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RIASSUNTI LIBRO “PSICOLOGIA CLINICA” di Nicolino Rossi

CAPITOLO 1
1. EVOLUZIONE E STATO ATTUALE DELLA PROFESSIONALITÀ IN PSICOLOGIA CLINICA
La psicologia clinica è la disciplina che comprende l’insieme delle conoscenze e delle competenze
psicologiche utilizzate per affrontare i problemi delle persone, i quali possono presentarsi
attraverso varie modalità (es. difficoltà di adattamento, stati di disagio e di sofferenza,
manifestazioni psicopatologiche ecc). La psicologia clinica costituisce la dimensione applicativa di
tipo clinico della scienza della psicologia, che si esprime con interventi di tipo psicodiagnostico e si
aiuto psicologico, i quali vengono attuati utilizzando strumenti e metodi di indagine e specifiche
tecniche d’intervento.

1.1 la professionalità psicologica


La psicologia è la scienza del comportamento e dei processi mentali, il cui fine è quello di arrivare a
descrivere il funzionamento e le leggi che ne regolano l’attività; la sua nascita è collocabile nella
seconda metà del XIX secolo (allestimento laboratorio di ricerca di Wundt nel 1879), ma solo alla
fine del XX secolo fu riconosciuta a livello accademico e giuridico-normativo. Nel 1971, infatti, sono
stati istituiti i corsi di laurea in Psicologia poi trasformati in una vera e propria facoltà. Nel 1989
invece è stata riconosciuta e regolamentata la professione di psicologo; quest’ultima comprende
l’uso di strumenti conoscitivi e d’intervento per la prevenzione, la diagnosi e le attività di
abilitazione- riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alle persone, ai gruppi, agli
organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e
didattica in tale ambito. La psicologia comprende vari ambiti di ricerca, indagine e intervento a
seconda della molteplicità degli aspetti di vita psichica e di relazione di cui si occupa, con finalità e
approcci teorico-metodologici diversi.

1.2 origine e sviluppi della psicologia clinica


Il termine “clinico” deriva dal greco klinikos, la cui radice kline significa “letto” quindi si definisce
non solo alla condizione di terapia e cura ma anche all’atteggiamento terapeutico basato sulla
vicinanza al paziente. Nell’evoluzione della psicologia clinica centralità ha avuto la valutazione
psicometrica (l’insieme dei metodi d’indagine psicologica, perlopiù test, che tendono al
raggiungimento di valutazioni quantitative del comportamento umano), a cui si è
progressivamente affiancata un’attività di aiuto psicologico alle persone: la psicoterapia.
La psicoanalisi è la denominazione data ad una tecnica psicoterapica nata alla fine dell’800 con
Freud; essa mirava a scoprire ed eliminare le cause intrapsichiche inconsce dei disturbi psicologici.
La psicoanalisi ha costituito un modello di riferimento per la psicologia clinica poiché grazie ad essa
è riuscita a sviluppare la sua dimensione psicoterapeuta accanto alla valutazione testistica. Anche il
comportamentismo ha influenzato la psicologia clinica, in quanto ha ispirato tecniche di approccio
psicoterapeutico fornendo anche una base scientifica e gli strumenti tecnico per attuarlo. La
diffusione della pratica psicoterapeuta però ha reso necessaria la regolamentazione dei suoi
rapporti con la psichiatria (branca della medicina che si occupa della cura delle patologie psichiche)

1.3 psicologia clinica e psichiatria


La psichiatria è la branca della medicina che si occupa della cura dei disturbi mentali, agli psichiatri
è riservato l’uso dei farmaci o di altre tecniche di intervento di tipo medico per curare i disturbi
della sfera psichica, gli psicologi impiegano tecniche di tipo psicoterapeutico.
Sia psichiatri che psicologi clinici possono valutare e trattare disturbi psichici utilizzando tecniche di
tipo psicoterapeutico. Gli psichiatri si dedicano maggiormente a capire le cause biologiche dei
disturbi, per questo la loro attenzione è rivolta maggiormente alle alterazioni delle funzioni della
struttura celebrale; il loro compito è quello di curare i malati mentali più gravi, poiché essi hanno
maggiore bisogno di terapie farmacologiche o di altri interventi di tipo sanitario.
Gli psicologi clinici rivolgono la loro attenzione alle forme di disadattamento meno gravi,
affrontabili con mezzi psicologici, le cui origini si possono ricondurre a esperienze vitali
problematiche. La psichiatria si occupa delle malattie come entità da spiegare e curare, la
psicologia presta attenzione al malato, alla persona sofferente e all’approfondimento dei problemi
psicologici.

2.COMPETENZE PROFESSIONALI DEGLI PSICOLOGI CLINICI


Gli obiettivi dello psicologo clinico consistono fondamentalmente in interventi conoscitivi e
valutativi e interventi di aiuto psicologico, psicoterapeutico e riabilitativo; a queste si possono
aggiungere gli interventi di tipo preventivo

2.1 specificità e caratteristiche della valutazione psicologica


La valutazione psicologica ha sempre costituito l’attività prevalente della psicologia clinica
Caratteristiche della valutazione psicologica:
• diagnosi: individuazione delle alterazioni biologiche cha hanno generato un problema,
• diagnosi etiologica: distinzione tra le varie alternative individuando la causa specifica che ha
generato il sintomo
• spiegazione causale: attribuire un significato alle spiegazioni sintomatiche, cercare di capire come
la storia della vita di un soggetto possano determinare i comportamenti che esso assume
• interpretazione: decodificazione del significato soggettivo che un certo comportamento o
sintomo ha nella vita psichica e di relazione di una persona si tratta di una conoscenza storico-
motivazionale che cerca di analizzare le esperienze di vita di un soggetto per capire le motivazioni e
le cause che hanno portato a un determinato comportamento. Ciò si fa utilizzando un metodo
indiziario in cui viene data importanza anche al più piccolo dei dettagli
• diagnosi nosografico- descrittiva: permette la collocazione del disturbo all’interno di quanto è già
conosciuto dalla comunità scientifica internazionale in merito alla gravità del disturbo, alle sue
caratteristiche, al decorso e alle terapie. Quest’ultima fase è di aiuto allo psichiatra qualora egli
volesse intraprendere con il paziente un trattamento farmacologico

Il campo d’intervento della psicologia clinica è molto ampio in quanto comprende molte situazioni
in cui è necessario prendere in considerazione, a fine diagnostici e preventivi, la componenti
psicologiche coinvolte in determinati situazioni, sia per spiegar vari comportamenti, sia per
prevedere la futura insorgenza:
1. campo della sanità: intervento richiesto per aiutare il paziente ad affrontare le conseguenze
della malattia, per quanto riguarda l’adattamento emotivo personale e relazionale.
2. campo dell’età evolutiva: accertamento ritardi evolutivi, approfondimento di difficoltà e
reazioni d’ansia, ecc..; si attuano interventi psicologici per superare difficoltà e favorire il
recupero di ragazzi maggiormente esposti ad andare incontro a disadattamenti
3. campo della genitorialità: aiuto e sostegno delle figure genitoriali soprattutto nelle pratiche
di adozione
4. campo giudiziario: contributo diagnostico in merito a situazioni di separazione tra genitori,
all’affidamento dei minori, ecc…
Nb: pratica psichiatrica maggiormente incentrata sull’aspetto patologico; pratica psicologica pone
l’attenzione sulla condizione di sofferenza che sta affrontando una persona, non sempre facilmente
riconducibili a un ben definito quadro patologico.

2.2 La diagnosi di personalità


L’aspetto fondamentale della valutazione psicologica riguarda la costruzione di un profilo
psicologico della persona, che mette in relazione le caratteristiche psicologiche di un soggetto con
le varie componenti della personalità. Attraverso la diagnosi di personalità si va a vedere in che
modo e quanto sono presenti nell’individuo le varie dimensioni della personalità. Attraverso un
colloquio si può arrivare a trattare temi rilevanti che aiutino a costruire un profilo psicodinamico
del soggetto. Ogni indagine psicologica è condizionata dai presupposti teorici che la guidano.
L’intervento dello psicologo non può prescindere dalla collaborazione del paziente e dalla sua
consapevolezza che il disagio ha un ruolo importante; è necessaria la valutazione di:
• grado di consapevolezza della natura psicologica del problema
• motivazione ad affrontare la conoscenza degli aspetti della propria personalità che possono
determinare alcune manifestazioni del disagio
• grado di sofferenza soggettiva per le difficoltà che incontra
• aspettative nei confronti dell’intervento

2.3 l’intervento psicoterapeutico


Oltre alla valutazione gli psicologi clinici si dedicano a prestare aiuto alle persone che presentano
difficoltà di natura psicologica. L’intervento psicologico finalizzato a migliorare le condizioni
emotive, le capacità di adattamento ed alleviare stati di sofferenza e disturbi psicologici è
generalmente definito psicoterapia: trattamento che utilizza mezzi psicologici per aiutare una
persona con problemi di natura psichica. Oggi questa pratica è diventata una prestazione di tipo
specialistico riservata a medici e psicologi con un’adeguata formazione presso una scuola di
specializzazione riconosciuta dallo stato. La psicoterapia può essere definita come un intervento
professionale rivolto a un individuo, una coppia, una famiglia, finalizzato a raggiungere un
cambiamento nel loro funzionamento mentale che risulta fonte di sofferenza e di disadattamento,
utilizzando una tecnica psicologica secondo precise modalità, la quale definisce gli obiettivi che si
vogliono raggiungere e li collega alle strategie utilizzate per ottenerli.

2.4 gli approcci psicoterapeutici


Il trattamento psicoterapeutico mira ad aiutare una persona a liberarsi del disagio che lo porta a
intraprendere la cura; ciò lo si fa agendo sulla realtà emotiva del paziente: modificando il suo modo
di pensare, interagire ecc.… affinché egli possa avere maggiore padronanza della sua vita
intrapsichica. Gli approcci psicoterapici possono essere classificati in base agli obiettivi che si
prefiggono e dei processi psichici su cui si propongono di agire; gli approcci psicoterapeutici sono:
• terapie comportamentali: finalizzate a modificare sintomi e comportamenti patologici
• terapie cognitive: tendono a modificare i processi di pensiero che sostengono i comportamenti e
i vissuti disadattavi
• psicoanalisi e terapie psicoanaliticamente orientate: indirizzate a capire le forze motivazionali e i
conflitti che sottostanno alle manifestazioni patologiche
• terapie umanistico-esistenziali: mirano a comprendere l’esperienza soggettiva della persona
• terapie relazionali-sistemiche: hanno come oggetto d’intervento le dinamiche relazionali attive
all’interno del gruppo familiare a cui appartiene la persona sofferente
2.4.1 Le terapie comportamentali Queste particolari terapie sono elaborate all’interno
dell’approccio comportamentista, e il loro obiettivo è quello di modificare i sintomi e i
comportamenti disadattivi. L’oggetto di studio dell’approccio comportamentista è il
comportamento manifesto che si basa sull’osservazione di dati tangibili per arrivare
all’elaborazione di tesi sia sul mondo animale che umano. Secondo tale prospettiva i
comportamenti sono il risultato dell’apprendimento che si verifica sotto le influenze dell’ambiente
e si istaurano mediante processi di apprendimento riconducibili a 3 meccanismi fondamentali:
 condizionamento classico: spiega come una risposta presente nel repertorio
comportamentale di una persona, emessa nei confronti di un determinato stimolo
(incondizionato) può essere attivata da uno stimolo nuovo (condizionato) se si presenta con
una particolare associazione temporale al precedente
 condizionamento operante: agisce attraverso gli effetti che le ricompense o le punizioni
hanno sulle condotte spontanee
 apprendimento osservativo: apprendimento di condotte attraverso l’imitazione di modelli
osservati
Le tecniche terapeutiche derivate dal paradigma comportamentista si basano su interventi di
condizionamento e controcondizionamento che mirano a sviluppare comportamenti adattivi e
desiderabili e eliminare/gestire comportamenti disturbanti e patologici.

2.4.2 terapie cognitive il cognitivismo è uno sviluppo della terapia comportamentale. Questo
approccio pone al centro la capacità attraverso cui immagazziniamo, elaboriamo e organizziamo le
informazioni che riceviamo attraverso le funzioni cognitive. Secondo il cognitivismo i
comportamenti sono riconducibili a degli schemi cognitivi che una persona si costruisce in
relazione alle proprie esperienze e agli stati emotivi collegate ad esse; gli schemi mentali
funzionano come “modelli” da seguire. Secondo questo approccio anche i disturbi del
comportamento e la sofferenza emotiva sono riconducibili a un modo distorto di interpretare gli
eventi, per cui per eliminarli, sul piano clinico le tecniche terapeutiche di tipo cognitivo si
propongono di agire sul disaggio soggettivo o sulla condotta patologica, modificando le convinzioni
errate di una persona e le interpretazioni distorte che le sostengono.

