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Storia Dell Architettura Moderna
Storia Dell Architettura Moderna
2023
Modalità d’esame
Modalità d’esame (orale)
Si richiede inoltre l’approfondimento su due dei seguenti temi a scelta dello studente, per ciascuno
dei quali sarà fornita bibliografia specifica, da leggere integralmente. Agli studenti non
frequentanti sarà richiesto l’approfondimento di tre temi.
Esercitazione
Agli studenti, frequentati e non frequentanti, è richiesta la consegna prima dell’esame, di un testo
con cara-ere essenzialmente descri-ivo di uno degli edifici parte del programma,
preventivamente concordato con la docenza. L’elaborato costituisce una forma di esercitazione
Da consegnare
con l’obie-ivo di acquisire la conoscenza e l’uso appropriato del lessico archite-onico specifico,
almeno due giorni
pertanto il suo esito non impedisce l’accesso all’esame orale, ma la consegna è propedeutica allo prima di ciascun
stesso. appello, da
e ettuarsi in unico
L’elaborato, della lunghezza di massimo 8000 ba:ute (due pagine), dovrà contemplare lo le PDF (ridurre
sviluppo dei seguenti punti: eventualmente il
le in modo che sia
- descrizione del contesto urbano e/o archite-onico in cui è inserito l’edificio o la parte di edificio; trasmissibile) via
- descrizione della pianta e dello spazio interno; posta elettronica al
- descrizione dell’alzato interno ed esterno (ordini archite-onici, de-agli degli ordini, de-agli medesimo
decorativi). indirizzo.
Il testo dovrà essere corredato da massimo 10 immagini dell’edificio (anche tra-e da libro o da
web), che siano strumento di sostegno alla le-ura dell’elaborato, corredate di opportune
didascalie.
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Il ducato di Milano, dominato dagli Sforza, si presta particolarmente a enucleare la varietà di
modelli e fonti eterogenee che concorrono alla formulazione di un linguaggio unico, letto non più
in dipendenza da culture estranee, ma frutto dello strati carsi e integrarsi di esperienze che
vengono declinate e ridotte in un del tutto peculiare e rappresentativo. In architettura non si può
parlare di stile perché innanzitutto l’artista non propone direttamente ciò che progetta e perché in
secondo luogo non sempre il progetto originario corrisponde alla realizzazione e ettiva.ci sono
inoltre una serie di in uenze (committenti, capomastri, artisti per gli apparati decorativi) che non
possono essere proprio del singolo artista e del singolo architetto.
Il corso si propone dunque di indagare l'architettura in Lombardia nel secondo Quattrocento entro
la quale si inserisce anche l'attività di Donato Bramante e il processo di formazione della cultura
architettonica locale attraverso una puntuale disamina dei cantieri, dell'attività dei professionisti,
del linguaggio architettonico, delle committenze. Fino a cinquant’anni fa si credeva ad una storia
dell’architettura in Lombardia caratterizzata da un prima-Bramante, un durante-Bramante e un
dopo-Bramante.
L’aspetto culturale dell’architettura è tutto ciò che è possibile trovare riguardo all’architettura
quindi non si studiano solo gli edi ci ma anche la cultura alla basa dei personaggi che l’hanno
realizzata (es: che tipo di cultura aveva Bramante? Che tipo di cultura avevano i committenti? Che
tipo di cultura c’era a Milano?). Questi elementi c’entrano perché è importante sapere il contesto
in cui gli elementi sono inseriti. Anche Vitruvio nella descrizione delle competenze dell’architetto
dice tutte le discipline speci cando che non debba sapere come uno specialista ma che debba
conoscere la base che sia necessaria alla realizzazione funzionale dell’edi cio.
Se volessimo riassumere l’architettura potremmo utilizzare le parole di William Morris. Nel 1881
fu chiesto a lui di tenere una conferenza a Londra al Royal Institute of British Architects,
associazione di grandi architetti patrocinati dalla corona. La conferenza si intitolava Prospects of
Architecture in Civilization. Alla ne della conferenza gli è stata posta una domanda: “che cos’è
l’architettura?”. Pare che Morris abbia risposto così:
«A great subject truly, for it embraces the consideration of the whole
external surroundings of the life of man; we cannot escape from it if we would
so long as we are part of civilisation, for it means the moulding and
altering to human needs of the very face of the earth itself, except in the outermost desert»
Bisogna prendere in considerazione tutto ciò che circonda l’uomo. L’architettura è parte stessa
della civiltà perché se c’è l’uomo, c’è architettura. L’architettura è lo spazio della vita e della storia,
come un luogo di cornice, come teatro dei fatti.
Un tipo e una tipologia è una serie di edi ci con caratteristiche che ottemperano la stessa
funzione (ad esempio: palazzo, chiesa, ospedale).
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Lezione sugli ordini architettonici
La definizione di Bruschi
Gli ordini architettonici hanno una rilevanza maggiore nello studio dell’architettura antica e in
epoca moderna perché in medioevo si usa un linguaggio diverso. Bruschi li de nisce come: «un
sistema di elementi morfologicamente determinati legati da reciproci rapporti sintattici a formare
un’unità organica». Questa frase è pregna di signi cato e quindi va scomposta:
1. Elementi morfologicamente determinati. Singole parti che possono essere chiaramente
individuate e spiegate di per sé. Attinge il termine morfologia dalla linguistica. Un elemento
architettonico esiste da solo e può essere riconosciuto.
2. Elementi legati da reciproci rapporti. Le singole parti sono connesse da rapporti precisamente
individuabili che creano un “sistema”: non un semplice insieme di oggetti, ma oggetti che
interagiscono tra loro.
3. Elementi che formano un’unità organica. L’unità che si crea dai reciproci rapporti di questi
elementi è paragonata a un organismo, dove tutto tende all’unità e tutto è indispensabile a
quella unità. La composizione raggiunge un insieme così coeso che compone un organismo
che non può fare a meno di alcuni pezzi. Tutti gli elementi collaborano tra loro.
4. Rapporti sintattici: de nizione mutuata dalla linguistica. C’è un’idea di sintassi, regole precise,
come nel linguaggio, ma non immutabili per avere un signi cato preciso.
Vitruvio dice che ha origine dalla natura, ovvero dall’ambiente naturale in particolare dal
passaggio dall’architettura in legno. Nell’origine ancestrale, le colonne sono derivate dai fusti degli
alberi e infatti troviamo in diverse occasioni fusti di colonne decorate a tronco d’albero.
L’ordine architettonico compare pressoché contemporaneamente nelle forme dorica e ionica (VII
sec); solo più tardi (secc. VI-V a.C.), con l’a ermarsi della coscienza di appartenere a una più
generale cultura greca, i due ordini furono usati contemporaneamente (Acropoli di Atene). La
teoria che diventa un canone nel corso del Quattrocento quando iniziano a studiare il trattato di
Vitruvio e le rovine soprattutto romane. Tutta la teoria degli ordini si basa sui resti delle rovine
antiche che spesso erano di epoca imperiale mentre Vitruvio era di epoca repubblicana. I
rinascimentali facevano fatica a contestualizzare le descrizioni antiche. Nel Quattrocento Leon
Battista Alberti oltre ai tre ordini canonici ne aggiunge un altro che chiama il tuscanico, una
variante propriamente italiana a partire dagli Etruschi. Bramante è il primo che riutilizza il dorico
dopo averlo riscoperto.
Gli ordini architettonici nella Grecia antica avevano una funzione strutturale in un sistema trittico
(due colonnine + una trabeazione rettilinea). Nel passaggio alla Romanità, l’ordine architettonico
non è più strutturale ma diventa decorativo perché le grandi strutture si basano su archi che a loro
volta si basano su pilastri murari. Questo gli consente di realizzare spazi di dimensioni maggiori.
L’ordine architettonico diventa decorativo perché viene applicato alla muratura. Nell’architettura
romana nasce infatti il “partito alla romana”, ovvero una sorta di sistema proporzionale di archi
inquadrato da ordine architettonico di colonne che reggono una trabeazione.
Nel libro IV Vitruvio racconta l’origine storica degli ordini e ne individua solo tre:
- Dorico da Doro (maschile)
- Ionico da Jone (femminile)
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- Corinzio da Corinto (ordine delle vergini)
Solo con i trattatisti del XVI secolo si riconosce e si codi ca de nitivamente la morfologia dei 5
ordini, superando tutte le ambiguità che aveva generato il testo vitruviano, notoriamente privo di
illustrazioni nelle copie a noi giunte. Quello che accade è che la teoria e poi la pratica procedono
prima all’identi cazione degli ordini (XV SECOLO) e poi alla loro codi cazione (XVI SECOLO).
Modanature
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le basi.
• Scozia, ovvero il contrario del toro. È orizzontale con pro lo concavo.
• Astràgalo, ovvero un toro più piccolino.
• Gola, ovvero ha un andamento vario, prima è concava e poi convessa.
I Piedri i
Gli ordini architettonici possono comprendere diverse tipologie di piedritti, cioè gli elementi
verticali che avevano nella Grecia antica valore strutturale. Essi possono essere:
• Colonna, se hanno una sezione orizzontale circolare ed isolata.
• Pilastro, se ha un’altra forma (quadrati, rettangolari, ottagonali).
• Semicolonna / Semipilastro, se sono tagliati a metà e addossati alla parete.
• Lesena/Parasta è una sorta di semipilastro ma meno sporgente. Sono elementi verticali ma
meno sporgenti. In italiano una parasta avrebbe anche una funzione strutturale, mentre una
lesena sarebbe essenzialmente decorativa. Una regola per individuare facilmente una parasta:
si chiama parasta se almeno regge la sua trabeazione.
• Ordine gigante è quando l’ordine architettonico prende più di un piano.
II cinque
cinqueordini
ordinisecondo
si possono classitra-atistica
la codifica care in base alla proporzione:
1. Ordine tuscanico.
Le sue proporzioni sono 1:7, cioè moltiplico per sette volte il
diametro della colonna all’imoscapo e ottengo l’altezza
dell’intera colonna compresi base e capitelli.
È il più semplice.
Si caratterizza per la base a singolo toro, ovvero una base
semplice che ha solo un toro. Il plinto (elemento parallelepipedo
sottile) fa da “base alla base”. C’è un toro e poi parte subito il
fusto della colonna con il suo orlo inferiore. Il capitello è
composto da collarino, un abaco, un echino rigon ato. Questi
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Tuscanico o Toscano
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tre elementi non sono decorati. La trabeazione ha un architrave che spesso è a due fasce
ma che può anche non averne. Il fregio rimane liscio e la cornice è composta dalla corona
e dalla sima, ovvero l’ultimo elemento della cornice.
2. Ordine dorico.
Le sue proporzioni sono 1:8.
Il piedistallo è simile a quello dorico.
Ciò che lo distingue dal tuscanico è la di erenza nella base: la
base del dorico è attica, composta da un toro, una scozia e un
altro toro intervallati da due listelli. A volte durante il
Quattrocento la base attica veniva usata anche negli ordini
ionici e compositi perché era più ra nata, ma comunque
semplice da realizzare.
Il capitello ha un collarino anticipato da un tondino, un echino e
un abaco, ma sotto l’echino si trovano tre anelli.
Il dorico ha la famosa trabeazione con fregio di metope e trigli .
Dorico
3. Ordine Ionico.
Le sue proporzioni sono 1:9.
È l’unico ordine che si distingue per il capitello. Esso presenta il
famoso capitello con le volute, che occupano lo spazio tra
l’echino e l’abaco e che si distinguono facilmente. Le volute
possono essere ortogonali oppure poste a 45°.
La trabeazione è tripartita, ma il fregio di solito è continuo e può
avere una decorazione scultorea continua e la cornice diventa un po’ più decorata
e troviamo dei dentelli. Ionico
La base ionica dovrebbe essere presente in ogni ordine ionico. Essa si può anche
chiamare base vitruviana. Non era molto utilizzata perché non piaceva molto. La base
ionica non ha nessun toro, ma ha solo un plinto. Parte con una scozia, troviamo uno o due
astragali, un’altra scozia ed un toro. Si sceglieva a volte di usare la base attica.
4. Ordine corinzio.
Le sue proporzioni sono 1:10.
Ha particolarità facilmente riconoscibili e l’esempio più bello
proveniente dall’antichità si trovava nel pronao del Pantheon.
Ha la base che viene chiamata anche “base del Pantheon”. Essa
ha il plinto, sopra ha un toro, una scozia, due astragali piccolini (a
doppio astragalo), un’altra scozia e un altro toro.
Il capitello si dice che derivi da una pianta di acanto. È
caratterizzato dalla presenza della foglie che attorniano il ore
centrale della pianta dell’acanto. È una rappresentazione in pietra
di questo elemento naturale. Lo sviluppo del capitello verticale
può essere chiamato kalathos. Si può avere uno o più giri di
foglie. Tra le foglie spuntano delle volute, in particolare esistono
due tipologie: quelle che arrivano no allo spigolo dell’abaco
(angolari) e le elici (quelle centrali). Queste permettono di
distinguerlo dall’ordine composito. Spesso l’abaco del capitello
corinzio ha un andamento concavo.
La trabeazione è ancora più decorata e il fregio può essere Corinzio
continuo. La cornice è molto più ricca ed oltre ai dentelli troviamo anche i modiglioni (che
hanno un elemento arricciato). Spesso le cornici delle trabeazioni sono arricchite da molte
modanature.
5. Ordine composito.
Le sue proporzioni sono 1:10.
Ha una origine particolare perché è detto ordine trionfale, come diceva Serlio. Molto
frequentemente gli archi di trionfo venissero rappresentati col composito e questo fa sì che
nel corso del tempo si fosse ritenuto che nascondesse un signi cato di magni cenza.
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Si distingue dal corinzio perché presenta una base del Pantheon o una base
attica.
Il capitello richiama al fatto che è “composto” di altri due ordini, ovvero mette
insieme gli elementi del dorico (echino con ovuli e lancette da cui nascono le
volute) e del corinzio (kalathos+foglie d’acanto). Sono scomparsi gli elici.
La trabeazione composita può avere il fregio pulvinato (bombatura). La
cornice è ricchissima di elementi, come cassettoni, mutuli o modiglioni.
Lezione 2, 23.02.2023
Le convenzioni grafiche in archite ura
Storicamente l’architettura ha creato problemi dal pov della rappresentazione. Tra le diverse
personalità che lavorano al progetto bisogna accordarsi sul metodo di rappresentazione. Oggi
abbiamo le fotogra e, quindi è sicuramente più semplice anche se è una rappresentazione
bidimensionale. Nel passato, si utilizzavano delle convenzioni. Se sui volumi si rappresenta
convenzionalmente tramite proiezioni ortogonali, sezioni verticali e sezioni orizzontali.
Nelle sezioni verticali ed orizzontali si utilizzano convenzioni gra che che sono diventate
universalmente comprensibili.
- Le parti rappresentate con linea continua sono i muri sezionati orizzontalmente.
- I tratti puntinati rappresentano i so tti (a crociera con X, a botte con U, a V unghiata).
- Campitura grigia per indicare che non è parte dell’edi cio principale.
Le convenzioni gra che venivano già utilizzate nel Quattrocento e nel Cinquecento. Abbiamo
poche notizie sulla progettazione e sui modi di rappresentare nell’architettura nel Medioevo.
La pianta del Duomo di Milano seicentesca a sezione orizzontale mostra che probabilmente
ci voleva essere una modi ca nel progetto iniziale. Il disegnatore utilizza colori diversi (rosso)
per ciò che voleva aggiungere. La parte grigia era quella del cantiere originale. Queste due
aggiunte, Cappella della Madonna dell’Albero e cappella di San Giovanni Bono erano volute
da Federico Borromeo.
Sappiamo che all’inizio del Cinquecento, sulle spalle delle consuetudini praticate da Bramante,
Sangallo e Ra aello, si a ermano le proiezioni ortogonali.
Gli strumenti erano gli stessi che si usavano cinquant’anni fa. A partire dal Quattro-Cinquecento
utilizzavano: compassi, punte metalliche e riga. Anche Leonardo aveva disegnato i compassi.
Le proiezioni ortogonali sono state studiate tantissimo da Ra aello, ma anche già dall’epoca
romana con Vitruvio che parlava di ichnogra a (sezione orizzontale), orthogra a (rappresentazione
di facciata) e scaenogra a (forse in prospettiva per vedere anche l’interno o veduta
estronomentica). Le rappresentazioni del trattato di Vitruvio sono state riproposte
successivamente da altri studiosi. Quando si sono di use le proiezioni ortogonali, tutti gli architetti
hanno cominciato a rappresentarle.
Si conservano anche disegni bizzarri, come l’arco rampante del duomo che stanno
attorno all’abside, realizzati a partire dal 1518 di cui la maggior parte fu realizzata
nell’Ottocento. Questo foglio mostra la guglia di cui è rappresentata la pianta a sezioni
orizzontali (più sezioni) progressive sovrapposte. Si rappresenta in una sola pianta tutti
i livelli della guglia e di tutti i pinnacoli. Signi ca che nel cantiere del duomo di Milano, i
cantieri erano in grado di costruire un’intera guglia. Questi disegni sono la chiave per la
rappresentazione. Le necessità dell’architettura modi cano i metodi di rappresentazione.
Bisogna dunque plasmarla per le necessità.
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Esistono anche i modelli, che sono storicamente attestati almeno dal
Cinquecento. Si chiamava modello sia un progetto cartaceo e sia un
modello ligneo. Al limite lo chiamavano disegno de lignamine, ad indicare
un modello tridimensionale in legno. I modelli potevano essere realizzati
in: legno, piombo, terracotta o carta. I modelli lignei si di ondono nel
Quattrocento e non dobbiamo pensare che siano modelli esecutivi: in
realtà servivano per farli vedere per il committente, perché erano più durevoli rispetto alla carta e
per dare un’idea generale. Gli architetti spesso avevano anche una formazioni da legnaioli, come
Giuliano da Sangallo per il Palazzo Strozzi (rispecchia esattamente la realizzazione per la pianta
leggermente trapezoidale, aveva i tre piani smontabili, si potevano spostare i muri, si potevano
applicare dei fogli in carta per fare una prova).
Il termine Rinascimento
Ci sono alcuni storici dell’architettura avevano orrore nell’utilizzare questo termine. Ci sono
talmente tante versioni di cosa signi chi questa parola, che è di cile comprendere.
Uno degli elementi su cui siamo tutti d’accordo riguarda la rinascita dell’antico, dove non c’è
l’idea dell’imitazione, quanto un principio di emulazione (si prendono gli elementi imparati per
trarne ispirazione).
- Alberti nel De re Aedi catoria a ermava che “imitatio no est eco”, ovvero imitazione non è
copia. Prende gli elementi utili. Utilizza un crescendo di metodo di studio: rovistato, scrutato,
misurato, rappresentato con schizzi per potersi impadronire di tutti gli elementi provenienti dal
mondo antico.
- Da Filarete proviene la divisione tra Gotico e Rinascimento. Filarete chiede di lasciare andare
l’usanza moderna, ovvero quella gotica, per praticare l’opera antica. Lui si esprime con una
metafora rispetto al gotico, a ermando che sia opera “barbara” (da qui gotico perché
originariamente si chiamava opera francese). Cita inoltre Brunelleschi come il non-plus-ultra
dell’architettura, quindi Firenze già all’epoca si era imposta come “star del Rinascimento”. C’è
comunque un primato orentino nel rinascimento, perché appunto Brunelleschi era lì.
- Senza Vasari non avremmo avuto nulla.
Per di ondere la memoria dell’antico abbiamo:
- Ciriaco di Ancona aveva fatto viaggi in Grecia ed era tornato con un album di disegni che oggi
non abbiamo più ma che al tempo erano molto di usi.
- Ra aello teorizza tutto ciò che era stato fatto no a quel momento nella sua Lettera a Leone X.
Traduce un linguaggio che era in voga al tempo.
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Dal punto di vista storiogra co abbiamo altrettanti fonti:
- Burckhardt nella Civiltà del Rinascimento si propone una divisione legata allo spirito del tempo.
- Panofsky scrive Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale. Non sapeva di aver dato un
forte contributo all’architettura. Utilizza la rinascita come chiave di lettura. Il rinascimento viene
collocato come un elemento di indagine come una serie di rinascenze. Da questo, con un’idea
di continuità che emerge nella storia, si passa all’idea dei due studiosi successivi. Panofsky
utilizza la metafora dei “vestiti della nonna” posti alla nipote per paragonare il Rinascimento. La
nipote dopo un po’ di tempo in cui indossa i suoi vestiti, muta il modo di vivere. Il Rinascimento
con la R maiuscola ha la caratteristica di avere la consapevolezza.
- Tafuri e Scho eld propongono l’idea del Rinascimento locale, con una serie di riprese, pluralità
e di erenziazioni.
Lezione 3, 28.02.2023
Milano ha un problema: ha poche antichità romane sopravvissute. Nel XV secolo avevano una
percezione molto ristretta degli elementi dell’antichità.
- L’an teatro è stato distrutto dopo la ne dei giochi del 309 e nel 402 era già demolito.
- La torre, vicino al museo archeologico, quindi riutilizzata come campanile della chiesa di San
Maurizio. Era la Torre delle Carceri del Circo. Nel XV secolo non sapevano che lì c’era stato il
circo.
- Le colonne di San Lorenzo e la Basilica di San Lorenzo sono sicuramente un reperto antico
di Milano da cui prendevano ispirazione come tradizione dell’antico.
[Forse in origine erano una zona per delimitare la zona sacra, ma questo è
discusso perché rispetto al passato, quando si credeva che San Lorenzo
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avesse un atrio antistante. Oggi l'idea dell'atrio è stata pressoché abbandonata, non è stato
trovato nessun resto archeologico.]
Siccome la Basilica sta lungo il corso che esce dalla Porta Romana del Corso di Porta Ticinese va
verso Pavia, probabilmente queste colonne potrebbero anche essere state collocate per
delimitare, rispetto alla basilica di San Lorenzo, l'asse di percorrenza stradale e quindi anche una
sorta di separazione.
Probabilmente questa struttura soprastante in mattoni con anche l'arco centrale, è una soluzione
di XII secolo, cioè quindi molto successiva. Poi vengono costruiti questi muri intorno a chiudere le
colonne, perché in un certo periodo storico vengono poi costruite delle case dietro, proprio dove
oggi c'è la piazza di San Lorenzo (piazza moderna forse aperta nel 1913).
Le colonne però sono molto interessanti perché potevano essere un esempio di ordine corinzio
antico anche se erano di II secolo.
