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Storia de ’archite ura moderna Lezione 1, 21.02.

2023
Modalità d’esame
Modalità d’esame (orale)

Si richiede inoltre l’approfondimento su due dei seguenti temi a scelta dello studente, per ciascuno
dei quali sarà fornita bibliografia specifica, da leggere integralmente. Agli studenti non
frequentanti sarà richiesto l’approfondimento di tre temi.

1. Tradizione dell’antico a Milano: il mito dei fiorentini e il sistema di Amadeo


2. Bergamo 1477: il contesto, la formazione e gli esordi di Bramante in Lombardia
3. Bramantus fecit in Mediolano: Stampa Prevedari
4. Santa Maria presso San Satiro
5. Pavia e il Duomo
6. Il castello e la piazza di Vigevano
7. L’Opinio sul tiburio del Duomo di Milano
8. Santa Maria delle Grazie
9. La canonica e il monastero di S. Ambrogio
10. L’impresa Battagio e l’architettura “di terracotta”

Esercitazione

Agli studenti, frequentati e non frequentanti, è richiesta la consegna prima dell’esame, di un testo
con cara-ere essenzialmente descri-ivo di uno degli edifici parte del programma,
preventivamente concordato con la docenza. L’elaborato costituisce una forma di esercitazione
Da consegnare
con l’obie-ivo di acquisire la conoscenza e l’uso appropriato del lessico archite-onico specifico,
almeno due giorni
pertanto il suo esito non impedisce l’accesso all’esame orale, ma la consegna è propedeutica allo prima di ciascun
stesso. appello, da
e ettuarsi in unico
L’elaborato, della lunghezza di massimo 8000 ba:ute (due pagine), dovrà contemplare lo le PDF (ridurre
sviluppo dei seguenti punti: eventualmente il
le in modo che sia
- descrizione del contesto urbano e/o archite-onico in cui è inserito l’edificio o la parte di edificio; trasmissibile) via
- descrizione della pianta e dello spazio interno; posta elettronica al
- descrizione dell’alzato interno ed esterno (ordini archite-onici, de-agli degli ordini, de-agli medesimo
decorativi). indirizzo.
Il testo dovrà essere corredato da massimo 10 immagini dell’edificio (anche tra-e da libro o da
web), che siano strumento di sostegno alla le-ura dell’elaborato, corredate di opportune
didascalie.

Stru ura del corso


L'idea del Rinascimento locale rappresenta una delle maggiori ri essioni sull'architettura del XV
secolo degli ultimi trent'anni e ha maggiormente interessato quegli ambiti culturali un tempo
ritenuti periferici rispetto a un concetto di Rinascimento ormai superato, basato sul primato
dell'architettura orentina o centro italiana. Il rinascimento locale evoca nel mondo d’oggi una
visione negativa (sottotono, periferico, non importante), ma originariamente fu coniato da uno
studioso britannico Richard Scho eld Local Renaissance (in inglese non vuol dire periferico ma
identitario). L’identità del luogo diventa l’essenza stessa di quel luogo. Quando parliamo di
rinascimento locale, parliamo di un rinascimento legato in maniera identitaria ad un luogo. Sono le
tendenze e le istanze del rinascimento che si sono sviluppate nel XV secolo nei singoli contesti
culturali italiani che hanno sviluppato un senso identitario come leitmotiv. È raro che si
propongano nuovi concetti a livello storiogra co.

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Il ducato di Milano, dominato dagli Sforza, si presta particolarmente a enucleare la varietà di
modelli e fonti eterogenee che concorrono alla formulazione di un linguaggio unico, letto non più
in dipendenza da culture estranee, ma frutto dello strati carsi e integrarsi di esperienze che
vengono declinate e ridotte in un del tutto peculiare e rappresentativo. In architettura non si può
parlare di stile perché innanzitutto l’artista non propone direttamente ciò che progetta e perché in
secondo luogo non sempre il progetto originario corrisponde alla realizzazione e ettiva.ci sono
inoltre una serie di in uenze (committenti, capomastri, artisti per gli apparati decorativi) che non
possono essere proprio del singolo artista e del singolo architetto.

Il corso si propone dunque di indagare l'architettura in Lombardia nel secondo Quattrocento entro
la quale si inserisce anche l'attività di Donato Bramante e il processo di formazione della cultura
architettonica locale attraverso una puntuale disamina dei cantieri, dell'attività dei professionisti,
del linguaggio architettonico, delle committenze. Fino a cinquant’anni fa si credeva ad una storia
dell’architettura in Lombardia caratterizzata da un prima-Bramante, un durante-Bramante e un
dopo-Bramante.

L’aspetto culturale dell’architettura è tutto ciò che è possibile trovare riguardo all’architettura
quindi non si studiano solo gli edi ci ma anche la cultura alla basa dei personaggi che l’hanno
realizzata (es: che tipo di cultura aveva Bramante? Che tipo di cultura avevano i committenti? Che
tipo di cultura c’era a Milano?). Questi elementi c’entrano perché è importante sapere il contesto
in cui gli elementi sono inseriti. Anche Vitruvio nella descrizione delle competenze dell’architetto
dice tutte le discipline speci cando che non debba sapere come uno specialista ma che debba
conoscere la base che sia necessaria alla realizzazione funzionale dell’edi cio.

I conce i chiave de a storia de ’archite ura


Quando si fa didattica della storia dell’architettura bisogna osservare tre elementi:
• Conoscere. L’aspetto del conoscere è molto labile.
• Guardare. È importante guardare e acquisire degli strumenti. Il guardare si intende come
osservare, vedere e saper vedere (termine coniato da Bruno Zevi). È necessario acquisire
delle conoscenze che possano essere utili per vedere.
• Domandare.
Bruno Zevi teorizza che esista l’ignoranza nell’architettura, ovvero un disinteresse da parte delle
persone comune. Si chiede come sia possibile che ci sia questo disinteresse. È impossibile però
scappare dall’architettura, difatti è di cile pensare di sfuggire. Il ruolo degli architetti è
fondamentale perché è il teatro delle nostre vite. Cerca di interrogarsi sul perché le persone la
ignorino: la sua risposta risiede nel fatto che secondo lui l’architettura è astratta. Non c’è una
narrazione di fondo. L’architettura in realtà scaturisce diverse emozioni negli occhi e nello spirito
dell’osservatore. L’architettura non ha soltanto tre dimensioni, ma quattro. La quarta dimensione è
quella del tempo: non solo quello che passa attraverso le epoche (resti, mutazioni, cambiamenti di
funzione), ma anche quello che il singolo impiega per attraversarlo (moltiplicazione dei POV).

Se volessimo riassumere l’architettura potremmo utilizzare le parole di William Morris. Nel 1881
fu chiesto a lui di tenere una conferenza a Londra al Royal Institute of British Architects,
associazione di grandi architetti patrocinati dalla corona. La conferenza si intitolava Prospects of
Architecture in Civilization. Alla ne della conferenza gli è stata posta una domanda: “che cos’è
l’architettura?”. Pare che Morris abbia risposto così:
«A great subject truly, for it embraces the consideration of the whole
external surroundings of the life of man; we cannot escape from it if we would
so long as we are part of civilisation, for it means the moulding and
altering to human needs of the very face of the earth itself, except in the outermost desert»
Bisogna prendere in considerazione tutto ciò che circonda l’uomo. L’architettura è parte stessa
della civiltà perché se c’è l’uomo, c’è architettura. L’architettura è lo spazio della vita e della storia,
come un luogo di cornice, come teatro dei fatti.

Un tipo e una tipologia è una serie di edi ci con caratteristiche che ottemperano la stessa
funzione (ad esempio: palazzo, chiesa, ospedale).

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Lezione sugli ordini architettonici

-Ordini archite onici-


La terminologia ha una radice antica per di più basata su Vitruvio o sulla trattatistica Quattro-
Cinquecentesca che recupera il trattato di Vitruvio e la speci ca o sulle declinazioni regionali.

La definizione di Bruschi
Gli ordini architettonici hanno una rilevanza maggiore nello studio dell’architettura antica e in
epoca moderna perché in medioevo si usa un linguaggio diverso. Bruschi li de nisce come: «un
sistema di elementi morfologicamente determinati legati da reciproci rapporti sintattici a formare
un’unità organica». Questa frase è pregna di signi cato e quindi va scomposta:
1. Elementi morfologicamente determinati. Singole parti che possono essere chiaramente
individuate e spiegate di per sé. Attinge il termine morfologia dalla linguistica. Un elemento
architettonico esiste da solo e può essere riconosciuto.
2. Elementi legati da reciproci rapporti. Le singole parti sono connesse da rapporti precisamente
individuabili che creano un “sistema”: non un semplice insieme di oggetti, ma oggetti che
interagiscono tra loro.
3. Elementi che formano un’unità organica. L’unità che si crea dai reciproci rapporti di questi
elementi è paragonata a un organismo, dove tutto tende all’unità e tutto è indispensabile a
quella unità. La composizione raggiunge un insieme così coeso che compone un organismo
che non può fare a meno di alcuni pezzi. Tutti gli elementi collaborano tra loro.
4. Rapporti sintattici: de nizione mutuata dalla linguistica. C’è un’idea di sintassi, regole precise,
come nel linguaggio, ma non immutabili per avere un signi cato preciso.

Origini de ’ordine archite onico


Esso nasce, secondo Vitruvio, in antica Grecia probabilmente con esigenza funzionale, cioè
l’esigenza di trovare un sistema proporzionale universalmente comprensibile e che fosse
applicabile a qualsiasi contesto geogra co e situazione speci ca. Il sistema di ordini architettonici
non ha bisogno di un’unità di misura perché è un sistema proporzionale. La proporzione istituita
ha un modulo base: il diametro della colonna, misurato all’imoscapo (alla parte più bassa della
colonna). Misurando la base della colonna, si ottiene la misura che serve per proporzionare
l’intero ordine architettonico moltiplicandolo per una serie di multipli e sottomultipli.

Vitruvio dice che ha origine dalla natura, ovvero dall’ambiente naturale in particolare dal
passaggio dall’architettura in legno. Nell’origine ancestrale, le colonne sono derivate dai fusti degli
alberi e infatti troviamo in diverse occasioni fusti di colonne decorate a tronco d’albero.

L’ordine architettonico compare pressoché contemporaneamente nelle forme dorica e ionica (VII
sec); solo più tardi (secc. VI-V a.C.), con l’a ermarsi della coscienza di appartenere a una più
generale cultura greca, i due ordini furono usati contemporaneamente (Acropoli di Atene). La
teoria che diventa un canone nel corso del Quattrocento quando iniziano a studiare il trattato di
Vitruvio e le rovine soprattutto romane. Tutta la teoria degli ordini si basa sui resti delle rovine
antiche che spesso erano di epoca imperiale mentre Vitruvio era di epoca repubblicana. I
rinascimentali facevano fatica a contestualizzare le descrizioni antiche. Nel Quattrocento Leon
Battista Alberti oltre ai tre ordini canonici ne aggiunge un altro che chiama il tuscanico, una
variante propriamente italiana a partire dagli Etruschi. Bramante è il primo che riutilizza il dorico
dopo averlo riscoperto.

Gli ordini architettonici nella Grecia antica avevano una funzione strutturale in un sistema trittico
(due colonnine + una trabeazione rettilinea). Nel passaggio alla Romanità, l’ordine architettonico
non è più strutturale ma diventa decorativo perché le grandi strutture si basano su archi che a loro
volta si basano su pilastri murari. Questo gli consente di realizzare spazi di dimensioni maggiori.
L’ordine architettonico diventa decorativo perché viene applicato alla muratura. Nell’architettura
romana nasce infatti il “partito alla romana”, ovvero una sorta di sistema proporzionale di archi
inquadrato da ordine architettonico di colonne che reggono una trabeazione.

Nel libro IV Vitruvio racconta l’origine storica degli ordini e ne individua solo tre:
- Dorico da Doro (maschile)
- Ionico da Jone (femminile)
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- Corinzio da Corinto (ordine delle vergini)
Solo con i trattatisti del XVI secolo si riconosce e si codi ca de nitivamente la morfologia dei 5
ordini, superando tutte le ambiguità che aveva generato il testo vitruviano, notoriamente privo di
illustrazioni nelle copie a noi giunte. Quello che accade è che la teoria e poi la pratica procedono
prima all’identi cazione degli ordini (XV SECOLO) e poi alla loro codi cazione (XVI SECOLO).

Sebastiano Serlio (Bologna 1475 – Lione 1552)


Il primo che restituisce i 5 ordini è Sebastiano Serlio che pubblica una serie di
trattati nel corso del Cinquecento. Il libro è inoltre illustrato. Il IV libro pubblicato
nel 1537 contiene i cinque ordini:
1. il tuscanico sarà adottato per la costruzione di fortezze perché più tozzo;
2. il dorico per chiese riferite alle vicende di Cristo e dei santi “animosi”
(Pietro, Paolo, Giorgio), per le abitazioni private di eroi della guerra e di
potenti;
3. l’ordine ionico per edi ci dedicati a sante “di vita matronale” e per le
abitazioni di letterati;
4. l’ordine corinzio per edi ci votati alla Vergine o per i conventi;
5. l’ordine composito soprattutto negli archi di trionfo e nei piani alti dei
palazzi in cui si ha la sovrapposizione di più ordini (dal tuscanico no ad
andare più in alto).

La Regola de i cinque ordini d’archite ura (1562)


di Jacopo Barozzi de o il Vignola (1507-1573)
Un grande incentivo alla di usione degli ordini architettonici per sempre è la Regola delli cinque
ordini d’architettura (1562) di Jacopo Barozzi detto il Vignola. Fa un leggero superamento di Serlio
perché, oltre ad inserire le proporzioni per gli ordini, dà una sorta di vademecum per calcolare
velocemente le parti degli ordini. Per questo motivo è pieno di illustrazioni. Si impone come il più
conciso, chiaro, semplice e in uente manuale sugli ordini tanto da diventare nei secoli successivi
il vademecum per principi, architetti, disegnatori... Ha avuto 250 edizioni in 9 lingue, quindi una
grandissima di usione.

Gli elementi di un ordine archite onico completo


Gli elementi che compongono un ordine architettonico completo sono:
• Piedistallo, a sua volta è composto da:
- Base
- Dado: elemento centrale parallelepipedo
- Cornice: sopra a piedistallo.
• Colonna. Tutte hanno un sommoscapo e un imoscapo. Le colonne possono essere:
monolitiche (avere un fusto in un unico pezzo di pietra tornito), con più rocchi messe insiemi.
A sua volta è composto da:
- Base
- Fusto. Il fusto può essere liscio oppure avere delle decorazioni con delle scanalature
(scal ture concave che terminano con una sezione circolare) o con dei rudenti (quando
le scanalature vengono riempite da dei cilindretti che si in lano dentro convessi). Di
solito la ne delle rudentature può coincidere con il fusto delle colonne al centro che si
chiama entasi.
- Capitello Anthemion

• Trabeazione, a sua volta è composto da:


- architrave: quello distinguibile dalle fasce
- fregio Kyma lesbio

- cornice: parte superiore sporgente


Baccellatura
Tutti gli elementi come le basi, le cornici, ecc sono composti
Ovuli e lance
da modanature sagomate che prendono nomi di erenti. Le
più importanti sono:
• Toro, ovvero quando ho una modanatura e una
terminazione semicircolare bombata. Di solito compone Perline e fusarole

4 Can corrente, greca

Modanature
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le basi.
• Scozia, ovvero il contrario del toro. È orizzontale con pro lo concavo.
• Astràgalo, ovvero un toro più piccolino.
• Gola, ovvero ha un andamento vario, prima è concava e poi convessa.

I Piedri i
Gli ordini architettonici possono comprendere diverse tipologie di piedritti, cioè gli elementi
verticali che avevano nella Grecia antica valore strutturale. Essi possono essere:
• Colonna, se hanno una sezione orizzontale circolare ed isolata.
• Pilastro, se ha un’altra forma (quadrati, rettangolari, ottagonali).
• Semicolonna / Semipilastro, se sono tagliati a metà e addossati alla parete.
• Lesena/Parasta è una sorta di semipilastro ma meno sporgente. Sono elementi verticali ma
meno sporgenti. In italiano una parasta avrebbe anche una funzione strutturale, mentre una
lesena sarebbe essenzialmente decorativa. Una regola per individuare facilmente una parasta:
si chiama parasta se almeno regge la sua trabeazione.
• Ordine gigante è quando l’ordine architettonico prende più di un piano.

I cinque ordini secondo la codifica tra atistica

II cinque
cinqueordini
ordinisecondo
si possono classitra-atistica
la codifica care in base alla proporzione:
1. Ordine tuscanico.
Le sue proporzioni sono 1:7, cioè moltiplico per sette volte il
diametro della colonna all’imoscapo e ottengo l’altezza
dell’intera colonna compresi base e capitelli.
È il più semplice.
Si caratterizza per la base a singolo toro, ovvero una base
semplice che ha solo un toro. Il plinto (elemento parallelepipedo
sottile) fa da “base alla base”. C’è un toro e poi parte subito il
fusto della colonna con il suo orlo inferiore. Il capitello è
composto da collarino, un abaco, un echino rigon ato. Questi
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Tuscanico o Toscano
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tre elementi non sono decorati. La trabeazione ha un architrave che spesso è a due fasce
ma che può anche non averne. Il fregio rimane liscio e la cornice è composta dalla corona
e dalla sima, ovvero l’ultimo elemento della cornice.

2. Ordine dorico.
Le sue proporzioni sono 1:8.
Il piedistallo è simile a quello dorico.
Ciò che lo distingue dal tuscanico è la di erenza nella base: la
base del dorico è attica, composta da un toro, una scozia e un
altro toro intervallati da due listelli. A volte durante il
Quattrocento la base attica veniva usata anche negli ordini
ionici e compositi perché era più ra nata, ma comunque
semplice da realizzare.
Il capitello ha un collarino anticipato da un tondino, un echino e
un abaco, ma sotto l’echino si trovano tre anelli.
Il dorico ha la famosa trabeazione con fregio di metope e trigli .
Dorico

La trabeazione termina con la cornice e da essa pendono degli elementi parallelepipedi


che sono i mutuli.

3. Ordine Ionico.
Le sue proporzioni sono 1:9.
È l’unico ordine che si distingue per il capitello. Esso presenta il
famoso capitello con le volute, che occupano lo spazio tra
l’echino e l’abaco e che si distinguono facilmente. Le volute
possono essere ortogonali oppure poste a 45°.
La trabeazione è tripartita, ma il fregio di solito è continuo e può
avere una decorazione scultorea continua e la cornice diventa un po’ più decorata
e troviamo dei dentelli. Ionico
La base ionica dovrebbe essere presente in ogni ordine ionico. Essa si può anche
chiamare base vitruviana. Non era molto utilizzata perché non piaceva molto. La base
ionica non ha nessun toro, ma ha solo un plinto. Parte con una scozia, troviamo uno o due
astragali, un’altra scozia ed un toro. Si sceglieva a volte di usare la base attica.

4. Ordine corinzio.
Le sue proporzioni sono 1:10.
Ha particolarità facilmente riconoscibili e l’esempio più bello
proveniente dall’antichità si trovava nel pronao del Pantheon.
Ha la base che viene chiamata anche “base del Pantheon”. Essa
ha il plinto, sopra ha un toro, una scozia, due astragali piccolini (a
doppio astragalo), un’altra scozia e un altro toro.
Il capitello si dice che derivi da una pianta di acanto. È
caratterizzato dalla presenza della foglie che attorniano il ore
centrale della pianta dell’acanto. È una rappresentazione in pietra
di questo elemento naturale. Lo sviluppo del capitello verticale
può essere chiamato kalathos. Si può avere uno o più giri di
foglie. Tra le foglie spuntano delle volute, in particolare esistono
due tipologie: quelle che arrivano no allo spigolo dell’abaco
(angolari) e le elici (quelle centrali). Queste permettono di
distinguerlo dall’ordine composito. Spesso l’abaco del capitello
corinzio ha un andamento concavo.
La trabeazione è ancora più decorata e il fregio può essere Corinzio
continuo. La cornice è molto più ricca ed oltre ai dentelli troviamo anche i modiglioni (che
hanno un elemento arricciato). Spesso le cornici delle trabeazioni sono arricchite da molte
modanature.

5. Ordine composito.
Le sue proporzioni sono 1:10.
Ha una origine particolare perché è detto ordine trionfale, come diceva Serlio. Molto
frequentemente gli archi di trionfo venissero rappresentati col composito e questo fa sì che
nel corso del tempo si fosse ritenuto che nascondesse un signi cato di magni cenza.
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Si distingue dal corinzio perché presenta una base del Pantheon o una base
attica.
Il capitello richiama al fatto che è “composto” di altri due ordini, ovvero mette
insieme gli elementi del dorico (echino con ovuli e lancette da cui nascono le
volute) e del corinzio (kalathos+foglie d’acanto). Sono scomparsi gli elici.
La trabeazione composita può avere il fregio pulvinato (bombatura). La
cornice è ricchissima di elementi, come cassettoni, mutuli o modiglioni.

Lezione 2, 23.02.2023
Le convenzioni grafiche in archite ura
Storicamente l’architettura ha creato problemi dal pov della rappresentazione. Tra le diverse
personalità che lavorano al progetto bisogna accordarsi sul metodo di rappresentazione. Oggi
abbiamo le fotogra e, quindi è sicuramente più semplice anche se è una rappresentazione
bidimensionale. Nel passato, si utilizzavano delle convenzioni. Se sui volumi si rappresenta
convenzionalmente tramite proiezioni ortogonali, sezioni verticali e sezioni orizzontali.

Nelle sezioni verticali ed orizzontali si utilizzano convenzioni gra che che sono diventate
universalmente comprensibili.
- Le parti rappresentate con linea continua sono i muri sezionati orizzontalmente.
- I tratti puntinati rappresentano i so tti (a crociera con X, a botte con U, a V unghiata).
- Campitura grigia per indicare che non è parte dell’edi cio principale.
Le convenzioni gra che venivano già utilizzate nel Quattrocento e nel Cinquecento. Abbiamo
poche notizie sulla progettazione e sui modi di rappresentare nell’architettura nel Medioevo.
La pianta del Duomo di Milano seicentesca a sezione orizzontale mostra che probabilmente
ci voleva essere una modi ca nel progetto iniziale. Il disegnatore utilizza colori diversi (rosso)
per ciò che voleva aggiungere. La parte grigia era quella del cantiere originale. Queste due
aggiunte, Cappella della Madonna dell’Albero e cappella di San Giovanni Bono erano volute
da Federico Borromeo.

Sappiamo che all’inizio del Cinquecento, sulle spalle delle consuetudini praticate da Bramante,
Sangallo e Ra aello, si a ermano le proiezioni ortogonali.

Gli strumenti erano gli stessi che si usavano cinquant’anni fa. A partire dal Quattro-Cinquecento
utilizzavano: compassi, punte metalliche e riga. Anche Leonardo aveva disegnato i compassi.

Le sezioni verticali lascia tantissime informazioni: composizione architettonica, visione della


pianta dell’edi cio.

Le proiezioni ortogonali sono state studiate tantissimo da Ra aello, ma anche già dall’epoca
romana con Vitruvio che parlava di ichnogra a (sezione orizzontale), orthogra a (rappresentazione
di facciata) e scaenogra a (forse in prospettiva per vedere anche l’interno o veduta
estronomentica). Le rappresentazioni del trattato di Vitruvio sono state riproposte
successivamente da altri studiosi. Quando si sono di use le proiezioni ortogonali, tutti gli architetti
hanno cominciato a rappresentarle.

Si conservano anche disegni bizzarri, come l’arco rampante del duomo che stanno
attorno all’abside, realizzati a partire dal 1518 di cui la maggior parte fu realizzata
nell’Ottocento. Questo foglio mostra la guglia di cui è rappresentata la pianta a sezioni
orizzontali (più sezioni) progressive sovrapposte. Si rappresenta in una sola pianta tutti
i livelli della guglia e di tutti i pinnacoli. Signi ca che nel cantiere del duomo di Milano, i
cantieri erano in grado di costruire un’intera guglia. Questi disegni sono la chiave per la
rappresentazione. Le necessità dell’architettura modi cano i metodi di rappresentazione.
Bisogna dunque plasmarla per le necessità.

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Esistono anche i modelli, che sono storicamente attestati almeno dal
Cinquecento. Si chiamava modello sia un progetto cartaceo e sia un
modello ligneo. Al limite lo chiamavano disegno de lignamine, ad indicare
un modello tridimensionale in legno. I modelli potevano essere realizzati
in: legno, piombo, terracotta o carta. I modelli lignei si di ondono nel
Quattrocento e non dobbiamo pensare che siano modelli esecutivi: in
realtà servivano per farli vedere per il committente, perché erano più durevoli rispetto alla carta e
per dare un’idea generale. Gli architetti spesso avevano anche una formazioni da legnaioli, come
Giuliano da Sangallo per il Palazzo Strozzi (rispecchia esattamente la realizzazione per la pianta
leggermente trapezoidale, aveva i tre piani smontabili, si potevano spostare i muri, si potevano
applicare dei fogli in carta per fare una prova).

Alcuni pittori in uenzano con la loro cultura architettonica


(architettura dipinta) l’architettura sica (ad es: Donatello,
Bramante). Bramante aveva capito l’importanza della
stampa come con la stampa Prevedari che ha almeno
tredici riproposizioni in campo architettonico- sico. È
interessante osservare le reciproche in uenze. La
formazione dell’architetto proveniva da direzioni diverse tra
cui della pittura. C’è l’ipotesi che Bramante abbia preso
parte al disegno dell’architettura nella Scuola di Atene.

Storia de ’archite ura


La storia dell’architettura comprende:
- storia della fabbrica - le fasi
- storia del cantiere - le modalità
- storia dei materiali e delle tecniche costruttive
- storia degli apparati decorativi
- storia dei restauri
- storia degli architetti progettisti storia delle maestranze
- storia dei committenti
- storia del disegno e del progetto
- storia e teoria del linguaggio storia delle scelte (il perché)

Il termine Rinascimento
Ci sono alcuni storici dell’architettura avevano orrore nell’utilizzare questo termine. Ci sono
talmente tante versioni di cosa signi chi questa parola, che è di cile comprendere.

Uno degli elementi su cui siamo tutti d’accordo riguarda la rinascita dell’antico, dove non c’è
l’idea dell’imitazione, quanto un principio di emulazione (si prendono gli elementi imparati per
trarne ispirazione).
- Alberti nel De re Aedi catoria a ermava che “imitatio no est eco”, ovvero imitazione non è
copia. Prende gli elementi utili. Utilizza un crescendo di metodo di studio: rovistato, scrutato,
misurato, rappresentato con schizzi per potersi impadronire di tutti gli elementi provenienti dal
mondo antico.
- Da Filarete proviene la divisione tra Gotico e Rinascimento. Filarete chiede di lasciare andare
l’usanza moderna, ovvero quella gotica, per praticare l’opera antica. Lui si esprime con una
metafora rispetto al gotico, a ermando che sia opera “barbara” (da qui gotico perché
originariamente si chiamava opera francese). Cita inoltre Brunelleschi come il non-plus-ultra
dell’architettura, quindi Firenze già all’epoca si era imposta come “star del Rinascimento”. C’è
comunque un primato orentino nel rinascimento, perché appunto Brunelleschi era lì.
- Senza Vasari non avremmo avuto nulla.
Per di ondere la memoria dell’antico abbiamo:
- Ciriaco di Ancona aveva fatto viaggi in Grecia ed era tornato con un album di disegni che oggi
non abbiamo più ma che al tempo erano molto di usi.
- Ra aello teorizza tutto ciò che era stato fatto no a quel momento nella sua Lettera a Leone X.
Traduce un linguaggio che era in voga al tempo.

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Dal punto di vista storiogra co abbiamo altrettanti fonti:
- Burckhardt nella Civiltà del Rinascimento si propone una divisione legata allo spirito del tempo.
- Panofsky scrive Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale. Non sapeva di aver dato un
forte contributo all’architettura. Utilizza la rinascita come chiave di lettura. Il rinascimento viene
collocato come un elemento di indagine come una serie di rinascenze. Da questo, con un’idea
di continuità che emerge nella storia, si passa all’idea dei due studiosi successivi. Panofsky
utilizza la metafora dei “vestiti della nonna” posti alla nipote per paragonare il Rinascimento. La
nipote dopo un po’ di tempo in cui indossa i suoi vestiti, muta il modo di vivere. Il Rinascimento
con la R maiuscola ha la caratteristica di avere la consapevolezza.
- Tafuri e Scho eld propongono l’idea del Rinascimento locale, con una serie di riprese, pluralità
e di erenziazioni.
Lezione 3, 28.02.2023

-La tradizione de ’antico a Milano-


La parola tradizione ha come radice un verbo latino (tradĕre) che signi cava anche una situazione
in divenire, cioè un continuum, uno continuo tramandarsi di nuove istanze basate su qualcosa del
passato. Quando si parla di tradizione dell’antico applicato alle arti e ai luoghi si intende come
l’antico viene percepito e si traduce in una serie di manifestazioni che traggono ispirazione dal
passato.

Milano ha un problema: ha poche antichità romane sopravvissute. Nel XV secolo avevano una
percezione molto ristretta degli elementi dell’antichità.
- L’an teatro è stato distrutto dopo la ne dei giochi del 309 e nel 402 era già demolito.
- La torre, vicino al museo archeologico, quindi riutilizzata come campanile della chiesa di San
Maurizio. Era la Torre delle Carceri del Circo. Nel XV secolo non sapevano che lì c’era stato il
circo.
- Le colonne di San Lorenzo e la Basilica di San Lorenzo sono sicuramente un reperto antico
di Milano da cui prendevano ispirazione come tradizione dell’antico.

La Basilica di San Lorenzo


Una delle antichità sopravvissute è la Basilica di San Lorenzo, che, anche
se è una chiesa paleocristiana, per gli uomini del XV secolo era un
recupero dell’antico. In particolare questo antico si rifà all'antichità
cristiana, specialmente quella del tempo di Costantino, che è il primo
imperatore che liberalizza i culti e quindi permette agli edi ci antichi di
diventare anche cristiani. L'antico cristiano per cui ancora quasi più
importante dell'antichità romana pagana perché poteva fornire dei modelli
anche per edi ci legati al culto cristiano. San Lorenzo è composto da più
edi ci ed è de nito “a doppio involucro” perché ha un deambulatorio
separato dallo spazio interno attraverso un sistema di pilastri e colonne.
Ha tre sacelli: sacello Sant’Aquilino, sacello di Sant’Ippolito e il sacello di
San Sisto che sono collocati sugli assi di questo grande edi cio. Il più ricco, anche a livello
decorativo, è sempre stato considerato il sacello di Sant’Aquilino, che è questo che ancora oggi è
stato appena restaurato, che recava, già nel XIII secolo, resti anche musivi e di decorazioni
parietali. Questa è la vera antichità milanese, forse l’unico studiatile dagli architetti del XV secolo.
Oggi vediamo una basilica diversa, quella dopo la ricostruzione del 1573, dopo il crollo di un
capitello del matroneo che provoca a sua volta il crollo di tutta la copertura centrale (ancora oggi
non sappiamo la copertura originaria) e anche le sei cupole laterali circostanti che reggevano la
volta centrale. Non sappiamo nemmeno che tipo di visione avessero gli uomini cinquecenteschi
perché poteva darsi che ci fossero state già delle modi che alla struttura originaria dovuta a un
terremoto e a un incendio. Sant’Aquilino sembra essere come lo vediamo oggi.
Le colonne di San Lorenzo
Pare che le colonne fossero delle spolia, ovvero degli elementi tratti da un
edi cio precedente, che vengono riutilizzati con una simile funzione, ma
anche con una funzione completamente diversa e forse provenienti da un
tempio non distante dall’attuale posizione.

[Forse in origine erano una zona per delimitare la zona sacra, ma questo è
discusso perché rispetto al passato, quando si credeva che San Lorenzo
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avesse un atrio antistante. Oggi l'idea dell'atrio è stata pressoché abbandonata, non è stato
trovato nessun resto archeologico.]

Siccome la Basilica sta lungo il corso che esce dalla Porta Romana del Corso di Porta Ticinese va
verso Pavia, probabilmente queste colonne potrebbero anche essere state collocate per
delimitare, rispetto alla basilica di San Lorenzo, l'asse di percorrenza stradale e quindi anche una
sorta di separazione.

Probabilmente questa struttura soprastante in mattoni con anche l'arco centrale, è una soluzione
di XII secolo, cioè quindi molto successiva. Poi vengono costruiti questi muri intorno a chiudere le
colonne, perché in un certo periodo storico vengono poi costruite delle case dietro, proprio dove
oggi c'è la piazza di San Lorenzo (piazza moderna forse aperta nel 1913).

Le colonne però sono molto interessanti perché potevano essere un esempio di ordine corinzio
antico anche se erano di II secolo.
Sace o di Sant’Aquilino
Il sacello di Sant’Aquilino veniva studiato separatamente perché aveva una sua unitarietà e
autonomia rispetto all'impianto principale.

Analizziamo le sue caratteristiche principali e la pianta.


- La pianta è ottagonale anche se esternamente ci sono le murature
rettilinee, mentre internamente i lati dell'ottagono sono sfondati da
delle nicchie.
- Le nicchie sono alternativamente semicircolari e rettangolari. Questa
qui è una tipologia di edi cio ricorrentissima in epoca paleocristiana,
soprattutto in edi ci battesimali. Non si sa come mai perché non era
un battistero, anche se forse era un mausoleo. Altri edi ci costruiti in
questo modo sono: mausoleo di Diocleziano a Spalato; Battistero di San Giovanni alle Fonti a
Milano nella cattedrale pre duomo in Santa Tecla (anche se non più visibile nel XV sec);
mausoleo di San Gregorio nell’odierna chiesa di San Vittore al Corpo (ancora visibile no al XVI
secolo come testimonia una veduta di un pittore ammingo).

Le fonti su ’impianto de a Basilica, su e colonne


e sul Sace o di Sant’Aquino di San Lorenzo
Le fonti che ci permettono oggi di immaginare come potesse essere la Basilica di San Lorenzo nel
XV secolo sono:
- Milano, San Lorenzo, canonica, a resco con “Il trasporto del SS.
Sacramento” (tardo XV secolo). Esso un lacerto di a resco che
rappresenta una processione di personalità che escono fuori da un
edi cio che somiglia alla Basilica di San Lorenzo. Questo è riconoscibile
soprattutto dal fatto che è un edi cio a pianta centrale circondato da
quattro campanili. Originariamente infatti san Lorenzo presentava un
nucleo centrale e sugli angoli c’erano quattro campanili (oggi non abbiamo
più l’elevato principale). In un certo periodo storico, erano stati costruiti degli archi rampanti
che collegavano anche il fusto dei campanili con il tiburio. Quest’immagine restituisce San
Lorenzo con un margine di attendibilità buono ma non certo. L’immagine in questione è
cronologicamente vicina al periodo preso in esame, quindi possiamo immaginare che
apparisse così. Ci interessa la parte centrale dove si individua un tiburio poligonale. Il tiburio
è una struttura composta da murature verticale e da un tetto a spioventi che nasconde e
protegge (protetta dai carichi accidentali come la neve) la cupola (emisferica cioè si imposta
su una base circolare ed è costruito con un sistema che rappresenta un arco in rotazione) o
la volta. A Milano si instaura anche questo tipo di tradizione costruttiva. Nell’immagine si
vede una copertura prismatica con un tetto a spioventi e con una lanterna.
- Milano, Castello Sforzesco, Civico Gabinetto dei Disegni, seconda
metà del XVI secolo. Questo disegno invece è dalla seconda metà del XVI
secolo e attenzione è stato fatto proprio nel momento del crollo, cioè
quando Martino Bassi dovette fare la perizia per stabilire come era crollata
la chiesa di San Lorenzo. Il disegno è più attendibile dell’a resco di prima

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perché viene realizzato un architetto e perché viene realizzato in un momento in cui si sta
studiando come era fatto l'edi cio precedente. Restituisce probabilmente delle informazioni
più speci che rispetto a com'era la copertura. Le due rappresentazioni non sono
completamente d’accordo: nella zona centrale quella all’interno sembra una cupola, non si
capisce se la parte sommitale è poligonale o circolare (forse era un tiburio <16 lati che
poteva tendere alla circolarità). Qui abbiamo una decorazione esterna inconfondibile, cioè
questo tiburio ha archetti, gallerie cieche, archetti pensili. Sembra che evidente da questo
disegno che il tiburio che gli architetti del XV secolo e poi del XVI secolo potevano vedere,
poteva avere queste caratteristiche, quindi poteva essere un tiburio costruito in epoca
romanica. La copertura non era quella originaria del V secolo, ma una ricostruzione
intervenuta nel corso dei secoli, forse XI-XII secolo, di quella originaria. L’edi cio poteva
essere percepito come antico anche se noi oggi non lo de niremmo come tale.

- Il manoscritto trecentesco Manipulus orum si avvale della lettura di Galvano


Fiamma nella sua Cronaca Milanese. Nella pagina dove si accenna della Basilica di
San Lorenzo c'è questa rappresentazione schematica di San Lorenzo, dove
vengono presentati quali sono gli elementi di San Lorenzo che colpivano una
persona del Trecento (la cupola, i campanili e le colonne).

- Giusto de Menabuoi; Padova, basilica del Santo, cappella del Beato Luca
Belludi. Questo è un a resco del Trecento. Somiglia moltissimo a questo
impianto anche gli archi, specie gli archi rampanti che dai campanili vanno
verso il centro. È possibile che questa sia un'altra rappresentazione
trecentesca della Basilica di San Lorenzo a Padova da Giusto de Menabuoi
vuol dire che un po di fama questo edi cio ce l’aveva.
- A. Averlino (Filarete), Trattato di architettura, libro IX. Nel suo Trattato di architettura cita
San Lorenzo di Milano tra gli esempi di antichità. Abbiamo la prova qui che un architetto del
XV secolo proveniente da Firenze, quindi, anche estraneo alla cultura milanese, quando viene
a San Lorenzo, si so erma a parlare di Sant’Aquino. A erma che le sue pareti presentassero
incrostazioni marmoree e por do e che l’architetto che aveva realizzato cattedrale e sacello
era da lodare.
- Tristano Calco, Historiae Patriae. Tristano Calco è uno degli storici del periodo sforzesco,
che restituiscono sia la storia degli Sforza che anche la storia di Milano di quell’epoca. Calco
prende le misure di San Lorenzo, paragonandolo al Pantheon di Roma. Il punto di riferimento
ideale percettivo di questa antichità perché era a pianta centrale e cupolato.
- 1573 - Descrizione di un ambasciatore ferrarese. Qui addirittura ci sarà un po’ di
campanilismo milanese. L’ambasciatore spiega che era fatta come la Rotonda di Roma, cioè
come il Pantheon, ma più grande, più bella e fatta con maggiore spesa, perché costava di
più e quindi era più prezioso.
- Giuliano da Sangallo, Pianta di San Lorenzo di Milano, Siena, Biblioteca
Comunale. Nel 1490 Giuliano da Sangallo, architetto orentino preferito di
Lorenzo il Magni co, fa un viaggio a Milano. Egli si occupò, a partire dal
1465 no alla ne della sua vita, nel realizzare disegni di antichità che
diventavano repertori di modelli che poi potevano essere utilizzati nelle
botteghe o nelle imprese di questi architetti.C'è anche San Lorenzo ben
riconoscibile e anche Santo Aquilino (vestibolo a forcipe + impianto +
materiale in por do associato alla sfera imperiale).
- Donato Bramante, Progetto per la basilica di San Pietro. Bramante, durante
il suo periodo milanese, probabilmente studia San Lorenzo. La Basilica di San
Lorenzo è un elemento riconoscibile tra i modelli di riferimento dell'architetto
nella nei suoi progetti, ma ne abbiamo anche la testimonianza gra ca. Questo
non è un disegno che Bramante realizza quando è a Milano, ma è un disegno
che Bramante realizza quando è già andato a Roma. È un progetto per la nuova
Basilica Vaticana formulato dopo il 1506 (aveva lasciato Milano nel 1499). In
questo disegno, sta ragionando sulla presenza di deambulatori cioè lui sta
proponendo un impianto centrale che vedete qui con cinque cupole e poi con
deambulatori che emergono dal quadrato in cui è scritto questo impianto centrale. Riporta in
questo foglio degli edi ci che presentano deambulatori e che lui si ricordava di aver visto.
Nella parte bassa c’è il duomo di Milano (anche se era trecentesco e anche se non era
terminato) e nella parte alta c’è la rappresentazione della Basilica di San Lorenzo.
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- Leonardo da Vinci, Codice Atlantico. Questo è un foglio del Codice
Atlantico, probabilmente redatto durante la permanenza di Leonardo a
Milano. Qui c’è la Basilica di San Lorenzo, Sant’Aquilino, San Sisto, le
colonne. Leonardo poi realizza accanto a queste ra gurazioni della Basilica
di San Lorenzo delle Colonne avvicinate a quello che sembra essere un atrio.
La domanda è: Ci troviamo davanti ad una ra gurazione realistica oppure ad
una realtà ricostruita da parte di Leonardo?
- Piero Portaluppi, Tavola con le piante degli edi ci a impianto centrale
costruiti tra XV e primo XVI secolo in Lombardia, 1914. C'è anche una
tradizione storiogra ca legata al contesto milanese del XV secolo, secondo
cui c'è un proliferare di chiese a pianta centrale, cioè dove la chiesa a pianta
centrale in Lombardia sembra essere stata particolarmente frequentata dagli
architetti e gli studiosi del passato, come in questo caso Piero Portaluppi.
Portaluppi, un architetto, storico dell'architettura e restauratore del primo
Novecento, ha provato a interrogarsi su questo fenomeno. Portaluppi si è
laureato con una tesi sugli impianti centrali e questa è una tavola della sua
tesi di laurea, dove lui ha provato a inserire tutte le chiese quattrocentesche
costruite in Lombardia ad impianto centrale dimensionandole sulla stessa
scala. Si immagina che San Lorenzo avesse avuto ovviamente un ruolo determinante nella
scelta dell'impianto centrale per altri edi ci, perché essendo l'unica vera antichità milanese,
essendo proprio un impianto centrale con un deambulatorio a doppio involucro con la torre,
una cupola può essere stato un punto di riferimento nodale. Oggi questo questo studio così
insistito sulle piante centrali, non è più tanto coltivato, nel senso che abbiamo molte
attestazioni che, come si sono fatti gli edi ci a pianta centrale, se ne sono fatti altrettanti a
impianto longitudinale, quindi non è forse un fenomeno così tanto rilevante come una certa
storiogra a del passato.

