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Accademia di Belle Arti di Roma

MASCHILE E FEMMINILE:
il ritratto e l'identificazioni di genere

DISPENSE A CURA DELLA PROFESSORESSA


COSTANZA BARBIERI
La Foto-ritratto è un campo chiuso di forze. Quattro immaginari
vi si incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti
all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo
di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo
crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua
arte. In altre parole… io non smetto di imitarmi: ed è per questo
che ogniqualvolta mi faccio fotografare io sono
immancabilmente sfiorato da una sensazione di inautenticità,
talora di impostura …. Immaginariamente, la Fotografia …
rappresenta quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero,
non sono né un oggetto nè un soggetto, ma piuttosto un soggetto
che si sente diventare oggetto: in quel momento io vivo una
micro-esperienza della morte…. Io divento veramente spettro.

Roland Barthes, La camera chiara

2
MASCHILE/ FEMMINILE:
cosa caratterizza il femminile e cosa il maschile? Appunti per una
storia del concetto di genere.

Queste brevi note, risultanti dalle lezioni del corso di Storia dell’arte moderna presso l’Accademia
di Belle Arti di Napoli, si suddividono in due parti: la prima percorre il tema delle differenze fra
maschile e femminile, e come questa differenza è stata formulata e strutturata nella società
occidentale a partire dal Cinquecento. La seconda parte analizza invece il problema delle categorie
critiche, con le quali si spiega e si divulga la storia dell’arte, ma che informano necessariamente
anche l’operato dell’artista, dal punto di vista della differenza dei generi.

Roland Barthes, nel suo splendido saggio sulla fotografia,1 si interroga su questa sensazione di
inautenticità che proviamo di fronte al teleobiettivo, così come potremmo provarla di fronte
all’occhio scrutatore di un ritrattista che utilizzi una tradizionale tecnica pittorica. Ma, è lecito
chiedersi, questa sensazione di “impostura” può anche scaturire dai preconcetti sui generi? Su come
dovremmo essere se siamo maschi o femmine per corrispondere a una visione stereotipa del nostro
immaginario collettivo?
La domanda che ci dobbiamo porre, ogniqualvolta affrontiamo una analisi di un ritratto, è la
seguente: in che cosa il ritratto riflette la concezione storica dell’identità maschile e di quella
femminile, e queste due concezioni sono uguali o diverse dalla moderna concezione dei generi?
Nel tracciare la storia a partire dal Cinquecento, culla della modernità, nel tentativo di comprendere
evoluzioni o scarti, cambiamenti e continuità, sarà prima necessario analizzare i fondamenti
filosofici, medici e scientifici che fanno da presupposto alle vere o presunte differenze fra i generi.
Analizzando il Rinascimento, apparirà chiaro che esiste una sostanziale discrepanza fra il
tradizionale concetto di maschile e femminile e la realtà sociale del tempo.
Come risulta dalle indagini di Ian MCLEAN sulla concezione della donna nel Rinascimento,2
l’universalità della cultura del tempo—e pertanto le radici comuni del pensiero occidentale—si
fonda sul fatto che il linguaggio usato in quel tempo era il latino, comune a tutto i paesi europei:
Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, etc., condividevano le stesse opinioni circa i

1
R . Barthes, La camera chiara, Torino, Einaudi, 1980, pp. 12-17.
2
I. Mclean, The Renaissance Notion of Woman, Cambridge 1980.

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problemi teologici, medici, legali, etici e politici riguardanti le caratteristiche, la suddivisione e i
ruoli spettanti al maschile e al femminile.

Tre questioni fondamentali devono essere poste per affrontare il problema:

--la nozione della donna vera e propria (e per contrapposto quella di uomo)

--l’idea delle differenze fra i sessi

--la relazione fra le differenze sessuali e altre differenze

Sin dalle più antiche culture, le nozione del femminile è stata sempre contrapposta a quella di
maschile, e di conseguenza allineata con altri opposti. I modi in cui questi opposti sono stati usati
nelle argomentazioni e messi in relazione l’un l’altro sono stati analizzati in uno studio illuminante
secondo il concetto di polarità e ricondotti al pensiero filosofico greco di Aristotele e i Pitagorici3:

maschile femminile
definito indefinito
dispari pari
singolare plurale
destra sinistra
quadrato ovale
in riposo in movimento
diritto curvo
luce ombra
bene male

In queste contrapposizioni non c’è alcuna classificazione delle differenti qualità degli
opposti; né questo allineamento fra maschile—definito—dispari—singolare—destro risulta
giustificato da ragionamenti o evidenze empiriche. Ciò nonostante, nel Rinascimento questa
serie di opposti era conosciuta e adottata non solo attraverso Aristotele, ma anche attraverso
il corpus di Ippocrate, all’interno del quale questa struttura era implicita.

3
G. E. R. Lloyd, Polarity and analogy: two types of argumentation in early Greek thought, Cambridge 1971.

4
Il concetto di opposti maschile / femminile ricorre anche in Platone e viene
ampiamente recuperato nel Rinascimento e discusso in termini di contrari (per es.
bianco/nero), in termini di privazione (vista/cecità), di correlazione (intero/metà), di
contraddizione (vedere/ non vedere). La nozione di donna, come vedremo, risulta in gran
parte dalla struttura del pensiero che abbiamo ereditato da Aristotele.

Il cambiamento della nozione di donna, che tuttavia avviene nel Cinquecento, non
sembra essere riflesso o, ancora meno, teorizzato nei testi teorici del tempo; questo
cambiamento di rotta appare invece più evidente nella società, e solo per evidenziarne le
differenze rispetto alla tradizione, di cui sono ancora portavoce, saranno presi in esame gli
scritti del tempo, spesso imbevuti delle coppie di opposti aristoteliche e dei dualismi
pitagorici. In due testi autorevoli e indipendenti, tanto per fare due esempi, i luoghi comuni
relativi alla fondamentale nozione dell’inferiorità della donna sono ugualmente affermati: si
tratta del Trattato sulle leggi matrimoniali del giurista francese André Tiraqueau, del 1513, e
del Cortegiano (Libro III) di Baldassar Castiglione, dove ,in forma di dialogo, è discussa la
questione in favore e a sfavore della inferiorità femminile. In entrambi i casi, vengono
riportati le autorità e i luoghi comuni ereditati dall’antichità sulla tradizionale concezione
della donna. E’ opportuno, pertanto, dato il perdurare della tradizione fino a tutto il ‘500,
analizzare i testi di riferimento del dibattito classico fin dall’antichità

TEOLOGIA, MISTICA E SCIENZE OCCULTE

La scolastica, sulla scorta della filosofia aristotelica e soprattuto ad opera di san


Tommaso d’Aquino, rielabora e sistematizza le precedenti considerazioni sulla donna.
Una volta stabilita l’inferiorità femminile, le domande poste riguarda una serie di
nozioni correlate: la donna è un essere umano? E’ creata ad immagine e somiglianza di Dio?
In quale forma verrà fatta risorgere? In che modo la donna si pone in relazione all’uomo per
quanto riguarda il peccato e la punizione? Di quali svantaggi soffre all’interno della vita
ecclesiastica?(p. 7) In quale modo è uguale all’uomo?

