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Fisiolgia – Lezione n° 01

02/10/2019

Data: 02/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento: FISIOLOGIAII-02/10/2019
Controllore: Mariano
Coppia: Vertaglia – Rota

VISCOSITA'
La viscosità si riferisce alle caratteristiche di un fluido. Il fluido che ci interessa in materia biologica è l'
acqua (il sangue è costituito da acqua con varie componenti). Più è grande la difficoltà di scorrimento di un
fluido, maggiore è la viscosità dello stesso. Per esempio rovesciando un bicchiere d' acqua su una superficie
si nota che l' acqua si espande più velocemente rispetto al tempo che invece impiegherebbe l' olio e ciò è
determinato dalla diversa viscosità delle due sostanze (l' olio è più viscoso dell' acqua).

Quantitativamente, se vogliamo sapere come si può misurare la viscosità (se vogliamo sapere la definizione
operativa, come viene considerata dai fisici), si può immaginare di avere la base di un contenitore e una
superficie di fluido attaccata alla base del contenitore. Esercitando una forza per far muovere la superficie
di fluido in direzione parallela al fondo, si nota che strati diversi di fluido vengono trascinati gli uni dagli
altri: il primo strato trascina il secondo, che trascina il terzo e così via.

 Una forza diviso una superficie ha le dimensioni di una pressione, la quale si misura in Pascal. In
questo caso non possiamo parlare di pressione perchè non abbiamo una forza che agisce
perpendicolarmente: quindi F/A ha le dimensioni di una pressione (ovvero Pascal) ma non è una
pressione.
 dv/dx indica che a una piccola variazione di altezza corrisponde una piccola variazione di velocità.
Se dv/dx è costante, è uguale a V/h.
 η (viscosità) è la costante di proporzionalità tra velocità e altezza.
Maggiore è η, maggiore è la forza da applicare per mantenere la stessa velocità.
Quindi infine la viscosità misura la difficoltà con cui gli strati del fluido scorrono gli uni sugli altri.

La viscosità dipende dalla temperatura. Infatti l' acqua a 20° C ha una viscosità pari a 1.00 mPa ∙ s mentre a
37°C è pari a 0.69 mPa ∙ s. Quindi con l' aumentare della temperatura l' acqua diventa più fluida.

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L' ambiente acquoso, se analizzato su scala cellulare o molecolare, è estremamente viscoso. Questo accade
perchè, anche se la viscosità dell' acqua a una data temperatura rimane la stessa, maggiore è la dimensione
dell' oggetto e meno la viscosità si fa sentire. Mentre minore è la dimensione dell' oggetto e più la viscosità
si fa sentire.
Infatti un oggetto più grande presenta una superficie maggiore che il fluido deve frenare e quindi il fluido
eserciterà su di essa una forza maggiore.
Secondo Newton, una forza modifica la velocità con cui un oggetto si muove e in questo caso la forza
viscosa tende a frenare l' oggetto in movimento. Una stessa forza frena maggiormente un oggetto piccolo
rispetto a uno grande perchè F=m∙ a (secondo la legge di Newton), dove a indica una decelerazione perché
parliamo di una forza che tende a frenare.

NUMERO DI REYNOLDS

Un parametro importante per valutare le forze viscose è il Numero di Reynolds, che nel caso di un oggetto
che si muove in un fluido è dato da:

 la densità del fluido ρ (nel caso dell' acqua 1kg/L)


 la lunghezza L caratteristica dell’oggetto lungo la direzione del moto
 la velocità v dell’oggetto
 il coefficiente di viscosità η dell' acqua

N.B.= in emodinamica il Re considera non un oggetto che si muove in un fluido ma un fluido che si muove in
un vaso e quindi L va sostituita con il diametro del vaso. Per Re< 1000 o 2000 il flusso del sangue è lineare,
per Re > 1000 o 2000 è turbolento.

Il numero di Reynolds misura il rapporto tra le forze inerziali e le forze viscose.


Le forze inerziali indicano quanto la particella tende a resistere di per sé alle forze che possono alterare lo
stato di velocità in cui si trova: se una particella ha una certa massa e una certa velocità, occorre una certa

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forza per fermarla. Maggiore è la massa e non la velocità e maggiore è la forza inerziale che si attribuisce
alla particella.
Se il Re è basso, significa che le forze viscose sono più importanti delle forze inerziali.

Sperimentalmente si trova che per bassi numeri di Reynolds, ovvero minori di 1, la forza F che si oppone al
moto dell’oggetto è proporzionale alla velocità:

Dove γ è il coefficiente di resistenza viscosa .


Se la velocità v supera un certo valore, in modo che il numero di Reynolds diventa >1 , allora la resistenza
viscosa è più che proporzionale alla velocità(se aumenta la velocità aumenta la resistenza viscosa).

LEGGE DI STOKES

In condizioni particolari, per un oggetto sferico che si muove in un fluido, γ si può calcolare ed è pari a :

E quindi la forza che si oppone al moto vale:

che rappresenta la Legge di Stokes.

Alcuni numeri di Reynolds per alcune situazioni comuni:

Una proteina si muove a 8 m/s. E' una velocità elevata che deriva da ½ m v^2 = 1/2Kb∙T (energia
cinetica=energia cinetica). Dove 1/2Kb∙T è l' energia cinetica associata ad un oggetto che ha una
temperatura T. Conoscendo la massa della proteina si può ricavare v, che è la velocità della proteina tra un
urto e un altro con le molecole di solvente. Dato che la proteina si trova in un bagno termico, in un solvente
come l' acqua che è denso, allora il suo movimento sarà random. (Kb è la costante di Boltzmann che vale
1,38x10^-23 J/K)
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MOTO DI UN BATTERIO

Un batterio (come Escherichia Coli) si muove alla velocità di 25 μm/s ed ha un Re per cui vale F=- γv.
Un batterio di queste dimensioni che si muove a questa velocità, quando smette di muovere il flagello, si
ferma immediatamente. Ciò avviene perchè si trova in un ambiente estremamente viscoso (come se noi
cercassimo di nuotare nel miele o nelle sabbie mobili) per cui non si riesce a creare una turbolenza. Questi
batteri riescono a muoversi perchè i loro flagelli si muovono a cavatappi avvitandosi.
Per la legge di Stokes, la resistenza γ, è circa 20 nN·s/m. Quindi i motori molecolari che muovono i flagelli
devono poter generare una forza di almeno 0.5 pN perchè se il batterio si muove a velocità costante di 25
μm/s l' accelerazione è pari a 0 e quindi la forza totale è pari a 0 . Perciò la forza resistiva è pari a 0.5 pN. Se
quest' ultima è pari a 0.5 pN e la forza totale deve essere uguale a 0 allora la forza dei motori molecolari
deve essere almeno 0.5 pN.
Il motore molecolare più classico è la miosina che si muove sul filamento di actina, altri sono la chinesina e
la dineina che camminano una in una direzione e una nell' altra sui microtubuli e hanno la funzione di
portare molecole, proteine, organelli da una regione all' altra della cellula.

Finchè il batterio si muove è soggetto a una forza viscosa e alla forza del motore molecolare, se smette di
muoversi è soggetto solo alla forza viscosa.

Per la seconda legge di Newton:

dove dv(t)/dt è l' accelerazione.

Sostituendo a questo punto v(t) nella prima equazione e poi calcolandone la derivata (dv(t)=v(0)∙(-1/tau)∙
exp(-t/τ)) , si uguagliano le due grandezze e si trova che τ=m/ γ.

Tau è la costante di tempo che ha un significato matematico e dei significati fisici diversi in base al contesto
(la ritroveremo anche nella depolarizzazione della membrana cellulare).

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Dopo un tempo t uguale τ a la velocità è diminuita del 63% rispetto al suo valore iniziale, ovvero è arrivata
al 37% del suo valore iniziale.

Se la massa del batterio, assunto come sferico, è uguale a densità (che è uguale a quella dell' acqua e quindi
1kg/dm^3) per 4/3πr^3(volume della sfera) e sostituisco r con 1 μm, trovo che la massa è uguale a circa:

Quindi:

Perciò il batterio si ferma in meno di un μs.

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Quindi lo spazio percorso dal batterio dal momento in cui smette di muovere il flagello è uguale alla
velocità iniziale (25 μm/s) moltiplicata per la costante di tempo (0.2 μs).
x=5pm indica che il batterio si ferma all' istante.

Ma questo ragionamento è applicabile anche in maniera generale, per cui per una grandezza che
diminuisce:

Mentre per una grandezza che cresce nel tempo, sempre in maniera esponenziale:

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DIFFUSIONE

Si tratta del movimento dovuto alla diffusione di una particella che si trova in un bagno termico.
Per definizione la diffusione è la migrazione casuale di molecole o particelle che nasce dal moto indotto
dall’energia cinetica.
Per cui si consideri una particella immersa in un fluido: dato che le molecole del fluido sono dotate di una
certa energia cinetica, quindi di una certa temperatura, vanno ad urtare contro questa particella e la fanno
muovere in una qualche direzione.

Si noti che: “Una particella a temperatura assoluta T ha, in media, un’energia cinetica associata al
movimento lungo ciascuna direzione nel sistema di riferimento cartesiano di KbT/2, dove Kb è la costante di
Boltzmann (1.38·10-23 J/K).”

Questa è una caratteristica di fatto generale, infatti quando si è cercato di capire che cosa fosse
precisamente la temperatura, si è scoperto che essa è dovuta al moto delle particelle, e che è legata più
specificatamente all’energia cinetica, la quale è pari a ½mv².
Per una particella di massa m e velocità Vx lungo una direzione x, l’energia cinetica media è:

per cui:

Si osservi che ciò vale per una sola particella, mentre per un insieme di particelle bisogna considerare
velocità ed energia cinetica medie.
Questo è quello che viene definito moto casuale, o “random walk”.

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L’immagine sopra riportata rappresenta una traccia generata da un computer per simulare questo
movimento traslato casuale.
Che cosa ha fatto il computer in questo caso? Ha descritto il cammino che la particella ha compiuto tra un
urto e l’altro.
Infatti, a seguito di ogni urto della particella, il computer sceglie a random una possibile direzione facendola
muovere. Successivamente quest’ultima urta di nuovo e il computer sceglie sempre casualmente un’altra
direzione.
Si noti la presenza di regioni più scure che rendono evidente il fatto che la particella, a seguito di questi
“step casuali”, rimane sempre vicina ad una stessa regione.
Dopodiché, a seguito di altri step, sempre casualmente si può allontanare di parecchio dalla regione in cui
prima si trovava, per poi incominciare a muoversi attorno ad un’altra regione limitata seguendo un moto
casuale.
Se si ha un numero elevato di particelle si hanno traiettorie simili, però diffuse su tutto lo spazio
bidimensionale.
NB: Il “random walk”, viene tradotto in italiano come “passeggiata aleatoria”, o in maniera un po’
scherzosa come “la passeggiata dell’ubriaco”.

È possibile ricavare alcune proprietà della diffusione considerando un random walk monodimensionale,
cioè lungo una sola direzione (significa che si sta osservando soltanto un parametro): se si ha un
movimento intenzionale e direzionale (un passo ha una lunghezza di circa un metro), per calcolare la
distanza basta moltiplicare l’ampiezza del passo per il numero di passi. Invece nel caso di un ubriaco posto
in una piazza affollata, si ha semplicemente un moto casuale che porta ad urtare i passanti. Di conseguenza
riceverà spinte che gli faranno continuamente cambiare direzione.
Ora si osservi che anche se il passo ha sempre la stessa ampiezza, dopo che sono stati fatti n passi, l’uomo
non si è allontanato di una distanza pari all’ampiezza per il numero dei passi, ma sta più o meno
gironzolando sempre intorno alla stessa posizione.
Si riporti tutto ciò, cioè questo moto casuale, ad un’unica dimensione: la particella che si trova in una certa
posizione, riceve un urto, e pochè è casuale, ha una certa probabilità di muoversi verso sinistra o verso
destra per cui a seguito di un urto ha il 50% delle possibilità di muoversi in una direzione o in un’altra.

Si consideri la figura sopra riportata e si supponga che la particella parta dal punto zero, che poi riceva un
urto, e di conseguenza dopo un certo tempo si troverà, da zero che era, o in +δ o in –δ (δ è dato dalla
velocità moltiplicata per il tempo: δ = ± v τ).
Ora si ipotizzi che la particella si trovi a livello del + δ, casualmente a seguito di un altro urto, potrà poi
ritrovarsi a zero o a +2δ, e così via.

