la Cina a schierarsi più contro di essa che contro gli Usa (con il quale ha ripreso il dialogo nel 1969). Circa il
secondo mondo, la Cina cerca di integrare il Giappone e i paesi europei in un fronte unito contro l’URSS. Quanto al terzo mondo la Cina
vi conduce un’azione essenzialmente simbolica; solo la politica estera di questi paesi nei confronti dell’URSS, è presa in considerazione.
Questo porta la Cina ad entrare in conflitto con i regimi marxisti di: Cuba, Vietnam, Angola e Afganistan.

L’avvicinamento agli Stati Uniti e all'Occidente


La ripresa del dialogo cino-americano del 1969, interrotto dopo la rivoluzione culturale, è facilitata dal cambiamento
dell’atteggiamento americano compiuto da Nixon. Egli, ansioso di porre termine all’impegno americano in Vietnam, volendo creare un
equilibrio in Asia a loro favorevole e temendo la pressione militare sovietica, addolcisce l’atteggimaneto verso la Cina. Nel 1971 gli Usa
tolgono in veto e la Repubblica Popolare Cinese entra a far parte dell’ONU, sostituendo Taiwan. Del 1972 è il Comunicato di Shanghai,
con cui l’America riconosce il principio dell’unità cinese e quello dell’appartenenza di Taiwan alla Cina, pur riaffermando l’interesse che
nutrono per il destino dell’isola (il problema di Taiwan dunque continua ad essere un ostacolo), e con il quale la Cina rivendica:
l’abrogazione del Trattato di reciproca sicurezza del 1954 fra Stati Uniti e Taiwan, fine del riconoscimento americano di Taiwan come
Repubblica di Cina e il ritiro del personale e delle attrezzature militari americane da Taiwan.

Tuttavia, i negoziati strategici russo-americani, espressione della Massima Distensione iniziata nel 1973, che portano alla stipulazione
del SALT I nel 1972 e all’accordo di massima firmato a Vladivostok nel 1974, preoccupano e irritano i cinesi. Questo fa bloccare il
riavvicinamento cino-americano.
Solo il ritorno in politica cinese di Deng Xiaoping nel 1977 e l’elezione di Carter, porteranno al rilancio dei negoziati che porteranno al
Comunicato Comune del 1978, tramite il quale gli Usa riconoscono la Repubblica Popolare come il solo governo legale della Cina e
accettano di denunciare il Trattato di sicurezza reciproca con Taiwan. Nel 1979 Deng Xiaoping fa un viaggio in Usa e stipula accordi
complementari: scientifici, tecnologici, culturali e commerciali (Cina ottiene clausola di “nazione favorita”).
Restano tuttavia dei problemi irrisolti; il Congresso americano firma il Taiwan Act per risolvere il problema di Taiwan con mezzi pacifici,
ma la Cina protesta. Questo però non ostacola l’intensificazione delle relazioni anche su altri piani: economici (Usa disposta anche a
vendere armi a Cina) politico, culturale e strategico.

La distensione porta ad un riavvicinamento anche con i paesi occidentali e il Giappone. Cina e Giappone ripristinano le relazioni
diplomatiche. Il Giappone riconsoce la Repubblica Popolare come il solo governo legale e l'unico a dover esercitare la sovranità su
Taiwan, e si rammarica per i danni causati durante l'occupazione del 1937-45. Dal canto suo, la Cina si impegna a non chiedere
risarcimenti di guerra. I due stati provano a raggiungere addirittura un Trattato di pace e amicizia, ma i negoziati incontrano ostacoli: i
stretti legami economici fra Giappone e Taiwan, la disputa circa la sovranità sulle isole Senkaku, disputa sulla delimitazione delle acque
territoriali nelle zone ricche di petrolio, la richiesta cinese di introdurre nel trattato una “clausola anti-egemonica” che condanni il
tentativo di qualunque stato di stabilire il proprio predominio in Asia (rivolta di fatto all’Urss).
Il riavvicinamento con gli stati dell’Europa Occidentale segue un’evoluzione analoga. Nel 1972 la Cina (ri)stabilisce relazioni
diplomatiche con gran parte di essi; nel 1975 stringe relazioni con la Comunità Europea, la quale nel 1978 le concede la clausola di
“nazione più favorita”.
La Cina chiede un rafforzamento della NATO e condanna la Conferenza di Helsinki del 1975, considerata un cavallo di troia per
l’espansione sovietica.

Confronto con l'Unione Sovietica e rivalità cino-sovietica in Asia del Sud e del Sud-Est
Negli anni ’70-’80 il confronto cino-sovietico perdura ancora. I negoziati del1969 per risolvere il problema delle frontiere sono
inconcludenti; l’URSS vorrebbe una regolamentazione della politica generale mentre la Cina vuole il “cessate il fuoco” e il ritiro
simultaneo delle truppe nelle zone contestate. Dopo gli incidenti dell’Ussuri del 1969, l’Urss continua a migliorare gli armamenti
militari; i bombardamenti strategici hanno ottimo raggio d'azione e la flotta del Pacifico viene rafforzata in quantità e qualità. La Cina
reagisce cercando di sviluppare la propria forza militare dalla frontiera coreana alla Mongolia, disponendo un milione e mezzo di
uomini. Tuttavia il confronto non si limitava alle zone di frontiera; la Cina allora mobilita tutte le risorse diplomatiche per ostacolare
l’espansione sovietica. L’India si lega all’Urss e il Pakistan alla Cina. Quest’ultimo legame però si incrima quando il Pakistan costituisce
nel 1971 il Bangladesh come stato indipendente e la Cina lo disconosce; i rapporti miglieraranno solo nel 1979 dopo l’invasione
sovietica dell’Afganistan. Tale invasione dell’Afganistan provocherà anche un avvicinamento (ma non un vero miglioramento) fra Cina
e l’India che la percepiscono come preoccupazione comune.
È nella penisola indocinese che il confronto cino-sovietico assume caratteri più acuti; la Cina inizia a provare antagonismo verso il
Vietnam del Nord che accusa di voler imporre la propria egemonia sulla penisola e di servire le ambizioni strategiche dell’Urss.
La Cina rimane soddisfatta degli Accordi di Parigi che, nel 1973, hanno posto fine alla guerra in Vietnan affermando l’esistenza di due
stati vietnamiti del nord e del Sud, e confermando la neutralità di Cambogia e Laos. Ma questo equilibrio non dura molto; il Vietnam
del Nord rimane minaccioso in quanto rafforza i legami con l’Urss. Nel 1978 Hanoi aderiesce al “Consiglio per l'aiuto economico
reciproco – COMECON” e firma con l’Urss un Trattato di cooperazione ed amicizia, che la Cina considera orientato contro di sé.
Dunque, nel 1979 la Cina interviene militarmente in Vietnam del Nord; azione molto pericolosa, in quanto avrebbe potuto scatenare
un attacco sovetico. I dirigenti cinesi pensarono ad una guerra lampo ma la resistenza vietnamita costringe ad un prolungamento delle
operazioni, rischiando davvero un intervento sovietico. Il Consiglio dell’ONU esorta il ritiro delle truppe; le perdite sono alte e il costo
della guerra compromette la realizzazione delle “Quattro modernizzazioni”. Quella che avrebbe dovuto essere un’operazione di rivalsa,
mostra alla Cina che il suo esercito non era in grado di condurre una guerra offensiva moderna. La scelta cinese è ora fra:
modernizzazione militare e modernizzazione economica. Deng Xiaoping sceglie la seconda. Tuttavia la Cina non rinuncia ad una
strategia antivietnamita e antisovietica nella regione; si avvicina ai paesi dell’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations) e,
appunto, all’America.

