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PERCHÉ VALUTARE?
Lishman e Shaw mostrano come la valutazione sia utile.
In particolare Lishman evidenzia come la valutazione prende in esame la nostra
efficacia e ci aiuta a migliorarla; facilita la crescita della nostra responsabilità rispetto
agli utenti e ai clienti, aumenta le nostre conoscenze ed evidenzia al tempo stesso i
limiti, e ci aiuta a sviluppare nuovi modi di lavorare e di erogare servizi.
Inoltre Shaw suggerisce l'integrazione e l'interdipendenza tra percorsi di valutazione
orientati alla dimensione macro con quelli rivolti alla dimensione micro. E ricorda
l'utilità, per lo sviluppo dei servizi sociali, di effettuare valutazioni di carattere generale
sulla programmazione e sul funzionamento degli stessi e sul servizio sociale nel suo
complesso, a patto che questo non vada a discapito di una consapevolezza più sottile,
ossia quella relativa alla necessità, per gli operatori, di valutare in modo autocritico e
riflessivo i processi e i risultati del loro concreto lavoro sul campo.
Entrando nello specifico del lavoro professionale, si possono individuare alcuni punti
che si qualificano come buoni motivi per cui è utile valutare:
• la valutazione aumenta la conoscenza di base: prerequisito fondamentale per aiutare
le persone ad aiutarsi è sapere che cosa fare e ciò implica il possesso di conoscenze
teoriche e di capacità operative. Da qui la distinzione, per il servizio sociale, tra teoria
per la pratica (che fornisce orientamenti per l'individuazione di percorsi, degli
strumenti e delle tecniche più adeguate per attuare nella pratica la filosofia del servizio
sociale) e teoria della pratica (che arricchisce le conoscenze teoriche attraverso
riflessioni e generalizzazioni che possono derivare da ricerche sul servizio sociale). In
particolare, raccogliendo dati dal lavoro professionale per sviluppare teorie relative ai
diversi problemi sociali, sottoponendo a verifica le teorie elaborate nella pratica,
costruendo interventi congruenti a queste e sperimentando le ipotesi di trattamento nei
setting reali, si potrà dare corso a quella circolarità del processo di
conoscenza/intervento del servizio sociale che va sotto il nome di prassi-teoria-prassi;
• la valutazione orienta la presa di decisione: la raccolta di informazioni che si realizza
attraverso i processi valutativi consente ai diversi attori sociali di prendere decisioni
più mirate e consapevoli. Tutti i soggetti coinvolti, seppur da diversi punti di vista,
sono interessati alla qualità dell'intervento e dei servizi e l'apprendimento derivante
dalla valutazione di esperienze pregresse diventa fondamentale per operare scelte più
efficaci;
• la valutazione consente di dimostrare l'affidabilità: relativamente alla rendicontazione
della gestione del denaro pubblico si va dalla copertura dei target a cui i servizi si
rivolgono, a quello dell'erogazione, fino ad arrivare agli aspetti fiscali e legali;
• la valutazione assicura che gli obiettivi dei clienti siano raggiunti: è importante per
ogni professionista che questa accompagni tutto il processo di aiuto in modo da poter
correggere l'intervento qualora si dimostri non efficace;
• la valutazione aumenta la visibilità del lavoro professionale dell'assistente sociale:
offre l'opportunità di presentarsi con maggiore chiarezza alla comunità, e di far
emergere il senso del proprio intervento.
LO SCENARIO
I mutamenti legislativi e organizzativi relativamente recenti, sia a livello nazionale
(D.lgs. 502/92, 286/1999, 328/00) sia a livello europeo (Regolamento CE 99, Vision
2000), hanno legittimato la valutazione e la qualità come dimensioni integranti dei
processi decisionali in molti comparti di attività pubblica e del terzo settore.
In Europa, la crisi fiscale degli stati e l’insoddisfazione dei cittadini nei confronti dei
servizi pubblici, fin dagli anni 70, hanno incentivato nel tempo lo studio di indicatori
di risultato, di efficacia e di produttività, provocando una concentrazione più intensa
da parte dei ricercatori sul tema della valutazione e sulle sue possibili applicazioni a
diversi settori.
