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Dai dati empirici alla valutazione

Riassunto a cura di Margherita Dagnello

CAP. I: La valutazione nei processi di


apprendimento formali
La valutazione è uno degli aspetti che meno possono essere trascurati nel processo di
trasformazione e evoluzione che sta investendo il sistema formativo. Questa è costituita da
diversi aspetti, tutti ugualmente importanti, tra cui possiamo riconoscere:

1. le caratteristiche degli alunni;

2. le caratteristiche dell’insegnamento;

3. i curricula;

4. gli istituti di istruzione e formazione;

5. il sistema di istruzione e formazione nel suo insieme.

I paesi industrializzati hanno messo a punto forme di monitoraggio sempre più sofisticati per
permettere alla comunità di accedere e consultare in modo più semplice e ordinato i dati che
permettono di valutare il funzionamento del sistema e per produrre i miglioramenti necessari.
Le valutazioni che più direttamente hanno a che fare con il mondo dell’istruzione e della
formazione riguardano gli apprendimenti ralizzati dagli alunni, i programmi, la qualità
dell’insegnamento, gli istituti d’istruzione e di formazione e il sistema scolastico.
Il processo valutativo può considerarsi come una vera e propria attribuzione di valore a fatti,
eventi, oggetti e simili, e collocando la valutazione nell’ambito del processo formativo, essa
costituisce lo strumento di regolazione dell’intervento formativo in rapporto agli obiettivi che
l’istituzione scolastica si pone, poichè essa si pone all’inizio, durante e alla fine del processo
formativo.
La valutazione non è solo strumento di rigida selezione, ma anche modalità per promuovere.
Non è inutile che si precisi la funzione didattica della valutazione, ma estremamente utile si
dimostra la funzione della misurazione nella valutazione.
La misurazione consiste nell’acquisizione di un’informazione organizzata relativa a
determinati fenomeni; essa è:

valida, se corrisponde a ciò che si vuole misurare;

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attendibile, se precisa e può essere sottoposta a controlli senza fornire dati contraddittori.
É opportuno distinguere valutazione e misurazione:

la misurazione è una mera rilevazione di dati, esprimibili in forma quantitativa da


sottoporre alla successiva operazione di valutazione;

la valutazione, implica un giudizio sulle registrazioni effettuate e quindi il richiamo a


parametri e standard di riferimento che consentono di pronunciarsi sul grado in cui le
misure raccolte raggiungono, superano o rimangono al di sotto dei livelli di
“sufficienza”.

Sussiste anche una differenza tra verificare e valutare. Con la verifica si tende a separare il
vero dal falso, ciò che conferma da ciò che smentisce; la valutazione considera la
significatività dei dati e tutti i fattori che rendono unica l’esperienza formativa di ognuno.

Per poter valutare correttamente in un processo formativo è necessario:

determinare con precisione l’oggetto del rilevamento - indicazione di un certo numero di


comportamenti e prestazioni che diano informazioni sull’avvenuto raggiungimento degli
obiettivi didattici;

prevedere un processo di misurazione e l’utilizzo di uno strumento, con la funzione di


stimolare/registrare i comportamenti - l’accertamento del conseguimento o meno di tali
obiettivi;

valutare i risultati registrati e letti, prendendo in considerazione il rendimento del


gruppo, le caratteristiche del soggetto, il suo rendimento all’ingresso, utilizzando un
sistema di simboli/giudizi entro una gamma prestabilita - valutazione propriamente detta,
giudizio interpretativo dei risultati della misurazione.

La valutazione è un processo di sintesi nella complessità che punta all’osservazione e


all’interpretazione della qualità degli apprendimenti e dell’insegnamento. Le sue funzioni:

1. da un lato serve a formulare un giudizio sul livello di apprendimento raggiunto


dall’alunno;

2. dall’altro serve come feedback formativo per l’alunno;

3. costituisce un imprescindibile feedback sull’efficacia dell’insegnamento.

