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Sono fluidi sia gas che liquidi. Questa tipologia di sostanze sono caratterizzate da una completa
deformabilità infatti, a causa delle deboli forze di coesione tra le molecole che le compongono,
non hanno forma propria e assumono quella del recipiente in cui sono contenute. Come nei
solidi anche dei fluidi è possibile studiare la statica e la dinamica ma è opportuno prima definire
alcune grandezze quali la pressione e la densità. La densità indica la distribuzione della massa
nel volume e si esprime con il rapporto: d=m/V; nel sistema internazionale viene espressa in kg/
m^3. I valori della densità possono variare in base a pressione e temperatura. Nel caso dei
fluidi, poiché la massa non è così facilmente definibile, si è soliti esprimere la massa in funzione
della densità e del volume del fluido in esame. Anche la pressione è uno scalare, si misura in
Pascal ed è definita come il rapporto tra la componente normale di una forza agente su una
superficie di fluido e l’area della superficie stessa. P=Fn/S. La pressione corrisponde alla sforzo
normale impresso sul fluido; se consideriamo la componente tangenziale della forza invece
avremo lo sforzo di taglio. Dire che un fluido è in quiete significa affermare che tutte le forze che
agiscono sugli elementi del fluido sono presenti al massimo forze perpendicolari alla superficie.
Come per i solidi, anche per i fluidi è possibile studiarne la dinamica e la statica: idrostatica e
fluidodinamica.
Fluidi reali
Un fluido, le cui caratteristiche non rispettano quelle ideali, è definito reale. Per questa tipologia
di fluidi è necessario introdurre il concetto di viscosità. La viscosità di un fluido è una grandezza
che misura la propensione del fluido a generare attrito interno tra i propri strati in movimento; è
una caratteristica che dipende dal tipo di fluido e che riguarda esclusivamente i fluidi reali. È
possibile esprimere la forza di attrito viscoso mediante una formula che è stata ricavata
sperimentalmente: F = -η A v / δ. η è il coefficiente di viscosità, si misura in Poise ( g/s cm opp.
Pa s), e diminuisce al crescere della temperatura. A è l’area delle lamine di fluido prese in
considerazione. Il vettore v indica la velocità relativa tra le due lamine (v=v1-v2). δ è la distanza
tra le lamine. A descrivere il moto laminare di un fluido reale vi è la legge di Poiseuille che fu
dedotta sperimentalmente del medico fisiologo omonimo. Un fluido ideale può attraversare un
condotto orizzontale (con portata costante) senza che ci sia tra gli estremi del condotto una
differenza di pressione. Questo però non accade nel caso di fluidi reali nei quali occorre
applicare una differenza di pressione ai capi del condotto affinché il fluido in movimento abbia
una portata costante. Q = TT r^4 Δp / ( 8 η l ). Introduciamo una nuova grandezza: la resistenza
idraulica R. R dipende dal raggio, dalla lunghezza del tubo e dalla viscosità del fluido. Dunque la
legge può essere espressa anche dal seguente rapporto: Q= Δp/R. La legge di Poiseuille è
valida fino ad un certo valore critico della velocità del fluido entro il quale il moto viene detto
silenzioso, il regime è laminare e la velocità ha un andamento parabolico (le zone centrali si
muovono con velocità maggiore rispetto a quelle a contatto con il condotto). Superata la
velocità critica, la velocità non ha più un profilo regolare, il moto è rumoroso, il regime è
turbolento. La portata non è più proporzionale alla differenza di pressione ma alla radice di
quest’ultima. Il numero di Reynolds ci permette di determinare se il moto è laminare o
turbolento. R = v d r / η. Se R > 1000, il moto è turbolento; se R<1000 è laminare.
Le leggi dell’idrostatica e della fluidodinamica permettono di comprendere i principi fisici che
sono alla basa del funzionamento del sistema cardiovascolare anche se le caratteristiche
particolari di questo sistema non permettono una descrizione quantitativa precisa. Ciò che non
lo rende un sistema ideale sono i condotti elastici e non rigidi, lo scambio di sostanze in
corrispondenza dei capillari, il ritmo variabile del cuore, la viscosità del sangue. A causa degli
attriti viscosi il cuore deve compiere un lavoro che contrasti queste forze per poter mantenere in
circolo il sangue. La pressione del sangue varia da punto a punto del circolo sanguigno non
secondo la legge di Bernoulli ma in accordo con la formula di Poiseuille. Questa pressione varia
da un valore massimo durante la sistole a un valore minimo durante la diastole. E’ legata al fatto
che, essendo le arterie elastiche, durante la sistole l’aorta si gonfia, la velocità del sangue è
minore e la pressione elevata; durante la diastole l’aorta si rilascia, il sangue fluisce con velocità
maggiore e la pressione diminuisce. Per quanto riguarda gli scambi a livello capillare, questi
sono possibili in quanto la velocità del sangue in questi punti è quasi approssimabile allo 0.
Infatti se si considera una portata sanguigna costante (circa 5l/min) e si calcola la sezione
complessiva di tutti i capillari, si può notare che questa sezione è centinaia di volte maggiore
rispetto a quella dell’aorta dove la velocità del sangue è massima.
Anomalie: Con il termine aneurisma viene indicata una dilatazione anomala della parete di un
vaso sanguigno, solitamente di un’arteria. Per la legge di Bernoulli, se in un condotto c’è un
allargamento, la velocità del fluido che vi scorre diminuisce e la pressione aumenta. Pertanto un
aneurisma è un processo irreversibile sempre destinato a peggiorare, se non curato
tempestivamente, perché quanto più il segmento vascolare si allarga, tanto più aumenta la
pressione del sangue che, premendo le pareti del vaso verso l’esterno, ne incrementa
ulteriormente la dilatazione, peggiorando la situazione che può degenerare in una rottura con
conseguente emorragia. Accede esattamente l’opposto in caso di stenosi dove, in prossimità
del restringimento di un vaso sanguigno, il prevalere della pressione esterna tende a stringere
ulteriormente il vaso fino alla totale chiusura.
