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Guerra
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Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Guerra (disambigua).
La guerra è un fenomeno sociale che ha il suo tratto
distintivo nella violenza armata posta in essere fra
gruppi organizzati.[1] Nel suo significato tradizionale,
la guerra è un conflitto tra Stati sovrani o coalizioni
per la risoluzione, di regola in ultima istanza, di una
controversia internazionale più o meno direttamente
motivata da veri o presunti, ma in ogni caso parziali,
conflitti di interessi ideologici ed economici.[1]
Indice
Storia
Descrizione
Fasi temporali
Classificazione
Il Peacekeeping
Tipi di conflitto
In base all'estensione territoriale
In base al tipo dei soggetti che la combattono
In base ai mezzi impiegati
In base alla soggettività internazionale dei contendenti
Altre definizioni dei conflitti
Diritto bellico
Ius ad bellum
Ius in bello
Aspetti antropologici
Guerre di religione
Guerre a sfondo razziale
Aspetti etici
Aspetti economici
Prima ondata
Seconda ondata
Terza ondata
Economia di guerra
Analisi statistica
Letteratura
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni
Storia
Dalla nascita dello Stato, circa 5.000 anni fa[4], l'attività militare ha interessato gran parte del globo.
L'avvento della polvere da sparo e l'accelerazione dei progressi tecnologici hanno portato alla guerra
moderna. Fino alla seconda guerra mondiale, era prassi di diritto internazionale ampiamente
osservata il far precedere le ostilità da una dichiarazione di guerra. Le alleanze militari fra Stati
obbligavano i firmatari a entrare nel conflitto se un altro Stato violava la neutralità e l'integrità
territoriale, invadendo i confini esterni di uno Stato partecipante con le proprie truppe, oppure ne
manifestava la volontà con una dichiarazione di guerra: i patti di mutua assistenza militare
propagavano rapidamente le dimensioni dei conflitti.
Generalmente, il conflitto armato comincia a partire da un evento specifico, il cosiddetto casus belli:
un'invasione militare, l'uccisione nemica di concittadini, come soldati, o beneficiari dell'immunità
diplomatica, come ambasciatori, capi di Stato o reggenti. Anche incidenti diplomatici possono
innescare crisi che si risolvono in un conflitto armato, a causa di inosservanze dei protocolli
diplomatici, come non presentarsi a una convocazione o rifiutare di ricevere un ambasciatore,
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Secondo quanto osservato da von Clausewitz, la guerra non è accesa dall'azione di chi offende, ma
dalla reazione di chi si difende: se non ci fosse reazione, infatti, si verificherebbe un'occupazione e non
un conflitto armato. Tale fu il caso, ad esempio, dell'Anschluss, ovvero l'invasione dell'Austria da parte
della Germania nel 1938. Si ha pertanto l'inizio della guerra quando si verifica il primo combattimento
fra forze contrapposte. La guerra non si conclude però semplicemente con la cessazione dei fatti
d'arme; più formalmente è necessario che si verifichi uno dei seguenti eventi:
un armistizio, che riguardi cioè tutti i teatri e tutte le forze armate delle parti che lo stipulano;
la resa incondizionata di una parte;
la debellatio di una parte, cioè il completo annientamento delle sue forze armate, l'occupazione
totale o annessione del suo territorio e la cessazione di ogni attività politica anche interna.
Può capitare che un Paese che vuole entrare in conflitto compia azioni per provocare a guerra
l'aggressore e poter reagire; non necessariamente si inizia un conflitto con un'occupazione militare di
un territorio straniero. Dalla seconda metà del XX secolo a seguire, molte guerre sono state
combattute senza essere dichiarate, con interventi militari giustificati come aiuti a governi "fratelli",
come ad esempio la guerra del Vietnam, l'invasione sovietica dell'Afghanistan, o semplicemente con
un'azione militare diretta come la guerra di Corea o l'invasione del Kuwait. A volte, a queste guerre
hanno fatto seguito altre azioni ad esse collegate, come la prima guerra del Golfo nella quale una
coalizione, in forza di un mandato dell'ONU, ha schierato sul campo un potente esercito appoggiato da
forze navali ed aeree che hanno rimosso il contingente iracheno di occupazione dal Kuwait e distrutto
gran parte dell'armamento terrestre ed aereo delle forze armate irachene, disarticolandone le unità
operative ma non occupando permanentemente il territorio dell'Iraq.