Sul finire degli anni 80 l’attenzione viene maggiormente posta alle tecniche specifiche
di valutazione professionale, utilizzate per indagare nuovi aspetti come la qualità della
cura.
Negli anni 90 la valutazione e il controllo della qualità dei programmi divengono
elementi posti in primo piano.
LA VALUTAZIONE
Vi sono molte definizioni di valutazione, di seguito verranno citate le più accreditate.
Boileau è tra i primi autori, ad occuparsi di valutazione in Italia. Nell’ambito
dell’azione sociale, la valutazione viene definita come determinazione dei risultati
ottenuti con una specifica attività intrapresa per raggiungere un obiettivo, uno scopo,
avente un valore. Nel campo più specifico dell’azione sociale diretta ad ottenere un
cambiamento sociale, si definisce studio valutativo lo studio delle conseguenze,
previste e non previste, desiderabili ed indesiderabili, dei programmi di attività
predisposti per ottenere un cambiamento sociale programmato.
Per Palumbo la valutazione è un’attività cognitiva rivolta a fornire un giudizio su
un’azione intenzionalmente svolta o che si intende svolgere, destinata a produrre effetti
esterni, che si fonda su attività di ricerca delle scienze sociali e che segue procedure
rigorose e codificabili.
Stame sottolinea che valutare significa analizzare se un’azione intrapresa per uno
scopo corrispondente ad un interesse collettivo abbia ottenuto gli effetti desiderati o
altri, ed esprimere un giudizio sullo scarto che normalmente si verifica, per proporre
eventuali modifiche che tengano conto delle potenzialità manifestatasi.
Le attività di valutazione possono essere suddivise in tre grandi famiglie:
1. positivista – sperimentale, dove l’elemento di confronto è costituito dagli
obiettivi di programma e il valutatore deve stabilire se sono stati raggiunti o
meno,
2. pragmatista di qualità, dove l’elemento di confronto è costituito dagli standard e
il valutatore deve stabilire il livello di raggiungimento;
3. costruttivista del processo sociale, dove l’elemento di confronto è costituito da
ciò che gli stakeholder considerano un “successo”, e il valutatore deve stabilire
i motivi per cui il risultato sia da considerare, in quella situazione e in quel
contesto, tale.
Criteri utili alla definizione della valutazione delle azioni di lavoro sociale sono:
l’efficacia, l’efficienza, l’equità, l’accessibilità, la soddisfazione del cliente e
l’appropriatezza degli interventi.
QUALITÀ
L’approccio della qualità può essere definito come quadro di riferimento concettuale e
metodologico utile ai fini di un cambiamento organizzativo interno a più livelli.
Presuppone l’implementazione di un sistema orientato alla qualità attraverso strategie
di miglioramento degli interventi e dell’intero assetto organizzativo, decisamente più
attuabili se supportate da un’etica valoriale.
Il concetto di qualità, pur nell'ambiguità ontologica che presenta, è anche considerato
un aspetto della valutazione, e come tale deve riferirsi ai presupposti teorico-empirici
tipici della ricerca.
I primi contributi definitori sono rinvenibili nella norma UNI ISO 9001 che definisce
la qualità come l'insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un
servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o
implicite. Il prodotto è il risultato di attività o di processi e può essere tangibile o
intangibile (conoscenze e/o concetti), o una loro combinazione.
Due concetti sottesi a tale definizione riguardano:
• la qualità come rispondenza delle prestazioni erogate ai bisogni e alle attese dei
cittadini/utenti, anche quando non rese immediatamente esplicite;
• un processo finalizzato come insieme organizzato di attività le quali consentono, nel
tempo definito, di raggiungere risultati di qualità per i diversi soggetti implicati
(professionisti, organizzazione, utente/cliente/cittadino).
Sul fronte degli studi organizzativi, il contributo di Normann ha influenzato molte
ricerche successive. Sulla base dell'analisi delle caratteristiche salienti dei servizi
(intangibilità, interazioni, contestualità della produzione e del consumo, partecipazione
attiva del cliente), l’autore ha messo in evidenza la poliedricità concettuale del termine
qualità, proponendone una definizione a cinque dimensioni. Si tratta:
- della qualità tecnica o del prodotto
- della qualità relazionale
- della qualità del sistema di erogazione
- della qualità percepita dagli utenti
- della qualità sociale.