La politica cinese del Terzo Mondo (Medio Oriente, Africa, America latina)
Nel 1974 la Cina sottoscrive una dichiarazione scritta da un gruppo di paesi in via di sviluppo, i quali reclamavano l’instaurazione di un
nuovo ordine economico internazionale, più favorevole ai prodotti di materie prime e che tenesse più in considerazione gli interessi
del Terzo Mondo. Infatti, la Cina, seppur strinse legami economici con l’occidente, rifiutò sempre la politica americana ed europea nei
confronti del terzo mondo (contro l’imperialismo che continua a denunciare).
Nel 1976 la Cina si avvicina all’Egitto, dopo che Sadat ebbe denunciato il Trattato di amicizia e cooperazione con l’Urss.
In Africa, la Cina instaura varie relazioni bilaterali e prende posizione sui vari conflitti regionali (sia tramite la stampa che nell’ONU).
Nella crisi angolana del 1974 essa appoggia i movimenti nazionalisti, in opposizione al movimento popolare di liberazione influenzato
dall’Urss; si avvicina a Zaire ed Etiopia; critica la politica libica in Ciad.
In America Latina la diplomazia cinese mantiene un profilo basso, benché abbia stretto relazioni ufficiali con Cile, Perù, Argentina,
Messico, Venezuela e Brasile. Riguardo a Cuba, la Cina denunciò con vigore l’imperialismo americano.

Sembra dunque che la Cina sia riuscita ora a conciliare un duplice approccio ai problemi internazionali:
-verso le superpotenze → basato sulle questioni di sicurezza
-verso il terzo mondo → basato sul sostegno di valori di uguaglianza e giustizia
A fine anni ‘70, la Cina è impegnato come mai in passato nel funzionamento del sistema internazionale; è inserita nelle organizzazioni
mondiali e tramite l’attività diplomatica spera di ottenere sicurezza e rispetto necessari per la realizzazione delle Quattro
Modernizzazioni.

3. Politica d’indipendenza e ascesa come potenza regionale

All’inizio degli anni ‘80, il contesto mondiale era poco stabile e la Cina aveva come prima preoccupazione quella di rimuovere gli
ostacoli che avrebbero potuto comprometterne la modernizzazione. L’ideologia non è più tenuta in gran conto nella definizione della
politica estera cinese, la quale, ormai secolarizzata, lascia spazio a interessi di sviluppo economico (politica di apertura).
La caduta di Hu Yaobang (1987) causa difficoltà nelle relazioni cino-giapponesi, mentre l’avvicinamento all’Urss è dovuto a Li Peng
(simpatizzante dell’Urss).
La Cina diviene uno dei principali beneficiari dei crediti delle organizzazioni internazionali; nel 1986 entra nel GATT (Sistema generale
di accordo tariffario) per facilitare gli scambi commerciali, prima regolati da vari trattati bilaterali. Pur partecipando alla comunità
internazionale, tuttavia la Cina non accetta i valori su cui si basa come trasparenza statistica e ricorso a procedure di arbitrato
internazionale; la repressione delle rivolte tibetane nel 1989 e i massacri in Piazza Tien-an men dello stesso anno dimostrano che i
diritti dell’uomo sono subordinati agli interessi nazionali cinesi.

L’avvicinamento cino-sovietico è simbolo di una distensione globale, confermata dall’accordo fra Gorbaciov e Reagan
sull’eliminazione dei missili a breve e media gittata nel 1987. Questo apre alla Cina nuove speranze di sviluppare rapporti con gli stati
vicini e affermare la sua potenza a livello regionale. Tuttavia, l’avvicinamento cino-sovietico mette in discussione le relazioni fra Cina e
Giappone, il quale era da sempre considerato dalla Cina come punto cardine della sua lotta antisovietica e del quale ora sorveglia con
preoccupazione l’ascesa militare e politica.
All’inizio del 1989 la Cina dunque appare al mondo come potenza pacifica, desiderosa di perseguire la propria modernizzazione grazie
ad una cooperazione con potenze industrializzate, sia capitaliste che socialiste, e impegnata per costruire una stabilità in Asia
Orientale. Ma la repressione di Piazza Tien-an Men distrugge questa immagine rassicurante della Cina. Rimangono gli imperativi della
Realpolitik (scelte basate più su questioni pratiche che su principi universali o etici); basteranno a salvaguardare il posto che, dopo 10
anni di sforzi, la Cina si era conquistata nella comunità internazionale?
La cooperazione con gli Stati Uniti
Nel 1982 la Cina prende un po’ le distanze dagli Usa e riapre il dialogo con l’Urss; riafferma l’indipendenza della sua politica estera e la
sua solidarietà con il Terzo Mondo. Le relazioni con gli Usa hanno incontrato due ostacoli:
-mantenimento di buone relazioni fra Usa e Taiwan → tuttavia, uno spirito di riappacificazione spinge gli Usa a firmare il
Comunicato Comune nell’agosto 1982 che prevedeva la riduzione della consegna d’armi americane a Taiwan (questo
blocca la crisi ma non il malessere)
-lotta per i diritti dell’uomo → gli USA criticano la repressione dei tumulti tibetani nel 1987; in reazione innalzano le
barriere doganali verso le importazioni cinesi, creando tensioni.
Tuttavia, le relazioni economiche fra i due stati continuano (Usa vende armi a Pechino, anche se teme che Pechino le esporti nei paesi
del Terzo Mondo) e le relazioni in generale rimangono buone per volere dei governanti.

