Negli anni ’20 la Francia costituì il suo sistema di alleanze con le piccole potenze europee
orientali, e negli anni ’30 la sua politica era prettamente difensiva, tanto che non riuscì
sulla scena europea a opporsi all’aggressività tedesca.
Mussolini iniziò una politica espansiva incredibile, senza però preparare un adeguato sistema
di difesa
È quindi assolutamente necessaria l’esistenza di organi istituzionali nei quali diplomatici e militari,
e, per le questioni più importanti, uomini di governo, elaborino una coerente politica estera di
difesa. A questo l’Inghilterra pose rimedio fin dal 1902 con la creazione di un Commitee of
Imperial Defence, presieduto dal primo ministro.
Potere marittimo, potere aereo, forze terrestri come strumento di politica estera. Nell’Italia
postbellica, le spese militari, dopo la fine della 2GM, sono state ridotte: esse non potevano
superare per nessuna ragione quelle della pubblica istruzione. (il professore è molto contrariato)
Le guerre del Golfo e del Kosovo, i raid aerei sulla Bosnia e sull’Iraq hanno riproposto il
problema, già dibattuto dopo la 2GM, se un conflitto possa essere vinto solo con l’aviazione ed
hanno rinnovato il dibattito sulla questione se il potere aereo abbia sostituito il potere marittimo
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come sostegno privilegiato della diplomazia. Di solito è impossibile combattere senza morti e solo
con l’aeronautica. Per quanto riguarda la marina questa è stata considerata la forza armata più
“diplomatica”, quella maggiormente in grado di essere strumento flessibile di politica estera (cd.
diplomazia del cannoniere). A questa non vi sono altri succedanei di appoggio militare, né aerei, né
terrestri, perché il loro impegno condurrebbe sempre alla violazione delle regole internazionali
sulla sovranità degli spazi, al peggioramento di crisi e tensioni. Moltissimi sono i casi di utilizzo di
potenze navali nel corso della storia: ad esempio pensiamo nel 1962, alla Crisi dei missili di Cuba,
nella quale gli Usa avevano tre opzioni militari: l’invasione dell’isola, bombardamento delle
presunte rampe di lancio dei missili o il blocco navale. La terza scelta consentì ampi margini per la
diplomazia. Oggi, in un periodo non di Guerra Fredda, ma di Pace Violenta, le Marine si offrono
senza eguali mezzi nel campo delle relazioni internazionali. Tuttavia, la politica dei
Cacciabombardieri, è andata a sostituirsi a quella del cannoniere.
La sovranità militare dell’Europa. La guerra del Kosovo ha costituito un esempio del pericolo
sulle conseguenze dell’alleanza occidentale. I Balcani infatti andarono a costituire un’area europea
molto instabile, in cui, alcune potenze, potrebbero vedere un luogo per dimostrare la loro
superiorità, che appare comunque indiscussa. Gli Usa hanno imposto la scelta militare anche per
mostrare l’inconsistenza di un deficit di difesa europea, che a parole dichiarano di volere, ma che
in realtà temono, e che, a parte tutto, è ancora sulla carta. È indispensabile riequilibrare i rapporti
tra le due sponde dell’Atlantico all’interno della Nato e tale partita si gioca soprattutto sul terreno
militare. L’Ue quindi non deve cedere alla trappola degli Usa, che hanno interesse nel far
precipitare le crisi fino al ricorso dell’uso della forza, per far valere la loro superiorità militare. Né
deve sobbarcarsi spese esorbitanti in nome del burden sharing, se a esso non corrisponderà
un’adeguata condivisione di autorità e responsabilità.
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credevano fortemente che il ruolo della potenza marina riuscisse nonostante tutto a giocare un
ruolo fondamentale: solo la marina aveva, infatti, garantito il possesso delle basi per l’impiego
dell’arma atomica contro il Giappone. La componente imbarcata sui sottomarini, la meno
vulnerabile a un attacco avversario, sarà poi parte cospicua dell’arsenale nucleare di Usa e Urss.
Il potere marittimo nella Guerra Fredda. L’Unione Sovietica non si accontentò di raggiungere e
superare la parità missilistica con gli Stati Uniti, ma mirò anche a ridurre la superiorità navale
degli Usa, nella consapevolezza che senza una forte componente navale l’Urss non era una vera
superpotenza. Ma, come la Germania nel secolo precedente con l’Inghilterra, neppure l’Urss
riuscì a contrastare seriamente la supremazia navale statunitense.
Uno dei temi più importanti dell’odierna politica internazionale è quello dell’allargamento, del
nuovo ruolo della Nato. Il dibattito è molto incentrato sul fatto di ammettere o no i paesi facenti
parti il defunto Patto di Varsavia. È stato trascurato (tranne che in Francia) il fatto che allargare la
Nato e allargarla in questo modo, nell’assenza di un ruolo rilevante dell’UEO E dell’UE, ci fa
porre la domanda spontanea di dove sia una politica estera comune esercitata in collettività
all’interno dell’UE. Gli Usa hanno anche respinto la richiesta di affidare a un ammiraglio europeo
e non più a un americano il comando meridionale della Nato. Dopo il crollo del Muro di Berlino si
conferma che la Nato, con riferimento agli Usa, trova ragione di esistere nel fatto che solo essa ha
la struttura e i mezzi per interventi operativi .