Per cui ricapitolando, si consideri una soluzione diluita e che valgano le seguenti ipotesi:
1. Ciascuna particella può muoversi, a seguito degli urti con le molecole del solvente, verso destra o
sinistra ogni τ secondi, con velocità ± v e spostamento δ = ± v τ.
2. La probabilità di andare verso destra o sinistra è la stessa, cioè il 50%.
3. Le particelle di soluto si muovono indipendentemente le une dalle altre (condizione propria di una
soluzione diluita, in cui le particelle del soluto e del solvente non si incontrano).
𝑥𝑖(𝑛) = 𝑥𝑖(𝑛 − 1) ± 𝛿

Si ottengono due importanti conseguenze:

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1. Il centro della distribuzione dell’insieme delle particelle, in media, non si sposta in nessuna
direzione.

Cioè le particelle vengono poste in un certo punto, e ciò che si osserva è che l’insieme di queste diventa
mediamente sempre più distribuito, ma il centro della distribuzione è sempre nella stessa posizione.

N.B.: Si osservi che la distribuzione ha un andamento gaussiano, e che la sua larghezza varia come la radice
del quadrato del tempo.

2. La radice quadrata della media quadratica dello spostamento (lo spostamento quadratico medio) è
proporzionale alla radice quadrata del tempo trascorso.

Dove D è il coefficiente di diffusione, che per formula inversa è uguale 𝐷 = 𝛿²/2𝜏 (cioè il quadrato del
cammino che la particella fa tra un urto e l’altro diviso due volte il tempo t tra gli urti).
Ma questa diffusione è efficiente per spostare sostanze per esempio a livello cellulare?
Dipende dalla distanza.
Si osservi inoltre che su tempi brevi inizialmente questo spostamento quadratico medio cresce in maniera
abbastanza ripida.
Qui di seguito sono riportati alcuni tempi per la diffusione unidirezionale in soluzione acquosa, ricavati con
l’applicazione della formula appena descritta:

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LEGGE DI FICK
“Il flusso J di una sostanza, che può essere definito in vari modi ma in particolare come numero di moli che
attraversa un’unità di superficie nell’unità di tempo, è proporzionale, sempre tramite il coefficiente di
diffusione D, alla variazione di concentrazione di sostanza che considero nello spazio.”

Dimostrazione: si consideri ancora la particella che a seguito di un urto con il solvente può andare o in una
direzione o nell’altra, percorrendo uno spazio Δx, e che gli urti avvengano con un tempo Δt.

Il flusso risulta positivo andando da sinistra a destra.


Nel momento in cui le particelle subiscono gli urti, poichè ciascuna si muove di un certo Δx casualmente in
una direzione o nell’altra, tutte le particelle prima presenti al tempo zero sono uscite dalla porzione
spaziale in cui si trovavano. Ma di queste particelle una metà ha contribuito in maniera positiva al flusso,
mentre l’altra ha contribuito in maniera negativa. Quindi se si immagina che la zona indicata abbia una
certa superficie A, il volume compreso in questa regione di larghezza Δx e superficie A, coincide ad A per Δx
(V=A∙ Δx).
Siccome la concentrazione è il numero di moli diviso il volume, e il flusso è il numero di moli che attraversa
un’unità di superficie in un’unità di tempo, ottengo matematicamente:

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Se si ha una regione con delle particelle più concentrate, e una con particelle meno contrate e in entrambe
le regioni queste sono soggette al moto termico dovuto agli urti con le particelle del solvente, ciascuna
particelle di per sé, indipendentemente dalla regione in cui si trova, può andare a destra o a sinistra, ma in
questa superficie di divisione delle due concentrazioni (vedi immagine) si osserva un passaggio maggiore
dalla regione più concentrata e uno minore da quella meno concentrata. Per cui il flusso, quindi il
movimento netto di particelle, sarà maggiore dalla regione a concentrazione più alta a quella a
concentrazione più bassa, mentre non posso sapere cosa faccia la singola particella.

Analogamente si può dimostrare che in una certa regione al cui confine ho dei flussi che provengono da
direzioni diverse e i flussi sono diversi tra loro, allora la concentrazione nella regione considerata varia.
Matematicamente quindi si osserva che la variazione nel tempo della concentrazione dipende dalla
variazione nello spazio del flusso.

Per calcolare la variazione bisogna considerare la derivata parziale: la funzione J dipende sia dallo spazio
che dal tempo, significa guardare la variazione di una grandezza tenendo fissa l’altra grandezza. Ad esempio
posso osservare la variazione di concentrazione di una regione fissa in funzione del tempo (derivata della
concentrazione rispetto al tempo).

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Questa equazione spiega che se i flussi sono diversi (nelle regioni che delimitano la regione fissa presa in
considerazione) la concentrazione cambia nel tempo se ho più particelle che entrano rispetto quelle che
escono nel tempo, o viceversa.
Se si mette insieme questa relazione, con quella precedentemente trovata che definisce la prima legge di
Fick ottengo una nuova relazione che lega la variazione di concentrazione nel tempo alla differenza di
concentrazione nello spazio. L’equazione risulta essere molto complessa nella risoluzione, ma spiega un
concetto semplice: le particelle non si creano, né si distruggono (almeno che non ci siano reazioni
chimiche); infatti l’equazione spiega che se ho un una variazione nel numero di particelle, queste sono
andate a cambiare la concentrazione e quindi hanno generato un flusso.

Equazione della diffusione, o seconda legge di Fick:

Questa è un’equazione differenziale (come quella vista per il moto del batterio, ma questa è molto più
complessa), la cui soluzione dipende dalle “condizioni iniziali”, ovvero se si mettono insieme un gruppo di
particelle in una certa regione nello spazio e osservo come esse evolvono, la soluzione vale esattamente la
soluzione che è stata vista precedentemente quando è stato studiato lo spostamento delle particelle a
seguito del “random walk”.

Soluzione dell’equazione della diffusione, partendo dal soluto concentrato nel punto x=0 al tempo iniziale:

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Inizialmente si è trovato il coefficiente di resistenza viscosa γ, mentre ora il coefficiente di diffusione D.


Esiste una relazione tra essi che prende il nome di “Relazione di Einstein-Smoluchowski”, per cui

D = Kb T / γ

Dalla “Legge di Stokes” poi si ottiene che

D = KbT / (6 πη r )

E questa viene anche detta “Relazione di Stokes-Einstein”, in cui il coefficiente di diffusione è legato alla
temperatura, alla viscosità del fluido e alla dimensione dell’oggetto.

N.B.: Il coefficiente di resistenza viscosa γ, misura la difficoltà che un oggetto ha nel muoversi in un fluido
(il fluido si oppone a questo movimento), mentre il coefficiente di diffusione D misura la facilità con cui
questo diffonde. È quindi chiaro che la relazione tra questi due coefficienti sia di tipo inverso, cioè se cresce
γ diminuisce D, e viceversa.

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04/10/2019

Data: 04/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento:
Controllore: Pandolfini
Coppia: Macelloni – M. Ansari

Il professore ha nuovamente ripetuto alcune informazioni sui libri di testo che erano già state spiegate nella
scorsa lezione.
Specifica la presenza di alcune attività a distanza che potranno essere utilizzate come ripasso e
approfondimento. Il testo consigliato dal corso integrato è “Fisiologia Medica” di F. Conti, Edi. Ermes, tiene
comunque a ribadire che il corso da lui tenuto prenderà spunto da più testi differenti.
Per questa parte del corso suggerisce “Fisiologia Umana. Fondamenti”, Edi. Ermes, facendo notare la
presenza di un errore nella definizione di osmolarità.

RIPASSO CONCETTI DI MOLARITÀ E MOLALITÀ


Molarità = numero di moli di soluto/litro di soluzione (n/lt)
Molalità = numero di moli di soluto/chilo di solvente (n/kg)

Per lo svolgimento di questo corso verrà solitamente utilizzata la molarità per quanto riguarda le
concentrazioni e la osmolarità quando viene trattata l’osmosi. La molalità tuttavia presenta il vantaggio di
essere una misura indipendente dalla temperatura, a differenza della molarità, in quanto il volume di
solvente si espande con l’aumento della temperatura e si contrae con la sua diminuzione.

LA MEMBRANA CELLULARE

La membrana cellulare è una barriera selettiva che separa l’ambiente intracellulare da quello extracellulare,
garantendo così il mantenimento di un ambiente interno costante ma allo stesso tempo consentendo lo
scambio di nutrienti, di gas, di energia e di informazioni necessarie alla vita cellulare (queste ultime ad
esempio attraverso il potenziale di azione).
In questo contesto un concetto fondamentale è quello dell’omeostasi, ovvero l’insieme dei meccanismi che
consentono di mantenere una situazione stabile e stazionaria, anche se lontana dall’equilibrio
termodinamico. Equilibrio che sarebbe raggiunto solo con la morte cellulare, per cui lo scopo è quello di
mantenere una certa differenza dall’ambiente esterno per impedire il raggiungimento di tale equilibrio
termodinamico.

La membrana cellulare è di base composta da un doppio


strato di fosfolipidi. Ogni fosfolipide ha una regione polare,
ovvero che presenta una distribuzione di carica sulla sua
superficie e una apolare che, invece, non presenta
distribuzione di carica. Una molecola, o parte di una
molecola, che presenta una distribuzione di carica sulla sua
superficie ha caratteristiche idrofiliche, la parte che invece
non ne presenta ha caratteristiche idrofobiche per cui Microfotografia della membrana in cui si può osservare la
tenderà a stare in un ambiente di tipo oleoso. presenza del doppio strato

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Il fosfolipide è formato da una testa polare e una coda apolare che, dato questo tipo di struttura, trovano
una situazione di equilibrio ponendo le teste polari a contatto con una soluzione acquosa e la coda apolare
in un ambiente oleoso, si forma cosìil doppio strato fosfolipidico.

L’esperimento di Gorter e Grendel (1925) ha dimostrato che la


membrana sia difatti formata da un doppio strato di fosfolipidi.

In questo esperimento sono stati estratti i fosfolipidi da alcuni


globuli rossi tramite lisi osmotica. Tali fosfolipidi, lasciati
diffondere in ambiente acquoso, si sono quindi disposti con la
testa polare rivolta verso l’acqua e le code apolari fuori dall’acqua,
formando cosìuno strato sulla superficie. Il monostrato è poi stato
compattato in modo che i fosfolipidi fossero il più vicino possibile
tra loro per avere una corretta misurazione della loro dimensione.
Per assicurarsi la correttezza di questa misurazione è stato posto
un dinamometro, ovvero un misuratore di forza, ad una estremità
del contenitore ed è poi stata applicata una forza all’estremità
opposta. Questa forza compatta lo strato fin quanto è possibile e
una volta raggiunto lo stato di massima compattezza leggeremo un
aumento di forza sul dinamometro, dato che la nostra forza non
verrà più utilizzata per compattare lo strato, ma andrà a spingerlo
contro il dinamometro.
A questo punto si è potuto misurare l’area coperta dai fosfolipidi e confrontandola con quella già
conosciuta dei globuli rossi da cui sono stati estratti si è osservato che l’area del singolo strato è il doppio
dell’area che compete gli eritrociti confermando cosìla presenza del doppio strato

Il modello ormai accettato per la membrana cellulare è il cosiddetto modello a mosaico fluido, proposto
nel 1972 da Singer e Nicolson. Secondo questo modello i lipidi costituiscono una matrice fluida, cioè si
possono muovere gli uni rispetto agli altri, in modo analogo ad un solvente bidimensionale oleoso. Nella
matrice si trovano immerse o ancorate alla superficie le proteine. Questo modello prevede quindi che lipidi
e proteine si possano muovere facilmente nel piano della membrana.
La membrana effettiva, però, è più complessa di questo modello semplificato, essa infatti contiene anche
altri tipi di molecole oltre a proteine e fosfolipidi. Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che il modello a
mosaico fluido non è totalmente corretto dato che esistono regioni della cellula dove non è conveniente
che le proteine si possano muovere liberamente.
La mobilità dei fosfolipidi è molto alta, la frequenza della diffusione laterale è di 10-8 secondi. Anche le code
hanno una particolare vibrazione con un movimento tipico di 10-10 secondi. Si possono poi avere i cosiddetti
scambi “Flip - Flop”, ovvero un fosfolipide può passare da un lato all’altro della membrana. Questi processi
chiaramente sono più lenti, circa ogni 105 secondi (che corrisponde a qualche giorno), dato che sono
fortemente sfavoriti energeticamente poiché per questo tipo di movimenti occorre che la parte idrofilica
passi per l’ambiente idrofobico.

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Immagine schematica della membrana in cui sono stati rappresentati solo fosfolipidi e proteine, il livello di reale di complessità è
maggiore.

Anche prima del modello a mosaico fluido erano stati fatti esperimenti che dimostravano la mobilità dei
fosfolipidi nella membrana, ad esempio l’esperimento di Edidin e Frye (1970).
In questo esperimento sono state prese cellule di topo con antigeni di membrana che si legano ad anticorpi
che presentano una fluorescenza di tipo rosso e sono state fatte fondere con cellule umane aventi antigeni
che si legano ad anticorpi con una fluorescenza verde. Fintanto che le due cellule sono separate ognuna
presenta fluorescenza del proprio colore. In seguito
alla fusione cellulare, all’istante 0, si nota ancora una
distribuzione ben separata tra i due colori di
fluorescenza, tuttavia, dopo un’incubazione per un
tempo relativamente breve di 40 minuti a 37° si
osserva che la fluorescenza, sia rossa che verde, è
distribuita uniformemente nella membrana cellulare
ottenuta dalla fusione delle cellule. Questo dimostra
quindi la presenza di un certo livello di mobilità nella
superficie della membrana.

