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Lezione di Farmacologia 1 del 27.03.

2019

Sbobinatore: Giorgia Fontana

Docente: Francesca Mattioli

Argomenti: Vd, clearance, emivita

Eravamo arrivati la scorsa volta a vedere che i farmaci possono seguire o una cinetica di primo ordine o una
cinetica di ordine zero.
Facendo un esempio molto banale, quando parliamo di una cinetica di primo ordine intendiamo dire che
nell’unità di tempo viene eliminata una frazione costante di farmaco, in percentuale, mentre in una cinetica di
ordine zero viene eliminata una quantità costante di farmaco.
Abbiamo anche aggiunto che normalmente i farmaci seguono una cinetica di primo ordine, almeno che non
vengano somministrati in una dose tale per cui la concentrazione raggiunta nel sangue sia troppo alta in funzione
dei sistemi di eliminazione, quei meccanismi di eliminazione che fanno sì che lo stesso farmaco che nasce con
una cinetica di primo ordine a dosaggi elevati passi ad una cinetica di ordine zero.
Esistono poi sostanze come per esempio l’alcool etilico che è da subito, a qualunque dose venga somministrato,
caratterizzato da una cinetica di ordine zero. Esistono anche farmaci a cinetica di ordine zero, per esempio ha
una cinetica di ordine zero l’eparina, farmaco usato come anticoagulante o la stessa aspirina ha questa
caratteristica.

Abbiamo anche detto che quindi una cinetica di primo ordine la possiamo graficare in un asse cartesiano
concentrazione/tempo come una curva di tipo esponenziale, un’iperbole che avrà quindi un andamento la cui
pendenza è costante, indipendentemente dalla dose somministrata (grafico di sinistra). Poi abbiamo una retta
che viene costruita in un asse concentrazione/tempo qualora il farmaco segui una cinetica di ordine zero (grafico
di destra).
Il che vuol dire quindi che, se è vero quello che abbiamo detto, possiamo dire che quella frazione percentuale
tipica di ciascun farmaco, quindi la frazione eliminata nell’unità di tempo è una costante, cioè è costante il
rapporto che esiste tra la velocità di eliminazione e la quantità di farmaco nel corpo (amount=quantità).
La relazione vuol dire che nell’ambito del range terapeutico, cioè nell’ambito di quelle che sono le
caratteristiche di quel farmaco, fintanto che il farmaco tiene una cinetica di primo ordine, aumentando la dose
del farmaco, la costante di eliminazione non cambia perché aumentando la dose, sì che aumenta la quantità di
farmaco nel corpo, ma aumenta anche la sua velocità di eliminazione , cioè tanto più farmaco ho, tanto più
farmaco sarà eliminato o comunque aumenterà la velocità di eliminazione; il rapporto è costante (K di
eliminazione). Allora, se la frazione di eliminazione è costante, vorrà dire che tanto più farmaco ho nel corpo
tanto più veloce è l’eliminazione e man mano che la quantità di farmaco scende nel nostro organismo , allora
anche la velocità di eliminazione scende per mantenere il parametro frazione. Allora nella parte iniziale della
curva, quando noi abbiamo introdotto per via endovenosa tutto il farmaco all’interno dell’organismo e ne
abbiamo tanto, il nostro sistema lo elimina più velocemente, più efficacemente.
Man mano che la concentrazione si abbassa, anche l’organismo si adatta, quindi per esempio non userà più tutti
i trasportatori, risparmierà l’attività enzimatica e quindi la velocità proporzionalmente diminuisce.
Quindi questo lo possiamo raffigurare in questo modo: man mano che la concentrazione diminuisce, la velocità
di eliminazione diminuisce a se aumentiamo la quantità somministrata, la parte iniziale della curva sarà più
rapida, avremo una velocità di eliminazione maggiore, ma l’andamento (la K costante) di queste tre curve
disegnate è assolutamente la stessa; hanno tutte una quantità eliminata in un certo tempo uguale; il che fa si che
nello stesso tempo si possa avere il dimezzamento della concentrazione e si raggiunga sostanzialmente lo zero
nello stesso tempo.
Avendo una costante di eliminazione k che dipende dalla velocità di eliminazione e dalla quantità presente in
quel momento nell’organismo, possiamo quindi dire che i parametri farmacocinetici che studieremo (la K
l’abbiamo già detta), il tempo di emivita e la clearance sono tutti indipendenti dalla dose somministrata, si
parla di cinetica dose indipendente.
Non sto dicendo che se io do 100 trovo la stessa concentrazione nel sangue che se do 50, la quantità presente nel
nostro corpo è direttamente proporzionale alla dose, tanto più farmaco do, tanto più farmaco avrò nel sangue,
ma l’andamento con cui quella concentrazione scende nel tempo è assolutamente lo stesso, la K è la stessa;
quindi se parto da 100 avrò la metà, 50 nel sangue, in 2 ore e 24 minuti, ma se io do 50, avrò 25 cioè la metà
della concentrazione nello stesso tempo, cioè 2 ore e 24 minuti; e se misu rerò all’inizio 25 mg/l di
concentrazione, avrò la metà della concentrazione (cioè 12,5 mg/l) dopo 2 ore e 24 minuti. Questo vuol dire
essere in una cinetica di primo ordine: la dose correla con la concentrazione, aumenta la dose, aumenta la
concentrazione, ma i parametri che caratterizzano l’andamento della concentrazione nel sangue sono dose
indipendenti.
Qualora io invece somministri un farmaco a cinetica di ordine zero le cose cambiano perché elimino una
quantità costante di farmaco, il che vuol dire che se do 200 avrò 100 dopo 10 ore, se somministro 100 avrò 50
dopo 5 ore, se somministro 25 avrò 12,5 dopo 2 ore e mezza.
Le tre curve di destra sono sì parallele, ma essendo parallele i parametri di eliminazione cambiano al cambiare
della dose: tanto più alta è la dose, tanto più tempo ci metteremo ad eliminare il farmaco, tanto più bassa è la
dose tanto meno tempo ci metteremo ad eliminare il farmaco. In questo esempio di sinistra invece, con una
cinetica di primo ordine, l’ora in cui il paziente non avrà più farmaco nel sangue è sovrapponibile sia che io usi
100, 50 o 25.

