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Corali

6 gennaio 2020

Appunti di armonia. 16.1 –


Modulazione ai toni vicini e
dominanti secondarie
Appunti di armonia. 16.1 – Modulazione ai toni vicini e
dominanti secondarie

[6.1.2020]

Modulazione ai toni vicini

Con la modulazione uno dei gradi secondari della tonalità


dʼimpianto si sostituisce al I, diventando
momentaneamente la nuova tonica di riferimento.
Quando parliamo di “modulazione alla dominante”,
intendiamo dire che lʼaccordo precedentemente
interpretato come V deve ora essere inteso come I.
Indizio principale della modulazione è la presenza di
alterazioni estranee alla tonalità di impianto, e più nel
dettaglio lʼintroduzione della sensibile della tonalità
secondaria, che viene poi confermata da una cadenza:
per parlare di vera e propria modulazione questi elementi
sono indispensabili, ma non sufficienti. È necessario
infatti che nella nuova tonalità si svolga almeno un breve
episodio.[1]
Modo maggiore Modo minore
In Sol minore i toni vicini
In Sol maggiore i toni vicini
sono Re minore (V) e Do
sono Re maggiore (V) e Do
minore (IV), e i relativi Si
maggiore (IV), e i relativi Mi
bemolle maggiore (III), Fa
minore (VI), Si minore (III) e
maggiore (VII) e Mi bemolle
La minore (II).
maggiore (VI).

Questi schemi sostanzialmente ricalcano una porzione


del circolo delle quinte, evidenziando le alterazioni
caratteristiche di ogni tonalità. Nel modo minore sono
segnalate lʼalterazione della sensibile (s) e, in piccolo,
lʼalterazione della sesta che si incontra nella scala minore
melodica ascendente.

In epoca barocca e classica – diciamo fino a Beethoven e


Schubert – le modulazioni sono realizzate ai toni vicini.[2]
Il modo più semplice per interpretare tali modulazioni è il
riferimento allʼaccordo comune, un accordo che
contemporaneamente può essere riferito sia alla tonalità
da cui veniamo, sia alla tonalità alla quale andiamo.
Tipicamente si identifica appena prima della comparsa
della alterazione che segnala la modulazione.

Nel corale Werde munter, mein Gemüte vediamo che


lʼaccordo comune utilizzato da Bach per modulare da La
maggiore e Si minore è Mi maggiore (V di La maggiore e
IV di Si minore). Per modulare da Si minore a Re maggiore
lʼaccordo di I di Si minore viene inteso come VI di Re
maggiore. Per tornare alla tonalità dʼimpianto il V di Re
maggiore diventa I di La maggiore.

Fra le tonalità vicine non cʼè un solo accordo comune: fra


La maggiore e Si minore abbiamo anche Re maggiore (IV
di La maggiore e III di Si minore); fra Si minore e Re
maggiore abbiamo anche Mi minore (IV di Si minore e II di
Re maggiore); e così via.

In epoca barocca e classica la modulazione al III del modo


maggiore non è praticata. Ne troviamo un elegante
esempio nello Schiaccianoci (1892): lʼaccordo comune è
il VI di Sol maggiore, interpretato come IV di Si minore.[3]
Qui lo sviluppo dellʼarmonia è già implicito nella melodia
(forse è questo il motivo per il quale il passaggio suona
così “naturale”).

Dominanti secondarie

Per parlare di vera e propria modulazione cʼè bisogno


almeno di un episodio, per quanto breve, nella nuova
tonalità. Quando il passaggio si limita a uno o due
accordi, è più sensato ricorrere al concetto di dominante
secondaria: un qualsiasi grado della scala può essere
preceduto dalla propria dominante. Tipicamente, in modo
maggiore troviamo la dominante del V, detta dominante
della dominante (DD secondo la teoria delle funzioni
armoniche), ma pure la dominante del II, del IV e del VI. In
modo minore troviamo pure la dominante della
dominante, e anche la dominante del III, del IV, del VI e
del VII (non del +VII).

Nella cifratura indico la dominante secondaria con un V


fra parentesi tonde. Significa: «dominante del grado che
compare immediatamente dopo la parentesi». Possiamo
quindi avere (V) – V ossia «dominante della dominante»,
(V7) – II ossia «settima di dominante del secondo
grado», (V6) – VI ossia «dominante in primo rivolto del
sesto grado», e così via.