Ritornando a a tradizione: come si riporta


la tradizione de ’antico quando l’antico non c’é?
Milano non ha una antichità sola. Infatti è stato anche coniato l'espressione nella storiogra a
corrente, cioè quella dell'antico senza l'antico, cioè come si fa la rinascita dell'antico in un luogo
che non ha antichità. Noi oggi vediamo questi edi ci pesantemente restaurati nell'Ottocento, a
volte fatti diventare più romanici o più antichi dell’antico. I restauratori dell'Ottocento spesso ci
hanno restituito un'immagine di quegli edi ci che non è quella che vedevano nel XV secolo. Le
ricostruzioni successive, in qualche caso, avrebbero potuto compromettere l'immagine unitaria
che noi oggi abbiamo.

Come si fa l’antico in un luogo in cui l'antico non c’è? Ci si può muovere in due macro linee di
ricerca:
- La prima è ripescare elementi da una cultura che si reputa aggiornata rispetto al recupero
dell'antico e che sembra alla moda. In questo modo, non avendo delle antichità locali su cui
basarsi per fare un Rinascimento, si prende ispirazione da dei modelli che vengono da fuori.
- La seconda modalità riguarda la scelta dei modelli antichi che si possono reperire anche sul
luogo che non sono edi ci costruiti ma sono degli altri modelli di riferimento.

L’ispirazione da fuori: Fiorentini a Milano


Si è creata la convinzione un po’ estremista che tutta la cultura architettonica lombarda della
seconda metà del Quattrocento, in epoca sforzesca, dipenda da una cultura architettonica
estranea, cioè che sia l'importazione di elementi che si erano già sviluppati, nella fattispecie a
Firenze. È vero che la cultura architettonica lombarda ha degli elementi di importazione orentina,
però non si può credere che tutto il Rinascimento lombardo venga dall'importazione da Firenze.

Tutta questa parte è dedicata alla prima età sforzesca, cioè quella sotto i ducati di Francesco e
Galeazzo Maria Sforza.
Milano era governata dai Visconti. Questo argomento è concentrato sui Ducati di Francesco che è
il primo Duca Sforza di Milano e Galeazzo Maria che è il glio.

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I Visconti non continuano a
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governare Milano perché non
c'erano eredi maschi, infatti
Filippo Maria Visconti, ultimo
duca Visconti di Milano, è
morto non solo senza eredi
maschi, ma l'unica glia
Francesco Sforza Bianca Maria Visconti
femmina, Bianca Maria non
2 4 era glia legittima, era glia
naturale, quindi non era glia
della duchessa. Questo vuol
dire che Bianca Maria non
poteva ereditare dal padre il
Galeazzo Maria Filippo Sforza Ludovico Ascanio Ottaviano ducato perché era femmina,
ma non poteva neanche
Bona di Savoia Beatrice d’Este ereditare i beni dei Visconti,
cioè non economicamente. La
3 seconda questione si risolve
perché Filippo Maria Visconti
riesce a far legittimare la glia
prima di morire quindi, a
questo punto Bianca Maria
Gian Galeazzo Visconti può ricevere l'eredità
pecuniaria dei Visconti e del
Isabella d’Aragona Duca morto, ma non può
ricevere il ducato. Filippo
Francesco (leggittimo erede ma mai duca) Maria Visconti però aveva
fatto sposare la glia nel 1441
a Francesco Sforza che era uno dei più capaci capitani di ventura del Quattrocento, milite al soldo
di altri potenti, cioè no a quel momento aveva fatto il soldato mercenario. Proveniva dalle Marche
(Cotignola).

Non è che questo passaggio dai Visconti agli Sforza sia propriamente indolore per la città di
Milano, perché nel 1447 muore Filippo Maria Visconti, ma Francesco Sforza entra a Milano
trionfante come duca nel 1450. In questi tre anni i milanesi appro ttano della lacuna di potere,
appro ttano della mancanza della continuità dinastica e si autoproclamano Repubblica
Ambrosiana facendo un colpo di Stato. Per tre anni si auto governano, distruggono
completamente il castello di Porta Giovia, recuperando i materiali perché così il simbolo della
tirannide, anche la fortezza di Milano viene demolito. Francesco Sforza non viene accolto in
maniera paci ca dai milanesi. Egli, che rivendica il Ducato di Milano in virtù del matrimonio con la
glia del duca morto con le milizie partendo da Cremona, fa come proprio una campagna di
conquista. Nel 1450 vi vengono consegnate le insegne del Comune, viene fatta una in una
cerimonia di ingresso. Entra trionfante facendo lo stesso percorso che facevano gli arcivescovi di
Milano quando diventavano arcivescovi di Milano (provenendo da Pavia, arrivava da corso di
Porta Ticinese, passava davanti alla Basilica di Sant’Eustorgio, fermandosi a inginocchiarsi
davanti alla Fonte di San Barnaba, che era la tradizionale mossa che facevano gli arcivescovi di
Milano, poi passava davanti a San Lorenzo). Questo fa capire che tipo di personaggio era
Francesco Sforza, che ci teneva però moltissimo ai cittadini. Avrà sempre il problema della
legittimazione, perché anche se lui entra trionfante a Milano autoproclamandosi duca,
l'Imperatore non riconosce il ducato a Francesco Sforza (moglie= glia naturale, lui=si prende da
solo il regno). Lui dice che i cittadini milanesi lo hanno proclamato duca per acclamazione, ma
questa è una sottigliezza che gli costerà dover continuamente avere un debito nei confronti dei
cittadini milanesi. Si vede anche nelle molte commissioni che lui fa bene che nei confronti dei
cittadini per mostrarsi il più aperto possibile nei confronti dei sudditi. Francesco Sforza diventa poi
un uomo cardine della politica italiana del tempo. Uno degli aspetti più più rilevanti dal punto di
vista politico è l'alleanza economica che Francesco Sforza fa con Cosimo de Medici. Non si può
negare che c'è l'introduzione di una connessione con Firenze nell'epoca di Francesco Sforza.

La vicenda degli Sforza si sussegue con una storia continua di assassini e congiure. È forse una
delle vicende dinastiche più sanguinose che esistano nel Quattrocento, perché Francesco Sforza

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regnò circa un quindicennio muore nel 1466. Dopo di lui diventa duca suo glio Galeazzo Maria
Sforza, che però regnò solo, governa solo dieci anni perché viene assassinato. È un omicidio che
ha fatto poi scalpore in tutte le corti italiane nel 1476. Galeazzo Maria Sforza era comunque un
pessimo duca, veramente politicamente inesistente.

Lezione 4, 02.03.2023
Si credeva che Milano non fosse in grado di avere un suo Rinascimento e che i milanesi non
fossero assolutamente capaci di sviluppare delle istanze del Rinascimento. Secondo questa
prospettiva, furono i orentini a portare il Rinascimento in Lombardia.

Non si può negare che ovviamente una certa quantità di orentini hanno stabilito la loro attività a
Milano dopo la salita al potere di Francesco Sforza. In realtà c'è qualche caso anche precedente
in epoca viscontea i Visconti erano nemici di Firenze e quindi la situazione politica era
completamente diversa. Grazie invece all'alleanza che Francesco Sforza fa economicamente con
Cosimo il Vecchio Medici, si favorisce ovviamente anche un connubio culturale.

Antonio Averlino, il Filarete


Antonio Averlino è orentino di nascita, perché lui lo dice tuttavia a Firenze non sembra essere
mai esistita una famiglia a Berlino, cioè questo questo cognome non esiste. Lui è glio di un tale
Pietro. Si rma proprio a Berlino, quindi sappiamo che il suo è una specie di cognome. L'ipotesi
più accreditata è che questo cognome, in realtà non sia un vero e proprio cognome, ma
consultando alcuni esperti della Crusca, pare che Averlino derivi probabilmente da un piccolo
uccello del tipo della famiglia dei passeri (passerottino). Sembrava che avessero un sico minuto
e che fossero detti così. Il suo soprannome, Filarete, se l’è dato da solo a partire da un grecismo
che signi ca amante delle virtù (v. Cultura umanistica).

È un abile scultore e cultore di antichità. Conoscere il latino ed ha dei rudimenti di greco. Il suo
trattato di architettura è scritto in volgare ma per scelta e dice di essersi fatto aiutare nel greco da
Francesco Filelfo, quindi amico di umanisti. Riesce ad avere committenze di altissimo livello,
perché, naturalmente si deve fondere in bronzo le porte della Basilica Vaticana, lavora per i Papi,
quindi vive a Roma per lungo tempo. Vive a Roma dal 1433 al 1447, quindi ha un'esperienza sulle
antichità romane di Roma (nel suo bagaglio culturale non c'è solo la cultura orentina!).
Porte bronzee di San Pietro in Vaticano
Presenta elementi di antichità come: il Mausoleo di Adriano, le due
piramidi romane.
Una caratteristica signi cativa delle porte bronzee è che rappresenta gli
scultori che hanno lavorato con Filarete alle porte bronzee, con Filarete
alla testa della la. Tutti si prendono per mano e improvvisano una danza
questi, inoltre, stanno anche bevendo, perché probabilmente questo è
una specie di festeggiamento per aver nito le porte bronzee che sono
un'impresa titanica. Filarete si rappresenta con in mano il compasso
(attributo iconogra co con il quale si rappresentano gli architetti) e con
una scritta “Antonius Architectus”. A quanto noi sappiamo prima di
quest'opera e delle altre opere bronzee scultoree perché era scultore anche in pietra che svolge a Roma, non aveva
mai esercitato un’attività propriamente architettonica, quindi il proclamarsi architetto è quasi un espediente retorico,
sembrerebbe che in questo momento, forse voleva proporsi come architetto.
Era un abilissimo scultore in bronzo, il problema è che Vasari ne parla malissimo e quindi poi, nei secoli successivi
questo pesa molto sulla sua. Vasari si chiede come sia possibile che abbiano chiamato proprio artisti come Filarete
per realizzarla. A Vasari non piace proprio.

Filarete doveva aver raggiunto, grazie soprattutto alle committenze papali e anche alla sua sia
formazione orentina sia esperienza romana di così tanti anni, una certa fama anche nella sua
città d'origine, cioè nella stessa Firenze. Probabilmente i Medici stessi avevano nozione che c'era
questo loro scultore orentino che era andato a lavorare a Roma.

Nel 1451 Francesco Sforza chiede a Cosimo il vecchio de' Medici di suggerirgli un nome di un
architetto orentino che fosse esperto delle novità architettoniche e che potesse svolgere delle
ricostruzioni nella città di Milano dopo la sua autoproclamazione a Duca. Piero di Cosimo, cioè il
glio di Cosimo de Medici, gli mandò Filarete. Filarete vive a corte, quindi la sua è un’immagine di
architetto cortigiano, quindi gli danno vitto e alloggio, lo tengono a corte e Francesco Sforza,

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quando arriva a Milano, lo vuole subito in lare in tutte le fabbriche che vuole fare.

Castello di Porta Giovia


La prima cosa che fa Francesco Sforza è ricostruire il castello di Porta
Giovia perché era stato distrutto nei tre anni precedenti al 1450, durante
la Repubblica Ambrosiana. La prima operazione che fa è riforti care il
castello di Porta Giovia dalla parte della città perché ha paura di una
possibile congiura da parte dei cittadini.
La prima cosa che fa è rifare la cortina verso la città che è questa. Quello
che rimane del progetto di Filarete per il Castello sono probabilmente tutta
la piazza d’armi, la muratura che circonda la piazza d’armi, le due torri
rotonde che stanno agli angoli e la Torre del Filarete (falso ottocentesco di
Beltrami). Questo edi cio viene iniziato nel 1451, le torri rotonde vengono
quasi completate entro il ’54, ricoperte completamente di bugnato (robustezza, eleganza per la
decorazione a punta di diamante).
Filarete ha un’attitudine un po' ra nata anche in un in un edi cio che deve essere essenzialmente
militare e questo, infatti, è quello che gli crea numerosi problemi. Lui deve lavorare con altri
maestri esperti di forti cazioni. I maestri lombardi che stanno dirigendo il cantiere e pare che lui
non riesca ad andare d'accordo con le maestranze del luogo perché voleva fare le cose troppo
diverse, troppo ra nate, troppo costose, anche rispetto a quella che era la funzione della
forti cazione. Francesco Sforza, anche per il quieto vivere, decide insomma di esentare dai lavori
il castello, quindi il castello continua con altri maestri e lui non se ne occupa più.
1451-1454 - rapporti con la Fabbrica del Duomo di Milano
In quel periodo uno dei grandi progetti di cui si occupano i milanesi è il tiburio della fabbrica del Duomo. Anche
Filarete non si è esentato da fare un progetto per il tiburio del Duomo perché come al solito Francesco Sforza
suggeriva questo architetto da Firenze come capo della fabbrica del Duomo. Naturalmente la fabbrica del Duomo,
accetta Filarete anche non è che erano contentissimi.
Propone un modello per il tiburio che non piace perché voleva fare una cupola estradossata (cupola la cui super cie
esterna sia visibile e costituisca la copertura dell'edi cio stesso). Questo modello non piace, viene ri utato e a un
certo punto la fabbrica addirittura dice di non aver bisogno di lui.

Francesco Sforza decide quindi di dare a Filarete delle commissioni private di modo che nessuno
possa scardinarlo dalla sua posizione. Nel suo tentativo di ingraziarsi la popolazione e di
autolegittimare la sua presenza, pensa di regalare ai cittadini delle immagini del suo buon governo
o della sua generosità e benevolenza nei confronti dei sudditi.

Cremona è una città importantissima. Nel Quattrocento a voi non sembra oggi, ma era la seconda
città del Ducato per importanza dopo Milano, la più grande e anche la più ricca. Soprattutto era
città dotale di Bianca Maria Visconti, che signi ca che era la città che era stata data nella dote di
matrimonio a Francesco Sforza. Francesco Sforza la considerava una delle sue città più
importanti perché era la prima che aveva acquisito. Era molto abbastanza distante da Milano, in
una posizione in cui poi c'era il con ne con i Gonzaga, quindi con Mantova, territorio di con ne
che andava anche un po’ vigilato. La posizione di Cremona era assolutamente nodale.

L’arco dei duchi a Cremona (non realizzato)


Francesco Sforza chiede a Filarete di realizzare a
Cremona al centro della piazza del duomo un arco
di trionfo dedicato ai duchi con le immagini di
Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti.
Francesco Sforza tiene conto dell'arco con il
cavallo di Niccolò III d'Este che è contemporaneo.
Questo di Filarete non era con un cavaliere, cioè
non c'era Francesco Sforza a cavallo, ma c'erano
le e gi del Duca e della duchessa. Non glielo
fanno fare perché qua entra in gioco la comunità di
Crema. I cremonesi si oppongono perché hanno
sentito che a Padova c'è un bravissimo scultore
che ha fatto un monumento equestre meraviglioso
(Donatello). Nel documento citano anche l'e gie
del dominus Marchionne di Ferrari e quindi
sapevano dell'arco di Niccolò III d'Este e quindi
erano informati su questi episodi.
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Ospedale Maggiore di Milano (1456-1465)
Finalmente abbiamo un edi cio che c'è e anche sopravvissuto
che è l'Ospedale Maggiore di Milano. Siamo arrivati al ’56,
Francesco Sforza fa un'operazione estremamente illuminata
nell'Italia del tempo, sul piano nazionale per l'assistenza ai
malati. Francesco Sforza vuole regalare ai cittadini milanesi un
grande ospedale pubblico gratuito per i poveri (prima si
attaccavano un po’ al cazzo). Lo fa costruire su un terreno di
proprietà della Nianca Maria Visconti, quindi su terreno ducale.
Dentro ci sono i medici di tutte le strutture sanitarie più
all’avanguardia. Chiede a Filarete di fare il progetto e lo manda
in viaggio anche a studiare gli altri ospedali italiani per
acquisire quante maggiori più competenze sulle novità che
riguardano soprattutto la salubrità degli ambienti, le
infrastrutture legate alle funzionalità di cura, ecc.
Questo diventa l'ospedale più moderno d’Italia e anche d’Europa (usato come modello virtuoso di
nuovo ospedale pubblico).
Nel ’56 Filarete fa il progetto di questo progetto e abbiamo diverse notizie perché Filarete scrive il
suo Trattato di architettura. Abbiamo alcuni suoi disegni che accompagnano alcuni dei
manoscritti. Questo ospedale era composto da due grandi le chiamiamo crociere, una a destra e
una a sinistra. In mezzo c’erano le corsie ospedaliere e tutti i quadratini che Filarete ha disegnato
sono i letti dei malati e queste crociere producono quattro cortili aperti. c’era una crociera
maschile ed una femminile, mentre in mezzo doveva esserci un altro grande cortile con la chiesa
che era collocata al centro a pianta centrale e visibile dall’interno. Parimenti stava al centro delle
crociere uno altare, così i malati non dovevano alzarsi dal letto per seguire le funzioni. Tutto
questo edi cio circondato da un grandissimo portico ma soprattutto è è tutto fatto al di sopra di
una sottostruttura. C'è tutto uno scavo di fondamenta con strutture voltate nel piano seminterrato,
per fare una base su cui elevare l'edi cio, per la salubrità delle stanze, cioè per garantire ai malati
che l'umidità dal terreno non risalga no all'interno delle stanze dove loro risiedono. Gli ambienti
voltati che sono stati utilizzati per funzioni pratiche (magazzini, cucine, ambienti di servizio).
L’ospedale non è stato terminato perché l’edi cio era stato costruito no alla caduta degli Sforza.
Costruiscono la crociera maschile, cioè quella di destra, che oggi è sede dell'Università Statale in
via Festa del Perdono.
Questa sezione che è un rilievo fatto da Liliana Grassi quando dopo la guerra è stato restaurato
perché è stato bombardato e quindi poi ha avuto necessità di avere un grosso intervento di
restauro. Si vede l'interno di una dei bracci della crociera e sotto a queste grandi strutture voltate.
C’è anche il prospetto dei due cortili, cioè a destra e a sinistra della crociera abbiamo i due cortili,
entrambi sviluppati con portico e loggia su due livelli. Tutto intorno l'organizzazione dei cortili e
tutto sono tutti uguali.
Le novità più rilevanti che Filarete inserisce in questo edi cio sono:
- i cosiddetti destri, ovvero i servizi igienici. Tra il portico del cortile e l'interno della crociera c'è
un’intercapedine. Questa intercapedine contiene è raggiungibile dall'interno della crociera
tramite delle porte. Ogni letto aveva da un lato una porta e dall'altro una piccola nicchia con
una ribalta che fungeva anche da tavolino, tipo armadietto a tavolino. La porta conduceva nei
destri, quindi il malato non doveva fare tanta strada per andare ai servizi.
- un canale con acqua corrente che continuamente portava via tutte le brutture dei servizi che i
malati facevano e producevano e poi tramite condutture di argilla collocati all'interno della
muratura c'era un riciclo continuo dell'aria per portare via anche gli odori. Questo sistema di
ricircolo dell’aria c’era anche all'interno della crociera per garantire di portare via i batteri virus
che si concentravano i malati residenti.
L’edi cio è interamente circondato da un portico con archi a tutto
sesto su colonne al di sopra di un basamento, con dei tondi
collocati tra gli archi e un secondo livello di nestre. La
composizione d'insieme si riferisce sicuramente all’Ospedale degli
Innocenti (è un orfanotro o). A livello compositivo Filarete mostra
di essere orentino. Questo portico dal punto di vista di tutti gli
elementi architettonici invece singoli, non c'entra niente con lo
Spedale degli Innocenti di Brunelleschi eppure è una delle cose
più moderne degli anni Sessanta del Quattrocento milanese. In
passato dicevano che Filarete aveva progettato un edi cio simile a
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quello di Brunelleschi, ma che i lombardi avessero corrotto il progetto originario. In realtà oggi si
pensa che probabilmente Filarete avesse cominciato a tenere conto della cultura del luogo
(materie prime a disposizione, ovvero il laterizio - appro tta delle grande maestranze di lavoratori
lombardi in terracotta - nestre a sesto acuto). Ovviamente Filarete porta modelli antiquari
(colonne sempli cate - archi a tutto sesto). Le nestre purtroppo non vanno d’accordo con gli
archi e questo signi ca che c’è una maggiore attenzione per distribuire in maniera funzionale
l'illuminazione dell’interno e si dà meno rilevanza alla facciata.
Nel ’65 Filarete abbandona la Lombardia, dopo molti anni a servizio degli Sforza, soprattutto
nell'Ospedale Maggiore. Dice che Francesco Sforza non l'ha mai pagato, che è poverissimo e che
non ha neanche da comprarsi vestiti che non ha mai potuto mandare soldi alla sorella.

Il Trattato di architettura (1460-64)


Tra il 1460 il 64, si colloca la stesura del suo Trattato di architettura che è anche il primo trattato
di urbanistica ed è il primo trattato scritto in volgare di architettura, quindi è un episodio molto
rilevante della letteratura artistica. È una dissertazione in forma di dialogo, cioè si distacca anche
dai trattati come quello di Alberti, che era molto più anche modulato su Vitruvio. Tutto il trattato
riguarda l'architetto al servizio di un signore che nel dialogo continuo col Signore progetta
l’architettura e la città. Filarete nge di dover progettare una nuova città che “casualmente” si
chiama Sforzinda. Il trattato è dedicato a Francesco Sforza e possiamo immaginare che sia la sua
idea un po’ utopica di ricostruire Milano in una versione moderna. Il trattato si divide in 25 libri, in
cui lui proprio descrive tutte le tipologie di edi ci (cattedrale, castello per il Signore, residenza per
i principi, residenza per i mercanti, residenza per i notai, tipologie di chiesa, tipologia di monasteri,
le terme, la piazza del Broletto, tutti gli edi ci comunali)

Ad un certo punto della narrazione, molto interessante perché c'è anche una digressione, cioè
Filarete nge che nello scavare il castello di Sforzinda, trovarono un libro d'oro che racconta della
progettazione di una città antica. Nel Libro d’oro, un architetto greco racconta la fondazione di
questa mitica città di Plusiapolis, cioè la stessa operazione che lui sta facendo, cioè la
progettazione della città.

Inoltre c'è una pausa perché ci sono i libri, i cosiddetti libri del disegno, perché lui si propone
come precettore del giovane duca. Ci sono i libri dedicati a Re Zogalia, che è un anagramma di
Galeazzo, quindi, e ci sono i libri del disegno, c'è lui insegna il disegno al giovane duca, che viene
educato come un principe illuminato che deve sapere anche di architettura per il futuro. Tutti i
nomi dentro il trattato sono anagrammati. Il trattato di Filarete comprende anche tutti gli altri suoi
colleghi orentini, quindi parla di Donatello, parla di Michelozzo, parla di Francesco Filelfo.

Questa è Sforzinda che è perfetta, cioè è una stella dentro un cerchio. Al centro ci sono le piazze
principali con tutti gli edi ci e questa è una circuito di mura con le porte. Filarete fa una stella con
dentro un cerchio, con un'idea di perfezione, ma è Milano che era radio centrica, cioè una cerchia
di mura che poteva essere ricondotta grossomodo a un cerchio con delle porte che erano intorno
Milano, da sempre rappresentata a pianta centrale. Filarete conosce la cultura milanese e
conosce anche probabilmente le rappresentazioni di Milano medievali, che quindi sono hanno
funzionato da modello per il trattato.

È importante questo trattato perché:


- è scritto in volgare, quindi i duchi potevano capirlo (molti duchi o architetti non erano in grado
di leggere il latino)
- Racconta della nascita dell’architettura. Rispetto a Vitruvio che la legava agli uomini primitivi,
Filarete ha cristianizzato un po’ la nascita dell'architettura e la lega ad Adamo il primo uomo
con sempre il mito della capanna, cioè che l'architettura nasce da una necessità. C'è una
grossa componente legata sempre al trattato di Vitruvio e ai trattati di Alberti anche e allo studio
dei cinque ordini di architettura che non sono solo quelli della Grecia antica, ma sono anche
quelli romani.
- Utilizza il disegno, a di erenza di Vitruvio.
- L'edi cio è spesso concepito come un organismo, quindi c'è una grandissima componente
antropocentrica e antropomorfa dell'architettura.

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Sappiamo del trattato di architettura di Filarete grazie al manoscritto Magliabechiano, che oggi è
quello che è più bello che è rimasto sempre manoscritto. Non ha mai avuto un'edizione a stampa
no al 1972 e quindi c'erano alcuni testimoni antichi.

Il palazzo del Banco Mediceo


Ci sono però alcuni altri edi ci a Milano che non sappiamo chi siano, ma
sappiamo chi sono i committenti che sono orentini.
Il primo è il cosiddetto famosissimo cosiddetto Palazzo del Banco Mediceo
(o Palazzo Medici) perché è la liale milanese della Banca dei medici, che
però è anche una residenza. Viene costruito a seguito di questa alleanza tra
Cosimo il Vecchio e Francesco Sforza quando nel 1455 Francesco Sforza
donò un sedime con alcuni edi ci che si trovavano in Porta Comasina, che
erano un tempo appartenuti alla famiglia Bossi (oggi è via dei Bossi, 4).
Francesco Sforza dona questo sedime, gli dà l'autorizzazione per stabilire a
Milano il suo palazzo e concede a Cosimo il Vecchio e a tutta la sua
dinastia la cittadinanza milanese (obbligatoria per esercitare il mercato).
Alcuni pezzi però si trovano nel Museo d'Arte Antica del Castello Sforzesco,
particolarmente il portale lapideo, i tondi in terracotta che venivano
probabilmente dal cortile e tutta un'altra serie di formelle in terracotta che
non sono esposte, ma solo nei depositi che venivano dalla facciata.

Qui si occupa particolarmente di seguire i lavori l'amministratore della liale della banca che è
Pigello Portinari. I Portinari sono una famiglia orentina che aveva anche un palazzo a Firenze e
delle cappelle private. Ci sono tre fratelli Portinari: Tommaso, Pigello e Acerrito. Il primo gestisce
Banca Medicea di Bruges, mentre gli altri due amministravano la banca milanese.
Giovanni Medici (il glio più giovane di Cosimo che muore presto ma si a ascina nelle arti) subito
si informa per restaurare queste case dei bossi e quindi fare una ricostruzione del palazzo in cui
vengono recuperate alcune parti e viene soprattutto fatta una nuova facciata. È invece importante
fare una nuova, meravigliosa facciata sulla via, così che tutti vedano che questo è il Palazzo dei
Medici. Siccome questa facciata è stata donata da Francesco Sforza, mostra da un lato la cultura
orentina dei committenti, dall'altro il rispetto e la celebrazione di Francesco Sforza. Giovanni
sistemò anche alcune stanze interne, soprattutto il salone principale di rappresentanza, cioè
quello dove dovevano accogliere gli ospiti che facesse vedere lo splendore mediceo. Si avvia la
costruzione nel ’56 e nel ’59, sappiamo che è già abbastanza concluso, mentre nel ’61-’62
concludono la facciata.
Non si sa chi è l'architetto di questo palazzo ma quello che si sa è che dal momento in cui è stato
costruito, questo è entrato nella letteratura artistica, nelle descrizioni del tempo, nella fama che ha
raggiunto ed è diventato il palazzo più bello di Milano. È unica nel suo genere perché non è né
medicea, né romana e neanche milanese.

Vincenzo Foppa (attr.), Fanciullo che legge Cicerone, London, Wallace Collection
(già cortile del palazzo del Banco Mediceo di Milano.
Filarete descrive nel suo trattato il palazzo del Banco Mediceo dicendo che non l'ha
progettato. Dice che gli a reschi del cortile li ha fatti Vincenzo Foppa, quindi lo
dichiara proprio lui. In realtà poi noi oggi sappiamo che non era Vincenzo Foppa, ma
era la bottega di Foppa, che era una bottega molto nutrita, molto grande, che aveva
molte commissioni contemporaneamente.

La casa viene rifatta nell'Ottocento, circa 1866. Il portale viene smontato quando era ancora
all'inizio e gli fanno rifare la facciata, ma gli fanno mantenere il portale. Poi il proprietario vuole
liberarsi del portale e lo vuole vendere e riceve una proposta dal Victoria and Albert Museum di
Londra. Un gruppo di eruditi milanesi capeggiati da Giuseppe Mongeri fa numerosi articoli sui
giornali del tempo dicendo che è uno scandalo che tutte le antichità milanesi prendano la via del
mare e vadano in America o in Inghilterra. Fanno una lotteria dove tutti i cittadini milanesi possono
comprare un pezzettino per far restare a Milano il portale del Banco.

Quali sono le notizie su questo palazzo che ci interessano dal punto di vista della cultura
architettonica, dei maestri coinvolti e di rapporti con la Milano del tempo?
- Nel 1460 Spinello Portinari dice che deve chiudere le nestre del palazzo perché si a acciano
sopra un'altra proprietà. C’è una legge a Milano che proibisce questa cosa. Nel documento
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compare tra i testimoni Agostino di Landriano che era ingegnere e muratore ed è uno dei primi
rmatari dei capitoli degli Statuti dei Maestri da Muro a Milano. La sua presenza come
testimone di questo ha fatto capire che non ha senso di essere come ci faceva lui nel palazzo.
Si è pensato che lui stesso fosse il capomastro costruttore che si stava occupando del
cantiere.
- Sempre secondo questo principio, in un altro atto notarile del 1461, c'è il vescovo di Como che
prende del denaro in prestito dai medici, quindi per le funzioni della banca. Compaiono tra i
testimoni Bartolomeo da Prata (pittore), Branda Castiglioni e suo fratello Salomone (scultori) e
Benedetto da Ferrini da Fiorenza (architetto). Forse stavano lavorando se pensiamo anche a
tutto il lavoro del portale marmoreo. Altra fonte a favore di questo concetto è che Bartolomeo
da Prata era uno degli artisti più importanti della bottega del Foppa. Siccome dava spesso nella
sua carriera anche consulenze dal punto di vista decorativo, non è detto che lui avesse fatto il
progetto dell'intero palazzo.
- Ci sono atti di acquisti di marmo di Candoglia, che probabilmente sono per il portale.

Lezione 5, 07.03.2023
Nei pagamenti del Banco Mediceo troviamo sia un muratore e alcuni maestri scultori milanesi e
sia sono documentati due architetti orentini che lavorano a Milano uno è Filarete, che non può
essere il progettista dell'edi cio perché nel suo trattato non dice mai che è suo e questo sarebbe
molto bizzarro da parte sua, ma anzi dice che Pigello Portinari, l'amministratore del Banco, gli
aveva chiesto una consulenza per i soggetti iconogra ci dei dipinti da collocare nel vestibolo.
Figurava pagato e anche presente come testimone, in un atto che non c'entrava niente con la
costruzione, ma che si era rogato dentro il palazzo Benedetto Ferrini, che è questo architetto con
probabilmente una formazione da pittore che era stato personalmente raccomandato da Giovanni
di Cosimo de Medici al Duca di Milano nel 1457 e era stato apostrofato in questa missiva da parte
di Giovanni Medici come maestro di ingegno. Viene chiamato “maestro di ingegno”, che è un
modo di indicare una personalità, un uomo delle idee, qualcuno che è capace di fornire idee su
più ambiti.

Quali sono gli elementi di cultura orentina che noi possiamo individuare sia nel palazzo del
Banco Mediceo sia in un altro edi cio di committenza Portinari. Anzitutto va detto che i medici si
insediano nella casa che gli viene donata da Francesco Sforza che aveva già degli edi ci
precedentemente tenuti dalla famiglia Bossi. I Medici non rifanno tutto: tengono salvo
probabilmente il cortile, quindi il vuoto centrale dell’edi cio; rifanno invece la facciata; e poi
allestiscono alcuni appartamenti interni per ricostruire come era fatto questo palazzo che non c'è
più. Disponiamo di alcune fonti, fondamentali perché il palazzo era stato distrutto nell'Ottocento,
poi successivamente bombardato:
- Acquerello di Agostino Caravati. Lui dice che si basa su ricordi del pittore Giuseppe
Bertini. Bertini, che aveva visto il palazzo prima della sua distruzione, si ricordava
grossomodo com'era fatto e l'ha detto a Caravati e Caravati ha fatto questo acquerello
sulla base dei ricordi di Giuseppe Bertini. L'attendibilità di questo acquerello non è
molta. È allestito in maniera tendenziosa perché ci fa vedere una parte del cortile dove
il piano terra è porticato con archi su pilastri ottagonali. I pilastri ottagonali,
eventualmente i medici, potrebbero anche averli salvati dalla casa dei Bossi
precedente. La parte superiore del cortile, invece, era sempre era loggiato, quindi
portico utilizziamo come termine per indicare il pianterreno. Sopra c'è una loggia trabeata
quindi con piccole colonne che reggono una trabeazione lignea con so tti lignei. Questo è
nella tradizione milanese, quindi nora non stiamo andando fuori dalla tradizione milanese, cioè
stiamo ancora dentro la tradizione. Bertini ha inserito l'a resco con il celebre Cicerone bambino
che legge oppure bambino che legge Cicerone, quindi vuol dire che quello di Foppa è
intenzionalmente ambientato. Non è detto che il fanciullo che legge Cicerone fosse in quella
posizione, perché di fatto è l'unico a resco che rimane dal cortile del palazzo.
- Sezione e piantina di Caravati. Sulla base della descrizione di questi ricordi di Bertini e della
descrizione del Palazzo da parte di Filarete, Caravati aveva poi fatto una pianta e una sezione.
Queste due sono completamente sbagliate.

- Area del palazzo del Banco Mediceo nella pianta di Milano degli Astronomi
di Brera, 1810 ca. Qui si vede soltanto il pezzo di giardino. Il cortile è porticato
solo su questi due lati, perché probabilmente quest'altro lato era stato chiuso.

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- Pianta del palazzo nel 1948 circa, Archivio Civico Corrente di Milano. Questa
è una pianta che è stata realizzata dopo le distruzioni belliche e fa vedere le
sopravvivenze e quello che era rimasto del palazzo. Mettendo insieme le
informazioni date dalla descrizione di Filarete con queste altre due fonti gra che,
si evince che il cortile del Palazzo del Banco era porticato solo su tre lati e non su
quattro. Infatti, per esempio, nella pianta di Caravati aveva proposto un portico
sui quattro lati.
- Testimonianza di Filerete. Filarete puntualizza su un porticato su tre lati. È molto rilevante
perché Filarete dice che questo cortile e l'ingresso in particolare erano fatti al modo milanese,
cioè riconosce come se ci fosse una sorta di tipologia di palazzo di uso a Milano, con il cortile
porticato solo su tre lati. Diventa rilevante anche rispetto al recupero dell’antico. La casa antica,
secondo Vitruvio, è una casa da atrio romano, però in realtà Vitruvio nel suo trattato parla di
diverse tipologie di case, tra cui accenna anche a come è fatta la casa greca. La casa greca ha
tre lati porticati. Nella misura in cui a Milano prende piede si trova una tradizione in cui i palazzi
sono porticati solo su tre lati, subito i letterati e gli eruditi del Quattrocento hanno ricollegato
plausibilmente questo elemento alla teoria della casa greca. Infatti Milano viene denominata
“novella Atene” anche da Filarete. Probabilmente ritroviamo la conferma della grande
componente di erudizione grecista che a Milano si era di usa. Nel fenomeno di recupero della
cultura dell'antico del Quattrocento milanese, vedere che nella tradizione locale c'è questa
caratteristica, permette agli architetti, ai teorici e ai letterati del Quattrocento di identi care una
presunta antichità di questo tipo già presente a Milano. È un altro elemento che si può portare
di che cosa rinascimento locale, cioè il cercare di identi care degli elementi della tradizione del
luogo come già presenti e associarli con una valenza antica, con un'idea dell'antico.
- 1863, 14 aprile: presentazione del progetto di rifacimento della facciata
da parte di Giovanni Battista Valtorta, con rimozione del portale.
Sicuramente la parte più rilevante del palazzo è la facciata, che noi purtroppo
non vediamo più perché Giovanni Battista Valtorta, proprietario del palazzo,
nel 1863 riesce a ottenere la possibilità di demolirla e di ricostruire una nuova
facciata. Il portale lapideo che oggi si trova. Lui dà alla commissione di
ornato due varianti quella col portale, quella senza portali. Fortunatamente il
portale salvato dagli eruditi milanesi, viene portato alle collezioni del castello.1862, 10 novembre: vendita del portale da parte di Giovanni Ba-ista Valtorta a Giuseppe Baslini

- Facciata del palazzo del Banco Mediceo, dal Codex Valencianus, già Biblioteca de la
1863, 14 aprile: presentazione del proge-o di rifacimento della facciata da parte di Giovanni Ba-ista Va
con rimozione del portale
1863, 8 giugno: ricorso di Giovanni Ba-ista Valtorta
1863, 16 se-embre: reclamo ulteriore di Giovanni Ba-ista Valtorta

Universidad de Valencia del Cid (disperso) - Fotogra a


KHI Firenze. Abbiamo due disegni esistenti in due
manoscritti: uno contenuto nel codice Magliabechiano della
Biblioteca Nazionale di Firenze, ma meno attendibile e un
altro contenuto in un manoscritto conservato alla Biblioteca
Universitaria di Valencia, oggi perduto. Di questo manoscritto
sopravvivono 19 fotogra e conservate al Kunsthistorisches
Istituto di Firenze. Questo manoscritto riportava una versione di disegni abbastanza fedele ad
un antigrafo sforzesco. Questo palazzo era a due piani che mostravano una facciata che al
piano terreno ha il portale centrale e due portali laterali.
Il piano terreno è separato, quindi il primo livello, è separato da una fascia marcadavanzale (le
nestre si appoggiano direttamente sopra questa sorta di trabeazione). Non ci sono piedritti
che la sostengono, ma ha la forma di una trabeazione e sopra.
Il rivestimento del piano terreno è a bugnato isodomo (quando tutti gli elementi di pietra che
rivestono la parete sono completamente identici e sono collocati in maniera sfalsata). Il
bugnato isodomo non esiste a Firenze almeno no agli anni 90 del Quattrocento quindi non si
potrebbe pensare che questo elemento sia orentino. Il bugnato esodo negli anni in cui viene
costruita questa facciata esisteva plausibilmente a Roma nel mausoleo di Adriano.
Altre informazioni ce le da il portale. Esso sopravvive in una forma non identica a quella
originaria. Nella versione attuale abbiamo un arco che continua lungo il pilastro e c’è l'ordine
maggiore con la trabeazione. Sembra un partito alla romana. C’è una parasta altissima,
assolutamente sproporzionata di ordine pseudo composito con capitello con volute a S (dal
mausoleo di Adriano). c’è una specie di imposta dell'arco appesa che ha sotto delle gotte
come se fosse un capitello dorico. C'è quindi una specie di sperimentazione sul dorico un po’
bizzarra. Queste non sono arrivate al castello.
In questo portale, che è la scanalatura delle lesene con una doppia cornice intorno alla
scanalatura che esiste in rarissimi casi in edi ci antichi a Roma conosciuti nel Quattrocento,
per esempio il tempio di Apollo Sosiano in Circo Flaminio. Siamo di fronte probabilmente a un
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architetto o ad desiderio di un committente che va a selezionare dei modelli romani antichi che
però non sono orentini.
Nel secondo livello vediamo una sequenza di nestre a coronamento sommitale troviamo una
cornice sommitale sorretta da mensole.