Sace o di Sant’Aquilino
Il sacello di Sant’Aquilino veniva studiato separatamente perché aveva una sua unitarietà e
autonomia rispetto all'impianto principale.
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perché viene realizzato un architetto e perché viene realizzato in un momento in cui si sta
studiando come era fatto l'edi cio precedente. Restituisce probabilmente delle informazioni
più speci che rispetto a com'era la copertura. Le due rappresentazioni non sono
completamente d’accordo: nella zona centrale quella all’interno sembra una cupola, non si
capisce se la parte sommitale è poligonale o circolare (forse era un tiburio <16 lati che
poteva tendere alla circolarità). Qui abbiamo una decorazione esterna inconfondibile, cioè
questo tiburio ha archetti, gallerie cieche, archetti pensili. Sembra che evidente da questo
disegno che il tiburio che gli architetti del XV secolo e poi del XVI secolo potevano vedere,
poteva avere queste caratteristiche, quindi poteva essere un tiburio costruito in epoca
romanica. La copertura non era quella originaria del V secolo, ma una ricostruzione
intervenuta nel corso dei secoli, forse XI-XII secolo, di quella originaria. L’edi cio poteva
essere percepito come antico anche se noi oggi non lo de niremmo come tale.
- Giusto de Menabuoi; Padova, basilica del Santo, cappella del Beato Luca
Belludi. Questo è un a resco del Trecento. Somiglia moltissimo a questo
impianto anche gli archi, specie gli archi rampanti che dai campanili vanno
verso il centro. È possibile che questa sia un'altra rappresentazione
trecentesca della Basilica di San Lorenzo a Padova da Giusto de Menabuoi
vuol dire che un po di fama questo edi cio ce l’aveva.
- A. Averlino (Filarete), Trattato di architettura, libro IX. Nel suo Trattato di architettura cita
San Lorenzo di Milano tra gli esempi di antichità. Abbiamo la prova qui che un architetto del
XV secolo proveniente da Firenze, quindi, anche estraneo alla cultura milanese, quando viene
a San Lorenzo, si so erma a parlare di Sant’Aquino. A erma che le sue pareti presentassero
incrostazioni marmoree e por do e che l’architetto che aveva realizzato cattedrale e sacello
era da lodare.
- Tristano Calco, Historiae Patriae. Tristano Calco è uno degli storici del periodo sforzesco,
che restituiscono sia la storia degli Sforza che anche la storia di Milano di quell’epoca. Calco
prende le misure di San Lorenzo, paragonandolo al Pantheon di Roma. Il punto di riferimento
ideale percettivo di questa antichità perché era a pianta centrale e cupolato.
- 1573 - Descrizione di un ambasciatore ferrarese. Qui addirittura ci sarà un po’ di
campanilismo milanese. L’ambasciatore spiega che era fatta come la Rotonda di Roma, cioè
come il Pantheon, ma più grande, più bella e fatta con maggiore spesa, perché costava di
più e quindi era più prezioso.
- Giuliano da Sangallo, Pianta di San Lorenzo di Milano, Siena, Biblioteca
Comunale. Nel 1490 Giuliano da Sangallo, architetto orentino preferito di
Lorenzo il Magni co, fa un viaggio a Milano. Egli si occupò, a partire dal
1465 no alla ne della sua vita, nel realizzare disegni di antichità che
diventavano repertori di modelli che poi potevano essere utilizzati nelle
botteghe o nelle imprese di questi architetti.C'è anche San Lorenzo ben
riconoscibile e anche Santo Aquilino (vestibolo a forcipe + impianto +
materiale in por do associato alla sfera imperiale).
- Donato Bramante, Progetto per la basilica di San Pietro. Bramante, durante
il suo periodo milanese, probabilmente studia San Lorenzo. La Basilica di San
Lorenzo è un elemento riconoscibile tra i modelli di riferimento dell'architetto
nella nei suoi progetti, ma ne abbiamo anche la testimonianza gra ca. Questo
non è un disegno che Bramante realizza quando è a Milano, ma è un disegno
che Bramante realizza quando è già andato a Roma. È un progetto per la nuova
Basilica Vaticana formulato dopo il 1506 (aveva lasciato Milano nel 1499). In
questo disegno, sta ragionando sulla presenza di deambulatori cioè lui sta
proponendo un impianto centrale che vedete qui con cinque cupole e poi con
deambulatori che emergono dal quadrato in cui è scritto questo impianto centrale. Riporta in
questo foglio degli edi ci che presentano deambulatori e che lui si ricordava di aver visto.
Nella parte bassa c’è il duomo di Milano (anche se era trecentesco e anche se non era
terminato) e nella parte alta c’è la rappresentazione della Basilica di San Lorenzo.
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- Leonardo da Vinci, Codice Atlantico. Questo è un foglio del Codice
Atlantico, probabilmente redatto durante la permanenza di Leonardo a
Milano. Qui c’è la Basilica di San Lorenzo, Sant’Aquilino, San Sisto, le
colonne. Leonardo poi realizza accanto a queste ra gurazioni della Basilica
di San Lorenzo delle Colonne avvicinate a quello che sembra essere un atrio.
La domanda è: Ci troviamo davanti ad una ra gurazione realistica oppure ad
una realtà ricostruita da parte di Leonardo?
- Piero Portaluppi, Tavola con le piante degli edi ci a impianto centrale
costruiti tra XV e primo XVI secolo in Lombardia, 1914. C'è anche una
tradizione storiogra ca legata al contesto milanese del XV secolo, secondo
cui c'è un proliferare di chiese a pianta centrale, cioè dove la chiesa a pianta
centrale in Lombardia sembra essere stata particolarmente frequentata dagli
architetti e gli studiosi del passato, come in questo caso Piero Portaluppi.
Portaluppi, un architetto, storico dell'architettura e restauratore del primo
Novecento, ha provato a interrogarsi su questo fenomeno. Portaluppi si è
laureato con una tesi sugli impianti centrali e questa è una tavola della sua
tesi di laurea, dove lui ha provato a inserire tutte le chiese quattrocentesche
costruite in Lombardia ad impianto centrale dimensionandole sulla stessa
scala. Si immagina che San Lorenzo avesse avuto ovviamente un ruolo determinante nella
scelta dell'impianto centrale per altri edi ci, perché essendo l'unica vera antichità milanese,
essendo proprio un impianto centrale con un deambulatorio a doppio involucro con la torre,
una cupola può essere stato un punto di riferimento nodale. Oggi questo questo studio così
insistito sulle piante centrali, non è più tanto coltivato, nel senso che abbiamo molte
attestazioni che, come si sono fatti gli edi ci a pianta centrale, se ne sono fatti altrettanti a
impianto longitudinale, quindi non è forse un fenomeno così tanto rilevante come una certa
storiogra a del passato.
Come si fa l’antico in un luogo in cui l'antico non c’è? Ci si può muovere in due macro linee di
ricerca:
- La prima è ripescare elementi da una cultura che si reputa aggiornata rispetto al recupero
dell'antico e che sembra alla moda. In questo modo, non avendo delle antichità locali su cui
basarsi per fare un Rinascimento, si prende ispirazione da dei modelli che vengono da fuori.
- La seconda modalità riguarda la scelta dei modelli antichi che si possono reperire anche sul
luogo che non sono edi ci costruiti ma sono degli altri modelli di riferimento.
Tutta questa parte è dedicata alla prima età sforzesca, cioè quella sotto i ducati di Francesco e
Galeazzo Maria Sforza.
Milano era governata dai Visconti. Questo argomento è concentrato sui Ducati di Francesco che è
il primo Duca Sforza di Milano e Galeazzo Maria che è il glio.
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I Visconti non continuano a
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governare Milano perché non
c'erano eredi maschi, infatti
Filippo Maria Visconti, ultimo
duca Visconti di Milano, è
morto non solo senza eredi
maschi, ma l'unica glia
Francesco Sforza Bianca Maria Visconti
femmina, Bianca Maria non
2 4 era glia legittima, era glia
naturale, quindi non era glia
della duchessa. Questo vuol
dire che Bianca Maria non
poteva ereditare dal padre il
Galeazzo Maria Filippo Sforza Ludovico Ascanio Ottaviano ducato perché era femmina,
ma non poteva neanche
Bona di Savoia Beatrice d’Este ereditare i beni dei Visconti,
cioè non economicamente. La
3 seconda questione si risolve
perché Filippo Maria Visconti
riesce a far legittimare la glia
prima di morire quindi, a
questo punto Bianca Maria
Gian Galeazzo Visconti può ricevere l'eredità
pecuniaria dei Visconti e del
Isabella d’Aragona Duca morto, ma non può
ricevere il ducato. Filippo
Francesco (leggittimo erede ma mai duca) Maria Visconti però aveva
fatto sposare la glia nel 1441
a Francesco Sforza che era uno dei più capaci capitani di ventura del Quattrocento, milite al soldo
di altri potenti, cioè no a quel momento aveva fatto il soldato mercenario. Proveniva dalle Marche
(Cotignola).
Non è che questo passaggio dai Visconti agli Sforza sia propriamente indolore per la città di
Milano, perché nel 1447 muore Filippo Maria Visconti, ma Francesco Sforza entra a Milano
trionfante come duca nel 1450. In questi tre anni i milanesi appro ttano della lacuna di potere,
appro ttano della mancanza della continuità dinastica e si autoproclamano Repubblica
Ambrosiana facendo un colpo di Stato. Per tre anni si auto governano, distruggono
completamente il castello di Porta Giovia, recuperando i materiali perché così il simbolo della
tirannide, anche la fortezza di Milano viene demolito. Francesco Sforza non viene accolto in
maniera paci ca dai milanesi. Egli, che rivendica il Ducato di Milano in virtù del matrimonio con la
glia del duca morto con le milizie partendo da Cremona, fa come proprio una campagna di
conquista. Nel 1450 vi vengono consegnate le insegne del Comune, viene fatta una in una
cerimonia di ingresso. Entra trionfante facendo lo stesso percorso che facevano gli arcivescovi di
Milano quando diventavano arcivescovi di Milano (provenendo da Pavia, arrivava da corso di
Porta Ticinese, passava davanti alla Basilica di Sant’Eustorgio, fermandosi a inginocchiarsi
davanti alla Fonte di San Barnaba, che era la tradizionale mossa che facevano gli arcivescovi di
Milano, poi passava davanti a San Lorenzo). Questo fa capire che tipo di personaggio era
Francesco Sforza, che ci teneva però moltissimo ai cittadini. Avrà sempre il problema della
legittimazione, perché anche se lui entra trionfante a Milano autoproclamandosi duca,
l'Imperatore non riconosce il ducato a Francesco Sforza (moglie= glia naturale, lui=si prende da
solo il regno). Lui dice che i cittadini milanesi lo hanno proclamato duca per acclamazione, ma
questa è una sottigliezza che gli costerà dover continuamente avere un debito nei confronti dei
cittadini milanesi. Si vede anche nelle molte commissioni che lui fa bene che nei confronti dei
cittadini per mostrarsi il più aperto possibile nei confronti dei sudditi. Francesco Sforza diventa poi
un uomo cardine della politica italiana del tempo. Uno degli aspetti più più rilevanti dal punto di
vista politico è l'alleanza economica che Francesco Sforza fa con Cosimo de Medici. Non si può
negare che c'è l'introduzione di una connessione con Firenze nell'epoca di Francesco Sforza.
La vicenda degli Sforza si sussegue con una storia continua di assassini e congiure. È forse una
delle vicende dinastiche più sanguinose che esistano nel Quattrocento, perché Francesco Sforza
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regnò circa un quindicennio muore nel 1466. Dopo di lui diventa duca suo glio Galeazzo Maria
Sforza, che però regnò solo, governa solo dieci anni perché viene assassinato. È un omicidio che
ha fatto poi scalpore in tutte le corti italiane nel 1476. Galeazzo Maria Sforza era comunque un
pessimo duca, veramente politicamente inesistente.
Lezione 4, 02.03.2023
Si credeva che Milano non fosse in grado di avere un suo Rinascimento e che i milanesi non
fossero assolutamente capaci di sviluppare delle istanze del Rinascimento. Secondo questa
prospettiva, furono i orentini a portare il Rinascimento in Lombardia.
Non si può negare che ovviamente una certa quantità di orentini hanno stabilito la loro attività a
Milano dopo la salita al potere di Francesco Sforza. In realtà c'è qualche caso anche precedente
in epoca viscontea i Visconti erano nemici di Firenze e quindi la situazione politica era
completamente diversa. Grazie invece all'alleanza che Francesco Sforza fa economicamente con
Cosimo il Vecchio Medici, si favorisce ovviamente anche un connubio culturale.
È un abile scultore e cultore di antichità. Conoscere il latino ed ha dei rudimenti di greco. Il suo
trattato di architettura è scritto in volgare ma per scelta e dice di essersi fatto aiutare nel greco da
Francesco Filelfo, quindi amico di umanisti. Riesce ad avere committenze di altissimo livello,
perché, naturalmente si deve fondere in bronzo le porte della Basilica Vaticana, lavora per i Papi,
quindi vive a Roma per lungo tempo. Vive a Roma dal 1433 al 1447, quindi ha un'esperienza sulle
antichità romane di Roma (nel suo bagaglio culturale non c'è solo la cultura orentina!).
Porte bronzee di San Pietro in Vaticano
Presenta elementi di antichità come: il Mausoleo di Adriano, le due
piramidi romane.
Una caratteristica signi cativa delle porte bronzee è che rappresenta gli
scultori che hanno lavorato con Filarete alle porte bronzee, con Filarete
alla testa della la. Tutti si prendono per mano e improvvisano una danza
questi, inoltre, stanno anche bevendo, perché probabilmente questo è
una specie di festeggiamento per aver nito le porte bronzee che sono
un'impresa titanica. Filarete si rappresenta con in mano il compasso
(attributo iconogra co con il quale si rappresentano gli architetti) e con
una scritta “Antonius Architectus”. A quanto noi sappiamo prima di
quest'opera e delle altre opere bronzee scultoree perché era scultore anche in pietra che svolge a Roma, non aveva
mai esercitato un’attività propriamente architettonica, quindi il proclamarsi architetto è quasi un espediente retorico,
sembrerebbe che in questo momento, forse voleva proporsi come architetto.
Era un abilissimo scultore in bronzo, il problema è che Vasari ne parla malissimo e quindi poi, nei secoli successivi
questo pesa molto sulla sua. Vasari si chiede come sia possibile che abbiano chiamato proprio artisti come Filarete
per realizzarla. A Vasari non piace proprio.
Filarete doveva aver raggiunto, grazie soprattutto alle committenze papali e anche alla sua sia
formazione orentina sia esperienza romana di così tanti anni, una certa fama anche nella sua
città d'origine, cioè nella stessa Firenze. Probabilmente i Medici stessi avevano nozione che c'era
questo loro scultore orentino che era andato a lavorare a Roma.
Nel 1451 Francesco Sforza chiede a Cosimo il vecchio de' Medici di suggerirgli un nome di un
architetto orentino che fosse esperto delle novità architettoniche e che potesse svolgere delle
ricostruzioni nella città di Milano dopo la sua autoproclamazione a Duca. Piero di Cosimo, cioè il
glio di Cosimo de Medici, gli mandò Filarete. Filarete vive a corte, quindi la sua è un’immagine di
architetto cortigiano, quindi gli danno vitto e alloggio, lo tengono a corte e Francesco Sforza,
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quando arriva a Milano, lo vuole subito in lare in tutte le fabbriche che vuole fare.
Francesco Sforza decide quindi di dare a Filarete delle commissioni private di modo che nessuno
possa scardinarlo dalla sua posizione. Nel suo tentativo di ingraziarsi la popolazione e di
autolegittimare la sua presenza, pensa di regalare ai cittadini delle immagini del suo buon governo
o della sua generosità e benevolenza nei confronti dei sudditi.
Cremona è una città importantissima. Nel Quattrocento a voi non sembra oggi, ma era la seconda
città del Ducato per importanza dopo Milano, la più grande e anche la più ricca. Soprattutto era
città dotale di Bianca Maria Visconti, che signi ca che era la città che era stata data nella dote di
matrimonio a Francesco Sforza. Francesco Sforza la considerava una delle sue città più
importanti perché era la prima che aveva acquisito. Era molto abbastanza distante da Milano, in
una posizione in cui poi c'era il con ne con i Gonzaga, quindi con Mantova, territorio di con ne
che andava anche un po’ vigilato. La posizione di Cremona era assolutamente nodale.
Ad un certo punto della narrazione, molto interessante perché c'è anche una digressione, cioè
Filarete nge che nello scavare il castello di Sforzinda, trovarono un libro d'oro che racconta della
progettazione di una città antica. Nel Libro d’oro, un architetto greco racconta la fondazione di
questa mitica città di Plusiapolis, cioè la stessa operazione che lui sta facendo, cioè la
progettazione della città.
Inoltre c'è una pausa perché ci sono i libri, i cosiddetti libri del disegno, perché lui si propone
come precettore del giovane duca. Ci sono i libri dedicati a Re Zogalia, che è un anagramma di
Galeazzo, quindi, e ci sono i libri del disegno, c'è lui insegna il disegno al giovane duca, che viene
educato come un principe illuminato che deve sapere anche di architettura per il futuro. Tutti i
nomi dentro il trattato sono anagrammati. Il trattato di Filarete comprende anche tutti gli altri suoi
colleghi orentini, quindi parla di Donatello, parla di Michelozzo, parla di Francesco Filelfo.
Questa è Sforzinda che è perfetta, cioè è una stella dentro un cerchio. Al centro ci sono le piazze
principali con tutti gli edi ci e questa è una circuito di mura con le porte. Filarete fa una stella con
dentro un cerchio, con un'idea di perfezione, ma è Milano che era radio centrica, cioè una cerchia
di mura che poteva essere ricondotta grossomodo a un cerchio con delle porte che erano intorno
Milano, da sempre rappresentata a pianta centrale. Filarete conosce la cultura milanese e
conosce anche probabilmente le rappresentazioni di Milano medievali, che quindi sono hanno
funzionato da modello per il trattato.
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Sappiamo del trattato di architettura di Filarete grazie al manoscritto Magliabechiano, che oggi è
quello che è più bello che è rimasto sempre manoscritto. Non ha mai avuto un'edizione a stampa
no al 1972 e quindi c'erano alcuni testimoni antichi.
Qui si occupa particolarmente di seguire i lavori l'amministratore della liale della banca che è
Pigello Portinari. I Portinari sono una famiglia orentina che aveva anche un palazzo a Firenze e
delle cappelle private. Ci sono tre fratelli Portinari: Tommaso, Pigello e Acerrito. Il primo gestisce
Banca Medicea di Bruges, mentre gli altri due amministravano la banca milanese.
Giovanni Medici (il glio più giovane di Cosimo che muore presto ma si a ascina nelle arti) subito
si informa per restaurare queste case dei bossi e quindi fare una ricostruzione del palazzo in cui
vengono recuperate alcune parti e viene soprattutto fatta una nuova facciata. È invece importante
fare una nuova, meravigliosa facciata sulla via, così che tutti vedano che questo è il Palazzo dei
Medici. Siccome questa facciata è stata donata da Francesco Sforza, mostra da un lato la cultura
orentina dei committenti, dall'altro il rispetto e la celebrazione di Francesco Sforza. Giovanni
sistemò anche alcune stanze interne, soprattutto il salone principale di rappresentanza, cioè
quello dove dovevano accogliere gli ospiti che facesse vedere lo splendore mediceo. Si avvia la
costruzione nel ’56 e nel ’59, sappiamo che è già abbastanza concluso, mentre nel ’61-’62
concludono la facciata.
Non si sa chi è l'architetto di questo palazzo ma quello che si sa è che dal momento in cui è stato
costruito, questo è entrato nella letteratura artistica, nelle descrizioni del tempo, nella fama che ha
raggiunto ed è diventato il palazzo più bello di Milano. È unica nel suo genere perché non è né
medicea, né romana e neanche milanese.
Vincenzo Foppa (attr.), Fanciullo che legge Cicerone, London, Wallace Collection
(già cortile del palazzo del Banco Mediceo di Milano.
Filarete descrive nel suo trattato il palazzo del Banco Mediceo dicendo che non l'ha
progettato. Dice che gli a reschi del cortile li ha fatti Vincenzo Foppa, quindi lo
dichiara proprio lui. In realtà poi noi oggi sappiamo che non era Vincenzo Foppa, ma
era la bottega di Foppa, che era una bottega molto nutrita, molto grande, che aveva
molte commissioni contemporaneamente.
La casa viene rifatta nell'Ottocento, circa 1866. Il portale viene smontato quando era ancora
all'inizio e gli fanno rifare la facciata, ma gli fanno mantenere il portale. Poi il proprietario vuole
liberarsi del portale e lo vuole vendere e riceve una proposta dal Victoria and Albert Museum di
Londra. Un gruppo di eruditi milanesi capeggiati da Giuseppe Mongeri fa numerosi articoli sui
giornali del tempo dicendo che è uno scandalo che tutte le antichità milanesi prendano la via del
mare e vadano in America o in Inghilterra. Fanno una lotteria dove tutti i cittadini milanesi possono
comprare un pezzettino per far restare a Milano il portale del Banco.
Quali sono le notizie su questo palazzo che ci interessano dal punto di vista della cultura
architettonica, dei maestri coinvolti e di rapporti con la Milano del tempo?
- Nel 1460 Spinello Portinari dice che deve chiudere le nestre del palazzo perché si a acciano
sopra un'altra proprietà. C’è una legge a Milano che proibisce questa cosa. Nel documento
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compare tra i testimoni Agostino di Landriano che era ingegnere e muratore ed è uno dei primi
rmatari dei capitoli degli Statuti dei Maestri da Muro a Milano. La sua presenza come
testimone di questo ha fatto capire che non ha senso di essere come ci faceva lui nel palazzo.
Si è pensato che lui stesso fosse il capomastro costruttore che si stava occupando del
cantiere.
- Sempre secondo questo principio, in un altro atto notarile del 1461, c'è il vescovo di Como che
prende del denaro in prestito dai medici, quindi per le funzioni della banca. Compaiono tra i
testimoni Bartolomeo da Prata (pittore), Branda Castiglioni e suo fratello Salomone (scultori) e
Benedetto da Ferrini da Fiorenza (architetto). Forse stavano lavorando se pensiamo anche a
tutto il lavoro del portale marmoreo. Altra fonte a favore di questo concetto è che Bartolomeo
da Prata era uno degli artisti più importanti della bottega del Foppa. Siccome dava spesso nella
sua carriera anche consulenze dal punto di vista decorativo, non è detto che lui avesse fatto il
progetto dell'intero palazzo.