Nell’ottica della progettazione di interventi didattici sempre più adeguati alle diverse
esigenze degli alunni, la valutazione diventa lo strumento essenziale di autoregolazione
continua del progetto formativo stesso. A tal proposito, possiamo distingure due momenti
della valutazione:

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la valutazione sommativa solitamente è collocata al termine dell’azione didattica o al
compimento di un determinato periodo, è finalizzata a constatare il grado di padronanza
che gli allievi hanno acquisito in un determinato ambito e a fornire un giudizio
complessivo sul loro apprendimento;
la valutazione formativa è tale nella misura in cui consente al singolo allievo di
superare gli ostacoli incontrati attraverso l’individuazione e la conoscenza degli stessi:
una valutazione essenzialmente analitica e diagnostica.

funzione diagnostica: quando ha lo scopo di identificare i problemi che uno studente


presenta nell’apprendimento;

funzione prognostica: interpreta se un determinato allievo può essere in grado di


seguire un dato itinerario di insegnamento-apprendimento;

funzione predittiva: quando si anticipa il risultato che uno studente potrà conseguire
seguendo un certo itinerario di studi;

funzione orientativa: fornisce agli alunni l’indirizzo che può essere dato sulla base
dei dati disponibili, avendo di mira lo sviluppo massimo delle loro potenzialità.

Parlando di misurazione, Vertecchi offre un quadro di riferimento per rendersi conto del tipo
di misure che è possibile effettuare nella scuola, proponendo una classificazione delle scale di
misurazione:

scale nominali: quando si hanno solo descrizioni che non contendgono elementi
comparativi;

scale ordinali: quando si esprimono apprezzamenti implicitamente o esplicitamente


comparativi;

scale a intervalli: quando le prestazioni sono riconducibili ad una unità sulla base della
quale sia possibile esprimere quantità.

Quando si parla di valutazione, è importante parlare anche di autonomia intesa come capacità
di ipotizzare percorsi diversi per ottenere risultati complessivamente omogenei. Per questo è
necessario definire standard di riferimento ed una funzione di valutazione continua, se si
vuole evitare il rischio che si generino disparità. Le modalità con cui si giunge alla
definizione degli standard sono diverse a seconda delle caratteristiche del sistema
istituzionale scolastico.
Il Regolamento sull’Autonomia Scolastica (1999) ha indicato il Ministero come responsabile
della definizione degli standard, per poi lasciare campo libero alle singole istituzioni
scolastiche nella compilazione del PTOF, che sarà unico per ogni scuola ma che avrà sempre
delle linee guida a cui dovrà far riferimento.

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Questi obiettivi nazionali rendono i parametri della rilevazione quanto più stabili possibile, in
modo tale da garantirne una maggiore validità, grazie agli indicatori presenti nelle schede di
valutazione, che rendono possibile la documentazione e la conseguente regolazione della
programmazione all’interno degli incontri periodici del gruppo docente: la valutazione in
questo modo si configura come compito professionale condiviso, elaborando strategie che
permettono il recupero di lacune ed il cui esito non può ricadere sul singolo membro del
gruppo.
La valutazione è un processo complesso che deve mettere in campo delle metodologie, degli
attori, delle ipotesi di carattere generale. Senza tutti questi elementi la valutazione degrada
fino a non produrre un cambiamento vero e proprio nell’alunno: la valutazione che non
modifica i comportamenti, non solo non è utile ma rischia anche di essere dannosa.
Modificare i comportamenti è l’essenza dei processi d’apprendimento.
Entra quindi in gioco la collegialità valutativa, che consente di conoscere a fondo le
potenzialità dell’alunno e regolare le scelte di programmazione, concordando le opportune
forme di supporto per aiutarlo nel superamento di determinate difficoltà: si parla di
apprezzamento collegiale della progressione degli apprendimenti. Per procerede a questo
apprezzamento valutativo, esistono diversi tipi di criteri:

criterio idiografico: valutare il progresso vero, il conseguimento degli obiettivi;

criterio dinamico: confronto tra il progresso individuale e il progresso di gruppo;

criterio nomotetico: confronto dei risultati realizzati dal singolo con quelli del gruppo;

domain-referenced evaluation: valutare fino a che punto sono stati raggiunti i


traguardi.

