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Per Si.

Introduzione

I saggi qui raccolti, scritti in occasioni diverse tra il


1987 e il 1998, hanno in comune una tematica -i rapporti
tra corpo, genere, sessualità e soggetto - e una problemati-
ca: in che termini parlarne oggi, dopo quasi trent'anni di
ricerche, dibattiti, proposte, interventi, revisioni e neologi-
smi tramite i quali si è venuto costituendo un nuovo cam-
po del sapere, quello che oggi, in Europa, è detto studi sul
genere o gender. Anche in questi saggi dunque si tratta, si
parva licet, "di mettere in luce i principi e le conseguenze
di una trasformazione autoctona che si sta realizzando nel
campo del sapere storico", 1 sia pure in un periodo di tem-
po molto più limitato. Traendo esempio da Foucault,
anch'io tento "di definire lo spazio bianco da cui parlo e
che lentamente prende forma in un discorso che sento
ancora tanto precario, incerto". 2
Accomuna questi saggi, quindi, anche un bisogno di
chiarire, di raccontare, di fare memoria. Due di essi - il
primo e il terzo - lo assecondano, ripercorrendo testi e
contesti con una carrellata, uno sguardo d'insieme retro-
spettivo. Il secondo e il quarto mettono in primo piano
una questione particolare o un caso specifico. I primi
due riguardano direttamente il femminismo, gli ultimi
due il genere, ovvero quel nodo semantico e concettuale
che sotto il nome, spesso eufemistico, di genere permette

1 M. Foucault I 980, p. 22.


2 lvi, p. 24.

7
di parlare del sesso, della sessualità e del corpo in ambito
accademico, letterario e filosofico. Eufemismo peraltro
risibile a fronte del carnevale massmediatico e dei talk•
show televisivi.
La disposizione dei quattro capitoli rispecchia l'ordine
cronologico di scrittura dei saggi. Soggetti eccentrici, scrit•
to nel 1987, fu pubblicato nella versione americana nel
1990. Ho deciso di fame una versione italiana, dopo tanti
anni, perché me ne hanno fatto richiesta più persone che
lo hanno letto in inglese o in traduzioni parziali oppure ne
hanno avuto riassunti alcuni brani da altre. Il saggio riat•
traversa i testi portanti del femminismo angloamericano
per identificare i momenti di rottura, di impasse e di svol-
ta nella coscienza politica delle donne, momenti che han-
no segnato il passaggio da una critica femminista, impe•
gnata e attiva in tutti i campi del sapere, al costituirsi di
una teoria femminista con un proprio campo discorsivo
ed epistemologico. Chi parla in esso, ossia il soggetto del-
1'enunciazione nel discorso teorico femminista, è un sog•
getto eccentrico. O cosl mi è piaciuto immaginarlo.
Eccentrico rispetto al campo sociale, ai dispositivi isti-
tuzionali, al simbolico, allo stesso linguaggio, è un sogget•
to che contemporaneamente risponde e resiste ai discorsi
che lo interpellano, e al medesimo tempo soggiace e sfug-
ge alle proprie determinazioni sociali. Un soggetto capace
di disaffiliarsi dalle sue stesse appartenenze e conoscenze
acquisite, dunque disidentificato dalle formazioni cultura-
li dominanti ma anche critico e autodislocato rispetto a
quelle minoritarie con pretese egemoniche, tra le quali
includerei un certo femminismo omologato o accomodan•
te, razzista o perbenista. Un soggetto che sa di costituirsi
nel corso di una storia sempre in fìeri, in un processo di
interpretazione e di riscrittura di sé a partire da un'altra
cognizione del sociale, della cultura, della soggettività. È
questa posizione mobile, multipla, precaria, inevitabil-
mente compromessa ma assolutamente nuova nel pensie•
ro occidentale, cui do il nome di soggetto eccentrico, che

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vedo articolarsi nei testi presi in esame nel primo capitolo,
inscritta in figure concettuali diverse.
Il secondo capitolo è un intervento nel dibattito femmi-
nista in Italia. Anche questo saggio, scritto nel 1996, in
modo analogo al primo attraversa testi a mio parere esem-
plari, che rappresentano posizioni emergenti e svolte
impreviste nel femminismo italiano degli anni novanta.
Jrriducibilità del desiderio e cognizione del limite riprende
alcuni temi di Soggetti eccentrici ripensandoli nel confron-
to con le recenti derive della teoria femminista in Italia. Il
confronto verte sui nessi tra genere e differenza sessuale,
identità e politica, sessualità e desiderio. Due questioni, in
particolare, vengono messe a fuoco: quella dell'eteroses-
sualità come istituzione sociale, e del modo in cui debba
essere distinta sul piano teorico dal desiderio e dal com-
portamento sessuale dei singoli individui; e quella de11a
soggettività, ovvero se il desiderio, portatore di negatività
e di non coerenza, non costituisca il limite, piuttosto che il
trionfo, de11a soggettività e della politica delle donne.
Il terzo capitolo traccia per sommi capi l'emergere nelle
università nordamericane, dagli anni settanta in poi, di
pratiche di ricerca e di insegnamento che, sotto la spinta di
istanze politiche ed epistemologiche, hanno dato vita non
solo a nuovi oggetti ma anche a nuovi soggetti del sapere. Il
saggio s'intitola La nemesi di Freud perché la costel1azione
di studi interdisciplinari cosi costituitasi, con vicende alter-
ne nell'arco degli ultimi trent'anni, è contrassegnata da una
forte e continua ambivalenza nei confronti di Freud. La
psicoanalisi ha svolto un ruolo fondamentale, vuoi di pro-
tagonista vuoi di antagonista, nei primi womens studies e
in particolar modo nella critica femminista de1la rappre-
sentazione visiva e nella teoria del cinema. Per quanto
osteggiata poi, negli anni ottanta, da quei settori dei gender
studies nordamericani vicini alle metodologie quantitative
delle scienze sociali, e ancora negli anni novanta, dall'entu-
siasmo tecnicistico per le biotecnologie, le teorie di Freud
non hanno mai cessato di attrarre, intrigandolo e/o irritan-
dolo, il pensiero critico. Anzi, in quest'ultimo decennio

9
hanno avuto una specie di rinascita in due campi di ricerca
che se ne erano tenuti a distanza, l'uno polemicamente,
quel1o dei lesbian and gay studies, e l'altro per la presunta
incompatibilità del1a psicoanalisi con il proprio progetto
critico, l'analisi del (post)colonialismo. Ma è proprio in
quest'ultimo campo, i postcolonial studies o diaspora stu-
dies, che la rilettura dell'opera di Frantz Fanon negli anni
novanta ha portato la teoria dell'inconscio e della produ-
zione fantasmatica all'attenzione di una nuova generazione
di lettori e di lettrici.
Il quarto capitolo tratta degli attuali sviluppi nel
discorso sul genere, tra cui il termine di nuovo conio trans-
gender e il rapporto tra genere, sesso e corpo. Quest'ulti-
mo, in particolare, viene analizzato in un caso di transes-
sualità mettendo a confronto due diverse prospettive teori-
che e analitiche, quella fenomenologica e quella semiotica.
In Sintomatologia dei generi riprendo l'ipotesi avanzata in
Pratica d'amore (l 997) che la teoria semiotica degli inter-
pretanti di C.S. Peirce serva da ponte concettuale tra la
visione metapsicologica del mondo interiore dataci da
Freud e l'analisi foucaultiana delle pratiche discorsive e
dei meccanismi istituzionali che insediano la sessualità
nel soggetto sociale. Qui, sovrapponendo i concetti peir-
ciani di interpretante e di abitudine a un'analisi fenome-
nologica del rapporto tra corpo e genere, ho voluto fare un
esempio concreto di come si insedia il genere nel corpo,
producendo per il soggetto un corpo ingenerato. L'analisi
mostra che il corpo non è, come generalmente si suppone,
l'origine o ]a causa deU'appartenenza di genere, ma ne è
invece un sintomo. Tra corpo e genere, in altre parole, non
c'è un rapporto semplice o lineare di causa a effetto o di
origine a telos, bensl una rete di passaggi, traduzioni, illa-
zioni e influenze reciproche. Cautoattrihuzione di genere,
quindi, è un accumulo di abitudini, inclinazioni, rimozio-
ni e fantasmi che non si attaccano a un corpo originario,
già dotato per natura di una sessualità e di un genere ses-
suale, ma producono al medesimo tempo sia un corpo per
il soggetto sia un soggetto per quel corpo.
1. Soggetti eccentrici*

Nel pensiero femminista il termine "coscienza" è in bili-


co sul confine che congiunge e allo stesso tempo distingue
tennini opposti in diversi campi teorici: soggetto e oggetto,
sé e altro/altra, privato e pubblico, oppressione e resistenza,
dominazione e capacità di agire, e così via. Nei primi anni
settanta, al suo primo tentativo di autodefinirsi, il femmini-
smo pose la domanda: "Chi o che cosa è una donna? Chi o
che cosa sono io?". E nel porre questa domanda il femmini-
smo - un movimento sociale delle donne per le donne - sco-
pri l'inesistenza della donna; owero, il paradosso di un esse-
re che è allo stesso tempo assente e prigioniero nel discorso,
di cui continuamente si discute pur rimanendo esso, di per
sé, non esprimibile; un essere spettacolarmente esibito
eppure non rappresentato o addirittura irrappresentabile,
invisibile e tuttavia costituito come oggetto e garanzia della
visione: un essere la cui esistenza e specificità vengono a un
tempo affermate e negate, messe in dubbio e controllate. 1

• Questo saggio è la versione italiana, da me tradotta e in parte


riscritta, di un mio saggio dal titolo Eccentric Subiects, scritto in inglese
nel 1987 e pubblicato sulla rivista statunitense "Feminist Studies", 16,
1990, pp. 115-150. Sono grata a Liana Borghi per averlo diffuso in Italia
nella versione americana e a Ilaria Sborgi per una prima bozza di tradu-
zione circolata in manoscritto.
1 Per la distinzione tra "donna" (o Donna) e "donne" - distinzione
cruciale ai fini di comprendere lo statuto delle donne nei discorsi domi-
nanti della cultura occidentale - si veda il mio libro Alice Doesn ~: Feminism,
Semiotics, Cinema [T. de Lauretis 1994], pp. 5-6), due capitoli del quale
sono ora tradotti in Sui generis. Scritti di teoria femminista (T. de Lauretis

Il
In un secondo momento di autori.flessione, nel porsi
questa stessa domanda, il femminismo si è reso conto di
come una teoria femminista debba partire da questo para-
dosso e affrontarlo direttamente. Poiché se la costituzione
del soggetto sociale dipende dal nesso linguaggio/soggetti-
vità/coscienza - se, in altre parole, ciò che è personale è
politico, dato che il politico diventa personale attraverso i
suoi effetti soggettivi nell'esperienza del soggetto - allora
l'ambito del sapere femminista, l'oggetto teorico, il meto-
do critico e le modalità di conoscenza che vogliamo riven-
dicare come femministi, sono essi stessi intrappolati nel
paradosso "donna". Sono, cioè, esclusi dal discorso teorico
ufficiale e tuttavia imprigionati al suo interno, oppure
relegati in una stanza tutta per loro ma non riconosciuti
nella propria specificità.
In ciò precisamente consistono la peculiarità del discor-
so teorico e il portato epistemologico del femminismo: il
suo stare contemporaneamente dentro e fuori, ovvero ecce-
dere, le proprie determinazioni sociali e discorsive. La con-
sapevolezza di questa sua particolare natura segna un terzo
momento per la teoria femminista. Nelle pagine che seguo-
no individuerò quattro punti che a mio avviso costituisco-
no lo stadio attuale di ripensamento ed elaborazione di
nuovi termini:
1) la riarticolazione del soggetto, ora concepito come
mobile o molteplice, ossia organizzato attraverso coordi-
nate variabili di differenza;
2) il riesame delle relazioni tra forme di oppressione e
modalità di conoscenza formale, cioè del fare teoria;
3) l'emergere di una concezione della marginalità come
posizione politica e dell'identità come disidentificazione;
4) l'ipotesi di un autodislocamento, al tempo stesso
sociale e soggettivo, esterno e interno, politico e personale,

1996a). In uno di questi, Semiotica ed esperie11za, vengono introdotti e


discussi i concetti di esperienza, soggettività e (auto}coscienza che sono
di particolare rilevanza tanto per questo saggio quanto per la teoria fem-
minista.

12
che caratterizza il movimento e la teoria di un soggetto
eccentrico.
Tali elaborazioni dovrebbero dissipare la visione di un
femminismo al singolare, unificato o nelle sue strategie
retoriche e politiche o nei suoi termini di analisi concet-
tuale. Eppure questa visione è ancora prevalente in ambi-
to accademico nonostante l'enfasi attualmente posta sulle
differenze, enfasi che produce un numero indefinito di
femminismi ibridi o variamente aggettivati (femminismo
bianco, nero, terzomondista, ebreo, socialista, marxista,
liberale, culturale, poststrutturalista, psicoanalitico, e cosi
via). Qui, tuttavia, userò il termine "teoria femminista",
cosi come i termini "coscienza" o "soggetto", al singolare
per indicare non una prospettiva singola e unificata bensl
un processo di conoscenza che si modifica a seconda della
specificità storica ed è segnato dalla presenza simultanea,
e spesso contraddittoria, di quelle differenze in ciascuna
delle sue istanze e delle sue pratiche. Un processo di cono-
scenza che, di volta in volta, cerca di dar conto del proprio
posizionamento ideologico.

Il paradosso "donna"
"L'umanità è maschile," scriveva Simone de Beauvoir
in li secondo sesso (1949), "e l'uomo definisce la donna
non in quanto tale ma in relazione a se stesso; non è consi-
derata un essere autonomo. [... ] Egli è il Soggetto, l'Asso-
luto: lei è l'Altro." 2 E per sottolineare ulteriormente questo
punto, Beauvoir citava Emmanuel Lévinas: "Calterità si
compie nel femminile, un termine di pari livello ma di sen-
so opposto alla coscienza. [... ] Non potrebbe darsi allora
una situazione in cui l'alterità segnasse inconfondibilmen-
te la natura di un essere, come se fosse la sua essenza, un'i-
stanza di alterità che non consistesse puramente e sempli-

2 S. de Beauvoir 1984, p. 16. I successivi riferimenti a quest'opera

saranno inclusi nel testo.

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cemente nell'opposizione di due specie dello stesso gene-
re? Penso che il femminile rappresenti iJ contrario nel suo
senso assoluto" (p. 28 nota). Viene da chiedersi: come è
possibile che la donna, da un lato definita in relazione
all'uomo, sebbene come essere inferiore o come "uomo
imperfetto", sia allo stesso tempo considerata la rappre•
sentazione deH'alterità in senso assoluto?
Per Beauvoir "la categoria dell'Altro ha origini remote
quanto la coscienza stessa", o, in altre parole, "l'Alterità è
una categoria fondamentale del pensiero umano". È nel
pensiero di Hegel che Beau~oir trova il senso di una "osti·
lità" della coscienza nei confronti dell'altro/altra: "Il sog•
getto si pone solo opponendosi - vuole affermarsi come
essenziale e costituire l'Altro in inessenziale, in oggetto"
(p. 17). Quindi, continua Beauvoir, nel tentativo di negare
qualsiasi reciprocità fra soggetto e oggetto, il soggetto
{maschile) della coscienza pone la donna come oggetto in
una dimensione di alterità radicale; ma poiché continua
ad avere bisogno di lei come "sesso", owero come fonte di
desideri sessuali oltre che di prole, il soggetto maschi•
le rimane legato o vicino alla donna, e cosl pure lei a lui,
per un bisogno reciproco non dissimile a quello tra padro-
ne e servo. Da qui la definizione paradossale della don•
na come essere umano fondamentalmente essenziale per
l'uomo e allo stesso tempo oggetto inessenziale e radical•
mente altro. 3
Allora Beauvoir si chiede: perché la donna accetta lo
status di oggetto? Da dove viene la sottomissione o la com•
plicità che la rende "incapace di rivendicare lo status di
soggetto" e che le fa abbandonare ogni aspirazione a una

1 Ugualmente paradossale è la definizione della donna data da Lévi-

Strauss in Le stnmure elemelltari della parentela, in origine, pubblicato


anch'esso nel 1949, come Il secondo sesso: le donne sono sia soggetti
umani sia oggetti di scambio tra gli uomini, sono sia parlanti che segni
del linguaggio (la parentela) con cui gli uomini comunicano gli uni con
gli altri attraverso le generazioni, creando la cultura. Beauvoir infatti rin-
grazia Lévi-Strauss per averle permesso di leggere quest'opera in bozze e
dice di averla usata "liberalmente" nella seconda parte di Jf secondo sesso.

14
coscienza propria? Anche se il bisogno reciproco è "ugual-
mente urgente" sia per l'uomo sia per la donna, come
afferma Beauvoir del bisogno del padrone e del servo, tale
bisogno torna sempre "a favore dell'oppressore contro
l'oppresso" (p. 19). A questa domanda Beauvoir risponde
che il vincolo che unisce la donna al suo oppressore non è
paragonabile ad alcun altro legame (come per esempio
quello tra proletariato e borghesia, o quello tra lo schiavo
negro in America e il suo padrone bianco) in quanto non
può mai essere spezzato, perché "la divisione dei sessi è
un dato biologico, non un momento nella storia umana
[ ... ] nessuna frattura della società in sessi è possibile"
(pp. 18-19). In questo consiste, per Beauvoir, "il dramma
della donna, [il] conflitto tra la rivendicazione fonda-
mentale di ogni soggetto che si pone sempre come essen-
ziale e le esigenze di una situazione che fa di lei un'ines-
senziale" (p. 27).
Per chi legge oggi questo testo sorgono varie domande:
chi conferisce a Beauvoir il ruolo di soggetto nel suo
discorso sulla donna? Che tipo di coscienza può rivendica-
re Beauvoir nella prospettiva di un umanesimo esistenzia-
lista se non la stessa coscienza che oppone il soggetto
all'oggetto, a meno che la donna non possa essere recupe-
rata dalla parte del soggetto e riconosciuta a pieno titolo
come "membro della razza umana", mentre l'alterità radi-
cale è dislocata altrove? È sufficiente che lei e poche altre
donne, "che hanno avuto la fortuna di vedersi restituite le
prerogative dell'essere umano", possano permettersi "il
lusso dell'imparzialità" (p. 26) e siano quindi "capaci di
spiegare la situazione della donna" con un atteggiamento
"obiettivo" e "distaccato"? In una prospettiva femminista
contemporanea distacco e imparzialità non hanno più
senso, eppure queste domande sono ancora valide. Da un
lato, la risposta data dalla storia non è a favore di Beau-
voir: la storia del femminismo, con i suoi compromessi, la
sua arroganza razziale, le sue zone d'ombra sia concettua-
li sia ideologiche, ha reso le risposte a tali domande dolo-
rosamente esplicite. Dall'altro lato, però, una teoria fem-

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minista cosciente di sé e della storia non può ignorare il
paradosso né prescindere dalla contraddizione che queste
domande rivelano in quello che è diventato uno dei testi
classici del femminismo.
Per le donne il paradosso della donna non è una con-
traddizione apparente o illusoria ma una contraddizione
vera e propria. Come sostiene Catharine MacKinnon, in
quella che sembrerebbe una risposta diretta a Beauvoir, il
femminismo è una critica deUa dominazione e del punto
di vista maschile che "si è imposto sul mondo e che conti-
nua a imporsi sul mondo come sua modalità di sapere". 11
genere stesso, prosegue MacKinnon, non è tanto una que-
stione di differenza (sessuale) quanto un esempio di tale
dominazione; e fare appello al1a biologia come "dato di
fatto" che determina la specificità sessuale della donna è
conseguenza ideologica di una modalità del sapere
maschile, la cui posizione epistemologica di obiettività
riflette non solo l'abitudine del soggetto occidentale di
controllare attraverso l'oggettivazione ()"'ostilità" de11a
coscienza di Beauvoir), ma anche di erotizzare l'atto stes-
so del controllo. In questo senso, "erotizzare la dominazio-
ne e la sottomissione crea il genere. [ ...] Sotto il dominio
delJa supremazia maschile, l'erotico è ciò che definisce il
sesso come diseguaglianza, quindi come differenza signifi-
cativa. I.:'oggettivazione sessualizzata è ciò che definisce le
donne in quanto, e soltanto, sessuali". 4 In un altro saggio
MacKinnon cita la descrizione dell'oggettivazione sessuale
data da John Berger in Ways of Seeing, e non a caso esten-
de l'analisi al campo della visione.
Una donna deve costantemente guardarsi. È quasi costante-
mente accompagnata dalla propria immagine di sé. [... ] fino a
considerare la parte di sé che osserva e quella che si sente
osservata come i due elementi costitutivi, sebbene sempre
distinti, della propria identità di donna. [... ] Gli uomini guar-
dano le donne. Le donne si guardano essere guardate. Ciò

4
C. MacKinnon 1987, p. 50. La traduzione di questi passi e di tutti
quelli successivi citati da opere in inglese è mia.

16
determina non solo la maggior parte dei rapporti tra uomini
e donne ma anche il rapporto tra le donne e se stesse. La par-
te della donna che si osserva è maschile: la parte che si sente
osservata è femminile. Cosi la donna si trasforma in oggetto -
e più precisamente in un oggetto di visione: una veduta. 5

È l'oggettivazione, dunque, che costituisce la donna


come essere sessuale, instaurando la sessualità al centro
della realtà materiale della vita delle donne, diversamente
da quanto afferma il determinismo biologico, per il quale è
la differenza sessuale che definisce la donna e causa la sua
oggettivazione. Ma anche diversamente da quanto sostie-
ne un certo culturalismo femminista, per il quale è la rap-
presentazione culturale di quella differenza sessuale, o
specificità sessuale, della donna a causarne l'oggettivazio-
ne in una cultura dominata dal maschile.
È invece il fatto di erotizzare la dominazione e la sotto-
missione, dice MacKinnon, che contemporaneamente costi-
tuisce quella specificità sessuale come "differenza" e come
qualcosa di erotico. In altre parole, l'oggettivazione, l'atto
del controllo, definisce la differenza della donna (la donna
come oggetto, come altro); allo stesso tempo, l'erotizzazione
dell'atto del controllo definisce quella differenza come diffe-
renza sessuale (erotica), e quindi "le donne in quanto, e sol-
tanto, sessuali". È in questa presenza materiale, costitutiva,
della sessualità come oggettivazione e auto-oggettivazione
("la donna si trasforma in oggetto - e più precisamente in
un oggetto di visione") che MacKinnon individua la specifi-
cità della soggettività e della coscienza femminile. lo
aggiungerei, però, che proprio questo continuo trasformar-
si della donna da soggetto in oggetto in soggetto è ciò che
pone le basi, per le donne, di un diverso rapporto con l'ero-
tismo, la coscienza e il sapere.
Le relazioni tra dominazione, sessualità e oggettivazio-
ne nella "modalità del sapere" maschile, e la possibile con-
figurazione di un punto di vista epistemologico e ontologi-

5 J. Berger 1972, citato in C. MacKinnon 1982, p. 26.

17
co femminile sono poste da Nancy Hartsock in termini a
prima vista simili a quelli di MacKinnon, ma di fatto
divergenti. Entrambe le scrittrici partono da Marx, consi-
derando i concetti marxisti di lavoro e sfruttamento, di
oppressione di classe, e di prospettiva di dasse (proletaria-
to) come direttamente pertinenti alla teoria femminista.
Per Hartsock, "cosl come la cognizione del mondo dal
punto di vista del proletariato ha permesso a Marx di sca-
vare a fondo nell'ideologia borghese, un punto di vista
femminista (feminist standpoint) ci può aiutare a com-
prendere le istituzioni e le~ ideologie patriarcali come
inversioni perverse di rapporti sociali più umani". 6 Secon-
do MacKinnon "il marxismo e il femminismo sono teorie
del potere e della sua distribuzione ineguale. Descrivono
come delle situazioni sociali di disparità strutturata possa-
no essere internamente razionali eppure ingiuste". Tutta-
via, mentre Hartsock assume la posizione metateorica di
Marx (ovvero che solo la prospettiva della classe oppressa
può rivelare i veri rapporti sociali e quindi portare a cam-
biarli) e cerca di tradurre la nozione di punto di vista del
proletariato in un punto di vista femminista basato sulla
"divisione sessuale del lavoro", MacKinnon pone un paral-
lelismo metateorico tra le due teorie basato sui termini
che inscrivono le relazioni del soggetto con il potere e con
la coscienza: "La sessualità sta al femminismo come il
lavoro sta al marxismo: ciò che è più proprio e tuttavia
maggiormente espropriato".7 Da queste premesse i percor-
si delle due studiose divergono.
L'analisi di Hartsock della divisione sessuale del lavoro,
in cui "le donne sono istituzionalmente responsabili della
produzione sia di beni materiali sia di esseri umani", è
accompagnata da un esame dello sviluppo psicologico
umano mutuato a grandi linee dalla teoria delle relazioni
d'oggetto. Questo la porta a dichiarare che le donne sono
come i lavoratori, anzi meglio o di più: "Le donne e i lavo-

6 N.C.M. Hartsock 1983, p. 284.


7 C. MacKinnon 1982, p. 12.

18
ratori vivono in un mondo in cui il cambiamento ha più
rilievo della stasi, un mondo caratterizzato più dall'intera-
zione con sostanze naturali che non dalla separatezza dal-
la natura, un mondo in cui la qualità è più importante del-
la quantità, un mondo in cui l'unione di mente e corpo è
inerente alle attività svolte". Tuttavia, poiché le donne
(ri)producono anche gli esseri umani, tale attività pennet-
te loro un'esperienza più intensa, specificamente femmini-
le "di continuità e relazione tra corpo e mente, sia con gli
altri sia con il mondo naturale"; e tale esperienza fornireb-
be la "base ontologica per sviluppare una sintesi sociale
non-problematica". Lo scenario di Hartsock fa intravedere
un lieto fine, nonostante il suo percorso passi per un sen-
tiero inesplorato verso un'utopia traballante: "Generaliz-
zare l'attività delle donne all'intero sistema sociale farebbe
sorgere, per la prima volta nella storia umana, la possibi-
lità di una comunità completamente umana, una comu-
nità strutturata dalla connessione piuttosto che dalla sepa-
razione e dall'opposizione". 8 Hartsock termina citando
Marx, emendato dall'inserimento delle donne al posto
degli uomini.
Il percorso di MacKinnon, invece, finisce nel post-
marxismo, ripiegando la critica marxista su se stessa in
uno scenario di lotta continua da parte di quello che si
potrebbe definire un soggetto-in-processo nel qui e ora.
Il femminismo stà al marxismo come il marxismo sta all'eco-
nomia politica classica: ne è la conclusione e la critica defini-
tiva. Rispetto al marxismo, il posto del pensiero e quello delle
cose vengono capovolti sia nel metodo sia nella realtà, in una
presa di potere che penetra il soggetto con l'oggetto, la teoria
con la pratica. In un doppio movimento, il femminismo met-
te il marxismo sottosopra e alla rovescia. 9

Nel punto in cui questi due percorsi divergono sta la


sessualità e il suo rapporto con la coscienza. Sebbene

8 N.C.M. Hartsock 1983, pp. 291,290,303,305.


9
C. MacKinnon I 982, p. 30.

19
Hartsock non usi la parola "sessualità" nel saggio citato,
dice tuttavia che la specificità delle donne in quanto esseri
sociali consiste nel loro lavoro riproduttivo, nella mater-
nità, che rende "l'esperienza femminile" sensuale, relazio-
nale, in contatto con la concretezza dei valori d'uso e le
necessità materiali, in un rapporto di continuità e connes-
sione con gli altri e con il mondo naturale, e quindi si con-
trappone all"'esperienza maschile" che è invece quella di
una "mascolinità astratta". 10 "L'unione profonda tra lavoro
mentale e manuale, tra il moqdo sociale e quello naturale"
che caratterizza il lavoro delle donne e "la costruzione
femminile del sé in relazione agli altri" (e quindi la pro-
spettiva femminista che ne deriva) "viene dal fatto che i
corpi delle donne, a differenza di quelli degli uomini, pos-

10 Una versione riveduta di questo saggio del 1983 è ristampata nel


capitolo 10 del libro di Hartsock, Mone_Y, Sex, Power (1985). Qui la ses-
sualità viene definita in senso lato come "una serie dì pratiche e di signi-
ficati culturali e sociali che strutturano e sono a loro volta strutturati dai
rapporti sociali". I.:autrice elenca gli studi sulla sessualità del sociologo
Jeffrey Weeks, dello psicologo Robert Stoller, delle antropologhe Sherry
Ortner e Harriet Whitehead, e il dibattito tra Adrienne Rich e Ann Fergu-
son sull'eterosessualità obbligatoria (dì cui parlerò più avanti) e si ritiene
cosl esonerata dal definire cosa intenda per sessualità; non le pare neces-
sario entrare nei dettagli della "posizione" sostenuta da questi teorici in
contesti diversi e si limita a fare riferimento ai loro lavori "per indicare
che sottoscrivo le loro argomentazioni in linea di massima" (p. 156). Ma
è evidente che l'unica "posizionen che tali fonti eterogenee hanno in
comune è il loro minimo denominatore, ossia l'idea - ormai un luogo
comune - che la sessualità sia costruzione culturale. Dalle pagine che
seguono si capisce, però, che per Hartsock la sessualità è definita e impo-
sta da un eros maschile e negativo che è condiviso sia dagli uomini sia
dalle donne in una società in cui "la sessualità è strutturata dalla violen-
za, dalla dominazione e dalla morten (p. 178). A questa, dunque, Hart-
sock oppone il potenziale per ''una comunità pienamente umana" intrin-
seco all'esperienza femminile di una sessualità materna (p. 256) e di
fusione erotica con il partner sessuale (p. 257), e alla "capacità di intrat-
tenere relazioni con gli altri che proviene dall'esperienza di essere siate
allevate da una donna" (p. 158). Insomma, la mascolinità sta al matema-
ge come l'astratto al concreto, la violenza al nutrire, la morte alla vita, in
una serie di opposizioni binarie costruite sulla coppia primaria: sessua-
lità maschile/non riproduttiva vs. sessualità femminile/riproduttiva.

20
sono essere essi stessi strumenti di produzione". Ciò che
permette alle donne un punto di vista vero, e il potenziale
per una comunità "completamente umana" in un mondo
di relazioni socio-sessuali "perverse", afferma Hartsock, è
jJ fatto che esse sono culturalmente costruite come madri
in base alla produttività specifica dei loro corpi, alla loro
sessualità biologica. Similmente, sebbene la parola "co-
scienza" non appaia nel saggio, è implicita nella nozione
di punto di vista (feminist standpoint) come visione impe-
gnata, una visione raggiungibile (solo) dagli oppressi ma
che va conquistata con la lotta. Scrive Hartsock: "Uso qui
il termine 'femminista' invece di 'femminile' per indicare
sia che un punto di vista deve essere conquistato, sia che
un punto di vista, per definizione, comporta un potenziale
liberatorio" . 11 Nella visione di questa studiosa, quindi, la
sessualità e l'autocoscienza delle donne stanno in un rap-
porto diretto, non contraddittorio di quasi sinonimia.
Entrambe sono incluse nell'attività del fare la madre
(matemage), ed entrambe sono in tale attività sfruttate.
Cosa trasformi l'esperienza femminile in coscienza fem-
minista, cosa produca tale coscienza, non viene spiegato.
MacKinnon, invece, mette in rilievo proprio la coscien-
za come prodotto e forma della pratica femminista, origi-
ne della prospettiva o del metodo femminista e punto di
divergenza tra femminismo e marxismo. "Cautocoscienza
è la principale tecnica analitica, struttura organizzativa,
modalità di pratica, e teoria del cambiamento sociale del
movimento delle donne." Attraverso la presa di coscienza,
ovvero mediante "la ricostruzione critica collettiva del
significato dell'esperienza sociale delle donne, cosl come
le donne la vivono", il femminismo ha dato alle donne la
possibilità di vedere come la propria identità sociale e ses-
suale sia insieme qualcosa di costruito dall'esterno e qual-
cosa di interiorizzato.
Per poter rendere conto della coscienza delle donne (e a mag-
gior ragione per diffonderla) il femminismo deve comprende-

11 N.C.M. Hartsock 1983, pp. 299,289.

21
re che il potere maschile produce il mondo prima di stravol-
gerlo. [ ...] Prendere coscienza vuol dire guardare in faccia il
potere maschile in questa dualità: totale da un lato, illusorio
dall'altro. Nel creare coscienza, le donne apprendono di aver
imparato che gli uomini sono tutto, che le donne sono la loro
negazione, ma che i sessi hanno uguale valore. li contenuto
del messaggio si rivela allo stesso tempo vero e falso. [ ...] Le
loro catene diventano visibili, la loro inferiorità - la loro dise-
guaglianza - si rivela essere un prodotto della sottomissione e
uno dei modi in cui tale sottomissione viene loro imposta. 12

Se il prendere coscienza è vìsto come metodo femmini-


sta, la differenza di tale metodo da quello del materialismo
dialettico costituisce una divergenza fondamentale tra le
due teorie poiché è "il metodo [che] forma la visione della
realtà sociale" proposta dall'una e dall'altra teoria. A diffe-
renza del materialismo dialettico che "pone e si riferisce a
una realtà al di fuori del pensiero" e che separa la teoria
come scienza "pura" dal pensiero situato, in quanto que-
st'ultimo non è mai immune dall'ideologia, la coscienza
femminista pone e si riferisce a una realtà, l'esistenza
socio-sessuale delle donne, che è "un misto di pensiero e
materialità", e cerca di conoscerla "attraverso un processo
che condivide la sua determinazione: la coscienza delle
donne, non come idee individuali o soggettive, ma come
entità sociale collettiva". In altre parole, il metodo femmi-
nista "sta dentro le proprie determinazioni per svelarle, e
le critica appunto per valutarle nei propri termini, anzi, le
critica proprio per definire i propri termini". Ne consegue
che la teoria femminista non è volta all'esterno, verso (l'a-
nalisi di) una realtà oggettiva, ma si rivolge all'interno,
verso "la ricerca di coscienza"; e in questo modo "diventa
una forma di pratica politica" (p. 13). Infine, scrive
MacKinnon, se "il creare coscienza ha dimostrato che le
relazioni di genere sono un fatto collettivo e non semplice-
mente personale, tanto quanto lo sono le relazioni di clas-
se", questo può allora dimostrare che "anche le relazioni

12 C. MacK.innon 1982, pp. 5, 29, 28.

22
di classe possono essere personali, senza esserlo di meno
per il fatto di essere allo stesso tempo collettive". 13
Quest'ultima osservazione è particolarmente significa-
tiva in vista dei tentativi fatti dalla teoria marxista per sta-
bilire il legame tra ideologia e coscienza nel campo della
soggettività. Lo stesso Althusser, nel proporre la costru-
zione del soggetto da parte degli apparati ideologici di
stato, rilancia la scommessa di una possibile integrazione
di marxismo e psicoanalisi e apre uno spazio speculativo
in cui le relazioni sociali di classe possono essere ripensa-
te in concomitanza con le relazioni di genere e di razza.
Purtroppo questo aprirsi della teoria marxista alla que-
stione del soggetto, definito da Althusser in termini laca-
niani, si è risolto nella riaffermazione di un sapere scien-
tifico (teoria) non toccato dall'ideologia o dalle pratiche,
con la conseguente espulsione della soggettività dal sape-
re, da cui il contenimento del soggetto nell'ideologia e del-
la coscienza nella falsa coscienza. 14 Il suggerimento di
MacKinnon secondo cui la coscienza femminista può
cogliere gli effetti soggettivi o individuali delle relazioni di
classe o di razza, cosl come coglie gli effetti individuali e
tuttavia collettivi delle relazioni di genere, mi sembra più
promettente e consono alla posizione del soggetto femmi-
nista in relazione all'ideologia del genere, di cui ho scritto
in un altro saggio. 15
Mentre MacKinnon prende le distanze dalla psicoana-
lisi, Hartsock trae la tesi che "le donne si definiscono ed
esperiscono se stesse in modo relazionale mentre gli uomi-
ni no" dalla teoria psicoanalitica delle relazioni d'oggetto,
nell'interpretazione datane dalla sociologa Nancy Chodo-
row.16 Però è la nozione di sessualità di MacKinnon che

u Ivi, pp. 13, 29.


