Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Riassunti Libro Psi Clinica
Riassunti Libro Psi Clinica
CAPITOLO 1
1. EVOLUZIONE E STATO ATTUALE DELLA PROFESSIONALITÀ IN PSICOLOGIA CLINICA
La psicologia clinica è la disciplina che comprende l’insieme delle conoscenze e delle competenze
psicologiche utilizzate per affrontare i problemi delle persone, i quali possono presentarsi
attraverso varie modalità (es. difficoltà di adattamento, stati di disagio e di sofferenza,
manifestazioni psicopatologiche ecc). La psicologia clinica costituisce la dimensione applicativa di
tipo clinico della scienza della psicologia, che si esprime con interventi di tipo psicodiagnostico e si
aiuto psicologico, i quali vengono attuati utilizzando strumenti e metodi di indagine e specifiche
tecniche d’intervento.
Il campo d’intervento della psicologia clinica è molto ampio in quanto comprende molte situazioni
in cui è necessario prendere in considerazione, a fine diagnostici e preventivi, la componenti
psicologiche coinvolte in determinati situazioni, sia per spiegar vari comportamenti, sia per
prevedere la futura insorgenza:
1. campo della sanità: intervento richiesto per aiutare il paziente ad affrontare le conseguenze
della malattia, per quanto riguarda l’adattamento emotivo personale e relazionale.
2. campo dell’età evolutiva: accertamento ritardi evolutivi, approfondimento di difficoltà e
reazioni d’ansia, ecc..; si attuano interventi psicologici per superare difficoltà e favorire il
recupero di ragazzi maggiormente esposti ad andare incontro a disadattamenti
3. campo della genitorialità: aiuto e sostegno delle figure genitoriali soprattutto nelle pratiche
di adozione
4. campo giudiziario: contributo diagnostico in merito a situazioni di separazione tra genitori,
all’affidamento dei minori, ecc…
Nb: pratica psichiatrica maggiormente incentrata sull’aspetto patologico; pratica psicologica pone
l’attenzione sulla condizione di sofferenza che sta affrontando una persona, non sempre facilmente
riconducibili a un ben definito quadro patologico.
2.4.2 terapie cognitive il cognitivismo è uno sviluppo della terapia comportamentale. Questo
approccio pone al centro la capacità attraverso cui immagazziniamo, elaboriamo e organizziamo le
informazioni che riceviamo attraverso le funzioni cognitive. Secondo il cognitivismo i
comportamenti sono riconducibili a degli schemi cognitivi che una persona si costruisce in
relazione alle proprie esperienze e agli stati emotivi collegate ad esse; gli schemi mentali
funzionano come “modelli” da seguire. Secondo questo approccio anche i disturbi del
comportamento e la sofferenza emotiva sono riconducibili a un modo distorto di interpretare gli
eventi, per cui per eliminarli, sul piano clinico le tecniche terapeutiche di tipo cognitivo si
propongono di agire sul disaggio soggettivo o sulla condotta patologica, modificando le convinzioni
errate di una persona e le interpretazioni distorte che le sostengono.
2.4.3 la psicoanalisi Questo metodo fu elaborato da Freud il cui fine era quello di curare i
disturbi nevrotici, ma successivamente fu utilizzato anche per comprendere e sciogliere i conflitti
inconsci che sottostanno alle manifestazioni patologiche in età adulta e infantile. Questo
trattamento pone la sua attenzione sulle forze motivazionali e le rappresentazioni inconsce di sé e
delle figure significative dell’infanzia. L’azione terapeutica avviene in primis acquistando una
maggiore consapevolezza di sé stessi, solo così si può poi agire sulle dinamiche profonde e l’assetto
psicologico di una persona. Le interpretazioni sono dei suggerimenti/ipotesi fatte dallo
psicoanalista basate sulle libere associazioni del paziente. Il transfert è un processo di trasposizione
inconsapevole per il quale l'individuo tende a spostare schemi di sentimenti, emozioni e pensieri
da una relazione significativa passata a una persona coinvolta in una relazione interpersonale
attuale. Il soggetto non comprende completamente da dove si originino tali sentimenti, emozioni e
pensieri, per questo lo psicoanalista lo deve guidare nella conoscenza di sé attraverso il setting.