Il Dipartimento della Funzione pubblica ha elaborato, in accordo con la normativa
europea, alcune definizioni relative alla qualità:
- la politica per la qualità è definita tramite indirizzi e obiettivi che vanno stabiliti
in chiave di idoneità d'uso, prestazioni, sicurezza, affidabilità;
- il management per la qualità fa riferimento alla componente della direzione
coinvolta nella definizione e nell'attuazione della politica della qualità;
- il sistema della qualità definisce la struttura organizzativa, le responsabilità, le
procedure e i procedimenti messi in atto per la conduzione aziendale;
- il controllo qualità indica le tecniche e le attività a carattere operativo indirizzate
a soddisfare i requisiti di qualità;
- l’assicurazione qualità o garanzia della qualità è l'insieme delle azioni pianificate
sistematicamente per promuovere la fiducia e la garanzia che un servizio soddisfi
i requisiti di qualità;
- la certificazione è l'attestazione che l'organizzazione sta rispettando i criteri di
conformità a norme per il buon funzionamento (norme ISO,ENI,UNI);
- l’autorizzazione al funzionamento è il rilascio e il controllo periodico, da parte
di Regioni o di enti da esse delegati, dei requisiti minimi per poter operare.
Nel 2000 è avvenuta una revisione delle norme attraverso la sostituzione delle norme
precedenti con un’unica norma ISO 9001:2000 che definisce la vision e la mission di
qualunque tipo di organizzazione e per qualsiasi categoria di prodotti. È comunque
riconosciuto che i requisiti di questa norma non sono necessariamente applicabili per
tutte le organizzazioni. In questo senso acquista particolare importanza la definizione
di criteri vincolanti per un nuovo management pubblico, basato sulla responsabilità dei
dirigenti verso il risultato e verso la qualità (anche attraverso l’istituzione di nuclei di
valutazione nella pubblica amministrazione), sulla centralità dell’utente, sul
riconoscimento dei successi. Si raggiunge dunque la consapevolezza della necessità di
dover valutare e non solo più rendicontare.
Tuttavia in Italia sono ancora poco implementati sistemi di valutazione maggiormente
attenti agli interventi professionali che, nell'area del lavoro sociale, trovano una
necessaria attinenza agli aspetti relazionali e alla progettazione di risposte orientate in
senso soggettivo-personalistico verso l'utenza.
Nella ricerca di basi teoriche di riferimento per la qualità non esistono una o più teorie
di riferimento specifiche. Occorre, quindi, effettuare una prima distinzione concettuale
tra due tipi di classificazione degli approcci che tuttavia risultano, nel risvolto
applicativo, complementari:
• il primo concerne la valutazione della qualità, orientata a stabilire standard e ad
implementare il controllo dei risultati, ma non gli effetti e gli impatti;
• il secondo riguarda il miglioramento della qualità verso l'eccellenza, ovvero lo sforzo
di conseguire i migliori risultati possibili al minimo costo attraverso il coinvolgimento
interno di tutti gli attori sociali implicati.
Robertson individua cinque diversi approcci teorici, che danno origine a logiche
operative fortemente differenziate:
- nel modello tradizionale, la qualità è riconducibile al giudizio diffuso, nella
popolazione, sulla migliore qualità del prodotto, spesso costruito su fattori di
immagine. Nel mercato dei beni il carattere della qualità conferisce uno status
per il cliente e sembra quasi che al prodotto venga attribuito un ruolo di
differenziatore sociale.
PROFESSIONISTI O VALUTATORI?
Una questione importante riguarda il ruolo che il professionista deve assumere nei
processi di valutazione della qualità all’interno dell’organizzazione. Alcuni punti
chiave sono: un quadro di riferimento chiaro e condiviso nei vari livelli organizzativi;
una metodologia forte con strumenti e metodologie attendibili, precisi e verificabili; un
uso vantaggioso della formazione del personale basata anche sull’utilizzo di esperti
esterni; un’azione capillare di diffusione delle idee e dei metodi, mediante l’utilizzo sia
di gruppi relazionali istituzionali sia di relazioni informali tra soggetti; una strategia
di diffusione del modello tra tutto il personale, attraverso seminari, corsi di formazione
per favorire collaborazioni, scambi e contaminazioni positive; un’attenzione
particolare ai risultati dei processi formativi e dei progetti attuati nell’organizzazione.