Nella distinzione esegetica fra maschile e femminile, così come nella filosofia
aristotelica che ne è il fondamento, è possibile riconoscere la generale tendenza aristotelica a
produrre dualismi in cui un elemento è superiore e l’altro inferiore. Il principio maschile, in

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natura, è associato a caratteri attivi, formanti e perfezionanti, mentre quello femminile è
passivo, materiale e privativo, e aspira al maschile per desiderio di completezza. Il dualismo
maschile/femminile è associato a quello

Attivo /passivo
Forma/ materia
Atto/ potenza
Perfezione/imperfezione
Completezza/incompletezza
Possesso/deprivazione

In un celebrato passo del De Natural Animalium, Aristotele descrive il femminile


come animal occasionatum, o [quasi]mas laesus , cioè un maschio imperfetto, malriuscito.
Gli argomenti del filosofo sono i seguenti: la natura tende sempre a creare ogni cosa
perfetta, la meglio formata, quella più dotata di poteri procreativi, e la più calda. Questa
creatura è l’uomo, che impianta il suo seme nella donna per procreare altri maschi. Se,
tuttavia, c’è carenza di calore generativa, se le condizioni climatiche sono avverse, allora la
creazione non è perfetta e il risultato è una femmina . Aristotele, secondo l’Aquinate, non
intende che le femmine siano contrarie alla volontà di natura, perché servono entrambi i
sessi per procreare; tuttavia, per ciò che riguarda l’individuo, la femmina è il risultato di un
evento generativo non condotto completamente a conclusione. In sostanza. La femmina è
una versione incompleta del maschio. Bisogna attendere Lutero per trovare una critica
convinta a questo assioma, anche se, va detto, Lutero non manca di ribadire la superiorità
intellettuale dell’uomo rispetto alla donna così come il sole è superiore alla luna (p. 10).

L’inferiorità femminile e la sua subordinazione rispetto all’uomo, peraltro, sono


ribadite dalla sua responsabilità in merito al peccato originale (Gen. 3: 16) fatto che sul
piano teologico riveste una importanza enorme.
La domanda centrale posta dai teologi e risolta da Sant’Agostino circa il dubbio
avanzato da San Paolo è la seguente: la donna è creata a immagine e somiglianza di Dio? In
I Corinzi, 11-7, san Paolo afferma: “L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è
immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva
dalla donna, ma la donna dall’uomo, né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per
l’uomo. Per questo motivo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza”.

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Ne risulterebbe una certa difformità fra l’immagine della donna e l’immagine di Dio, che
invece si riflette nell’uomo.

La questione è risolta da Sant’Agostino che afferma l’eguaglianza tra maschio e


femmina sul piano spirituale, pur mantendendo la diseguaglianza sul piano corporeo e fisico.
La donna, in quanto vir (essere umano), riflette l’immagine divina del creatore per quanto
attiene alla sua anima e alla sua natura intelligente, mentre, in quanto foemina, non riflette al
suo esterno, cioè corporalmente, l’immagine divina, ma si distanzia da essa. Non così per
l’uomo, che riflette sia internamente, cioè per quanto attiene alla sua natura intellettuale e
spirituale in quanto vir (essere umano), sia corporalmente in quanto homo (maschio),
l’immagine del creatore, ribadendo ancora una volta la sua superiorità, almeno esteriore. Il
superamento della questione femminile avviene—per quanto possibile in un contesto così
fortemente patriarcale—soprattutto sul piano spirituale e interiore, lasciando tuttavia
fondamentalmente irrisolte le questioni sociali sui ruoli femminili e soprattutto sul
sacerdozio.

In quale forma le donne risorgeranno? La questione si pone perché in alcuni passi del
Nuovo Testamento (soprattutto Paolo, I Cor 15:24 e Eph. 4:13) si afferma che, in quanto
essere imperfetto, la donna verrà mutata in uomo, o meglio, “perfezionata in un uomo”. La
questione escatologica è in relazione al fatto che i risorti saranno privi della condizione del
peccato, cioè perfetti, ad immagine di Cristo. Ma grazie all’affermazione di Agostino,
protofemminista, nel Rinascimento si adotta in generale la sua posizione, secondo la quale le
donne rimarranno donne ma senza la vergogna generata dal peccato, da cui saranno
definitivamente prive, e perciò assurgeranno a una nuova bellezza.

Il peso più grave e in flagello maggiore di tutti quelli che derivano dalla maledizione
di Eva consiste nella soggezione delle donne ai mariti (p. 18). Nella teologia scolastica la
donna è considerata naturalmente inferiore all’uomo anche prima della Caduta. E’
interessante quanto disarmante notare che gli autori antichi sentano la necessità di spiegare
che c’è una certa differenza fra la condizione di moglie e di schiavo, che non possono essere
omologate. Da tale posizione sociale si inferisce che la donna non debba giocare alcun ruolo
nella gestione dello Stato e dei pubblici affari, ma debba dedicarsi ai ‘lavori femminili’.

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Ci sono alcuni domini in cui la superiorità della donna rispetto all’uomo è concessa,
e questi sono la capacità di sostenere la sofferenza, umiltà, pazienza, compassione e carità.
La donna è considerata anche più devota dell’uomo, e le preghiere alla Vergine includono,
non a caso, la frase ‘prega per il devoto femmineo sesso’. Tuttavia san Tommaso afferma
che questa capacità di superiore devozione non consiste in un particolare attributo mentale,
ma piuttosto in una mancanza, che chiama defectus contemplationis; caratteristica femminile
è pertanto una certa creduloneria, piuttosto che una credenza razionale.
Le profetesse del vecchio testamento hanno avuto una mente illuminata per grazia
divina, e non rientrano nella casistica tradizionale del femminile, in sostanza sono delle
eccezioni.
Paradossalmente, visto che la donna è considerata più debole dell’uomo, la sua virtù
deve essere maggiormente ammirata, poiché il gap tra la sua vera natura e le sue azioni è
maggiore dello stesso gap nell’uomo. In generale, nonostante il fulgido e unico esempio
della Vergine Maria e delle sante, la massa delle donne rimane associata a una ragione più
debole, a passioni più forti e a un maggior vizio intrinseco.

A un certo punto questa tendenza si inverte, ed è tanto più stupefacete quanto più
invischiata nella scolastica e negli schemi consueti erano la filosofia e la teologia del tempo.

Il Rinascimento comincia a produrre una visione che riconosce maggior valore alla
donna con gli scritti di alcuni trattatisti: Guillame Postel, ne Le tres merveilleuses victoires
des femmes du nuveau monde, del 1553, segna una radicale svolta nella concezione della
donna. In realtà, argomenta, la sua debolezza e imperfezione sono dei vantaggi per lei,
perché le viene naturale ricercare la perfezione, desiderarla (laddove l’uomo, nel corteggiare
una donna, si abbassa a ricercare un essere meno perfetto) (p. 22). Nel porre la questione in
questi termini, Postel inverte il normale atteggiamento circa la forza e la debolezza. Se la
debolezza è una fonte di forza, e la forza una fonte di debolezza, la donna è paradossalmente
superiore all’uomo proprio perché è inferiore a esso. Postel elabora anche una nuova
psicologia sessuale dove afferma che la donna possiede una psiche più in armonia con il
mondo sublunare, e questa la colloca su di un gradino superiore rispetto all’uomo.
Prima di Postel, Paracelso (1494-1541) aveva postulato una divinità all’interno della
quale esisteva anche una donna, non certo con alcun potere, né con una posizione all’interno
della Trinità, ma connessa a misteriose forze femminili legate alla natura della terra e delle
piante. Scritti alchemici supportano queste tesi, nella visione della massima sintesi cosmica

8
attraverso la coniuctio di SOL e LUNA, cioè di maschile e femminile, come punto più alto
del percorso mistico.