Quest’ultimo è un trattamento che se svolto nelle giuste modalità aiuta il paziente a diventare più
consapevole dei significati nascosti sottostanti ai suoi comportamenti e alle sue risposte emotive.
In questo delicato lavoro gioca un ruolo fondamentale il terapeuta che deve comprendere ed
elaborare le sue stesse relazioni emotive che possono aiutarlo a capire quanto va accadendo nella
relazione terapeutica (controtransfert)
2.4.4 l’approccio umanistico Con questo termine si vanno a indicare vari approcci terapeutici
(terapia della Gestalt, terapia centrata sul cliente, analisi transazionale, analisi esistenziale)
accumunati tutti dalla concezione filosofica dell’uomo che privilegia la libertà di scelta e di
iniziativa, la tendenza ad operare al meglio le proprie risorse per arrivare alla realizzazione di sé,
l’interpretazione della realtà e del rapporto con il mondo per capire i vari comportamenti. Un
atteggiamento empatico da parte del terapeuta durante gli interventi terapeutici può aiutare il
soggetto a raggiungere il benessere.
I fattori terapeutici specifici sono quelli che sono in grado di portare cambiamenti nella vita
psichica del paziente (comprendono le caratteristiche del paziente, il modello teorico di
riferimento, tipo di terapia effettuata ecc). I fattori terapeutici aspecifici sono quelli che agiscono su
ogni tipo di psicoterapia e sono legato al rapporto terapeutico (il paziente trae giovamento nel
parlare con uno specialista che lavora per il suo benessere), ma non per questo bisogni pensare
che sono meno importanti dei precedenti.
In altri termini tutti gli elementi della storia personale e familiare, oltre a quella patologica,
costituiscono importanti aspetti che dovrebbero emergere nel corso di un colloquio clinico.
1. La scala per misurare l'ansia: <<La State-Trait Anxiety Inventory>> (STAI) → l’ansia si
caratterizza per una spiacevole sensazione di paura non legata a ragioni obiettive, che può
portare il soggetto a comportamenti di evitamento o alla percezione soggettiva di un
impulso a compiere certe azioni. Questa scala è composta da un totale di 40 domande, 20
riguardano l'ansia di stato (Y1) e 20 l'ansia di tratto (Y2).
L'ansia di stato= indica quanto la persona si percepisca in ansia “proprio in quel momento”
ed esprime una sensazione soggettiva di tensione e preoccupazione, comportamenti
relazionali di evitamento (o avvicinamento eccessivo e prematuro) e un aumento
dell'attività del sistema nervoso autonomo (incremento della frequenza cardiaca), relativa a
una situazione stimolo, quindi transitoria e di intensità variabile;
>L'ansia di tratto= si riferisce a come il soggetto si senta abitualmente, a una condizione più
duratura e stabile della personalità che caratterizza l'individuo in modo continuativo,
indipendentemente da una situazione particolare
2. La scala per misurare la presenza di sintomi depressivi “Beck Depression Inventory” (BDI):
La depressione è uno stato caratterizzato da grande tristezza e apprensione, dalla
sensazione che nulla abbia valore, da sensi di colpa... La Bdi è un questionario composto da
40 domande con 4 possibilità di risposta. Il punteggio viene poi sommato, se supera il 16 è
un allarme clinico.