Tensione superficiale e alveoli
La tensione superficiale è un importante parametro fisico che esprime la tendenza dei fluidi reali
a minimizzare la superficie libera. Per spiegare questo fenomeno dobbiamo rifarci alle forze di
coesione cioè a quelle forze che si instaurano all’interno di un fluido e permettono di tenere
vicine le proprie molecole. Ogni sostanza ha una forza di coesione caratteristica: quelle dei
solidi sono fortissime mentre quelle dei liquidi sono più forti di quelle dei gas. Consideriamo
dell’acqua contenuta in un recipiente e prendiamo in esame le forze agenti sulle sue molecole:
la risultante delle forze di coesione che agiscono su una molecola di acqua interna è nulla
mentre tale risultante è diretta verso l’interno per una molecola a contatto con l’aria e quindi
sulla superficie libera. Quest’ultima può essere considerata come una membrana tesa poiché
contratta da forze che agiscono tangenzialmente alla superficie e perpendicolarmente al
contorno. Tutto ciò ci permette di giustificare la forma tondeggiante delle gocce d’acqua e la
capacità di alcuni insetti di muoversi sull’acqua. In ambito fisico la tensione superficiale è stata
quantificata grazie all’introduzione di un coefficiente che esplica la proporzionalità diretta
osservata sperimentalmente tra le forze di tensione superficiale e la lunghezza del contorno del
fluido. 𝜏=F/l. (N/m) Tuttavia può essere espressa anche con L/S e quindi essere definita come il
lavoro necessario per aumentare la superficie elastica di un fluido. Il valore della tensione
superficiale dipende oltre che dal tipo di liquido, dal gas con cui è a contatto la superficie libera
e anche dalla temperatura. Consideriamo una bolla con tensione superficiale tau e supponiamo
di volerla dilatare, avremo bisogno di applicare un lavoro contro tensione superficiale affinché la
pressione interna risulti maggiore di quella esterna. Per una membrana sferica di liquido la
Δpressione, secondo la legge di Laplace, è uguale a 2tau/r. Come conseguenza della Legge di
Laplace abbiamo che due bolle di dimensioni diverse collegate tra di loro sono un sistema
instabile che tende a far collassare la bolla di dimensioni più piccole in cui c’è una pressione
maggiore. La stessa cosa accadrebbe in fase di espirazione nel caso di due alveoli polmonari
connessi alle stesse vie aeree: in il più piccolo tenderebbe a collassare. In realtà sulle superfici
degli alveoli è presente un liquido tensioattivo, il surfattante, che permette di modificare la
tensione superficiale di membrana compensando la differenza di pressione.
Moti ondulatori
Un’onda è un fenomeno fisico periodico dovuto alla propagazione nello spazio di un’oscillazione
che trasposta energia e non materia. È possibile suddividere i fenomeni ondulatori in 3 grandi
famiglie in base alla tipologia di onda che li caratterizza: onde meccaniche, onde
elettromagnetiche e onde di “materia”. Un’ulteriore classificazione è possibile farla tenendo
conto delle direzioni di vibrazione e di propagazione dell’onda. Nel caso di onde trasversali
queste due direzioni sono perpendicolari tra di loro, per le onde longitudinali le due direzioni,
invece, sono parallele. La differenza più importante tra le onde meccaniche e quelle
elettromagnetiche sta nella loro capacità di propagarsi nel vuoto. Le prime, come tutte le onde
longitudinali, per potersi propagare nello spazio necessitano per forza di un mezzo abbastanza
denso infatti in una stanza senza aria non si riesce a propagare quindi percepire alcun suono.
Questa stessa cosa non accade per le onde trasversali, quali quelle elettromagnetiche, infatti la
luce del sole riesce a giungerci pur attraversando il vuoto.
Un’onda può essere descritta mediante un’equazione i cui parametri tengono conto della
periodicità di questo fenomeno. y(x,t)= A sen (kx-ωt+Φ)
L’ampiezza dell'onda (A), rappresenta la variazione massima della grandezza oscillante. Onde
con ampiezza maggiore trasportano maggiori quantità di energia: per produrre un'onda con
un'ampiezza maggiore occorre compiere più lavoro. Più precisamente possiamo dire che
l’energia trasportata da un’onda è proporzionale al quadrato della sua ampiezza.
Il numero d’onda (k) descrive le proprietà spaziali dell’onda, il valore è fari al rapporto 2TT/ƛ.
La lunghezza d'onda (ƛ), è la distanza minima (misurata in metri) fra due creste o anche la
distanza percorsa in un periodo.
Il periodo (T) è l'intervallo di tempo (misurato in secondi) in cui avviene un'oscillazione completa,
ovvero l'intervallo di tempo impiegato dall'onda per ritornare nella medesima posizione.
La frequenza (f) indica il numero di oscillazioni in un secondo compiute dall’onda, si misura in
Hertz (1Hz=1/s) ed è l’inverso del periodo.
La velocità di propagazione di un’onda (v) è costante per cui possiamo esprimerla utilizzando le
proporzionalità del moto rettilineo uniforme. v= ƛ/T. Dunque lunghezza d’onda e periodo sono
direttamente proporzionali mente lunghezza donna e frequenza lo sono inversamente. La
velocità di propagazione dipende dal mezzo materiale nel quale l'onda si propaga. (Le onde
luminose, e in genere le onde elettromagnetiche, che non necessitano di un mezzo materiale per
propagarsi, viaggiano nel vuoto con velocità di propagazione altissima pari alla velocità della
luca c=3 10^8m/s).