Elemento orentino abbastanza interessante è che di fatto queste paraste si trovano in una
composizione molto simile anche nella tomba di Leonardo Bruni e di Bernardo Rossellino in Santa
Croce. In questa facciata stiamo riscontrando degli elementi antiquari romani che a Firenze non ci
sono e ci sono solo a Roma. Non possiamo dire che questi elementi siano di cultura strettamente
orentina, tanto da consolidare l'ipotesi storiogra ca che una volta che arrivano i orentini a
Milano cambia tutta la cultura milanese. Il palazzo del Banco Mediceo probabilmente ha avuto un
impatto sulla cultura milanese molto notevole, ma non necessariamente va identi cato con la
moda orentina.

Queste sono le prove che il palazzo del Banco Mediceo aveva avuto un grossissimo successo
- Leo di Rozmital, Resoconti di viaggio redatti da Gabriel Tetzel, 1465-67. «We saw a ne
house at Milan wherein dwelt the merchants of Cosimo dei Medici».
- A. Averlino, Trattato di architettura, libro XXV, 1465 (?)
- Milano, chiesa di San Celso, Cappella di Galeazzo Maria Sforza, 1473. Nell’architettura
milanese degli anni 70, degli anni 80, del Quattrocento si trovano alcuni committenti che
desiderano avere certi elementi architettonici, come quelli della Casa dei medici. Galeazzo
Maria Sforza nel ’73 a San Celso dice che vuole il so tto di questa cappella come quello della
sala di Pagello.
- Varese, Palazzo di Ambrogio Gri , 1489. Ambrogio Gri era il medico degli Sforza. Aveva un
palazzo a valle a Varese, dove dice che sulla facciata vuole fare un'immagine scolpita di un
barone, un soldato con uno scudo in mano al modo dei orentini. Sappiamo che questo si
riferisce alla facciata del Palazzo Mediceo del Banco Mediceo perché sopra c'erano delle gure
in terracotta di soldati con lo scudo in mano e quindi sappiamo che probabilmente questi
elementi avevano avuto fortuna.

Cappella Portinari (1462-1468)


L’amministratore del Banco Mediceo a Milano, è Pigello Portinari.
Muore a Milano, nel 1468, ma prima di morire aveva destinato dei
fondi per realizzare una cappella nella chiesa di Sant'Eustorgio
dedicata alla conservazione della testa di San Pietro Martire, una
reliquia importantissima che era conservata in Sant’Eustorgio.

Questa cappella ha la pianta, esattamente molto simile alla


Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, fatta costruire da Cosimo de
Medici per conservare la tomba di Giovanni di Bicci Medici da
parte di Filippo Brunelleschi. Qua viene quasi automatico dire
che ovviamente Pigello Portinari, che era l'amministratore dei
Medici, ha voluto probabilmente emulare i suoi padroni facendo
un'operazione simile, cioè proponendo una cappella che ha le 1462-1468: Milano, Cappella Portinari

caratteristiche simili a quella destinata alle tombe dei Medici per la sua tomba. Siamo quindi di
fronte a una pianta quadrata con una scarsella quadrata, entrambe coperte da una volta a creste
vele o ombrello, esattamente come quella della sacrestia vecchia.

Questo edi cio è stato anch'esso molto discusso da parte della storiogra a, perché non
sappiamo chi l'ha fatto, non sappiamo esattamente chi sono i maestri che ci hanno lavorato. La
cappella è anche molto particolare perché gli elementi architettonici generali a grande scala sono
e ettivamente orentini e somigliano molto alla Sagrestia Vecchia di Brunelleschi, mentre gli
elementi architettonici minuti, cioè gli elementi decorativi e gli elementi singoli, si distanziano
invece dalla tradizione orentina. Gli studiosi hanno pensato di dire che in questo edi cio,
probabilmente di fronte a un modello suggerito dalla committenza, i maestri lo hanno poi
realizzato scegliendo di adeguarsi ad una cultura architettonica locale milanese anche per
questioni di gusto.

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L’antico senza l’antico: e Amadeo’s system
A un certo punto della nostra storia arriva Giovanni Antonio Amadeo. Giovanni Antonio Amadeo è
il mito incompreso del Quattrocento milanese, che ha proposto questo tipo di architettura e di
attitudine verso l’antichità. Per questo è stato coniato il termine di Amadeo’s System.

Nasce a Pavia ed è scultore e architetto, a partire dalla metà degli anni sessanta del XV secolo
risulta impegnato in tutte la maggiori fabbriche ducali (es. Certosa di Pavia). Nel 1481 viene
nominato insieme a Pietro Antonio Solari architetto della Fabbrica del Duomo. Nel 1486 gli viene
a data la realizzazione della facciata di Santa Maria presso San Satiro. Nel 1490 è incaricato con
Dolcebuono della costruzione del Tiburio del Duomo. Nel 1494 diventa ingegnere della fabbrica di
Santa Maria presso San Celso dove nel 1497 con Dolcebuono è responsabile dei lavori del
Tiburio. Nel 1495 viene nominato architetto principale dell’Ospedale Maggiore. Nel 1497 attivo nei
lavori della tribuna delle Grazie. Nel 1508 avvia la costruzione del primo dei quattro gugliotti del
tiburio. Prosegue i lavori alla fabbrica del Duomo no alla morte (1522).

Bergamo, Cappella Colleoni, 1472-77


È il primo edi cio che Amadeo in teoria ha progettato come architetto.
Soprattutto negli anni 70, quindi tra il 1472 e il 77 si occupa di
realizzare la mirabile tomba di un importantissimo condottiero della
Serenissima Repubblica che Bartolomeo Colleoni. Noi sappiamo che
questa cappella, che è adiacente alla chiesa di Santa Maria Maggiore
di Bergamo, era considerata una delle più importanti del tempo, perché
viene anche molto lodata dalle cronache. Nell'orazione funebre di
Bartolomeo Colleoni si testimonia il nome dell’architetto quindi vuol
dire che Amadeo ha probabilmente bene ciato anche della fama che
gli ha portato quest’opera.

Dal punto di vista planimetrico è semplicissima: è un vano quadrato


con sopra una copertura voltata e una scarsella. Il nucleo di base è
identico a quello della Cappella Portinari.

La cosa più rilevante osservata da tutti è questa incredibile facciata.


Qui si vede proprio come si applica la Amadeo’s System. Amedeo è
uno scultore, quindi è ovvio che riveste tutta la facciata di pietra perché
intanto fa lavorare tutti i suoi amici cavatori di pietra e mette in moto
l’economia e poi può valorizzare moltissimo, applicandolo
all'architettura, la sua competenza di scultore. Lui inizia a collezionare piccoli oggetti di antichità
trasportabili, come monete, facendoli diventare architettura. Tutti gli elementi sono ispirati a
modelli antichi piccoli, che vengono ridimensionati e realizzati in scultura. Ci sono in realtà degli
altri elementi che lui trae anche dall’architettura, come il rivestimento della parete sullo sfondo,
che lui prende dall’opus scutulatum nei pavimenti. Amadeo lo estrapola dalla sua funzione
originaria, perché questo di solito era un rivestimento pavimentale. Lo usa come elemento
decorativo però è antico. È una scelta di antichità, cioè un modo di fare l'antico senza l’antico,
cioè senza che ci siano antichità a grande scala a disposizione.

Il colpo di genio di Amadeo non è soltanto aver ideato questo stratagemma, ma questa strategia
è estremamente replicabile. Qualsiasi scultore, che avesse una minima competenza, una bravura
scultorea e una minima conoscenza di antichità in piccola scala si poteva procurare questi
oggetti. Questa tendenza ha una sua fortuna. Probabilmente questo tipo di architettura sposava
molto il gusto dei committenti lombardi perché era antiquaria di gusto antiquario ma estrema con
la possibilità di avere questo tipo di cromia variopinta che piaceva sempre molto. C'è una quantità
di denaro spropositato che è perfetto per un personaggio importante come Colleoni.

Questo sistema è estremamente replicabile, qua vediamo gli esempi:


- Certosa di Pavia, facciata, tondi con i pro li imperiali.
- Lodi, Duomo, cortile della canonica, tardo XV secolo Clipeo con il ritratto di pro lo
dell’imperatore Antonino Pio. Addirittura qua si riconoscono esattamente le monete da cui
vengono tutti i soggetti rappresentati.

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- Giovan Pietro da Rho, Portale di Palazzo Landi (dal 1481) a Piacenza e del Palazzo Stanga
a Cremona (dal 1489).
- Tommaso e Giacomo Rodari, Como, Duomo, Porta della Rana, 1507 circa
- Cremona, Palazzo Stanga Trecco, anni Novanta del XV secolo. Anche in terracotta. Qui si
riescono a riconoscere i modelli di riferimento.

Lezione 6, 09.03.2023
(Lezione sospesa)
Lezione 7, 14.03.2023

-Bergamo 1477: la formazione, il contesto e gli esordi di


Bramante in Lombardia-
Questo primo argomento si rivolge soprattutto sulla sua formazione iniziale e sulla sua prima
attività di pittore prospettico. Il primo argomento non riguarda edi ci costruiti, ma riguarda più la
cultura architettonica di Bramante, derivata dalla sua formazione iniziale nel contesto urbinate, e
poi la sua prima attività lombarda che si è svolta a Bergamo, quindi territorio della Serenissima
Repubblica, ma estremamente limitrofo alla città di Milano e in qualche misura sempre connesso
dal punto di vista culturale, anche con la capitale del Ducato Sforzesco. Spesso ci sono artisti o
architetti che lavorano a Bergamo e viceversa. Avviene che ci sia uno scambio di maestranze e di
personalità nei due contesti, proprio grazie alla vicinanza con il Ducato di Milano.

Bramante però, prima di arrivare a Bergamo ha una formazione in tutt'altro luogo. La sua
formazione è ancora avvolta da incertezze, nel senso che sappiamo alcune notizie, ma la sua
presenza a Urbino, presumibilmente all'inizio della sua infanzia e della sua prima giovinezza, di
fatto non è documentata. Abbiamo dei documenti che riguardano la sua famiglia, in particolare il
padre, il nonno, la famiglia di Bramante. In generale, però, noi non abbiamo documenti che ci
dicono ci testimoniano l'attività o la presenza di Bramante a Urbino dagli anni Cinquanta no agli
anni Settanta. Il primo documento che abbiamo che cita Bramante ce l'abbiamo nel 1481 (già
raggiunta una maturità professionale perché era nato nel 1444), quando è già a Milano. Questo
crea numerosi problemi perché abbiamo pochissime idee su cosa egli abbia fatto nei primi anni e
per una certa quantità, almeno per vent'anni, della sua vita.

Ci sono documenti sulla famiglia e noi sappiamo che Bramante è era glio di Angelo, che a sua
volta era glio di Antonio da Farneta e poi Vittoria di Pascuccio. La madre Vittoria di Pascuccio
aveva il padre (Pascuccio) con il soprannome Bramante. Il soprannome Bramante proviene dal
nonno materno. Questo Pascuccio, infatti, aveva accolto il genero, cioè il marito della glia, in
casa propria, proprio per il fatto che non aveva presumibilmente altri gli maschi e quindi la glia
con il genero avrebbero ereditato l'attività e anche i beni della famiglia. La famiglia di Bramante,
così composta, acquisisce a un certo punto tutta il cognome Bramante o il soprannome
Bramante, derivante appunto da un soprannome dato in realtà al nonno materno. La famiglia di
Bramante era composta da contadini, quindi non erano particolarmente abbienti, però non erano
neanche poveri. Pare che fosse una famiglia di contadini che viveva del suo lavoro senza
particolari stenti. Bramante aveva un fratello e sette sorelle e questo lo sappiamo da atti che
riguardano l'eredità del padre. Tutta questa storia di agricoltori marchigiani si colloca a
Fermignano, a Monte Asdrualdo. Pare che la tenuta di Pascuccio, detto Bramante, fosse sopra
questa collina nei pascoli in cima.

Le fonti che noi possiamo utilizzare che parlano di Bramante si dovrebbero basare in via teorica
su testimonianze oggi perdute, che però all'epoca erano ancora vive:
• Vasari. Vasari testimonia che Bramante già da piccolo avesse dimostrato una predilezione
per le arti e volesse subito dedicarsi. Viene instradato alla carriera artistica e se ne va.
Probabilmente va ad Urbino, città presso la corte Montefeltro, e rinuncia ai beni paterni in
favore del fratello. Dopo, nell'eredità della famiglia non compare più, cioè Bramante fa una
sua carriera artistica. Nasce circa nel 1444, ma anche questo lo sappiamo di desunta nel
senso che Vasari dice che Bramante muore a Roma nel 1514, a circa 60 anni per cui la data
1444 è desunta. Vasari ci dice che nella sua fanciullezza si esercitò nell'abaco, ovvero nel
calcolo. Ovviamente Vasari sa già che Bramante è esperto di prospettiva e quindi in quanto
pittore prospettico gli fa onore dire che si è esercitato n da bambino nella matematica.
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Questo non sappiamo quanto fosse realistico per una famiglia di contadini, ma comunque se
egli avesse avuto la possibilità poi di studiare ad Urbino e in strada nelle arti, tutto sommato,
può essere anche che ci fosse questo esercizio della matematica. Poi dice che il padre,
vedendo che egli si dilettava molto del disegno, lo indirizzò ancora fanciullo all'arte della
pittura. Vasari ci dice che di fatto Bramante studiò le opere di Fra Carnevale.

• Sabba da Castiglione (1549). Sabba da Castiglione supplisce alla mancanza vasariana


sabauda. Castiglione scrive una a un certo punto un'opera che si chiama I ricordi che sono
una sorta di sue memorie, dove egli racconta cosa in gioventù ha acquisito da molte
informazioni sull'area urbinate marchigiana in generale e di Bramante. Scrive nel 1549, quindi
già a metà del Cinquecento. Dice di Bramante che fu un pittore valente come discepolo del
Mantegna. Discepolo può essere interpretato in tanti modi. Sembra molto di cile, anche
cronologicamente, che Mantegna e Bramante si siano incontrati in un posto e Bramante
possa essere stato allievo di Mantegna secondo una idea moderna dell’alunnato. Questo
“discepolo” è stato interpretato più facilmente dalla critica come un discepolato culturale,
cioè qualcosa che Bramante può aver acquisito anche semplicemente visitando i luoghi dove
le opere di Mantegna si trovavano (probabilmente Padova e Verona). Saba da Castiglione
dice inoltre che era “gran prospettivo” di Piero della Francesca e su questo oggi molti
studiosi sono concordi. In più la parola “creato” è stata interpretata come è stato creato
quindi se Piero della Francesca lo ha creato, signi ca che proprio è stato suo allievo in senso
molto stretto.

Una delle prime cose che dobbiamo chiederci da bravi storici dell'architettura è che cosa poteva
vedere Bramante piccolo a Urbino quindi nella seconda metà degli anni Cinquanta.
• Piero della Francesca. Concentriamoci sugli aspetti che potevano
garantire a Bramante, tramite il suo maestro, un aggiornamento
estremamente attento sulle novità architettoniche del Quattrocento.
Dentro Piero della Francesca, potenzialmente si capisce che è un
pittore che ha un immaginario architettonico suo, quasi come se
facesse progetti di architettura con i mezzi della pittura e che
sicuramente aveva avuto la possibilità di studiare sia le opere antiche
sia le opere dei contemporanei o di chi era a lui immediatamente
precedente. Questa grande componente architettonica dell'architettura Piero della Francesca, La flagellazione, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 1458-1460 (?)

di Piero, che naturalmente era anche al servizio del fatto che fosse pittore di prospettiva poi
ha un impatto, cioè le opere di Piero della Francesca si sa che hanno un impatto visivo tale
negli artisti del tempo, che sono state esse stesse in grado di essere veicolo di modelli:
- A partire dalla Flagellazione 1458-1460 (?). So tto all’antica piano a lacunari
con rosette di moda a Firenze a partire da un’invenzione ferrarese. Questo
dettaglio ci racconta un'intera cultura, cioè questo dipinto è in grado di
restituirci a livello storico culturale un fenomeno di di usione di questo tipo di
so tto che probabilmente poi da Firenze passa anche ad Urbino, forse
proprio anche grazie a opere come questa. Ci racconta anche un'altra cosa
che l'architettura, non passa solo attraverso l'architettura costruita, ma anche attraverso le
opere che possono essere trasportate o che possono mediare alcuni contenuti culturali.
- A partire dalla Flagellazione 1458-1460 (?). Piero inserisce nella Flagellazione una
colonna. Il capitello è molto particolare, molto raro nel Quattrocento e praticamente
mai usato. Questo è un capitello composito che ha le volute angolari, cioè non
sono ortogonali ma sono a 45°, che nel Quattrocento non si usa mai. Poteva
vedere un modello antico che si trova oggi nella chiesa di San Salvatore di Spoleto.
È una chiesa medievale, presumibilmente di epoca longobarda però le antichità di Piero della Francesca, La flagellazione, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 1458-1460 (?)
Spoleto, San Salvatore, capitelli antichi di reimpiego

Benevento e di Spoleto di epoca longobarda, sono estremamente antiquarie, perché


avevano probabilmente a disposizione diversi spoliazioni da edi ci romani. Hanno
recuperato proprio pezzi da edi ci antichi che li hanno riutilizzati. Se Piero della Francesca
si fosse recato a Spoleto nella prima di realizzare la Flagellazione, avrebbe trovato una
situazione in cui, entrando pur nella chiesa medievale, c'era un allestimento del presbiterio
che ricordava l'antico o comunque era antico. Questo capitello ci dice che le antichità
locali, cioè quelle della zona, prestano i modelli per l’architettura.
- A partire dalla Flagellazione 1458-1460 (?). Ci sono anche modelli orentini perché era
aggiornato anche su Firenze. Il capitello del portico, invece, è molto simile ai capitelli che
Brunelleschi utilizza nella Ospedale degli Innocenti.
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- A partire dalla Sacra Conversazione (detta la Pala di Montefeltro). Questo dipinto
ha sicuramente degli elementi che poi sono importanti anche per la carriera
milanese di Bramante. Si immagina che lo conoscesse anche questo dipinto che
mostra degli elementi che possono essere compatibili con la cultura che si trova nel
periodo in cui il Palazzo di Urbino è diretto da Luciano Laurana. La pala Montefeltro
potrebbe avere anche lei degli addentellati, ovviamente con la loggia. Questa volta siamo
di fronte ad una volta a botte con lacunari all’antica, come quelle che si potevano vedere
negli archi di trionfo romani però in una versione moderna, quindi quattrocentesca, che un
giovane come Bramante poteva studiare.

• Bartolomeo Corradini detto Fra Carnevale (?). Queste sono le cosiddette Tavole Barberini.
Di queste ci interessa il fatto che se Bramante studia molto le cose di Fra Carnevale, forse
avrà studiato anche queste.
- A partire dalla Presentazione della Vergine al Tempio. C’è un arco di
trionfo, quindi conosce l’architettura romana. Questo arco di trionfo
non è da solo isolato, come si utilizzava per esempio nell'antica
Roma, ma è una sorta di ingresso o facciata (non lo sappiamo) di un
edi cio, quindi, Fra Carnevale sta mettendo l'arco di trionfo davanti
ad una chiesa, perché poi in fondo c'è un altare. È una proposta di
facciata antica e quindi sta prendendo un elemento dell’antico, ma
cambiandolo di signi cato e recuperando in maniera diversa. Dietro
poi ci sono tre navate, colonne che sorreggono archi e sopra le Bartolomeo Corradini de-o Fra Carnevale (?), Presentazione della Vergine al Tempio, Boston, Museum of Fine Arts

colonne c'è un cleristorio e c'è un so tto ligneo. Le caratteristiche sono di una basilica
paleocristiana. L'antico cristiano è antico, soprattutto quello di Costantino. Fra Carnevale
ci sta dicendo che la sua cultura dell'antico è tratta dall'antichità cristiana, come il capitello
che si riferisce alla chiesa di San Salvatore a Spoleto.
- A partire dalla Presentazione della Vergine al Tempio. Fra Carnevale
conosce anche l'antichità romana, nel senso che c'è l’abside.
L'abside ricorda nella sua struttura in maniera incredibile l'abside del
Pantheon. È probabile che Fra Carnevale conoscesse il Pantheon
oppure che avesse preso ispirazione dall’abside di San Salvatore a
Spoleto. Che fra Carnevale abbia preso questo elemento dal
Pantheon o da San Salvatore di Spoleto, per noi è lo stesso perché è
un edi cio, un elemento antico che noi sappiamo comunque non solo
era di uso a Roma, ma era di uso anche in un antichità locale quindi, Bartolomeo Corradini de-o Fra Carnevale (?), Presentazione della Vergine al Tempio, Boston, Museum of Fine Arts

ancora di più, poteva essere identitario per il luogo.


• A partire dalla Presentazione della Nascita della Vergine. Filippo Lippi
dipinge la sua Annunciazione che si trova nell’abside della Cattedrale di
Santa Maria Assunta a Spoleto. Le fasce superiori della ghiera dell'arco
nell'Annunciazione di Spoleto di Filippo Lippi invadono il pezzettino di
trabeazione.

• Palazzo ducale di Urbino. Filippo Lippi, Annunciazione, Spoleto, ca-edrale di Santa Maria Assunta, abside

Un altro dei possibili riferimenti successivi alla agellazione potrebbe Bartolomeo Corradini de-o Fra Carnevale (?), Nascita della Vergine, New York, Metropolitan Museum

essere uno dei capitelli realizzati da Luciano Laurana nel cortile del
Palazzo Ducale di Urbino. Il grande colosso edilizio di Urbino nel
Quattrocento è sicuramente questo palazzo, questa “città in forma di
palazzo” come ci dice Baldassarre Castiglione, cioè un palazzo
talmente grande che di fatto si con gura anche come esperienza
urbana e modi ca in modo indelebile la precedente struttura del borgo
di Urbino. Il palazzo è presumibilmente il palazzo che Bramante,
quando era giovane, ha visto in costruzione l'impresa del Palazzo
Ducale. Il nucleo originario del palazzo, il cosiddetto Palazzetto della
Jole, era la residenza di Federico da Montefeltro prima che decidesse
di ricostruire tutto il Palazzo Ducale. Si avvia la costruzione del nucleo
attorno al cortile con la supervisione di un architetto e scultore dalmata
che si chiama Luciano Laurana. Siamo a cavallo negli anni Sessanta e
no ancora dopo il 1468. Quando Laurana muore, il cantiere viene
rilevato da un architetto molto famoso che si chiama Francesco di Giorgio Martini, senese,
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esperto di idraulica e forti cazioni, anche pittore. A Francesco Di Giorgio si deve il
completamento di una parte del cortile e poi tutta la realizzazione dell'ala del cosiddetto
giardino pensile con sotto i locali di servizio, tra cui le cucine, tutto l'approvvigionamento
idrico del palazzo. Questo palazzo aveva l'acqua calda e aveva il bagno con l'acqua calda.
Una delle cose più innovative di tutto il Quattrocento è la loggia. È un sistema di archi
sovrapposti che si ra na mano a mano che si sale. In particolare l'ultima che è quella
realizzata quando Federico da Montefeltro è già diventato duca dopo il 1474 (v. FE
DUX). L’architetto Laurana mostra una predilezione sia per l'antico e sia per
l'architettura orentina sbilanciata verso Leon Battista Alberti. L'antichità romana si
vede subito perché questa tipologia di composizione di parete deriva probabilmente dal
anco del pronao del Pantheon.
Luciano Laurana riceve una patente ducale nel ’68, quindi nel 68 siamo sicuri che
ancora è il capocantiere, mentre invece ai primi anni 70 si perdono un po’ le notizie. Nel 74,
quando Federico da Montefeltro diventa duca, probabilmente ancora il cantiere governato da
Luciano Laurana. A un certo punto subentra Francesco di Giorgio Martini, probabilmente nel
76-77. Alcuni studiosi dicono che Francesco Di Giorgio aveva forse iniziato a lavorare anche
quando c'era Laurana, ma non c'è la sua presenza no al 77, cioè non lo sappiamo. Poi
mantiene invece il cantiere del palazzo anche nei primi anni 80, quindi no alla morte di
Federico da Montefeltro che avviene nel 1482. Se Bramante è stato a Urbino no all'inizio
degli anni 70 o no a metà degli anni 70, conosce anche Francesco di Giorgio Martini se no
la conoscenza delle opere di Francesco di Giorgio Martini a Urbino diventa un po’ più
problematica. I due sicuramente si sono almeno incrociati in qualche modo e poi sappiamo
che diventano amici.
Il cortile è ancora della fase di Luciano Laurana, ma è completato da
Francesco Di Giorgio, perché è una delle prime cose in cui Francesco
Di Giorgio viene messo è completare le opere che Laurana aveva
lasciato incompiute, tra cui c'era il cortile, quindi forse Francesco di
Giorgio completa la parte superiore. Il cortile testimonia un certo
discepolato verso la cultura orentina (un ordine maggiore che è
quello angolare con le paraste; paraste sorreggono una trabeazione;
dentro la trabeazione sono collocati gli archi sulle colonne; la ghiera
dell'arco s ora l'architrave della trabeazione). Si presume che Laurana
si fosse ispirato a elementi brunelleschiana. C'è una grandissima
novità è questo pilastro nell’angolo: Laurana decide di risolverla così, cioè realizza un pilastro
a forma di L. È tutto un blocco unico in cui si comprendono i due pilastri più le semicolonne
che formano una L, quindi da dietro si vendono i due pilastri e 1/4 di colonna. I capitelli
dell'ordine superiore dimostrano di conoscere Alberti (prende la soluzione angolare della
facciata di Santa Maria Novella, progettata da Alberti e vi mette una specie di sintesi di
quello che ha visto).
Francesco Di Giorgio realizza la facciata del palazzo che dà verso la piazza. La facciata dei
Torricini è l'immagine del duca verso fuori, cioè verso Roma, perché
poi lui era legato delle Marche, quindi doveva molto al Papa. Questa
invece è l'immagine del Duca ai cittadini ed è la facciata più ricca,
cioè quella più ornata. Ovviamente è incompiuta perché sarebbe
dovuta essere completamente rivestita di bugnato con bugne lisce e
bugne tutte uguali (bugnato isodomo). Questo lo fa Francesco di
Giorgio Martini. Grande novità sono le nestre cosiddette a edicola.
Queste nestre sono una specie di microarchitettura, come se fossero
due piedritti, cioè due lesene con sopra una trabeazione. Questa è
una nestra che Francesco Di Giorgio si è immaginato fosse all'antica ed è trattata come una
porta. Qua porte e nestre sono molto simili e tutte due sono a edicola.
Ulteriore novità del Palazzo Ducale di Urbino lo scalone che occupa un suo spazio. È uno
scalone monumentale che occupa tutto il corpo di fabbrica dal piano terra all'ultimo piano,
con due rampe contrapposte voltato a botte. Ha la novità di avere una colonna libera, adesa
alla muratura su cui infatti si poggiano anche gli archi della volta.
Il giardino pensile è la grande novità di Francesco di Giorgio Martini, che un
giardino sopraelevato. È una zona all'aria aperta, dove il duca ha un giardino
segreto, utilizzabile ovviamente soltanto dai duchi e dove c'è anche un'idea
di godimento del paesaggio circostante. Francesco Di Giorgio ha pensato di
mettere in un angolo del giardino un gigantesco scalone elicoidale con una
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rampa percorribile anche a cavallo. La scala era collegata anche con un'uscita di sortita con
una porta nascosta utile in caso di fuga (Francesco di Giorgio è anche ingegnere militare!!).
Francesco di Giorgio fa uno spazio aperto in cui però chi idealmente si a accia a vedere il
paesaggio si a accia da uno spazio chiuso. C'è una sorta di ambiguità concettuale nel
trattamento di questo giardino pensile tra un interno e un esterno. Anche questa attitudine di
giocare con gli elementi architettonici e con gli spazi per simulare o dissimulare alcuni
concetti è una caratteristica che poi è propria degli architetti che considerano l'illusione
come un elemento proprio dell'architettura che progettano. Questo per Bramante sarà
interessante e anche per molti architetti della ne del Quattrocento.
Sotto al giardino pensile ci sono tutti i locali di servizio. C’era anche un sistema di cisterne
che consentiva di raccogliere l’acqua piovana dal giardino e fare un sistema di condutture in
cui si scaldano le cucine.
Una delle componenti più interessanti del palazzo di Federico da
Montefeltro è lo Studiolo. Questo ambiente ad uso esclusivo di
Federico II era completamente arredato con armadi intarsiati e dipinti
nella parte superiore. L’ambiente era utilizzato per attività personali
del Duca che possono essere la lettura. In questo studiolo, una
grande importanza hanno rivestito le tarsie lignee che adornano i Francesco di Giorgio Martini (?), Tarsia dello

mobili. Il soggetto della tarsia è l'architettura e il paesaggio. Questa


scoia3olo, Urbino, Palazzo Ducale, studiolo di
Federico da Montefeltro, entro il 1476

tarsia presenta molte innovazioni dal punto di vista architettonico nell'arco tanto che alcuni
studiosi hanno voluto immaginare che fosse su disegno di Francesco di Giorgio Martini.
Forse la realizzazione a è da attribuire a Baccio Pontelli.

Lezione 8, 16.03.2023
I due progetti di Francesco di Giorgio Martini cadrebbero cronologicamente dopo la partenza di
Bramante da Urbino. In teoria questi due edi ci parrebbero comunque riscontrare poi una
conoscenza da parte di Bramante anche se non quadrano però le date. Si collocano
cronologicamente quando in teoria Bramante ha già la sua attività nel Nord Italia e Francesco Di
Giorgio era da pochi anni da poco tempo impiegato a Urbino. I due progetti sono: il duomo di
Urbino e San Bernardino ad Urbino.
Francesco Di Giorgio è anche uno dei primi traduttori del Trattato di Vitruvio, nel senso che nei
suoi scritti teorici esistono anche alcuni alcuni brani che sono proprio traduzioni in volgare del
testo del trattato di Vitruvio. Vuol dire che sapeva anche il latino, a livello tale da tradurre Vitruvio,
che non era una cosa facile. Duomo, Urbino | ante 1482 - 1510 circa

Duomo, Urbino | ante 1482 - 1510 circa


Si tratta del grande progetto del Duomo che è questo edi cio. Nel
complesso di edi ci, di cui Federico da Montefeltro si interessa, c'è
anche la nuova cattedrale che però oggi noi non vediamo. Il Duomo di
Urbino è stato poi ricostruito nel Settecento. Ci sono però delle fonti
che hanno permesso agli studiosi di ricostruire in maniera piuttosto
dettagliata come fosse il progetto di questa cattedrale
quattrocentesca e in parte realizzato, perché poi sappiamo anche che
non è stato, non era stato completato in tutti i suoi aspetti.
Il progetto del Duomo va datato sicuramente prima del 1482, perché il 1482 è la morte di Federico da Montefeltro e
quindi, quando Federico da Montefeltro muore, tutte le fabbriche che erano state da lui avviate ovviamente
proseguono. Il 1510 è la prima fase di lavori che si chiude qui. Quando precisamente il progetto del Duomo di Urbino
sia stato avviato, non è chiarissimo. Leggendo nella storiogra a comune salta fuori questa data 1474 perché è l'anno
in cui Federico da Montefeltro diventa duca, quindi trova anche una certa autonomia politica dallo Stato della Chiesa,
entro il quale precedentemente Urbino rientrava in quanto legato ponti cio. In quell'anno, infatti, c'è una bolla papale
che testimonia la richiesta da parte di Federico da Montefeltro e anche della diocesi di Urbino di ricostruire la
cattedrale. Quando si fa una bolla di approvazione papale, non è detto che poi immediatamente partano i lavori o ci
sia già un progetto esistente. Bisogna anche pensare che il 1474 è una data un po’ troppo precoce per la presenza di
Francesco Di Giorgio.
Il modello ligneo Manfredo Tafuri fu realizzato negli anni 90, quando è stata
fatta la mostra su Francesco di Giorgio Martini per restituire al pubblico di
avere una coscienza piena di come poteva essere il progetto di Francesco
Di Giorgio. È stato fatto questo modello ligneo sulla base di dettagli che si
ritrovano a livello documentario iconogra co di come era fatto il Duomo
prima della ricostruzione settecentesca. Questo modello è molto semplice,
cioè non è ri nito no nei particolari decorativi.
Era un edi cio a tre navate con un transetto sporgente. La pianta della
cattedrale rimane la stessa anche nel Settecento. Spicca entro questo
questa proposta sostitutiva di com'era il Duomo il fatto che 27 delle tre navate
laterali sono voltate a crociera e quella centrale è voltata a botte. Siamo
ipoteticamente nei primi ne anni 70, primi anni 80 del Quattrocento,
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quando lo costruiscono. In quel periodo chiese con navata centrale o navata unica, nel caso voltate con volte a botte
uniche e continue, cioè senza nessuna apertura all'antica ce ne sono pochissime. Una che possiamo citare è
sicuramente Sant'Andrea di Mantova di Leon Battista Alberti (a navata unica, ma solo nel progetto) e la chiesa
cosiddetta della Badia di Fiesole, promossa da Cosimo e Giovanni Medici. Questa volta a botte poggia su delle pareti
imponenti perché le volte a botte sono molto pesanti e quindi naturalmente necessitano di contra orti pure rilevanti.
Ci sono archi a tutto sesto su pilastri (generalmente abbiamo colonne). Questo elemento è molto signi cativo perché
Francesco di Giorgio Martini dimostra un aggiornamento sull’antico dall'architettura romana, che aveva
prevalentemente archi su pilastri. Francesco Di Giorgio poi realizza un capitello che è diviso in tre parti. Lui è maestro
di ambiguità degli elementi. Vi mette questa cornice di questa imposta degli archi, in cui uno non potrebbe
concettualmente perfettamente capire se si tratta di un capitello o di una trabeazione. Per questo motivo è stato
anche coniato il termine di ordine contratto, cioè al di là se sia un capitello o una trabeazione è tutto insieme, cioè è
fuso, come se se gli elementi sono completamente fusi insieme. Mancano anche le basi. È un edi cio completamente
nuovo, cioè praticamente non abbiamo dei precedenti dell'architettura del Quattrocento che possono essere stati da
modello rilevante.
Abbastanza innovativa è la facciata anche se, dal punto di vista documentario, è meno
chiara come fosse l’articolazione. Tafuri se l'è immaginata in rapporto con le altre due
facciate di Sant’Andrea di Mantova e con la facciata del Duomo di Pienza, progettata
da Bernardo Rossellino. Tafuri si era immaginato che la facciata fosse coronata da un
timpano all'antica e che poi fosse divisa in tre parti, corrispondenti alle tre navate
interne, con questa sorta di archi che le facevano assumere un aspetto come di arco di
trionfo. Era una specie di crasi tra una facciata templare antica e un arco di trionfo. Mantova, Sant’Andrea, facciata
Pienza, Duomo, facciata
Urbino, Duomo, ricostruzione lignea del proge-o di
Francesco di Giorgio Martini (Tafuri 1993)

San Bernardino, Urbino | dal 1481-1482

San Bernardino, Urbino | dal 1481-1482


La chiesa si trovava originariamente all'interno di un complesso
francescano e Federico da Montefeltro la sceglie come proprio
mausoleo, cioè subito dopo l'inizio degli anni 80 Federico da
Montefeltro promuove la ricostruzione di questo complesso
conventuale già decidendo che vuole stabilire qui la sua
sepoltura. Poi muore nel 1482, per cui ha avuto un'idea che era in
tempo con gli avvenimenti della sua vita.
Il progetto dovrebbe ricadere nel 1481, quindi anche in questo
caso è sicuramente di Francesco di Giorgio Martini. Ricade negli anni in cui Bramante è proprio
documentato a Milano.
Questo San Bernardino è un edi cio che è collocato sulla collina di fronte alla città di Urbino. San Bernardino guarda
la città con la facciata rivolta verso la città. Simbolicamente anche Federico da Montefeltro, morto, guarda la sua città
e in Santa Chiara viene sepolta Battista Sforza. C’era questa idea di Manfredo Tafuri che i due coniugi si guardassero
da una parte dall’altra, come nel doppio ritratto di Piero della Francesca. Questo ovviamente però rientra nella
poetica della storia dell’architettura, perché non abbiamo attestazioni documentarie che riguardino questo aspetto.
Questa chiesa sembra una specie di fortezza. Questo è proprio tipico di Francesco Di Giorgio, che era anche
architetto militare. Usava che esternamente i suoi edi ci fossero molto semplici e anche però imponenti, cioè con
delle murature poderose e con queste semplici cornici orizzontali. Non ci sono elementi verticali, ma solo orizzontali.
Questo Francesco Di Giorgio lo scrive e teorizza quindi questo modo di costruire gli esterni tramite recinti. Secondo
lui, i recinti ingabbiano l'edi cio dandogli unitarietà e quindi devono essere continui su tutto il perimetro.
La pianta è a navata unica e voltata a botte all’antica, con presbiterio sui generis, con un vano quadrato, le cui pareti
sono sfondate da queste tre nicchie (organismo triconco). In questo vano ci sono anche delle colonne libere. Questo
tipo di impianto, con le colonne libere ai lati, si trovava frequentemente nei mausolei antichi. Questo testimonia che
probabilmente Francesco Di Giorgio ha studiato anche i sepolcri antichi per avere dei modelli di ispirazione su cui
basarsi per realizzare il mausoleo di Federico da Montefeltro.
Sopra lo spazio centrale c’era una cupola semisferica però questa cupola all'esterno non si vede (tiburio rotondo).
Questo straordinario ordine architettonico composito su piedistalli caratterizza le
colonne angolari libere. Interessante è la trabeazione, l’architrave, il fregio, la
cornice con il fregio decorato con un'iscrizione gigantesca in capitale romano
antica. Per fare questa iscrizione loro andavano a studiare le iscrizioni antiche,
cercando di restituire il più possibile delle lettere che fossero a immagine di quelle
utilizzate dai romani. Anche attraverso il segno gra co della scrittura, passava la
moda per l’antico.
C'è una versione moderna della bifora a che è quadrata con la colonna. È una sua
interpretazione di un elemento nestrato che già esisteva nella tradizione che
viene reinterpretato in questo modo.
Dentro il presbiterio, le nicchie che attorniano che sfondano i lati del quadrato sono aperte da archi
su pilastri. Questo non è strano, lo abbiamo visto anche altre volte con una cornice passante che
passa dietro le colonne. Questa ghiera ad arco non dovrebbe invadere le fasce dell’architrave. Lo
avevamo già visto nell’opera di Filippo Lippi a Spoleto. Per Francesco Di Giorgio questo elemento è
anche più grave che si sia fatto contagiare, perché lui nel suo trattato scrive proprio che nessuna cornice deve
invadere la trabeazione. Il fatto che inserisca questo elemento ha fatto sospettare agli studiosi che sia proprio voluto,
che ci sia quindi una intenzionalità.
C'è anche un piccolo chiostro che a anca questo edi cio che però è stato realizzato a
partire da dopo il 1482, quindi dopo la morte di Federico da Montefeltro. Fino ad ora la critica
non è molto concorde nel voler attribuire anche il chiostro a Francesco Di Giorgio o a qualche
architetto successivo che semplicemente ha utilizzato 28 degli elementi architettonici
martiniano. In questo chiostro ci sono i pilastri che hanno delle piccolissime basi.
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Bramante nasce nel 1444. Dalla nascita al 1477 non c'è Bramante. Improvvisamente salta fuori
Bramante a Bergamo senza sapere le ragioni. Gli danno un ciclo pittorico tra i più importanti di
tutta la Serenissima Repubblica Bergamo. Doveva essere almeno considerato un bravo pittore. Ci
possiamo immaginare che sia passato per il Veneto, che abbia visto opere di Mantegna e
Donatello e che, dopo questo, sia arrivato a Bergamo. Il primo documento noto su Bramante in
assoluto, cioè dove siamo sicuri che quello lì è Bramante, è del 1481 ed è già a Milano.

A Bergamo gli sono attribuite delle gure di loso che si trovavano un tempo dipinte sulla
facciata del Palazzo del Podestà (oggi sono state staccate nel 1927 e sono state portate nel
Palazzo della Ragione). Sappiamo che le abbia dipinte Bramante sulla base dell'incrocio di due
fonti pressoché coeve o di poco successive:
- Marin Sanudo (1483): informa su gure di Filoso sulla facciata del palazzo del Podestà
realizzate al tempo in cui Sebastiano Badoer era pretore e Giovanni Moro prefetto 1477-1478
(almeno no al 22 aprile). Bergamo appartiene alla Serenissima dal 1428 e come tutte le città di
terraferma, aveva due delegati, due rettori incaricati dalla Serenissima e obbligatoriamente
patrizi veneziani che risiedevano in città a governo della città. In particolare, il podestà si
occupava della giurisdizione interna della città e delle amministrazioni interne. Il podestà
risiedeva proprio nel centro, nel nuovo centro urbano della Serenissima, in città alta Bergamo,
nel palazzo che poi viene chiamato del Podestà. Sebastiano Badoer entra in carica come
podestà il 22 aprile del 1477 e Giovanni Moro, che è già capitano nel 76, nisce la carica dopo
l'inizio del 1478, quindi la nestra di tempo in cui i due sono in carica contemporaneamente
sono sei mesi, cioè tra la primavera del 77 e l'inizio del 78. Sulla base di questa informazione,
quindi, se Marin Sanudo ha ragione, i loso sono fatti in quella nestra di tempo.
- Marcantonio Michiel (1521-1543): cita il nome di Bramante come autore degli a reschi. Questa
fonte successiva poteva basarsi ovviamente su testimonianze che noi oggi non sappiamo.