test proiettivi tematici: si chiede al soggetto di inventare una favola partendo da uno
stimolo dato, ciò permette al bambino di esprimere attraverso i suoi racconti le
problematiche inerenti ai primi anni di vita. I test più conosciuti per i bambini sono: CAT (10
tavole raffiguranti animali di varie situazioni) BPT (11 tavole raffiguranti un cagnolino nero
e la sua famiglia) TEST PN (tavola raffigurante un maialino con la macchina nera). Mentre
per gli adolescenti spesso viene utilizzato il TEST TAT (test composto da 31 immagini, viene
chiesto ai ragazzi poi di costruire una storia, spesso le immagini sono diverse per i ragazzi e
le ragazze; ciò permette di valutare sia l’affettività e la fantasia dei ragazzi, ma anche degli
aspetti della loro personalità)
test proiettivi strutturali: Test di Rorschach composto da 10 tavole in cui sono riprodotte
macchie d’inchiostro di forma ambigua simmetriche rispetto all’asse centrale; al paziente
viene chiesto di rispondere di getto alla prima cosa che gli sembra di vedere appena gli
viene data l’immagine; in questo modo la risposta è basata solo su un dato percettivo ma
allo stesso tempo può essere influenzata anche dai vissuti personali. Ogni risposta data
viene valutata secondo tre parametri: la localizzazione (riferimento alla parte della tavola
interpretata), la determinante (caratteristica della tavola che ha suscitato la risposta), il
contenuto della risposta. Il profilo che emerge è in grado di fornire un quadro approfondito
della personalità del soggetto rilevando aspetti cognitivi, la struttura profonda della
personalità, l’assetto difensivo e l’immagine che il soggetto ha di sé.
7.1 la “Wechsler adult intelligence scale” (WAIS-R): una scala per la valutazione delle capacità
cognitive
Wechsler considerava l’intelligenza come la capacità globale dell’individuo di agire con uno scopo,
di pensare ragionevolmente e di gestire il proprio ambiente. La Wais consta di 11 subtest (scala
totale): 6 di essi costituiscono le sottoscale verbali (si valuta linguaggio, ragionamento numerico e
verbale), 5 quelle non verbali o di performance (manipolazione di oggetti).
L’esaminatore deve possedere una specifica competenza per registrare le risposte senza esitazioni
affrontando qualsiasi reazione del soggetto; egli deve somministrare il materiale dell’esame in
maniera chiara e con modalità e tempi tali da poter permettere un buono svolgimento del test.
Questa scala consente la definizione del QI (confronto tra la capacità di risoluzione di problemi nel
test, quindi l’età mentale, e la sua età cronologica). Questo si ottiene confrontando la prestazione
del soggetto, ovvero la sua capacità di risolvere i problemi nel test, definita età mentale, e la sua
età cronologica. La formula del QI è la seguente: QI=100 x EM/EC.
Rischio: etichettamento ed attribuzione di un livello d’intelligenza che potrebbe influenzare il
comportamento di insegnanti e genitori.
CAPITOLO 3
1. IL RUOLO DELLE TEORIE IN PSICOLOGIA CLINICA
La psicologia clinica ha bisogno di teorie che guidano le sue operazioni, diagnostiche e
terapeutiche, alla cui costruzione concorrono i rilievi effettuati nella pratica clinica e le conoscenze
accumulate nei diversi campi della psicologia, in primo luogo la psicologia dinamica, ma anche la
psicologia generale, quella dello sviluppo e sociale, la psicofisiologia, la neuropsicologia e le
neuroscienze in generale. I modelli teorici cercano di dare risposte plausibili agli interrogativi sul
modo in cui operano i processi psichici, sulle cause che ne portano all’alterazione e sulle forme in
cui si manifestano gli stati di disagio.
Una teoria comprende una serie di affermazioni (sintetizzate ed elaborate) sulla natura dei
fenomeni e sui loro rapporti. I sistemi teorici possono essere falsi o veri, validi e utili.