Per affrontare un problema complesso come quello della scuola è necessario adottare
un’ottica progettuale che pone la variabile valutazione in primo piano, poichè rappresenta
tutte quelle azioni che si compiono prima, durante e dopo le attività di progettazione stessa. É
quindi lecito parlare di valutazione di processo e di sistema, che supera la valutazione
dell’apprendimento.

La prima si riferisce alle operazioni della progettazione formativa - competenza del


politico.

La seconda si riferisce alle operazioni della programmazione didattica - competenza


dell’insegnante.

Se è carente la valutazione del sistema, lo è anche quella dell’apprendimento e viceversa, in


quanto si tratta di elementi di un’unica realtà che interagiscono tra loro. Per questo si propone
di applicare alla valutazione dei fenomeni educativi l’approccio sistemico che tiene conto di:

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a. l’analisi e la valutazione di un sistema formativo investe l’intero sistema, l’approccio
sistemico induce a chiedersi perchè l’allievo non sa ma anche quali conseguenze
comporta a livello globale;

b. la valutazione deve essere inquadrata in una dimensione dinamica e processuale;

c. la valutazione si configura come un processo di ricerca quali-quantitativa in ambito


sociale, è un modo di porsi verso la realtà e un atteggiamento sistematico di problem
finding e problem solving;

d. la valutazione è tanto più precisa quanto più ampi sono gli spazi di riferimento;

e. la valutazione di un fenomeno educativo procede su una dimensione di incertezza


progettuale e sperimentale;

f. la valutazione dipende da osservazioni accurate e costanti di alcuni parametri


fondamentali che fungono da indicatori di cambiamento;

g. la valutazione non si limita all’osservazione del fenomeno in sè ma indaga le cause che


lo provocano;

h. la valutazione è vincolata dal punto di osservazione prescelto;

i. la valutazione si avvale di strumenti di misura validi e affidabili.

Inoltre, l’analisi e la valutazione dei processi formativi deve tener conto di quattro aspetti:

1. il sistema-contesto entro cui hanno luogo i fenomeni;

2. i processi personali e sociali che concorrono a determinare la composizione e lo


sviluppo;

3. i progetti che si attivano per tenere tali fenomeni sotto controllo;

4. i prodotti che emergono mediante l’osservazione e la misurazione dei risultati.

L’obiettivo di tale approccio non è quello di distruggere i modelli obsoleti, bensì quello di
integrarli con i nuovi comprendendoli tutti in contesti più ampi e significativi.

In favore dell’autonomia scolastica, si propone la creazione di un Sistema Nazionale di


Valutazione, autonomo e indipendente rispetto al Governo, chiamato a verificare l’azione
formativa del sistema pubblico di istruzione. L’ampia autonomia fornita alle scuole impone la
necessità di misurare e valutare costantemente l’efficacia del sistema formativo nazionale: a
tal proposito, grazie alla Direttiva del Ministero della Pubblia Istruzione n.307 del 21 maggio
1997 nasce il Servizio Nazionale per la Qualità dell’Istruzione; da un lato si fa riferimento a
standard nazionali, dall’altro vi è la necessità che ogni scuola definisca i propri obiettivi,
infine che ogni scuola sia in grado di autovalutarsi.