2.4.3 la psicoanalisi Questo metodo fu elaborato da Freud il cui fine era quello di curare i
disturbi nevrotici, ma successivamente fu utilizzato anche per comprendere e sciogliere i conflitti
inconsci che sottostanno alle manifestazioni patologiche in età adulta e infantile. Questo
trattamento pone la sua attenzione sulle forze motivazionali e le rappresentazioni inconsce di sé e
delle figure significative dell’infanzia. L’azione terapeutica avviene in primis acquistando una
maggiore consapevolezza di sé stessi, solo così si può poi agire sulle dinamiche profonde e l’assetto
psicologico di una persona. Le interpretazioni sono dei suggerimenti/ipotesi fatte dallo
psicoanalista basate sulle libere associazioni del paziente. Il transfert è un processo di trasposizione
inconsapevole per il quale l'individuo tende a spostare schemi di sentimenti, emozioni e pensieri
da una relazione significativa passata a una persona coinvolta in una relazione interpersonale
attuale. Il soggetto non comprende completamente da dove si originino tali sentimenti, emozioni e
pensieri, per questo lo psicoanalista lo deve guidare nella conoscenza di sé attraverso il setting.
Quest’ultimo è un trattamento che se svolto nelle giuste modalità aiuta il paziente a diventare più
consapevole dei significati nascosti sottostanti ai suoi comportamenti e alle sue risposte emotive.
In questo delicato lavoro gioca un ruolo fondamentale il terapeuta che deve comprendere ed
elaborare le sue stesse relazioni emotive che possono aiutarlo a capire quanto va accadendo nella
relazione terapeutica (controtransfert)
2.4.4 l’approccio umanistico Con questo termine si vanno a indicare vari approcci terapeutici
(terapia della Gestalt, terapia centrata sul cliente, analisi transazionale, analisi esistenziale)
accumunati tutti dalla concezione filosofica dell’uomo che privilegia la libertà di scelta e di
iniziativa, la tendenza ad operare al meglio le proprie risorse per arrivare alla realizzazione di sé,
l’interpretazione della realtà e del rapporto con il mondo per capire i vari comportamenti. Un
atteggiamento empatico da parte del terapeuta durante gli interventi terapeutici può aiutare il
soggetto a raggiungere il benessere.

2.4.5 approccio relazionale-sistemici Hanno come oggetto d’intervento le dinamiche relazionali


attive all’interno del gruppo familiare a cui appartiene la persona sofferente; il comportamento
patologico è visto come conseguente ad un’alterazione dei processi comunicativi interpersonali che
avvengono all’interno del sistema, per questo l’intervento terapeutico agisce nell’intero sistema
sofferente (famiglia o coppia). Secondo questo approccio non è possibile produrre cambiamenti in
un singolo elemento del sistema, in quanto all’interno di questi sistemi i membri che ne fanno
parte sono legati tramite rapporti di casualità circolare (interdipendenza e influenza reciproca tra
essi). Il doppio legame è un dilemma comunicativo a causa delle contraddizioni tra messaggi, e una
persona sottoposta a questa sbagliata modalità comunicativa può sviluppare sintomi schizofrenici.
Le terapie di tipo relazionale mirano a interrompere gli scambi comunicativi anomali che sono alla
base della patologia individuale.

2.5 fattori di cambiamento delle psicoterapie


Questi approcci cercano di raggiungere i risultati terapeutici mediante l’utilizzo di una tecnica
specifica. Generalmente l’azione terapeutica è affidata a:
 gli interventi verbali del terapeuta: aiutano il paziente a elaborazione e comprendere
meglio le proprie esperienze
 la relazione terapeutica: costruzione di un clima positivo e funzionale al lavoro terapeutico,
e l’adeguata gestione e comprensione delle dinamiche affettive sviluppatesi durante il
trattamento.

I fattori terapeutici specifici sono quelli che sono in grado di portare cambiamenti nella vita
psichica del paziente (comprendono le caratteristiche del paziente, il modello teorico di
riferimento, tipo di terapia effettuata ecc). I fattori terapeutici aspecifici sono quelli che agiscono su
ogni tipo di psicoterapia e sono legato al rapporto terapeutico (il paziente trae giovamento nel
parlare con uno specialista che lavora per il suo benessere), ma non per questo bisogni pensare
che sono meno importanti dei precedenti.

3. COMPETENZE PSICOLOGICHE E PRATICA SANITARIA


Gli interventi degli operatori sanitari rientrano nell’ambito della prevenzione, funzionano come
aiuto e impediscono lo strutturarsi e l’aggravarsi di situazioni problematiche generate da fattori di
natura psicologica e relazionale. Il compito principale è quello di individuare i bisogni di salute della
persona e della collettività e ciò può essere realizzato stabilendo relazioni d’aiuto con i
pazienti/familiari attraverso le conoscenze relative alle dinamiche relazionali che accompagnano il
lavoro assistenziale. L’obiettivo dell’operatore sanitario è quello di migliorare la qualità della vita e il
benessere del paziente (non solo assistenza sanitaria e cura della malattia).
3.1 promozione della salute e prevenzione del disagio psicologico in ambito sanitario
La psicologia della salute pone l’attenzione alle influenze delle condizioni psicosociali sullo stato di
salute degli individui; questo orientamento psicologico utilizza conoscenze psicologiche relative al
comportamento sano e patologico al fine di promuovere, prevenire e mantenere lo stato di salute
e di benessere delle persone. La prevenzione è attuazione di interventi volti a impedire che si
manifesti una malattia; essa può essere:
I. primaria: evitare l’insorgenza di una malattia, si agisce sulle condizioni che la
determinano
II. secondaria: all’esordio del disturbo viene individuato il processo patologico per curarlo
al meglio e al più presto.
III. Terziaria: interventi mirati a ridurre le conseguenze della malattia ed evitarne la
cronicizzazione.
In ambito psicologico si possono individuare veri fattori di rischio associati a fasi esistenziali (come
la gravidanza, la menopausa, l’adolescenza ecc) che possono portare disagi e conflitti. In questi
momenti l’intervento di un operatore sanitario è importante per realizzare gli obiettivi preventivi
della psicologia clinica.
I gruppi Balint utilizzati a partire dagli anni 70, erano importanti per la formazione psicologica dei
medici. Essi si possono considerare come un esempio di lavoro in gruppo con finalità formative,
rispondenti ad esigenze di prevenzione, l’obiettivo era quello di curare il paziente a 360° e quindi
non badare solo alla sfera patologica della malattia ma anche a quella psicologica. Vi sono incontri
periodici dove un gruppo di medici parla liberamente delle proprie esperienze professionali sotto
la guida di uno specialista che aiuta a comprendere le implicazioni emotive del rapporto
medico/paziente e le influenze che ne possono derivare per il lavoro clinico.

4. LA RICERCA IN PSICOLOGIA CLINICA

4.1 la ricerca scientifica


Una teoria scientifica è fondata su conoscenze ricavate tramite l’osservazione di dati tangibili, poi
sottoposti a controlli rigorosi, per cui le nostre concezioni della realtà basate sull’esperienza
personale costituiscono teorie private, ingenue non scientifiche. Il metodo scientifico serve per
raggiungere una conoscenza della realtà. Consiste, da una parte, nella raccolta di evidenze
empiriche e misurabili attraverso l’osservazione e l’esperimento; dall’altra, nella formulazione di
ipotesi e teorie più generali da sottoporre al vaglio dell’esperimento per testarne l’efficacia.

4.2 l’indagine sperimentale


L'obiettivo della ricerca scientifica è quello di accertare se esistono rapporti stabili e costanti tra
due o più fenomeni; in sostanza se tra di essi c'è un rapporto di casualità; ciò permetterà di
affermare che al verificarsi di alcune condizioni seguiranno certe conseguenze. Il procedimento più
affidabile per ottenere questo è l'indagine sperimentale  realizzabile attraverso un esperimento,
ossia nello studio dei fenomeni di cui si vogliono accertare i rapporti nelle condizioni protette
del laboratorio. È lo sperimentatore che fa interagire artificialmente le variabili, tra cui vuole
precisare il rapporto.
Lo sperimentatore fa variare in modo sistematico la condizione di cui vuole verificare gli effetti, la
quale viene definita variabile indipendente o Vi (la variabile indipendente è quella manipolata dallo
sperimentatore), e registra i cambiamenti che si verificano in un'altra condizione, quella che si
ritiene possa essere influenzata dalla prima; quest'ultima viene definita variabile dipendente o Vd,
in quanto i valori che assume dipendono dalla variabile indipendente.
Il gruppo sperimentale è un campione rappresentativo della popolazione generale a cui si vogliono
estendere i risultati ottenuti, però per accertare che i cambiamenti eventualmente registrati nella
variabile dipendente siano attribuibili all'azione della variabile indipendente è necessario avere una
condizione di controllo, costituita da un gruppo di controllo, con le stesse caratteristiche di quello
sperimentale, che soggiace alle stesse condizioni sperimentali eccetto che per l'esposizione alla
variabile indipendente.
Il metodo sperimentale è dunque quello che maggiormente soddisfa i requisiti della ricerca
scientifica garantendo il controllo delle osservazioni, che vengono effettuate secondo modalità
precise ed esplicitate per quanto riguarda sia la descrizione e la misurazione dei fenomeni studiati
sia il processo di rilevazione dei dati (metodo, strategie e tecniche usate).
Le leggi scientifiche enunciano la regolarità con cui si associano i fenomeni, consentono, di
conseguenza, anche la previsione degli eventi, e cioè di anticipare che tutte le volte che si
verificheranno certe condizioni (antecedenti causali) seguiranno determinate conseguenze. La
conoscenza scientifica tende, infatti, alla spiegazione e alla previsione degli eventi.

4.3 placebo ed effetto placebo


Numerosi studi hanno evidenziato che il rapporto medico/paziente incide grandemente nel
potenziare o ridurre l'efficacia di un trattamento. Tale effetto terapeutico di natura psicologica
viene appunto definito effetto placebo. L'effetto placebo costituisce un fenomeno che accompagna
ogni tipo di trattamento, anche se in misura diversa in funzione delle caratteristiche psicologiche
del soggetto, della disposizione del medico del tipo di malattia e di cura effettuata (esso ha un peso
molto rilevante soprattutto nella cura farmacologica dei disturbi psichici) e agisce non solo in senso
positivo, ma anche negativo, come mostrato, ad esempio, gli effetti collaterali negativi a cui vanno
incontro alcuni pazienti quando li leggono elencati nei fogli illustrativi.
Con il termine <<placebo>>, invece, ci si riferisce a un prodotto privo di proprietà terapeutiche
specifiche, che può tuttavia dare moderati effetti terapeutici dovuti al valore che a esso attribuisce
il paziente e che può, pertanto, essere impiegato, per i suoi effetti di natura aspecifica, in
particolari condizioni, come quella della verifica dell'efficacia dei farmaci.
NB: placebo è una sostanza inerte o un trattamento medico senza alcuna proprietà terapeutica,
mentre l’effetto placebo, è la conseguenza della sua somministrazione.
Nella modalità di studio a doppio cieco ne il medico, ne il paziente sono a conoscenza della
tipologia/dose somministrata: ciò avviene per garantire una maggiore attendibilità da parte di
entrambi, aumentare il livello di neutralità e non essere influenzati a vicenda
L’effetto placebo consiste in un cambiamento organico o mentale collegato al significato simbolico
attribuito a un evento o a un oggetto in ambito sanitario. È importante sottolineare che l’effetto
placebo è dovuto al contesto psicosociale nel quale si trova il paziente sottoposto a terapia ed è
costituito da qualsiasi oggetto o persona in relazione con il trattamento, capace di ‘comunicare’ al
paziente che si sta effettuando una terapia e che quindi si prevede una riduzione dei sintomi nel
prossimo futuro

4.4 l’efficacia delle psicoterapie


Per quanto riguarda la verifica dell’efficacia delle psicoterapie si possono ricondurre vari fattori:
1. definizione e valutazione iniziali del paziente
2. il comportamento del paziente durante il trattamento
3. l’azione del terapeuta e le sue qualità
4. l’esito del trattamento (dipende soprattutto in base alla durata)
5. esigenze di natura etica
6. fattori curativi specifici e aspecifici
4.5 gli studi correlazionali !!!!!!!!
Per quanto riguarda l’ambito psicologico è sempre molto difficile generalizzare delle teorie basate
su condizioni di vita reale, per via della complessità e per il numero delle variabili coinvolte.
Se si vuole studiare, ad esempio, la relazione tra i comportamenti disturbanti di una persona in
relazione a qualche avvenimento passati si possono realizzare degli studi introspettivi, in cui si
cercano gli antecedenti che possono aver contribuito a determinare i fenomeni che noi
conosciamo già. Per fare questo tipo di studi vengono presi in considerazione gruppi di soggetti
affetti da un particolare disturbo psicologico e poi si indaga sul loro passato, per vedere se hanno
qualche evento di vita comune. Altre volte è possibile condurre studi longitudinali in cui sono presi
in considerazione gruppi di soggetti esposti naturalmente a certe condizioni durante l’età evolutiva
e si rilevano le dimensioni psicologiche nell’età adulta che si ipotizzano influenzate dalle condizioni
iniziali. Inoltre, è possibile anche condurre studi correlazionali in cui si verifica l’esistenza di una
relazione significativa tra 2 o + variabili, tra le quali si ipotizza un legame ma se ne ignora la natura.
Essi permettono di evidenziare, attraverso procedimenti statistici, se i cambiamenti che si
verificano o si sono verificati, tra 2 o + fenomeni, siano casuali o indicativi di un collegamento
significativo tra di essi: si dice che i fenomeni sono “correlati positivamente” se il verificarsi di uno
genera anche il verificarsi dell’altro (se è il contrario si dice “correlati negativamente”). Gli studi
correlazionali sono molto importanti in quanto fanno emergere collegamenti significativi tra i
fenomeni considerati; questi però è importante che non vengano elaborati in termini di casualità.