Bergamo è appartenuto no al 1428 alla signoria N


dei Visconti, odiatissimi dai bergamaschi. I Visconti △
erano dei tiranni e monarchi assoluti. I Visconti a
Bergamo non hanno un interesse a rendere ricca la Palazzo del Podestà
città. A loro interessava che fosse ricca Milano e
tutte le città su che di solito pagavano delle tasse
altissime e venivano economicamente distrutte. Campanone
Quando nel 1428 Bergamo entra nella Serenissima, (Torre Civica)
Bergamo si dona alla Serenissima perché non
sopportavano i Visconti. Nel 1428, come altre città,
apre le porte ai veneziani e i Veneziani insediarono
l'amministrazione di Terraferma con i due rettori. Di Cappella Colleoni
Palazzo della Ragione
solito, inoltre, la Serenissima non aveva interesse a
cambiare o compromettere le vecchie istituzioni
comunali: era molto rispettosa di chi si donava. Il
Comune di Bergamo in quel momento ridiventa Duomo
importante, si restituiscono le magistrature S. Maria Maggiore
dell'identità comunale e il vecchio Consiglio degli
Anziani, che era un'istituzione ancora medievale,
riaccoglie nel suo seno i patrizi bergamaschi. Bergamo, QuestoCittà Alta, piazza Vecchia e piazza del Duomo
atteggiamento della Repubblica si
rispecchia molto anche nelle caratteristiche architettoniche e urbane delle degli interventi che la
Serenissima promuove nelle città di Terraferma. Venezia non distrugge i vecchi palazzi del
Comune, ma di solito erige o promuove la costruzione di altri edi ci che siano simbolo della
Serenissima Repubblica accanto alle vecchie istituzioni comunali. Tutto il centro di Bergamo
medievale stava intorno alla cattedrale Santa Maria Maggiore e il grande Palazzo della Ragione.
Dall'altro lato del Palazzo della Ragione, che era chiuso da un muro, la Serenissima fa fare dei
restauri, fa aprire gli archi e quindi mette comunicazione l'altra parte della città.
Dall'altro lato, viene costruita la loggia a partire dal 1435 e poi ricostruito nuovamente nel 1453 e
ancora in corso di decorazione negli anni 60 e 70. La loggia non c’è più perché è stata demolita
per la realizzazione del Palazzo Nuovo. Non sappiamo come fosse, ma ci sono delle descrizioni
che ci fanno capire che era proprio la cosiddetta loggia veneziana, cioè il palazzo simbolo. Era il
simbolo della Repubblica dove si riuniva il consiglio cittadino, in cui siedono anche i rettori, il
podestà, il capitano. C’è la cancelleria dello stesso edi cio e il regio (balcone per i proclami).

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Inoltre c’erano i palazzi che erano decorati con stemmi della Serenissima e con leoni.
Abbiamo una tarsia lignea che testimonia come fosse la Piazza Vecchia nel
Quattrocento dall’intarsiatore bergamasco Damiano Zambelli. Oggi si trova nella chiesa
di San Bartolomeo, ma originariamente non era lì. È l'unica immagine che ci fa vedere il
Palazzo della Ragione, prima in teoria di un grosso incendio e delle devastazioni che
vengono perpetrate nel 1509, quando Bergamo è presa dai francesi. Fra Damiano Zambelli, Tarsia con piazza vecchia di
Bergamo, Bergamo, coro di S. Bartolomeo

Proge o per il Duomo di Bergamo (1457)


Un grande progetto era stato fatto nel 1457 perché nel 1457 il vescovo di Bergamo Giovanni
Barozzi, anche lui veneziano, voleva far rifare la cattedrale nuova, più grande. Fa una permuta di
spazi col Comune, dandogli una parte di piazza e demolendo un pezzo di Palazzo della Ragione.
Per fare questo progetto, si chiamò originariamente il orentino più vicino è a Milano che era
Antonio Avellino, detto Filarete. Nel 1457, abbiamo proprio il salvacondotto del Duca di Milano,
cioè Francesco Sforza, che dà il permesso. Oggi non lo vediamo proprio nella versione di Filarete
però l'impianto generale sì (la pianta della parte della navata, la presenza della cupola e il
basamento). La cattedrale però, purtroppo va molto lenta nella costruzione, quindi alla ne del
Quattrocento era stata costruita soltanto in parte. Oggi la versione attuale del Duomo è il progetto
di Carlo Fontana, che però deve aver conservato le preesistenze.
Progetto di Filarete.
Sappiamo che la navata con le cappelle laterali era la pianta che
Filarete aveva immaginato e poi abbiamo i trattati. Abbiamo diversi
disegni dal trattato della facciata (da prendere con le pinze!!) del
Duomo di Bergamo. Per quanto i tre disegni di eriscano in qualche in
qualche dettaglio si riconosce un bel basamento bugnato e poi anche
lo opus reticulatum. C’è un timpano di coronamento sopra, quindi con
un tipo di architettura templare. In ne c’è un ordine di paraste che Codex Magliabechianus Codex Valencianus
Album Rothschild, Parigi, Cabinet des

inquadravano nicchie in cui c'erano delle statue.


dessins du Louvre

Abbiamo sempre nel manoscritto Magliabechiano la pianta della


cattedrale, che più o meno corrisponde a quella attuale, come forme
generali. La pianta è estremamente innovativa perché ha una navata
unica con cappelle semicircolari. La chiesa con cappelle semicircolari,
tutto intorno Firenze, è Santo Spirito di Brunelleschi.
Abbiamo la parete della navata con archi su pilastri e poi sopra voltato
(non sappiamo come fosse voltato). In mezzo c’era un matroneo. Ci
piacerebbe molto che fosse una volta botte perché altrimenti non si
spiega la necessità di fare il matroneo perché si realizza come
contra orte la volta a botte. 1457: Proge-o per il Duomo di Bergamo e chiesa degli eremiti di S. Girolamo per la duchessa di Milano

Chiesa di San Gottardo in Sudorno


Nel 1462, su un colle al di fuori delle mura, in realtà i serviti, devono costruire,
ricostruire il loro complesso monastico con la loro chiesa. Anche loro vogliono
Filarete e chiedono alla duchessa di Milano. Non sappiamo se Filarete ci sia andato,
ma anche la chiesa di San Gottardo aveva nelle sue caratteristiche essenziali qualche
similitudine con il Duomo di Bergamo (navata unica con cappelle, il matroneo e la
volta a botte). Sarebbe già la seconda chiesa, volendo costruita con delle
caratteristiche simili al Duomo di Bergamo aveva fatto un certo successo nella città.

La fortuna del matroneo


Il matroneo, questo elemento che Filarete introduce nel Duomo, di fatto è una specie di novità. Nel Trecento non
aveva proprio avuto più tanto successo nell'architettura gotica perché serviva a esigenze strutturali. Quando c'era
una imponente copertura voltata alla quale si volesse, si voleva garantire una stabilità, il matroneo aveva una
funzione statica molto signi cativa. Il di ondersi dell'idea dell'iniziativa di realizzare nuovamente volte a botte
all'antica probabilmente ha condizionato anche il recupero di questo elemento. Nel Quattrocento c'è una sorta di
ri oritura nuova del matroneo.

Questo è Palazzo del Podestà oggi, in una versione ricostruita a partire dal Cinquecento.
I loso erano al secondo piano nobile. Quando sono stati ritrovati sotto l'intonaco successivo, i
lacerti frammentari degli a reschi di Bramante sono stati staccati in una certa quantità di
frammenti che oggi sono esposti, tutti separati. In questa ricostruzione si vede dov’erano
collocati. Si trattava di un ciclo molto particolare, perché non sono molto frequenti cicli pittorici
che propongono gure di loso antichi. Il tema è un tema antiquario, perché si tratta dei Savi
dell’antichità. È il Palazzo del Podestà e la Serenissima Repubblica dà un'immagine nella piazza
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N

Palazzo del Podestà


pubblica della Repubblica del Buongoverno. È
stata fatto uno studio sull'identi cazione di questi
loso . Ogni losofo è accompagnato tiene in
mano un libro e sul libro ci sono dei motti, delle
iscrizioni che sono tratte dalle massime di quei
loso e poi hanno anche i nomi. Facendo un
incrocio tra le iscrizioni sui libri e il nome dei
Pittori Bergamaschi - UBI Banca Popolare
SOLONEdi Bergamo EPIMENIDE IGNOTO IGNOTO PERIANDRO PITTACO CHILONE

quanto si possa giudicare dallo stato dei lacerti e dalla puntuale ricostruzione -

loso si sono identi cati cinque di sette. Questa - nalisi dei dettagli architettonici sembra regalare alcuni spunti sulla cultura ar-
chitettonica di Bramante a questo stadio della sua carriera. I brani meglio leg-

serie di loso è una serie che nel Quattrocento


Epimenide (1D), il frammento 1F appartenente
una balaustra (la cui presenza lungo tutta la fronte, in mancanza di resti, è solo Chilone (1I) e i brani con la balaustra (1L, 1M, 1N). Epimenide
ipotizzata), con aperture sul cielo retrostante. è incorniciato da un ordine architettonico con semipilastri trabeati addossa-

era abbastanza studiata perché aveva trovato L’architettura dipinta si sovrapponeva alla facciata reale del palazzo, simulan-
do una nuova architettura completamente disegnata ( 1969, pp. 102-
103), con scorci prospettici fortemente laterali e uso di numerosi punti di fuga
ti a una parete: mentre le due aperture quadrangolari e simmetriche che si

è connotato in senso antiquario dalla presenza di lacunari con rosette. I pila-

di usione e fortuna nel Quattrocento un testo che Duomo


collocati al di sotto della fascia dipinta. Se vogliamo considerare la composi-
zione d’insieme opera di Bramante, riveste una certa importanza la scelta da
stri sono privi di basi e mostrano imposte semplici, connotate da una serie di
modanature inferiori che continuano lungo la parete, tanto che sembrano co-

decine di metri di distanza e quasi completata nella primavera del 1477 (si veda
parte dell’artista, già nella sua prima opera lombarda, di proporre architetture stituire allo stesso tempo il capitello del semipilastro e una parte della trabea-

si chiama Le vite dei loso di Diogene Laerzio. -


zione aggettante. Questo modo di usare degli elementi architettonici, come è
noto, ricorda molto da vicino quello di Francesco di Giorgio Martini. Le uniche

Pare che questo ciclo si sia ispirato sulla base di


tingenze non permettono realizzazioni concrete. opere precedenti al 1477 nelle quali compaiono pilastri senza basi con un tipo
96 97

anche quanto dice Diogene2002, Laerzio.


p. 179). Del resto il rapporto tra Bramante e Giovan-
Indagando la gura di Sebastiano Badoer, patrizio veneziano e umanista egli stesso, si è pensato
già sulla facciata del Palazzo del Podestà, Bergamo, Palazzo della Ragione

ni Antonio
cheAmadeo
il regista delaprogramma
Bergamo nel 1477
iconogra co e la non dovrebbe
scelta essere
di rappresentare quali sottovalutato,
loso , si debba al
committente.
anche alla
La luce
culturadella notizia
architettonica cheche in quello
troviamo stesso
dentro questo anno
ciclo urla a lo scultore
Urbino. Non c'èpavese
dubbio che erail
regista dell'operazione pittorica del progetto pittorico di tutto il ciclo abbia conosciuto la cultura
attivo perarchitettonica
il palazzourbinate.
della Ragione,
Sulla base diper il quale
questa ricevevaBramante
considerazione, il 28 febbraio
è abbastanza 100certo,
lire
mentre dal punto di vista pittorico gli studiosi attribuiscono al pennello di Bramante, soltanto due
mperiali dei
“pro losoinsignis positis
, (Epimenide, ChiloneinePallatio
la testa di dicti comunis”
Periandro). A Bramante(BCBg, Archivio
va l’impaginato Storico
comune.

del Comune di Bergamo, Sezione Antico Regime, Registri delle azioni, 2, f. 125r;
Donato Bramante (aiuti), Epimenide, Bergamo, Palazzo della Ragione (già sulla facciata
del Palazzo del Podestà, 1477 decine di metri di distanza e quasi completata nella primavera del 1477 (si veda
Il losofo Epimenide è seduto su questo scranno e anche c'è uno sfondato 2002,dip. parete. Bramante
1996,
simulap. 34
degli altrinota 216),
spazi che intervento
si sovrappongono a questache potrebbe inserirsi
179). Del resto
ni Antonio Amadeo a Bergamo nel 1477 nonnon
parete, che ngono che che quello entro
il rapporto i lavori
tra Bramante e Giovan-
dovrebbe essere sottovalutato,
di
sia più un palazzo. C’è una sorta di ribaltamento anche tra interno
alla luce ed
dellaesterno.
notizia cheLo studiolo di anno lo scultore pavese era
ammodernamento
Epimenide ha duedel palazzo
pilastri quadrati chedegli anni
assomigliano settanta
all'arco
attivo per ildella tarsie
palazzo
del
della dello
Ragione,
Quattrocento
in quello
scoiattolo,
stesso
per il qualese
(
riceveva il 28 febbraio 100 lire
-
non per la mancanza del so tto con lacunari. Questa imperiali
cosa non esiste in tutto il mondo, tranne
1920, pp. 6-7). L’unica rappresentazione del palazzo della Ragione prima
“pro insignis positis in Pallatio dicti comunis” (BCBg, Archivio Storico Donato Bramante (aiuti), Epimenide,
Bergamo, Palazzo della Ragione (già

in Donatello a Padova.
sulla facciata del Palazzo del Podestà,
1477

del Comune di Bergamo, Sezione Antico Regime, Registri delle azioni, 2, f. 125r;

dell’incendio
Donatodel 1513
Bramante,
Podestà, 1477
e dei
Chilone, successivi
Bergamo, Palazzo rifacimenti,
della Ragione
ammodernamento compare
(già sulla
del palazzo degli anniin
facciata del Palazzo unadel del
settanta delle
Quattrocentotarsie
1996, p. 34 nota 216), intervento che potrebbe inserirsi entro i lavori di
( -
già sulla facciata del Palazzo del Podestà, Bergamo, Palazzo della Ragione

1920, pp. 6-7). L’unica rappresentazione del palazzo della Ragione prima
di Fra Damiano Zambelli oggi in San Bartolomeo
particolare. Ha come delle volute che si allargano dell’incendio
lateralmente. del 1513ae dei
Questo
Bergamo
La cosa che ci interessa nello studiolo di Chilone è la parte dei pilastri che hanno un capitello molto
successivi
capitellorifacimenti,
e mostra
compare in unaal
viene chiamato dellecen-
tarsie
di Fra Damiano Zambelli oggi in San Bartolomeo a Bergamo e mostra al cen-
tro della facciata un’enorme
dipinti) a Verona. tabula ansata all’antica,
della facciata un’enorme anche
capitello a stampella ed è molto raro. L’unico riferimento è alla Pala di San Zeno di Mantegna (quelli
tro tabula ansata se non
all’antica, anchesappiamo
se non sappiamo

che si stesse provvedendo contemporaneamente a decorare sia il palazzo del


Podestà, sia quello della Ragione, in quello che parrebbe assumere la natura di
che si stesse
Donatoprovvedendo contemporaneamente
Bramante (aiuti), Frammento a decorare
di balaustra, Bergamo, Palazzo sia
della Ragione (giàilsulla
palazzo
facciata del
del
un intervento urbano.

Palazzo del Podestà, 1477


Podestà, sia quello
Sembra della Ragione,
che quest’opera in quando
venga realizzata quello che parrebbe assumere la natura di
Sebastiano Badoer era podestà. C'è anche lo
un intervento
stemma urbano.
e quindi non si può dubitare. Lo stemma di
Sebastiano Badoer e questi frammenti pittorici in
realtà stanno in una posizione un po’ decentrata
rispetto agli altri loso . Non è sicuro al 100% che si
che possono essere completamente coevi. La Repubblica collocava tantissimi
Frammenti con balaustra stemmi e stemma e dinormalmente
Sebastiano Badoer,collocava gli
già sulla facciata del Palazzo del Podestà, Bergamo, Palazzo della Ragione
stemmi sempre dei due rettori capitano e podestà. Quando a ne mandato, cioè quando il capitano e il podestà
nivano il loro mandato nella città, il Comune gli regalava l'apposizione dei loro stemmi dipinti su uno dei palazzi del
governo. Questo era abitudine quindi per tutti i podestà, i capitani di Bergamo del Quattrocento. Viene il dubbio che
possa essere collocato nel 1477 perché dovrebbe essere datato con la ne del suo mandato. Inoltre c'è anche stato
un secondo potestà Badoer (Girolamo), salito al potere dieci anni dopo. Tra gli aiuti di Bramante in questo ciclo tutti
dicono che c'è stato questo pittore che si chiama Catelano da San Pellegrino, che è un pittore bergamasco. Il
documento del saldo di ne lavoro di Catelano San Pellegrino che viene pagato per aver terminato dipinti nel palazzo
del Podestà, precede di un mese la salita in carica di Sebastiano Badoer come podestà. Sarebbe una commissione
del podestà precedente e non di lui. Donato Bramante (aiuti), Frammento di balaustra, Bergamo, Palazzo della Ragione (già sulla facciata del Palazzo del Podestà, 1477
1847, p. 77. [ ] 1884, pp. 125-126. C. 1920, pp. 6-7. 1931.
Queste colonne sono colonne che reggono un architrave, [ tutte
] 1932.diverse1969, tra loro, con capitelli
pp. 102-109, 740-742. tutti diversi, 1984. di cui1993, almeno
p. 316.
3 o 4 sono con volute a S. Questo l’abbiamo visto nella cappella 1994, pp.Colleoni,
9-29. progettata
1994. da1996, Giovannip. 34, nota Antonio
216. Amadeo 2002.
che Bramante poteva vedere a acciandosi dal suo cantiere.2004-2005. Bramante non2009, è un pp.architetto,
11-19. è2010.
un pittore2014, che pp.ha233-236.
dei
2015, pp. 23-28. , in Bramante a Milano, 2015, pp. 187-
preconcetti nei confronti della della cultura architettonica. È un curioso, è un attento a quello che succede. Se arriva a
Frammenti con balaustra e100stemma
Bergamo e trova la Cappella Colleoni, edi cio rivestito
188, cat. I.6. di Sebastiano Badoer,
di pietra con il sistema di Amadeo, ne rimane a ascinato.
già sulla facciata del Palazzo del Podestà, Bergamo, Palazzo della Ragione
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Lezione 9, 21.03.2023

- Bramantus fecit in Mediolano: Stampa Prevedari-


La stampa Prevedari è una stampa. Le stampe con soggetti gurativi e di tipo artistico nel corso
del Quattrocento sono piuttosto di use. La stampa Prevedari ripresenta un certo numero di
singolarità che la fanno, una eccezione quasi assoluta nel panorama quattrocentesco.

È abbastanza raro che succeda anche una scoperta


del genere, però un po’ di anni fa Grazioso Sironi, che
era un professore di liceo in pensione che insegnava
italiano e latino e quando è andato in pensione, ha
deciso di dedicare tutti i suoi giorni ad andare in
Archivio di Stato a Milano e consultare il fondo dei
notai milanesi del Quattro e del Cinquecento, in
particolare, con un interesse privilegiato per i
documenti che riguardavano la storia dell'arte,
specialmente la storia della pittura. Quando trovava un
documento interessante, scriveva su delle schedine,
cioè su dei pezzettini di carta di qualsiasi tipo, gli
estremi del documento, cioè, per esempio scriveva il
notaio scriveva la data e le parti contraenti. A un certo
punto, però, gli studiosi che frequentavano l'Archivio di
Stato ovviamente hanno conosciuto questo grazioso
Sironi e hanno cominciato a dialogare con lui. Ci sono
quindi soprattutto negli anni 80 del Novecento, ai primi
anni 90, molti studiosi che poi hanno scritto degli
articoli con Grazioso Sironi, perché da Grazioso Sironi
derivavano tutti i documenti notarili e poi gli specialisti
delle determinate discipline mettevano il loro contributo
critico a queste scoperte di Sironi.

Una delle scoperte di Grazioso Sironi è relativa alla


stampa Prevedari. Egli ha trovato il documento in cui
proprio viene commissionata la realizzazione. Ha
trovato gli estremi con data (24 ottobre 1481) e
contrattuali (Matteo de’ Fedeli e Bernardo Prevedari). Il pittore Matteo De Fedeli, che è un pittore
abbastanza noto della Milano del Quattrocento, e Bernardino Prevedari, che faceva di mestiere
l’orafo, stabiliscono i seguenti patti e convenzioni. Questi due personaggi dicono che entro la
festa della Natività del Signore, cioè quindi entro Natale realizzeranno una stampa con edi ci e
gure su una lastra di ottone secondo il disegno su carta in papiro fornito da maestro Bramante.
Bramante ha realizzato un disegno che ha consegnato, per il tramite probabilmente di Matteo De
Fedeli, che è il committente dell’opera. La bottega di Matteo De Fedeli, bottega di pittore, chiede
a Bramante un disegno per una stampa poi va da Bernardino Prevedari e gli porta il disegno.
Bernardino deve realizzare una lastra di ottone incisa a bulino con gli edi ci e le gure derivanti
dal disegno di Bramante.

Non sappiamo una serie di cose su questa stampa:


• A cosa serve questa stampa?
• Com’è entrato Matteo De Fedele in contatto con Bramante?
• Perché Bramante ha fornito questo disegno?
• Bramante è stato pagato per questo disegno?
• Come mai si è deciso di far fare questa realizzazione così particolare?

Una della particolarità di questa stampa è che sia una lastra di ottone. Di solito i bulini si fanno
con lastre di rame. Una delle possibilità è che questa stampa è molto grande, cioè le dimensioni
di questo di questa stampa sono eccezionali per l’epoca. Di solito non si realizzavano stampe
così grandi con un'unica lastra, cioè quando si doveva fare una composizione più grande in una
certa misura si facevano più lastre e poi si mettevano insieme le lastre in un secondo momento
per la stampa oppure addirittura si stampava separatamente poi si univano i fogli.
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• In questo caso noi siamo sicuri perché l'analisi dei due esemplari sopravvissuti (uno alla raccolta
Bertarelli a Milano e uno al British Museum a Londra) ci confermano che una stampa su
un'unica lastra. Non sappiamo se questo fatto, che fosse realizzato in ottone, sia legato al fatto
che bisognava fare una sola lastra molto grande.
• Uno dei due esemplari presenta non un foglio unico, perché anche il foglio sarebbe dovuto
essere molto grande. È invece una sovrapposizione di due fogli di cui si vede anche in parte al
centro.
• La terza è che, come dice anche il documento, aveva edi ci e gure, però, nessuno ancora oggi
riesce a capire quale sia il soggetto di questa stampa. Al di là del fatto che il soggetto, anche
guardandola, è visibilmente l'architettura, cioè quindi edi ci. Non si capisce queste gure cosa
stanno lì a fare. Per esempio, molto si è discusso su chi sia questo monaco inginocchiato che
sta davanti a questa specie di grande candelabro che nasconde in parte una gura gigantesca
che poi si trova dentro l'abside di questo edi cio. Ci sono state molti tentativi di spiegazione di
questo soggetto iconogra co. Uno molto famoso è di Germano Mulazzani ed è oggi un po’
superato. L’ipotesi è che questo edi cio rappresenti un tempio pagano, che in particolare sia
legato all'origine, alle leggende, sulla prima evangelizzazione della città di Milano operata
dall'apostolo Barnaba che, giunto a Milano, si sarebbe fermato presso una fonte vicino alla
Basilica di Sant’Eustorgio, dove c'è ancora oggi appunto si celebra la fonte di San Barnaba. Egli
pensava monaco inginocchiato fosse san Barnaba che, giunto nei pressi di un tempio di Giano
avesse collocato una croce sopra l'idolo che stava all'interno del tempio. Questo è il primo atto
di cristianizzazione della città di Milano che, tramandato da fonti medievali milanesi. Lazzani
aveva interpretato questo come il presunto tempio di Giano, anche sulla base del fatto che qui
c’è una gura con una testa di spalle, quindi come se fosse Giano entro un edi cio a pianta
centrale, come spesso si faceva per gli edi ci dedicati al dio Giano, e la croce che si colloca
qua sopra il candelabro che forse si vede poco. Non è così peregrina questa ipotesi, però non è
confermata, perché non si riescono comunque a ricondurre tutti i dettagli iconogra ci che si
trovano in questa stampa a questa leggenda, questa storia della tradizione milanese.

La stampa è rmata. Anche questo è molto raro perché sul basamento di questo
grande candelabro c'è scritto Bramante fecit in Mediolanum. Il disegno di
Bramante preparatorio per la stampa conteneva la rma dell’autore. Data la
disposizione delle lettere, qualche studioso aveva sospettato in passato che
questa scritta non fosse autografa, ma fosse stata aggiunta successivamente alle
stampe. In realtà da studi recenti si conferma che questa era un'iscrizione in lastra,
quindi l'inchiostro è esattamente lo stesso e non ci sono interpolazioni nei due
esemplari sopravvissuti. Era già contenuto nella lastra di ottone, quindi è originario
rispetto alla realizzazione della lastra. È diritto inoltre, quindi il disegno di Bramante
avrebbe già dovuto prevedere un'iscrizione in controparte, perché ovviamente
quando si stampa la lastra poi si deve avere un disegno in controparte.

Questo edi cio ha avuto diverse ricostruzioni gra che, soprattutto per cercare di
ricostruire la pianta e alcuni dettagli di questo tempio. Essa è verosimilmente è una
chiesa cristiana. Queste sono alcune ricostruzioni prese dagli studi di Filippo
Camerota che ha proposto un edi cio di questo tipo. Abbiamo un grande quadrato
suddiviso in varie campate, con al centro una volta. Camerota ha ricondotto la
tipologia di edi cio ad una tipologia di origini tardo antiche che in architettura si
chiama quincunx, cioè un edi cio a croce greca inscritto in un quadrato
sormontato da cinque cupole. Bramante prende spunto probabilmente da modelli
tardo antico medievali e che possono essere trovati in varie parti d'Italia. Questo
tipo di edi cio era di origine bizantina ma anche tardo antica e Milano e l’Italia più
in generale conservava alcuni esempi:
• Hosios Lukas, Katholikon e chiesa di Santa Maria Theotokos (X-XII secolo)
• Stilo (Reggio Calabria), Cattolica (IX-X secolo)
• Capri, chiesa di San Costanzo (XII secolo)
• Genga (AN), San Vittore alle chiuse, ne XI-XII secolo
• Orciano di Pesaro, Santa Maria Nuova, Dal 1492 Rico

• Venezia, San Giacomo al Rialto (XI-XII secolo, restaurata nel Seicento) nella

• Mauro Codussi: Venezia, San Giovanni Crisostomo (1497-1504)

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• Antonio Averlino detto il Filarete – Trattato di architettura. Quando Filarete per il Signore di
Sforzinda deve progettare la nuova cattedrale, quindi il Duomo di Sforzinda se lo immagina a
quincunx.
• Sacello di San Satiro, Milano. Un piccolo edi cio che ha un impianto che non è proprio un
incubus tradizionale ma ha dei punti di contatto con l'impianto a quincunx è per esempio il
sacello di San Satiro. Considerando che Bramante lavora in anni limitro all’incisione
Prevedari possiamo pensare che conoscesse il sacello di San Satiro e che quindi questo
quincunx della tradizione milanese possa aver giocato anche un ruolo nella sua scelta.
• Pavia, Santa Maria Teodote detta alla Pusterla, cappella del Salvatore, ne XV secolo. Il
sacello di San Satiro, del resto, conosce alcune copie locali, cioè questo è la cappella di
Santa. La cappella di Santa Maria Teodora, che si trova nel monastero della Pusterla a Pavia
ed è un quincunx, è probabilmente della ne del XV secolo. È quasi una copia esatta anche
nelle dimensioni del sacello di San Satiro, quindi per testimoniare come questo tipo di edi ci
della tradizione, anche locale milanese, ritenuti antichi perché noi oggi sappiamo che il sacello
di San Satiro è del IX secolo. Vedevano che assomigliava a quincunx e quindi facevano uno.

Nel 1481 fa questa stampa dove l'architettura è straordinaria e anche fortemente innovativa, cioè
dove si vede l'attitudine che poi Bramante ha in tutta la sua produzione architettonica lombarda.
Egli propone una sorta di fusione di elementi che provengono dalla sua formazione urbinate e
dalle visite e dagli studi che lui ha fatto in precedenza e la tradizione lombarda. All’interno della
stampa Prevedari si coglie già la presenza di elementi culturali provenienti dalla Lombardia.
La parte centrale del quincunx è vano voltato con tutti i vani adiacenti.
La composizione architettonica da che cosa è formata da un ordine altissimo. Ha un altissimo
piedistallo (base+dado+cornice), ha paraste alte con base attica, ha un capitello particolarissimo
e poi ha la trabeazione (architrave, fregio e cornice). All'interno di questo ordine maggiore, poi,
troviamo un ordine architettonico più piccolo: sullo stesso alto piedistallo c’è un ordine contratto,
che regge archi. Questi archi sono inquadrati dall'ordine maggiore, quindi siamo di fronte a un
partito alla romana. Se scendiamo ancora di più di scala negli ambienti adiacenti, troviamo un
ordine architettonico ancora più piccolo, incastrato dentro il secondo. Questa è già una
elaborazione spaziale molto articolata, che testimonia la conoscenza da parte di Bramante di una
teoria dell'architettura e anche di una pratica piuttosto nutrite.

Tutti gli elementi architettonici che possiamo trovare in questa stampa sono come indicatori della
conoscenza della cultura architettonica di Bramante alla soglia 1481, cioè sappiamo che no a
questo momento aveva visto queste cose.
• Firenze, chiesa di S. Lorenzo Progetto di Filippo Brunelleschi. Il partito alla
romana con un ordine architettonico che sostiene archi, poteva averlo visto a
Firenze, cioè Brunelleschi. Nella stampa c'è una sostanziale di erenza tra la
gerarchia di ordini che utilizza Brunelleschi e quella che utilizza Bramante,
perché Brunelleschi per l'ordine minore, in questo caso utilizza colonne. Gli
studiosi hanno parlato quindi di una sorta di variante essenzialmente muraria,
cioè fatta solo attraverso parti di muro, del partito alla romana. Firenze, chiesa di S. Lorenzo
Progetto di Filippo Brunelleschi

• Mantova, S. Andrea, 1472-1488 Progetto di Leon Battista Alberti, direzione


dei lavori di Luca Fancelli. Questo in realtà era già stato fatto da Leon
Battista Alberti, cioè nel 1481. E ettivamente un edi cio in cui si poteva trovare
un ordine maggiore con alti piedistalli che regge una trabeazione con un ordine
più piccolo che regge un arco, lo possiamo trovare a Sant'Andrea di Mantova.
Si testimonierebbe la conoscenza già a questa data da parte di Bramante, del
progetto di Alberti per la Chiesa di Mantova.
• Urbino, Palazzo Ducale, cortile, Progetto e direzione dei lavori di Luciano
Manto
Laurana, prosecuzione dei lavori di Francesco di Giorgio Martini. Una Proge
direzi
gerarchia di ordini Bramante l'aveva già potuta vedere anche nel palazzo di
Urbino, perché questa facciata del cortile progettata da Laurana è collegabile
alla cultura orentina e alla composizione architettonica orentina
brunelleschiana che era già di usa in quel momento. Si suppone che
Bramante abbia imparato a fare la gerarchia di ordini ad Urbino, ma con una
variante, cioè la versione essenzialmente basata su paraste che aveva
proposto Leon Battista Alberti a Mantova. Alberti a Mantova nell'ordine minore Urbino, Palazzo Ducale, cortile
Progetto e direzione dei lavori di Luciano Laurana, prosecuzione dei lavori di Francesco di Giorgio Martini

ci mette il capitello e anche la trabeazione, quindi fa un ordine minore completo. Bramante in


questo blocco imposta un ordine contratto. Questo e ettivamente ci racconta della cultura
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urbinate. L'architrave a due fasce che compare qui nell'architettura di Bramante, per la prima
volta diventa, nel corso dei suoi progetti, una specie di sua rma. Bramante farà quasi sempre
architrave a due fasce e tutte le volte che in Lombardia poi trovate l'architrave a due fasce è
qualcuno che lo ha copiato magari c'è però che ha in mente gli edi ci di Bramante. L'aveva
però fatto anche Francesco di Giorgio Martini. Quindi è un elemento che richiama anche in
parte la cultura urbinate.
• Milano, basilica di S. Ambrogio, sacello di S. Vittore in ciel d’oro. Gli
studiosi si sono interrogati chiedendosi se questo edi cio che Bramante ha
progettato sulla carta sarebbe edi cabile. Gli studiosi hanno detto che è
assolutamente assurdo cioè non può esistere un edi cio fatto così, ma
invece esiste ed è il sacello di San Vittore in Ciel d'Oro, dentro la basilica di
Sant’Ambrogio. Bramante andava a caccia delle antichità e qui, se viene a
Milano, la prima cosa che fa è andare a vedere le antichità milanesi. Quel
riferimento lì potrebbe banalmente essere un riferimento a un edi cio che lui
e ettivamente ha visto.
• Milano, basilica di S. Ambrogio, ciborio. Molto particolare è questo capitello Milano, basilica di S. Ambrogio, sacello di S. Vittore in ciel d’oro

bipartito, cioè ha una parte superiore decorata in un modo e una parte inferiore
decorata in un altro. La parte superiore può essere ricondotta a un capitello con
volute a S, mentre la parte inferiore ha una sorta di intreccio. Qui ci sono state
diverse proposte. Bramante potrebbe già testimoniare un certo tipo di cultura
teorica dell’architettura. Nel trattato di Vitruvio si racconta che l'origine del capitello
corinzio deriva dalla visione di una pianta di acanto collocata in un cesto di vimini.
Si è pensato che Bramante volesse riferirsi all'origine ancestrale del capitello
corinzio, riproducendo in una forma moderna l'idea delle foglie d'acanto che emergono dal
cesto di vimini. Questo può essere vero. Richard Scho eld spiega che la versione che ne dà
Bramante è una versione all'antica, cioè è molto più antiquario di quello del ciborio di
Sant’Ambrogio, però non è detto che non ci sia una sintesi dei modelli. Magari Bramante
sapeva che nel trattato di Vitruvio si raccontava questa storia e vedendo quello di
Sant’Ambrogio ne ha trovato una somiglianza. Nella stampa sembra aver retti cato rispetto
alla cultura antiquaria che Bramante aveva.
• Urbino, chiesa di S. Bernardino, post 1481 Progetto di Francesco di Giorgio Martini.
• Filippo Lippi, Annunciazione, Spoleto, Duomo, abside, 1466-1469. Bramante
disegna tutti i conci di questo archivolto poi c'è questo concetto in chiave d'arco
cadente. Questo archivolto invade completamente le fasce dell’architrave. Questo
invece l'avevamo accennato con Filippo Lippi. Bramante disegna tutti i conci di
questo archivolto poi c'è questo concetto in chiave d'arco cadente. Questo
archivolto invade completamente le fasce dell’architrave. Non sappiamo chi è
l'inventore di questo elemento, salvo che ovviamente entrambi lo vedevano in
Filippo Lippi. Alla ne può essere che entrambi siano stati suggestionati
separatamente dagli stessi modelli.
Filippo Lippi
Spoleto, Duo

• Bergamo, Cappella Colleoni. Ci sono poi degli elementi


che Bramante potrebbe aver visto qui da noi, cioè
l'architettura lombarda autoctona. Nella parte a destra
dell’incisione, c'è questo strano loculo con dentro dei
balaustre che lo fanno sembrare una ruota di carro. Siamo
tutti d'accordo che c'è anche Mantegna e quindi potrebbe
essere una testimonianza che Bramante è stato a Mantova
o comunque che conoscesse anche la pittura di Mantegna.
Il Loculo però è presente anche cappella Colleoni. La colonna Candelabra è molto di usa già
a partire dal metodo di Amadeo. Le colonne vengono realizzate già con la forma di una
candelabra. Questo esiste già prima che arrivi Bramante. Non è una novità di Bramante e
quindi potrebbe essere considerato all'interno della stampa Prevedari uno degli altri elementi Bergamo, Cappella Colleoni
Milano, Sant’Eustorgio, Cappella Brivio, tomba di Giacomo Stefano

che Bramante trae o raccoglie o recepisce dalla cultura lombarda. Brivio

• Milano, Sant’Eustorgio, Cappella Brivio, tomba di Giacomo Stefano Brivio. La


colonna Candelabra è molto di usa già a partire dal metodo di Amadeo. Le colonne
vengono realizzate già con la forma di una candelabra. Questo esiste già prima che
arrivi Bramante. Non è una novità di Bramante e quindi potrebbe essere considerato
all'interno della stampa Prevedari uno degli altri elementi che Bramante trae o
raccoglie o recepisce dalla cultura lombarda.

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Bergamo, Cappella Colleoni


Milano, Sant’Eustorgio, Cappella Brivio, tomba di Giacomo Stefano
Brivio
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Fregi della stampa Prevedari
L'architettura che abbiamo analizzato è rivestita da decorazioni che sono fortemente
antiquarie.
• Nel fregio a destra sulla parte di sinistra è probabilmente rappresentata la fucina di
Vulcano, quindi l'o cina di Vulcano. Attorno, infatti, a un'incudine stanno degli uomini che
stanno martellando su incudine e stanno forgiando qualche cosa (ali di Cupido o gli
schinieri di Achille). Nel fregio a destra nella parte sinistra ci sono gure più monumentali:
abbiamo due gure di nudi uno eretto, l'altro disteso, quello eretto con l’elmo. Qui
probabilmente è un episodio che fa riferimento a Mercurio che addormenta Argo.
• Nel fregio a sinistra, ai lati del tondo dell’oculo che fora la lunetta abbiamo due centauri di
cui uno sta a sinistra, raccogliendo fuori campo un oggetto o forse meglio sta lanciando
qualche cosa perché vedete rappresentato in un gesto che permette proprio di esibire
anche tutta lo studio sico dell’anatomia. L'altro invece sta tenendo qualcosa in mano.
Qui non si capisce bene che cosa sta tenendo in mano il centauro. Ci serviamo di una delle primissime derivazioni
che testimoniano la fortuna di questa stampa, ovvero la Flagellazione di Antonio Mantegazza. Il dettaglio qui si è
conservato molto meglio e spuntano sotto delle radici che ci fanno capire quindi che l'altro centauro sta sradicando
un albero. Il primo stava lanciando una pietra, l'altro stava sradicando un albero. Probabilmente sono i due centauri
protagonisti della centauromachia che Ovidio racconta.

Il fregio che sta nella navata Due buoi e un uomo Carro

maggiore, al di sotto dell’imposta, va


che li ammansisce con feretro
Pu-o alato legato alla colonna Donna in trono
e torturato, donna con cesoia e altra donna
Tiro a quattro di cavalli Uomo con sfera in mano
letto da destra verso sinistra. La
critica aveva elaborato diverse
diverse possibilità, tra
cui una processione
sacra e profana oppure Donna che spezza l’arco sul ginocchio, Donna con testa

un rituale connesso a Carro con statua alata


donna che sventola un ogge-o decapitata e altra donna

Venere. In realtà, se noi


riprendiamo queste
queste componenti, appunto le gure che abbiamo tentato di riconoscere, soprattutto la prima parte, ci aiuta a capire
che si tratta di una gamma di pose e di atteggiamenti di situazioni che deriva dai trion di Petrarca. La rielaborazione
gra ca della successione dei tre Trion sono riconoscibili nel fregio dell’incisione Prevedari: Triumphus Pudicitie (Trionfo
della Pudicizia); Triumphus Mortis (Trionfo della Morte); (3) Triumphus Cupidinis (Trionfo d'Amore).
• Primo gruppo. Nel primo gruppo, dove si vede la donna che sta in trono sarebbe il trionfo della Pudicizia. La
personi cazione della Pudicizia sta in trono e dà ordine di catturare Cupido, che è quel personaggio. Dà ordine di
catturare Cupido, cioè il putto alato che viene legato alla colonna e le donne della Pudicizia, che sono Lucrezia e
Penelope, lo stanno disarmando. Una gli lega i polsi alla colonna, l’altra, che aveva la cesoie in mano, gli taglia le ali,
cioè neutralizza in qualche modo Cupido che non può più volare. L'ultima arma di Cupido è l'arco con cui scaglia le
frecce, quindi questa donna che sta rompendo un bastone sta rompendo l'arco e la faretra di Cupido. Nell'elenco
delle donne della Pudicizia Petrarca ricorda anche Giuditta e quindi Giuditta con la testa di Oloferne che fa parte del
corteo.
- All’estremità destra una donna seduta su un trono, probabilmente che sta assieme a un'altra donna, sta in
qualche modo impartendo un ordine a un'altra donna.
- Accanto a questo primo gruppo, abbiamo una gura femminile che tiene in mano una testa mozzata.
- Su un podio circolare c’è una colonna a cui è legato un putto alato e attorno ci sono altre due donne, tra cui una
che ha in mano una cesoia.
- Una donna sta facendo un gesto di rompere una sorta di di ramo con il ginocchio e un'altra invece che sventola
un oggetto.
• Secondo gruppo. Segue un trionfo che possiamo leggere come trionfo della morte. Qui aiuta il fatto che c'è
l'elemento dei buoi, cioè questi animali che sono di solito associati alla rappresentazione del corteo funebre. A questo
proposito possiamo quindi leggere che fosse la cassa che sta sopra il carretto che i due buoi dovrebbero trainare
come un feretro, come una bara. C’è un albero spoglio, come se il corteo della morte attraversa il paesaggio che
s orisce.
- C’è la presenza questi due buoi visti di posteriore. Abbiamo in mezzo a loro un uomo nudo che in qualche modo
sembra ammansire le bestie.
- C’è un carro che ha sopra questa cassa.
• Terzo gruppo. La terza parte è quella più problematica, dal momento che se seguiamo il processo petrarchesco del
testo dovremmo avere un trionfo della fama. In realtà qui abbiamo un trionfo d'amore perché in accordo con il testo,
abbiamo un cavallo con su cui sta l'immagine di Cupido, che è questo ancora una volta questo puttino alato e poi
quattro cavalli bianchi. Proprio così descrive Petrarca il trionfo. Da una parte abbiamo l'utilizzo da parte di Bramante
la conoscenza di questo tema con il quale può essere entrato in contatto in diversi modi. Dall'altra abbiamo, se tutto
confermato, una sua libera interpretazione dell'ordine dei trion , per cui invece di mettere alla ne la fama, l'artista
interpreta in maniera personale e chiude con il trionfo d'amore.
- Un uomo con una sfera in mano, un oggetto sferico.
- Un altro cavallo su cui sta una piccolissima gurina di putto alato.
- Una quadriglia, due pesi e due paia di cavalli bianchi chiari.