In età contemporanea, nei periodi di tensione e di crisi, si è soliti sviluppare un'attività politica e
diplomatica di tutta la comunità internazionale per evitare il conflitto: in tali periodi, le forze armate
giocano un ruolo rilevante nel dimostrare la credibilità e la determinazione dello Stato, con lo scopo
Descrizione
Fasi temporali
La guerra è preceduta da:
un periodo di tensione, che ha inizio quando le parti percepiscono l'incompatibilità dei rispettivi
obiettivi;
un periodo di crisi, che ha inizio quando le parti non sono più disponibili a trattare tra di loro per
rendere compatibili tali obiettivi.
Le guerre sono combattute per:
il controllo di risorse naturali, in particolare risorse scarse (limitate o finite), fra cui: grano e acqua
per il fabbisogno alimentare, fonti energetiche (gas, petrolio, carbone), materie prime per le
industrie (ferro, acciaio, leghe), metalli preziosi (oro e argento) come valuta di riserva per
l'emissione di moneta convertibile;
per risolvere dispute territoriali (i confini fra due Stati-nazione);
per risolvere dispute commerciali;
a causa di conflitti etnici, religiosi o culturali, per dispute di potere e per molti altri motivi. Si giunge
alla guerra quando il contrasto di interessi economici, ideologici, strategici o di altra natura non
riesce a trovare una soluzione negoziata attraverso la diplomazia, o quando almeno una delle parti
percepisce l'inesistenza di altri mezzi per il conseguimento dei propri obiettivi.
Classificazione
Ci sono svariate classificazioni possibili della guerra. Una è: convenzionale/non convenzionale. Nella
guerra convenzionale sono coinvolte forze armate ben identificate che combattono in modo
relativamente aperto e palese, senza far ricorso ad armi di distruzione di massa.
La guerra non convenzionale comprende tutto il resto: tattiche di incursione, guerriglia, insurrezione
e terrorismo o, in alternativa a tutto ciò, può includere la guerra nucleare, batteriologica o chimica.
Tutte queste categorie ricadono normalmente in due più ampie: conflitti ad alta intensità e a bassa
intensità.
I primi si manifestano tra due superpotenze o due grandi paesi che si scontrano per ragioni politiche.
I conflitti a bassa intensità implicano la contro-insurrezione, gli atti di guerriglia e l'impiego di corpi
specializzati nel contrastare i rivoluzionari.
Il Peacekeeping
Lo stesso argomento in dettaglio: Peacekeeping.
Le operazioni di peacekeeping, missioni militari armate alle quali un mandato internazionale (ONU o
Unione europea) ha conferito legittimità, se non possono essere considerate tecnicamente guerre,
presentano per il personale impegnato tutti i rischi di quelle operazioni, con limitazioni ancora
maggiori dal punto di vista delle regole operative. Nell'accezione datagli dalle Nazioni Unite, il
peacekeeping è "un modo per aiutare paesi tormentati da conflitti a creare condizioni di pace
sostenibile"[5]. Il personale civile e militare delle missioni ONU viene fornito dai paesi membri.
Queste operazioni vengono compiute in territori sconvolti da guerre civili e le truppe impiegate
dovrebbero fungere da forza di interposizione tra i contendenti e stabilizzazione del territorio, ma se
necessario possono usare la forza necessaria a fermare azioni violente contro civili indifesi.
Nondimeno la loro presenza non ha impedito episodi come il massacro di Srebrenica, avvenuto
durante la guerra civile jugoslava sotto gli occhi di un battaglione di caschi blu olandesi.
Tipi di conflitto
I conflitti possono essere diversamente classificati in relazione al numero piuttosto vasto dei loro
parametri.
Non si parla di conflitto asimmetrico se è un'organizzazione statale, si veda l'esempio della Spagna nel
corso dell'invasione napoleonica, a combattere tramite il proprio esercito con tattiche di guerriglia. Lo
scontro tra le formazioni di guerriglia sorte spontaneamente e l'esercito napoleonico, è invece
considerabile un caso di guerra asimmetrica.
Guerra totale: si vuole indicare un conflitto che coinvolge tutte le risorse del paese in guerra. Ciò è
normale, in quanto le guerricciole per piccoli problemi di confine sono assai rare.