L’avvicinamento cino-sovietico
Può dunque sembrare, ai suoi inizi, che l’apertura verso l’Urss, sia stata conseguenza di certe delusioni incontrate nelle relazioni con gli
Usa. La Cina si dichiara aperta a iniziare negoziati con l’Urss ma l’invasione dell’Afganistan del 1979 ne provoca l’interruzione.
L’avvicinamento riprende grazie a visite ufficiali, nelle quali i problemi economici vengono divisi da quelli politici. Per volontà di
Gorbaciov, le timide aperture del 1982-1985, portano ad una vera e propria riconciliazione fra Cina e Urss, coronata dall’incontro fra
Gorbaciov e Dieng Xiaoping nel 1989. Gorbaciov sa che per continuare questo avvicinamento deve accettare delle concessioni chieste
da Pechino:
-ritiro sovietico dall’Afganistan
-ritiro delle truppe dalle frontiere di confine e accettare la divisione fra stati lungo il corso dei fiumi Amur e Ussuri
-ritiro dell’appoggio alla politica del Vietnam in Cambogia [ritiro truppe vietnamite, formazione di un governo di coalizione che
comprenda i Khmer rossi, sotto la presidenza del principe]
Dunque, Gorbaciov annuncia un ritiro parziale da Mongolia e Afghanistan e accetta di fissare la frontiera lungo i due fiumi.
L’eliminazione dei primi due ostacoli permette la ripresa dei negoziati. Riguardo alla Cambogia, dove l’URSS sostiene il partito dei
Vietnamiti e del governo che essi hanno installato a Phnom Penh - mentre la Cina appoggia il movimento di resistenza, ovvero la
branca comunista Khmer rossa, l’URSS favorisce gli incontri fra il primo ministro del governo di Phnom Penh e il principe capo della
resistenza antivietnamita; nel 1987 Hanoi annuncia il ritiro unilaterale delle truppe vietnamite. Quando ancora il conflitto in Cambogia
non era finito, la Cina, a fine 1988 prende l’iniziativa di un vertice cino-sovietico. Questa fretta si spiega forse con la paura di non
essere considerata nei trattati di pace in Cambogia, forse con il deisderio di Deng Xiaoping di concludere al meglio il suo mandato o
forse con la volontà di stringere subito rapporti con Gorbaciov del quale ammiravano la politica di riforme. L’incontro al vertice fra
Gorbaciov e Dieng Xiaoping nel Maggio 1989, a causa dell’esplosione della protesta in Piazza Tien-an Men, non ottiene la risonanza
che avrebbe dovuto avere e segna il declino di Deng Xiaoping. Tuttavia, a livello internazionale, nonostante la questione cambogiana
non sia ancora risolta, segna il culmine della normalizzazione già compiuta; La smilitarizzazione alla frontiera continua, la
cooperazione si rafforza nei campi dell’educazione, dell’economia e della tecnologia, e l’URSS si dimostra più attenta alle
preoccupazioni geopolitiche della Cina (soprattutto nella penisola indocinese). A questo proposito, l’avvicinamento cino-sovietico
appare come un fattore determinante che permette alla Cina di emergere come potenza regionale.

La Cina, potenza regionale


Grazie alla distensione internazionale fra i paesi dell’ASEAN, la Cina si rafforza nel sud-est dell’Asia; tuttavia il conflitto cambogiano
sconvolge il gioco diplomatico nella penisola. Infatti, nonostante il ritiro dei vietnamiti nel 1989, l’organizzazione politica del nuovo
regime cambogiano continua a suscitare perpelssità; l’ASEAN e gli occidentali temono che il vuoto politico venga riempito dai Khmer
Rossi, che la Cina continua ad appoggiare. Tuttavia, il ritiro vietnamita aveva portato ad un miglioramento delle relazioni cino-
vietnamite. Nel 1988 la frontiera cino-vietnamita si apre al commercio e iniziano negoziati fra i due paesi. Un processo di pacificazione
si avvia anche nelle relazioni cino-indiane, oltre che con la Mongolia e Corea del Sud con le quali la Cina sviluppa scambi industriali.
Sia l’Urss che la Cina decidono di partecipare alle Olimpiadi di Seul del 1988 e questo migliora le relazioni cino-coreane.

Le ambiguità delle relazioni cino-giapponesi


Il riavvicinamento cino-sovietico ha permesso di sedare numerosi conflitti regionali. Il Giappone è diventato il maggior partner
commerciale della Cina (da cui importa il 29% delle importazioni), ma dopo la caduta di Hu Yaobang le relazioni Cino-Giapponesi si
deteriorano e si arriva ad una minicrisi nel 1987. Essa scoppia quando Deng Xiapong, accusa Tokyo di non essere fedele al Trattato di
pace e di amicizia firmato nel 1978 e annuncia che la Cina riprende dunque a denunciare le riparazioni di guerra. Cause della crisi sono
gli ingenti investimenti giapponesi a Taiwan, che hanno fatto crescere quest’ultimo e hanno reso più difficile il processo di unificazione;
inoltre, i ricordi dell’invasione nipponica persistono e il declino dell’Urss e una certa marginalizzazione degli Usa aprono la
competizione fra Cina e Giappone per l’egemonia regionale.
La politica di indipendenza e di non allineamento che la Cina ha adottato a partire dal 1982 e che Hu Yaobang ha formulato negli “Otto
principi” del 1985 (coesistenza, opposizione all’egemonia, apertura sui paesi sviluppati o in via di sviluppo, simpatia verso il Terzo
Mondo) porta ad un periodo di modernizzazione diplomatica dove le più grandi ispirazioni sono quelle di unificazione, ovvero di
integrare Hong Kong e successivamente Taiwan.

