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1. La poesia
Caratteristiche generali
Il testo poetico, come la prosa, è costituito da proposizioni. Rispetto alla prosa
però presenta una differenza essenziale. Mentre, infatti, i testi in prosa non
hanno in genere schemi fissi, il testo in versi è costituito da due aspetti
specifici:
a) da una parte i ritmi e i metri: fenomeni che si possono definire in a livello
del verso
b) dall’altra le rime e le strofe (fenomeni che si possono definire a livello dei
rapporti fra (gruppi di) versi.
Sia i ritmi e metri che le rime e le strofe rendono il testo in versi legato ad una
certa disciplina formale a cui il poeta si attiene più o meno consapevolmente. Si
dice per esempio che Dante pensasse in terzine.
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2. Il verso
Vi sono però alcune regole per quel che riguarda la combinazione di vocali. Più
in particolare una giusta dizione di versi italiani si ottiene con quattro figure
metriche principali: la sineresi, la dieresi, la sinalefe e la dialefe.
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Gruppo costituito da due vocali che si seguono nella medesima sillaba. Una delle due è vocale
sillabica, l’altra può essere sia vocale vera e propria ma asillabica, sia semiconsonante.
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I versi, così, che terminano con una parola piana (con accento tonico sulla
penultima sillaba, es. “inìzio”, “continènte”) sono chiamati versi piani.
I versi che terminano con una parola tronca (con accento grafico sull’ultima
sillaba, es. “virtù’, “libertà”) sono chiamati versi tronchi.
I versi con un’ultima parola sdrucciola (con accento tonico sulla terzultima
sillaba, es. “tàvolo”, “èsile”) sono versi sdruccioli.
La grande maggioranza dei versi sono piani.
Esempi:
“Spesso il male di vivere ho incontrato” (Eugenio Montale): verso piano
“Non ho che superbia e bontà” (Giuseppe Ungaretti): verso tronco
“(…) in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo” (Cesare Pavese): verso
sdrucciolo
Endecasillabo
L’endecasillabo è il verso più importante nella poesia italiana. L’endecasillabo
ha l’ultimo accento sulla decima sillaba, e conta di solito 11 sillabe
(endecasillabo piano). L’endecasillabo tronco conta soltanto 10 sillabe (perché
l’ultima parola del verso è una parola tronca), l’endecasillabo sdrucciolo conta
12 sillabe (l’ultima parola ha l’accento sull’antipenultima sillaba, vd. supra).
Alcune forme metriche scritte di solito in endecasillabi sono il sonetto, la
terzina (Commedia di Dante), e l’ottava rima (Orlando furioso, Gerusalemme
liberata).
Decasillabo
Il decasillabo ha l’ultimo accento sulla nona sillaba, per cui il decasillabo piano
(la versione di gran lunga più frequente) conta dieci sillabe.
Il decasillabo è piuttosto raro.
Es. “S’ode a destra uno squillo di tromba” (Alessandro Manzoni, Il conte
di Carmagnola).
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Novenario
Un novenario è un verso con l’ultimo accento sull’ottava sillaba (e conta quindi
di solito nove sillabe). E’ un verso piuttosto raro nella poesia italiana. Lo si trova
soprattutto nella poesia dell’ultimo Ottocento e del Novecento (in Giovanni
Pascoli e in D’Annunzio, ad esempio).
Settenario
Il settenario è un verso con l’ultimo accento sulla sesta sillaba (e conta quindi di
solito sette sillabe). Dopo l’endecasillabo è il verso più diffuso nella letteratura
italiana. Il settenario è frequente in generi leggeri e musicali (la canzonetta, ad
esempio). La canzone (la forma più prestigiosa della lirica italiana, utilizzata di
solito per argomenti importanti, e canonizzata da Dante e da Petrarca) è
composta di diverse strofe di endecasillabi e settenari.
Senario
Il senario è un verso con l’ultimo accento sulla quinta sillaba (e che nella
versione piana conta sei sillabe).
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Quinario
Il quinario è un verso con l’ultimo accento sulla quarta sillaba (e conta quindi di
solito cinque sillabe). È un verso piuttosto raro, utilizzato a volte anche in
forma doppia (quinario doppio).
I versi italiani possono essere distinti anche secondo le unità ritmiche di cui si
compongono. Per analogia con i piedi latini si può parlare di ritmi giambici
(giambo), trocaici (trocheo), dattilici (dattilo) e anapestici (anapesto).
Il giambo è un piede formato da un’arsi di una sillaba breve e di una tesi di una
sillaba lunga, secondo lo schema ∪ —; in termini ritmici significa una sillaba
atona e una sillaba tonica.