La “marittimità”. Il potere marittimo è diverso dal potere navale: il potere marittimo: è il risultato
di una serie di fattori, tra i quali il possesso di una flotta militare equilibrata, ma non sufficiente, se
non accompagnato e sostenuto da altri, come basi navali e porti o una forte marina mercantile. La
marittimità non è solo il prodotto della posizione geografica e della conformazione fisica del
territorio, ma di una scelta politica e culturale. Inoltre la cultura marinara si nutre di libertà,
cooperazione e solidarietà, apertura verso nuovi mondi. Altri poi sono i fattori: ad esempio i
portoghesi all’epoca furono spinti da motivi religiosi ad attraversare l’Atlantico, molti dei loro
viaggi infatti avevano il benestare del Papa.
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Tra il 1815 e il 1914 il sistema internazionale fu sostanzialmente governato dal “concerto europeo”
delle Grandi Potenze, con momenti di maggiore o minore collaborazione e consapevolezza di
appartenere a una società europea e, nella fase finale, una difficoltà a contenere le rivalità e le
spinte nazionaliste. Le guerre ottocentesche furono brevi, limitate ad alcune potenze e non ebbero
conseguenze sociali.
Nelle epoche fin qui considerate, e in quelle precedenti, e in quelle successive, si vedono alternarsi
due tipi di guerre:
Una guerra tra nemici, divisi da concezioni del mondo e sistemi politici opposti. Sistemi
ideologici non omogenei (guerre di religione, Rivoluzione francese e 2GM
Gli interessi concreti sono negoziabili ma non le concezioni del mondo. La multiforme realtà della
storia impone sempre di considerare le eccezioni e classificazioni rigorose. La 2GM vide episodi
cavallereschi da Medioevo e brutalità efferate. Dopo il 1945 e dopo il 1990 sembra che i conflitti
dei millenni passati abbiano lasciato ciascuno la propria eredità.
L’impatto dell’1GM. Questa guerra ha rappresentato una svolta nel modo di guardare la guerra.
Fino a quel momento l’opinione prevalente era che ricorso della forza militare fosse del tutto
legittimo da parte di uno Stato e costituisce l’attributo più tipico della sovranità. La guerra era
altresì conosciuta come la massima espressione delle virtù più nobili dell’uomo. Durante quel
conflitto vengono emergere tre tipi nuovi di diplomazie: quella wilsoniana, quella bolscevica e
quella pontificia contemporanea. Tutte dichiaratamente contro la guerra, solamente l’ultima
mantenne fede a questa versione. Al culmine delle illusioni concernenti il nuovo concetto di
sicurezza collettiva la guerra nel 1928 fu letteralmente messa fuori legge (Patto Kellogg-Briand),
ammettendo quindi solo la guerra dichiarata dalla comunità internazionale contro un paese
riconosciuto aggressore della Società delle Nazioni Unite. Nei quindici anni dopo la guerra tutte le
grandi potenze (esclusa, forse l’Italia) ripetutamente pagarono un tributo non sincero alla dottrina
di dichiarare la pace come uno degli obiettivi principali della loro politica. Ma, a sua volta, la pace
è un interesse mascherato, infatti alcune nazioni desiderano mantenere lo status quo senza dover
combattere per esso, e altre cambiare lo status quo senza dover combattere.
La Guerra Fredda. La condanna morale della guerra fu ancora maggiore secondo il secondo
conflitto mondiale, anche per le immani devastazioni prodotte in Europa. Una guerra successiva fu
resa impossibile soprattutto dall’equilibrio del terrore, la mutual assured destruction. La guerra in
Europa fu solo Fredda. Al di fuori dell’Europa però la pace non fu molto prolungata: pensiamo ad
esempio alle “guerre per procura” in Corea e nel Vietnam. Quindi, la percezione diffusa di un
quarantennio di pace, seguito da un mondo post bipolare molto conflittuale , è largamente da
rivedere. Secondo uno studio, dal 1951 al 1985 ci son stati 174 conflitti, della durata media di 5
anni, con una prevalenza di guerre civili. Le regioni più colpite sono state l’Africa, l’Asia, il
continente americano e il Medio Oriente. La percezione distorta di quasi mezzo secolo di pace
seguito da un decennio di conflitti è probabilmente determinata dai fatti che negli anni ’90 si è
nuovamente combattuto in Europa, la Nato ha sparato i suoi primi colpi e le Forze Armate di Paesi
come l’Italia ha preso parte a consistenti operazioni militari.