4.6. Il metodo clinico


Attraverso il metodo clinico è possibile accostarsi all’esperienza complessiva del soggetto, esso è
caratterizzato dall'approfondimento conoscitivo di casi singoli, per cogliere ciò che li
contraddistingue più che gli elementi che accomunano tutti gli individui, e per raggiungere una
visione globale della persona più che aspetti parziali del suo funzionamento. Si utilizzano indizi,
dati e comportamenti osservabili, spontanei ed evocati.
Il metodo clinico è quindi un metodo osservativo, più o meno controllato, del comportamento
umano, che possiede anche le caratteristiche del metodo storico, il cui obiettivo è la comprensione
e la ricostruzione del particolare caso in esame nella sua unicità e originalità.
In questo metodo è di rilevale importanza della lettura del passato. L’osservazione può essere
diretta o naturalistica quando il ricercatore esercita un grado minimo di controllo sul proprio
paziente. L’osservazione naturalistica viene adottata per lo studio dei fenomeni e dei
comportamenti che si presentano allo stato naturale, cioè in situazioni di vita reale. Uno o più
osservatori registrano tutto ciò che avviene, avendo cura di evitare che stimolazioni di disturbo
possano interferire o alterare la comparsa spontanea di un certo comportamento.
L’osservazione naturalistica è una tra le tante metodologie che può essere utilizzata proficuamente
per studiare ad esempio, il comportamento infantile, l’interazione tra coetanei o il rapporto
genitori-figli.
CAPITOLO 2
1. I CANALI INFORMATIVI DEL COLLOQUIO CLINICO
Il colloquio costituisce lo strumento più importante, per certi versi specifico, a disposizione dello
psicologo clinico, esso è utilizzato sia come strumento conoscitivo che d’intervento.
Il modo di impostare e di condurre un colloquio dipende da numerosi fattori quali:
a) gli obiettivi per cui viene svolto (consultazione, valutazione diagnostica, aiuto psicologico);
b) le caratteristiche di chi lo affronta (adulto, bambino, presenza di patologie invalidanti,);
c) l 'approccio teorico dello specialista.
I canali attraverso cui noi attingiamo informazioni durante il colloquio sono fondamentalmente
due: lo scambio verbale, ovvero i contenuti delle risposte o, più in generale, del discorso del
soggetto e quello non verbale, costituito da quanto l'esaminatore può rilevare attraverso
l'osservazione diretta dell'altro durante l'incontro.

1.1 la storia racconta


l materiale verbale che emerge all'interno del colloquio sarà fondamentalmente legato al motivo
della consultazione e alle sue finalità (ricerca delle cause di una condizione di malessere o di
manifestazioni psicopatologiche a cui si vuole portare sollievo), per cui oggetto di indagine saranno
soprattutto la vita emotiva e relazionale del soggetto, le sue caratteristiche psicologiche e le sue
modalità e difficoltà adattive.
Pertanto, a essere esplorate saranno tutte le aeree più significative della vita, passata e attuale,
della persona bisognosa d'aiuto. Assumono particolare importanza:
1. le vicende dello sviluppo psicologico (infanzia, educazione ricevuta, atteggiamento verso la
scuola, rapporti sociali, esperienze traumatiche, rapporti con genitori e fratelli e dinamiche
familiari, passaggi evolutivi significativi, come ad esempio l'adolescenza, ecc.);
2. gli attuali rapporti familiari e sociali, la vita affettiva e di relazione, l'attività lavorativa e il grado di
realizzazione;
3. le caratteristiche psicologiche come la percezione di sé, stili adattivi e difensivi, capacità
autocritiche e introspettive, ecc.;
4. le fonti di disagio e di sofferenza, i sintomi comportamentali e psicologici (loro esordio,
caratteristiche e collegamenti con esperienze di vita) e il modo di affrontarli.

In altri termini tutti gli elementi della storia personale e familiare, oltre a quella patologica,
costituiscono importanti aspetti che dovrebbero emergere nel corso di un colloquio clinico.

1.2 l’osservazione del comportamento


L’ osservazione diretta è una preziosa fonte di informazione per le manifestazioni comportamentali
e un potente elemento nella formazione del giudizio sull'altro, anche se può operare al di fuori
della consapevolezza.
Comportamento non verbale (CNV)= il vestire, l'accuratezza del suo linguaggio, le sfumature
emotive che accompagnano ciò che esprime, il modo di salutare ecc.. costituiscono solo alcuni
esempi delle varie manifestazioni comportamentali che è possibile cogliere durante un colloquio.
Nel CNV vengono incluse sia le componenti intonazioni e paralinguistiche che accompagnano il
contenuto del discorso (ad es. il tono della voce, gli intercalari, ecc.), sia le manifestazioni cinesiche
e gli aspetti legati al comportamento (movimenti, postura, mimica, espressioni emotive come
pianto, riso, sorpresa, ecc.).
Tutti questi elementi vanno colti con attenzione e curiosità, ma anche con prudenza e senza
pregiudizi. La CNV è meno controllabile, esprime un linguaggio inconscio rilevatore della vita
emotiva di una persona.
Generalmente l'osservazione dell'altro condiziona i nostri giudizi, infatti gran parte dei nostri
giudizi/ pregiudizi, sono influenzati soprattutto dalle componenti non verbali presenti in un
incontro. La comunicazione non verbale acquista una rilevanza particolare, perché, a differenza di
quella verbale, è meno controllabile dalla volontà ed è maggiormente rivelatrice della vita emotiva,
anche inconsapevole, di una persona; inoltre è molto più potente nel trasmettere emozioni.

1.3 le relazioni emotive dell’esaminatore e la dinamica relazionale


Nel trattamento psicoanalitico, un posto fondamentale è occupato dal concetto di controtransfert,
che esprime l'insieme delle reazioni emotive sperimentate dal terapeuta nel rapporto con il
paziente; tali reazioni emotive possono essere in parte ricondotte alla sua reattività individuale di
fronte alle comunicazioni e ai comportamenti del paziente (cioè al suo personale modo di sentire e
di reagire di fronte a certe situazioni), ma possono costituire anche una spia rivelatrice sia degli
stati emotivi che il paziente sta provando o cercando di comunicare involontariamente al terapeuta
sia di quanto sta accadendo nella relazione terapeutica.
L’ Identificazione proiettiva è un meccanismo psicologico che permette di trasferire negli altri
concetti di sé. È stato ipotizzato per la prima volta da uno psicoanalista infantile inglese M. Klein.
Il Transfer è il fenomeno complementare al controtransfert, esso indica il trasferimento sulla figura
dello specialista o sulla relazione terapeutica di aspettative (le quali vengono attribuite
involontariamente dal paziente alla situazione attuale) o di caratteristiche che non rispondono
esclusivamente alle qualità oggettivamente presenti in essi. In questo caso, più una persona è
coinvolta a livello emotivo all’interno della relazione, più sarà distorta la percezione della
situazione attuale. Il transfert è un fenomeno universale.
Le dinamiche affettive che si instaurano in un colloquio giocano un ruolo rilevante nel suo
svolgimento: l'attivazione e la trasmissione delle emozioni nel colloquio sono veicolate soprattutto
dai canali non verbali della comunicazione, che possiedono maggiormente il potere di farsi
portavoce dei vissuti emotivi del paziente e di trasmetterli all'interlocutore.

2. L’ELABORAZIONE DEI DATI E ELE CAUSE DI ERRORE


Le situazioni in cui andiamo incontro in una incongruenza tra quanto noi riteniamo giusto o le
nostre aspettative e i dati in nostro possesso ci mettono in una condizione di dissonanza cognitiva,
ovvero di un conflitto decisionale, che siamo portati a risolvere con operazioni mentali tese a
rendere compatibili le informazioni incongrue, trascurando o distorcendo il significato di alcuni
dati. La valutazione globale può essere influenzata dall’ordine in cui emergono i dati (es. gli alunni
sanno che un’iniziale valutazione positiva/negativa del docente tenderà a generare un giudizio che
potrà essere modificato con fatica; in campo medico una diagnosi precocemente formulata può
orientare in modo fallace le successive indagini)  effetto alone: vi sono qualità che occupano un
posto centrale e dominante rispetto ad altre perciò le prima tendono ad influenzare il modo in cui
vengono percepite e interpretare le altre caratteristiche che si presentano. Le qualità che
attribuiamo a una persona (e quindi anche la considerazione che abbiamo su di essa) può cambiare
se avviene un cambiamento di posizione gerarchica da elementi positivi a negativi, o viceversa
3. CONDUZIONE DEL COLLOQUIO
I colloqui possono svolgersi in vari modi a seconda: della finalità del colloquio, caratteristiche
psicofisiche del paziente, eventuali patologie psicologiche ecc…
 il colloquio direttivo= è l'operatore che guida il dialogo in modo attivo, facendo domande e
richiamando l'attenzione del soggetto nella direzione prescelta. La raccolta dell'anamnesi
medica è un esempio di indagine molto direttiva, nella quale il paziente risponde, piuttosto
passivamente, alle domande del medico.
 Intervista strutturata= comprende un insieme di domande già stabilite, che vanno poste
secondo una progressione predefinita.
 Intervista semistrutturata= permette una maggiore libertà nella conduzione del dialogo,
con la possibilità di permettere ampliamenti e di includere spunti spontanei ed eventuali
ulteriori elementi informativi che possono emergere intorno ai temi proposti. Esempi di
interviste semistrutturate:
1. SCID (Structural Clinical Interview for Personality Disorders), un insieme di domande
tese a rilevare in un soggetto la presenza di sintomi psicopatologici e disturbi della
personalità, avendo come riferimento la classificazione ufficiale dei disturbi psichiatrici
operata dal DSM.
2. AAI (Adult Attachment Interview), un'intervista, elaborata all'interno della teoria
dell'attaccamento, per indagare e valutare i modelli di attaccamento in una persona
adulta, attraverso il racconto che il soggetto fa delle proprie esperienze relazionali
infantili.
Nb: le interviste strutturate e semistrutturate garantiscono una maggiore oggettività e
confrontabilità dei dati rilevati in pazienti diversi o gruppi di pazienti a rischio: costringere il
paziente in un tragitto obbligato e impedisce l’affioramento di elementi spontanei che
possono aprire altre direzioni d’indagine
 Colloquio libero= è la persona intervistata a parlare spontaneamente e a guidare la
conversazione; in questo modo è capace conoscere, non solo i fatti narrati, ma anche le
emozioni e sentimenti che il paziente prova in relazione ad essi. Nella pratica clinica,
l’approccio più ricco e promettente da parte dello psicologo consiste nel lasciare il paziente
libero di parlare; saranno poi gli interventi dello psicologo a portare il paziente ad
approfondire temi più importanti e a modulare il colloquio.

3.1 le condizioni del colloquio


Naturalmente per condurre il colloquio in modo efficace sono necessarie determinate condizioni
che rendano possibile lo svolgimento (tempo necessario, luogo adatto ecc).
Il setting si riferisce alle regole formali e contrattuali secondo cui viene condotto l'intervento, e alle
condizioni ambientali in cui questo si svolge. Il setting svolge funzioni di tipo:
 pratico, in quanto fornisce le condizioni ottimali ed essenziali per la conduzione del
colloquio;
 clinico, in quanto svolge esso stesso, se adeguatamente attuato, funzioni terapeutiche sia
per gli effetti che produce e delle sue caratteristiche (la sua regolarità e affidabilità
costituiscono fattori di fiducia, conforto e sicurezza per il paziente) sia perché può aiutare a
mettere in evidenza aspetti della personalità del paziente attraverso la comprensione del
suo modo di vivere e di reagire alle condizioni e alle regole del rapporto terapeutico
(fantasie, reazioni ai cambiamenti che possono verificarsi nella regolarità del rapporto,
trasgressioni volontarie o involontarie come dimenticanze o ritardi negli appuntamenti e
così via).
4. IL COLLOQUIO IN AMBITO SANITARIO
In ambito sanitario il colloquio è finalizzato a raccogliere informazioni sui disturbi che hanno
portato il paziente a consultare il medico. Esso ruota intorno all'anamnesi, ossia nella raccolta della
storia della malattia, sia recente che passata.
- Medicina centrata sulla malattia= una pratica sanitaria in cui il medico tende a un approccio
di tipo biologico, ponendo attenzione soprattutto alle alterazioni corporee e trascurando gli
aspetti affettivi e psicosociali di una condizione patologica.
- Il modello bio-psico-sociale nella malattia= pratica sanitaria in cui il medico tende a un
approccio centrato sul paziente; questo approccio vede l'esordio e l'evoluzione del
processo patologico ancorati a tutte le sfere della vita: quella biologica, quella psicologica e
quella sociale. Quest’approccio, che rimette al centro della sua attenzione la persona del
malato e la sua sofferenza, permette di avvicinarsi maggiormente al significato più globale
dell'esperienza di malattia all'interno della vita di una persona, offrendo maggiori
possibilità di coglierne e di affrontarne i numerosi risvolti nella vita del paziente.
Per riuscire ad attuarlo il medico dovrà indagare anche gli aspetti psicologici del paziente, in
particolare il modo in cui la malattia abbia condizionato la sua vita. Tutto ciò può essere realizzato
trasformando una semplice raccolta anamnestica in un colloquio clinico più articolato e ampio, per
cui il medico dovrà avere capacità relazionali e abilità comunicative per gestire adeguatamente i
rapporti con i pazienti. Queste comprendono:
1. Il modo di condurre l’intervista
2. La disposizione ad ascoltare, osservare, cogliere con interesse ciò che il paziente sta
provando a comunicargli: spesso purtroppo i fallimenti delle cure sono dovuti a mancanze
di complicanze (fenomeno in cui si tende a pregiudicare gli esiti terapeutici potenzialmente
positivi) dovuti a un insoddisfacente rapporto tra personale sanitario e paziente
3. Un setting adeguato, ossia la necessita di riservare al paziente uno spazio e un tempo
adeguato