In sostanza, la visione della donna secondo la teologia scolastica medievale viene modificata
solo parzialmente nel Rinascimento. E’ generalmente accettato che la donna non sia uguale
all’uomo quanto alla sua creazione. Anche quando la teoria del mas occasionatus (cioè del
maschio imperfetto) viene abbandonato (soprattutto grazie ai contributi di Gabriele
Falloppio) si aderisce sostanzialmente alla teoria scolastica. La maggior parte degli scrittori
suggerisce che una donna sia meno dotata di un apparato morale, continuando a elogiare le
sante per le loro virtu’ paradossali. Tuttavia i trattatisti affermano che la subordinazione
della moglie al marito e il suo ruolo subalterno nella vita ecclesiastica siano fatti puramenti
incidentali e legati a questo mondo, laddove invece ella potra’ godere delle gioie del
paradiso in maniera del tutto identica a quella dell’uomo. In termini teologici, quindi, la
donna e’ inferiore all’uomo quanto alla natura, ma e’ sua pari per grazia divina, cosi’ come
aveva stabilito Sant’Agostino. Il divario, tuttavia, rimane incolmabile soprattutto sul piano
simbolico: mentre i maschi possono imitare Cristo completamente, rimanendo casti nel
sacerdozio, nessuna donna puo’ veramente imitare Maria, l’unica donna ad aver concepito
rimanendo vergine.4

MEDICINA, ANATOMIA E FISIOLOGIA

Sul piano delle conoscenze mediche, le teoria predominante era appunto che la donna fosse
un maschio imperfetto, perche’ secondo Aristotele e Galeno la donna presenta un
organismo meno sviluppato ed evoluto rispetto a quello dell’uomo (p. 31). A causa della
mancanza di sufficiente calore durante l’atto generativo i suoi organi sessuali sono rimasti
interni, pertanto la donna e’ incompleta, piu’ fredda e umida negli umori dominanti, inabile
a produrre un perfetto seme dal sangue. Due assiomi sono implicati in questa affermazione:
che la cosa piu’ calda sia anche la piu’ perfetta, e che un diretto paragone si possa attuare fra
i genitali maschili e femminili quanto alla funzione, al numero e alla forma.
Cesare Cremonini (1550/1630), ad esempio, nel suo trattato De calido innato et semine,
riafferma ancora una volta la teoria aristotelica secondo cui la donna e’ meno perfetta
dell’uomo quanto alla procreazione perche’ porta il feto ed e’ essa stessa il luogo fisico della
4
Su questo argomento si rimanda allo studio esaustivo di M. Warner, Sola fra le donne. Mito e culto di Maria
Vergine. Palermo, Sellerio, 1999.

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concezione. Pertanto, cosi’ come il seme e’ piu’ nobile e perfetto rispetto alla terra in cui e’
piantato e da cui trae nutrimento, allo stesso modo il maschio e’ piu’ perfetto della femmina.
Anche secondo Cremonini e’ la mancanza di sufficiente calore ad impedire che gli organi
genitali femminili si sviluppino pienamente e diventino esterni.
Bisogna attendere dapprima Cesare Scaligero (che attacca la teoria degli umori adducendo il
fatto che la donna non sia piu’ fredda, ma solo piu’ umida) e poi, soprattutto, Gabriele
Falloppio (che basandosi sull’anatomia sperimentale scopre le tube che da lui prendono
nome), per assistere all’affermarsi di una nuova tendenza, basata questa volta
sull’osservazione scientifica piuttosto che sul principio di autorita’: le Observationes
anatomicae di Falloppio (1561) costituiscono una vera e propria svolta in campo medico
perche’, per la prima volta, e’ abbandonato il parallelismo fra i genitali (utero= pene interno,
ovaie= testicoli femminili che non producono seme) in favore di un nuovo allineamento (per
es. il pene e’ associato al clitoride). Di fatto si va affermando una nuova concezione:
entrambi i sessi sono necessari alla generazione e ognuno ha una appropriata differente
fisiologia (p. 33).
Effetti della costituzione piu’ “umida” della donna sul metabolismo: non puo’ formare peli
sulcorpo, non puo’ , per eccesso di calore, diventare calva. Come i ragazzi e gli eunuchi, ha
una voce piu’ alta, carne piu’chiara, grassa e soffice, che invecchia piu’ velocemente a causa
dell’effetto corruttivo della sua dominante umidita’. Anche la sua forma fisica e’ il risultato
di umori freddi, che non possiedono sufficiente energia per sollevare la materia verso l’alto,
cioe’verso il cervello. Questa caratteristica ha conseguenze anche sulle facolta’ mentali
femminili, considerate comunque inferiori.
Anche quando si va abbandonando la teoria della differenza come inferiorita’ del femminile
rispetto al maschile, riconoscendo alle diverse caratteristiche fisiologiche pari dignita’, gli
argomenti a sfavore della donna si sposteranno sul piano psicologico (p. 35).

La concezione secondo cui la donna non ha il seme, o se lo ha non e’ perfetto o


sufficientemente funzionante (la posizione di Galeno), fu superata solo nel 1672 con Reinier
de Graaf, liberando gli studi di anatomia dall’ottusita’ in cui giacevano.
Pertanto, il problema del concepimento e della determinazione del sesso veniva affrontato
associando le coppie di opposti dualistici di tradizione aristotelica, dove il maschio,
superiore, si associa al lato destro, e l’inferiorità si riflette nella coppia femminile-sinistra,
secondo lo schema seguente.
Uomo perfetto: generato dal seme dominante maschile nel lato destro dell’utero

10
Uomo effemminato: “ “ “ “ “ sinistro “ “
Virago, cioè la donna maschile: “ “ femminile nel lato destro dell’utero
Donna: generata dal seme dominante femminile nel lato sinistro dell’utero

IL FEMMINILE STA AL MASCHILE


COME LA NATURA STA ALLA CULTURA?

La questione posta dall’autrice di questo saggio5 è quella della universale svalutazione della
donna, considerata inferiore all’uomo: che cosa c’è di cosi’ generalizzato e diffuso in ogni
cultura da porre la donna sempre in un grado piu’ basso nella scala sociale? Perché la donna
è identificata come parte di un livello piu’ basso di esistenza, che ogni cultura svaluta?
L’unica risposta valida è NATURA nel senso piu’ generalizzato. Ogni cultura, e la “cultura”
in senso stretto, è impegnata nel processo di generare e sostenere sistemi di forme
significanti (simboli, artefatti, etc) attraverso i quali l’umanita’ trascende i dati della
semplice esistenza naturale, li piega ai suoi scopi, li controlla nei suoi interessi. Possiamo
cosi’ paragonare, in termini generali , la cultura alla nozione della coscienza umana, o con i
prodotti della coscienza umana (pensiero, tecnologia)attraverso i quali l’umanita’ cerca di
controllare la natura (oppure, in civilta’ meno evolute, si tenta di fare la stessa cosa
attraverso rituali magici, sempre fatti culturali sono).

Un importante regno del pensiero culturale in cui questi argomenti sono spesso articolati, è
la nozione di purezza e di corruzione, a cui si collega il concetto della naturale
contaminazione di cio’ che è corrotto; lasciato ai suoi propri meccanismi, cio’ che è corrotto
si sparge e si appropria di tutto cio’ che entra in contatto con esso. Attraverso rituali piu’ o
meno simbolici, si agisce contro la natura e le energie negative naturali con purificazioni .
Una specie di rompicapo pero’: se cio’ che è corrotto è cosi’ potente, come si puo’ purificare
qualcosa? Come è possibile che l’agente purificante stesso non venga contaminato?
Di fatto, ogni cultura afferma una netta distinzione fra le operazioni della natura e quelle
della cultura o, piu’ precisamente, che la caratteristica della cultura risieda nel fatto che sotto

5
Sherry B. Ortner, “Is Female to Male as Nature to Culture?”, Women, Culture, and Society. Ed. by M.

Zimbalist Rosaldo and L. Lamphere. Stanford, 1974, pp. 67-87, da cui è tratta questa sezione.