La Guerra fredda svolgeva una funzione di controllo strutturale sulle preesistenti aspirazioni
etniche e sub-nazionali, le quali, non più represse, hanno potuto assumere una posizione di primo
piano. Inoltre, la guerra fredda, ha definitivamente spazzato via l’interdipendenza tra i conflitti
locali e quelli globali. Le conseguenze dell’aumento delle potenze nucleari sono oggetto di diverse
valutazioni. Certo, anche oggi, è difficile fermare la proliferazione. Nella misura in cui la
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ridefinizione degli assetti geopolitici e regionali richiede il conscendo della superpotenza
americana dominante. Le medie o piccole potenze sono tentate ad accrescere il loro peso negoziale
dotandosi so una capacità nucleare.
Il disordine post-bipolare. Dopo l’11.09.2001 il nuovo nemico si è rivelato: il terrorismo islamico.
Il conflitto tra Islam e Occidente presenta analogie e differenze con quello della guerra fredda tra
blocco comunista e mondo libero. La differenza maggiore riguarda oggi l’assenza di una minaccia
globale di tipo tradizionale, che però si auto-annullata per il timore di un’ecatombe nucleare. Oggi
invece i terroristi islamici ostentano un’arcaica volontà di morte e una vocazione di suicido-
omicidio religiosamente motivata. L’analogia con la guerra fredda è che anche oggi l’Occidente
deve combattere sia all’esterno sia all’interno di se stesso. Il pericolo interno oggi sono le masse
islamiche che all’interno dell’Europa rinnegano la tradizione religiosa cristiana. (Per chi non
l’avesse capito i pericolosi nemici interni precedenti, erano i partiti comunisti occidentali e i
Compagni). Ragionando in termini di “civiltà”, è difficile negare che il confronto tra Occidente e
Islam crea i problemi maggiori, avendo tali civiltà una portata tendenzialmente universale.
Campagne per la democrazia, operazioni di peacekeeping , che avevano caratterizzato gli anni ’90,
sono passate necessariamente in secondo piano dopo l’11 settembre, non solo perché le risorse
militari non possono essere sprecate per motivi non vitali, ma anche perché una diplomazia
idealista volta a imporre i valori dell’Occidente è vista dalle altre culture come una forma
d’imperialismo.
In un’ottica di lungo periodo è riscontrabile l’esistenza di una legge tendenziale verso un minore
ricorso della forza da parte degli Stati per le controversie interazionali. A parte il periodo troppo
breve per tale costatazione, occorre distinguere tra aree geopolitiche.
Gli Stati industriali di democrazia liberale, che nei rapporti tra di loro, l’hanno eliminata allo
stesso modo del duello, della schiavitù, dei sacrifici umani.
I Paesi del Terzo mondo hanno un ruolo della forza militare che continua ad avere delle
connotazioni del tutto simile all’uso della forza ai tempi del sorgere dei moderni stati
nazionali in Europa. Questi stati puntano ancora sulla forza militare per conquistare
un’egemonia regionale, in ragione del fatto che il commercio ha sostituito la conquista
Altri vivono nell’epoca dei tradizionali conflitti e rivalità tra gli Stati
Bisogna mettere parzialmente in discussione un’altra opinione consolidata: che sia l’esistenza di
Stati forti e sovrani a provocare le guerre. Esse oggi in realtà scoppiano, dove lo stato è debole.
L’unica potenza rimasta, gli Usa, già ben prima degli attentati delle Torri Gemelle, considerava
l’uso della forza militare, una componente essenziale e primaria sella sua politica estera. Ma, dalla
fine della Guerra Fredda, in proporzione le forze americane si sono ridotte numericamente più di
quelle europee e il bilancio della difesa statunitense quanto quelli europei. Tendenza statunitense
post 2GM è quella dell’abbandono dell’impiego delle forze di terra. Come dimostrato dalle Guerre
di Corea, del Vietnam, ecce cc. La ragione di ciò, è che tutte le nazioni post-industriali sono in
effetti demilitarizzate o quasi e quindi accettano solo un tipo di guerra post-eroico o quasi: la
guerra tecnologica.
Nuove guerre? Gli anni ’90 sono stati caratterizzati, per gli occidentali, dalle operazioni di
mantenimento e imposizione della pace nei conflitti etnici e dall’intervento umanitario in Kosovo,
contando che non esistono soluzioni militari a un conflitto etnico o a una guerra civile. La forza
può solo creare presupposti che rendano possibile una soluzione politica. Secondo alcuni poi, le
operazioni di mantenimento della pace ottundono le capacità belliche dei soldati, opinione molto
contestata dai capi delle Forze Armate Italiane, unanimemente considerate le migliori per il
peacekeeping. Sicuramente un risultato positivo delle più recenti operazioni di mantenimento o
imposizione della pace è stato il superamento di un’artificiale contrapposizione tra militari e
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operatori di pace. Il bilancio della guerra del Kosovo è assai controverso. Gli scopi dell’intervento
Nato furono di impedire una catastrofe umanitaria, nonostante tutto non sembra sia stato ottenuto
l’effetto deterrente voluto attraverso la dimostrazione di un nuovo impegno internazionale a favore
dei diritti umani e contro azioni repressive dei governi. Anzi, l’attacco autonomamente deciso dalla
Nato da un lato ha incoraggiato una sensazione d’insicurezza dei leader, timorosi d’interventi
esterni, dall’altro proclamando che si agiva in Kosovo e non altrove perché tale regione è in
Europa, si è minata la credibilità d’interventi in altri continenti, dove i dittatori perciò potrebbero
sentirsi sicuri. Quella del Kosovo è stata una guerra dove a morire sono stati quasi solo i civili ha
fatto rinascere un’asimmetria insopportabile tra i militari protetti dall’Alleanza e i civili
infinitamente vulnerabili che i ,militari sono venuti a salvare.