5. I TEST PSICOLOGICI NELLA VALUTAZIONE CLINICA


Oltre al colloquio, lo psicologo si serve di strumenti specialistici il cui uso è riservato a lui e non ad
altri operatori. I test aggiungono informazioni a quelle della conoscenza diretta del soggetto, ma
non dovrebbero sostituirla se si tende a una valutazione complessiva della persona.
I test costituiscono l'armamentario specialistico per eccellenza dello psicologo, nell'immaginario
più diffuso di questa figura professionale. Il test, in psicologia come in altre discipline, non è che
una prova su un campione della realtà il cui risultato possa essere considerato estensibile a tutta la
realtà da cui il campione è derivato. I test psicologici possono misurare prestazioni cognitive,
modalità di funzionamento emotivo, disposizioni attitudinali.
L'obiettivo è valutare le caratteristiche del comportamento, le abilità mentali o qualunque altro
fattore possa aiutare nella comprensione globale della persona.
Le aspettative e la motivazione di chi si sottopone al test e la capacità dello psicologo di creare
l’atmosfera ottimale sono variabili fondamentali per ottenere il massimo delle informazioni utili,
che fanno da base per scegliere il modus operandi della terapia a cui deve essere sottoposto il
paziente.
5.1 le caratteristiche psicometriche dei test
I test dovrebbero rispondere a criteri di validità e fedeltà. Non meno rilevante è che i test siano
sottoposti a un'approfondita procedura di standardizzazione.
Validità del test  si intende il fatto che il test misura effettivamente la caratteristica presa in
considerazione, esistono diversi tipi di validità:
 La validità di contenuto, la quale viene determinata valutando il grado in cui un test prende
in esame tutti i possibili aspetti del fenomeno da misurare.
 La validità predittiva, ovvero la capacità di un test di predire i risultati ottenuti dal soggetto
in base alla caratteristica misurata dal test.
 La validità concorrente/discriminante, la quale si basa sulla verifica di quanto si
sovrappongano o si differenzino i rilievi effettuati da due strumenti distinti che misurano
variabili simili o diverse (uno strumento che misura l'estroversione, ad esempio, deve dare
risultati diversi da quelli che dà uno strumento che misura l'introversione; se i risultati
fossero parzialmente sovrapponibili dedurremmo che entrambi gli strumenti, o uno di essi,
non riescono a cogliere in maniera esclusiva la variabile indagata).
Fedeltà del test  quando applicato più volte (anche da parte di persone diverse e in luoghi e
tempi differenti) fornisce sempre risultati sovrapponibili. Anche la fedeltà del test può essere
valutata in vari modi
 metodo delle forme parallele richiede la costruzione di due test analoghi in tutte le loro
caratteristiche;
 metodo del test-retest applicare successivamente due volte lo stesso test e determinare il
grado di concordanza dei risultati ottenuti;
 metodo della divisione a metà (split half) l’insieme delle varie prove che formano un test
viene suddiviso in due parti che possono essere considerate come due forme parallele del
test originale
Per garantire l’utilizzabilità di un reattivo mentale è importante il processo di standardizzazione, il
quale implica che i dati raccolti con un test possano essere confrontati con <<criteri di
riferimento>> raccolti precedentemente al fine di consentire una corretta interpretazione dei
risultati. Essi costituiscono le <<norme di riferimento>> e vengono rilevati nella popolazione
generale sottoposta al test con il preciso proposito di ottenere dati di confronto, accuratamente
osservati e registrati, utili per l'interpretazione del punteggio del test che stiamo utilizzando.
Lo psicologo deve pertanto possedere una sufficiente esperienza nell'utilizzo di un determinato
strumento per assicurarsi una corretta valutazione.
Tipologie di test più frequentemente usati in psicologia clinica:
1. I test per la valutazione dei tratti di personalità e della sintomatologia clinica → che
consistono
 questionari di autovalutazione (strutturati), ossia questionari a risposta multipla che il
soggetto compila riportando ciò che pensa rispecchi nel modo più fedele la percezione
soggettiva che ha delle caratteristiche indagate deal test;
 i test proiettivi (non strutturati), che utilizzano stimoli ambigui e mal definiti in modo
tale da facilitare l'emergenza di aspetti della propria personalità più profondi e non
sempre rilevabili con l'introspezione.
2. I test per la valutazione delle funzioni cognitive → che prevedono l’uso di domande e
compiti specifici da svolgere al fine di accertare il livello di intelligenza del soggetto
6. VALUTAZIONE DELLA PERSONALITA’
Lo studio della personalità si occupa di indagare quali sono gli aspetti che rendono gli individui
uguali alle altre persone, quali invece rendono le persone simili solo ad alcune, e quali
caratteristiche rendono i soggetti unici.
Personalità l'insieme di modi di essere, di fare, di conoscere, che garantiscono stabilità,
continuità, coerenza, nelle relazioni tra l'individuo e il mondo. La personalità è dunque l'insieme
delle caratteristiche che, nelle diverse fasi della vita, permettono a ciascuno di noi di essere sempre
sé stesso e di avere la stessa predisposizione ad agire indipendentemente dal variare delle
situazioni. Questi può pertanto presentarsi con modalità differenti con persone e in situazioni
diverse pur mantenendo un suo caratteristico senso di identità.

6.1 la “Minnesota Multiphasic Personality Inventory” e le altre scale di autovalutazione


Scala sviluppata negli anni Trenta e sottoposta a successive revisioni fino alla versione
correntemente usata, la MMPI-II è tra i test più usati di autovalutazione della personalità. Questa è
una scala auto-valutativa di tratto, a risposta dicotomica (v/f), costituita da 567 item nella sua
versione integrale e da 365 domande nella versione ridotta. La MMPI-Il è costituita da
 10 scale cliniche che servono per individuare la presenza di aspetti patologici relativi a
diversi quadri psicopatologici. Esse sono: la scala HS (ipocondria), D (depression), HY
(isteria), PD (deviazione psicopatica), MF (mascolinità-femminilità), PA (paranoia), PT
(psicastenia, problemi di tipo ossessivo e ansioso), SC (schizofrenia), MA (ipomania che
riguarda stati di ipereccitabilità e irritabilità), Si (introversione sociale).
 3 scale definite di controllo che servono per garantire l’accettabilità del protocollo
 numerose scale supplementari e scale di contenuto che indagano caratteristiche più
specifiche della personalità, ma che non verranno prese in considerazione in quanto poco
utilizzate.
La scala MMPI è un valido strumento per ottenere un quadro complessivo della personalità del
soggetto e per individuare aree problematiche sulle quali eventualmente approfondire
ulteriormente la valutazione.

In campo clinico vengono utilizzati numerosi strumenti psicometrici finalizzati a evidenziare


specifiche costellazioni sintomatologiche, di cui misurano il grado di intensità; ad esempio, le scale
sintomatologiche sono impiegate a valutare l'andamento sintomatologico prima e dopo un
trattamento psicologico o farmacologico o in ricerche sulla diffusione di tali caratteristiche in
particolari gruppi di soggetti. Tra queste vi sono:

1. La scala per misurare l'ansia: <<La State-Trait Anxiety Inventory>> (STAI) → l’ansia si
caratterizza per una spiacevole sensazione di paura non legata a ragioni obiettive, che può
portare il soggetto a comportamenti di evitamento o alla percezione soggettiva di un
impulso a compiere certe azioni. Questa scala è composta da un totale di 40 domande, 20
riguardano l'ansia di stato (Y1) e 20 l'ansia di tratto (Y2).
L'ansia di stato= indica quanto la persona si percepisca in ansia “proprio in quel momento”
ed esprime una sensazione soggettiva di tensione e preoccupazione, comportamenti
relazionali di evitamento (o avvicinamento eccessivo e prematuro) e un aumento
dell'attività del sistema nervoso autonomo (incremento della frequenza cardiaca), relativa a
una situazione stimolo, quindi transitoria e di intensità variabile;
>L'ansia di tratto= si riferisce a come il soggetto si senta abitualmente, a una condizione più
duratura e stabile della personalità che caratterizza l'individuo in modo continuativo,
indipendentemente da una situazione particolare
2. La scala per misurare la presenza di sintomi depressivi “Beck Depression Inventory” (BDI):
La depressione è uno stato caratterizzato da grande tristezza e apprensione, dalla
sensazione che nulla abbia valore, da sensi di colpa... La Bdi è un questionario composto da
40 domande con 4 possibilità di risposta. Il punteggio viene poi sommato, se supera il 16 è
un allarme clinico.

6.2 le tecniche proiettive


Le tecniche proiettive sono molto importanti nella diagnosi psicologica perché consentono di
indagare aspetti della persona che non sono misurabili da questionari o interviste. I test
proiettivi si basano sul meccanismo della proiezione (tendenza ad attribuire ad altri, sentimenti
e qualità proprie mediante un processo difensivo inconscio). I metodi proiettivi agiscono
utilizzando materiale ambiguo, senza un processo significativo.
I motivi proiettivi si possono distinguere in 3 categorie:

 test proiettivi tematici: si chiede al soggetto di inventare una favola partendo da uno
stimolo dato, ciò permette al bambino di esprimere attraverso i suoi racconti le
problematiche inerenti ai primi anni di vita. I test più conosciuti per i bambini sono: CAT (10
tavole raffiguranti animali di varie situazioni) BPT (11 tavole raffiguranti un cagnolino nero
e la sua famiglia) TEST PN (tavola raffigurante un maialino con la macchina nera). Mentre
per gli adolescenti spesso viene utilizzato il TEST TAT (test composto da 31 immagini, viene
chiesto ai ragazzi poi di costruire una storia, spesso le immagini sono diverse per i ragazzi e
le ragazze; ciò permette di valutare sia l’affettività e la fantasia dei ragazzi, ma anche degli
aspetti della loro personalità)

 test proiettivi strutturali: Test di Rorschach composto da 10 tavole in cui sono riprodotte
macchie d’inchiostro di forma ambigua simmetriche rispetto all’asse centrale; al paziente
viene chiesto di rispondere di getto alla prima cosa che gli sembra di vedere appena gli
viene data l’immagine; in questo modo la risposta è basata solo su un dato percettivo ma
allo stesso tempo può essere influenzata anche dai vissuti personali. Ogni risposta data
viene valutata secondo tre parametri: la localizzazione (riferimento alla parte della tavola
interpretata), la determinante (caratteristica della tavola che ha suscitato la risposta), il
contenuto della risposta. Il profilo che emerge è in grado di fornire un quadro approfondito
della personalità del soggetto rilevando aspetti cognitivi, la struttura profonda della
personalità, l’assetto difensivo e l’immagine che il soggetto ha di sé.

 test proiettivi di completamento: configurazioni parzialmente strutturate che il soggetto


deve completare come meglio crede, senza pensarci troppo. Ad esempio, il TEST DELLE
FAVOLE chiede di completare una favola interrotta; il PFT chiede di rispondere a ipotetiche
situazioni di frustrazione; mentre il TEST DI WARTEGG chiede di completare dei disegni.
7. I TEST D’INTELLIGENZA
I test di intelligenza sono strumenti, costituiti da domande e da compiti, usati per misurare le
capacità mentali superiori. Il risultato finale delle prove dà vita a quello che viene definito
quoziente di intelligenza, o QI. Il “termine intelligenza” può assumere vari significati:
> secondo Sperman, l’intelligenza generale è quella che comprende varie prestazioni di pensiero,
ragionamento, abilità verbale
> Per Cattel esiste invece un’ intelligenza fluida ( ci permette di reagire adeguatamente di fronte a
nuovi stimoli, riguarda la capacità di elaborazione e risoluzione dei problemi, cresce fino ai 30
anni) e un’intelligenza cristallina (intesa come “sapere culturale” e riguarda il saper usare
strategie, esperienze e conoscenze per affrontare le situazioni, essa si accresce durante tutto il
corso della vita)
> Secondo Piaget la funzione chiave dell’intelligenza è la previsione; per lui l’intelligenza è il
risultato delle abilità cognitive (capacità logiche, ragionamento memoria ecc) combinate a tratti di
personalità e altri aspetti non intellettivi (concentrazione, ansia, personalità, controllo impulsi ecc);
per cui è possibile parlare di…
1- intelligenza verbale: abilità lessicale
2- intelligenza sociale: abilità di adattamento
3- intelligenza emotiva: controllo delle proprie emozioni e riconoscimento di quelle altrui