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determinate circostanze puo’ trascendere le condizioni naturali e volgerle al proprio
vantaggio. Ogni cultura, a un certo livello di consapevolezza, afferma non solo di essere
distinta, ma superiore alla natura, fatto che si esplica nella capacita’ di trasformare la natura
stessa.
Quanto alla donna, la sua condizione di serie B panculturale puo’ essere spiegata abbastanza
semplicemente nel postulare che le donne sono state identificate o simbolicamente associate
alla natura in opposizione agli uomini, identificati con la cultura. Poichè è sempre stato
progetto culturale generalizzato quello di sottomettere e trascendere la natura, se le donne
sono considerate parte della natura, allora la cultura trova ovvio subordinarle, per non dire
opprimerle. In altre parole, le donne sono viste piu’ vicine alla natura. Perché?
I motivi possono essere ricondotti a tre principali fattori:

1) Corpo e funzioni della donna sono piu’ legati alla vita della specie, mentre la fisiologia
maschile gli permette di dedicarsi piu’ liberamente ai suoi progetti culturali;

2) i ruoli sociali della donna sembrano anch’essi di un ordine inferiore rispetto all’uomo;

3)Il n. 1 e 2 creano alla donna anche una struttura psichica piu’ vicina alla natura.

CORPO E FUNZIONI
Come ha acutamente osservato Simone de Beauvoir, nel suo studio pioneristico del 1953 (Il
secondo sesso), la donna è piu’ incatenata dell’uomo alla specie, e la sua animalita’ piu’
manifesta, mentre l’uomo assicura la continuita’ della vita trascendendola attraverso
l’esistenza, creando valori che vanno al di la’ della vita stessa e che si rivelano immateriali,
quali le invenzioni, l’arte, la tecnologia, simboli eterni, laddove la donna e le sue funzioni
riproduttive sembrano confinate solo alla generazioni di esseri mortali nel naturale processo
della nascita. Questa considerazione apre una serie di importanti implicazioni. Per esempio,
il curioso aspetto del perché alle attivita’ maschili che prevedono la distruzione della vita
(caccia e guerra) è dato spesso piu’ prestigio rispetto che alla abilita’ femminile nel
procreare, nel creare la vita. Secondo la de Beauvoir, non è il fatto di uccidire che da’
prestigio, né è il valore rilevante di quelle attivita’; cio’ che è importante è piuttosto la
natura trascendente (sociale, culturale) di quelle attivita’, opposte alla naturalezza del
processo di nascita: “Non è nel dare la vita ma nel rischiare la vita che l’uomo è considerato

12
superiore agli animali; per questo motivo la superiorita’ è stata accordata non al sesso che
da’ la vita ma a quello che uccide.”

Non si puo’ affermare, tuttavia, anche se l’associazione fra donna e natura è molto forte,
considerando anche tutte le conseguenze implicate, che la donna possa essere consegnata
globalmente alla categoria della natura, perchè è perfettamente ovvio che ella è in tutto e per
tutto un essere umano, dotata di coscienza come l’uomo e che costituisca la meta’ del genere
umano, senza la cui cooperazione l’intera impresa franerebbe. La donna pensa e parla,
genera, comunica e manipola simboli, categorie e valori, partecipando all’umano dialogo
non solo fra donne ma anche con gli uomini.

E’ proprio a causa della piena consapevolezza della donna, del suo pieno impegno e
coinvolgimento al progetto culturale di trascendenza al di sopra della natura, che si puo’
spiegare l’ironia di uno dei grandi altri problemi del femminile: cioè la pressoche’
universale accettazione senza discutere della propria svalutazione. De Beauvoir afferma che
anche “la donna prova la stessa necessita’ di trascendenza, di superamento della natura verso
un progetto e un futuro differente, confermando cosi’, nel piu’ profondo del suo intimo, la
conferma alla pretesa superiorita’ maschile. La sua sfortuna è quella di essere stata
biologicamente destinata alla ripetizione della vita, quando anche dal suo punto di vista la
Vita non porta con sé le ragioni dell’esistenza, ragioni che sono piu’ importanti della vita
stessa”.

Cosi’, in quanto membro di una societa’ con un progetto culturale, la sua coscienza le
impone di accettare la sua propria svalutazione e di assumere il punto di vista della cultura
di cui fa parte. Confinata socialmente e fisicamente fra le mura domestiche a causa
dell’allattamento: la casa è il suo posto. Maggiormente collegata ai bambini, che sono a loro
volta poco civilizzati e piu’vicini alla natura, condivide con essi le caratteristiche di esseri
meno evoluti e appartenenti a una zona inferiore dell’umanità.

La famiglia biologica, a sua volta, si oppone alla entita’ pubblica (privato/pubblico), livello
piu’ alto sul piano sociale rispetto alla famiglia di cui la società è composta.
La donna e la famiglia rappresentano cosi’ il livello primario e piu’ basso della societa’, che
ai piu’ alti livelli presenta il potere politico, organizzativo e amministrativo etc.

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Di questo passo, procedendo con questo genere di ragionamento, appare ‘naturale’ che gli
uomini siano i proprietari della religione, dei riti, della politica e di tutti gli altri campi di
pensiero e azione in cui vegono affermate idee universali di sintesi spirituale e sociale. Cosi’
gli uomini non vengono solamente associati alla cultura in quanto opposta alla natura, ma
con i livelli piu’ alti e raffinati del pensiero umano: arte, religione, legge etc.

Ambiguita’: la donna è collocata in uno spazio intermedio fra natura e cultura, dentro e fuori
di essa, ai due opposti. Si puo’ cosi’ arrivare a comprendere allora come un sistema
di pensiero culturale possa assegnare alla donna significati polarizzati e apparentemente
contraddittori, poichégli estremi, come si sa, si toccano. Che la donna possa rappresentare
contemporaneamente la vita e la morte, è uno dei piu’ semplici esempi che si possano
trovare, ma anche, per essere piu’ specifici, si possono citare altri simboli di segno positivo
come di segno totalmente opposto:

i simboli sovversivi femminili piu’ evidenti (streghe, malocchio, contaminazione da ciclo


mestruale, il complesso della madre castratrice) come anche i loro contrari:

i simboli femminili del trascendente (la dea madre, la generosa dispensatrice di grazie e di
salvezza, la giustizia).

La posizione intermedia fra natura e cultura occupata dalla donna costituisce la spiegazione
più convincente a tutte le incongruenze del femminile, quale forza negativa vitale e
ancestrale, da dominare e domare, così come l’uomo domina le forze della natura. Al tempo
stesso, la donna essere pensante e consapevole, non si può identificare completamente con la
natura, e il gap fra questi due fattori è un problema tutto da colmare e risolvere.

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COLORE FEMMINILE, DISEGNO MASCHILE :
la visione dell’arte secondo i generi.

SULLA COMPRENSIONE DEI COLORI NELLA PITTURA6

La questione del gusto sui colori, ai nostri giorni, tende ad essere una questione di
preferenze puramente personali, e a ogni artista è data carta bianca. Tuttavia, la persistenza
di alcuni elementi comuni nelle varie epoche della storia dell’arte e fra scuole artistiche
differenti, sembra indicare un comune accordo su come i colori debbano essere utilizzati.
Questo accordo, senza dubbio, è basato su di una tacita comprensione di quali siano le
relazioni del colore ad altri elementi pittorici, e su altri presupposti tecnici. Se non
esistessere queste uniformità, la datazione delle opere da parte dei conoscitori sarebbe una
impresa impossible. La funzione del colore quale elemento stilistico ha una importanza
enorme nella identificazione delle paternità artistiche.
E’ possibile isolare quei fattori che indicano una uniformità stilistica nell’uso del colore? E
questi fattori ci danno qualche indicazione sulla natura del processo artistico? Sembra poter
isolare almeno cinque fattori : primo, la simbologia del colore; secondo, la metafisica del
colore, in parte associata ad altri elementi; terzo, le scoperta scientifiche associate ai colori;
quarto, considerazioni pedagogiche sull’uso di alcuni colori o di altri possono dettare alcune
scelte invece di altre; quinto, limitazioni tecniche (per esempio alcuni colori non funzionali
all’affresco) possono orientare verso certi colori invece di altri.