TRASPORTO ATTRAVERSO LA MEMBRANA


I trasporti possono essere di tipo attivo o passivo. Il primo che verrà preso in esame è la diffusione semplice.

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DIFFUSIONE SEMPLICE
Nella diffusione semplice il passaggio avviene secondo gradiente, quindi da una zona a maggiore
concentrazione ad una a minore concentrazione.
L’energia per questo trasporto è stata fornita a priori dal sistema che ha permesso il formarsi di questa
differenza di concentrazioni ai lati della membrana, a questo punto non è più necessario nessun tipo di
energia dato che il sistema tende spontaneamente ad andare da una regione in cui il soluto ha
concentrazione maggiore ad una dove ha concentrazione minore.
Ha la caratteristica di essere non saturante, cioè la velocità della diffusione attraverso la membrana cresce
linearmente all’aumentare della differenza di concentrazione.
Oltre a questo, la diffusione non è selettiva, ovvero non è presente una proteina che permette il passaggio
di determinate sostanze con una certa specificità di forma, carica o di dimensione, cosa che invece accade
negli altri tipi di trasporto.

Le sostanze che quindi possono passare per diffusione semplice sono:


 Piccole molecole idrofobiche, come O2, CO2, N, il benzene e molecole lipofile.
 Piccole molecole polari, ad esempio l’acqua, anche se si è recentemente scoperto che la
permeazione attraverso la membrana dell’acqua non è il principale metodo per trasportarla
all’interno della membrana, ma ci sono molecole specifiche chiamate acquaporine che aumentano
moltissimo la velocità di diffusione rispetto a quella che avrebbe per diffusione semplice.

Non passano invece:


 Grandi molecole polari non cariche elettricamente, come amminoacidi, glucosio e nucleotidi
 Ioni o molecole cariche come H+, Na+, K+, Ca2+

Per permettere il passaggio di questo tipo di molecole sono quindi necessari canali specifici.

Per studiare la diffusione in termini quantitativi dovremo adattare la legge di Fick, questa infatti considera il
passaggio di molecole da una regione a maggiore concentrazione ad una a minore concentrazione, ma non
necessariamente attraverso una barriera fisica.
Nella sua forma:

La legge di Fick indica, ad esempio, la diffusione di una goccia di profumo nell’aria, ovvero una diffusione da
due diversi livelli di concentrazione senza la presenza di alcun ostacolo. Quindi idealmente il numero di moli
che attraversa una unità di superficie in una unità di tempo, questo per qualsiasi unità noi prendiamo per
tempo e superficie.

Per capire come il flusso di sostanza agisce attraverso una


membrana considero una soluzione sul lato 1 (ad esempio la
regione extracellulare) ed una sul lato 2 (che può essere quindi in
questo esempio l’interno della cellula).
Come prima cosa osservo la distribuzione della sostanza.
Chiamo [c]1S e [c]2S la concentrazione della sostanza
rispettivamente nelle due soluzioni 1 e 2.
Chiamo invece [c]1M e [c]2M le concentrazioni della stessa sostanza
ma immediatamente dentro membrana, ovvero sul lato che si
affaccia rispettivamente sulle soluzioni 1 e 2.

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Fisiologia – Lezione n° 02
04/10/2019

Poniamo di essere in uno stato stazionario, ovverosia in cui le grandezze non cambiano di dimensione nel
tempo. Chiaramente per fare questo devo considerare un tempo molto breve, dato che, avendo un
passaggio di sostanza, non potrò mantenere questo stato stazionario molto a lungo. Infatti, via via che la
sostanza si muove dall’esterno all’interno della cellula, la concentrazione intracellulare aumenta. La
concentrazione all’esterno può cambiare poco dato che il numero di moli che attraversa la membrana per
entrare nella cellula è piccolo rispetto al volume esterno che è molto grande, per cui la concentrazione
extracellulare non subisce grandi cambiamenti. Di fatti, in questo tipo di considerazioni, si presume che la
concentrazione non cambi nell’ambiente extracellulare, ma che invece cambi all’interno della cellula e per
questo non si può mantenere a lungo lo stato stazionario.

Per determinare il flusso totale che attraversa una unità di superficie di questa membrana dovrei calcolare,
e poi fare la somma, tutti i flussi che attraversano le varie superfici ideali che posso trovare attraverso la
membrana. Sommare queste superfici che via via che diventano piccole equivale a fare l’integrale.

Il professore specifica che la seguente dimostrazione non sarà materia di esame, ma che può risultare utile
per comprendere il concetto.

Parto quindi dall’equazione di Fick e la integro tra i due estremi della membrana x1 e x2 in dx:

A destra dell’uguale i due dx si possono eliminare e rimane quindi con la concentrazione, per cui sostituisco
x1 e x2 con [c]1m e [c]2m:

A questo punto posso portar fuori dal segno di integrale D e J, cosa che posso fare tranquillamente dato che
D è una costante e che quindi non dipende dalla concentrazione ma è solamente legata alla sostanza e al
suo solvente.
Per quanto riguarda invece il flusso J, è possibile compiere questa operazione poiché si considera allo stato
stazionario, quindi il flusso non cambia nel tempo e nello spazio, infatti non ho problemi neanche se
considero punti diversi nello spazio dato che, essendo allo stato stazionario, tra i due punti che sto
considerando non cambia la concentrazione e quindi anche il flusso che entra ed esce deve rimanere
uguale. Quindi:

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A questo punto, data la definizione di integrale, il calcolo diventa molto semplice e ponendo che x1 – x2 = S
(ovvero lo spessore della membrana) arrivo all’equazione di Fick integrata attraverso la membrana:

Anche a livello intuitivo la formula torna, ponendo una concentrazione maggiore per [c]1m ottengo il flusso
positivo se invece pongo [c]2m maggiore ottengo un flusso negativo e quindi nella direzione inversa.

Questa formula presenta però un inconveniente, in quanto non è sempre facile misurare [c]1m e [c]2m infatti
dovrei fare questa operazione all’interno dell’ambiente fosfolipidico, mentre le concentrazioni in 1 e 2 sono
molto più facilmente misurabili e controllabili poiché si tratta di ambienti acquosi e più accessibili.
Risulta quindi conveniente stabilire una relazione tra [c]1m
e [c]2m con [c]1s e [c]2s.
Questa relazione è il coefficiente di ripartizione, indicato
con K, ovvero il rapporto tra la concentrazione della fase
oleosa e la concentrazione della fase acquosa, e misura
quindi il rapporto di solubilità fra la concentrazione della
sostanza nella fase oleosa rispetto alla concentrazione di
quella acquosa.
Quindi se k > 1, ovvero la sostanza si scioglie più
facilmente nell’ambiente fosfolipidico avremo un salto
nella concentrazione in positivo tra l’ambiente
fosfolipidico e quello acquoso, viceversa nel caso in cui k
< 1 il salto sarà in negativo. Nel caso in cui k = 1 non
avremo un salto nelle concentrazioni nelle due regioni.

Utilizzando k posso quindi sostituire [c]1m e [c]2m con k[c]1s e k[c]2s e nell’equazione finale posso scrivere:

A questo punto raccolgo k fuori dalla parentesi e introduco il coefficiente di permeabilità P, da qua ottengo
l’equazione finale:

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COEFFICIENTE DI PERMEABILITA’
Il coefficiente di permeabilità P viene definito come il prodotto di K per il rapporto tra il coefficiente di
diffusione e lo spessore della membrana. Questa formula si può ottenere considerando che P indica la
facilità con cui la sostanza passa attraverso una membrana, quindi più il suo valore sarà alto e maggiore
sarà la facilità di attraversamento. Se k>1 questo vuol dire che i soluti hanno maggiore affinità per
l’ambiente fosfolipidico e quindi attraverseranno la membrana con facilità, ciò giustifica il fatto che lo
troviamo al numeratore. Allo stesso modo il coefficiente di diffusione indica la facilità di diffusione, più
facilmente diffonde e meno resistenza offre al flusso quindi capiamo per quale motivo sia al numeratore. Il
parametro S è lo spessore della membrana, che sarà attraversata con più facilità al diminuire del suo valore
e quindi la troviamo al denominatore.

L’unità di misura del coefficiente di permeabilità P è una velocità ovvero m/s. Questo perché k è
adimensionale, il coefficiente di diffusione D è una lunghezza al quadrato diviso un tempo (m2/s) e lo
spessore S è una lunghezza (m) e quindi la permeabilità è m/s.

In alcuni testi la permeabilità P è definita per una cellula nel suo insieme, invece qui consideriamo un
coefficiente di permeabilità e quindi si fa riferimento ad una unità di superficie. Quando si vuole
considerare l’intera cellula la permeabilità va moltiplicata per la sua area, in modo analogo al flusso che non
sarà più per unità di superficie per unità di tempo ma sarà semplicemente per unità di tempo, ovvero si
considera tutta quanta la sostanza che passa per quella certa superficie.

Di seguito è riportato un grafico che evidenzia la variazione di permeabilità in funzione del coefficiente di
ripartizione a seconda della tipologia di molecola. Tale dipendenza è lineare. Quindi la trattazione teorica si
avvicina a darci un’idea di quali sono i parametri che influenzano il passaggio di sostanza. Ovviamente
andrebbe anche considerato il diverso coefficiente di diffusione delle varie sostanze.

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Se si osserva il flusso attraverso i canali si trova che la relazione è sempre espressa da J, ma il significato
della permeabilità cambia in quanto non siamo più in ambiente oleoso ma acquoso. Inoltre, a livello di
condizioni fisiologiche vale sempre quella relazione, ma se la differenza di concentrazione dovesse
aumentare molto accadrebbe che, siccome queste sostanze non passano più per ampie superfici ma
attraverso pori di numero limitato, si determinerà un affollamento del poro che causerà una diminuzione
della velocità del flusso.

46.00

OSMOSI:
L’osmosi è il movimento di acqua dovuto alla differenza di concentrazione di soluti. Anch’essa segue allo
stesso modo l’equazione di Fick, ovvero se ho una sostanza più concentrata in una certa regione e meno

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concentrata in un’altra regione tale sostanza tenderà spontaneamente ad andare dalla regione a maggiore
concentrazione a quella a minore concentrazione. Se in una zona ho una maggiore concentrazione di soluti
questo vuol dire che l’acqua è meno concentrata. Quindi il movimento di acqua da una regione a minore
concentrazione di soluti verso una regione a maggiore concentrazione di soluti è semplicemente un
movimento dell’acqua da una regione a maggiore concentrazione di acqua ad una di minore
concentrazione di acqua. Analogamente all’equazione di Fick per i soluti si può vedere che il flusso
dell’acqua è uguale al coefficiente di divisione dell’acqua per la variazione, lungo x, della concentrazione dei
soluti (non dell’acqua stessa). È sparito il segno meno dalla formula in quanto dove ci sono più soluti c’è
meno acqua e dove ci sono meno soluti c’è più acqua. E, mentre i soluti si muovono secondo il loro
gradiente di concentrazione, l’acqua si muove secondo il proprio gradiente di concentrazione che è opposto
a quello che hanno i soluti. Quindi il flusso di acqua dovuto all’osmosi è proporzionale al gradiente della
concentrazione di tutti i soluti.

Jw= flusso dell’acqua

[Cs]= concentrazione dei soluti (totale)

Cs rappresenta la sommatoria della concentrazione totali, ed è detta osmolarità.

Quando per esempio abbiamo una mole di NaCl in 1L di soluzione la molarità è 1 e, siccome si dissocia,
l’osmolarità sarà 2 data dai due ioni dissociati in soluzione.

Integrando il flusso dell’acqua attraverso una membrana (che permette il passaggio esclusivamente
all’acqua e non ai soluti) si ottiene che il flusso dell’acqua è uguale alla permeabilità di questa membrana
all’acqua per la differenza di concentrazione dei soluti che presentano una differente osmolarità.

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Pw=permeabilità della membrana all’acqua

LA PRESSIONE OSMOTICA

R=costante universale dei gas

T=temperatura in Kelvin

RT è un’energia in quanto R è kB (costante di Boltzmann) per nA (numero di Avogadro) mentre la T è in


Kelvin. kBxT è un’energia e il nA è adimensionale.

L’energia si esprime in Joule (Newton x metri).

[Cs] è una concentrazione quindi moli (adimensionale) diviso Volume (metri cubi).

Quindi svolgendo le dovute sostituzioni si ottiene che l’unità di misura della pressione osmotica è
effettivamente una pressione.