7.1 la “Wechsler adult intelligence scale” (WAIS-R): una scala per la valutazione delle capacità
cognitive
Wechsler considerava l’intelligenza come la capacità globale dell’individuo di agire con uno scopo,
di pensare ragionevolmente e di gestire il proprio ambiente. La Wais consta di 11 subtest (scala
totale): 6 di essi costituiscono le sottoscale verbali (si valuta linguaggio, ragionamento numerico e
verbale), 5 quelle non verbali o di performance (manipolazione di oggetti).
L’esaminatore deve possedere una specifica competenza per registrare le risposte senza esitazioni
affrontando qualsiasi reazione del soggetto; egli deve somministrare il materiale dell’esame in
maniera chiara e con modalità e tempi tali da poter permettere un buono svolgimento del test.
Questa scala consente la definizione del QI (confronto tra la capacità di risoluzione di problemi nel
test, quindi l’età mentale, e la sua età cronologica). Questo si ottiene confrontando la prestazione
del soggetto, ovvero la sua capacità di risolvere i problemi nel test, definita età mentale, e la sua
età cronologica. La formula del QI è la seguente: QI=100 x EM/EC.
Rischio: etichettamento ed attribuzione di un livello d’intelligenza che potrebbe influenzare il
comportamento di insegnanti e genitori.
CAPITOLO 3
1. IL RUOLO DELLE TEORIE IN PSICOLOGIA CLINICA
La psicologia clinica ha bisogno di teorie che guidano le sue operazioni, diagnostiche e
terapeutiche, alla cui costruzione concorrono i rilievi effettuati nella pratica clinica e le conoscenze
accumulate nei diversi campi della psicologia, in primo luogo la psicologia dinamica, ma anche la
psicologia generale, quella dello sviluppo e sociale, la psicofisiologia, la neuropsicologia e le
neuroscienze in generale. I modelli teorici cercano di dare risposte plausibili agli interrogativi sul
modo in cui operano i processi psichici, sulle cause che ne portano all’alterazione e sulle forme in
cui si manifestano gli stati di disagio.
Una teoria comprende una serie di affermazioni (sintetizzate ed elaborate) sulla natura dei
fenomeni e sui loro rapporti. I sistemi teorici possono essere falsi o veri, validi e utili.
Una buona teoria, per essere definita “utile” deve:
- contenere preposizioni coerentemente articolate
- le preposizioni devono spiegare il maggior numero possibile di leggi e fatti con il minor
numero di principi
- le preposizioni devo dare vita alle ipotesi che a loro volta devono essere verificate
empiricamente
Una teoria, pertanto, è una prospettiva organizzativa ed esplicativa dei fenomeni osservati, che
guida la ricerca, permette di collocare i dati dell'osservazione all'interno di una trama articolata e di
dare loro un significato, aiuta a sviluppare le ipotesi da sottoporre a verifica e a scegliere il metodo
più idoneo per testarle.
Naturalmente l'adozione di un determinato modello teorico può comportare anche i rischi legati a
un atteggiamento di tipo settario o dogmatico, che porta a trascurare campi di indagine o
fenomeni non valorizzati in quel particolare approccio e a ignorare i suggerimenti e i contributi
conoscitivi che possono venire da altre concezioni teoriche.

1.1 fattori biologici e socio-relazionali nello sviluppo psicologico


Il rapporto natura/cultura è stato al centro degli studi sull'intelligenza, sulle caratteristiche di
personalità, sulle disposizioni psicologiche. L'interrogativo della psicologia clinica riguarda il modo
in cui i processi biologici e psicologici interagiscono e si condizionano reciprocamente  problema
del rapporto mente/corpo.
Il problema dei rapporti tra le disposizioni biologicamente determinate e le sollecitazioni corporee
da un lato e le esperienze psicologiche dall'altro va considerato in una duplice prospettiva: quella
psicosomatica e quella somato-psichica.
 L'approccio psicosomatico si concentra sugli effetti a livello corporeo scaturiti delle
esperienze psicologiche fino al punto di comportare alterazioni in funzioni biologiche, come
nel caso delle malattie psicosomatiche.
 La prospettiva somato-psichica studia come il modo in cui il temperamento del bambino, le
stimolazioni e le sensazioni corporee concorrono alla strutturazione della vita psichica
all'interno delle interazioni con la figura di accudimento.
Lo sviluppo psicologico indubbiamente è legato alle influenze dell'ambiente e soprattutto alle
esperienze relazionali.
Nell'approccio comportamentista le caratteristiche individuali sono state attribuite principalmente
all'apprendimento; la condotta individuale non è che il risultato di un insieme di risposte apprese
sotto l'influenza degli stimoli esterni che agiscono o suscitando e mantenendo attive determinate
risposte o come fattori inibenti di altre risposte che non vengono, pertanto, sviluppate dal
soggetto. In tale concezione è dunque l'ambiente a modellare l'individuo, che viene visto in modo
piuttosto passivo e senza che partecipi attivamente nel definire la realtà che lo circonda.
L’approccio sistemico sottolinea l’importanza del contesto in cui l’individuo è inserito e
approfondisce le dinamiche relazionali e gli scambi comunicativi che si verificano all’interno di
gruppi stabili.
L’ Approccio cognitivista: attribuisce grande rilievo anche ai processi di elaborazione dei dati di
realtà, oltre che alle qualità oggettive di questi, nella costruzione del rapporto col mondo
circostante.
Teoria psicoanalitica: attribuisce un ruolo centrale ai significati affettivi profondi e inconsci che i
fatti esterni hanno per l'individuo.

Uno stesso fenomeno può trovare una spiegazione nei diversi approcci della psicologia clinica, ed
essere pertanto affrontato con modalità diverse. Gli approcci operano anche nelle nostre teorie
personali. Le Teorie private sono molto presenti nel campo delle scienze psicologiche e possono
agire con forza, e molto pericolosamente, come pregiudizi, sia influenzando l'opzione teorica
adottata sia il modo più o meno dogmatico o critico, rigido o flessibile, passivo o creativo, in cui
questa viene usata. Queste possono essere anche adeguate e sensate, ma pur sempre personali.
L’eventualità di affidarsi alle teorie personali nell’attuazione di processi psicologici è rischiosa in
quanto può verificarsi negli interventi psicologici che possano coesistere sia le competenze
professionali che le di posizioni personalmente motivate. Questo richiamo è dovuto al fatto che
molti professionisti, soprattutto dell'aria sanitaria, si trovano più facilmente nelle condizioni di
intervenire psicologicamente sulle persone assistite senza disporre di adeguate competenze e
affidandosi alle proprie capacità e modi di pensare, implicitamente adottati come modelli di
riferimento validi anche per gli altri. Gli operatori sanitari generalmente hanno un’eccessiva
propensione verso una concezione di tipo biologistico dei problemi psicologici, ciò perché tale
approccio può facilmente costruire una modalità difensiva di fronte alle ansie dovute alla
complessità del linguaggio della vita psichica. Una cosa simile accade anche a livello inconscio,
dove i conflitti intrapsichici possono esplicitarsi in sintomi somatici, che assumono la difesa nei loro
confronti, per cui è possibile manifestare:
 I sintomi psicosomatici si verificano quando i conflitti interni sfociano in manifestazioni
fisiche
 Preoccupazioni ipocondriache: eccessivo controllo del funzionamento del corpo
 Meccanismi di difesa attraverso la proiezione (un processo psicologico inconscio, che il
soggetto può utilizzare con finalità protettive e adattative), che consiste nel collocare fuori
di sé e nell'attribuire ad altri aspetti personali rifiutati in quanto spiacevoli, mortificanti,
riprovevoli o dolorosi
2. LA TEORIA PSICOANALITICA
La psicoanalisi è una costruzione teorica articolata sull’organizzazione della personalità e
sull’origine delle manifestazioni psicopatologiche, nata a partire dall’osservazione di particolari
disturbi isterici. L’isteria è un disturbo psicologico che si manifesta con sintomi somatici (paralisi,
spasmi muscolari ecc) privi di causa organica; per Freud l’isteria e i disturbi patologici sono dovuti
alla presenza di conflitti psichici inconsci e le esperienze traumatiche subite nell’età infantile.
Gli aspetti più significativi delle scoperte freudiane:
• il concetto di processi psichici inconsci che agiscono inconsciamente
• possibile compresenza di processi psichici diversi che portano il soggetto ad agire talvolta in
maniera contraddittoria
• emozioni spiacevoli (colpa o schifo) collegate all’azione di un auto rimprovero (parte giudicante
della vita psichica)
• parte razionale in grado di effettuare una corretta valutazione di ciò che accade e cerca di
contrastare i propri impulsi o di provare a giustificarsi
• costante contrasto tra queste componenti che generano un processo di lotta interna nel soggetto

La psicologia dinamica vede la vita psichica come il risultato dell’iterazione conflittuale di motivi e
processi psichici che tendono a un obiettivo. Il modello psicoanalitico comprende dunque un
insieme di costrutti teorici sul funzionamento della personalità, di cui delimita l’organizzazione,
l’evoluzione e le alterazioni che possono portare a disturbi patologici.

2.1 la dimensione inconscia e la vita psichica


L’inconscio è un concetto centrale della teoria psicoanalitica. I contenuti inconsci comprendono sia
quelli attivamente esclusi della coscienza, sia quelli non elaborabili mentalmente  sono costituiti
da impulsi, bisogni, desideri, paure legati a esperienze del passato. I preconsci invece sono
contenuti psichici che possono diventare consapevoli.
I contenuti psichici inconsci si presentano in maniera indiretta attraverso: lapsus (errori involontari
ma significativi commessi nel parlare o nello scrivere) o sogni (espressione mascherata o simbolica
del materiale psichico inconscio).
Attualmente le ipotesi esplicative della natura dei processi psichici inconsci si rifanno alle nuove
scoperte riguardanti la memoria. Il problema dell’inconscio è legato al tema della memoria, in
quanto uno degli interrogativi più grandi è da quello che ci porta a chiedere in che modo e perché
noi ricordiamo/dimentichiamo determinati fatti rispetto ad altri:
 memoria a breve termine, riguarda la capacità di trattenere informazioni per un tempo
limitato
 memoria a lungo termine:
- memoria procedurale (abilità pratiche e motorie frutto di un apprendimento + schemi
comportamentali e modelli relazionali)
- memoria semantica (ciò che noi sappiamo, i rappresentanti simbolici, categorie
rappresentative, con tutte le connotazioni affettive e le conseguenze comportamentali che
possiamo provare)
- memoria episodica (specifici eventi, fatti, cose e persone)