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A Urbino e nel Centro Italia in generale il tema dei trion è di usissimo, in particolar modo in contesti matrimoniali e dal
momento che il tema è quello amoroso e quindi è una sorta di messaggio benaugurante anche per una coppia di sposi.
• Lo troviamo soprattutto su cassoni come quello realizzato da Francesco di Giorgio Martini, relativo al Trionfo di
Castità. È probabile che Bramante, osservando verosimilmente questi modelli martiniani, potesse cogliere non solo uno
spunto iconogra co per il trionfo, ma anche forse per l'architettura rappresentata (es: tempio poligonale; colonna
interna a bulbo che c’è anche nella stampa Prevedari).
• Piero della Francesca aveva realizzato il dittico per i Montefeltro, oggi agli U zi. Dietro i due ritratti abbiamo le due
allegorie dei sovrani e dietro al Ritratto di Battista Sforza abbiamo proprio l'Allegoria della Castità.
• In questi anni si celebrano feste di matrimonio in cui il tema è rappresentato in spettacoli che coinvolgono l'osservatore
e che hanno per oggetto il trionfo di castità.
• Tra tutti gli oggetti del corredo totale di Paola Gonzaga, due sono importanti cassoni, che oggi sono stati riutilizzati dal
Seicento sono utilizzati come reliquiari nel Duomo di Graz, nell'Austria orientale, ovviamente conte di Gorizia.
Rappresentano i trion di Mantegna. Sono un precedente molto interessante rispetto alla stampa prevederli perché
forse costituiscono l'unica rappresentazione in scultura dei trion di Petrarca nel Quattrocento. È come se Bramante
potesse averli visti e abbia memorizzato questo è un trattamento dell'iconogra a, come un bassorilievo, in questo caso
intagli d'avorio applicati poi su sul legno del cassone. L'ordine della narrazione da destra verso sinistra come nella
Stampa Prevedari.
• Seguace di Girolamo da Cremona (attr.), Trion , 1460-1470 circa, Denver, Denver Art Museum (corte mantovana)
• Andrea Mantegna, Ascensione (Trittico degli U zi), 1460 circa, Firenze, Gallerie degli U zi. Probabilmente Bramante ha
modo di avvicinarsi agli ambienti intimi della corte mantovana. La gura di santo inginocchiato che abbiamo visto nella
stampa deriva da questa. Essa viene da un trittico che stava nella cappella di San Giorgio dei Marchesi di Mantova,
quindi un ambiente esclusivo. Bramante però ha modo probabilmente di vederlo, forse con dei tramiti.

Lezione 10, 23.03.2023

-Santa Maria pre o San Satiro-


La chiesa di Santa Maria presso San Satiro è una parrocchia, cioè una chiesa parrocchiale.
Questo è molto signi cativo all'interno della sua carriera perché la committenza ha sempre un
ruolo determinante anche nelle scelte sia dettate dagli aspetti economici, sia anche alle richieste
che si fanno ad un architetto. Oggi ci a acciamo nalmente per la prima volta a vedere un
progetto di Bramante che è costruito, cioè che è architettura reale sicamente esistente.

La parrocchia di Santa Maria presso San Satiro, però non deve non deve essere pensata come
una parrocchia povera, perché nell'area limitrofa Santa Maria presso San Satiro, nel Quattrocento
si situano le residenze di alcune delle famiglie più importanti di Milano, più ricche e anche
connesse con la corte sforzesca. I parrocchiani di San Satiro tutto sommato erano dei
parrocchiani di livello alto dal punto di vista del ceto sociale. Per questo si pensa che non si sia
badato a spese per quanto riguarda soprattutto anche la decorazione dell’interno, che ri ette in
modo preciso questa dotazione nanziaria.
Santa Maria presso San Satiro

Valutando la collocazione di Santa Maria presso San


Satiro, bisogna tenere presente:
1. La strada che passa sopra è l'attuale via Torino. Le vie
erano distribuite più o meno come le abbiamo oggi.
Questo era il Foro di Milano in epoca antica, con una
costruzione urbanistica che persiste nella Milano
medievale. La via che oggi passa dietro Santa Maria
presso San Satiro, che è via del Falcone, è una via
aperta nel Medioevo, quindi non rispetta lo schema
ortogonale della città romana. La via in questione è
stata aperta già tra Due-Trecento proprio per il
collegamento con questo lato della corte ducale
questo è il Palazzo Ducale di Francesco Sforza.
2. L’angolo dove c’è via dell’Unione è tagliato male, cioè nel senso non è ortogonale dalla via del
Falcone, fa un angolo un po’ bislacco, quello già nel Medioevo veniva chiamato il Malcantone,
dove Malcantone non si è capito se volesse dire che era appunto un angolo disegnato male
oppure se fosse un'area malfamata. In questa zona della città entrambe le ipotesi sono
credibili perché intorno a Santa Maria presso San Satiro sappiamo che c'erano almeno due
taverne: la Taverna del Falcone e la Taverna della Lupa. Queste taverne avevano all'interno
anche delle bische e una possibilità di giocare ai dadi. Proprio per questo, Santa Maria presso
San Satiro nasce legata ad un fatto miracoloso avvenuto in conseguenza della presenza di
queste taverne.

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Il Sacello di San Satiro è molto piccolo che è stato
costruito all'epoca del vescovo Ansperto, quindi siamo nel
IX secolo. È un edi cio altomedievale al quale nell'XI
secolo era stato a ancato un campanile grazie
all'arcivescovo Ariberto da Intimiano. Egli fa costruire
questo enorme campanile e le dimensioni del campanile
sono imponenti per una chiesa che era piccolissima.
Nonostante fosse piccolissimo, nel corso del Duecento,
questo sacello era diventato parrocchia. Data la
concentrazione di chiese nel centro di Milano, in quella
zona e quindi la possibilità comunque di distribuirsi su vari
edi ci religiosi per le funzioni, è probabile che si sia scelto
di collocare la parrocchia nell'edi cio più antico e
memorabile che in quella zona. San Satiro era uno dei
fratelli di Sant'Ambrogio, quindi era un santo venerato dall'epoca ambrosiana e lo stesso sacello
di San Satiro era stato originariamente costruito su un terreno appartenente alla basilica di
Sant’Ambrogio, quindi aveva comunque un collegamento con la basilica ambrosiana.
Il sacello di San Satiro aveva questa conformazione che poteva essere letta dagli architetti del
Quattrocento come un quincunx, cioè un impianto a croce greca inscritto in un quadrato e quindi
di matrice bizantina antica e quindi da loro identi cabile come una antichità del luogo.

Dentro questa cornice esisteva anche un piccolo cimitero. Nel Quattrocento c'era un muro di cui
la cui collocazione non si sa esattamente con un piccolo cimitero, perché ovviamente era
parrocchia. Non sappiamo esattamente in che posizione si trovasse la chiesa di Santa Maria non
c'era, quindi qua davanti probabilmente c'era dello spazio libero.

Sul muro di questo cimitero c'era un'immagine mariana che è oggetto, cioè è protagonista del
miracolo che la chiesa di Santa Maria presso San Satiro vuole celebrare. Il miracolo era avvenuto
nel Duecento e di esso c'era ancora memoria. Pare che un tale Massazio da Vigolzone, dopo aver
giocato a una delle taverne, ai dadi, avendo perso una grossa somma di denaro ai dadi, furioso
dall'aver perso questa somma di denaro, passando accanto all'immagine della Madonna con il
Bambino dipinta sul muro del cimitero di Santa Maria di San Satiro, prese il pugnale e colpì con la
punta del pugnale, il collo del bambino e il collo del bambino cominciò a sanguinare. Quando i
parrocchiani di Santa Maria presso San Satiro decidono quindi di costruire la chiesa di Santa
Maria dedicata alla Vergine, accanto al vecchio sacello di San Satiro, si rifanno a questa tradizione
del miracolo operato dall'immagine scolpita da Massazio da Vigolzone perché la chiesa
conservava il pugnale e lo conserva ancora.

Storia della fabbrica


I parrocchiani quindi avviano, decidono di avviare la costruzione di una nuova chiesa e questo
accade già nel 1478. Noi abbiamo un acquisto di una proprietà nell'ottobre del ’78, proprietà che
apparteneva alla Taverna della Lupa e alla Taverna della Fontana. Chiedono a queste due taverne,
che possedevano il terreno di cedere il terreno per costruire la nuova chiesa. Facendo uno studio
su questi passaggi di proprietà, sembrerebbe che l'area corrispondente a questi spazi ceduti dalla
Taverna della Lupa e della Fontana fossero corrispondenti a quell’area. È l'area che attualmente
coincide con il transetto della Chiesa Nuova che viene costruita successivamente. Nel ’78 i
parrocchiani di San Satiro avevano lo spazio inferiore per costruire la chiesa. La critica immagina
che tra il 1478 e poi il 1482 ci sia un primo progetto, una prima idea di costruire questo nuovo
edi cio, che non corrisponde per niente a quello attuale.
Nel 1479 avviene una ingentissima donazione di denaro favorita da una questua voluta
dall’arcivescovo.
Nel gennaio-aprile 1482 si fa una stima di lavori per un’ancona dell'altar maggiore (pala d’altare)
pagata a Pietro Bussolo e per un tabernacolo realizzato da Marco Lombardi e Matteo de Fedeli.
Nell’ottobre-dicembre del 1482 c’è l’acquisto di ulteriori proprietà, cioè hanno nito questo
edi cio e questi nuovi terreni corrispondono allo spazio dove attualmente si collocano le tre
navate della nuova chiesa di Santa Maria presso San Satiro. È interessante che nei documenti si
parli anche di demolizioni.
Tra l'autunno e l'aprile dell'83, nella nuova chiesa si sta o ciando quindi è stato un cantiere
velocissimo, costruito in pochi mesi e non si sa in che modo recuperando le strutture di questa

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chiesa che era stata fatta prima dell'acquisizione delle aree in una nuova veste.

Ipotesi costruttive del progetto


Ci sono stati in passato, prima degli studi di Richard Scho eld, degli studiosi che hanno voluto
dire che Bramante è stato attivo subito nel cantiere di Santa Maria presso San Satiro già nel ’78. Il
problema è che non c'è nessuna evidenza documentaria in questo cantiere della presenza di
Bramante, mentre dopo l'82 sì. L'ipotesi più recente è che nella prima fase il cantiere si sia fatto
con un progetto che non era di Bramante.
1. Ipotesi 0. L'ipotesi “leggendaria” è che si parta con un progetto
che prevede la costruzione solo della prima area in alto e che Fase I (1477/78-1482)

poi, solo dopo l'acquisto della seconda parte, si decida di


ampliare l'edi cio fornendo di tre navate. Una prima proposta è
che la chiesa attuale ovviamente sia la combinazione di queste
due fasi costruttive. La proposta che non funziona tantissimo a Fase II (1482-1483)

livello progettuale, perché la Chiesa attuale ha insita in se


stessa davvero una coerenza unitaria dal punto di vista del
progetto, quindi, pare di cile che sia frutto di due fasi di
costruzione separate, con un progetto prima in un modo che
poi viene cambiato. Non possiamo però neanche immaginare
che loro avessero demolito.
2. Ipotesi 1. Sono state formulate diverse ipotesi, poiché quasi tutti gli studiosi
si ri utano di pensare che la Chiesa attuale sia la somma di due progetti, si
pensa che allora forse il progetto originario fosse molto più piccolo di quello
che noi immaginiamo e che fosse probabilmente una cappella (in e etti viene
chiamata capelle inchoate). In particolare Richard Scho eld, ha ipotizzato che
originariamente ci fosse sull'area che loro acquistano per prima, una piccola
cappella isolata che potesse comprendere al suo interno l'immagine
miracolosa che era stata oggetto di venerazione e che è per questa piccola cappella che
Santa fatti
probabilmente vi vengono Maria presso
l'ancona ligneaSan Satiro
di Piero di Pietro Bussolo e il tabernacolo di
Marco Lombardi e Primo
Matteo de Fedeli.
progetto: ipotesi 2 Scho eld non sa bene dove collocarla questa cappella,
Santa Maria presso San Satir
ci sono due proposte: corrispondente all'attuale blocco della cupola oppure vicino al sacello Primo progetto: ipotesi 2

di San Satiro.
3. Ipotesi 2. La seconda ipotesi di Scho eld è
basata sull'osservazione dell'edi cio attuale. Egli
ha notato che sulla facciata su via del Falcone
c'è un ordine architettonico che corrisponde al
blocco della cupola e poi c'è un ordine
architettonico che corrisponde alla trabeazione
della del transetto. Entrambi gli ordini hanno una
certa proporzione fra loro. A un certo punto ci
sono questi capitelli che sono incastrati dentro il
pilastro del blocco della cupola come se fossero
come se davanti ci fosse stato costruito qualcosa. Scho eld si rende conto che
proporzionalmente questi capitelli non vanno d'accordo con gli altri, cioè non c'entrano niente.
Si è immaginato che questi due capitelli fossero una sorta di resto di quello che era stato fatto
precedentemente e che quindi fosse stata collocata qui una parete di un edi cio che aveva
questa altezza qui come ordine architettonico. Questo muro su via del Falcone secondo lui è
stato poi recuperato quando si è costruito la nuova chiesa, ma cambiando la composizione
della parete e quindi era stato magari realizzato il muro grezzo o erano state collocate soltanto
alcuni elementi in pietra che poi sono stati modi cati con il nuovo progetto. La seconda
ipotesi si basa sulla presenza di una parete che chiudeva l’edi cio in modo rettangolare.

Il progetto di Bramante
Bramante si trova davanti al vincolo progettuale, ovvero la presenza del sacello di San Satiro che
andava connesso con il nuovo edi cio; la presenza della torre campanaria che non poteva essere
distrutta perché serviva alla parrocchia; e poi la presenza della via del Falcone, cioè non poteva
assolutamente ampliare la fabbrica. Bramante mette in campo e ettivamente qui un edi cio che,
tenendo conto di questi vincoli, è da un lato innovativo e dall'altro anche funzionale.

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L'edi cio ha una forma che alla ne ha una
pianta a forma di T, dove abbiamo tre navate
verso via Torino. Le tre navate sono voltate a
crociera e nella navata centrale c’è una volta a
botte. Questa stessa copertura voltata
prosegue nel transetto, nel grande transetto
che viene collocato lungo la via del Falcone,
anch'esso voltato a botte. Abbiamo una novità
per il panorama lombardo, cioè il fatto di far
proseguire le navate laterali anche lungo il
transetto, creando una specie di mini
deambulatorio che va verso il transetto.

Dal punto di vista della delle soluzioni architettoniche che mette in campo, a Bramante non fa
Santa Maria presso San Satiro, l’interno
nessun problema che non ci sia spazio per fare l'abside perché decide di utilizzare la prospettiva
solida per simulare la presenza di un coro e di un'abside che questa chiesa non ha. Si chiama
prospettiva solida perché è fatto in stucco, terracotta e pittura, quindi non è una vera e propria
prospettiva soltanto dipinta, ma ha anche uno spessore.

Le novità di Bramante sono:


- Confronto con Alberti.
• La navata principale ha come caratteristica di avere un ordine
maggiore di paraste che sorregge una trabeazione e che
inquadra al suo interno un ordine di semipilastri che sorregge
archi (partito alla romana). Il primo riferimento è senz’altro a
Leon Battista Alberti in Sant'Andrea di Mantova. La grande
volta a botte di Leon Battista Alberti è poggiata su un corpo di
fabbrica con delle cappelle che hanno delle volte a botte
trasversali, mentre questo sistema in Santa Maria presso San
Satiro non c'è perché le navate laterali e le campate delle
navate laterali sono voltate a crociera, quindi funzionano
staticamente in modo diverso. Bramante sta emulando la
forma, non la struttura.
• L'altra di erenza è che la volta a botte di Sant'Andrea di Mantova non ha nessuna cesura,
invece quella di Santa Maria presso San Satiro ha questi archi trasversali che la suddividono
come in campate, cioè come se anche nella volta a botte continuasse la suddivisione in
campate che noi troviamo nelle pareti. In corrispondenza di queste paraste aggetta il
pezzettino di trabeazione e in conseguenza di questo oggetto c'è anche l'arco che suddivide
la volta. Bramante imita l’antico e anche Sant'Andrea di Mantova, ma introduce questo
elemento che fa indicatore di una logica strutturale dell’edi cio, di una congruità tra la volta e
gli elementi portanti che già era proprio del Medioevo lombardo.
• I pilastri, rispetto a quelli di Alberti, non hanno la base e neanche il piedistallo. Questo può
essere però dichiarato come un elemento di cultura urbinate.
Tuttavia, nella cripta di San Sebastiano di Mantova di Alberti di
una decina di anni prima, quindi il progetto del ’62-63 e nel Santa Maria
presso San Satiro

Tempio Malatestiano a Rimini abbiamo questo genere di Mantova, cripta


di S. Sebastiano
Rimini, Tempio
pilastro. Malatestiano

- Ripresa della cultura urbinate. _ archi su pilastri


senza base

• I pilastri, rispetto a quelli di Alberti, non hanno la base e


neanche il piedistallo. Questo può essere però dichiarato
come un elemento di cultura urbinate. Tuttavia, nella cripta di
San Sebastiano di Mantova di Alberti di una decina di anni
prima, quindi il progetto del ’62-63 e nel Tempio Malatestiano
a Rimini abbiamo questo genere di pilastro.
• Il tiburio circolare proviene da San Bernardino a Urbino.
- Conoscenza dell’architettura Brunelleschiana.
• La chiesa di Santo Spirito di Firenze, progettata da Brunelleschi, è uno dei rarissimi esempi
che ha un ambulatorio continuo che percorre tutto l'edi cio e che deriva dal fatto che
Brunelleschi ha fatto continuare le navate laterali lungo il transetto e dietro l’altare. Non è
l'unico esempio a cui Bramante avrebbe potuto attingere perché il Duomo di Milano, per
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esempio, era così. Se noi osserviamo il transetto di Santa Maria presso San
Satiro, vediamo che ciascuna delle campate del transetto ha le pareti laterali
sfondate da delle nicchie. Tutto il perimetro del transetto compreso è
sfondato da nicchie. Sono nicchie che si chiamano depresse (quando c'è
una curvatura che non fa un semicerchio completo). Sono nicchie che
hanno anche una decorazione con un catino con una valva a conchiglia. Il
legame col Santo Spirito appare in questo caso più stringente perché in
Santo Spirito tutto il perimetro dell'edi cio fosse ritmato da cappelle
semicircolari. Bramante non fa cappelle semicircolari, ma ce le avrà in
mente mentre realizzerà il Duomo di Pavia. Qui non rinuncia a questo Firenze, S. Spirito

elemento, ma lo fa in una forma che gli è consentita, cioè leggermente Firenze, Sacrestia vecchia di S. Lorenzo, scarsella

curvate, per questioni di ingombro.


_ nicchie semicircolari o depresse

• Alcuni elementi brunelleschiani sono innegabili perché in Santa Maria presso San Satiro
come nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, c'è la cosiddetta lesena liforme,
cioè questo pezzettino di lesena (invenzione di Brunelleschi che serve per colmare uno
spigolo dove ricade un arco). Risolve con la stessa soluzione, lo stesso problema.
• Parimenti l'altra invenzione di Brunelleschi era stata nella Cappella Pazzi, la lesena Firenze, Sacrestia vecchia di S. Lorenzo,
scarsella

cosiddetta asimmetrica, cioè, dovendo colmare uno spigolo in cui ricade un arco più ampio _ lesene filiformi

e un arco più piccolo, Brunelleschi si inventa una lesena, che è più ampia da una parte e poi
gira con una sola scanalatura dall'altro lato. La stessa cosa la fa anche Bramante e risolve lo
stesso problema con la stessa soluzione.
- In uenze lombarde. Bramante è stato molto presente in questo cantiere, mentre degli altri
cantieri noi sappiamo spesso che lui dava delle idee o un progetto, ma poi e ettivamente non
compariva tante volte nella gestione del cantiere. Probabilmente Santa Maria presso San Satiro
ha avuto modo di seguirlo in maniera più puntuale perché nei suoi primi anni milanesi non era
ancora attivo per i duchi. Qui ci sono al lavoro alcuni degli artisti e degli architetti più importanti
della Lombardia sforzesca.
• I fratelli Battaggio che sono i tenutari di un'impresa familiare
lodigiana. Giovanni Battaggio è colui che tiene le redini
dell’impresa e che è coetaneo di Bramante. Ha una formazione
sostanzialmente da muratore e ingegnere. La sua impresa era
composta da suo fratello Gabriele, che invece era maestro
stuccatore, e poi dal genero, il marito della glia, che è
Agostino de Fondulis, uno scultore in terracotta. Nel cantiere di
San Satiro ci sono tutti e tre secondo la propria
specializzazione. L'appalto dei lavori di costruzione è stata
data all'impresa Battaggio. L'avere un'impresa così
consolidata e così articolata nelle specializzazioni garantiva di
poter far fronte a tutte le necessità di un cantiere di architettura. È ancora più rilevante la loro
presenza, perché la prof è convinta che Bramante, senza la presenza dei fratelli Battaggia e
soprattutto di Gabriele, non avrebbe ideato questa prospettiva solida perché è fatta per la
maggior parte di terracotta e stucco. È la prima volta che troviamo una soluzione di questo
tipo. I lacunari all’antica sono tra i primi più belli della Lombardia. Questa è la prima cupola
emisferica su tamburo completamente circolare presente nel quattrocento lombardo. Questi
lacunari, sia quelli della volta sia quelli del nto coro, hanno una tecnica simile. Fare una
prospettiva di questo tipo solida necessita che questo fregio, che è in terracotta, è scorciato in
prospettiva. Bramante, garantendo una coerenza dei materiali rispetto al resto dell'edi cio
dove il fregio in terracotta. I lacunari in terracotta, come base, hanno una formella in terracotta
con decorata sopra in stucco e poi dipinta in oro e azzurro con foglia d’oro, hanno alcuni perni
che tengono ancorata la formella di terracotta nella parte retrostante.
- La facciata su via del Falcone.
• L’esterno ha una sionomia sua perché c’è un basamento
continuo (dentro non c’è il basamento).
• Ci sono paraste che sorreggono una trabeazione con una
cornice molto sporgente. C’è nuovamente l'architrave a due
fasce. La cornice, molto sporgente, è una bella cornice
all'antica, con modiglioni e cassettoni.
• Il fregio, che è altissimo, quasi sproporzionato, non dovrebbe
essere così alto. All'interno di questo fregio Bramante colloca
specchiature vuote. Bramante in questa parete, al contrario di
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quanto avviene all'interno dove abbiamo il fregio decorato in terracotta realizzato da Agostino
de Fondulis con un fregio continuo con bassorilievi, sta ornando la facciata esterna di pura
architettura, cioè qui non abbiamo elementi decorativi scultorei. Queste specchiature che poi
ritroviamo anche in alcuni suoi progetti successivi. Questo gli comporta anche di una
sproporzione degli ordini, perché il fregio non dovrebbe essere così.
• Prosegue questa articolazione anche nel nto coro, ma abbiamo sopra all'apposizione del
nto coro un timpano, come a indicare la posizione del nto coro. L'ordine architettonico di
questi di queste paraste coincide grosso modo con l'ordine architettonico interno, cioè sono
alla stessa quota. Questo vuol dire che probabilmente lui ha messo questo basamento,
magari per colmare un disavanzo anche di altezze che c'era tra la pavimentazione interna
dell'edi cio e il piano stradale.
• L'altro aspetto interessante è come Bramante mette in evidenza gli
snodi dell’edi cio, quindi gli spigoli. Sullo spigolo colloca tre paraste,
infatti c'è un raddoppio della parasta sull’angolo. Questa attitudine è una
novità completa per la Lombardia del Quattrocento, cioè il mettere in
evidenza lo spigolo raggruppando più paraste, una a ancata all’altra.
• Interessantissima è la scelta sui dettagli minuti. I capitelli in pietra e le
decorazioni in cotto sono assolutamente all'interno del repertorio
lombardo del tempo.
Santa Maria presso San Satiro
Sacrestia
Sacrestia
Accanto a alla chiesa, c'è poi la sacrestia, che è come un
progetto a se stante. Bramante probabilmente l’ha progettata ad
hoc separatamente, con un linguaggio simile, ma anche con
delle varianti rispetto all’edi cio.

Completamente inusuale è la pianta di questa sacrestia, perché


la sacrestia è un ambiente funzionale, perché serve per mettere
degli armadi (può contenere anche delle reliquie). In una pianta
ottagonale ancora oggi gli studiosi si chiedono gli armadi dove
stavano in questa sacrestia, ma comunque era la sacrestia
perché è documentata come tale. È quindi una sagrestia
ottagonale dove nella pianta a noi riconosciamo alcuni modelli
di riferimento di tipo tardo antico, cioè e questa pianta ha alcuni
dei lati dell'ottagono sfondati da nicchie semicircolari e alcuni da nicchie rettangolari, un po’ come
avveniva nei battisteri paleocristiani e poi a Milano c'era il sacello di Sant’Aquilino, che era
un’antichità locale. Questa era una sacrestia e probabilmente luogo di conservazione di reliquie.
Infatti, per esempio, il pugnale di Massazio da Vigonzone non sappiamo dove fosse conservato
nel Quattrocento, ma nella solita visita pastorale di Federico Borromeo è dato nella sacrestia. Se
fosse stato lì già dalla fase originaria, vuol dire che questa sacrestia non solo sarebbe stata una
sacrestia, ma anche un luogo per la conservazione della reliquia più importante della chiesa, cioè
il pugnale. Questo binomio sacrestia-cappella per le reliquie ha fatto subito pensare al caso della
Sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze.

Gli aspetti però particolari di questa sacrestia non si riducono alla pianta.
Lo sviluppo dell'alzato contempla un piano terreno con paraste che
sorreggono la trabeazione e poi c'è un matroneo, cioè c'è un secondo
livello percorribile che garantisce a questa sacrestia uno sviluppo verticale
completamente inspiegabile. Per raggiungere questo matroneo si utilizza
una scala a chiocciola con un bel corrimano in terracotta quattrocentesco
all’interno della nicchia semicircolare. Questa scala è una delle cose più
innovative che voi potreste trovare in un edi cio del tempo perché
normalmente quando si fa una scala a chiocciola si un cilindro centrale a
cui sono legati i gradini. Questa scala ha i gradini appesi al muro, cioè
sono attaccati al muro perimetrale e formano un cavo centrale. Questa è un ellissoide, cioè è una
Milano, sacrestia di S. Maria presso S. Satiro, matroneo e scala a chiocciola (foto di Sergio Bettini)

scala elicoidale a ad avvolgimento continuo, senza perno centrale con il buco al centro. È una
delle prime realizzate nel Quattrocento in assoluto nella storia dell’architettura. Probabilmente
questo poteva averlo visto nella loggia dei Torricini ad Urbino secondo l’operato di Francesco di
Giorgio Martini e Laurana. Si deve immaginare un luogo che in qualche misura veniva utilizzato
anche se non sappiamo per che cosa esattamente.
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Lezione 11, 28.03.2023
Gli aspetti decorativi sono molto importanti perché permettono di confermare come Bramante in
questo cantiere si sia appoggiato in maniera determinante ai maestri che lavorano con lui, che
sono i fratelli Battaggio, Antonio Raimondi e Agostino de Fondulis, i quali erano già detentori di
competenze speci che in alcune tecniche. Questa è la squadra sostanzialmente di decoratori di
cui Bramante si serve.

Non c'è una di erenza sostanziale tra sagrestia e chiesa dal punto di vista dei materiali. I materiali
utilizzati sono gli stessi. La Chiesa dal punto di vista costruttivo utilizza laterizio rivestito da
intonaco. Oggi noi la Chiesa la vediamo scoperta all'esterno, però non sappiamo come fosse la
versione originaria, ma non è particolarmente realistico che i mattoni fossero lasciati a vista.
Spesso si salvavano e si ritiravano i corsi dei mattoni, quindi si faceva una muratura mattoni nta
di fatto su quella vera per questioni protettive, perché ovviamente il laterizio tende ad assorbire
l’umidità. I materiali sono simili, nel senso che in questo edi cio si fa largo uso di decorazioni in
terracotta, che viene usata sia per le decorazioni architettoniche e sia per i fregi gurati. C'è una
sostanziale di erenza tecnica tra le cornici modanate e i fregi scolpiti. La terracotta veniva
realizzata con degli stampi. Gli stampi permettevano di fare delle forme di argilla che venivano poi
cotte, solo che gli stampi producevano un tipo di decorazione estremamente seriale, quindi con
scarsissima possibilità di delineare dei dettagli unici all'interno di quei pezzi. Gli stampi vanno
molto bene per la decorazione architettonica. Quando invece bisogna fare degli elementi
decorativi come i fregi gurati, serve il plasticatore, che è lo scultore in terracotta (qui Agostino de
Fondulis) che poteva modellare l'argilla direttamente e cuocerla prima della cottura a fare anche
delle ri niture sui pezzi in serie. Egli realizzare delle sculture proprio modellando l’argilla oppure si
faceva lo stesso lo stampo ma prima della cottura lo scultore poteva ri nire questi stampi in modo
che acquisissero delle caratteristiche peculiari. I pezzi in terracotta più rilevanti sono tratti da putti
musicanti o che si fanno degli scherzi da teste clipeate che sono una delle uno dei lait motivi
scultorei della Lombardia del Quattrocento.

A anco a questa ricca decorazione in terracotta c'è un largo impiego dello stucco. Uno dei due
fratelli Battaggia, cioè Gabriele, è di professione stuccatore, specializzato nell'arte dello stucco. In
Santa Maria presso San Satiro, c'è lo stucco di gesso che è una miscela non pura (miscela tra
calce e gesso e altri materiali in minore quantità) de nita stucco forte proprio perché non è tutto
realizzato col gesso, ma ha una componente di calce. Questo tipo di tecnica è di usa in
Lombardia già dal Medioevo ma è molto diversa dallo stucco che comincia a essere utilizzato a
Roma all'inizio del Cinquecento, soprattutto dalla bottega di Ra aello, che è invece lo stucco
romano antico (calce+polvere di marmo) quello di cui parla Vitruvio, Nella sacrestia gli stucchi
sono utilizzati per fare tutte le decorazioni interne delle lesene e per fare diversi elementi
decorativi.

Tra sacrestia e chiesa c'è una grandissima di erenza nel trattamento super ciale perché sia lo
stucco che la terracotta potevano essere decorati successivamente con uno strato pittorico che
consentiva a questi materiali che erano dei materiali veloci da realizzare e tipici per la Lombardia,
di acquisire una sionomia completamente diversa a seconda del trattamento super ciale. Nella
sacrestia c’è lo stucco bianco (raro in Lombardia, probabilmente è iniziativa Bramantesca) e ha
una grande valore antiquario. Questa tecnica viene lasciata tutta in bianco per favorire
probabilmente un'immagine di antichità alternata ai bassorilievi in terracotta di color bronzo. Qui
siamo di fronte a un ambiente estremamente antiquario dal punto di vista del loro immaginario di
quell’epoca. Questo è interessante per due aspetti sia il desiderio di questa introduzione di una
cromia che rimanda all’antico, sia l'idea della simulazione di materiali. Bramante fa di questa
attitudine verso la simulazione la sua bandiera. Dentro questa sagrestia ci sono però anche
materiali importanti, ad esempio nella balaustra del piano superiore (aka matroneo) si utilizza
l’alabastro accostato a degli altri che simulano marmo e bronzo.

Nella Chiesa invece abbiamo sostanzialmente l'utilizzo di due principali colori: una bicromia in oro
e azzurro. L'oro e l'azzurro sono i due colori più costosi e sono anche quei due colori che non si
possono fare a fresco, ma si devono fare con una tecnica particolare che fa utilizzo di colle.
Esisteva nella Milano del Quattrocento il pittore in oro e azzurro, cioè questo Antonio Raimondi è
documentato in questa chiesa e in altri cantieri coevi come pittore in oro e azzurro.

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È stato molto decantato in particolare questo fregio che corre lungo tutto
l’edi cio, perché rappresenta delle arpie o grifoni e in mezzo c'è un tondo, un
clipeo con una testa decorativa. Questo fregio è estremamente antiquario,
poiché questa coppia di arpie, anche alternata con dei mascheroni sempre
all'antica, è oggetto di un contratto speci co. È stato ritrovato sempre da
Sironi, un contratto speci co per ordinare il fregio con autore Agostino de
Fondulis in cui è riportata persino la dimensione in lunghezza dell'intero fregio. Questo fregio
diventa molto famoso in Lombardia e compare in diversi edi ci in Lombardia (Milano, chiostro di
S. Antonio Abate; Cremona, già palazzo Trecchi; Soncino, S. Maria delle Grazie).

Non si capisce ancora oggi quale sia la porta di entrata della sacrestia.
Milano, Santa Maria presso San Satiro

La facciata su via Torino Milano, chiostro di S. Antonio Abate (ma grifoni?)


Cremona, già palazzo Trecchi
Bramante deve aver pensato a una facciata dall'altra parte. La Soncino, S. Maria delle Grazie

facciata su via Torino non viene mai realizzata però era stata _ il fregio con le arpie
però iniziata e abbiamo dei documenti che ci testimoniano che
comunque c'era un progetto per questa facciata ed era di
Bramante. Il 28 settembre del 1486 i Fabbriceri di Santa Maria
presso San Satiro fanno un contratto con Giovanni Antonio
Amadeo che è un impresario. Si fa uso di Amadeo perché è
uno scultore in pietra, quindi vuol dire che gestisce un'impresa
di scultori di materiali lapidei completamente diversa. Bisogna
Inoltre tenere conto che probabilmente l'interno nell'84 era già
stato terminato dai fratelli Battaggia e quindi poteva anche
essere che il progetto della facciata fosse stato rinviato e fosse
stata chiamata un'altra bottega. Viene chiamato Amadeo, forse
anche per un altro motivo che questa facciata è in pietra. Bramante aveva scelto personalmente
colori delle pietre con cui si doveva realizzare questa facciata. Su come fosse questa facciata si
sono interrogati tantissimi studiosi.
Nell'87 c'è questo enigmatico pagamento a un Magistro Bartholomeo legnamaro per fare “una
tabula del desegno de la fazata”.

In un acquerello di Giovanni Migliara è rappresentato il basamento, cioè la


parte che era stata iniziata. Ha un basamento molto alto con all'interno dei
bassorilievi che sono attribuiti ad Amadeo.
Sappiamo che la facciata aveva un basamento, il che non ci sorprende perché
anche la facciata su via Torino presenta un basamento continuo, cioè abbiamo
visto che ha il basamento continuo.

Allora Richard Scho eld ha trovato questo disegno (a


sinistra). Questo è il primo disegno autografo di
Bramante esistente a livello cronologico. È un disegno
per la controfacciata, cioè per la facciata interna, come
si doveva vedere l'ingresso dall’interno. C’è il portale,
poi ci sono due nicchie lateralmente. Il tetto si appoggia
sopra la volta. Il problema è il secondo piano, cioè c'è G. Migliara, Veduta con la facciata di S. Maria presso S.
un secondo livello, una specie di cantoria. Abbiamo due Satiro, XIX secolo

due pilastri, forse che reggono un arco al centro e due Milano, S. Maria presso S. Satiro, facciata realizzata da

architravi ai lati. Questa è la prima serliana progettata


Giuseppe Vandoni nel XX secolo

nel Quattrocento, ripresa dall'antico della storia di tutta Donato Bramante (?), Disegno della controfacciata di Santa Maria presso San Satiro, Milano, Milano, Archivio

la storia dell’architettura. La serliana è un tipo di apertura o di composizione architettonica antica,


dei Luoghi Pii Elemosinieri

dove si hanno due colonne o pilastri che reggono un Ricostruzione arco


Sironi 2000)
adella facciata
ancati da architravi, quindi si hanno
originaria di Santa Maria presso San Satiro, disegno di Paola Modesti (da Schofield,

due spazi architravati e quello centrale arcuato. Sulla base di questa idea per la controfacciata,
Richard Sco eld si era immaginato una facciata così (a destra), un’ipotesi che formula sulla base
di una serie di facciate di edi ci ecclesiastici (Roccaverano, S. Maria Assunta; Carpi, chiesa della
Donato Bramante (?), Disegno della controfacciata di Santa Maria presso San Satiro, Milano, Milano, Archivio
Sagra; Saliceto, S. Lorenzo; Castelleone, SS. Filippo e Giacomo; Legnano, S. Magno; Vigevano,
dei Luoghi Pii Elemosinieri
Duomo) che si di ondono tra la ne tra gli anni 90 e i primi due decenni del Cinquecento. Si è
sempre pensato che fosse stato Bramante a rendere
Ricostruzione della questo
facciata originaria modello
di Santa Maria presso un modello
San Satiro, disegno da seguire.di Paola Modesti (da Schofield,
Sironi 2000)

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A un certo punto della storia è saltata fuori questa tarsia lignea. Questa
tarsia si trova oggi come nel Quattrocento nel coro del Duomo di Cremona,
realizzato tra il 1483 e il 1489 da un intarsiatore che si chiama Giovanni
Maria Platina.
Le caratteristiche di questa facciata sono simili a quelle precedente. Non
possiamo pensare che Giovanni Maria Platina si sia inventato una facciata
di chiesa che in quel momento nel mondo non esiste e nessun architetto
l'ha ancora immaginata. Questa facciata ha un basamento continuo ed è
proprio una delle caratteristiche di Santa Maria presso San Satiro.
Forse aveva visto un disegno di un progetto di Bramante per la chiesa di
Santa Maria presso San Satiro e forse è quel documento dell'87.

La cappella ducale di S. Teodoro


Bramante ha nito il suo lavoro in Santa Maria presso San Satiro nel 1486, quando compare
l'ultima volta per decretare per decidere i colori delle pietre che devono andare sulla facciata. Nel
1497, quindi più di dieci anni dopo, viene chiamato da Ludovico il Moro che desidera far realizzare
in Santa Maria presso San Satiro una cappella dedicata a San Teodoro. San Teodoro è il santo
patrono del giorno in cui Ludovico il Moro è stato investito come duca. È diventato per lui un
santo importante dal punto di vista politico. Questa cappella deve essere concepita su progetto di
Bramante e abbiamo diversi documenti che lo attestano.

Viene realizzata una cappella completamente fatta di laterizio, intonaco, materiali in stucco e
terracotta. Nel dicembre 98 si sa che questa cappella e i lavori di questa cappella sono stati
iniziati perché devono arrivare otto navate di pietra. Le navate sono delle unità di misura che
corrispondono alla capacità di una delle navi attraverso cui si portavano le pietre dalle cave del
Lago Maggiore tramite il Ticino. Questa quantità ha fatto sospettare che questa cappella non
fosse una una cappella all'interno dell’edi cio. Tutta questa fornitura di materiali così diversa dai
materiali che vengono utilizzati nella chiesa di questa entità, ha fatto sospettare una cappella a sé
stante.

Questa cappella non la fanno, cioè queste otto navate di pietre le consegnano, ma nel 99 e gli
Sforza hanno dei problemi politici, economici e poi devono scappare. Ludovico il Moro non può
pensare più a questa commissione, per cui la cappella di San Teodoro non è mai stata realizzata.