La pulsazione (ω) descrive le proprietà temporali dell’onda ed ha un valore pari a 2TT/T.
L’intensità dell’onda (I) è l’energia trasportata dall’onda nell’unità di tempo attraverso l’unità di
superficie. I=E/(Δt S) e si misura in Watt/m^2.
Suono, ultrasuoni
Il suono è un’onda meccanica longitudinale. All'origine del suono c'è un corpo vibrante le cui
rapide vibrazioni si trasmettono nel mezzo che lo circonda. Il meccanismo con cui il suono arriva
all’orecchio consiste in una successione di compressioni e di espansioni delle molecole d’aria
tali per cui il suono può essere considerata un’onda di pressione. Δp=Δp0 sen(ωt+Φ).
Le caratteristiche del suono vengono descritte dai parametri fisici in questo modo: l’altezza del
suono è data dalla frequenza d’onda, il timbro è dato dalla composizione armonica della
funzione d’onda e l’intensità è direttamente proporzionale all’energie e inversamente
proporzionale a superficie e tempo. I=E/(S t). In accordo con la legge di Weber i nostri sensi
rispondo agli stimoli sonori in maniera non lineare perciò si è soliti utilizzare, anche per questioni
di comodità numerica, la scala logaritmica dei decibel per esprimere l’intensità sonora rispetto
all’intensità minima da noi percepibile. I0= 10^-12 W/m2. 1dB=10 log I/I0.
In base all’elasticità del timpano, l’orecchio umano riesce a percepire suoni compresi tra 20 e
20000Hz. I suoni con frequenza superiore a 20000Hz sono definiti ultrasuoni e hanno diverse
applicazioni in ambito medico biologico: ecografia, ecodoppler, litotrizione (frantumazione di
calcoli mediante ultrasuoni), sonificazione (in laboratorio il corpo di fondo di una soluzione viene
riportato in soluzione mediante ultrasuoni).
Ecografia e ecodoppler
L’ecografia è una tecnica di diagnostica per immagini che, contrariamente ai metodi come le
radiografie, non fa uso di radiazioni ionizzanti, bensì crea un’immagine dell’interno del corpo
usando onde sonore di alta frequenza. Gli ultrasuoni utilizzati nella diagnostica medica hanno
frequenze da uno a venti megahertz (cioè milioni di hertz).
Per effettuare un’ecografia, il medico utilizza una sonda dalle dimensioni ridotte, detta
trasduttore, che viene appoggiata sulla pelle in corrispondenza dell’area da esaminare. Questo
apparecchio funge sia da trasmittente sia da ricevente poiché, oltre ad emettere gli impulsi ad
alta frequenza, è in grado anche di captare gli impulsi riflessi dall’organo esaminato. La
riflessione (parziale) delle onde avviene ogni volta che le onde sonore incontrano una superficie
di separazione, chiamata anche interfaccia, tra diversi tipi di tessuto. Per garantire una miglior
propagazione delle onde meccaniche, prima dell’esame viene spalmato sulla cute un gel denso
a base acquosa in modo da “sigillare” lo spazio tra il trasduttore e la pelle. Ogni sonda contiene
numerosi cristalli piezoelettrici, ossia materiali ceramici che vibrano in risposta al passaggio di
elettricità, producendo le onde sonore; viceversa, quando la sonda capta le onde riflesse
dall’area esaminata. I cristalli convertono la pressione delle onde in corrente, quest’ultima forma
un segnale che viene trasformato in immagine dal sonografo. Il parametro a cui si fa riferimento
quando viene prodotta immagine digitale è l’impedenza acustica cioè un indicatore della
difficoltà che gli ultrasuoni hanno nell’attraversare un tessuto. L’impedenza acustica può essere
espressa quantitativamente come il prodotto della densità del messo per la velocità di
propagazione del suono in quello stesso mezzo. L’energia del fascio di ultrasuoni riflesso è
direttamente proporzionale alla variazione di impedenza acustica tra le due superfici. La miglior
propagazione degli ultrasuoni si ha nei liquidi mentre si ha una riflessione minima in
corrispondenza di un’interfaccia tra tessuti con un’impedenza acustica simile.
Con l’ecografia è possibile anche monitorare il flusso nei vasi sanguigni, tramite una modalità di
analisi detta eco-doppler. Il principio fisico alla base è l’effetto Doppler, per cui, quando
ricevitore e sorgente si trovano in movimento l’uno rispetto all’altro, le onde sonore percepite
hanno una frequenza diversa rispetto a quella dei suoni emessi. In particolare, se l’onda recepita
ha una frequenza superiore rispetto a quella emessa, ricevitore e sorgente si stanno
avvicinando, mentre se, viceversa, si stanno allontanando, la frequenza risulterà inferiore.
Leve
Per equilibrare una forza, detta resistente, mediante un’altra forza, detta motrice, possono
essere usate delle macchine semplici. Il rapporto tra la forza resistente e a forza motrice
determina il guadagno G della macchina. Se G>1 la macchina risulta vantaggiosa significa che
Fm<Fr e cioè per equilibrare la forza resistente è necessaria una forza motrice minore della
resistente. Un valore di G<1 indica l’opposto dunque la macchina risulta svantaggiosa. Si ha
una macchina indifferente nel caso in cui il valore del guadagno è pari a 1.
Le macchine semplici più utilizzate sono sicuramente le leve. È possibile schematizzare una leva
come un’asta rigida in grado di ruotare intorno ad un punto fisso detto fulcro. Una leva risulta in
equilibrio quando i momenti della forza motrice e della forza resistente sono uguali. Sapendo
che il momento di una forza è uguale al prodotto della forza per il braccio, possiamo esprimere il
guadagno di una leva anche in funzione dei bracci: Bm>Br leva vantaggiosa; Bm<Br leva
svantaggiosa; Bm=Br leva indifferente.