- Ci sono atti di acquisti di marmo di Candoglia, che probabilmente sono per il portale.
Lezione 5, 07.03.2023
Nei pagamenti del Banco Mediceo troviamo sia un muratore e alcuni maestri scultori milanesi e
sia sono documentati due architetti orentini che lavorano a Milano uno è Filarete, che non può
essere il progettista dell'edi cio perché nel suo trattato non dice mai che è suo e questo sarebbe
molto bizzarro da parte sua, ma anzi dice che Pigello Portinari, l'amministratore del Banco, gli
aveva chiesto una consulenza per i soggetti iconogra ci dei dipinti da collocare nel vestibolo.
Figurava pagato e anche presente come testimone, in un atto che non c'entrava niente con la
costruzione, ma che si era rogato dentro il palazzo Benedetto Ferrini, che è questo architetto con
probabilmente una formazione da pittore che era stato personalmente raccomandato da Giovanni
di Cosimo de Medici al Duca di Milano nel 1457 e era stato apostrofato in questa missiva da parte
di Giovanni Medici come maestro di ingegno. Viene chiamato “maestro di ingegno”, che è un
modo di indicare una personalità, un uomo delle idee, qualcuno che è capace di fornire idee su
più ambiti.
Quali sono gli elementi di cultura orentina che noi possiamo individuare sia nel palazzo del
Banco Mediceo sia in un altro edi cio di committenza Portinari. Anzitutto va detto che i medici si
insediano nella casa che gli viene donata da Francesco Sforza che aveva già degli edi ci
precedentemente tenuti dalla famiglia Bossi. I Medici non rifanno tutto: tengono salvo
probabilmente il cortile, quindi il vuoto centrale dell’edi cio; rifanno invece la facciata; e poi
allestiscono alcuni appartamenti interni per ricostruire come era fatto questo palazzo che non c'è
più. Disponiamo di alcune fonti, fondamentali perché il palazzo era stato distrutto nell'Ottocento,
poi successivamente bombardato:
- Acquerello di Agostino Caravati. Lui dice che si basa su ricordi del pittore Giuseppe
Bertini. Bertini, che aveva visto il palazzo prima della sua distruzione, si ricordava
grossomodo com'era fatto e l'ha detto a Caravati e Caravati ha fatto questo acquerello
sulla base dei ricordi di Giuseppe Bertini. L'attendibilità di questo acquerello non è
molta. È allestito in maniera tendenziosa perché ci fa vedere una parte del cortile dove
il piano terra è porticato con archi su pilastri ottagonali. I pilastri ottagonali,
eventualmente i medici, potrebbero anche averli salvati dalla casa dei Bossi
precedente. La parte superiore del cortile, invece, era sempre era loggiato, quindi
portico utilizziamo come termine per indicare il pianterreno. Sopra c'è una loggia trabeata
quindi con piccole colonne che reggono una trabeazione lignea con so tti lignei. Questo è
nella tradizione milanese, quindi nora non stiamo andando fuori dalla tradizione milanese, cioè
stiamo ancora dentro la tradizione. Bertini ha inserito l'a resco con il celebre Cicerone bambino
che legge oppure bambino che legge Cicerone, quindi vuol dire che quello di Foppa è
intenzionalmente ambientato. Non è detto che il fanciullo che legge Cicerone fosse in quella
posizione, perché di fatto è l'unico a resco che rimane dal cortile del palazzo.
- Sezione e piantina di Caravati. Sulla base della descrizione di questi ricordi di Bertini e della
descrizione del Palazzo da parte di Filarete, Caravati aveva poi fatto una pianta e una sezione.
Queste due sono completamente sbagliate.
- Area del palazzo del Banco Mediceo nella pianta di Milano degli Astronomi
di Brera, 1810 ca. Qui si vede soltanto il pezzo di giardino. Il cortile è porticato
solo su questi due lati, perché probabilmente quest'altro lato era stato chiuso.
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- Pianta del palazzo nel 1948 circa, Archivio Civico Corrente di Milano. Questa
è una pianta che è stata realizzata dopo le distruzioni belliche e fa vedere le
sopravvivenze e quello che era rimasto del palazzo. Mettendo insieme le
informazioni date dalla descrizione di Filarete con queste altre due fonti gra che,
si evince che il cortile del Palazzo del Banco era porticato solo su tre lati e non su
quattro. Infatti, per esempio, nella pianta di Caravati aveva proposto un portico
sui quattro lati.
- Testimonianza di Filerete. Filarete puntualizza su un porticato su tre lati. È molto rilevante
perché Filarete dice che questo cortile e l'ingresso in particolare erano fatti al modo milanese,
cioè riconosce come se ci fosse una sorta di tipologia di palazzo di uso a Milano, con il cortile
porticato solo su tre lati. Diventa rilevante anche rispetto al recupero dell’antico. La casa antica,
secondo Vitruvio, è una casa da atrio romano, però in realtà Vitruvio nel suo trattato parla di
diverse tipologie di case, tra cui accenna anche a come è fatta la casa greca. La casa greca ha
tre lati porticati. Nella misura in cui a Milano prende piede si trova una tradizione in cui i palazzi
sono porticati solo su tre lati, subito i letterati e gli eruditi del Quattrocento hanno ricollegato
plausibilmente questo elemento alla teoria della casa greca. Infatti Milano viene denominata
“novella Atene” anche da Filarete. Probabilmente ritroviamo la conferma della grande
componente di erudizione grecista che a Milano si era di usa. Nel fenomeno di recupero della
cultura dell'antico del Quattrocento milanese, vedere che nella tradizione locale c'è questa
caratteristica, permette agli architetti, ai teorici e ai letterati del Quattrocento di identi care una
presunta antichità di questo tipo già presente a Milano. È un altro elemento che si può portare
di che cosa rinascimento locale, cioè il cercare di identi care degli elementi della tradizione del
luogo come già presenti e associarli con una valenza antica, con un'idea dell'antico.
- 1863, 14 aprile: presentazione del progetto di rifacimento della facciata
da parte di Giovanni Battista Valtorta, con rimozione del portale.
Sicuramente la parte più rilevante del palazzo è la facciata, che noi purtroppo
non vediamo più perché Giovanni Battista Valtorta, proprietario del palazzo,
nel 1863 riesce a ottenere la possibilità di demolirla e di ricostruire una nuova
facciata. Il portale lapideo che oggi si trova. Lui dà alla commissione di
ornato due varianti quella col portale, quella senza portali. Fortunatamente il
portale salvato dagli eruditi milanesi, viene portato alle collezioni del castello.1862, 10 novembre: vendita del portale da parte di Giovanni Ba-ista Valtorta a Giuseppe Baslini
- Facciata del palazzo del Banco Mediceo, dal Codex Valencianus, già Biblioteca de la
1863, 14 aprile: presentazione del proge-o di rifacimento della facciata da parte di Giovanni Ba-ista Va
con rimozione del portale
1863, 8 giugno: ricorso di Giovanni Ba-ista Valtorta
1863, 16 se-embre: reclamo ulteriore di Giovanni Ba-ista Valtorta
Elemento orentino abbastanza interessante è che di fatto queste paraste si trovano in una
composizione molto simile anche nella tomba di Leonardo Bruni e di Bernardo Rossellino in Santa
Croce. In questa facciata stiamo riscontrando degli elementi antiquari romani che a Firenze non ci
sono e ci sono solo a Roma. Non possiamo dire che questi elementi siano di cultura strettamente
orentina, tanto da consolidare l'ipotesi storiogra ca che una volta che arrivano i orentini a
Milano cambia tutta la cultura milanese. Il palazzo del Banco Mediceo probabilmente ha avuto un
impatto sulla cultura milanese molto notevole, ma non necessariamente va identi cato con la
moda orentina.
Queste sono le prove che il palazzo del Banco Mediceo aveva avuto un grossissimo successo
- Leo di Rozmital, Resoconti di viaggio redatti da Gabriel Tetzel, 1465-67. «We saw a ne
house at Milan wherein dwelt the merchants of Cosimo dei Medici».
- A. Averlino, Trattato di architettura, libro XXV, 1465 (?)
- Milano, chiesa di San Celso, Cappella di Galeazzo Maria Sforza, 1473. Nell’architettura
milanese degli anni 70, degli anni 80, del Quattrocento si trovano alcuni committenti che
desiderano avere certi elementi architettonici, come quelli della Casa dei medici. Galeazzo
Maria Sforza nel ’73 a San Celso dice che vuole il so tto di questa cappella come quello della
sala di Pagello.
- Varese, Palazzo di Ambrogio Gri , 1489. Ambrogio Gri era il medico degli Sforza. Aveva un
palazzo a valle a Varese, dove dice che sulla facciata vuole fare un'immagine scolpita di un
barone, un soldato con uno scudo in mano al modo dei orentini. Sappiamo che questo si
riferisce alla facciata del Palazzo Mediceo del Banco Mediceo perché sopra c'erano delle gure
in terracotta di soldati con lo scudo in mano e quindi sappiamo che probabilmente questi
elementi avevano avuto fortuna.
caratteristiche simili a quella destinata alle tombe dei Medici per la sua tomba. Siamo quindi di
fronte a una pianta quadrata con una scarsella quadrata, entrambe coperte da una volta a creste
vele o ombrello, esattamente come quella della sacrestia vecchia.
Questo edi cio è stato anch'esso molto discusso da parte della storiogra a, perché non
sappiamo chi l'ha fatto, non sappiamo esattamente chi sono i maestri che ci hanno lavorato. La
cappella è anche molto particolare perché gli elementi architettonici generali a grande scala sono
e ettivamente orentini e somigliano molto alla Sagrestia Vecchia di Brunelleschi, mentre gli
elementi architettonici minuti, cioè gli elementi decorativi e gli elementi singoli, si distanziano
invece dalla tradizione orentina. Gli studiosi hanno pensato di dire che in questo edi cio,
probabilmente di fronte a un modello suggerito dalla committenza, i maestri lo hanno poi
realizzato scegliendo di adeguarsi ad una cultura architettonica locale milanese anche per
questioni di gusto.
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L’antico senza l’antico: e Amadeo’s system
A un certo punto della nostra storia arriva Giovanni Antonio Amadeo. Giovanni Antonio Amadeo è
il mito incompreso del Quattrocento milanese, che ha proposto questo tipo di architettura e di
attitudine verso l’antichità. Per questo è stato coniato il termine di Amadeo’s System.
Nasce a Pavia ed è scultore e architetto, a partire dalla metà degli anni sessanta del XV secolo
risulta impegnato in tutte la maggiori fabbriche ducali (es. Certosa di Pavia). Nel 1481 viene
nominato insieme a Pietro Antonio Solari architetto della Fabbrica del Duomo. Nel 1486 gli viene
a data la realizzazione della facciata di Santa Maria presso San Satiro. Nel 1490 è incaricato con
Dolcebuono della costruzione del Tiburio del Duomo. Nel 1494 diventa ingegnere della fabbrica di
Santa Maria presso San Celso dove nel 1497 con Dolcebuono è responsabile dei lavori del
Tiburio. Nel 1495 viene nominato architetto principale dell’Ospedale Maggiore. Nel 1497 attivo nei
lavori della tribuna delle Grazie. Nel 1508 avvia la costruzione del primo dei quattro gugliotti del
tiburio. Prosegue i lavori alla fabbrica del Duomo no alla morte (1522).
Il colpo di genio di Amadeo non è soltanto aver ideato questo stratagemma, ma questa strategia
è estremamente replicabile. Qualsiasi scultore, che avesse una minima competenza, una bravura
scultorea e una minima conoscenza di antichità in piccola scala si poteva procurare questi
oggetti. Questa tendenza ha una sua fortuna. Probabilmente questo tipo di architettura sposava
molto il gusto dei committenti lombardi perché era antiquaria di gusto antiquario ma estrema con
la possibilità di avere questo tipo di cromia variopinta che piaceva sempre molto. C'è una quantità
di denaro spropositato che è perfetto per un personaggio importante come Colleoni.
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- Giovan Pietro da Rho, Portale di Palazzo Landi (dal 1481) a Piacenza e del Palazzo Stanga
a Cremona (dal 1489).
- Tommaso e Giacomo Rodari, Como, Duomo, Porta della Rana, 1507 circa
- Cremona, Palazzo Stanga Trecco, anni Novanta del XV secolo. Anche in terracotta. Qui si
riescono a riconoscere i modelli di riferimento.
Lezione 6, 09.03.2023
(Lezione sospesa)
Lezione 7, 14.03.2023
Bramante però, prima di arrivare a Bergamo ha una formazione in tutt'altro luogo. La sua
formazione è ancora avvolta da incertezze, nel senso che sappiamo alcune notizie, ma la sua
presenza a Urbino, presumibilmente all'inizio della sua infanzia e della sua prima giovinezza, di
fatto non è documentata. Abbiamo dei documenti che riguardano la sua famiglia, in particolare il
padre, il nonno, la famiglia di Bramante. In generale, però, noi non abbiamo documenti che ci
dicono ci testimoniano l'attività o la presenza di Bramante a Urbino dagli anni Cinquanta no agli
anni Settanta. Il primo documento che abbiamo che cita Bramante ce l'abbiamo nel 1481 (già
raggiunta una maturità professionale perché era nato nel 1444), quando è già a Milano. Questo
crea numerosi problemi perché abbiamo pochissime idee su cosa egli abbia fatto nei primi anni e
per una certa quantità, almeno per vent'anni, della sua vita.
Ci sono documenti sulla famiglia e noi sappiamo che Bramante è era glio di Angelo, che a sua
volta era glio di Antonio da Farneta e poi Vittoria di Pascuccio. La madre Vittoria di Pascuccio
aveva il padre (Pascuccio) con il soprannome Bramante. Il soprannome Bramante proviene dal
nonno materno. Questo Pascuccio, infatti, aveva accolto il genero, cioè il marito della glia, in
casa propria, proprio per il fatto che non aveva presumibilmente altri gli maschi e quindi la glia
con il genero avrebbero ereditato l'attività e anche i beni della famiglia. La famiglia di Bramante,
così composta, acquisisce a un certo punto tutta il cognome Bramante o il soprannome
Bramante, derivante appunto da un soprannome dato in realtà al nonno materno. La famiglia di
Bramante era composta da contadini, quindi non erano particolarmente abbienti, però non erano
neanche poveri. Pare che fosse una famiglia di contadini che viveva del suo lavoro senza
particolari stenti. Bramante aveva un fratello e sette sorelle e questo lo sappiamo da atti che
riguardano l'eredità del padre. Tutta questa storia di agricoltori marchigiani si colloca a
Fermignano, a Monte Asdrualdo. Pare che la tenuta di Pascuccio, detto Bramante, fosse sopra
questa collina nei pascoli in cima.
Le fonti che noi possiamo utilizzare che parlano di Bramante si dovrebbero basare in via teorica
su testimonianze oggi perdute, che però all'epoca erano ancora vive:
• Vasari. Vasari testimonia che Bramante già da piccolo avesse dimostrato una predilezione
per le arti e volesse subito dedicarsi. Viene instradato alla carriera artistica e se ne va.
Probabilmente va ad Urbino, città presso la corte Montefeltro, e rinuncia ai beni paterni in
favore del fratello. Dopo, nell'eredità della famiglia non compare più, cioè Bramante fa una
sua carriera artistica. Nasce circa nel 1444, ma anche questo lo sappiamo di desunta nel
senso che Vasari dice che Bramante muore a Roma nel 1514, a circa 60 anni per cui la data
1444 è desunta. Vasari ci dice che nella sua fanciullezza si esercitò nell'abaco, ovvero nel
calcolo. Ovviamente Vasari sa già che Bramante è esperto di prospettiva e quindi in quanto
pittore prospettico gli fa onore dire che si è esercitato n da bambino nella matematica.
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Questo non sappiamo quanto fosse realistico per una famiglia di contadini, ma comunque se
egli avesse avuto la possibilità poi di studiare ad Urbino e in strada nelle arti, tutto sommato,
può essere anche che ci fosse questo esercizio della matematica. Poi dice che il padre,
vedendo che egli si dilettava molto del disegno, lo indirizzò ancora fanciullo all'arte della
pittura. Vasari ci dice che di fatto Bramante studiò le opere di Fra Carnevale.
Una delle prime cose che dobbiamo chiederci da bravi storici dell'architettura è che cosa poteva
vedere Bramante piccolo a Urbino quindi nella seconda metà degli anni Cinquanta.
• Piero della Francesca. Concentriamoci sugli aspetti che potevano
garantire a Bramante, tramite il suo maestro, un aggiornamento
estremamente attento sulle novità architettoniche del Quattrocento.
Dentro Piero della Francesca, potenzialmente si capisce che è un
pittore che ha un immaginario architettonico suo, quasi come se
facesse progetti di architettura con i mezzi della pittura e che
sicuramente aveva avuto la possibilità di studiare sia le opere antiche
sia le opere dei contemporanei o di chi era a lui immediatamente
precedente. Questa grande componente architettonica dell'architettura Piero della Francesca, La flagellazione, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 1458-1460 (?)
di Piero, che naturalmente era anche al servizio del fatto che fosse pittore di prospettiva poi
ha un impatto, cioè le opere di Piero della Francesca si sa che hanno un impatto visivo tale
negli artisti del tempo, che sono state esse stesse in grado di essere veicolo di modelli:
- A partire dalla Flagellazione 1458-1460 (?). So tto all’antica piano a lacunari
con rosette di moda a Firenze a partire da un’invenzione ferrarese. Questo
dettaglio ci racconta un'intera cultura, cioè questo dipinto è in grado di
restituirci a livello storico culturale un fenomeno di di usione di questo tipo di
so tto che probabilmente poi da Firenze passa anche ad Urbino, forse
proprio anche grazie a opere come questa. Ci racconta anche un'altra cosa
che l'architettura, non passa solo attraverso l'architettura costruita, ma anche attraverso le
opere che possono essere trasportate o che possono mediare alcuni contenuti culturali.
- A partire dalla Flagellazione 1458-1460 (?). Piero inserisce nella Flagellazione una
colonna. Il capitello è molto particolare, molto raro nel Quattrocento e praticamente
mai usato. Questo è un capitello composito che ha le volute angolari, cioè non
sono ortogonali ma sono a 45°, che nel Quattrocento non si usa mai. Poteva
vedere un modello antico che si trova oggi nella chiesa di San Salvatore di Spoleto.
È una chiesa medievale, presumibilmente di epoca longobarda però le antichità di Piero della Francesca, La flagellazione, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 1458-1460 (?)
Spoleto, San Salvatore, capitelli antichi di reimpiego
• Bartolomeo Corradini detto Fra Carnevale (?). Queste sono le cosiddette Tavole Barberini.
Di queste ci interessa il fatto che se Bramante studia molto le cose di Fra Carnevale, forse
avrà studiato anche queste.
- A partire dalla Presentazione della Vergine al Tempio. C’è un arco di
trionfo, quindi conosce l’architettura romana. Questo arco di trionfo
non è da solo isolato, come si utilizzava per esempio nell'antica
Roma, ma è una sorta di ingresso o facciata (non lo sappiamo) di un
edi cio, quindi, Fra Carnevale sta mettendo l'arco di trionfo davanti
ad una chiesa, perché poi in fondo c'è un altare. È una proposta di
facciata antica e quindi sta prendendo un elemento dell’antico, ma
cambiandolo di signi cato e recuperando in maniera diversa. Dietro
poi ci sono tre navate, colonne che sorreggono archi e sopra le Bartolomeo Corradini de-o Fra Carnevale (?), Presentazione della Vergine al Tempio, Boston, Museum of Fine Arts
colonne c'è un cleristorio e c'è un so tto ligneo. Le caratteristiche sono di una basilica
paleocristiana. L'antico cristiano è antico, soprattutto quello di Costantino. Fra Carnevale
ci sta dicendo che la sua cultura dell'antico è tratta dall'antichità cristiana, come il capitello
che si riferisce alla chiesa di San Salvatore a Spoleto.
- A partire dalla Presentazione della Vergine al Tempio. Fra Carnevale
conosce anche l'antichità romana, nel senso che c'è l’abside.
L'abside ricorda nella sua struttura in maniera incredibile l'abside del
Pantheon. È probabile che Fra Carnevale conoscesse il Pantheon
oppure che avesse preso ispirazione dall’abside di San Salvatore a
Spoleto. Che fra Carnevale abbia preso questo elemento dal
Pantheon o da San Salvatore di Spoleto, per noi è lo stesso perché è
un edi cio, un elemento antico che noi sappiamo comunque non solo
era di uso a Roma, ma era di uso anche in un antichità locale quindi, Bartolomeo Corradini de-o Fra Carnevale (?), Presentazione della Vergine al Tempio, Boston, Museum of Fine Arts
• Palazzo ducale di Urbino. Filippo Lippi, Annunciazione, Spoleto, ca-edrale di Santa Maria Assunta, abside
Un altro dei possibili riferimenti successivi alla agellazione potrebbe Bartolomeo Corradini de-o Fra Carnevale (?), Nascita della Vergine, New York, Metropolitan Museum
essere uno dei capitelli realizzati da Luciano Laurana nel cortile del
Palazzo Ducale di Urbino. Il grande colosso edilizio di Urbino nel
Quattrocento è sicuramente questo palazzo, questa “città in forma di
palazzo” come ci dice Baldassarre Castiglione, cioè un palazzo
talmente grande che di fatto si con gura anche come esperienza
urbana e modi ca in modo indelebile la precedente struttura del borgo
di Urbino. Il palazzo è presumibilmente il palazzo che Bramante,
quando era giovane, ha visto in costruzione l'impresa del Palazzo
Ducale. Il nucleo originario del palazzo, il cosiddetto Palazzetto della
Jole, era la residenza di Federico da Montefeltro prima che decidesse
di ricostruire tutto il Palazzo Ducale. Si avvia la costruzione del nucleo
attorno al cortile con la supervisione di un architetto e scultore dalmata
che si chiama Luciano Laurana. Siamo a cavallo negli anni Sessanta e
no ancora dopo il 1468. Quando Laurana muore, il cantiere viene
rilevato da un architetto molto famoso che si chiama Francesco di Giorgio Martini, senese,
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esperto di idraulica e forti cazioni, anche pittore. A Francesco Di Giorgio si deve il
completamento di una parte del cortile e poi tutta la realizzazione dell'ala del cosiddetto
giardino pensile con sotto i locali di servizio, tra cui le cucine, tutto l'approvvigionamento
idrico del palazzo. Questo palazzo aveva l'acqua calda e aveva il bagno con l'acqua calda.