Nel 1511 salta fuori Giovanni Francesco Brivio che era uno dei tre fedelissimi di Ludovico il Moro
(gli altri due sono Bergonzio Botta e Marchesino Stanga). Giovan Francesco Brivio decide invece
che non vuole andare nella cappella di famiglia in Santa Maria in Sant'Eustorgio, ma che vuole
una rilevare la cappella che fu del Duca di Milano in Santa Maria presso San Satiro per farne la
sua tomba. Giovan Francesco Brivio rileva il progetto della cappella di San Teodoro di Ludovico il
Moro. Lascia una quantità di denaro molto alta per fare la cappella secondo il disegno già
esistente, quindi secondo quello che avevano aveva lasciato Bramante probabilmente ai
Fabbriceri e dentro ci vuole mettere la sua tomba. Purtroppo neanche questa va a buon ne, nel
senso che il Giovan Francesco Brivio muore.

Gli studiosi hanno provato a immaginarsi come fosse fatta questa cappella.
• Una prima proposta era stata fatta da Luca Beltrami all'inizio del Novecento. Nel 1901
Luca Beltrami studiando dei disegni conservati oggi nella Biblioteca Ambrosiana di
Milano, aveva iniziato a studiare questo disegno qui. Questo disegno è suddiviso in un
è un edi cio, che mostra un alzato e una pianta corrispondente. Questa pianta mostra
un edi cio a croce greca inscritta in un quadrato, con poi
degli absidi che sfondano le pareti e quindi l'avevamo
chiamato quincunx. Sembrava un disegno bramantesco.
L'ipotesi di Beltrami è che la cappella in quella forma fosse
da collocare dove c’è il cerchio color arancione dall'altra
parte del transetto. Il problema è che non si erano trovati in
nessun modo gli acquisti di quel terreno. Facendo una
Anonimo (lombardo?), Pianta e prospe<o di edificio, BAMi, F. 251 inf. n. 84
sovrapposizione di questo tipo, le dimensioni le dimensioni
dell'intera cappella sarebbero più piccole della testata di transetto. Con San Satiro in più
dialogava su questa cosa del quincux con le nicchie sfondate e quindi funzionava.
Questo disegno è stato studiato più recentemente da uno studioso milanese che si chiama
Anonimo (lombardo?), Pianta e prospe<o di edificio, BAMi, F. 251 inf. n. 84

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Francesco Repisti e che ha scoperto che pianta e alzato non sono coevi. Analizzando il disegno
nella sua forma originaria, il disegno era soltanto l'alzato e un po’ di anni dopo qualcuno ha
tirato giù la pianta dall’alzato. Questa pianta è dimensionata sulle dimensioni e ci sono delle
scritte (campanile, sacrestia e abside). Questo è un edi cio ecclesiastico quindi non è una
cappella all'interno di un altro edi cio. Probabilmente è un progetto del cinquecento 1519 per la
chiesa di San Giuseppe a Milano da Girolamo Della Porta. L'alzato è precedente e Girolamo
Della Porta probabilmente ha preso questo alzato.

• Successivamente Richard Scho eld no al 2003 ha ri ettuto sulla


posizione della tomba di Giovan Francesco Brivio. Si può immaginare
che in realtà Ludovico il Moro volesse fare suo tutto il transetto destro e
farla diventare la cappella di San Teodoro. Forse quel tutto quel marmo
che è stato ordinato sarà servito per allestire internamente l'edi cio in
una maniera diversa di quella che era stata fatta no a quel momento.

• Grazie a Sironi sono saltati fuori dei documenti dell’aprile del 1497 che evidenziano che gli
scolari di San Satiro comprano terreni nel Malcantone. Nel documento dell'11 maggio è molto
interessante perché oltre alla vendita c'è anche una clausola che questi terreni ed edi ci
potevano essere requisiti in qualsiasi momento, nel caso si volesse ingrandire la chiesa. Nel
1501, ci sono anche delle stime degli edi ci esistenti, che probabilmente sono delle stime che
servono per le demolizioni fatte da Bartolomeo Della Valle. Ci sono questi altri due documenti
che testimoniano che i Brivio non riescono a costruire l’edi cio però il giuspatronato di questa
cappella rimane dei Brivio anche nei secoli successivi.
• Nel suo disegno, Bruno Adorni ha messo un piccolo San Satiro dall'altra parte,
quindi ha immaginato che fosse una specie di pendant del sacello. La proposta
di Bruno Adorni non è inventata. È basata sul fatto che alcuni anni dopo a
Piacenza si progetta la chiesa di San Sisto. Formulando questo progetto si
potrebbe essere ispirato al progetto della cappella di San Teodoro, cioè di
duplicare il sacello di San Satiro nella chiesa di Santa Maria.

-Pavia e il Duomo-
Milano, S. Maria presso S. Satiro, ricostruzione della pianta con la
cappella di S. Teodoro in pendant con il sacello di S. Satiro

Piacenza, S. Sisto, pianta

Il progetto del Duomo di Pavia è immediatamente successivo a Santa Maria presso San Satiro.
(da Bruno Adorni, Alessio Tramello, Electa, Milano, 1998, pp. 26-27)

Bramante, infatti, entra in contatto con il nuovo progetto per la cattedrale di Pavia nel 1488. È
anche importante questo progetto perché è in e etti il primo progetto che Bramante si trova a fare
per la famiglia ducale, ovvero per Ascanio Sforza, cioè il fratello più giovane di Ludovico il Moro
che era stato instradato alla carriera ecclesiastica ed era cardinale. Ascanio Sforza dal 1481, oltre
ad essere cardinale, viene nominato vescovo di Pavia.

Pavia aveva un sistema di doppia cattedrale, che erano paleocristiane ma ricostruite in epoca
romanica, Santo Stefano e Santa Maria Maggiore si a acciavano alla piazza del Regi Sole
(chiamata cosi per un monumento equestre bronzeo che era altomedievale ma era creduto antico
e che aveva una mano alzata).

Ascanio Sforza è un esempio di cumulo delle cariche, cioè è un personaggio della famiglia Sforza
che viene educato per essere cardinale per far sì che ci fosse un'intromissione della famiglia
Sforza dentro la curia papale. Questa intromissione riesce, Ludovico il Moro compra il cardinalato
per il fratello e Ascanio Sforza viene cresciuto come antipapale, quindi e ettivamente è posto per
giovare politicamente agli Sforza. Acquisisce moltissimo potere dopo l'elezione al soglio ponti cio
di Alessandro VI, perché lui è uno dei grandi elettori (quando un cardinale riesce politicamente a
in uire sugli altri cardinali talmente tanto da portare all'elezione di un Papa). Ascanio Sforza,
quando viene nominato vescovo di Pavia, fa questa strana promessa: promette ai pavesi di
ricostruire le cattedrali perché le cattedrali stavano in una condizione molto fatiscente.

Qualche anno dopo, il 17 agosto dell'87, abbiamo il primo documento che testimonia questa
intenzione. Nell'87, quando abbiamo questo primo documento, già c'è un progetto e c'è già un
architetto. Si dice che un tale architetto ha fatto dei disegni e mandano questi disegni a Roma
(dove lui viveva) perché lui li veda. In questo disegno si dice anche che questi progetti vengono

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inviati a nché Ascanio potesse paragonarli con i grandi edi ci di Roma sacri ma soprattutto con
la chiesa famosissima di Santa So a di Costantinopoli.

Le modalità attraverso cui sapere di Santa So a di


Costantinopoli potevano essere soprattutto letterarie.
Santa So a di Costantinopoli è stata costruita da
Giustiniano nel V secolo su una precedente Santa So a
dell'epoca di Costantino. Giustiniano aveva avuto anche la
brillante idea di farla celebrare in un libro importantissimo
scritto da Procopio di Cesarea, che è il De edi cis. Questo
libro dell'antichità è una cosiddetta ekfrasis, cioè una
descrizione celebrativa degli edi ci che Giustiniano aveva
fatto costruire e da qui derivano tutti i topos letterari che
noi abbiamo su Santa So a. Il De edi cis era di uso nel
Quattrocento in particolare a Roma. Sicuramente Ascanio SforzaIstanbul, Santapoteva
Sofia avere una conoscenza di
queste fonti letterarie quindi si può pensare che fosse stato lui stesso a dare l'indicazione del
modello però non lo sappiamo con certezza.
L'altro aspetto che è che il Ducato di Milano era descritto come novella Atene, quindi era in
qualche misura collegata con la Chiesa orientale. L'altro punto a favore del fatto che Santa So a
fosse importante è che San Lorenzo a Milano è una chiesa a doppio involucro, cioè come quelle
di Costantinopoli.
Loro dovevano avere una percezione gurativa o un'immagine di come fosse Santa
So a. Sappiamo che nel corso del Quattrocento Santa So a era stata visitata da
Ciriaco D’Ancona. Ciriaco D'Ancona aveva viaggiato sia a Costantinopoli che in
Grecia. Aveva portato in Italia dei taccuini di viaggio con disegni di antichità greche.
Purtroppo noi i disegni di Ciriaco D'Ancona li abbiamo perduti. Il disegno a destra è
di Giuliano da Sangallo. Giuliano da Sangallo raccoglie un album di disegni
dall'Antico che rileva a Roma e ci sono disegni anche di antichità di altri luoghi, tra
cui c'è anche Santa So a di Costantinopoli. Questo ci testimonia che circolavano
immagini di Santa So a. Naturalmente gli studiosi non potevano più visitare santa Giuliano da S
Sofia di Costan
Apostolica Va

So a dopo il 1454, caduta di Costantinopoli. Latino 4424

Ipotizzando una nuova crociata contro i turchi, salta fuori l'idea di fare un edi cio come Santa
So a, che è l'antichità cristiana d'Oriente non più raggiungibile perché i turchi l'hanno
conquistata. C'è anche forse un'idea di dell'immagine, di qualcosa di perduto che si vuole
recuperare o si vuole celebrare.

Nell'agosto dell'87 c'è già un progetto e c'è un architetto ma non si sa chi sia. Infatti alcuni
studiosi hanno discusso su questo primo architetto: alcuni dicono che sia Bramante e altri che sia
Giovanni Antonio Amadeo. Nella primavera del 1488 tre delegati della Fabbriceria del Duomo
vanno di nuovo da Ascanio Sforza per mostrare alcuni disegni per il Duomo di Pavia che avevano
fatto Giovanni Antonio Amadeo e Cristoforo Rocchi. E ettivamente Amadeo è documentato nel
fare dei disegni per il nuovo Duomo di Pavia nella primavera dell’88. Non è detto che sia lui
ovviamente, è solo citato.

A seguito di questa nuova fase, il 29 giugno dell'88, si può si posa la prima pietra. Qui posano la
prima pietra e nell'agosto dello stesso anno viene realizzato un nuovo progetto, questa volta
elaborato congiuntamente da Bramante, Amadeo, Cristoforo Rocchi, Bartolomeo da Castronovo,
Giacomo da Candia e Martino Fugazza. Prima noi non abbiamo nessuna attestazione della
presenza di Bramante. Nel corso di meno di un anno, ci sono tre progetti diversi con architetti
diversi, di cui il primo architetto non sappiamo chi fosse, ma il ruolo di queste personalità
all'interno del progetto ci è oscuro. C'è l'idea di una collettività di intenti che abbiamo cercato di
ripetere diverse volte, che è estranea al nostro modo di concepire i progetti. All'epoca, a volte un
progetto di una cattedrale come questo, nasce nell'ambito di discussioni. È compito dei maestri
fare un progetto esecutivo che tenga conto di tutte le discussioni fatte e dei desideri della
committenza.
È importante speci care chi sono gli altri personaggi oltre ad Amadeo e Bramante.
• Cristoforo Rocchi è un maestro a legnamine, un lavoratore del legno, specialmente intagliatore. I
maestri del legno nel Quattrocento si distinguevano in due macrocategorie gli intagliatori e gli
intarsiatori. Il lavoro di Tarsia era molto più complesso di quello degli intagliatori e naturalmente
necessitava di competenze che erano diverse. Cristoforo Rocchi era un intagliatore, quindi non
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maestro di tarsia, ma prevalentemente intagliatore. In verità esistono delle tarsie che gli sono
attribuite, per esempio alcune in Lombardia, anche in altre località d’Italia, però occorre dire che
sono tarsie abbastanza semplici. Lo conosciamo meglio come intagliatore, soprattutto perché
c'è questo modello ligneo del Duomo di Pavia che ancora esiste che è attribuito a Cristoforo
Rocchi. Gli intagliatori sono anche molto importanti per l'architettura, perché appunto quando
un architetto aveva necessità di un modello ligneo, spesso poteva a darsi a maestri che
praticassero l'arte dell’intaglio.
• Giacomo da Candia e Bartolomeo da Castronovo sono maestri muratori. Giacomo da Candia
poteva avere anche qualche competenza di lavorazioni in terracotta. In realtà al Duomo di Pavia
non ha una consistenza di materiali di terracotta rilevante però e ettivamente Bartolomeo da
Castelnuovo e Giacomo da Candia sono molto documentati nei cantieri Pavesi e nei dintorni di
Pavia.
• Martino Fugazza è un altro maestro, anche scultore, anch'egli noto in rapporto con intagliatori
lignei.
Lezione 12, 30.03.2023
Nel dicembre 1488 Bramante è anche documentato sul cantiere. Si presume che sia stato
e ettivamente scelto questo progetto elaborato da Bramante, Amadeo e Cristoforo Rocchi. Si
pensa che si sia avviato il cantiere sulla base di questo progetto e a dicembre Bramante viene
compensato con 32 lire e un soldo per essersi recato più volte a Pavia. Lo stesso pagamento,
però, viene dato anche a Giovanni Giacomo Dolcebuono che era un altro architetto che lavorava
nella fabbrica del Duomo di Milano e lavorava con Amadeo. Non ci sorprende la sua presenza
perché a un certo punto Dolcebuono e Amadeo sono una specie di binomio inscindibile. Nel
documento c’è poi scritto che quando non c'è Amadeo a dirigere il cantiere del Duomo di Pavia,
supplisce Cristoforo Rocchi. Questi documenti, invece, testimoniano la sua presenza più
importante.

Passano alcuni anni e nel 1490 arrivano a Pavia su richiesta dei Fabbriceri di Francesco di Giorgio
Martini e Leonardo, accompagnati da Giovanni Antonio Amadeo. Vengono da Milano, si trovano
tutti a Milano perché hanno partecipato tutti quanti al grande concorso per il tiburio del Duomo di
Milano. Nel 1490 questa vicenda ci testimonia che Francesco Di Giorgio è diventato noto nel
panorama italiano come architetto e ingegnere. Amadeo in quel momento sta tenendo le redini di
questo concorso del tiburio del Duomo di Milano (vincono Giovanni Antonio Amadeo e Gian
Giacomo Dolcebuono). Amadeo poi chiede di dare un’occhiata ai suoi lavori a Pavia e Francesco
Di Giorgio ad un certo punto viene proprio coinvolto, cioè viene pagato per aver espresso un
parere preciso sui lavori eseguiti. Gli si chiede di valutare i lavori già eseguiti e anche il modello
ligneo. Ci si chiede come mai già durante i lavori avessero chiesto un parere a personalità come
Francesco di Giorgio Martini e Leonardo quando il progetto era già concorde con tutti. Questo a
testa probabilmente che c'era una indecisione sul da farsi oppure potrebbe essere che magari
questo progetto del 1488 fatto da Bramante, Amadeo e Cristoforo Rocchi, non contemplasse
tutta la cattedrale, magari doveva essere dettagliato in delle parti successive.

Nel 1492 troviamo un atto che attesta che la cripta è conclusa. Dopo tutte queste interpellanze
hanno deciso Ho proseguito con i lavori hanno realizzato tutta la cripta. Il progetto della cripta,
che è di fatto l'unica parte dei lavori che viene conclusa entro il 1500, quindi con la presenza di
Bramante ancora in Lombardia e quindi anche la possibilità, in caso di dubbi, di continuare a
chiamarlo perché venisse a vedere il cantiere. È talmente coesa la cripta con il resto della
cattedrale, che qui ci possiamo immaginare, che quindi c'è e ettivamente un progetto che stanno
seguendo. Nel 1492 si pongono le fondamenta della sacrestia settentrionale, mentre quella
meridionale no anche se è speculare quindi probabilmente quella settentrionale ha fatto da guida.

Nel ’93 compaiono i primi scalpellini e lavoratori di marmo, quindi vuol dire che oltre al grezzo
della muratura si stanno facendo i rivestimenti lapidei. Il Duomo non è interamente costruito in
pietra, c'è un nucleo ovviamente in mattoni ma poi c'è un rivestimento marmoreo.

Nel ’97 la fase quattrocentesca del cantiere si chiude con la morte di Cristoforo Rocchi che aveva
continuato a reggere il cantiere in assenza di Amadeo. Dopo la morte di Cristoforo Rocchi c'è un
momento di crisi del cantiere e viene convocato a Pavia Giovanni Giacomo Dolcebuono per fare
di nuovo una revisione generale dei lavori no a quel momento condotti. Possiamo leggere questo
evento in due modi: pensare che sia una cosa normale per stabilire una successione nel cantiere
oppure possiamo pensare che questa revisione comporti anche una revisione del progetto. Gli
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studiosi caldeggiano per la seconda ipotesi perché i Fabbriceri a dano la conduzione dei lavori di
nuovo ad Amadeo e Dolcebuono, ma devono realizzare un nuovo modello ligneo. Se si deve
realizzare un nuovo modello ligneo, signi ca che questo modello riportava un progetto che non è
più aggiornato. Questo nuovo modello viene a dato a Giovan Pietro Fugazza e si dice che segue
le indicazioni di Amadeo.

Fermo restando che, per il momento, Bramante sembra avere un ruolo di consulente del progetto,
ma poi nelle fasi esecutive il progetto viene reso fattibile da altri del team.

Questa è la pianta del Duomo di Pavia nello stato attuale. Oggi il


Duomo di Pavia si presenta come una chiesa a pianta centrale.
Tutto il progetto ruota intorno allo spazio centrale con otto pilastri
giganteschi che sono disposti in modo radiale. Essendoci uno spazio
ottagonale creato dai pilastri già dall'origine, noi non possiamo
immaginarci una cupola emisferica. Probabilmente sopra c'era una
copertura che aveva una base ottagonale.
Da questo spazio ottagonale abbiamo poi quattro bracci di croce,
uno che corrisponde al presbiterio sotto il quale c'è la cripta. La
cripta coincide con lo spazio del presbiterio e poi due bracci del
transetto e la navata. La navata è a tre campate quindi oggi è
leggermente più lunga dei bracci del transetto. Tutte le campate
sono sfondate da cappelle con un pro lo semicircolare. Ai lati della
parte presbiteriale ci sono le due sacrestie che sono anche citate nei
documenti, quindi una sacrestia settentrionale e una sacrestia
meridionale. La sacrestia ha un impianto a pianta centrale, con tutti i
lati interni sfondati da nicchie (v. Santa Maria presso San Satiro).
Pianta del Duomo di Pavia (stato a-uale)
Guardando come è stato fatto il progetto del Duomo di Pavia e cercando di farlo dialogare con il
primo documento riguardante il tentativo di farlo assomigliare a Santa So a, ci viene da dire che
forse l'immaginario che loro avevano di Santa So a di Costantinopoli poteva anche non essere
così tanto preciso. C'è un aspetto tutto sommato rilevante che è quello della luce. Santa So a era
decantata soprattutto per la cupola che creava dei riverberi luminosi che facevano sembrare la
Chiesa evanescente. Questa era la sensazione descritta da Procopio. E ettivamente anche il
Duomo di Pavia è estremamente luminoso, cioè è una cattedrale molto grande che dentro a una
dei rivestimenti lapidei con marmi di colore chiaro, ma non ha l'oro.
Firenze, Santa Maria del Fiore, sezione longitudinale
Loreto, Basilica della Santa Casa, pianta
Pavia, Duomo, pianta a-uale

La più grande struttura voltata su base ottagonale che è


stata costruita nel Quattrocento è la cupola nella chiesa di
Santa Maria del Fiore di Filippo Brunelleschi. Se noi
guardiamo la parte proprio su cui si imposta la volta di
Brunelleschi, che ha una volta su base ottagonale. Dal Firenze, Santa Maria del Fiore, pianta

punto di vista geometrico, è una volta a padiglione, quindi ci


potremmo immaginare su quel vano ottagonale una
soluzione simile. C’è una disposizione dei pilastri simile, con
una copertura ottagonale sopra.

C'è da dire, però, che c'è un altro esempio molto rilevante per
questa disposizione di pilastri, che invece un esempio poco noto
oggi che è il Santuario di Loreto. È una fabbrica quasi interamente
quattrocentesca, con delle propaggini nel Cinquecento. Loreto
aveva proprio un impianto ha otto pilastri su cui si imposta la
copertura voltata centrale. Un po' come a Pavia, la pianta
dell'edi cio si sviluppa intorno a questa nucleo. Dal punto di vista
statico gli otto pilastri sono ovviamente molto robusti, ma non sono

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da soli a sorreggere le spinte che provengono dalla volta, ma sono coadiuvati da delle vere e
proprie cappelle. Esse compartecipano alle spinte. Questo sistema costruttivo era molto noto agli
architetti del Quattrocento. Loreto, un cantiere che si avvia negli anni ’70, prosegue per tutti gli
anni ’80. Bramante ci lavora, però nei suoi anni romani.
Se Bramante era a Urbino e ha lavorato anche a Perugia, passando per la via Flaminia, si può
ipotizzare che ci fosse passato. Loreto era un santuario veneratissimo. Si stima che la Madonna di
Loreto fosse uno dei santuari più venerati del mondo. Sant’Ippolito

Se si volesse vedere oltre a queste fabbriche moderne un edi cio San Sisto
Sant’Aquilino

antico che poteva avere lo stesso sistema costruttivo, lo avrebbe


trovato nella Basilica di San Lorenzo di Milano. È presente la volta
centrale, sorretta da otto pilastri coadiuvati da altri quattro che sono
leggermente arretrati e collocati sopra le diagonali. Lo abbiamo citato
anche come esempio di architettura di edi cio a doppio involucro, sul
modello di fabbriche costantinopolitana come Santa So a.

Milano, San Lorenzo

C'è poi un altro elemento essenzialmente orentino questa cosa delle nicchie
delle cappelle che hanno la pro lo semicircolare che è Santo Spirito di
Firenze. A quel punto Bramante diventa ancora più interessante come come
proposta per questo progetto.

La tipologia di crasi tra diversi modelli di riferimento per creare qualcosa di nuovo è proprio tipico
della progettazione di Bramante. È e ettivamente abbastanza papabile Bramante come
progettista dell'idea generale, poi magari messa a punto insieme ad Amadeo insieme a Cristoforo
Rocchi in questa specie di collettività di intenti che possiamo valutare.

Pavia, Duomo, pianta a-uale


Firenze, S. Spirito, pianta
Stiamo parlando di un edi cio a pianta centrale però il modello è così. La
pianta del modello corrisponde in maniera abbastanza fedele alla parte dove
hanno iniziato a costruire, quella più antica, ma poi non si ferma queste tre
navate, ha una serie di altre campate e diventa una cattedrale con tre navate
lunghissime. La soluzione più facile è dire che il modello che noi vediamo
oggi non è il modello originario di Cristoforo Rocchi, ma è il modello fatto
realizzare nel 1497, dopo la morte di Rocchi, da Giovan Pietro Fugazza.
Nella storiogra a si è consolidata una posizione critica che prevede che ha pensato che quindi il
modello originario formulato da Bramante, Amadeo e Rocchi fosse a pianta centrale e invece, per
Pavia, Musei Civici, modello ligneo del Duomo di Pavia

qualche motivo che noi non conosciamo, dopo il ’97 si sia invece deciso di promuovere la
costruzione di un edi cio a impianto longitudinale e quindi aggiungere tre navate molto lunghe. Gli
studi più recenti hanno provato a puntualizzare alcune situazioni: studiando il modello si è visto in
corrispondenza di una campata c'è una cesura e sembra fatto da una manifattura leggermente
diversa. La parte del modello che va verso la facciata è molto più sempli cata. L'ipotesi corrente è
che il modello di oggi sia quello originario di Cristoforo Rocchi, ma che Giovan Pietro Fugazza
dopo il ’97 abbia aggiunto questo pezzo staccando la facciata e prolungandolo di un pezzo.

C'era un grande problema per quanto riguardava questi pilastri.


Questi otto pilastri avevano la necessità di essere
estremamente alti. Dovevano superare in altezza tutti quelli
delle altre campate. Qui entra in gioco c'è probabilmente
proprio Bramante. Essi hanno una serie di cornici che si
sovrappongono l'una all'altra, che somigliano molto al modo in
cui trattava le cornici Francesco Di Giorgio. C’è una
decorazione dei capitelli soltanto qui. I pilastri hanno un
piedistallo, le paraste che avvolgono i pilastri con tutte queste
sfaccettature e anche piene di ribattute. Sopra c'è una
grandissima trabeazione con un fregio molto alto. Sl di sopra,

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invece questi pilastri continuano e sono ritmati solo da cornici. Questa soluzione, quindi,
e ettivamente di questi otto pilastri potrebbe essere un indice di un suggerimento di una
presenza di Bramante.

La cripta è la prima cosa che viene realizzata perché nel ’92


abbiamo già quel documento con l’atto rogato sopra le volte della
cripta. Nel modello ligneo che già era stato fatto nel ’92, la cripta
non c’è. Possiamo interpretarlo in due modi: esisteva un modello
della cripta oppure la cripta appartiene a una fase progettuale
talmente preliminare che è prima del modello. È una cripta molto
grande, che coincide con lo spazio del presbiterio quindi equivale
ad avere una seconda chiesa sotterranea che può essere utilizzata
come cappella invernale. È collegata con le sacrestie e con la parte
superiore da percorsi scalari in spessore di muro estremamente
interessanti. L'esistenza stessa della cripta in questa fase è
collegata in questo modo con gli altri ambienti e ci fa capire che non è solo la cripta, ma tutto il
presbiterio che fa parte della fase originaria di progettazione. In più ha questa soluzione
particolarissima a tre absidi, come è triabsidato il presbiterio superiore. L'abside centrale ha
questa copertura voltata molto particolare, che in Lombardia non ha precedenti, che mostra
un’alternanza tra unghie e fusi. Gli inglesi la chiamano a zucca (pumpkin vault).
Un esempio dall’antichità di questa volta particolare a zucca la troviamo nella Villa Adriana a
Tivoli. Francesco di Giorgio Martini era stato a Tivoli e aveva rilevato alcuni edi ci della Villa
Adriana. Non sappiamo se questo viaggio di Francesco di Giorgio Martini del 1490 a stimare il
Duomo di Pavia può aver avuto un e etto perché la cripta e ettivamente risulta nita nel ’92.
Questa volta poggia su dei semipilastri addossati alla parete dell'abside che producono delle
lunette. Dentro queste lunette ci sono degli oculi che sono una delle cose più straordinarie di tutta
la storia dell'architettura del Quattrocento, perché sono oculi che permettono di prendere luce alla
cripta. Questi oculi sono tagliati in diagonale e in
prospettiva come se fossero dei dei ri ettori che
permettono di entrare alla luce. Si è immaginato che
questa sia la soluzione suggerita da Bramante.
Bramante, però, soprattutto con questo studio della
convergenza, anche in un unico punto del punto di vista
dell'osservatore, diventa un personaggio papabile per
questa scelta.

La cattedrale come prevista nel modello ligneo attuale, quindi con quella navata molto lunga, non
stava all’interno della conformazione della città. Nel ’97 si doveva aver previsto di buttare giù
quegli edi ci davanti. Interviene su questo tema un documento nel 1493 che testimonia che il
palazzo vescovile è trasferito dal anco del Duomo al monastero delle Stuore (“de Storis”), di
fronte alla facciata.
Interviene una lettera del 15 luglio ’94 in cui Giacomo Pusterla (che fa parte della Fabbriceria del
Duomo di Pavia) scrive a Ludovico il Moro in merito a discussioni sulla piazza del Regisole in cui
si accenna a un disegno della piazza con portici.

Qualcuno si è preoccupato di questo problema della piazza, forse Ludovico il Moro, e l'ingegnere
lo aveva rassicurato dicendo che la piazza non andasse ingrandita.Questo confermerebbe la
pianta centrale. Dice poi che se un giorno volessero ingrandire la piazza, perché sarà da fare tra
duecento anni dato che il cantiere è lento. Questa a ermazione farebbe sospettare che la
discussione tra un edi cio a pianta centrale e un edi cio a pianta longitudinale fosse già
intervenuta. Sulla base di questo, quindi, non è neanche certo che il primo progetto fosse già
stato deciso come un impianto completamente centrale. L'ultima riga del documento cita un
disegno della piazza, quindi negli anni immediatamente successivi a quando si fa il progetto del
Duomo, si fa anche un progetto per la piazza. La preoccupazione di Ludovico il Moro è quella di
spendere soldi inutilmente per la realizzazione di edi ci per ornare la piazza quando magari
sarebbero potuti essere buttati giù per allargare la cattedrale.

Il fatto che si volesse intervenire sulla piazza del Regi Sole poteva essere
un'idea che già si era a acciata nella a Pavia, probabilmente negli anni
limitro alla progettazione del Duomo. Già in un rilievo di Giovanni Antonio
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Collabotatore di Giovanni Antonio Amadeo, Flagellazione, Bergamo, Cappella Colleoni,


tomba di Bartolomeo Colleoni
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Amadeo (Flagellazione) che è precedente si vede la statua del Regisole con davanti una cattedrale
tutta nuova e dietro un portico tutto nuovo. Non sono coincidenti con quelli che Pavia aveva in
quel momento. Forse quando nell’87-88, Ascanio Sforza promette di rifare le cattedrali, di
sistemare magari anche la piazza antistante, forse i pavesi avevano già volontà di rifare tutti questi
edi ci. Questo rilievo di Amadeo potrebbe testimoniarlo perché non sono realistici questi edi ci
che stanno intorno al regisole, però, mostrano una soluzione che poi coincide con gli eventi che
sono successi dopo.

Lezione 13, 18.04.2023

-Bramante a Vigevano e gli edifici residenziali-


Le residenze ducali
Per parlare dell’operato di Bramante a Vigevano, è necessaria un’introduzione sulle residenze
ducali e quindi su come abitavano i duchi nel Quattrocento.

I duchi Sforza non avevano eletto il Castello Sforzesco Canto del signore

come prima residenza di famiglia, ma gli Sforza sono il (duca)

castello soltanto dall'epoca di Galeazzo Maria.


Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti non abitavano
il castello, ma nella vecchia corte dell'Arengo, cioè un
palazzo che si trovava già dall'epoca viscontea accanto
al Duomo. Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti,
proprio anche per un problema di legittimazione, Canto de madonna

decidono quindi di occupare la corte dell’Arengo. Questa (duchessa)

è una pianta del piano terra del Palazzo Ducale che si


trova oggi conservata all'Archivio storico della Fabbrica
del Duomo, perché era nata una contesa tra la fabbrica
del Duomo e il Palazzo e quindi c'era stato bisogno di
alcuni rilievi. È una pianta seicentesca del 1616 che
mostra come era fatto Palazzo Ducale prima degli
interventi di Piermarini. Gli sforza vanno a collocarsi nella residenza dei Visconti perché costituiva
anche una forma di legittimazione del loro potere perché la coppia ha sempre avuto il problema di
Tolomeo Rinaldi, Pianta del piano terreno di Palazzo Ducale con varianti proge4uali, 1616; AVFDMi, Archivio Storico, 242, 86, 1

non essere la coppia ducale legittimata.


Si trattava di un grande palazzo che aveva due corti: una antistante, separata dalla piazza del
Duomo, che era concepita come una corte semi-pubblica, mentre invece la parte retrostante, cioè
qui era destinata a giardino e poi si apriva alle spalle del palazzo, tutto un parco dove c'erano
anche altre zone e altre aree non edi cate e che potevano essere utilizzate per svago della corte.
Nell'epoca di Francesco Sforza sappiamo da alcuni documenti degli anni 50 e dei primi anni 60
del Quattrocento che gli Sforza cercano comunque di adeguare la propria residenza alle loro
necessità e in particolare intervengono nelle aree segnate. Canto signi ca angolo, quindi sono
due aree in cui abitavano da una parte Francesco Sforza (canto del signore) e dall’altra Bianca
Maria Visconti e i gli (Canto de madonna).
Questi, negli anni 50 e negli anni 60, vengono riallestiti internamente. Al piano superiore di questa
stecca di fabbrica si trovavano una serie di stanze di rappresentanza che venivano utilizzate da
Francesco Sforza anche a scopi politici e in particolare per il ricevimento degli ambasciatori
stranieri. Questo si riesce a ricostruire grazie ad una serie di documenti che si riescono a
collegare con le piante storiche e si riesce a capire grazie a questa pianta sempre seicentesca,
che mostra una sequenza di cinque ambienti che coincidono esattamente.
I cinque ambienti (Camera della Maestà, Camera del Cane, Anticamera del Cane, Camera delle 1470: realizzazione di un pontile che vada «dala camera del marmoro in corte fin alla sala aperta che guarda versa la chiexa del domo»

Bisse e Camera del Marmo) di Palazzo Reale ospitavano gli Camera del Cane

ambasciatori. Più l'ambasciatore era vicino alla stanza del Duca e Camera della Maestà
Anticamera del Cane
Appartamenti di
Francesco Sforza

più signi cava che questo Ambasciatore era importante e Loggia di Papio (?)

rilevante a livello politico. Questo tipo di organizzazione era


utilizzata dai duchi anche per stabilire una sorta di gerarchia tra le
potenze estere, quindi politicamente manifestare apertamente
qual erano le maggiori alleanze del Ducato Sforzesco. Gli spazi
del palazzo vengono utilizzati con scopi politici quindi Camera delle Bisse Camera del Marmo

l'architettura assume un valore dal punto di vista dell’uso.


Giovanni Ambrogio Pessina, Pianta parziale del piano superiore dell’ala orientale di Palazzo Ducale, 1658-1659; ASCMiBT, Raccolta Bianconi, I, f. 3r

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La striscia evidenziata in rosso si chiama il pontile. I pontili erano delle strutture tipo ballatoio di
legno sopraelevato che collega una parte del palazzo con l’altra. Queste tipologie di strutture
erano tipiche delle residenze ducali sforzesche e venivano utilizzate perché si potesse
raggiungere una parte l'altra del palazzo, senza passare dentro le stanze e quindi disturbare
quello che stava avvenendo dentro. Questo tipo di strutture è molto rilevante perché non ci non
esistono corridoi. All'epoca non si facevano degli edi ci che avevano dei disimpegni. Le stanze
erano tutte con le porte in in lata, cioè comunicanti tra loro.

Galeazzo Maria decide di voler trasferire la corte al Castello Sforzesco. Egli è un duca molto
diverso dal padre, molto meno aperto nei confronti della popolazione e quindi da un certo punto
di vista non è sorprendente che rispetto al padre, che praticava anche dal punto di vista
dell'utilizzo dell’architettura questa idea di corte aperta, Galeazzo Maria si chiude dentro la corte
ducale del castello. Si capisce che c'è una svolta tirannica all'interno della politica sforzesca e allo
stesso tempo Galeazzo Maria è stato fatto crescere dalla famiglia per essere un principe nella sua
componente di cultore anche delle belle arti, della letteratura e poi degli svaghi di corte. Amava
molto gli svaghi di corte, come la caccia. Proprio per questo fa restaurare una serie di residenze
ducali tra cui il Castello di Vigevano.

Galeazzo Maria Sforza stabilisce invece la residenza ducale dentro il


Castello Sforzesco. Questa è la corte ducale fatta costruire a partire
dal 1467 per volere del duca Galeazzo Maria, che in seguito sposa
Bona di Savoia. Si allea con i Savoia e ha anche la residenza ducale
dentro il castello. Il duca porta dentro la corte ducale non soltanto la
residenza della famiglia, ma la cancelleria stessa, cioè i segretari
ducali, tutti gli organismi amministrativi che servono la gestione dello
Stato.
Interessante per gli sviluppi del castello di Vigevano è l’elemento numero 15 che si trova nella
Castello Sforzesco, Corte ducale

pianta di Luca Beltrami.


Quando Ludovico il Moro fa il colpo di Stato nel 1494 e assume il controllo
del Ducato anche se formalmente il duca è il nipote Gian Galeazzo Maria,
glio di Galeazzo Maria Sforza, no a che anche lui muore nel ’94. Allora CORTE DUCALE

Ludovico il Moro nalmente può prendere il potere, esautorando il glio


legittimo di Gian Galeazzo (che nel ’94 aveva due anni). Ludovico il moro
assume direttamente il potere, ricevendo dall'imperatore l’investitura ducale
perché è l'unico che sborsa all'imperatore la cifra che l'imperatore chiedeva
per comprare il titolo. Nel 1495, quindi subito l'anno dopo, ordina la
costruzione di un portico che potesse collegare due parti diverse del
castello. Ludovico il Moro fa collegare la sala delle Asse attraverso una serie
di piccole stanze e accompagnati da un portico sopra un ponticello che Luca Beltrami, Pianta del Castello di Milano, Civico Gabinetto di Disegni di Milano, RB 2352

consente di attraversare il fossato per raggiungere un giardino segreto. Il


giardino segreto non si trovava originariamente al di fuori del castello perché
c’era una ghirlanda, cioè una forti cazione, che circondava questa parte del
castello all’esterno.i Ludovico il Moro fa fare questa ponticello per collegare
direttamente i suoi appartamenti e gli appartamenti della duchessa
direttamente col giardino segreto. Il batti ponte su cui si imposta la cella di
Ludovico il Moro esisteva già, quindi Ludovico il Moro fa costruire le stanze
e il portico.
Si occupa della costruzione di questa ponticella l'ingegnere ducale
Ambrogio Ferrari, lo stesso che negli stessi anni è coinvolto nei lavori
di Vigevano e per le decorazioni di questa ponticello nel 96 viene
richiesto un misterioso maestro, Pietro Perugino che non viene e poi,
a giudicare dagli appunti del Codice Atlantico, forse poteva essere
stato coinvolto nella decorazione anche Leonardo, che
parallelamente stava lavorando la sala delle asse con cui questa
Ponticella era collegata. La Ponticella di per sé è molto semplice,
però rispetto ad altri portici presenta la trabeazione. La trabeazione
un po’ sproporzionata, nel senso che ha un fregio altissimo con delle colonne esili, sottilissime. È
un portico tutto sommato un po diverso da quelli che siamo abituati a vedere.
Alcuni studiosi, hanno voluto attribuire questa ponticella a Bramante siccome Ludovico il Moro in
quel momento stava utilizzando Bramante anche a Vigevano. Naturalmente, come in molti
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progetti di Bramante, in molti progetti o non di Bramante non si sa, la cosa rimane ignota, cioè
non c'è nessun documento che confermi questa attribuzione. Non c'è dal punto di vista
linguistico, dal punto di vista della sintassi dell’architettura, qualcosa che ci confermi che c'è un
progetto di Bramante rimane molto dubbio. Gli studiosi che vogliono dimostrare che Bramante
abbia partecipato alla costruzione della Ponticella del Castello Sforzesco portano due fonti
principali di confronto:
1. La prima riguarda una fonte di Leonardo da Vinci del 1494 che enuncia una struttura di un
ponte levatoio mostratogli da Bramante. Questa struttura però non c'entrerebbe niente con la
vera realizzazione di questa Ponticella che si trova al Castello Sforzesco. Gli studiosi sono
concordi che Leonardo da Vinci e Bramante abbiano discusso di idee riguardo ai ponti levatoi.
2. L'altra fonte è di Cesare Cesariano del 1521. Cesare Cesariano era un trattatista che aveva
pubblicato la prima edizione del trattato di Vitruvio in volgare. All'interno di un commento
rispetto a una serie di notizie del contesto milanese riguardo a ponti cita la ponticella del
castello di Porta Giovia. Sembrerebbe e ettivamente che Cesariano stia descrivendo una
struttura che dalla parte più interna della muratura del castello si proietta dall'altra parte del
fossato.

Il caste o di Vigevano Vigevano


A Vigevano, la residenza ducale vede invece l'intervento diretto di Bramante. È documentato
anche se non si capisce sempre bene cosa abbia fatto.
Questa è una pianta schematica del Castello di Vigevano prima
degli interventi sforzeschi, quindi in epoca viscontea. Anche
questa è una residenza già dei Visconti, che poi viene un castello
più che una residenza. All'epoca Visconti era prevalentemente un
fortilizio, che viene poi riconvertito a residenza ducale periferica,
cioè a Vigevano. Nell'area di Vigevano si praticava la caccia col
falcone quindi era un luogo anche di svago per la corte.
La struttura della fortezza del Castello di Vigevano è fatta così:
- C’era un maschio quadrangolare con quattro torri.
- Questo maschio era collegato poi con una rocca più esterna,
così detta Rocca di Bereguardo, della quale oggi sopravvive
soltanto il circuito.
- Sopravvive interamente la strada coperta che collegava le due forti cazioni. La strada coperta è
un collegamento sopraelevato che permette di raggiungere l'interno del castello senza passare
dal borgo. La strada coperta ha due livelli: uno superiore (su cui potevano passare solo i duchi
che portava al castello) e un inferiore (collegato con le strade della città).
- Esisteva già anche il muro di cinta.
Torr
Galeazzo Maria Sforza amava molto la caccia. Frequentava il Vigevano tra le e

sue residenze preferite. Noi sappiamo che i lavori a Vigevano li concentrò nel
1476, anno in cui restaura contemporaneamente anche la residenza di Galliate.
Nel dicembre ’76 viene ucciso, quindi non si gode quello che ha fatto costruire Mas
tio

per molto tempo. Noi sappiamo perché fa realizzare quasi sicuramente la torre,
che aveva anche la funzione di torre civica e quindi ancora oggi esiste.
Galeazzo Maria aveva fatto restaurare il maschio visconteo, dove ovviamente
c'erano le stanze dove i duchi dovevano risiedere per delle permanenze brevi.