14 Per Althusser, si vedano Freud a11d lAca11 e ldeology and the Ideolo-
gica/ State Apparatuses, in A1thusser 1971; per il dibattito postalthusseria-
no sulla teoria del discorso si vedano J. Henriques et al. 1984 e il lavoro
della rivista inglese "Ideology and Consciousness".
15 T. de Lauretis, La tec11ologia del genere, in de Lauretis 1996a.
16 N.C.M. Hartsock 1983, p. 295.

23
affronta, o almeno mette in campo, problemi quali iden-
tità e identificazione, le relazioni tra soggettività e sotto-
missione, tra oggettificazione e immagine (interiorizzata)
di sé, il conflitto tra rappresentazione e autorappresenta-
zione, le contraddizioni tra coscienza femminista e com-
plicità ideologica (preconscia).
Porre problemi come questi, che sono stati al centro
della critica femminista della rappresentazione nel cine-
ma, nella letteratura, nei mass media e nelle arti, ha dato
alla teoria femminista gran part~ del suo spessore, special-
mente per quanto riguarda la comprensione del ruolo cen-
trale della sessualità sia nei processi di soggettivazione
femminile sia nella formazione di identità sociale delle
donne. Per esempio, ha contribuito a slegare la sessualità
(per non dire il piacere) femminile dal letto di Procuste
della riproduzione in cui era confinata, o in nome della
maternità o in nome del lavoro, dai fini del patriarcato.
Interrogarsi sulla sessualità femminile e sull'identità psi-
co-socio-sessuale delle donne ha voluto dire interrogare,
in primis, la psicoanalisi neofreudiana, che era l'unico
discorso teorico che si prestasse ad articolare i termini di
una sessualità femminile indipendente dalla riproduzione
o dal destino biologico. Il fatto che la teoria psicoanalitica
di per sé rimanga incapace di immaginare - tanto più
descrivere - le modalità e i processi di una sessualità fem-
minile autonoma da quella maschile, è reso esplicito negli
scritti di femministe neofreudiane o lacaniane 17 cosl come
in quelli basati sulla teoria delle relazioni d'oggetto. 18 Ciò
nonostante, se la fragilità concettuale e il conservatorismo
politico delle nozioni di sessualità e soggettività femminili
proposte da questi ultimi fanno crollare la teoria del punto
di vista femminista (feminist standpoint) di Hartsock,
anche l'argomentazione di MacKinnon che il ruolo della
sessualità è determinante nell'esistenza materiale delle

17 Per esempio, L. Irigaray 1974; J. Milchell 1976; J. Rose 1986; J.


Gallop 1982; K. Silverman 1983; M. A. Doane 1987.
18 Per esempio J. Flax 1983; J. Benjamin 1986; N. Chodorow 1991.

24
donne e nella loro definizione di sé, manca dello spessore
teorico che le potrebbe provenire dal progetto psicoanaliti-
co femminista di comprendere in che modo norme sociali
oppressive vengano interiorizzate, permangano e si ripro-
ducano nella soggettività femminile.
Il contributo specifico della psicoanalisi neofreudiana
a tale comprensione risiede, come sottolinea Juliet Mit-
chell, nel concetto di inconscio:
n modo in cui noi percepiamo come "idee" le leggi necessarie
alla società umana non è tanto conscio, quanto piuttosto
inconscio; il compito specifico della psicoanalisi è quello di
decifrare il modo in cui acquisiamo nel nostro inconscio il
patrimonio ereditano delle idee e delle leggi della società
umana; o, per dirla in altro modo, la mente inconscia è il
modo in cui acquisiamo tali leggi. 19

Commentando questo passo nel contesto della storia


conflittuale di femminismo, psicoanalisi e marxismo, Jac-
queline Rose sostiene che, se la psicoanalisi può essere
vista "come l'unico modo per spiegare i meccanismi esatti
per mezzo dei quali i processi ideologici sono trasformati,
attraverso i soggetti individuali, in azioni e convinzioni
umane", è perché la psicoanalisi, come il marxismo, vede
quei meccanismi determinanti, sl, ma tali da lasciare sem-
pre un di più, qualcosa che li eccede.
La ragione politica a favore della psicoanalisi poggia su que-
sta doppia concezione, altrimenti sarebbe indistinguibile da
una descrizione funzionalista dell'interiorizzazione delle nor-
me. [ ... ] La difficoltà sta nello spingere la psicoanalisi in
entrambe le direzioni: verso il riconoscimento che identità e
norme sono socialmente costruite, per poi tornare a quel
punto di tensione tra Io e inconscio in cui esse vengono inces-
santemente rimodellate e incessantemente si infrangono.

Quando le femministe e i marxisti o le marxiste insisto-


no sul fatto che i concetti di dinamica psichica o di conflit-

19 J, Mitchell 1976, p. x.

25
to interno sono nocivi alla politica perché l'attenzione
rivolta alla fantasia nega "una denuncia inequivocabile del
reale", afferma Rose, si attengono a una dicotomia mal
concepita tra eventi esterni (oppressione), visti come reali,
ed eventi interni (le manifestazioni psichiche delle norme
oppressive interiorizzate, come per esempio le fantasie
inconsce o la coazione a ripetere), che invece sono visti
come irreali.
Direi che l'importanza della psicoanalisi consiste precisa-
mente nel modo in cui mette in crisi la dicotomia sulla quale,
chiaramente, si basa l'appello alla realtà dell'evento. Forse
per noi donne è particolarmente importante trovare un lin-
guaggio che ci permetta di riconoscere la nostra partecipa-
zione a strutture intollerabili, ma in modo tale da non ren-
derci né le pure vittime, né tanto meno le sole artefici della
nostra sofferenza.2°

Da parte sua, MacKinnon riconosce la partecipazione


delle donne a queste "strutture intollerabili" e il loro carat-
tere interiore e conflittuale.
Credo che nelle donne, almeno in questa cultura, il desiderio
sessuale sia costruito socialmente come ciò per cui arriviamo
a desiderare il nostro stesso autoannienlamento. Ovvero, la
nostra subordinazione è erotizzata proprio in quanto femmi-
nile. [ ...] Questa è la posta che abbiamo in gioco in questo
sistema che non fa i nostri interessi, in questo sistema che ci
sta uccidendo. Sto dicendo che la femminilità, come la cono-
sciamo, è il modo in cui arriviamo a desiderare la dominazio-
ne maschile, il che non è assolutamente nei nostri interessi. 21

Ma mettendo l'accento sulla realtà dell'evento - la


realtà dell'oppressione come evento-la griglia analitica di
MacKinnon non permette di comprendere la resistenza in
termini psichici (per esempio attraverso processi di identi-
ficazione o processi fantasmatici) e quindi configura la

20 J. Rose 1986, pp. 7, 14.


21 C. MacK.innon 1987, p. 54.

26
capacità di agire so]o nel senso di que11a che Rose chiama
"una politica della sessualità basata su11'asserzione e sul-
]a volontà". D'altra parte, capire l'inconscio come il luogo
di una resistenza e prendere atto della sua specifica capa-
cità di eccedere i meccanismi della determinazione sociale
può portare a11a comprensione di un altro aspetto cruciale
de11a capacità di agire e de] suo potenziale per ]a politica
femminista.
Questo, a mio parere, è un assunto particolarmente
rilevante per la teoria femminista. Ma non può essere
posto in termini di "creare coscienza", ossia de] metodo di
autocoscienza definito da MacK.innon che ignora la teoria
de11'inconscio elaborata da11a psicoanalisi neofreudiana e
si avvale, invece, di una nozione di coscienza mutuata in
parte daJ]a psicologia dell'Io americana e in parte da11a
nozione di coscienza di classe di Gyorgy Lukacs. Rifiutan-
do Freud, MacK.innon limita Ja sua teoria de11a coscienza
femminista a una visione funzionalista de11'interiorizza-
zione, e non permette l'analisi dei meccanismi psichici
attraverso i quali l'oggettivazione non solo viene interioriz-
zata ma può anche divenire fonte di resistenza. D'altra
parte, però, neanche l'argomentazione di Rose a favore di
un Freud ]etto attraverso Lacan riesce ad andare oltre la
descrizione istituzionale di quei meccanismi. "Se la psi-
coanalisi può rendere conto di come le donne esperiscono
il cammino verso la femminilità," afferma Rose, "essa ci
dice anche, in forza del concetto di inconscio, che la fem-
minilità non è mai semplicemente raggiunta né mai com-
pleta."22 E sia pure. Ma affinché quella resistenza de11'in-
conscio sia qualcosa di più di una pura negatività, affinché
sia effettivamente capacità di agire e non semplicemente
femminilità incompleta o mai raggiunta, bisogna poter
pensare al di là della strettoia concettuale imposta dal ter-
mine "femminilità" e dal suo opposto, "mascolinità".
Ed è proprio qui, secondo me, che Ja nozione dell'in-
conscio come eccesso può essere molto produttiva. Non si

22 J. Rose 1986, p. 7.

27
potrebbe pensare questo eccesso, per esempio, come una
resistenza all'identificazione piuttosto che un'identificazio-
ne non raggiunta? O una disidentificazione dalla femmini-
lità che non dà luogo necessariamente al suo opposto, non
diventa una identificazione con ]a mascolinità, ma si tra-
duce in una forma di soggettività femminile che eccede la
definizione fallica? Queste domande non sono state poste
da alcun filone del femminismo psicoanalitico, ma sono
nondimeno compatibili con una teoria deU'inconscio
come eccesso. Qui non posso fai:e altro che indicarle come
un'area di lavoro cruciale per la teoria femminista.
Prive di un'elaborazione in questo senso, le diverse pro-
spettive di Rose e di MacKinnon hanno entrambe uno
stesso limite: l'equazione tra donna e femminilità, e la
pressione esercitata dal secondo termine (femminilità) per
annullare ]a distanza critica tra "donna" e donne. Cos}
com'è, suUa base di questa equazione, la perorazione di
Rose sulla rilevanza della psicoanalisi per la teoria femmi-
nista non fa che riaffermare l'idea di "una soggettività in
contrasto con se stessa",23 che è soltanto il punto di par-
tenza, ]a premessa che troviamo negli scritti di Freud sulla
sessualità femminile, piuttosto che lo sviluppo di una teo-
ria psicoanalitica femminista. Dal canto suo, l'enfasi assio-
matica di MacKinnon sul monopolio (etero)sessua]e del
"potere maschile" ("l'eterosessualità è la struttura dell'op-
pressione delle donne"), 24 priva di qualsiasi possibilità di
resistenza o capacità di agire attraverso fonne di sessua-
lità non normative o autonome da] maschio - pratiche ses-
suali eccessive, sovversive, perverse, invertite o lesbiche -
contribuisce a ricollocare sia ]a coscienza femminista sia
la sessualità femminile nel circolo vizioso del paradosso
"donna". Ritengo invece che in questo momento storico
sia necessario al femminismo un punto di vista eccentrico
rispetto al monopolio maschile eterosessuale del pote-
re/sapere, una posizione discorsiva in eccesso, ossia non

23 Ivi, p. IS.
24 C. MacKinnon 1987, p. 60.

28
riassimilabile dall'istituzione socio-culturale dell'eteroses-
sualità. Ritengo inoltre che una tale posizione esista già, in
effetti, nella coscienza femminista come pratica persona-
le-politica e possa essere riscontrata in certi testi critici
femministi. E ritengo infine che proprio questa posizio-
ne eccentrica abbia fornito l'impulso, il contesto e la dire-
zione del lavoro teorico femminista, incluso quelJo di
MacKinnon, fin dall'inizio.
A prescindere dall'enfasi sulla sessualità, che è un con-
cetto molto più inclusivo e articolato nel pensiero contem-
poraneo di quanto non lo fosse per Beauvoir, che parla
solo di "desiderio sessuale e desiderio di prole", l'analisi
che MacKinnon fa della condizione della donna è ancora
simile in modo sorprendente a quella di Il secondo sesso,
di cui sembrerebbe quasi la rivalutazione storica oltre che
la critica. "Il femminismo non ha cambiato la condizione
delle donne," scrive MacK.innon nell'introduzione al suo
libro Feminism Unmodified, scritto quarant'anni dopo la
molto più ottimistica introduzione di Beauvoir al Secondo
sesso. E se ci chiediamo "perché le analisi femministe sia-
no spesso accusate di replicare l'ideologia maschile [cosa
di cui è stata accusata Beauvoir]; perché si dica che le fem-
ministe sono 'accondiscendenti verso le donne' [e lo si può
certo dire del Secondo sesso], quando ciò che facciamo
non è altro che esprimere e smascherare il modo in cui le
donne sono trattate con accondiscendenza", MacKinnon
risponde: è "perché il potere maschile ha creato nelJa
realtà il mondo cui si riferiscono le intuizioni femministe
quando sono esatte". 25 Ovvero, come afferma Beauvoir,
"l'umanità è maschile".
Tuttavia, dopo quarant'anni e diversi movimenti socia-
li, le cose sono alquanto cambiate, ed è mutata l'analisi dei
rapporti sociali che costituiscono quell'umanità. Qualcosa
di questo cambiamento si intravede nella struttura paral-
lela delle due note in cui Beauvoir e MacKinnon spiegano
le loro rispettive ragioni, prima citando frasi di scrittori

25 Ivi, pp. 2, 59.

29
uomini per ]a ]oro chiarezza, poi criticandone i Jimiti
dovuti aUa prospettiva androcentrica. Beauvoir critica
Lévinas dicendo che ]a sua descrizione del "mistero" della
donna, "che vuole essere oggettiva, è di fatto un'afferma-
zione del privi]egio maschiJe". 26 MacKinnon critica Berger
perché non riconosce che l'(auto)oggettivazione delle don-
ne "esprime una diseguaglianza rispetto al potere sociale",
e a sostegno di questo fa riferimento a uno scritto femmi-
nista di movimento dal tito]o The Nonnative Status of
Heterosexuality [Lo statuto normativo deU'eterosessua-
lità].27 ~
Nei quarant' anni intercorsi si sono venute elaborando
sia la critica deU'oggettività scientifica, con la conseguente
messa in questione del destino bio]ogico cui Beauvoir attri-
buiva la condizione della donna, sia la cognizione che il
sapere e il pensiero stesso, in quanto prodotti storico-cultu-
rali, sono sempre situati. 28 Queste posizioni epistemologi-
che si sono sviluppate nel contesto di un'analisi del potere:
non solo potere nei rapporti economici di (ri)produzione
bensi in tutti i rapporti sociali prodotti, articolati e rego]ati
dai discorsi e dal1e istituzioni del sapere/potere. Tra essi
fondamentali sono il concetto foucaultiano di bio-potere
(bio-pottvoir; rego]amentazione della vita umana, costru-
zione della sessualità come dispositivo di controUo sociale)
e il concetto femminista del1a normativa eterosessua]e. La
fede nell'oggettività come base epistemologica di tutti gli
ambiti del sapere, caratteristica del pensiero occidentale
moderno, è stata scossa da un ripensamento critico del
carattere situato o "tendenzioso" di tutti i discorsi e di tutte
le pratiche, una tendenziosità che non è determinata solo
dalla classe, come nell'analisi marxiana, ma da tutte le
principali divisioni di potere, tutte le coordinate lungo le
quali sono organizzate e distribuite le differenze di potere,

26S. de Beauvoir 1984, p. 44.


27Purple September Staff 1975, citato da C. MacKinnon 1982, p. 26.
28 In ambito fomminista, si vedano E. F. Keller 1984; R. Bleier 1984;
W. Breines-L. Gordon 1983 ; D. Haraway 1984-1985; S. Harding 1986.

30
per esempio razza e genere. Da cui la rivalutazione dei
discorsi minoritari e l'affermarsi di quelli che Foucault
chiama saperi soggiogati nell'ambito della critica al discor-
so coloniale e nella critica femminista alla cultura occiden-
tale e allo stesso femminismo occidentale (bianco).
Visto in questa prospettiva, ciò che a Beauvoir pareva il
privilegio maschile del filosofo ci appare ora come un rap-
porto differenziale rispetto al potere sociale, mantenuto e
legittimato dagli apparati ideologici. Sono questi che
costn1isco110 il soggetto, che quindi non è più soggetto tra-
scendentale, ma soggetto di relazioni sociali materiali. Se,
come ho cercato di dimostrare altrove tramite una lettura
di Althusser con Foucault,29 il genere è uno di questi appa-
rati, un apparato ideologico cui il corpo sessuato serve da
sostegno materiale, allora ciò che (ri)produce e regola
mediante il genere una specifica differenza di potere tra
donne e uomini - quali che siano le altre differenze che
esistono simultaneamente per quelle stesse donne e uomi-
ni, differenze appunto di classe o di razza, per esempio -
non è un dato biologico bensì l'istituzione sociale dell'ete-
rosessualità. In questa luce il privilegio maschile non è
qualcosa cui uno possa rinunciare con un atto di buona
volontà o abbracciando un'etica più umana, ma è costitu-
tivo del soggetto in-generato dal contratto sociale eteroses-
suale, ossia un soggetto sociale che è fin dall'inizio diversi-
ficato in due generi complementari che si escludono e si
implicano a vicenda.
Con l'espressione contratto sociale eterosessuale o con-
tratto edipico voglio mettere in luce l'omologia semiotica
di diverse griglie concettuali: il contratto sociale di Rous-
seau con la distinzione dei generi maschile e femminile; il
linguaggio inteso da Saussure come contratto sociale tra
parlanti; il contratto psicosociale che è il complesso edipi-
co di Freud, struttura psichica che orienta sia il desiderio
sia le identificazioni di genere del soggetto; il contratto

19 T. de L:mretis, Ùl tecnologia del ge11ere, in T. de Lauretis 1996a,


pp. 131-163.

31
cinematografico che stipula le condizioni della v1S1one
codificando particolari relazioni tra immagine, suono e
significato per la spettatrice e lo spettatore; e infine il con-
cetto di "contratto eterosessuale" proposto da Monique
Wittig, ossia l'accordo tra sistemi teorici o epistemologie
moderne di non mettere in questione l'a priori del genere e
di presumere che l'opposizione sociosessuale tra "uomo" e
"donna" sia il momento necessario e fondante di ogni cul-
tura. 30
Canalisi dell'eterosessualità come istituzione è uno svi-
luppo relativamente recente nella teoria femminista, 31 e
neanche unanimemente accettato tra le stesse femmini-
ste.32 Cuso comune del termine "eterosessualità" per deno-
tare pratiche sessuali tra una femmina e un maschio, in
contrapposizione a quelle tra persone dello stesso sesso
(omosessualità) presenta le prime come atti "naturali" e le
seconde come "devianti" o "innaturali". Perciò il termine
stesso tende a oscurare l'innaturalità dell'eterosessualità
medesima, ovvero il suo essere costruzione sociale, il suo
dipendere dalla costruzione semiotico-ideologica del gene-
re piuttosto che dall'esistenza fisica (naturale) di due sessi.
Inoltre la tenace abitudine mentale di pensare la sessualità
come atti sessuali tra persone e di associarla con la sfera
privata o la privacy individuale anche quando si è costan-
temente circondate da rappresentazioni della sessualità
(immagini visive e verbali di atti sessuali, o immagini che
alludono ad atti sessuali tra persone), tende a negare l'ov-
vio; cioè il carattere assolutamente pubblico dei discorsi
sulla sessualità e ciò che Foucault ha chiamato "la tecno-
logia del sesso": gli apparati o dispositivi sociali (dal siste-
ma educativo alla giurisprudenza, dalla medicina ai

30 M. Wittig, The S1raigl11 Mind (1980), in Wittig 1992, pp. 21-32. La

traduzione italiana, di questo saggio, di R. Fiocchetto, pubblicata con il


titolo T11e Straiglll Mind, in "Bollettino del cu" (febbraio 1990), è stata
ristampata in "I Quaderni Viola", 4, 1995, pp. 69-72.
31 Oltre a M. Wittig 1992, si vedano C. MacKinnon 1979 e A. Rich

1985.
32 Per esempio A. Ferguson 1981.

32
media, e cosi via) che non solo regolano la sessualità ma
effettivamente la impongono, anzi, la regolano e la impon-
gono come eterosessualità.
Gli effetti profondi e duraturi del significato di tali
rovesciamenti ideologici si estendono, oltre l'uso comune
del termine sessualità, al pensiero critico e alla riflessione
teorica sulla cultura, inclusi il pensiero e la riflessione
femminista, e ostacolano la piena comprensione delle
implicazioni di nozioni altrimenti accettate: non soltanto
il concetto basilare femminista che il personale è politico,
ma anche l'influente riconcettualizzazione foucaultiana
del sesso come tecnologia sociale; oppure la concezione
lacaniana del soggetto secondo la quale il linguaggio è
"causa" del soggetto, è l'ordine simbolico (dunque eminen-
temente sociale) che struttura la soggettività, tanto la
coscienza quanto l'inconscio, di ciascun soggetto. Corolla-
rio inevitabile di questa concezione è che la sessualità si
colloca all'intersezione di soggettività e socialità, e si costi-
tuisce nel nome del Padre. Il che vale a dire, con MacKin-
non, che la sessualità è esattamente "ciò che è più proprio
e tuttavia maggiormente espropriato".33
La traiettoria seguita dal pensiero femminista per
quanto riguarda l'analisi dell'eterosessualità, vista dappri-
ma come pratica sessuale privata, poi come istituzione
civile, e il continuo slittare del termine dal personale al
politico al personale, ha un'interessante analogia con le
trasformazioni semantiche del termine inglese institution
riportate da Raymond Williams.
Istituzione è un esempio tra tanti (cfr. cultura, società, educa-
zione) di un sostantivo riferito a una azione o a un processo
che, a un certo punto, divenne un nome astratto riferito a
qualcosa di oggettivo e sistematico come lo è istituzione nel
senso moderno. Viene usato in inglese fin dal quattordicesi-
mo secolo, derivato dall'antico francese institution, dal latino
institutionem, dalla radice statuere: stabilire, fondare, asse-
gnare. Dapprima aveva il senso di atto originario - qualcosa

31 C. MacKinnon 1982, p. I.

33
che veniva istituito in un particolare momento - ma già nel
sedicesimo secolo cominciava a svilupparsi il senso generale
di pratiche stabilite in determinati modi [ ...] sebbene mante-
nesse, nel contesto dato, un forte senso di usanza, come nel-
l'espressione odierna "una delle istituzioni del luogo". Non è
facile datare l'emergere del senso pienamente astratto, ma
questo compare sempre in concomitanza con l'affermarsi
dell'astrazione nel termine società. Verso la metà del diciotte-
simo secolo il senso astratto è del tutto evidente e gli esempi
si moltiplicano nel diciannovesimo e ventesimo secolo. [... ]
Nel ventesimo secolo istituzione è divenuto il termine usuale
per qualsiasi elemento organizzato di una società.34

Potrebbe essere interessante chiedersi se, nella stessa


maniera in cui istituzione si affermò nel senso astratto
contemporaneamente a società, di cui era una delle condi-
zioni di esistenza, il senso astratto di eterosessualità come
istituzione sia pervenuto al femminismo con l'awento di
una teoria femminista, una modalità di conoscenza for-
male, critica e politica, la cui esistenza è condizionata da
quella istituzione stessa. Ma anche se cosl fosse, l'ambi-
guità del termine eterosessualità permane, e ne provoca il
continuo slittamento tra i due sensi di pratica privata e
istituzione civile.
Il senso di "usanza", di pratica circoscritta, locale, deri-
vato dall'uso comune del termine eterosessualità ne allon-
tana la comprensione dal senso astratto di istituzione,
ossia di qualcosa di "oggettivo e sistematico" (Williams),
indirizzandola verso il significato ristretto di atto o rap-
porto personale tra due individui. Ne vediamo un esempio
nell'obiezione di Ann Ferguson al famoso saggio di
Adrienne' Rich, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza
lesbica, alla cui tesi viene obiettato di non rendere conto di

34 R. Williams 1976, pp. 139-140. Noto con rammarico che il libro di

Williams non contiene i termini gender (genere), femminismo o sessua-


lità, la cui storia semantica potrebbe essere altrettanto utile e interessan-
te di quella degli altri termini ivi analizzati.

34
"alcune coppie eterosessuali in cui donne femministe
mantengono un rapporto egualitario con gli uomini".
Cidea che l'eterosessualità sia alla base dell'oppressione delle
donne è plausibile solo se si presume che ciò che permette
agli uomini di controllare il corpo delle donne come strumen-
to per i propri scopi sia la dipendenza emotiva delle donne
dagli uomini come loro amanti, che si aggiunge ad altri mec-
canismi di dominazione maschile (quali il matrimonio, la
maternità, la dipendenza economica). Ma le madri nubili, le
donne nere e le donne economicamente indipendenti, per
esempio, possono sfuggire o evitare questi meccanismi nelle
loro relazioni eterosessuali con gli uomini. [...] Se il femmini-
smo come movimento è veramente rivoluzionario, non può
dare priorità a una forma di dominazione maschile (l'etero-
sessismo) a esclusione delle altre. 35

Sfugge a Ferguson il fatto che quelle donne eteroses-


suali che riescono individualmente a evitare, in casa pro-
pria, la dominazione sessuale o economica da parte di sin-
goli uomini sono comunque soggette, nella sfera pubblica,
agli effetti oggettivi e sistematici dell'istituzione che le
definisce, per tutti gli uomini e anche per loro stesse, don-
ne, anzi, più esattamente, donne eterosessuali. Questo
risulta evidente in casi di discriminazione sul lavoro,
molestie sessuali, stupro, incesto ecc. Cistituzione dell'ete-
rosessualità non è semplicemente uno tra i vari "meccani-
smi di dominazione maschile" ma è intimamente implica-
ta in ciascuno di essi; è struttura portante del patto sociale
e fondamento delle norme culturali.
Il fatto stesso che nella maggior parte dei saperi disci-
plinari il genere sia invisibile, un punto cieco, oppure dato
per scontato, un a priori, riflette la presunzione di eteroses-
sualità su cui poggia ogni conoscenza formale: che l'oppo-
sizione sociosessuale tra "donna" e "uomo" sia il momento
necessario e fondante della cultura, come scrive Wittig.

15 A. Ferguson 1981, p. 171.

35
E sebbene sia stato riconosciuto in anni recenti che la natura
non esiste, che tutto è cultura, rimane all'interno di quella
cultura un nucleo di natura che resiste a ogni esame, un rap-
porto escluso dal sociale nell'analisi, un rapporto la cui carat-
teristica è la sua ineluttabilità tanto nella natura quanto nella
cultura, cioè il rapporto eterosessuale.36

Non si tratta quindi di privilegiare l'eterosessismo sugli


altri sistemi di oppressione quali il capitalismo, il razzi-
smo o il colonialismo, ma di capire il carattere istituziona-
le e ]a specificità di ciascuno, e--poi di analizzarne le reci-
proche complicità o contraddizioni.

Il soggetto eccentrico

La teoria femminista in quanto tale è divenuta possibi-


le in un'ottica postcoloniale, quando da critica femminista
ad altri oggetti teorici o campi di sapere si è trasformata in
riflessione teorica sul femminismo. Con questo intendo
dire che il pensiero femminista è divenuto teorico nella
misura in cui si è interrogato sulle interrelazioni tra sog-
getti, discorsi e pratiche sociali, e sulla molteplicità di
posizioni esistenti al medesimo tempo nel campo sociale
inteso, con Foucault, come campo di forze: non un singolo
sistema di potere che domina i senza potere, ma un grovi-
glio di relazioni di potere e punti di resistenza distinti e
variabili. 37 Per quanto riguarda il femminismo, la com-
prensione del sociale come campo diversificato di relazio-
ni di potere si è consolidata verso la metà degli anni ottan-
ta, quando gli scritti di alcune donne di colore e donne
lesbiche, che si presentavano appunto come forma di pra-
tica politica "alla ricerca di coscienza", si sono costituiti
esplicitamente come critiche femministe al femminismo.
Questi interventi hanno interrotto un discorso femminista

36 M. Wittig 1992, p. 107.


J1 M. Foucault 1988.

36
ancorato al singolo asse del genere come differenza ses-
suale tra uomo e donna, e che si trovava a ristagnare nel
para dosso "donna " .
Sulla nozione di differenza sessuale come opposizione
tra donna e uomo, o donne e uomini, o femminile e
maschile, opposizione basata sull'asse del genere, si era
fondata l'analisi femminista delle relazioni di potere come
rapporto a senso unico tra oppressore e oppressa, o tra
colonizzatori e colonizzati. Abbiamo parlato di noi stesse
come popolazione colonizzata, abbiamo concepito il cor-
po femminile mappato dal desiderio fallico e territorializ-
zato dal discorso edipico. Ci siamo viste guardare soltanto
attraverso occhi maschili. Abbiamo pensato che il nostro
parlare fosse sintomatico o non autorizzato, e che la
nostra scrittura, nel migliore dei casi, potesse esprimere il
silenzio delle donne nel linguaggio degli uomini. 38
Le strategie di resistenza e di lotta nate da tale analisi si
sono sviluppate principalmente in due direzioni. Una era
orientata verso l'eguaglianza: si accettava la definizione
della donna come biologicamente, emotivamente e social-
mente diversa ma complementare all'uomo, rivendicando
cosl gli stessi diritti, senza considerare come "i diritti del-
l'uomo" varino con le relazioni sociali di razza e classe che
determinano l'esistenza degli uomini reali. Questo proget-
to mirava, quindi, all'omologazione, a creare un posto per
le donne all'interno del discorso egemonico o, detto con
Luce lrigaray, dell"'ideologia del medesimo". Calternativa
era il separatismo radicale, che prendeva una posizione di
netta opposizione nei confronti degli uomini e si prefigge-
va di creare un controdiscorso, come nelle nozioni
anglofone di "linguaggio delle donne" e "cultura delle don-
ne", o rivendicava un linguaggio sintomatico del corpo,
come nella nozione francofona di écritttre féminine, che si
presumeva sovversiva dell'ordine "fallologocentrico" della
cultura.

38 Su questo punto si veda Genealogie femmi11isle, in T. de Lauretis


1996a.

37
Entrambe queste strategie, distinte sebbene intersecan-
tisi, erano e continuano a essere importanti in contesti
particolari o locali, ma ricadevano nei parametri dei
discorsi culturali dominanti. Poste come erano in termini
di pluralismo liberale, umanesimo socialista e moderni-
smo estetico, entrambe rimanevano a modo loro, anche se
involontariamente, invischiate nel razzismo, colonialismo
ed eterosessismo a essi connessi. Per quanto riguarda la
seconda strategia, la questione del separatismo è comples-
sa, e si potrebbe certamente sostenere che il separatismo è
inevitabile, desiderabile, o pers1no essenziale al femmini-
smo; ma sta di fatto che gran parte del primo separatismo
radicale si fondava interamente su un senso di indignazio-
ne morale.39
Privo di una teoria specifica e imperniato sulla condan-
na etica al "patriarcato", il separatismo radicale finiva per
assumere la definizione del mondo data dal nemico, adot-
tandone o rovesciandone i termini, termini che erano dati,
quindi riconoscibili, e permettevano l'accesso a certe istitu-
zioni, per esempio la giurisprudenza e gli studi accademici
sulle donne (womens studies). In questi ultimi, infatti, il
separatismo ha comportato la ricerca di uno spazio che la
critica femminista di quegli anni descriveva come un terri-
torio da occupare: una terra incognita, incolta e selvaggia
da colonizzare (Showalter), una natura fatta a immagine di
donna (Griffin), una "gin/ecologia" o etica di "pura libidi-
ne" (Daly). 40 Il modo in cui questa critica femminista ha
colluso con l'ideologia del medesimo è sottolineato da
Audre Lorde nella sua "lettera aperta" a Mary Daly:
TI chiedo di renderti conto di come la convinzione che la sto-
ria [herstory, storia-di-lei] e i miti delle donne bianche siano il

39 Nel femminismo statunitense il separatismo era inizialmente sepa-

ratismo dagli uomini, poi però il termine è stato usato per ogni forma di
separatismo anche tra donne, per esempio separatismo delle donne lesbi-
che dalle donne eterosessuali o delle donne di colore dalle donne bian-
che. Si veda M. Frye I 995.
40 E. Showalter 1982; S. Griffin 1978; M. Daly 1978 e 1984.