Una buona teoria, per essere definita “utile” deve:
- contenere preposizioni coerentemente articolate
- le preposizioni devono spiegare il maggior numero possibile di leggi e fatti con il minor
numero di principi
- le preposizioni devo dare vita alle ipotesi che a loro volta devono essere verificate
empiricamente
Una teoria, pertanto, è una prospettiva organizzativa ed esplicativa dei fenomeni osservati, che
guida la ricerca, permette di collocare i dati dell'osservazione all'interno di una trama articolata e di
dare loro un significato, aiuta a sviluppare le ipotesi da sottoporre a verifica e a scegliere il metodo
più idoneo per testarle.
Naturalmente l'adozione di un determinato modello teorico può comportare anche i rischi legati a
un atteggiamento di tipo settario o dogmatico, che porta a trascurare campi di indagine o
fenomeni non valorizzati in quel particolare approccio e a ignorare i suggerimenti e i contributi
conoscitivi che possono venire da altre concezioni teoriche.
Uno stesso fenomeno può trovare una spiegazione nei diversi approcci della psicologia clinica, ed
essere pertanto affrontato con modalità diverse. Gli approcci operano anche nelle nostre teorie
personali. Le Teorie private sono molto presenti nel campo delle scienze psicologiche e possono
agire con forza, e molto pericolosamente, come pregiudizi, sia influenzando l'opzione teorica
adottata sia il modo più o meno dogmatico o critico, rigido o flessibile, passivo o creativo, in cui
questa viene usata. Queste possono essere anche adeguate e sensate, ma pur sempre personali.
L’eventualità di affidarsi alle teorie personali nell’attuazione di processi psicologici è rischiosa in
quanto può verificarsi negli interventi psicologici che possano coesistere sia le competenze
professionali che le di posizioni personalmente motivate. Questo richiamo è dovuto al fatto che
molti professionisti, soprattutto dell'aria sanitaria, si trovano più facilmente nelle condizioni di
intervenire psicologicamente sulle persone assistite senza disporre di adeguate competenze e
affidandosi alle proprie capacità e modi di pensare, implicitamente adottati come modelli di
riferimento validi anche per gli altri. Gli operatori sanitari generalmente hanno un’eccessiva
propensione verso una concezione di tipo biologistico dei problemi psicologici, ciò perché tale
approccio può facilmente costruire una modalità difensiva di fronte alle ansie dovute alla
complessità del linguaggio della vita psichica. Una cosa simile accade anche a livello inconscio,
dove i conflitti intrapsichici possono esplicitarsi in sintomi somatici, che assumono la difesa nei loro
confronti, per cui è possibile manifestare:
I sintomi psicosomatici si verificano quando i conflitti interni sfociano in manifestazioni
fisiche
Preoccupazioni ipocondriache: eccessivo controllo del funzionamento del corpo
Meccanismi di difesa attraverso la proiezione (un processo psicologico inconscio, che il
soggetto può utilizzare con finalità protettive e adattative), che consiste nel collocare fuori
di sé e nell'attribuire ad altri aspetti personali rifiutati in quanto spiacevoli, mortificanti,
riprovevoli o dolorosi
2. LA TEORIA PSICOANALITICA
La psicoanalisi è una costruzione teorica articolata sull’organizzazione della personalità e
sull’origine delle manifestazioni psicopatologiche, nata a partire dall’osservazione di particolari
disturbi isterici. L’isteria è un disturbo psicologico che si manifesta con sintomi somatici (paralisi,
spasmi muscolari ecc) privi di causa organica; per Freud l’isteria e i disturbi patologici sono dovuti
alla presenza di conflitti psichici inconsci e le esperienze traumatiche subite nell’età infantile.