Gli sforzi di riunificazione: Hong Kong, Macao, Taiwan


Questa speranza viene confermata nella firma dell’Accordo cino-Britannico del 1984, i quali prevedono il ritorno di Hong Kong alla
sovranità cinese secondo la formula: “un paese, due sistemi”. Approvata dalla comunità internazionale e accettata dai residenti di
Hong Kong, questa soluzione si scontra con difficoltà di attuazione; quando le autorità britanniche pubblicano il libro verde, che
esamina le diverse ipotesi di evoluzione del sistema politico-amministrativo, le autorità cinesi protestano, denunciando un'ingerenza
negli affari interni del paese. La pubblicazione di una legge fondamentale conferma i timori di coloro i quali dubitano che una vera
autonomia venga lasciata a Hong Kong.
I rapporti tra la Cina e Taiwan si moltiplicano; investimenti, contatti economici e visite familiari. Ma da questi contatti a un'unificazione
politica il passo è grande e molti cittadini di Taiwan, legati al proprio livello di vita elevato e al proprio sistema politico in via di
liberalizzazione si rifiutano di farlo.
Tien-an Men, e dopo?
Nel 1989 Deng Xiapong aspetta l’incontro con Gorbaciov e si sente soddisfatto dal risollevamento cinese a livello internazionale
durante il decennio trascorso; la Cina viene rispettata ed è vista come una potenza pacifica, in via di modernizzazione e di
liberalizzazione.
Tuttavia, i massacri di Tien-an Men del 4 giugno 1989, mostrano in televisione al mondo l'altra faccia del regime cinese, scatenando
condanne di principio, sospensione delle visite ufficiali, cessazione delle vendite d'armi e sanzioni economiche: la Banca mondiale
congela i crediti ad essa destinati e il Giappone mette in discussione l'importanza del loro accordo bilaterale.
Il governo cinese respinge le critiche e Deng Xiaoping rassicura che la politica d'apertura adottata nel 1978 sarà mantenuta e che la
cooperazione economica con Stati Uniti, Europa e Giappone continuerà.
La Conferenza di Parigi sulla Cambogia è la prima occasione per “mettere alla prova” la politica cinese dopo gli eventi di piazza Tien-an
Men. Qui la Cina continua a sostenere i Khmer rossi, deludendo le speranze degli occidentali che contavano nella sua moderazione.
I maggiori danni provocati dalla repressione di Tien-an Men si hanno nelle questioni di: Hong Kong e Taiwan. A Hong Kong la
popolazione ha manifestato in massa contro la repressione e in favore di migliori garanzie per l'applicazione della Legge
Fondamentale da parte del governo di Londra. A Taiwan la repressione di Tien-an Men ha suscitato profondi movimenti di solidarietà
verso gli studenti pechinesi, gettando un completo discredito sull'idea di una riunificazione con il governo di Pechino.

Cap. XIII – IL DECENNIO GLORIOSO

Negli anni ’90 in Cina si ha grande slancio economico, urbano e rurale, tuttavia ineguale: grande nelle zone costiere e talvolta
inesistente nelle province del centro e dell’ovest. Questo viene considerato il decennio glorioso cinese, nonostante Tien-an Men, il cui
ricordo è continuamento occultato dalla Cina e tende dunque a cancellarsi. Esso viene accompagnato da mutamenti sociali i quali
hanno però natura ambigua; si trova iniziativa e autonomia nel mercato mentre si torna a tradizioni e poteri arcaici, sfavorevoli
all’emancipazione femminile. Dunque, il dinamismo economico, si contrappone spesso ad un immobilismo politico. Il regime è
cambiato, è privo di fondamenti ideologici e corroso dalla corruzione ma tuttavia riceve legittimazione grazie all’aumento dello stile di
vita della maggioranza della popolazione.
La Cina supera bene la crisi asiatica del 1997-1998. Il rifiuto di svalutare lo yuan evita inflazioni e instabilità monetaria; inoltre
l’indebolimento delle altre potenze asiatiche (Indonesia, Giappone, Corea del sud) favorisce l’espansione cinese su scala regionale e
mondiale. Molte incertezze, tuttavia, continuano a pesare sul futuro della Cina, sul suo sviluppo economico ancora fragile, sulla sua
identità culturale minacciata dagli imperativi della modernizzazione e sul suo sistema politico.

1. Lo slancio economico

Il corso irreversibile della riforma


Lo slancio economico degli anni ’90 è dovuto alla continuazione della riforma. I conservatori del PCC denuciano gli eccessi della
liberalizzazione economica, si oppongono alle importazioni straniere, al capitalismo e lanciano l'idea di una ricollettivizzazione rurale
ma falliscono perché mettono in discussione le esperienze principali della riforma: ritorno allo sfruttamento agricolo familiare e
l’apertura al mercato mondiale. Deng Xiaoping afferma che la riforma è sempre l'ordine del giorno e che la Cina non ritornerà più
all'antica politica della porta chiusa.

Il rilancio e il boom degli anni 1992-1994


Deng Xiaoping compie un viaggio nelle province del sud (forte significato simbolico), il quale costituisce il suo ultimo grande intervento
nella vita pubblica cinese. Nel corso degli anni 1992-1994 la crescita economica cinese, spinta da quella dell'Asia orientale, giunge al
culmine. Gli scambi con l'estero aumentano, così come gli investimenti. Quest'apertura al mercato mondiale è fondata sui vantaggi
relativi offerti dalla Cina: prezzi competitivi e abbondanza di manodopera. La produzione industriale aumenta rapidamente, ma una
buona parte delle imprese collettive private che producono manufatti destinati ai mercati esteri sono lavoratori rurali, la cui prosperità
contrasta con il rallentamento della produzione agricola.