Lʼaccordo alla fine della prima battuta del corale Das waltʼ
Gott Vater und Gott Sohn può essere interpretato come
dominante secondaria del VI. Nel caso delle dominanti
secondarie non serve cercare un accordo comune: di
frequente essa è introdotta con un cromatismo (in questo
caso Do-Do# al basso).

Le progressioni col basso cromatico tipiche del periodo


barocco sono basate su dominanti secondarie. Qui un
esempio con il basso ascendente:[4]

Pure il basso cromatico discendente può essere


realizzato con dominanti secondarie:

Allʼinizio di b. 4 si trova una settima diminuita secondaria,


e per la precisione la settima diminuita della dominante.
La settima diminuita, cifrata +VII7, si costruisce sulla
sensibile in modo minore: qui lʼaccordo Do#-Mi-Sol-Sib è
la settima diminuita di Re-Fa#-La, V di Sol minore (non
risolve direttamente su questo accordo, perché passa
prima per il I46).[5]

Beethoven utilizza il basso cromatico discendente come


tema nelle Trentadue variazioni in Do minore (lʼaccordo
alla quinta battuta è una sesta eccedente).[6]

Nella quinta variazione il basso cromatico discendente


viene sostituito da accordi in stato fondamentale: si tratta
sempre di dominanti secondarie.

A inizio di b. 6 troviamo un accordo segnato tra parentesi


quadre. Le parentesi quadre vengono utilizzate per
segnalare lʼaccordo che “ci aspetteremmo”, visto
lʼaccordo immediatamente precedente. Lʼaccordo di b. 5,
sostituto della sesta eccedente del tema, è infatti una
dominante della dominante: Re-Fa#-La-Do dovrebbe
risolvere in Sol-Si-Re, V di Do minore, con la successione
(V7) – V. Al suo posto troviamo Mib-Sol-Sib, III di Do
minore. Segniamo quindi [V] fra parentesi quadre, e sotto
di esso lʼarmonia che troviamo effettivamente, III.
Notiamo che questo passaggio presenta la successione
tipica di una cadenza dʼinganno: ragionando in Sol minore
abbiamo V7 – VI.

“Attraverso” le tonalità
Una situazione ancora differente è costituita dallʼarmonia
fluida e instabile tipica degli sviluppi della forma sonata
nel periodo classico.[7] Potremmo interpretare questi
casi come modulazioni (ma non troviamo conferme
costituite da cadenze articolate, né interi episodi basati
sulle differenti tonalità toccate: tanto meno sarebbe
convincente parlare di “modulazioni transitorie”) oppure
come dominanti secondarie (ma spesso non troviamo veri
e propri accordi di dominante, né – ragione più forte – è
plausibile supporre di percepire una singola tonalità
centrale ai cui gradi secondari si riferiscono i vari accordi,
perché il rapido cambio di tonalità ha proprio lʼeffetto di
disorientare lʼascolto rispetto alle armonie dalle quali
proveniamo). In mancanza di una terminologia univoca,
mi limiterei a dire che in questi casi si “attraversano”
differenti tonalità. Una analisi armonica di massima si può
realizzare segnando le varie tonalità che troviamo
momento per momento, senza necessariamente dover
cifrare i gradi.

Questo tipo di armonia non è caratteristica esclusiva del


periodo classico: ecco un esempio barocco, tratto dal già
citato Preludio della Suite inglese in Sol minore BWV 808
di J.S. Bach.[8] Il secondo episodio (bb. 33-67)
attraversa le tonalità di Sol minore (33), Re minore (35),
La minore (37), Sol minore (38), Sib maggiore (39), Do
minore (40), Sol minore (41), Re minore (45), dominante
di Do (47), Do minore (49), dominante di Sib maggiore
(51), Sib maggiore (53), Fa maggiore (55), dominante di
Mib maggiore (57), Mib maggiore (59), oscilla fra Sib
maggiore e Sol minore (61) e chiude Sib maggiore (65).

[1] Tutto questo ovviamente in termini generali: la


modulazione in Bach ha caratteristiche differenti dalla
modulazione in Beethoven, la modulazione in Wagner ha
caratteristiche differenti dalla modulazione in Brahms.
Questo non solo per quanto riguarda la connessione fra
gli accordi, ma anche per il ruolo stesso dellʼarmonia nel
dare forma alla musica.