38
solo legittimo modo, per tutte le donne, su cui fondare il pro-
prio potere e la propria appartenenza, e che le donne non
bianche e le nostre storie [11erstories] valgano solo da decora-
zione o da esempi di vittimizzazione femminile, serva le forze
distruttive del razzismo e la separazione tra le donne. TI chie-
do di renderti conto dell'effetto che tale mancanza di ricono-
scimento ha sulla comunità delle donne nere e delle altre
donne di colore, e di quanto essa svaluti le tue stesse parole.
[ ... ] Quando il patriarcato ci mette da parte, incoraggia i
nostri assassini. Quando la teoria femminista lesbica radicale
ci mette da parte, incoraggia la propria fine:"

La contestazione interna da parte tanto di donne di


colore al razzismo quanto di donne ebree all'antisemiti-
smo, nonché di donne lesbiche di ogni colore all'eteroses-
sismo, ha costretto il femminismo a fare i conti, emotiva-
mente e concettualmente, con la presenza di relazioni di
potere alla cui comprensione non bastavano, anzi erano di
ostacolo, i concetti di genere e differenza sessuale. Non
soltanto quest'ultima, con il suo investimento più o meno
esplicito nell'eterosessualità, ma anche l'analoga nozione
di differenza omosessuale proposta dal femminismo radi-
cale - cioè che il lesbismo politico era il primo requisito
per far parte di un'utopica collettività di donne - si sono
dimostrate inadeguate a rendere conto di relazioni di
potere che si (ri)producevano e si (ri)producono anche nei
luoghi delle donne; relazioni che generano oppressione tra
donne o tra categorie di donne, e relazioni che nascondo-
no o reprimono le differenze interne a un gruppo di donne
o anche a ciascuna di esse.
Ora, tali accuse di razzismo, eterosessismo, classismo e
privilegio sociale sono state per la maggior parte recepite
dal pensiero femminista, ma forse sono state accolte trop-
po in fretta o troppo facilmente. La rivendicazione di altri
interessi e la presenza di altre discriminanti sociali quali
razza o colore, appartenenza etnica, sessualità ecc. - altri
assi secondo cui sono organizzate e gerarchizzate le "diffe-

~, A. Lorde, Open letter to Mary Da(v, in A. Lorde 1984, p. 69.

39
renze" e, quindi, l'oppressione, l'identità e la soggettività-
sono state accolte nel discorso femminista e poste sullo
stesso piano. Questi assi sono dunque considerati paralleli
o di pari portata, sebbene con "priorità" diverse a seconda
delle singole donne. Per alcune, l'asse razziale può avere
priorità sull'asse sessuale nel definire l'identità e la base
materiale della soggettività; per altre donne può avere
priorità l'asse sessuale; per altre ancora può essere l'asse
etnico-culturale ad avere priorità in un dato momento. Da
cui la frase che adesso si sente cosl spesso in ambiti filo-
femministi: "genere, razza e classe", con la variante locale
"genere, razza, classe e preferenza sessuale".
La frase, che delinea una serie di modi di oppressione
articolata in assi paralleli di "differenza", non coglie però
il carattere specifico e complesso dell'oppressione sociale;
vale a dire l'implicazione reciproca di quegli assi e come
ciascuno di essi abbia effetto sugli altri: per esempio, in
che modo il genere incida sull'oppressione razziale e sui
suoi effetti di soggettivazione. Nel saggio dal titolo To-
ward a Black Feminist Criticism (Verso una critica femmi-
nista nera), scritto nel 1977 e più volte ristampato, la fem-
minista lesbica militante afroamericana Barbara Smith
osservava che i critici neri "sono naturalmente in diffi-
coltà nel comprendere l'esperienza delle donne nere in
tennini sessuali e razziali nel contempo". 42 L'esperienza,
sostiene Smith, si articola non solo in termini sessuali,
cosa che per una femminista è facilmente comprensibile,
ma anche in termini razziali, così che, per esempio, gli
uomini neri, non comprendendo l'esperienza delle donne
nere in termini sessuali, non la comprendono neanche in
termini razziali; ovvero, non comprendono l'esperienza
che le donne nere hanno del razzismo. Questo non è un
concetto facile da capire per una donna bianca, perché,
da una posizione che si presume razzialmente neutra, si
può pensare semplicemente che tutte le persone nere
abbiano la stessa esperienza del razzismo e che le donne

42 B. Smith 1982, p. 162; corsivo mio.

40
nere, in più, vivano anche l'esperienza del sessismo. Inve-
ce, afferma Smith - e sembra quasi una tautologia, eppu-
re in quante l'avevamo veramente capito? - le donne nere
esperiscono il razzismo non in quanto persone nere ma in
quanto donne nere.
La stessa sottile ma fondamentale distinzione era scan-
dita nel titolo ironico della prima antologia di studi delle
donne nere, Al[ the Women Are White, Ali the Blacks Are
Men, but Some of Us Are Brave (Tutte le donne sono bian-
che, tutti i neri sono uomini, ma alcune di noi sono corag-
giose). Il termine "neri" non comprende le donne nere più
di quanto il termine "uomo" (bianco) non comprenda le
donne (bianche). La teoria della simultaneità delle oppres-
sioni, elaborata da Barbara Smith con altre femministe
afroamericane, 43 significa che gli assi di "differenza" e i
modi di oppressione che ne derivano non sono allineati o
paralleli ma sovrapposti o imbricati gli uni negli altri; i
sistemi di oppressione sono interconnessi e si determina-
no reciprocamente. I.:affermazione di Smith, quindi, in
primo luogo conferma che il genere è elemento base della
soggettività; non a caso Smith si autodefinisce una femmi-
nista nera, una donna nera e una lesbica nera. 44 In secon-
do luogo, però, ci impone un'ulteriore riflessione: se l'espe-
rienza del razzismo, e quindi della propria appartenenza
razziale, dà forma all'esperienza che ciascuna fa del gene-
re e della sessualità, ossia ai significati che essi acquistano
nella vita di ciascuna, allora una donna bianca non è
necessariamente più atta a comprendere l'esperienza di
una donna nera in termini sessuali - la sua esperienza del-

43 Nel volume collettaneo Home Girls: A Black Femi11ist Amliology, a


cura di Barbara Smith (1983), pp. 272-282.
44
Negli anni settanta e ottanta i termini Black [nero/nera] e Afro-
American (afroamericano/afroamericana), con cui si autodesignavano le
persone di origine africana negli Stati Uniti, avevano sostituito il prece-
dente Negro, termine usato per esempio durante le lotte per i diritti civili
negli anni sessanta. Oggi viene di preferenza usato "African American'',
che però in italiano mi pare sia meglio tradurre con "afroamericano/
afroamericana".

41
la sessualità, del genere e dell'eterosessismo, insomma, il
suo senso di sé come soggetto sociale - di quanto non lo
sia un uomo nero. Ma se è vero che l'esperienza del gene-
re, l'esperienza di sé in quanto donna, è sovradeterminata
dalle relazioni razziali, questo deve valere per tutte le don-
ne, anche per le donne bianche.
Un resoconto particolare di come le determinazioni raz-
ziali operino nell'identità di una donna bianca, e di come
possano essere analizzate e decostruite attraverso la scrit-
tura di una "storia personale", si trova nel saggio-racconto
autobiografico di Minnie Bruc~ Pratt, Identity: Skin Blood
Heart (Identità: pelle sangue cuore)45 e nella lettura che ne
danno Biddy Martin e Chandra Mohanty. Il saggio, sosten-
gono le due studiose, è una messa in atto del processo di
autocoscienza: muove dal senso viscerale, puramente per-
sonale, dell'identità espresso dal titolo verso "una comples-
sa elaborazione del rapporto tra casa, identità e comunità,
che mette in questione la nozione di un'identità coerente,
stabile e storicamente continua", rivelando "le esclusioni e
le rimozioni che sostengono l'apparente omogeneità, stabi-
lità e ovvietà dell'identità bianca". 46 Perciò quest'ultima si
rivela costituita proprio in base alla marginalizzazione del-
le differenze che esistono sia dentro sia fuori i confini trac-
ciati a delimitare ogni entità omogenea o unitaria, sia essa
l'Io, la casa, la razza o la comunità etnica.
La narrativa autobiografica di Pratt si configura come
un passaggio non lineare attraverso le diverse identità del-
la scrittrice (bianca, di ceto medio, di educazione cristia-
na, del Sud degli Stati Uniti, lesbica) e le città, i quartieri o
le comunità che le sono state "casa" in vari periodi della
sua vita. La scrittura della storia personale procede di pari
passo alla messa in questione delle specifiche storie geo-
grafiche, demografiche, architettoniche e sociali di quelle
comunità, portando alla luce storie locali di sfruttamento

45 M. B. Pratt 1984.
46
B. Martin-Ch. Mohanty 1986, pp. 195, 193. I successivi riferimenti
a quest'opera sono inclusi nel testo.

42
e di lotta, "storie di persone non come lei", che non erano
state mai menzionate nella storia raccontata dalla sua
famiglia; e di volta in volta si verifica una tensione tra "l'es-
sere a casa" e "il non essere a casa". Ogni tappa del rac-
conto diventa luogo di lotte allo stesso tempo personali e
sociali, fino a giungere al riconoscimento che "casa era
un'illusione di coerenza e sicurezza basata sull'esclusione
di specifiche storie di oppressione e di resistenza [e sulla]
repressione delle differenze all'interno della singola perso-
na" (p. 196). Per cui, anche se il fatto di narrare àncora
nuovamente il sé in ognuna delle posizioni discorsive e
delle situazioni storiche concrete in cui Pratt si colloca
come scrittrice e soggetto narrante, ciò nonostante l'esi-
stenza contraddittoria di quel soggetto dovunque si trovi,
il suo essere e non essere "a casa" in ogni luogo, e il conti-
nuo dislocarsi del sé da ciascuna forma di identità, dopo
aver preso coscienza delle differenze soppresse, minano il
concetto di identità come qualcosa di singolare, coerente,
unitario o determinato una volta per tutte.
Ma se il ritorno al passato fornisce la cognizione critica
che l'idea di un Io immutabile e di una stabile identità sia
ottenuta a prezzo di esclusioni e mantenuta nel terrore
dell'ostracismo sociale, d'altra parte non c'è una facile via
di fuga verso la liberazione, non c'è un modo semplice di
disfarsi della paura del padre e della sua legge simbolica; e
la dimensione di una libertà totale non si raggiunge mai.
La storia personale di Pratt rivela una serie di spostamenti
di ottica dai quali ciascuna configurazione dell'identità è
esaminata nella sua contraddittorietà e quindi decostruita.
Ma non per questo è scartata, anzi, è assunta cosciente-
mente in quella che Martin e Mohanty chiamano "una
riscrittura di sé in relazione a contesti interpersonali e
politici mutevoli". Se c'è un punto d'identificazione privi-
legiato, che dà impeto al lavoro di auto-(de)costruzione,
esso è l'essere lesbica, ma ciò non comporta un'identità
più vera o priva di contraddizioni; è invece il punto nevral-
gico che favorisce la comprensione e la presa di coscienza.

43
È ciò che rende impossibile una casa e rende il sé non
identico.
Il suo essere lesbica è ciò che le dà l'esperienza più immedia-
ta delle limitazioni impostele dalla famiglia, dalla cultura,
dalla razza e dalla classe che le hanno procurato privilegi e
agiatezza a caro prezzo. Imparare a quale prezzo si comprino
i privilegi, l'agiatezza, la casa e un'idea rassicurante di sé - a
quale prezzo per lei e in ultima analisi per gli altri - è ciò che
rende il lesbismo una motivazione politica oltre che un'espe-
rienza personale. [ ...] Nel racconto di Pratt l'essere lesbica è
ciò che rivela il limite ultimo di'quello che viene rappresenta-
to come l'essere umano nella sua universalità, non limitato
da una particolare identità, ovvero la figura dell'individuo
bianco di ceto medio (p. 203).

Alla fine del racconto, è il concetto stesso di casa che vie-


ne abbandonato, non soltanto la casa della sua infanzia e la
famiglia, ma ogni altra "casa", per esempio un gruppo di
donne, che ne replicasse le condizioni e desse luogo alla "sop-
pressione delle differenze che assicura l'identità del nucleo
familiare" (p. 205). D concetto di casa viene sostituito da
quello di comunità nel senso di qualcosa di intrinsecamente
instabile e contestuale, non basata sull'identità delle sue
componenti o su legami naturali, ma una comunità che è
frutto di lavoro, di lotta, di interpretazione, "interpretazione
basata sull'attenzione alla storia, al concreto, a ciò che Fou-
cault ha chiamato 'saperi soggiogati'" (p. 210). La lettura di
Martin e Mohanty è essa stessa un'interpretazione, un inter-
vento critico nel terreno contestato della teoria femminista:
Quello che abbiamo voluto fare emergere da questo testo è il
modo in cui esso sconvolge non solo l'idea che il femminismo
sia una casa sempre accogliente, ma anche quella che esista-
no identità discrete, coerenti e totalmente separate - case
all'interno del femminismo, per così dire - basate su divisioni
nette tra identità sessuali, razziali o etniche (p. 192).

Canalisi critica, e autocritica, delle nozioni convenzio-


nali di esperienza e identità che troviamo in questo e altri

44
testi di teoria femminista degli anni ottanta contraddice lo
stereotipo di un femminismo singolo, totalizzante, "occi-
dentale" che sarebbe necessariamente oppressivo o, nel
migliore dei casi, irrilevante per le donne di colore nel
resto del mondo. Stereotipo che, oltre a non rappresentare
il femminismo né la situazione delle donne bianche in
Occidente, perpetua un'opposizione tra Occidente e Orien-
te, tra bianco e non bianco; opposizione che lascia intatta
la finzione ideologica delle loro rispettive identità e in que-
sto modo contribuisce all'immagine di una (falsa) omoge-
neità dell'"Occidente".
Teorizzare il femminismo come comunità dai confini
labili, in cui le identità e le differenze vengano espresse e
rinegoziate attraverso rapporti sia interpersonali sia politi-
ci, si accorda con la ridefinizione di esperienza (individua-
le) come processo continuo di scambio e mediazione tra
pressioni esterne e resistenze interne. In questo senso
identità viene a significare un'autocollocazione, una scelta
- sempre sovradeterminata dall'esperienza - tra le possibi-
li posizioni accessibili nel campo sociale, ossia che posso-
no essere assunte dal soggetto involontariamente (ideolo-
gicamente) oppure sotto forma di coscienza politica. 47

47 I.:assunzione dell'identità di "donne di colore" (women of color)

negli Stati Uniti (o "donne nere" [black women] nel Regno Unito) da par•
te di donne che appartengono a gruppi etnici e a culture diversissime tra
loro (asiatiche, native americane, afroamericane, caraibiche, chicanas,
latino-americane, e cosl via) è un esempio di coscienza personale-politica
che non si basa semplicemente su differenze etniche o culturali rispetto
alla cultura bianca dominante; una coscienza personale-politica che non
è affatto l'opposizione di valori culturali stabili in una data minoranza
etnica a valori culturali della magaioranza, pensati come altrettanto sta-
bili. I.:identità di donna di colore è emersa ed è stata elaborata dalla spe-
cifica esperienza storica del razzismo nella società anglo-americana,
dominata dagli interessi economici e culturali dei bianchi. Si è sviluppa-
ta dalla consapevolezza della necessità politica e personale di costruire
comunità attraverso, nonostante, in tensione o perfino in contraddizione
con i valori culturali del proprio gruppo etnico, della propria famiglia,
della propria "casa". Si vedano Ch. Moraga, Loving in tl1e War léars;
M. Quintanales, / Paid Very Hard {or My lmmigrant lg11orance; M. Kaye•
Kantrowitz, Some Notes on Jewish Lesbian /dentity; Ch. Clark, Lesbiani•

45
Il soggetto di tale coscienza femminista non è più quel-
lo inizialmente definito in base al solo asse del genere, dal-
1'opposizione uomo-donna, e costituito puramente dall'op-
pressione, repressione o negazione della propria differenza
sessuale. In primo luogo, tale soggetto è assai meno puro.
Anzi, è con più probabilità ideologicamente complice del-
l"'oppressore" di cui può occupare il posto in certe relazio-
ni socio-sessuali, anche se non in altre. In secondo luogo
non è un soggetto unitario, sempre uguale a se stesso, dota-
to di identità stabile; né un soggetto unicamente diviso tra
mascolinità e femminilità. È inveèe un soggetto che occupa
posizioni molteplici, distribuite su vari assi di differenza, e
attraversato da discorsi e pratiche che possono essere, e
spesso lo sono, reciprocamente contraddittorie. È costitui-
to, come il soggetto postmoderno, marginale, immaginato
da Samuel Delany, di "frammenti i cui aspetti costitutivi
includono sempre altri oggetti, altri soggetti, altri sedimen-
ti, per cui la nozione di 'altro' [altro da sé] si sgretola sotto
il peso stesso dell'analisi che il 'sé' applica per localizzar-
lo".48 Infine, e ciò è forse ancor più significativo, il soggetto
nella teoria femminista ha la capacità di agire, di muoversi
o dislocarsi in modo autodeterminato, di prendere coscien-
za politica e responsabilità sociale, pur nella sua contrad-
dittorietà o non coerenza.
Ho detto più sopra che la teoria femminista si è affer-
mata e resa autonoma in un'ottica postcoloniale. Voglio
adesso ripeterlo in un altro modo: se si può dire che la sto-
ria del secondo femminismo sia cominciata "quando sono
venuti a convergere testi femministi scritti da donne e un
movimento femminista cosciente di sé",49 si può poi ag-
giungere che una teoria femminista in quanto tale comin-
cia quando la critica femminista delle formazioni socio-
culturali (discorsi, forme di rappresentazione, ideologie)

sni: An Act of Resistance; M. Woo, Letter to Ma, tutti in Ch. Moraga e


G. Anzaldua 1983.
48 S. R. Delany 1986.
49 E. Marks-1. de Courtivron I 980, p. 3.

46
diventa consapevole di sé e si volge al proprio interno per
interrogare la propria complicità con quelle ideologie: per
interrogare il suo stesso corpo eterogeneo di scritture e di
interpretazioni, i loro presupposti concettuali, le pratiche
cui danno luogo e dalle quali emergono.
Comincia dunque, la teoria femminista, con il "ricono-
scere il nostro posizionamento, il dare un nome alla terra
dalla quale proveniamo, le condizioni che abbiamo dato
per scontate", come scrive Adrienne Rich in un saggio del
1984, Notes Toward a Politics of Location (Politica del posi-
zionamento). so Quindi passa a esaminare il carattere situa-
to, storico e politico del proprio pensiero. Ma poi, per
poter andare avanti con il lavoro di trasformazione sociale
e soggettiva, per poter sostenere il movimento, deve di nuo-
vo dis-locarsi, dis-identificarsi da quei presupposti e da
quelle condizioni. Questa teoria femminista, che ora è
appena all'inizio, non solo allarga e riconfigura i preceden-
ti confini discorsivi con l'inclusione di nuove categorie, ma
insieme rappresenta e mette in atto una trasformazione
della coscienza storica.
A mio parere, la trasformazione comporta uno sposta-
mento, un vero e proprio dis-locamento: lasciare o rinun•
ciare a un posto che è sicuro, che è "casa" in tutti i sensi
- socio-geografico, affettivo, linguistico, epistemologico -
per un altro posto, sconosciuto, in cui si è non solo affetti-
vamente ma anche concettualmente a rischio; un posto
dal quale parlare e pensare sono incerti, insicuri, non
garantiti (ma andarsene non è una scelta perché Il,

so Il saggio, pubblicato in Blood, Bread, and Poetry (cfr. A. Rich 1986),


pp. 210-231, è parzialmente tradotto in italiano con il titolo Politica del
posizionamento ( 1996), pp. 15-22. La traduzione dei brani citati in questo
testo è mia. A Rich non piace il termine "teoria", le pare troppo occiden·
tale e troppo centrato sugli interessi dei bianchi, astratto dalle azioni
umane e poi "rifilato alla gente sotto forma di slogan" (p, 213). La teoria
del femminismo bianco occidentale non ha ancora preso in considerazio-
ne il femminismo delle donne di colore, Rich giustamente contesta nel
1984. Oggi però il termine "teoria femminista" e le diverse pratiche criti-
che che ne fanno parte sono accolti da molte scrittrici di colore, soprat-
tutto in ambito universitario (si veda, per esempio, beli hooks 1984).

47
comunque, non si poteva più vivere). Sia dal lato affettivo
sia da quello epistemologico lo spostamento è doloroso, è
fare teoria sulla propria pelle, "una teoria in carne e ossa"
(Moraga).51 È un continuo attraversamento di frontiere
(Borderlines/La Frontera è il titolo del libro di Gloria
Anzaldua sulla "nuova mestiza"), anzi un ridisegnare la
mappa dei confini tra corpi e discorsi, identità e comunità,
il che, forse, spiega perché sono state principalmente le
femministe di colore e lesbiche ad affrontare il rischio.
Tale dis-locamento, tale dis-identificazione da un grup-
po, una famiglia, un sé, una "casà," diciamo pure anche da
un femminismo tenuti insieme dalle esclusioni e dalla
repressione che sottendono ogni ideologia del medesimo,
è altresl un dislocamento del proprio modo di pensare;
comporta nuovi saperi e nuove modalità di conoscenza
che permettono di rivedere sia la teoria femminista sia la
realtà sociale da un punto di vista allo stesso tempo inter-
no ed esterno alle loro determinazioni. A mio avviso tale
punto di vista o posizione discorsiva eccentrica è necessa-
ria al pensiero femminista; necessaria tanto a sostenere la
capacità di movimento del soggetto quanto a sostenere il
movimento femminista stesso. È una posizione raggiunta
sia concettualmente sia nelle altre dimensioni della sog-
gettività; è fonte di resistenza e di una capacità di agire e
di pensare in modo eccentrico rispetto agli apparati socio-
culturali dell'eterosessualità, attraverso un processo di
"conoscenza insolita" (Frye), una "pratica cognitiva" (Wit-
tig) che non è solo personale e politica ma anche testuale,
una pratica di linguaggio nel senso più lato.
Una figura testuale di tale soggettività eccentrica è il
titolo di un saggio di Monique Wittig, One Js Not Born a
Woman (Donna non si nasce, cfr. M. Wittig 1992, pp. 9-20).
La frase, tratta da Il secondo sesso di Beauvoir, è ripropo-
sta con sottolineatura ironica dall'autrice di Il corpo lesbi-
co. Ripetendo la frase, ma spostando l'enfasi dalla parola
"nasce" alla parola "donna", Wittig richiama la definizione

51 Ch. Moraga in Ch. Moraga-G. Anzaldua 1983, p. 23.

48
convenzionale (eterosessuale) della donna data da Beau-
voir e la dis-loca; la nega, ma senza cancellarla; ne sposta
il significato riscrivendola o inserendola in una prospetti-
va eccentrica. 52 Spostamento di enfasi in un testo critico,
dunque una pratica testuale, che non a caso ci rimanda al
soggetto scrivente e al dis-locamento geografico e cultura-
le della stessa Wittig dalla Francia agli Stati Uniti, dove
attualmente vive e lavora. Nelle pagine seguenti userò que-
sto testo, straordinariamente ricco di suggerimenti teorici,
per riunire le tracce di un disegno che ho inseguito nel mio
girovagare intertestuale attraverso lo spazio discorsivo di
scritti di donne lontane (o vicine) tra loro quanto lo sono
la Francia del 1949 e la frontera Messico-Stati Uniti nel-
l'anno domini 1987.
Come Beauvoir, Hartsock e MacKinnon, anche Wittig
parte dalla premessa che le donne non siano "un gruppo
naturale" con delle caratteristiche biologiche comuni, la
cui oppressione sarebbe dovuta a quella stessa "natura",
ma siano invece una categoria sociale: il prodotto di rap-
porti economici di sfruttamento e di una costruzione ideo-
logica. Per cui (ma qui già Wittig lascia Beauvoir per
seguire invece l'analisi femminista materialista di Christi-
ne Delphy), le donne sono una classe sociale con interessi
comuni basati sulla loro condizione specifica di sfrutta-
mento e dominazione, cioè l'oppressione di genere, la qua-
le offre loro una prospettiva, una posizione di conoscenza
e di lotta, analoga (come sostiene Hartsock, che però,
come si è visto, va in una direzione assai diversa) a quella
del proletariato. Le donne, quindi, possono prendere
coscienza di sé in quanto classe, e questa presa di coscien-
za in un movimento politico è ciò che rappresenta il fem-
minismo.
"La condizione delle donne," scrive Delphy, "è diventa-
ta 'politica' nel momento in cui ha dato inizio a una lotta,
e quando, contemporaneamente, si è cominciato a pensar-
la come oppressione." L'oppressione del proletariato era la

52 M. Wittig, One /s Not Born a Woman, in M. Wìttig 1992, pp. 9-20.

49
premessa necessaria per la teoria marxiana del capitale, e
la concettualizzazione di quella oppressione era possibile
soltanto dalla particolare posizione degli oppressi; allo
stesso modo "è soltanto dal punto di vista e dal1'esperienza
di vita delle donne che la loro condizione può essere vista
come oppressione". Il movimento delle donne e la concet-
tualizzazione femminista dell'esperienza delle donne
come oppressione esercitata e articolata in base a1 loro
sesso o genere, fanno della sessualità uno dei massimi luo-
ghi della lotta di classe. Questo arricchisce l'analisi storica
materialista di una nuova dimensione di esperienza, e dà
luogo a una nuova comprensione della sfera politica che
"potrebbe rovesciarla completamente. Ovvero si potrebbe
dire che la consapevolezza delle donne di essere oppresse
cambi la definizione stessa di oppressione".53
Tale ridefinizione dell'oppressione come categoria poli-
tica e soggettiva, alla quale si arriva solo dal punto di vista
delle oppresse, attraverso una lotta e come forma di
coscienza, va distinta dalla categoria economica dello
sfruttamento, che è una categoria oggettiva; e si riallaccia
invece alla definizione di oppressione formulata già alla
metà degli anni settanta dal collettivo femminista afroa-
mericano Combahee River Collective, che per primo ha
teorizzato una politica identitaria (identity politics ).
Le femministe nere e molte altre donne nere che non si defi-
niscono femministe hanno tutte vissuto l'oppressione sessua-
le come un fattore costante della nostra vita quotidiana, [ ... ]
Tuttavia, non avevamo modo di concettualizzare ciò che per
noi era cosi evidente, quello che sapevamo che stava realmen-
te succedendo [ ...] prima di acquisire i concetti di politica
sessuale, dominio patriarcale e, più importante ancora, fem-
minismo, ossia l'analisi e la pratica che noi donne usiamo per
lottare contro la nostra oppressione. [ ... ]
Questo rivolgere l'attenzione alla nostra oppressione è incor-
porato nel concetto di politica identitaria. Noi crediamo che
la politica più profonda e potenzialmente più radicale pro-

53 Ch. Delphy 1984, pp. 217,218.

50
venga direttamente dalla nostra identità. [...] Sebbene siamo
femministe e lesbiche, ci sentiamo solidali con gli uomini
neri progressisti e non auspichiamo il frazionamento preteso
dalle separatiste bianche. [ ...] Lottiamo insieme agli uomini
neri contro il razzismo, mentre lottiamo contro gli uomini
neri per quanto riguarda il sessismo. [ ...] È necessario artico-
lare la vera situazione di classe di persone che non sono sem-
plicemente lavoratori/lavoratrici prive di razza e di sesso,
bensl persone per cui l'oppressione razziale e sessuale sono
fattori determinanti nella loro vita lavorativa ed economica.
Sebbene siamo essenzialmente d'accordo con la teoria di
Marx, nella misura in cui si applicava alle specifiche relazio-
ni economiche da lui analizzate, sappiamo anche che la sua
analisi deve essere estesa ulteriormente affinché comprendia-
mo la nostra specifica condizione economica di donne nere. 54

L'analisi dell'oppressione economica e sociale si artico-


la sui vari assi secondo cui sono organizzate e gerarchizza-
te le differenze di classe, razza o colore, genere e sessua-
lità, appartenenza etnica ecc.; e si articola, da una parte, in
relazione alla soggettività e all'identità, e, dall'altra, in rela-
zione alla capacità di resistenza e di azione da parte del
soggetto. È tale analisi che rappresenta la nozione di
coscienza che ho cercato di delineare come storicamente
specifica del femminismo occidentale odierno. Non a
caso, quindi, l'analisi di Delphy ha vari punti in comune
anche con quella postmarxista di MacKinnon.
"La sinistra rifiuta un'analisi materialista [solo in rela-
zione all'oppressione delle donne], perché ciò potrebbe
condurre alla conclusione che sono gli uomini a beneficia-
re dello sfruttamento patriarcale, e non il capitale," scrive
Delphy in risposta alle femministe marxiste inglesi Michè-
le Barrett e Mary Maclntosh, dal momento .che "gli uomi-
ni sono la classe che opprime e sfrutta le donne." Se le
femministe socialiste insistono nel vedere l'oppressione
delle donne come "conseguenza secondaria dell'antagoni-
smo di classe tra uomini", e se tanto desiderano esimere

54 B. Smith 1983, pp. 274-278.

51
gli uomini dalla responsabilità dell'oppressione delle don-
ne, ciò può solo derivare dalla convinzione "che ci debba-
no essere necessariamente, tra la maggior parte degli
uomini e delle donne, dei rapporti stretti e permanenti in
ogni momento", convinzione fondata sull'ideologia dell'e-
terosessualità (e fermamente asserita da Beauvoir nel bra-
no sopra citato). Delphy conclude con quella che vorrebbe
essere una profezia: "Credo che questo sarà il prossimo
dibattito nel movimento [... ] la rottura dell'ultima barriera
ideologica e la via di uscita dal tunnel sulla questione del
rapporto tra lesbismo e femminismo". 55 Ma nel saggio
citato sopra, One Is Not Bom a Woman (scritto negli Stati
Uniti ma approssimativamente nello stesso periodo e nello
stesso contesto politico, cioè il lavoro della rivista "Que-
stions féministes", cui era stata vicina prima di lasciare la
Francia), Wittig ha già oltrepassato quella barriera e por-
tato l'analisi di Delphy molto più lontano.
In effetti, la via d'uscita dal tunnel porta a un bivio per
la teoria femminista: una strada (se le donne non sono una
classe di per sé) porta di nuovo al paradosso della donna,
alla differenza sessuale, alla filastrocca di genere, razza e
classe, al dibattito sulle priorità, e cosi via; l'altra strada
(se le donne sono una classe oppressa che lotta per la
scomparsa di tutte le classi) porta alla scomparsa delle
donne in quanto classe, ossia la scomparsa delle donne in
quanto donne. La divergenza di quest'ultima strada, quel-
la presa da Wittig, dagli scenari di un futuro femminista
cui ho accennato nella prima parte, diviene drastica quan-
do Wittig immagina come sarebbero le persone oggi chia-
mate donne in tale società senza donne. Il suggerimento le
viene dalla presenza, nel mondo di oggi, di una "società
lesbica" che, per quanto marginale, funziona per certi ver-
si autonomamente dall'istituzione eterosessuale. Poiché,
sostiene Wittig, le lesbiche non sono donne: "Il rifiuto di
diventare (o rimanere) eterosessuali ha sempre voluto dire

55 Ch. Delphy,A Materialist Femi11ism /s Possible, in Ch. Dclphy 1984,


pp. 178-179, 180, 181.