Il programma di Zhu Ronji e la radicalizzazione della riforma


Il boom del 1992-1994 non tarda a provocare squilibri. Lo sviluppo dell'industria pesante non segue quello delle industrie di consumo.
La produzione di energia e la capacità dei trasporti non crescono allo stesso ritmo della produzione industriale. Il governo, incapace di
padroneggiare gli strumenti di controllo macroeconomici, ha fermato la crescita con misure amministrative brutali. Zhu Rongji,
nominato nel 1993 vice Premier della politica economica, affronta gli ostacoli fino quel momento accuratamente girati. Egli avvia
quattro riforme in diversi ambiti:
- riforma fiscale
- riforma bancaria → vuole dare le banche una reale indipendenza commerciale e liberarle
- riforma dei cambi → stabilisce una convertibilità limitata dello yuan e la svaluta del 40%
- gestione delle imprese pubbliche
Quando viene eletto primo ministro nel 1997, Zhu Ronji riprende i punti del 1993; per quanto siano state applicate solo parzialmente,
le riforme hanno comunque permesso di rallentare la crescita senza cancellarla; l'inflazione è stata bloccata, i principali equilibri
ristabiliti e le esportazioni continuano a crescere.

Il gradualismo cinese: un modello di transizione?


I successi dell'economia cinese sorprendono molti esperti scettici nei confronti di quest’ultima. Essa suscitava perplessità per: lentezza
di sviluppo, libertà totale dei prezzi, apertura senza restrizioni al mercato internazionale, non intervento del governo nel gioco
economico e proprietà privata dei mezzi di produzione. La riforma porta dunque, per alcuni critici, ad un immenso successo.

La riforma incompiuta
La grande crescita del 1992-1998, ha nascosto alcuni ostacoli contro cui rischiava di scontrarsi. Il settore industriale pubblico infatti era
in decifit cronico; le riforme lanciate negli anni ’80 di fiscalizzazione, sistema di responsabilità dei gestori, leggi sulla libertà di
assunzione e licenziamento, sono poco e mal applicate. Il settore pubbico funziona in perdita con con 180 milioni dipendenti agganciati
ai privilegi; sopravvive grazie a sovvenzioni e crediti bancari che ha portato ad un enorme debito. Zhu Rongji decide così di limitare le
sovvenzioni e prestiti bancari accordati alle imprese di Stato e riesce a far diminuire l’inflazione. Sempre Zhu Rongji affronta la riforma
della proprietà; essa prevede la trasformazione delle imprese pubbliche in società per azioni
A partire dall'autunno 1998, l'economia cinese da' numerosi segni di debolezza. L’accresciuta competitività dei paesi del sud-est
asiatico, fanno rallentare la crescita del PIL e dell'esportazione; la domanda interna cala, si accumulano gli stock invenduti, aumenta la
disoccupazione e gli investimenti di stranieri diminuiscono del 56%. Moltissimi contadini emigrano da una provincia all'altra in cerca di
lavoro. La Cina si oppone al decentramento e alla riduzione del ruolo delle imprese di Stato; si ha l'impressione che la riforma sia
sospesa. Il governo preferisce ritornare ai vecchi metodi di controllo: fissazione dei prezzi, moltiplicazione delle barriere doganali non
tariffarie, limitazione degli investimenti stranieri esclusi da certi particolari settori.
Mentre negli anni ‘80 i riformisti temevano soprattutto l'opposizione della fazione conservatrice del partito, oggi sembrano invece
preoccupati di evitare le manifestazioni di malcontento sociale.

2. Il ritorno della società


Negli anni '80 la politica delle Quattro Modernizzazioni aveva già aperto la strada al rinnovamento della società. Nella vita privata i
cinesi sono ormai liberi di sposarsi, di viaggiare, di compiere studi come preferiscono o quasi. Unica costrizione rimane quella del figlio
unico ma si è molto attenuata, soprattutto nelle campagne. La libertà si estende: libertà di impresa, di riunione, di associazione.

Spontaneità sociale e modernizzazione economica


Liberati dal sistema di registrazione che li legava alla terra, e dunque liberi di dedicarsi ad attività di produzioni specializzate,
commercio, artigianato e industria, molti contadini sono diventati veri e propri imprenditori. Chi riesce a ottenere successi economici
gode di un netto innalzamento del livello di vita. La popolazione inizia così a potestare contro gli squilibri che comporta la riforma
economica e il suo recente rallentamento; il governo risponde attuando (a volte) dei compromessi. Ma dal 1998 i disagi aumentano; gli
operai licenziati dalle imprese bloccano strade, ponti e ferrovie. Si scava un fossato tra ricchi e poveri tra le popolazioni urbane e quelle
rurali, tra le province della costa e l'interno. Il governo è consapevole della minaccia rappresentata dal malcontento popolare; tuttavia
decide di non negoziare con i protagonisti sociali ma, all'occorrenza, di dare concessioni tempestive per sedarli.

La società non costituita


Divenuta più autonoma, la società cinese non è tuttavia una società civile; la repressione di Tien-an Men mostra che certe forme di
autonomia sociale possono anche coesistere con un sistema autoritario senza alternarne il carattere.
Esistono molte organizzazioni sociali (di imprenditori o esperti) e associazioni dedicate agli svaghi; la maggior parte di esse hanno con il
potere rapporti di buon vicinato, ricevendo sovvenzioni pubbliche e dipendendo quindi dal partito. Esse tuttavia son ben diverse dalle
vecchie organizzazioni di massa maoiste, che erano vere e proprie vie per diffondere le direttive emanate dal centro.

Il trionfo del «Vecchio uomo»


Iniziato già negli anni ’80, ora si ha in Cina un ritorno al sistema familiare, si restaurano tombe e altari, aumenta la criminalità e la
corruzione, si torna al culto degli antenati, alle attività legate al clan e al linciaggio, il matrimonio torna ad essere combinato e ad
essere una transazione economica; rinascono pratiche che si credevano ormai abolite e superate dala modernizzazione e
dall’occidentalizzazione → no trasformazione in società civile, ma ritorno al clan.
Nel 1997 un progetto di legge sul divorzio insiste sulla necessità, ormai molto urgente, di tutelare le donne.