2.2 l’apparato psichico


Nel modello psicoanalitico l’apparato psichico (insieme dei processi psichici che avvengono nella
nostra mente) è suddivisibile in tre categorie: Es, Io e Super Io  che costituiscono il modello
strutturale della mente. Queste entità non esistono realmente ma sono categorie funzionali, utili in
quanto semplificano la realtà osservata e ci permettono di descriverla in modo comprensibile.
2.2.1 L’ ES e la componente motivazionale  Il termine Es si usa per riferirsi alle forze che sono alla
base del comportamento individuale; inoltre si usa anche per esprimere il carattere indifferenziato
e oscuro della componente istintuale primaria. Questo termine si avvicina all’attuale concetto di
“motivazione” riferendosi alle forze, ai motivi che sostengono la condotta degli individui e li
spingono in una certa direzione. Freud afferma che le forze che guidano il nostro comportamento
sono le pulsioni (le pulsioni indicano una spinta energetica inconscia che muove lo sviluppo
psicologico del bambino)  questo termine viene spesso usato in modo indistinto con il termine
istinto. L’istinto, tuttavia, si riferisce ai programmi di comportamento preformati e geneticamente
determinati che gli animali mettono in atto sotto l’azione di stimoli scatenanti (es. costruire il nido,
rituali che possano garantire la sopravvivenza; invece, per gli uomini ad es. possiamo parlare di
istinto materno, ossia la basa biologica sottostante all’insieme delle condotte finalizzate
all’accudimento e procreazione)
Le motivazioni sono le forze che sostengono i comportamenti finalizzati  posso essere più o
meno consapevoli e inducono processi psicologici di natura diversa, legati ai bisogni biologici o
conseguenti all’esperienza.
La pulsione indica la spinta energetica, inconscia e di natura psicobiologica che muove lo sviluppo
psicologico del bambino; Freud ipotizza due spinte pulsionali: pulsioni di vita (pulsione sessuale) e
pulsioni di morte (pulsione distruttiva). Le pulsioni fondamentali sono di natura erotica ed
aggressiva, esse originano nei processi biologici dell’organismo e si manifestano nell’individuo
come stato di necessità che spingono al comportamento per trovare l’appagamento.
La psicoanalisi ha studiato soprattutto la pulsione sessuale, la quale da molta importanza alla
sessualità infantile, intesa come presenza di sollecitazioni erotiche, legate al funzionamento di
apparati diversi, che sono importanti per soddisfare i propri bisogni biologici e diventare fonte di
piacere (ma allo stesso tempo anche causa di frustrazione).
La libido invece è l’energia legata alla pulsione sessuale e si riferisce alle spinte volte al
raggiungimento del piacere, ma anche ai sentimenti d’affetto  la libido comprende tutte le
attività vitali e positive con cui gli individui affrontano la vita, ricercano il piacere e intrecciano
legami affettivi. Le pulsioni di vita sono tutte quelle pulsioni positive (elencate precedentemente)
ma anche i bisogni di garantirsi sicurezza e sopravvivenza. Le pulsioni di morte invece
comprendono tutte quelle forze tendenti alla distruzione propria e altrui.
Nella riflessione psicoanalitica attuale, il concetto di pulsione ha assunto un’ accezione più vicina a
quella di motivazione (insieme di processi mentali che guidano l’individuo a soddisfare i proprio
obiettivi.
Una classificazione delle motivazioni più recente ha individuato 5 sistemi motivazionali
fondamentali a cui si può ricondurre la condotta umana:
1. la regolazione delle esigenze fisiologiche: serve per garantire le condizioni ottimali per la
sopravvivenza dell’organismo
2. il bisogno di attaccamento-affiliazione: i bambini hanno il bisogno di sentirsi protetti e
accuditi, gli adulti sentono il bisogno di prendersi cura e sviluppare la crescita di chi è più
piccolo e fragile
3. la motivazione esplorativa-assertiva: comprende la spinta naturale a esplorare il mondo
circostante, sperimentare le proprie capacità e valutare l’efficacia delle proprie azioni
4. le spinte avversarie: riguardano le risposte affettive e comportamentali alle esperienze di
frustrazione che serve ad allontanare la causa dalla frustrazione stessa
5. la ricerca del piacere sensuale-sessuale: comprende la ricerca del piacere sessuale, scelta
dell’oggetto d’amore, l’accoppiamento e la scarica del piacere sessuale.
2.2.2 L’ IO  L’io è l’insieme delle funzioni psichiche che permettono all’individuo sia di conoscere
l’ambiente e di muoversi in esso (percezione, memoria, pensiero, processi cognitivi), sia di ricevere
ed elaborare stimoli che provengono dal mondo interno (stati affettivi, stimoli corporei).
Il compito dell’io è quello di permettere l’appagamento delle esigenze dall’individuo e di facilitarne
l’adattamento alla realtà, attraverso il “principio di realtà” che esprime una modalità attiva volta a
raggiungere il soddisfacimento dei bisogni tenendo conto delle circostanze, sia interne che esterne,
che vi si oppongono. Crescendo il bambino capisce che non sempre può ottenere la soddisfazione
immediata e totale delle pretese pulsionali (principio del piacere= volere tutto e subito), deve
imparare a dilazionare il soddisfacimento del bisogno e tollerare la frustrazione.
Il processo secondario tiene conto della realtà̀ e delle leggi che ne regolano gli eventi (prevalente
nella vita psichica conscia), il processo primario si muove invece a livello inconscio.
All’io vengono attribuiti alcuni processi psicologici: i meccanismi di difesa sono operazioni
psicologiche inconsce che l’io mette in atto per proteggersi da situazioni minacciose e generatrici di
ansia. Essi hanno una funzione di adattamento e rientrano tra le attività dell’io in quanto sono in
grado di realizzare una strategia difensiva per ridurre le conseguenze psicologiche sgradevoli e
dolorose, ma non operano per affrontare e modificare gli ostacoli che si oppongono
all’appagamento. I meccanismi di difesa sono fisiologici e indispensabili per lo sviluppo psicologico
e per l’adattamento dell’individuo, essi agiscono impedendo di riconoscere ciò che è fonte di
angoscia, nascondendo la realtà spiacevole e temuta. Il ricorso all’uso di strategie difensive di tipo
psicologico è legato al fatto che non sempre disponiamo di strumenti comportamentali adeguati ad
affrontare situazioni di frustrazione o di risorse affettive sufficienti.
Tra i meccanismi di difesa ci sono quelli di:
 rimozione  impediscono che un contenuto mentale diventi o resti consapevole; essa è
legata a livello inconscio
 proiezione  attribuzione alla realtà esterna di una caratteristica in realtà che rifiutiamo di
avere in noi stessi
 negazione  negazione della realtà, distorcerla, o non riconoscere l’impatto effettivo che la
sua conoscenza comporta
 formazione reattiva  sviluppo a livello conscio di sentimenti, modi di essere opposti a
quelli provati a livello profondo, che vengono tenuti lontani perché inaccettabili
 razionalizzazione  per rendere accettabile un’esperienza frustrante si tende a dare
spiegazioni e giustificazioni, apparentemente convincenti, di un fatto; ma in realtà queste
spiegazioni non sono realistiche ne rispondenti ai dati di fatto
 idealizzazione  talvolta per evitare penosi sentimenti d’invidia e di mortifica interiore,
attuiamo il processo di idealizzazione in cui siamo portati a provare un senso di
ammirazione esagerata per le doti altrui.
 Scissione  che ci fa vedere le cose come nettamente contrapposte, o buone o cattive
 Identificazione con l’aggressore  si attua per elaborare un’aggressione subita e ci porta ad
assumere a nostra volta comportamenti aggressivi, immaginari o reali.
 sublimazioni le spinte pulsionali rifiutabili vengono trasformate in forme accettabili e
costruttive
I meccanismi di difesa agiscono inconsciamente ma si possono evincere dagli effetti psicologici e
comportamentali che generano; la loro presenza può essere eventualmente confermata a
posteriori. I meccanismi di difesa sono universali in quanto tutto li usano, ma è soggettivo il modo
in cui vengono utilizzati (spesso non ci si rende nemmeno conto di farlo). Essi però possono
diventare potenti fattori di disadattamento quando il loro uso diventa eccessivo, anche difronte a
innegabili conseguenze che ne derivano ciò avviene quando i meccanismi di difesa sono atti a
proteggere il soggetto da fattori che per lui sono intollerabili.
2.2.3 il SUPER IO  Il super io è il nome che si da all’insieme delle norme morali che guidano la
condotta delle persone; esso opera inconsciamente e la natura delle sue caratteristiche si rivela
attraverso le caratteristiche della personalità, la presenza di sintomi o altre manifestazioni. La
componente che indica gli ideali e le mete da raggiungere è chiamata ideale dell’Io, essa si
costruisce come conseguenza delle esperienze di gratificazione e di conferma delle capacità e delle
prestazioni del bambino, o all’opposto, di mortificazione, di impotenza e di inadeguatezza.

3. IL CONFLITTO PSICHICO
Le varie componenti e i contenuti dell’apparato psichico interagiscono costantemente in un
rapporto dinamico, in quanto spesso tra di loro sono in conflitto. Il concetto di conflitto ha un
ruolo centrale nella teoria psicoanalitica della personalità, in quanto tratta la natura e le dinamiche
dei conflitti inconsci, inoltre analizza le loro conseguenze sulla vita psichica e relazionare. I temi
conflittuali principali possono essere ricondotti alle esperienze di appagamento e di frustrazione a
cui sono andati incontro i bisogni e le motivazioni del bambino all’interno delle relazioni con le
figure significative. Tali bisogni sono:
a) dipendenza/indipendenza nei rapporti
b) competizione/paura del confronto
c) dominio sull’altro/sottomissione
d) ricerca piacere sessuale/colpevolizzazione.
I conflitti possono essere relativi alla presenza di:
 motivazioni incompatibili
 bisogni e desideri riprovati dal Super Io
 desideri incompatibili con i propri ideali che impongono scelte diverse
 sentimenti contraddittori verso lo stesso oggetto o verso oggetti diversi
 rappresentazioni di sé contraddittorie
Gli eventi della vita adulta, sia quelli positivi che negativi, diventano traumatici e quindi fattori
scatenanti di disagio, in quanto sono in grado di riattivare conflitti intraspecifici infantili repressi ai
quali sono effettivamente collegati.

4. LO SVILUPPO PSICOLOGICO DEL BAMBINO!!!!!


Uno sviluppo affettivo adeguato nei primi anni di vita pone le basi per la strutturazione di funzioni
psichiche salde, flessibili e integrate e per affrontare la realtà e le relazioni sociali in modo sicuro; al
contrario eccessive difficoltà nel percorso evolutivo possono compromettere questo processo
procurando deficit nell’organizzazione psicologica del soggetto. Studiare lo sviluppo psicologico di
una persona significa individuare quali siano i fattori e le condizioni che agevolano potenzialmente
uno sviluppo sano o che lo possono distorcere Lo sviluppo psicologico, sia affettivo che cognitivo, è
stato suddiviso in una serie di stadi/fasi caratterizzate dalla prevalenza di bisogni fisici ed esigenze
psicologiche.
Freud individua una serie di tappe evolutive caratterizzate dal fatto che la libido è concentrata in
una particolare zona corporea, definita erogena  queste tappe di definiscono fasi psicosessuali
poiché in esse vi è centrale la componente erotica nell’individuazione di tali periodi.
 fase orale (primo anno): prevalenza di bisogni orali come funzionamento mentale affettivo-
relazionale in cui dominano gli scambi sul modello dell’alimentazione
 fase orale (primo anno): prevalenza di bisogni orali
 fase sadico-anale (secondo anno): qui diventano dominanti i temi legati alla conquista della
motilità e autonomia. Si fanno esperienze erotiche associate all’uso dello sfintere anale ed
esperienze emotive e relazionali legate all’educazione alla pulizia, ma più in genarle alle
gratificazioni e limitazioni imposte al bambino nell’espressione dei propri bisogni di
autonomia e nell’esplorazione attiva e il controllo della realtà fisica e sociale in cui si trova
 fase fallica (scuola materna): dominata dai temi emotivi legati alla sessualità. L’insieme
delle dinamiche affettive che caratterizzano tale periodo è definito “complesso edipico”, che
può generare ansie riguardo i timori relativi alla perdita delle proprie funzioni genitale
(angoscia da castrazione); durante questo fase dominano i processi di identificazione con le
figure genitoriali, che portano alla definitiva costruzione dell’identità sessuale e alla
formazione completa del Super Io
 fase di latenza (scuola elementare): le energie pulsionali, erotiche vengono distolte a opera
di meccanismi difensivi (rimozione, sublimazione, formazione reattiva...)
 pubertà e adolescenza: si riaccendono le spinte pulsionali sotto alla pressione dei
cambiamenti biologici; in questa fase è possibile anche che possano riemergere conflitti
infantili che possono generare problemi relativi: all’alimentazione, pulizia, sessualità (è
possibili che questi trovino una soluzione sotto il primato della genitalità: le esigenze
affettive e sessuali si indirizzano verso un partner)
 fase sadico- anali (secondo anno): esperienze erotiche associate all’uso dello sfintere anale
ed esperienze emotive e relazionali legate all’educazione alla pulizia
fase fallica (scuola materna): temi emotivi legati alla sessualità (complesso edipico, angoscia di
castrazione)
• fase di latenza (scuola elementare): le energie pulsionali, erotiche vengono distolte a opera di
meccanismi difensivi (rimozione, sublimazione, formazione reattiva..)
• pubertà e adolescenza: si riaccendono le spinte pulsionali sotto alla pressione dei cambiamenti
biologici

Il mondo psicologico del bambino si struttura attraverso l’interiorizzazione delle relazioni tra il
bambino e il singolo genitore, tra il bambino e i genitori (intesi come coppia), la relazione tra i
genitori, la relazione tra i genitori e i fratelli  la qualità delle relazioni interiorizzate dipende: dai
comportamenti reali dei soggetti coinvolti, dall’esperienza soggettiva del bambino, e dalle difese
che egli adopera difronte alle frustrazioni. Nel primo periodo di esistenza di un bambino, egli è
sottoposto soprattutto alla pressione di bisogni fisiologici e si trova in una condizione di totale
impotenza e dipendenza dell’adulto che si prende cura di lui: ciò è molto importante per lo
sviluppo psicologico del bambino, in quanto esso dipende dalla quantità e dalla modalità in cui la
figura parentale si prende cura di lui. Attraverso atteggiamenti di contenimento (holding), cure
corporee (handling) e la capacità di sintonizzarsi emotivamente, si riesce a costruire un canale
comunicativo privilegiato tra la madre e il bambino soprattutto in un periodo dove è assente la
comunicazione verbale. La sollecitudine e le risposte adeguate del genitore aiutano il bambino sia
a discriminare e contenere i propri confusi stati psicofisici (che si trasformeranno poi in bisogni e
affetti differenziati), sia a facilitare le risposte di attaccamento all’adulto (comportamenti di ricerca
fiduciosa e di legame selettivo verso una figura che è fonte di sicurezza e protezione).
È la qualità delle cure precoci che permette di porre le basi per realizzare una sana strutturazione
delle funzioni psichiche e la costruzione di un senso di sé coeso e differenziato rispetto all’altro.
Un positivo superamento dei compiti evolutivi e dei conflitti legati alle dinamiche relazionali
permette di affrontare con risorse adeguate le vicende legate alla sessualità e alla configurazione
edipica  riguarda la centralità che la sessualità viene ad assumere nello sviluppo psicologico e
nelle relazioni del bambino con le figure genitoriali. L’interesse del bambino si sposta sui genitali e
le sue esperienze affettive sono centrate sul rapporto con i genitori che vede come una coppia di
adulti di sesso diverso legati da una relazione sessuale, verso i quali ha risposte di attaccamento.
La scoperta della relazione sessuale tra i genitori causa ansie, gelosia, rivalità, a queste si
aggiungono anche altre ansie legate all’angoscia di castrazione (per Freud è l’ansia di perdita o di
impotenza delle proprie capacità genitali). Le esperienze evolutive precedenti e le difese adottate
dal bambino per affrontare le frustrazioni condizionano il modo in cui verranno affrontate ed
elaborate quelle successive  infatti il positivo superamento delle vicende edipiche porta allo
stabilirsi di una solida identità sessuale, legata fondamentalmente ai processi di identificazione con
le figure parentali, che porta all’acquisizione e integrazione di caratteristiche psicologiche
all’interno della propria identità di genere. L’intensità e la configurazione che assumono i conflitti
fondamentali lungo il percorso evolutivo e le soluzioni dinamiche che ne vengono inconsciamente
date, portano alla costruzione delle caratteristiche di personalità dell’adulto e alla formazione di
predisposizioni a sviluppare determinati disturbi psicologici.