Una delle cose più innovative di tutto il Quattrocento è la loggia. È un sistema di archi
sovrapposti che si ra na mano a mano che si sale. In particolare l'ultima che è quella
realizzata quando Federico da Montefeltro è già diventato duca dopo il 1474 (v. FE
DUX). L’architetto Laurana mostra una predilezione sia per l'antico e sia per
l'architettura orentina sbilanciata verso Leon Battista Alberti. L'antichità romana si
vede subito perché questa tipologia di composizione di parete deriva probabilmente dal
anco del pronao del Pantheon.
Luciano Laurana riceve una patente ducale nel ’68, quindi nel 68 siamo sicuri che
ancora è il capocantiere, mentre invece ai primi anni 70 si perdono un po’ le notizie. Nel 74,
quando Federico da Montefeltro diventa duca, probabilmente ancora il cantiere governato da
Luciano Laurana. A un certo punto subentra Francesco di Giorgio Martini, probabilmente nel
76-77. Alcuni studiosi dicono che Francesco Di Giorgio aveva forse iniziato a lavorare anche
quando c'era Laurana, ma non c'è la sua presenza no al 77, cioè non lo sappiamo. Poi
mantiene invece il cantiere del palazzo anche nei primi anni 80, quindi no alla morte di
Federico da Montefeltro che avviene nel 1482. Se Bramante è stato a Urbino no all'inizio
degli anni 70 o no a metà degli anni 70, conosce anche Francesco di Giorgio Martini se no
la conoscenza delle opere di Francesco di Giorgio Martini a Urbino diventa un po’ più
problematica. I due sicuramente si sono almeno incrociati in qualche modo e poi sappiamo
che diventano amici.
Il cortile è ancora della fase di Luciano Laurana, ma è completato da
Francesco Di Giorgio, perché è una delle prime cose in cui Francesco
Di Giorgio viene messo è completare le opere che Laurana aveva
lasciato incompiute, tra cui c'era il cortile, quindi forse Francesco di
Giorgio completa la parte superiore. Il cortile testimonia un certo
discepolato verso la cultura orentina (un ordine maggiore che è
quello angolare con le paraste; paraste sorreggono una trabeazione;
dentro la trabeazione sono collocati gli archi sulle colonne; la ghiera
dell'arco s ora l'architrave della trabeazione). Si presume che Laurana
si fosse ispirato a elementi brunelleschiana. C'è una grandissima
novità è questo pilastro nell’angolo: Laurana decide di risolverla così, cioè realizza un pilastro
a forma di L. È tutto un blocco unico in cui si comprendono i due pilastri più le semicolonne
che formano una L, quindi da dietro si vendono i due pilastri e 1/4 di colonna. I capitelli
dell'ordine superiore dimostrano di conoscere Alberti (prende la soluzione angolare della
facciata di Santa Maria Novella, progettata da Alberti e vi mette una specie di sintesi di
quello che ha visto).
Francesco Di Giorgio realizza la facciata del palazzo che dà verso la piazza. La facciata dei
Torricini è l'immagine del duca verso fuori, cioè verso Roma, perché
poi lui era legato delle Marche, quindi doveva molto al Papa. Questa
invece è l'immagine del Duca ai cittadini ed è la facciata più ricca,
cioè quella più ornata. Ovviamente è incompiuta perché sarebbe
dovuta essere completamente rivestita di bugnato con bugne lisce e
bugne tutte uguali (bugnato isodomo). Questo lo fa Francesco di
Giorgio Martini. Grande novità sono le nestre cosiddette a edicola.
Queste nestre sono una specie di microarchitettura, come se fossero
due piedritti, cioè due lesene con sopra una trabeazione. Questa è
una nestra che Francesco Di Giorgio si è immaginato fosse all'antica ed è trattata come una
porta. Qua porte e nestre sono molto simili e tutte due sono a edicola.
Ulteriore novità del Palazzo Ducale di Urbino lo scalone che occupa un suo spazio. È uno
scalone monumentale che occupa tutto il corpo di fabbrica dal piano terra all'ultimo piano,
con due rampe contrapposte voltato a botte. Ha la novità di avere una colonna libera, adesa
alla muratura su cui infatti si poggiano anche gli archi della volta.
Il giardino pensile è la grande novità di Francesco di Giorgio Martini, che un
giardino sopraelevato. È una zona all'aria aperta, dove il duca ha un giardino
segreto, utilizzabile ovviamente soltanto dai duchi e dove c'è anche un'idea
di godimento del paesaggio circostante. Francesco Di Giorgio ha pensato di
mettere in un angolo del giardino un gigantesco scalone elicoidale con una
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rampa percorribile anche a cavallo. La scala era collegata anche con un'uscita di sortita con
una porta nascosta utile in caso di fuga (Francesco di Giorgio è anche ingegnere militare!!).
Francesco di Giorgio fa uno spazio aperto in cui però chi idealmente si a accia a vedere il
paesaggio si a accia da uno spazio chiuso. C'è una sorta di ambiguità concettuale nel
trattamento di questo giardino pensile tra un interno e un esterno. Anche questa attitudine di
giocare con gli elementi architettonici e con gli spazi per simulare o dissimulare alcuni
concetti è una caratteristica che poi è propria degli architetti che considerano l'illusione
come un elemento proprio dell'architettura che progettano. Questo per Bramante sarà
interessante e anche per molti architetti della ne del Quattrocento.
Sotto al giardino pensile ci sono tutti i locali di servizio. C’era anche un sistema di cisterne
che consentiva di raccogliere l’acqua piovana dal giardino e fare un sistema di condutture in
cui si scaldano le cucine.
Una delle componenti più interessanti del palazzo di Federico da
Montefeltro è lo Studiolo. Questo ambiente ad uso esclusivo di
Federico II era completamente arredato con armadi intarsiati e dipinti
nella parte superiore. L’ambiente era utilizzato per attività personali
del Duca che possono essere la lettura. In questo studiolo, una
grande importanza hanno rivestito le tarsie lignee che adornano i Francesco di Giorgio Martini (?), Tarsia dello
tarsia presenta molte innovazioni dal punto di vista architettonico nell'arco tanto che alcuni
studiosi hanno voluto immaginare che fosse su disegno di Francesco di Giorgio Martini.
Forse la realizzazione a è da attribuire a Baccio Pontelli.
Lezione 8, 16.03.2023
I due progetti di Francesco di Giorgio Martini cadrebbero cronologicamente dopo la partenza di
Bramante da Urbino. In teoria questi due edi ci parrebbero comunque riscontrare poi una
conoscenza da parte di Bramante anche se non quadrano però le date. Si collocano
cronologicamente quando in teoria Bramante ha già la sua attività nel Nord Italia e Francesco Di
Giorgio era da pochi anni da poco tempo impiegato a Urbino. I due progetti sono: il duomo di
Urbino e San Bernardino ad Urbino.
Francesco Di Giorgio è anche uno dei primi traduttori del Trattato di Vitruvio, nel senso che nei
suoi scritti teorici esistono anche alcuni alcuni brani che sono proprio traduzioni in volgare del
testo del trattato di Vitruvio. Vuol dire che sapeva anche il latino, a livello tale da tradurre Vitruvio,
che non era una cosa facile. Duomo, Urbino | ante 1482 - 1510 circa
A Bergamo gli sono attribuite delle gure di loso che si trovavano un tempo dipinte sulla
facciata del Palazzo del Podestà (oggi sono state staccate nel 1927 e sono state portate nel
Palazzo della Ragione). Sappiamo che le abbia dipinte Bramante sulla base dell'incrocio di due
fonti pressoché coeve o di poco successive:
- Marin Sanudo (1483): informa su gure di Filoso sulla facciata del palazzo del Podestà
realizzate al tempo in cui Sebastiano Badoer era pretore e Giovanni Moro prefetto 1477-1478
(almeno no al 22 aprile). Bergamo appartiene alla Serenissima dal 1428 e come tutte le città di
terraferma, aveva due delegati, due rettori incaricati dalla Serenissima e obbligatoriamente
patrizi veneziani che risiedevano in città a governo della città. In particolare, il podestà si
occupava della giurisdizione interna della città e delle amministrazioni interne. Il podestà
risiedeva proprio nel centro, nel nuovo centro urbano della Serenissima, in città alta Bergamo,
nel palazzo che poi viene chiamato del Podestà. Sebastiano Badoer entra in carica come
podestà il 22 aprile del 1477 e Giovanni Moro, che è già capitano nel 76, nisce la carica dopo
l'inizio del 1478, quindi la nestra di tempo in cui i due sono in carica contemporaneamente
sono sei mesi, cioè tra la primavera del 77 e l'inizio del 78. Sulla base di questa informazione,
quindi, se Marin Sanudo ha ragione, i loso sono fatti in quella nestra di tempo.
- Marcantonio Michiel (1521-1543): cita il nome di Bramante come autore degli a reschi. Questa
fonte successiva poteva basarsi ovviamente su testimonianze che noi oggi non sappiamo.
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Inoltre c’erano i palazzi che erano decorati con stemmi della Serenissima e con leoni.
Abbiamo una tarsia lignea che testimonia come fosse la Piazza Vecchia nel
Quattrocento dall’intarsiatore bergamasco Damiano Zambelli. Oggi si trova nella chiesa
di San Bartolomeo, ma originariamente non era lì. È l'unica immagine che ci fa vedere il
Palazzo della Ragione, prima in teoria di un grosso incendio e delle devastazioni che
vengono perpetrate nel 1509, quando Bergamo è presa dai francesi. Fra Damiano Zambelli, Tarsia con piazza vecchia di
Bergamo, Bergamo, coro di S. Bartolomeo
Questo è Palazzo del Podestà oggi, in una versione ricostruita a partire dal Cinquecento.
I loso erano al secondo piano nobile. Quando sono stati ritrovati sotto l'intonaco successivo, i
lacerti frammentari degli a reschi di Bramante sono stati staccati in una certa quantità di
frammenti che oggi sono esposti, tutti separati. In questa ricostruzione si vede dov’erano
collocati. Si trattava di un ciclo molto particolare, perché non sono molto frequenti cicli pittorici
che propongono gure di loso antichi. Il tema è un tema antiquario, perché si tratta dei Savi
dell’antichità. È il Palazzo del Podestà e la Serenissima Repubblica dà un'immagine nella piazza
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quanto si possa giudicare dallo stato dei lacerti e dalla puntuale ricostruzione -
loso si sono identi cati cinque di sette. Questa - nalisi dei dettagli architettonici sembra regalare alcuni spunti sulla cultura ar-
chitettonica di Bramante a questo stadio della sua carriera. I brani meglio leg-
era abbastanza studiata perché aveva trovato L’architettura dipinta si sovrapponeva alla facciata reale del palazzo, simulan-
do una nuova architettura completamente disegnata ( 1969, pp. 102-
103), con scorci prospettici fortemente laterali e uso di numerosi punti di fuga
ti a una parete: mentre le due aperture quadrangolari e simmetriche che si
decine di metri di distanza e quasi completata nella primavera del 1477 (si veda
parte dell’artista, già nella sua prima opera lombarda, di proporre architetture stituire allo stesso tempo il capitello del semipilastro e una parte della trabea-
ni Antonio
cheAmadeo
il regista delaprogramma
Bergamo nel 1477
iconogra co e la non dovrebbe
scelta essere
di rappresentare quali sottovalutato,
loso , si debba al
committente.
anche alla
La luce
culturadella notizia
architettonica cheche in quello
troviamo stesso
dentro questo anno
ciclo urla a lo scultore
Urbino. Non c'èpavese
dubbio che erail
regista dell'operazione pittorica del progetto pittorico di tutto il ciclo abbia conosciuto la cultura
attivo perarchitettonica
il palazzourbinate.
della Ragione,
Sulla base diper il quale
questa ricevevaBramante
considerazione, il 28 febbraio
è abbastanza 100certo,
lire
mentre dal punto di vista pittorico gli studiosi attribuiscono al pennello di Bramante, soltanto due
mperiali dei
“pro losoinsignis positis
, (Epimenide, ChiloneinePallatio
la testa di dicti comunis”
Periandro). A Bramante(BCBg, Archivio
va l’impaginato Storico
comune.
del Comune di Bergamo, Sezione Antico Regime, Registri delle azioni, 2, f. 125r;
Donato Bramante (aiuti), Epimenide, Bergamo, Palazzo della Ragione (già sulla facciata
del Palazzo del Podestà, 1477 decine di metri di distanza e quasi completata nella primavera del 1477 (si veda
Il losofo Epimenide è seduto su questo scranno e anche c'è uno sfondato 2002,dip. parete. Bramante
1996,
simulap. 34
degli altrinota 216),
spazi che intervento
si sovrappongono a questache potrebbe inserirsi
179). Del resto
ni Antonio Amadeo a Bergamo nel 1477 nonnon
parete, che ngono che che quello entro
il rapporto i lavori
tra Bramante e Giovan-
dovrebbe essere sottovalutato,
di
sia più un palazzo. C’è una sorta di ribaltamento anche tra interno
alla luce ed
dellaesterno.
notizia cheLo studiolo di anno lo scultore pavese era
ammodernamento
Epimenide ha duedel palazzo
pilastri quadrati chedegli anni
assomigliano settanta
all'arco
attivo per ildella tarsie
palazzo
del
della dello
Ragione,
Quattrocento
in quello
scoiattolo,
stesso
per il qualese
(
riceveva il 28 febbraio 100 lire
-
non per la mancanza del so tto con lacunari. Questa imperiali
cosa non esiste in tutto il mondo, tranne
1920, pp. 6-7). L’unica rappresentazione del palazzo della Ragione prima
“pro insignis positis in Pallatio dicti comunis” (BCBg, Archivio Storico Donato Bramante (aiuti), Epimenide,
Bergamo, Palazzo della Ragione (già
in Donatello a Padova.
sulla facciata del Palazzo del Podestà,
1477
del Comune di Bergamo, Sezione Antico Regime, Registri delle azioni, 2, f. 125r;
dell’incendio
Donatodel 1513
Bramante,
Podestà, 1477
e dei
Chilone, successivi
Bergamo, Palazzo rifacimenti,
della Ragione
ammodernamento compare
(già sulla
del palazzo degli anniin
facciata del Palazzo unadel del
settanta delle
Quattrocentotarsie
1996, p. 34 nota 216), intervento che potrebbe inserirsi entro i lavori di
( -
già sulla facciata del Palazzo del Podestà, Bergamo, Palazzo della Ragione
1920, pp. 6-7). L’unica rappresentazione del palazzo della Ragione prima
di Fra Damiano Zambelli oggi in San Bartolomeo
particolare. Ha come delle volute che si allargano dell’incendio
lateralmente. del 1513ae dei
Questo
Bergamo
La cosa che ci interessa nello studiolo di Chilone è la parte dei pilastri che hanno un capitello molto
successivi
capitellorifacimenti,
e mostra
compare in unaal
viene chiamato dellecen-
tarsie
di Fra Damiano Zambelli oggi in San Bartolomeo a Bergamo e mostra al cen-
tro della facciata un’enorme
dipinti) a Verona. tabula ansata all’antica,
della facciata un’enorme anche
capitello a stampella ed è molto raro. L’unico riferimento è alla Pala di San Zeno di Mantegna (quelli
tro tabula ansata se non
all’antica, anchesappiamo
se non sappiamo
Una della particolarità di questa stampa è che sia una lastra di ottone. Di solito i bulini si fanno
con lastre di rame. Una delle possibilità è che questa stampa è molto grande, cioè le dimensioni
di questo di questa stampa sono eccezionali per l’epoca. Di solito non si realizzavano stampe
così grandi con un'unica lastra, cioè quando si doveva fare una composizione più grande in una
certa misura si facevano più lastre e poi si mettevano insieme le lastre in un secondo momento
per la stampa oppure addirittura si stampava separatamente poi si univano i fogli.
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• In questo caso noi siamo sicuri perché l'analisi dei due esemplari sopravvissuti (uno alla raccolta
Bertarelli a Milano e uno al British Museum a Londra) ci confermano che una stampa su
un'unica lastra. Non sappiamo se questo fatto, che fosse realizzato in ottone, sia legato al fatto
che bisognava fare una sola lastra molto grande.
• Uno dei due esemplari presenta non un foglio unico, perché anche il foglio sarebbe dovuto
essere molto grande. È invece una sovrapposizione di due fogli di cui si vede anche in parte al
centro.
• La terza è che, come dice anche il documento, aveva edi ci e gure, però, nessuno ancora oggi
riesce a capire quale sia il soggetto di questa stampa. Al di là del fatto che il soggetto, anche
guardandola, è visibilmente l'architettura, cioè quindi edi ci. Non si capisce queste gure cosa
stanno lì a fare. Per esempio, molto si è discusso su chi sia questo monaco inginocchiato che
sta davanti a questa specie di grande candelabro che nasconde in parte una gura gigantesca
che poi si trova dentro l'abside di questo edi cio. Ci sono state molti tentativi di spiegazione di
questo soggetto iconogra co. Uno molto famoso è di Germano Mulazzani ed è oggi un po’
superato. L’ipotesi è che questo edi cio rappresenti un tempio pagano, che in particolare sia
legato all'origine, alle leggende, sulla prima evangelizzazione della città di Milano operata
dall'apostolo Barnaba che, giunto a Milano, si sarebbe fermato presso una fonte vicino alla
Basilica di Sant’Eustorgio, dove c'è ancora oggi appunto si celebra la fonte di San Barnaba. Egli
pensava monaco inginocchiato fosse san Barnaba che, giunto nei pressi di un tempio di Giano
avesse collocato una croce sopra l'idolo che stava all'interno del tempio. Questo è il primo atto
di cristianizzazione della città di Milano che, tramandato da fonti medievali milanesi. Lazzani
aveva interpretato questo come il presunto tempio di Giano, anche sulla base del fatto che qui
c’è una gura con una testa di spalle, quindi come se fosse Giano entro un edi cio a pianta
centrale, come spesso si faceva per gli edi ci dedicati al dio Giano, e la croce che si colloca
qua sopra il candelabro che forse si vede poco. Non è così peregrina questa ipotesi, però non è
confermata, perché non si riescono comunque a ricondurre tutti i dettagli iconogra ci che si
trovano in questa stampa a questa leggenda, questa storia della tradizione milanese.
La stampa è rmata. Anche questo è molto raro perché sul basamento di questo
grande candelabro c'è scritto Bramante fecit in Mediolanum. Il disegno di
Bramante preparatorio per la stampa conteneva la rma dell’autore. Data la
disposizione delle lettere, qualche studioso aveva sospettato in passato che
questa scritta non fosse autografa, ma fosse stata aggiunta successivamente alle
stampe. In realtà da studi recenti si conferma che questa era un'iscrizione in lastra,
quindi l'inchiostro è esattamente lo stesso e non ci sono interpolazioni nei due
esemplari sopravvissuti. Era già contenuto nella lastra di ottone, quindi è originario
rispetto alla realizzazione della lastra. È diritto inoltre, quindi il disegno di Bramante
avrebbe già dovuto prevedere un'iscrizione in controparte, perché ovviamente
quando si stampa la lastra poi si deve avere un disegno in controparte.
Questo edi cio ha avuto diverse ricostruzioni gra che, soprattutto per cercare di
ricostruire la pianta e alcuni dettagli di questo tempio. Essa è verosimilmente è una
chiesa cristiana. Queste sono alcune ricostruzioni prese dagli studi di Filippo
Camerota che ha proposto un edi cio di questo tipo. Abbiamo un grande quadrato
suddiviso in varie campate, con al centro una volta. Camerota ha ricondotto la
tipologia di edi cio ad una tipologia di origini tardo antiche che in architettura si
chiama quincunx, cioè un edi cio a croce greca inscritto in un quadrato
sormontato da cinque cupole. Bramante prende spunto probabilmente da modelli
tardo antico medievali e che possono essere trovati in varie parti d'Italia. Questo
tipo di edi cio era di origine bizantina ma anche tardo antica e Milano e l’Italia più
in generale conservava alcuni esempi:
• Hosios Lukas, Katholikon e chiesa di Santa Maria Theotokos (X-XII secolo)
• Stilo (Reggio Calabria), Cattolica (IX-X secolo)
• Capri, chiesa di San Costanzo (XII secolo)
• Genga (AN), San Vittore alle chiuse, ne XI-XII secolo
• Orciano di Pesaro, Santa Maria Nuova, Dal 1492 Rico
• Venezia, San Giacomo al Rialto (XI-XII secolo, restaurata nel Seicento) nella
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• Antonio Averlino detto il Filarete – Trattato di architettura. Quando Filarete per il Signore di
Sforzinda deve progettare la nuova cattedrale, quindi il Duomo di Sforzinda se lo immagina a
quincunx.
• Sacello di San Satiro, Milano. Un piccolo edi cio che ha un impianto che non è proprio un
incubus tradizionale ma ha dei punti di contatto con l'impianto a quincunx è per esempio il
sacello di San Satiro. Considerando che Bramante lavora in anni limitro all’incisione
Prevedari possiamo pensare che conoscesse il sacello di San Satiro e che quindi questo
quincunx della tradizione milanese possa aver giocato anche un ruolo nella sua scelta.
• Pavia, Santa Maria Teodote detta alla Pusterla, cappella del Salvatore, ne XV secolo. Il
sacello di San Satiro, del resto, conosce alcune copie locali, cioè questo è la cappella di
Santa. La cappella di Santa Maria Teodora, che si trova nel monastero della Pusterla a Pavia
ed è un quincunx, è probabilmente della ne del XV secolo. È quasi una copia esatta anche
nelle dimensioni del sacello di San Satiro, quindi per testimoniare come questo tipo di edi ci
della tradizione, anche locale milanese, ritenuti antichi perché noi oggi sappiamo che il sacello
di San Satiro è del IX secolo. Vedevano che assomigliava a quincunx e quindi facevano uno.
Nel 1481 fa questa stampa dove l'architettura è straordinaria e anche fortemente innovativa, cioè
dove si vede l'attitudine che poi Bramante ha in tutta la sua produzione architettonica lombarda.
Egli propone una sorta di fusione di elementi che provengono dalla sua formazione urbinate e
dalle visite e dagli studi che lui ha fatto in precedenza e la tradizione lombarda. All’interno della
stampa Prevedari si coglie già la presenza di elementi culturali provenienti dalla Lombardia.
La parte centrale del quincunx è vano voltato con tutti i vani adiacenti.