L'arte delle relazioni sociali (guanxixue)


Ormai la comunità sociale si basa sull’arte delle relazioni sociali (che risale a Confucio); si creano reti di solidarietà tradizionali basati
sullo scambio di doni, legami e obblighi reciproci. Questa diventa principale risorsa e fonte di dinamismo del nuovo capitalismo cinese;
tuttavia viene impregnata di corruzione e nepotismo. Il ritiro del partito-stato ha favorito l’istituzione di molte feudalità locali; esse
mettevano le pratiche tradizionali a favore della modernizzazione. Questo rappresentava sia un vantaggio che uno svantaggio. L’APL
aveva intrapreso grandi attività economiche e molti erano entrati nel giro del contrabbando, insieme a giovani senza futuro. Le chiese
e le sette accolgono coloro che, disorientati dal declino ideologico, cercavano una consolazione nella spiritualità.
Se la società, in queste condizioni, non si organizzò per rendere noti i loro interessi e disagi, non fu soltanto a causa delle minacce di
repressione; spesso infatti si preferiva risolvere i problemi per mezzo di contatti privati con l’autorità centrale, ovvero attravero il
clientelismo. E’ quest’ultimo che ha permesso/facilitato il mantenimento del regime comunista.

3. Il mantenimento del regime comunista

Molti studiosi si chiedono se la Cina degli anni ‘90 é ancora comunista? La risposta è si, fuori da ogni dubbio.
La Cina è uno dei rari paesi in cui, all'alba del 21º secolo, il regime comunista è sempre presente. Essa, anche al momento della
successione di Deng Xiaoping, si è mostrata unita nonostante la divisione in varie frazioni e alle rivalità personali e si è difesa con rigore
contro i suoi nemici.

La permanenza delle istituzioni


Il regime comunista cinese ha in sé una doppia eredità: marxista-leninista e maoista ma esso è più fedele al primo che al secondo.
L'ideologia del PCC non è mai cambiata radicalmente: essa si riassume nei quattro principi enunciati da Deng Xiaoping nel 1979:
seguire la via socialista, sostenere la dittatura del proletariato, sostenere la supremazia del PCC, aderire al marxismo-leninismo e al
pensiero di Mao. Nel 1997 questi principi sono stati scritti nello statuto del PCC, e gli è stata data la stessa autorità dei testi di Marx,
Lenin o Mao zedong. Le istituzioni sono sempre state dominate dalla gerarchia del partito.
Nel 1992 il Congresso rilancia la riforma, allineandosi alla formula dell'economia socialista di mercato.
Nel 1997 Jiang Zemin succede a Deng Xiaoping; nel 1998 Jiang Zemin diviene presidente della Repubblica e contemporaneamente
segretario generale del PCC (esercita direttamente la propria autorità sul partito, lo Stato e l'esercito), e Zhu Rongji diviene capo del
governo mentre Li Peng diviene presidente dell'assemblea.
L'APN non occupa più il centro della scena politica; ora non possiede più rappresentanti nel comitato permanente. La politica delle
Quattro Modernizzazioni ha fatto calare il suo budget, l'APL ha compensato il declino lanciandosi nella gestione delle imprese più
diverse.

Il degrado del sistema


Il bene supremo è diventato il denaro; il concetto di “civiltà spirituale” che il regime cerca di contrapporre al materialismo occidentale
non ha successo. L'affarismo domina il partito e il governo, come del resto la società. Il reclutamento di nuovi membri del partito
avviene spesso durante serate danzanti o spettacoli di karaoke ed è accompagnato dalla promessa di diversi vantaggi. Il declino
dell'ideologia comunista apre la via a particolari fenomeni di sovvertimento del sistema, i principali sono l'aumento della feudalità
locale e la generalizzazione della corruzione.
Lo sviluppo del regionalismo è stato stimolato dal passaggio alle province delle responsabilità di gestione delle imprese pubbliche, di
fiscalità e di investimenti stranieri; la capacità di intervento del governo centrale si è dunque ridotta, aggravata dall'aumento della
corruzione. Molti giudici e procuratore vennero condannati per abuso di potere, mentre alcuni funzionari per sottrazione di fondi; la
corruzione dei funzionari contribuisce a indebolire il Partito e genera ostacoli per la riforma econoimica. Il governo tenta allora di
denunciare le pratiche illecite e fare riforme amministrative.

I tentativi di rinnovamento amministrativo


Indicati ingannevolmente con “riforma politica”, questi tentativi rappresentano una nuova generazione di dirigenti molto più
pragmatici e attenti agli imperativi dettati della modernizzazione economica dei loro processori. Il rinnovamento biologico del
personale di alto livello é il principale fattore di evoluzione del regime; dopo la generazione dei patriarchi, in seguito al ritiro politico e
morte di Deng Xiaoping nel 1997, ha preso il potere quella degli ingegneri, i quali si sono formati nella scuola sovietica negli anni
‘50/’60 e sono dunque coscienti della necessità di distinguere tra ideologia e gestione economica.
Mentre nel 1987, Zhao Ziyang, aveva delimitato il ruolo del PCC (finire la linea politica generale) e quello del governo (attuare questa
linea), Jiang Zemin sottolinea ora invece la necessità da parte del PCC di attuare un controllo giurisdizionale sull'apparato dello Stato;
vuole rendere l’amministrazione più professionale, trasparente e responsabile.
Gli effetti della riforma si fanno sentire nel 1998 nel settore bancario ma nell'insieme questi effetti rimangono limitati.

La lotta contro la corruzione


All'interno del partito questa lotta è affidata alla commissione centrale di controllo della disciplina; i quadri di alto rango vengono
sottoposti a controllo ma il personale dell'APL sfugge alle sue competenze, in quanto dipendente da organi specifici.
La legge di procedura amministrativa, in vigore dal 1990, permette ai cinesi di presentare ricorsi giurisdizionali contro gli abusi dei quali
si ritengono vittime ma i meccanismi istituzionali si rivelano poco efficaci, com'è naturale quando i gendarmi sono anche i ladri. La
Caccia alle Tigri del 1993 e del 1998 prende di mira i quadri corrotti e gli uomini d'affari che li corrompono; si chiede anche all’APL di
fare pulizia nei propri ranghi. Segue la Campagna dei Tre accenti, attuata per preparare la commemorazione dei 50 anni dalla nascita
della Repubblica popolare cinese. Queste diverse campagne portano sempre all’emarginazione di alcune alte personalità corrotte, ma
il regolare ritorno di queste sulla scena politica testimonia l'inefficacia delle campagne stesse.