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Ricordando la definizione di flusso d’acqua, Jw, data in precedenza e sostituendo alla differenza di
osmolarità della formula del flusso quella ottenuta dalla differenza di pressione osmotica si trova una
nuova formulazione per Jw. Quindi il flusso d’acqua è guidato da una differenza di pressione fra le due
soluzioni.

COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE
Se la membrana, oltre ad essere permeabile all’acqua, è anche permeabile parzialmente ad uno o più soluti
il flusso d’acqua è in realtà ridotto. Questo perché l’acqua si muove per ridurre la differenza di
concentrazione dei soluti, ma se la membrana è permeabile anche ai soluti anche questi si muoveranno
assieme all’acqua per andare a bilanciare tale differenza di concentrazione (ovviamente nella direzione
opposta). Il movimento del soluto rende cosìmeno necessario il movimento di acqua. Si definisce quindi un
coefficiente di riflessione  che va a moltiplicarsi nella formula per Jw e che indica il livello di permeabilità
della membrana rispetto ai soluti.

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Se la membrana è impermeabile al soluto questo coefficiente di riflessione varrà 1.

Se fosse completamente permeabile ai soluti, in maniera anche maggiore rispetto all’acqua, tale valore
sarebbe 0. Infatti, la differenza di concentrazione sarebbe totalmente compensata dal movimento dei soluti
che non sarebbe necessario il movimento dell’acqua.

Il coefficiente di riflessione indica quanto i soluti sono “riflessi” dalla membrana.

FLUSSO DI ACQUA IN UN TUBO A “U”


Immaginiamo di avere un tubo a “U” in i cui due lati del tubo sono separati da una membrana
impermeabile ai soluti ma permeabile all’acqua. Considerando una maggiore concentrazione di soluto nel
ramo B, l’acqua si sposterà dal ramo A verso il ramo B per diluire la soluzione.

L’acqua per osmosi quindi si muove dalla soluzione più concentrata a quella meno concentrata alzando il
livello nel ramo B e abbassandolo nel ramo A. Il flusso si fermerà quando la differenza di pressione
osmotica sarà diventata zero.

Osservando la figura num.3 si vede che, nonostante la differenza di pressione osmotica e di osmolarità che
tenderebbero a generare un flusso di acqua dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata, è
possibile applicare un peso sufficiente per cui dividendo la forza peso per la superficie del tubo B ottengo
una pressione (detta pressione idrostatica) che è pari alla differenza di pressione osmotica fra le due
soluzioni. Se questo peso fosse maggiore di quello che serve a bilanciare la pressione osmotica si avrebbe
un flusso di acqua dal tubo B al tubo A ottenendo il fenomeno della osmosi inversa.

In realtà non è del tutto corretto affermare che l’osmosi continua fino a che le due concentrazioni non sono
uguali come è affermato nella fig. 2. Infatti, dobbiamo prendere in considerazione anche la pressione
idrostatica generata dal peso del cilindro d’acqua che lentamente si alza.
Infatti, inizialmente la differenza di pressione osmotica determina il movimento dell’acqua dal tubo A al
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tubo B e questo spostamento lentamente diminuisce, all’innalzarsi del livello dell’acqua nel tubo B però
inizierà ad esserci una differenza di pressione idrostatica che spinge l’acqua dal tubo B verso il tubo A.
L’osmosi quindi continuerà fino a quando sia la pressione idrostatica che quella osmotica non si
annulleranno a vicenda, cosa che avviene prima che le concentrazioni siano esattamente uguali.

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Fisiologia – Lezione n° 03
09/10/2019

Data: 09/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento: File personale, perché su MEGA è presente solo un file incompleto
Controllore: Vicidomini
Coppia: Rama- Zuccato

All’inizio della lezione il professore invita a svolgere l’esercizio “diffusione semplice: test numerico” caricato su moodle.

MOLARITÀ ED OSMOLARITÀ
La molarità misura la quantità di moli di una data sostanza presenti in un litro di soluzione [n/V] (quando si
devono fare dei calcoli con la concentrazione espressa in molarità bisogna ricordare che un litro di soluzione
equivale ad un millesimo di metro cubo).
Per esempio:
• Se si sciogliesse in un litro d'acqua una mole di glucosio, la molarità della soluzione sarebbe 1M e la
sua osmolarità sarebbe 1 OsM perché il glucosio non dissocia.
• Se in 1 litro d'acqua si dovesse sciogliere una mole di NaCl, il sale si separerebbe in Na+ e Cl-, la
molarità di NaCl nella soluzione sarebbe 1M, ma l'osmolarità sarebbe 2 OsM. Il numero “2” è
riferito a quello che alcuni testi riportano come coefficiente di Van’t Hoff.
N.B.: Non è importante conoscerlo per forza con questo termine, l'importante è sapere che, se in una
soluzione il sale dissocia, il numero totale di particelle presenti è dato dalle componenti del sale.
In realtà, bisogna anche vedere se il sale dissocia completamente: ci sono sali che non dissociano
completamente e in quel caso, se si volesse calcolare l'esatta molarità, si dovrebbe tener conto anche di
quanto valga precisamente la dissociazione.

Confrontando tre soluzioni, se si ha una soluzione A 1 OsM di glucosio e una soluzione B 2 OsM di glucosio,
A rispetto a B è ipoosmotica, meno osmotica, mentre B rispetto ad A è iperosmotica.
Si consideri anche una soluzione C dove l'osmolarità è riferita alla concentrazione di NaCl. La soluzione è 1
OsM. La soluzione C rispetto alla soluzione A è isoosmotica. (Scrivendo che NaCl è 1 OsM, si è già tenuto
conto della dissociazione, infatti se la soluzione fosse stata 1 M di NaCl, l’osmolarità sarebbe stata 2 OsM).
Sia la soluzione C che la A sono ipoosmotiche rispetto alla soluzione B, che risulta essere iperosmotica
rispetto ad entrambe.

Riassumendo:
• se una soluzione ha minore osmolarità rispetto ad un'altra si dice che è ipoosmotica;
• se ha maggiore osmolarità è iperosmotica;
• se ha uguale osmolarità è isoosmotica.

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OSMOLARITÀ E TONICITÀ

In figura vengono riportati su grafico i dati relativi alla risposta della cellula muscolare isolata di rana alle
variazioni di osmolarità esterne. L'obiettivo dell'esperimento è analizzare il comportamento della cellula in
questa situazione. Data la forma allungata della cellula, essa è spesso chiamata fibra muscolare.
La cellula viene posta in una vaschetta sperimentale. Di solito, il volume della vaschetta sperimentale è
molto più grande rispetto al volume della cellula; per cui, a queste condizioni, variazioni di sostanza o di
acqua che dalla soluzione entrano nella cellula o che escono dalla cellula e vanno nella soluzione sono
considerate variazioni trascurabili dell'ambiente extracellulare. Se, per esempio, dovesse uscire acqua dalla
cellula per variazioni della pressione osmotica, per la cellula, l'uscita di acqua o eventualmente di soluto,
sarebbe importante; invece, per l'ambiente questo conterebbe poco. Questo è il caso dell'esperimento
proposto.

La stessa fibra viene immersa in tre sostanze diverse. In tutti e tre i casi, abbiamo sull'asse delle ordinate il
volume in percentuale della cellula. Il valore 100% rappresenta il volume in condizioni normali, ovvero
quando la cellula è immersa in una soluzione di Ringer, che è una soluzione salina che simula l'ambiente
extracellulare per la cellula di rana (se si volesse usare una soluzione per la cellula di un mammifero si
dovrebbero adoperare concentrazioni diverse). Si tratta, quindi, di una soluzione fisiologica isoosmotica
rispetto alla cellula.

Nel punto 2, in tutti e tre i casi, la fibra viene portata in una soluzione di Ringer, dove la composizione salina
è tale da essere iperosmotica rispetto alla cellula (è raddoppiata la sua osmolarità). Essendoci una maggiore
concentrazione di soluti nella soluzione, l'acqua esce dalla cellula, che si raggrinzisce. Tenendo a mente le
considerazioni iniziali sul volume dell’ambiente extracellulare rispetto a quello della cellula ed essendo
raddoppiata l’osmolarità della soluzione rispetto a quella della cellula, ci si aspetterebbe un dimezzamento
del volume; ciò non accade, infatti il volume raggiunge il 70% in tutti e tre i casi. Questo avviene perché c'è
del materiale all'interno della cellula che è considerato inerte da un punto di vista osmotico (ad esempio gli
organelli), ovvero non contribuisce alla variazione di osmolarità.

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Nel punto 3 la cellula, ripresa dalla vaschetta con il Ringer iperosmotico, viene riportata nel Ringer normale.
Il volume recupera il valore iniziale, perché la cellula risulta essere iperosmotica e l'acqua, dalla soluzione
esterna, entra dentro la cellula.
Successivamente la cellula viene immersa in soluzioni ad osmolarità doppia, ottenute aggiungendo una
sostanza diversa nei tre casi, senza apporre variazioni alla composizione salina:
• Caso a: nel punto 4 la cellula è portata dal Ringer normale al Ringer con osmolarità doppia,
ottenuta aggiungendo nella soluzione esterna dell'alcol etilico o etanolo. Si osserva che il volume
della cellula non cambia, anche se la soluzione esterna è iperosmotica. L'acqua, infatti, non effettua
alcun passaggio. Di norma l'acqua esce per osmosi: l'effetto che fa non è tanto quello di diluire la
soluzione esterna, quanto quello di rendere più concentrata quella interna. Nel caso a
dell’esperimento il passaggio dell’acqua non avviene perché la membrana è permeabile all'alcol. Il
coefficiente di riflessione (che può variare tra 0 e 1), in questo caso, è pari a 0. L’alcol etilico permea
la membrana con la stessa velocità con cui la permea l'acqua. L'acqua non ha bisogno di uscire
perché l'alcol etilico, entrando nella cellula, bilancia l'osmolarità della cellula, facendola diventare
isoosmotica con la soluzione esterna. Nel momento in cui la cellula è riportata nel Ringer normale,
il suo volume nuovamente non cambia perché l'etanolo esce dalla cellula prima che inizino i
movimenti dell'acqua.
• Caso b: la sostanza aggiunta è lo xilitolo, uno zucchero al quale la membrana è impermeabile. La
soluzione esterna ha osmolarità doppia e il coefficiente di riflessione in questo caso è 1. L'acqua
esce dalla cellula e fa sì che la cellula sia isoosmotica con l'ambiente.
• Caso c: la sostanza usata per raddoppiare l'osmolarità della soluzione di Ringer è il glicerolo. In
questo caso si ha una diminuzione di volume della cellula, perché l'acqua esce per osmosi. In
seguito, con una cinetica più lenta, si ha un recupero del volume. Questo significa che la membrana
è permeabile per il glicerolo, ma meno rispetto a quanto lo è per l'acqua. Il coefficiente di
permeabilità del glicerolo è più basso di quello dell'acqua.
Il glicerolo entra nella cellula sin da subito, ma con una cinetica più lenta (è sbagliato dire che il
glicerolo entra dopo). Man mano che entra cambia l'osmolarità della cellula e l'acqua segue il
glicerolo. La cellula viene poi riportata nel Ringer con osmolarità fisiologica. A questo punto, la
cellula ha osmolarità doppia rispetto alla soluzione. Per questo motivo, nel punto 5, si osserva un
repentino aumento del volume della cellula: l'acqua è entrata nella cellula. Anche se con una
cinetica rallentata, il glicerolo esce comunque dalla cellula, poiché è più concentrato all'interno
della cellula rispetto all'esterno; l’acqua lo segue riportando la cellula al volume normale.
L’andamento del processo è di tipo esponenziale, per cui il parametro migliore per misurarne la
velocità è la costante di tempo (τ); in modo che se l’andamento è di tipo e-t/τ si può dire che,
quando il tempo (T) è uguale a τ, il fenomeno è completo al 63%.
Se il fenomeno non fosse esponenziale il parametro per caratterizzare la costante di tempo sarebbe
un altro.
In questo esempio la cellula ha una forma cilindrica, se la cellula usata avesse avuto una forma sferica, la
costante di tempo sarebbe stata più grande, più piccola o di uguale valore rispetto alla costante della
cellula cilindrica? La costante di tempo dipende dalla geometria della cellula? Se sì, in quale modo?
Il flusso dell’acqua è misurato in numero di moli per unità di superficie per unità di tempo. Quando si vuole
vedere il flusso effettivo che entra dentro la cellula, bisogna tenere conto della superficie effettiva della
cellula: è necessario moltiplicare il flusso (misurato in unità di superficie) per la superficie. La superficie, a
parità di volume, è maggiore se la cellula è cilindrica, minore se la cellula è sferica. Se fosse stata usata una
cellula sferica per l’esperimento, il processo sarebbe stato più lento, perché ci sarebbe stata meno
superficie per lo stesso volume.