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In ambito formativo l’espressione autovalutazione d’istituto consiste nella capacità delle
scuole di analizzarsi e valutarsi e si pone come una funzione indispensabile per prendere
decisioni ragionate in vista di un progressivo e costante miglioramento. L’autovalutazione
diventa così il passaggio chiave per l’autoregolazione dinamica delle unità scolastiche in
un’ottica di sviluppo e trasformazione.
L’autovalutazione e autoanalisi d’istituto sono considerate come un processo di ricerca che
parte da riflessioni specifiche sul contesto d0istituto e sui giudizi di valore che stanno alla
base della vita scolastica; si propone di analizzare tutti i diversi punti di vista sulla scuola,
come la direzione, l’amministrazione, gli insegnanti, gli studenti e i genitori.
Il momento autovalutativo risulta funzionale agli operatori interni in quanto feedback sulla
propria azione e base per una revisione delle proprie scelte, e possono essere indicati gli
approcci metodologici all’autovalutazione della scuola:

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CAP. II: L’analisi dei dati e la statistica
La statistica non serve quando i fenomeni sono netti e la loro valutazione è univoca e non
ammette dubbi. In tutti quei casi in cui i fenomeni possono essere oggetto di discussione e di
valutazioni diverse la statistica è sicuramente uno strumento utile di conoscenza.

Nel caso della ricerca pedagogica non è ancora possibile ottenere un grado di controllo
sperimentale così accurato come avviene nella fisica o nella chimica. Le cause della
variabilità delle osservazioni sono molto più difficili da identificare, misurare e controllare.

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Il ricercatore nel campo educativo cerca, con metodo induttivo, di stabilire delle relazioni tra
eventi osservabili e formula delle generalizzazioni a proposito dei fenomeni. Dal momento
che un ricercatore non ha la possibilità di osservare tutti i casi a cui si applica la
generalizzazione che egli stesso formula, il processo di induzione non assicura mai che le
conclusioni a cui egli giunge siano vere. Vi è dunque bisogno di un insieme di tecniche che ci
dicano qual è la probabilità di commettere un errore se traiamo certe conclusioni dai dati di
cui disponiamo.

La teoria statistica ci aiuta a tenere sotto controllo l’effetto del caso e a quantificare un grado
di fiducia da assegnare alla nostra ipotesi teorica di partenza, a stabilire cioè se e in quale
misura possiamo essere sicuri delle generalizzazioni che traiamo dai dati.

Statistica: insieme delle teorie e dei metodi scientifici che consentono di studiare
fenomeni collettivi. Consiste nell’analisi quantitativa delle osservazioni di un qualsiasi
fenomeno sogegtto a variazione, cioè di una variabile; quindi non si fema alla sola
raccolta dei dati, ma li osserva per spiegarne le leggi ed i modelli di comportamento che
li reoglano. La statistica non serve quando i fenomeni sono netti e la loro valutazione è
univoca e non ammette dubbi.
Si è soliti dividere la statistica in:

Statistica descrittiva: insieme delle tecniche, dei metodi e delle procedure per la
descrizione sintetica dei fenomeni qualitativi e quantitativi osservati. Si limita a
descrivere un campione e viene utilizzata per organizzare e interpretare dati.

Statistica inferenziale: analizza un campione tratto da una certa popolazione di cui


non sia possibile avere conoscenza esaustiva e trae informazioni sulla popolazione
dalla quale è stato estratto il campione.

Fenomeno: aspetto della realtà che si modifica, caratteristica presente nell’aggregato che
si vuole studiare. Si distinguono in:

Fenomeno individuale: la sua osservazione si esaurisce con una sola osservazione


(ex: età di una persona, numero delle stanze di un’abitazione, ecc.)

Fenomeno collettivo: il suo studio richiede una massa di osservazioni di fenomeni


individuali, aventi in comune una prefissata caratteristica osservabile.

Modello: rappresentazione astratta e semplificata di una fenomenologia concreta. Per


essere definito tale deve possedere determinate caratteristiche:

deve necessariamente essere diverso dalla realtà modellizzata: PARADOSSO


DELLA MODELLIZZAZIONE - un modello è diverso dalla realtà ma è tanto più
valido quanto più numerosi sono gli elementi della sua struttura che sono simili alla

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realtà modellizzata; se un modello si complica oltre un certo limite perde la sua
funzione conoscitiva e la sua capacità esplicativa.

deve rappresentare la teoria sottostante al modello in un linguaggio adeguato.

deve avere capacità generativa - deve consentire, grazie ad assiomi e regole di


sviluppare in modo meccanico delle inferenze empiricamente controllabili.