Detto questo, parliamo dei parametri farmacocinetici che ci consentono di capire la cinetica e spiegare le
caratteristiche secondo la scheda tecnica di un farmaco che segue una cinetica di primo ordine perché di questo
possiamo conoscere i parametri a pres cindere dal paziente e dalla dose che possiamo somministrare; cosa
diversa è conoscere i parametri di un farmaco che segue una cinetica di ordine zero, non possiamo saperlo a
prescindere, possiamo costruire diverse curve a seconda della dose che decidiamo di somministrare.
Quindi se decido di dare una dose di aspirina da 6 g avrò un tempo di emivita di 6 ore, se do sempre una dose di
aspirina però di 500 mg avrò un tempo di emivita di 4 ore (numeri a caso): non possiamo prevedere la cinetica
di un farmaco di ordine zero, se non con modelli moto sofisticati.
Quindi parliamo della cinetica di primo ordine.
Per andare avanti in questa cinetica, dobbiamo ritornare al concetto del compatimento centrale, cioè noi
abbiamo detto che per il mio farmaco, usiamo come surrogato di tutto l’organismo soltanto il compartimento
centrale, quello plasmatico; in questo caso quindi consideriamo il mio farmaco che segue in una cinetica di
primo ordine in un modello monocompartimentale (per modello monocompartimentale intendiamo quella
situazione per la quale ogni variazione che avviene a livello del plasma si riflette proporzionalmente nei livelli
tissutali, cioè se io nel plasma ho una concentrazione X la stessa mi aspetto che ci sia nei tessuti , eccezion fatta
per quelli che hanno una barriera che gli impedisce di passare). Elaborando matematicamente le cinetiche in
maniera più complessa, si possono fare degli studi multicompartimentali, bicompartimentali oppure
pluricompartimentali. L'importante è capire che il modello monocompartimentale di cui oggi parleremo è il più
semplice possibile. Nella realtà alcuni farmaci seguono il modello monocompartimentale: li mettiamo nel
sangue, hanno una buona distribuzione tale per cui si va in equilibrio rapidamente tra il compartimento centrale
e quello periferico, è come se il farmaco fosse disciolto in un unico serbatoio .

Modelli bi o pluricompartimentali prevedono che il farmaco si distribuisca rapidamente nel plasma , ma da qui
poi diminuisca il livello di concentrazione perché comincia a passare in tessuti più perfusi e poi si distribisce in
tessuti meno perfusi; quindi in questo caso definiamo un compartimento centrale e uno periferico; per questo
tipo di modello vediamo una fase distributiva prolungata, separata dalla fase di eliminazione, che vuol dire che
prima il farmaco passa nei compartimenti periferici, si distribuisce in questi e da questi poi torna in
eliminazione. Tutto avviene però in un tempo relativamente breve. I pluri e multicompartimentali prevedono
addirittura un terzo e chissà, un quarto, un quinto compartimento molto poco perfuso, in cui il farmaco arriva in
ritardo rispetto ai precedenti compartimenti, ma se entra lentamente in un terzo o qualunque esso sia
compartimento, altrettanto lentamente da questo compartimento uscirà. Quindi seguono modelli
pluricompartimentali soprattutto farmaci molto lipofili, o proprio quelli che per esempio passano la barriera
ematoencefalica in cui dal plasma il farmaco si distribuisce ai tessuti più perfusi, per passare a tessuti meno
perfusi o perfusi ma con barriere come il SNC e al suo interno il tessuto adiposo, da cui poi ritorna nel plasma.

Distinguiamo quindi per queste difficili cinetiche pluricompartimentali almeno due fasi di eliminazione:

• una fase di eliminazione rapida che corrisponde alla perdita del farmaco dal compartimento centrale o
comunque da quelli più perfusi
• una fase di eliminazione un po’ più lenta che corrisponde a quello che di fatto abbiamo detto essere una
ridistribuzione, cioè il farmaco torna al compartimento centrale, potrà poi essere eliminato di nuovo o
addirittura rientrare nei compartimenti.

Ogni passaggio al plasma modifica l’andamento della curva, per cui una curva continua è attribuita ad un
modello monocompartimentale; la stessa curva può essere spezzata, può avere un andamento diverso e quindi
riconosceremo diverse K a seconda s e siamo nella fase rapida o lenta di eliminazione.
La nostra curva quindi si applica all’interno di un modello monocompartimentale: è una curva continua con la
stessa K.

Per poter parlare di una cinetica di primo ordine in un modello monocompartimentale e per dare una definizione
a questa curva dobbiamo considerare queste condizioni:

1. abbiamo dato il farmaco per infusione endovenosa


2. in dose singola, in bolo, in modo che tutta la dose entri in un unico tempo dentro il compartimento
centrale
3. ipotizziamo che quindi si segua una cinetica di primo ordine con una costante di eliminazione K
4. che abbia una fase distributiva moto rapida, quindi vada in equilibrio la concentrazione tra il
compartimento centrale e quelli periferici
5. che dal punto di vista clinico questa fase distributiva sia di fatto irrilevante (nel senso che non abbiamo
accumuli nei tessuti)
6. ma soprattutto che non si abbia la ridistribuzione.