Il trocheo è formato da un elementum longum e da un elementum anceps
nella sua forma pura secondo lo schema — ∪ ; in termini ritmici significa una
sillaba tonica seguita da una sillaba atona.
Il dattilo è formato da un’arsi di una sillaba lunga e da una tesi di due sillabi
brevi, secondo lo schema — ∪ ∪; in termini ritmici significa una sillaba tonica
seguita da due sillabe atone.
L’anapesto è formato da due sillabi brevi che formano l’arsi e da una sillaba
lunga che rappresenta la tesi, secondo lo schema ∪ ∪ —; in termini ritmici
significa due sillabe atone seguita da una sillaba tonica.
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4. La rima
4.4. La rima dal punto di vista lessicale: rima univoca, rima equivoca
Una rima univoca consiste nella ripetizione della stessa parola
Es. «Quella macchia! S’adopera a lavarla
Il mare infinito; ma invano.
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E la stella che vede, ne parla
Al cielo infinito; ah! Invano»
(Pascoli, L’anello)
La rima alternata (ABAB) prevede un incrocio di due coppie di rime. È una rima
comune in molti generi.
Es. « Da sé il più vecchio le spese faceva,
per risparmio, e più forse per diletto.
Con due fiorini un cappone metteva
nel suo grande turchino fazzoletto».
(Umberto Saba, Sonetto autobiografico 2)
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La rima rinterzata (ABA CBC) è caratteristica delle terzine del sonetto.
Es. « Il Tempo chiama dalla torre
lontana… Che strepito! | È un tren,
là, se non è il fiume che corre.
La rima incatenata (ABA BCB CDC DED ecc.) è caratteristica delle terzine
dantesche.
Es. «Per me si va nella città dolente,
per me si va nell'eterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e'l primo amore».
(Dante, Inferno, III, 1-6)
5. La strofa
Nella maggior parte delle poesie i versi si susseguono secondo schemi più o
meno regolari, che spesso si ripetono più volte nelle stesso componimento. I
diversi tipi di strofe si distinguono secondo il numero di versi.
Il distico
Il distico è una strofa di due versi, di solito due versi della stessa lunghezza, e
legata dalla rima (di solito una rima baciata, del tipo AABBCCDD…. Il distico è il
verso tipico dell’epigramma (componimento poetico mirante a fermare in
breve il ricordo di una vita o di un’impresa), e in generale di poesie più lunghe,
di taglio narrativo.
Es. La cavallina storna di Giovanni Pascoli è una poesia composta di distici
con rima baciata (AABBCCDD)
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La terzina è una strofa di tre endecasillabi. Una forma particolare, diventata
famosa e fortunata nella letteratura italiana, è la cosiddetta terzina dantesca,
utilizzata da Dante per la Commedia. Nella terzina il primo endecasillabo fa
rima con il terzo, mentre il secondo fa rima con il primo e il terzo verso della
terzina successiva. (ABA BCB CDC...).
La terzina viene utilizzata anche nel Novecento per poesie di lunghezza media e
di carattere narrativo, descrittivo o riflessivo. Oltre a Pascoli, anche poeti come
Pasolini e Sanguineti hanno utilizzato la terzina.
Quartina
Una strofa di quattro versi a rima baciata, alternata o incrociata. La quartina
compare già nelle poesie delle antiche civiltà come l’antica Grecia e l’antica
Roma.
I primi otto versi del sonetto sono composti di due quartine. In particolare
nell’Otto-Novecento si trovano anche poesie composte di quartine (es. Alla
stazione una mattina d’autunno di Giosuè Carducci, o Non chiederci la parola di
Eugenio Montale).
La quinta rima
Una strofa di cinque versi.
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La strofa di sei versi (sestina)
Sei versi, a volte secondo lo schema ABABAB, ma lo schema più frequente è
però ABABCC. Altre varietà risultano dallo spezzamento del quindicisillabo.
Sotto il nome di sestina si può distinguere tra:
Sestina narrativa: una stanza composta da sei versi endecasillabi.
Sestina lirica: è caratterizzata da stanze indivisibili e dalle seguenti
regole (il componimento è formato da sei stanze di sei endecasillabi
ciascuno; nessun verso rima all’interno della stanza; i versi che rimano
tra loro terminano con la stessa parola-rima; nel congedo di tre versi
ricompaiono tutte e sei le parole rima; i versi sono ordinati secondo la
retrogradatio cruciata secondo lo schema ABCDEF, FAEBDC, CFDABE,
ECBFAD, DEACFB, BDFECA. La sestina lirica fu utilizzata per es. da
Francesco Petrarca che la inserì nove volte nel suo Canzoniere.