Dopo il 2001 il buonismo è quanto mai superato. Il rapporto consolidato tra sovranità statale,
monopolio della forza e radicamento territoriale si è alleato nell’ultimo decennio. Emerge un tipo
di violenza organizzata, che offusca le tradizionali distinzioni tra conflitti civili e scontri
transnazionali. Per i primi, i combattenti sono unità paramilitari ed eserciti di signori locali della
guerra, gruppi di mercenari o bande criminali. I combattenti irregolari dispongono anch’essi di
tecnologie avanzate. Le principali vittime di queste guerre sono i civili.
All’inizio del secolo XX la proporzione tra vittime militari e civili era di otto a uno
Nella seconda guerra mondiale vi era parità
Oggi muore un militare ogni otto civili
I conflitti interstatali sono in calo e coinvolgono per lo più piccole e medie potenze fuori
dall’Occidente. Le nuove guerre hanno stimolato tentativi di classificazione:
Già durante la guerra fredda era nata la definizione di “conflitto a bassa intensità” per
indicare la guerriglia o il terrorismo
Negli anni ’90 si e parlato di guerre informali o privatizzate, guerre post-moderne (con le
tecnologie)
Guerre asimmetriche che in realtà non sono un fenomeno nuovo. Nasce quando uno dei
contendenti, impossibilitato a misurarsi alla pari, sceglie comportamenti e tattiche che
esulano dal confronto militare vero e proprio. In definitiva vuol die sfruttare i punti deboli
dell’avversario. Sono stati osservati questi casi nelle guerriglie anti-occidentali, come ad
esempio in Vietnam, dove tra illusione tecnologica aggiunta e debolezza morale gli Usa
persero il conflitto. Contro le guerriglie successive alla seconda guerra mondiale, i
britannici conseguirono successi, il più importante in Malesia. L'esperienza imperialista di
Londra è ancora oggi preziosa per le operazioni contro il terrorismo islamico e gli Stati che
lo sostengono.
Mentre l’Occidente, a cominciare dalla cristianità medievale, ha elaborato da secoli regole per
civilizzare la guerra c’è da osservare che un esercito pronto a morire per ubbidire a un Dio è
invincibile; il problema è che Allah non è mai stato pacifista, né lo è diventato oggi, mentre a molti
cristiani ripugna anche difendersi con le armi. In conclusione si deve purtroppo dire che la pace è
un’invenzione ancora molto da perfezionare.
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studi strategici.
L’importanza della storia. Non si possono formulare teorie senza partire da un approfondimento
dei fatti storici. Da Tucidide il tempo ci ricorda come esperti di storia siano anche in realtà esperti
chi più, chi meno di studi strategici e relazioni internazionali. Un approccio alla realtà
internazionale che sottovaluti o non conosca i fondamenti storici dei problemi può indurre a errori
gravi, o almeno, dar luogo a banalità o ingenuità. Si è molto parlato oggi della possibilità, nel
campo delle relazioni internazionali, di formulare previsioni e di dare utili indicazioni operative.
Ma, in conclusione l’opinione di De Leonardis è che gli studi strategici non debbano prendere la
loro specificità di disciplina rivolta alla dimensione militare, senza confusioni né a valle né a
monte. Però essi richiedono la padronanza di altre discipline. Va quindi auspicato non un confuso
ecclettismo all’interno delle singole discipline ma un fecondo dialogo interdisciplinare.
Gli americani continuarono a considerare la strategia economica in solitudine, senza che gli
europei potessero proferir parola. Persino con la GB le informazioni sul suddetto
argomento furono interrotte: questa fu l’unica eccezione al loro legame ravvicinato.