In base alla disposizione di fulcro, forza resistente e forza motrice è possibile individuare 3
tipologie di leve. La leva di 1° genere presenta in fulcro tra le due forze e risulta vantaggiosa,
svantaggiosa o indifferente a seconda delle intensità delle forze e della distanza dal polo a cui
queste vengono applicate. La leva di 2° genere vede la forza resistente agire tra la forza motrice
e il fulcro. Questa tipologia di leva è sempre vantaggiosa poichè, se come polo scegliamo il
fulcro, il braccio della forza motrice è sempre maggiore di quello della forza resistente. La leva di
3° genere vede la forza motrice applicata tra il fulcro e la forza resistente. Questa tipologia di
leva è sempre svantaggiosa poiché, se come polo scegliamo il fulcro, il braccio della forza
resistente è sempre maggiore di quello della forza motrice.
Tutte le articolazioni del corpo umano possono essere schematizzate come leve: la forza
resistente è la forza peso, le forze motrici sono le forze esplicate dai muscoli e il fulcro è
costituita dall’articolazione stessa.
1° la testa -> Fm= muscoli splenici; Fr=Fp applicata nel baricentro. Svantaggiosa perché Br>Bm
2° articolazione piede in elevazione sulle punte -> fulcro=dita; Fr=peso che grava sulla caviglia;
Fm=muscoli polpaccio. Vantaggiosa perché Bm>Br
3° articolazioni del gomito -> Fulcro=articolazione; Fm= bicipite brachiale; Fr=peso
avambraccio. Svantaggiosa perché Bm<Br. Questo tipo di leva risulta più svantaggiosa nel
momento in cui viene allungato il braccio poiché diminuisce ancor di più il braccio della forza
motrice.
Forze di attrito
La forza d’attrito è una forza di contatto passiva, ovvero generata dal semplice contatto tra due
superfici ed è tale da opporsi al movimento di un corpo. Le forze di attrito sono molte ma è
possibile distinguerne tre tipi: radente, quando due corpi si muovono l’uno sull’altro; volvente,
quando un corpo rotola sulla superficie di un altro; viscoso, quando un corpo si muove in un
fluido. Soffermiamoci sull’attrito radente. L’attrito radente è definito tale perché agisce
parallelamente alle superfici che, scivolando l’una sull’altra, lo generano. Le superfici che
generano attrito radente si chiamano scabre. È importante sottolineare che che gli attriti sono
generati dal moto e vi si oppongono ma non sono in grado di generarlo. In generale, l’attrito
radente è proporzionale alla reazione vincolare che agisce in direzione perpendicolare alle
superifici stesse, direzione detta normale. La reazione vincolare è quella forza responsabile della
non compenetrazione dei corpi, e il suo valore quantitativo è dato dal terzo principio della
dinamica: se, in direzione normale ad una superficie (o un qualsiasi vincolo) viene esercitata una
forza F, la superficie reagisce con una forza N=−F, uguale in direzione e modulo, ma contraria in
verso, capace di annullare la componente della forza avente la stessa direzione. L’attrito radente
si suddivide a sua volta in due forme: attrito statico e attrito dinamico. L’attrito statico è una
forza che impedisce che corpi posti su di una superficie scabra e inizialmente in quiete, inizino a
muoversi se la forza agente su di essi, in direzione parallela alla superficie, non supera una certa
soglia. Superata questa soglia, l’attrito statico smette di opporsi o, meglio, cessa del tutto. Si
noti che, in base al primo principio della dinamica, un corpo in quiete non può iniziare a
muoversi a meno che non agisca su di esso una forza. L’attrito dinamico si manifesta quando un
corpo scivola su una superficie, cioè è già in movimento, ed è una resistenza che si oppone a
questo movimento.In realtà sono presenti entrambi gli attriti: se un corpo si trova in quiete su di
una superficie scabra, prima di iniziare a muoversi, agisce l’attrito radente statico; nel momento
in cui la forza applicata al corpo supera un certo valore, il movimento ha inizio, entra in gioco
l’attrito dinamico e cessa la resistenza dell’attrito statico.Il valore di soglia entro il quale agisce la
forza d’attrito statico è allora pari a Fattrito statico massimo =μs N. Il valore di soglia si
esprimerlo con una disequazione: F∥ ≤μs N.Anche il valore della forza di attrito dinamico è
sempre proporzionale alla componente normale delle forze ma secondo un’altra costante:
Fattrito dinamico =μd N. I simboli μs e μd si dicono coefficienti d’attrito, rispettivamente, statico
e dinamico, e sono caratteristici di ciascuna superficie ma dipendono anche dallo stato delle
superfici, dalla temperatura, dall’umidità e da altri parametri di questo tipo ma sono sempre
indipendenti dalle aree macroscopiche di contatto. Sperimentalmente si verifica che μd <μs
infatti possiamo ben notare come è più difficile mettere in moto in oggetto piuttosto che tenerlo
in movimento. È possibile esprimere la forza di attrito viscoso mediante una formula che è stata
ricavata sperimentalmente: F = -η A v / δ. η è il coefficiente di viscosità, si misura in Poise ( g/s
cm oppure Pa s), e diminuisce al crescere della temperatura. A è area delle lamine di fluido
prese in considerazione. Il vettore v indica la velocità relativa tra le due lamine (v=v1-v2). δ
corrisponde alla distanza tra le lamine.