5. I DISTURBI PSICHICI
Nel campo della psicopatologia la malattia viene individuata e classificata, anche se non sempre è
possibile, in base a criteri etiopatologici, cioè in base all’ etiologia e alla patogenesi. Quando invece
si ignorano le cause delle malattie, queste vengono classificate in base ai sintomi, che costituiscono
le manifestazioni finali, osservabili, dei processi patologici, ma anche mutevoli e non esclusivisti di
una sola malattia.
Si definiscono sindromi i quadri patologici individuati in base a un insieme di sintomi che si
presentano abitualmente associati, in modo relativamente stabile, e diagnosi
nosografico-descrittiva la classificazione delle malattie basate su tale criterio.
La maggior parte dei disturbi psicologici e del comportamento non ha spiegazioni chiare,
definitivamente accertate e universalmente condivise, per cui la loro classificazione è più
problematica, viene effettuata soprattutto su base sintomatologica e risente molto anche di criteri
statistici e culturali. I vari parametri utilizzati per individuare una condizione patologica spesso
portano a sovrapposizioni tra i quadri patologici, ciascuno dei quali può presentare aspetti comuni
anche a un altro disturbo.

5.1 criteri definitori di normalità, salute e patologia


I disturbi psicologici si differenziano dalla condizione di normalità più in termini quantitativi che
qualitativi, con potenziali passaggi dall’una agli altri (es. tristezza che può degenerare e sfociare in
depressione); questo criterio di tipo quantitativo è riconducibile a una lettura statistica delle
manifestazioni patologiche; la statistica ci dice se e in che misura il comportamento di una persona
si allontana da quanto accade nella popolazione generale; non tiene però conto della realtà
individuale né dell'impatto che quel fenomeno ha sulla persona che ne è portatrice, né dei processi
che lo generano il concetto di normalità viene inteso come prevalenza di certe manifestazioni
nella popolazione generale; non coincide con quello di salute che si basa anche sull'esperienza
soggettiva e relazionale di una determinata condizione, sul grado di sofferenza sperimentata, sulle
caratteristiche del funzionamento psichico della persona.
I criteri di ordine culturali sono quelli che vanno a influenzare i nostri comportamenti e sono dovuti
ai condizionamenti socioculturali (sono quelli che possono portare anche alle formazioni di disturbi
della condotta alimentare in quanto influenzati da canoni estetici che valorizzano la magrezza) e
possono portare ad una particolare manifestazione al campo della patologia o della normalità.
Le immagini culturali prevalenti possono sia influenzare le concezioni di ciò che può essere
considerato patologico o meno, sia possono suggerire il rimedio ritenuto più opportuno
(indipendentemente dalle teorie ufficialmente accreditate)
5.2 i disturbi psicopatologici
Una prima distinzione operata nell’area dei disturbi psichici differenzia in base alla gravità della
patologia la nevrosi dalla psicosi: distinzione imprecisa e parziale, che si basa solo sulla gravità e
non sul tipo di patologia; a queste poi vanno aggiunti i disturbi della personalità.
I disturbi nevrotici comprendono tutte quelle manifestazioni patologiche meno gravi, vicine
all’esperienza di tutti noi, non comportano un malfunzionamento dei processi cognitivi e possono
essere classificati in base alle manifestazioni sintomatologiche:

 fobie: presenza di intense paure irrazionali nei confronti di particolari situazioni, luoghi od
oggetti, la fobia sociale ad esempio è il timore della presenza di altre persone che creano
inibizioni più o meno intense

 disturbo di panico: paure intense ed improvvise che si associano a rilevanti manifestazioni


fisiche e a drammatiche esperienze di perdita di controllo

 disturbo d’ansia generalizzato: persistente stato di tensione, preoccupazione, irrequietezza

 disturbo ossessivo- compulsivo: presenza di pensieri ricorrenti che disturbano il soggetto


impedendogli di dedicarsi ad un’attività mentale produttiva; alcune volte il soggetto sente
di dover eseguire determinate azioni che non riesce a evitare. I sintomi fobici e ossessivi si
trovano spesso associati per cui si può parlare di “nevrosi fobico-ossessiva”

 disturbo post- traumatico da stress: protrarsi di uno stato ansioso, spesso riconducibile a
un’esperienza traumatica

 disturbi somatoformi: manifestazioni fisiche di problemi psicologici


 disturbo algico: frequenti manifestazioni dolorose inspiegabili
 dismofobia: percezione distorta aspetti del proprio corpo
 ipocondria: eccessiva preoccupazione per le malattie
 somatizzazione: sintomi fisici vasi e persistenti senza causa organica
 conversione: perdita di funzioni sensoriali o motorie, se sono a carico della muscolatura
striata e organi sensoriali viene definita nevrosi isterica o isteria di conversione
 disturbi dissociativi (amnesie, sdoppiamento della personalità)

I disturbi del comportamento invece comprendono:


 I disturbi da uso di sostanze
 disturbi dell’alimentazione
 disfunzioni sessuali (alterazioni del desiderio e delle capacità di portare al termine il
rapporto sessuale e di raggiungere l’orgasmo)
 disturbi dell’identità di genere (rifiuto del proprio sesso biologico)
 perversioni o parafilie: raggiungimento del piacere sessuale non attraverso il rapporto
con un adulto consenziente, ma ricorrendo a pratiche e ad oggetti particolari (sadismo,
masochismo, pedofilia, feticismo...)
I disturbi psicofisiologici si riferiscono a malattie fisiche e comprendono le malattie psicosomatiche
(patologie mediche ad andamento cronico e con lesioni organiche, alla cui origine è rilevabile
l’azione di fattori psicologici). Queste malattie sono molto più complesse in quanto vanno
considerate come conseguenza del concorso di numerosi fattori, sia biologici che psicologici, e la
loro iterazione causano squilibri nei meccanismi biologici che sottostanno alla malattia.
La prospettiva psicosomatica è un atteggiamento clinico che valorizza il ruolo dei fattori psicologici
nel contribuire a determinare un particolare processo patologico e condizionare il processo
terapeutico.

La patologia psicotica comprende le forme patologiche più gravi nelle quali sono presenti
alterazioni dei processi mentali e in cui il soggetto va incontro ad alterazioni della realtà (deliri,
allucinazioni). Il soggetto va incontro a sistemi di pensiero strani e complessi (deliri) o distorsioni
percettive sia visive che uditive (allucinazioni). Tra le sindromi psicometriche rientrano:
 schizofrenia: disorganizzazione della personalità che compromette l’attività ideativa, la
percezione della realtà esterna e del proprio corpo, e la vita di relazione; si esplicita con
la chiusura in sé stessi, l’angoscia e il disinteresse verso il mondo
 paranoia: delirio sistematizzato generato da un pensiero lucido e coerente che parte
però da premesse false
 disturbi dell’umore: depressione maggiore (grave forma di depressione non
riconducibile a cause concrete) e mania (eccessivo e ingiustificato senso di euforia,
sicurezza); la psicosi maniaco-depressiva si verifica quando le due condizioni si
verificano in maniera alternata
 disturbi di personalità: modelli di comportamento rigidi e pervasivi che si discostano dai
modelli culturali dominanti; qui non abbiamo a che fare con sintomi circoscritti, ma è
l’intera costruzione della personalità che funziona secondo schemi non elastici (es.
personalità paranoide, antisociale, narcisista, borderline, dipendente ecc.…)

5.3 La psicopatologia dell’ottica psicoanalitica


I disturbi psichici sono l’espressione di conflitti psichici derivanti da un’esperienza traumatica nei
primi anni di vita, che hanno portato a difetti e distorsioni delle strutture psichiche. Le dinamiche
conflittuali possono diventare particolarmente aspre per l’inaccettabilità e l’irraggiungibilità delle
pretese, per l’intensità delle paure provate e per l’inadeguatezza delle risorse dell’Io. Alla loro
base vi è l’angoscia, un’ansia legata alla colpa di non eseguire le richieste del Super Io (ansia
morale) e alla paura di subire ritorsioni per i propri desideri (angoscia di castrazione) o di perdere
l’amore e la stima di persone significative a causa delle proprie inadeguatezze. Queste ansie si
possono generare in seguito a conflitti che si verificano in un momento evolutivo in cui però lo
sviluppo cognitivo e affettivo sono ormai abbastanza evoluti.
L’ansia e l’angoscia possono compromettere la sicurezza sessuale, la capacità di iniziativa, la
capacità di dialogare creativamente e di creare relazioni stabili. Se le esperienze traumatiche
intervengono precocemente si rischia di compromettere i processi fondanti lo sviluppo psichico. Le
angosce psicotiche che si generano sono troppo intense per un Io ancora in fase di costruzione;
esse sono drammatiche e incontenibili, legate a vissuti di persecuzione, di disintegrazione e
possono essere combattute con difese arcaiche (proiezione, diniego ecc.), ma se usate in modo
drastico e massiccio possono ugualmente compromettere lo sviluppo psichico
CAPITOLO 8
Il lavoro solitamente occupa molto tempo e molto spazio mentale nella quotidianità di ciascuno; il
lavoro di cura in particolare, da un lato è molto gratificante, ma dall’altro è particolarmente
esposto al disagio perché appesantito dalle stanchezze e dalla sofferenza altrui. Gli ospedali per cui
sono sia i luoghi delle risorse curative individuali e gruppali, sia luoghi in cui potenzialmente
possono svilupparsi aspri conflitti e dinamiche distruttive che generano disagio.

1. IL FENOMENO <<BURNOUT>>
Il burnout è un fenomeno complesso e multidimensionale, usato negli anni 30 per distinguere un
fenomeno tipico dell’atleta che, dopo alcuni successi, si esaurisce senza essere più capace di dare
nulla dal punto di vista agonistico. Analogia con il fenomeno dell’operatore sanitario che, dopo un
periodo intenso di lavoro, si “brucia” e non ha più nulla da offrire a livello psicologico.
Molti autori propongono hanno proposto vari modelli per spiegare cosa succede all’operatore
sottoposto a questo fenomenosecondo Cherniss l’operatore attraversa prima una fase in cui
avverte uno squilibrio fra richieste provenienti dall’ambiente e risorse personali (fase dello stress)
ma continua a svolgere con fatica il proprio lavoro. Successivamente sperimenta tensione emotiva,
ansia, irritabilità o noia e apatia (fase dell’esaurimento). L’ultima tappa è il disinvestimento
emozionale con caduta della spinta motivazionale, perdita di entusiasmo, interesse e
responsabilità (fase della conclusione difensiva). L’operatore ormai “bruciato” comincia poi a
lavorare in maniera estremamente rigida, e ciò causa squilibri sia nel rapporto con i pazienti, sia
con i colleghi e le altre figure professionali. Il burnout rappresenta per molti aspetti una strategia
difensiva disfunzionale, esso danneggia sia l’operatore sia la qualità del suo lavoro.
Secondo alcuni autori il burnout ha uno sviluppo ciclico basato su 5 fasi:
1) entusiasmo idealistico: collegato fortemente alle motivazioni consapevoli e non, che hanno
portano l’operatore a scegliere un lavoro assistenziale
2) stagnazione: graduale disimpegno, il lavoro non soddisfa del tutto i bisogni dell’operatore e
ciò comporta una diminuzione delle prestazioni lavorative stesse; ci troviamo in una fase di
“carriera bloccata” in cui non ci sono nuovi stimoli e esperienze che ci fanno perdere
l’entusiasmo; in questa fase può essere fondamentale il lavoro di gruppo per riuscire a
sconfiggere questo fenomeno
3) frustrazione: fase più critica del burnout, l’operatore prova un senso di impotenza nei
confronti dell’utente
4) apatia: forma di morte professionale, è una conseguenza della frustrazione che ha portato
l’operatore a chiudersi sempre di più e sperimenta un senso di noia e fastidio per le
richieste che è portato a svolgere sul lavoro.
5) intervento: cambiamento delle condizioni lavorative e degli atteggiamenti dovuta a una
ristrutturazione cognitiva della propria situazione professionale.