In particolare, nel lavoro sociale vi sono quattro condizioni vantaggiose nell’azione di
valutazione e di qualità: una ridefinizione dei criteri di efficienza e di efficacia secondo
canoni non prevalentemente di carattere economico quanto piuttosto comprensivi di
elementi di attenzione al lavoro sociale e relazionale; la definizione di strumenti e
metodologie adeguati a misurare la soddisfazione del cliente in contesti che permettano
la sua libera espressione; l’attenta implementazione del sistema qualità del disegno
della ricerca valutativa attraverso l’utilizzo di strumenti agili, utili, di semplice
applicazione, per superare la naturale resistenza di chi, come i dirigenti e i
professionisti, deve attivare processi riflessivi sul proprio operato; l’attribuzione di un
ruolo centrale al professionista nel processo di valutazione della qualità.
Nella relazione tra organizzazione-servizio-operatore, la valutazione e la qualità
risultano strategici a patto che riescano ad attivare l’impegno di tutti i livelli
organizzativi. La valutazione della qualità permette di monitorare i processi e i risultati,
ma non gli esiti che spettano invece alla valutazione.
CAPITOLO 3 RIFLESSIVITÀ E AUTOVALUTAZIONE NEL SERVIZIO
SOCIALE
Saper attivare processi di riflessività e di continua crescita professionale è una delle
caratteristiche essenziali di un assistente sociale in grado di affrontare le continue sfide
che emergono da contesti operativi in divenire. Un tale assistente sociale riflessivo è
capace di conoscere e riflettere sull’azione e nel corso dell’azione per adeguare il
proprio agire professionale a bisogni sociale e contesti organizzativi dominati
dall’incertezza. La valutazione propria della riflessione responsabilizza l’individuo
nell’organizzazione e valorizza la capacità di produrre cambiamento e innovazione.
RIFLESSIONE SULL’AZIONE
Strategie utilizzate o utilizzabili per rinforzare l’abitudine alla riflessione sull’azione
di un’assistente sociale sono:
- iniziative di aggiornamento e di formazione permanente, ossia situazioni che
interrompono temporaneamente l’attività di lavoro e che conducono il
partecipante ad apprendere tanto di proficuamente quanto più vi è scambio e
reciproco adattamento di conoscenze tra operatori e docenti, piuttosto che la
semplice trasmissione unidirezionale di nozioni;
- supervisione in servizio che produce risultati analoghi.
Sia nell’aggiornamento che nella supervisione è di estrema utilità l’impiego, come
materiale su cui far convergere la riflessione della documentazione professionale. A tal
proposito Ferrario sottolinea l’importanza di partire dall’esame attento della
documentazione (diari degli operatori, cartelle degli utenti) prodotta nei servizi per
cogliere scelte e omissioni di cui gli stessi operatori sono spesso inconsapevoli.
Lumbelli, inoltre, parla di “analisi testuale basata sui nodi della comprensione”, l’idea
base è che nel formulare un testo di qualunque genere diamo per scontato tutta una
serie di sottintesi che sostanzialmente appartengono alla visione del mondo che ci è
propria. Dobbiamo cioè rallentare il processo di lettura e comprensione, ad esempio
ragionando ad alta voce, per fare passo dopo passo quelle operazioni che diversamente
faremmo inconsapevolmente. Si tratta cioè di rendere visibile la concatenazione di
conoscenze che è necessario cogliere per dare senso al testo.
L’analisi testuale dovrebbe in primo luogo centrarsi su quegli errori di comprensione
più ricorrenti che Lumbelli ha definito “nodi” della comprensione. I sette nodi
individuati dall’autore, possono essere effetti paradossali di rendere più chiaro e
accessibile il discorso, oppure possono essere prodotti da esigenze di eleganza formale
che però rendono più difficile cogliere i nessi tra le informazioni presentate. Al primo
gruppo appartengono:
- aggiunta relativizzante, una o più frasi vengono inserite nel testo con lo scopo
di attenuare il valore del contenuto informativo del testo;
- esempio difficile, esemplificazione che presenta difficoltà di comprensione;
- aggiunta problematizzante, presenza di parole lo frasi, spesso tra virgolette o
parentesi che confondono il lettore.