Guerra lampo (Blitzkrieg): nel senso di un conflitto organizzato per avere una durata limitatissima
nel tempo, mediante l'uso di strategie e tattiche altamente redditizie e in presenza di un grande
divario di mezzi disponibili, fra i due contendenti. In breve, significa distanze maggiori in tempi più
brevi. Il termine è spesso usato in contrapposizione a guerra di posizione, o di logoramento,
Diritto bellico
Numerose convenzioni, che nel loro insieme costituiscono il diritto bellico, regolamentano il
comportamento in guerra; esso risponde a due grandi e separate questioni, cioè qual è il modo giusto
di intraprendere la guerra e quale è il modo giusto di condurla[9].
Ius ad bellum
Il Patto Briand-Kellogg per primo afferma nel 1928 il ripudio della guerra come strumento di
risoluzione delle controversie internazionali, principio poi recepito nelle costituzioni di varie
democrazie occidentali nel dopoguerra; la successiva Carta delle Nazioni Unite del 1945 alla nozione di
guerra sostituisce la più ampia nozione di ricorso alla forza, che comprende le cosiddette measures
short of war (misure vicine alla guerra), non regolate dal Patto di Brian-Kellogg, e introduce un
sistema di sanzioni per i Paesi che violano il trattato. La Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace
del 1984 afferma, non più nella sola forma negativa di un divieto della guerra, un diritto dei popoli alla
pace, e l'impegno per il disarmo nucleare.
Inoltre, lo statuto delle Nazioni Unite consente la legittima difesa di un paese (sia direttamente del
paese aggredito, sia di altri Stati che intervengono collettivamente a suo sostegno[10]). Ciò per evitare
una propagazione incontrollata del conflitto: fuori dei requisiti della legittima difesa (proporzionale e
immediata, ex articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite) occorre che ci sia un'autorizzazione del
Consiglio di Sicurezza all'uso della forza, come è successo nella Guerra del Golfo del 1991. La regola
sarebbe che il Consiglio di Sicurezza decide di prendere azioni "ai sensi del capo VII" mediante l'uso
diretto di contingenti militari messi a disposizione dagli Stati membri e posti sotto il comando del
Comitato di Stato Maggiore ONU: ma gli articoli 42 e 43 dello Statuto ONU non sono mai stati attuati
e la formulazione delle decisioni del Consiglio di sicurezza è, oramai, nella forma di autorizzazione agli
Stati di "prendere ogni misura necessaria" in difesa della pace e della sicurezza internazionale.
Interpretazioni estensive del diritto umanitario hanno portato a considerare legittima l'ingerenza
umanitaria, ovvero l'intervento dall'esterno in fatti interni di uno Stato quando questi fatti
costituiscano violazione evidente dei diritti dell'uomo. L'ingerenza umanitaria ha giustificato nel
passato interventi militari consacrati da una risoluzione ONU per costringere i governi a rispettare
quei diritti fondamentali. Analoga ingerenza potrebbe essere autorizzata per proteggere beni culturali
ritenuti patrimonio dell'umanità.
Le costituzioni di molti Stati ammettono la guerra di sola difesa, vietando alle forze militari del paese
di attaccare civili, militari e infrastrutture sul suolo di un altro paese o comunque appartenenti a un
altro Stato sovrano[11]. La Costituzione italiana, con l'articolo 11, è una delle più esplicite: «L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali.»[12].
Ius in bello
Il diritto bellico è affiancato dal diritto umanitario, volto alla protezione delle vittime di guerra. Le più
importanti convenzioni in materia erano, prima della Carta dell'ONU, quelle dell'Aia del 1899 e del
1907. Le più importanti e attuali convenzioni di diritto umanitario sono le convenzioni di Ginevra del
1949 e i suoi protocolli aggiuntivi, due del 1977 e uno del 2005 [13].
In Italia, è stata posta una questione di legittimità alla Corte Costituzionale in merito all'esistenza di
una distinzione fra codici militari in tempo di pace e di guerra, e, successivamente, in merito
all'esistenza stessa di un diritto militare, che possa agire in deroga alle regole che disciplinano il
rapporto fra privati cittadini. La Consulta ha ribadito il principio per cui le azioni dei militari non sono
soggette alle stesse regole dei privati cittadini né essere valutate dai tribunali civili.
Aspetti antropologici
L'istinto di sopravvivenza, la preservazione del proprio territorio vitale, la difesa dei propri mezzi di
sussistenza, sono alcuni esempi di come una comunità possa esser spinta a prendere le armi contro
una comunità nemica che mette a rischio spazi, diritti, valori o beni dati per acquisiti e irrinunciabili. A
queste motivazioni di tipo egoistico o utilitaristico si affiancano (e talvolta si coniugano) motivazioni di
carattere psicologico o umorale come l'odio, il disprezzo, la vendetta, la paura.