La composizione architettonica da che cosa è formata da un ordine altissimo. Ha un altissimo
piedistallo (base+dado+cornice), ha paraste alte con base attica, ha un capitello particolarissimo
e poi ha la trabeazione (architrave, fregio e cornice). All'interno di questo ordine maggiore, poi,
troviamo un ordine architettonico più piccolo: sullo stesso alto piedistallo c’è un ordine contratto,
che regge archi. Questi archi sono inquadrati dall'ordine maggiore, quindi siamo di fronte a un
partito alla romana. Se scendiamo ancora di più di scala negli ambienti adiacenti, troviamo un
ordine architettonico ancora più piccolo, incastrato dentro il secondo. Questa è già una
elaborazione spaziale molto articolata, che testimonia la conoscenza da parte di Bramante di una
teoria dell'architettura e anche di una pratica piuttosto nutrite.
Tutti gli elementi architettonici che possiamo trovare in questa stampa sono come indicatori della
conoscenza della cultura architettonica di Bramante alla soglia 1481, cioè sappiamo che no a
questo momento aveva visto queste cose.
• Firenze, chiesa di S. Lorenzo Progetto di Filippo Brunelleschi. Il partito alla
romana con un ordine architettonico che sostiene archi, poteva averlo visto a
Firenze, cioè Brunelleschi. Nella stampa c'è una sostanziale di erenza tra la
gerarchia di ordini che utilizza Brunelleschi e quella che utilizza Bramante,
perché Brunelleschi per l'ordine minore, in questo caso utilizza colonne. Gli
studiosi hanno parlato quindi di una sorta di variante essenzialmente muraria,
cioè fatta solo attraverso parti di muro, del partito alla romana. Firenze, chiesa di S. Lorenzo
Progetto di Filippo Brunelleschi
bipartito, cioè ha una parte superiore decorata in un modo e una parte inferiore
decorata in un altro. La parte superiore può essere ricondotta a un capitello con
volute a S, mentre la parte inferiore ha una sorta di intreccio. Qui ci sono state
diverse proposte. Bramante potrebbe già testimoniare un certo tipo di cultura
teorica dell’architettura. Nel trattato di Vitruvio si racconta che l'origine del capitello
corinzio deriva dalla visione di una pianta di acanto collocata in un cesto di vimini.
Si è pensato che Bramante volesse riferirsi all'origine ancestrale del capitello
corinzio, riproducendo in una forma moderna l'idea delle foglie d'acanto che emergono dal
cesto di vimini. Questo può essere vero. Richard Scho eld spiega che la versione che ne dà
Bramante è una versione all'antica, cioè è molto più antiquario di quello del ciborio di
Sant’Ambrogio, però non è detto che non ci sia una sintesi dei modelli. Magari Bramante
sapeva che nel trattato di Vitruvio si raccontava questa storia e vedendo quello di
Sant’Ambrogio ne ha trovato una somiglianza. Nella stampa sembra aver retti cato rispetto
alla cultura antiquaria che Bramante aveva.
• Urbino, chiesa di S. Bernardino, post 1481 Progetto di Francesco di Giorgio Martini.
• Filippo Lippi, Annunciazione, Spoleto, Duomo, abside, 1466-1469. Bramante
disegna tutti i conci di questo archivolto poi c'è questo concetto in chiave d'arco
cadente. Questo archivolto invade completamente le fasce dell’architrave. Questo
invece l'avevamo accennato con Filippo Lippi. Bramante disegna tutti i conci di
questo archivolto poi c'è questo concetto in chiave d'arco cadente. Questo
archivolto invade completamente le fasce dell’architrave. Non sappiamo chi è
l'inventore di questo elemento, salvo che ovviamente entrambi lo vedevano in
Filippo Lippi. Alla ne può essere che entrambi siano stati suggestionati
separatamente dagli stessi modelli.
Filippo Lippi
Spoleto, Duo
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A Urbino e nel Centro Italia in generale il tema dei trion è di usissimo, in particolar modo in contesti matrimoniali e dal
momento che il tema è quello amoroso e quindi è una sorta di messaggio benaugurante anche per una coppia di sposi.
• Lo troviamo soprattutto su cassoni come quello realizzato da Francesco di Giorgio Martini, relativo al Trionfo di
Castità. È probabile che Bramante, osservando verosimilmente questi modelli martiniani, potesse cogliere non solo uno
spunto iconogra co per il trionfo, ma anche forse per l'architettura rappresentata (es: tempio poligonale; colonna
interna a bulbo che c’è anche nella stampa Prevedari).
• Piero della Francesca aveva realizzato il dittico per i Montefeltro, oggi agli U zi. Dietro i due ritratti abbiamo le due
allegorie dei sovrani e dietro al Ritratto di Battista Sforza abbiamo proprio l'Allegoria della Castità.
• In questi anni si celebrano feste di matrimonio in cui il tema è rappresentato in spettacoli che coinvolgono l'osservatore
e che hanno per oggetto il trionfo di castità.
• Tra tutti gli oggetti del corredo totale di Paola Gonzaga, due sono importanti cassoni, che oggi sono stati riutilizzati dal
Seicento sono utilizzati come reliquiari nel Duomo di Graz, nell'Austria orientale, ovviamente conte di Gorizia.
Rappresentano i trion di Mantegna. Sono un precedente molto interessante rispetto alla stampa prevederli perché
forse costituiscono l'unica rappresentazione in scultura dei trion di Petrarca nel Quattrocento. È come se Bramante
potesse averli visti e abbia memorizzato questo è un trattamento dell'iconogra a, come un bassorilievo, in questo caso
intagli d'avorio applicati poi su sul legno del cassone. L'ordine della narrazione da destra verso sinistra come nella
Stampa Prevedari.
• Seguace di Girolamo da Cremona (attr.), Trion , 1460-1470 circa, Denver, Denver Art Museum (corte mantovana)
• Andrea Mantegna, Ascensione (Trittico degli U zi), 1460 circa, Firenze, Gallerie degli U zi. Probabilmente Bramante ha
modo di avvicinarsi agli ambienti intimi della corte mantovana. La gura di santo inginocchiato che abbiamo visto nella
stampa deriva da questa. Essa viene da un trittico che stava nella cappella di San Giorgio dei Marchesi di Mantova,
quindi un ambiente esclusivo. Bramante però ha modo probabilmente di vederlo, forse con dei tramiti.
La parrocchia di Santa Maria presso San Satiro, però non deve non deve essere pensata come
una parrocchia povera, perché nell'area limitrofa Santa Maria presso San Satiro, nel Quattrocento
si situano le residenze di alcune delle famiglie più importanti di Milano, più ricche e anche
connesse con la corte sforzesca. I parrocchiani di San Satiro tutto sommato erano dei
parrocchiani di livello alto dal punto di vista del ceto sociale. Per questo si pensa che non si sia
badato a spese per quanto riguarda soprattutto anche la decorazione dell’interno, che ri ette in
modo preciso questa dotazione nanziaria.
Santa Maria presso San Satiro
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Il Sacello di San Satiro è molto piccolo che è stato
costruito all'epoca del vescovo Ansperto, quindi siamo nel
IX secolo. È un edi cio altomedievale al quale nell'XI
secolo era stato a ancato un campanile grazie
all'arcivescovo Ariberto da Intimiano. Egli fa costruire
questo enorme campanile e le dimensioni del campanile
sono imponenti per una chiesa che era piccolissima.
Nonostante fosse piccolissimo, nel corso del Duecento,
questo sacello era diventato parrocchia. Data la
concentrazione di chiese nel centro di Milano, in quella
zona e quindi la possibilità comunque di distribuirsi su vari
edi ci religiosi per le funzioni, è probabile che si sia scelto
di collocare la parrocchia nell'edi cio più antico e
memorabile che in quella zona. San Satiro era uno dei
fratelli di Sant'Ambrogio, quindi era un santo venerato dall'epoca ambrosiana e lo stesso sacello
di San Satiro era stato originariamente costruito su un terreno appartenente alla basilica di
Sant’Ambrogio, quindi aveva comunque un collegamento con la basilica ambrosiana.
Il sacello di San Satiro aveva questa conformazione che poteva essere letta dagli architetti del
Quattrocento come un quincunx, cioè un impianto a croce greca inscritto in un quadrato e quindi
di matrice bizantina antica e quindi da loro identi cabile come una antichità del luogo.
Dentro questa cornice esisteva anche un piccolo cimitero. Nel Quattrocento c'era un muro di cui
la cui collocazione non si sa esattamente con un piccolo cimitero, perché ovviamente era
parrocchia. Non sappiamo esattamente in che posizione si trovasse la chiesa di Santa Maria non
c'era, quindi qua davanti probabilmente c'era dello spazio libero.
Sul muro di questo cimitero c'era un'immagine mariana che è oggetto, cioè è protagonista del
miracolo che la chiesa di Santa Maria presso San Satiro vuole celebrare. Il miracolo era avvenuto
nel Duecento e di esso c'era ancora memoria. Pare che un tale Massazio da Vigolzone, dopo aver
giocato a una delle taverne, ai dadi, avendo perso una grossa somma di denaro ai dadi, furioso
dall'aver perso questa somma di denaro, passando accanto all'immagine della Madonna con il
Bambino dipinta sul muro del cimitero di Santa Maria di San Satiro, prese il pugnale e colpì con la
punta del pugnale, il collo del bambino e il collo del bambino cominciò a sanguinare. Quando i
parrocchiani di Santa Maria presso San Satiro decidono quindi di costruire la chiesa di Santa
Maria dedicata alla Vergine, accanto al vecchio sacello di San Satiro, si rifanno a questa tradizione
del miracolo operato dall'immagine scolpita da Massazio da Vigolzone perché la chiesa
conservava il pugnale e lo conserva ancora.
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chiesa che era stata fatta prima dell'acquisizione delle aree in una nuova veste.
di San Satiro.
3. Ipotesi 2. La seconda ipotesi di Scho eld è
basata sull'osservazione dell'edi cio attuale. Egli
ha notato che sulla facciata su via del Falcone
c'è un ordine architettonico che corrisponde al
blocco della cupola e poi c'è un ordine
architettonico che corrisponde alla trabeazione
della del transetto. Entrambi gli ordini hanno una
certa proporzione fra loro. A un certo punto ci
sono questi capitelli che sono incastrati dentro il
pilastro del blocco della cupola come se fossero
come se davanti ci fosse stato costruito qualcosa. Scho eld si rende conto che
proporzionalmente questi capitelli non vanno d'accordo con gli altri, cioè non c'entrano niente.
Si è immaginato che questi due capitelli fossero una sorta di resto di quello che era stato fatto
precedentemente e che quindi fosse stata collocata qui una parete di un edi cio che aveva
questa altezza qui come ordine architettonico. Questo muro su via del Falcone secondo lui è
stato poi recuperato quando si è costruito la nuova chiesa, ma cambiando la composizione
della parete e quindi era stato magari realizzato il muro grezzo o erano state collocate soltanto
alcuni elementi in pietra che poi sono stati modi cati con il nuovo progetto. La seconda
ipotesi si basa sulla presenza di una parete che chiudeva l’edi cio in modo rettangolare.
Il progetto di Bramante
Bramante si trova davanti al vincolo progettuale, ovvero la presenza del sacello di San Satiro che
andava connesso con il nuovo edi cio; la presenza della torre campanaria che non poteva essere
distrutta perché serviva alla parrocchia; e poi la presenza della via del Falcone, cioè non poteva
assolutamente ampliare la fabbrica. Bramante mette in campo e ettivamente qui un edi cio che,
tenendo conto di questi vincoli, è da un lato innovativo e dall'altro anche funzionale.
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L'edi cio ha una forma che alla ne ha una
pianta a forma di T, dove abbiamo tre navate
verso via Torino. Le tre navate sono voltate a
crociera e nella navata centrale c’è una volta a
botte. Questa stessa copertura voltata
prosegue nel transetto, nel grande transetto
che viene collocato lungo la via del Falcone,
anch'esso voltato a botte. Abbiamo una novità
per il panorama lombardo, cioè il fatto di far
proseguire le navate laterali anche lungo il
transetto, creando una specie di mini
deambulatorio che va verso il transetto.
Dal punto di vista della delle soluzioni architettoniche che mette in campo, a Bramante non fa
Santa Maria presso San Satiro, l’interno
nessun problema che non ci sia spazio per fare l'abside perché decide di utilizzare la prospettiva
solida per simulare la presenza di un coro e di un'abside che questa chiesa non ha. Si chiama
prospettiva solida perché è fatto in stucco, terracotta e pittura, quindi non è una vera e propria
prospettiva soltanto dipinta, ma ha anche uno spessore.
elemento, ma lo fa in una forma che gli è consentita, cioè leggermente Firenze, Sacrestia vecchia di S. Lorenzo, scarsella
• Alcuni elementi brunelleschiani sono innegabili perché in Santa Maria presso San Satiro
come nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, c'è la cosiddetta lesena liforme,
cioè questo pezzettino di lesena (invenzione di Brunelleschi che serve per colmare uno
spigolo dove ricade un arco). Risolve con la stessa soluzione, lo stesso problema.
• Parimenti l'altra invenzione di Brunelleschi era stata nella Cappella Pazzi, la lesena Firenze, Sacrestia vecchia di S. Lorenzo,
scarsella
cosiddetta asimmetrica, cioè, dovendo colmare uno spigolo in cui ricade un arco più ampio _ lesene filiformi
e un arco più piccolo, Brunelleschi si inventa una lesena, che è più ampia da una parte e poi
gira con una sola scanalatura dall'altro lato. La stessa cosa la fa anche Bramante e risolve lo
stesso problema con la stessa soluzione.
- In uenze lombarde. Bramante è stato molto presente in questo cantiere, mentre degli altri
cantieri noi sappiamo spesso che lui dava delle idee o un progetto, ma poi e ettivamente non
compariva tante volte nella gestione del cantiere. Probabilmente Santa Maria presso San Satiro
ha avuto modo di seguirlo in maniera più puntuale perché nei suoi primi anni milanesi non era
ancora attivo per i duchi. Qui ci sono al lavoro alcuni degli artisti e degli architetti più importanti
della Lombardia sforzesca.
• I fratelli Battaggio che sono i tenutari di un'impresa familiare
lodigiana. Giovanni Battaggio è colui che tiene le redini
dell’impresa e che è coetaneo di Bramante. Ha una formazione
sostanzialmente da muratore e ingegnere. La sua impresa era
composta da suo fratello Gabriele, che invece era maestro
stuccatore, e poi dal genero, il marito della glia, che è
Agostino de Fondulis, uno scultore in terracotta. Nel cantiere di
San Satiro ci sono tutti e tre secondo la propria
specializzazione. L'appalto dei lavori di costruzione è stata
data all'impresa Battaggio. L'avere un'impresa così
consolidata e così articolata nelle specializzazioni garantiva di
poter far fronte a tutte le necessità di un cantiere di architettura. È ancora più rilevante la loro
presenza, perché la prof è convinta che Bramante, senza la presenza dei fratelli Battaggia e
soprattutto di Gabriele, non avrebbe ideato questa prospettiva solida perché è fatta per la
maggior parte di terracotta e stucco. È la prima volta che troviamo una soluzione di questo
tipo. I lacunari all’antica sono tra i primi più belli della Lombardia. Questa è la prima cupola
emisferica su tamburo completamente circolare presente nel quattrocento lombardo. Questi
lacunari, sia quelli della volta sia quelli del nto coro, hanno una tecnica simile. Fare una
prospettiva di questo tipo solida necessita che questo fregio, che è in terracotta, è scorciato in
prospettiva. Bramante, garantendo una coerenza dei materiali rispetto al resto dell'edi cio
dove il fregio in terracotta. I lacunari in terracotta, come base, hanno una formella in terracotta
con decorata sopra in stucco e poi dipinta in oro e azzurro con foglia d’oro, hanno alcuni perni
che tengono ancorata la formella di terracotta nella parte retrostante.
- La facciata su via del Falcone.
• L’esterno ha una sionomia sua perché c’è un basamento
continuo (dentro non c’è il basamento).
• Ci sono paraste che sorreggono una trabeazione con una
cornice molto sporgente. C’è nuovamente l'architrave a due
fasce. La cornice, molto sporgente, è una bella cornice
all'antica, con modiglioni e cassettoni.
• Il fregio, che è altissimo, quasi sproporzionato, non dovrebbe
essere così alto. All'interno di questo fregio Bramante colloca
specchiature vuote. Bramante in questa parete, al contrario di
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quanto avviene all'interno dove abbiamo il fregio decorato in terracotta realizzato da Agostino
de Fondulis con un fregio continuo con bassorilievi, sta ornando la facciata esterna di pura
architettura, cioè qui non abbiamo elementi decorativi scultorei. Queste specchiature che poi
ritroviamo anche in alcuni suoi progetti successivi. Questo gli comporta anche di una
sproporzione degli ordini, perché il fregio non dovrebbe essere così.
• Prosegue questa articolazione anche nel nto coro, ma abbiamo sopra all'apposizione del
nto coro un timpano, come a indicare la posizione del nto coro. L'ordine architettonico di
questi di queste paraste coincide grosso modo con l'ordine architettonico interno, cioè sono
alla stessa quota. Questo vuol dire che probabilmente lui ha messo questo basamento,
magari per colmare un disavanzo anche di altezze che c'era tra la pavimentazione interna
dell'edi cio e il piano stradale.
• L'altro aspetto interessante è come Bramante mette in evidenza gli
snodi dell’edi cio, quindi gli spigoli. Sullo spigolo colloca tre paraste,
infatti c'è un raddoppio della parasta sull’angolo. Questa attitudine è una
novità completa per la Lombardia del Quattrocento, cioè il mettere in
evidenza lo spigolo raggruppando più paraste, una a ancata all’altra.
• Interessantissima è la scelta sui dettagli minuti. I capitelli in pietra e le
decorazioni in cotto sono assolutamente all'interno del repertorio
lombardo del tempo.
Santa Maria presso San Satiro
Sacrestia
Sacrestia
Accanto a alla chiesa, c'è poi la sacrestia, che è come un
progetto a se stante. Bramante probabilmente l’ha progettata ad
hoc separatamente, con un linguaggio simile, ma anche con
delle varianti rispetto all’edi cio.
Gli aspetti però particolari di questa sacrestia non si riducono alla pianta.
Lo sviluppo dell'alzato contempla un piano terreno con paraste che
sorreggono la trabeazione e poi c'è un matroneo, cioè c'è un secondo
livello percorribile che garantisce a questa sacrestia uno sviluppo verticale
completamente inspiegabile. Per raggiungere questo matroneo si utilizza
una scala a chiocciola con un bel corrimano in terracotta quattrocentesco
all’interno della nicchia semicircolare. Questa scala è una delle cose più
innovative che voi potreste trovare in un edi cio del tempo perché
normalmente quando si fa una scala a chiocciola si un cilindro centrale a
cui sono legati i gradini. Questa scala ha i gradini appesi al muro, cioè
sono attaccati al muro perimetrale e formano un cavo centrale. Questa è un ellissoide, cioè è una
Milano, sacrestia di S. Maria presso S. Satiro, matroneo e scala a chiocciola (foto di Sergio Bettini)
scala elicoidale a ad avvolgimento continuo, senza perno centrale con il buco al centro. È una
delle prime realizzate nel Quattrocento in assoluto nella storia dell’architettura. Probabilmente
questo poteva averlo visto nella loggia dei Torricini ad Urbino secondo l’operato di Francesco di
Giorgio Martini e Laurana. Si deve immaginare un luogo che in qualche misura veniva utilizzato
anche se non sappiamo per che cosa esattamente.
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Lezione 11, 28.03.2023
Gli aspetti decorativi sono molto importanti perché permettono di confermare come Bramante in
questo cantiere si sia appoggiato in maniera determinante ai maestri che lavorano con lui, che
sono i fratelli Battaggio, Antonio Raimondi e Agostino de Fondulis, i quali erano già detentori di
competenze speci che in alcune tecniche. Questa è la squadra sostanzialmente di decoratori di
cui Bramante si serve.
Non c'è una di erenza sostanziale tra sagrestia e chiesa dal punto di vista dei materiali. I materiali
utilizzati sono gli stessi. La Chiesa dal punto di vista costruttivo utilizza laterizio rivestito da
intonaco. Oggi noi la Chiesa la vediamo scoperta all'esterno, però non sappiamo come fosse la
versione originaria, ma non è particolarmente realistico che i mattoni fossero lasciati a vista.
Spesso si salvavano e si ritiravano i corsi dei mattoni, quindi si faceva una muratura mattoni nta
di fatto su quella vera per questioni protettive, perché ovviamente il laterizio tende ad assorbire
l’umidità. I materiali sono simili, nel senso che in questo edi cio si fa largo uso di decorazioni in
terracotta, che viene usata sia per le decorazioni architettoniche e sia per i fregi gurati. C'è una
sostanziale di erenza tecnica tra le cornici modanate e i fregi scolpiti. La terracotta veniva
realizzata con degli stampi. Gli stampi permettevano di fare delle forme di argilla che venivano poi
cotte, solo che gli stampi producevano un tipo di decorazione estremamente seriale, quindi con
scarsissima possibilità di delineare dei dettagli unici all'interno di quei pezzi. Gli stampi vanno
molto bene per la decorazione architettonica. Quando invece bisogna fare degli elementi
decorativi come i fregi gurati, serve il plasticatore, che è lo scultore in terracotta (qui Agostino de
Fondulis) che poteva modellare l'argilla direttamente e cuocerla prima della cottura a fare anche
delle ri niture sui pezzi in serie. Egli realizzare delle sculture proprio modellando l’argilla oppure si
faceva lo stesso lo stampo ma prima della cottura lo scultore poteva ri nire questi stampi in modo
che acquisissero delle caratteristiche peculiari. I pezzi in terracotta più rilevanti sono tratti da putti
musicanti o che si fanno degli scherzi da teste clipeate che sono una delle uno dei lait motivi
scultorei della Lombardia del Quattrocento.
A anco a questa ricca decorazione in terracotta c'è un largo impiego dello stucco. Uno dei due
fratelli Battaggia, cioè Gabriele, è di professione stuccatore, specializzato nell'arte dello stucco. In
Santa Maria presso San Satiro, c'è lo stucco di gesso che è una miscela non pura (miscela tra
calce e gesso e altri materiali in minore quantità) de nita stucco forte proprio perché non è tutto
realizzato col gesso, ma ha una componente di calce. Questo tipo di tecnica è di usa in
Lombardia già dal Medioevo ma è molto diversa dallo stucco che comincia a essere utilizzato a
Roma all'inizio del Cinquecento, soprattutto dalla bottega di Ra aello, che è invece lo stucco
romano antico (calce+polvere di marmo) quello di cui parla Vitruvio, Nella sacrestia gli stucchi
sono utilizzati per fare tutte le decorazioni interne delle lesene e per fare diversi elementi
decorativi.