La settima rima
Una forma molto rara che si ottiene dalla sestina tradizionale (ABABCC) per
mezzo dell’introduzione di un verso sdrucciolo sciolto dopo il quinto.
L’ottava rima
Dopo la terzina, è la strofa più famosa della poesia italiana. La sua forma
primitiva era probabilmente l’ottava siciliana, secondo lo schema ABABABAB.
L’ottava rima ha ricevuto la sua forma codificata nel Trecento (in alcune opere
di Giovanni Boccaccio) con lo schema ABABABCC.
Fino al Settecento è rimasta la forma metrica dei poemi epici. I poemi di
Matteo Maria Boiardo (Orlando innamorato), Ludovico Ariosto (Orlando
furioso), Torquato Tasso (Gerusalemme liberata) e Giovan Battista Marino
(Adone) sono tutti stati scritti in ottava rima.
La nona rima
La nona rima, piuttosto rara, si può considerare un’ottava a cui si è aggiunto un
altro verso.
La decima rima
E’ una strofa formata di tre coppie di endecasillabi a rima alterna seguite da tre
endecasillabi monorimi e un endecasillabo che si rima col secondo delle coppie:
ABABABCCCB. Usata in componimenti di argomento sacro o di carattere
popolare.
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6. Dalla strofa al genere: forme strofiche fisse e composte
La ballata
La ballata è un genere apparso intorno alla metà del XIII secolo nell’Italia
centrale. Il genere viene perfezionato dagli stilnovisti e dal Petrarca.
È formata di tre parti: il ritornello, la parte centrale con la stanza e la volta, e la
ripresa.
Secondo il numero di versi nel ritornello si può distinguere tra la ballata grande
(ritornello con quattro versi), la ballata mezzana (ritornello con tre versi);
ballata minore (ritornello con due versi) e la ballata piccola o minima
(ritornello con un verso).
La canzone
La canzone è un genere composto di un numero indeterminato di strofe,
caratterizzate da un’alternanza di endecasillabi e settenari. Secondo lo schema
concreta si hanno tre varietà principali:
Nella canzone antica o petrarchesca le strofe, di numero variabile, presentano
lo stesso schema strutturale (stesso numero di versi, stessi tipi di versi, di solito
endecasillabi alternati a settenari). L’unica strofa che può avere uno schema
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diverso è il cosiddetto congedo o commiato, una strofa conclusiva con un
numero limitato di versi.
Le strofe regolari sono costituite da due elementi: la fronte (suddivisa in piedi)
e la sirima/coda (suddivisa in volte); spesso tra i due si trova anche la
diesi/chiave. Nella sirima alla fine si trova spesso un distico finale.
La canzone leopardiana o libera è caratterizzata da una libertà parziale o totale
nella struttura delle strofe. Si può avere un certo numero di versi sciolti
intercalati negli schemi tradizionali, ma si possono avere anche strofe diseguali
tra loro per il numero di versi. Nel canto A Silvia di Leopardi le strofe vanno da
sei a quindici versi e quasi in ciascuna più della metà dei versi sono senza rima.
Il sonetto
Nella forma più generale è costituito da quattordici endecasillabi, raggruppati
in due quartine e due sestine. Esiste una similitudine strutturale fra questa
struttura interna del sonetto e la suddivisione delle strofe di una canzone in
fronte e sirima: le quartine corrispondono ai due piedi della fronte, mentre le
due terzine corrispondono alle due volte della sirima. Tra le quartine e le
terzine c’è quasi sempre una forte cesura sintattica.
Vi sono anche sonetti minori in ottonari e settenari e minimi in quinari.
Dal punto di vista della lunghezza si possono distinguere:
- Il sonetto caudato (con coda di uno o più versi)
- Il sonetto doppio (con un settenario dopo ciascuno dei versi dispari
delle quartine e dopo ciascuno dei versi pari delle terzine)
- Il sonetto reinterzato (con settenario dopo ciascuno dei versi dispari
delle quartine e dopo il primo e il secondo verso di ciascuna terzina)
- Il sonetto con fronte di dieci versi
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tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
Verso libero
Il verso libero, che si è affermata nella poesia italiana dal primo Novecento in
poi, si caratterizza per un uso libero di accenti e sillabe. Il poeta non segue
quindi gli schemi metrici della tradizione, né per i singoli versi (endecasillabo,
settenario, ...), né (soprattutto) per l’organizzazione dei versi in forme metriche
(canzone, sonetto, sestina,...). Da questo punto di vista, forse è più corretto
parlare di poesia libera, piuttosto che semplicemente di verso libero.
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