Nel primo Rinascimento, la messa a punto della tecnica del colore a olio, secondo Vasari ad
opera di Van Eyck, consentì una eccezionale resa cromatica, che esaltava la trasparenza dei
colori attraverso l’uso di strati successivi di velature trasparenti. La luce viene intensamente
riflessa, e perfino i marroni e i neri sono brillanti, e non sembrano esserci vere ombre. Gran
parte dell’ideale di bellezza di questi dipinti risiedeva precisamente nell’intensità di
riflessione luminosa.
I contorni delle figure sono netti e precisi, con una scrupolosa attenzione al dettaglio. Questa
tecnica cosi’ lenticolare si era sviluppata dalle miniature, ma era anche stata resa possibilie e
incoraggiata dalle proprietà fisiche dei colori a tempera (la notevole tensione di superficie

6
Questa sezione deriva in parte da Eugene Clinton Elliott, “On the Understanding of Color in Painting,” in
Journal of Aesthetics and Art Criticism 16 (158): pp. 453-470.

15
che rendeva possibile tenera il pennello in punta, l’essiccamente rapido che rendeva
necessario una lavoro accurato ). La tempera era incredibilmente adatta a rappresentare
corpi concepiti come sostanze create da una forma imposta alla materia. FORMA, nel senso
medievale, era ciò che rende una cosa quello che è, un principio interno. La MATERIA,
essendo tutta uguale, non ha proprietà distinte per cui elemento di materia può esser distinto
da un altro. I Greci, che per primi sistematizzarono questo concetto, sembrano averlo
dedotto dall’analogia fra la natura e l’arte. Lo scultore, quando fa una statua, impone una
forma su un materiale. Anche nella pittura a tempera lo stesso principio rimane vero: i colori
non si possono mescolare fra di loro, così le forme rimangono nette e decise. Si potrebbe
dedurre che un oggetto è una forma data a una certa materia (…).

A partire dalla metafisica medievale, si possono trarre alcune conseguenze che possono
essere applicate al dipingere. In primo luogo, un dipinto deve essere chiaro. Qualsiasi
vaghezza significa deprivazione della forma dovuta. La forma di qualcosa è ciò che rende
quella cosa ciò che è; e nella misura in cui qualsiasi cosa è resa in modo impreciso, quella
cosa è stata deprivata della sua piena esistenza. In secondo luogo, l’idea dietro l’immagine
deve essere comunicata con chiarezza, esplicitamente. In sostanza , la creazione artistica
avveniva nello stesso modo della creazione divina. L’artista formava un modello nella sua
immaginazione (exemplar), e creava l’opera a imitazione di quel modello. (…) . La
chiarezza esecutiva diveniva così un tema centrale della creazione artistica, la fedeltà con
cui l’esemplare di partenza veniva riprodotto nell’opera finale. Il godimento immediato di
qualcosa attraverso i sensi veniva considerato come una percezione dello splendore
ontologico dell’oggetto (splendor, cioè la brillantezza della forma propria dell’essere),
sperimentata anche come comprensione della forma che si manifesta e dà gioia attraverso la
contemplazione. Così, una terza conseguenza per la pittura emerge: lo splendore ontologico
dell’oggetto , le brillantezza della sua forma, veniva visualizzato attraverso la luminosità del
dipinto; l’oggetto più bello era anche quello più luminoso, vivace e più intensamente
colorato. Tuttavia, anche in questo caso, il colore è concettualmente e operativamente (cioè
nella esecuzione pittorica vera e propria) subordinato alla forma.

In questo modo tecniche artistiche e metafisica erano in completo accordo per quanto
riguardava la natura intima delle cose. Dettagli accurati restituivano a ogni oggetto
rappresentato la forma espressiva che quel determinato essere aveva ricevuto da Dio. La

16
precisa esecuzione assicurava che che quella immagine riflettesse fedelmente l’esemplare, di
cui era la forma o l’idea.Colori brillanti e luminosi attestavano la golria e la bellezza di Dio
in una minore, terrena imitazione della divina perfezione.
La questione, tuttavia, si va complicando in pieno Rinascimento, con una teoria dei colori
che si va opponendo con crescente forza al disegno.
Questa contrapposizioni ha profondo radici, in particolare nella differenza tecnica fra la
scuola fiorentina, rappresentata da Raffaello, e dalla scuola veneziana, rappresentata da
Tiziano. La tecnica dei pittori fiorentini deriva essenzialmente dagli affreschi e dall’uso dei
colori a tempera, dove l’uso dell’olio non era assolutamente possibile. Il metodo dei
frescanti era quello di lavorare da un cartone, completamente disegnato e poi riportato
attraverso vari metodi (spolvero, incisione) sul muro. Questa tecnica prevedeva di lavorare
sui contorni e sulle linee esterne, giorno per giorne utilizzando la calce fresca necessaria
all’esecuzione di quella determinata parte. La zona in eccesso veniva tagliata via. Nei trattati
del Quattrocento si teorizzavano tre parti essenziali del dipingere: il disegno, le proporzioni
e il colore. Il colore era sempre considerato come qualcosa da aggiungere dopo che il
disegno era definito.7
Il colore a olio fu introdotto a Venezia e da qui in Italia, e fu proprio a Venezia che la
tecnica del colore a olio ebbe i suoi primi importanti sviluppi. I veneziani dipingevano su
tela, e la loro pratica consisteva nel costruire gradualmente le forme mentre dipingevano,
iniziando con un schizzo approssimativo impostato per grandi linee (ma questo tecnica
comincia soprattutto con Giorgione, dato che Bellini dipinge come la stessa tecnica iniziale
dei fiorentini). Le figure definitive di Tiziano, ad esempio, soprattutto nella sua ultima fase,
non erano mai disegnate nei dettagli, nel senso completo del termine. Questa
contrapposizione fiorentini/veneti è molto interessante perché la si può ritrovare nelle
polemiche artistiche fino a tutto l’Ottocento, soprattutto fra Accademici e innovatori
(Poussin contro Rubens, fino agli impressionisti).

7
W. Lee, “Ut pictura Poesis: The Humanistic Theory of Painting”, Art Bulletin (1940), 4, pp. 264-5.

17
COLORIRE, DISEGNARE E SCOLPIRE: MASCHILI O FEMMINILI?

La discussione verte ora sul secondo punto in quanto più strettamente legato al genere, e
vedremo come teorie specifiche sul maschile e il femminile vengano anche inglobate nella
teoria dei colori.

Pietra miliare della progressiva diversificazione fra disegno e colore è la competizione fra
Michelangelo e Raffaello ai primi del Cinquecento, in una sfida capitale per le future sorti
della teoria artistica, e al ruolo particolarissimo svolto dal veneto Sebastiano del Piombo,
che con l’aiuto di Michelangelo e il suo bagaglio di colorista, cerca di soppiantare Raffaello.
E’ noto che a Roma, ai primi del Cinquencento, si riteneva Michelangelo inferiore a
Raffaello nell’uso del colore, come risulta da Vasari che raccoglie testimonianze a lui
precedenti:

Mentre che lavorava costui [Sebastiano] queste cose in Roma, era venuto in tanto credito
Raffaello da Urbino nella pittura che gli amici ed aderenti suoi dicevano che le pitture di lui
erano secondo l'ordine della pittura, più che quelle di Michelangelo, vaghe di colorito, belle
d'invenzioni, e d'arie piu' vezzose, e di corrispondente disegno, e che quelle del Buonarroti
non avevano, dal disegno in fuori, niuna di queste tre parti: per queste cagioni giudicavano
questi cotali, Raffaello essere nella pittura, se non piu' eccellente di lui, almeno pari; ma nel
colorito volevano che a ogni modo lo passasse. Questi umori, seminati per molti artefici, che
più aderivano alla grazia di Raffaello che alla profondità di Michelagnolo, erano divenuti
per diversi interessi più favorevoli nel giudizio a Raffaello che a Michelagnolo. Ma non già
era de' seguaci di costoro Sebastiano, perché essendo di squisito giudizio conosceva appunto
il valore di ciascuno. Destatosi dunque l'animo di Michelagnolo verso Sebastiano, perché
molto gli piaceva il colorito e la grazia di lui, lo prese in protezione; pensando che se egli
usasse l'aiuto del disegno in Sebastiano, si potrebbe con questo mezzo, senza che egli
operasse, battere coloro che avevano si fatta openione [cioè la superiorità di Raffaello
colorista], ed egli, sotto ombra di terzo, giudicare quale di loro fusse meglio.8