Lavoro e potenza
Si dice che una forza compie lavoro quando il punto di applicazione della forza si sposta. Per
definizione il lavoro compiuto dalla forza è dato dal prodotto scalare tra la forza e lo
spostamento generato sul corpo. Si noti che la forza e lo spostamento sono grandezze vettoriali
mentre il lavoro è una grandezza scalare. Se la forza F è costante in modulo, direzione e verso e
il suo punto di applicazione si sposta di un tratto rettilineo s, formante un angolo alpha con la
direzione di F, la relazione che definisce il lavoro svolto dalla forza è la seguente: L = F s = F s
cos(alpha). In base all’ampiezza dell’angolo, acuto o ottuso, il lavoro può assumere
rispettivamente valori positivi, ed essere definito motore, o negativi, ed essere definito
resistente. Il lavoro massimo lo si ha quando lo spostamento avviene nelle stessa direzione della
forza. Nel SI l’unità di misura del lavoro è il Joule ( J = N m). Strettamente legata al lavoro vi è
un’altra grandezza fisica: la potenza. La potenza media viene definita come il lavoro compiuto
da una forza nell’intervallo di tempo che è stato impiegato per compierlo: P=L/Δt. È possibile
esprimere la potenza anche come prodotto scalare della forza per la velocità con cui la forza si
sposta. P=F v. L’unità di misura della potenza è il Watt (W=J/s).
Forze conservative e non; lavoro
Quando il lavoro svolto da una forza è indipendente dalla traiettoria percorsa, questa forza è una
forza conservativa. Ciò significa che per una forza conservativa il lavoro compiuto dipende solo
dalle posizioni di partenza e di arrivo e non dal percorso compiuto per raggiungerle. Dunque
possiamo dire che il lavoro compiuto da una forza conservativa è uguale alla variazione negativa
dell'energia potenziale L=-ΔU. Se la posizione iniziale e la posizione finale del corpo coincidono
il lavoro effettuato dalla forza conservativa lungo il percorso è nullo.
Ad ogni forza conservativa è possibile associare un’energia potenziale per esempio alla forza
peso (F=mg) viene associata l’energia potenziale gravitazionale (Ep=mgh); alla forza elastica
(F=-kΔx) è associata l’energia potenziale elastica (Ep=1/2kΔx^2); alla forza elettrica (F=kqq/r^2)
è associata l’energia potenziale elettrica (U=kqq/r)
In un sistema in cui agiscono solo forze conservative l'energia meccanica totale (la somma delle
energie cinetiche e potenziali), è costante. Ciò significa che l'energia cinetica si trasforma in
energia potenziale e viceversa senza alcuna perdita di energia meccanica.
Quando il lavoro svolto da una forza dipende dal percorso effettuato, questa forza è una forza
non conservativa. Sono forze non conservative le forze dissipative cioè quelle forze la cui azione
fa diminuire l’energia meccanica del sistema.
Per spiegare la differenza tra queste due tipologie di forze possiamo fare l’esempio di un pallone
messo in movimento da un calcio. Il lavoro svolto dalla gravità, che è forza conservativa, sul
pallone calciato in aria dipende solo dalla variazione di altezza del pallone. Il lavoro svolto dalla
resistenza dell’aria, forza non conservativa, dipende dalla traiettoria percorsa.
Il lavoro totale compiuto in un sistema i cui sono presenti sia forze conservative che non
conservative è uguale alla variazione dell'energia cinetica Ltot=ΔK. Allo stesso tempo, il lavoro
totale compiuto in un sistema comprende i lavori compiuti da entrambe le tipologie di forze.
Ltot=Lcons+Lnocons=ΔK. Se sostituiamo il lavoro delle forze conservative nell’equazione
precedente, otteniamo che -ΔU+Lnoncons=ΔK dunque Lnoncons=ΔK+ΔU. Possiamo quindi
affermare che la variazione dell'energia meccanica totale, cioè la variazione dell'energia cinetica
e dell'energia potenziale, è uguale al lavoro compiuto dalle forze non conservative che agiscono
sugli oggetti del sistema.
Un'ulteriore differenza tra forze conservative e non conservative è che il lavoro svolto da una
forza conservativa può essere invertito. Quando le forze conservative, come la gravità o la forza
elastica, agiscono su un oggetto, immagazzinano energia potenziale che può essere convertita
in energia cinetica per invertire il lavoro svolto. Quando una forza non conservativa, come
l'attrito, agisce su un oggetto, l'energia cinetica si converte in energia termica e non è possibile
recuperare l'energia termica dissipata. Pertanto, il lavoro compiuto da una forza non
conservativa è irreversibile.
Teorema energia cinetica
È un teorema che mette in relazione il lavoro con la variazione di energia cinetica. L’energia
cinetica, in quanto energia, esprime la proprietà di un corpo di compiere lavoro, e in quanto
“cinetica", è strettamente legata al movimento. Per un corpo di massa m che si muove con
velocità v, è possibile esprimere l’energia cinetica come il semiprodotto della sua massa per il
quadravo della sua velocità. K= 1/2 m v^2. L'enunciato del teorema dell'energia cinetica ci dice
che il lavoro della forza risultante compiuto su un corpo è uguale alla variazione della sua
energia cinetica. L= ΔK=Kf-Ki=1/2 m(vf^2-vi^2).
Quando su un corpo viene esercitata una forza risultante non nulla, l'energia cinetica del corpo
cambia. Tutto ciò rispetta pienamente il secondo principio della dinamica secondo cui, in
presenza di una forza non nulla, il corpo è soggetto ad un'accelerazione che ne modifica la
velocità. D'altro canto se la forza è nulla allora è nullo anche il lavoro e l'energia cinetica non
cambia. Quando il lavoro è maggiore di 0 significa che il sistema sta compiendo lavoro sul
corpo, l’energia cinetica e la velocità di quest’ultimo aumentano; viceversa accade in caso di
lavoro negativo in cui è l’oggetto a compiere lavoro a discapito di una diminuzione della propria
energia cinetica. In accordo con il teorema dell’energia cinetica possiamo dare una nuova
definizione di lavoro come energia trasferita da un corpo all'altro per mezzo di una forza
risultante che agisce su di esso.