52
rifiutare di diventare un uomo o una donna, consciamente
oppure no. Per una lesbica questo va oltre il rifiuto del
ruolo 'donna'. È il rifiuto del potere economico, ideologico
e politico dell'uomo". 56 Tornerò su questo punto dopo aver
riassunto la tesi di Wittig.
Situandosi nell'ambito del femminismo materialista
che qui ho chiamato postmarxista, anche Wittig mette in
campo il materialismo storico e il femminismo liberale, e
con mossa strategica li pone l'uno contro l'altro e ciascuno
contro se stesso, dimostrando che sono entrambi inade-
guati per definire il soggetto in termini materialisti. Prima
mobilita i concetti marxisti di ideologia, classe e relazioni
sociali per criticare il femminismo dell'omologazione: i
termini dell'equazione genere = differenza sessuale, sostie-
ne Wittig, costruiscono la donna come una "formazione
immaginaria" in base al valore biologico-erotico delle don-
ne per gli uomini; ciò rende impossibile capire come gli
stessi termini "donna" e "uomo" siano "categorie politiche
e non dati naturali", e quindi porre in questione le vere
relazioni socio-economiche istaurate e mantenute dal
genere. Poi, però, rivendicando la nozione femminista del
sé, di una soggettività che, sebbene prodotta socialmente,
è percepita e vissuta dall'individuo nella sua singolarità
concreta, corporea, Wittig usa questa nozione contro il
marxismo, il quale, da parte sua, nega una soggettività in-
dividuale ai membri delle classi oppresse. Sebbene "mate-
rialismo e soggettività si siano sempre esclusi a vicenda",
coscienza di classe e soggettività individuale vanno tenute
in conto entrambe: senza quest'ultima, scrive, "non ci può
essere alcuna lotta o trasformazione reale. Ma è vero
anche l'opposto: senza il concetto di classe e la coscienza
di classe non esistono soggetti reali, esistono solo indivi-
dui alienati".
Ciò che unisce le due concezioni, materialismo e fem-
minismo, e permette di ridefinire sia la coscienza di classe
sia la soggettività individuale come storia personale, o

56 M. Wittig, 011e ls Not Boma Woman, in M. Wittig 1992, p. 13.

53
riscrittura di sé nel senso individuato poc'anzi a proposito
del saggio politico-autobiografico di Pratt, è il concetto di
oppressione che, si è visto, si è venuto elaborando nella
teoria femminista dagli anni ottanta in poi.
Quando scopriamo che le donne sono oggetti di oppressione
e di appropriazione, nel momento stesso in cui siamo capaci
di percepire ciò, diventiamo soggetti nel senso di soggetti
cognitivi, tramite un'operazione di astrazione. La coscienza
dell'oppressione non è solo una reazione (per combattere)
contro l'oppressione. È anche I~ completa rivalutazione con-
cettuale del mondo sociale, la sua completa riorganizzazione
per mezzo di nuovi concetti, dal punto di vista dell'oppressio-
ne [ ... ] chiamiamola una pratica cognitiva soggettiva. L'andi-
rivieni tra i livelli della realtà (la realtà concettuale e la realtà
materiale dell'oppressione, che sono entrambe realtà sociali)
è conseguito attraverso il linguaggio. 57

La "pratica cognitiva soggettiva" di Wittig è una ricon-


cettualizzazione del soggetto, del rapporto tra soggettività
e socialità, e della conoscenza stessa, da una posizione che
viene esperita come autonoma dall'eterosessualità istitu-
zionale e quindi eccede i limiti del suo orizzonte discorsi-
vo-concettuale.
Lesbica è il solo concetto che io conosca che sia al di là delle
categorie del sesso (donna e uomo), perché il soggetto desi-
gnato (lesbica) non è una donna né economicamente né poli-
ticamente né ideologicamente. Perché ciò che costituisce una
donna è una specifica relazione sociale con un uomo, una
relazione che precedentemente abbiamo chiamato servitù,
una relazione che implica un obbligo personale e fisico, cosi
come economico (residenza forzata, lavoro domestico non
retribuito, doveri coniugali, produzione illimitata di prole
ecc.), una relazione cui le lesbiche sfuggono, rifiutando di
diventare o di rimanere eterosessuali.58

57 Ivi, pp. 18-19.


58 Ivi, p. 20.

54
Ecco quindi in che senso Wittig propone la scomparsa
delle donne come obiettivo del femminismo. La lotta contro
gli apparati ideologici e le istituzioni socio-economiche del-
l'oppressione delle donne consiste nel rifiutare i termini del
contratto eterosessuale, non solo nella pratica del vivere ma
anche nella pratica del conoscere. Consiste nel concepire il
soggetto sociale in modo eccentrico, in termini autonomi o
eccedenti le categorie del genere. "Lesbica" è uno di questi.
La difficoltà di capire o definire un termine che non fa
parte di un dato sistema concettuale, sostiene Ma1ilyn
Frye, sta nel fatto che il linguaggio su cui si basa quel siste-
ma non è adatto a definirlo. Come mai, si chiede Frye,
"quando cerco di nominarmi e spiegare come o chi sono,
la mia lingua madre mi offre una parola [...] che vuol dire
'un'abitante di Lesbo'?". Il termine "lesbica" dimostra di
essere straordinariamente resistente alle procedure stan-
dard di analisi semantica, perché le lesbiche non sono
contemplate dallo schema concettuale dominante, cosl
come sono assenti dal lessico ufficiale della lingua inglese;
a tal punto che anche il tentativo di arrivare a una defini-
zione del termine "lesbica" con una serie di riferimenti
incrociati presi da vari dizionari è "un flirt con il non sen-
so, una danza attraverso una regione di lacune cognitive e
spazi semantici negativi". Tuttavia, aggiunge Frye, l'essere
fuori del sistema concettuale ci mette "nella posizione di
vedere cose che non possono essere viste dall'interno";
consente "un riorientamento dell'attenzione [e] delle pro-
prie capacità percettive", e quindi la messa in questione
della realtà sociale data. 59 In altre parole, se questa posi-
zione è fuori dal sistema concettuale, assumerla o occu-
parla significa dissociarsi, dis-identificarsi, dis-locarsi e
acquisire un punto di vista eccentrico al sistema.
Come la donna bianca "infedele alla civiltà" di cui scri-
ve Rich in Disloyal to Civiliz.ation, 60 come la "nuova mesti-

59 M. Frye 1983, pp. 160, 154, 171.


60 In A. Rich 1979, pp. 275-310. Questo saggio non è tradotto nella
edizione italiana.

55
za" di Anzaldua e le "donne di casa mia" di Smith, la lesbi.
ca di Frye "infedele alla realtà fallocratica" è il soggetto di
un "conoscere insolito", una pratica cognitiva, una forma
di coscienza che non è primordiale, universale o connatu.
rata al pensiero umano, come credeva Beauvoir, ma è sto.
ricamente determinata e tuttavia assunta soggettivamente,
politicamente. Come loro, la lesbica di Wittig non è sem.
plicemente una persona con una particolare "preferenza
sessuale", tanto meno una femminista con una "priorità
politica"; è un soggetto eccentrico al campo sociale, costi•
tuito in un processo di interpretàzione e di lotta, di riscrit•
tura di sé in relazione a un'altra cognizione del sociale,
della storia, della cultura.
Credo sia questa la "società lesbica" di cui parla Wittig:
non un termine che designa un tipo di organizzazione
sociale (non tradizionale), né il programma per una
società futuristica, utopica o distopica, come quelle imma.
ginate in The Female Man di Joanna Russ o come la comu.
nità di amazzoni in Les guérillères della stessa Wittig. Mi
pare invece un termine teorico, la figura di uno spazio
concettuale ed esperienziale ritagliato dal campo sociale,
uno spazio di contraddizioni, nel "qui e ora", che devono
essere affermate ma non risolte; spazio in cui l"'Altro/a
inappropriato/a", come l'immagina T. Minh•ha Trinh, "si
muove sempre con almeno due/quattro gesti: quello di
affermare 'io sono come te' mentre indica insistentemente
la differenza; e quello del ricordare 'io sono diversa' men•
tre sconvolge qualsiasi definizione di alterità si sia rag•
giunta".61
I termini "lesbica" e "società lesbica" sostengono la ten•
sione di questo gesto multiplo e contraddittorio. Nel men-
tre asserisce che le lesbiche non sono donne, Wittig ci met-
te in guardia contro gli scritti delle "lesbofemministe" in
America e altrove, che ci vorrebbero di nuovo intrappolate
nel mito della donna. Però rifiutare di essere una donna
non ci fa diventare uomo. Infine, dunque, "una lesbica

6 1 Trinh T. Minh-ha 1986-1987, p. 9.

56
deve essere qualcos'altro, non-donna e non-uomo". 62 Per-
ciò, quando Wittig conclude "siamo noi che storicamente
dobbiamo accollarci il compito di definire il soggetto indi-
viduale in termini materialisti", quel noi è una figura con-
cettuale: il punto di vista eccentrico dal quale riscrivere sia
il marxismo sia il femminismo, ricollegando la critica del
sistema sesso/genere con !'"economia politica del sesso",
come auspicava tempo fa Gayle Rubin. 63
Insisto. Il "noi" di Wittig non si riferisce a donne privi-
legiate, "qualificate per spiegare la condizione della don-
na", come pensava Beauvoir. La "società lesbica" non si
riferisce a una qualche collettività di donne omosessuali,
cosi come il termine "lesbica" non si riferisce semplice-
mente a una donna lesbica. Sono invece i termini concet-
tuali, teorici, di una forma di coscienza femminista che
può esistere storicamente soltanto nel "qui e ora" come
coscienza di qualcos'altro. Noi, lesbica, mestiza e altra
inappropriata sono tutte figure di quella posizione critica
che ho cercato di fare emergere e di riarticolare da vari
testi del femminismo contemporaneo: una posizione rag-
giunta attraverso pratiche di dislocamento politico e per-
sonale, attraversando i confini tra identità e comunità
socio-sessuali, tra corpi e discorsi. La posizione di un sog-
getto eccentrico.

62
M. Wittig, One /s Not Born a Woman, in M. Wittig 1992, p. 13.
63
G. Rubin 1976, tradotto in italiano con il titolo l.D scambio delle
donne. Di questo parlerò nei capitoli successivi.

57
2. Irriducibilità del desiderio e cognizione
del limite*

Il mio lavoro sulla soggettività femminile, una ricerca


interdisciplinare che si è svolta lungo un arco di oltre ven•
ti anni, principalmente negli Stati Uniti, è radicato nelle
pratiche del femminismo nordamericano, ma si awale di
apporti teorici e prospettive epistemologiche di provenien-
za europea. Vorrei qui riprendere e riflettere su alcuni con-
cetti o termini che a mio avviso costituiscono i grossi nodi,
i punti di articolazione, de] pensiero lesbico e femminista
sulla soggettività. Su questi cercherò un confronto con il
pensiero italiano attuale.
I termini che ho scelto, nell'ordine di una mia perso-
nale cronologia, sono: genere e differenza sessuale, iden-
tità e politica, sessualità e desiderio. Il mio discorso potrà
risultare in parte schematico nel tradurli o trasportarli
nel contesto italiano, ma a volte la traduzione (che, si sa,
è sempre anche un tradimento) può produrre uno scarto,
un salto concettuale, un di più di senso che spinge avanti
il pensiero e lo scardina dai concetti reificati e dalle frasi
fatte.

* Questo saggio è una versione ampliata della relazione presentata


all'incontro 1A soggettività femminile. Tra gender studies e pensiero della
differenza, tenutosi al Salone del Libro di Torino il 17 maggio 1996 e poi
pubblicata, con il titolo lA soggettività femminile, in "Lapis~, 31, settem-
bre 1996, pp. 56-58.

58
Genere e differenza sessuale

Il concetto di genere nel senso di gender è di recente


acquisizione nel pensiero critico italiano, e per lo più in
quello europeo, mentre negli Stati Uniti e in altri paesi
anglofoni è nato con il movimento delle donne negli anni
settanta, ed è stato elaborato dalla critica femminista nel
contesto dei womens studies. Tant'è vero che gli odierni
gender studies, in Nordamerica, sono sorti molto dopo e
proprio in opposizione al femminismo radicale e a una
ricerca che privilegia la produzione culturale femminile e
gli studi delle donne.
Negli anni settanta, dunque, genere, differenza sessuale
e sessualità erano praticamente sinonimi nel discorso fem-
minista, per poi scindersi - grosso modo, negli anni ottan-
ta - in due categorie antitetiche: da un lato sessualità o
sesso, pensati come dati naturali, biologici, anche se non
in senso eterononnativo; dall'altro lato gender o differenza
sessuale, visti come costruzioni sociali e ideologiche del
patriarcato, a tutto svantaggio delle donne (e di certi
uomini). Rimanevano comunque fermi il principio etico di
integrità o coerenza tra vita e pensiero politico ("il perso-
nale è politico"), che tuttora costituisce una premessa fon-
dante del femminismo, e l'idea di una sessualità femmini-
le naturale su cui la società patriarcale sovraimponeva il
genere come struttura istituzionale dell'oppressione delle
donne. 1

1 Il primo e il più influente lavoro femminista sul genere, Lo scambio

delle do1111e di Gayle Rubin (cfr. Rubin 1976), usava il termine sexlgender
system (sistema sesso/genere) per designare l'insieme "dei dispositivi tra•
mite i quali una società trasforma l'istinto sessuale biologico in prodotto
dell'attività umana e attraverso cui i bisogni sessuali, cosl trasformati,
sono soddisfatti" (pp. 24-25). E dimostrando ulteriormente la sinonimia
di sesso e genere tipica del pensiero femminista degli anni settanta,
Rubin riassumeva le teorie di Freud sulla sessualità femminile con una
frase oggi sorprendente: "La psicoanalisi è una teoria del genere" (p. 55).
Una decina di anni dopo, però, la stessa Rubin, in un saggio altrettanto
influente, Thi11ki11g Sex (cft-. Rubin 1993), sosteneva la necessità di elabo-
rare una teoria e una politica del sesso a11to11ome dalla critica femminista

59
In tale contesto il mio lavoro sulle "tecnologie del gene-
re" (di cui un capitolo è tradotto in Sui generi$ [cfr. de
Lauretis 1996a]) analizzava la costruzione sociale del
genere e la sua introiezione o assunzione da parte dei sin-
goli individui come effetto di discorsi e rappresentazioni
che, insegna Foucault, si ancorano a dispositivi di potere,
ossia a istituzioni sociali quali la famiglia, la scuola, la
medicina, il diritto, il linguaggio, i mass media, ma anche
a pratiche culturali (la letteratura, l'arte, il cinema) e a
saperi disciplinari-disciplinati, quali la filosofia o la teoria.
Il soggetto sociale, sostenevo, non è dotato di una sessua-
lità naturale, innata o originaria, ma si costituisce - e si
costituisce sessuato - come effetto delle rappresentazioni
del genere, nell'identificarsi in esse, nel farle proprie; il
soggetto quindi è costruito o meglio in-generato in una
continua interazione - in una soggezione interattiva,
potremmo dire oggi, nel linguaggio dei videogame - con le
tecnologie del genere. La presa di coscienza derivante da
questa analisi, e dall'analisi della macroistituzione che sot-
tende tutte le tecnologie del genere, cioè l'istituzione dell'e-
terosessualità, fa si che il soggetto del femminismo - e non
dico il soggetto femminile - si ponga in posizione critica,
distanziata, eccentrica rispetto all'ideologia del genere.
Per questo l'ho chiamato un soggetto eccentrico, vale a dire
non immune o esterno al genere, ma autocritico, distan-
ziato, ironico, eccedente, insomma eccentrico.
E alla luce dell'attuale ripresa del dibattito italiano sul-
la questione dell'eterosessualità obbligata, di cui dirò tra
poco, è forse bene ricordare che senza un'analisi di tale
macroistituzione del potere maschile sulle donne, il fem-
minismo non può andare oltre le strategie emancipazioni-
ste e si limita al momento utopico o visionario, che è sem-
pre necessario ma non sufficiente. Senza tale analisi, a
mio parere, non si possono gestire quelle possibilità di
contrattazione che le donne effettivamente hanno all'inter-

del genere. Dell'ingarbugliato nesso semantico tra genere, sesso e sessua-


lità dirò di più nel capitolo 3.

60
no del1e strutture di potere quando queste vengano conce-
pite, con Foucault, come un campo di forze in cui poteri e
resistenze sono esercitati da punti mobili e variabili. Non
c'è bisogno di portare a esempio Lisistrata, basta pensare
ai cambiamenti o agli spostamenti awenuti nelle società
occidentali tardocapitaliste negli ultimi venti o trenta
anni, nel periodo che corrisponde al secondo femmini-
smo; e dico spostamenti in un campo di forze, piuttosto
che vittorie, perché tali cambiamenti non hanno segnato
un semplice progresso nel1a lotta delle donne contro il
patriarcato, ma hanno riconfigurato le rispettive posizioni
e modalità sia di resistenza che di potere.
A1 momento attuale, in Nordamerica, sesso, sessualità
e genere sono tornati a essere quasi sinonimi, per esempio
nel discorso cosiddetto postgender, nella cui ottica postmo-
derna, funzionalista e volontarista sia sesso/sessualità sia
genere sono visti come costrutti discorsivi che, pertanto,
possono essere risignificati tramite pratiche di performan-
ce o addirittura rifatti chirurgicamente. Mentre i1 termine
differenza sessuale, concepita esclusivamente come diffe-
renza tra uomo e donna (ossia differenza che raggruppa i
soggetti umani in due categorie antitetiche escludentisi a
vicenda - tutti gli uomini in una, tutte le donne neH'altra -
a prescindere dai tanti altri fattori che partecipano alJa
costituzione del soggetto, quali cultura, classe, "razza",
disposizione o scelta sessuale, religione, e cosl via), è cadu-
to in disuso anche nel pensiero teorico e nel1e pratiche del
femminismo radicale, ed è stato invece sostituito dal plu-
rale, differenze sessuali, owero differenze tra vari tipi di
disposizione sessuale devianti o meno rispetto alla sessua-
lità eterononnativa, i quali contribuiscono alla (tras)for-
mazione della soggettività, ma non ne sono l'unica deter-
minante.
Per soggettività intendo i modi e le diverse modalità del
mio essere soggetto che in Sui generiS ho articolato nel
concetto di esperienza ma nei miei lavori in corso sto
ripensando come autotraduzione. Soggetto lo intendo ne1
doppio senso di (a) essere, individuo, persona soggetta -

61
sottoposta, assoggettata - a regole, costrizioni, norme
sociali più o meno rigide (per esempio, le regole assai rigi-
de del sistema di parentela; le costrizioni, un po' meno
rigide, che definiscono le classi sociali; le norme che rego-
lano i comportamenti e le aspettative del generelgender; i
discorsi pseudoscientifici, nonché ideologici, su razza,
etnia ecc.); ma anche (b) soggetto nel senso di soggetto
grammaticale: chi esiste, agisce, compie le azioni descritte
dal predicato, ossia soggetto o "Io" dotato di esistenza,
capacità di agire, di volere ecc.
Il termine soggettività, dunque, ha due valenze. Una è
quella di assoggettamento o soggezione a determinate
costrizioni sociali (ma non solo sociali). Caltra è quella di
capacità di autodeterminazione, autodifesa, resistenza
all'oppressione, alle forze del mondo esterno, ma anche
resistenza e autodifesa da forze che agiscono nel mondo
interno, ciò che Freud chiama l'Es e il Super-Io. Basti pen-
sare ai meccanismi psichici di difesa dell'Io: rimozione,
diniego, proiezione ecc. Poco fa ho detto "ma non solo
sociali" perché il soggetto sociale è sempre anche soggetto
psichico, e quindi attraversato da desideri, pulsioni, fanta-
sie o fantasmi consci e inconsci che costituiscono un'altra
modalità di costrizione. E spesso queste due modalità
sono in contraddizione tra loro. Per esempio: "Ho delle
corde della mia sensibilità che non coincidono con la mia
volontà di essere femminista e con la pratica che ho fatto
nel femminismo", afferma Adriana Cavarero durante un
dialogo con Rosi Braidotti tenutosi al Filo di Arianna di
Verona e pubblicato su "DWF" con il titolo Il tramonto del
soggetto e l'alba della soggettività femminile. 2
Diversamente dall'affermazione di ambivalenza di
Cavarero, che riguarda la contraddizione all'interno del
soggetto nella sua singolarità, il titolo esplicita una con-
traddizione sul piano discorsivo-teorico, in quanto pare
voler sganciare la soggettività femminile dal soggetto (pre-
sumibilmente cartesiano) ormai al tramonto, per poi rico-

2 R. Braidotti-A. Cavarero 1993, p. 75.

62
stituirla ex novo, agli albori di quello che Braidotti chiama
"questo periodo del dopodonna". 3 Ma quale soggettività
femminile venga cosi ricostituita rimane ambiguo e con-
traddittorio. Spiegano infatti le organizzatrici, citando
Braidotti, che "l'io è solo una necessità grammaticale", ma
poi aggiungono: "Si è femministe perché lo si vuole forte-
mente, con tutta 1'energia e la passione che un soggetto è
in grado di esprimere" .4 Dunque questo io che vuole forte-
mente non può essere solo una necessità grammaticale, e
anzi esprime ancora una soggettività in positivo, un sog-
getto senza divisioni o ambivalenze, arricchito di una cor-
poreità potenziata tecnologicamente e agito solo - sembre-
rebbe - dalla volontà.
Questo esempio recente, tratto dal contesto italiano,
riconferma una contraddizione che avevo individuato
come caratteristica del femminismo nordamericano già
negli anni ottanta: "Una duplice tensione in direzioni
opposte - la negatività critica della sua teoria, e la positi-
vità affermativa della sua politica - è al tempo stesso la
condizione storica di esistenza del femminismo e la sua
condizione teorica di possibilità" .5 La contraddizione che
deriva da questa duplice tensione non può essere dunque
risolta, ma va messa in luce e analizzata poiché, se vivere
la contraddizione è condizione di esistenza di una sogget-
tività femminista, analizzarla è condizione di una politica
femminista.
Mi spiego: possiamo essere tutte d'accordo con Brai-
dotti che l'Io, come il genere, come il corpo, è una costru-
zione sociale, linguistica, un effetto del discorso, e non un
dato naturale, a priori, preesistente al sociale o alla semio-
si. Eppure l'Io è anche una necessità politica, una neces-
sità di sopravvivenza sia fisica che psichica, e quindi
anche epistemologica. È un lo corporeo, come dice Freud,
magari immaginario (dice Lacan), ma tale che quanto più

3 Ivi, p. 73.

"Ivi, p. 71.
3 T. de Lauretis 1996a, p. 163.

63
lo si estende operando sui dati fisici del corpo, ricostruen-
dogli parti, organi, genitali, potenziandolo o modificando-
lo con protesi, insomma quanto più si fa cyborg, tanto più
questo corpo deve far riferimento a un Io, soggetto deside-
rante e soggetto politico: soggetto preso in una duplice
tensione, erotica ed etica, che a volte lo immobilizza, altre
volte gli apre le porte e le finestre dell'impensabile.
In certi casi il soggetto oppone resistenza all'ottimismo
della volontà: "Quello che cercavo di dire sulla corporeità
singolare è dal punto di vista politico un punto di resisten-
za. È ciò che voglio opporre alÌ'invasione tecnologica [... ]
bisogna anche misurarsi con le negazioni e le limitazioni
del proprio corpo".6 In altri casi il soggetto avanza pretese,
istanze e diritti, primo fra tutti il diritto al riconoscimento
sociale. Per esempio, il Manifesto Cyborg di Donna
Haraway rivendica, nei primi anni ottanta, il riconosci-
mento sociale di un soggetto femminile allora insorgente
negli Stati Uniti, la donna di colore; e negli anni novanta un
analogo manifesto di Sandy Stone chiede il riconoscimen-
to sociale del soggetto transessuale. 7 Ancora negli anni
novanta, l'affermazione di una identità lesbica in Italia è un
esempio di soggettività politica femminista che, rivolgen-

6R. Braidotti•A, Cavarero 1993, pp. 83-84.


7 D. J. Haraway, 1995; S. Stone 1991. Il libro di Judith Butler, Co,pi
che contano (cfr. Butler 1996), fornisce un ulteriore esempio di contrad-
dizione tra negatività della teoria e positività della politica: per un verso
sostiene che il soggetto non esiste se non come effetto della citazionalità
stessa del potere, che l'Io acquista esistenza solo citando, reiterando la
legge tramite una "pratica ripetitiva o riarticolatorla, immanente al pote-
re" (p. 15), per cui l'Io è sempre interno al potere e in complicità con esso.
D'altro canto, però, Butler ci dice che le pratiche queer effettuano una
"riconversione dell'abiezione in azione politica" (p. 20), una politica che
vuole dare legittimità ai corpi abietti, esclusi dal corpo sociale, vale a dire
ai corpi omosessuali, e trasformarli in "corpi che contano", ossia corpi
riconosciuti socialmente come "vite [••. ] preziose e degne di sostegno".
Ma come questa politica della risignificazione possa aver luogo se non ci
sono soggetti che la praticano {dato che, Butler sostiene, il soggetto non
esiste), rimane una questione irrisolta che crea contraddizione all'interno
del suo stesso discorso teorico.

64
dosi alle altre donne, chiede, anzi esige, il riconoscimento
della propria esistenza e della propria specifica differenza
al fine di articolare un progetto politico comune.

Identità e politica

Ma perché è tanto difficile intendersi, a volte, su cosa


possa costituire un progetto politico comune? È inevitabi-
le che l'istanza di riconoscimento espressa in termini di
identità porti a una politica identitaria? Che rapporto c'è
tra soggettività e politica? A questo proposito mi pare
esemplare il testo delle discussioni tra il gruppo milanese
dei "Quaderni Viola" e il "Laboratorio di critica lesbica",
discussioni basate su materiale fornito dal "Laboratorio" e
svoltesi durante tre incontri (l'ultimo dei quali è riportato
nel testo) che le redattrici definiscono "viaggio di alcuni
mesi nella politica lesbica". 8 Motivato da un"'ostinata
volontà di intendersi, al di là dei linguaggi e delle imposta-
zioni diverse" (p. 18), e inteso come l'inizio di un dialogo
tra il movimento femminista e quello lesbico, che in Italia
non era ancora avvenuto - in parte, paradossalmente,
impedito da categorie politiche specifiche del femminismo
italiano, quali la cosiddetta "pratica delle relazioni tra
donne" 9 - il testo dei "Quaderni Viola" è esemplare in
quanto mette in evidenza sia le ragioni politiche dell'uno e
dell'altro gruppo nel tentativo di convergere verso un pro-
getto comune (un femminismo forte nella lotta contro il
patriarcato per la trasformazione delle strutture di pote-
re), sia, d'altro canto, un'incomprensione di fondo circa il
significato e la valenza affettiva di certi termini.
Partendo da un confronto sui termini identità e diffe•
renza, identità e politica, su cui non paiono esserci diver-

8 Una, due, tre discussioni ... tanto per cominciare, in "I Quaderni Vio-
la", 1996, pp. 18-32.
9 Sui difficili rapporti tra lesbismo e femminismo si vedano S. Spi-

nelli 1986 e B. Pomeranzi 1985.

65
genze irrimediabili, la discussione va poi a focalizzarsi e
ad arenarsi sulla questione dell'eterosessualità obbligatoria.
Da un lato si riconosce il valore politico del lesbismo per
tutte le donne e l'importanza vitale di un'identità lesbica
per le donne lesbiche:
Il lesbismo è reso invisibile perché esprime libertà e indipen.
denza femminili, che sono intollerabili in quella trama di rap.
porti che relega le donne nel ruolo di "riproduttrici". Questo
dovrebbe essere il legame ovvio tra lesbiche e femministe.
Ecco quindi che io non conc~isco un femminismo che non
veda il valore politico del lesbismo; mi pare un femminismo
debole, che non sa bene di cosa parla quando parla di patriar.
cato (e appunto può permettersi di darlo per terminato e non
parlarne più!). [ ...} La visibilità lesbica è fondamentale perché
crea immaginario per tutte le donne, non solo per le lesbiche
(Giulia, "Quaderni Vìola", 1996, p. 27).
La questione dell'identità è stata importante per i soggetti
oppressi o segregati o discriminati, che hanno dovuto rico.
struire la propria immagine prima di tutto dinanzi a se stessi,
perché spesso avevano interiorizzato la svalorizzazione e il
disprezzo degli altri. Nel caso delle lesbiche l'identità può
coincidere con la stessa possibilità di esistenza: si può non
sapere di esistere perché il silenzio assoluto che ha tradizio.
nalmente circondato il lesbismo priva della stessa possibilità
di riconoscersi, trasformando l'esistenza in un indefinito
malessere.[...] Bisogni-identità-progetto io li vedo come arti-
colazioni della soggettività politica (Lidia, "Quaderni Viola",
1996, p. 20).

Dall'altro si richiede di riconoscere alla sessualità la


capacità di strutturare non solo la soggettività ma anche i
rapporti sociali, e quindi di accettare il concetto di etero-
sessualità obbligatoria come categoria politica del femmi-
nismo.
Che cosa vuol dire [ ...} mediazione tra le lesbiche e le etero-
sessuali? Trovare dei punti in comune? Quali sono questi
obiettivi che possiamo condividere? Sicuramente riconoscere
nelle dinamiche del mondo le regole di negazione e sopraffa-

66
zione sociale e simbolica operate nei confronti delle donne e
delle lesbiche può considerarsi punto di partenza per entram•
bi i soggetti. Ciò non basta, è solo il punto di partenza da cui
deve svilupparsi una progettualità radicale di trasformazione
delle strutture di potere. Una di queste strutture è [ ••. ] l'etero-
sessualità obbligatoria (Antonia, del gruppo Laboratorio di
critica lesbica, LCL, "Quaderni viola", 1996, p. 26).
Quando noi veniamo a chiedeIVi di constatare un evidente
obbligo all'eterosessualità, che va a tutto vantaggio del genere
umano maschile, non vi stiamo proponendo di diventare
lesbiche, ma di acquisire l'eterosessualità obbligatoria come
criterio di intelligibilità politica, utile a una migliore defini-
zione dei problemi. Vi stiamo chiedendo di notare che l'obbli-
go all'eterosessualità è costantemente espunto dalla riflessio-
ne politica, nonostante sia cosl importante da interferire con
la nostra felicità, con la nostra libertà (Cristina, LCL, "Qua-
derni viola", 1996, p. 31).

E qui cominciano le incomprensioni. Pur ammettendo


che "la critica lesbica dell'eterosessualità amplia anche il
mio orizzonte di eterosessuale" (Rosa, p. 24), che "se si
può scegliere, cambia il senso stesso della scelta eteroses-
suale" (Nadia, p. 25), e che "mettere in questione l'ovvietà
dell'eterosessualità può avere un significato politico" in
quanto il patriarcato se ne serve per perpetuarsi (France-
sca, p. 29), le donne dei "Quaderni Viola" affermano di
non capire: "Non ho capito dal punto di vista del metodo
politico; non ho capito nel merito e non ho capito quali
implicazioni pratiche potrebbe avere la critica all'eteroses-
sualità obbligatoria" (Lidia, p. 31 ).
Ciò che non viene capito, mi pare, è il doppio registro
in cui opera questo termine, slittando insensibilmente dal-
l'uno all'altro campo semantico: in uno eterosessualità sta
per "scelta" o comportamento sessuale, nell'altro eteroses-
sualità equivale a istituzione sociale. 10 Il fatto stesso che il

10
Questo è un problema analogo allo slittamento del termine omo-
sessualità dal significato "sessualità lesbica" o "sessualità gay'' - ossia due
diversi tipi di sessualità - al significato che si può indicare con la grafia

67
termine istituzione eterosessuale o istituzione dell'eteroses-
sualità, ora usato comunemente nel discorso femminista
anglo-americano, non compare mai in questo testo, dove
si parla piuttosto di "critica lesbica dell'eterosessualità" o
di un "accanito attacco lesbico all'eterosessualità obbliga-
toria" (p. 28, corsivo mio), è indice dello spostamento di
enfasi dalla categoria politica di istituzione a quella priva-
ta di comportamento sessuale.
Qualcosa di simile è avvenuto negli Stati Uniti all'inizio
degli anni ottanta, di cui ho scritto nel capitolo preceden-
te. Riassumo quindi per sommi capi. Si obiettò che l'etero-
sessualità obbligatoria era una categoria pertinente all'op-
pressione delle donne solo nel caso di donne legate agli
uomini da vincoli di dipendenza economica, sociale o
affettiva che danno agli uomini il controllo del corpo fem-
minile, quali il lavoro, il matrimonio o la maternità. Si dis-
se, per esempio, che le donne economicamente indipen-
denti, le ragazze madri o le donne nere (cui il ruolo econo-
mico e affettivo di capofamiglia viene conferito dalla fre-
quente assenza del padre e altre particolarità della cultura
afroamericana) potevano evitare tali vincoli pur avendo
rapporti sessuali con uomini. Ma è risultato evidente che
anche quelle donne che individualmente riescono a evitare
la dipendenza economica o affettiva dai propri partner
sessuali in casa propria, nella sfera pubblica sono ugual-
mente soggette agli effetti sistematici di un simbolico e un
immaginario sociale che le definiscono donne agli occhi di
tutti gli uomini e ai loro stessi occhi; e più esattamente le
definiscono, come definiscono tutte le donne, eterosessua-
li: per esempio sul lavoro o per quanto concerne la possi-
bilità di molestie sessuali, stupro, incesto ecc.
Questo dimostra che la presunzione di eterosessualità
è comunque implicita non solo nelle istituzioni civili -

(ii)omosessualità, cioè omosessualità pensata come semplice variante


dell'eterosessualità istituzionalizzata (vale a dire la sessualità riprodutti•
va in cui maschio e femmina sono entrambi necessari e complementari),
variante in quanto è agita da due persone dello stesso sesso, Ho analizza.
to l'ambiguità concettuale di questo tennine in T. de Lauretis 1989.

68
famiglia, lavoro, maternità - ma anche in tutti gli altri
meccanismi del dominio maschile; è un asse portante del-
la struttura sociale e un apriori ideologico, non detto,
occultato o inconscio, di tutte le formazioni culturali
dominanti. È in questo senso che l'eterosessualità è obbli-
gatoria: è istituzionalizzata, ha assunto il carattere norma-
tivo, sistematico e astratto (ossia astraibile dall'agire dei
singoli individui) proprio delle istituzioni. Può dunque
essere analizzata come istituzione, anzi come macroistitu-
zione che sottende e su cui si fondano altre istituzioni e
tecnologie sociali. 11
Se nelle discussioni dei "Quaderni Viola" la critica del-
1'eterosessualità viene recepita in ultima istanza come una
critica delle donne lesbiche alle femministe eterosessuali,
come ressentiment o rivendicazione settaria (p. 21), è in
parte perché lo slittamento del termine da un registro
all'altro avviene nei discorsi di ambedue i gruppi. Si legge
in uno dei materiali proposti dal "Laboratorio":
Una parte del movimento politico delle donne ci ha fatto sco-
prire figure di libertà femminile il cui tratto distintivo è la
sottrazione di sé al patto sessuale con gli uomini. Le sante, le
monache, le cosiddette eretiche sono gli esempi di libertà.
Perché? Queste donne hanno scelto per sé l'unica possibilità
che una donna ha di essere veramente libera: spostare il pro-
prio desiderio sessuale dagli uomini. Sottrarsi alla materia-
lità del rapporto con gli uomini è la forma primordiale, è la
condizione primaria di un progetto di libertà. Bisogna assu-
mere la sessualità non come mero comportamento, né tanto-
meno come scelta che può distinguere le nostre preferenze
sessuali ma come codice che significa in maniera originaria i
soggetti e l'ordine dei discorsi e dei significati.1 2

11 Nel discorso femminista angloamericano il concetto di istituzione


eterosessuale è entrato, non senza resistenze da parte anche di donne
lesbiche, con un testo di movimento scritto dal collettivo Purple Septem-
ber Staff, The Nonnative Status of Heterosexuality, ma il testo più noto, il
cui titolo è passato nel discorso italiano, è Eterosessualità obbligatoria ed
esistenza lesbica di Adrienne Rich (cfr. A. Rich 1985). Sull'apporto del pen-
siero lesbico al femminismo nordamericano si veda il capitolo precedente.
12 A. Ciavarella 1995, p. 43.