N.B.: questo esperimento è stato oggetto di una domanda d’esame!

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TONICITÀ

Per capire la reazione della cellula all’esperimento non basta solo analizzare i dati relativi all'osmolarità, ma
bisogna considerare un altro parametro: la tonicità.
In fisiologia la tonicità indica come una soluzione influenza il volume cellulare: è proprio il caso che è stato
visto con l’esperimento, in cui una stessa differenza di osmolarità causava un differente comportamento
della cellula messa nella soluzione iperosmotica.
• Se una cellula incorpora acqua, aumentando il suo volume, la soluzione esterna è detta ipotonica;
• Se il volume resta uguale la soluzione è isotonica;
• Se l'acqua esce dalla cellula e diminuisce il suo volume la soluzione è ipertonica.

Nel punto 4 dei casi considerati precedentemente, la cellula è sempre posta in una soluzione iperosmotica
rispetto alla cellula, che nel caso a risulta essere isotonica; nel caso b ipertonica; mentre nel caso c
inizialmente ipertonica, ma poi si rivela isotonica.

La tonicità, a differenza dell'osmolarità, non ha un'unità di misura, è solo un termine comparativo che
indica il comportamento della cellula. L'osmolarità, invece, equivale al numero di particelle per unità di
volume e non tiene conto delle caratteristiche di permeabilità della membrana. La tonicità, al contrario,
tiene conto dell'effettiva permeabilità della membrana ai diversi soluti; essa può equivalere o meno
all'osmolarità.

Esempio:
Nella figura, con N si indicano le sostanze non
diffusibili (che non attraversano la membrana),
mentre con D vengono indicate le sostanze
diffusibili, che possono attraversare la
membrana.

a) Si ha una concentrazione di sostanze


non diffusibili dentro la cellula
maggiore di quante ce ne siano
all'esterno. Quindi l'acqua entra per
diluire, affinché le due soluzioni
raggiungano la stessa osmolarità.

b) la soluzione è ipoosmotica rispetto alla


cellula, che contiene una maggiore
concentrazione di sostanze diffusibili.
La soluzione esterna risulta essere
isotonica, non è necessario che l'acqua
si sposti: è il soluto che, seguendo il
suo gradiente di concentrazione, esce
dalla cellula.
È comodo prendere come riferimento la concentrazione dei soluti, per dire che l'acqua va da una regione a
maggiore concentrazione di soluti (maggiore osmolarità) a una regione a minore concentrazione di soluti.
Lo stesso fenomeno può essere visto in riferimento all'acqua, valutando, quindi, la concentrazione del
solvente. L’acqua va da dove essa è più concentrata a dove è meno concentrata, va contro il gradiente dei
soluti, ma secondo il proprio gradiente di concentrazione. Anche i soluti vanno ciascuno secondo il proprio
gradiente.
[n.d.c.: queste sono le parole del prof, ma avrebbe più senso dire che l’acqua si sposta da una regione con
minor concentrazione di soluti ad una regione con maggior concentrazione di soluti]
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Nell’immagine a sinistra, dentro la cellula sono


presenti soluti non diffusibili, nella soluzione ci sono
soluti sia diffusibili che non diffusibili. La cellula è
posta in soluzione e l'osmolarità della soluzione è
uguale all'osmolarità della cellula (ci sono sei unità
di particelle per lato in uno stesso volume).
Inizialmente non succede nulla, perché la cellula e la
soluzione sono isoosmotiche; però le sostanze
diffusibili si possono spostare, infatti entrano
parzialmente dentro la cellula, perché hanno una
maggiore concentrazione in soluzione rispetto
all’interno della cellula. L'acqua deve seguire i soluti
diffusibili per mantenere la stessa osmolarità, quindi
la cellula si gonfia. La soluzione è isoosmotica, ma
ha un effetto ipotonico.

COMPORTAMENTO DEI GLOBULI ROSSI IN SOLUZIONI CON DIVERSA TONICITÀ


Il globulo rosso ha una forma lenticolare quindi, rispetto al volume che racchiude, la superficie è
abbastanza grande. Se si mette
il globulo rosso in una
soluzione ipertonica esso si
raggrinzisce, mentre in una
soluzione ipotonica la cellula si
gonfia. In questo caso il rischio
è che la cellula scoppi,
infatti, mentre la cellula si
gonfia, si creano delle tensioni
sulla membrana. Il volume
tende ad aumentare, ma la
superficie della membrana non
può variare per questo motivo
si verifica la lisi osmotica. Il
globulo rosso, vista la sua forma, ha abbastanza margine per affrontare un ambiente ipotonico, poiché
prima di scoppiare si gonfia. Un altro organello che può reagire in questo modo ad una soluzione ipotonica
è il mitocondrio, che ha una superficie molto frastagliata, per cui possiede buone possibilità di distendere la
propria superficie prima di andare incontro a lisi.

CANALI E TRASPORTATORI DI MEMBRANA


L’acqua può passare attraverso la membrana, ma nella cellula passa prevalentemente attraverso dei canali
specifici chiamati acquaporine. Il vantaggio dal punto di vista dell’organismo è che, se l’acqua passa
attraverso canali, la cellula può modularne il passaggio tramite l’espressione di più o meno acquaporine.

Si parla di diffusione semplice quando la sostanza passa direttamente attraverso il doppio strato
fosfolipidico: nel caso degli ioni, che non possono passarlo direttamente, vengono sfruttati dei canali. Il
canale è una proteina che genera un foro attraverso la membrana, collegando l’ambiente extracellulare con
quello intracellulare. In questo caso il coefficiente di diffusione sarà lo stesso che si avrà nell’ambiente
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acquoso, mentre la permeabilità, dal momento che la sostanza passa per un canale, non dipenderà più
dagli stessi parametri considerati per le sostante passanti attraverso la membrana, ma da parametri
geometrici.
Ci sono anche passaggi secondo gradiente che sono mediati da trasportatori o proteine carrier.

TRASPORTATORI DI MEMBRANA

I trasportatori, detti anche proteine carrier, sono strutture che mediano il passaggio secondo gradiente di
determinate sostanze (ad esempio il glucosio) e sono caratteristici della diffusione facilitata.
Non formano un canale, ma sono aperti o su
un lato o sull’altro della membrana: possono
quindi andare incontro ad una modifica
conformazionale, ma non essere
contemporaneamente aperti su entrambi i
lati.
I carrier vengono usati dalla cellula per
trasportare alcuni tipi di sostanze, ad esempio
il glucosio, dall’ambiente extracellulare a
quello intracellulare o viceversa.
In generale, le proteine canale sono costituite
da subunità proteiche transmembrana
identiche che si organizzano a formare un
poro acquoso.
Il passaggio attraverso i canali è limitato
all’acqua tramite le acquaporine e agli ioni con
i canali ionici.
I canali ionici possono essere specifici per uno
ione, selettivi e quindi consentire il passaggio
solo a determinati tipi di ioni oppure essere
non selettivi, consentendo il passaggio a ioni
simili in dimensioni e carica. La selettività del
canale è determinata dal diametro del poro centrale e dalla distribuzione di carica degli amminoacidi che
rivestono il canale. Il caso del canale selettivo voltaggio-dipendente per il potassio fa sorgere una domanda:
come fa il canale ad essere selettivo per il potassio e non, per esempio, per il sodio (che è più piccolo)?
Questo avviene perché c’è la sfera di solvatazione creata dall’acqua: essa, infatti, si orienta intorno allo
ione in base alla carica dello stesso (la sfera perde d’intensità man mano che si passa da uno strato interno,
a contatto con lo ione, ad uno strato più esterno).
Il canale presenta degli amminoacidi, situati nel poro interno, che hanno una natura ed una disposizione
geometrica tali da esporre nel poro degli atomi di ossigeno che presentano un eccesso di carica negativa,
posizionati con la stessa geometria degli atomi di ossigeno presenti nella sfera di solvatazione. Perciò, dal
punto di vista energetico, il poro e lo ione potassio presentano livelli di energia simili. Infatti, la liberazione
del potassio dalla sfera di solvatazione ha un costo energetico pari a 0.
A differenza del potassio, lo ione sodio dovrebbe prima eliminare la sua sfera di solvatazione (che è diversa
nelle dimensioni e nella distribuzione delle molecole d’acqua) per poi entrare in un canale che presenta una
distribuzione di carica diversa: questo avrebbe un costo energetico alto, per questo motivo il sodio non
passa.
Un’altra osservazione, che ha più a che fare con i batteri che con l’uomo, è che esistono, oltre ai canali
voltaggio-dipendenti o canali che dipendono da un ligando, anche canali che dipendono dalla tensione che
c’è sulla superficie della membrana. Ad esempio, il senso del tatto è mediato da questo tipo di canale. Se si
appoggia la mano su un oggetto che resiste, c’è una differenza di tensione sulle membrane che permette
l’ingresso di determinate molecole/ioni.

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Ci sono dei batteri che hanno questo problema. Si consideri un batterio che vive nel terreno, che ha una
certa composizione interna ed una determinata osmolarità; nel caso in cui iniziasse a piovere, si
formerebbe una pozza di acqua distillata (non contiene molti soluti). A questo punto il batterio si
troverebbe in un ambiente molto ipoosmotico rispetto ad esso, l’acqua inizierebbe ad entrare ed il batterio
a gonfiarsi, fino a scoppiare. Per i batteri che hanno i canali meccano-sensibili (quindi non selettivi) quando
aumenta la tensione sulla membrana a causa dell’ingresso dell’acqua, si aprono i canali. I primi ad aprirsi
sono i canali Small, che sono più sensibili alle variazioni di pressione e permettono l’uscita di piccole
molecole, diminuendo l’osmolarità del batterio. Il batterio non è favorevole alla perdita di queste molecole,
la cui sintesi ha richiesto energia, ma piuttosto che scoppiare se ne libera diminuendo l’osmolarità. Se la
differenza di osmolarità tra il batterio e l’ambiente esterno permane si aprono quindi i canali Large, che
hanno un poro più grande e permettono l’uscita di molecole più grandi. In questo modo si cerca di
compensare il fatto di trovarsi in un ambiente sfavorevole dal punto di vista osmotico.

Tornando ai carrier, essi riescono a legare la molecola da trasportare mentre si trova da uno dei lati della
membrana cellulare. Una volta che si lega il substrato, la proteina transmembrana cambia la sua
conformazione ed espone la molecola sull’altro versante della membrana cellulare, dove viene rilasciata.

CINETICA DEI TRASPORTATORI


Queste proteine possono trasportare un’unica molecola (come il caso del glucosio), anche se alcune
riescono a sfruttare il gradiente di concentrazione per trasportare più sostanze. In questo caso si parla di
cotrasporto, che si distingue in:
• SIMPORTO: nel momento in cui si sfrutta il gradiente di concentrazione per trasportare due
molecole nella stessa direzione;
• ANTIPORTO: quando si sfrutta il gradiente di concentrazione per trasportare due molecole in
direzioni opposte.

Questo non è limitato alle proteine carrier (infatti un altro esempio di cotrasporto è la pompa
sodio/potassio, che, appunto, non è una proteina carrier).
Una considerazione sull’energia: il trasporto per diffusione facilitata avviene secondo gradiente, c’è
bisogno, quindi, di una proteina carrier, ma il substrato viaggia comunque da dove è più concentrato a dove
è meno concentrato, senza spendere energia.

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Quando si dice che non c’è consumo di energia, si intende che non c’è consumo di energia metabolica e che
quindi non c’è splitting di ATP o non viene sfruttata l’energia di un’altra molecola per produrre un lavoro. In
realtà si sta usando dell’energia, ovvero quella precedentemente accumulata creando la differenza di
concentrazione. Infatti, se si trova una molecola (libera di passare) con una diversa concentrazione intra ed
extracellulare, vuol dire che c’è stato un processo che ha creato questa differenza di concentrazione,
sfruttando un’energia che però è stata usata precedentemente.

Un esempio per capire meglio: se prendo un oggetto e lo porto ad una certa altezza, uso la mia energia
muscolare per poter fare questo tipo di lavoro. Nel momento in cui lo faccio cadere, non uso energia perché
cade da solo, ma sfrutto un’energia che è già stata spesa (quella usata per portarlo ad una determinata
altezza) che ora mi consente di svolgere questo lavoro (ovvero la caduta); si parla, infatti, di energia
potenziale di quell’oggetto.

La diffusione facilitata è, quindi, il passaggio di molecole attraverso la membrana cellulare secondo


gradiente di concentrazione mediante le proteine carrier con le loro determinate caratteristiche:
• Mediano la permeabilità;
• Permettono il passaggio di sostanze che altrimenti non potrebbero diffondere transmembrana;
• Permettono un movimento passivo;
• Operano un’alta selettività per le molecole che vi possono passare.