Al secondo gruppo appartengono:
- identità ostacolata, denominazione multipla per lo stesso soggetto, argomento,
individuo;
- nesso mal segnalato, numerosi ma, però, quindi, infatti, usati fuori posto;
- nesso non segnalato: una o più frasi che veicolano un determinato contenuto
informativo sono seguite da altre frasi che forniscono nuove informazioni senza
che sia dato alcun inizio sintattico del rapporto tra queste ultime informazioni e
quelle precedenti.
- nesso distanziato, frasi come anche un capoverso che non consentono giusti
collegamenti tra le informazioni.
Ciò è solo uno dei possibili metodi di analisi del parlato e del testo applicabile anche
all’ambito sociale.
Una proposta di carattere metodologico applicabile anche al servizio sociale è quella
formulata da Schon e articolata sotto forma di quattro tipi di ricerca riflessiva
particolarmente adatti a esplorare campi di attività di un professionista caratterizzati da
incertezza, instabilità e unicità. Il primo è l’analisi di struttura, che viene descritto a
partire dalla constatazione che ogni professionista delimita i fenomeni ai quali presta
attenzione in base a ben precise strutture di conoscenza e di ruolo delle quali egli in
gran parte non ha coscienza. Il rischio è che il professionista consideri come realtà data
quello che è il suo modo di vedere la specifica situazione affrontata e ciò può portarlo
ad agire in maniera inefficace. Mentre il professionista può cogliere modi alternativi di
strutturare la realtà della sua pratica se acquista consapevolezza delle strutture che lui
stesso ha definito.
La ricerca per la costruzione del repertorio è il secondo tipo di ricerca riflessiva
individuato da Schon e consiste nell’accumulare e nel descrivere quelle situazioni di
lavoro incontrate che sfuggono a teorie e modelli disponibili in quanto non di “routine”,
ma che tuttavia possono essere viste come casi o precedenti. In questa strategia di
ricerca non è tanto utile porre attenzione ai risultati del processo quanto piuttosto
rivedere il percorso effettuato per poterlo riprodurre in altre situazioni complesse.
La ricerca sui metodi fondamentali di indagine e sulle teorie dominanti è il terzo tipo
di ricerca riflessiva. Questo tipo di ricerca si può sviluppare secondo due modalità: la
prima si sostanzia nell’esame degli episodi della pratica professionale al fine di scoprire
il funzionamento del processo di riconoscimento e ristrutturazione, ovvero di
spiegazione di situazioni professionali complesse; la seconda, che assumerebbe la
forma di “scienza dell’azione”, pone l’attenzione a situazioni uniche e incerte sulle
quali non avrebbe effetto l’applicazione di teorie derivate dalla razionalità tecnica e
strumentale.
Nel quarto e ultimo tipo, la ricerca sul processo di riflessione nel corso dell’azione, ha
notevole importanza la consapevolezza, che il soggetto dovrebbe approfondire, degli
ostacoli che impediscono il passaggio da una teoria a un’altra più efficace
nell’affrontare situazioni irrisolte.
Tra le ulteriori strategie utilizzabili per lo sviluppo della riflessività sull’azione possono
essere poi citate: il bilancio sulla gestione del tempo che consiste nel rilevare
giornalmente su apposite griglie il tempo dedicato a determinate attività (colloqui,
riunioni, telefonate con l’utenza, stesura di relazioni ecc.) per poter poi ottenere una
visione complessiva dell’impiego della risorsa tempo, utile per rendere manifeste le
priorità effettive sottese all’azione dell’assistente sociale; la tecnica delle griglie di
repertorio di George Kelly usata per l’analisi della conoscenza tramite l’uso di matrici
e dell’individuazioni delle correlazioni tra gli attributi assegnati soggettivamente a un
fenomeno, è stata sperimentata con successo in ambito didattico e nell’ambito della
ricerca applicata al servizio sociale.
Infine vi è l’uso delle immagini per stimolare la riflessione sul ruolo svolto
dall’operatore e sulle dimensioni operative catturabili più facilmente tramite l’intuito
o altre capacità non razionali. Secondo Gould la manipolazione mentale di immagini
è un processo centrale dell’apprendimento e della pratica professionale riflessivi in
quanto, le immagini e le metafore veicolando una conoscenza olistica per l’azione,
sono in grado di ricomporre la frattura tra oggettività e soggettività, tra fatti e valori.