Principio conservazione energia
Viene definita energia la capacità potenziale, posseduta da un corpo, di compiere lavoro. In
natura esistono varie forme di energia quali per esempio l’energia cinetica, l’energia potenziale
gravitazionale, l’energia potenziale elettrica e magnetica, l’energia termica e l’energia chimica.
Tutte queste forme di energia si manifestano compiendo lavoro meccanico o trasformandosi da
una forma all’altra di energia. Qualsiasi sia la trasformazione, energia totale si conserva sempre.
Per esprimere il principio generale di conservazione dell’energia si fa riferimento all’equazione di
continuità dell’energia. Si può far riferimento a questa solo se prima vien definito un sistema
isolato, cioè un sistema che non scambia energia e/o materia con l’ambiente. Inoltre è
necessario anche fare una distinzione tra energia immagazzina (dai corpi facenti parte del
sistema) e l’energia di trasferimento (dal sistema verso l’ambiente e viceversa).
Per equazione di continuità si eguagliano le energie immagazzinate dal sistema con le energie di
trasferimento attraverso il contorno del sistema stesso.
Tra le leggi di conservazione più importanti ci sono quella dell’energia meccanica, il primo
principio della termodinamica, il teorema di Bernoulli, il teorema di conservazione della carica
elettrica ecc.
Energia meccanica
Il principio di conservazione dell’energia meccanica totale afferma che in un sistema in cui non
sono presenti forze dissipative l’energia meccanica si conserva cioè la somma dell’energia
cinetica e dell’energia potenziale resta sempre costante. Emecc=K+U=COSTATNTE.
Qualora nel sistema siano presenti anche forse non conservative, l’energia meccanica che non
si conserva corrisponde perfettamente alla differenza tra l’energia meccanica finale e l’energia
meccanica iniziale.
Lnoncons=ΔEm=Emf-Emi=Kf+Uf-Uf-Ui
Primo principio termodinamica
Il primo principio della Termodinamica stabilisce che la variazione di energia interna di un
sistema è uguale alla differenza tra il calore scambiato dal sistema con l'ambiente esterno e il
lavoro esercitato tra il sistema e l'ambiente esterno.
Si tratta di una equazione frutto dell’esperienza, va quindi assunta come postulato.
ΔU=Q-L dove ΔU è l'energia acquisita o persa dal sistema; Q è il calore che può essere
assorbito o ceduto e L è il lavoro che può essere svolto dal sistema sull'ambiente o
dall'ambiente sul sistema. Q e L possono assumere valori sia positivi che negativi e, per
convenzione, sono stati assegnati in relazione al sistema. Il calore se è assorbito dal sistema
viene considerato positivo; se invece viene ceduto dal sistema all'ambiente, allora è negativo. Il
lavoro invece è considerato positivo quando è il sistema a compierlo sull'ambiente, mentre è
negativo se è l'ambiente a compiere lavoro sul sistema.
Teorema di Bernoulli
L’equazione di Bernoulli è una relazione della fluidodinamica che lega tra loro la velocità di
scorrimento, la pressione e la densità di un fluido in un tubo con sezioni e altezze variabili,
individuando una costante nel moto dei fluidi ideali.
Consideriamo un condotto ed esaminiamone due punti ognuno con una propria sezione,
pressione, velocità di scorrimento del fluido ed altezza. L'equazione di Bernoulli ci dice che in
qualunque punto del condotto ci si trovi, la somma di pressione idraulica, pressione idrostatica
e pressione cinetica è costante. p+1/2dv^2+dgh=costante
Conservazione carica elettrica
Una caratteristica importantissima della carica elettrica è il suo principio di conservazione in
accordo col quale la carica elettrica di una certa quantità di materia è sempre pari alla somma
algebrica delle cariche elettriche dei suoi costituenti, tale somma si conserva in tute le
trasformazioni se il sistema è isolato. Questo principio è verificato sia a livello macroscopico che
microscopico.
Piano inclinato
Un oggetto posto su un piano inclinato è sottoposto a diverse forze:
la forza peso, che è scomposta in una componente parallela al
piano (P sen(a)); una componente perpendicolare (P cos (a)); una
reazione vincolare esercitata del piano, che ha stessa direzione e
modulo della componente perpendicolare della forza P ma verso
opposto. Se il piano è scabro vi è una Fatt che agisce lungo la
stessa direzione della componente parallela al piano della forza P
ma con verso opposto. Se la forza di attrito è maggiore o uguale
rispetto alla componente parallela della forza P, allora il corpo resta
fermo e non scivola, mentre se questa è minore il corpo scivola
lungo il piano. Se il piano è liscio e quindi siamo in assenza di a4rito
allora il corpo in ogni caso, se non agiscono forze esterne, tende a
scendere verso il basso.
Forza elettrostatica vs
gravitazionale
entrambe le interazioni viaggiano alla
velocità della luce e hanno un raggio
d’azione infinito ed inoltre, sia il
campo elettrico che il campo
gravitazionale rispettano il principio
di sovrapposizione.
Termodinamica
Prima di affrontare la termodinamica e i principi che la regolano è necessario definire i concetti
di calore e temperatura. La temperatura è una proprietà intrinseca della materia che indica
quantitativamente lo stato termico di un corpo. È una grandezza fisica fondamentale e la sua
unità di misura nel SI sono i Kelvin. In realtà, la temperatura può essere espressa anche
utilizzando la scala di temperatura Fahrenheit (°F) o la scala di temperatura Celsius (°C) basata
sulle temperature del ghiaccio fondente e dell’acqua bollente.