69
Anche se il senso dell'ultima proposizione è chiaro e
riassume perfettamente il concetto teorico su cui fa perno
la posizione del "Laboratorio", la costruzione retorica e
l'argomentazione del passo che ho citato tendono a
confondere le acque. Non è solo il tono magistrale o il
carattere assiomatico di queste affermazioni a provocare
l'impressione di settarismo, ma anche lo slittare concet-
tuale del discorso dal particolare al generale: dai singoli
individui (sante, monache, eretiche, di cui si presume una
scelta che a me pare basata soprattutto nella mitologia di
un certo femminismo) al loro stàtus di exempla ("figure di
libertà femminile"), dai soggetti concreti (le donne che
hanno scelto di "spostare il proprio desiderio sessuale
dagli uomini") all'astrazione di una forma primordiale
("Sottrarsi alla materialità del rapporto con gli uomini è la
forma primordiale, è la condizione primaria di un proget-
to di libertà"); e infine dall'eterosessualità come comporta-
mento sessuale ("Sottrarsi alla materialità del rapporto
con gli uomini") all'eterosessualità come macrocodice
semiotico, ossia come istituzione ("Bisogna assumere la
sessualità non come mero comportamento... ").
Una possibile spiegazione dell'ambiguità teorica di
questo passo, e forse anche delle incomprensioni da parte
delle interlocutrici, è da ricercarsi nei testi proposti dal
"Laboratorio" come base per la discussione e ristampati
nella sezione "Documenti" del quarto "Quaderno Viola".
Tra di essi, oltre a cose recenti, vi sono due scritti degli
ultimi anni settanta, The Straiglit Mind (1980) di Monique
Wittig e Riflessioni su separatismo e potere (1983) di
Marilyn Frye, che rappresentano due posizioni teoriche e
politiche storicamente importantissime per lo sviluppo del
pensiero lesbico e del femminismo radicale in Nordameri-
ca, ma datate ai dibattiti di quegli anni. In essi, come pure
nel famoso saggio di Adrienne Rich dello stesso periodo
(cfr. nota 11), la sessualità veniva concepita principalmen-
te come il terreno, il luogo e il mezzo dell'oppressione di
genere, ed era del tutto assente il discorso sul desiderio. È
mia impressione che quelle idee sulla sessualità, contenu-

70
te nei testi riproposti dal "Laboratorio" nel contesto italia-
no odierno, e riprese assieme alle tematiche del pensiero
della differenza (libertà femminile), producano lo slitta-
mento concettuale per cui dalla critica dell'istituzione ete-
rosessuale si passa alla prescrizione di sottrarsi al rappor-
to eterosessuale.
È dunque a proposito che Lidia risponde, mettendo a
fuoco il problema di fondo:
So benissimo che il desiderio sessuale può mutare per ragio-
ni ideologiche, culturali, sociali. Ma so anche che questo non
avviene a comando, né per uno sviluppo coerente e intransi-
gente della critica alla società patriarcale. [ ...] Certo, una fem-
minista eterosessuale vive contraddizioni e lacerazioni anche
gravi, ma dov'è scritto che una lesbica è poi cosi serena e con-
ciliata con sé o che, se ha contraddizioni, sono tutte legate al
tabù sociale? A me sembra che la letteratura lesbica dica
tutt'altro ("Quaderni viola", 1996, p. 21).

Il desiderio sessuale, che era stato espulso dalla formu-


lazione della soggettività politica ("bisogni-identità-pro-
getto"), rimosso o accantonato dall'esigenza di coerenza
ideologica, ora rientra dalla finestra, o meglio irrompe sin-
tomaticamente nell'accalorarsi della discussione. E fa
ripensare all'osservazione di Silvia, purtroppo ignorata
dalle altre: "Se l'imposizione sociale funziona vuol dire che
incontra nell'individuo un fantasma che lo [sic] asseconda.
La cultura eterosessuale ha tanto potere perché incontra
dentro di noi il nostro destino di figlie e di figli, il fantasma
della filiazione. [... ] I:uomo è una tentazione narcisistica
formidabile per la donna" (p. 28).
Se dunque è cosi difficile intendersi sulla critica all'ete-
rosessualità obbligatoria come categoria fondante di una
progettualità politica comune, non è tanto perché non se
ne veda, da entrambe le parti, la validità politica di critica
radicale al patriarcato, che finito ancora purtroppo non è,
quanto perché, come afferma Lidia (e diciamocelo tutte
una buona volta), al desiderio non si comanda. È questa
irriducibilità o refrattarietà del desiderio che fa slittare il

71
termine eterosessualità obbligatoria da categoria di intelli-
gibilità politica a scenario pulsionale o fantasmatico, e
questo è vero, con valenza diversa, sia per le donne lesbi-
che sia per le donne eterosessuali. Appare allora un'altra
dimensione della soggettività: non più semplicemente
politica ma appunto soggettiva, singolare, legata al deside-
rio, ai fantasmi, all'esperienza e al sapere di un corpo, a
investimenti pulsionali e narcisistici che possono contra-
stare con la volontà politica e opporre resistenza alla stes-
sa comprensione concettuale. E questa dimensione della
soggettività non porta identità Ìna divisione.

Sessualità e desiderio

Sul fantasma della filiazione e sulla tentazione narcisi-


stica del rapporto amoroso ha raccolto testimonianze illu-
minanti Lea Melandri in una serie di articoli sulle scrittu-
re femminili (memorie, riflessioni, pensieri e fantasie di
donne), usciti sulla rivista "Noi Donne" tra il 1989 e il
1992. In questi frammenti di scrittura privata Melandri
legge il rapporto d'amore eterosessuale come fantasia (o
fantasma, nell'accezione psicoanalitica) di plenitudine
corporea, l'illusione di ritrovare una unità o completezza
perduta con la nascita e con la separazione dal corpo
materno. Per una delle scriventi il fantasma si manifesta
quando rimane incinta, poiché solo nel diventare madre si
sente di nuovo "degna del corpo di mia madre [... ] all'altez-
za del mio corpo femminile. [ ... ] Ero 'piena di grazia'" . 13
Per un'altra si manifesta nel voler trattenere "dentro di lei,
sulla sua pelle, dentro al suo sesso [ ... ] il ricordo dell'uomo
che l'ha posseduta, desiderata, stuprata". Melandri com-
menta:
La solitudine, che risorge ogni volta a raccogliere il pianto di
una bambina o di una donna, si mostra allora nella sua

13 L. Melandri 1996, pp. 62-63.

72
duplice funzione: testimonianza di una perdita irreparabile
e ostinata riaffermazione del desiderio di possesso assoluto,
come ritorno nell'involucro caldo di una madre o tratteni-
mento presso di sé dell'uomo figlio, perché nel suo ergersi
separato ed estraneo non segnali il principio della storia, di
ogni storia. 14

La solitudine, il senso di separatezza e divisione che


costituisce l'Io corporeo e segna l'inizio di ogni storia e la
possibilità stessa della storia - storia personale, storia col-
lettiva, storia nel senso di racconto, scrittura, narrazione -
si configura in varie forme nel pensiero novecentesco,
prendendo i nomi di separazione dal corpo materno, divi-
sione del soggetto nel linguaggio, différance, alienazione,
alterità ecc. Da lì nascono il desiderio, le illusioni che lo
sorreggono, i fantasmi in cui si articola la sessualità e con
essa la dimensione corporea e psichica della soggettività;
ma da lì nascono anche la progettualità politica, il bisogno
di identità e riconoscimento, di individualità e collettività,
di singolarità e appartenenza.
Dall'esperienza di separazione, vissuta contempora-
neamente nel senso soggettivo, nel senso sociale e in quel-
lo politico che alcune ancora chiamano separatismo, può
provenire la spinta a immaginare, costruire, teorizzare e
vivere una soggettività al tempo stesso politica e sessuata,
un corpo erotico che si dà rappresentazione, invece di eli-
dersi, in un corpo sociale, un soggetto che si reinterpreta
e si ridefinisce in una storia in fieri. Come scrive Liana
Borghi:
È un luogo comune ormai tra noi che la sessualità sia il cuo-
re dell'identità lesbica; che la lesbica sia per antonomasia l'a-
mante [ ... ] che l'identità lesbica molto dipenda dall'attraver-
samento del corpo dell'amante e quindi dal riconoscimento,
che ne consegue, del mutamento di percezione rispetto agli
schemi eterosessuali. [ ... ] Se il rapporto amante-amata ha
come scopo la riappropriazione del corpo erotico, il rapporto

14 Ivi, p. 60.

73
lesbica-comunità si configura come il luogo della riappro-
priazione del corpo sociale, come lo spazio della volontà e
della progettualità, come il terreno dove la costruzione di un
linguaggio comune attualizza il nuovo sé. È anche il luogo
dove il soggetto si rappresenta come soggetto storico inter-
pretando un passato individuale e collettivo come tradizione,
come storia. 15

Ma nella dimensione della soggettività che ho detto


corporea e psichica, la quale è attraversata da pulsioni di
vita e di morte, da rimozioni, ambivalenze e compromes-
si, il desiderio si configura in fantasmi di unità e di divi-
sione: si articola nella parola che crea spazio simbolico,
autorappresentazione, progettualità, teoria, politica, ma
si manifesta anche nel gesto sintomatico, nella ripetizio-
ne di schemi affettivi e scenari fantasmatici che impedi-
scono la parola affermativa, inceppano i progetti, inter-
pongono negatività, resistono all'incedere sicuro della
storia.
È utile rileggere dei testi in cui questa negatività o
refrattarietà del desiderio veniva presa in considerazione,
analizzata o almeno tematizzata, testi in un certo senso
"originari" del pensiero femminista italiano perché legati a
una delle sue prime pratiche, la pratica dell'inconscio. È
utile, direi anzi necessario, come fa Ida Dominijanni nella
sua introduzione a La politica del desiderio di Lia Cigarini,
ri-presentare le figure dell'estraneità, della "donna muta",
del "non-politico":
Il ritorno del rimosso minaccia ogni mio progetto di lavoro,
di ricerca, di politica. Minaccia, o è la cosa realmente politica
di me, cui dare sollievo, spazio? [ ...J C'è stato un cambiamen-
to, ho preso la parola, però in questi giorni ho capito che la
parte affermativa di me stava occupando di nuovo tutto lo
spazio. Mi sono convinta che la donna muta è l'obiezione più

15 L. Borghi, Apertura del Convegno, in AA.W. 1987, p. 9.

74
feconda alla nostra politica. Il "non-politico" scava gallerie
che non dobbiamo riempire di terra. 16

Più che un'introduzione, il saggio di Dominijanni è una


rilettura ragionata, attenta alla voce di Cigarini e al suo
particolare contributo a scritti collettivi, corredata di rife-
rimenti ad altre autrici e scritti più recenti, di movimento
e non, in un dialogo critico che dà misura concreta di quel
rapporto di scambio, contrattazione e mediazione femmi-
nile su cui appunto insiste Cigarini. Rilettura, necessaria-
mente parziale e propriamente soggettiva, che traccia un
percorso proprio, una traiettoria di pensiero indicata dal
titolo stesso di Dominijanni, Il desiderio di politica, che
rovescia quello di Cigarini, La politica del desiderio. È per
questo rovesciamento di prospettiva che, mentre a me la
bellissima metafora di Cigarini, "il 'non-politico' scava
gallerie che non dobbiamo riempire di terra", suggerisce
una profonda consapevolezza dell'importanza della nega-
tività nel teorizzare la soggettività (anche politica) femmi-
nile, a Dominijanni suggerisce un'assoluta positività: "la
figura della donna muta apre la porta a una soggettività
affrancata dalla dialettica servo-padrone e a una politica
mossa non più dal vittimismo reattivo ma dal desiderio
attivo".17
Rileggendo quel "Sottosopra" del 1976 assieme al "Sot-
tosopra" rosso del 1996 appare chiaro che la traiettoria
indicata da Dominijanni è parallela a quella seguita dalla
Libreria delle donne di Milano nei venti anni trascorsi. Nel
"Sottosopra" rosso si parla, infatti, di un desiderio femmi-
nile attivo, "un agire [ ... ] fatto per conquistare il mondo",
che si esplicita tramite la parola performativa, che lo asse-
risce, lo nomina, e cosl lo crea, lo "mette al mondo". 18 A
questo desiderio alacre e vincente, che investe, guadagna e
si porta al mercato, viene contrapposta una "patologia del

16 L. Cigarini 1976, citato da I. Dominijanni 1995, p. 12.


17 I. Dominijanni 1995, p. 12.
18 I. Dominijanni 1996, pp. 4-5.

75
desiderio femminile impedito di parola", le cui figure
appartengono ancora alla patologia classica, prefreudiana,
della sessualità: l'isterica, la malinconica, la depressa, e
perché no - se continuiamo a declinare la tipologia - per-
ché no la lesbica? Ma di lei le numerose autrici di questo
"Sottosopra" non parlano, convinte che la differenza ses-
suale è sempre solo quella biologica tra uomo e donna, è
"irriducibile, perché è del corpo nella sua insormontabile
opacità". Talché, avendo fatto la "scoperta" che c'è anche
"la differenza maschile", devono per coerenza concludere
che entrambe le differenze étl entrambe le sessualità,
maschile e femminile, sono categorie in sé unitarie, com-
patte, e rigorosamente determinate ciascuna da uno stato
di natura, precedente a ogni simbolico: il rispettivo corpo
opaco che fonda la differenza tra le due differenze.
Questa concezione della sessualità e del rapporto cor-
po-soggettività, però, non è (più) compatibile con una pra-
tica dell'inconscio perché non è compatibile con la teoria
freudiana dell'inconscio, dell'Io-corpo o dell'isterica che,
nel somatizzare, dimostra appunto la non-opacità del cor-
po, la sua continua permeabilità al simbolico. Vengono a
mancare quindi le premesse teoriche necessarie per una
politica "materiale", come auspica Dominijanni - e io con
lei - che rimetta in circolo "il rimosso del legame sociale [:]
corpo, desiderio, sessualità, fantasie, paure, processi in-
consci" .19 Inoltre, se l'isterica degli anni settanta era figura
emblematica cui spettava il compito cruciale di permette-
re l'accesso alla madre simbolica e alla libertà femminile,
come scrive Dominijanni (ma su questa interpretazione
dell'isterica io non sono d'accordo), negli anni novanta
"alla figura dell'isterica è subentrata [... ] la figura della
depressa". 20 E la depressa di oggi non è l'isterica di ieri.
La depressa del "Sottosopra" rosso non è più la donna
muta, non fa obiezione, non apporta niente alla politica

I. Dominijanni 1995, p. 10.


19
20
I. Dominijanni 1996, p. 3; i successivi riferimenti a quest'opera
saranno inclusi nel testo.

76
delle donne; è figura perdente e basta. Non ti curar di lei
ma guarda e passa. Solo cosi è possibile scommettere sul-
la fine del patriarcato, dichiarare finito il suo "controllo
del corpo femminile fecondo e dei suoi frutti" (p. 1) e qual-
che pagina dopo fare un riferimento en passant alla "'stra-
na guerra' che ha infestato l'ex Iugoslavia" e alla "conco-
mitanza di silenzio femminile con un guerreggiare
maschile feroce e notevolmente stupido" (p. 4). Dal 1976 al
J996, nella topografia politica dei due "Sottosopra", in cui
all'isterica corrisponde la depressa e all'obiezione feconda
della donna muta corrisponde il silenzio perdente della
donna bosniaca, è accaduto un rovesciamento di prospet-
tiva, un'inversione di valori. Non per caso, quindi, il desi-
derio, definito come "precedente ogni storia e ogni appar-
tenenza, anche quella di genere" (p. 3), ridiventa neutro,
asessuato.
In tale visione "politica" del desiderio e della soggetti-
vità femminile si è persa la cognizione del non politico,
vale a dire dei limiti della politica. E si è perso il senso psi-
coanalitico del desiderio come limite interno dell'Io, vale a
dire del desiderio come negatività, dis-identificazione, fra-
na, disgregazione, dispersione della coerenza (per non
dire della volontà) dell'Io: momento estatico di esplosio-
ne/implosione, in cui l'Io si scolla, si sfalda, non tiene più.
Anche questo momento estatico di eclissi, di rischio, di
perdita di sé nel desiderio dell'altro o dell'altra è parte del-
la soggettività, la parte che più pertiene alla sessualità. Ed
è questa che disturba la positività, la funzionalità, la
performatività di una politica del desiderio trionfante.
È per questo suo far problema che la sessualità difficil-
mente rientra nei discorsi sulla soggettività femminile, al
punto che il desiderio stesso, per essere sempre vincente,
deve venir de-sessualizzato e depurato della sua negati-
vità? Io insisto sulla refrattarietà del desiderio, e sul quo-
ziente di negatività che rimane attivo nell'esperienza di
ogni soggetto sessuato. Questo non significa che io voglia
opporre o sostituire semplicemente la negatività del desi-
derio alla positività del1a politica. Significa piuttosto che

77
alla doppia valenza del soggetto femminile nel discorso
filosofico-politico femminista - negatività della teoria,
positività della politica - vedo corrispondere una doppia
valenza della soggettività per quanto riguarda desiderio e
sessualità, che sono entrambi portatori di attività e passi-
vità, parola e silenzio, fantasmi di unità e divisione, unio-
ne e aggressione. Anche questa doppia valenza, o più pre-
cisamente ambivalenza, non va risolta ideologicamente in
una direzione o nell'altra, né va negata o minimizzata, ma
va tenuta in conto, affrontata di volta in volta e, se è possi-
bile, contrattata. ~
A chi interessi articolare un comune progetto di politi-
ca delle donne attraverso le nostre tante e molteplici diffe-
renze, propongo quindi di ripensare la soggettività in una
dimensione materiale in senso lato, di cui la sessualità è il
nodo centrale, il luogo in cui le istanze del corporeo, dello
psichico e del sociale si intrecciano a costituire la soggetti-
vità e i limiti dell'Io. Detto altrimenti, parafrasando Simo-
netta Spinelli, propongo di ripensare la soggettività fem-
minile tenendo conto di che pratiche comporti e che neces-
sità sottenda il desiderio agito da un corpo di donna.
Da un rapporto di materialità nasce il segno di un'intelligen-
za che si riflette nelle nostre pratiche di rapporto e quindi
nelle nostre praliche sociali. [ ... ] A me l'intelligenza si è aper-
ta quando ho avuto un incontro di materialità con un'altra
donna. Poi l'ho rimossa perché mi dava fastidio. Quando ho
cominciato nel femminismo insieme alle donne una presa di
coscienza, la base è stata questo rimosso che avevo lasciato
perdere. Io dico che la conoscenza, l'intelligenza di una don-
na lesbica si apre quando c'è questo primo incontro di mate-
rialità con un'altra. 21

Se la teoria della soggettività che sto qui delineando si


riflette nelle parole di una donna lesbica, non è solo per la
felice pratica intellettuale femminile del partire da sé, ma

21 S. Spinelli 1986, pp. 27-29. La citazione èda AA.W. 1987, pp. 125-
128.

78
anche perché, come confermano altre donne citate sopra,
la sessualità è il "luogo comune" dell'esistenza lesbica. Il
luogo in cui avviene un "attraversamento del corpo" eroti-
co dell'altra e del proprio, con conseguente, e spesso sor-
prendente, "mutamento di percezione rispetto agli schemi
eterosessuali" (Borghi) - tanto rispetto agli schemi del cor-
po femminile e maschile prodotti dalle figurazioni dell'im-
maginario sociale quanto rispetto all'immagine dell'Io-
corpo che ciascun soggetto si costruisce e (ri)elabora in
relazione a essi. Il luogo, quindi, di una pratica d'amore da
cui "si apre un'intelligenza", un sapere corporeo e una for-
ma di conoscenza di sé e del mondo - in breve, una sog-
gettività - che porta a un'altra produzione di senso, un'al-
tra cognizione del rapporto sociale, altre modalità di agire
nel mondo. 22 Altre, cioè, rispetto a quelle di una soggetti-
vità che si costituisce in relazione all'eterosessualità.
Poiché è certo che per ogni donna, ogni soggettività
femminile, la sessualità è il luogo da cui il soggetto (ri)ela-
bora l'immagine di sé e del corpo erotico nell'incontro con
l'altro o l'altra, (ri)elabora il proprio sapere corporeo e la
propria conoscenza, i modi di rapportarsi e di agire nel
mondo. Vale a dire, la sessualità è il "luogo comune" di
ogni soggettività, ma è luogo di solito non segnato nelle
topografie dei luoghi e dei mezzi della politica delle don-
ne. Le ragioni di questa elisione sono certamente molte,
alcune di esse sono già state suggerite: la difficoltà di vive-
re contraddizioni e lacerazioni tra volontà e affettività; la
resistenza a misurarsi con le limitazioni del proprio corpo;
la consapevolezza del rischio che la sessualità sempre
comporta per chi è definito donna in un sistema sociale
retto dall'istituzione eterosessuale; il ricatto della svaloriz-
zazione sociale che il femminile, identificato con l'ambito
angusto del corporeo, subisce rispetto allo spazio illimita-

22 Ho sviluppato la tesi che la sessualità è il luogo in cui la soggetti-


vità si produce in rapporto alla significazione sociale e alla realtà mate-
riale in T. de Lauretis 1997. In particolare si veda il capitolo 7, Sessualità
esemiosi.

79
to dello spirito o del pensiero attribuito al maschile; il
bisogno, vitale oltre che politico, di appartenenza di gene-
re e di riconoscimento dalle altre donne.
Queste e altre ancora sono ragioni, ambivalenze, che
tutte conosciamo di persona ma raramente ci diciamo nel
confronto politico tra noi. E il non politico non ha più luo-
go nella pretesa di universale positività di una politica del-
le donne. Evitando di guardar dentro quel luogo di solitu-
dine e desiderio, di fantasmi, ambivalenze e necessità in
cui si plasma la soggettività, si perdono di vista le ragioni
stesse di tale politica, ossia le donne che ne sono i soggetti
concreti. A me sembra che, oggi, una teoria o progettualità
politica femminista non possa non tener conto, non solo
delle differenze tra donne, ma anche delle costrizioni
esterne e interne al soggetto, dei limiti dell'Io e delle neces-
sità che lo sostengono, della produttività e insieme della
refrattarietà del desiderio.

80
3. La nemesi di Freud
Per un'archeologia degli studi su genere,
sessualità e cultura*

"L'America è un errore gigantesco," avrebbe detto


Freud al ritorno dal suo primo e unico viaggio negli Stati
Uniti. Racconta Emest Jones nella sua monumentale bio-
grafia del maestro che nell'agosto del 1909, invitato da
Stanley Hall. fondatore della psicologia sperimentale e a
quel tempo rettore della Clark University di Worcester,
Massachusetts, Freud si imbarcò sul piroscafo George
Washington che salpava per il nuovo mondo. Lo accompa-
gnavano Sandor Ferenczi e Karl Gustav Jung, e durante i
sette giorni della traversata atlantica i tre psicoanalisti si
intrattennero piacevolmente analizzando i sogni l'uno del-
l'altro.
Si racconta inoltre che, all'arrivo nel porto di New
York, in vista della Statua della libertà, il padre della psi-
coanalisi avrebbe detto a Jung una frase fatidica: "Non
sanno [gli americani] che portiamo loro la peste". L'espres-
sione, diffusa da Jacques Lacan che sostiene di averla sen-
tita direttamente da Jung, si trova in La chose freudienne,
conferenza tenuta da Lacan a Vienna nel 1955 e pubblica-
ta nel 1956 in "L'Évolution psychiatrique". Le parole di

* Questo saggio è la versione italiana, riveduta e ampliata, della rela-


zione presentata al convegno Gender and Sexuality in Criticai Studies,
tenutosi a Bologna, marzo l 996, sotto gli auspici del Centro Studi Uni-
versità di California e del Centro di Documentazione delle Donne di
Bologna. Una versione in inglese dal titolo American Freud è pubblica-
ta sulla rivista tedesca "Amerikastudien/American Studies", 41, 1996,
pp. 163-179.

81
Freud, commenta Lacan, gli tornarono indietro come una
lettera rinviata al mittente (le mot de Freud [ ... ] lui est ren-
voyé a punirlo del1a sua ybris.
Per prendere in trappola il suo autore, la Nemesi non ha
dovuto far altro che prenderlo in parola. Potremmo temere
che ci abbia aggiunto un biglietto di ritorno di prima classe.
In verità, se è successa una cosa del genere non abbiamo che
da prendercela con noi. Infatti l'Europa sembra essersi tolta
di mente le preoccupazioni, lo stile, se non addirittura la
memoria, di coloro che ne sono usciti, con la rimozione dei
loro cattivi ricordi. 1

Qui, nella maniera che gli è caratteristica, Lacan pren-


de due piccioni con una fava: rimprovera alla psicologia
americana (quella ego psychology contro la cui influenza,
ricordiamo, Lacan stava appunto combattendo negli anni
cinquanta) di aver respinto "la peste" di Freud, ossia la
teoria dell'inconscio e delle pulsioni; e al tempo stesso rim-
provera all'Europa del dopoguerra di aver rimosso tanto il
lavoro di Freud quanto la memoria della persecuzione
antisemita (i suoi "cattivi ricordi"). In tal modo "la peste"
che Freud credeva di portare in America, la psicoanalisi,
viene rispedita in Europa con un biglietto di prima classe
sotto le vesti dell'influente psicologia dell'Io di marca ame-
ricana. Anche l'Europa, perciò, seguendo l'esempio dell'A-
merica, si toglie di mente l'idea che esista l'inconscio e cosl
azzera le implicazioni radicali della concezione freudiana
della psiche.
Ma torniamo a Freud in America. A New York gli piac-
que solo il Metropolitan Museum, soprattutto la collezione
di antichità greche. Vide il suo primo film, che Jones
descrive come "uno dei film primitivi di quei giorni con
tanto di corse folli", ma pare che Freud si divertisse poco.2
E l'unica cosa che lo entusiasmò furono le cascate del Nia-
gara.

1 J. Lacan 1972, p. 183.


2 E. Jones 1961. pp. 266-267.

82
Alla Clark University tenne cinque lezioni introduttive
sulla psicoanalisi, in tedesco e senza appunti, a un pubbli-
co che reagi con grande ammirazione e altrettanta indi-
gnazione. Ammirazione, che Freud caldamente contrac-
cambiava, da parte di persone quali Emma Goldman,
anarchica, femminista e promotrice del libero amore, o
William James, il filosofo pragmatista; e ammirazione
ufficiale sotto forma di una laurea ad honorem che lo
ricompensò in parte del mancato riconoscimento e dei
lunghi anni di ostracismo subiti nella natia Vienna.
Contemporaneamente però gran parte dell'uditorio
rimase indignato di ciò che interpretò come un'esortazio-
ne al libero amore, una visione scandalosa, corrotta e cor-
ruttrice dell'innocenza infantile, un insulto agli ideali di
altruismo e di autocontrollo che gli americani veneravano
nell'immagine dell'individuo che si fa da sé, il self-made
man. Immagine che la teoria freudiana dell'inconscio stra-
volgeva irreparabilmente. Non mi pare scorretto dire che
entrambe le reazioni, ammirazione e indignazione, per-
mangono tuttora e sono tipiche dell'atteggiamento norda-
mericano nei confronti di Freud. Come vedremo tra breve.
Perché Freud non amasse l'America non è difficile da
indovinare. Jones opina che il disamore fosse dovuto al
fastidio fisico provocatogli dal viaggio, che acul i disturbi
cronici intestinali e prostatici del cinquantatreenne Freud,
oltre che alla difficile comprensione dell'inglese america-
no e a ciò che Jones eufemisticamente chiama "i modi
semplici e liberi del Nuovo Mondo" (non per niente Jones
era canadese).3 Dalla corrispondenza dello stesso Freud
emergono però ragioni meno contingenti: l'antipatia per il
puritanesimo nordamericano, per il funzionalismo di una
società votata al successo commerciale, e per le maniere
spicce, informali di una cultura giovane che, a un europeo,
poteva certo dar l'impressione di privilegiare la gioventù in
modo eccessivo. Gli parve che il desiderio di far soldi, di
accumulare capitale, prendesse il sopravvento su qualun-

1 lvi, p. 270.

83
que altro desiderio, e tale forma di sublimazione era, a suo
parere, di gran lunga inferiore alla produzione artistica,
letteraria o scientifica.
Disprezzava specialmente il moralismo nordamericano
in ambito sessuale e in particolare nei confronti dell'omo-
sessualità. Come scrisse a James Putnam, un analista di
Harvard con cui Freud tenne una lunga corrispondenza
dopo il loro incontro alla Clark University, "la moralità ses-
suale cos} come la definisce la società - e sopra ogni altra
la società americana - mi pare degna di disprezzo. lo sono
per una vita sessuale molto più~libera".4 Putnam, a quanto
pare, non rispose all'obiezione, né la raccolse l'Associazio-
ne psicoanalitica americana; ma queste parole di Freud
sarebbero poi tornate a disturbare la pace delle loro rispet-
tive case, cioè il campus universitario e la stanza d'analisi.
Per spiegare questo secondo atto della nemesi, passo
ora a tracciare a grandi linee la fortuna e i destini della psi-
coanalisi nel mondo accademico statunitense e in partico-
lare in quella costellazione di studi interdisciplinari sorti
negli ultimi venticinque anni, cui viene dato il nome gene-
rico di studi culturali. Essi includono gli studi delle donne
(womens studies), quelli sul cinema (film. studies) e altri
media, gli studi postcoloniali su razza, etnia e nazionalità,
detti anche diaspora studies, e gli studi su genere e sessua-
lità (gender studies) fino alla loro propaggine più recente,
queer theory.
Tutti questi diversi campi di studio hanno trasformato
la pratica della ricerca e dell'insegnamento accademico in
meglio e in peggio al tempo stesso. Per il meglio, hanno
dato vita non solo a nuovi concetti, ma anche a nuovi siti,
nuovi oggetti e nuovi soggetti del sapere, generando inol-
tre una concezione dell'insegnamento più democratica,
ma che si presta anche a critiche fondate. t:insegnamento
degli studi culturali viene frequentemente inteso come ela-
borazione di un rapporto intersoggettivo tra docente e stu-
dente basato su un obiettivo politico-e-personale da essi

4 S. Freud, citato in H. Abelove 1993, p. 386.

84
condiviso; a questo rapporto, che spesso assume un carat-
tere quasi terapeutico di appoggio reciproco, viene data 1a
precedenza rispetto aH'insegnamento/apprendimento del-
le discipline tradizionali e a quella "riflessione control1ata
sulla formazione del metodo" che, secondo il teorico della
letteratura Paul de Man, costituisce l'apice dell'insegna-
mento a livello universitario.
L'insegnamento non è principalmente un rapporto tra indivi-
dui ma un processo cognitivo in cui l'io e l'altro/l'altra sono
coinvolti solo tangenzialmente e contiguamente. L'unico
insegnamento degno del suo nome è quello tra studiosi, non
tra persone; le analogie tra l'insegnamento e svariate forme di
spettacolo o assistenza socio-psicologica sono il più delle vol-
te scuse per aver abdicato al ruolo.5

Per giusta che sia questa obiezione, e per quanto ci si


possa trovare d'accordo con de Man che troppo spesso gli
studi interdisciplinari soffrono di una carenza di metodo e
di un eccesso di opinioni personali, mi pare che lo schiera-
re in campi opposti lo studioso e la persona implichi una
concezione del processo cognitivo altrettanto schematica
e in fondo riduttiva quanto 1o è attribuire all'uno il solo
metodo critico e all'altra la sola domanda di appoggio
terapeutico. Insegnando teoria, io stessa ho verificato che
la compartecipazione dichiarata del(la) docente a un pro-
getto critico, al quale sono finalizzati e l'insegnamento e
l'apprendimento di determinati discorsi teorici, è una stra-
tegia pedagogica di grande efficacia. Il riconoscimento
della posta in gioco e della domanda soggettiva, personale
che guida la ricerca sia dell'insegnante sia degli autori stu-
diati, unito alla contestualizzazione socioculturale e stori-
ca delle metodologie critiche che si vogliono sottoporre a
"riflessione controllata", sono forse il modo più efficace di
combattere "la resistenza alla teoria" tipica non solo degli
studenti ma di tutto il mondo accademico nordamericano.
E forse l'unico modo di dare loro accesso e motivazione

5 P, de Man 1986, p. 4.

85
alla riflessione critica sul metodo. Le alterne vicende della
teoria freudiana e del suo contributo ai campi del sapere
che costituiscono gli odierni studi culturali ne forniscono
una dimostrazione.
Come si è detto, tali studi manifestano nei confronti del
pensiero psicoanalitico la stessa ambivalenza che contras-
segnò la sua entrata negli Stati Uniti all'inizio del secolo. A
questo proposito sono degni di nota due fatti che accadde-
ro durante il viaggio americano di Freud. A New York
Freud vide il suo primo film ~ venne a conoscenza del
cinema, ma non ne fu particolarmente colpito. Più tardi,
invitato da Samuel Goldwyn a Hollywood a fare un film
che rappresentasse il procedimento psicoanalitico, Freud
rifiutò categoricamente, nonostante l'entusiasmo che l'i-
dea suscitò nei suoi discepoli Karl Abraham e Hanns
Sachs, i quali poi riuscirono a fare un "film psicoanalitico"
collaborando con Pabst in Geheimnisse einer Seele (Segreti
di un'anima,1926). Il secondo fatto di rilievo accadde dopo
una delle lezioni di Freud alla Clark University: una signo-
ra dalla platea gli chiese ulteriori chiarimenti circa le sue
idee sulla sessualità e Freud rispose: "In Bezug auf die
Sexualitat lasse ich mich weder ab- noch zubringen" (sul-
l'argomento sessualità non mi lascio né spingere né disto-
gliere).6
Quello che Freud non poteva prevedere, forse neppure
immaginare, era che sessant'anni più tardi sarebbero state
proprio le donne - per giunta femministe! - e coloro che
studiavano il cinema a rivolgersi a lui, e in molti casi con-
tro di lui, attirate precisamente dalle sue teorie della ses-
sualità, dell'inconscio, del lavoro del sogno. E così, nel
mondo accademico nordamericano, la sua "peste" sarebbe
stata diagnosticata e avrebbe contagiato in primis gli studi
femministi e quelli sul cinema, anch'essi in gran parte di
tendenza femminista.
Ciò avvenne negli anni settanta, al tempo dei movimen-
ti di liberazione, delle proteste studentesche e di una gene-

6 E. Jones 1961, p. 267.

86
raie messa in questione della moralità sessuale, dei ruoli di
genere e di quella spinta all'accumulazione di capitale,
all'imperialismo economico e politico, che Freud aveva
tanto disprezzato. Oggi, per la maggior parte degli studen-
ti universitari nordamericani, gli anni settanta sono storia
antica, vagamente nota dai film che passano in televisione
alle ore piccole e dalle canzoni della loro infanzia. Per loro
sia la psicoanalisi sia il femminismo sono "teorie" o
"discorsi" allo stesso rango del poststrutturalismo o del
postmodernismo, sono strumenti utili a conseguire la lau-
rea e fare carriera nell'istituzione accademica, ma solo
raramente risvegliano passioni e accendono l'intelletto
come lo fecero per la mia generazione negli anni settanta.