Guerre di religione
Un altro fattore molto forte di innesco per le guerre sono i motivi religiosi, nei quali un preteso diritto
derivante da credenze religiose, o interpretazioni personali di scritti o tradizioni precedenti, diventa
per un popolo o gruppo religioso causa per lanciare una guerra di aggressione verso quello che viene
individuato come bersaglio della propria insoddisfazione. Una guerra di questo tipo viene denominata
guerra santa, e gli esempi storici più noti sono le crociate per il mondo occidentale e il jihād (che però
in arabo ha un significato non necessariamente legato ad operazioni violente) per i musulmani.
Entrambe le tipologie di guerra hanno però provocato nei tempi gravi spargimenti di sangue tra i
civili[14]. Anche di recente sia in nome del jihād, sia per sostenere la guerra al terrorismo da parte di
personale civile e militare delle forze armate statunitensi o di paesi alleati si sono avuti anche
comportamenti non conformi alle leggi di guerra, con torture ed uccisioni sanguinose ed ingiustificate.
Aspetti etici
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra (filosofia) e Guerra giusta (teologia).
Dal punto di vista etico, la guerra pone almeno tre tipi di problemi con relativi sotto problemi. Il
primo riguarda la responsabilità dell'istituzione pubblica e dei suoi rappresentanti nell'indurre dietro
compenso o costringere come dovere patrio dei soggetti a prendere le armi e farne uso contro
qualcuno. Il secondo riguarda la legittimità o meno dei comportamenti del soggetto che usa le armi
sotto coercizione a farlo e in base a ordini ineludibili. Il terzo riguarda la legittimità dell'azione di
belligeranza come autodifesa di una comunità rispetto a danni non necessariamente di tipo violento,
ma, per esempio, economico o morale.
Aspetti economici
Dal punto di vista economico si osserva come la guerra evolva nel tempo mantenendo una coerenza
logica.
Prima ondata
Durante il sistema agrario il soldato combatte spesso nell'arco di un limitato periodo stagionale.[15]
Le razioni alimentari sono personali in partenza e poi di volta in volta depredate localmente.[16]
Al termine del conflitto l'estrema sanzione agli occupati dopo l'eliminazione dei soldati è la
distruzione delle coltivazioni.[17]
Seconda ondata
Con l'economia industriale il servizio militare diventa di massa per legge con la leva obbligatoria (in
Francia dopo il 1792, in Giappone nel 1868 e negli Usa durante la guerra civile).[18]
I nuovi comandanti sono addestrati nelle accademie militari.[19]
Non si distingue più alcuna differenza tra un obiettivo civile e un obiettivo militare.[20]
Terza ondata
Il progresso tecnologico del settore civile sorpassa quello militare.[21]
La fuga di cervelli diventa un parametro per misurare la ricchezza di particolari macro-aree capaci
di attrarne come la Silicon Valley.[22]
Per ragioni di efficacia le decisioni dell'intelligence sono sempre più vincolate da informazioni
aperte a favore della maggior partecipazione possibile.[23]
Col termine "guerre delegate" (o guerre per procura) si intende un nuovo tipo di conflitto in cui non
avviene un grande dispiegamento di uomini e mezzi sul campo di battaglia, non c'è una leva militare
obbligatoria ed è pure molto limitato anche l'invio di militari professionisti: il Paese invia armi e
istruttori alle truppe alleate del luogo (regolari o separatiste), ed alcuni contractors, militari ed ex-
militari volontari per azioni mirate.
Questo tipo di conflitto è ugualmente redditizio per la lobby delle armi, mentre ha costi pubblici
inferiori e meno morti al fronte (la morte dei contractors in genere non fa nemmeno notizia), e per
questo è ben vista dai politici rispetto alle possibili critiche della stampa e degli elettori.
Economia di guerra
Lo stesso argomento in dettaglio: Keynesismo militare.
Nell'economia di guerra, lo Stato nazionale emette una crescente quantità di moneta. Una simile
emissione causa svalutazione e iperinflazione che impoveriscono la popolazione e possono arrivare
perfino ad azzerare il potere d'acquisto della moneta. È frequente che i beni essenziali vengano
razionati e che il loro ottenimento venga dunque limitato a prescindere dall'uso della moneta.