Il “Trojan Plan” siglato nel gennaio del 1949 includeva una specifica appendice sulla guerra
atomica, catalogando come target principale, in una specifica appendice, 70 città russe nelle quali
era concentrata la vita e le attività economiche dell’Impero Russo. Inoltre in primo piano venne
messa la difesa dell’Inghilterra, così da assicurarla come la maggior base per tutti ni maggiori tipi
di possibili attività militari. La successiva priorità era il controllo del Mediterraneo e dell’Area
nordafricana (Tunisia inclusa). In tutto questo il Medio Oriente passò in secondo piano, il che non
trovò d’accordo Usa e Uk. Un altro punto di disaccordo fu la localizzazione del comando
dell’alleanza da tenere in Europa:
Gli Usa preferivano la Spagna, poiché era un facile accesso nel nord dell’Africa e perché era
vicino alla Francia
Gli Uk invece, prediligevano il loro territorio, per una maggiore e più facile protezione delle
aree
Deterrenza: una rischiosa scommessa. Prima della guerra in Corea le spese militari delle potenze
stavano per essere ridotte. Ovviamente questo accadde poi nei paesi europei. Allo stesso tempo
della firma per l’alleanza, il Military Service Program (MAP), doveva essere approvato tramite la
via legislativa. Nel marzo del 1950 lo standig group dell’Alleanza approvò un programma di medio
termine per la potenziale guerra contro l’URSS. Tuttavia, tranne che sulla carta, in Europa,
un’effettiva forma di combattimento, la quale poteva effettivamente contrastate il potere e le forze
russe non c’era. L’alleanza aveva lo scopo di cercare di evitare la guerra, ma nel frattempo ci si
preparava, nel caso, anche a vincerla. In Europa, una forza abbastanza grande da fronteggiare la
Russia non c’era: in realtà l’unica potenza che poteva farlo erano gli Stati Uniti. La risposta era il
monopolio della bomba atomica. Questo era l’elemento fondamentale della deterrenza. Dopo la
prova dimostrativa dell’atomica sovietica, gli Usa si interrogarono sul fatto di utilizzare la loro
bomba per difendere l’Europa. Infatti, non era conveniente per loro utilizzare l’arma per difendere
un altro continente e in cambio avere un attacco nucleare sul loro territorio. La firma del Patto
Atlantico andò a rafforzare la convinzione che nessuna guerra voleva essere combattuta
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nell’immediato.
L’impatto della Guerra di Corea: dall’alleanza Atlantica alla Nato. Questo fatto ebbe una
ripercussione fondamentale sull’Alleanza Atlantica. Nel dicembre del 1953 il Concilio Atlantico
notò che i membri della Nato spendevano tre volte e mezzo più di quanto non facessero in
precedenza. In questo periodo un Generale americano e un ammiraglio prendevano le redini dei
due fondamentali comandi Nato: comando dell’alleanza europeo e quello dell’alleanza atlantica.
La strategia in Europa andava a prevedere che il nemico sovietico non varcasse mai i confini della
Germania dell’est, inoltre delle aree scelte e selezionate dovevano essere immuni quanto più
possibili. Il fronte sud fu diviso in tre grandi sub aree: l’Italia, i Balcani e la Turchia. Le decisioni
strategiche richiedevano di tenere la posizione sulle Alpi e almeno sulla linea dell’Isonzo. Si immise
anche che le forze convenzionali della Nato erano scarse di equipaggiamenti ma, nessuna relazione
con i paesi comunisti doveva essere intrattenuta, né tantomeno si doveva permettere un’ondata
imperialista o espansionista, russa a ovest. Le forze che si supponeva all’inizio, che la Nato
avrebbe schierato, apparvero subito insostenibili sia dal punto di vista militare, ma anche da quello
politico, tantoché da subito gli Usa iniziarono la strategia della deterrenza con l’arma nucleare.
CAP. 7 LA GUERRA FREDDA COME GUERRA TOTALE: LE INTERAZIONI TRA LE
STRATEGIE MILITARI E QUELLE DIPLOMATICHE, DALLA “MASSIVE
RETALITATION” ALLA “FLEXIBLE RESPONSE”
L’impatto dell’arma nucleare sulla guerra. Alcuni autori non sono concordi a definire la guerra
fredda come una ver a e propria guerra, mentre altri la considerano come la terza guerra
mondiale. Durante la guerra fredda avevamo, come in tutte le guerre, un’opposizione tra due
blocchi: la Nato e i Paesi del Patto di Varsavia (1955). Durante questo periodo l’opposizione tra i
due blocchi era totale, tanto da permeare anche ogni aspetto della vita quotidiana delle persone. La
guerra però non divenne combattuta, oggi si pensa perché ad agosto del 1953 l’URSS testò la sua
prima bomba nucleare: viene così a nascere un equilibrio basato sul terrore. Le due alleanze era
l’una con l’altra faccia a faccia ed entrambe avrebbero potuto decidere se continuare la
discussione politica con “altri mezzi”. La strategia della deterrenza consisteva nel non usare la
bomba, ma nel sfruttare la sua nomea: il problema però che ne derivava era quello di rendere
credibile una minaccia che per l’altro blocco era diventata irreale, o almeno improbabile. Tutti e
due infatti, sapevano che una guerra nucleare, avrebbe portato alla distruzione non solo dei loro
rispettivi territori, ma anche di altri.