4. Le opposizioni represse e circoscritte

Il ricorso alla forza


Viene attuata una repressione (con più o meno severità a secondo delle esigenze di politica interna o estera) contro coloro che
contestano il potere del PCC o che cercano di sfuggire ad esso; dissidenti politici, organizzazioni religiose (soprattutto la Chiesa
cattolica clandestina) e sette non autorizzate, membri di minoranze nazionali sospettate di separatismo. Viene rafforzata la polizia
locale e la repressione soffoca la memoria collettiva, soprattutto Tie-an Men; ad ogni anniversario del massacro, il governo compie
arresti preventivi e precauzioni per evitare rivolte.
Aluni dissidenti riescono a sfuggre al’estero.

La strategia dello «Stato inglobante»


Nel 1998 intellettuali e giornalisti cinesi, avviano un dialogo pubblico su temi come la brutalità poliziesca e la riforma politica. Limitate
nelle loro iniziative dal governo centrale, le associazioni non possono servire da trampolino alle rivendicazioni democratiche. Ma le
strategie dello Stato inglobante comportano dei rischi che aumentano con le pressioni esercitate dalla società. Le associazioni attuali
sono infinitamente più differenziate nel reclutamento e negli obiettivi. La diffusione della comunicazione via Internet, che riguarda
ancora soltanto l'1% della popolazione, potrebbe svolgere una funzione portante in questa evoluzione. I dirigenti di Pechino fanno
sistematicamente appello ai sentimenti nazionalistici per screditare gli avversari.

5. La Cina in Asia e nel mondo

L'eredità della storia cinese ha un grande peso sulle relazioni internazionali in Asia orientale; la sua vocazione all'egemonia simbolica si
è trasformata in un'aspirazione di dominio militare, territoriale e politico.

Le mire della Cina e il nuovo contesto internazionale


Gli obiettivi della Cina sono: il ritorno alle frontiere dinastiche e volontà di espansione dall’Asia verso poi il resto del mondo. I dirigenti
degli anni ‘90 vogliono completare l’opera di Mao e Deng, ovvero riportare sotto a giurisdizione della Cina, Hong Kong e Taiwan.
Negli anni ‘90 si verificano cambiamenti internazionali; la crisi di Tien-an men (1989) isola temporaneamente la Cina, la Guerra del
Golfo (1991) mostra la superiorità militare occidentale e il crollo dell’unione sovietica (1991) determina la fine della guerra fredda. La
scena regionale in Asia orientale diviene più complessa; l’impegno diplomatico americano, che dagli anni ‘50 era stato fattore di
stabilità, viene messo in discussione. Grazie al loro successo economico e alla loro evoluzione democratica, Corea del Sud e Taiwan
aumentano il loro ruolo; il Giappone, maggior partner economico della Cina, diviene il leader dell’integrazione economica regionale.
La preponderanza della Cina sul continente è vista dall’Occidente come un fondamento accettabile della stabilità regnale e dalla
maggior parte dei vicini della Cina come un’evoluzione inevitabile. La Cina può giocare sulla rivalità tra gli Stati Uniti e l'URSS per
praticare verso le due superpotenze una diplomazia triangolare.
Negli anni ’90 il governo prende lentamente coscienza delle trasformazioni delle relazioni internazionali; benché la Cina si esprima su
temi come la tutela dell’ambiente o i diritti dell’uomo, i dirigenti continuano a ragionare in termini di rapporto di forza tra nazioni; di
qui l’importanza che danno al potenziamento militare.

Il rilancio della politica degli armamenti


Sacrificata durante lo sviluppo economico degli anni ’80, la politica degli armamenti viene rilanciata negli anni ‘90; la guerra del Golfo
aveva mostrato alla Cina il proprio ritardo tecnologico. Vengono vengono modernizzate le forze aeree, navali e l’armamento nucleare;
finché non firma il trattato di interdizione delle esperienze nucleari (1996) essa procede a molte esplosioni. La Cina aumenta gli
acquisti di armi straniere sofisticate; principale fornitore è la Russia. Nel 1999 la Cina rivela di possedere bombe a neutroni e missili a
lunga gittata; questo testimonia i grandi progressi compiuti. Questa politica degli armamenti ha alimentato a metà degli anni ‘90 un
nuovo dibattito sulla minaccia cinese; tuttavia gli esperti sostengono che la Cina non abbia ancora la capacità di proiettarsi su scala
mondiale.

Sovranità e unificazione nazionali


Negli anni ‘90 la Cina è riuscita a realizzare la maggior parte degli obiettivi; unico fallimento è la riunificazione con Taiwan.
Dopo il riavvicinamento con l’URSS, i due stati firmano un trattato multilaterale di riduzione delle forze militari insieme alle
repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale.
Preceduto dalla dichiarazione Cino-Britannica del 1984, il ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese avviene nel 1997; tuttavia nel
1999 l’annullamento da parte cinese di una decisione della corte suprema di Hong Kong, in violazione della legge fondamentale, mette
in discussione il principio di indipendenza del potere giudiziario dell’isola.

Il problema di Taiwan
Negli anni ‘90 il conflitto Cino-Taiwanese si moderato grazie all’intensificazione di scambi economici. La tensione culmina nel 1996
quando l’APL procede al lancio di missili nello stretto di Taiwan con lo scopo di non far candidare Lee, contrario ad una politica di
riunificazione, alle elezioni presidenziali; l'invio di due portaerei americane mette fine a queste dimostrazioni militari.
Le relazioni rimangono comunque tese e la Cina tollera sempre meno l’indipendenza de facto di Taiwan. Nel 1988 Clinton appoggia la
la “Politica dei tre no” cinese:
. no al sostegno e indipendenza di Taiwan
. no alla partecipazione di Taiwan alle organizzazioni internazionali
. no alla coesistenza di due Cine (principio di “una sola Cina”)
Sotto la pressione americana, dunque, Taiwan accetta di riprendere i negoziati con la Cina, ma le posizioni dei due stati non cambian.
Taiwan, sostenendo la democrazia, ritiene impossibile la riunificazione fino a che Pechino reprimerà ogni forma di opposizione politica
e pretenderà di imporre il partito unico; Pechino, da parte sua, si rifiuta di rinunciare all’uso della forza in caso di dichiarazione di
indipendenza da parte di Taiwan.