Si definisce calore quella forma di energia che può essere scambiata tra due sistemi o corpi. Il
calore, in quanto energia, si misura in Joule ma un’altra unità di misura che viene utilizzata è la
caloria. Una caloria corrisponde alla quantità di calore necessaria per aumentare di 1°C la
temperatura di 1g di acqua. Il rapporto esistente tra il valore del calore in quanto energia e in
quanto lavoro è stato misurato sperimentalmente da Joule. J= L/Q = 4.18J/cal.
Il principio zero della termodinamica, anche conosciuto come principio dell’equilibrio termico,
afferma che se un corpo A è in equilibrio termico con un corpo B e se il corpo B è in equilibrio
termico a sua volta con un corpo C, allora anche il corpo A e C saranno in equilibrio termico tra
di essi ovvero saranno alla stessa temperatura. Misurando la variazione di temperatura che un
corpo subisce per raggiungere l’equilibrio termico è possibile conoscere anche quanta energia,
e quindi calore, è stato scambiata. Q=mc(T2-T1). c è il calore specifico e dipende dal tipo di
sostanza. Il calore specifico dell’acqua è c=1cal/(g °C). Il prodotto del calore specifico per la
massa viene chiamato capacità termica.
Il primo principio della Termodinamica è di fatto la legge di conservazione dell'energia applica ai
processi termodinamici. Esso stabilisce che la variazione di energia interna di un sistema è
uguale alla differenza tra il calore scambiato dal sistema con l'ambiente esterno e il lavoro
esercitato tra il sistema e l'ambiente esterno. Si tratta di una equazione frutto dell’esperienza, va
quindi assunta come postulato. ΔU=Q-L dove ΔU è l'energia acquisita o persa dal sistema; Q è
il calore che può essere assorbito o ceduto e L è il lavoro che può essere svolto dal sistema
sull'ambiente o dall'ambiente sul sistema. Q e L possono assumere valori sia positivi che
negativi e, per convenzione, sono stati assegnati in relazione al sistema. Il calore se è assorbito
dal sistema viene considerato positivo; se invece viene ceduto dal sistema all'ambiente, allora è
negativo. Il lavoro invece è considerato positivo quando è il sistema a compierlo sull'ambiente,
mentre è negativo se è l'ambiente a compiere lavoro sul sistema.
Il secondo principio della Termodinamica si presenta in due formulazioni, rispettivamente dovute
a Kelvin-Planck e a Clausius ma equivalenti tra loro. La prima stabilisce che in un processo
termodinamico il calore non può essere integralmente convertito in energia; la seconda che il
calore non fluisce spontaneamente da un corpo più freddo a uno più caldo. Questo secondo
principio è stato introdotto in quanto pone delle limitazioni al primo principio in modo da poter
giustificare tutte quelle trasformazioni che in natura non avvengono spontaneamente. È
possibile forzare una trasformazione non spontanea in natura solo a spese di un altro termine.
Propagazione del calore e termoregolazione
La propagazione del calore è un processo fisico attraverso il quale due corpi, a temperature
differenti, si scambiano energia sotto forma di calore, raggiungendo l'equilibrio termico. In
accordo con il secondo principio della termodinamica, il calore passa sempre dal corpo più
caldo a quello più freddo.
Il calore si può propagare in tre modi diversi: per conduzione, convezione o irraggiamento. La
conduzione avviene per contatto tra corpi solidi, non prevede spostamento di materia ma
soltanto di energia; la convezione riguarda la diffusione del calore nei fluidi e avviene con
trasporto di materia; l’irraggiamento invece consiste nella propagazione senza contatto di
energia termica sotto forma di onde elettromagnetiche.
Per spiegare il fenomeno della conduzione facciamo l’esempio di due piastre conduttrici,
lontane tra loro una certa distanza d, e supponiamo che la temperatura della piastra1 sia più alta
di quella della piastra2. Il calore trasmesso nell’unità di tempo dalla piastra1 alla piastra2 è
direttamente proporzionale alla variazione di temperatura e all’area delle piastre mentre sarà
inversamente proporzionale alla loro distanza. Q/deltat = S deltaT /d. La quantità del flusso di
calore dipende dalla conducibilità termica K che differisce per ogni sostanza e, in base al suo
valore, è possibile determinare se il materiale in esame è un conduttore o un isolante termico.
La convezione è possibile osservarla nei moti interni al fluido che si vengono a creare nel
momento in cui esso è posto a contatto con una sorgente di calore. La parte di fluido più vicina
alla sorgente si riscalda prima e, poiché l’aumento di temperatura causa una diminuzione della
densità, questa parte di fluido più calda tenderà a salire verso l’alto invertendo la sua posizione
con la parte di fluido più fredda. Anche in questo caso il flusso di calore è proporzionale alla
superficie di contatto e alla variazione di temperatura. Q/deltat = S deltaT.
L’irraggiamento non prevede contatto e si basa sulle radiazioni; tutti i corpi con temperatura
maggiore allo 0k assoluto emettono una certa radiazione termica. Intensità emessa è pari al
rapporto tra la quantità di radiazione e il prodotto del tempo per la superficie: I=Q/(deltat deltas).
Questa stessa intensità risulta essere anche direttamente proporzionale alla quarta potenza
della temperatura assoluta.
Nel caso dei sistemi biologici è possibile riscontrare un ulteriore metodo di trasmissione del
calore che prevede l’emissione di vapore acqueo: l’evaporazione.