In vista dei conflitti, gli Stati accumulano riserve anche sotto forma di oro, investimento in sé poco
conveniente perché non genera interessi, diversamente dagli strumenti finanziari o da un
investimento produttivo. Tuttavia, l'oro conserva il suo valore nel tempo, mentre le valute si possono
deprezzare e gli strumenti finanziari sono soggetti a rischio. La disponibilità di oro rappresenta quindi
la garanzia che in cambio si potranno ottenere anche in futuro le risorse necessarie per i bisogni della
guerra. L'uso dell'oro si diffonde in conformità alla Legge di Gresham: «la moneta cattiva scaccia
quella buona». A causa della continua emissione di debito pubblico per finanziare la spesa militare,
avviene l'iperinflazione e la svalutazione della moneta ufficiale a corso forzoso che, nonostante lo
imponga la legge (a pena di multe e carcere per chi la rifiuta), viene sempre meno accettata per i
pagamenti, in favore di mezzi di pagamento che non possono subire svalutazione perché hanno un
valore intrinseco prossimo o uguale al loro valore nominale (come i metalli preziosi).
In tempo di guerra e anche in vista di un probabile rischio di guerra, gli investimenti in tutte le
attività produttive civili (nei territori che rischiano di esserne coinvolti) crollano bruscamente, a causa
sia della probabile incapacità per impoverimento della domanda di assorbire le nuove merci civili, sia
a causa delle probabili difficoltà, impossibilità di eseguire la produzione, per la probabile indisponibilità
o distruzione degli impianti e/o di uno o più degli altri fattori produttivi necessari.
In una certa misura l'economia di guerra (che include produzione e commercio di armi, un piccolo
valore rispetto all'economia produttiva civile totale) sottrae risorse e soprattutto sottrae
distruttivamente quasi ogni possibilità di espansione o ricostruzione ai settori dell'economia civile (la
quasi totalità del valore).
In tempo di guerra, la spesa militare è una voce rilevante e spesso predominante della spesa pubblica.
Per sostenerla, gli Stati ricorrono spesso all'indebitamento. Il debito contratto verso soggetti esterni
allo Stato è in genere denominato in valuta estera o in oro. Mentre il debito contratto in moneta
nazionale ne segue le sorti (come il debito italiano nella seconda guerra mondiale, che in termini reali
si ridusse a ben poco dopo la fine del conflitto) il debito denominato in altre valute o in oro continua
invariabilmente a pesare sull'economia del Paese. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Italia adottò
un sistema in cui l'industria militare, che era a controllo pubblico, reinvestiva gli utili comprando titoli
di debito pubblico italiano (che, come la moneta fortemente svalutata, non avevano molti acquirenti):
in questo modo, si creava un circuito economico chiuso in cui lo Stato emetteva moneta a debito
contro titoli per finanziare l'industria militare e questa sua volta ripagava/riacquistava i titoli in
scadenza, consentendo una nuova emissione e produzione propria.
Lo Stato che esce vincitore da una guerra pretende non di rado dallo Stato sconfitto il pagamento di
indennità dette riparazioni di guerra[24], che coprono in tutto o in parte le spese sostenute e a volte
permettono anche un guadagno monetario. L'origine delle riparazioni di guerra risale all'antichità e si
hanno tracce documentate di questa usanza già nel 440-439 a.C., quando la città di Samo sconfitta da
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Atene dovette pagare a questa le spese dell'assedio da essa stessa sostenuto e perso[24]. Nell'era
moderna fu Napoleone Bonaparte a collegare inscindibilmente il pagamento dei danni di guerra al
trattato di pace che la concludeva, pretendendo dai vari stati sconfitti, come Austria, Prussia, Spagna
ed altri, il pagamento in natura e valuta dei danni, stimati dal vincitore; la pratica venne poi ripetuta a
ruoli invertiti dopo la sconfitta dell'Impero Francese, e ancora dai prussiani verso la Francia che
aveva perso la guerra del 1870; allo stesso modo gli Alleati, su espressa richiesta del presidente
statunitense Woodrow Wilson, pretesero dai tedeschi un risarcimento dopo la fine della prima guerra
mondiale, ma la sua entità venne calcolata tale da essere considerata altamente punitiva dai