Tutti questi punti altro non fanno che spiegare a parole questa cu rva che allora ha un'equazione.
L'equazione di questa curva è Ct = C0 * e-kt : dove Ct è la concentrazione del farmaco nel tempo t (qualunque
esso sia), che sarà proporzionale alla concentrazione del farmaco al tempo 0, quindi a tutta la quantità di
farmaco somministrato inizialmente per via endovenosa con una cinetica di tipo esponenziale moltiplicato per e
che decade secondo una costante k, da un valore più alto ad uno più basso, nel tempo t.
Tutta la farmacocinetica deriva da questa equazione.
Non è facilissimo confrontare curve esponenziali, tornando indietro, vi ho detto che queste tre curve hanno tutte
come equazione Ct = C0 * e-k0,288t ; intravedere in queste tre curve un’uguaglianza di cinetica, cioè dire a vista che
queste tre curve sono, cineticamente parlando, uguali, non è di primo impatto.
Allora la matematica ci ha detto che se trasformiamo i valori di concentrazione in logaritmi della
concentrazione, la mia curva esponenziale diventa una retta. Quindi io ho trasformato in logaritmo i valori di
concentrazione, in particolare il logaritmo naturale, non tocco il tempo .
La stessa equazione in scala semilogaritmica (perchè trasformo solo le concentrazioni) diventa una retta con la
sua equazione più facile e l'equazione sarà: lnCp = lnC0 *Kel*t (sia che io metta i miei punti di concentrazione
in una curva esponenziale, sia che io trasformi in scala semilogaritmica, la k (la pendenza) è la stessa; la k che è
la costante dell'esponente della scala esponenziale, diventa la pendenza, la variabile di x della retta).
Questa retta non ha nulla a che fare con la cinetica di ordine zero, questa altro non è che la trasformazione in una
scala semilogaritmica di una cinetica di primo ordine.
Lavorando su rette è più facile anche semplicemente vedere dov e abbiamo le intercette sugli assi x e y; quindi se
parto da una Cmax di 90 dopo due ore sono a 45, dopo altre 2 ore sono più o meno a 23 e così via ( visibile sulla
retta).

Da questa equazione deriviamo i parametri che ci interessano per inseguire il nostro farmaco:
la distribuzione viene spiegata matematicamente con il volume di distribuzione (Vd) che viene definito
apparente per vari motivi, ad esempio perchè parliamo di un modello monocompartimentale , ma non è vero che
siamo fatti tutti di acqua e non è vero che tutta quell'acqua sta dentro un unico compartimento che è il plasma ,
quindi è di certo un parametro piuttosto grossolano.

Definizione: volume in cui si distribuisce un farmaco assumendo che raggiunga nei compartimenti
extraplasmatici la stessa concentrazione che ha nel plasma al tempo 0 dopo somministrazione endovenosa , cioè
tanto ne trovo nel sangue tanto ne trovo altrove.

Arriviamo a definirlo dal concetto di concentrazione, se la concentrazione per definizione è quantità di una certa
sostanza in un certo volume, banalmente, tirando fuori il volume, questo sarà uguale a V=P/C (quantità di
farmaco nell'organismo/concentrazione plasmatica).
Se il mio sistema è monocompartimentale, la dose entra nel compartimento dove si diluisce secondo una certa
quantità in concentrazione, in un certo volume, da cui poi esce; se il modello è pluricompartimentale, le cose si
complicano perchè il mio farmaco entra in un primo compartimento dove avrà una con centrazione e un volume
di distribuzione, ma da qui passa in un secondo compartimento e così via..
Quindi noi possiamo anche dire che il volume di distribuzione nel monocompartimentale se non altro
corrisponde alla dose somministrata, che corrisponde alla quantità/concentrazione a t=0. Da questa relazione,
possiamo anche dire che la quantità di farmaco nel compartimento (amount, quello che sta sotto l'equazione
della k) è uguale a concentrazione * volume di distribuzione; se C0 è un dato importante possiamo dire che
C0 =dose/Vd.
Quindi la quantità di farmaco nel nostro organismo è direttamente proporzionale al volume di distribuzione per
la concentrazione di partenza, così come la concentrazione di partenza è direttamente proporzionale alla dose,
ma inversamente proporzionale al volume di distribuzione.
Quindi possiamo calcolare il volume di distribuzione conoscendo la dose e la concentrazione misurata al tempo
0 dando un numero ben definito.
Il volume di distribuzione viene espresso in litri, quindi è un volume a tutti gli effetti. se sostituiamo nella nostra
equazione il C0 , l'equazione diventa Ct =dose/Vd, il C0 è difficile da misurare empiricamente perchè non siamo
in grado di fermare il sangue, quindi poterlo levare dall'equazione è sempre comodo per definire poi altri
parametri.
Facciamo un po' di prove di questo volume trovato.

Esempio: io ho un farmaco somministrato per via endovenosa ad una certa do se (100) che mi da una
concentrazione al tempo 0 estrapolata dalla equazione pari a 33 mg/l, il volume di distribuzione = dose (100)/33
viene 3 litri e questo significa che presumibilmente il farmaco s i distribuisce nel sangue e non ha altra sede
distributiva. Ipotizziamo però che il mio farmaco sempre dato alla dose 100, sia misurato in C0 ad una
concentrazione di 1 mg/l (100/1=100). Sapete che la quantità di acqua corporea di un soggetto adulto con una
superficie corporea media (1,83-5 m2 ) è pari a circa il 60% del suo peso corporeo, intorno quindi ai 42-5 litri di
acqua corporea, se vi viene fuori un volume di distribuzione pari a 100 litri o avete sbagliato i calcoli oppure
evidentemente è un parametro apparente, è un valore fittizio.
Tanto più alta è la dose, tanto più questo volume cresce? Ovviamente non rappresenta realmente la quantità di
acqua in cui il farmaco si distribuisce, è un valore matematico che però ci dice che qualora il valore che viene
fuori nell'equazione di Vd sia superiore alla quantità di acqua corporea massima stimata in un uomo adulto (45
l), evidentemente il mio farmaco è andato altrove, quindi non era monocompartimentale o comunque si è
distribuito in tessuti meno perfusi o dove abbiamo un deposito o da cui avremo ridistribuzione e pertanto ogni
qualvolta Vd supera i 45 l o addirittura sia pari a numeri impossibili, superiori ai 120-50 l, stiamo pensando a
farmaci molto distribuiti e pertanto probabilmente molto liposolubili o che tendono a concentrarsi in distretti
particolari.
Possiamo riassumere il concetto dicendo che:

• tanto più la concentrazione plasmatica di un farmaco è elevata, tanto meno il farmaco si distri buisce
perchè resta nel sangue;
• tanto meno farmaco trovate nel sangue, evidentemente il farmaco se ne è andato dal sa ngue, quindi più
bassa è la concentrazione tanto più è distribuito il farmaco;
• tanto più bassa è la concentrazione tanto più alto è il Vd, tanto più il farmaco sarà lipofilo
• tanto più basso sarà il Vd, tanto più alta sarà la concentrazione plasmatica, tanto più idrosolubile
sarà il mio farmaco.