8
Per questo passo della Vite ho fatto riferimento a una edizione diversa da quella di Milanesi,
priva del verbo nell’ultima frase: "Battere coloro che avevano si fatta openione, ed egli, sotto ombra
di terzo, quale di loro fusse meglio"(p. 567). Secondo Paola Barocchi e Rosanna Bettarini, curatrici
della pubblicazione comparata delle edizioni delle Vite (G. Vasari, Le Vite nelle Redazioni del 1550
e del 1568, Firenze 1984, vol. V, p. 88, la parola "giudice," espunta da Milanesi, deve invece essere
18
Nel criticare il colorito di Michelangelo e la sua tavolozza composta da colori saturi,
nella tradizione quattrocentesca—quando confrontata con la tecnica moderna del colore
usata da Raffaello (unione) e alle sue sapienti manipolazioni di altre tecniche cromatiche-—
il pubblico degli artisti e dei letterati dimostrava piena consapevolezza di nuovi, aggiornati
ideali nel campo pittorico. Intorno al 1523 Paolo Giovio, uno degli arbitri del gusto artistico
nella Roma del Rinascimento e l’ispiratore del Vasari per la redazione delle Vite,9 afferma
che Raffaello aveva prevalso nell’unica abilità che mancava a Michelangelo, e cioè nella
tecnica del colore a olio: “nell’addolcire e fondere l’asprezza di colori troppo vivaci riuscì,
da artista amabilissimo qual era, a ciò che solo era mancato al Buonarroti, cioè ad unire a
pitture sapientemente disegnate l’ornamento luminoso e resistente dei colori a olio”.10
D’altra parte, nel celebrare il Michelangelo pittore, Giovio non manca di rilevare il suo
talento nel conferire una stupefacente tridimensionalità alle figure della volta sistina: " ha
esaltato così felicemente, mediante il contrasto delle ombre, la luce stessa, che persino gli
artisti più intendenti sono stati indotti con loro stupore a percepire come solidi, per la realtà
della rappresentazione, corpi che in effetti sono piani”.11
La celebrazione da parte di Giovio dei due principali artisti del suo tempo, attraverso la
definizione delle loro caratteristiche essenziali, è cruciale per la teoria artistica del
Cinquecento. Raffaello si distingue soprattutto come raffinato colorista, mentre la bravura di
Michelangelo risiede principalmente nel suo "rilievo."12 Nel confrontare e caratterizzare per

interpretata come un errore per "giudicare." Solo cosi il testo riacquista senso: "Battere coloro che
avevano si fatta openione, ed egli, sotto ombra di terzo, giudic[ar]e quale di loro fusse meglio."
L’edizione del 1550 è corrispondente, nel significato, all’interpretazione offerta da Barocchi e
Bettarini dell’edizione del 1568: "Battere coloro che avevano tale openione, et egli, sotto ombra di
terzo, giudicare quali di loro facesse meglio" (p. 88).
9
Vasari/Milanesi, II, p. 996, VII, p. 681.
10
Paolo Giovio, Raphaelis Urbinatis Vita, in Paola Barocchi Scritti d'Arte del Cinquecento (I).
Generalia. Arti e Scienze. Le Arti, Napoli 1971 (ristampa Torino 1977), p. 15.
11
Ibid., pp. 10-11: "In Vaticano Xistini sacelli cameram a Iulio secundo ingenti pecunia
accitus, immenso opere brevi perfecto, absolutae artis testimonium deposuit, Quum resupinus, uti
necesse erat, pingeret, aliqua in abscessus et sinus refugiente sensim lumine condidit...in aliquibus
autem...lucem ipsam experimentibus umbris adeo feliciter protulit, ut repraesentata corporm
veritate, ingeniosi etiam artifices, quae piana essent, veluti solida mirarentur."
12
Cfr. i commenti di Barocchi, ibid., pp. 3-4: "Gli scritti figurativi di Paolo
Giovio...meritavano una riedizione, segnando il fortunato punto d'incontro d'una eccezionale
esperienza, sociale e letteraria, coi problemi artistici, tutti nuovi, delle opere di Leonardo, Raffaello,
Michelangelo, il Dosso, Sebastiano del Piombo, e altri.... La "civiltà" e la "grazia" dell'Urbinate
assumono in tal modo una consistenza stilistica particolare...la quale si attua soprattutto nel colore
("ciò che solo era mancato al Buonarroti").... E' la conclusione cui giungerà anche il Vasari nella
19
contrasto gli stili di Raffaello e Michelangelo, Giovio si adegua a un concetto molto
celebrato nel Rinascimento, quello appunto del paragone.
Il colore, e la più specifica definizione di colorito—che non si riferisce ai semplici
pigmenti, ma rimanda a un uso espressivo del colore—rappresenta esattamente ciò che
caratterizza la pittura in antitesi con la scultura, che, diversamente da quest’ultima, si
caratterizza come uno strumento idoneo ad imitare la natura in tutti i suoi mutevoli
fenomeni, atmosferici, coloristici e luminosi. In tale contesto, il paragone fra Raffaello e
Michelangelo assume il significato di un confronto/contraddittorio fra valori cromatici e
qualità scultoree.
Di fatto Michelangelo considerava se stesso principalmente uno scultore, come la sua
famosa risposta a Varchi sul tema del paragone fra pittura e scultura testimonia: "Io dico che
la pittura mi par più tenuta buona quando va verso il rilievo, et il rilievo più tenuto cattivo
quanto più va verso la pittura; et però a me soleva parere che la scultura fussi la lanterna
della pittura, et che da l'una a l'altra fussi quella differenza ch'è tra il sole e la luna".13
La “grazia” di Raffaello, si oppone così alla “terribilità” di Michelangelo, in un
dualismo che viene concepito all’epoca nei consueti termini femminile/ maschile. Questa
opposizione, già indicata in relazione al pittore di Urbino, diventa ancora più acuta nel
momento in cui Michelangelo si contrappone all’amico Sebastiano, veneto, colorista, pittore
dedito all’uso della tecnica a olio e, pertanto, effemminato.
E’ Vasari che riporta il litigio con Sebastiano in merito alla tecnica da utilizzare nel
Giudizio Univerale per la cappella Sistina:

Fu, come si è detto, Bastiano molto amato da Michelagnolo; ma è ben vero, che avendosi a
dipignere la faccia della cappella del papa, dove oggi è il Giudizio di esso Buonarroto, fu fra
loro alquanto di sdegno, avendo persuaso Fra Sebastiano al papa che la facesse fare a
Michelagnolo a olio, laddove esso non voleva farla se non a fresco. Non dicendo dunque
Michelagnolo né si né no, e acconciandosi la faccia a modo di Fra Sebastiano, si stette così
Michelagnolo senza metter mano all'opera alcuni mesi; ma essendo pur sollecitato, egli
finalmente disse che non voleva farla se non a fresco, e che il colorire a olio era arte da
donne e da persone agiate e infingarde, come Fra Bastiano.14