L'espansione dell'influenza cinese in Asia del Sud-Est e del Nord-Est


La Cina, per eliminare la presenza militare straniera e riaffermare il suo ruolo nell’Asia del sud-est, estende la propria influenza nella
penisola indocinese. Approfondisce le relazioni con i paesi dell’ANSEA; stipula accordi bilaterali e legami economici, accetta negoziati
con essi per sedare vecchi conflitti, accetta l’adesione di nuovi paesi (Vietnam, Birmania, Laos, Cambogia) e rinuncia progressivamente
al sostegno ai Khmer Rossi (incontra addirittura il primo ministro cambogiano, prima denunciato come traditore).
La Cina ha anche delle mire geostrategiche; rivendica l’80% dei mari del sud e l’isole Paracel. Mentre agli inizi degli anni ’90 la Cina
adottò una politica cauta, destinata a mantenere buone relazioni con i paesi dell’ANSEA, in seguito alla crisi asiatica del 1997-1998 e al
conseguente indebolimento dell’ANSEA, la Cina riesce a espandersi, sottraendo territori alle Filippine.
L’alleanza con la Corea del Nord ha lasciato posto negli anni ’90 ad una politica cinese più pragmatica, la Politica delle due Coree; nel
1992, pur mantenendo buone relazioni anche con la Corea del Nord, instaura forte relazioni economiche con la Corea del Sud. La Cina
voleva evitare la riunificazione delle due Coree; la Corea del Nord non si era dimostrato un fidato alleato; non aveva rispettato
l’accordo del 1994 e continuava a lanciare missili a lunga gittata sopra il Giappone.
L’avvicinamento Cino-Giapponese degli anni ’80 si indebolisce a causa dell’aumento del nazionalismo cinese; il ricordo delle atrocità
commesse durante l’occupazione nipponica rimane nella popolazione e fra i governanti.
L’intensificazione del ruolo economico, diplomatico e strategico cinese in Asia Orientale negli anni ’90, incontra due ostacoli, fra loro
legati: l’indipendenza de facto di Taiwan e la presenza economica militare americana nella regione.

Le oscillazioni delle relazioni cino-americane dal 1989 al 1999


Le relazioni cino-americane sono affette da una radicale contraddizione. Da una parte gli investimenti, i trasferimenti di tecnologia e il
mercato con l’America sono indispensabili per la continuazione della riforma economica cinese; dall’altra l’egomonia americana in Asia
orientale è sentita come un’usurpazione per la Cina. Queste contraddizioni provocano violente oscillazioni nelle relazioni (crisi seguite
da riappacificazioni improvvise), interessando argomenti importanti per le politiche dei due stati. Le crisi recenti più importanti si
hanno in seguito a:
» repressione di Tien-an Men del 1989 → gli Stati Uniti sanzionano economicamente e diplomaticamente la Cina
» fallimento della candidatura di Pechino come sede dei giochi olimpici 2000 → la Cina accusa gli Stati Uniti di esserne la causa
» lanci di missili cinesi nello stretto di Taiwan p→ gli Stati Uniti intervengono con la marina militare
» l'intervento occidentale in Kosovo nel 1999 → interpretato dalla Cina marcia della Nato verso est. Il bombardamento
dell'ambasciata cinese a Belgrado, avvenuto per errore dell’intelligence americana, provoca in Cina una violenta campagna
antiamericana e la rottura dei negoziati sui problemi commerciali, sulla non proliferazione delle armi nucleari e sui diritti umani.
Anche al di fuori dei periodi di crisi, le relazioni cino-americano rimangono spesso difficili. Gli Stati Uniti rimproverano alla Cina il non
rispetto dei diritti umani, l’aggiramento delle tariffe doganali all'esportazione, la vendita clandestine di armi al Medio Oriente, i
sospetti di spionaggio industriale scientifico, accuse di ingerenza nella campagna per la rielezione del presidente Clinton. Da parte sua,
la Cina accusa gli Stati Uniti di sostenere l'indipendenza di Taiwan, di stipulare alleanze militari bilaterali in Asia orientale orientate
contro la Cina e di intromettersi nella sua politica interna.
I rapporti conflittuali tra Pechino e di Washington dipendono da una logica classica di rivalità tra potenze egemoniche che aspirano
all'egemonia. Tuttavia i legami economici, sociali e culturali che si sono moltiplicati tra i due paesi negli anni ‘90 costituiscono un
importante contrappeso a tale rivalità; le esportazioni e gli investimenti diretti verso gli Stati Uniti aumentano, gli studenti cinesi
studiano nelle università americane per poi rientrare a lavorare in Cina, la cultura popolare si occidentalizza e americanizza
(McDonald's, jeans e musica rock).
La necessità di essere riconosciuta come una grande potenza spinge la Cina a diventar membro di un numero crescente di organismi
internazionali, e partecipare al dibattito internazionale su problemi come scambi commerciali e finanziari, inquinamento e ambiente,
sicurezza, la proliferazione delle armi nucleari e diritti dell'uomo.
Nel 1998 la Cina firma la Convenzione sul rispetto dei diritti civili e politici ma continua ad esportare armi nucleari verso Medioriente ed
a reprimere i dissidenti del partito democratico cinese. Di fronte una Cina pronta a rivendicare i propri diritti di grande potenza, ma
poco incline a esercitare le responsabilità internazionali, i suoi partner sono esitanti: talvolta auspicano una politica di rigore e di
rappresaglia, talvolta al contrario nutrono speranza che la continuazione del dialogo e dei contatti portino poco per volta la Cina a
colmare il fossato che separa le parole e gli atti. Alla fine, la seconda soluzione è certamente la più saggia.

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