Approfitto per ricordarvi che il neonato ha una percentuale di acqua corporea che si approssima all’80-90% del
peso corporeo totale, mentre la donna ed il soggetto anziano hanno una componente acquosa più bassa
(l'anziano per una progressiva disidratazione cellulare e per le donne perchè la quota di grasso corporeo è in
ogni caso superiore a quella dell'acqua).
Quindi se la quantità di acqua corporea in un neonato è così elevata e i parametri che riguardano il vo lume di
distribuzione e la concentrazione sono così correlati tra di loro, tanto più alto è il volume in proporzione di
acqua, tanto più farmaco dobbiamo somministrare per mantenere lo stesso valore di concentrazione .
Nel neonato dobbiamo somministrare una dose per kg di peso corporeo superiore a quella che somministriamo
all'uomo medio per ottenere la stessa concentrazione plasmatica perché, poichè il V di acqua apparente o meno
che sia è maggiore, se io usassi una dose più bassa o anche la stessa che uso nell'adulto, in termini di
concentrazione, avrei una concentrazione più bassa quindi avrei meno efficacia se era vero il primo assioma che
a concentrazione corrisponde effetto.
Viceversa nella donna e nel soggetto anziano, avendo una componente di acqua minore, dovremmo trattarli con
una dose inferiore per raggiungere concentrazioni sovrapponibili a quelle dell'adulto medio senza esercitare un
effetto tossico.

Sulla base di questi parametri distinguiamo la capacità distributiva dei farmaci, sulla base del numero che
esprime il Vd, quindi un Vd intorno a 0,1-0,2 l/kg di peso corporeo lo hanno i farmaci che tendono a stare al di
fuori delle cellule, stanno sostanzialmente nell'acqua extracellulare; stanno nell'acqua corporea totale tutti
quelli che hanno un Vd superiore a 50-200 l con una particolare predilezione per tessuti di deposito.

Così abbiamo la distribuzione.


I parametri che servono per definire l’eliminazione di un farmaco sono la clearance e la emivita.
Partiamo dal primo: la clearance. Parliamo di clearance totale in termini di cinetica, cioè intendiamo dire la
capacità che ha il nostro organismo di eliminare un farmaco con tutti i possibili sistemi di eliminazione, quindi
non focalizziamoci solo sull’eliminazione da parte del rene, ma mettiamoci anche la capacità metabolica del
fegato che trasforma ad esempio il farmaco in un metabolita che quindi poi segue tutta una sua cinetica. Il
principio attivo che noi stiamo producendo nel nostro organismo viene “eliminato” ne momento in cui si
trasforma in un altro metabolita, quindi possiamo parlare di clearance totale intesa come clearance renale,
oppure clearance epatica, ad opera del sistema respiratorio, sudoriparo, ecc…

Per clearance si intende il volume di plasma che viene completamente depurato dal farmaco nell’unità di
tempo; attenzione: stiamo parlando di un parametro del farmaco, non stiamo parlando della clearance della
creatinina, non stiamo ragionando in un soggetto con una clearance della crea tinina tra 0 (insufficienza renale) o
100-120 (normale funzionalità) o addirittura 200 ( iperperfusi, shock, ipertrattati con farmaci inotropi positivi),
quindi quello è un aspetto della fisiopatologia renale. Usiamo clearance renale per indicare la funzio nalità
renale, clearance della creatinina del paziente con gli esami del sangue, clearance renale del farmaco,
caratteristica intrinseca al farmaco stesso. Quindi stiamo sempre ragionando in modelli matematici con una
funzionalità perfetta, un soggetto ideale in cui funziona tutto.

Nel momento in cui stiamo parlando di volume di plasma che viene depurato, altro aspetto che mi preme
sottolinearvi è che è vero che stiamo parando di un parametro che riguarda l’eliminazione di un farmaco, ma a
me del farmaco eliminato che finisce all’esterno dell’organismo non me ne frega molto, a me interessa
l’andamento nel sangue durante la fase di eliminazione, cioè la parte finale della curva, quindi mi interessa
conoscere il volume di sangue ripulito nell’unità di tempo, non ciò che è stato eliminato.
I parametri farmacocinetici sono costanti, non sono dose dipendenti, quindi se è costate la K, è costante la
clearance. Questa è uguale a velocità di eliminazione/concentrazione; non è molto diverso da quello che
abbiamo scritto su K (velocità di eliminazione/amount). Se aumenta la concentrazione, aumenta la velocità di
concentrazione, a questo rapporto diamo un altro nome, clearance, ma è sempre una k. Se aumenta la
concentrazione, il rapporto non cambia e la clearance resta uguale.

Facendo qualche sostituzione, velocità di eliminazione è uguale a clearance per concentrazione. Se è una
velocità di eliminazione, possiamo anche definirla come un’unità di flusso, quindi possiamo anche dire che in
un certo qual modo tanto più velocemente viene eliminato il farmaco tanto più il tasso di eliminazione, cioè la
quantità di farmaco eliminata nell’unità di tempo, corrisponde ad una velocità di eliminazione.

Gli inglesi che molte volte usano termini più s emplici la chiamano rate of elimination che è diversa da k
(konstant of elimination): la costante di eliminazione è costante, il tasso di eliminazione dipende dalla
clearance e dalla concentrazione, tanto più aumenta la concentrazione, a parità di clearanc e, tanto più alto è il
rate of elimination.

