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In questa scena si mette in luce lo scontro con l’autorità paterna, uno scontro
e un rifiuto che analizzato freudianamente coincide con l’uccisione stessa
dell’autorità che spostata fuori dal confine domestico coincide con l’autorità
precostituita politica, culturale, accademica, sociale.
Credo che proprio questo scontro con l’autorità (che potrebbe essere
concretizzato in uno degli slogan paradigmatici del Sessantotto ovvero
VIETATO VIETARE) racchiuda la pietra angolare di tutto il ’68, ovvero l’anelito
sessantottino di libertà, la spinta, l’aspirazione alla libertà.
Una libertà che si va a manifestare prima ancora che nella lotta politica e prima
ancora della controcultura, in quella che è la libertà sessuale.
La liberazione sessuale è forse una delle prime rivoluzioni del ’68 che a
definirsi forse perché affonda le radici ancora più indietro (es. nella cultura
beat)
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Lacan partiva da Freud.
Lacan proponeva una nuova traduzione del Wunsch freudiano.
Wunsch per Lacan è voto, vocazione, aspirazione
Già per Freud il desiderio era rivolto a qualcosa di rappresentato, non di reale,
e nello specifico per Freud il desiderio riguardava qualcosa di perduto.
Con Lacan si va oltre: il Desiderio è un Desiderio di Altrove, in senso assoluto.
L’oggetto del desiderio non esiste, né nel reale né nel trascendente.
Ed è per questo che credo che il Desiderio lacaniano possa essere accomunato
al Desiderio sessantottino.
Perché il Desiderio del ’68, che era desiderio di Libertà, cercava proprio
questo: qualcosa di altro rispetto a ciò che era l’esistente.
E forse la spinta fondamentale che ha fatto sì che il ’68 fosse il ’68 si trova nel
fatto che il Desiderio di quegli anni era, come il desiderio di Lacan, infinito,
tendente all’infinito.
Perché? Perché si cercava la libertà. E la libertà è un concetto trascendente ed
infinito per sua stessa natura.
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Ed essendo concetti infiniti, inevitabilmente, non riguardavano soltanto
l’individuo singolo.
Perché qualcosa di infinito riguarda necessariamente la collettività.
L’infinito per sua stessa definizione è qualcosa che noi non possiamo avere,
mantenere, domare, controllare.
Inevitabilmente l’infinito è qualcosa di collettivo, l’infinito è un bene comune.
Il problema qual è?
O meglio, qual è stato?
Il paradosso più grandioso dice: la rivolta (che è la natura stessa del Desiderio
perché desiderare vuol dire rivoltarsi continuamente contro l’esistente
muovendosi verso un altrove) la rivolta nasce da uno stato di attesa, di veglia,
anche di noia.
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Perché se ci si annoia di ciò che è esistente vuol dire che ci si aspetta che ci sia
qualcosa al di là.
L’attesa è una promessa di un orizzonte diverso, che qualcosa di altro possa
essere scritto.
Ed è per questo che il Desiderio ’68 non era desiderio utopistico.
Perché la rivolta non solo ammette, ma esige che vi sia una possibilità di futuro
diverso rispetto all’esistente, un Altrove a cui tendere.
Che poi questo Altrove non sarà mai raggiunto perché fuori dalla nostra
portata, questo non conta. Anzi, è proprio quello. Una propulsione mai
rassegnata, un tendere all’infinito.
Un movimento che è metafora stessa dell’esistenza: una continua ricerca di
una completezza platonica.
Per concludere.
Forse non è tanto il desiderio sessantottino che è stato perduto.
Probabilmente si è persa la radice stessa del desiderio.
De-siderare infatti vuol dire proprio andare al di là delle stelle.
All’interno della logica sociale capitalistica si tende più che altro a con-siderare.
A controllare le stelle e muoverci dentro i limiti.
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Forse molto più semplicemente noi soggetti moderni non siamo più capaci di
ribellarci perché siamo diventati incapaci a desiderare.
Forse per recuperare la rivolta basterebbe trovare solo il coraggio
dell’immaginazione, avere la certezza che qualcosa di Altro deve ancora essere
scoperto.