È possibile considerare il corpo umano come una macchina a energia interna di natura chimica
a temperatura costante. La termoregolazione è il meccanismo fisiologico mediante il quale
l'organismo reagisce ad eventuali variazioni di energia termica in modo da mantenere la propria
temperatura interna in un opportuno intervallo. Nell'uomo la maggior parte degli organi vitali
lavora, in condizioni di normalità, alla temperatura pressoché costante di 37 °C, comunque per
valori compresi tra i 35.5 ed i 40 °C non si rilevano danni all'organismo. Al di fuori dei limiti
dell'intervallo considerato il corpo è in condizioni di estrema vulnerabilità per cui il sistema
termoregolatorio è dotato di diversi sistemi di controllo: temperature superiori ai 37°C vengono
attivati i meccanismi che favoriscono la
cessione di calore quali la vasodilatazione e l’evaporazione o sudorazione; a
temperature di sotto dei 37°C vengono attivati i meccanismi di conservazione e di
produzione del calore quali la vasocostrizione e il tremore o
brivido. (per aumentare la produzione di calore viene stimolato l’aumento del tono muscolare inv
olontario, cioè l’aumento delle contrazioni muscolari, anche con vere
e proprie scosse muscolari).
Conduzione, convezione e irraggiamento dipendono dalla differenza di temperatura corporea
rispetto a quella dell’ambiente. L’evaporazione, invece, dipende dal tasso di umidità relativa cioè
dal rapporto tra le pressioni di vapor acqueo di vapor saturo. Dunque se la temperatura
ambiente si avvicina ai 37°, i normali meccanismo di trasmissione del calore non prendono più
parte alla termoregolazione, l’evaporazione svolge il ruolo di protagonista, in condizioni di
umidità favorevoli.
Carica elettrica
La carica elettrica è una proprietà fondamentale della materia di natura atomica che permette di
generare forze elettriche, attrattive o repulsive, nell'interazione tra corpi. Le cariche elettriche
sono generate, microscopicamente, dagli elettroni e dai protoni presenti negli atomi. La carica
elettrica è una grandezza scalare e può presentarsi sotto due aspetti distinti che per
convenzione vengono definiti positivo e negativo. Con l'espressione carica elettrica si intende la
proprietà calcolabile e misurabile che un corpo deve avere per esercitare una forza elettrica e, al
contempo, per essere soggetto a una forza elettrica. Questa forza elettrica che si genera, in
base alla natura della cariche coinvolte, può essere attrattiva o repulsiva; cariche elettriche dello
stesso segno di si respigno, cariche elettriche di segno opposto si attraggono. La forza che
agisce traduce cariche è regolata dalla legge di Coulomb. Due carica elettriche puntiformi (q1 e
q2) in quiete e poste ad una certa distanza r l’una dall’altra, si attraggono o si respingono con
una forza diretta lungo la retta che le congiunge, proporzionale alle cariche e inversamente
proporzionale al quadrato della loro distanza. F=kq1q2/r^2. La costante di proporzionalità k
dipende dalla natura del mezzo in cui sono immerse le cariche. k=1/(4TT ε0 εr). Ε0 è la costante
dielettrica del vuoto e nel SI ha valore pari a 8.85 10^-12 C^2/Nm^2. εr è la costante dielettrica
nel mezzo in cui le cariche sono immerse. Nel εr=1, nella materia εr>1 infatti la forza di coulomb
è meno intensa nella materia che nel mezzo.
Ritornando alla carica elettrica, il valore più piccolo osservato in natura è quello dell’elettrone,
che è identico a quello del protone ma con segno negativo. e=1.602x10^-19C. Unità di misura è
il Coulomb. La carica dell’elettrone viene definita carica elementare in quanto qualunque altra
carica presente in natura è in valore assoluto uguale a multipli interi di essa. Vista questa
caratteristica, si dice che la carica elettrica è quantizzata.
Un’altra caratteristica importantissima della carica elettrica è il suo principio di conservazione in
accordo col quale la carica elettrica di una certa quantità di materia è sempre pari alla somma
algebrica delle cariche elettriche dei suoi costituenti, tale somma si conserva in tute le
trasformazioni se il sistema è isolato. Questo principio è verificato sia a livello macroscopico che
microscopico. Le forze di interazione invece avvengono sempre a livello microscopico e, a livello
macroscopico, solo se l’equilibrio neutro della materia venga alterato per esempio per strofinio.
Dipolo elettrico
Il dipolo elettrico è una configurazione di cariche costituito da due
cariche puntiformi (±q), eguali in modulo, ma di segno opposto, poste ad
una distanza d. Si definisce, momento di dipolo elettrico il vettore p che
ha: direzione lungo la congiungente delle due cariche; verso uscente
dalla carica negativa e diretto verso la carica positiva e modulo il
prodotto p= d·|q|.
Il fatto che tra le due cariche ci sia una certa distanza, fa sì che tra loro
possa esserci un campo elettrico. Scegliamo un punto P situato
sull’asse del dipolo e valutiamo il contributo dato dai campi elettrici
generati dalle singole cariche. Per la carica positiva il campo sarà
uscente, viceversa per quella negativa. Nel fare il calcolo del campo
elettrico totale bisogna fare la somma vettoriale dei due campi, dunque
la differenza dei moduli in quanto hanno direzioni opposte. Nonostante le
cariche abbiamo la stessa carica in modulo, la risultante sarà positiva e
non nulla in quanto, nella disposizione di cariche da noi ipotizzata, la
carica positiva è più vicina al punto P rispetto a quella negativa.
(((l’intensità del campo è E=p/(2TT ε0 z^3) al numeratore è possibile scrivere anche 2dq e sotto
4TT ma bisogna avere la condizione in cui la distanza d è molto più piccola di quella z))).