Tra sacrestia e chiesa c'è una grandissima di erenza nel trattamento super ciale perché sia lo
stucco che la terracotta potevano essere decorati successivamente con uno strato pittorico che
consentiva a questi materiali che erano dei materiali veloci da realizzare e tipici per la Lombardia,
di acquisire una sionomia completamente diversa a seconda del trattamento super ciale. Nella
sacrestia c’è lo stucco bianco (raro in Lombardia, probabilmente è iniziativa Bramantesca) e ha
una grande valore antiquario. Questa tecnica viene lasciata tutta in bianco per favorire
probabilmente un'immagine di antichità alternata ai bassorilievi in terracotta di color bronzo. Qui
siamo di fronte a un ambiente estremamente antiquario dal punto di vista del loro immaginario di
quell’epoca. Questo è interessante per due aspetti sia il desiderio di questa introduzione di una
cromia che rimanda all’antico, sia l'idea della simulazione di materiali. Bramante fa di questa
attitudine verso la simulazione la sua bandiera. Dentro questa sagrestia ci sono però anche
materiali importanti, ad esempio nella balaustra del piano superiore (aka matroneo) si utilizza
l’alabastro accostato a degli altri che simulano marmo e bronzo.
Nella Chiesa invece abbiamo sostanzialmente l'utilizzo di due principali colori: una bicromia in oro
e azzurro. L'oro e l'azzurro sono i due colori più costosi e sono anche quei due colori che non si
possono fare a fresco, ma si devono fare con una tecnica particolare che fa utilizzo di colle.
Esisteva nella Milano del Quattrocento il pittore in oro e azzurro, cioè questo Antonio Raimondi è
documentato in questa chiesa e in altri cantieri coevi come pittore in oro e azzurro.
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È stato molto decantato in particolare questo fregio che corre lungo tutto
l’edi cio, perché rappresenta delle arpie o grifoni e in mezzo c'è un tondo, un
clipeo con una testa decorativa. Questo fregio è estremamente antiquario,
poiché questa coppia di arpie, anche alternata con dei mascheroni sempre
all'antica, è oggetto di un contratto speci co. È stato ritrovato sempre da
Sironi, un contratto speci co per ordinare il fregio con autore Agostino de
Fondulis in cui è riportata persino la dimensione in lunghezza dell'intero fregio. Questo fregio
diventa molto famoso in Lombardia e compare in diversi edi ci in Lombardia (Milano, chiostro di
S. Antonio Abate; Cremona, già palazzo Trecchi; Soncino, S. Maria delle Grazie).
Non si capisce ancora oggi quale sia la porta di entrata della sacrestia.
Milano, Santa Maria presso San Satiro
facciata su via Torino non viene mai realizzata però era stata _ il fregio con le arpie
però iniziata e abbiamo dei documenti che ci testimoniano che
comunque c'era un progetto per questa facciata ed era di
Bramante. Il 28 settembre del 1486 i Fabbriceri di Santa Maria
presso San Satiro fanno un contratto con Giovanni Antonio
Amadeo che è un impresario. Si fa uso di Amadeo perché è
uno scultore in pietra, quindi vuol dire che gestisce un'impresa
di scultori di materiali lapidei completamente diversa. Bisogna
Inoltre tenere conto che probabilmente l'interno nell'84 era già
stato terminato dai fratelli Battaggia e quindi poteva anche
essere che il progetto della facciata fosse stato rinviato e fosse
stata chiamata un'altra bottega. Viene chiamato Amadeo, forse
anche per un altro motivo che questa facciata è in pietra. Bramante aveva scelto personalmente
colori delle pietre con cui si doveva realizzare questa facciata. Su come fosse questa facciata si
sono interrogati tantissimi studiosi.
Nell'87 c'è questo enigmatico pagamento a un Magistro Bartholomeo legnamaro per fare “una
tabula del desegno de la fazata”.
due pilastri, forse che reggono un arco al centro e due Milano, S. Maria presso S. Satiro, facciata realizzata da
nel Quattrocento, ripresa dall'antico della storia di tutta Donato Bramante (?), Disegno della controfacciata di Santa Maria presso San Satiro, Milano, Milano, Archivio
due spazi architravati e quello centrale arcuato. Sulla base di questa idea per la controfacciata,
Richard Sco eld si era immaginato una facciata così (a destra), un’ipotesi che formula sulla base
di una serie di facciate di edi ci ecclesiastici (Roccaverano, S. Maria Assunta; Carpi, chiesa della
Donato Bramante (?), Disegno della controfacciata di Santa Maria presso San Satiro, Milano, Milano, Archivio
Sagra; Saliceto, S. Lorenzo; Castelleone, SS. Filippo e Giacomo; Legnano, S. Magno; Vigevano,
dei Luoghi Pii Elemosinieri
Duomo) che si di ondono tra la ne tra gli anni 90 e i primi due decenni del Cinquecento. Si è
sempre pensato che fosse stato Bramante a rendere
Ricostruzione della questo
facciata originaria modello
di Santa Maria presso un modello
San Satiro, disegno da seguire.di Paola Modesti (da Schofield,
Sironi 2000)
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A un certo punto della storia è saltata fuori questa tarsia lignea. Questa
tarsia si trova oggi come nel Quattrocento nel coro del Duomo di Cremona,
realizzato tra il 1483 e il 1489 da un intarsiatore che si chiama Giovanni
Maria Platina.
Le caratteristiche di questa facciata sono simili a quelle precedente. Non
possiamo pensare che Giovanni Maria Platina si sia inventato una facciata
di chiesa che in quel momento nel mondo non esiste e nessun architetto
l'ha ancora immaginata. Questa facciata ha un basamento continuo ed è
proprio una delle caratteristiche di Santa Maria presso San Satiro.
Forse aveva visto un disegno di un progetto di Bramante per la chiesa di
Santa Maria presso San Satiro e forse è quel documento dell'87.
Viene realizzata una cappella completamente fatta di laterizio, intonaco, materiali in stucco e
terracotta. Nel dicembre 98 si sa che questa cappella e i lavori di questa cappella sono stati
iniziati perché devono arrivare otto navate di pietra. Le navate sono delle unità di misura che
corrispondono alla capacità di una delle navi attraverso cui si portavano le pietre dalle cave del
Lago Maggiore tramite il Ticino. Questa quantità ha fatto sospettare che questa cappella non
fosse una una cappella all'interno dell’edi cio. Tutta questa fornitura di materiali così diversa dai
materiali che vengono utilizzati nella chiesa di questa entità, ha fatto sospettare una cappella a sé
stante.
Questa cappella non la fanno, cioè queste otto navate di pietre le consegnano, ma nel 99 e gli
Sforza hanno dei problemi politici, economici e poi devono scappare. Ludovico il Moro non può
pensare più a questa commissione, per cui la cappella di San Teodoro non è mai stata realizzata.
Nel 1511 salta fuori Giovanni Francesco Brivio che era uno dei tre fedelissimi di Ludovico il Moro
(gli altri due sono Bergonzio Botta e Marchesino Stanga). Giovan Francesco Brivio decide invece
che non vuole andare nella cappella di famiglia in Santa Maria in Sant'Eustorgio, ma che vuole
una rilevare la cappella che fu del Duca di Milano in Santa Maria presso San Satiro per farne la
sua tomba. Giovan Francesco Brivio rileva il progetto della cappella di San Teodoro di Ludovico il
Moro. Lascia una quantità di denaro molto alta per fare la cappella secondo il disegno già
esistente, quindi secondo quello che avevano aveva lasciato Bramante probabilmente ai
Fabbriceri e dentro ci vuole mettere la sua tomba. Purtroppo neanche questa va a buon ne, nel
senso che il Giovan Francesco Brivio muore.
Gli studiosi hanno provato a immaginarsi come fosse fatta questa cappella.
• Una prima proposta era stata fatta da Luca Beltrami all'inizio del Novecento. Nel 1901
Luca Beltrami studiando dei disegni conservati oggi nella Biblioteca Ambrosiana di
Milano, aveva iniziato a studiare questo disegno qui. Questo disegno è suddiviso in un
è un edi cio, che mostra un alzato e una pianta corrispondente. Questa pianta mostra
un edi cio a croce greca inscritta in un quadrato, con poi
degli absidi che sfondano le pareti e quindi l'avevamo
chiamato quincunx. Sembrava un disegno bramantesco.
L'ipotesi di Beltrami è che la cappella in quella forma fosse
da collocare dove c’è il cerchio color arancione dall'altra
parte del transetto. Il problema è che non si erano trovati in
nessun modo gli acquisti di quel terreno. Facendo una
Anonimo (lombardo?), Pianta e prospe<o di edificio, BAMi, F. 251 inf. n. 84
sovrapposizione di questo tipo, le dimensioni le dimensioni
dell'intera cappella sarebbero più piccole della testata di transetto. Con San Satiro in più
dialogava su questa cosa del quincux con le nicchie sfondate e quindi funzionava.
Questo disegno è stato studiato più recentemente da uno studioso milanese che si chiama
Anonimo (lombardo?), Pianta e prospe<o di edificio, BAMi, F. 251 inf. n. 84
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Francesco Repisti e che ha scoperto che pianta e alzato non sono coevi. Analizzando il disegno
nella sua forma originaria, il disegno era soltanto l'alzato e un po’ di anni dopo qualcuno ha
tirato giù la pianta dall’alzato. Questa pianta è dimensionata sulle dimensioni e ci sono delle
scritte (campanile, sacrestia e abside). Questo è un edi cio ecclesiastico quindi non è una
cappella all'interno di un altro edi cio. Probabilmente è un progetto del cinquecento 1519 per la
chiesa di San Giuseppe a Milano da Girolamo Della Porta. L'alzato è precedente e Girolamo
Della Porta probabilmente ha preso questo alzato.
• Grazie a Sironi sono saltati fuori dei documenti dell’aprile del 1497 che evidenziano che gli
scolari di San Satiro comprano terreni nel Malcantone. Nel documento dell'11 maggio è molto
interessante perché oltre alla vendita c'è anche una clausola che questi terreni ed edi ci
potevano essere requisiti in qualsiasi momento, nel caso si volesse ingrandire la chiesa. Nel
1501, ci sono anche delle stime degli edi ci esistenti, che probabilmente sono delle stime che
servono per le demolizioni fatte da Bartolomeo Della Valle. Ci sono questi altri due documenti
che testimoniano che i Brivio non riescono a costruire l’edi cio però il giuspatronato di questa
cappella rimane dei Brivio anche nei secoli successivi.
• Nel suo disegno, Bruno Adorni ha messo un piccolo San Satiro dall'altra parte,
quindi ha immaginato che fosse una specie di pendant del sacello. La proposta
di Bruno Adorni non è inventata. È basata sul fatto che alcuni anni dopo a
Piacenza si progetta la chiesa di San Sisto. Formulando questo progetto si
potrebbe essere ispirato al progetto della cappella di San Teodoro, cioè di
duplicare il sacello di San Satiro nella chiesa di Santa Maria.
-Pavia e il Duomo-
Milano, S. Maria presso S. Satiro, ricostruzione della pianta con la
cappella di S. Teodoro in pendant con il sacello di S. Satiro
Il progetto del Duomo di Pavia è immediatamente successivo a Santa Maria presso San Satiro.
(da Bruno Adorni, Alessio Tramello, Electa, Milano, 1998, pp. 26-27)
Bramante, infatti, entra in contatto con il nuovo progetto per la cattedrale di Pavia nel 1488. È
anche importante questo progetto perché è in e etti il primo progetto che Bramante si trova a fare
per la famiglia ducale, ovvero per Ascanio Sforza, cioè il fratello più giovane di Ludovico il Moro
che era stato instradato alla carriera ecclesiastica ed era cardinale. Ascanio Sforza dal 1481, oltre
ad essere cardinale, viene nominato vescovo di Pavia.
Pavia aveva un sistema di doppia cattedrale, che erano paleocristiane ma ricostruite in epoca
romanica, Santo Stefano e Santa Maria Maggiore si a acciavano alla piazza del Regi Sole
(chiamata cosi per un monumento equestre bronzeo che era altomedievale ma era creduto antico
e che aveva una mano alzata).
Ascanio Sforza è un esempio di cumulo delle cariche, cioè è un personaggio della famiglia Sforza
che viene educato per essere cardinale per far sì che ci fosse un'intromissione della famiglia
Sforza dentro la curia papale. Questa intromissione riesce, Ludovico il Moro compra il cardinalato
per il fratello e Ascanio Sforza viene cresciuto come antipapale, quindi e ettivamente è posto per
giovare politicamente agli Sforza. Acquisisce moltissimo potere dopo l'elezione al soglio ponti cio
di Alessandro VI, perché lui è uno dei grandi elettori (quando un cardinale riesce politicamente a
in uire sugli altri cardinali talmente tanto da portare all'elezione di un Papa). Ascanio Sforza,
quando viene nominato vescovo di Pavia, fa questa strana promessa: promette ai pavesi di
ricostruire le cattedrali perché le cattedrali stavano in una condizione molto fatiscente.
Qualche anno dopo, il 17 agosto dell'87, abbiamo il primo documento che testimonia questa
intenzione. Nell'87, quando abbiamo questo primo documento, già c'è un progetto e c'è già un
architetto. Si dice che un tale architetto ha fatto dei disegni e mandano questi disegni a Roma
(dove lui viveva) perché lui li veda. In questo disegno si dice anche che questi progetti vengono
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inviati a nché Ascanio potesse paragonarli con i grandi edi ci di Roma sacri ma soprattutto con
la chiesa famosissima di Santa So a di Costantinopoli.
Ipotizzando una nuova crociata contro i turchi, salta fuori l'idea di fare un edi cio come Santa
So a, che è l'antichità cristiana d'Oriente non più raggiungibile perché i turchi l'hanno
conquistata. C'è anche forse un'idea di dell'immagine, di qualcosa di perduto che si vuole
recuperare o si vuole celebrare.
Nell'agosto dell'87 c'è già un progetto e c'è un architetto ma non si sa chi sia. Infatti alcuni
studiosi hanno discusso su questo primo architetto: alcuni dicono che sia Bramante e altri che sia
Giovanni Antonio Amadeo. Nella primavera del 1488 tre delegati della Fabbriceria del Duomo
vanno di nuovo da Ascanio Sforza per mostrare alcuni disegni per il Duomo di Pavia che avevano
fatto Giovanni Antonio Amadeo e Cristoforo Rocchi. E ettivamente Amadeo è documentato nel
fare dei disegni per il nuovo Duomo di Pavia nella primavera dell’88. Non è detto che sia lui
ovviamente, è solo citato.
A seguito di questa nuova fase, il 29 giugno dell'88, si può si posa la prima pietra. Qui posano la
prima pietra e nell'agosto dello stesso anno viene realizzato un nuovo progetto, questa volta
elaborato congiuntamente da Bramante, Amadeo, Cristoforo Rocchi, Bartolomeo da Castronovo,
Giacomo da Candia e Martino Fugazza. Prima noi non abbiamo nessuna attestazione della
presenza di Bramante. Nel corso di meno di un anno, ci sono tre progetti diversi con architetti
diversi, di cui il primo architetto non sappiamo chi fosse, ma il ruolo di queste personalità
all'interno del progetto ci è oscuro. C'è l'idea di una collettività di intenti che abbiamo cercato di
ripetere diverse volte, che è estranea al nostro modo di concepire i progetti. All'epoca, a volte un
progetto di una cattedrale come questo, nasce nell'ambito di discussioni. È compito dei maestri
fare un progetto esecutivo che tenga conto di tutte le discussioni fatte e dei desideri della
committenza.
È importante speci care chi sono gli altri personaggi oltre ad Amadeo e Bramante.
• Cristoforo Rocchi è un maestro a legnamine, un lavoratore del legno, specialmente intagliatore. I
maestri del legno nel Quattrocento si distinguevano in due macrocategorie gli intagliatori e gli
intarsiatori. Il lavoro di Tarsia era molto più complesso di quello degli intagliatori e naturalmente
necessitava di competenze che erano diverse. Cristoforo Rocchi era un intagliatore, quindi non
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maestro di tarsia, ma prevalentemente intagliatore. In verità esistono delle tarsie che gli sono
attribuite, per esempio alcune in Lombardia, anche in altre località d’Italia, però occorre dire che
sono tarsie abbastanza semplici. Lo conosciamo meglio come intagliatore, soprattutto perché
c'è questo modello ligneo del Duomo di Pavia che ancora esiste che è attribuito a Cristoforo
Rocchi. Gli intagliatori sono anche molto importanti per l'architettura, perché appunto quando
un architetto aveva necessità di un modello ligneo, spesso poteva a darsi a maestri che
praticassero l'arte dell’intaglio.
• Giacomo da Candia e Bartolomeo da Castronovo sono maestri muratori. Giacomo da Candia
poteva avere anche qualche competenza di lavorazioni in terracotta. In realtà al Duomo di Pavia
non ha una consistenza di materiali di terracotta rilevante però e ettivamente Bartolomeo da
Castelnuovo e Giacomo da Candia sono molto documentati nei cantieri Pavesi e nei dintorni di
Pavia.
• Martino Fugazza è un altro maestro, anche scultore, anch'egli noto in rapporto con intagliatori
lignei.
Lezione 12, 30.03.2023
Nel dicembre 1488 Bramante è anche documentato sul cantiere. Si presume che sia stato
e ettivamente scelto questo progetto elaborato da Bramante, Amadeo e Cristoforo Rocchi. Si
pensa che si sia avviato il cantiere sulla base di questo progetto e a dicembre Bramante viene
compensato con 32 lire e un soldo per essersi recato più volte a Pavia. Lo stesso pagamento,
però, viene dato anche a Giovanni Giacomo Dolcebuono che era un altro architetto che lavorava
nella fabbrica del Duomo di Milano e lavorava con Amadeo. Non ci sorprende la sua presenza
perché a un certo punto Dolcebuono e Amadeo sono una specie di binomio inscindibile. Nel
documento c’è poi scritto che quando non c'è Amadeo a dirigere il cantiere del Duomo di Pavia,
supplisce Cristoforo Rocchi. Questi documenti, invece, testimoniano la sua presenza più
importante.
Passano alcuni anni e nel 1490 arrivano a Pavia su richiesta dei Fabbriceri di Francesco di Giorgio
Martini e Leonardo, accompagnati da Giovanni Antonio Amadeo. Vengono da Milano, si trovano
tutti a Milano perché hanno partecipato tutti quanti al grande concorso per il tiburio del Duomo di
Milano. Nel 1490 questa vicenda ci testimonia che Francesco Di Giorgio è diventato noto nel
panorama italiano come architetto e ingegnere. Amadeo in quel momento sta tenendo le redini di
questo concorso del tiburio del Duomo di Milano (vincono Giovanni Antonio Amadeo e Gian
Giacomo Dolcebuono). Amadeo poi chiede di dare un’occhiata ai suoi lavori a Pavia e Francesco
Di Giorgio ad un certo punto viene proprio coinvolto, cioè viene pagato per aver espresso un
parere preciso sui lavori eseguiti. Gli si chiede di valutare i lavori già eseguiti e anche il modello
ligneo. Ci si chiede come mai già durante i lavori avessero chiesto un parere a personalità come
Francesco di Giorgio Martini e Leonardo quando il progetto era già concorde con tutti. Questo a
testa probabilmente che c'era una indecisione sul da farsi oppure potrebbe essere che magari
questo progetto del 1488 fatto da Bramante, Amadeo e Cristoforo Rocchi, non contemplasse
tutta la cattedrale, magari doveva essere dettagliato in delle parti successive.
Nel 1492 troviamo un atto che attesta che la cripta è conclusa. Dopo tutte queste interpellanze
hanno deciso Ho proseguito con i lavori hanno realizzato tutta la cripta. Il progetto della cripta,
che è di fatto l'unica parte dei lavori che viene conclusa entro il 1500, quindi con la presenza di
Bramante ancora in Lombardia e quindi anche la possibilità, in caso di dubbi, di continuare a
chiamarlo perché venisse a vedere il cantiere. È talmente coesa la cripta con il resto della
cattedrale, che qui ci possiamo immaginare, che quindi c'è e ettivamente un progetto che stanno
seguendo. Nel 1492 si pongono le fondamenta della sacrestia settentrionale, mentre quella
meridionale no anche se è speculare quindi probabilmente quella settentrionale ha fatto da guida.
Nel ’93 compaiono i primi scalpellini e lavoratori di marmo, quindi vuol dire che oltre al grezzo
della muratura si stanno facendo i rivestimenti lapidei. Il Duomo non è interamente costruito in
pietra, c'è un nucleo ovviamente in mattoni ma poi c'è un rivestimento marmoreo.
Nel ’97 la fase quattrocentesca del cantiere si chiude con la morte di Cristoforo Rocchi che aveva
continuato a reggere il cantiere in assenza di Amadeo. Dopo la morte di Cristoforo Rocchi c'è un
momento di crisi del cantiere e viene convocato a Pavia Giovanni Giacomo Dolcebuono per fare
di nuovo una revisione generale dei lavori no a quel momento condotti. Possiamo leggere questo
evento in due modi: pensare che sia una cosa normale per stabilire una successione nel cantiere
oppure possiamo pensare che questa revisione comporti anche una revisione del progetto. Gli
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studiosi caldeggiano per la seconda ipotesi perché i Fabbriceri a dano la conduzione dei lavori di
nuovo ad Amadeo e Dolcebuono, ma devono realizzare un nuovo modello ligneo. Se si deve
realizzare un nuovo modello ligneo, signi ca che questo modello riportava un progetto che non è
più aggiornato. Questo nuovo modello viene a dato a Giovan Pietro Fugazza e si dice che segue
le indicazioni di Amadeo.
Fermo restando che, per il momento, Bramante sembra avere un ruolo di consulente del progetto,
ma poi nelle fasi esecutive il progetto viene reso fattibile da altri del team.
C'è da dire, però, che c'è un altro esempio molto rilevante per
questa disposizione di pilastri, che invece un esempio poco noto
oggi che è il Santuario di Loreto. È una fabbrica quasi interamente
quattrocentesca, con delle propaggini nel Cinquecento. Loreto
aveva proprio un impianto ha otto pilastri su cui si imposta la
copertura voltata centrale. Un po' come a Pavia, la pianta
dell'edi cio si sviluppa intorno a questa nucleo. Dal punto di vista
statico gli otto pilastri sono ovviamente molto robusti, ma non sono
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da soli a sorreggere le spinte che provengono dalla volta, ma sono coadiuvati da delle vere e
proprie cappelle. Esse compartecipano alle spinte. Questo sistema costruttivo era molto noto agli
architetti del Quattrocento. Loreto, un cantiere che si avvia negli anni ’70, prosegue per tutti gli
anni ’80. Bramante ci lavora, però nei suoi anni romani.