La ricerca della Nato per una credibile strategia nucleare. La strategia nucleare accentuò ancora
maggiormente l’egemonia Usa nella Nato. Da quando gli Usa erano l’unica potenza a possedere
un’adeguata scorta atomica e dal momento in cui, persino i contatti con gli altri paesi alleati su
questo argomento furono interrotti, l’Europa occidentale intera non poteva far altro che affidarsi
nelle mani degli Usa. Ma, nel 1957, due fatti persuasero gli americani a potenziare anche i loro
armamenti:
L’appoggio alle operazioni delle forze terrestri con adeguate forze aeree e navali
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Protezione dei territori della regione da attacchi anfibi o paracadutati
Il nemico così non avrebbe avuto basi aeree o navali sulle coste del Mediterraneo; eccetto i
sottomarini già dislocati nell’area, le navi nemiche avrebbero dovuto passare da Gibilterra e gli
Stretti. Inoltre dai documenti si evince che la penisola italiana è un’area di grande valore
strategico, per la sua posizione geografica che la fa divenire parte dell’Europa Occidentale, ma
anche della regione mediterranea. Negli anni ’50 l’importanza geostrategica italiana consisteva,
nell’essere contrafforte meridionale del fronte centrale e, assieme alla Jugoslavia, bastione al
fianco occidentale delle forze Nato, e produttrice di materiale bellico.
La struttura di comando della Nato nel Mediterraneo fu decisa dopo accesi contrasti tra la GB e gli
USA, determinati non solo da questioni di prestigio, ma anche da differenti visioni strategiche. I
primi concepivano il Mediterraneo come un trait d’Union tra fronte centrale e Medio Oriente,
mentre i secondi vedevano il Mediterraneo come ultimo avamposto per la difesa contro il nemico
sovietico. Il problema della struttura di comando nella regione meridionale fu più difficile da
risolvere rispetto che in altri settori. La proliferazione dei comandi della Nato in questi territori
andava a riflettere i contrasti e la confusione nei compiti. L’Italia in questo periodo ottenne tre
comandi. La mai realizzata CED prevedeva forze navali destinate alla protezione marittima
ravvicinata, cioè le acque costiere, escludendo quindi un’integrazione, almeno in una prima fase,
delle forze navali d’altura già assegnate alla Nato. La Marina Militare cercò di approfittare anche
di un altro progetto fallito, quello della Multi-lateral (Nuclear) Force - MLF - , concepita
all’interno della Nato per evitare la proliferazione delle armi nucleari. La Marina Militare cercò
quindi di inserirsi nel processo di nuclearizzazione delle Forze Armate italiane. La Marina aveva
puntato alla realizzazione di un naviglio a propulsione nucleare, un sottomarino e un fornitore di
squadra, ma i progetti non furono realizzati. A quell’epoca, considerata la vita media di una nave
sui 20 anni, per mantenere una Marina di circa 100.000 tonnellate si doveva costituire almeno
5.000 tonnellate l’anno di nuove unità., mentre a bilanci ordinari permettevano solo 2.000
tonnellate. Si profilava così il rischio che poco in più di dieci anni la Marina si riducesse a una
consistenza di appena 45.000 tonnellate.
Dalla guerra fredda alle sfide del mondo post-polare. Nell’ultima fase della guerra fredda in
Mediterraneo era ancora dominato dalla Nato, ma con una crescente presenza della flotta
sovietica. La crisi di Cuba del 1962 può essere considerata la pietra di fondazione del potere
marittimo sovietico. Nel 1977 esistevano 99 installazioni Nato nel Mediterraneo, le cui entrate,
Gibilterra, Suez e gli Stretti, erano controllate da Stati membri dell’Alleanza o amici dell’Occidenti.
Dall’inizio degli anni ’80 la Nato prevedeva, in cado di guerra, cinque campagne marittime
fondamentali, di cui di cui due nel Mediterraneo:
La battaglia del Mediterraneo orientale che avrebbe puntato alla distruzione delle flotte navali
avversarie
La battaglia per la tutela delle vitali linee marittime mediterranee che sarebbe stata
combattuta per il rifornimento del fronte della Nato e avrebbe coinvolto direttamente la
Marina italiana
Dalla prima metà egli anni ’70, il Mediterranei era stato oggetto di una rinnovata attenzione da
parte degli studiosi italiani di strategia e di politica estera. Le minacce o i rischi da sud furono in
seguito menzionati in tutti i principali documenti ufficiali della Difesa. La Marina Militare fu anche
tempestiva nel percepire i mutamenti che la fine della guerra fredda avrebbe comportata nelle
strutture di sicurezza europee. In conclusione va rilevato che la Marina Militare fu subito la Forza
Armata più integrata nel dispositivo alleato.
CAP. 9 L’AERONAUTICA MILITARE ITALIANA DALLA RICOSTRUZIONE POSTBELLICA
ALLA FINE DELLA GUERRA FREDDA
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La difficile rinascita. Delle tre Forze Armate, fu probabilmente la Regia Aeronautica a trovarsi in
maggiori difficoltà. Gli aerei erano vecchi, usurati e oramai di tecnologie antiquate.