Gli aspetti più significativi delle scoperte freudiane:
• il concetto di processi psichici inconsci che agiscono inconsciamente
• possibile compresenza di processi psichici diversi che portano il soggetto ad agire talvolta in
maniera contraddittoria
• emozioni spiacevoli (colpa o schifo) collegate all’azione di un auto rimprovero (parte giudicante
della vita psichica)
• parte razionale in grado di effettuare una corretta valutazione di ciò che accade e cerca di
contrastare i propri impulsi o di provare a giustificarsi
• costante contrasto tra queste componenti che generano un processo di lotta interna nel soggetto
La psicologia dinamica vede la vita psichica come il risultato dell’iterazione conflittuale di motivi e
processi psichici che tendono a un obiettivo. Il modello psicoanalitico comprende dunque un
insieme di costrutti teorici sul funzionamento della personalità, di cui delimita l’organizzazione,
l’evoluzione e le alterazioni che possono portare a disturbi patologici.
3. IL CONFLITTO PSICHICO
Le varie componenti e i contenuti dell’apparato psichico interagiscono costantemente in un
rapporto dinamico, in quanto spesso tra di loro sono in conflitto. Il concetto di conflitto ha un
ruolo centrale nella teoria psicoanalitica della personalità, in quanto tratta la natura e le dinamiche
dei conflitti inconsci, inoltre analizza le loro conseguenze sulla vita psichica e relazionare. I temi
conflittuali principali possono essere ricondotti alle esperienze di appagamento e di frustrazione a
cui sono andati incontro i bisogni e le motivazioni del bambino all’interno delle relazioni con le
figure significative. Tali bisogni sono:
a) dipendenza/indipendenza nei rapporti
b) competizione/paura del confronto
c) dominio sull’altro/sottomissione
d) ricerca piacere sessuale/colpevolizzazione.
I conflitti possono essere relativi alla presenza di:
motivazioni incompatibili
bisogni e desideri riprovati dal Super Io
desideri incompatibili con i propri ideali che impongono scelte diverse
sentimenti contraddittori verso lo stesso oggetto o verso oggetti diversi
rappresentazioni di sé contraddittorie
Gli eventi della vita adulta, sia quelli positivi che negativi, diventano traumatici e quindi fattori
scatenanti di disagio, in quanto sono in grado di riattivare conflitti intraspecifici infantili repressi ai
quali sono effettivamente collegati.
Il mondo psicologico del bambino si struttura attraverso l’interiorizzazione delle relazioni tra il
bambino e il singolo genitore, tra il bambino e i genitori (intesi come coppia), la relazione tra i
genitori, la relazione tra i genitori e i fratelli la qualità delle relazioni interiorizzate dipende: dai
comportamenti reali dei soggetti coinvolti, dall’esperienza soggettiva del bambino, e dalle difese
che egli adopera difronte alle frustrazioni. Nel primo periodo di esistenza di un bambino, egli è
sottoposto soprattutto alla pressione di bisogni fisiologici e si trova in una condizione di totale
impotenza e dipendenza dell’adulto che si prende cura di lui: ciò è molto importante per lo
sviluppo psicologico del bambino, in quanto esso dipende dalla quantità e dalla modalità in cui la
figura parentale si prende cura di lui. Attraverso atteggiamenti di contenimento (holding), cure
corporee (handling) e la capacità di sintonizzarsi emotivamente, si riesce a costruire un canale
comunicativo privilegiato tra la madre e il bambino soprattutto in un periodo dove è assente la
comunicazione verbale. La sollecitudine e le risposte adeguate del genitore aiutano il bambino sia
a discriminare e contenere i propri confusi stati psicofisici (che si trasformeranno poi in bisogni e
affetti differenziati), sia a facilitare le risposte di attaccamento all’adulto (comportamenti di ricerca
fiduciosa e di legame selettivo verso una figura che è fonte di sicurezza e protezione).
È la qualità delle cure precoci che permette di porre le basi per realizzare una sana strutturazione
delle funzioni psichiche e la costruzione di un senso di sé coeso e differenziato rispetto all’altro.