Se Bramante era a Urbino e ha lavorato anche a Perugia, passando per la via Flaminia, si può
ipotizzare che ci fosse passato. Loreto era un santuario veneratissimo. Si stima che la Madonna di
Loreto fosse uno dei santuari più venerati del mondo. Sant’Ippolito
Se si volesse vedere oltre a queste fabbriche moderne un edi cio San Sisto
Sant’Aquilino
C'è poi un altro elemento essenzialmente orentino questa cosa delle nicchie
delle cappelle che hanno la pro lo semicircolare che è Santo Spirito di
Firenze. A quel punto Bramante diventa ancora più interessante come come
proposta per questo progetto.
La tipologia di crasi tra diversi modelli di riferimento per creare qualcosa di nuovo è proprio tipico
della progettazione di Bramante. È e ettivamente abbastanza papabile Bramante come
progettista dell'idea generale, poi magari messa a punto insieme ad Amadeo insieme a Cristoforo
Rocchi in questa specie di collettività di intenti che possiamo valutare.
qualche motivo che noi non conosciamo, dopo il ’97 si sia invece deciso di promuovere la
costruzione di un edi cio a impianto longitudinale e quindi aggiungere tre navate molto lunghe. Gli
studi più recenti hanno provato a puntualizzare alcune situazioni: studiando il modello si è visto in
corrispondenza di una campata c'è una cesura e sembra fatto da una manifattura leggermente
diversa. La parte del modello che va verso la facciata è molto più sempli cata. L'ipotesi corrente è
che il modello di oggi sia quello originario di Cristoforo Rocchi, ma che Giovan Pietro Fugazza
dopo il ’97 abbia aggiunto questo pezzo staccando la facciata e prolungandolo di un pezzo.
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invece questi pilastri continuano e sono ritmati solo da cornici. Questa soluzione, quindi,
e ettivamente di questi otto pilastri potrebbe essere un indice di un suggerimento di una
presenza di Bramante.
La cattedrale come prevista nel modello ligneo attuale, quindi con quella navata molto lunga, non
stava all’interno della conformazione della città. Nel ’97 si doveva aver previsto di buttare giù
quegli edi ci davanti. Interviene su questo tema un documento nel 1493 che testimonia che il
palazzo vescovile è trasferito dal anco del Duomo al monastero delle Stuore (“de Storis”), di
fronte alla facciata.
Interviene una lettera del 15 luglio ’94 in cui Giacomo Pusterla (che fa parte della Fabbriceria del
Duomo di Pavia) scrive a Ludovico il Moro in merito a discussioni sulla piazza del Regisole in cui
si accenna a un disegno della piazza con portici.
Qualcuno si è preoccupato di questo problema della piazza, forse Ludovico il Moro, e l'ingegnere
lo aveva rassicurato dicendo che la piazza non andasse ingrandita.Questo confermerebbe la
pianta centrale. Dice poi che se un giorno volessero ingrandire la piazza, perché sarà da fare tra
duecento anni dato che il cantiere è lento. Questa a ermazione farebbe sospettare che la
discussione tra un edi cio a pianta centrale e un edi cio a pianta longitudinale fosse già
intervenuta. Sulla base di questo, quindi, non è neanche certo che il primo progetto fosse già
stato deciso come un impianto completamente centrale. L'ultima riga del documento cita un
disegno della piazza, quindi negli anni immediatamente successivi a quando si fa il progetto del
Duomo, si fa anche un progetto per la piazza. La preoccupazione di Ludovico il Moro è quella di
spendere soldi inutilmente per la realizzazione di edi ci per ornare la piazza quando magari
sarebbero potuti essere buttati giù per allargare la cattedrale.
Il fatto che si volesse intervenire sulla piazza del Regi Sole poteva essere
un'idea che già si era a acciata nella a Pavia, probabilmente negli anni
limitro alla progettazione del Duomo. Già in un rilievo di Giovanni Antonio
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I duchi Sforza non avevano eletto il Castello Sforzesco Canto del signore
Bisse e Camera del Marmo) di Palazzo Reale ospitavano gli Camera del Cane
ambasciatori. Più l'ambasciatore era vicino alla stanza del Duca e Camera della Maestà
Anticamera del Cane
Appartamenti di
Francesco Sforza
più signi cava che questo Ambasciatore era importante e Loggia di Papio (?)
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La striscia evidenziata in rosso si chiama il pontile. I pontili erano delle strutture tipo ballatoio di
legno sopraelevato che collega una parte del palazzo con l’altra. Queste tipologie di strutture
erano tipiche delle residenze ducali sforzesche e venivano utilizzate perché si potesse
raggiungere una parte l'altra del palazzo, senza passare dentro le stanze e quindi disturbare
quello che stava avvenendo dentro. Questo tipo di strutture è molto rilevante perché non ci non
esistono corridoi. All'epoca non si facevano degli edi ci che avevano dei disimpegni. Le stanze
erano tutte con le porte in in lata, cioè comunicanti tra loro.
Galeazzo Maria decide di voler trasferire la corte al Castello Sforzesco. Egli è un duca molto
diverso dal padre, molto meno aperto nei confronti della popolazione e quindi da un certo punto
di vista non è sorprendente che rispetto al padre, che praticava anche dal punto di vista
dell'utilizzo dell’architettura questa idea di corte aperta, Galeazzo Maria si chiude dentro la corte
ducale del castello. Si capisce che c'è una svolta tirannica all'interno della politica sforzesca e allo
stesso tempo Galeazzo Maria è stato fatto crescere dalla famiglia per essere un principe nella sua
componente di cultore anche delle belle arti, della letteratura e poi degli svaghi di corte. Amava
molto gli svaghi di corte, come la caccia. Proprio per questo fa restaurare una serie di residenze
ducali tra cui il Castello di Vigevano.
sue residenze preferite. Noi sappiamo che i lavori a Vigevano li concentrò nel
1476, anno in cui restaura contemporaneamente anche la residenza di Galliate.
Nel dicembre ’76 viene ucciso, quindi non si gode quello che ha fatto costruire Mas
tio
per molto tempo. Noi sappiamo perché fa realizzare quasi sicuramente la torre,
che aveva anche la funzione di torre civica e quindi ancora oggi esiste.
Galeazzo Maria aveva fatto restaurare il maschio visconteo, dove ovviamente
c'erano le stanze dove i duchi dovevano risiedere per delle permanenze brevi.
v i t ro v a t e a n c o r a d e l l e c a r a t t e r i s t i c h e e
un'architettura propria dell'epoca precedente, quindi del Trecento o del primo Quattrocento.
Vigevano, Castello, Scuderie di Galeazzo Maria Sforza
Arriva Ludovico il Moro nel 1488 e uno dei primi interventi voluti da lui è la costruzione delle nuove
cucine del castello e la costruzione della falconiera. La falconiera è un edi cio espressamente
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dedicato alla caccia col falcone. La caccia col falcone era un
passatempo che già dall'epoca medievale era praticato
presso le corti. Era un passatempo cortese e di grande
eleganza, anche ritenuto di alto livello. La falconiera è questo
edi cio che ha nella parte superiore un grande portico aperto
su tutte e due le direzioni, dove ovviamente si potevano
lanciare lanciare i falconi per la caccia. Questa struttura, che è
la falconeria vera e propria, è poi collegata con il maschio da
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questo percorso sopraelevato, quindi un portico di passaggio,
l
Fa
un’altra specie di ponticello. In questi primi interventi di Vigevano, Castello, Falconiera
Ludovico il Moro noi non abbiamo pressoché nessuna attestazione che sia documentato
Bramante. Non possiamo assegnare a Bramante la Falconiera e questi primi interventi. Sappiamo
che per quest'area vengono fornite delle colonne piccole e grandi che dovevano essere condotte
a Vigevano. Queste colonne presentano un’iscrizione con attestato che Ludovico il Moro era dux
Bari, quindi duca di Bari (precedenti al 1494). Dopo il ’94, naturalmente lui è dux Mediolani.
cosiddetta scuderia di Ludovico il Moro. La scuderia è stata da tutti collegata con il disegno della
cosiddetta Polita stalla di Leonardo da Vinci. Tutte le volte che gli studiosi studiano questo
disegno di Leonardo trovano una certa somiglianza con la scuderia che Ludovico il Moro ha fatto
costruire tra all’89-90 a Vigevano. La somiglianza c’è però gli studi più recenti puntualizzano tutti
sul fatto che l'apposita sala di Leonardo non è la scuderia di Vigevano. La Polita stalla di
Leonardo è un'idea di Leonardo per migliorare il modo in cui si tiene pulita la stalla (con
approvvigionamento di cibo per gli animali e de usso delle sporcizie) che Leonardo inventa
basandosi sulla tipologia di scuderie normalmente utilizzate dagli Sforza. Essendo stata costruita
di recente questa stalla a Vigevano, probabilmente lui aveva in mente la sala di Vigevano fatta
costruire da Ludovico il Moro. Probabilmente lui vede/studia le stalle di Vigevano e gli applica
delle innovazioni e propone innovazioni.
Tra il 1493 e il 1495 nalmente arriviamo al punto dove probabilmente agisce Bramante e cioè si
costruisce il giardino pensile e la loggia delle Dame. Il giardino pensile, lo dice il nome, è un
giardino sopraelevato. Un altro giardino pensile l’abbiamo trovato a Urbino, luogo da cui
proveniva Bramante. Qui è impegnato il maestro Giacomo De Appiano ed è importante perché
fornitore di pietra e scultore, e c'è in altri cantieri di Bramante.
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• 1495, 4 marzo: lettera del castellano Bianchino da Palude che dice che la camera presso la
strada coperta che Bramante fa dipingere è conclusa nello stucco e che si sta dipingendo la
camera vicino alla cappella; inoltre, non sono ancora iniziati i lavori alla camera dal “cielo
tondo”. Bramante stava decorando e allestendo internamente almeno tre stanze (una camera
presso la strada coperta con decorazioni a stucco; camera vicino alla cappella; camera con il
“cielo tondo”). Si è molto dibattuto su quale sia il riferimento per la camera con il cielo tondo e,
fermo restando che il castello di Vigevano aveva prevalentemente coperture lignee, si parteggia
per credere che invece il cielo tondo si riferisse ad un sistema voltato. Probabilmente però si
parlava di un so tto ligneo.
• metà XVI secolo: deposizione di testimoni abitanti a Vigevano.
- un testimone dichiara di aver visto condurre la terra per impiantarlo
- un altro testimone dichiara che Ludovico il Moro si avvalse dell’opera di Bramante per tu-i i
lavori al giardino
- Pietro Praguzio descrive in modo completo il giardino e i lavori e conferma che esso era
sopraelevato
L'altra importante novità è che il portico continua anche dove ci sono le strade, quindi tutto il
resto della piazza è tornato da portici che addirittura stanno a diaframma delle strade. Tutte le
strade che conducono nella piazza sono collegate con la piazza, ma anche schermate da un
portico. È una piazza limitata ma non chiusa.
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una piazza così vicina al castello con questa forma poteva essere l'idea praticata dagli antichi in
cui un circo stava attaccato al palazzo imperiale.
Alcuni studiosi hanno cominciato a studiare un palazzo che era appartenente nel Quattrocento al
castellano di Porta Giovia, cioè al funzionario ducale che era castellano, cioè si occupava della
guarnigione militare all'interno del castello di Porta Giovia, quindi proprio dove abitavano i duchi.
Questo castellano si chiamava Filippo Eustachi. Diventa un potentissimo uomo di corte, tanto
che, grazie alla ricchezza acquisita, bene ciando del benvolere ducale, può costruire uno dei
palazzi più giganteschi che vengono realizzati negli anni Ottanta del Quattrocento a Milano.
Sulla destra c’è un ritaglio di una pagina del Codice Atlantico di Leonardo,
dove Leonardo ha disegnato proprio il tracciato delle strade corrispondenti
all'attuale corso Magenta, via Nirone, Sant'Agnese e via Terraggio. Questo
disegno in realtà è realizzato da Leonardo relativamente al corso del torrente
Nirone, che è un canale che passava in corrispondenza della via. Leonardo
sta studiando il percorso di questo canale perché all'inizio degli anni 80 del
Quattrocento e poi anche negli anni 90, si predispone la deviazione del corso
di questo canale e quindi si stanno facendo degli studi di idraulica relativi alla
deviazione di questo corso. Nel disegno c'è un rettangolo piccolino (blu) e un quadrato (rosso). Il
quadrato è l'attuale Palazzo Litta, che nel Quattrocento non c’era, ma il palazzo Litta attuale
insiste in realtà su un palazzo quattrocentesco appartenuto a un parente degli Sforza, Filippo
Sforza, quindi un parente della casa ducale. Il rettangolo coincide esattamente con la posizione
Palazzo degli Eustachi (corso Magenta 29)
all'angolo tra l'attuale via Terrazzo e corso Magenta, dove c'era il palazzo di Filippo Eustachio.
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Si vede un gigantesco ordine architettonico con paraste su Giulio Cesare Bianchi, Palazzo degli Eustachi, incisione pubblicata in Giulini nel 1771
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Richard Sco eld dice che questo autorevole palazzo di Filippo degli Eustachi, che era considerato
una novità, ha prodotto una serie di derivazioni. Troviamo dei disegni in Leonardo da Vinci, una
citazione in un armadio realizzato da Bernardo da Legnano per la chiesa di S. Pietro Martire a
Vigevano o la Sala Capitolare a Chiaravalle.
Anche il Duomo di Milano, già dalle sue origini, ha probabilmente subito contemplato di avere un
tiburio in corrispondenza della volta maggiore, che si trova all'incrocio dei bracci del transetto con
Il tiburio
la navata principale, quindi la cosiddetta crociera, la parte deldel
Il tiburio
centrale Duomo
DuomodidiMilano
delcapocroce Milano
del Duomo.
• 1386-1391: fondazione dei piloni del capocroce, congiuntamente con le fondazioni di gran parte tib
dell’edi cio e costruzione dei piloni del tiburio (direzione di Simone da Orsenigo)
1387: Anechino de Alemagna realizza un tiburio in piombo. Viene chiamato un maestro
straniero. Non è neanche detto che fosse un modello per l'architettura, forse era un pezzo di
ore ceria. Abbiamo la conferma che già dalle origini della fabbrica stanno pensando che ci deve
essere un tiburio.
• 1390: Matteo da Campione, architetto del Duomo di Monza, ri uta l’incarico di ingegnere della
fabbrica, ma consiglia di ampliare di tre quarti di braccio i quattro piloni del tiburio e le relative
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fondazioni, in considerazione del maggior peso che questi dovranno sostenere. I quattro piloni,
cioè quelli che devono reggere il tiburio e la Gran Guglia sono stati oggetto di discussione già
agli albori della fabbrica, cioè già nel Trecento si domandavano se questi quattro piloni erano
su cienti per reggere tutto quel peso. Nel 1390, siccome stanno discutendo su chi deve essere
il successore di Simone da Orsenigo e prendere la direzione della fabbrica del Duomo, chiedono
a Matteo da Campione, che in quel momento era direttore della Fabbrica del Duomo di Monza,
di diventare l'architetto in capo della fabbrica del Duomo di Milano. Matteo da Campione ri uta.
Suggerisce di ampliare di 3/4 di braccio la larghezza dei piloni del tiburio.
• 1391: Gabriele Stornaloco, matematico piacentino, redige lo schema
geometrico che riassume il sistema progettuale e costruttivo della
cattedrale ad triangulum. A Gabriele Stornaloco viene chiesto di stabilire
una regola teorica sulla base della quale si deve realizzare l’alzato, cioè tutti
gli elevati della cattedrale. Gli viene chiesto di realizzare uno schema
geometrico matematico teorico sulla base della quale far costruire e
decidere tutte le altezze del Duomo. Lui fornisce uno schema che è
perduto, ma è conosciuto in diversi esemplari che ne hanno fatto delle
copie. È il famosissimo schema ad triangulum, cioè basato su un triangolo
equilatero di base che viene moltiplicato di volta in volta utilizzando come Ricostruzione dello sch
geometrico a tavolino che serve per decidere quanto devono essere alte le volte. Secondo uno
studioso che si chiama Giuseppe Valentini, questo schema di Gabriele Stornaloco occupa poi
dei riferimenti cosmologici riguardo alla realizzazione di una gura perfetta. Questo schema però
contempla le navate laterali, le navate, le mediane e la navata maggiore. Nello schema originario
di Gabriele del 1391 il tiburio ancora non c’è. Va detto che il sistema di moltiplicazione dei
triangoli va all’in nito. È un sistema proporzionale che poi può essere ampliato e inglobare
dentro anche questi elementi.
• si realizza anche un modello ligneo reso inutile dalle decisioni del 1392
• 1392-1400: dopo i dibattiti strutturali del 1390-1392, si predispone il progetto
esecutivo per l’abside e il transetto che sono realizzati sotto la direzione di
Giovannino de Grassi e Giacomo da Campione (muoiono rispettivamente nel
1398 e 1399). Nel ’93 decidono che le altezze delle volte che deriverebbero
dallo schema debbano essere abbassate di quattro braccia. Vanno avanti con i
lavori e verso la metà del Quattrocento sono hanno costruito almeno tutto il
capocroce e una parte delle navate.
Sappiamo che è stato fatto un modello ligneo nel 1398 sotto la direzione di Giovannino de
Luca Beltrami, confronto tra l’alzato realizzato, a sinistra, e lo schema di Stornaloco, a destra
(Beltrami 1964, p. 239)
Grassi, ma non sappiamo com’era fatto. Molti studiosi hanno voluto collegare l'idea di un
primo tiburio con questo disegno. È una miniatura che si trova in un codice molto importante
della Biblioteca Trivulziana, che è il cosiddetto Ordo et cerimoniae Ecclesiasticae Ambrosianae
Mediolanensis scritto da Beroldo, che è un codice liturgico. Di fatto è stato miniato da
Giovannino e Salomone de Grassi, cioè i miniatori che hanno realizzato le miniature del codice
sono gli stessi che dirigevano la fabbrica del Duomo. Siccome in una pagina del codice del
Beroldo c'è una miniatura con una struttura che sembrerebbe ricordare una cattedrale gotica,
molti studiosi hanno detto che fosse il progetto di Giovannino de Grassi per il tiburio. Le
interpretazioni sono errate perché questo non è un tiburio, questa è una gran guglia.
Più attendibile è l'incisione ottocentesca che riproduce un dipinto conservato
in una collezione privata oggi perduto, che era stato realizzato da Stefano da
Pandino, pittore anche di vetrate, che lavora anche nel Duomo di Milano.
Questo dipinto rappresentava Gian Galeazzo Visconti, uno dei promotori
della costruzione del Duomo di Milano, con in mano il Duomo. Nella
ra gurazione c'è anche il tiburio e anche la gran guglia. Peccato che il
tiburio e la gran guglia che trovate qui sono straordinariamente simili a quelli
realizzati nel Settecento. Siccome l'originale del dipinto non ce l'abbiamo e
questa è un'incisione ottocentesca, sorge anche il dubbio che quello che ha
fatto l'incisione ha aggiornato l'immagine del Duomo a quello che vedeva.
• 1400-1401: critiche di Jean Mignot ai piloni del tiburio (noto dibattito «Ars sineGiovannino
scientiade nihil
Grassi, est».
Salomone de
• Entro il 1447 circa sono completati i quattro arconi della campata del tiburio Grassi e bo-ega, Beroldo, Ordo et
cerimoniae Ecclesiasticae Ambrosianae
• 1448, 21 gennaio: i deputati chiedono a Filippo degli Organi di stilare un preventivo delle spese
Mediolanensis, 1396-1398; ASCMiBT,
di serizzo, legname e ferro per la costruzione del tiburio Trivulziano 2262, f. 1r
• 1452-1454: Filarete, per breve tempo ingegnere della fabbrica, formula un progetto per il tiburio
Incisione da disegno di G. Peluzzi
del quale viene realizzato un modello ligneo. raffigurante la perduta tavola di Stefano
da Pandino con Gian Galeazzo Visconti
61 nell’a-o di offrire alla Vergine il modello
del Duomo di Milano (Ceruti 1879)
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• 1481: si menziona la volta magna e la «clavem tiburii», sotto la direzione di Guiniforte Solari
sono stati nalmente iniziati i lavori al tiburio, secondo un progetto già meditato (non chiaro da
chi), o almeno alle strutture immediatamente sottostanti. Sintesi del
La chiave di volta deve arrivare portata a Milano appositamente e viene posta in > 1481: si m
la «clav
opera quindi il tiburio c'è. Quello che sappiamo è che tra il 1454 e il 1481
direzione
stati finalm
tiburio, se
avvengono diversi progetti. Da una parte abbiamo Giovanni e Guiniforte Solari meditato
almeno
progettano un tiburio che e ettivamente viene realizzato e dall'altro abbiamo dei immediata
- 1468 = a
probabilmente rimangono solo alcune strutture perché pochi anni dopo decisero di del tibur
demolirlo. Non sappiamo bene la motivazione. Alcuni studiosi hanno provato a - 1474-147
interrogarsi su come poteva essere fatto questo tiburio, progettato dadi Giovanni
Il tiburio e
Giovanni e Guiniforte Solari
- 1478 =
chiesa
quello della Certosa di Pavia, che hanno costruito Giovanni e Guiniforte Solari. CristoforoPropongono
de Predis, Leggendario, 1475;un
Biblioteca Reale di
Torino, Varia 124, f. 43r
progetto simile anche per il Duomo di Milano e quindi può essere che questo tiburio costruito
dai Solari avesse un aspetto simile a questo.
• 1481: muore Guiniforte Solari
• 1481: alcuni dubbi sulla stabilità del tiburio sono avanzati di Giacomo Del Maino e Gian
Giacomo Dolcebuono, preoccupano il duca e i deputati
• 1481-1482: il duca domanda l’intervento di un architetto da Strasburgo, in questa occasione
compare un accenno alla non completezza del tiburio e a dubbi sulla resistenza dei piloni a
causa del peso incredibile della struttura.
• 1483: arriva a Milano Hans Nexemperger da Graz, già ingegnere della
cattedrale di Strasburgo (sottoingegnere è Alessandro Marpac)
Hans Nexemperger fa forse un modello ligneo poi bruciatosi in un incendio
circa nel 1486.
Non è chiaro se debba solo completare la volta del tiburio o ricostruirla.
Leonardo fa un po’ di disegni di volte realizzate e sotto ci scrive del tedesco
in Duomo. Si pensa che queste volte fossero delle idee per fare la volta una
nuova volta interna del tiburio, secondo le indicazioni di questo tedesco in
Duomo. Questa volta è stata rintracciata in una moda tedesca a Freiburg.
