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Lee Konitz.

Tristano fu largamente riconosciuto per essere stato un docente capace di


ispirare i suoi allievi, e per aver dimostrato, contrariamente all’idea
prevalente a quel tempo che l’improvvisazione jazz poteva essere
insegnata.

Tristano era nato a Chicago nel 1919. alla nascita aveva già la vista debole
e prima dei nove anni era già completamente cieco: fu così inserito nella
Scuola di musica per ciechi dell’Illinois. Lì studiò pianoforte ma anche
clarinetto, sax alto e sax tenore, chitarra, tromba e batteria. A dodici anni
iniziò la carriera di musicista professionista, ed entrò al Conservatorio
americano di musica di Chicago; dove ampliò gli studi ricevendo
un’educazione completa nella musica classica oltre che nel jazz. Nel 1943
insegnava già alla Scuola Christensen di musica popolare di Chicago.
Aveva idee molto precise sull’improvvisazione nel jazz, in particolare
sulla necessità di una rigorosa costruzione degli assoli che prevalesse sulla
creazione di effetti emotivi, e queste idee costituirono la base della sua
scuola. Anche se Tristano e Parker si stimavano molto reciprocamente, i
critici cominciarono a contrapporre i due stili, evidenziando i tratti più
freddi e cerebrali della musica del primo.
I ricordi di Konitz dipingono Tristano come una personalità magnetica ma
disturbata, la cui influenza fu fonte per la grande originalità del
sassofonista, alla quale però in seguito egli dovette sottrarsi, pagando un
certo prezzo personale, e con tensioni irrisolte.

All’inizio quello che ho sviluppato di più era il mio suono, anche se non
può essere separato dalle note, è integrato con la melodia che stai
suonando. Ma qualche volta mi capitava di ottenere il suono che volevo
pur non essendo in gradi di costruire una frase interessante.

Era la prima possibilità che avevo di scoprire come ci si sente veramente a


improvvisare, e questo era quello che Tristano cercava di sviluppare.

Come era una lezione, una lezione media, ammesso che esistesse?

Suonavamo arpeggi in tutti gli accordi, poi le inversioni, su tutti i gradi


delle scale maggiori e minori, poi suonavamo un brano e ne discutevamo,
provavamo diverse sequenze in modo da fare esperienza di diversi schemi
ritmici, battendo con le dita 3 su 2, o 4 su 3, o 5 su 4. Si imparava la teoria
armonica e si discutevano i concetti generali. Articolazione legata e non,
accenti; dinamiche. Ascoltavamo con attenzione i musicisti importanti,
dovetti cantare i loro assoli, suonarli, trascriverli e analizzarli. Parlavamo
di quello che era necessario, oltre a lavorare sul serio, per sviluppare una
espressività che avesse significato.
Tristano all’inizio suonava il tenore: come Chu Berry, diceva lui. Io non
l’ho mai sentito veramente; solo una volta e per pochissimo. E suonava il
clarinetto in stile dixieland, Earl Hines era uno dei suoi idoli, e anche Art
Tatum, i grandi pianisti. Non parlava mai di Louis Armstrong, cominciava
sempre da Roy Eldrige, Charlie Christian, e specialmente Lester Young.
Subconscious Lee era originariamente uno degli esercizi che mi dava da
scrivere ogni settimana. Tristano con me non entrava in tante sottigliezze
armoniche perché vedeva che non ero interessato; a quel tempo non
suonavo nessuna tastiera, ero strettamente un musicista “da una nota per
volta”.

Più o meno era sempre un’ora di lezione, ogni settimana. Molto spesso
restavo lì con lui, a meno che non ci fosse qualcuno fuori che aspettava il
suo turno. Più tardi quando aveva tanti allievi, era una mezz’ora o anche
meno, giusto per sentire quello che avevi studiato e dirti “continua così”.

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