metròn come fondamento veritativo dell'ontologia greca
Il metròn come fondamento veritativo
dell'ontologia greca
di GIUSEPPE ROTONDO
"L'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di
quelle che non sono in quanto non sono" (Protagora, Teeteto platonico)
Nella Prefazione alla sua monumentale opera Il Mondo come Volontà e
Rappresentazione, Arthur Schopenhauer, riferendosi all'origine del
filosofare, distingueva il rango dei filosofi in due archetipi contrapposti:
coloro che sono mossi dalla semplice e disinteressata curiosità
intellettuale provata dinnanzi ad un libro o a un sistema bello e fatto;
coloro che invece, sono mossi dallo stupore filosofico, dalla meraviglia
aristotelica provata di fronte all'esistenza del dolore e del male nel mondo.
Un'esistenza strutturale e non contingente e perciò degna di essere
oggetto di speculazione metafisica. Quest'ultima non era dunque
sistemazione teorica di concetti, ma riflessione ad un tempo morale e
teoretica, avente lo scopo di emendare l'esistenza umana dal dolore, e di
farlo in modo definitivo. Se il merito di Schopenhauer fu quello di radicare
il cominciamento filosofico nella dimensione praticoesistenziale
dell'essere umano, rifiutando il solipsismo gnoseologico di stampo
kantiano all'epoca prevalente, oggi questo degno proposito assume una
portata più ampia.
sociale delle categorie filosofiche, che privi queste ultime del loro
altrimenti inspiegabile astrattismo e lo contestualizzi secondo una
prospettiva di genesi ontologicosociale:" Una storia ontologicosociale del
concetto di "verità" inizia dalla constatazione per cui, per i nostri antichi e
lontani progenitori detti spesso impropriamente "primitivi", la verità
coincideva interamente con la sopravvivenza del gruppo e con l'insieme
di comportamenti individuali e collettivi che assicuravano e garantivano
questa sopravvivenza, mentre il falso coincideva con l'insieme di
comportamenti individuali e collettivi che avrebbero messo in pericolo
questa sopravvivenza stessa. Ciò che riproduce il gruppo è vero, ciò che
ne minaccia la riproduzione è falso."[1] Contrapporre una prospettiva
ontologicosociale ad una gnoseologicoconoscitiva significa dunque
riscrivere per intero la storia della filosofia, individuandone un
cominciamento sideralmente opposto a quello canonico: "Se si segue
inerzialmente il modello che continua tenacemente ad essere proposto da
una "storiografia pigra", l'origine della filosofia si spiegherebbe alla luce
del sorgere "miracoloso" dell'investigazione disincantata sulla physis,
sciolta dalle tradizionali spiegazioni mitologiche, in vista del reperimento
della sua archè." [2]
Stando a questa lettura la filosofia comincerebbe con Talete e gli altri
presocratici, come una sorta di disinteressata indagine razionale,
contrapposta a quella mitologica, sulle cause prime dei fenomeni naturali.
Una indagine rozza e prescientifica che avrebbe dato luogo a risposte
tutte ugualmente opinabili, perché prive di metodologia sperimentale. Fino
a quando con la rivoluzione scientifica galileiananewtoniana, messa a
punto da Kant sul piano filosofico, non si sarebbe finalmente posta fine
alla sterile storia delle opinioni durata per circa due millenni.
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21/4/2017 Il metròn come fondamento veritativo dell'ontologia greca
segna una netta cesura tra grecità ed hegelismo. Perché queste due
avventure filosofiche sono separate dall'esperienza del cristianesimo e
dalla conseguente novità del concetto di infinito sotteso al creazionismo
cristiano. I greci operavano infatti in assenza di una religione rivelata e ciò
comportava due importanti conseguenze: essi erano infatti da un lato
totalmente ignari del concetto di infinito. Il mondo era eternamente dato.
Nulla vi era a fondamento dell'essere umano. Non c'era cioè l'idea di un
Dio antropomorfico creatore del mondo e artefice della salvezza
ultraterrena dei suoi fedeli. D'altra parte, non avendo un testo sacro a loro
guida, erano costretti ad individuare nella natura, il fondamento
dell'esistenza umana, l'unità di microcosmo naturale e macrocosmo
sociale.