• Da fonti successive sappiamo che la volta del tiburio è stata smantellata e deve essere rifatta,
mentre non è chiaro se siano stati smontati anche i pennacchi con i Dottori della Chiesa.
• 1487-1490: concorso internazionale.
Milano è politicamente, economicamente Leonardo da Vinci;forte
e culturalmente Parigi, Institut
porta d'Europa. de France, Gli Sforza, ms. B, f. 10v (
anche grazie ai loro legami familiari con autori)
l’Impero, hanno sicuramente la possibilità di accedere a
grandissime qualità artistiche anche dall'estero.
Sono presentati almeno 11 progetti: Leonardo, Bramante, Pietro da Gorgonzola, Hans Mayer,
Simone Sirtori, Marco Leguterio, Antonio da Pandino, Giovanni Battagio, Giovanni Molteno,
Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono.
Da questo grande concorso internazionale si valutano tutti i progetti e emerge come progetto
vincitore della competizione che è quello redatto congiuntamente da Gian Giacomo Dolcebuono
e Giovanni Antonio Amadeo, che, in quel momento, erano i reggitori della fabbrica del Duomo e
gli eredi di Guiniforte Solari, perché Amadeo aveva sposato la glia di Guiniforte Solari. Si
richiede però la consulenza di Francesco di Giorgio Martini (chiede licenza per tornare a Siena il
4 luglio 1490).
Fanno una riunione il 27 luglio 1490 nel castello di Porta Giovia, alla presenza di Ludovico il
Moro, con lì presenti Leonardo, Bramante, Amadeo, Dolcebuono e Francesco Di Giorgio e tutti
insieme stabiliscono dodici punti che devono essere realizzati come progetto. Questa è un’altra
indicazione che questo è un progetto collettivo che corrisponde a quello realizzato.
62
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Bramanti opinio super domicilium seu templum magnum | 1487
Bramante probabilmente presenta un suo progetto di cui sappiamo pochissimo, ma non compete
veramente. Nella competizione nale il progetto di Bramante non c'è praticamente, ma viene
invece incaricato di formulare una opinione su tutti gli altri progetti. È come se fosse un
commissario di giuria che deve esperto. Bramante guarda tutti i progetti che sono stati presentati
e fa una relazione su come secondo lui siano compatibili e coerenti i progetti proposti con la
fabbrica del Duomo.
I primi tre elementi fondanti sono quelli vitruviani ( rmitas-forteza, utilitas-legierza, venustas-
bellezza) e il quarto è la conformità con il resto della fabbrica perché era una richiesta della
Fabbriceria. Secondo Bramante nessuno dei progetti aveva assecondato veramente tutte le
quattro richieste della giuria.
«E pe
vel c
La maggior parte dei progetti presentati era di un tiburio con una pianta imba
ottagonale, ma Bramante dice che il quadrato è più forte dell'ottagono e si confà simil
loco s
di più alla gura originaria del Duomo. Comincia a fare un'analisi generale di come lei m
quad
è fatto il Duomo. Dice che tutte le campate del Duomo sono rettangolari. C'è corpo
perch
un'unica campata quadrata che è dove si incrociano la navata maggiore, con la redu
confo
navata maggiore del transetto e cioè sotto il tiburio. Questo, secondo lui, è il de m
quart
motivo per cui il tiburio deve essere quadrato, perché deve assecondare la forma altram
se ha
dell'unica campata quadrata che c'è nel duomo. Ritiene che il tiburio quadrato più quest
solido perché dice che il tiburio ottagonale fa cadere dei pesi in falso. Per passare sopra
avrebbe voluto fare, ma nessuno aveva presentato una proposta del genere.
Progetto di Leonardo
Leonardo era l'unico che è stato scartato subito. Era l'unico che aveva
proposto una cupola addossata. Non ha molto successo nel suo
progetto e aveva studiato però benissimo tutti gli agganci a coda di
rondine dei vari pezzi di pietra per far stare in piedi questa cupola.
Ha fatto tutta una serie di studi sugli scarichi delle forze.
Leonardo da Vinci; BAMi, Codice Atlantico, ff. 851r e 850r (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana)
ÈRicostruzione
questodelilproge-o
tiburio attuale,
del 27 giugno 1490ottagonale,
(elaborazione graficacon una
Riccardo volta a padiglione interno e murature ottagonali che
Mazzoni)
circondano la volta. Il tiburio si regge su quattro arconi, che sono a sesto acuto. In realtà quelli
sono solo una parte della struttura, perché dentro la muratura sono stati inseriti quattro archi a
tutto sesto di serizzo (pietra grigia, molto robusta, con cui di solito si fanno i fusti delle colonne). Il
resto è rivestito di marmo di Candoglia. Dietro gli arconi a tutto a sesto ci sono quattro arconi
corrispondenti di serizzo chiusi dentro la muratura. Parte della critica Pensa che questa idea sia
conforme ai progetti di Francesco di Giorgio Martini, mentre altri sono concordi nell'a ermare che
Amadeo e Dolcebuono l'abbiano realizzato anche per la Certosa di Pavia. Purtroppo non è stato
un consiglio molto saggio, perché noi oggi sappiamo che l’arco a sesto acuto è molto più solido
dell'arco a tutto sesto perché l'arco a tutto sesto produce delle spinte laterali molto più forti.
Ovviamente il rinascimentali sono cultori dell'Antico e anche in questo caso si opta per l'opzione
migliore tramandata dagli antichi romani piuttosto che dalla discriminata moda tedesca.
Il completamento del tiburio | 25 settembre 1500
Stefa
Stefano Dolcino, che era un canonico del Duomo, scrive nel 1489 le Nuptiae ducis
illustrissimi ducis Mediolani che sono una descrizione del matrimonio tra Gian De Te
Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona. Nel descrivere la festa di
“[...]
matrimonio il cui corteo nuziale si svolge in piazza del Duomo richiama il trigo
64
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La Gran guglia
La questione però non è ancora nita, nel senso che il completamento del tiburio, la
La gran guglia
gran guglia, forse poteva essere già stata ipotizzata nel tardo Trecento. Tutte le
rappresentazioni della gran guglia precedenti a quella di Croce (1774) sono diverse.
Francesco Croce è l'unico architetto che nel Settecento non segue più lo schema di
Gabriele Stornaloco infatti la guglia di Francesco Croce troppo alta sarebbe dovuta
essere più bassa di quella che lui ha realizzato. Anche questa scelta, probabilmente
dovuta al fatto che così è più visibile.
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domenicani, perché i domenicani sono predicatori e quindi è importante avere un edi cio che
abbia uno spazio aperto per accogliere molti fedeli e che non abbia intoppi nella visibilità.
Nell'89 viene pagato il portale. C'è il documento di realizzazione, quindi siamo sicuri
che è datato. I maestri scultori che lo realizzano sono Benedetto Briosco e Tommaso
Cazzaniga. È un portale molto aggiornato dal punto di vista del linguaggio
architettonico. Abbiamo colonne su piedistalli. I capitelli hanno volute a S, ma
comunque genericamente antiquari. Le colonne sono anche staccate dalla parete,
quindi si sta guardando agli archi di trionfo. Sopra queste colonne c’è una
trabeazione che aggetta per tenere l'arco soprastante. Visto che siamo nella moda
del sistema di Amadeo, ci sono anche tondi, con le teste all’antica. In mezzo al fusto
della colonna c’è un anello che non è particolarmente di uso a Milano.
Altro punto interessante è che questo deve essere una parte di un edi cio che riassuma in sé
diverse funzioni. Questo non è soltanto il presbiterio, ma è anche il mausoleo della famiglia di
Ludovico il Moro. Questo nasce come mausoleo di una coppia che non è la coppia ducale. È il
mausoleo personale di Ludovico. Egli può permettersi di fare un'operazione di questo tipo perché
lo sta facendo in una chiesa conventuale, dove, grazie agli accordi con i domenicani, poteva fare
un po quello che voleva simbolicamente. Storicamente i Visconti, che sono i primi duchi di Milano,
hanno le loro tombe alla Certosa di Pavia. La famiglia ducale sforzesca erano nel Duomo di
Milano, quindi i primi Sforza, avevano scelto come proprio mausoleo di collocarsi nel Duomo
dove erano collocati. Ludovico il Moro non si fa seppellire in duomo e possiamo leggere questa
scelta in due modi. La prima è che è una scelta di convenienza cioè non era ancora Duca nel ’92.
La seconda motivazione può essere personale, cioè la chiesa di Santa Maria delle Grazie scelta
da suo padre diventa simbolicamente il luogo del mio mausoleo e quindi si distingue dagli altri
Sforza con una costruzione più grandiosa dei suoi predecessori.
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Bramante ha dei vincoli progettuali, cioè una serie di richieste del
committente unite a esigenze funzionali. Deve essere un nuovo
presbiterio, quindi deve avere l'altare, ma deve essere anche un
mausoleo, quindi deve avere la tomba e deve avere uno spazio per
entrambe le cose. Deve avere una forma, una grandiosità e un progetto
che idealmente, anche dal punto di vista architettonico, si confaccia a
queste due funzioni. Bramante dovrà pensare di collegarle.
La tribuna è a pianta quadrata, che poi unito al corpo longitudinale
diventa una pianta composita, quindi con un presbiterio centralizzato
più le navate. Abbiamo due grandi cappelle semicircolari che sfondano i
lati del quadrato lateralmente, più una campata di coro che rende più
profonda la parte est absidata. È molto simile alla Sagrestia Vecchia di
San Lorenzo, alla Tomba di Federico da Montefeltro di Francesco di
Giorgio Martini, alla Certosa di Pavia o a San Lorenzo.
Il modello dell’alzato si rifà alla Sacrestia Vecchia e a sua volta alla Cappella
Portinari. La paraste con ordine architettonico completo reggono
una trabeazione e poi questo sistema di ordini regge due arconi
composto da due ghiere e uno spazio in mezzo. A sua volta questi
arconi reggono i pennacchi a sua volta i pennacchi reggono la
cupola. Alcuni studiosi credono che però la sua costruzione spaziale
sia più coerente con la Sagrestia Vecchia per la lesena piegata
come quella di Brunelleschi. Non sappiamo se lui sia stato a Firenze
prima di una certa data.
Ci sono invece alcuni dettagli tipicamente già stati utilizzati da Bramante in altri progetti milanesi.
1. Ci sono paraste su alti piedistalli. C’è un ordine completo e una trabeazione con un fregio
molto alto e decorato con specchiature. I capitelli hanno volute a S.
2. I lacunari sono vuoti. Quando si trovano nella storia dell'architettura del Quattrocento lacunari
vuoti, che sono per giunta messi dentro un catino absidale e quindi convergono verso il
centro, diminuendo sempre di più, viene in mente il Pantheon. Questa è una delle prime
citazioni milanesi dei lacunari del Pantheon.
3. Bramante non fa arconi vuoti, ma mette delle ruote di carro che abbiamo visto nell'incisione
Prevedari. Queste ruote non sono tonde come dovrebbero essere, ma sono pensate in modo
che da sotto vengano viste tonde. In realtà è tutto un gioco di prospettiva. Qui c'è un controllo
del cantiere, cioè deve aver fatto dei disegni di dettaglio.
4. Anche in questi anelli che ornano la cupola, c’è una deformazione. L’ultimo anello è ovale,
perché è proprio nella curvatura.
Dentro la cupola si aprono oculi. C'è anche uno studio della luce che
contempla l'apertura di oculi luminosi dentro la volta e troviamo una
decorazione a gra to che interessa sia i pennacchi sia gli altri elementi
decorativi, sia a tutta la cupola. La parte centrale della volta è
completamente realizzata e interessata da una decorazione a gra to con
teste di cherubini in schiere angeliche che vanno verso il centro come se
fosse una sorta di Gerusalemme celeste. Oggi non sappiamo come
dovessero essere in origine, potremmo immaginare che anche la volta
avesse un tipo di decorazioni come quelle dei pennacchi. Anche in un 30
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dettaglio che da lontano non si vede c'è una perfezione del progetto che è in sé compiuto.
Il coro è un problema. Gli studiosi hanno sottolineato che questo oculo che è aperto non ha
ragion d'essere aperto, perché gli altri tre che stanno sugli altri tre arconi sono aperti all’esterno. Il
tetto è più basso di quegli oculi e sono concepiti per far entrare la luce all’interno, mentre verso il
coro questo oculo non prende luce da nessuna parte, cioè si sarebbe potuto fare chiuso. Le
proposte degli studiosi sono che:
• Originariamente Bramante aveva previsto una copertura più bassa, forse a crociera, che si
impostava più in basso e che quindi arrivava sotto al oculo. Dal punto di vista dimensionale non
è tanto fattibile, nel senso che poi ci sarebbe comunque dovuto essere il tetto, quindi tutto lo
spazio per fare la volta crociera, più il tetto e l’oculo è abbastanza di cile.
• Bramante ha già concepito il coro fatto in questo modo però questo oculo
resta aperto per coerenza con gli altri tre.
La volta del coro è una volta ad ombrello, impostata su queste lunette, che
invece hanno una funzione molto importante perché senza queste fonti
luminose la parte strettamente presbiteriale sarebbe stata molto buia. Avere
una volta più alta consente di avere un inserimento di fonti luminose che
altrimenti non ci sarebbero. 34
Quasi sicuramente l'altare si trovava nel centro della tribuna. In passato qualcuno aveva proposto
che Ludovico il Moro volesse la tomba nel centro della tribuna sotto la cupola, ma non è possibile.
La tomba, quasi sicuramente perché ci sono delle fonti successive, era invece nell’abside. I
sarcofagi di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este e dei gli si sarebbero dovuti collocare nel catino
absidale e quindi dietro tutto, nella parte anche più intima.
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Secondo un documento del 24 febbraio 1512, Nicolò Moroni, agendo per i
parenti di Gian Giacomo Dolcebuono, aveva ricevuto 42 lire da Amadeo come
saldo per un certo numero di stampi d’argilla. Gli stampi erano stati venduti ad
Amadeo da Dolcebuono per essere usati in Santa Maria delle Grazie.
Probabilmente queste terrecotte sono alcuni di questi elementi qui che forse
dal punto di vista delle decorazioni minute non era stata conclusa.
Nel 1497 muore Beatrice d'Este e quindi la tomba diventa urgente e c'è un elemento che farebbe
sospettare che il problema del rapporto tra la tribuna e la Chiesa viene in un certo misura
superato. Ci sono alcune fonti che attestano che già che c'era Ludovico il Moro ci aveva preso
gusto e a un certo punto gli viene l'idea di ricostruire tutta la Chiesa.
• 1497, 29 giugno. Memoriale di Ludovico il Moro a Marchesino Stanga. Ludovico il Moro
chiede a Stanga di cercare i più periti architetti che si trovino a Milano perché vuole fare un
progetto per la facciata di Santa Maria delle Grazie. La facciata che devono progettare deve
tenere conto che ricostruiremo tutta la chiesa proporzionata alla tribuna, quindi prima
attestazione che lui vuole rifare tutto.
• Padre Girolamo Gattico, cronachista domenicano, scrive una cronaca del convento dove
riporta di come il conte Gasparo Vimercati, che aveva donato i terreni, inizialmente gli avesse
fatto la fabbrica della chiesa del convento, così umile e positiva, determinò che fosse gettata
a terra poiché la voleva rifare pari alla tribuna. Nell'anno 1499, ordina che fosse demolita la
Chiesa e l'infermeria.
Lezione 17, 04.05.2023
I monaci vivono nel monastero e sono clero regolare e secolare. La chiesa di Sant’Ambrogio ha
due cleri e due istituzioni che devono utilizzare l'edi cio alternativamente. Questo avviene proprio
per il fatto che esisteva già il clero dei canonici in antico e poi si somma a questo il monastero a
partire già dagli ultimi secoli dell'Alto Medioevo. A sud della chiesa c'è il monastero, mentre a
nord abitavano i canonici.
Tutti questi edi ci hanno entrambi la sicurezza che il progetto sia di Bramante. Ci sono anche due
casi in cui Bramante non solo formula il progetto, ma è anche molto presente nei cantieri, almeno
no a che non lascia la Lombardia nel 1499. Questo è importante soprattutto per il monastero
perché quando Bramante va via c'era pochissimo di già realizzato. C’è addirittura la sua rma sui
libri dei conti dove giorno per giorno ci sono i pagamenti per i materiali da costruzione, per i
maestri che ci lavorano, per le spese di trasporto, per altre questioni che dovessero produrre delle
spese. I libri dei conti erano tenuti da un tesoriere che si chiamava Gentiliano del Maino (canonico
di Sant’Ambrogio).
A ne anno del 1492 per interessamento di Ludovico il Moro, si avviano i lavori per la costruzione
di un nuovo edi cio per i canonici di S. Ambrogio. Si demolirono gli edi ci esistenti (agosto) e si
fecero le fondazioni e posa della prima pietra (settembre).
Il 25 ottobre del 1493 c’è il resoconto di un lungo negoziato tra i canonici e il papa dal quale si
evince che la vecchia canonica era stata abbattuta (termini usati canonica e domus come
sinonimi). È evidente quindi che il progetto avrebbe dovuto contemplare oltre al portico, gli alloggi
per i canonici.
Costruiscono tra il 92 e il 97 tutto questo lato e il secondo viene ordinato e vengono inviati
materiali, ma quando cadono gli Sforza non è stato ancora realizzato. Federico Borromeo, nella
sua visita pastorale, dice che vede i fusti delle colonne capitelli per terra, cioè che erano stati
posizionati nel luogo, ma probabilmente non vengono mai tirate su queste colonne.
71 Firenze, Santa Maria Maddalena dei Pazzi, chiostro, progeGo di Giuliano da Sangallo
Giuliano da Sangallo è a Milano nell’oGobre del 1492
Forse Bramante era a Firenze nel 1493
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Da un lato della Basilica c'è la canonica e dall'altro si inizia a pensare alla costruzione del
monastero. Le vicende del monastero sono:
• 1487: Ascanio Maria Sforza è nominato abate commendatario del monastero di S. Ambrogio.
Era già abate di Chiaravalle dal 1465, aveva avviato la ricostruzione anche di quel monastero.
Per molti anni Ludovico il Moro cerca di far acquisire al fratello il cardinalato. Il cardinalato di
solito si paga. Naturalmente per loro era un atto politico, cioè non era sempre una decisione
essenzialmente religiosa. Molti duchi cercano di avere dei loro membri, delle loro famiglie
dentro la curia papale, perché voleva dire mettere un piede nella curia papale, per cui Ludovico
il Moro cerca di far diventare cardinale Ascanio per molto tempo e ci riesce nalmente. Era già
abate commendatario di Chiaravalle. Lo diventa nell'87, quindi dopo aver acquisito il
cardinalato anche di Sant’Ambrogio. Era contemporaneamente anche vescovo di Pavia e per
un certo periodo anche di Novara.
• 1497: bolla papale di unione dei due monasteri, si menziona l’intenzione di Ascanio di
ricostruire il monastero, si dota il monastero annualmente di 2000 lire imperiali. Nel 1492
proprio perché egli era abate commendatario di Chiaravalle, si promuove uno dei lavori di
ricostruzione anche del monastero di Chiaravalle e soprattutto una riforma religiosa, dove ci
sono monaci cistercensi. Anche il monastero di Sant'Ambrogio diviene di monaci cistercensi e i
due monasteri vengono uniti, cioè non sono più separati. Ascanio interpella il fratello Ludovico,
che si assume il compito di amministrare il denaro e sorvegliare la fabbrica.
• Il nome di Bramante compariva nei mastri libri mastri della fabbrica di Sant’Ambrogio, quindi
anche per Sant'Ambrogio c'erano i libri mastri, che purtroppo però oggi sono perduti. Nel
Settecento reggeva l'archivio di Sant'Ambrogio l'abate Angelo Fumagalli, che era un
personaggio importantissimo, erudito, studioso e anche promotore di una riforma degli archivi.
Propone proprio anche tutto un inventario e una riorganizzazione dell'archivio della Biblioteca di
Sant’Ambrogio. Contemporaneamente alla vita dell'abate Angelo Fumagalli, vive questo
studioso milanese che si chiama Venanzio de Pagave che scrive diverse opere sulla storia di
Milano, cioè che riguardano la storia dell’arte, la storia degli artisti e architetti, della cultura,
della Milano del Rinascimento. Dentro queste opere lui è particolarmente appassionato delle
opere di Bramante. De Pagave scrive all'abate Angelo Fumagalli e gli chiede se ci sono notizie
che il monastero di Sant'Ambrogio sia stato fatto da Bramante. Fumagalli risponde che ha i libri
mastri. Angelo Fumagalli manda a De Pagave una lettera che contiene le trascrizioni di tutti i
documenti in cui lui trova il nome di Bramante. Questo foglio esiste ancora perché nel
manoscritto conservato al Castello Sforzesco che riporta il dialogo tra un forestiero ed un
pittore con dentro il pezzettino di Angelo Fumagalli. Il nome di Bramante compare in soprattutto
in due casi, ovvero un caso in cui gli vengono richiesti dei disegni, poi viene pagato per un
modello ligneo che non esiste più.
• 1497, 20 dicembre: documentato un modello ligneo realizzato su progetto di Bramante
(modello ritoccato nell’agosto del 1498, il ritocco concerne la proposta di collocare pilastri agli
angoli del chiostro al posto di colonne).
• 1498, 13 marco: lettera di Ludovico il Moro ad Ascanio Sforza dalla quale si evince che il duca
aveva visto il modello e lo giudicava «cosa onorevole e ben intesa» / Ludovico dice che può
mandare al fratello solo un disegno, che viene approvato.
• 1498: LAPIDE DEDICATORIA
• 1498-1499: fabbrica avanza regolarmente, si citano in particolare il refettorio e la biblioteca.
• All'inizio del Cinquecento la fabbrica viene portati da altri maestri, tra cui anche Cristoforo
Solari, che un importante architetto milanese.
• 1505: muore Ascanio Sforza.
• Si va avanti piano piano con la costruzione. Fino a che all'inizio del Seicento il monastero è
praticamente concluso.
Questo disegno è una sezione che taglia l'aula Gemelli. C’è la serliana
intestata a quella che c'è sopra lo scalone del Settecento. Mostra un
prospetto di un chiostro che sarebbe il chiostro ionico e un prospetto
dell'altro che sarebbe oggi il chiostro dorico (in realtà è ionico). Questo
disegno è stato interpretato variamente.
Sezione del corpo di fabbrica tra i due chiostri, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana di
Milano, Raccolta Bianconi
73
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