Galeazzo Maria Sforza, grande appassionato di


caccia e anche di cavalli, fa realizzare le scuderie.
Galeazzo Maria Sforza fa appoggiare le nuove
cavallerizze, cioè le scuderie per i cavalli, alle mura
Scuderia

di cinta, facendo costruire le prime due scuderie


che sono quelle dell'epoca di Galeazzo Maria. Dal
punto di vista architettonico non viene ricostruito,
Sc
ud

cioè vengono allestite le sale interne, ma all'esterno


eri
a

v i t ro v a t e a n c o r a d e l l e c a r a t t e r i s t i c h e e
un'architettura propria dell'epoca precedente, quindi del Trecento o del primo Quattrocento.
Vigevano, Castello, Scuderie di Galeazzo Maria Sforza

Arriva Ludovico il Moro nel 1488 e uno dei primi interventi voluti da lui è la costruzione delle nuove
cucine del castello e la costruzione della falconiera. La falconiera è un edi cio espressamente
54
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dedicato alla caccia col falcone. La caccia col falcone era un
passatempo che già dall'epoca medievale era praticato
presso le corti. Era un passatempo cortese e di grande
eleganza, anche ritenuto di alto livello. La falconiera è questo
edi cio che ha nella parte superiore un grande portico aperto
su tutte e due le direzioni, dove ovviamente si potevano
lanciare lanciare i falconi per la caccia. Questa struttura, che è
la falconeria vera e propria, è poi collegata con il maschio da

ra
e
ni
co
questo percorso sopraelevato, quindi un portico di passaggio,

l
Fa
un’altra specie di ponticello. In questi primi interventi di Vigevano, Castello, Falconiera

Ludovico il Moro noi non abbiamo pressoché nessuna attestazione che sia documentato
Bramante. Non possiamo assegnare a Bramante la Falconiera e questi primi interventi. Sappiamo
che per quest'area vengono fornite delle colonne piccole e grandi che dovevano essere condotte
a Vigevano. Queste colonne presentano un’iscrizione con attestato che Ludovico il Moro era dux
Bari, quindi duca di Bari (precedenti al 1494). Dopo il ’94, naturalmente lui è dux Mediolani.

Nel 1489 Ludovico il Moro, scrivendo al


Comune di Vigevano, manifesta
l'intenzione di fare qualche cosa per il ia
di oro
er l M
ud o i
Sc vic

borgo, quindi di ingrandire la città, di L udo

aprire una nuova piazza e di fare dei


nuovi interventi anche sul castello.
Infatti tra all’89 e il 90, si colloca la
costruzione della scuderia, la Leonardo Da Vinci, Disegni di stalle, Parigi, Institut de France, ms. B
Vigevano, Castello, Scuderia di Ludovico il Moro

cosiddetta scuderia di Ludovico il Moro. La scuderia è stata da tutti collegata con il disegno della
cosiddetta Polita stalla di Leonardo da Vinci. Tutte le volte che gli studiosi studiano questo
disegno di Leonardo trovano una certa somiglianza con la scuderia che Ludovico il Moro ha fatto
costruire tra all’89-90 a Vigevano. La somiglianza c’è però gli studi più recenti puntualizzano tutti
sul fatto che l'apposita sala di Leonardo non è la scuderia di Vigevano. La Polita stalla di
Leonardo è un'idea di Leonardo per migliorare il modo in cui si tiene pulita la stalla (con
approvvigionamento di cibo per gli animali e de usso delle sporcizie) che Leonardo inventa
basandosi sulla tipologia di scuderie normalmente utilizzate dagli Sforza. Essendo stata costruita
di recente questa stalla a Vigevano, probabilmente lui aveva in mente la sala di Vigevano fatta
costruire da Ludovico il Moro. Probabilmente lui vede/studia le stalle di Vigevano e gli applica
delle innovazioni e propone innovazioni.

Tra il 1493 e il 1495 nalmente arriviamo al punto dove probabilmente agisce Bramante e cioè si
costruisce il giardino pensile e la loggia delle Dame. Il giardino pensile, lo dice il nome, è un
giardino sopraelevato. Un altro giardino pensile l’abbiamo trovato a Urbino, luogo da cui
proveniva Bramante. Qui è impegnato il maestro Giacomo De Appiano ed è importante perché
fornitore di pietra e scultore, e c'è in altri cantieri di Bramante.

I documenti che attestano la presenza di Bramante a Vigevano sono:


• 1494, 16 febbraio: nota dei marmi consegnati dalla Certosa di Pavia su richiesta di Ludovico il
Moro - 10 colonne di marmo bastardo con basi e capitelli da condurre a Vigevano e consegnare
a Bramante. C’è stata una grande discussione sul perché vengono della Certosa di Pavia. La
questione è abbastanza banale, è una questione di tratta uviale. Alla Certosa di Pavia tramite
naviglio arrivavano delle forniture di pietra che poi potevano essere trasportate a Vigevano. C'è
un sistema di trasporto che fa arrivare i materiali da Pavia. Questi materiali sono proprio da
consegnare a Bramante. Bramante è la persona che si trova a Vigevano e deve ricevere i marmi.
• 1494, 24 febbraio: Bramante è autorizzato a far estrarre dalle cave di Candoglia e Ornavasso
marmi da condurre a Vigevano (questi materiali compaiono nella loggia delle Dame). È rarissimo
che questo possa estrarre dalle cave di Candoglia, perché la cava di Candoglia appartiene alla
fabbrica del Duomo di Milano. Vuol dire che ci deve essere un'eccezionale autorizzazione da
parte della fabbrica di far cavare il marmo di Candoglia. La fabbrica aveva un'estrema
parsimonia nel distribuire il marmo perché aveva paura che nisse prima di terminare il Duomo.
Il duca probabilmente lo acquista a peso d'oro e quindi glielo compra. A Candoglia c'è una vena
un po’ più pulita e quindi con meno inserti colorati, mentre quello da Ornavasso è un po’ più
venato.

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• 1495, 4 marzo: lettera del castellano Bianchino da Palude che dice che la camera presso la
strada coperta che Bramante fa dipingere è conclusa nello stucco e che si sta dipingendo la
camera vicino alla cappella; inoltre, non sono ancora iniziati i lavori alla camera dal “cielo
tondo”. Bramante stava decorando e allestendo internamente almeno tre stanze (una camera
presso la strada coperta con decorazioni a stucco; camera vicino alla cappella; camera con il
“cielo tondo”). Si è molto dibattuto su quale sia il riferimento per la camera con il cielo tondo e,
fermo restando che il castello di Vigevano aveva prevalentemente coperture lignee, si parteggia
per credere che invece il cielo tondo si riferisse ad un sistema voltato. Probabilmente però si
parlava di un so tto ligneo.
• metà XVI secolo: deposizione di testimoni abitanti a Vigevano.
- un testimone dichiara di aver visto condurre la terra per impiantarlo
- un altro testimone dichiara che Ludovico il Moro si avvalse dell’opera di Bramante per tu-i i
lavori al giardino
- Pietro Praguzio descrive in modo completo il giardino e i lavori e conferma che esso era
sopraelevato

La Loggia delle Dame e il giardino stanno alle spalle del vecchio


maschio visconteo e costituiscono in e etti specchio rispetto al
maschio, una parte costruita nuovamente all'epoca di Ludovico il
Moro. Non è più un semplice riallestimento interno delle stanze
del maschio, ma sono nuovi corpi di fabbrica. La Loggia delle
Dame è stata chiusa nel corso del tempo, ma originariamente
era aperta. Era una loggia composta da archi su colonne
e ettivamente realizzate con l'utilizzo di marmo di Candoglia o
Ornavasso. Qui coincidono i materiali ordinati. All’interno vi era il
giardino pensile. Coloro che parteggiano per riferire i documenti con le camere decorate a so tti
lignei pensano che si faccia sempre riferimento alla stecca di fabbrica con
Vigevano, Castello, lapensile,
Giardino loggia loggia delledelle
dame Dame.
Invece Luisa Giordano, che parteggia per il fatto che il cielo tondo volesse dire copertura voltata,
dice che quindi le decorazioni di Bramante stavano da sull’altro lato.

La piazza ducale di Vigevano


Ludovico il Moro, tra il 1492 e il ’94, aveva avuto l'iniziativa già nell'89 di ricostruire, di fornire il
borgo di una nuova piazza. La piazza si situa su un anco del castello.

Prima dell'intervento promosso da Ludovico il Moro c'era il palazzo


comunale della Vigevano comunale che quindi era di proprietà del
Comune. La prima cosa che fa Ludovico il Moro è scrivere al Comune
che vuole dotare Vigevano di una nuova piazza, perché ovviamente
deve accordarsi con le autorità cittadine. Bisognava trovare un modo di
inglobare il palazzo del Comune dentro il nuovo progetto.
Questa pianta costituisce la ricostruzione di com'era la piazza di
Vigevano prima degli interventi ottocenteschi. Il portico su colonne che
gira tutto intorno non corrisponde assolutamente al progetto
quattrocentesco perché appunto c'era una rampa che dal castello
arrivava dentro la piazza.

L'altra importante novità è che il portico continua anche dove ci sono le strade, quindi tutto il
resto della piazza è tornato da portici che addirittura stanno a diaframma delle strade. Tutte le
strade che conducono nella piazza sono collegate con la piazza, ma anche schermate da un
portico. È una piazza limitata ma non chiusa.

Questa piazza ha anche una forma particolare


perché è rettangolare. La piazza di ispirazione
per eccellenza deriva dal foro, che era
leggermente rettangolare ma tendente al
quadrato. Vitruvio dice che i lati del foro sono
in proporzione 2:3, che non è questo tipo di
rettangolo (1:3). Questa proporzione è
descritta da Vitruvio per il circo, quindi Piazza
Navona. Il modello di riferimento antico per Vigevano, Piazza Ducale

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una piazza così vicina al castello con questa forma poteva essere l'idea praticata dagli antichi in
cui un circo stava attaccato al palazzo imperiale.

Gli elementi di riferimento per la piazza ducale sono:


- La Piazza Grande di Pavia.
- La Piazza Martiri a Carpi.
- La Piazza Nuova a Ferrara. Essa viene fondata nel 1493, quindi esattamente negli stessi anni
della fondazione della piazza di Vigevano. In questo caso nelle cronache la Piazza Nuova di
Ferrara viene de nita ippodromo, quindi è ovvio che anche in quel caso il riferimento antico era
un riferimento a un circo, cioè a dove corrono i cavalli. Qui era fra l'altro prevista una colonna di
marmo con il monumento equestre di Ercole I d’Este, quindi addirittura con la celebrazione del
Signore, un po’ come fosse la celebrazione dell'Imperatore sulla spina del circo, come avveniva
a Costantinopoli. Va ricordato che la moglie di Ludovico il Moro, era Bianca d'Este, quindi in
questo caso la connessione è ancora più premente. A Bramante è stato chiesto di fare questa
piazza, ma può essere che l'idea di farla con questo tipo di riferimenti aulici potrebbe essere di
FORUM versus PLATEA
Ludovico.
- Piazza e Piazzetta S. Marco a Venezia.
Questa è l'iscrizione che
LUDOVICUS MARIA SFORTIA VICECOMES PRINCIPATU IOANNI GALEACIO NEPOTI
Ludovico il Moro fa apporre
AB EXTERIS ET INTESTINIS MOTIBUS STABILITO POSTEA QUAM SQUALLENTES
nella piazza di Vigevano. È
AGROS VIGLEVANENSES IMMISSIS FLUMINIBUS FERTILES FECIT AD VOLUPTUARIOS
l'iscrizione dedicatoria che dice
SECCESSUS IN HAC ARCE VETERES PRINCIPUM EDES REFORMAVIT ET NOVIS
CIRCUMEDIFICATIS SPECIOSA ETIAM TURRI MUNIVIT POPULI QUOQUE
appunto che lui ha fatto
HABITATIONES SITU ET SQUALORE OCCUPATAS STRATIS ET EXPEDITIS PER URBEM
realizzare la piazza e che è
VIIS AD CIVILEM LAUTICIAM REDEGIT DIRUTIS ETIAM CIRCA FORUM VETERIBUS
rilevante perché si capisce che
EDIFICIIS AREAM AMPLAVIT AC PORTICIBUS CIRCUMDUCTIS IN HANC SPECIEM
il palazzo civico viene inglobato
EXORNAVIT ANNO A SALUTE CHRISTIANA NONAGESIMO SECUNDO SUPRA
dentro la struttura della piazza,
MILLESIMUM ET QUADRIGENTESIMUM
perde le sue caratteristiche
architettoniche, viene
rappresentato semplicemente con uno stemma, cioè dove ci sono i locali adibiti. A palazzo del
comuneproporzione
> Alberti / Vitruvio: si mettetraloi lati
stemma
del foro del
2:3 comune, quindi lì c'è il palazzo del Comune. Si attribuisce la
parola forum alla piazza cittadina del Comune di Vigevano, preesistente all'intervento di Ludovico,
utilizzando questo termine foro un po’ aulico. Alcuni studiosi dicono che il riferimento al centro
civico era comunque a quello del Foro e che quindi è un po bizzarro che si fosse utilizzata questa
proporzione di 1:3 anziché 2:3. In verità, siccome l'iscrizione è in latino, è probabile che
semplicemente la parola forum sia utilizzata con l'idea di un latino un po’ più aulico, perché platea
che pure esisteva, però non aveva questo riferimento erudito che era proprio delle iscrizioni
classiche. Qui sembra essere utilizzata semplicemente per un motivo retorico.

Dal punto di vista del l'alzato si fa una scelta molto particolare.


Ci sono archi su colonne e queste colonne sono un po’ tozze. È
probabile che almeno l'altezza del primo piano fosse imposta, cioè
che il portico dovesse avere quell'altezza lì. Non è detto che
Bramante avesse potuto decidere di fare il portico alto quanto
voleva e quindi non sappiamo le preesistenze. Sopra, invece, in
corrispondenza di ciascun arco, c’è una serie di nestre tutte uguali,
tutte con pro lo centinato, cioè a tutto sesto e tutte uguali. Già
questo per la Lombardia è una ritmicità, che è interessante.
La vera novità è concepire l'architettura dipinta come parte di un
unico progetto architettonico, cioè questo edi cio, non ha senso di Vigevano, Piazza Ducale

esistere senza la decorazione pittorica. Si sceglie consapevolmente di fare l'architettura dipinta.


Una motivazione del perché scegliere di fare architettura dipinta si potrebbe addurre ad un
problema economico, cioè Ludovico il Moro non voleva spendere forse tanti soldi. Forse in questo
caso siamo di fronte a una scelta, cioè volersi a dare a un progetto di architettura dipinto.
Le caratteristiche peculiari di questo progetto sono almeno due. Il primo è che l'architettura
dipinta costituisce una decorazione di quella costruita, quindi sono dipinte tutte le ghiere d’arco.
Sopra c'è una trabeazione che corre sopra le tele, gli archi e tondi negli spazi di risulta.
Interessante invece maggiormente interessante la parte superiore, cioè le nestre sono inquadrate
da un ordine architettonico con colonne a candelabra. Le colonne candelabra sono un elemento
tutto sommato già di uso in Lombardia, già di uso, quindi quando Bramante arriva non è una
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cosa che porta, ma anzi, se davvero fosse anche l'architettura dipinta della piazza di Vigevano
scelta da Bramante, sarebbe l'ulteriore testimonianza che egli non aveva nessun problema ad
utilizzare un repertorio architettonico che non era urbinate o non era proveniente da altre sue
culture architettoniche che aveva con cui si era rapportato precedentemente.

La grandissima novità, però, sono gli archi di trionfo. Questo è un circo


antico, è il circo “dell’imperatore", quindi sta accanto al palazzo. Gli
archi di trionfo dove sono collocati.
Agli imbocchi delle strade principali ci sono due archi di trionfo dipinti
all’antica. Idealmente l'architettura dipinta simula un solo arco retto da
lesene, che propone l'ingresso da questo lato alla piazza. Alle arcate
vere si sovrappone un arco trionfale con tre fornici tipo Arco di
Costantino però con le lesene paraste anziché le colonne. È una sorta di
traduzione moderna di un arco antico sulla base di elementi architettonici, cioè paraste che
Vigevano, Piazza Ducale, arco dipinto a tre fornici

reggono una trabeazione già riscontrate nel vocabolario bramantesco.


Non esistono però corrispondenze documentarie che attestano che Bramante è documentato
nella piazza. Anche la piazza di Vigevano resta in forse.
Qua potrebbe anche essere che magari il progetto generale di massima l'ha dato Bramante, con
la compartecipazione anche di discussione di Ludovico il Moro, ma poi è stato a dato magari a
qualcun altro, a cui sono state assegnate anche il compito di de nire alcuni dettagli. Dobbiamo
mantenere l’idea ci siano tante voci in causa che possono interagire.

Lezione 14, 20.04.2023


(Lezione sospesa)
Lezione 15, 27.04.2023
Palazzo degli Eustachi (corso Magenta 29)
Il borgo di Porta Vercellina subisce un'espansione proprio nell'epoca di Ludovico il Moro. Anche
già sotto Francesco Sforza era un'area particolarmente interessante per i duchi, perché era
limitrofa al Barco Ducale, cioè dei possedimenti ducali che stavano dietro il castello con un parco
per la cacciagione molto frequentato. In quell'area c'era anche una cappella già dedicata alla
Madonna delle Grazie. Sotto Ludovico il Moro, quest’area viene subisce un'espansione dal punto
di vista urbano, perché una serie di possedimenti precedentemente appartenuti ad enti religiosi
(soprattutto il monastero di Sant’Ambrogio) vengono ceduti a privati e si apre proprio una nuova
strada che è l'attuale corso Magenta. In corrispondenza dell'incrocio tra l'attuale via Carducci e
corso Magenta, c'era la Porta Vercellina.

Alcuni studiosi hanno cominciato a studiare un palazzo che era appartenente nel Quattrocento al
castellano di Porta Giovia, cioè al funzionario ducale che era castellano, cioè si occupava della
guarnigione militare all'interno del castello di Porta Giovia, quindi proprio dove abitavano i duchi.
Questo castellano si chiamava Filippo Eustachi. Diventa un potentissimo uomo di corte, tanto
che, grazie alla ricchezza acquisita, bene ciando del benvolere ducale, può costruire uno dei
palazzi più giganteschi che vengono realizzati negli anni Ottanta del Quattrocento a Milano.
Sulla destra c’è un ritaglio di una pagina del Codice Atlantico di Leonardo,
dove Leonardo ha disegnato proprio il tracciato delle strade corrispondenti
all'attuale corso Magenta, via Nirone, Sant'Agnese e via Terraggio. Questo
disegno in realtà è realizzato da Leonardo relativamente al corso del torrente
Nirone, che è un canale che passava in corrispondenza della via. Leonardo
sta studiando il percorso di questo canale perché all'inizio degli anni 80 del
Quattrocento e poi anche negli anni 90, si predispone la deviazione del corso
di questo canale e quindi si stanno facendo degli studi di idraulica relativi alla
deviazione di questo corso. Nel disegno c'è un rettangolo piccolino (blu) e un quadrato (rosso). Il
quadrato è l'attuale Palazzo Litta, che nel Quattrocento non c’era, ma il palazzo Litta attuale
insiste in realtà su un palazzo quattrocentesco appartenuto a un parente degli Sforza, Filippo
Sforza, quindi un parente della casa ducale. Il rettangolo coincide esattamente con la posizione
Palazzo degli Eustachi (corso Magenta 29)
all'angolo tra l'attuale via Terrazzo e corso Magenta, dove c'era il palazzo di Filippo Eustachio.

In una carta di Milano del 1810 realizzata dagli astronomi di Brera è


riportato ancora il gigantesco palazzo degli Eustachi (nero). Leonardo da Vinci, Studio con l’area di Porta
Vercellina, BAMi, Codice Atlantico, f. 831v (305v-a)

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Pianta di Milano degli Astronomi di Brera, circa 1810


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Questo palazzo di cui oggi rimangono pochissimi resti è stato fatto costruire da questo Filippo
degli Eustachi, a partire dal 1485. C'è un acquisto di terreni da parte di questo proprietario privato
e poi nell'89 noi sappiamo che il palazzo era concluso perché Filippo degli Eustachi ha la pessima
idea di partecipare a una congiura contro i duchi e viene poi incarcerato e gli vengono con scati
tutti i beni, compreso anche il palazzo. Negli atti di con sca di questo palazzo c'è la consistenza
dell'edi cio che è già completato. I duchi pensarono di darlo alle monache di Sant’Agnese.

Questo palazzo ha un certo margine di probabilità di essere


stato progettato da Bramante. Non c'è la certezza
documentaria però esistono degli elementi che gli studiosi
hanno recato a supporto di questa ipotesi.

Bramante quando è a Milano noi sappiamo dove ha abitato.


Sappiamo che nella sua abile attività di cortigiano non ha mai
comprato casa a Milano, quindi non abitava in una casa sua e
non ha neanche ha preso in a tto una casa. Lui era ospite di
qualcuno perché sa anche intrattenere la combriccola.
Bramante componeva anche poeta, quindi componeva poi
poesie. Era una compagnia probabilmente piacevole. 1485
Filip
• Nei primi anni della sua permanenza risulta abitante in casa il pa
di Gasparo Visconti.
1489
• Nel 1486 gura come abitante nella parrocchia di San le
Martino al Corpo Intus. mon

• Nel 1487 sta nella parrocchia di San Nicolao. 1486


• Facendo una combinazione di quali sono le case che al co
cadono dentro queste parrocchie viene fuori il Palazzo degli Eustachi.
Pianta di Palazzo Eustachi (secondo Luciano Pate-a) 1487
Nic
Ci sono poi altri elementi linguistici che rimandano a
Bramante recati da Richard Scho eld. Blocco corrispondente all’ex palazzo Arcimboldi

Questa è un'incisione del 1771 che fa vedere il palazzo su Corso Magenta


Blocco su via Terraggio

prima della demolizione. Il palazzo già nel Settecento


mostrava una facciata grandissima. Questa è la facciata sul
corso di Porta Vercellina, quindi sull'attuale corso Magenta.
Mostrava un carattere sostanzialmente incompiuto perché
obiettivamente parte nell’85 poi il castellano nell'89 viene
imprigionato e quindi si era realizzato il grosso dell’edi cio.

Si vede un gigantesco ordine architettonico con paraste su Giulio Cesare Bianchi, Palazzo degli Eustachi, incisione pubblicata in Giulini nel 1771

piedistalli che regge una gigantesca trabeazione. Ci sono


paraste sopra altissimi piedistalli e una trabeazione molto
alta, soprattutto con un fregio molto alto con dentro delle
specchiature che ci ricordano per esempio in Santa Maria
presso San Satiro. Soprattutto queste paraste hanno un'altra
caratteristica in più: non sono singole e sono ribattute
(mezza parasta a destra e una mezza parasta a sinistra).
Queste paraste ribattute compaiono per la prima volta a
Milano. Non ci sono altri esempi precedenti al 1485 di
paraste ribattute di questo tipo. Questo ha già fatto pensare
agli studiosi qualcosa di nuovo rispetto al contesto milanese.

Da questo palazzo vengono questi sono dei pezzi, che sono


teste di dimensioni monumentali. Esse probabilmente erano
dentro le specchiature del fregio. Naturalmente subito viene
si richiama alla memoria la sagrestia di Santa Maria presso
San Satiro anche perché sono di terracotta colorate ad
imitare il bronzo. Non sappiamo se questa cromia sia quella
originaria o sia stata data nei secoli successivi. Si potrebbe
immaginare che è perché si volesse simulare il bronzo. Sono
sopravvissute solo queste tre. Oggi sono nei depositi del
Castello Sforzesco e non sono esposte.

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Richard Sco eld dice che questo autorevole palazzo di Filippo degli Eustachi, che era considerato
una novità, ha prodotto una serie di derivazioni. Troviamo dei disegni in Leonardo da Vinci, una
citazione in un armadio realizzato da Bernardo da Legnano per la chiesa di S. Pietro Martire a
Vigevano o la Sala Capitolare a Chiaravalle.

C’è un altro che potrebbe suggerire la presenza di Bramante ed è una


parte che sopravvive.
Il palazzo in origine aveva un cortile interno porticato. Oggi
sopravvivono alcune di queste nicchie. Erano nicchie con una
decorazione a valva di conchiglia di cui resta la disposizione dei
mattoni nel catino absidale. Hanno fatto subito naturalmente venire in
mente le nicchie degli uomini d’arme, cioè una caratteristica che
Bramante negli anni 80 aveva già fatto. Senza arrivare agli uomini
d'arme, sono le stesse nicchie di Santa Maria presso San Satiro.

- Bramante e il tiburio del Duomo di Milano -


Il tiburio è una struttura che serve a protezione di una volta o di una cupola composto solitamente
da murature verticali coperte da un tetto. È una tipologia di struttura tipicamente lombarda. La
motivazione è che serve per proteggere la volta interna dai carichi cosiddetti accidentali, cioè in
passato nevicava molto di più di adesso e quindi, per evitare un sovraccarico della cupola o della
volta interna, si utilizza già dal paleocristiano in poi questa struttura.

Anche il Duomo di Milano, già dalle sue origini, ha probabilmente subito contemplato di avere un
tiburio in corrispondenza della volta maggiore, che si trova all'incrocio dei bracci del transetto con
Il tiburio
la navata principale, quindi la cosiddetta crociera, la parte deldel
Il tiburio
centrale Duomo
DuomodidiMilano
delcapocroce Milano
del Duomo.

Questo è il tiburio realizzato. Il tiburio è solo una parte


perché il tiburio è la parte sopra la volta maggiore e tutto
quello che sta sopra è quella che noi chiamiamo la gran
guglia. La guglia sta sopra il tiburio, ma viene realizzata da
Francesco Croce nel Settecento.
Sintesi delle vicende costru-ive:
> 1386-1391: fondazione dei piloni del capocroce
congiuntamente con le fondazioni di gran parte
dell’edificio e costruzione dei piloni del tiburio
Sintesi delle
(direzione di vicende
Simone dacostru-ive:
Orsenigo) Si
> - 1386-1391:
1387: Anechino fondazione
de Alemagnadei piloni
realizza del ca
un tiburio in
All'origine della fabbrica del Duomo si presuppone che ci fosse stato un progetto di congiuntamente
piombo con le fondazioni di gra >
massima di costruzione della cattedrale, che già contemplasse in qualche misuradell’edificio
come e costruzione dei piloni del tiburioM
(direzione di Simone da Orsenigo) m
chiudere la cattedrale in quel punto, anche se non è detto che si fosse deciso nei
- 1387: Anechino de Alemagna realizza un ti
pi
dettagli. Si pensava probabilmente che il Duomo piombo
co
do
avrebbe avuto sulla sua volta maggiore un tiburio, ma
non era stato forse fatto un progetto e ettivo di come >
re
doveva essere. Il Duomo è stato costruito in presenza p

d’acqua perché la falda acquifera di Milano è sempre tr


-
stata molto alta. Hanno deciso di utilizzare questa da

tecnica con pali cazioni. Utilizzano giganteschi >


blocchi di marmo sono questi trapezi paralleli. Ha si
tr
tanti blocchi di marmo quanti sono i piloni. G
(m

Le vicende di fondazione sono: >

• 1386-1391: fondazione dei piloni del capocroce, congiuntamente con le fondazioni di gran parte tib

dell’edi cio e costruzione dei piloni del tiburio (direzione di Simone da Orsenigo)
1387: Anechino de Alemagna realizza un tiburio in piombo. Viene chiamato un maestro
straniero. Non è neanche detto che fosse un modello per l'architettura, forse era un pezzo di
ore ceria. Abbiamo la conferma che già dalle origini della fabbrica stanno pensando che ci deve
essere un tiburio.
• 1390: Matteo da Campione, architetto del Duomo di Monza, ri uta l’incarico di ingegnere della
fabbrica, ma consiglia di ampliare di tre quarti di braccio i quattro piloni del tiburio e le relative
60
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fondazioni, in considerazione del maggior peso che questi dovranno sostenere. I quattro piloni,
cioè quelli che devono reggere il tiburio e la Gran Guglia sono stati oggetto di discussione già
agli albori della fabbrica, cioè già nel Trecento si domandavano se questi quattro piloni erano
su cienti per reggere tutto quel peso. Nel 1390, siccome stanno discutendo su chi deve essere
il successore di Simone da Orsenigo e prendere la direzione della fabbrica del Duomo, chiedono
a Matteo da Campione, che in quel momento era direttore della Fabbrica del Duomo di Monza,
di diventare l'architetto in capo della fabbrica del Duomo di Milano. Matteo da Campione ri uta.
Suggerisce di ampliare di 3/4 di braccio la larghezza dei piloni del tiburio.
• 1391: Gabriele Stornaloco, matematico piacentino, redige lo schema
geometrico che riassume il sistema progettuale e costruttivo della
cattedrale ad triangulum. A Gabriele Stornaloco viene chiesto di stabilire
una regola teorica sulla base della quale si deve realizzare l’alzato, cioè tutti
gli elevati della cattedrale. Gli viene chiesto di realizzare uno schema
geometrico matematico teorico sulla base della quale far costruire e
decidere tutte le altezze del Duomo. Lui fornisce uno schema che è
perduto, ma è conosciuto in diversi esemplari che ne hanno fatto delle
copie. È il famosissimo schema ad triangulum, cioè basato su un triangolo
equilatero di base che viene moltiplicato di volta in volta utilizzando come Ricostruzione dello sch

base la larghezza delle navate per stabilire l’altezza. È uno schema


Stornaloco (Valentini 1

geometrico a tavolino che serve per decidere quanto devono essere alte le volte. Secondo uno
studioso che si chiama Giuseppe Valentini, questo schema di Gabriele Stornaloco occupa poi
dei riferimenti cosmologici riguardo alla realizzazione di una gura perfetta. Questo schema però
contempla le navate laterali, le navate, le mediane e la navata maggiore. Nello schema originario
di Gabriele del 1391 il tiburio ancora non c’è. Va detto che il sistema di moltiplicazione dei
triangoli va all’in nito. È un sistema proporzionale che poi può essere ampliato e inglobare
dentro anche questi elementi.
• si realizza anche un modello ligneo reso inutile dalle decisioni del 1392
• 1392-1400: dopo i dibattiti strutturali del 1390-1392, si predispone il progetto
esecutivo per l’abside e il transetto che sono realizzati sotto la direzione di
Giovannino de Grassi e Giacomo da Campione (muoiono rispettivamente nel
1398 e 1399). Nel ’93 decidono che le altezze delle volte che deriverebbero
dallo schema debbano essere abbassate di quattro braccia. Vanno avanti con i
lavori e verso la metà del Quattrocento sono hanno costruito almeno tutto il
capocroce e una parte delle navate.
Sappiamo che è stato fatto un modello ligneo nel 1398 sotto la direzione di Giovannino de
Luca Beltrami, confronto tra l’alzato realizzato, a sinistra, e lo schema di Stornaloco, a destra
(Beltrami 1964, p. 239)

Grassi, ma non sappiamo com’era fatto. Molti studiosi hanno voluto collegare l'idea di un
primo tiburio con questo disegno. È una miniatura che si trova in un codice molto importante
della Biblioteca Trivulziana, che è il cosiddetto Ordo et cerimoniae Ecclesiasticae Ambrosianae
Mediolanensis scritto da Beroldo, che è un codice liturgico. Di fatto è stato miniato da
Giovannino e Salomone de Grassi, cioè i miniatori che hanno realizzato le miniature del codice
sono gli stessi che dirigevano la fabbrica del Duomo. Siccome in una pagina del codice del
Beroldo c'è una miniatura con una struttura che sembrerebbe ricordare una cattedrale gotica,
molti studiosi hanno detto che fosse il progetto di Giovannino de Grassi per il tiburio. Le
interpretazioni sono errate perché questo non è un tiburio, questa è una gran guglia.
Più attendibile è l'incisione ottocentesca che riproduce un dipinto conservato
in una collezione privata oggi perduto, che era stato realizzato da Stefano da
Pandino, pittore anche di vetrate, che lavora anche nel Duomo di Milano.
Questo dipinto rappresentava Gian Galeazzo Visconti, uno dei promotori
della costruzione del Duomo di Milano, con in mano il Duomo. Nella
ra gurazione c'è anche il tiburio e anche la gran guglia. Peccato che il
tiburio e la gran guglia che trovate qui sono straordinariamente simili a quelli
realizzati nel Settecento. Siccome l'originale del dipinto non ce l'abbiamo e
questa è un'incisione ottocentesca, sorge anche il dubbio che quello che ha
fatto l'incisione ha aggiornato l'immagine del Duomo a quello che vedeva.
• 1400-1401: critiche di Jean Mignot ai piloni del tiburio (noto dibattito «Ars sineGiovannino
scientiade nihil
Grassi, est».
Salomone de
• Entro il 1447 circa sono completati i quattro arconi della campata del tiburio Grassi e bo-ega, Beroldo, Ordo et
cerimoniae Ecclesiasticae Ambrosianae
• 1448, 21 gennaio: i deputati chiedono a Filippo degli Organi di stilare un preventivo delle spese
Mediolanensis, 1396-1398; ASCMiBT,
di serizzo, legname e ferro per la costruzione del tiburio Trivulziano 2262, f. 1r
• 1452-1454: Filarete, per breve tempo ingegnere della fabbrica, formula un progetto per il tiburio
Incisione da disegno di G. Peluzzi
del quale viene realizzato un modello ligneo. raffigurante la perduta tavola di Stefano
da Pandino con Gian Galeazzo Visconti
61 nell’a-o di offrire alla Vergine il modello
del Duomo di Milano (Ceruti 1879)
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ffi
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• 1481: si menziona la volta magna e la «clavem tiburii», sotto la direzione di Guiniforte Solari
sono stati nalmente iniziati i lavori al tiburio, secondo un progetto già meditato (non chiaro da
chi), o almeno alle strutture immediatamente sottostanti. Sintesi del

La chiave di volta deve arrivare portata a Milano appositamente e viene posta in > 1481: si m
la «clav

opera quindi il tiburio c'è. Quello che sappiamo è che tra il 1454 e il 1481
direzione
stati finalm
tiburio, se

avvengono diversi progetti. Da una parte abbiamo Giovanni e Guiniforte Solari meditato
almeno

progettano un tiburio che e ettivamente viene realizzato e dall'altro abbiamo dei immediata

maestri tedeschi. Di questo tiburio che è stato realizzato vediamo pochissimo o


- 1467 = ar

- 1468 = a
probabilmente rimangono solo alcune strutture perché pochi anni dopo decisero di del tibur

demolirlo. Non sappiamo bene la motivazione. Alcuni studiosi hanno provato a - 1474-147

interrogarsi su come poteva essere fatto questo tiburio, progettato dadi Giovanni
Il tiburio e
Giovanni e Guiniforte Solari
- 1478 =
chiesa

Guiniforte Solari e poi realizzato.


Sono state utilizzate queste due miniature di Cristoforo de
Predis, che rappresentano il Duomo prima del completamento.
Sono miniature degli anni 70. Rappresentano la facciata della
vecchia Santa Maria Maggiore, quindi la chiesa che precedeva
il Duomo che man mano veniva demolita per la costruzione
della cattedrale. Gli studiosi hanno detto che l’elemento in alto
potesse regalare un'immagine magari schematica del tiburio.
Cristoforo de Predis, Libro d’ore Borromeo, 1471 ca.; BAMi, SP
L'idea di un tiburio con tutte colonne intorno che reggono archi ha fatto subito 42, f. 12r venire in mente
(©Veneranda Biblioteca Ambrosiana)

quello della Certosa di Pavia, che hanno costruito Giovanni e Guiniforte Solari. CristoforoPropongono
de Predis, Leggendario, 1475;un
Biblioteca Reale di
Torino, Varia 124, f. 43r
progetto simile anche per il Duomo di Milano e quindi può essere che questo tiburio costruito
dai Solari avesse un aspetto simile a questo.
• 1481: muore Guiniforte Solari
• 1481: alcuni dubbi sulla stabilità del tiburio sono avanzati di Giacomo Del Maino e Gian
Giacomo Dolcebuono, preoccupano il duca e i deputati
• 1481-1482: il duca domanda l’intervento di un architetto da Strasburgo, in questa occasione
compare un accenno alla non completezza del tiburio e a dubbi sulla resistenza dei piloni a
causa del peso incredibile della struttura.
• 1483: arriva a Milano Hans Nexemperger da Graz, già ingegnere della
cattedrale di Strasburgo (sottoingegnere è Alessandro Marpac)
Hans Nexemperger fa forse un modello ligneo poi bruciatosi in un incendio
circa nel 1486.
Non è chiaro se debba solo completare la volta del tiburio o ricostruirla.
Leonardo fa un po’ di disegni di volte realizzate e sotto ci scrive del tedesco
in Duomo. Si pensa che queste volte fossero delle idee per fare la volta una
nuova volta interna del tiburio, secondo le indicazioni di questo tedesco in
Duomo. Questa volta è stata rintracciata in una moda tedesca a Freiburg.
• Da fonti successive sappiamo che la volta del tiburio è stata smantellata e deve essere rifatta,
mentre non è chiaro se siano stati smontati anche i pennacchi con i Dottori della Chiesa.
• 1487-1490: concorso internazionale.
Milano è politicamente, economicamente Leonardo da Vinci;forte
e culturalmente Parigi, Institut
porta d'Europa. de France, Gli Sforza, ms. B, f. 10v (
anche grazie ai loro legami familiari con autori)
l’Impero, hanno sicuramente la possibilità di accedere a
grandissime qualità artistiche anche dall'estero.
Sono presentati almeno 11 progetti: Leonardo, Bramante, Pietro da Gorgonzola, Hans Mayer,
Simone Sirtori, Marco Leguterio, Antonio da Pandino, Giovanni Battagio, Giovanni Molteno,
Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono.
Da questo grande concorso internazionale si valutano tutti i progetti e emerge come progetto
vincitore della competizione che è quello redatto congiuntamente da Gian Giacomo Dolcebuono
e Giovanni Antonio Amadeo, che, in quel momento, erano i reggitori della fabbrica del Duomo e
gli eredi di Guiniforte Solari, perché Amadeo aveva sposato la glia di Guiniforte Solari. Si
richiede però la consulenza di Francesco di Giorgio Martini (chiede licenza per tornare a Siena il
4 luglio 1490).
Fanno una riunione il 27 luglio 1490 nel castello di Porta Giovia, alla presenza di Ludovico il
Moro, con lì presenti Leonardo, Bramante, Amadeo, Dolcebuono e Francesco Di Giorgio e tutti
insieme stabiliscono dodici punti che devono essere realizzati come progetto. Questa è un’altra
indicazione che questo è un progetto collettivo che corrisponde a quello realizzato.

62
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ff
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Bramanti opinio super domicilium seu templum magnum | 1487
Bramante probabilmente presenta un suo progetto di cui sappiamo pochissimo, ma non compete
veramente. Nella competizione nale il progetto di Bramante non c'è praticamente, ma viene
invece incaricato di formulare una opinione su tutti gli altri progetti. È come se fosse un
commissario di giuria che deve esperto. Bramante guarda tutti i progetti che sono stati presentati
e fa una relazione su come secondo lui siano compatibili e coerenti i progetti proposti con la
fabbrica del Duomo.

I primi tre elementi fondanti sono quelli vitruviani ( rmitas-forteza, utilitas-legierza, venustas-
bellezza) e il quarto è la conformità con il resto della fabbrica perché era una richiesta della
Fabbriceria. Secondo Bramante nessuno dei progetti aveva assecondato veramente tutte le
quattro richieste della giuria.
«E pe
vel c
La maggior parte dei progetti presentati era di un tiburio con una pianta imba

ottagonale, ma Bramante dice che il quadrato è più forte dell'ottagono e si confà simil
loco s

di più alla gura originaria del Duomo. Comincia a fare un'analisi generale di come lei m
quad
è fatto il Duomo. Dice che tutte le campate del Duomo sono rettangolari. C'è corpo
perch
un'unica campata quadrata che è dove si incrociano la navata maggiore, con la redu
confo
navata maggiore del transetto e cioè sotto il tiburio. Questo, secondo lui, è il de m
quart
motivo per cui il tiburio deve essere quadrato, perché deve assecondare la forma altram
se ha
dell'unica campata quadrata che c'è nel duomo. Ritiene che il tiburio quadrato più quest

solido perché dice che il tiburio ottagonale fa cadere dei pesi in falso. Per passare sopra

da un ottagono a un quadrato di un quadrato ottagono dovete fare dei muri «Qua


più a
trasversali che tagliano l’angolo. Quelli producono dei punti deboli, perché in quel exced
aliqu
punto il carico del tiburio non pesa sopra i piloni originari, ma pesa nel vuoto sopra Assonometria del Duomo di Milano con l’individuazione
dei qua-ro corpi secondo Bramante: legenda: 1. navate
terra
tibur
il pennacchio. Facendo la relazione, lui racconta qualcosa che evidentemente esterne; 2. navate mediane; 3. navata centrale; 4. tiburio
(Bruschi 1978, p. 364)
bella

avrebbe voluto fare, ma nessuno aveva presentato una proposta del genere.

