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org/wiki/Cadenza
In alcune forme musicali, come l'aria d'opera o il concerto solistico, la cadenza conclusiva del brano
era talora espansa in un lungo assolo di carattere virtuosistico, spesso improvvisato dall'esecutore:
da ciò l'uso del termine "cadenza", al di fuori dello stretto contesto della teoria musicale, anche per
denotare un lungo inciso solistico che precede la conclusione di un brano.
Indice
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1 Armonia tonale
o 1.1 Cadenza autentica o perfetta
o 1.2 Cadenza evitata
o 1.3 Cadenza sospesa
o 1.4 Cadenza plagale
o 1.5 Cadenza d'inganno
o 1.6 Cadenza frigia
o 1.7 Cadenza imperfetta
o 1.8 Cadenze in battere o in levare
o 1.9 Cadenza piccarda
2 Cadenze nella polifonia pre-rinascimentale
o 2.1 Cadenza di Landini
o 2.2 Cadenza borgognona
3 La cadenza vocale o strumentale
o 3.1 Opera lirica e concerto
4 Bibliografia
5 Note
6 Voci correlate
7 Collegamenti esterni
I gradi più importanti per la definizione della tonalità di un brano sono il V ed il I (la sensibile
dell'accordo di dominante deve risolvere sempre sulla tonica dando un senso risolutivo). La loro
successione dà origine alla formula di cadenza più nota: la cadenza autentica. Le cadenze autentiche
possono essere ulteriormente suddivise in perfette o imperfette, a secondo del loro grado di
"perfezione", cioè di conclusività. Le cadenze perfette sono quelle che terminano con la nota tonica
al soprano; se, invece, conclude con la terza o la quinta della triade di tonica, la cadenza si dice
imperfetta.
L'accordo di tonica conclusivo, volendo, può essere ornato o tramite un'appoggiatura od un ritardo.
Un'altra variante consiste nel prolungare l'accordo di dominante mentre il basso intona la tonica sia
fungendo come appoggiatura sia per permettere una risoluzione più in là.
La cadenza evitata presuppone una modulazione e si verifica quando il V di una tonalità passa al V
di una nuova tonalità. Da qui il nome di cadenza evitata dato che il V "evita" la risoluzione al I per
passare direttamente al V di una nuova tonalità. Questo tipo di cadenza crea una sonorità
imprevedibile ed una forte sensazione di movimento alla ricerca di una risoluzione conclusiva.
Esempio di cadenza imperfetta (V-I in primo rivolto)
A differenza della cadenza autentica imperfetta, la cadenza evitata non è in grado di concludere un
brano.
La cadenza sospesa è quella che termina sull'accordo di dominante allo stato fondamentale. Rispetto
alla precedente indica una pausa debole, temporanea.
Il più delle volte il V grado viene preceduto dal IV o dal II ma anche dal I (utile l'uso della quarta e
sesta di cadenza come elemento sottolineativo) o dal VI.
Consiste nell'uso della successione IV-I e viene spesso usata dopo una cadenza autentica per
marcarne ancora di più il ruolo conclusivo ma può anche essere inserita da sola. Può essere
preceduta dal VI o dal I grado.
Si basa sulla cadenza perfetta ma al posto del finale di I grado ne viene utilizzato un altro. In base a
ciò possono esistere molte cadenze d'inganno con differente efficacia. La tonalità non viene
smarrita in quanto è sufficiente l'accordo di dominante per definirla appieno (ed anzi, nella cadenza
plagale le definizione tonale è assai incisiva). La progressione più nota è quella V-VI che conferisce
un forte senso di sorpresa.
Si tratta di una cadenza tipicamente barocca che consiste nella progressione, in un brano di tonalità
minore, IV (in primo rivolto)-V ove quest'ultimo è nella forma maggiore. In genere è usata come
conclusione di un movimento lento.
La cadenza imperfetta è caratterizzata dalla presenza della progressione V-I in cui il I grado o il V
sono allo stato di rivolto. Ciò determina la perdita di parte del carattere conclusivo della cadenza
autentica indicando una pausa solo transitoria. In questi casi, in effetti, la conclusione arriva
successivamente.
Esempio di cadenza imperfetta
Un effetto poco conclusivo lo si può anche ottenere, volendo, utilizzando l'accordo di tonica allo
stato fondamentale ma facendo cantare al soprano la 3^ mediante.
Questa differenziazione si basa sul tempo in cui cade l'ultimo accordo della cadenza. Se si tratta di
un tempo forte si ha la cadenza in battere (un tempo definita maschile), altrimenti si tratta di una
cadenza in levare (o femminile).