VELOCITÀ DI TRASPORTO

La velocità delle proteine carrier satura. Al contrario della diffusione semplice o della diffusione mediante
canali qui si ha la saturazione. Aumentando la differenza di concentrazione, la velocità di trasporto
aumenta, ma non aumenta linearmente. Infatti, se la differenza di concentrazione diventa troppo elevata,
la velocità raggiunge un valore limite. Ciò è a causa delle proteine carrier: se la sostanza raggiunge una
differenza di concentrazione tale che molte di queste molecole si legano al carrier per essere trasportate, si
raggiunge la saturazione dei trasportatori (sono quindi tutti occupati) e la velocità di trasporto non può più
aumentare. In realtà anche per i canali si può fare un ragionamento simile, ma, a concentrazioni
fisiologiche, il passaggio ionico attraverso i canali non presenta una velocità limite. Quindi in situazioni
fisiologiche, con i canali la velocità mantiene la linearità; invece, con le proteine carrier la velocità limite
viene facilmente raggiunta.

CINETICA

La reazione che descrive il trasporto di substrato (S) dall’ambiente esterno (out = o) a quello interno (in = i)
tramite il trasportatore (C), può essere scritta come una serie di reazioni all’equilibrio, in cui:

Il substrato dissociato dal carrier è in equilibrio con il substrato associato al carrier nella conformazione in
cui il substrato è esposto all’esterno della membrana; il quale, a sua volta, è in equilibrio con il substrato
associato al carrier ed esposto in ambiente intracellulare; questo substrato intracellulare e associato al
carrier è, dal canto suo, in equilibrio con il substrato dissociato dal carrier situato internamente.
Il passaggio dunque da SₒC a SᵢC corrisponde alla transizione conformazionale della proteina carrier durante
il trasporto della sostanza.

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Per ottenere l’equazione che descrive la velocità di diffusione prendiamo come valide le seguenti condizioni
(se non lo sono, varrà una diversa formula per ricavare la velocità; infatti, in ambiente biologico ci sono
moltissime variabili e non sempre è facile raccoglierle tutte in un’unica formula):
1. La costante di dissociazione tra il carrier e il substrato è la stessa ai due lati della membrana. Di
conseguenza, detta Vcs la velocità di passaggio da una conformazione all’altra, Vcs dipenderà dalla
costante (k) e dalla differenza di concentrazione tra CSₒ e CSᵢ.
Dunque, la concentrazione di carrier associato al substrato esterno avrà una certa Km che mi dà un
equilibrio tra quanto carrier è associato al substrato e quanto no.
Qualche volta si può trovare al posto della Km, una costante di associazione; in ogni caso la sua
unità di misura è quella della concentrazione.
2. Internamente alla membrana posso osservare la velocità del passaggio del carrier, libero dal
substrato, dalla faccia interna della membrana alla faccia esterna.
3. In condizione di equilibrio queste due velocità devono avere lo stesso valore, in caso contrario si
avrebbe un accumulo di carrier da un lato o dall’altro della membrana.

Da queste considerazioni si può arrivare alla seguente formula che mi determina la velocità di trasporto
(sulla base della K trovata precedentemente e della concentrazione totale dei carrier [C]T, ossia la quantità
di molecole disponibili in tutte le condizioni analizzate):

Considerazioni:
• È una velocità che determina il valore di una quantità al secondo, non è una velocità lineare. È
come un flusso per certi aspetti. Così com’è posta implica che il flusso lo considero positivo quando
ci si muove dall’ambiente extracellulare all’ambiente intracellulare.
(Se volessi considerare positivo il flusso che determina uno spostamento delle sostanze dall’interno
verso l’esterno, basterebbe invertire di segno le due frazioni in parentesi.)
• Ciò che può variare nella formula sono le concentrazioni dei substrati. Infatti, possono oscillare tra i
valori 0 (al di sotto non si può andare) e 1 (il numero al numeratore è sicuramente più piccolo del
numero al denominatore, se esso però diventa molto grande, la differenza tende a diminuire).
Nella condizione limite il valore della Km diventa, quindi, trascurabile rispetto al valore So, portando

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quindi la frazione al valore 1. In valore di So, quest’espressione è un’iperbole che ha come asintoto
1. Le grandezze si trovano quindi comprese tra 0 e 1.
Per determinare la velocità limite si considera So al valore massimo (=1), che contribuisce alla formula
con segno positivo, e Si al valore minimo (=0), che contribuisce invece con segno negativo.
La velocità massima vale quindi:

Ci si può aspettare che la velocità limite dipenda dalla differenza di concentrazione:


più aumenta, più ci si avvicina al valore limite.

Che succede quando sia So che Si hanno piccoli valori di concentrazione? Vuol dire che siamo lontani dalla
saturazione (bassa concentrazione = carrier disponibili).
I valori di Si e So ai denominatori, essendo molto piccoli, si possono considerare trascurabili rispetto alla Km
(ATTENZIONE: una misura si può considerare trascurabile solo se viene rapportata con altre misure. Se il
valore invece è “da solo”, per quanto possa essere piccolo, non può in alcun caso essere trascurabile). A
questo punto entrambi i valori sono moltiplicati per il solo fattore comune 1/Km, che posso quindi portare
fuori dalla parentesi per ottenere la seguente relazione:

Questa relazione mi dice che quando So e Si hanno concentrazioni basse, il valore della velocità presenta un
andamento lineare che dipende dal rapporto tra la velocità massima e la KM, moltiplicato per la differenza
delle concentrazioni tra So e Si. È da tener presenta che essa è una condizione limite.

DIFFUSIONE FACILITATA E DIFFUSIONE SEMPLICE A CONFRONTO


Ci sono delle caratteristiche che sono comuni tra la diffusione facilitata e la diffusione semplice:
• Le molecole trasportate si muovono secondo il loro gradiente di concentrazione (da dove è
maggiore a dove è minore);
• Il processo non richiede apporto di energia metabolica;
• Il movimento netto si ferma quando la concentrazione della sostanza nella cellula è uguale alla
concentrazione esterna.

TRASPORTO DEL GLUCOSIO


Una cellula nervosa, la cui fonte di energia è il glucosio,
tenderà ad accumularlo per averne sempre a
disposizione. Il glucosio oltrepassa la membrana tramite
una proteina carrier e, quando si trova all’interno, viene
fosforilato, in modo tale che il carrier non diventi saturo.
Ciò avviene per due motivi:
1. Per mantenere la concentrazione esterna del
glucosio maggiore di quella interna e quindi per
favorire l’entrata nella cellula del glucosio (la
concentrazione interna di glucosio libero risulta
sempre prossima allo 0);
2. Perché il glucosio fosforilato non presenta più
affinità per il carrier, quindi, una volta entrato,
non può più uscire.

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Se andiamo a considerare la velocità di trasporto, il valore di Si si riduce a 0 perché non consideriamo il


glucosio fosforilato, perciò si ottiene una formula più semplice:

Si veda quindi la cinetica di Michaelis-Menten.


Si tratta di un’iperbole che da un punto di vista dello studio di funzione presenta sull’asse delle ordinate la
velocità e sull’asse delle ascisse la
concentrazione. Gli asintoti li otteniamo
quando la funzione tende ad infinito e
quindi quando viene raggiunto il valore della
velocità massima.
Nel grafico vengono messe a confronto le
velocità, a pari concentrazione, della
diffusione del glucosio con e senza carrier.
In questa espressione Km indica la
concentrazione di substrato per il quale la
velocità del trasporto è metà di quella
massima.
Infatti, quando So=Km, il valore del rapporto
è ½, per cui il significato di Km è:
• Costante di dissociazione;
• Valore della concentrazione al quale
la velocità di trasporto è uguale alla
metà della velocità massima.

Questa non è una funzione esponenziale come quelle precedentemente incontrate (infatti sull’ascissa non
si trova il tempo, bensì una concentrazione). Si potrebbe però avere una funzione esponenziale in cui come
ascissa non abbiamo il tempo, ma un altro parametro. Se questo andamento fosse stato di tipo
esponenziale, avrei potuto definire, al posto della costante di tempo, una costante di concentrazione. Si
vedrà, parlando delle caratteristiche elettriche della membrana cellulare, che se cambia la differenza
potenziale transmembranale, man mano che ci si allontana dal punto in cui io faccio passare una corrente
per cambiare il voltaggio della membrana, la differenza sarà sempre più piccola e si avrà quindi un
andamento esponenziale, cambierà in base ad una lunghezza e si potrà definire una costante di spazio che
avrà lo stesso significato della costante di tempo: data una nuova variabile per l’asse delle ascisse, si
definisce costante il valore della variabile quando il valore sull’asse delle ascisse raggiunge un valore tale
che la funzione coordinata avrà compiuto il 63% della funzione.
In questo caso non si può applicare in quanto non è un esponenziale, risulta quindi conveniente definire il
valore di Km.

ESEMPI DI DOMANDE DA ESAME

1. Data una certa Km con determinati valori di concentrazione (ad esempio: [So] = 0.8 mM; Km = 0.6),
qual è il valore della velocità del trasporto in percentuale alla velocità massima?

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La formula da usare è:

A quel punto, lasciando come risultato il valore ottenuto dalla formula, l’esercizio è fatto
abbastanza bene, ma non si è risposto alla domanda, in quanto veniva richiesto il valore in
percentuale rispetto alla velocità massima. È necessario, quindi, trasformare il risultato ottenuto in
percentuale.

2. Grafico con le due curve con andamenti diversi:

Km1 < Km2. Potendo leggere il valore di Km come


quel valore di concentrazione in cui la velocità
è pari al 50% della velocità massima, si riesce a
capire che ad un Km piccolo corrisponde, ad
una bassa concentrazione di substrato, una
velocità elevata. La velocità del trasporto del
glucosio per le cellule con Km minore è
maggiore della velocità di trasporto del
glucosio delle cellule con Km maggiore.
Delle due curve una rappresenta le cellule
nervose, l’altra le cellule del pancreas. Quale
curva è quella relativa alle cellule nervose (e di
conseguenza qual è quella relativa alle cellule
del pancreas)?
(Una curva è vicina alla velocità saturante, l’altra no. Ciò però non è di interesse per la risoluzione
del quesito).
La linea verde (quella corrispondente alla Km minore) è quella appartenente alle cellule nervose.
A seconda del livello glicemico e della funzione della cellula si avranno diverse capacità di
introdurre il glucosio all’interno della cellula stessa.

Uno dei libri che possiamo prendere è “Fisiologia fondamenti”, in cui ci ha trovato degli errori.
Nel riquadro di spiegazione c’è un errore nella definizione di Osmolarità e confusione su tonicità ed
osmolarità. Nel libro si considera isotonica una soluzione in cui l’osmolarità è pari a quella fisiologica del
preparato, ipotonica una in cui è inferiore ed ipertonica una nella quale è superiore. Ovviamente non è così,
perché le due cose sono disgiunte.

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Fisiologia - Lezione n° 04
11/10/2019

Data: 11/10/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Reconditi Massimo
File audio di riferimento: FISIOLOGIA-11-10-2019
Durata file audio: 01:25:51
Controllore: Angelo Tigano
Coppia: Maccioni Giacomo - Pieraccini

POTENZIALE ELETTROCHIMICO

Abbiamo visto nelle lezioni precedenti come le sostanze possono spostarsi e attraversare la membrana
cellulare guidate dal gradiente di concentrazione. Si è capito, inoltre, per quale motivo il moto casuale delle
particelle di soluto crea un flusso (di soluto) in una certa direzione, per cui sembra che ci sia effettivamente
una forza che lo sposta, ma in realtà si tratta di una forza apparente perché la singola particella di soluto non
sa da che parte andare. Può trovarsi in una regione a maggior concentrazione di soluto e quindi spostarsi in
una regione a minor concentrazione, ma la singola particella può anche andare nel verso opposto, ovvero
dalla regione in cui il soluto è meno concentrato alla regione in cui è più concentrato, quindi contro il flusso
netto. Mediamente le particelle che si trovano nella regione a maggior concentrazione vanno verso quella a
minor concentrazione e non viceversa, è quello che abbiamo chiamato fenomeno della diffusione.

In questa lezione vedremo cosa succede quando oltre alla diffusione si ha anche un movimento guidato da
una forza che invece è monodirezionale, ovvero una forza che spinge ioni e molecole solo in una direzione.
Questa forza è la forza elettrica.

Prima di proseguire il professore fa un ripasso di Fisica relativo alla differenza tra Forza, Energia ed Energia
potenziale (che viene anche solo chiamata potenziale).

CAMPO ELETTRICO

Prendiamo il caso del campo elettrico: cos’è il campo elettrico? Il campo elettrico è una proprietà dello spazio.
Si dice che una regione dello spazio ha un certo campo elettrico quando, prendendo una carica unitaria (q0),
questa carica sente una forza pari a q*E. In altre parole se una carica è soggetta ad una forza di tipo elettrico
in una certa regione dello spazio, si dice che in quello spazio c’è un campo elettrico che è uguale alla forza (F)
che la carica sente diviso la carica (q0). Quindi sarebbe l’effetto che questo campo fa su una carica unitaria,
che è direttamente proporzionale al valore del campo. Quindi se la carica raddoppia, la forza raddoppia e
così via.
Quindi ci riferiamo alla carica unitaria.