Sul progetto di Bramante ci relaziona Cesare Cesariano


che ci dà molte informazioni sulla sull'epoca in cui è
stato Bramante a Milano, che egli considera suo
precettore. Cesariano seleziona il Duomo di Milano per
rappresentare il testo di Vitruvio del primo libro, dove
Vitruvio descrive iconogra a, ortogra a e scenogra a,
cioè pianta, sezione e prospetto degli edi ci. Questo
tiburio che Cesariano disegna è un tiburio quadrato.
Queste incisioni del 1520 sono pubblicate nel 1521,
quando il tiburio ottagonale di Dolcebuono è già stato
costruito perché viene terminato. Cesariano sta rappresentando un tiburio che non esiste.
Cesare Cesariano, Ichnographia (Cesare Cesariano, Di Lucio Vitruvio Pollione De Architectura Libri Dece, Como
1521, ff. XIVr, XVr, XVv)
Probabilmente si era Bramante avrebbe ipotizzato questo tiburio quadrato e poi a un certo punto,
negli anni 90 del Quattrocento, c'è un proliferare di immagini di muri quadrati (ad esempio in:
Ambrogio da Fossano detto Bergognone, Prospetto di una cappella). Leonardo da Vinci | 1487-1490

Progetto di Leonardo
Leonardo era l'unico che è stato scartato subito. Era l'unico che aveva
proposto una cupola addossata. Non ha molto successo nel suo
progetto e aveva studiato però benissimo tutti gli agganci a coda di
rondine dei vari pezzi di pietra per far stare in piedi questa cupola.
Ha fatto tutta una serie di studi sugli scarichi delle forze.
Leonardo da Vinci; BAMi, Codice Atlantico, ff. 851r e 850r (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana)

27 giugno 1490 | Amadeo, Dolcebuono e Francesco di Giorgio Martini


Ci fu riunione presso il Castello Sforzesco alla presenza di Ludovico il Moro, l’arcivescovo di
Milano, il vicario episcopale, i deputati della Fabbrica. Vengono esaminati quattro modelli: quello
di Francesco di Giorgio Martini; quello di Giovanni Antonio Amadeo e Gian Giacomo Dolcebuono;
quello di Simone Sirtori; e quello di Giovanni Battagio. Si delibera che i primi due redigano un altro
progetto congiunto, con un modello ligneo la cui esecuzione è a data ad Ambrogio Ferrari. Oochi
giorni dopo Amadeo e Dolcebuono sono nominati architetti della cattedrale. Si redige un
documento vincolante (una memoria condivisa) in 12 punti con le decisioni prese. La posa della
prima pietra avviene nel settembre 1490.
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Il completamento del tiburio | 25 settembre 1500

ÈRicostruzione
questodelilproge-o
tiburio attuale,
del 27 giugno 1490ottagonale,
(elaborazione graficacon una
Riccardo volta a padiglione interno e murature ottagonali che
Mazzoni)
circondano la volta. Il tiburio si regge su quattro arconi, che sono a sesto acuto. In realtà quelli
sono solo una parte della struttura, perché dentro la muratura sono stati inseriti quattro archi a
tutto sesto di serizzo (pietra grigia, molto robusta, con cui di solito si fanno i fusti delle colonne). Il
resto è rivestito di marmo di Candoglia. Dietro gli arconi a tutto a sesto ci sono quattro arconi
corrispondenti di serizzo chiusi dentro la muratura. Parte della critica Pensa che questa idea sia
conforme ai progetti di Francesco di Giorgio Martini, mentre altri sono concordi nell'a ermare che
Amadeo e Dolcebuono l'abbiano realizzato anche per la Certosa di Pavia. Purtroppo non è stato
un consiglio molto saggio, perché noi oggi sappiamo che l’arco a sesto acuto è molto più solido
dell'arco a tutto sesto perché l'arco a tutto sesto produce delle spinte laterali molto più forti.
Ovviamente il rinascimentali sono cultori dell'Antico e anche in questo caso si opta per l'opzione
migliore tramandata dagli antichi romani piuttosto che dalla discriminata moda tedesca.
Il completamento del tiburio | 25 settembre 1500

Questo è il Duomo realizzato completato il 25 settembre 1500, con questa


fantomatica cena sulla cima della volta con sopra sopra la chiave maggiore.

Milano, Duomo; sezione trasversale del tiburio (©Politecnico di Milano 2019)

Altre fonti che citano il duomo in costruzione Stefano Dolcino | 1489

Stefa
Stefano Dolcino, che era un canonico del Duomo, scrive nel 1489 le Nuptiae ducis

illustrissimi ducis Mediolani che sono una descrizione del matrimonio tra Gian De Te
Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona. Nel descrivere la festa di
“[...]
matrimonio il cui corteo nuziale si svolge in piazza del Duomo richiama il trigo

Duomo in costruzione e descrive precisamente tutto lo schema di Gabriele dedu


quibu
Stornaloco. Fonti grafiche cinquecentesche arcuu
vocan
quoq
extre
ut dix
centu
(ii) A
Questi disegni, di cui non si sa l'autore, sono disegni del Cinquecento che Ricostruzione dello schema proporzionale descri-o da Stefano
Dolcino nell’aprile 1489 (elaborazione grafica Jessica Gri-i) acuto
rappresentano a volte un po fantasiosamente proposte che potrebbero però
restituire informazioni sui vari progetti presentati o addirittura su alcune soluzioni
che non sono state realizzate.

Il Gugliotto di Amadeo La guglia di AmadeoASCMi,


| 1507-1512
Raccolta Bianconi, II, f. 4v BAMi, F 25

Amadeo, dopo la morte di Dolcebuono, diventa l'unico responsabile


della fabbrica del Duomo no al 1522. Tra il 1507 e il ‘12 realizza
anche il cosiddetto Gugliotto di Amadeo. Le quattro guglie che
stanno intorno al tiburio non sono altro che le scale che permettono
di salire sopra il tiburio.

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La Gran guglia
La questione però non è ancora nita, nel senso che il completamento del tiburio, la
La gran guglia
gran guglia, forse poteva essere già stata ipotizzata nel tardo Trecento. Tutte le
rappresentazioni della gran guglia precedenti a quella di Croce (1774) sono diverse.

Francesco Croce è l'unico architetto che nel Settecento non segue più lo schema di
Gabriele Stornaloco infatti la guglia di Francesco Croce troppo alta sarebbe dovuta
essere più bassa di quella che lui ha realizzato. Anche questa scelta, probabilmente
dovuta al fatto che così è più visibile.

Lezione 16, 02.05.2023

- Santa Maria de e Grazie -


Non è pensabile che una città come Milano non avesse già dalle dai secoli precedenti una
presenza domenicana in città. Il convento domenicano per eccellenza di Milano è sempre stato
Sant'Eustorgio, dove è anche vissuto San Pietro Martire, uno dei padri domenicani più importanti
anche dal punto di vista dei santi dell’Ordine. Il complesso di Sant'Eustorgio non era di
Domenicani Osservanti. Nel corso del Quattrocento, un fenomeno molto rilevante dal punto di
vista religioso, è quello delle osservanze. Il fenomeno dell’osservanza nasce grazie alla spinta di
alcuni complessi conventuali importanti di questi ordini, che vogliono riformarsi avendo come
vocazione quella di riportare l'ordine all'osservanza delle regole originarie. In più il convento di
Sant'Eustorgio nel corso del Trecento, era da un lato non particolarmente frequentato dai duchi, e
dall’altro aveva una sorta di autonomia rispetto alla città e un legame più stretto con la Santa
Sede. I domenicani sono un ordine religioso che nel corso del Quattrocento diventa molto
importante per i potentati e quindi per i signori perché hanno come vocazione primaria la
predicazione. Questo signi ca che avere un convento domenicano lo sforzesco, cioè comunque
benevolente nei confronti della famiglia ducale, voleva dire favorire l'utilizzo di predicatori che
facessero anche delle prediche alla popolazione favorevoli alla casa ducale. Avere i domenicani
dalla propria parte signi cava avere politicamente una presa sulla città e sulla popolazione.

La vicenda della fondazione di Santa Maria delle Grazie è la seguente:


• 1455: Cosimo Medici scrive a Francesco Sforza per raccomandare i frati domenicani
osservanti, che vorrebbero avere un convento a Milano. Francesco Sforza scrive a Cosimo
Medici a Firenze, proprio in virtù di questa alleanza che dopo la pace di Lodi si era stabilita tra
Cosimo il Vecchio e Francesco Sforza, e chiede un consiglio. Vorrebbe fondare un convento a
Milano e chiede consiglio a Cosimo de Medici, sull'ordine religioso che lui ritiene utile o
interessante da collocare a Milano. Cosimo gli risponde che lui si è trovato tanto bene con i
domenicani di San Marco e infatti noi sappiamo che i domenicani osservanti di San Marco era il
convento frequentato dai Medici in maniera preferita. Francesco Sforza decide di impiantare i
domenicani osservanti che avrebbero fatto anche da contraltare al complesso di Sant'Eustorgio
che non era di osservanti e quindi i due rami dei domenicani erano rappresentati all'interno
della città di Milano.
• 1462-1463: donazione di alcuni terreni di proprietà di Gaspare Vimercati in porta Vercellina su
proposta di Francesco Sforza. La fondazione di Santa Maria delle Grazie avviene tramite un
escamotage che spesso gli Sforza utilizzano. Questa è una fabbrica voluta fortemente dai duchi
Sforza, ma almeno no a Ludovico il Moro, i duchi Sforza non sono apparentemente
committenti diretti. Francesco Sforza bene cia di una serie di proprietà di terreni che erano di
proprietà di Gaspare Vimercati, che era un suo condottiero, che dona dei terreni di sua
proprietà per costruire il convento di Santa Maria delle Grazie. Questa operazione è alla regia
del duca, ma il duca non compare sicamente negli atti.
• 1463: posa della prima pietra.
• 1480: fonti dicono che la chiesa è quasi terminata.
• 1489: documentata la realizzazione del portale.
• 1492, 29 marzo: demolizione del coro per costruire la nuova tribuna 1497. Ludovico il Moro, nel
1492, decide che vuole demolire il presbiterio dell'edi cio appena realizzato per sostituirlo con
un nuovo presbiterio destinato ad accogliere la sua tomba e la tomba della moglie quindi è il
suo mausoleo personale. Nel corso degli anni Novanta diventa mausoleo per Ludovico la
famiglia e i suoi fedelissimi, cioè i consiglieri ducali preferiti di Ludovico il Moro, che erano
Bergonzio Botta e Marchesino Stanga, dovevano essere sepolti anche loro nella tribuna di
Santa Maria delle Grazie insieme alla famiglia ducale.
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• 2 gennaio: morte di Beatrice d’Este.
• La fabbrica della tribuna Bramante si colloca tra il 1492 e il ’97-’98.
• 1497: documentata la fornitura delle colonne del tiburio.
Questo è il borgo di Porta Vercellina. Gli Sforza promuovono
l'ingrandimento della città di Milano all'esterno delle mura medievali,
localizzando tutto un nuovo quartiere e creando nuove strade. È
proprio l'operazione di intervento urbano promossa dagli Sforza per
migliorare anche la situazione viaria di questa parte della città. Lo fanno
per creare un percorso privilegiato o più facile anche per le merci che
dovessero uscire, andare verso Vercelli. In quella direzione si decide
che il nuovo borgo principale è il Borgo delle Grazie. Ludovico il Moro
favorisce che qui si stabiliscano anche suoi fedelissimi della corte e
costruiscano diversi palazzi.

Questa è una ricostruzione di come poteva


presentarsi la chiesa di Santa Maria delle
Grazie precedentemente alla costruzione
della tribuna di Bramante. Dal punto di vista
architettonico, questo edi cio s'inserisce in
una corrente abbastanza di usa a Milano,
nella metà del Quattrocento, di una tipologia
di edi cio ecclesiastico che viene proprio
de nito come solariano. Questo rimanda
immediatamente alla famiglia Solari, che
questi architetti costruttori che hanno
generazioni di ingegneri e architetti che si
tramandano l'impresa da padre in glio e
quindi già dal Trecento sono attivi nella città
di Milano. I Solari sono originari di Carona,
che è oggi in Canton Ticino, però di fatto gli
esponenti quattrocenteschi della famiglia
Solari sono già noti a Milano. Nel 1463, quando viene
Ipotesi restitutiva posata
del coro della chiesa la
delleprima pietra. Lavora
Grazie precedentemente qui
alla costruzione dellaprima
tribuna (Rossi, 2016)

Giovanni Solari e poi rileva il cantiere il glio Guiniforte.


Abbiamo una chiesa che è costruita con una pianta molto regolare, con tre navate a ancate da
cappelle. Questa distribuzione non ci sorprende per una chiesa domenicana perché le cappelle
venivano date in giuspatronato e grazie al nanziamento dei patronati si poteva facilmente
costruire tutta la Chiesa perché i magnati che acquisivano il giuspatronato delle cappelle avevano
di solito anche come compito costruire le campate adiacenti. Le tre navate hanno campate
rettangolari nella navata centrale e grossomodo quadrangolari nelle navate laterali. La presenza di
campate rettangolari fa capire subito che le volte sono tutte ogivali, perché per coprire con una
volta a crociera una campata rettangolare necessariamente deve avere degli archi a sesto acuto.
Non sappiamo praticamente niente di come fosse fatto il coro precedentemente alla costruzione
della tribuna di Bramante. Questa è la proposta ricostruttiva formulata da Marco Rossi che
propone un coro con terminazione rettilinea piuttosto semplice, a ancato da due cappelle o due
campate. Anche in Lombardia la terminazione rettilinea s'era molto di usa negli ordini religiosi
trecenteschi, per esempio i cistercensi stessi o tutte le chiese che dipendevano in qualche misura
dal modello cistercense.
In questa sezione, si vede la navata centrale più alta di quelle laterali
e questo non è sorprendente. Santa Maria delle Grazie già non si
conforma più a questo metodo ad quadratum tradizionale milanese,
perché la caratteristica è che il colmo delle volte della navata
maggiore supera l'imposta delle volte della navata maggiore.
Questo signi ca che dentro l'alzato di Santa Maria delle Grazie si
propone un tipo di spazialità interna in cui le navate laterali sono più
alte di quello che sarebbero state tradizionalmente. Ancora più alte
sono addirittura le cappelle. Questo espediente ha la conseguenza
di avere una chiesa che all'interno risulta più aperta. Tutte le
campate sono separate da colonne. Questo tipo di spazialità è probabilmente molto favorita dai

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domenicani, perché i domenicani sono predicatori e quindi è importante avere un edi cio che
abbia uno spazio aperto per accogliere molti fedeli e che non abbia intoppi nella visibilità.

Queste sono colonne che hanno capitelli corinzi non


lologici, quindi solo capitelli corinzi scolpiti in maniera
sommaria con una pietra non particolarmente pregevole,
che quindi non consentiva probabilmente una ra natezza
scultorea. Hanno tutti gli elementi del capitello corinzio, per
cui i Solari dimostrano di conoscere gli ordini architettonici
all’antica.
Abbiamo colonne poste a terra (base, fusto, capitello), un
altro pezzo di muro e poi parte l'attacco delle volte della
navata maggiore. Qui mancava un pezzo giusto e i solari si inventano questa specie di parassita
con il suo capitello, che è un elemento di congiunzione tra il capitello che sta sotto all'imposta
della volta non ha un nome suo proprio, ma a volte viene detta stampella.

Nell'89 viene pagato il portale. C'è il documento di realizzazione, quindi siamo sicuri
che è datato. I maestri scultori che lo realizzano sono Benedetto Briosco e Tommaso
Cazzaniga. È un portale molto aggiornato dal punto di vista del linguaggio
architettonico. Abbiamo colonne su piedistalli. I capitelli hanno volute a S, ma
comunque genericamente antiquari. Le colonne sono anche staccate dalla parete,
quindi si sta guardando agli archi di trionfo. Sopra queste colonne c’è una
trabeazione che aggetta per tenere l'arco soprastante. Visto che siamo nella moda
del sistema di Amadeo, ci sono anche tondi, con le teste all’antica. In mezzo al fusto
della colonna c’è un anello che non è particolarmente di uso a Milano.

Il rapporto tra la tribuna e la Chiesa è un fuori scala, cioè


un elemento che in un edi cio è completamente fuori scala
rispetto all'edi cio, cioè come se non ne tenesse neanche
conto. Qui sorge il primo problema: nel 1492 ovviamente è
il volere di Ludovico il Moro. Sappiamo da fonti varie ormai
non c'è quasi più nessuno che dubita che il progetto sia di
Bramante, anche se qui noi non abbiamo un documento
che attesta la presenza di Bramante. Siamo abbastanza
ormai sicuri che il progetto sia di Bramante anche per la
mole. La domanda vera è chi decide che questa tribuna
debba essere così grande rispetto alla Chiesa. Non
sappiamo se sia stato Bramante o Ludovico il Moro a
proporlo, ma entrambe le soluzioni vanno bene, perché i
progetti di Bramante negli anni Novanta tendono e ettivamente a diventare sempre più
monumentali. È come se Bramante, tra i primi, cogliesse che una delle caratteristiche
dell'architettura romana antica è che è grande e soprattutto non è a misura d’uomo. Questa
caratteristica spaziale-percettiva no a questo momento dell'architettura del Quattrocento
l'abbiamo vista molto raramente. Ci sta che sia Bramante a decidere questa scelta di fare una
tribuna monumentale e ci sta anche che Ludovico il Moro abbia accettato, dato che aveva una
personalità particolarmente vivace.

Altro punto interessante è che questo deve essere una parte di un edi cio che riassuma in sé
diverse funzioni. Questo non è soltanto il presbiterio, ma è anche il mausoleo della famiglia di
Ludovico il Moro. Questo nasce come mausoleo di una coppia che non è la coppia ducale. È il
mausoleo personale di Ludovico. Egli può permettersi di fare un'operazione di questo tipo perché
lo sta facendo in una chiesa conventuale, dove, grazie agli accordi con i domenicani, poteva fare
un po quello che voleva simbolicamente. Storicamente i Visconti, che sono i primi duchi di Milano,
hanno le loro tombe alla Certosa di Pavia. La famiglia ducale sforzesca erano nel Duomo di
Milano, quindi i primi Sforza, avevano scelto come proprio mausoleo di collocarsi nel Duomo
dove erano collocati. Ludovico il Moro non si fa seppellire in duomo e possiamo leggere questa
scelta in due modi. La prima è che è una scelta di convenienza cioè non era ancora Duca nel ’92.
La seconda motivazione può essere personale, cioè la chiesa di Santa Maria delle Grazie scelta
da suo padre diventa simbolicamente il luogo del mio mausoleo e quindi si distingue dagli altri
Sforza con una costruzione più grandiosa dei suoi predecessori.

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Bramante ha dei vincoli progettuali, cioè una serie di richieste del
committente unite a esigenze funzionali. Deve essere un nuovo
presbiterio, quindi deve avere l'altare, ma deve essere anche un
mausoleo, quindi deve avere la tomba e deve avere uno spazio per
entrambe le cose. Deve avere una forma, una grandiosità e un progetto
che idealmente, anche dal punto di vista architettonico, si confaccia a
queste due funzioni. Bramante dovrà pensare di collegarle.
La tribuna è a pianta quadrata, che poi unito al corpo longitudinale
diventa una pianta composita, quindi con un presbiterio centralizzato
più le navate. Abbiamo due grandi cappelle semicircolari che sfondano i
lati del quadrato lateralmente, più una campata di coro che rende più
profonda la parte est absidata. È molto simile alla Sagrestia Vecchia di
San Lorenzo, alla Tomba di Federico da Montefeltro di Francesco di
Giorgio Martini, alla Certosa di Pavia o a San Lorenzo.

Il modello dell’alzato si rifà alla Sacrestia Vecchia e a sua volta alla Cappella
Portinari. La paraste con ordine architettonico completo reggono
una trabeazione e poi questo sistema di ordini regge due arconi
composto da due ghiere e uno spazio in mezzo. A sua volta questi
arconi reggono i pennacchi a sua volta i pennacchi reggono la
cupola. Alcuni studiosi credono che però la sua costruzione spaziale
sia più coerente con la Sagrestia Vecchia per la lesena piegata
come quella di Brunelleschi. Non sappiamo se lui sia stato a Firenze
prima di una certa data.

Ci sono invece alcuni dettagli tipicamente già stati utilizzati da Bramante in altri progetti milanesi.
1. Ci sono paraste su alti piedistalli. C’è un ordine completo e una trabeazione con un fregio
molto alto e decorato con specchiature. I capitelli hanno volute a S.
2. I lacunari sono vuoti. Quando si trovano nella storia dell'architettura del Quattrocento lacunari
vuoti, che sono per giunta messi dentro un catino absidale e quindi convergono verso il
centro, diminuendo sempre di più, viene in mente il Pantheon. Questa è una delle prime
citazioni milanesi dei lacunari del Pantheon.
3. Bramante non fa arconi vuoti, ma mette delle ruote di carro che abbiamo visto nell'incisione
Prevedari. Queste ruote non sono tonde come dovrebbero essere, ma sono pensate in modo
che da sotto vengano viste tonde. In realtà è tutto un gioco di prospettiva. Qui c'è un controllo
del cantiere, cioè deve aver fatto dei disegni di dettaglio.
4. Anche in questi anelli che ornano la cupola, c’è una deformazione. L’ultimo anello è ovale,
perché è proprio nella curvatura.

Dentro la cupola si aprono oculi. C'è anche uno studio della luce che
contempla l'apertura di oculi luminosi dentro la volta e troviamo una
decorazione a gra to che interessa sia i pennacchi sia gli altri elementi
decorativi, sia a tutta la cupola. La parte centrale della volta è
completamente realizzata e interessata da una decorazione a gra to con
teste di cherubini in schiere angeliche che vanno verso il centro come se
fosse una sorta di Gerusalemme celeste. Oggi non sappiamo come
dovessero essere in origine, potremmo immaginare che anche la volta
avesse un tipo di decorazioni come quelle dei pennacchi. Anche in un 30

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dettaglio che da lontano non si vede c'è una perfezione del progetto che è in sé compiuto.

La tribuna sembra avere una progettazione estremamente unitaria, cioè è tutto


dimensionalmente assolutamente razionale e tutti gli elementi congruenti tra loro in una
irregolarità straordinaria. Questa tribuna è mirabilmente storta perché c'erano delle
preesistenze e le murature non si potevano fare completamente rettilinee.
L'insieme è un insieme che percettivamente, è perfetto nella sua estrema irregolarità.

Il coro è un problema. Gli studiosi hanno sottolineato che questo oculo che è aperto non ha
ragion d'essere aperto, perché gli altri tre che stanno sugli altri tre arconi sono aperti all’esterno. Il
tetto è più basso di quegli oculi e sono concepiti per far entrare la luce all’interno, mentre verso il
coro questo oculo non prende luce da nessuna parte, cioè si sarebbe potuto fare chiuso. Le
proposte degli studiosi sono che:
• Originariamente Bramante aveva previsto una copertura più bassa, forse a crociera, che si
impostava più in basso e che quindi arrivava sotto al oculo. Dal punto di vista dimensionale non
è tanto fattibile, nel senso che poi ci sarebbe comunque dovuto essere il tetto, quindi tutto lo
spazio per fare la volta crociera, più il tetto e l’oculo è abbastanza di cile.
• Bramante ha già concepito il coro fatto in questo modo però questo oculo
resta aperto per coerenza con gli altri tre.
La volta del coro è una volta ad ombrello, impostata su queste lunette, che
invece hanno una funzione molto importante perché senza queste fonti
luminose la parte strettamente presbiteriale sarebbe stata molto buia. Avere
una volta più alta consente di avere un inserimento di fonti luminose che
altrimenti non ci sarebbero. 34

Quasi sicuramente l'altare si trovava nel centro della tribuna. In passato qualcuno aveva proposto
che Ludovico il Moro volesse la tomba nel centro della tribuna sotto la cupola, ma non è possibile.
La tomba, quasi sicuramente perché ci sono delle fonti successive, era invece nell’abside. I
sarcofagi di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este e dei gli si sarebbero dovuti collocare nel catino
absidale e quindi dietro tutto, nella parte anche più intima.

Per costruire la tribuna hanno dovuto certamente demolire l'ultima volta


a crociera ogivale dell’ultima campata e poi non hanno fatto altro che
prendere una delle vele della volta e farla spiccare verso l'alto per
andare a prendere l'arcone della tribuna. Non è che sia una soluzione
tanto ben riuscita. Sappiamo che il punto di congiunzione tra la tribuna
e la Chiesa era un punto molto problematico.
Dal lato delle navate abbiamo l'ultima volta che spicca verso l'alto e va
a prendere l'arcone della tribuna che è molto più in alto e ai lati. Negli
spazi laterali della tribuna sono aperti degli archi che permettono
l'accesso alle navate laterali. In corrispondenza del passaggio, ci sono
questi grandi pilastri che oggi vedete rivestiti di questa pietra grigia che
è successivo della ne del Cinquecento. Le cronache di Santa Maria
delle Grazie riportano che la cupola dava segni di cedimento. Danno commissione ad alcuni
ingegneri di fare un intervento in camiciando dei pilastri nel punto di congiunzione con la Chiesa.
All'esterno mettono delle mensole di serizzo e questi pilastri che vanno a interrompere le
specchiature decorative.

Il 12 aprile 1497 fu stipulato un contratto tra Amadeo e Francesco Mangiacavallo di Menasio


nell’u cio contabile del duomo di Milano, secondo il quale Francesco avrebbe dovuto fornire ad
Amadeo 64 colonne di pietra di Saltrio entro la ne di luglio del 1497 da consegnare alle sponde
del lago di Lugano. I fusti delle colonne sarebbero dovuti essere in pietra, le basi e i capitelli in
pietra nera o scura.

Il 19 aprile 1497, secondo un contratto stipulato a Saltrio, Francesco Mangiacavallo subappaltò il


lavoro a cinque lapicidi che vivevano a Saltrio e a uno che viveva a Cusio. I sei lapicidi avrebbero
dovuto consegnare le 64 colonne a Francesco con riferimento al precedente documento.

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Secondo un documento del 24 febbraio 1512, Nicolò Moroni, agendo per i
parenti di Gian Giacomo Dolcebuono, aveva ricevuto 42 lire da Amadeo come
saldo per un certo numero di stampi d’argilla. Gli stampi erano stati venduti ad
Amadeo da Dolcebuono per essere usati in Santa Maria delle Grazie.
Probabilmente queste terrecotte sono alcuni di questi elementi qui che forse
dal punto di vista delle decorazioni minute non era stata conclusa.

Nel 1497 muore Beatrice d'Este e quindi la tomba diventa urgente e c'è un elemento che farebbe
sospettare che il problema del rapporto tra la tribuna e la Chiesa viene in un certo misura
superato. Ci sono alcune fonti che attestano che già che c'era Ludovico il Moro ci aveva preso
gusto e a un certo punto gli viene l'idea di ricostruire tutta la Chiesa.
• 1497, 29 giugno. Memoriale di Ludovico il Moro a Marchesino Stanga. Ludovico il Moro
chiede a Stanga di cercare i più periti architetti che si trovino a Milano perché vuole fare un
progetto per la facciata di Santa Maria delle Grazie. La facciata che devono progettare deve
tenere conto che ricostruiremo tutta la chiesa proporzionata alla tribuna, quindi prima
attestazione che lui vuole rifare tutto.
• Padre Girolamo Gattico, cronachista domenicano, scrive una cronaca del convento dove
riporta di come il conte Gasparo Vimercati, che aveva donato i terreni, inizialmente gli avesse
fatto la fabbrica della chiesa del convento, così umile e positiva, determinò che fosse gettata
a terra poiché la voleva rifare pari alla tribuna. Nell'anno 1499, ordina che fosse demolita la
Chiesa e l'infermeria.
Lezione 17, 04.05.2023

- La canonica e il monastero di Sant’Ambrogio -


Il monastero è uno dei più antichi monasteri benedettini di Milano e la chiesa di Sant'Ambrogio è
naturalmente fondata da Sant'Ambrogio e poi ricostruita in epoca romanica, ma già dall’VIII-IX
secolo si era stabilito adiacente alla chiesa il monastero benedettino. Bramante deve formulare
dei progetti che non lavorano su una tabula rasa, ma devono sostituire degli edi ci preesistenti.

I monaci vivono nel monastero e sono clero regolare e secolare. La chiesa di Sant’Ambrogio ha
due cleri e due istituzioni che devono utilizzare l'edi cio alternativamente. Questo avviene proprio
per il fatto che esisteva già il clero dei canonici in antico e poi si somma a questo il monastero a
partire già dagli ultimi secoli dell'Alto Medioevo. A sud della chiesa c'è il monastero, mentre a
nord abitavano i canonici.

La canonica di Sant'Ambrogio è questa. Oggi


è nella forma di un lungo portico che si
addossa al anco nord della basilica
a m b ro s i a n a . O r i g i n a r i a m e n t e d o v e v a
contemplare degli altri lati che poi non sono
stati realizzati. Non sappiamo oggi quasi
niente di com'era la canonica precedente,
quindi l'intervento bramantesco ha cancellato
completamente l'edi cio che preesisteva. Alcuni pezzi della basilica sono stati bombardati.

Tutti questi edi ci hanno entrambi la sicurezza che il progetto sia di Bramante. Ci sono anche due
casi in cui Bramante non solo formula il progetto, ma è anche molto presente nei cantieri, almeno
no a che non lascia la Lombardia nel 1499. Questo è importante soprattutto per il monastero
perché quando Bramante va via c'era pochissimo di già realizzato. C’è addirittura la sua rma sui
libri dei conti dove giorno per giorno ci sono i pagamenti per i materiali da costruzione, per i
maestri che ci lavorano, per le spese di trasporto, per altre questioni che dovessero produrre delle
spese. I libri dei conti erano tenuti da un tesoriere che si chiamava Gentiliano del Maino (canonico
di Sant’Ambrogio).

La canonica di Sant'Ambrogio e il monastero sono entrambe commissioni ducali, cioè Ludovico il


Moro è il protagonista di tutte le questioni. Fino a qualche anno fa si riteneva che la canonica
fosse un'impresa del duca, mentre il monastero fosse più a are di suo fratello Ascanio. Gli
studiosi pensavano che il monastero fosse stato ricostruito grazie all'interessamento soprattutto
di Ascanio Sforza, il che è vero ma c’è anche un grosso intervento da parte di Ludovico. Il
monastero di Sant'Ambrogio, per esempio, è pagato quasi integralmente da Ascanio con la sua
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rendita di cardinale.

A ne anno del 1492 per interessamento di Ludovico il Moro, si avviano i lavori per la costruzione
di un nuovo edi cio per i canonici di S. Ambrogio. Si demolirono gli edi ci esistenti (agosto) e si
fecero le fondazioni e posa della prima pietra (settembre).

Il 25 ottobre del 1493 c’è il resoconto di un lungo negoziato tra i canonici e il papa dal quale si
evince che la vecchia canonica era stata abbattuta (termini usati canonica e domus come
sinonimi). È evidente quindi che il progetto avrebbe dovuto contemplare oltre al portico, gli alloggi
per i canonici.

Le tre fasi costruttive sono:


1. 1492-1493: incontri per predisporre il progetto, raccolta dei materiali per la costruzione e
avvio dei lavori
• 1492, 19 settembre > Ludovico il Moro si reca a S. Ambrogio e decreta che Bramante
deve progettare la canonica
• 1492, 23 settembre > Ludovico il Moro ha destinato 2000 lire imperiali per i lavori
• completata la prima metà del portico oggi esistente
2. 1494-1496: contratto per la realizzazione dell’arcone centrale (1494), completato nel 1496
3. 1497: contratto per la fornitura delle colonne per il secondo lato del chiostro (sono citate
come modello le colonne di S. Maria Fava Greca) e stima del dicembre in cui si valutano i
lavori della prima metà del portico oggi esistente > «per afare il primo octavo de lo
ingiostro in sancto Ambrosio».
• completata la seconda metà del portico esistente
• Si è discusso molto su questo aspetto perché molto nei documenti si parla sempre del
chiostro di Sant'Ambrogio, anche relativo alla canonica. Quando si trova il termine
chiostro ci si immagina subito un chiostro con quattro lati. Poiché noi oggi della
canonica abbiamo solo un lato porticato e sappiamo che nel 97 doveva essere previsto
il secondo, gli studiosi hanno ipotizzato che dovessero esserci questi altri due lati. Ci
sono dei problemi perché questi due lati avrebbero contemplato la demolizione di un
edi cio che però era giudicato utile, cioè serviva ai canonici. Alcuni studiosi parteggiano
per dire che questo lato questo chiostro aveva quattro lati, altri invece dicono che erano
previsti soltanto i primi due e la canonica in e etti era due portici e basta.
• eseguite fondazioni e forniture per il nuovo lato, mai completato
Questo è il lato sopravvissuto. Un altro aspetto che è molto interessante è che questo edi cio,
che si chiamava Santa Maria Fava Greca nel Quattrocento, oggi si chiama San Sigismondo, aveva
davanti un piccolo portico con dei resti di colonne antiche. C'è un
documento all'interno dei libri di pagamento della canonica che dice che le
colonne che vengono ordinate per il secondo lato del chiostro di prima
devono avere la stella (=sagoma che corrisponde alla
pianta, quindi diametro) e il tondino (=forse modanatura
convessa), come le colonne che sono fatte davanti alla
chiesa di Santa Maria Fava Greca. Questo documento
rimane misterioso perché le dimensioni non coincidono e
nemmeno le modanature.
1497: «quod stella et tondinus dictarum collonarum facte sint ad formam collonarum antiquarum
que sunt ante ecclesiam Sancte Marie Grece»

Costruiscono tra il 92 e il 97 tutto questo lato e il secondo viene ordinato e vengono inviati
materiali, ma quando cadono gli Sforza non è stato ancora realizzato. Federico Borromeo, nella
sua visita pastorale, dice che vede i fusti delle colonne capitelli per terra, cioè che erano stati
posizionati nel luogo, ma probabilmente non vengono mai tirate su queste colonne.

Questo è un portico che ha ai lati archi su colonne e poi in mezzo un


grande arcone, come se fosse un arco trionfale. Gli studiosi, come modelli
di riferimento, hanno chiamato in causa il chiostro di Santa Maria
Maddalena dei Pazzi a Firenze, progettato da Giuliano da
Sangallo nel 1492, quindi nello stesso anno e anche
l'anno in cui Giuliano da Sangallo viene a Milano. C'è un
possibile rapporto anche tra lui e Bramante ed ha questa
particolarità che è un po’ un unicum.

71 Firenze, Santa Maria Maddalena dei Pazzi, chiostro, progeGo di Giuliano da Sangallo
Giuliano da Sangallo è a Milano nell’oGobre del 1492
Forse Bramante era a Firenze nel 1493
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Da un lato della Basilica c'è la canonica e dall'altro si inizia a pensare alla costruzione del
monastero. Le vicende del monastero sono:
• 1487: Ascanio Maria Sforza è nominato abate commendatario del monastero di S. Ambrogio.
Era già abate di Chiaravalle dal 1465, aveva avviato la ricostruzione anche di quel monastero.
Per molti anni Ludovico il Moro cerca di far acquisire al fratello il cardinalato. Il cardinalato di
solito si paga. Naturalmente per loro era un atto politico, cioè non era sempre una decisione
essenzialmente religiosa. Molti duchi cercano di avere dei loro membri, delle loro famiglie
dentro la curia papale, perché voleva dire mettere un piede nella curia papale, per cui Ludovico
il Moro cerca di far diventare cardinale Ascanio per molto tempo e ci riesce nalmente. Era già
abate commendatario di Chiaravalle. Lo diventa nell'87, quindi dopo aver acquisito il
cardinalato anche di Sant’Ambrogio. Era contemporaneamente anche vescovo di Pavia e per
un certo periodo anche di Novara.
• 1497: bolla papale di unione dei due monasteri, si menziona l’intenzione di Ascanio di
ricostruire il monastero, si dota il monastero annualmente di 2000 lire imperiali. Nel 1492
proprio perché egli era abate commendatario di Chiaravalle, si promuove uno dei lavori di
ricostruzione anche del monastero di Chiaravalle e soprattutto una riforma religiosa, dove ci
sono monaci cistercensi. Anche il monastero di Sant'Ambrogio diviene di monaci cistercensi e i
due monasteri vengono uniti, cioè non sono più separati. Ascanio interpella il fratello Ludovico,
che si assume il compito di amministrare il denaro e sorvegliare la fabbrica.
• Il nome di Bramante compariva nei mastri libri mastri della fabbrica di Sant’Ambrogio, quindi
anche per Sant'Ambrogio c'erano i libri mastri, che purtroppo però oggi sono perduti. Nel
Settecento reggeva l'archivio di Sant'Ambrogio l'abate Angelo Fumagalli, che era un
personaggio importantissimo, erudito, studioso e anche promotore di una riforma degli archivi.
Propone proprio anche tutto un inventario e una riorganizzazione dell'archivio della Biblioteca di
Sant’Ambrogio. Contemporaneamente alla vita dell'abate Angelo Fumagalli, vive questo
studioso milanese che si chiama Venanzio de Pagave che scrive diverse opere sulla storia di
Milano, cioè che riguardano la storia dell’arte, la storia degli artisti e architetti, della cultura,
della Milano del Rinascimento. Dentro queste opere lui è particolarmente appassionato delle
opere di Bramante. De Pagave scrive all'abate Angelo Fumagalli e gli chiede se ci sono notizie
che il monastero di Sant'Ambrogio sia stato fatto da Bramante. Fumagalli risponde che ha i libri
mastri. Angelo Fumagalli manda a De Pagave una lettera che contiene le trascrizioni di tutti i
documenti in cui lui trova il nome di Bramante. Questo foglio esiste ancora perché nel
manoscritto conservato al Castello Sforzesco che riporta il dialogo tra un forestiero ed un
pittore con dentro il pezzettino di Angelo Fumagalli. Il nome di Bramante compare in soprattutto
in due casi, ovvero un caso in cui gli vengono richiesti dei disegni, poi viene pagato per un
modello ligneo che non esiste più.
• 1497, 20 dicembre: documentato un modello ligneo realizzato su progetto di Bramante
(modello ritoccato nell’agosto del 1498, il ritocco concerne la proposta di collocare pilastri agli
angoli del chiostro al posto di colonne).
• 1498, 13 marco: lettera di Ludovico il Moro ad Ascanio Sforza dalla quale si evince che il duca
aveva visto il modello e lo giudicava «cosa onorevole e ben intesa» / Ludovico dice che può
mandare al fratello solo un disegno, che viene approvato.
• 1498: LAPIDE DEDICATORIA
• 1498-1499: fabbrica avanza regolarmente, si citano in particolare il refettorio e la biblioteca.
• All'inizio del Cinquecento la fabbrica viene portati da altri maestri, tra cui anche Cristoforo
Solari, che un importante architetto milanese.
• 1505: muore Ascanio Sforza.
• Si va avanti piano piano con la costruzione. Fino a che all'inizio del Seicento il monastero è
praticamente concluso.

La fabbrica è stata costruita per la maggior parte dopo la


partenza di Bramante. Ci sono delle piante come queste
dove proprio sono disegnati già i due grandi chiostri con gli
edi ci adiacenti.
La parte da cui si parte a costruire dove si pone la prima
pietra e dove si costruiscono le prime opere già entro il
1499 è la parte del refettorio e questo lato, quindi, viene
costruito una campata del chiostro dorico e una campata
del chiostro ionico.
Piante del monastero di S. Ambrogio, Archivio
72 Storico Civico e Biblioteca Trivulziana di
Milano, Raccolta Bianconi
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Queste volte delle stanze dove sta il rettore sono le uniche volte
originarie della ne del Quattrocento sopravvissute. Sono state
costruite con Bramante ancora presente. Sono volte unghiate e
assolutamente in linea con quelle solite bramantesche.

Questo disegno è una sezione che taglia l'aula Gemelli. C’è la serliana
intestata a quella che c'è sopra lo scalone del Settecento. Mostra un
prospetto di un chiostro che sarebbe il chiostro ionico e un prospetto
dell'altro che sarebbe oggi il chiostro dorico (in realtà è ionico). Questo
disegno è stato interpretato variamente.

Sezione del corpo di fabbrica tra i due chiostri, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana di
Milano, Raccolta Bianconi

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