britannici, che esitarono prima di appoggiare le pretese francesi[24]. Le conseguenze di queste
riparazioni sull'economia tedesca, sommate a quelle indotte dalla grande depressione del 1929, furono
tali da venire additate da molti come una delle cause che spinsero i tedeschi ad appoggiare l'avvento
del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Le forti oscillazioni borsistiche causate dalle vicende delle guerre, oltre che delle tensioni
internazionali, sono fonte di ingenti guadagni immediati da parte dei pochi soggetti in grado di
determinare (o di conoscere in anticipo) tali vicende
Analisi statistica
L'analisi statistica della guerra è stata cominciata da Lewis Fry Richardson dopo la prima guerra
mondiale. Più recentemente, banche dati sulle guerre sono state costruite dai Correlates of War
Project[25] e da Peter Brecke,[26] che ha censito e strutturato ricerche già esistenti.[27]
Letteratura
Nel tempo, scrittori di ogni cultura e posizione politica hanno trattato il tema della guerra nelle loro
opere. Tra i più celebri di certo possiamo citare L'arte della guerra, uno dei più importanti trattati di
strategia militare di tutti i tempi del cinese Sun Tzu. Si tratta probabilmente del più antico testo di
arte militare esistente (VI secolo a.C. circa), articolato in tredici capitoli, ognuno dedicato ad un
aspetto della guerra. Questo testo ebbe una grande influenza anche nella strategia militare europea. È
un compendio i cui consigli si possono applicare, al pari di altre opere della cultura sino-giapponese, a
molti aspetti della vita, oltre che alla strategia militare, ad esempio all'economia e alla conduzione
degli affari.
«Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo
costituisce un risultato inferiore»
Grandi condottieri come Napoleone Bonaparte hanno scritto memorie, nello specifico Aforismi
politici, pensieri morali e massime sulla guerra, ma nella storia occidentale abbiamo trattati militari
molto più antichi come quelli di Gaio Giulio Cesare, dal De bello gallico scritto fra il 58 e il 50 a.C. e
diviso in otto libri al De bello civili. Molti altri libri sono stati scritti nei secoli successivi, da figure come
il tedesco Carl von Clausewitz, il cui trattato Della guerra (Vom Kriege), pubblicato per la prima volta
nel 1832, non venne mai completato, a causa della morte precoce dell'autore. Oltre alla famosa
citazione che correla guerra e politica, si può riportare anche:
«La guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l'avversario a eseguire la nostra
volontà.»
Carl von Clausewitz, nel suo libro Della guerra, compie un'analisi del fenomeno: «La guerra è la
continuazione della politica con altri mezzi» e «La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di
costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà.»
Note
1. Guerra nell'enciclopedia Treccani, su treccani.it. URL consultato il 19 settembre 2014.
2. ^ war, su Online Etymology Dictionary. URL consultato il 24 aprile 2011.
3. ^ Eliot A. Cohen e Lawrence H. Keeley, War before Civilization: The Myth of the Peaceful Savage,
in Foreign Affairs, vol. 75, n. 6, 1996, pp. 150, DOI:10.2307/20047849. URL consultato il 26 luglio 2022.
4. ^ Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni - Jared Diamond -
Libro - Einaudi - Super ET | IBS, su ibs.it. URL consultato il 26 luglio 2022.
5. ^ (EN) United Nations Peacekeeping, su Peacekeeping.UN.org. URL consultato il 14 agosto 2018
(archiviato dall'url originale il 15 agosto 2018).
6. ^ Gli atti di guerra interna, quando condotti dagli insorti "col rispetto delle regole poste dalle
Convenzioni di Ginevra per i conflitti tra Stati, non sono sanzionabili sotto il profilo della
responsabilità individuale, ma comportano solo la cattura e la detenzione (sotto forma di
internamento in apposite strutture, e con trattamento differenziato per gli ufficiali) per la durata del
conflitto, al termine del quale vi è l’obbligo di rimpatrio, se non vi sono capi d’imputazione diversi
(ad esempio per crimini di guerra) per i quali si rescinde il nesso di immedesimazione organica ed
il singolo combattente è chiamato personalmente a risponderne dallo Stato cattore": Giampiero
Buonomo, Il diritto internazionale dopo Guantanamo, Questione giustizia, n. 2/2005 (https://www.ac
ademia.edu/2420573/Il_diritto_internazionale_dopo_Guantanamo).