Un positivo superamento dei compiti evolutivi e dei conflitti legati alle dinamiche relazionali
permette di affrontare con risorse adeguate le vicende legate alla sessualità e alla configurazione
edipica riguarda la centralità che la sessualità viene ad assumere nello sviluppo psicologico e
nelle relazioni del bambino con le figure genitoriali. L’interesse del bambino si sposta sui genitali e
le sue esperienze affettive sono centrate sul rapporto con i genitori che vede come una coppia di
adulti di sesso diverso legati da una relazione sessuale, verso i quali ha risposte di attaccamento.
La scoperta della relazione sessuale tra i genitori causa ansie, gelosia, rivalità, a queste si
aggiungono anche altre ansie legate all’angoscia di castrazione (per Freud è l’ansia di perdita o di
impotenza delle proprie capacità genitali). Le esperienze evolutive precedenti e le difese adottate
dal bambino per affrontare le frustrazioni condizionano il modo in cui verranno affrontate ed
elaborate quelle successive infatti il positivo superamento delle vicende edipiche porta allo
stabilirsi di una solida identità sessuale, legata fondamentalmente ai processi di identificazione con
le figure parentali, che porta all’acquisizione e integrazione di caratteristiche psicologiche
all’interno della propria identità di genere. L’intensità e la configurazione che assumono i conflitti
fondamentali lungo il percorso evolutivo e le soluzioni dinamiche che ne vengono inconsciamente
date, portano alla costruzione delle caratteristiche di personalità dell’adulto e alla formazione di
predisposizioni a sviluppare determinati disturbi psicologici.
5. I DISTURBI PSICHICI
Nel campo della psicopatologia la malattia viene individuata e classificata, anche se non sempre è
possibile, in base a criteri etiopatologici, cioè in base all’ etiologia e alla patogenesi. Quando invece
si ignorano le cause delle malattie, queste vengono classificate in base ai sintomi, che costituiscono
le manifestazioni finali, osservabili, dei processi patologici, ma anche mutevoli e non esclusivisti di
una sola malattia.
Si definiscono sindromi i quadri patologici individuati in base a un insieme di sintomi che si
presentano abitualmente associati, in modo relativamente stabile, e diagnosi
nosografico-descrittiva la classificazione delle malattie basate su tale criterio.
La maggior parte dei disturbi psicologici e del comportamento non ha spiegazioni chiare,
definitivamente accertate e universalmente condivise, per cui la loro classificazione è più
problematica, viene effettuata soprattutto su base sintomatologica e risente molto anche di criteri
statistici e culturali. I vari parametri utilizzati per individuare una condizione patologica spesso
portano a sovrapposizioni tra i quadri patologici, ciascuno dei quali può presentare aspetti comuni
anche a un altro disturbo.
fobie: presenza di intense paure irrazionali nei confronti di particolari situazioni, luoghi od
oggetti, la fobia sociale ad esempio è il timore della presenza di altre persone che creano
inibizioni più o meno intense
disturbo post- traumatico da stress: protrarsi di uno stato ansioso, spesso riconducibile a
un’esperienza traumatica
La patologia psicotica comprende le forme patologiche più gravi nelle quali sono presenti
alterazioni dei processi mentali e in cui il soggetto va incontro ad alterazioni della realtà (deliri,
allucinazioni). Il soggetto va incontro a sistemi di pensiero strani e complessi (deliri) o distorsioni
percettive sia visive che uditive (allucinazioni). Tra le sindromi psicometriche rientrano:
schizofrenia: disorganizzazione della personalità che compromette l’attività ideativa, la
percezione della realtà esterna e del proprio corpo, e la vita di relazione; si esplicita con
la chiusura in sé stessi, l’angoscia e il disinteresse verso il mondo
paranoia: delirio sistematizzato generato da un pensiero lucido e coerente che parte
però da premesse false
disturbi dell’umore: depressione maggiore (grave forma di depressione non
riconducibile a cause concrete) e mania (eccessivo e ingiustificato senso di euforia,
sicurezza); la psicosi maniaco-depressiva si verifica quando le due condizioni si
verificano in maniera alternata
disturbi di personalità: modelli di comportamento rigidi e pervasivi che si discostano dai
modelli culturali dominanti; qui non abbiamo a che fare con sintomi circoscritti, ma è
l’intera costruzione della personalità che funziona secondo schemi non elastici (es.