Studi delle donne e teoria fémminista

A quell'epoca il primo attacco frontale venne con il


libro Sexual Politics (La politica del sesso) di Kate Millett
( 1969), che per primo formulò i punti principali della criti-
ca femminista a Freud e alle sue idee sulla femminilità e
sulla sessualità femminile. Lo fece sottolineando alcune
frasi - invidia del pene, l'anatomia è destino, la libido è
maschile - che instantaneamente divennero striscioni nel-
la marcia femminista verso la "liberazione sessuale". Il
libro di Millett, la sua tesi di dottorato, chiaramente frutto
di rigorosa ricerca e analisi letteraria, era insieme tenden-
zioso ed erudito, passionalmente di parte ma non superfi-
ciale. L'inizio del capitolo su Freud (le cui opere ancora
oggi, negli Stati Uniti, vengono lette principalmente nei
dipartimenti di letteratura) riflette perfettamente quell'at-
teggiamento tipicamente americano, misto di ammirazio-
ne e indignazione, che ebbe inizio con le lezioni di Freud
alla Clark University sessant'anni prima, si riverberò sulle
opere di psicoanaliste quali Karen Homey e Clara Thom-
pson, e continua fino ai giorni nostri, per esempio tra le
mie allieve dottorande.

87
Per una tragica ironia, le importanti scoperte di un grande
pioniere sull'inconscio e sulla sessualità infantile che doveva-
no portare a una maggiore comprensione dell'uomo, vennero
successivamente invocate per convalidare un punto di vista
essenzialmente conservatore. E per quanto concerne lo scopo
della rivoluzione sessuale, quello cioè di liberare l'umanità
femminile dalla sua tradizionale subordinazione, la posizio-
ne freudiana fini per essere messa al servizio di un atteggia-
mento fortemente controrivoluzionario. Anche se le conse-
guenze più deplorevoli della volgarizzazione delle teorie freu-
diane superarono di gran lunga le intenzioni dello stesso
Freud, il loro antifemminismo trovava nella sua opera un rea-
le fondamento.7

In queste righe Milieu riconosce il merito di ciò che


chiama "le scoperte di un grande pioniere" (la metafora
stessa, in bocca a un'americana, è segno indubbio di
ammirazione) e ammette che il danno maggiore che la psi-
coanalisi arreca alle donne non viene da Freud ma dai suoi
divulgatori. Ciò nonostante per tutto il resto del saggio si
dedica a setacciare dagli scritti di Freud affermazioni e
frasi che, insieme, configurano una visione oppressiva,
prescrittiva e "controrivoluzionaria" della sessualità fem-
minile.
Eppure, anche se mal volentieri, Millett dà a Freud
quello che è di Freud. Nella stragrande maggioranza degli
scritti femministi successivi a La politica del sesso - scritti
di psicologia, sociologia, storia, critica letteraria e altro,
che coprono l'intera gamma degli studi delle donne -
"Freud" venne a significare essenzialmente ciò che si dice-
va Freud avesse detto a proposito delle donne, spesso sen-
za averne letto una sola riga, mentre i concetti di incon-
scio, di sessualità infantile e soprattutto la teoria delle pul-
sioni venivano accantonati in quanto antiquati e "biologi-
stici", nella migliore delle ipotesi; nella peggiore erano
denigrati come pretestuosi in quanto appartenenti al com-

7 K. Millett 1971, pp. 224-225.

88
plotto patriarcale e utili solo a giustificare e a perpetuare
l'oppressione sociale e sessuale del1e donne.
Tutto sommato, dunque, ]a psicoanalisi che ha eserci-
tato la massima influenza sugli studi delle donne non è
quella di Freud ma la teoria delle relazioni d'oggetto di
Melanie K1ein, riveduta e divulgata dalla sociologa Nancy
Chodorow in The Reproduction of Mothering (La funzione
materna, 1978), i1 cui punto focale è la figura materna e il
significato della maternità per la sessualità femminile. 8
Dove questa versione americana diverge dalla teoria di
Klein è ancora una volta il concetto freudiano di incon-
scio, che tale posizione femminista rifiuta privando cosi la
teoria del "grande pioniere" della sua struttura portante.
Cosl nella maggioranza degli scritti femministi. Tutta-
via, una parte di essi, numericamente più piccola ma più
influente a livello accademico, fu attratta dalla psicoanalisi
precisamente in virtù del suo porre la sessualità in rappor-
to con l'inconscio, la sfera della fantasia e la produzione
fantasmatica. Il testo canonico di questo filone del pensiero
femminista era Psychoanalysis and Feminism di Juliet Mit-
chell. Apparso in Inghilterra nel 1974, quasi subito attra-
versò l'Atlantico portando - cosi molte e molti pensarono-
un'altra peste: il Freud francese, ovvero la psicoanalisi neo-
freudiana di Lacan. Mitchell argomentò con forza di con-
vinzione che, per le donne, rifiutare la psicoanalisi era un
tragico errore: "Qualunque sia l'uso che è stato fatto della
psicoanalisi, essa non è in favore di una società patriarcale,
ma si limita ad analizzarne una". 9 La lotta delle donne con-
tro la discriminazione sessuale e il loro sforzo di ridefinire
i ruoli sessuali e di genere non potevano permettersi di
ignorare quell'analisi, e ancor meno di ignorare la funzione
dell'inconscio nell'interiorizzazione individuale di norme

• Per una discussione dei pro e dei contro di questa posizione femmi-
nista, rimando al mio saggio Salve Regina. Immaginario materna/e e ses-
sualità, in T. de Lauretis 1996a.
9 J. Mitchell 1976, p. IX.

89
sociali oppressive, che quindi si riproducono anche nella
stessa soggettività femminile.
Il modo in cui noi percepiamo come "idee" le leggi necessarie
alla società umana non è tanto conscio, quanto piuttosto
inconscio; il compito specifico della psicoanalisi è queUo di
decifrare il modo in cui acquisiamo nel nostro inconscio il
patrimonio ereditario delle idee e delle leggi della società
umana o, per dirla in altro modo, la mente inconscia è il
modo in cui acquisiamo tali leggi. 10

La difesa di Freud da parte~di Mitchell e il riconosci-


mento dell'importanza dei meccanismi inconsci per la teo-
ria femminista furono portati avanti da quelle femministe
che, conoscendo il francese o l'italiano, avevano accesso al
pensiero in seguito definito poststrutturalista (che com-
prendeva psicoanalisi, semiotica e anche, anacronistica-
mente, lo strutturalismo, ossia linguistica, poetica e antro-
pologia strutturale) nelle opere di Lévi-Strauss, Barthes,
Eco, Metz, Saussure, Benveniste, Derrida e il primo Fou-
cault, oltre a Lacan, Kristeva e Irigaray, autori che per lo
più non erano ancora stati tradotti in inglese. Per esempio,
la critica femminista a Freud di Irigaray in Speculum de
l'autre (emme (Speculum. L'altra donna) fu pubblicata in
Francia nel 1974, il medesimo anno in cui apparve il libro
di Mitchell, ma non fu tradotta in inglese fino al 1985.
Quindi, all'inizio degli anni ottanta, la gamma delle
posizioni critiche femministe si estendeva da, diciamo
cosi, una destra antifreudiana rappresentata da Kate Mil-
lett a una sinistra neofreudiana, rappresentata da Juliet
Mitchell. Secondo quest'ultima la psicoanalisi non prescri-
veva affatto una definizione normalizzante della sessualità
femminile ma, al contrario, metteva in risalto proprio l'in-
stabilità, finanche l'impossibilità di un'identità sessuale
femminile. Indice di tale posizione a favore di un Freud
americano è il libro di Jane Gallop, The Daughter's Seduc-
tion (La seduzione della figlia, 1982), il cui sottotitolo,

IO Ivi, p. X.

90
Feminism and Psychoanalysis, invertiva il titolo del libro di
Mitchell mettendo in primo piano il femminismo.
Va aggiunto che le femministe marxiste o socialiste, e
quelle che si definivano femministe di colore o anche fem-
ministe del Terzo Mondo americano, rimasero per la mag-
gior parte fuori dal dibattito sulla psicoanalisi, rispettiva-
mente indignate e disinteressate, e non vi entrarono che
parecchi anni dopo. Un impatto molto più forte la psicoa-
nalisi lo ebbe invece su un altro settore di studi universita-
ri che emerse verso la metà degli anni settanta in conco-
mitanza con gli studi delle donne, ai quali apportò un con-
tributo fondamentale, e cioè la teoria del cinema.

Studi sul cinema e teoria del cinema

Quando tenni le prime lezioni sul cinema all'Università


del Wisconsin nel 1971 non esistevano corsi di laurea in
film studies, e nemmeno si insegnava quella materia; il
mio corso sul cinema italiano era una assoluta novità. Si
iscrissero ben duecentosettanta studenti, numero di gran
lunga superiore a quello delle frequenze nei corsi di lingua
e letteratura italiana. Nel sistema universitario statale sta-
tunitense, governato dalla domanda di mercato e dal tasso
di produttività, come di regola nell'economia del paese, i
fondi per l'istruzione pubblica sono assegnati in base al
numero degli iscritti. Il fatto che gli studenti affollassero le
aule dei corsi di cinema (cosa che, del resto, continuano a
fare anche oggi) fu il fattore più determinante nello svilup-
po degli studi sul cinema.
Sebbene alla fine degli anni quaranta ci fossero cinque
università con insegnamenti di cinema, i corsi erano dedi-
cati alla cinematografia e talvolta alla sceneggiatura, ma
la storia, la critica, l'analisi testuale e la teoria del cinema
non erano mai state materie di studio universitario. Come
ebbe a dire Robert Gessner della New York University,
uno dei fondatori della Society for Cinema Studies nel
1969, "il cinema e il sapere non erano considerati matri-

91
moniabili nelle aule venerande dell'accademia" .11 Fu solo
verso la fine degli anni settanta che quel matrimonio si
poté fare e gli studi sul cinema vennero legittimati in
regolari corsi di laurea.
Coloro che, come me, cominciarono a insegnare e a
studiare il cinema nei primi anni settanta, e il cui ambito
di ricerca era la letteratura, ricordano l'emozione che
destava la consapevolezza di imbarcarsi per un'awentura
intellettuale. Il nuovo mondo che ci si apriva alla cono-
scenza con la storia, la critica, la teoria e la pedagogia del
cinema non aveva confini poiché-non c'erano né tradizioni
da seguire, né regole metodologiche né costrizioni discipli-
nari; le rotte non erano segnate e per via ogni sorta di
incontro era possibile. Il primo, in quegli anni di contesta-
zione generale, non poteva che essere l'incontro con la
politica, sempre in cima all'agenda studentesca in ogni
sede universitaria e a maggior ragione nei nuovi campi di
studio che stavano sorgendo su insistente richiesta degli
stessi studenti: studi delle donne, studi afroamericani, stu-
di etnici, in cui una qualche forma di politica d' opposizio-
ne era integrata nel curriculum fin dall'inizio. Da cui la
presenza significativa, anzi, formativa del femminismo
nello studio del cinema.
Il secondo incontro fu con "la teoria", o piuttosto con
ciò che oggi viene designato con questo termine. Anch'es-
so fu reso possibile, paradossalmente, dal basso rango
accademico dei nascenti film studies, nei quali si potevano
applicare in modo eclettico metodi analitici e schemi con-
cettuali, sia nostrani sia importati dall'estero, dato che
non c'era nessuno in grado di dettare il curriculum o di
imporre protocolli critici coerenti con canoni inesistenti.
Nessuno poté sostenere - come si affermava per i testi let-
terari - che la psicoanalisi era un modello inaccettabile
per l'analisi del testo filmico, che lo strutturalismo e la
semiotica erano inconciliabili con il giudizio estetico o che
Il capitale di Marx non poteva servire a capire l'arte cine-

11 Citato in R. Cuny 1986, p. 44.

92
matografica. E cosl, guardandoci attorno in cerca di
modelli di come insegnare il cinema, ci buttammo, in tut-
ta innocenza, a capofitto nella "teoria".
La necessità di comprendere la complessità dell"'effet-
to cinema", 12 ossia la molteplicità dei codici semiotici e
tecnici, specifici e non specifici messi in gioco sia nella
produzione sia nella ricezione dei film, ci rese consapevo-
li che il cinema era una forma simbolica di grande poten-
za e, per quanto disprezzata dai custodi della "cultura
alta", di portata pari a quella della letteratura. Le pratiche
dell'esegesi testuale e le nozioni di genere letterario,
periodizzazione, stile, convenzioni narrative, figure reto-
riche e cosi via ci erano note, facevano già parte del
nostro bagaglio professionale di studiosi e docenti di let-
teratura, ma erano tutte da ripensare. La semplice traspo-
sizione al testo filmico non bastava, bisognava riformu-
larle di sana pianta in rapporto a forme di rappresenta-
zione audiovisive. Questo ci spinse a investigare altri uni-
versi di discorso e modalità del sapere non letterarie ben-
sì artistiche, tecniche o scientifiche.
Come gli altri nuovi campi di studio, dunque, e per
analoghe ragioni istituzionali, lo studio del cinema fu
subito teorico e interdisciplinare; e paradossalmente - lo
diciamo con il senno di poi - doveva essere interdisciplina-
re per potersi costituire in disciplina accademica. Il presti-
gio accademico e intellettuale oggi raggiunto dai film stu-
dies si può misurare dal numero di college e università
dotati di dipartimenti di cinema, oltre che di cinematogra-
fia, in cui si seguono regolari corsi di laurea e di dottorato
in storia, critica e teoria del cinema. Questi si avvalgono di
sofisticati strumenti critici, di un apparato di ricerca
bibliografica e filmografica estesissimo, e di una struttura
concettuale o teorica spesso ripresa da studiosi di altri
campi disciplinari. (Per esempio, il concetto di funzione

12 Prendo questa espressione dal titolo di una serie di videocassette


prodotte come manuale audiovisivo per l'insegnamento del cinema pres-
so l'istituto Dams dell'Università di Bologna.

93
spettato rial e [spectatorship] elaborato dalla teoria del cine•
ma a partire dalla critica femminista e con particolare atti•
nenza al cinema delle donne, è stato adottato sia nello stu•
dio del teatro e della performance art sia in quel filone di
critica letteraria che va sotto il nome di reader•response
theory.)
La pertinenza della semiotica e della psicoanalisi ali'a•
nalisi filmica e alla comprensione dell'effetto cinema fu
dimostrata da Christian Metz in Francia. I suoi scritti
dagli Essais sur la signification au cinéma (1968) a Le.
signifiant imaginaire ( 1977) furtmo tradotti sulla rivista
inglese "Screen", che contemporaneamente introduceva
anche all'opera di Brecht e alla critica marxista gli studio•
si di cinema anglofoni. Metz mise in evidenza la sorpren•
dente analogia tra gli elementi e i meccanismi del "lavoro
del sogno" (il Traumarbeit di Freud) e quelli di ciò che,
appunto, si può chiamare il lavoro del film, ossia l'effetto
che ha sullo spettatore la successione di immagini in
movimento e la loro combinazione per mezzo del montag•
gio visivo e sonoro.
Si considerino, in primo luogo, il carattere percettivo
dell'immagine filmica e la sua idoneità alla "condensazio•
ne" metaforica (Verdichtung), e come il movimento filmi•
co, il susseguirsi metonimico delle inquadrature effettuato
dal montaggio, produca "spostamenti" (Verschiebung) di
senso e di affetto (Affekt) in tutto simili a quelli che si veri•
ficano nel sogno. La produzione di senso attraverso le
immagini inquadrate (con particolari angolazioni, punti
di vista, tecniche di illuminazione ecc.), che nel film
proiettato si costituiscono in movimento e messa in scena,
trova precise analogie nel "riguardo per la raffigurabilità"
di Freud (Rilcksicht auf Darstellbarkeit), mentre la costru•
zione di senso narrativo o narratività, ottenuta tramite il
montaggio delle immagini filmate secondo la grammatica
e la sintassi specifiche del linguaggio cinematografico, ben
corrisponde alla nozione freudiana di "elaborazione
secondaria" (sekundiire Bearbeitung).
In secondo luogo, si pensi alla straordinaria somiglian•

94
za tra lo spettatore al cinema, da un Iato, e il sognatore o
]'analizzando dall'altro. Seduto davanti allo schermo illu-
minato, nella sala buia e silenziosa a parte i suoni che
sembrano provenire dallo schermo, lo spettatore si trova
in una condizione di elevata ricettività visiva e uditiva ma
di virtuale incapacità motoria. Incapace, inoltre, di inter-
venire nello spettacolo fantastico che ha luogo sullo scher-
mo e gli si offre, lo invita, lo attira a sé irresistibilmente, lo
spettatore si trova in una situazione analoga a quella di chi
sta sognando nonché a quella dell'analizzando adulto che,
sdraiato sul lettino analitico, rievoca il proprio io infantile
e lo riporta in vita sulla scena del ricordo.
C'è non poca ironia nel fatto che Freud, che non amava
il cinema, abbia trovato i suoi ammiratori più devoti tra
coloro che il cinema amano. Ma, dopo tutto, è stato lui che
per primo ha tracciato analogie tra la psiche e la visione,
sia nel paragonare l'apparato mentale all'apparecchio
fotografico o al sistema di lenti nel telescopio, sia nell'as-
serire che il registro visivo è quello privilegiato dai proces-
si primari, vale a dire che l'inconscio si esprime per imma-
gini. Non ci sorprenda dunque che la teoria del cinema si
sia appropriata di alcune formulazioni freudiane, di parti-
colare rilievo per il proprio oggetto di studio, quali il lavo-
ro del sogno e l'attività fantasmatica, che comprende tutte
le forme del fantasticare, dalle fantasie inconsce, o fanta-
smi, a quelle dette comunemente sogni a occhi aperti. Tan-
to più che esse si ripresentano con grande regolarità, film
dopo film, nelle tematiche e nelle soluzioni formali del
cinema internazionale, passato e presente. Basti osservare
quanto spesso la fantasia edipica o la scena primaria
(Urszene) vengano riproposte più o meno esplicitamente
nei film di successo, compresi quelli fantascientifici
ambientati in mondi futuri o extraterrestri (la sequela dei
tre Ritorno al futuro di Zemeckis, dei due Jurassic Park di
Spielberg o dei due, quasi tre, Tenninator di Cameron).
Difatti una delle problematiche più interessanti per
l'attuale riflessione teorica sulla comunicazione audiovisi-
va è il rapporto tra fantasie private e fantasie pubbliche,

95
vale a dire, in che modo nella odierna società di massa, la
soggettività e l'identità sociosessuale siano sovradetermi-
nate dal continuo rovescio di immagini cinematografiche,
televisive, computerizzate e via dicendo che permeano il
tessuto dell'esistenza quotidiana. Il predominio dei media
elettronici e audiovisivi su quelli a stampa nella vita non
solo degli studenti ma anche delle nuove generazioni di
docenti può dar ragione del configurarsi, in questo decen-
nio, di un nuovo orientamento, lo studio dei media o del-
la cultura visiva (studies in visual culture). A differenza
degli studi sul cinema, ormai istltuzionalizzati e diciamo
pure disciplinati, questo è un campo di ricerca e di inse-
gnamento dai confini labili e indeterminati. Qualcosa di
simile è awenuto agli studi delle donne cui, nelJo stes-
so arco di tempo, dagli anni settanta agli anni novanta, si
sono aggiunti, dapprima, e poi de facto sostituiti, gli studi
sul genere.

Dagli studi delle donne agli studi sul genere

Negli anni settanta e fino ai primi anni ottanta la rifles-


sione critica e politica sul genere era l'asse portante del-
l'intervento femminista in ambito universitario; e dalla
ricerca storica, letteraria, artistica, antropologica, sociolo-
gica e linguistica sui ruoli sessuali e sociali, che ogni
società definisce e prescrive per tutti gli individui che la
compongono a seconda del loro sesso, nacquero gli studi
delle donne. Questi si svilupparono, come dice il nome, in
stretto rapporto con il movimento delle donne e si confi-
gurarono dapprima come una costellazione di attività
dichiaratamente politiche che andavano dal lavoro acca-
demico (ricerca, insegnamento, programmazione ecc.)
alla costituzione di gruppi di studio e di autocoscienza,
spesso non distinguibili. La tematica comune a tutte que-
ste attività era la critica del patriarcato e l'analisi politica
del genere ne costituiva la problematica più urgente.
Insomma, il genere era esclusivamente una faccenda di

96
donne. Gli uomini, eterosessuali o gay, allora non se ne
occupavano; i primi scritti di studiosi gay nell'ambito uni-
versitario erano opere di sociologia e storia dell'omoses-
sualità maschile.
Genere e differenza sessuale - in un primo momento
di breve durata sinonimi - erano i termini usati dalle
donne per discutere, analizzare e combattere la conce-
zione vigente della Donna definita in rapporto a uno
standard universale detto "l'uomo". Con il passar degli
anni e l'approfondirsi della discussione, dell'analisi e
della ricerca, i termini vennero elaborati in concetti; il
concetto di genere divenne un vero e proprio oggetto
teorico del pensiero femminista e si arricchi di valenze
epistemologiche e di aspetti inizialmente ignorati, come
l'incidenza della diversità razziale e/o sessuale sul for-
marsi dell'identità o dell'appartenenza di genere. Ma
nella sua prima concezione il genere era il marchio della
donna, il segno della sua differenza: una differenza ses-
suale che sottendeva un insieme di tratti caratteriali
derivanti dal sesso anatomico e dal destino biologico, e
comportava la subordinazione all'uomo. Il genere era la
somma di quei tratti, sia che li si pensasse innati, forniti
dalla natura, o imposti dalla cultura e frutto di condizio-
namento sociale.
Per esempio, il più citato e influente saggio sul genere
degli anni settanta è un saggio di Gayle Rubin, subito tra-
dotto in italiano da "nuova DWF" con il titolo Lo scambio
delle donne, ma il cui titolo originale ne mostra l'apparte-
nenza al pensiero critico marxista-femminista di quel tem-
po: The Traffic in Women: Notes toward a Politica/ Economy
o( Sex (Il traffico di donne. Note per un'economia politica
del sesso) apparve nel 1975 in un volume dal titolo Toward
an Anthropology o( Women (Per un'antropologia delle don-
ne). Rubin dimostra la reciproca implicazione di sesso e
genere elaborando il concetto di sex/gender system: un
sistema sesso/genere è l'insieme "dei dispositivi tramite i
quali una società trasforma l'istinto sessuale biologico in
prodotto dell'attività umana e attraverso cui i bisogni ses-

97
suali, cosi trasformati, sono soddisfatti" . 13 Dopo una criti-
ca incisiva a Lévi-Strauss, Lacan, e al Freud degli scritti
sulla sessualità femminile, Rubin conclude con un'affer-
mazione, oggi alquanto sorprendente, che dimostra la
sinonimia di sesso e genere tipica del pensiero femminista
di quegli anni: "La psicoanalisi è una teoria del genere" . 14
Affermazione tanto più sorprendente se si pensa che la
stessa Rubin, in un saggio di dieci anni posteriore e a suo
modo altrettanto influente, Thinking Sex: Notes (or a Radi-
cal Theory o( the Politics of Sexuality (Pensare il sesso: note
per una teoria radicale della politica della sessualità), pro-
pose di disgiungere drasticamente il genere dalla sessua-
lità, asserendo la necessità di elaborare una politica del
sesso e una teoria della sessualità autonome dalla critica
femminista del genere, ora inteso come struttura dell'op-
pressione sociale delle donne.
Fu in quel contesto di dibattito femminista che scrissi -
o forse che si scrisse da sé - un libro sulle tecnologie del
genere. 15 Il genere, vi sostenevo, non è un semplice deriva-
to del sesso anatomico o biologico ma una costruzione
simbolica, una rappresentazione o, meglio, l'effetto combi-
nato di innumerevoli rappresentazioni visive e discorsive
che provengono dai diversi apparati istituzionali dello sta-
to, quali la famiglia, la scuola, la giurisprudenza, la medici-
na ecc. (qui il riferimento è a Foucault e Althusser), ma
anche dalle forme stesse della cultura (il linguaggio, le arti,
la letteratura, la religione, la filosofia, il cinema, i media),
che descrivevo appunto come tecnologie del genere.
La natura artificiale del genere, il suo essere rappresen-
tazione o costruzione discorsiva, però, non significa che
esso non abbia effetti concreti nella vita materiale, sociale
e psichica degli individui. Al contrario, la realtà del genere
sta precisamente negli effetti di realtà prodotti dalla sua

13 G. Rubin 1976, pp. 24-25.


14 Ivi, p. 55.
15 T. de Lauretis 1987. Il capitolo introduttivo di quel libro è tradotto
in T. de Lauretis 1996a con il titolo La tecnologia del genere.

98
rappresentazione: il genere si realizza, diviene realtà con-
creta quando la rappresentazione diviene autorappresen-
tazione, ossia viene assunta dal soggetto quale componen-
te della propria identità. Per questo ho proposto il neologi-
smo en-gender, che rendo in italiano con ingenerarsi: il sog-
getto si ingenera, vale a dire si produce in quanto soggetto
nell'assumere, nel fare proprie o nell'identificarsi con gli
effetti di senso e le posizioni specificate dal sistema ses-
so/genere di una data società. Detto altrimenti, il soggetto
è prodotto o ingenerato nella misura in cui è soggetto atti-
vamente alle tecnologie del genere.
Scrivendo en-gender con il trattino giocavo con il verbo
inglese to engender (produrre, generare) che non ha conno-
tazioni di genere, maschile o femminile, e con il sostantivo
gender nell'accezione comune messa in evidenza dal
discorso femminista. In italiano il senso di quel gioco di
parole può essere reso dall'aggiunta del prefisso in alle for-
me del verbo generare: ingenerato è il soggetto prodotto o
generato nel genere, ossia costituito in quanto donna o in
quanto uomo; e viceversa il genere è inscritto, inserito,
innestato nel soggetto dal suo primo formarsi, dai
momenti iniziali della soggettività che precedono l'apper-
cezione della differenza sessuale. Se anch'io, come Rubin,
distinguevo il genere dal sesso e dalla sessualità, per me la
distinzione era necessaria teoricamente, a fini analitici,
non in senso assoluto. Mi pareva, e mi pare, fuori dubbio
che nell'esistenza materiale-sociale, psichica e corporea-
di ogni individuo, genere e sessualità siano inevitabilmen-
te interconnessi.
Indipendentemente dalle diverse formulazioni dell'og-
getto teorico genere nell'ambito del femminismo, mi pre-
me sottolineare che l'elaborazione del concetto di genere
nelle sue valenze analitiche, politiche ed epistemologiche è
dovuta al pensiero femminista e si è verificata prima dello
.slittamento, in ambito accademico, dagli studi delle donne
agli studi sul genere. Insisto perché questo pezzo di storia
culturale o storia del pensiero è già in via di sparizione; tra
una decina d'anni o poco più, forse nessuno ricorderà che

99
i concetti di genere e di soggetto ingenerato non esisteva-
no prima che il femminismo li elaborasse, li analizzasse, li
teorizzasse e soprattutto li nominasse.
J.:istituzionalizzarsi degli studi delle donne nei curricu-
la accademici, in corsi di laurea e in dipartimenti di
womens studies ebbe luogo negli anni settanta e ottanta
sotto la spinta delle agitazioni studentesche e con il lavoro
straordinario non remunerato di alcune docenti. (Ricordo
il tempo in cui le studentesse chiedevano classi di sole
donne e le studiose esigevano spazi d'incontro separati ai
convegni nazionali, pratiche di cui rimane ancora vestigio
nel Women's Caucus della Modem Language Association,
la massima organizzazione internazionale per lo studio
delle lingue e delle letterature del mondo, che ha sede a
New York.) Ma l'istituzionalizzazione ha portato con sé
delle restrizioni: l'imperativo di mantenere alto il numero
delle iscrizioni, l'imposizione programmatica di sequen-
zialità nei corsi, e quindi la formazione di una specie di
canone o corpus di testi che nella metodologia e nei conte-
nuti rappresentassero quel campo di studio: lo studio delle
donne. E portò quindi anche un odore di stantio, di chiu-
sura ideologica e intellettuale.
Nell'acquistare legittimità accademica, il campo si
dovette autodelimitare. Cominciò, per cosi dire, a chiude-
re le frontiere e a vietare l'accesso a testi o posizioni che
venivano considerate offensive per le donne. Nella mia
stessa università, per esempio, Freud fu messo al bando
come esemplare di misoginia e di "teoria maschile"; ma lo
fu pure, di conseguenza, Speculwn. L'altra donna di lriga-
ray che era non solo su Freud ma anche su Platone, Ari-
stotele e altri "filosofi maschi europei". E non importa che
lrigaray li leggesse contropelo. Leggere Irigaray presuppo-
neva leggere anche loro, e questo andava contro il proget-
to multiculturale di quel programma di studi.
Due furono le soluzioni trovate da coloro che per diver-
se ragioni non si adeguarono ai dettami istituzionali o
ideologici. La soluzione di chi era femminista ma mal
disposta a mettersi una cintura di castità intellettuale fu di

100
integrare la prospettiva critica femminista nei suoi corsi
regolari, ossia nell'insegnamento disciplinare. I:altra solu-
zione, adottata da coloro ai quali il femminismo o l'eti-
chetta di femminista provocavano un certo imbarazzo, fu
di prendere le distanze dall'oggetto di studio donne e di
rivolgersi invece ai rapporti tra donne e uomini, alla
costruzione sociale della mascolinità, ai modelli dei due
generi offerti agli adolescenti, o a concezioni alternative
del rapporto sesso-genere. Quest'ultima soluzione aprl la
strada agli studi sul genere.

Genere e sessualità

Ora che gli studi delle donne sono contenuti e discipli-


nati in un curriculum multidisciplinare e multiculturale
in pressoché tutti i college e le università del Nordameri-
ca, l'espressione gender studies serve praticamente da jol-
ly. Può riferirsi a una varietà di tematiche e argomenti che
vanno da quelli più conservatori, come la famiglia e i rap-
porti sociali tra uomini e donne, a quelli più provocanti,
come il travestitismo, il drag, il transgender e le cosiddette
neosessualità, ossia la bisessualità praticata, il sadomaso-
chismo omosessuale, il transessualismo e altre varietà
sessuali meno comuni; ma si può estendere fino alle pra-
tiche di modificazione corporea come il tatuaggio, il pier-
cing o il body building, le quali vengono considerate modi
di "decostruire" il genere e di dissolvere i confini delle
identità di genere o sessuali tradizionali (si noti che "tra-
dizionali" qui comprende sia l'identità eterosessuale sia
quella omosessuale, e che la distinzione tra genere e ses-
sualità è di nuovo caduta). Agli scritti più criticamente
agguerriti o intellettualmente ambiziosi di questo filone
viene dato il nome di queer theory, dove la parola teoria sta
a indicare un livello concettuale più elevato, o quanto
meno l'aspirazione a esso.
Retrospettivamente, dunque, possiamo dire che il rap-
porto tra genere e sessualità in questo tipo di studi è pas-

101
sato dalla quasi sinonimia nei primi scritti femministi a
una distinzione categorica in quei lavori che considerano
il genere una forma simbolica costruita in base al dato
naturale, biologico che è il sesso; e ancora, nell'ultimo
decennio, all'indistinzione o intercambiabilità di sesso e
genere, entrambi intesi come costruzioni discorsive e fun-
zioni di performance. Non, pertanto, dati dalla natura, ma
nemmeno fissi o stabili nel singolo individuo, in questa
ottica sesso e genere sarebbero passibili di modificazione
tramite la cosmesi, gli ormoni, la palestra, la chirurgia o la
performance stessa.
Cindistinzione, fors'anche l'indifferenza, di genere e
sessualità si può constatare nella recente voga del termine
transgender. Diversamente da transessuale, che implica
essere di un sesso diverso da quello assegnato alla nascita,
transgender pare voglia significare identificarsi con un ses-
so diverso da quello assegnato alla nascita. Benché con-
tenga un riferimento al sessuale (suggerito dall'evidente
analogia con transessuale), transgender veicola il senso di
una trasformazione che non è il passaggio - lungo, diffici-
le, pieno di ostacoli e socialmente regolato -dall'uno all'al-
tro sesso anatomico, bensl la metamorfosi subitanea,
indolore e autogestita in un essere al di là dei due generi
(maschile e femminile), al di là dei due sessi (maschio e
femmina) e al di là delle due forme, ora considerate "tradi-
zionali", di organizzazione sessuale (eterosessuale e omo-
sessuale). Quindi, nel fare riferimento al sesso e alla ses-
sualità, in effetti il termine transgender li elide, li cancella,
ne evacua il peso specifico e gli effetti nella soggettività. È
pura figura di discorso che non allude a un genere né a un
sesso né a una sessualità né a un corpo; non si riferisce a
nulla se non alla propria natura di figura di discorso.
La concezione meccanicistica e volontaristica del sesso
e dell'identità di genere che sottende l'uso sempre più dif-
fuso del termine transgender è lontanissima da Freud e
dalla sua ben più cupa visione di una sessualità dominata
da un inconscio tanto intrattabile quanto imprevedibile.
In questo filone, che andrebbe propriamente detto post-

102
gender studies o studi del dopogenere, la sessualità non è
che la tipologia dei possibili comportamenti sessuali e del-
le posizioni scelte di volta in volta dall'individuo; l'incon-
scio rimane in ombra, è un concetto inerte che non tempe-
ra )a fiducia nel diritto alla felicità sancito dalla costituzio-
ne americana e non intacca la mitologia del self-made
man, qui riproposta nella figura dell'individuo che da sé si
fa transgender, come la/il protagonista del popolare
romanzo autobiografico di Leslie Feinberg, varcando i
confini del sesso biologico femminile senza però approda-
re alla riva dell'altro sesso biologico o del genere maschile.
Sebbene la gran parte di questi studi sia di carattere
confessionale e si avvalga di una tematica della redenzione
più consona al funzionalismo della psicologia dell'Io che
alla psicoanalisi di Freud e di Lacan, ciò nonostante anche
quest'ultima ha avuto una sorta di rinascita in due campi
di ricerca che fino agli anni novanta se ne erano tenuti a
distanza, anzi uno di essi l'aveva apertamente osteggiata.
È questo il campo degli studi lesbici e gay (lesbian and gay
studies), la cui ostilità trova ragioni inoppugnabili nella
storia di pratiche mediche repressive e punitive dell'omo-
sessualità, dall'internamento all'elettroshock, che si appi-
gliano pretestuosamente a un Freud volgarizzato. Ma la
resistenza alla psicoanalisi si è venuta incrinando con la
(ri)lettura critica dell'opera di Freud, in particolare la
metapsicologia, in relazione alle teorie poststrutturaliste e
in ambito universitario. Si è cosl cominciato a capire che il
Freud americano è assai più conservatore del Freud vien-
nese, il quale infatti disprezzava il moralismo sessuale
degli americani.
Si è potuto vedere cosi che le opinioni attribuite a
Freud sull'omosessualità - l'essere essa condizione pato-
logica di mancato sviluppo psichico o di devianza morale
e sociale - non erano le sue, bensl quelle propagate, sotto-
scritte e messe in pratica dall'istituzione psicoanalitica
nei suoi diversi apparati clinici, pedagogici e organizzati-
vi (a questo proposito si vedano Abelove [1993] per gli
Stati Uniti e O'Connor-Ryan [1993] per la Gran Bretagna).