L’atteggiamento favorevole degli USA consentì, a ridosso della guerra, di acquistare 120 bimotori.
La richiesta era motivata dalla difesa del territorio nazionale e inoltre dall’esigenza di partecipare
alle attività di sicurezza collettiva, creando un nucleo italiano delle forze internazionali a servizio
dell’Onu stessa.
Non si ha notizia di particolari ripercussioni della fine della morchia all’interno della Forza
Armata, che assunse il nome ufficiale di Aereonautica Militare Italiana e passò sostanzialmente
indenne anche attraverso il processo di epurazione antifascista. Il trattato di pace di Parigi del
10.02.’47 limitava l’aviazione militare italiana, ivi compresa tutta l’aeronautica navale, a 200
apparecchi di combattimento e da ricognizione e a 150 apparecchi da trasporto, da salvataggio in
mare, da istruzione e di collegamento. Nello stesso tempo c’era il divieto di possesso e l’acquisto di
apparecchi concepito come bombardieri e portanti dispositivi interni per l’alloggiamento di bombe.
Tutta la struttura dell’Arma doveva essere concepita in modo da rispondere unicamente a compiti
di carattere interno, ai bisogni di sicurezza locale e difesa delle frontiere. Da ricordare anche che
nel 1947-1949 Argentina, Egitto, Siria, Libano acquistarono diverse centinaia di aerei costruiti in
Italia.
L’inserimento nell’Alleanza Atlantica. La rinascita dell’aeronautica Militare e dell’industria
aeronautica ricevette naturalmente impulso del tutto determinante, come nel caso dell’Esercito,
dall’inserimento dell’Italia nell’Alleanza Atlantica. L’integrazione nella Nato e la fornitura di aerei
americani portò a partire dal 1953 alla costituzione sul modello della statunitense wing, di un
nuovo tipo di unità aerea, l’aerobrigata, che furono sciolte nel ’66, tranne due, per ritornare agli
stormi. L’integrazione della Nato dei reparti operativi non impedì nel 1953 di mobilitare forze
terresti, aeree e navali a sostegno dell’azione politico-diplomatica italiana nella questione triestina.
La dottrina d’impiego. Delineamenti sinteticamente strutture e mezzi dell’Aeronautica Militare,
occorre accennare alla sua dottrina d’impiego, che ovviamente, anche per gli stretti legami
dell’Arma azzurra con gli Usa, fu determinata dall’appartenenza dell’Italia alla Nato, nel cui
quadro i compiti strategici erano lasciati alle forze armate statunitensi, es in parte britanniche e
francesi, mentre all’aviazione italiana erano riservati quelli aerotattici e di difesa aerea. La
supremazia dell’Esercito nell’immediato dopoguerra favorì un primo processo d’integrazione
interforze della difesa aerea, con la creazione nel 1949 del Comando della Difesa Aerea
Territoriale (Dat). Il problema del supporto aereo alle operazioni navali, richiesto inizialmente
soprattutto per le operazioni in Adriatico e la protezione diretta del traffico mercantile, fu
travagliato dalla questione dell’eventuale ricostruzione di un’Aviazione di Marina. Ma il connubio
non fi felice: l’aeronautica accusò la Marina di mancanza di mentalità interforze e affermò di
essere pienamente in grado di fornire copertura aerea alle forze navali italiane impegnate nell’area
loro assegnata nell’ambito Nato.
A seguito della raggiunta capacità sovietica di colpire il territorio statunitense con bombardamenti
e missili intercontinentali, nel 1957 la Nato decise d’installate in Gran Bretagna, Italia e Turchia
missili balistici a raggio intermedio. È interessante notare come l’Italia acconsentì al
dispiegamento, proprio mentre il cosiddetto neo atlantismo di Roma morava d una più ampia e
autonoma politica nel Mediterraneo e a una componente ideologica richiamantesi al pacifismo
della sinistra cattolica (Fanfani, Gronchi). L’attenzione per il fronte meridionale e le minacce del
sud è stata soprattutto in questo dopoguerra prerogativa della Marina Militare. Negli indirizzi di
politica militare esposti nel novembre 1983 dal ministro della difesa Spadolini, si riconobbe che la
riduzione della presenza americana nel Mediterraneo accresceva il ruolo navale dell’Italia, ma
comportava impegni aggiuntivi anche per l’aeronautica.
Pace di Dio, fine del X sec, istituiva la distinzione tra combattenti e civili e dichiarando
inviolabili le Chiese e le case dei contadini
Tregua di Dio, inizio XI sec, limitava la durata della guerra, proibendo di combattere
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Dalla prima domenica dell’avvento fino all’ottava dell’epifania,
Dal primo giorno di Quaresima all’ottava di ascensione
per il resto dell’anno dal mercoledì sera al lunedì mattina
Quarantena del re, istituita da Filippo Augusto di Francia, imponeva un intervallo di quaranta
giorni tra l’offesa ricevuta e l’inizio delle ostilità
Queste disposizioni, che valevano solo per le guerre tra cristiani, non erano sempre rispettate, ma
chi le violava sapeva di esporsi a gravi sanzioni, materiali e spirituali.