Allora facendo qualche sostituzione, la Ke sarà uguale velocità di eliminazione su amount e può essere
ridefinita come clearance/Vd (questo è il nodo cruciale di tutta la cinetica (!) perché qui abbiamo tutti e tre i
parametri della cinetica di primo ordine, cioè Ke che dipende solo dalla velocità con cui il farmaco viene
eliminato e dalla distribuzione).
Possiamo quindi dire che tanto più rapidamente o tanto più sono efficaci i sistemi di eliminazione, tanto più la k
(pendenza) è ripida, tanto più la costante di eliminazione è alta e tanto più velocemente il farmaco è eliminato
(tanto più alta sarà la sua k ). Se il mio farmaco ha un ampio volume di distribuzione, ci metterà più tempo ad
allontanarsi e la k sarà più bassa.
La Ke di qualunque farmaco è direttamente proporzionale alla clearance, inversamente proporzionale al
volume di distribuzione.
Se voi avete in mano un farmaco con una clearance alta, quello lo perdete in poco tempo, se il vostro farmaco ha
un volume di distribuzione alto, ci mettete ore ad allontanarlo dall’organismo.

Quanto contribuiscono il rene e il fegato a questa clearance? La clearance renale vede messe insieme due
formule e cioè una (quantità escreta nell’unità di tempo) è la quantità farmacologica e l’altra (U*V /t) è
l’equazione che esprime la clearance renale fisiologica, cioè siamo nel nostro paziente; possiamo mettere
insieme le due formule e la clearance renale sarà uguale a U*V/C*t, dove U*V è concentrazione urinaria per
il volume urinario, diviso concentrazione plasmatica per il tempo.
Mettendo quindi insieme versante renale ed ematico, possiamo conoscere la clearance che è la capacità che ha
quel rene di eliminare il mio farmaco; questa nuova formula ci porta alla suddivisione delle clearance
farmacologiche e quindi dove c’è solo una componente di filtrazione la clearance renale sarà pari a 130 ml/min,
dove ci sono tutte le componenti che purificano il sangue, avremo la clearance massima possibile da parte di
entrambi i reni, cioè quella per cui tutto il plasma che arriva al rene sarà ripulito dal farmaco, 650 ml/min, dove
ci sono tutte le componenti sia di filtrazione che di secrezione attiva esclusione fatta per il riassorbimento.

Allora però la mia formula è tremendamente suscettibile delle variabili del paziente di cui vi parlerà la Martelli,
cioè in questa formula è difficile che ci possano essere sostanziali differenze nel tempo nel mio paziente del
volume di distribuzione; possiamo prendere in considerazione un paziente oncologico che oggi inizi una
chemioterapia con la quale vada avanti per cicli di alcuni mesi, durante il periodo di terapia, poiché va incon tro
ad un’anoressia inevitabile da mancata appetenza, potrà avere tutto sommato un basso volume di distribuzione
del farmaco; poi augurandogli che termini la terapia e che quindi riprenda peso, potremmo avere una modifica
del suo stato di idratazione o comunque di grasso corporeo e quindi in quel paziente si potrà avere una
variazione del volume di distribuzione a parità di farmaco, che potrà voler dire che all’inizio di un farmaco
antiipertensivo, questo aveva il suo effetto senza tanti problemi, aumentand o il volume di distribuzione,
potrebbe diventare o meno efficacie o al contrario essere eliminato troppo lentamente e dare tossicità.

Sulla clearance, essendo così variabile nei vari step, il farmaco subisce variazioni nei suo parametri cinetici
teorici quando poi lo mettete nella pratica di tutti i giorni. Quindi sulla cinetica di un farmaco , ciò che incide
maggiormente sulla velocità di eliminazione, è proprio la clearance perché tremendamente suscettibile a
variazioni fisiopatologiche del singolo individuo.
La seconda clearance di cui potremmo parlare, ma non lo facciamo se non superficialmente, è la clearance
epatica: non possiamo parlare di clearance epatica in maniera dettagliata perché in realtà non siamo neanche
troppo in grado di farlo, dipende da quanti citocromi abbiamo, la capacità enzimatica, il flusso di sangue che
arriva al fegato e così via… Quindi non siamo in grado di fare una stima precisa di quanto agisca il fegato
sull’eliminazione di un farmaco.

Quello che possiamo dire, sempre dal versante del farmaco, è che ci possono essere farmaci facilmente
metabolizzabili dal fegato e farmaci più complessi che richiedono più passaggi metabolici.

Quindi abitualmente distinguiamo i farmaci ad alta e a bassa clearance epatica: quelli ad alta clearance sono
quelli per cui il fegato è in grado di rimuovere e ripulire il sangue dal 70% del farmaco circolante, quelli a
bassa clearance sono quelli per cui il fegato fa più fatica e quindi li estrae in una % inferiore a 70.
Allora nel primo caso, quando il farmaco ha un’alta clearance, il mio fegato è in grado di metabolizzare
qualunque quantità di farmaco e allora la tappa limitante, quindi ciò che può modificare e ridurre la clearance
epatica, è il flusso di sangue al fegato; quindi se arriva la mas sima quantità di sangue possibile al minuto, il mio
fegato riuscirà a ripulire tutto il sangue che gli arriva ogni minuto, ma se al mio fegato arrivasse meno sangue,
allora quel farmaco lì ad alta clearance epatica sarebbe eliminato meno efficacemente.
Al contrario, un farmaco per cui il farmaco fa una fatica boia, che io faccia arrivare 1 mg o 10 mg è uguale,
tanto più di 1 mg non metabolizza quindi in questo caso la tappa limitante è quanti epatociti o quanta capacità
metabolica hanno le singole cellule.
Come portiamo in clinica questo ragionamento? Dicendo che teoricamente un soggetto con un’epatite acuta in
cui gli epatociti non funzioneranno granché bene e si avrà un aumento di sangue al fegato perché c’è un
processo infiammatorio, teoricamente un farmaco che parte con un’alta clearance epatica dovrà essere
somministrato ad una dose maggiore perché se arriva più sangue del normale al fegato; vuol dire che quel
fegato metabolizzerà molto meglio il mio farmaco nonostante io abbia quattro epatociti in croce funzionanti, ma
gli bastano perché è un farmaco ad alta clearance; quindi per un farmaco ad alta clearance teoricamente
dovremmo aumentare la dose all’aumentare del flusso ematico al fegato. Viceversa , considerando una cirrosi
con un’ipertensione portale, in cui ci sia un’alterazione del flusso di sangue, allora in questo caso sì che devo
abbassare la dose del farmaco ad alta clearance.
Invece per quanto riguarda il farmaco a bassa clearance, devo abbassarne sempre la dose perché comunque in
tutte le condizioni patologiche le cellule epatiche sono meno funzionali, quindi il farmaco a bassa clearance
risente sempre di qualunque tipo di patologia e quindi la sua dose andrebbe sempre abbassata .
Si può definire la frazione di estrazione considerando la concentrazione del farmaco in entrata meno la
concentrazione del farmaco in uscita/ concentrazione del farmaco in entrata.