103
Freud scrisse esplicitamente, in una lettera alla madre di
un giovane omosessuale americano che gli si era rivolta
per consiglio, che secondo lui l'omosessualità in sé non
era una malattia né una condizione patogenica né un
motivo di vergogna. 16 Anche in questo, perciò, come sulla
questione dell'analisi laica o quella dell'ammissione di
omosessuali al training psicoanalitico, Freud era molto
più illuminato e progressista dei suoi eredi e discepoli a
noi contemporanei.
Se a questo punto vi state chiedendo, lettrici e lettori,
che differenza ci sia tra studi lesbici e gay, studi sul gene-
re e queer theory, posso solo rispondere che non lo so. Tut-
te queste espressioni vengono usate sia nelle università
sia nell'editoria con referenti labili e imprecisi, per lo più
a fini propagandistici, per attirare studenti o incrementa-
re le vendite di libri. Questo, per un verso, favorisce la
flessibilità del curriculum e lo studio di fenomeni cultura-
li nel loro emergere, ma per un altro verso comporta un
adeguamento della ricerca universitaria al mercato edito-
riale, o a quel settore di esso che si regge sui libri di testo,
e lega la ricerca nel campo umanistico a interessi com-
merciali cosi come la ricerca scientifica è legata a interes-
si politici e militari.
Prendiamo il caso seguente. Quando coniai l'espressio-
ne queer theory per un convegno sull'omosessualità tenuto-
si presso la mia sede universitaria nel 1990, il termine
queer (strano, strambo, bislacco) era da più di un secolo
usato in senso spregiativo per designare una persona omo-
sessuale, ma era già stato ripreso e riscattato dal movi-
mento di liberazione gay e veniva usato con orgoglio da
uomini e donne dichiaratamente o apertamente omoses-
suali. Nel definire il tema dell'incontro che stavo organiz-
zando con quelle parole invece di, per esempio, "sessualità
lesbica e gay", volevo aprire una vertenza e mettere in
discussione, per prima cosa, l'idea che l'omosessualità
maschile e quella femminile fossero, indipendentemente

16 Si veda H. Abelove 1993, p. 381.

104
dal genere, una medesima forma di sessualità e, in secon-
do luogo, che questa fosse identificabile solo per contrasto
con l'eterosessualità (che però gli studi femministi aveva-
no abbondantemente dimostrato distinta in maschile e
femminile). In altre parole, volevo coniare un'espressione
nuova che spingesse i partecipanti a considerare le due
forme di omosessualità - lesbica e gay - nelle rispettive
condizioni di esistenza storica, materiale, sociosimbolica
e a farne oggetto di riflessione teorica.
Questa teoria sarebbe stata strana, stramba- pensavo,
giocando sul primo significato del termine qaeer - non in
quanto prodotta da individui omosessuali, ma proprio nel
progetto di rimettere in discussione nozioni e idee acqui-
site: in primo luogo, dunque, sospendere l'uso automatico
dell'aggettivo "gay-e-lesbico" o "lesbico-e-gay" (per como-
dità abbreviato in ''lesbigay"), ormai divenuto il cliché più
ripetuto nei talk show televisivi, e usato indifferentemen-
te con riferimento a sessualità, identità, comunità, stile di
vita eccetera; ma anche, di conseguenza, affrontare con
coraggio il problema della disparità tra donne lesbiche e
uomini gay. Questa ipotesi di ricerca, speravo, avrebbe
cancellato il trattino omologante tra loro, esplorando sia
il terreno comune sia quello specifico alle rispettive prati-
che, concezioni, narrazioni culturali e autorappresenta-
zioni dell'omosessualità; tenendo presenti le diverse istan-
ze delle appartenenze di genere, di classe, razziali, etni-
che, generazionali, sociogeografiche, religiose, politiche.
In tal modo avremmo misurato i limiti e le possibilità di
un'effettiva alleanza pur nelle differenze, invece di adat-
tarci a una scomoda coabitazione sotto la medesima eti-
chetta.
Saremo, auspicavo, pronti a esaminare, esplicitare, confron-
tare e confrontarci sulle rispettive storie e strutture concet-
tuali che hanno caratterizzato l'autorappresentazione delle
donne lesbiche e degli uomini gay, sia bianche/bianchi sia di
colore, nel Nordamerica fino a ora; da Il saremo in grado di
andare avanti a reinventare i termini delle nostre sessualità, a

105
delineare un altro universo di discorso, un altro modo di pen-
sare il sessuale.17

Era questo il progetto per queer theory come lo imma-


ginavo. Ora non posso che registrare la disseminazione di
quel termine e gli usi e gli abusi che se ne sono fatti. Non
molti mesi fa, per esempio, in una delle maggiori librerie
alternative di San Francisco, A Different Light, sullo scaf-
fale con la dicitura "queer theory" mi sono trovata insieme
con Miche] Foucault, Samuel Delany e Judith Butler, ma
anche con Gilles Deleuze, Julia~Kristeva, Umberto Eco e
beli hooks. Indubbiamente motivata da ragioni commer-
ciali, tale sistemazione di libri riflette la banalità e la
superficialità con cui il termine è stato mobilitato nel mer-
cato editoriale, nel mondo accademico e nei cosiddetti
media altemativi. 18
Rimane il fatto, però, che gli studenti universitari fan-
no grande consumo di libri etichettati "queer theory" o
"studi lesbici e gay". Secondo Cleis Press, una piccola casa
editrice della West Coast - che ha da poco pubblicato la
terza edizione di una guida ai cinquecento e passa editori,
giornali, riviste ecc. che producono o immettono sul mer-
cato pubblicazioni di contenuto gay o lesbico - più di mil-
le titoli nuovi vengono pubblicati ogni anno. 19 Rimane
dunque da chiedersi: quale significato ha questo vivace e

17 La citazione è tratta dalla mia introduzione al convegno Queer

Theory: Lesbian and Gay Saualities pubblicata nel numero speciale della
rivista "differences" che contiene anche altri intenrenti e relazioni pre-
sentate al convegno (cfr. T. de Lauretis 1991).
18 Noto tuttavia con sollievo che il valore politico e teorico del mio
antico progetto di queer theory è stato recepito in Giappone, dove il movi•
mento gay e lesbico, fondato nel 1986 con l'associazione Occur. è attiva•
mente impegnato nella ricerca e nel dialogo critico con gli studi gay e
lesbici americani ed europei (soprattutto olandesi) e si è adoperato per
pubblicarne in traduzione giapponese alcuni scritti, considerati fonda•
mentali. 1ra essi è la mia introduzione al numero speciale di ''differen•
ces" su Queer l11eory (cfr. T. de Lauretis 1991), tradotto in Kuia seori (T.
de Lauretis 1996b).
19 Si vedaJ. Noble 1994-1995, p. 21.

106
diffuso interesse per la sessualità e la teoria? La reazione
dell'establishment medico, come pure quella dei media e
del paese in generale, alfa crisi nazionale provocata dal-
l'Aids ha dimostrato il fallimento della cosiddetta libera-
zione sessuale degli anni sessanta e settanta, ossia quanto
poco essa abbia in realtà inciso sul moralismo sessuale
che Freud aveva diagnosticato all'inizio del secolo nella
società americana. Allo scoppio dell'epidemia, l'immedia-
ta condanna pubblica degli omosessuali si basava sul pre-
supposto, solitamente implicito, che l'Aids fosse una ma-
lattia immorale perché trasmessa sessualmente. Deriva da
questo presupposto, tuttora attivo nella grande maggio-
ranza degli americani, l'idea che a causare la malattia nota
come Aids sia l'immoralità dell'omosessualità in quanto
tale, e non particolari forme di comportamento o contatto
sessuale tra due (o più) persone di qualsiasi sesso.
Il fallimento della rivoluzione sessuale auspicata da
Kate Millett e tanti altri, a quel tempo, ossia il suo rivelar-
si incapace di alterare permanentemente la moralità ses-
suale in Nordamerica, può dare in parte ragione della rin-
novata preoccupazione degli studenti universitari circa la
propria identità sessuale. D'altra parte viene fatto di pen-
sare all'analisi foucaultiana del dispiegamento della ses-
sualità nel tardo capitalismo, epoca in cui "lo sfruttamen-
to del lavoro salariato non esige le stesse coercizioni vio-
lente e fisiche del diciannovesimo secolo e in cui la politi-
ca del corpo non richiede più l'eliminazione del sesso o la
sua limitazione al solo ruolo riproduttivo, ma passa piut-
tosto per la sua canalizzazione multiforme nei circuiti
controllati dall'economia". 20 In altre parole la continua
produzione discorsiva di "eterogeneità sessuali", la molti-
plicazione e proliferazione di identità sessuali in questa
fine di secolo rovesciano il quadro ottocentesco di "una
sessualità repressa per ragioni economiche", mettendo in
luce una sessualità che invece è prodotta per ragioni eco-
nomiche.

20 M. Foucault 1988, pp. 101-102.

107
Per Foucault la psicoanalisi costitul un ultimo vano
tentativo di rifondare la sessualità nella Legge del padre,
del tabù dell'incesto, della famiglia. Lo sforzo di Freud
sarebbe stato motivato dalla reazione all'ondata di razzi-
smo che minacciava direttamente l'uomo Freud, i suoi
parenti stretti e la sua comunità in senso lato, la diaspora
ebraica. Nonostante la posizione progressista della psicoa-
nalisi, antifascista fino in fondo, l'obiettivo di Freud,
secondo Foucault, era una "retro-versione" storica, il ritor-
no a una concezione del desiderio e del potere già sorpas-
sata all'inizio del secolo. 21 Dal punto di vista del suo studio
storico-genealogico, Foucault aveva ragione. Ma perché,
allora, il rinato interesse per Freud nell'ultimo decennio di
questo secolo? Credo abbia a che fare con un altro aspetto
della psicoanalisi che Foucault qui tralascia, vale a dire la
teorizzazione dell'inconscio e della pulsione, quella "pres-
sione recalcitrante" (poussée rétive) che Foucault vorrebbe
dissolvere in "relazioni di potere". 22
Sarebbe interessante esaminare più da vicino la diffe-
renza tra le loro rispettive concezioni della sessualità, a
mio avviso solo in apparenza antitetiche, e tracciarne i
punti d'intersezione, se ciò non esulasse dal presente sag-
gio. 23 Dirò soltanto che negli Stati Uniti, in un contesto
intellettuale fortemente avverso al concetto di inconscio, il
primo volume della Storia della sessualità di Foucault è
stato accolto a braccia aperte come l'antitesi della teoria
freudiana, e ciò ha promosso una facile e falsa opposizio-
ne tra due vedute sul genere e sulla sessualità che vanno

21Ivi, p. 133.
22"Non bisogna descrivere la sessualità come una pressione recalci-
trante, estranea per natura e ribelle per necessità a un potere che, dal
canto suo, si consuma nel tentativo di sottometterla e spesso non riesce
a controllarla completamente. Essa appare piuttosto come un punto
di passaggio particolarmente denso per le relazioni di potere: fra uomi-
ni e donne, fra giovani e vecchi, fra genitori e figli, fra educatori e alun-
ni, fra sacerdoti e laici, fra un'amministrazione e una popolazione" (ivi,
pp. 91-92).
23 A questo proposito si veda T. de Lauretis 1998.

108
sotto i nomi di essenzialismo e costruzionismo. La prima,
che si fa risalire a Freud, dichiara la sessualità innata. La
seconda, mutuata dall'analisi foucaultiana della "tecnolo-
gia del sesso", dichiara la sessualità una costruzione socia-
le. Ma la fonnula, tanto più riduttiva quanto più ampia-
mente divulgata, che mette fronte a fronte una sessualità
innata (essenzialismo), attribuendola a Freud, e una ses-
sualità socialmente costruita (costruzionismo), attribuen-
dola a Foucault, si basa su un doppio malinteso: primo,
ciò che è innato in Freud non è la sessualità ma, semmai,
la pulsione (e anche questo andrebbe messo in discussio-
ne), mentre la sessualità altro non è che costruzione fanta-
smatica; secondo, ciò che Foucault intende per sessualità
- tecnologia sociale, insieme di dispositivi di potere elabo-
rati in tempi lunghi da società complesse - non è qualcosa
di cui l'individuo possa riappropriarsi o che possa sovver-
tire e trasformare né con la chirurgia né con la performan-
ce. Insomma, la nemesi di Freud continua a colpire.
Eppure, insieme con la tradizionale ostilità al suo pen-
siero, anche da parte di ex discepoli che ora accusano il
padre-maestro, si verifica il fenomeno opposto: la teoria
dell'inconscio continua inaspettatamente ad attrarre. Il
secondo campo in cui, di recente, è entrata ad animare il
dibattito intellettuale, teorico e politico è quello degli studi
postcoloniali, detti anche diaspora studies con riferimento
ai diversi popoli dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina
dislocati e rilocati nei paesi del "primo mondo" dal colo-
nialismo, prima, e poi dalla globalizzazione del capitale e
del lavoro.

LA psicoanalisi e gli studi postcoloniali

Ai teorici della cultura postcoloniale una forte spinta


verso la metapsicologia freudiana è pervenuta attraverso
l'opera di Frantz Fanon (1925-1961), lo psichiatra nato in
Martinica e laureato in Francia, che fu primario dell'ospe-
dale di Blida-Jonville in AJgeria durante l'occupazione fran-

109
cese, prese parte attivamente alla lotta di liberazione e
mori di leucemia a soli 36 anni. Sebbene alcuni scritti di
Fanon tra i quali, in primo luogo, I dannati della terra
abbiano avuto grande influenza sul pensiero politico afro-
americano e di altri critici di opposizione negli Stati Uniti
fin dagli anni sessanta, il suo primo libro, scritto in Francia
prima del trasferimento in Algeria, era rimasto nell'ombra.
È proprio questo, invece, che negli anni novanta ha attrat-
to l'attenzione di una nuova generazione di lettori.
Di taglio autobiografico e d'hppostazione psicoanalitica,
Peau noire, masques blancs (Pelle nera maschere bianche,
1952) mette a fuoco il nesso tra sessualità e appartenenza
razziale nei processi di soggettivazione e insiste sulla natura
corporea del soggetto sociale: è il corpo che si costituisce a
terreno di formazione di un'identità che è insieme psichica,
sessuale e sociale. "Cuomo," scrive Fanon, "scava nella sua
carne per trovare un senso in se stesso."24 Ma per coloro che
hanno subito "il furto del corpo" e altro non sono più che
carne (come dice Hortense Spillers a proposito della schia-
va africana in America e dei suoi discendenti) il senso delle
cose, della vita stessa vacilla o viene meno con l'impossibi-
lità di soggettivazione. O come dice un'altra teorica femmi-
nista postcoloniale, Cherrfe Moraga, riflettere e scrivere su
di sé è fare teoria dalla carne, sulla propria pelle, "una teoria
in carne e ossa". 25
Nel prendere in esame i vari teorici terzomondisti che
si richiamano a Fanon nel contesto del pensiero post-
strutturalista, tra cui Edward Said, Gayatri Spivak e
Homi Bhabha, il critico afroamericano Henry Louis
Gates, Jr. li accusa di elevare Fanon al rango di icona, di
fame un poststrutturalista ante litteram, l'antesignano
dell'ibridità postmoderna, il teorico di un globalismo
transculturale. E tutto questo ai fini di un progetto più
loro che suo, cioè la costruzione di una teoria unificata

24 F. Fanon 1996, p. 9.
25 Si vedano H. Spillers 1997 e C. Moraga-G. Anzaldua 1983, p. 23.

110
dell'oppressione, una "teoria imperiale", astorica e tota-
lizzante. 26 Io non credo che Gates colga nel segno quan-
do attribuisce a Bhabha, soprattutto, tale progetto. Credo
piuttosto che ciò che suscita i sospetti di Gates e ne fa
scattare l'ostilità sia l'impalcatura concettuale filosofico-
psicoanalitica di Bhabha e il necessario riferimento alla
concezione lacaniana di un soggetto radicalmente diviso
nel linguaggio; questo è infatti il punto di partenza della
teoria dell'ibridità che Bhabha articola in gran parte tra-
mite la lettura di Fanon.27
Pur concordando con Gates sulla necessità di "ristoriciz-
zare" Fanon e di leggere Pelle nera maschere bianche nel con-
testo intellettuale della Francia del dopoguerra - quindi di
Sartre, certamente, ma anche, non si dimentichi, di Lacan e
della psicoanalisi freudiana di Marie Bonaparte e Melanie
Klein - direi però che è Bhabha, e non Gates, colui che
coglie nell'opera di Fanon gli aspetti di maggiore rilevanza
per il pensiero postcoloniale. Cruciale tra essi è la cognizio-
ne profonda, vissuta nel proprio corpo e sulla propria pelle,
della irriducibile difficoltà, se non addirittura dell'impossi-
bilità, di un'identità coerente - nazionale, razziale e sessuale
- per il soggetto colonizzato o postcoloniale. È questo
appunto il limite che ci addita il Fanon di Pelle nera masche-
re bianche, il limite di ogni sogno di decolonizzazione.
Può sembrare paradossale che proprio questo libro
abbia istigato un ripensamento della psicoanalisi freudia-
na dato che in esso Fanon nega esplicitamente che la teo-
ria dell'inconscio sia pertinente all'uomo di colore. Il com-
plesso edipico non esiste tra i negri, ci dice: "Nelle Antille
francesi, il 97 per cento delle famiglie non possono dare
origine a una nevrosi edipica". "Poiché il dramma sociale
si svolge alla luce del giorno, il Nero non ha il tempo di far-
lo sprofondare nell'inconscio."28 Ma a dispetto di tali affer-

26 H. L. Gates Jr. 1991, p. 470.


27 H. Bhabha 1994. Si vedano in particolare i saggi lnterrogating Jden-
lity e The Otlier Question.
21 F. Fanon 1996, pp. 133 e 132.

111
mazioni le tracce dell'inconscio sono chiaramente visibili
nel testo di Fanon, nell'ambivalenza delle sue identifica-
zioni, nelle fantasie sessuali esasperate, nelle tirate contro
le donne e gli omosessuali che fanno di Pelle nera masche-
re bianche uno spazio fobico ad alta tensione. La carica di
negatività psichica che questi fantasmi immettono nel
testo fornisce la verifica di una radicale divisione dell'io
narrante e narrato, e mette in luce quelli che sono, per dir-
lo con la bella frase di Kobena Mercer, "i limiti interiori
della decolonizzazione": "Leggendo Fanon oggi, un'intera
generazione dopo l'avvento delÌa decolonizzazione 'ester-
na', si ha la netta impressione che la marcia verso la libe-
razione si sia arrestata precisamente attorno agli spazi
'interni' della sessualità".29
Anche Mercer, un giovane studioso formatosi alla Bir-
mingham School di Stuart Hall, contesta l'assunzione di
Fanon nell'empireo dei grandi che hanno rivelato la verità
dell'oppressione. Diversamente da Gates, però, Mercer
vede nel Fanon di Pelle nera maschere bianche l'affermazio-
ne della fantasia in quanto elemento costitutivo della
realtà psichica di ciascuno, e pertanto soggetta alle esigen-
ze dell'inconscio. È per questo, sostiene Mercer, che diver-
si scrittori e artisti della diaspora postcoloniale si rifanno
a Fanon, non come maestro bensi come "risorsa" per
esplorare i modi in cui le fantasie inconsce agiscono da
collante psichico nella vita sociale.
Mentre la confutazione realistica degli stereotipi razzisti ha
spesso finito per creare una visione idealizzata dell'identità
nera, non degradata da immagini avvilenti dell'alterità, un
filone del repertorio postmoderno di appropriazioni ibride e
di ripetizioni parodiche da parte di esponenti neri delle arti
visive propone che tali stereotipi, per quanto disconosciuti,
possano tuttavia agire da "oggetti estranei interni" riguardo
ai quali la percezione è sempre "alienata" dal modo in cui
uno è percepito dagli altri come l'Altro. Questo dilemma è al

29 K. Mercer 1995, pp. 21 e 35.

112
centro dell'analisi che Fanon fa del soggetto interpellato nel-
l'appartenenza razziale. 30

In altre parole, tanto riconoscere l'agire degli stereotipi


razziali nelle proprie fantasie quanto riconoscere la pre-
senza di "oggetti estranei interni" nell'inconscio permette
di comprendere che la soggettività è costituita di alterità e
negatività, che io sono anche quello che non è me. Questa
è la lezione di Freud. E questa, secondo Mercer, è anche la
lezione che apprendiamo da Fanon, o per lo meno dal
testo di Pelle nera maschere bianche: che sempre la ricerca
di un'identità nazionalista, di un'autenticità etnica o di
una purezza della razza va a finire, come il sogno di libe-
razione totale, in un incubo di violenze e antagonismi. Ciò
che nel testo di Fanon già si prospetta, quindi, è l'ibridità
costitutiva del soggetto postcoloniale.
Ritorniamo, infine, alla questione del genere. L'autore
di Pelle nera maschere bianche era un antillano nero tra-
piantato in Francia; pensava, scriveva e viveva con le strut-
ture e le forme della lingua francese permeate, come le
pratiche del vivere quotidiano, da un razzismo che colora-
va anche le più elementari nozioni concernenti il genere e
la sessualità. Da cui la sua ambivalenza e resistenza nei
confronti di saperi, pratiche e formazioni discorsive, le cui
strutture concettuali era pur costretto a far proprie, poiché
altre non ne aveva a disposizione. E cosi legge Sartre,
Freud, Lacan, Marie Bonaparte, si confronta con quelle
che allora erano le concezioni più radicali o democratiche

JO Ivi, p. 28. Quest'ultima frase nel testo inglese è "This dilemma is at


the heart of Fanon's analysis of racialising interpellation". Ho reso l'e-
spressione "racialising interpellation" con "il soggetto interpellato nel-
l'appartenenza razziale" per evitare la traduzione letterale "interpellazio-
ne razzializzanle" che potrebbe risultare oscura, oltre a essere pessimo
italiano. Ma i termini inglesi racia/isi11g e racia/ised ("razzializzante" e
"razzializzato"), come pure il verbo /o racialise o racialize ("razzializza.
re") sono neologismi importanti in quanto comunicano l'idea che la raz-
za non è un fatto genetico o una proprietà naturale dei corpi bensl una
costruzione culturale imposta dall'Occidente.

113
del soggetto sociale, l'esistenzialismo marxista e la psicoa-
nalisi; in parte ci si ritrova, ma in parte no.
Da questo confronto, che assume i toni ora del dialogo
ora dell'accusa nel tentativo di riattraversare la psicoanali-
si e la filosofia sartriana dalla particolare posizione in cui
si trova, Fanon sta cercando di definire una nuova posizio-
ne di soggetto, ossia sta cercando i termini in cui pensare
l'uomo di colore come soggetto sociale. Il progetto verrà
poi ripreso da altri, tra cui Bhabha che, infatti, ispirandosi
a Fanon giunge a delineare la figura di un soggetto ibrido.
Ma attenzione: un progetto~ molto simile, mirato alla
costruzione discorsiva del soggetto donna, ha animato il
pensiero teorico femminista negli anni settanta e ottanta,
e ha portato alla concezione di quello che ho chiamato il
soggetto eccentrico.
Nel primo saggio riportato in questo volume (scritto
alla fine degli anni ottanta) ho tracciato una sorta di
genealogia del soggetto nella teoria femminista indivi-
duandone tre momenti o punti di snodo. Un primo mo-
mento di autocoscienza, sostenuto dalla domanda "Chi o
che cosa è una donna?" giunge alla realizzazione che la
donna, contrassegnata dal marchio del genere, è una rap-
presentazione o costruzione sociale, la figura di un para-
dosso. Qui si colloca anche la lettura di Il secondo sesso di
Simone de Beauvoir nel contesto del movimento femmini-
sta angloamericano degli anni settanta. Un secondo mo-
mento di autoriflessione, segnato dalla comprensione che
lo stesso pensiero femminista è intrappolato nel paradosso
"donna", è coinciso con la critica dell'eterosessualità obbli-
gatoria e l'intervento delle donne di colore nel discorso
femminista occidentale, a cominciare dai primi anni ot-
tanta. Esso a sua volta ha reso possibile il passaggio a un
terzo momento di autocostituzione della teoria femmini-
sta, caratterizzato dalla consapevolezza che il soggetto del
femminismo eccede - ossia è contemporaneamente dentro
e fuori - le sue determinazioni sociali e discorsive. Questo
è coinciso con l'entrata del femminismo occidentale in
un'ottica postcoloniale.

114
Nel primo momento il soggetto donna è negato, non è
soggetto ma solamente oggetto e rappresentazione ("l'Al-
tr0" di Beauvoir). Nel secondo, è un soggetto sdoppiato,
contraddetto, attraversato da differenze incommensurabi-
li e incompatibili di classe, razza e sessualità. Nel terzo, è
un soggetto eccentrico, multiplo e mobile, capace di mol-
teplici identificazioni e appartenenze ma anche di disiden-
tificazione e autodislocamento. La prima contraddizione
che il pensiero femminista incontra nel tentativo di defini-
re il soggetto donna è, dunque, un paradosso: la donna è
un essere umano essenziale alla società dell'uomo e al1a
sua vita materiale e psichica, ma allo stesso tempo è un
oggetto inessenziale, qualcosa di radicalmente altro dal-
l'uomo. Beauvoir lo descrive cosi: "L'uomo definisce la
donna non in quanto tale ma in relazione a se stesso; non
è considerata un essere autonomo. [...] Egli è il Soggetto,
l'Assoluto: lei è l'Altro". 31 Non diversamente Fanon a pro-
posito del paradosso in cui si imbatte l'uomo di colore:
"Facevo ingresso nel mondo, preoccupato di trovare un
senso alle cose, con l'animo pieno del desiderio di essere
all'origine del mondo, ed ecco che mi scoprivo oggetto in
mezzo ad altri oggetti. [... ] Il Nero non ha esistenza onto-
logica agli occhi del Bianco".32
Peau noi,; masques blancs usd a Parigi nel 1952, Le
Dew:ième sexe nel 1949. Benché Fanon conoscesse Beau-
voir, come conosceva Sartre, che cita puntualmente e con
il quale discute a lungo in questo suo primo libro, a Il
secondo sesso non fa riferimento alcuno. Eppure ne avreb-
be motivo: la formulazione di Beauvoir, "la donna è l'Al-
tro", è direttamente parallela a quella di Fanon, "il Negro è
l'Altro".33 Entrambe sono mutuate da Sartre, ma ciò che le
distingue dall'Altro sartriano (o hegeliano) è una specifica-

31 S. de Beauvoir 1984, p. 16.


32 F. Fanon 1996, pp. 97-98.
33 Anche il titolo del quinto capitolo di Peau noire, masques bla11cs,
L'expérie11ce vécue du Noir, riprende il titolo del secondo volume di Le
Deuxième sexe, L'expérience véc11e.

115
zione - di genere in Beauvoir, razziale in Fanon - che è
assente in Sartre e in tutto il pensiero filosofico che gli sta
a monte. Tale specificazione, che inscrive un punto di vista
inedito e rivela la posizione di soggetto di un io scrivente
ingenerato e (mi si permetta un altro brutto ma necessario
neologismo) razzializzato, 34 accomuna Beauvoir e Fanon
nei loro rispettivi progetti proprio nella misura in cui li
distingue dal progetto filosofico di Sartre: tutti e due i loro
testi delineano un soggetto dell'enunciazione che non è il
soggetto indiviso del cogito cartesiano e neppure il sogget-
to lacaniano diviso nel linguaggio, ma un soggetto diviso
dall'imposizione di un'appartenenza di genere o di razza
che lo rende eccentrico rispetto non solo al linguaggio ma
alla civiltà e al pensiero stesso.
Non voglio dire che le costruzioni sociali della razza e
del genere procedano parallelamente, tant'è vero che si
intersecano, convergono, divergono, si accavallano e si
escludono a vicenda; né voglio dire che esse producano gli
stessi effetti nei diversi soggetti costruiti e interpellati nel-
le rispettive appartenenze razziali e di genere. Per esem-
pio, il soggetto maschile razzializzato di Fanon è assoluta-
mente diverso dal soggetto femminile (bianco) di Beau-
voir, il quale è ingenerato all'interno di un sistema, quello
della differenza sessuale, in cui la differenza razziale non
viene presa in considerazione come tratto pertinente, ma
anzi è rimossa e resa insignificante. E ancora, il soggetto
femminile razzializzato di giovani teoriche postcoloniali
quali Rey Chow o Emma Pérez non è il soggetto gay, dia-
sporico e postnazionale di Kobena Mercer. 35 E cosl via.
Quello che voglio dire, invece, è che le contraddizioni e le
ambivalenze in cui versa Fanon sono analoghe a quelle
messe in luce dal pensiero critico femminista a comincia-
re da Il secondo sesso di Beauvoir. In entrambi i casi quel-
le contraddizioni e ambivalenze, pur nella loro diversità,

34
Si veda la nota 30 qui sopra.
35
Di Chow, Pérez e Mercer si vedano le opere citate in Bibliografìa a
fine volume.

116
banno dato luogo alla produzione di figure e concezioni
del soggetto postcoloniale molto simili tra loro.
Mi pare, infatti, che la posizione di un soggetto eccen-
trico, che vedo articolarsi in diverse figure concettuali
inscritte nei testi femministi presi in esame nel primo
capitolo, sia consona a quel1a del soggetto ibrido elaborata
da Bhabha. In un citatissimo saggio del 1989 dal titolo The
Commitment to Theory (I.:'impegno a teorizzare), Bhabha
delinea una teoria del soggetto postcoloniale immerso in
un campo sociale nel quale è continuamente e necessaria-
mente coinvolto in una pratica di analisi culturale intesa
come "negoziato invece che negazione, una dialettica da
cui non emerge nessuna Storia teleologica o trascenden-
te". La serie interminabile di negoziati definisce uno spa-
zio in cui opposizioni e contraddizioni non vengono risol-
te, bensl risignificate e "tradotte" in altri termini e altre
forme. È questo lo spazio dell'"ibridità". In esso il teorico
prende posizione "ai margini slittanti del dislocamento
culturale, che frattura ogni profondo o 'autentico' senso di
cultura 'nazionale' o di intellettuale 'organico"' .36
Se per teorico intendiamo colui o colei che cerca di
comprendere e (ri)fonnulare i processi della storia, della
cultura, del pensiero, della soggettività, penso che il teori-
co di Bhabha, sempre precariamente in bilico sul terreno
semovente del cambiamento culturale, economico, socia-
le, politico che in tutto il mondo caratterizza la postmo-
demità, sia un'altra figura di soggetto eccentrico. Comun-
que lo si voglia chiamare - soggetto ibrido, diasporico,
postcoloniale, postnazionale o qualcos'altro - questa figu-
ra è imparentata con quelle che ho tratto dagli scritti delle
teoriche femministe: la nuova mestiza di Anzaldua, la
lesbica di Wittig, l'altra inappropriata di Trinh, la donna
bianca di Rich, infedele alla civiltà, tutte figurazioni di un
soggetto eccentrico.
Ma ancora una volta la storia si ripete. Cosl come
Fanon pare ignorare la ricerca di Beauvoir, quasi mezzo

36 H. Bhabha 1994, pp. 26 e 21.

117
secolo dopo Bhabha non fa riferimento a questi scritti, pur
alludendo vagamente al "grande salto di qualità nel lin-
guaggio della sessualità, del sé e della comunità culturale
effettuato dalle femministe negli anni settanta e dalla
comunità gay negli anni ottanta". 37 Anche Mercer, il cui
saggio è del 1995, accenna di passaggio all'influenza che
sulla teoria postcoloniale ha avuto "la svolta femminista
verso la psicoanalisi negli anni settanta". ma niente di
più.38 D'altro canto, bisogna dire che né Bhabha né Fanon
sono menzionati nell'ambito della teoria femminista.
Come mai, ci si deve chiedere; questi discorsi, sollecitati
da progetti politicamente e intellettualmente molto vicini,
si sono venuti elaborando fianco a fianco ma senza mai
incrociarsi? Tanto più che tutti insistono sulla necessità di
ripensare il nesso genere, sessualità e razza come un'unica
problematica. Da dove proviene la resistenza al reciproco
riconoscimento?
Metto qui la domanda e qui la lascio in sospeso, a mo'
di promemoria. Affinché non si dimentichi che l'eccentri-
cità psicosociale, l'ibridità, la negatività e l'alterità non
possono essere ricondotte al centrismo di una politica
identitaria né possono essere neutralizzate dall'ottimismo
omologante di un progresso sociale che oggi si presenta
nelle vesti del postgender e del postfemminismo. Se l'in-
conscio permane restio e intrattabile, non è perché l'ha
detto Freud.