Le crociate e gli ordini religioso-militari. Le Bolle della Crociata e i canoni conciliari invitavano a
riconquistare la Terra Santa o, dopo la prima crociata, a conservare il Regno Cristiano di
Gerusalemme e a liberare i cristiani prigionieri, con motivazioni incentrate su un concetto
fondamentale: la santità dei luoghi consacrati dalla nascita, dalla vita e dalla morte di Gesù
Cristo, che non potevano essere continuamente profanati dalla presenza degli infedeli. La
cristianità infatti aveva un diritto acquisito e imprescrittibile su quelle terre. Il concetto di crociata
non riguardava tuttavia soltanto la liberazione della Terra Santa. Crociata era anche la
Reconquista della Spagna. In Spagna operarono numerosi ordini cavallereschi, tutti collegati ai
Cistercensi. Non si deve pensare che si volesse diffondere la fede cattolica con la violenza, ma usa
la sua potenza per difendere la società cristiana contro i suoi perturbatori. Ecco perché coloro che
credono in Cristo fanno spesso guerra agli infedeli, non per costringerli a credere, ma per
costringerli a non ostacolare la loro fede in Cristo.
Gloria del Medioevo cristiano fu l’educazione militare, la trasformazione del soldato in cavaliere.
Il cavaliere diviene il difensore dei deboli, la cavalleria era un ordine, la cerimonia che la conferiva
un sacramento. La cavalleria non si identificava con la nobiltà, nessuno cresceva cavaliere. Mentre
la civiltà cristiana si avvicinava alla pienezza delle sue forme, la Chiesa compì un ulteriore sforzo
per incanalare in quel quadro di valori anche le guerre e la vita militare. Con le Crociate la Chiesa
prese la guida del mondo feudale dell’Europa occidentale della Spagna alla Siria. Cosicché
l’impulso vitale dei ceti nobili all’espansione e alla conquista venne posto al servizio della
cristianità.
Un’altra distinzione importante è quella tra militia mondi e militia Christi, ripreso da S. Bernardo.
Solo i cavalieri di Cristo possono combattere le battaglie del Signore con tranquillità di coscienza,
senza temere in alcun modo né di peccare per l’uccisione del nemico, né il pericolo di morire:
poiché in questo caso la morte, inflitta o sofferta per Cristo, non ha nulla di criminoso e molte volte
comporta il merito della gloria. L’indizione di una prima Crociata non corrispondeva solo a
un’esigenza interna della Chiesa, ma dell’Europa intera, a dimostrazione della stretta
identificazione di quest’ultima con la Cristianità. La necessità di rendere stabile la liberazione
della Terra Santa portò alla nascita degli Stati Latini D’Oriente:
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poco dopo fu interamente lasciato loro: nacque così l’Ordine dei Templari. Il più glorioso e famoso
Ordine religioso-militare è oggi noto come Sovrano Militare Ordine di Malta. Costretti a ritirarsi
dalla Palestina, i cavalieri Gerosolimitani (nome originario), ebbero, nel 1965, in Feudo
l’arcipelago maltese.
Permanente validità dell’ideale cavalleresco della Crociata la funzione storica degli ordini
cavallereschi è stata più volte lodata in questo secolo. La coscienza del dovere di combattere per i
diritti di Dio e della Chiesa è rimasta in età moderna e contemporanea. Benedetto XIV, nel 1743, ha
ricordato come la Milizia dell’Ospedale di S. Giovanni Di Gerusalemme (i Templari) abbiano
combattuto per la gloria di Cristo, contro i perduti uomini infetti dall’errore maomettano, con
sommo vigore e per sua istituzione fa guerra continua contro il comune nemico del nome cristiano.
Nel 1936 affermava che la benedizione di doveva rivolgere in modo speciale a quanti si sono
assunti il difficile compito di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e della Religione.
Nessun atto del Magistero e nessuna seria riflessione teologica ha messo in discussione e
sconfessato alla plurisecolare dottrina sulla guerra giusta, i cui principi restano validi.
Se la pace è dono di Dio e se Egli è il solo fondamento stabile dell’odine, il solo autentico
garante della pace e quindi è impossibile stabilirla al di fuori dei principi del Vangelo.
I cattolici non devono vergognarsi dei loro antenati che in duemila anni di storia hanno
impugnato le armi per difendere la fede e i diritti della Chiesa. “La Chiesa deve tener conto
delle potenze oscure che hanno sempre operato nella storia. Questo è anche il motivo per
cui essa diffida di ogni propaganda pacifista nella quale di abusa della parola di pace per
dissimulare scopi inconfessati”.
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