è indispensabile che ogni termine del modello abia una corrispondenza con un
elemento della realtà da modellizzare.

Il metodo scientifico non fa altro che costruire e verificare modelli. Dopo aver formulato un
problema, vi sono quattro fasi:

1. Semplificazione-interpretazione: identificazione delle caratetristiche rilevanti del modno


reale.

2. Rappresentazione simbolica: rappresentazione del mondo reale in simboli.

3. Manipolazione-trasformazione: ricerca di implicazioni/conseguenze del modello.

4. Verifica: confronto con esperimenti e osservazioni nel mondo reale.

Variabile: in statistica, col termine variabile si indica una caratteristica tipica di un


fenomeno che può manifestarsi in modi diversi, il gruppo studiato verrà classificato
secondo una o più caratteristiche degli individui che formano il gruppo.

Tipi di variabile:

qualitative: mutabili statistiche, non consentono l’associazione con un valore


numerico;

quantitative: possono dividersi in variabili quantitative con scala a intervalli e


variabili quantitative con scala di rapporti.

con scala a intervalli: non esiste uno zero assoluto;

con scala di rapporti: esiste uno zero assoluto.

Possono essere:

discrete: i valori possono essere soltanto interi;

continue: possono assumere qualunque valore tra due dati valori reali.

Mutabile: variabile con modalità esclusivamente qualitative, esprimibili solo con


termini verbali.

Modalità: uno dei possibili valori che una variabile può assumere. le modalità possono
essere numeriche o non numeriche.

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Popolazione: gruppo di elementi di qualsiasi natura definito in modo tale che sia
possibile stabilire se un dato elemento appartiene o meno al gruppo stesso, si riferisce a
qualsiasi insieme di unità su cui si raccologno informazioni.

Popolazione finita: formata da un numero limitato di elementi;

Popolazione infinita: solitamente virtuale, si tratta di collettivi ipotetici.

Campione: sottoinsieme di unità statistiche preso da un gruppo più ampio. Studiando il


campione si spera di trarre conclusioni valide per il gruppo più ampio. Viene scelto
tramite tecniche di campionamento, che possono essere di tipo probabilistico o non
probabilistico. Un campione piuò essere rappresentativo o non rappresentativo.

Frequenza: numero di volte in cui si ripete un determinato evento.

Distribuzione statistica semplice: distribuzione dei dati tra le modalità;

Distribuzione statistica doppia: risultato della classificazione delle unità del


collettivo secondo le modalità di due variabili.

CAP. III: L’analisi di una prova oggettiva - item


analysis
La valutazione costituisce nell’ambito del processo formativo lo strumento di regolazione
dell’intervento in rapporto agli obiettivi che si pone, ossia in quale misura essa funziona da
feedback che permette, a chi ha progettato l’intervento, di correggere la propria
prgrammazione.
Non esiste una prova oggettiva di accertamento delle conoscenze che possa essere
considerata ben costruita, ma ciascuna prova va validata, utilizzando le item analysis come
un setaccio che, eliminando o modificando alcuni quesiti, consente di giungere ad una prova
valida ed attendibile.

Per valutare a posteriori l’idoneità della prova che si è somministrata è opportuno verificare
se la prova strutturata abbia funzionato correttamente, calcolando per ciascun item:

La difficoltà, intesa come la resistenza che un quesito oppone alla sua corretta
risoluzione;

La discriminatività, ossia la capacità di un qiuesito di separare la parte degli allievi che


ha fornito complessivamente una prestazione migliore da quella che ha fornito la più
scarsa;

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La distrattività, cioè la capacità dei singoli distrattori di far deviare dalla risposta corretta
a ciascun quesito.

L’indice di difficoltà
L’indice di difficoltà di ogni quesito si calcola determinando il rapporto tra il numero di
risposte errate a quel determinato item e il numero complessivo di allievi a cui è stato
somministrato.