7. ^ Essi vengono puniti non come conflitti armati intestatali ma come mere violazioni del codice
penale nazionale: L.C.Green, The contemporary law of armed conflict, 2000, p. 56, sostiene, ad
esempio, che “atti di violenza commessi da individui o gruppi di privati, che sono considerati atti di
terrorismo (…) sono al di fuori dello scopo del diritto internazionale umanitario”.
8. ^ Ben Saul; Enhancing Civilian Protection by Engaging Non-State Armed Groups under International
Humanitarian Law. J Conflict Security Law 2017; 22 (1): 39-66. doi: 10.1093/jcsl/krw007.
9. ^ S.Pietropaoli, Jus ad bellum e jus in bello. Genealogia di una grande dicotomia del diritto
internazionale.
10. ^ Questo elemento potrebbe contrastare con altri accordi, che impongono solidarietà militare nel
caso di attacco di uno Stato membro: tuttavia, in virtù dell'art. 103, le disposizioni dello Statuto delle
Nazioni Unite prevalgono su ogni altro obbligo internazionale (anche quando, come per la NATO, il
casus foederis sia l'aver subito un attacco).
11. ^ Giampiero Buonomo, Limiti costituzionali all'uso della forza, in Il Parlamento, 1991..
12. ^ Costituzione italiana, su quirinale.it.
13. ^ Jus ad bellum y jus in bello (https://www.icrc.org/spa/war-and-law/ihl-other-legal-regmies/jus-in-bell
o-jus-ad-bellum/overview-jus-ad-bellum-jus-in-bello.htm)
14. ^ Peter Bergen, Paul Cruickshank, The Iraq Effect:War Has Increased Terrorism Sevenfold
Worldwide, su motherjones.com, MotherJones, 1º marzo 2007. URL consultato il 5 febbraio 2009.
15. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, da Philip M. Taylor, pp. 43.
16. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, da Victor Hanson, pp. 43.
17. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, da John Keegan, pp. 43.
18. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, da R.R. Palmer, pp. 48.
19. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, pp. 49.
20. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, pp. 52.
21. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, pp. 202.
22. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, da Tom Peters, pp. 203.
23. ^ Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata, da Robert D. Steele, pp. 229.
24. RIPARAZIONI di guerra, su treccani.it.
25. ^ About the Correlates of War Project, su correlatesofwar.org.
26. ^ Peter Brecke: Global Modeling Research (archiviato dall'url originale il 7 agosto 2007).
27. ^ Conflict Dataset Catalog (PDF), su pcr.uu.se (archiviato dall'url originale il 16 dicembre 2005).
Bibliografia
Carl von Clausewitz, Della guerra
Niccolò Machiavelli, Dell'arte della guerra
Ugo Grozio, Il diritto di guerra e pace
Sunzi, L'arte della guerra
Alvin Toffler e Heidi Toffler, La guerra disarmata, Milano, Sperling & Kupfer, 1994, ISBN 88-200-
1750-4.
Yves Boyer e Julian Lindley-French (a cura di), The Oxford Handbook of War, New York, Oxford
University Press, 2012.
Larry May (a cura di), The Cambridge Handbook of the Just War, Cambridge, Cambridge
University Press, 2018.
Michael Walzer, Sulla guerra, Roma-Bari, Laterza, 2006.
Michael Walzer, Guerre giuste e ingiuste. Un discorso morale con esemplificazioni storiche,
Roma-Bari, Laterza, 2009.
Voci correlate
Casus belli
Battaglia
Collaborazionismo
Blitzkrieg
https://it.w ikipedia.org/w iki/Guerra 13/15
16/04/24, 07:48 Guerra - Wikipedia
Altri progetti
Wikiquote contiene citazioni di o su Guerra
Wikizionario contiene il lemma di dizionario «Guerra»
Wikinotizie contiene notizie di attualità su Guerra
Wikimedia Commons (https://commons.wikimedia.org/wiki/?uselang=it) contiene immagini o
altri file su Guerra (https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Military_combat?uselang
=it)
Collegamenti esterni
Rule of Law in Armed Conflicts Project, su adh-geneva.ch. URL consultato il 25 marzo 2009 (archiviato
dall'url originale il 6 aprile 2009).
Numero monografico dedicato alla guerra. del periodico Nuova rivista storica
Rivista italiana di conflittologia, su conflittologia.it.
Thesaurus BNCF 1117 (https://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=1117) · LCCN
(EN) sh85145114 (http://id.loc.gov/authorities/subjects/sh85145114) · GND
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