Consiste nel concludere una composizione basata sul modo minore sull'accordo del I grado con la
terza innalzata. In questa maniera la composizione basata sul modo minore conclude su un accordo
perfetto maggiore anziché su quello perfetto minore; questo crea nell'ascoltatore come un bagliore
di luce o di speranza sull'ultimo accordo che, essendo maggiore, è in contrasto con la sonorità triste
e malinconica propria del modo minore. Il termine tierce de Picardie (terza piccarda) per indicare
questa formula fu usato per la prima volta da J.J. Rousseau nel Dictionnaire de musique (1767), ma
l'origine di quest'espressione è sconosciuta. In realtà, nel corso dei secoli XVI e XVII era una prassi
pressoché sistematica quella di concludere un brano in tonalità minore con l'accordo maggiore: a
quell'epoca la terza minore era considerata una consonanza imperfetta (quindi non sufficientemente
conclusiva), e risultava particolarmente calante nel temperamento mesotonico allora in uso (che
invece aveva terze maggiori perfettamente consonanti).
Le ultime quattro battute del rondeau "J'atendray tant qu'il vous playra" di Guillaume Dufay
(1397-1474), esempio di "cadenza borgognona"
Una formula alternativa a quella illustrata nella sezione precedente fu talora usata nella prima metà
del XV secolo, soprattutto dai compositori della Scuola di Borgogna (gli esempi più tipici si
ritrovano nelle opere profane di Dufay e Binchois): in questa formula, prima della risoluzione la
voce di contratenor viene a trovarsi sul V grado della scala, ma all'ottava inferiore. Come
nell'esempio precedente, fra le altre due voci (cantus e tenor) una sale per semitono alla
fondamentale, l'altra scende dal II al I grado. Se la voce di contratenor salisse a sua volta alla
fondamentale con un salto di quarta, si troverebbe all'unisono con il tenor, e nell'accordo finale
mancherebbe la quinta: i compositori borgognoni preferivano quindi far salire il contratenor al V
grado, con un salto d'ottava. Questo schema fu poi abbandonato nella scrittura polifonica a quattro
voci, che divenne prevalente nella seconda metà del XV secolo: in quel caso la quinta nell'accordo
finale può essere raggiunta dal contratenor altus, mentre il bassus termina sulla fondamentale,
all'unisono con il tenor o un'ottava sotto: si ottiene così lo schema classico di cadenza perfetta (V-I)
che si affermò definitivamente nel corso del Rinascimento.
Nell'opera il termine cadenza indica un passaggio melodico, anche esteso e pressoché privo di
accompagnamento, utilizzato poco prima della conclusione del brano.
Fino alla fine del XVIII secolo le cadenze delle arie d'opera erano quasi sempre scritte o
improvvisate dai cantanti che le eseguivano. In seguito i compositori provvedettero a scrivere le
cadenze vocali per esteso, ma i cantanti non smisero di modificarle o riscriverle. È celebre la
lunghissima cadenza col flauto nell'aria della pazzia di Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti,
forse composta dal soprano Teresa Brambilla e comunque assente nell'originale donizettiano. Nel
corso del XX secolo i cantanti d'opera abdicarono quasi del tutto a tale ruolo di compositori
aggiunti, ma in cambio si assistette ad un curioso fenomeno di codificazione di ciò che in origine
costituiva un momento improvvisativo, o almeno estemporaneo, dell'evento musicale: l'editore
Ricordi pubblicò le cadenze (e le variazioni) raccolte ed elaborate dal maestro Luigi Ricci, che i
cantanti presero ad usare regolarmente in luogo di quelle - più in stile, oltre che normalmente più
belle - delle partiture originali. Solo negli ultimi decenni del secolo la filologia ha cominciato ad
aver ragione di questa tradizione.
Per quanto riguarda le cadenze strumentali, nei concerti per strumento solista e orchestra celebre è
quella di Johann Sebastian Bach nel suo Concerto Brandeburghese n. 5 nel quale, verso la fine del
primo tempo, l'orchestra tacet e il clavicembalo solista esegue un brano virtuosistico; viene
considerata il primo esempio di cadenza nei concerti solistici. In Germania viene introdotto in
partitura attraverso il termine Kadenz.
In questa accezione, la kadenz si riallaccia al precedente significato armonico in quanto si svolgeva
in questi termini:
l'orchestra si portava sul V grado della tonalità armonizzato con quarta e sesta (accordo di
Tonica in 2° rivolto)
questo era il "segnale d'inizio" della cadenza solistica e del tacet dell'orchestra, la quale, da
qui in poi, assiste in silenzio all'improvvisazione del solista
ultimo segnale era costituito dal trillo su armonia di Dominante, che il solista eseguiva poco
prima di cadenzare sull'accordo di Tonica; contemporaneamente l'orchestra riprendeva a
suonare e concludeva il brano.