NumeroRisposteErrate
Df =
NumeroTotaleAllievi
Come è evidente, questo indice varia da 0 a 1 (o da 0% a 100%).

Indice di difficoltà Grado di difficoltà

tra 0 e 0,29 item facile

tra 0,30 e 0,70 item medio-facile

tra 0,51 e 0,70 item medio-difficile

tra 0,71 e 1 item difficile

Se una domanda ha indice di difficoltà compreso tra il 30 e il 70% è accettabile ed aumentano


le probabilità che l’indice di discriminatività sia elevato.

Indice di discriminatività
L’indice di discriminatività cerca di valutare se il quesito è discriminante in senso
docimologico, ossia se il modo in cui è formulato fa sì che rispondano correttamente gli
alunni che risultano “migliori” in tutto il test e sbaglino solo i “peggiori”.
È necessario disporre in ordine decrescente di punteggio le prove, quindi determinare una
fascia superiore e una una inferiore di pari numerosità. I due gruppi a confronto sono dunque
costituiti ciascuno da 1/3 o 1/4 delle prove.

Anche se calcolato con dati relativi all’intera prova, l’indice di discriminatività si calcola in
base al singolo item.

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se Ds = −1 significa che tutti gli alunni “bravi” hanno sbagliato la risposta al quesito
esaminato, mentre tutti quelli “scarsi” hanno risposto correttamente; probabilmente si
tratta di un quesito ambiguo. In questi casi si parla di discriminatività invertita.

se Ds = 1 significa che tutti gli alunni “bravi” hanno risposto correttamente, mentre
quelli “scarsi” hanno sbagliato la risposta al quesito esaminato; l’item è molto
discriminante.

se Ds = 0 significa che un numero pari di alunni “bravi” e di alunni “scarsi” hanno


risposto bene al quesito esaminato; l’item non ha capacità discriminante.

Indice di discriminatività Grado di selettività

valori negativi discriminatività invertita

tra 0 e 0,20 discriminatività insufficiente

tra 0,21 e 0,40 discriminatività sufficiente

tra 0,41 e 0,60 discriminatività buona

tra 0,61 e 1 discriminatività ottima

Indice di distrattività
La distrattività è la capacità di attrazione dei distrattori che accompagnano la risposta
corretta: sono da scartare i distrattori a cui corrispondono poche o nessuna scelta.
L’indice di distrattività misura la capacità dei singoli distrattori di far deviare dalla risposta
corretta. Per ciascun item può essere calcolato un indice di distarttività, che in questo caso è
auspicabile sia negativo.

Se l’indice di distrattività di un distrattore è negativo, indica che è stato scelto da chi ha


ottenuto un punteggio basso in tutta la prova, se è positivo indica che ha danneggiato proprio
coloro che globalmene hanno ottenuto un punteggio migliore.

Le scale di misura
Quando parliamo di misurare, intendiamo determinare il livello di una proprietà posseduta
da una determinata unità statistica. Nell’accezione più ampia del termine, misurare significa

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stabilire una corrispondenza tra i modi in cui una caratteristica variabile può manifestarsi e i
valori di scala di riferimento.

In ambito statistico, la misurazione consiste nell’assegnare valori numerici alle cose secondo
certe regole, che vengono stabilite grazie alle scale di misura, che possono essere di quattro
tipi e corrispondono a crescenti livelli di complessità; ogni scala conserva tutte le
caratteristiche delle scale di livello precedente ed aggiunge ad esse nuove proprietà.

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Le misure di tendenza centrale
Le misure di tendenza centrale servono per individuare il valore intorno al quale i dati sono
raggruppati e sono le misure più approrpiate per sintetizzare l’insieme delle osservazioni se
una distribuzione di dati dovesse essere descritta con un solo valore.
Le misure di tendenza centrale sono:

Media: totale di tutti i valori, diviso il numero dei casi. La si chiama usualmente anche
valore medio.

Mediana: valore che occupa la posizione centrale in un insieme ordinato di dati.