La natura, nelle sue diverse interpretazioni, quella del caos plasmato e
organizzato demiurgicamente di stampo pitagorico e quella del
meccanismo autoorganizzato e atomistico di stampo epicureo
democriteo, era vista come modello su cui regolare la vita, nella sua
dimensione eticoindividuale e socialecollettiva. Non è un caso che i
cosiddetti "sette sapienti" a cui si attribuisce l'origine della filosofia,
fossero anche dei legislatori sociali, che per rendersi credibili ai loro
concittadini erano costretti ad utilizzare un linguaggio naturalistico, perché
la natura era l'unico specchio in cui l'uomo greco poteva pensare sè
stesso, non esistendo appunto alcuna religione rivelata, nè il concetto di
storia come trascendentale universale ed unitario di passato, presente e
futuro. Si tratta infatti di sviluppi successivi, tutti riconducibili alla
tradizione messianicoescatologica ebraica e cristiana, dalla cui
secolarizzazione scaturiranno le filosofie della storia di stampo
illuministico, idealistico e marxista.
Lo stesso essere parmenideo, lungi dal consistere in un concetto astratto
o esclusivamente cosmologico, se dedotto socialmente rappresenterebbe
l'arcaica comunità a dominio aristocratico, fondata sul predominio
dell'acropoli i centri religiosi di culto, in cui era veicolato il sapere arcaico
mitologico, utilizzato ideologicamente dalla stessa aristocrazia al potere.
Si trattava di un modello collettivistico di società che veniva all'epoca
messo in discussione dal predominio che l'agorà la piazza centro del
commercio e degli scambi economici e gli emergenti ceti imprenditoriali
stavano via via assumendo. In tutti questi esempi, che potrebbero a lungo
prolungarsi, emerge l'importanza del metròn e della finitezza, del rispetto
delle gerarchie sociali e di potere, messe a rischio dall'incombere
dell'illimitatezza del denaro e dell'arricchimento privato, che rischiava di
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21/4/2017 Il metròn come fondamento veritativo dell'ontologia greca
condurre alla dissoluzione delle comunità politiche preesistenti: "Le realtà
di qualunque genere esse siano, sono sempre sospese tra i due poli dell'
illimitatamente piccolo e dell' illimitatamente grande, e qualora una delle
due tensioni verso l'illimitatezza non venisse equilibrata, ciò
determinerebbe la corruzione della realtà stessa o, nel caso della vita
etica, il capovolgimento della virtù in vizio".
La filosofia aristotelica, pur maturando al culmine della grecità, con
l'affermata egemonia macedone ed il crollo ormai definitivo del contesto
classico delle poleis o cittàstato autonome, è basata sull'idea del giusto
mezzo, come virtù etica fondamentale in grado di indirizzare al bene i
comportamenti umani individuali, mediando tra i due eccessi antitetico
polari, del troppo o del troppo poco: "Nella trattazione aristotelica del
metròn e nella sua esorcizzazione del "cattivo infinito" dell'arricchimento,
l'orizzonte greco della metafisica del metròn trova la sua espressione più
compiuta e coerente, non solo perché emerge in maniera cristallina la
genesi sociale di quella specifica funzione simbolicoespressiva in
relazione con le dinamiche interne alla vita comunitaria, ma anche perché
viene profeticamente esorcizzato l'opposto orizzonte della dismisura e
dell'illimitatezza, quale sarà quello che prenderà forma con la dialettica
del capitalismo. Il punto della massima autocoscienza da parte della
Grecità coincide così, con il suo tramonto: levandosi in volo sul far della
sera, Aristotele pensa con insuperata profondità le logiche comunitarie
della polis, quando ormai è in fase di declino".[3]
[2]Diego Fusaro, Minima Mercatalia, ed. Bompiani
[3]Diego Fusaro, Minima Mercatalia, ed. Bompiani
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