Vita di Raffaello, ma solo nel 1568. La vigoria critica del giudizio sulla maggiore triade artistica è
confermata da quello su altri artefici."
13
Paola Barocchi, Scritti d'arte del Cinquecento (III). Pittura e scultura, Torino 1978 (prima
edizione Napoli 1971), p. 522.
14
Vasari/Milanesi, V, p. 584.
20
Nel 1535 il dibattito sul colorito era ancora molto acceso e Michelangelo
particolarmente sensibile ad esso. E non essendo tipo da scendere a compromessi, rifiuta
senz’altro l’offerta/imposizione di Sebastiano di usare la tecnica a olio, rompendo
all'improvviso la loro amicizia di vecchia data e realizzando il Giudizio “virilmente” a
fresco.15

L’OPPOSIZIONE DISEGNO/COLORE

Giovan Battista Armenini (De’ veri precetti della pittura, 1587) rimprovera quei pittori che
utilizzano colori sgargianti per ottenere l’approvazione del pubblico, perché in questo modo
si abbagliano gli ignoranti ma non si ottiene quella regolata armonia che è l’obbiettivo dei
teorici del Cinquecento16.
Questa animosità verso l’uso non regolato del colore è condivisa anche da molti altri
trattatisti: per esempio, Giorgio Vasari condanna la pratica diffusa fra i pittori veneziani di
nascondere, attraverso il fascino del colore, la loro mancanza di conoscenza del disegno.17
La svalutazione del colore è un motivo ricorrente nella teoria artistica del Rinascimento, e
non si tratta nemmeno di una novità perché già Aristotile considerava una tela imbrattata di
colori molto inferiore a un bel disegno.18
Sarà interessante, allora, analizzare le figure retoriche dei generi (maschile e femminile)
utilizzate all’interno di questa polemica allo scopo di sostenere le varie posizioni, pro o
contro il colore. Vedremo come attraverso le figure retoriche del femminile i teorici
caratterizzeranno il colore come bello ma pericoloso (proprio come una bella donna),

15
Con molta delicatezza, per non infrangere il suo idolo, Vasari allude ai problemi di
Michelangelo con il colorire: "ha aperto la via alla facilità di questa arte nel principale suo intento,
che è il corpo umano, et attendendo a questo fin solo, ha lassato da parte le vaghezze de' colori, i
capricci e le nuove fantasie di certe minuzie e delicatezze che da molti altri pittori non sono
interamente, e forse non senza qualche ragione, state neglette" (Vasari/Milanesi, VII, 210).
16
Armenini in P. Barocchi, Scritti d’arte del Cinquecento, IX Colore, Torino, 1979, pp. 2273-2275.
17
L’argomento viene ampiamente analizzato da Patricia Reilly, The taming of the blue (il colore domato e la
controversia disegno/colore nel Rinascimento), in The expanding discourse. Feminism and art history, a cura di N.
Broude and Mary D. Garrard, New York, 1992, da cui è principalmente tratta questa sezione.
18
Aristotele, Poetics, Cambridge, 1960, 1450b.

21
all’interno di una relazione complessa e antagonistica col disegno, quest’ultimo,
ovviamente, fortemente caratterizzato come mascolino.
Finché è subordinato al disegno, il colore contribuisce alla gloria del disegno, arricchendolo
e rendendolo più bello con il suo splendore. La materialità del colore, tuttavia, può anche
oscurare il disegno, prevaricare e usurpare l’idea originaria dell’artista.
Sul piano metodologico è opportuno precisare che la storia dell’arte va analizzata in questo
caso come storia del linguaggio artistico in quanto manipolazione di concetti: non è
importante ciò che Vasari vede, ma ciò che Vasari dice rispetto a quello che vede, il che
rientra entro classificazioni valutative e schemi concettuali. La retorica dei generi ottempera
a un compito molto preciso: i teorici del Rinascimento, basandosi sui luoghi comuni, da tutti
condivisi, della femminilità, relegavano il colore nel luogo che ritenevano appropriatamente
subordinato all’interno del più ampio panorama dei valori artistici.

La relazione fra disegno e colore ha la sua origine, come altre coppie di concetti
contrapposti sul piano della retorica dei generi, dall’antica contrapposizione fra forma e
materia. La forma, o anche l’idea al suo stadio originario, è collegata al maschile. Esiste a
priori e ha un significato molto più assoluto rispetto alla sua controparte e complemento
femminile, cioè la materia. Quest’ultima è assoggettata alla forma, serve puramente a
incarnare e materializzare il mondo divino delle idee. La forma fornisce la regola, la norma,
alla quale la materia deve soggiacere. Pertanto, anche se la relazione fra le due è necessaria,
quanto meno la forma è inquinata dalla materia in questa insopprimibile contaminazione,
tanto più rimane pura.
Aristotele, in particolare, osserva che

La forma è migliore e più divina nella sua natura che non la materia, ed è anche
giusto che la cosa superiore sia separata da quella inferiore. Per questo motivo, laddove sia
possibile, bisogna che il maschio sia separato dalla femmina, perché è in qualche modo
migliore e più divino in quanto contiene il principio del movimento delle cose generate,
mentre il principio femminile offre solo la materia per esse.

Ed è proprio questa visione aristotelica secondo cui il femminile offre la materia mentre il
maschile offre ciò per cui la materia è formata, che sovrintende ai trattati rinascimentali
come principio teorico per cui il disegno mascolino si contrappone al suo partner femminile,
il colore.

22
L’ Alberti, infatti, nel De Pictura, suggerisce per prima cosa ai pittori di circoscrivere il
piano con delle linee, sottolineando così il ruolo supplementare che il colore gioca in
rapporto al disegno.
In quanto materia viene attualizzata solo con l’imposizione della forma, come dice Giovan
Battista Armenini, e il suo valore aumentato (DA MATERIA A FORMA, in puro stile
neoplatonico). Lo stesso concetto ritorna nelle Vite di Vasari, che definisce la pittura come
“macchie di colore che riempiono linee di contorno che, per mezzo di un buon disegno,
rappresentano figure”. In sostanza, se si volesse arrivare fino in fondo al ragionamento di
Vasari, il bianco e nero sembrerebbe quasi meglio del colore, dato che, nel lodare il cartone
michelangiolesco della Battaglia di Cascina, ne rileva la “perfezione a cui l’arte del
dipingere può arrivare, nell’usare il disegno puro e senza colore”.
L’unica voce contraria a questo schema di pensiero e di paragoni fra il disegno e il colore è
Leonardo, che nel paragone sulle arti elogia la pittura appunto per il colore, e per la sua
capacità di rendere l’intensità cromatica e la trasparenza degli oggetti, la possibilità di
rendere l’apparenza del naturale. Su questa stessa strada si muoverà anche Baldassar
Castiglione nel Cortegiano.
Secondo Leonardo il pittore, dopo essersi creato nella mente una idea o forma, aggiunge il
colore in modo da soggiogarlo alle sue intenzioni, e domina questo processo diversamente
dallo scultore, che ne è dominato in una lotta molto più bestiale con la materia. 19

Il problema, tuttavia, consiste nel fatto che la materialità del colore è sempre presente, e
Paolo Pino—lo storiografo dell’arte veneta della seconda metà del Cinquecento—avverte il
pittore a non imbrattarsi le mani. Nel lodare le virtù della pittura contro la scultura, precisa
che queste qualità non sono dei pigmenti, cioè della materia, ma sono proprie dell’artefice.
Nello stesso momento in cui si esalta la pittura, si noti come il colore venga però svalutato.
Quasi come se toccare il colore implicasse un degradamento, uno sporcarsi. Con buona pace
di Paolo Pino, l’immagine di Jackson Pollock che si tuffa nel colore con il dripping, serve a
noi moderni a restituire al colore e alla materia una nuova dignità.
Pino non ha un atteggiamento originale, ma si adegua a quella ambivalenza rispetto al colore
caratteristica dei trattatisti del Cinquecento.