Moda: valore più frequente all’interno di un insieme di dati.

Indici di dispersione
Gli indici di dispersione rappresentano la variabilità e l’omogeneità dei valori numerici
rilevati.

Un primo indice di dispersione è rappresentato dal range, o campo di variazione. Si ottiene


ordinando i dati e calcolando la differenza tra il risultato più alto ed il più basso.

Per misurare la dispersione dei valori attorno alla media l’indice più utilizzato è la
deviazione standard; una deviazione standard più piccola indica che i valori sono in genere
più prossimi alla media, una deviazione standard più ampia indica che i valori sono più
lontani dalla media.
Si calcola:

1. lo scarto rispetto alla media di ogni singolo dato;

2. si eleva ciascuno scarto al quadrato;

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3. si sommano tutti gli scarti elevati al quadrato e si divide tale somma per il numero dei
casi;

4. si calcola la radice quadrata del valore ottenuto.

Per confrontare la dispersione di distribuzioni con medie molto diverse, si utilizza il


coefficiente di variazione, che si ottiene dividendo la deviazione standard per la media. Il
coefficiente di variazione è un numero puro, utile per comparare la dispersione di
distribuzione con medie molto diverse.

Implicazioni valutative e didattiche


Il primo confronto possibile è tra il massimo punteggio teorico della prova e la media dei
punteggi del gruppo, da questo confronto è possibile dedurre il raggiungimento o meno degli
obiettivi didattici.
Il secondo confronto possibile è tra media dei punteggi ottenuti e mediana, per sapere se gli
studenti hanno ottenuto punteggi superiori, inferiori o pari a quello medio.

se media superiore a mediana: la maggior parte degli studenti ha ottenuto un punteggio


inferiore a quello medio - solo pochi studenti hanno raggiunto gli obiettivi.

se media inferiore a mediana: la metà più uno degli studenti ha raggiunto punteggi
maggiori del valore medio - intervento mirato verso i pochi studenti che non hanno
raggiunto gli obiettivi.

se media uguale a mediana: metà degli studenti ha ottentuto punteggi maggiori, l’altra
metà minori - bisogna verificare la dispersione dei punteggi per prendere decisioni.

Distorsioni valutative
Effetto alone: alterazione del giudizio riferito ad una specifica prestazione in forza
dell’influenza esercitata da giudizi precedenti, i quali portano l’insegnante a mettere in
atto comportamenti eccessivamente indulgenti o sanzionatori in base ad un’idea generale
precostituita che questi si è fatto dell’alunno.

Effetto di contrasto: il giudizio formulato dall’insegnante rispetto ad una prestazione


dell’alunno avviene non perché questa sia stata attentamente valutata, ma perché
confrontata con quella di altri alunni o con un modello ideale di prestazione individuato
dall’insegnante; l’insegnante è portato a sovrastimare o sottostimare una risposta data a
causa della messa in opera di processi di comparazione.

Effetto di stereotipia: rimanda alla facilità di costruzione di “stereotipi” da parte


dell’insegnante, ovvero dalla scarsa alterabilità dell’opinione che l’insegnante si è andato

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man mano facendo dell’allievo. Questa propensione verso la costituzione di stereotipi
può riguardare sia la sfera cognitiva che quella socio-relazionale.

Effetto della distribuzione forzata dei risultati: l’andamento dei risultati di


apprendimento deve “forzatamente” riprodurre una distribuzione omogenea, con risultati
concentrati nei valori medi. L’insegnamento è percepito come azione conformatrice e
non come processo personalizzato volto alla valorizzazione delle differenze e delle
potenzialità individuali.

Effetto Pigmalione: le previsioni sul successo o insuccesso scolastico degli alunni


avanzate dall’insegnante sulla sorta di pregiudizi e preconcetti personali, vengono
successivamente manifestandosi (conferma) nel comportamento degli alunni in quanto
indotte dall’atteggiamento (spesso inconsapevole) dell’insegnante.

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