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Fisiologia - Lezione n° 04
11/10/2019

ENERGIA POTENZIALE

Consideriamo invece l’energia potenziale. Se noi abbiamo una forza che sposta un oggetto da un punto A ad
un punto B, si compie un certo lavoro (che è dato da forza per spostamento, L= F*S*cos(alfa)). Quindi se si
trova che il lavoro di una certa forza, per spostare un oggetto da un punto A ad un punto B, è indipendente
dal cammino che segue l’oggetto, allora questa forza si dice conservativa (come per esempio la forza
elettrica). Quindi se una forza conservativa non dipende dal cammino ma solo dal punto di partenza e da
quello di arrivo, si può pensare che il lavoro compiuto dalla forza dipenda da una grandezza che è nello spazio
e che si chiama energia (associata a quella forza).

Se la forza in questione è la forza elettrica allora parleremo di energia elettrica. Cioè la mia particella ha in
un punto A dello spazio un’energia che è EA e nel punto B un’energia che è EB; il lavoro fatto da questa forza
è la differenza di energia tra i due punti. Però sarebbe comodo associare questa energia non alla proprietà
che coinvolge una particella ma ad una proprietà dello spazio. Così nasce il concetto di potenziale elettrico.

POTENZIALE ELETTRICO
Il potenziale elettrico, analogamente a quello che è il campo elettrico per la forza elettrica, è l’energia
potenziale che una particella di carica unitaria avrebbe in una determinata regione dello spazio. Quindi
quando noi diciamo che abbiamo una certa differenza di potenziale attraverso due regioni dello spazio, vuol
dire che una particella con una certa carica messa nella regione 1 o nella regione 2 ha una energia pari alla
sua carica moltiplicata per il potenziale elettrico. Quindi il potenziale elettrico è un’energia potenziale riferita
all’unità di carica. Nel Sistema Internazionale l’unità di misura della carica è il Coulomb, per cui noi diciamo
che il Volt (unità di misura del potenziale elettrico) è Joule (Unità di misura dell’energia) diviso Coloumb.
Quindi quando trovo una carica (q) che ha un certo valore Coloumb, la moltiplico per il potenziale elettrico
(V, espresso in Volt) e trovo la sua energia potenziale elettrica (U).

POTENZIALE CHIMICO
Ora, il movimento di una sostanza, da una regione a maggior concentrazione, ad una a minor concentrazione,
non è un movimento che effettivamente ciascuna singola particella subisce, perché una singola particella può
andare in una direzione o nell’altra. Però se noi prendiamo il grande numero di particelle allora possiamo
dire con certezza che abbiamo un flusso, cioè una forza che sposta le particelle in maniera netta da una
regione maggiore concentrazione ad una regione a minore concentrazione.

In questo caso possiamo introdurre il concetto di potenziale chimico, definendolo come quel potenziale che
applicato all’unità di qualcosa, effettivamente agisce come un’energia potenziale: è come se l’insieme di
particelle fosse soggetto ad una forza che le sposta da una zona ad energia più alta ad una zona ad energia
più bassa. Ma quando ho una forza (o un’energia) che non agisce soltanto su una particella ma su un insieme
abbastanza grande di particelle, l’unità di misura di base deve essere un numero grande di particelle, ovvero
la mole (Il numero di Avogadro infatti è 6,022 X 10^23 particelle).

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Quindi, come per l’energia elettrica abbiamo associato un potenziale elettrico da cui si può ricavare l’energia
potenziale di una certa carica moltiplicando appunto la carica per il potenziale, analogamente si può definire
un potenziale chimico, il quale si riferisce ad una mole di sostanza. In questo caso l’energia totale che agisce
su una quantità di sostanza (eventualmente anche diversa da 1 mole) è il potenziale chimico moltiplicato per
il numero di moli di sostanza a cui ci si riferisce, che tuttavia non potrà mai essere un valore piccolo. Infatti,
mentre nel caso del campo elettrico, il quale agisce sempre sulla carica (benché questa sia molto piccola)
spostandola in una direzione ben definita in base al vettore campo elettrico e in base alla natura positiva e
negativa della carica stessa, nel caso della diffusione se questo numero unitario che prendo (ovvero 1 mole
di particelle) si riduce fino ad arrivare a pochissime particelle, non si può più affermare che il gradiente
chimico sposta tutte queste pochissime particelle da dove c’è maggiore concentrazione a dove ce ne è di
meno. Questo perché si verifica un movimento casuale. Quando il numero è grande invece si può affermare
(e grande non vuol dire che deve essere per forza una mole, può essere anche una millimole o una
micromole).

POTENZIALE ELETTROCHIMICO
Il problema che ci poniamo adesso è: quali forze agiscono su un composto chimico in una situazione in cui
non c’è solo un gradiente di concentrazione ma c’è anche un campo elettrico?
Su una mole di composto chimico si può pensare quindi che agisca una forza conservativa dovuta al gradiente
di potenziale detto potenziale elettrochimico μ (mu).
Il potenziale elettrochimico può essere definito come il lavoro che si deve compiere a temperatura e
pressione costanti per portare una mole di composto da una distanza infinita (in cui appunto il potenziale è
uguale a 0) fino all’interno di una fase con composizione chimica costante e con un certo potenziale elettrico.
In questo lavoro si possono distinguere una parte chimica, dovuta al gradiente di concentrazione, e una parte
elettrica che agisce solo se il composto (o ione) è carico. Questa è la formula del potenziale elettrochimico:

• μ0 è una parte costante, perché quando parliamo di una energia potenziale c’è sempre una parte
costante perché quello che noi effettivamente osserviamo è la differenza di energia, non l’energia in
assoluto che una sostanza ha.

[Esempio: Considerando l’energia gravitazionale che lega un satellite intorno alla Terra, l’Energia potenziale
gravitazionale è abbastanza normale definirla al valore 0 quando la distanza del satellite dalla Terra è infinita.
Se però io volessi calcolare la differenza di energia gravitazionale che ha un piccolo oggetto, non direi più che
la sua energia è 0 all’infinito. Prendendo come sistema di riferimento un tavolo posso però dire che a livello
del tavolo ha energia potenziale pari a 0 e che quando lo alzo rispetto al tavolo la sua energia potenziale
aumenta, quando lo abbasso diminuisce. Quindi l’energia potenziale e il potenziale sono sempre definiti a
meno di una certa costante, quello che conta è la loro differenza].

La costante μ0 può variare se si passa da un ambiente acquoso ad un ambiente lipidico.

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• X è la frazione molare, ovvero il rapporto tra le moli di una data sostanza e le moli totali presenti
nella soluzione;
• R è la costante dei gas, che equivale al Numero di Avogadro per la costante di Boltzmann. La presenza
di R ci fa capire subito che l’unità di misura a cui ci si riferisce è 1 mole, perché appunto R = N*Kb;

• Z invece rappresenta la valenza del composto, ovvero se ho uno ione di carica positiva +1, la valenza
è 1. Per uno ione con carica negativa come il Cl, la valenza è -1. Se ho uno ione come il Calcio che si
presenta come ione Ca 2+, la valenza sarà +2;

• F è la costante di Faraday; è la carica totale di una mole di cariche elementari (96485, che per scopi
pratici si può anche approssimare a 96500)
Questo valore di 96485 C/mole lo troviamo moltiplicando la carica elementare dell’elettrone (presa
però positiva) per il Numero di Avogadro (quindi 1,6 X 10^-19 C * 6,022 X 10^23).

(Il professore puntualizza che all’esame gli si possono chiedere i valori delle costanti se non ce le
ricordiamo).

POTENZIALE ELETTROCHIMICO DI UNA SOLUZIONE DILUITA


Cosa succede nel caso che la soluzione sia diluita? Nel caso di una soluzione diluita si possono fare alcune
approssimazioni e fare apparire al posto della frazione molare la concentrazione molare, ovvero quante moli
di composto abbiamo in un litro di soluzione.

Se la soluzione è diluita ed immaginiamo di avere soltanto un composto e l’acqua (ovvero il solvente), dato
che la frazione molare per definizione è il numero di moli del soluto diviso il numero di moli totali (composte
dalle moli di acqua e moli di soluto nel nostro caso), e considerando che in una soluzione molto diluita il
numero di moli del soluto è molto minore rispetto al numero totale di moli della soluzione, posso considerare
che il numero di moli totali sia dato solo dal numero di moli di acqua (nw). Quindi la frazione molare di una
soluzione molto diluita è data solo da n (numero di moli del soluto) diviso nw (moli dell’acqua).

So anche che la concentrazione molare è data dal numero di moli diviso il volume, ma se il composto è diluito
allora il volume è composto principalmente dall’acqua. È quindi possibile approssimare il volume totale come
il volume di una mole di acqua per il numero di moli di acqua che ci sono. Con nw indico il numero di moli di
acqua, con Vw indico il volume molare dell’acqua. Quindi in una soluzione diluita X (la frazione molare) è
approssimativamente uguale a n/ nw.

Quindi la concentrazione, nelle soluzioni diluite è approssimativamente uguale alla frazione molare diviso il
volume molare dell’acqua, da cui si ricava (formula inversa) che la frazione molare è uguale alla
concentrazione moltiplicata per il volume molare dell’acqua.

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Quando arrivo a sostituire la frazione molare in questo logaritmo in base e, il logaritmo di un prodotto è
uguale alla somma dei logaritmi, quindi il logaritmo di x è uguale al logaritmo di questo fattore per il logaritmo
di quest’altro fattore (RT è una costante che li moltiplica entrambi).

Però il volume molare dell’acqua è una costante e quindi può essere a scopi pratici rincorporato nella
costante μ0.

Quindi per soluzioni diluite l’espressione del potenziale elettrochimico diventa:

Dove, al posto della frazione molare ho sostituito la concentrazione molare.

La porzione zFV è la parte elettrica, quella del potenziale, mentre la parte RTln[c] è apparentemente meno
comprensibile, però alla fine della lezione noteremo come il potenziale elettrochimico dipenda dalla
concentrazione della sostanza di cui sto appunto calcolando il potenziale; è una diretta conseguenza della
legge di Fick. Siccome noi abbiamo dimostrato come viene fuori la legge di Fick in base al random walk,
abbiamo anche dimostrato (seppur non accorgendocene) che il movimento casuale di una sostanza che
genera la legge di Fick nella forma che abbiamo visto, alla fine ha come logica conseguenza che il potenziale
della parte di concentrazione è proprio RTln[c].

EQUAZIONE DI NERNST
Quale è il lavoro che occorre fare, quindi l’energia, per portare una mole di composto da una fase 1 ad una
fase 2 dello stesso solvente? Questo lavoro è dato dalla differenza dei potenziali elettrochimici che abbiamo
nelle due fasi. Quindi ricordandosi che la differenza di due logaritmi è uguale al logaritmo del rapporto,
abbiamo che la differenza tra i due potenziali elettrochimici è uguale a R*T per il logaritmo del rapporto delle
concentrazioni + zF che moltiplica la differenza del potenziale:

Se le regioni 1 e 2 sono all’equilibrio, i due potenziali devono essere uguali, perché se sono all’equilibrio vuol
dire che non serve energia per portare un composto (o una sostanza) da una regione 1 ad una regione 2
(hanno la stessa energia). Quindi all’equilibrio μ1- μ2 fa zero, ottenendo, riarrangiando l’equazione, che:

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Questa equazione così ottenuta rappresenta l’equazione di Nernst.

Riarrangiando ancora un po’ questa espressione, all’equilibrio il rapporto di concentrazione è uguale a:

In questa formula è possibile riconoscere la distribuzione di Boltzmann, la quale afferma che se ho delle
sostanze che possono coesistere in stati energetici diversi, allora il rapporto del numero di sostanze che si
trovano in una popolazione con una certa energia, rispetto al numero di sostanze che si trova con una diversa
energia è uguale all’esponente di meno la differenza di energia tra i due stati diviso Kb*T:

Questo dice praticamente che le particelle che coesistono in diversi stati energetici, popolano di più lo stato
ad energia più bassa rispetto a quello ad energia più alta.

Nella formula zF (V1-V2) è proprio l’energia elettrica di una mole di sostanza. Considerando poi che R è NA
(numero di Avogadro)*Kb allora RT nella formula diventa NA*Kb*T, ovvero il Kb*T moltiplicato per una mole
di sostanza. Quindi questa è la distribuzione di Boltzmann, la quale mi dice che all’equilibrio le particelle si
distribuiscono in un certo modo, un modo che è descritto dall’equazione qui sopra. In parole povere ci dice
che all’equilibrio è più facile trovare particelle in uno stato energetico più basso rispetto ad uno stato
energetico più alto.