personalità paranoide, antisociale, narcisista, borderline, dipendente ecc.…)
1. IL FENOMENO <<BURNOUT>>
Il burnout è un fenomeno complesso e multidimensionale, usato negli anni 30 per distinguere un
fenomeno tipico dell’atleta che, dopo alcuni successi, si esaurisce senza essere più capace di dare
nulla dal punto di vista agonistico. Analogia con il fenomeno dell’operatore sanitario che, dopo un
periodo intenso di lavoro, si “brucia” e non ha più nulla da offrire a livello psicologico.
Molti autori propongono hanno proposto vari modelli per spiegare cosa succede all’operatore
sottoposto a questo fenomenosecondo Cherniss l’operatore attraversa prima una fase in cui
avverte uno squilibrio fra richieste provenienti dall’ambiente e risorse personali (fase dello stress)
ma continua a svolgere con fatica il proprio lavoro. Successivamente sperimenta tensione emotiva,
ansia, irritabilità o noia e apatia (fase dell’esaurimento). L’ultima tappa è il disinvestimento
emozionale con caduta della spinta motivazionale, perdita di entusiasmo, interesse e
responsabilità (fase della conclusione difensiva). L’operatore ormai “bruciato” comincia poi a
lavorare in maniera estremamente rigida, e ciò causa squilibri sia nel rapporto con i pazienti, sia
con i colleghi e le altre figure professionali. Il burnout rappresenta per molti aspetti una strategia
difensiva disfunzionale, esso danneggia sia l’operatore sia la qualità del suo lavoro.
Secondo alcuni autori il burnout ha uno sviluppo ciclico basato su 5 fasi:
1) entusiasmo idealistico: collegato fortemente alle motivazioni consapevoli e non, che hanno
portano l’operatore a scegliere un lavoro assistenziale
2) stagnazione: graduale disimpegno, il lavoro non soddisfa del tutto i bisogni dell’operatore e
ciò comporta una diminuzione delle prestazioni lavorative stesse; ci troviamo in una fase di
“carriera bloccata” in cui non ci sono nuovi stimoli e esperienze che ci fanno perdere
l’entusiasmo; in questa fase può essere fondamentale il lavoro di gruppo per riuscire a
sconfiggere questo fenomeno
3) frustrazione: fase più critica del burnout, l’operatore prova un senso di impotenza nei
confronti dell’utente
4) apatia: forma di morte professionale, è una conseguenza della frustrazione che ha portato
l’operatore a chiudersi sempre di più e sperimenta un senso di noia e fastidio per le
richieste che è portato a svolgere sul lavoro.
5) intervento: cambiamento delle condizioni lavorative e degli atteggiamenti dovuta a una
ristrutturazione cognitiva della propria situazione professionale.
4.1 L’istituzione
L’istituzione accoglie oggetti, persone, gruppi e le loro proiezioni e attese, è la risultante di
interazioni tipiche dei sistemi complessi. L’istituzione deve esserci e funzionare bene affinché
l’organizzazione possa facilitare il lavoro. L’istituzione può essere vista come un gruppo allargato
nato intorno a un compito e caratterizzato dal fatto che i suoi membri sono tenuti insieme da forti
vincoli di affettività e da fini condivisi. L’istituzione può essere considerata come un macchinario
strutturato attorno un compito socialmente rilevante, caratterizzato da funzionamento automatico
e ripetitivo; quindi ne sono attribuiti
- meccanicità: legame causa effetto per spiegare gli eventi interni
- l’astrocità-staticità: la quotidianità ripetitiva
- l’aspetto sovrapersonale: le persone che si dedicano a un compito possono essere sostituite
da altre che fanno la stessa cosa con fissità di regole e mansioni
- uguaglianza rispetto al ruolo che può essere ricoperto da più persone
- il compito coincide con un obiettivo comunicabile
Tutti questi elementi rendono una costituzione stabile.