Le immagini agiscono come schemi attraverso i quali i processi di accomodamento e
assimilazione contribuiscono, attraverso l’apprendimento esperienziale, alla
conoscenza del contesto operativo e del sé professionale.
LA RIFLESSIONE NEL CORSO DELL’AZIONE
La riflessione nel corso dell’azione conduce l’operatore ad approfondire la
consapevolezza sul suo agire professionale all’interno dell’azione stessa e senza creare
discontinuità. Alcuni fattori che favoriscono la riflessione nel corso dell’azione sono:
- un ambiente che tollera un certo grado di errore e che considera questo e le connesse
opportunità di rivedere e riformulare la conoscenza personale come un’occasione di
apprendimento e di ricerca di nuove strade;
- ogni occasione di esercizi, ad esempio i role playing, utili a consentire la
sperimentazione in libertà di nuove modalità di azione professionale;
- la possibilità di lavorare sull’accrescimento della consapevolezza sulle dinamiche
della comunicazione interpersonale;
- ogni forma di lavoro sulle proprie emozioni, considerate come possibile traccia per
la formulazione di ipotesi interpretative e orientative dell’azione.
- Infine, la selezione dei soggetti può essere basata sulla varietà. Questo ha una
rilevanza particolare nel contesto del servizio sociale, dove certi tipi di domande,
bisogni o problematiche possono essere particolarmente impegnativi e assorbire
moltissimo tempo, pur non rappresentando dal punto di vista quantitativo una
porzione significativa di tutti gli interventi. Questo per esempio, è il caso delle
famiglie multiproblematiche.
Nella valutazione qualitativa, poi, non si protegge l'anonimato, quindi il soggetto deve
fidarsi dell'intervistatore, e deve sentirsi garantito nel poter esprimere critiche senza
che queste vengano rese pubbliche e senza dover temere ritorsioni. In caso contrario il
soggetto risponderà in modo tale da proteggersi.
Altre critiche emerse in merito agli strumenti qualitativi riguardano la loro attendibilità.
L'assenza di standardizzazione ha fatto spesso pensare che le informazioni raccolte
dipendessero, per esempio, dal clima dell’intervista, dal tipo di incontro tra
intervistatore e intervistato o comunque da situazioni peculiari e non controllabili.
Rispetto al nodo dell’attendibilità degli strumenti di rilevazione, cioè della loro
capacità di esplicitare sempre gli stessi risultati, la ricerca qualitativa si è dotata di
numerosi accorgimenti. Il più comune consiste nella triangolazione degli strumenti,
che comporta il mettere a confronto dati raccolti con differenti strumenti di rilevazione.
LE AREE
All'assistente sociale compete produrre una valutazione su alcune specifiche aree che
vengono lette e interpretate secondo un'ottica strettamente sociale sia sul piano delle
rappresentazioni sia delle misurazioni e che si coniuga con il proprio oggetto di studio
e di intervento professionale. Le aree investigate dalla valutazione sociale sono:
1. L’abitazione: vengono considerate l’ubicazione nel tessuto urbano, la tipologia e la
qualità dell’immobile, il contesto di vicinato, nonché l’organizzazione degli spazi al
suo interno e le caratteristiche che la contraddistinguono sia in termini positivi che
negativi;
2. Le relazioni familiari: vengono presi in esame la struttura familiare, la sua storia, il
ciclo vitale, l’esercizio delle funzioni educative, le reazioni e le strategie di
fronteggiamento degli eventi stressanti;
3. Le relazioni sociali: vengono prese in considerazione le esperienze di volontariato,
gli impegni di prossimità e di vicinato, la capacità di mantenere legami sociali
affidabili, la capacità di fidarsi nelle reti sociali e di rapportarsi con esse;
4. La salute: si analizzano le ricadute di un venir meno dello stato di salute sulla qualità
della vita dei soggetti implicati, il lavoro di cura richiesto, il carico assistenziale, la
conciliazione con i tempi di lavoro, con i compiti e le funzioni sociali dei soggetti
coinvolti;
5. La situazione economica: si prendono in considerazione i vari soggetti produttori di
reddito dentro il nucleo familiare, le tipologie di entrata e di uscita finanziarie, le
capacità di amministrare i beni e di programmare le necessità di spesa, di affrontare le
fragilità di un suo membro;
6. Il lavoro: vengono esplorate la qualifica professionale e le mansioni svolte,
l’ubicazione del luogo di lavoro, le peculiarità sociali dell’ambiente lavorativo, il
livello di soddisfazione raggiunto o i motivi di instabilità emersi;
7. L’istruzione: ossia il percorso formativo svolto dai soggetti, le esperienze maturate,
le prospettive future;
8. L’autonomia: intesa come la capacità di svolgere compiti nella quotidianità come
preparare i pasti, utilizzare i mezzi di trasporto ma anche camminare, parlare, lavarsi;
9. Le dipendenze: intese come utilizzo di sostanze o stili comportamentali che espongo
il soggetto a un elevato rischio di salute e le ricadute familiari e sociali che ne derivano;
10. Posizione giudiziaria: vengono analizzate le azioni giudiziarie subite, le limitazioni
alla libertà; la capacità di agire e di rappresentanza.