Quello che possiamo dire per riassumere e chiudere il concetto di clearance, è che se il mio farmaco ha una
clearance totale superiore a 650 ml/min vorrà dire che sarà eliminato sia dal rene che dal fegato, quindi ogni
qualvolta la clearance totale superi il 650 e raggiunga valori di somma i 2 litri/min vorrà dire che è un farmaco
altamente eliminato da tutti i sistemi disponibili (clearance renale=650 ml/min di plasma e clearance
epatica=1500 ml/min di plasma).
Ci avviamo all’ultimo argomento della cinetica, che però è quello più usato nella pratica di tutti i giorni e cioè il
tempo di emivita.

Definizione: tempo necessario affinchè la concentrazione plasmatica del farmaco si dimezzi .

Se il tempo di emivita, come tutti gli altri parametri in una cinetica di primo ordine, è costante e non dipende
dalla dose, se parto da una concentrazione pari a 100, dopo un’emivita sarò a 50, dopo un’altra emivita sarò a 25
e così via.. Quindi matematicamente, dopo 10 emivite avrò eliminato praticamente il 99,9% del farmaco che
inizialmente era somministrato nel circolo.

Per emivita intendiamo che se sono ore, dopo un’ora avrò il 50%, due ore il 25%, tre ore 12,5%... Ma ciò che
cambia è l’emivita quindi io posso avere un farmaco che ha un’emivita di un’ora e in 10 ore sono a 100; posso
avere farmaci con un’emivita di 24 ore: quindi il tempo di emivita cambia da farmaco a farmaco, è un parametro
del farmaco, ad esempio se ho un farmaco con un’emivita di 24 ore per arrivare a 0 ci metto 10 giorni,
considerando che 24 ore sono un giorno.

Non sto quindi dicendo in quale tempo elimino tutto il farmaco (da non dire all’esame!), io sto semplicemente
dicendo in quale tempo io dimezzo la concentrazione plasmatica, è ben diverso dire arrivo a 0 dopo 10 ore o
arrivo a 0 dopo 10 giorni; quello che io voglio sapere è se io ho un dimezzamento in un’ora o in 24 ore.
Da un punto di vista clinico non mi interessa sapere quando arrivo a 0, a meno che io non sia in un caso di
intossicazione, ho il mio paziente che si è mangiato una manciata di antidepressivi: emivita=12h, devo per forza
trovare un sistema per allontanare il farmaco perché ci metterebbe 5 giorni a smaltirlo e morirebbe. Se il mio
farmaco ha un’emivita di 1 ora, tengo il paziente un pochino monitorato, ma mediamente dopo 10 ore non
dovrei avere più niente. Quindi questo dato interessa solo in caso di situazioni di intossicazione in cui voglio
avere la certezza di aver eliminato la maggior quantità di farmaco dall’organismo .
L’altro uso che facciamo di questo valore è quando dobbiamo fare uno studio cross over tra generico e orginitor:
aspetto magari 10 emivite, cioè aspetto di aver esaurito tutto il generico che ho utilizzato per fare l’AUC e poi
l’originator o viceversa per fare l’AUC.
Nella clinica mi interessa stare nella finestra terapeutica , cioè stare dentro le prime 4-5 emivite, quando ancora
nel sangue ci sia una media di 6-3% della concentrazione iniziale, però è evidente che dal punto di vista della
risposta terapeutica, se voglio avere una risposta al 100% della concentrazione, già alla prima emivita ho la meta
e avrò la metà dell’effetto, cioè il farmaco perde di efficacia già dopo la prima emivita, quindi noi d i solito
diamo come limite di efficacia le 4 circa emivita, dopo queste, il mio farmaco non sta dando più effetti
terapeutici, a meno che non siano stare date dosi talmente elevate da creare tossicità.

L’emivita si calcola dalla solita formula, Ct = C0 * e-kt , arriviamo alla formula dell’emivita e cioè
0,693*Vd/clearance, dove 0,693 è il ln di 2.
Si arriva poi a sostituire nuovamente la Ke, quindi l’emivita è direttamente proporzionale a Vd e inversamen te
proporzionale alla clearance. La Ke è clearance/Vd, l’emivita è Vd/clearance.
L’emivita è un parametro indiretto, cambia al cambiare di clearance e Vd, come farmaco, e se ci sono
condizioni del paziente che fanno cambiare clearance e Vd (se il mio paziente ha un’insufficienza renale
l’emivita di un’ora può diventare di 5 ore, quindi sì che è un parametro del farmaco, ma molto soggetto alle
variazioni fisiopatologiche).
L’emivita di un farmaco è tanto più lunga quanto il farmaco si distribuisce, il farmaco che ha un’emivita di 24
ore è un farmaco ampiamente distribuito, tanto più veloce è la clearance, tanto più veloce è l’eliminazione, t anto
più corta sarà l’emivita.

Un farmaco che ha un’emivita di un’ora è un farmaco presumibilmente eliminato tutto per via renale, che non ha
un Vd particolarmente ampio e quindi è un farmaco idrosolubile; buona parte degli antibiotici hanno emivita
corta. Un farmaco con un’emivita superiore alle 12 ore potrebbe essere un farmaco con distribuzione elevata al
SNC, per esempio antidepressivi e ansiolitici, che hanno un’emivita lunga oppure un farmaco che viene
allontanato non tanto bene dal nostro organismo, magari che ha un metabolismo epatico particolarmente
complicato; gli ipoglicemizzanti orali sono farmaci con un metabolismo molto lento che hanno t utti emivite
superiori alle 12 ore.