37 Ivi, p. 175.
38 K. Mercer I 995, p. 50.

118
4. Sintomatologia dei generi*

Con poche, ragguardevoli eccezioni, la semiotica non si


è occupata né del genere né del corpo, che sono invece,
con la sessualità, un nodo tematico fondamentale del pen-
siero psicoanalitico. Anni fa, nel corso di una lunga ricerca
sulla rappresentazione e autorappresentazione delle don-
ne nel cinema, mi resi conto che per affrontare la questio-
ne del genere in quanto costruzione sociale e soggettiva a
un tempo erano necessarie sia la semiotica sia la psicoana-
lisi: la prima per comprendere le modalità di costruzione e
i codici di trasmissione del genere come forma simbolica;
la seconda per comprenderne gli effetti di soggettivazione
nei singoli individui.
Mi sembrò che il punto di aggancio del sociale alla sog-
gettività si potesse localizzare precisamente nella zona di
confine tra semiotica e psicoanalisi, zona che credetti di
delineare per mezzo della teoria semiotica degli interpre-
tanti di C.S. Peirce, in particolare del concetto di abitudine
(habit), inteso come il risultato di una particolare catena
di effetti di significato prodotti nel processo di semiosi. Mi
fu cosi possibile pensare la soggettività costituita da un
processo continuo di semiosi (cui davo il nome di espe•
rienza) e da un insieme di abitudini, percezioni, associa-
zioni, disposizioni e aspettative derivanti dall'interazione

* Una versione di questo saggio in inglese, con il titolo Ge11der Symp-


toms, or Peeing Uke a Man, è in corso di stampa sulla rivista australiana
"Socia) Semiotics".

119
tra il mondo esterno e il mondo interno al soggetto, ossia
dal coinvolgimento del soggetto nella realtà sociale.
La teoria peirciana aveva anche un altro vantaggio:
offriva la possibilità di restituire il corpo al soggetto della
semiosi. Poiché il luogo in cui per il soggetto si realizzano
gli effetti di significato dei segni è proprio il corpo (l'Io-
corpo di Freud), che è a sua volta prodotto in quanto
segno per il soggetto: "Il concetto di abitudine come atteg-
giamento 'energetico', una disposizione somatica insieme
astratta e concreta, la forma cristallizzata di sforzi musco-
lar-mentali passati, ha il potere di evocare un soggetto toc-
cato dalla pratica dei segni, un soggetto coinvolto fisica-
mente, corporalmente nella produzione di significato, rap-
presentazione e autorappresentazione" . 1
Più recentemente, in un lavoro sulla sessualità e sul cor-
po lesbico, ho ripreso la teoria peirciana degli interpretanti
per descrivere i processi tramite i quali l'individuo è costi-
tuito contemporaneamente in soggetto sociale e soggetto
sessuale. Ho quindi considerato la sessualità un aspetto
particolare di quel processo continuo di semiosi che costi-
tuisce il soggetto in relazione alla significazione sociale e lo
costituisce soggetto sessuato e ingenerato in virtù di una
realtà psichica, corporale e fantasmatica, che il soggetto
immagina essere la propria. Ho cercato cosi di pensare la
sessualità con Freud e con Foucault allo stesso tempo, di
collegare tra loro due discorsi e due oggetti teorici distinti,
benché entrambi designati dal termine sessualità, ossia di
interfacciare la visione metapsicologica di Freud con quel-
la storico-tecnologica di Foucault per creare un'immagine
del percorso semiosico con cui la sessualità si insedia e
prende corpo in un soggetto, un Io corporeo.2
Nel presente saggio ritorno ancora al concetto peircia-
no di abitudine per mostrare come essa operi nel processo

1 T. de Lauretis, Semiotica ed esperienza, in T. de Lauretis 1996a,


p. 127.
2 Si veda T. de Lauretis, Sessualità e semiosi, in T. de Lauretis 1997,
pp. 275-294.

120
di formazione e (auto)attribuzione del genere, ossia nella
(auto)costituzione di un soggetto ingenerato. Ritorno
quindi anche al complesso nesso semantico di genere e
sesso, già tracciato per sommi capi nei capitoli precedenti,
per poi verificare in che modo l'identificazione e l'autoat-
tribuzione di genere producano sia un corpo per il sogget-
to sia un soggetto per quel corpo. In altre parole, intendo
dimostrare che se il genere è una costruzione sociale che si
concretizza o prende corpo, variamente, nei singoli indivi-
dui, non solo il genere non è una proprietà intrinseca dei
corpi o una qualità a essi connaturata, ma al contrario è
proprio il genere, assunto e fatto proprio dal soggetto, che
ne definisce il corpo.
Il corpo, in questo senso, è un sintomo del genere.
Niente di nuovo in ciò dal punto di vista della psicoanalisi,
nella quale il corpo è appunto il teatro di una produzione
sintomatica, il luogo in cui si formano e si rappresentano i
sintomi, espressione di fantasie inconsce e contenuti
rimossi. Nella metapsicologia freudiana i1 corpo è l'organo
di un linguaggio inconscio, la pulsione con le sue vicissitu-
dini. Oggi, in seguito alla divulgazione dei concetti psicoa-
nalitici nella cultura occidentale, il corpo parla anche un
linguaggio più accessibi1e, preconscio (come si può appu-
rare daU'uso comune di frasi del tipo "il mio corpo mi sta
dicendo qualcosa"), che quindi si presta a un'analisi
semiotica.
Come il corpo sia effettivamente un sintomo del genere
si può vedere nel lavoro di una giovane sociologa tedesca,
Gesa Lindemann, autrice di un libro sulla transessualità
dal titolo Das Paradoxe Geschlecht. Diversamente dall'in-
glese, che fa una precisa distinzione lessicale tra sesso e
genere (sex, anatomico-biologico, dato in natura; gender,
acquisito con la cultura), il tedesco ha una sola parola,
Geschlecht, che veicola entrambi i significati. 3 Das Para-

3 Cosl era anche in italiano fino a dieci o quindici anni fa, prima del-
l'introduzione del neologismo genere nel senso dell'inglese gender, a opera
degli studi delle donne; prima si usava la parola sesso in senso traslato (il

121
doxe Geschlecht, quindi, documenta la transessualità come
differenza sia di sesso sia di genere (Geschleclzterdifferenz),
e il termine mantiene tanto il senso di un rapporto stretto,
senza soluzione di continuità tra sesso e genere, quanto il
senso di una contiguità tra genere e corpo.
Riassumendo la ricerca presentata nel libro in un sag-
gio tradotto in inglese, Lindemann lo intitola The Body of
Gender Difference (Il corpo della differenza di genere),
facendo cosi una scelta significativa tra le due possibili
traduzioni inglesi di Geschlecht (gender e sex). Di conse-
guenza il titolo mette in primo piano la contiguità di corpo
e genere, che spesso rimane in ombra nei discorsi attuali
sul genere, e inoltre scardina la nozione acquisita che il
genere che un individuo assume dipenda dal corpo che la
natura gli ha dato. Questo lavoro, per la sua analisi sottile
e modulata, in prospettiva fenomenologica, e per la sua
novità rispetto all'attuale discorso sul genere negli studi
americani, merita uno sguardo ravvicinato.
Il genere che i corpi assumono, sostiene Lindemann, è
il risultato di pratiche sociali: "Le condizioni materiali del
corpo vanno intese come una realtà creata interamente
dal sociale". Ma ciò non significa che genere e corpo siano
unicamente effetti di una astratta performatività del
sociale. Poiché, se per un verso "è insostenibile presume-
re un corpo per natura dotato di genere", d'altro canto -è
questo il paradosso - bisogna riconoscere l'esistenza di
"una logica intrinseca del corpo, e il riferirsi dei corpi
all'ambiente per mezzo dell'apparato sensoriale". 4 Vista in
prospettiva fenomenologica, la differenza di genere è una
"forma sociale" storicamente variabile che impone una
distinzione tra corpi nella misura in cui essi vengono
esperiti soggettivamente e trattati dagli altri come corpi
dotati di genere. Ne consegue che l'assunzione del genere,
ossia la particolare realizzazione della distinzione di

sesso forte, il sesso debole), e certamente con minore estensione semanti-


ca di quanto non ne abbia il concetto femminista di genere.
4
G. Lindemann 1996, p. 341.

122
genere in ciascun corpo, può essere interrotta o disturba-
ta dalla particolare "logica intrinseca a ciò che è fisico o
sensoriale". Tale logica è di due tipi: una è intrinseca alla
percezione visiva della forma o Gestalt, l'altra intrinseca
alle sensazioni.
Quest'ultima distinzione, particolarmente importante
perché tiene in conto non solo la dimensione di materialità
del corpo ma anche la specificità dei diversi registri senso-
riali con cui il corpo reagisce al mondo circostante, è in
parte dovuta a un'altra peculiarità lessicale della lingua
tedesca, che per designare il corpo si avvale di due termini,
[(jjrper e Leib. Il primo si riferisce al corpo in quanto
Gestalt, forma visibile e concreta, mentre il secondo è il
corpo nel suo esperire il mondo esterno attraverso i sensi e
nel suo essere esperito o percepito dal soggetto stesso in
quanto sede di sensazioni. In altre parole, Korper è il corpo
come viene raffigurato nell'iconografia e nei discorsi cultu-
rali, o come ce lo raffiguriamo mentalmente; Leib è il corpo
con cui sentiamo o di cui abbiamo sensazione: potremmo
dire che Leib è il corpo che (ci si) sente. Nella traduzione
inglese, Korper è reso con "corpo oggettificato", Leib con
"corpo vivente", e questo a sua volta è ulteriormente distin-
to in "corpo che sente" e "corpo che ci si sente". 5
Senza addentrarmi oltre in sottigliezze lessicali,
aggiungo soltanto che il corpo oggettificato e il corpo
vivente stanno in una relazione di riflessività reciproca,
che è anche una relazione di senso normativa, tale che "un
corpo vivente moderno è disciplinato dalla forma pittorica
del corpo oggettificato". 6 In determinate situazioni, il cor-
po oggettificato diviene dominante, vale a dire che l'imma-
gine del corpo, la sua rappresentazione in quanto forma
compiuta o Gestalt (come quella che secondo Lacan appa-
re al soggetto nello stadio dello specchio), prende il
sopravvento sulle percezioni che appartengono al corpo

5 lvi, p. 349. I termini ing)esi sono, nell'ordine, objecti(ìed body, living


body, experiencing body, experienced body.
6
Ivi, p. 353.

123
vivente, e l'immagine mentale del corpo si sovrappone alla
percezione del corpo che ci si sente. In questo modo la
percezione stessa viene ingenerata, o forse sarebbe più
esatto dire che viene ingenerata e sessuata. L'esempio che
fa Lindemann è il seguente.
Una donna transessuale [transessuale da maschio a femmi-
na] che chiamerò Verena, la quale all'epoca non si era ancora
sottoposta all'intervento chirurgico sui genitali, racconta
cosa le accadde in un gabinetto pubblico per donne.
VE.RENA: Ero seduta sul water. Mi stavo rilassando e stavo per
fare pipl... e poi è entrata un'altra donna e ho fatto un sopras-
salto: cosa succederà se si accorge di qualcosa? La donna è
entrata nel cesso vicino al mio e faceva abbastanza rumore
nel fare la pipl, cosl mi sono sentita sollevata [tranquillizza-
ta]. Be', meno male, e poi mi sono messa a far pipl anch'io.

Lindemann commenta:
Verena è seduta in una delle toilette di un gabinetto pubblico.
Non può essere vista dalla persona che entra, presumibilmen-
te una donna [Verena non vede mai la persona, ma dopo tut-
to si trova in un gabinetto per donne]. Verena ha un sopras-
salto. La sua reazione è immediata e non proviene dalla pau-
ra di essere "smascherata come uomo" all'uscita. Questa rea-
zione implica che una relazione si deve essere stabilita tra
Verena e la persona che è entrata tale che a Verena è imme-
diatamente chiaro il suo essere fuori posto in quanto a gene-
re. Per analizzare questa relazione bisogna capire cosa signi-
fichi stare seduti sul water in modo rilassato: ti rilassi, hai
nell'addome la sensazione che si stia sviluppando una regio-
ne del corpo che ti senti [experienced body] la cui posizione
relativa coincide pressappoco con l'area urogenitale del cor-
po oggettificato. Per effetto dell'educazione, il corpo che ti
senti esiste in una relazione di senso riflessiva con questa
parte del corpo oggettificato. [Ma, ricordiamo, a questo pun-
to la relazione non è ancora attivata: fintanto che è sola nel
gabinetto pubblico, Verena non si sente fuori posto.] Non
appena un'altra persona/donna entra nel gabinetto la situa-
zione cambia fondamentalmente. Verena percepisce - ode -
l'altra persona ed evidentemente si sente udita, poiché si

124
chiede se l'altra persona si possa accorgere di qualcosa, vale a
dire se l'altra persona percepisca Verena come uomo.7

Ciò accade, spiega Lindemann, perché nel momento in


cui Verena si sente udita, quella particolare regione del
suo corpo vivente di scatto si collega con il corpo oggettifi-
cato e assume un senso in relazione a esso. La forma geni-
tale maschile del corpo oggettificato, che Verena sa di ave-
re (ricordiamo che Verena non è ancora stata operata), si
impone suUe sensazioni localizzate neUa particolare regio-
ne del corpo vivente e ne diventa la realtà percepita. Quin-
di, se Verena teme di essere percepita come uomo, è per-
ché lei stessa percepisce la propria differenza di sesso/
genere rispetto all'altra persona (si noti, però, che più tar-
di, nell'intervista con Lindemann, Verena descrive quella
persona come "un 'I a tra d onna ") .
Fenomenologicamente il processo si svolge grosso
modo cosi: la reazione di soprassalto produce una tensio-
ne nel corpo vivente. La regione del corpo che Verena sen-
tiva rilassata cessa di esistere ed è sostituita dall'immagine
mentale del corpo oggettificato con la sua forma genitale
maschile. In altri termini, come ho scritto altrove, il gene-
re è rappresentazione e autorappresentazione, affermazio-
ne che ora può essere ampliata e riformulata cosi: la rap-
presentazione culturale normativa del corpo (Korper), con
la sua intrinseca logica binaria - corpo maschile o corpo
femminile - disciplina il corpo vivente (Leib) inscrivendo il
genere nei registri sensoriali e ingenerando la percezione
stessa, e insediando cosi il genere nel corpo che ci sentia-
mo e con cui viviamo. Perciò il corpo è un sintomo del
genere: lo porta inscritto dentro di sé e lo parla attraverso
l'apparato sensoriale del corpo vivente, l'apparato percetti-
vo che costituisce l'Io corporeo.
Vorrei prevenire un'obiezione che potrebbe sorgere.
Portare a esempio l'esperienza e l'analisi di una transes-
suale per dimostrare l'ingenerarsi del corpo, ovvero l'inse-

7
Ivi, pp. 353-354.

125
diamento del genere nel corpo, può sembrare pretestuoso,
quasi un voler fare dell'eccezione regola. Ma non lo è. La
transessualità, in questo caso, non fa che rendere più
cospicuo il processo di soggettivazione in virtù della singo-
lare attenzione che dedica al genere; singolare nel senso
che la regolazione medico-giuridica della transessualità,
ciò che Lindemann chiama "la coreografia del cambia-
mento di genere transessuale", richiede e comporta più di
qualsiasi altra istituzione sociale "una messa a fuoco
ossessiva della distinzione tra i generi" (pp. 345-346).
Comporta e richiede un'attenziòne singolare, rivolta a una
singola componente dell'identità sociale e soggettiva, cioè
alla forma normativa dell'identità di genere, a esclusione
di ogni altra. Un'attenzione che in altre situazioni potreb-
be venire dirottata o sopita dalla pressione esercitata da
altre forme sociali quali l'appartenenza di classe, razziale,
etnica, religiosa eccetera.
Ma voglio fare, comunque, un altro esempio, tratto da
una conversazione tra cinque persone, donne e uomini,
tenutasi al Center for Cultura! Studies dell'Università di
Leeds e poi stampata dalla rivista inglese "Parallax". La
conversazione verte sul tema della materialità del corpo e
prende spunto dal libro Corpi che contano di Judith Butler.
Riporto qui sotto le parole di Griselda Pollock, teorica
femminista e studiosa di arti visive:
A me il termine corpo suona delimitato, mentre corporeità è
più come la parola corporeo, qualcosa che ha a che fare con
un registro di sensazioni e possibilità. Mi sento sempre più
attratta da quelle tesi femministe che sostengono che vi sia
una irriducibile specificità corporea femminile. [ ...] È un
deposito, accumulatosi storicamente, dei modi in cui hai fat-
to esperienza di certe cose con l'aiuto della specificità di quel
corpo. [ ... ] Come si può parlare di esperienze tanto incom-
mensurate [la mestruazione], se non si è mai provato qualco-
sa di simile al sangue che ti esce a fiumana dal corpo, se non
come di una sorta di ferita? [ ...) Non sto dicendo che un tale
accadimento determina quello che provi, ma che mette in
gioco un registro di esperienza radicalmente diverso, cioè il

126
materiale da cui si ingenera la rappresentazione e che nella
rappresentazione si inscrive ... Quindi non posso ritornare a
una materialità indifferenziata e non posso andare avanti con
una differenziazione semplicemente costruita. 8

Sottolineo alcune osservazioni che hanno una sorpren-


dente risonanza con quanto ho scritto fin qui. Dice Pol-
lock: "A me il termine corpo suona delimitato, mentre cor-
poreità è più come 1a parola corporeo, qualcosa che ha a
che fare con un registro di sensazioni e possibilità". La
persona che parla nel passo appena citato è di lingua
madre inglese, eppure sente una distinzione che il lessico
inglese non rende esplicita, come invece fa il tedesco, tra le
due valenze del corpo descritte da Lindemann: il corpo-
raffigurazione o corpo-Gestalt e il corpo vivente, apparato
percettivo e sede di sensazioni. Anche l'ultima frase di Pol-
lock nel brano citato, "non posso ritornare a una materia-
lità indifferenziata e non posso andare avanti con una dif-
ferenziazione semplicemente costruita" fa eco all'afferma-
zione di Lindemann che "le diverse logiche intrinseche al
corpo oggettificato e al corpo vivente non si possono
ridurre a forme sociali". 9 Qui Pollock rifiuta tanto l'idea
prefemminista di una materialità indifferenziata del cor-
po, ossia un corpo non ingenerato, un corpo che esistereb-
be prima dell'attribuzione di genere, quanto l'idea che la
differenziazione, ossia l'ingenerarsi dei corpi, avvenga
(come sostiene Butler) per pura costruzione discorsiva.
Similmente Lindemann, seppur con un altro tipo di ragio-
namento, rifiuta l'idea che il genere sia solo una forma
sociale astratta, che agisce indipendentemente dalle logi-
che del corpo. Pollock e Lindemann, dunque, contestano
entrambe la nozione di genere come processo astratto, che
si riproduce discorsivamente nella maniera che Butler
designa con il termine "citazionalità", senza l'intervento di
un soggetto, un Io corporeo. 10
8 G. Pollock 1995, pp. 157-158.
9 G. Lindemann 1996, p. 358.
10 J. Butler 1996, p. 13.

127
Nel descrivere la corporeità come "un registro di espe-
rienza radicalmente diverso, cioè il materiale da cui si
ingenera la rappresentazione", Pollock riprende il concet-
to di esperienza che riformulai anni fa con riferimento alla
teoria peirciana degli interpretanti. Per Peirce il soggetto
si forma in un processo continuo di attribuzione di senso
al mondo esterno e a sé in rapporto al mondo esterno, pro-
cesso che Peirce chiama semiosi. Ciò che collega il mondo
esterno al mondo interno del soggetto è una serie illimita-
ta di catene di segni e di interpretanti, a loro volta segni,
che producono effetti di significato per il soggetto. Il sog-
getto, che in Peirce si configura come soggetto corporeo, è
dunque il luogo in cui - il corpo in cui - fa presa e si rea-
lizza l'effetto di significato dei segni.
Ripensando da questo punto di vista semiotico l'analisi
fenomenologica di Lindemann, di come il corpo vivente
porta inscritto dentro di sé il genere e lo parla attraverso
l'apparato sensoriale, costituendo quindi il materiale da
cui si ingenera l'autorappresentazione, voglio ora mostra-
re che ciò che accade a Verena nello studio di Lindemann
è precisamente una catena di interpretanti.
Con interpretante Peirce designa la struttura dinamica
che lega tra loro oggetto, segno e significato. Una serie di
interpretanti o "effetti di significato" (insisto su questo ter-
mine che mette in rilievo la natura processuale e aperta
della significazione) sostiene ogni singola operazione di
semiosi, ogni passaggio o momento del processo continuo
di mediazioni o contrattazioni tra l'Io e il mondo. Detto
altrimenti, ogni momento di ciò che, per il soggetto, è un
passaggio impercettibile dall'oggetto (evento nel mondo
esterno) al segno (rappresentazione mentale o fisica)
all'effetto di significato (nel mondo interno) è inteso da
Peirce come un interpretante. Gli interpretanti non sono
solo rappresentazioni mentali. Ci sono sl interpretanti
"intellettuali" (concetti), ma anche interpretanti "emozio-
nali" o "energetici".
Per esempio, l'effetto di significato prodotto da un
segno come un brano musicale (eseguito) può essere nien-

128
te più che una sensazione; tale sensazione è l'interpretante
emotivo di quel segno. Però, attraverso la mediazione di
un interpretante emotivo, si può produrre un ulteriore
effetto di significato, che può essere uno "sforzo", dice
Peirce, muscolare o mentale; questo è detto interpretante
energetico, poiché comporta uno sforzo, sia esso mentale o
fisico. Il terzo tipo di effetto che può essere prodotto dal
segno è un'abitudine o un cambiamento di abitudine, cioè
"una modificazione delle tendenze ad agire di una persona
che risulta da esperienze o sforzi precedenti". Questo è
l'effetto di significato ultimo o finale del segno, scrive Peir-
ce, definendolo l'interpretante logico: "La conclusione logi-
ca reale e vivente [della serie di mediazioni che costituisce
una particolare operazione di semiosi] è quell'abitudine".
Ma subito specifica cosa intende per "logico":
Il concetto, pur essendo un interpretante logico, lo è solo
imperfettamente: partecipando in certa misura della natura
di definizione verbale, è inferiore all'abitudine esattamente
come una definizione verbale è inferiore alla definizione rea-
le. L'abitudine deliberatamente formata, autoanalizzantesi -
autoanalizzantesi perché formata con l'aiuto dell'analisi degli
esercizi che l'hanno nutrita - è la definizione vivente, il vero e
finale interpretante logico. 11

È importante tener presente, ai fini dell'analisi che


segue, che l'interpretante finale non è logico nel senso in
cui è logico un sillogismo, o perché è il risultato di un'ope-
razione intellettuale come il ragionamento deduttivo, ben-
sl perché conferisce un senso ali' emozione e allo sforzo
muscolare o mentale che l'hanno preceduto, dandone una
rappresentazione concettuale. 12

11 C. S. Peirce 1931, 5.491.


12 Questo paragrafo e i due che lo precedono sono riportati, con qual-
che variazione, da Sessualità e semiosi, in T. De Lauretis J997, pp. 277-278,
in cui riassumo brevemente la mia lettura di Peirce, che si trova in forma
più estesa nel saggio Semiotica ed esperienza, in T. De Lauretis 1996a.

129
Ora, pensate a Verena seduta sul water, rilassata e in
procinto di fare pipl. Poi:
1. Verena ode un'altra persona/donna entrare nel gabi-
netto e ha un soprassalto.
2. Mentre Verena si chiede: cosa succederà se si accor-
ge di qualcosa? la regione del corpo che Verena si sentiva
rilassata improvvisamente cessa di esistere ed è sostituita
dalla percezione inaspettata di un corpo con forma genita-
le maschile.
3. Verena non riesce a fare pipi, almeno temporanea-
mente, ossia fino a che il rumorè fatto dall'altra persona
non le toglie la paura di essere udita far pipi come un
uomo. Allora la percezione spaesante di avere un corpo
dal genere inadatto al luogo in cui si trova, un gabinetto
pubblico per donne (ossia di avere un corpo di uomo), si
dilegua e Verena riesce a rilassarsi e a fare pipi.
E ora, l'analisi semiotica:
1. Un evento nel mondo esterno, l'entrata di un'altra
persona/donna, produce un interpretante emozionale, una
sensazione, nel mondo interno: Verena ha un soprassalto e
diventa apprensiva.
2. La reazione di soprassalto causa uno sforzo musco-
lare nel corpo che Verena si sente, ovvero produce un
interpretante energetico che comporta sforzo fisico e men-
tale: il corpo si contrae e Verena non riesce a fare pipi.
3. Questo, in un batter d'occhio, conduce a un terzo
interpretante nel1a catena: Verena percepisce il proprio
corpo - se lo sente - in forma genitale maschile. Questo è
un interpretante logico poiché conferisce un senso all'emo-
zione e allo sforzo muscolare/mentale che l'hanno prece-
duto e ne dà una rappresentazione concettuale o, meglio,
dà un'immagine mentale di quello che Lindemann chiama
il corpo oggettificato. Ma l'interpretante logico, in questo
caso, non è l'interpretante finale. 13 Siccome Verena si con-

13 Vincent Colapietro, filosofo e studioso peirciano, la cui lettura di


Peirce con Freud (cl'r. V. Colapietro 1995) converge in parte con la mia
lettura di Freud con Peirce (si vedano le note I e 2 qui sopra), propone un

130
sidera una donna (era infatti entrata nel gabinetto pubbli-
co per donne e in seguito, durante l'intervista, dice che poi
è entrata un 'altra donna), la percezione del proprio corpo
in forma genitale maschile è un interpretante logico tem-
poraneo e tale che non costituisce un cambiamento d'abi-
tudine. Ben presto, infatti, è rimpiazzato da quello che
Peirce chiama "la definizione vivente, il vero e finale inter-
pretante logico", ossia "l'abitudine deliberatamente forma-
ta, autoanalizzantesi" (io sono una donna). È questa abitu-
dine vivente che restituisce a Verena l'abilità di agire e il
normale funzionamento del corpo vivente.
In maniera analoga, si può immaginare, l'esperienza
della mestruazione produce una catena effetti di significa-
to - interpretanti emozionali, energetici, logici - che risul-
tano in un'abitudine. Questa, poiché la mestruazione, nei
discorsi e nelle rappresentazioni culturali del mondo occi-
dentale moderno, è prova irrefutabile di un corpo anato-
micamente e fisiologicamente femminile, inscrive nel cor-
po vivente l'immagine mentale del corpo oggettificato
femminile e provoca la percezione della forma genitale
femminile, ingenerando cosl il soggetto che con quel cor-
po sente e vive. Il ripetersi del processo di semiosi con la
ricorrenza ciclica del mestruo riconferma l'abitudine al
punto di naturalizzarla; sicché il corpo che ci si sente
addosso è percepito come corpo femminile e appartenente
a un soggetto nata donna.
Si tengano però presenti le diverse implicazioni che
tale percezione del proprio corpo può avere per il soggetto
a seconda della sua posizione socioculturale, che non è
necessariamente fissa o immutabile; anzi, è più frequente-
mente instabile e variabile nel tempo, certamente con
l'età, ma anche con le altre, molteplici contingenze dell'es-

nuovo termine, interpretante q11asi-fì11a/e, per designare un tipo di abitu-


dine che non si forma deliberatamente o in seguito ad autoanalisi, bensl
per caso o involontariamente (in V. Colapietro in corso di stampa). Pur
nutrendo qualche dubbio sui presupposti teorici del termine proposto da
Colapietro, devo dire che il termine calza perfettamente con la situazione
qui descritta.

131
sere nel mondo. Tra queste, forse le più significative per
l'ingenerarsi del soggetto sono le identificazioni psichiche
e le fantasie, inconsce o consapevoli. Da cui 1a possibilità
di cambiamenti d'abitudine nonostante la ricorrenza men•
sile del fenomeno mestruazione, e viceversa, la possibilità
che tali cambiamenti di abitudine, istigati da una diversa
identificazione di genere, si riflettano sul funzionamento
del corpo stesso, per esempio impedendo la ricorrenza del
mestruo. Insomma, gli effetti di significato dell'essere
ingenerata donna, la percezione che il corpo che ci si sen•
te addosso sia un corpo "naturale" di donna, sono sia
sovradeterminati sia passibili di cambiamento per tutte,
non solo per Verena.
Tornando infine al rapporto tra semiotica e psicoanali-
si, è bene ripetere che l'abitudine di Peirce non è il risulta-
to di un processo puramente mentale, intellettuale o razio•
nale. È sl un segno o una rappresentazione mentale, ma
nel senso in cui Freud concepisce la realtà psichica come
un luogo in cui i fatti mentali hanno sempre risvolti soma•
tici e viceversa. Si può pertanto dire che l'abitudine o il
cambiamento di abitudine sono l'interpretante finale di un
processo somatico.mentale (semiosi) analogo a quello in
cui la pulsione, che nella teoria freudiana è un fatto soma•
tico, energetico, si rende percepibile e significabile attra•
verso i suoi rappresentanti psichici o mentali. Nella teoria
della semiosi peirciana la soggettività sta al sociale in un
rapporto di materialità, in primo luogo la materialità del
corpo. Perciò vedo un'affinità concettuale profonda tra il
soggetto della semiosi e il soggetto nella psicoanalisi. Per
entrambi la soggettivazione e, quindi, la soggettività, com•
portano dimensioni materiali, somatiche e storiche. In
questa prospettiva teorica, tanto l'autoattribuzione di
genere quanto la scelta sessuale risultano da una serie
ininterrotta di processi semiosici, di catene di interpretan-
ti che si intersecano, si sovrappongono, si combinano e si
scombinano.
Altrove, leggendo Freud con Peirce, ho considerato la
sessualità un caso particolare di semiosi in cui oggetti e

132
corpi della realtà esterna sono tradotti e trasformati in
realtà interna, ossia divengono parte della realtà psichica
del soggetto, per mezzo di una catena di effetti significanti,
interpretanti, abitudini o cambiamenti di abitudine. Il con-
cetto di abitudine mette in particolare rilievo l'aspetto
materiale, corporeo del desiderio, attività psichica i cui
effetti nel soggetto costituiscono una sorta di sapere del
corpo, ciò che il corpo sa o viene a sapere circa le sue mete
pulsionali. Le dimensioni materiali, somatiche e storiche
che la nozione peirciana di abitudine iscrive nel soggetto
riconfigurano la sessualità come un processo di sessualiz-
zazione o strutturazione sessuale; processo che, come l'au-
toattribuzione di genere, è sovradeterminato da forze sia
esterne sia interne, le quali producono il soggetto nel punto
contingente in cui di volta in volta s'incontrano. Al momen-
to descritto nell'intervista da Lindemann, Verena si trova in
un tal punto, un momento di instabilità del genere.
Qual è dunque il rapporto tra genere, corpo e soggetto?
Il genere non è dato in natura, connaturato al corpo uma-
no, ma è una costruzione sociale, una forma simbolica
astratta che si concretizza e prende corpo nei singoli indi-
vidui in quanto soggetti sociali. Anche il corpo, rappresen-
tato e oggettificato nei discorsi e nelle immagini culturali
come differenziato in natura, bio-fisiologicamente, in due
sessi opposti e complementari ai fini della riproduzione
della specie, è una fonna sociale astratta che si concretiz-
za nei singoli individui quando essi, in quanto soggetti
sociali, assumono o aderiscono a quella rappresentazione.
Tra corpo e genere non c'è un rapporto semplice o lineare
di origine a telos o di causa a effetto, c'è invece un com-
plesso di passaggi, traduzioni, interpretazioni, illazioni e
influenze reciproche. Questi avvengono non per natura
ma per effetto del vivere sociale, ossia presuppongono nel-
l'individuo-corpo e nell'individuo ingenerato i processi di
significazione, socializzazione e soggettivazione che ne
fanno, appunto, un soggetto sociale.
La soggettivazione, quindi, come la sessualizzazione e
l'autoattribuzione di genere, è un accumularsi di effetti di

133
significato - abitudini, disposizioni, rimozioni e fantasmi
- che non si attaccano a un soggetto preesistente o a un
corpo originario, naturale o per natura ingenerato, ma, al
contrario, producono quel corpo e quel soggetto l'uno per
l'altro. Tale produzione avviene tramite quello che Freud
chiama l'Io-corpo o Io corporeo.
!:Io è anzitutto un'entità corporea, non è soltanto un'entità
superficiale, ma anche la proiezione di una superficie. [ ... ]
Cioè l'Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee,
soprattutto dalle sensazioni provenienti dalla superficie del
corpo. Esso può dunque venir considerato come una proie-
zione psichica della superficie del corpo. 14

Clo corporeo non è identico al soggetto, poiché parte


del soggetto è costituita dall'inconscio. :E. però quella parte
del soggetto, lo spazio psichico e il sostrato materiale, in
cui fanno presa gli effetti di significato e senza il quale non
potrebbe aver luogo la soggettivazione. Clo-corpo, confine
percettivo proiettato, non serve solo a delimitare o a conte-
nere la morfologia di un sé immaginario, ma è anche quel-
la parte dell'Io che permette l'accesso al mondo esterno, al
simbolico o alla significazione sociale. È un confine per-
meabile, una frontiera aperta (per cosi dire) tra il mondo
esterno, il reale, gli altri, le istituzioni sociali, da un lato, e
dall'altro il mondo interno della psiche, le pulsioni, l'incon-
scio, i meccanismi di difesa. In breve, possiamo divenire
soggetti solo in quanto siamo corpi, ma se ci sentiamo un
corpo ingenerato è solo in quanto siamo soggetti.

14 S. Freud, L'Io e l'Es, in S. Freud 1989, voi. 9, pp. 488-489. La secon-


da parte della citazione, dopo l'ellissi, è in una nota aggiunta nella tradu-
zione inglese del 1927 autorizzata da Freud.

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Indice

Pag. 7 Introduzione
11 /. Soggetti eccentrici
58 2. Irriducibilità del desiderio e cognizione del limite
81 3. La nemesi di Freud
Per un 'archeologia degli studi su genere, sessualità e
cultura
119 4. Sintomatologia dei generi
135 Bibliografì.a

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