L’istituzione però può anche essere vista come un gruppo allargato nato intorno a un compito e
caratterizzato dal fatto che i suoi membri sono tenuti assieme da forti vincoli di affettività, storia
comune e fini condivisi. Ne sono quindi attribuiti:
- legami affettivi
- La storia del gruppo
- Esistenza di un gruppo fondatore (figure significative)
- La mentalità e il linguaggio comuni
- Le norme
- Il clima
- Il patrimonio effettivo ideale (senso di appartenenza, spirito di gruppo)
- L’identificazione e la funzione strutturale nella vita psichica individuale
- Memoria e progettualità
Un altro assunto di base è detto “di dipendenza” e si verifica quando il gruppo si riunisce allo scopo
di dipendere da qualcuno o da un capo che riesca a soddisfare le loro aspettative
I gruppi di studio e di informazione sono occasioni in cui ci si confronta su temi che possono essere
approfonditi tramite ricerche; molte iniziative ormai si configurano con i corsi di formazione che
possono aiutare a comprendere e a tollerare meglio le difficoltà del lavoro in se e delle eventuali
interazioni, possono inoltre indurre importanti fattori di cambiamento e di miglioramento.
L' assunto di base di accoppiamento è un insieme di difese contro angosce depressive: in questo
caso il clima emotivo del gruppo è guidato dalla convinzione magica secondo cui la risoluzione dei
problemi del gruppo sia possibile per mezzo della nascita di un essere, una specie di messia. E solo
in questo caso, affinché si alimenti questa speranza, è tollerata l’unione di due membri del gruppo.
La nuova creatura in realtà non si concretizzerà mai, perché ogni pensiero nuovo comporta un
cambiamento e quindi una sofferenza psichica, perciò temuto e allontanato. In caso contrario
avviene lo scisma.
Un aiuto più specifico agli operatori può venire dai gruppi di lavoro condotti dagli psicologi a cui
possono partecipare figure professionali omogenee e eterogenee. Tra questi possiamo ricordare i
“gruppi Balint” che consistono in discussioni di gruppo di casi clinici che comprendono il confronto
anche con i vissuti e i coinvolgimenti emotivi della vita professionale: in questi incontri oltre a
ricevere consigli e informazioni si può effettuare un percorso di crescita personale.
La risonanza è un modo attraverso cui nel gruppo circolano ricordi, pensieri, fantasie e sono un
modo in cui si può apprendere meglio la conoscenza di sé e degli altri.
Il rispecchiamento è un fenomeno in cui inconsapevolmente vengono colti aspetti di sé nell’altro.
Invece, attraverso la simulazione e la drammatizzazione i gruppi possono analizzare dai casi clinici,
questo processo deve essere guidato ovviamente da uno psicologo che funge da conduttore del
gioco, egli infatti spinge i partecipante a simulare delle particolari situazioni di gruppo: l’inversione
delle parti, il doppiaggio consentono la riflessione dei membri del gruppo consentendogli di
allenare schemi interpretativi coatti e di dare rapidamente nuove prospettive per comprendere i
sentimenti altrui.
4.3 il team
Il team è la squadra al lavoro, composta da un numero fisso di figure professionali differenti che
lavorano insieme in assetto prevalentemente circolare e cooperativo il cui obiettivo è quello del
recupero del benessere dei malati e dei loro familiari (in ambito sanitario). Può tuttavia succedere
che varino le persone all’interno di un team, la cosa importante è che sia stabile la disposizione
mentale a lavorare insieme (integrazione personale e di competenze).
Il lavoro integrato è fondamentale in un team in quanto quest’ultimo deve elaborare un progetto in
cui partecipano più figure professionali e in cui si decide assieme il modus opendandi più corretto
per trattare un paziente.