Ci resta un ultimo punto, perché fino ad ora noi abbiamo parlato di farmaco dato in bolo per via endovenosa, si
va al massimo, poi si scende e si arriva a 0, oppure farmaco dato per bocca, si arriva ad una Cmax, possiamo
calcolare la disponibilità, l’emivita, arriviamo a 0 in 10 emivite con una finestra terapeutica che sta tra Cmax e
una minima concentrazione efficacie. Però questa è una situazione che nell’uso quotidiano di un farmaco si
verifica quando noi diamo il nostro farmaco per esempio perché ho un attacco di mal di testa, mi prendo una
compressa, mi faccio passare il mal di testa, emivita di un’ora, dopo un’ora il mal di testa sta benino ma dopo 2
ore mi torna e dopo 4-5 emivite non ha più effetto.

Ma se io invece voglio mantenere la pressione del sangue, mantenere la glicemia costante nel tempo con un
antidiabetico, oppure avere un’azione antiaggregante costante nel tempo, anticoagulante costante nel tempo, io
voglio stare sempre nella finestra terapeutica; esempio: tempo di emivita: 4-5 emivite e poi nella coda della
giornata avere lo zucchero a 200, il trombo che mi parte e così via; devo fare una somministrazione multipla,
decido che do più compresse al giorno, la flebo che continua per più ore, stabilisco quante somministrazioni al
giorno fare e che tipologia di modalità di somministrazione usare in funzione all’età dell’emivita e cioè
comincio a dare il mio farmaco al tempo 0 (somministrazione per via endovenosa), nel momento in cui io
somministro il farmaco la concentrazione è la massima possibile (C0 =100), passa 1 emivita, non importa che
valore di emivita, all’emivita avrò il 50% della concentrazione che avevo all’inizio. Se in corrispondenza
dell’emivita somministro il farmaco, nel momento in cui io somministro il farmaco e sono al tempo di emivita,
nel sangue troverò tutto il farmaco che sto somministrando in quel momento C0 =100 + l’avanzo della
somministrazione precedente, 50. La mia concentrazione alla prima emivita sarà 150, passa un’altra emivita,
risomministro lo stesso farmaco alla stessa dose per la stessa via, altri 100 entrano dentro il sa ngue. Misuro una
concentrazione che sarà i 75 che erano la metà di quello che c’era un’emivita dopo la precedente
somministrazione + 100 e arrivo a 175; il giochino continua fino ad un punto all’infinito, teorico, in cui se io in
questo momento, somministro il mio farmaco sull’avanzo precedente di 100, arriverò ad una concentrazione di
200, all’emivita successiva mi si dimezza 200 e sono a 100, rimetto 100 e torno a 200, così via e arrivo poi ad
un momento in cui arrivo ad uno stato stazionario: le concentrazioni sono stabili, dove se io do il farmaco per
via orale o endovenosa in bolo, raggiungerò una concentrazione all’emivita, quando somministro il farmaco, che
è sostanzialmente il doppio della concentrazione che avevo ad inizio terapia ed una concentrazione minima, cioè
immediatamente prima della dose successiva, che sarà esattamente sovrapponibile alla concentrazione che
avevo ad inizio terapia. Lo stato stazionario non è un valore fisso di concentrazione, è un’oscillazione di
concentrazioni che vanno da una concentrazione massima che è doppia rispetto a quella iniziale del
trattamento ad una concentrazione minima che è esattamente corrispondente a quella che avevo ad inizio
trattamento, questo se somministro il farmaco in somministrazioni ripetute, multiple (es. compressa alle ore 8,
alle 16 e alle 24).

Se decido di dare il mio farmaco in fleboclisi continua, quindi ho un continuo ingresso di farmaco per tutto il
tempo, l’emivita è sempre lì, io sto però introducendo farmaco in continuo, non a spot, il che vuol dire che è
l’unico caso in cui effettivamente posso dire di avere una concentrazione stazionaria perché è un continuo
equilibrio tra ciò che entra (Cmax) e ciò che trovo al termine dell’uscita del farmaco. La concentrazione unica
che troviamo allo stato stazionario è quella che si ottiene infondendo il farmaco per via endovenosa continua,
alla stessa dose e alla stessa velocità di infusione. Nel momento in cui aumentate o diminuite le gocce, la vostra
curva vi si abbassa o vi si alza perché è dose indipendente.

Ricordate un unico passaggio di questo mio ragionamento: somministro quindi i farmaci a intervallo di dosi,
somministrando il farmaco ad ogni emivita, quindi la domanda che io vi faccio del tipo “ a cosa serve
l’emivita?”, la risposta è “serve conoscere l’emivita perché stabilisco l’intervallo tra le dosi e ad ogni emivita
somministro il farmaco”, cioè se ho un’emivita di un’ora dovrei dare il farmaco ad ogni ora, 24 volte al giorno,
ma non lo posso fare; posso però fregare l’emivita somministrando un farmaco in infusione continua (quest o per
farmaci ad emivita breve), oppure ci possiamo ingegnare un sistema per far sì che la fase di assorbimento sia
talmente prolungata che sembri un’infusione continua. Se io faccio una compressa a rilascio continuato è come
se fosse un continuo permeare di molecole di farmaco attraverso per esempio la mucosa intestinale, quindi un
rilascio prolungato frega un po’ l’emivita e anziché darlo una volta all’ora posso per esempio darlo una volta
ogni 4-6 ore.
Il farmaco ideale è quello che ha un’emivita di 8 ore, 8, 16, 24, tre volte al giorno e va benissimo.