GLI INDICATORI
È possibile avere un’idea dell’entità delle difficoltà incontrate dall’utente se si riesce a
tradurle operativamente in forma di variabili. È possibile delimitare le variabili
attraverso alcuni indicatori volti a raccogliere le caratteristiche della persona; le
conoscenze; le abilità e le acquisizioni; gli atteggiamenti, le convinzioni e i valori.
Le variabili relative alle caratteristiche della persona contengono dati di tipo
sociodemografico osservabili dall’esterno che tendono a rimanere stabili nel tempo.
Quelle relative a conoscenze, abilità e acquisizioni raccolgono informazioni circa le
competenze legate a percorsi formativi e ad occasioni di apprendimento. Sono sensibili
al cambiamento e perciò suscettibili di modificazione a seguito di percorsi educativi
effettuati.
Infine, le variabili relative ad atteggiamenti, convinzioni e valori raggruppano le
percezioni che l’utente ha di sé e del contesto nel quale vive. Si tratta di elementi che
descrivono il benessere, la fiducia, i valori e le convinzioni che una persona esprime e,
proprio per la loro soggettività rivestono un’importanza particolare.
La misurazione dei fattori osservabili permette all’assistente sociale di uscire dalla
vaghezza e/o dall’eccessiva astrazione, ancorando l’analisi della situazione alla sua
specifica e peculiare concretezza.
LA VALUTAZIONE DIALOGICA
Nel campo specifico degli interventi sociali, la relazione d’aiuto deve tener presente la
complessità e i molteplici livelli di interesse e di lettura dei soggetti coinvolti,
considerando anche il punto di vista dell’utente e la dimensione relazionale
dell’intervento stesso. In tale ottica, il processo di valutazione deve basarsi su
metodologie flessibili e adattabili alla realtà sociale che si intende considerare. Questo
comporta l’acquisizione di più punti di vista e di interpretazioni, giudizi e riflessioni
diversi che si caratterizzano per essere uno spazio di partecipazione.
È, dunque, un processo partecipato che consente di apprendere, di produrre
conoscenze, di costruire valore aggiunto, in quanto riconosce il ruolo dei soggetti come
una risorsa, nel senso che i loro punti di vista sono indispensabili per decidere quali
siano i nodi critici e le soluzioni. Uno strumento utilizzato a tal fine è la scheda di
valutazione partecipata. Tale scheda, se affiancata agli indici di sintesi che raccolgono
la valutazione dell’assistente sociale, diventa una scheda di valutazione dialogica.
Il suo obiettivo è quello di raccogliere gli elementi che compongono la valutazione
dell’utente e confrontarli con quelli individuati dall’assistente sociale nella valutazione
sociale; vengono dunque comparati i due sistemi di giudizio e misurate le distanze, le
congruità e i punti di convergenza, al fine di enucleare le aree più sensibili
all’intervento sociale. In quest’ottica la complessità è affrontata in modo positivo,
sollecitando la ricerca condivisa delle possibili soluzioni per il raggiungimento di
obiettivi comuni.