[2] Anche in questo caso è difficile stabilire delle norme


assolute: vedi ad esempio il quinto episodio (bb. 125-162)
del Preludio della Suite inglese in Sol minore BWV 808 di
J.S. Bach, dove tocchiamo le tonalità di Lab maggiore
(due passi “a sinistra” nel circolo delle quinte) e
addirittura di Mi minore (tre passi “a destra” nel circolo
delle quinte), uscendo decisamente dallʼambito delle
tonalità vicine. La struttura armonica dellʼepisodio parte
da Re minore (b. 125), attraversa La minore (127-128), Mi
minore (129), Re minore (130), Fa maggiore (131), Sol
minore (132), a Re minore (133-134), Do minore (135-
139), Sol minore (140), dominante di Fa (141-142: non
comparendo in queste due battute né La bequadro né La
bemolle, esse possono essere intese sia come dominante
di Fa maggiore sia come dominante di Fa minore), Fa
minore (143-144), dominante di Mib (145-146), Mib
maggiore (147-148), Sib maggiore (149-150), dominante
di Lab (151-152), Lab maggiore (153-154), oscilla fra Mib
maggiore e Do minore (155-158) e chiude in
Mibmaggiore (159-162). A proposito del rapido
attraversamento di numerose tonalità differenti, vedi più
avanti il paragrafo “Attraverso” le tonalità.

[3] Lʼaccordo alla fine di b. 13 (Sol-Si-Do#-Mi#) è una


sesta eccedente, e più precisamente una sesta francese
di Si minore (vedi Appunti di armonia 18 – Accordi di
sesta eccedente). Come spiego sotto, gli accordi di sesta
eccedente servono per introdurre la dominante.

[4] La prima battuta potrebbe essere intesa come (V6) –


IV, poiché Do-Mi-Sol è dominante di Fa-La-Do.

[5] Il I46 è generalmente inteso come D46––35, ovvero


come «dominante con appoggiatura di quarta e sesta
che risolvono su terza e quinta».

[6] Gli accordi di sesta eccedente precedono e


introducono la dominante (vedi Appunti di armonia 18 –
Accordi di sesta eccedente). Qui troviamo il cosiddetto
accordo di sesta tedesca Lab-Do-Mib-Fa#, riferito alla
tonalità di Do minore: esso può essere interpretato come
«settima diminuita della dominante in primo rivolto, con
terza alterata in senso discendente», oppure come
«accordo di settima sul IV in primo rivolto, con
fondamentale alterata in senso ascendente». La
spiegazione più semplice e assieme più coerente con la
prassi dei compositori di epoca barocca e classica mi
sembra però quella riferita alla teoria del basso, dove la
sesta tedesca è intesa come «quinta e sesta sul VI, con
sesta alterata in senso ascendente». Lʼaccordo di sesta
tedesca risolve sul I46 che, come spiegavo sopra, è di
solito inteso come funzione di dominante; nel caso del
tema di Beethoven, a inizio b. 6, è però effettivamente
interpretabile come tonica in secondo rivolto, poiché
precede un IV.

[7] Vedi Strumenti per lʼanalisi musicale. La forma-sonata


– L. van Beethoven, Trio op. 70 n. 1, I. Allegro vivace e
con brio e Strumenti per lʼanalisi musicale. La forma-
sonata – W.A. Mozart, Allegro dalla Serenata Eine kleine
Nachtmusik KV 525.

[8] La struttura del Preludio è costituita da sette episodi,


ciascuno costituito da circa trenta battute (a eccezione
del sesto, di venti battute): primo episodio bb. 1-33,
secondo episodio bb. 33-67, terzo episodio bb. 67-99
(trasposizione del primo episodio), quarto episodio bb.
99-125 (elaborazione), quinto episodio bb. 125-161
(trasposizione del secondo episodio con inserimento
delle bb. 135-136, progressione delle bb. 133-134), sesto
episodio bb. 161-180 (elaborazione), settimo episodio bb.
180-213 (“da capo” del primo episodio: le bb. 184-213
coincidono con le bb. 4-33). Ciascun episodio, a
eccezione del sesto, è chiuso da una emiolia.

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