Il farmaco ad emivita lunga è esente da problemi? È più comodo perché posso per esempio prenderlo una sola
volta al giorno, ma hanno dei però: se per caso mi sbaglio di dose o voglio cambiare qualcosa io il farmaco da lì
non lo levo, il paziente mi va in intossicazione digitalica, ho gli anticorpi antidigitale e va benissimo, così come
ho l’eparina e posso fare lipotamina, neutralizzo il farmaco, ma non lo levo dal circolo, il farmaco se ne va
secondo l’emivita. Quindi se ho un’emivita di 24 ore in quel tempo si dimezza, non si elimina, e così fa. Quindi
è più comodo però dal punto di vista della precauzione nei confronti del paziente potrebbe non essere un
farmaco ideale. D’altra parte non è così bello avere un’emivita lunga neanche se abbiamo una situazione di
emergenza perché nel giochino che abbiamo fatto arriviamo a quello stato stazionario in almeno 4-5 emivite, se
abbiamo un’emivita di 24 ore, arriviamo ad uno stato stazionario dopo 5 giorni, ma ci possono essere situazioni
come una sepsi, in cui io voglio raggiungere subito uno stato stazionario; d’altra parte se lo stato stazionario è
l’obiettivo di una terapia a lungo termine, vorrà dire che ciò che io voglio che ci sia nel sangue è una
concentrazione doppia (almeno 200) rispetto a quella di inizio terapia; intendo dire che se io ora inizio una
terapia con la digitale per esempio che ha ben 36 ore di emivita quindi ci vogliono un sacco di giorni per
arrivare allo stato stazionario, la dose che sto somministrando in questo momento al mio p aziente è
relativamente bassa, o meglio in questo momento mi darà luogo ad una concentrazione che non è al pieno
dell'efficacia. La dose la stabilisco per avere la concentrazione il doppio di quella che avevo all'inizio quando
sono allo stato stazionario, cioè stabilisco una dose che oggi non mi da una grande efficacia, ma tra 5 giorni mi
porterà ad avere una concentrazione target che è quella desiderata. Quindi tanto più rapido deve essere il
raggiungimento dello stato stazionario, tanto più vorremmo avere un farmaco ad emivita corta.

Nel caso in cui il mio farmaco abbia un'emivita molto lunga e quindi ci metto troppo temo ad arrivare allo stato
stazionario, posso decidere di usare la dose di attacco; perchè la dose di attacco e non alzare la dose? Non
posso aumentare la dose altrimenti mi si sposta la curva perchè la cinetica è dose dipendente quindi mi si alza
la quantità, ma l'andamento è sempre lo stesso quindi se oggi raddoppio la dose, tra 5 giorni avrò una dose 4
volte superiore a quella che avrei avuto se avessi usato una dose ad 1 mg, non posso alzare la dose perchè mi si
sposta lo stato stazionario, esco per esempio dalla finestra terapeutica.

Posso usare la dose di attacco: alzo la dose ma solo questa dose (tempo zero), così facendo arrivo più
rapidamente alla finestra terapeutica, ma la dose successiva alla successiva emivita torna ad essere quella
stabilita, quella che chiamiamo dose di mantenimento . Quindi la dose d'attacco viene anche definita come la
dose necessaria a raggiungere la concentrazione target in un tempo molto rapido, ma immediatamente alla dose
successiva devo ripristinare la dose di mantenimento perchè altrimenti mi setto in una stessa cinetica perchè il
farmaco è lo stesso, ma ad un livello di dose superiore, ad un livello di concentrazione superiore.

La dose di attacco è direttamente proporzionale al Vd, tiene conto della concentrazione target, mentre la dose
di mantenimento è direttamente proporzionale a tutta la concentrazione, ma è strettamente dipendente dalla
clearance. Le fluttuazioni di queste curve per arrivare allo stato stazionario dipendono da giochini che si
possono fare sulla somministrazione, intendo dire che posso spiaccicare le fluttuazioni, allungare le fluttuazioni
se sto dando dei farmaci a lento rilascio, più è corta l'emivita, più la fluttuazione aumenta, cioè rischio di avere
delle discese tra la Cmax e la Cmin più ampie, mentre più lenta è l'emivita, più queste fluttuazioni saranno
rilevanti. Quindi una volta raggiunto lo stato stazionario, un farmaco ad emivita lunga crea meno variazioni di
concentrazione del farmaco nel paziente.

Questa è una linea guida di consenso uscita recentemente sui farmaci antipsichiatrici che appositamente non ho
messo nel file che vi ho caricato su Aulaweb perchè non è di facile interpretazione, quindi ve la do soltanto
come riassunto su quello che abbiamo appena finito di dire e cioè se noi siamo nel range terapeutico, io posso :

➢ usare una dose stabilita,


➢ posso decidere ad un cero punto di abbassare la dose e allora posso abbassare l'andamento delle curve,
➢ posso decidere di alzare la dose e quindi stare sempre in uno stato sovraterapeutic o con un rischio però
di arrivare con Cmax all'equilibrio in un range tossico,
➢ posso addirittura somministrare lo stesso farmaco non rispettando ogni emivita, ma per esempio
saltando un'emivita, però così facendo per stare nel range terapeutico dovrò dare ad ogni emivita una
dose per esempio doppia (esempio: ho un farmaco con un'emivita di un'ora, do ad esempio 100 mg
ogni ora, se voglio darlo ogni 2 ore posso dare 200 mg ogni dure ore: questo non lo decidete voi ma
nasce con il farmaco per sopperire ad un'emivita troppo corta perchè se io alzo la dose e salto
un'emivita, la mia curva avrà un'oscillazione maggiore perchè ho saltato un'emivita e quindi la curva
tenderà a restare nel range terapeutico, ma nella fase ascendente va in tossicità, quindi può essere
un'opzione che esce con la scatola di un farmaco che tossico non è; cioè solo per farmaci poco tossici,
maneggevoli si può somministrare ad una dose stabilita dal costruttore i multipli dell'emivita (se ho
un'emivita di 4 ore posso dare il farmaco ogni 8 ore, la dose dentro quella compressa è raddoppiata
quindi lo posso fare solo se il farmaco è usabile ad una dose doppia),
➢ infine esiste la possibilità di avere la concentrazione unica che usiamo in realtà nei lenti rilascio e cosi
via..

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