19
Reilly, op. cit., pp. 88-90.

23
Vasari, per esempio, esplicita la sua quasi “paura” del colore che, se usato con macchie
troppo vivide e non fuse armonicamente, può offuscare la forma, negare quindi l’idea
progettuale dell’opera.20
Il pittore può farsi sedurre dalla bellezza del colore e dalle sue qualità, ma non può però
esimersi dalla sua vera prova, quella cioè di dare forma al colore in maniera ordinata. Il
colore, in altre parole, deve essere controllato via disegno. In nessuna altra tecnica come
nell’affresco, la prova più difficile per l’artista del Rinascimento, il pittore si trova a domare
il colore recalcitrante e imprevedibile. E non è un caso che Vasari consideri l’affresco come
la più virile di tutte le arti.

IL PARAGONE FRA I COLORI E LA BELLEZZA FEMMINILE

Il colore viene considerato positivamente solo quando si conforma alle aspettative, non è
troppo aggressivo e crudo: in tal senso può essere equiparato alle donne in quanto soggette
ai rigori del decoro e delle legge suntuarie, quelle leggi cioè che regolavano il lusso e
l’apparenza delle donne.
Argomento ricorrente sulla bellezza delle donne è quello relativo all’appropriata coloritura
delle parti del corpo: guance, capelli e membra in generale, dovevano esibire il giusto
quantitativo di colori e di trucco. E’ interessante notare che questa materia “femminile”
appare spesso nei trattati sull’arte, in una strettissima connessione fra le due norme di
bellezza. L’una serviva da fondamento per l’altra. Nei Dialoghi di Paolo Pino la
sovrapposizione fra donne e arte gioca un ruolo significativo nel modo in cui il colore viene
discusso in merito agli ideali di bellezza. La bellezza delle donne veneziane si conforma
perfettamente agli ideali, e viene indicata quale riferimento per il pittore: quest’ultimo dovrà
dipingere labbra piccoline e rosso sangue, membra bianche come marmo, usando i colori
appropriati; insomma, le donne belle si conformano in realtà a un piano prestabilito a priori,
secondo un ideale astratto, un po’ come in un dipinto il pittore riesce a domare i pigmenti
perché li assoggetta a quanto ha in mente, secondo il progetto prestabilito.

L’ARTISTA CREATORE

In questo efficace e potente paragone, il pittore femminilizza la materia del dipingere,


divenendone creatore, a sostegno del paragone fra arte e natura. Questa nozione di colori

20
Vasari in P. Barocchi, Scritti d’arte del Cinquecento, IX Colore, cit., Torino, 1979, p. 2179.

24
femminili che si conformano e incarnano la concezione del maestro—e che ritroviamo
anche nell’arte contemporanea—sembrano molto più malleabili delle donne, e adatti a
recare, come in un calco, l’impronta maschile. Così, ad esempio, per Marco Boschini—lo
storiografo veneziano—Tiziano è in grado, attraverso i colori, a infondere alle sue figure la
vita attraverso il colore, come se aggiungesse sangue alle strutture ossee. L’evidente
analogia fra colore e funzioni vitali sottolinea ancora meglio il parallelismo fra colore e
femminile, tra le capacità di animare e dare vita e la natura procreatice del femminile. Si
pensi ai commenti: “sembra essere di carne vera e non dipinta” tanto consueti nella
trattatistica del tempo a partire da Giorgione (“nato per infondere vita alle sue figure
dipinte”), ma valido fino a tutto l’Ottocento. In questo senso i colori sono concepiti come il
corpo della pittura attraverso il quale il pittore infonde vita ai suoi dipinti.
Il punto cruciale è che il colore per sé non è in grado di offrire questi risultati, ma è l’artista
che manipola sapientemente il colore, come fosse creta, allo scopo di ottenere carne viva e
figure palpitanti.

FIGLIOLANZA GENERATIVA E FIGLIOLANZA CREATIVA

L’Arte più potente della Natura, questo è il motto di Tiziano: è interessante notare che le
relazioni familiari sono sconsigliate ai pittori del ‘500, perché li trascinano in un mondo di
emozioni e irrazionalità che infiacchiscono le loro forze creative. Fare quadri sembra essere
una attività di segno superiore rispetto ad avere figli, e Marco Pino afferma senza mezzi
termini che quando uno si sposa dovrebbe rinunciare a fare il pittore.
L’esempio classico in tal senso è la storiella vasariana sulla morte di Raffaello: troppo
indulgente con la sua natura sensuale, il pittore di Urbino—dopo ripetuti eccessi amorosi—
fu colpito da febbre e morì. Lo stesso destino è stato riservato anche a Giorgione: grande
amatore, fu contagiato dalla peste e morì trentenne. Correggio, pur senza eccessi e
regolarmente sposato, sentì però il peso della famiglia e morì giovane anche lui. E’ casuale
che questi pittori sensuali e amanti delle donne sono anche quelli che eccellono nell’uso del
colore?

25
VOLGARITA’ DEL COLORE.

Se quindi il colore avvicina l’arte alla natura, è però sempre il disegno che lo avvicina
all’idea divina della forma, innalzandolo, mentre quando la materia prende il sopravvento
sulla forma l’arte si abbassa a compiacere solo gli ignoranti.
La volgarità del colore è un altro luogo comune degli attacchi alle donne, e nel Cinquecento
si ritiene disdicevole per un occhio onesto il trucco eccessivo (ma anche ai nostri tempi fa
una grande differenza se si adotta un trucco pesante o un trucco leggero, proprio come nel
Libro della donna bella, di Federigo Luigini, 1544).
Sia che sia posto su di una tela che su una faccia femminile, il colore sollecita comunque
una risposta sensuale, e per mantenere entro la norma l’uso del trucco è caldamente
consigliato di controllare con lo specchio i risultati molto attentamente, affinché, come dice
Castiglione nel Libro del Cortegiano, gli effetti non appaiano troppo ingannevoli, così come
al pittore è suggerito l’uso dello specchio nel controllare l’esattezza delle proprie figure e
delle proprie invenzioni.
Nel concludere la serie di analogie fra la pittura e la donna bella, è utile citare la frase di
Castiglione che, nel rispondere ad un suo interlocutore che afferma di essere in Paradiso
quando vede la sua amata, ancora più contento dovrà essere quel pittore che saprà
riprodurne il bellissimo volto.
Meglio che vedere l’amata, è saperla ritrarre: l’amore per un bel dipinto è forse superiore a
quello verso una persona vera? Castiglione, in particolare nella descrizione del suo ritratto--
amato, in sua assenza dalla moglie e dai figli che si rivolgono alla tela come ad una vera
persona--, anticipa così alcuni aspetti del decadentismo di Oscar Wilde.

26
CONCLUSIONI/ NON CONCLUSIONI

Alla fine di questo breve excursus sui generi e ai relativi significati collegati al
maschile e al femminile nella cultura, è il caso di sollevare una questione legata al genere
proprio in relazione al ritratto. Questo campo di indagine, quasi inesplorato, può offrire
moltissimo partendo dalla consapevolezza che, se la sessualità, oltre alla fisiologia, è anche
una costruzione sociale e culturale, allora dobbiamo aspettarci di trovare sempre, nella
ritrattistica, lo schema di quello che il contesto storico, socioeconomico e culturale ritiene
appropriato per il maschio e per la femmina quale premessa irrinunciabile all’approccio
dell’immagine. Di fronte al pittore o alla macchina fotografica, cioè, quella “piccola morte”
sperimentata da Roland Barthes come il disagio della posa, può forse tradursi come
difficoltà non solo nello scoprirsi da soggetto a oggetto, ma anche come difficoltà di
assunzione di un ruolo che non sappiamo se possediamo veramente: quell’Uomo, quella
Donna, così come la società li vede o si aspetta che siano, sono veramente ciò che noi
siamo?

27

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