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Precisazioni su termini analitici

In questo corso ha grande importanza l’analisi armonica degli esempi, in quanto,


soprattutto nel periodo classico – romantico, l’armonia è la base su cui si regge la struttura
musicale a tutti i livelli, da quello più piccolo della frase o del periodo musicale, a quello più
grande della forma complessiva.

Voglio quindi richiamare alcuni termini e definizioni per stabilire un “linguaggio


comune” che adotteremo nei nostri esercizi di analisi.

Una prima precisazione: l’indicazione del “basso reale”, tanto utile negli esercizi di
armonia e molto utilizzata ancora oggi nella tradizione italiana, è meno importante negli
esercizi di analisi, dove conta molto osservare il movimento delle fondamentali. Ecco un
esempio che mostra i due sistemi:
Es. 1

Nel primo sistema è indicata la numerazione del “basso reale” (che risulterà familiare
probabilmente a molti degli allievi del nostro conservatorio): i numeri romani indicano i gradi
del basso;
nel secondo sistema è invece indicata la numerazione del “basso fondamentale”: i numeri
romani indicano le fondamentali degli accordi, che possono anche non trovarsi nel basso (nei
rivolti). La differenza fra i due sistemi si vede appunto nei rivolti; gli accordi allo stato
fondamentale si numerano allo stesso modo.
Notate un piccolo dettaglio che ha la sua importanza: nella numerazione del basso reale
le cifre che indicano i rivolti sono poste sopra al numero romano, mentre nella numerazione
del basso fondamentale sono poste a fianco del numero romano.
Il secondo sistema è più utile ai fini dell’analisi, e cercheremo quindi di adottarlo nei
nostri esercizi.

Altra precisazione molto importante:


il terzo accordo, in entrambi gli esempi, è indicato come Accordo di Tonica in secondo
rivolto; ciò è corretto, ma quando questo accordo si trova nell’ambito della cadenza V-I, viene
segnato come V e non come I. Questo perché si ritiene che l’accordo di 4a e 6a sul V vada inteso
come una forma particolare della Dominante (con due appoggiature) che poi va a compiere la
sua cadenza sul I. Questo particolare accordo, così importante e tipico nelle cadenze
conclusive, viene definito “4a e 6a di Cadenza” e viene indicato, come ho detto, come V e non
come I. Vediamo un esempio che mostra le due possibilità:
Es. 2

Nel primo esempio, l’accordo sol – do – mi è numerato come I in secondo rivolto, perché
il movimento della fondamentale si dirige verso un IV; nel secondo esempio invece è numerato
come V perché è inserito nel movimento V – I.

Andiamo ora a vedere il modo di indicare le principali cadenze.


Dobbiamo qui introdurre un’altra precisazione riguardo al movimento V – I. Questo
collegamento è comunemente indicato come Cadenza Perfetta, ma occorre fare una distinzione:
il senso della Cadenza Perfetta intesa come cadenza conclusiva si ha soltanto quando anche il
Soprano si muove sul I grado. Diversamente, quando il basso ha il movimento V- I ma il
Soprano si muove su una nota diversa dell’accordo di Tonica (in genere la terza), si ha un tipo
di cadenza che gli autori non usano come cadenza finale, ma come una sorta di cadenza
intermedia che attende una più forte conclusione, rappresentata dalla Cadenza perfetta vera e
propria.
Per distinguere queste due forme (e la distinzione è molto importante nell’analisi), lo
studioso William Caplin (autore di Classical Form, un importante testo di riferimento per
l’analisi musicale) propone due diverse denominazioni: prendendo come riferimento il termine
cadenza autentica che indica comunque il movimento V- I, egli distingue tra Cadenza
Autentica Perfetta, (CAP), la forma più conclusiva, e Cadenza Autentica Imperfetta (CAI), la
forma più “aperta”. Ecco i due tipi nel seguente esempio:
Es. 3

(N.B: nel testo di Caplin, a causa della diversa struttura della lingua inglese, le sigle sono
rovesciate, per cui CAP diventa PAC – Perfect Authentic Cadence, e CAI diventa IAC –
Imperfect Authentic Cadence).
La Cadenza Autentica Imperfetta non va confusa con la Cadenza Imperfetta, che è quella
in cui il V o il I sono in stato di rivolto, mentre indicheremo come Cadenza Evitata (anche detta
Cadenza d’inganno) il movimento del V che va su un grado diverso dal I:
Es. 4

Infine, tutte le cadenze che terminano sul V grado prendono il nome di Semicadenza (SC,
in Caplin HC – Half Cadence).
La semicadenza è una cadenza molto importante e “forte” nella struttura del periodo
musicale; in pratica costituisce l’unica alternativa alla cadenza autentica (perfetta o imperfetta)
nella chiusa di un periodo o di una sezione del discorso musicale. Le altre cadenze, più deboli,
si trovano all’interno del periodo, mentre la semicadenza lo può chiudere, ovviamente con un
senso sospensivo che richiede una prosecuzione del periodo stesso che arrivi alla cadenza
conclusiva. Vedremo meglio tutto questo nell’analisi degli esempi musicali.
Ci possono essere molti modi di realizzare una Semicadenza: qui di seguito mostro alcuni
degli esempi principali. Notate, nel terzo e quarto esempio, la comparsa di un particolare
accordo alterato (in pratica un II7 con l’alterazione ascendente della 3a ) che viene chiamato
Dominante della Dominante, e contrassegnato col simbolo funzionale delle due D incrociate,
oppure con la locuzione “V del …V”, che si traduce nello scrivere il grado V seguìto dal
simbolo della freccia che rimanda al grado di cui è la Dominante.
Es. 5

La Dominante della Dominante ci introduce al campo più vasto delle Dominanti


secondarie: in pratica, così come possiamo avere un V del V, potremo avere anche un V del
VI, un V del IV ecc., ossia la dominante (secondaria) di uno dei gradi della scala, da distinguersi
da una modulazione vera e propria. La distinzione (non sempre facile) sta nel fatto che le
dominanti secondarie appaiono entro un periodo che resta chiaramente orientato verso uno
stesso tono principale (e saranno le cadenze principali a chiarirlo).
Es. 6

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