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Il Boston Tea Party(pubblicato A&C del 13 febbraio 2012)

di Vito Foschi

Il 16 dicembre 1773 i coloni americani versarono le casse di tè di tre mercantili nelle acque del
porto di Boston, episodio considerato la scintilla della guerra di indipendenza americana. Con
quell’atto giunse al culmine la protesta dei coloni che si opponevano alla crescente
centralizzazione dell’amministrazione inglese e all’aumento delle tasse. Ma come nacque questo
diffuso malcontento verso la corona inglese? All’origine ci fu la Guerra dei sette anni (1756-
1763) che vide affrontarsi Gran Bretagna e Prussia contro l’alleanza di Austria, Francia, Russia,
Polonia e Svezia, considerata il primo conflitto di portata mondiale perché le potenze europee
estesero il loro conflitto anche nelle loro colonie sparse per il globo. Gli inglesi avevano
contratto dei debiti e al termine del conflitto avevano la necessità di ripagarli. Quale metodo più
semplice per farlo che quello di mettere una nuova tassa?
Nel 1765 venne istituita la tassa sul bollo ovvero su l’utilizzo della carta, dai contratti ai giornali,
su ogni foglio di carta gravava la tassa. Ad aggravare la faccenda, l’introito finiva a Londra,
mentre fino ad allora i coloni americani avevano pagato solo tributi alle amministrazioni locali.
Dopo una serie di proteste lo Stamp Act venne revocato. Rimanevano i debiti da pagare e il
sovrano inglese nel 1766 passò alla tassazione indiretta su carta, piombo, vernici, vetro e tè.
L’anno successivo ci fu un attacco alle autonomie locali con la creazione di un apposito ufficio
addetto alla riscossione alle dirette dipendenze di Londra e con il passaggio del controllo di
funzionari, magistrati e governatori dalle assemblee locali a quello del governo londinese. Un
vero e proprio tentativo di esautorare le autonomie locali.
Nel marzo 1770 una ribellione fiscale scoppiata a Boston finì con la morte di cinque coloni. I
responsabili vennero puniti, ma si intuisce che il clima era incandescente. Per protestare contro le
nuove tasse, John Hancock aveva trovato il modo di aggirare il problema comprando tè
dall’Olanda evitando di passare attraverso la Compagnia delle Indie che avrebbe dovuto pagare
le tasse al governo inglese. Nel 10 maggio 1773 venne emanato il Tea Act che garantiva il
privilegio alla Compagnia delle Indie di smerciare il tè sul suolo americano senza bisogno di
intermediari locali. In questo modo il governo inglese si garantiva un’entrata sicura perchè la
compagnia poteva vendere ad un prezzo dimezzato rispetto si suoi concorrenti che si rifornivano
in Olanda. Incominciarono le prime proteste con il respingimento delle navi cariche di tè o con il
rifiuto di trasportarlo una volta a terra. A Boston nacque un’associazione di protesta, i Figli della
Libertà, guidata dall’intellettuale Samuel Adams; in uno dei loro incontri si contarono ben 8000
persone a testimonianza del malessere diffuso. Non si trattava di una banale bega commerciale
che opponeva commercianti delle colonie con quelli della madrepatria. Era qualcosa di più: era
una questione di principio. Da una parte gli americani che rivendicavano il diritto di poter
scegliere i loro rappresentanti che avrebbero dovuto dar conto di come impiegavano il denaro
raccolto con le tasse, dall’altra, re Giorgio III che cercava di centralizzare l’amministrazione
delle colonie, scegliendo uomini che avrebbero dovuto rispondere a Londra e non ai coloni, che
si sarebbero trasformati in mucche da mungere per rimpinguare le casse dell’impero.
Nel dicembre dello stesso anno alcuni uomini travestiti da pellirossa per non farsi riconoscere
salirono a bordo di tre navi inglesi e svuotarono l’intero carico di tè in mare: ben 45 tonnellate.
Per risposta il governo inglese decretò l’embargo della città di Boston. La sproporzione della
reazione esasperò ulteriormente gli animi. Nel 1775 scoppiava la guerra di indipendenza
americana.

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