Secondo Maslach il burnout è una sindrome costruita da 3 componenti


a) esaurimento emotivo: poche risorse emotive personali, sensazione di non avere più niente
da offrire al paziente
b) depersonalizzazione. atteggiamento cinico, distaccato, ostile soprattutto nei pazienti
c) ridotta realizzazione personale: poca stima di se, no desiderio di successo, credenza di
essere inadeguati per svolgere il proprio lavoro.
Lo strumento più usato per rilevare la presenza della sindrome del burnout e misurarne l’intensità
è il Maslach Burnout Inventory: è importante specificare che in questo progetto Maslach e i suoi
collaboratori si concentrarono sui fattori socio-ambientali all’origine della sindrome: ossia sullo
stress occupazionale cronico di coloro che si dedicano alle relazioni d’aiuto.
Un altro studioso, Freudenberger nello studiare questo fenomeno si concentra di più sui fattori
predisponenti intrinseci all’individuo, identificando specifici tipi di personalità che hanno una
predisposizione maggiore a subire il burnout.
Altri autori invece identificano le cause del fenomeno nella relazione operatore /paziente, essa
infatti implica un coinvolgimento emotivo più o meno intenso.

2. LE DIFFICOLTA’ DELLE PROFESSIONI D’ AIUTO


Lavorare in un ambito sanitario, dove si è molto a contatto delle persone spesso può creare un
contrasto tra il paziente e l’operatore, in quanto il primo attribuisce all’altro molteplici aspettative
e risorse, al contrario l’operatore si può sentire inadeguato a soddisfarle. Bolognini e Toglini
sottolineano che le dinamiche relazionali implicate nella relazione terapeutica possono generare
nel paziente una condizione di dipendenza e di bisogni infantili, che lo portano ad attribuire al
curatore fantasie di onnipotenza; Ciò però espone l’operatore al rischio di rimbalzo depressivo
(l’eccesso di onnipotenza inconscia è un fattore predisponente al burnout)  qualora egli sia
troppo esposto a sensazioni di impotenza e difficoltà terapeutica dovute alla sofferenza e la gravità
della malattia del paziente.
Il rischio del burnout non si verifica solo in base alle caratteristiche dell’operatore, ma anche in
base al contesto (contesti particolarmente rischiosi sono ad esempio i reparti di oncologia e
rianimazioni; al contrario quelli meno rischiosi sono quelli di ostetricia).
Spesso adoperare meccanismi di difesa come la depersonalizzazione e una preservata
soddisfazione lavorativa possono preservare l’operatore dal burnout.
È importante che l’operatore mantenga sempre equilibrio fra un’eccessiva identificazione/
coinvolgimento emotivo e distacco (inteso come ritiro della sofferenza causata dalla relazione).
Bisogna essere empatici, ma non bisogna sviluppare una condizione di “contagio emotivo”
(adesione indifferenziata alla sofferenza altrui, non vi sono più limite tra il sé e l’altro).
Negli ambienti sanitari può capitare le richieste d’aiuto possano interessare le relazioni fra
pazienti, familiari e operatori: l’operatore sanitario è trasfigurato dalle proiezioni di bisogno e
diventa oggetto di richieste più o meno esplicite che implicano risposte del piano
comportamentale o relazionale. È importante che tutte le figure professionali siano in un
ambiente di lavoro e di vita sufficientemente confortevole ed esista un supporto psicologico.
Con pazienti più gravi e difficili la relazione si anima e si carica di vissuti che se sono negativi
tendono ad ostacolare l’interazione e la comunicazione; ciò non duole solo la relazione tra
l’operatore e il paziente, ma anche e soprattutto gli atteggiamenti dell’operatore stesso che si
sente impotente, incapace, delusi.
Per prevenire il fenomeno del burnout è necessario che l’operatore riporti l’attenzione su di sé e
sulle motivazioni che l’hanno portato a scegliere il proprio lavoro, in questo modo si può lenire il
disagio e trovare continuità relazionale ed esistenziali
3. FATTORI PREDISPONENTI E FATTORI PROTETTIVI DELLA SINDROME DEL BURNOUT
I fattori che contribuiscono all’insorgenza del burnout possono essere ricercati sia nelle
caratteristiche individuali che in quelle socio-ambientali o situazionali

3.1 fattori predisponenti


 fattori individuali: tratti della personalità (es. pattern comportamentale di tipo A),
mancanza di apertura al cambiamento e alla sfida (mancanza di hardiness). Fattori
importanti per modulare la vulnerabilità al burnout sono la motivazione al lavoro e le
aspettative personali, se sono alte predispongono al burnout poiché spingono l’operatore a
lavorare troppo (il lavoratore che ha un approccio centrato sul compito sentono molto la
necessità di soddisfare determinate aspettative per essere gratificati, quando ciò non
succede possono facilmente andare incontro a questo fenomeno; un lavoratore che ha un
approccio centrato sulla relazione necessitano di essere apprezzati da pazienti, colleghi,
familiari, per realizzare ciò però tendono a farsi carico anche di mansioni che non gli
spettano). Un altro fattore che incide molto sulla vulnerabilità al burnout è lo stile di
attribuzione casuale (gli individui attribuiscono successi/insuccessi a degli eventi e non alle
proprie abilità= locus of control esterno); ancora le modalità di coping, ossia le strategie di
fronteggiamento messe in atto dall’individuo in situazioni stressanti (possono essere
orientate o verso il controllo e l’azione o verso l’emozione o verso l’evitamento); infine
l’età e il sesso predispongono al burnout (maggiore predisposizione nelle donne e negli
operatori inesperti)

 fattori situazionali: comprendono fattori relativi alle condizioni lavorative e al contesto


organizzativo (poca comunicazione e rapporto tra colleghi); sovraccarico di lavoro (carenza
di personale, carico eccessivo di lavoro, mancato supporto da parte dell’amministrazione);
conflitti di ruolo all’interno del gruppo lavorativo (spesso aspettative lavorative da parte
degli altri ed affettive prestazioni lavorative non coincidono); ambiguità di ruolo
(aspettative non definite riguardanti il rapporto con l’autorità e la divisione di
responsabilità); mancanza di controllo sull’ambiente e gli eventi quotidiani (non si riesce a
essere autonomi e applicare le scelte che meglio si ritengono nel svolgere il proprio lavoro
perché le politiche amministrative infieriscono con il modus operandi dell’operatore);
mancanza di feedback positivi proveniente dai paziente

3.2 fattori protettivi


È molto importante il supporto sociale nell’ambiente di lavoro. Le relazioni positive instaurate
implicano la libera espressione di idee, la condivisione del disagio e un reciproco incoraggiamento.
Il gruppo è portatore di nuove prospettive e conoscenze. L’ ascolto empatico può aiutare
l’operatore ad organizzare il proprio pensiero nello sviluppare nuovi modi per aiutare il paziente.
Anche la capacità di scherzare e ironizzare le proprie esperienze lavorative può far parte della
coesione intergruppo ed è un’importante forma di comunicazione.
La partecipazione a percorsi formativi permette scambi con altri operatori e un’elaborazione
personale della propria esperienza lavorativa. Riduzione degli aspetti comuni di routine per
stimolare il lavoro. I fattori protettivi di burnout sono quindi la congruità fra ruolo professionale,
compiti richiesti e aspettative create dalla preparazione professionale.

4. LAVORARE IN GRUPPO NELLE ISTITUZIONI


È importante quindi dedicare momenti dell’attività lavorativa alla condivisione e alla riflessione, da
considerare come momenti di lavoro vero e proprio, che l’operatore può affrontare con
adeguatezza e professionalità.

4.1 L’istituzione
L’istituzione accoglie oggetti, persone, gruppi e le loro proiezioni e attese, è la risultante di
interazioni tipiche dei sistemi complessi. L’istituzione deve esserci e funzionare bene affinché
l’organizzazione possa facilitare il lavoro. L’istituzione può essere vista come un gruppo allargato
nato intorno a un compito e caratterizzato dal fatto che i suoi membri sono tenuti insieme da forti
vincoli di affettività e da fini condivisi. L’istituzione può essere considerata come un macchinario
strutturato attorno un compito socialmente rilevante, caratterizzato da funzionamento automatico
e ripetitivo; quindi ne sono attribuiti
- meccanicità: legame causa effetto per spiegare gli eventi interni
- l’astrocità-staticità: la quotidianità ripetitiva
- l’aspetto sovrapersonale: le persone che si dedicano a un compito possono essere sostituite
da altre che fanno la stessa cosa con fissità di regole e mansioni
- uguaglianza rispetto al ruolo che può essere ricoperto da più persone
- il compito coincide con un obiettivo comunicabile
Tutti questi elementi rendono una costituzione stabile.
L’istituzione però può anche essere vista come un gruppo allargato nato intorno a un compito e
caratterizzato dal fatto che i suoi membri sono tenuti assieme da forti vincoli di affettività, storia
comune e fini condivisi. Ne sono quindi attribuiti:
- legami affettivi
- La storia del gruppo
- Esistenza di un gruppo fondatore (figure significative)
- La mentalità e il linguaggio comuni
- Le norme
- Il clima
- Il patrimonio effettivo ideale (senso di appartenenza, spirito di gruppo)
- L’identificazione e la funzione strutturale nella vita psichica individuale
- Memoria e progettualità

4.2 quali gruppi


Il gruppo di lavoro è un insieme di persone con competenze, ruoli, assetto gerarchico e compiti
diversi. Le riunioni sono frequenti in ambito istituzionale e possono coinvolgere varie figure
professionali, di solito prevedono un coordinatore ed un ordine del giorno, riguardano questioni
organizzative, implicano confronti, discussioni e decisioni.
Bion parla di gruppo come un assetto unitario, che vive una vita propria animata dai membri che
ne fanno parte; secondo lui nel gruppo ci sono due configurazioni sempre coesistenti: gruppo di
lavoro (gruppo organizzato attorno a un compito procedendo con un assetto razionale del
pensiero) e gruppo in assunto di base (sono stati primitivi della mente che si sviluppano in modo
inconsapevole e automatico quando gli individui si riuniscono in gruppo, costituiscono la modalità
difensiva del gruppo, consente la circolazione della vita emotiva del gruppo).
L’ “attacco e fuga” è un assunto base del gruppo nel quale si evidenzia e si cerca di elaborare un
forte carico di angoscia persecutoria, è come se nel gruppo fosse entrato un nemico da attaccare o
da cui fuggire.

Un altro assunto di base è detto “di dipendenza” e si verifica quando il gruppo si riunisce allo scopo
di dipendere da qualcuno o da un capo che riesca a soddisfare le loro aspettative
I gruppi di studio e di informazione sono occasioni in cui ci si confronta su temi che possono essere
approfonditi tramite ricerche; molte iniziative ormai si configurano con i corsi di formazione che
possono aiutare a comprendere e a tollerare meglio le difficoltà del lavoro in se e delle eventuali
interazioni, possono inoltre indurre importanti fattori di cambiamento e di miglioramento.
L' assunto di base di accoppiamento è un insieme di difese contro angosce depressive: in questo
caso il clima emotivo del gruppo è guidato dalla convinzione magica secondo cui la risoluzione dei
problemi del gruppo sia possibile per mezzo della nascita di un essere, una specie di messia. E solo
in questo caso, affinché si alimenti questa speranza, è tollerata l’unione di due membri del gruppo.
La nuova creatura in realtà non si concretizzerà mai, perché ogni pensiero nuovo comporta un
cambiamento e quindi una sofferenza psichica, perciò temuto e allontanato. In caso contrario
avviene lo scisma.
Un aiuto più specifico agli operatori può venire dai gruppi di lavoro condotti dagli psicologi a cui
possono partecipare figure professionali omogenee e eterogenee. Tra questi possiamo ricordare i
“gruppi Balint” che consistono in discussioni di gruppo di casi clinici che comprendono il confronto
anche con i vissuti e i coinvolgimenti emotivi della vita professionale: in questi incontri oltre a
ricevere consigli e informazioni si può effettuare un percorso di crescita personale.
La risonanza è un modo attraverso cui nel gruppo circolano ricordi, pensieri, fantasie e sono un
modo in cui si può apprendere meglio la conoscenza di sé e degli altri.
Il rispecchiamento è un fenomeno in cui inconsapevolmente vengono colti aspetti di sé nell’altro.
Invece, attraverso la simulazione e la drammatizzazione i gruppi possono analizzare dai casi clinici,
questo processo deve essere guidato ovviamente da uno psicologo che funge da conduttore del
gioco, egli infatti spinge i partecipante a simulare delle particolari situazioni di gruppo: l’inversione
delle parti, il doppiaggio consentono la riflessione dei membri del gruppo consentendogli di
allenare schemi interpretativi coatti e di dare rapidamente nuove prospettive per comprendere i
sentimenti altrui.

4.3 il team
Il team è la squadra al lavoro, composta da un numero fisso di figure professionali differenti che
lavorano insieme in assetto prevalentemente circolare e cooperativo il cui obiettivo è quello del
recupero del benessere dei malati e dei loro familiari (in ambito sanitario). Può tuttavia succedere
che varino le persone all’interno di un team, la cosa importante è che sia stabile la disposizione
mentale a lavorare insieme (integrazione personale e di competenze).
Il lavoro integrato è fondamentale in un team in quanto quest’ultimo deve elaborare un progetto in
cui partecipano più figure professionali e in cui si decide assieme il modus opendandi più corretto
per trattare un paziente.

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