CAPITOLO 8 FORMAZIONE E VALUTAZIONE: UN LEGAME VIRTUOSO
Il servizio sociale italiano comincia a mostrare interesse nei confronti della valutazione
del proprio operato. Si tratta di un segnale positivo, riconducibile alla maturazione della
comunità professionale che, avendo ottenuto i riconoscimenti formali (formazione
universitaria, costituzione dell’albo professionale, emanazione del codice
deontologico), è più libera di porsi interrogativi rispetto all’efficacia del proprio
intervento, alla qualità della propria azione, al consolidamento e all’arricchimento dei
fondamenti teorici, anche attraverso la riflessione e la valutazione dei percorsi messi
in atto.
Il primo passaggio per sviluppare processi valutativi è consistito in un lavoro di
riflessività, orientato all’autovalutazione volto a far emergere la qualità dell’intervento
professionale nelle diverse fasi del processo metodologico e finalizzato
all’individuazione di possibili indicatori.
La logica adottata, mirava a sollecitare apprendimento da parte degli assistenti sociali
affinché fossero in grado di migliorare la propria professionalità, attivando processi di
valutazione “dall’interno nel servizio sociale”. L’autovalutazione si è caratterizzata
come punto di partenza e come tappa fondamentale in questo processo, in quanto ha
consentito di mettere in atto un momento di verifica e di apprendimento sistematico,
orientato a migliorare la qualità della relazione con l’utente, con l’organizzazione e con
le risorse della comunità.
Seguendo una griglia, è stato attivato un processo di revisione sistematica dell’attività
svolta dagli assistenti sociali.
L’esplorazione del ruolo professionale ha sollecitato una riflessione sulla chiarezza del
mandato istituzionale, sulla consapevolezza della mission e degli obiettivi specifici da
perseguire, sulle attività svolte per raggiungerli.
Su questo punto si è ipotizzata la possibilità di attivare strumenti di valutazione anche
da parte dell’organizzazione, con l’obiettivo di misurare e migliorare la qualità e la
chiarezza comunicativa interna.
Inoltre, la riflessione sulle proprie conoscenze e competenze teorico metodologiche
accompagnate da un confronto con i colleghi ha costituito un contributo significativo
per migliorare i propri standard di intervento professionale.
STRUMENTI DI VALUTAZIONE
Una considerazione importante nel percorso dell’autoriflessione riguarda la
dimensione del tempo.
Sembra esserci una correlazione, tra l’investimento consapevole strategico, effettuato
dall’assistente sociale in un tempo adeguato per lo svolgimento delle attività necessarie
a sviluppare il processo di aiuto, e i risultati dello stesso.
Quanto più l’operatività è segnata dall’urgenza tanto meno si investe tempo nella
riflessione e nella documentazione e in questi casi l’assistente sociale rischia di
invischiarsi in relazioni cronicizzate.
Da tale considerazione emerge l’esigenza di introdurre procedure che svolgano una
funzione di guida per l’assistente sociale e che possano qualificarsi anche come
legittimazione e difesa, rispetto a talune richieste improprie delle organizzazioni.
Uno strumento fondamentale che deve accompagnare il professionista nella relazione
d’aiuto è la cartella sociale, strumento fondamentale che deve accompagnare
l’operatore nel processo d’aiuto, facilitandolo non solo nel memorizzare le
informazioni, ma anche nel mettere in atto quel processo di autoriflessione o di
riflessione condivisa (come discussione casi, equipe, supervisione), così importante per
garantire sia la correttezza dell’intervento professionale, sia la possibilità di sviluppare
materiale per la valutazione, oltre che per la didattica e per la teorizzazione
dell’operatività.
Un altro strumento, realizzato sotto forma di questionario da sottoporre agli utenti,
riguarda il momento del primo contatto, identificato come un punto di partenza molto
importante per lo sviluppo di una relazione collaborativa tra cittadino e operatore.
Infine un’ulteriore modalità di costruire processi valutativi è quella della peer-review.
Questa metodologia si basa su un processo di confronto tra pari, anche se tutto il
percorso si avvale del supporto da parte di un membro, esperto ed esterno, che ha la
funzione di attivatore e di supervisore rispetto al processo di valutazione che si mette
in atto.