FORZA CHE AGISCE SU UN COMPOSTO CHIMICO LUNGO UNA DIREZIONE X


Abbiamo detto quindi che esiste questo potenziale elettrochimico, però quindi vuol dire che ci sarà anche
una forza che agisce sul composto, che sarà uguale a meno il gradiente del potenziale:

È sempre sottinteso che la Forza F agisce su una mole di composto chimico (o ione) lungo una direzione x
ed è data appunto da meno il gradiente del potenziale. Se uno risolvesse la derivata troverebbe questa
espressione: (Il professore precisa che queste dimostrazioni non faranno parte dell’esame, ma che servono
solo per capire come arriviamo alle formule).

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Per dimostrarla si svolge la derivata del logaritmo della concentrazione, che in generale varia lungo la
direzione x (se ho un gradiente di concentrazione è ovvio che debba variare). Quindi la concentrazione varia
con x. Se faccio questa derivata rispetto ad x, allora questa è la derivata di una funzione (logaritmo) di un’altra
funzione, ovvero di C (concentrazione) rispetto ad x. Quindi si risolve facendo prima la derivata del logaritmo
rispetto al suo argomento, la quale mi dà 1/[C], che va moltiplicato per d[C]/dx (ovvero la derivata
dell’argomento rispetto alla variabile da cui dipende). Notiamo che mentre la funzione logaritmo di [C] ce
l’ho, la funzione [C]x rimane come derivata nella formula perché fa parte del problema che dovremmo
risolvere (è quello che stiamo cercando). Cioè, data una certa distribuzione di concentrazione lungo x, Fx è la
forza che agisce su questo composto.

(Quando per esempio troverò un problema che mi chiede come agisce questa Forza Fx su una distribuzione di
concentrazione, userò questa derivata se la conosco. Lo stesso ragionamento vale per il campo elettrico (che
è appunto -dV/dx). Applicheremo quindi questa formula nel passaggio di sostanze attraverso la membrana
cellulare, facendo ipotesi su come varia il campo elettrico e cercando di trovare una soluzione).

Quindi Fx è la somma delle forze dovute al gradiente di concentrazione e del gradiente elettrico (gradiente
elettrochimico). Ovviamente se uso il potenziale, quella formula si riferisce ad 1 mole di composto. Se invece
di una mole avessi due moli la Forza Fx allora diventerebbe il doppio, se avessi una millimole allora sarebbe
mille volte più piccola e così via.

[Il prof dice che una volta all’esame ha presentato questo quesito: data una certa concentrazione in due
regioni C1 e C2, e una certa differenza di potenziale tra le due regioni, trovare il valore di energia che serve
per trasportare una millimole di sostanza dal compartimento interno al compartimento esterno della cellula.
Quindi per risolvere è possibile usare la formula della Fx ricordandosi però che alla fine il risultato che trovo lo
devo dividere per mille, perché appunto la sostanza in questione è una millimole e non una mole].

FLUSSO
Vediamo adesso come dal potenziale elettrochimico sia possibile trovare l’espressione per il flusso (J), cioè il
numero di moli che passa attraverso l’unità di superficie nell’unità di tempo guidata dalla differenza del
gradiente elettrochimico. Per fare questo immaginiamoci sempre un caso monodimensionale, ma non
perché la realtà sia monodimensionale, bensì perché è il caso più semplice da trattare per capire il concetto.
Sebbene lo spazio sia tridimensionale, posso pensare comunque ad un moto monodimensionale che avviene
lungo una sola direzione. Chiaramente non è il caso di una cellula (la quale per esempio può essere sferica o
cilindrica e quindi subire un flusso proveniente da molte direzioni). Tuttavia io posso considerare una piccola
porzione della cellula in cui il flusso è monodimensionale (va in una direzione ben precisa) e dopo,
eventualmente, fare l’integrare per considerare il flusso nella totalità della superficie cellulare.

Allora immaginiamo di prendere questo flusso


monodimensionale e di metterci idealmente
un cilindro con una certa superficie S ed una
certa altezza X. Immaginando un flusso
costante (stazionario) in cui tutte le particelle
si muovono con la stessa velocità V (e questa
non è una rappresentazione realistica, ma
serve solo per capire le proprietà di questo
flusso), dopo quanto tempo tutte le particelle
contenute in questo cilindro avranno
attraversato la superficie S? Lo avranno
attraversato dopo un tempo t uguale a x/v. Se io riuscissi a trovare il numero di moli contenute in questo
cilindro, potrei dire che questo numero di moli è quello che nel tempo t ha attraversato la superficie S. Il

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volume del cilindro è facile da trovare, basta fare Area di base (S) per altezza, mentre il numero di moli sarà
proprio dato dal prodotto di questo volume per la concentrazione. Il volume è area di base per altezza,
quest’ultima è X, però se la sostanza viaggia a velocità costante questo volume è completamente svuotato in
un certo tempo t.
Quindi Concentrazione*S*V*t = numero di moli:

Quindi se S è 1, e t è 1, il numero di moli che attraversa la superficie 1 nel tempo 1 è proprio il Flusso (J), che
appunto avevamo definito come il numero di moli che attraversa l’unità di superficie nell’unità di tempo.

FLUSSO NELLO STATO STAZIONARIO ED EQUAZIONE DI NERNST-PLANCK

Per lo stato stazionario si può dimostrare anche che la velocità è proporzionale alla forza che sta spingendo
le particelle. Se sono in uno stato stazionario l’accelerazione è zero, perché la velocità è costante. Ma se
l’accelerazione è zero, vuol dire che la somma di tutte le forze che agiscono su quel composto è uguale a
zero. Però io so che sul composto agisce sicuramente la forza viscosa (F= -γV), quindi se voglio mantenere lo
stato stazionario ci deve essere una forza pari e opposta a -γV, e questa forza sarà appunto +γV, dove γ
(gamma) è il coefficiente di resistenza viscosa. Però avevamo anche visto nella prima lezione che γ è legato
al coefficiente di diffusione dalla relazione di Einstein-Smoluchowski → γ= Kb*T/D.
Se vogliamo fare la formula inversa viene che 1/ γ = D/Kb*T.

Se F= γ*V, allora V= F/ γ. Quindi se 1/ γ = D/Kb*T, sostituendo ottengo che V= F*D/Kb*T.

Il γ nella relazione di Einstein-Smoluchowski si riferiva alla singola particella, ma ora sto considerando una
mole di particelle, quindi lo devo moltiplicare per il numero di Avogadro. Quindi nella relazione precedente
1/γ sarebbe 1/ γ*NA. Quindi V= F*D/Kb*NA*T. Visto che R= Kb*NA allora nella formula della velocità posso
mettere R, diventando così V= F*D/R*T.

Quindi se il flusso J è dato dalla concentrazione [C] per la Velocità V, allora possiamo scrivere che:

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Se la forza che spinge la sostanza è dovuta ad un gradiente di potenziale elettrochimico, la forza F nella
formula qui sopra, come abbiamo visto prima, si può ottenere facendo la derivata (col segno meno) del
potenziale elettrochimico, ottenendo quella che si chiama Equazione di Nernst-Planck.

In questa equazione di Nernst-Planck c’è anche una vecchia conoscenza. Infatti se l’oggetto che è spostato
da questa forza è neutro (quindi non ha carica), o se non c’è campo elettrico, l’equazione di Nernst-Planck
si riduce all’equazione di Fick. Sia che z sia 0, si che V sia zero perché non c’è un campo elettrico, allora la
parte destra della formula diventa zero.

Così la formula rimane → Flusso J = -D*d[C]/dx dove d[C]/dx è il gradiente di concentrazione:

Quindi l’equazione di Fick è contenuta nell’equazione di Nernst Planck.

INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DI NERNST-


PLANCK ATTRAVERSO LA MEMBRANA
Il prossimo passo è andare ad integrare l’equazione di Nernst
Planck attraverso la membrana cellulare. La domanda che devo
farmi è: “Qual è il flusso attraverso la membrana cellulare che abbia
dal lato extracellulare (o comunque da un lato), un potenziale
elettrico V1, dall’altro lato un potenziale elettrico V2 e abbia al
solito la concentrazione del soluto pari a 1S sul lato 1 della
soluzione, 1M sul lato 1 della membrana e così via?” La soluzione,
integrando questa relazione, mi dà come risultato che il flusso J è uguale a: (evidenziato)

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Dove:

• P è la permeabilità, la quale, se la sostanza permea direttamente la membrana è esattamente


espressa come coefficiente di ripartizione moltiplicato per il coefficiente di diffusione. Se invece
come nel caso di Ioni (o sostanze cariche) queste devono permeare attraverso canali ionici la
permeabilità dipende dalle caratteristiche geometriche dei canali, da quanti canali ci sono, quanto è
la selettività ecc.;
• Z è la valenza;
• F è la costante di Faraday;
• V2- V1 è la differenza di potenziale elettrico;
• A invece serve per semplificare l’espressione ed ha valore:

[Il professore ammette che è una equazione molto complicata e che non va ricordata a mente, ma che verrà
sfruttata per vedere come si arriva all’equazione di Goldman che permette di definire il potenziale
transmembranario in presenza di differenti specie ioniche nella soluzione].

Se uno volesse potrebbe ritrovare di nuovo qua dentro l’equazione di Fick integrata, ovvero P*([C1]s- [C2]s).

Come l’equazione di Fick è contenuta nell’equazione di Nernst-Planck, così la sua integrazione è contenuta
nell’integrazione dell’equazione di Nernst-Planck.

POTENZIALE ELETTRICO TRANSMEMBRANALE


Adesso vediamo cosa succede proprio in una cellula, passiamo alla misura di potenziali elettrici
transmembranali. Attraverso una membrana cellulare esiste una differenza di potenziale e quindi c’è un
campo elettrico, come si fa a misurare questa differenza? Innanzitutto tutte le membrane cellulari
presentano una differenza di potenziale dell’ordine di grandezza di qualche decina di millivolt e tutte hanno
un potenziale elettrico interno che è negativo rispetto all’esterno. Prendiamo l’esterno come riferimento
dicendo che il potenziale è 0 e vogliamo vedere il potenziale interno alla cellula. Questo si fa grazie ai
microelettrodi e anche grazie al fatto che è stato trovato un “preparato adatto”, che è l’assone gigante di
calamaro. Abbiamo un voltmetro, strumento in grado di misurare la differenza di potenziale e 2 elettrodi.
Uno dei due elettrodi (non c’è bisogno che sia un microelettrodo) basta che sia in continuità con la porzione
extracellulare, l’altro (con diametro 0,5/1 micron) è il microelettrodo inserito dolcemente attraverso la
membrana cellulare, in modo che e la cellula rimanga viva.

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Quando viene misurata la variazione della differenza di potenziale attraverso il voltmetro via via che
l’elettrodo penetra dentro la membrana cellulare, si vede che durante il periodo di penetrazione della
membrana si ha una caduta di potenziale. Dopodiché, una volta che l’elettrodo è entrato in continuità con
l’interno della cellula, il potenziale si è ristabilizzato (potenziale di riposo). Questo vuol dire che, nella
soluzione elettrolitica, una distribuzione di cariche che porterebbe alla nascita di campi elettrici all’interno
della soluzione viene rapidamente ridistribuita perché il campo elettrico deve essere riazzerato; persiste
invece la differenza di potenziale attraverso la membrana che impedisce il movimento delle cariche. Tutte le
cellule hanno questa differenza di potenziale, secondo i tipi cellulari essa può subire variazioni piccole o forti
(come il potenziale d’azione), che sono funzionali allo scopo che ha la cellula. Nel caso della cellula nervosa,
c’è la trasmissione del segnale nervoso, nel caso della cellula muscolare il potenziale d’azione ha come effetto
finale quello di rilasciare calcio dal reticolo sarcoplasmatico, attivando la contrazione.

Tipo cellulare Potenziale di riposo


Muscolo scheletrico −95mV
Muscolo liscio −60mV
Neurone −70mV
Cellule dei fotorecettori −40mV
Eritrociti −8mV

Questo potenziale di riposo ha comunque delle variabilità. Nel caso particolare dell’eritrocita la sua
membrana si comporta da condensatore elettrico con accumulo di cariche negative sulla superficie
(relativamente poche poiché la differenza di potenziale è bassa), per evitare l’aggregazione [il professore non
lo definisce un aspetto funzionale del potenziale di membrana].

Come si costruisce il microelettrodo? Si prende una bacchettina di vetro abbastanza fine (dell’ordine di pochi
mm di diametro), si lega a dei morsetti che la stringono e poi ci si fa passare una resistenza elettrica attorno.
Per effetto Joule, abbiamo un riscaldamento e il vetro diventa malleabile. A quel punto si allontanano i
morsetti, si tira la bacchetta e si crea una strozzatura che, (continuando a tirare), andrà a formare la parte di
vetro della micropipetta. Il tubicino di partenza deve essere cavo e mantenuto tale. Poi questa pipetta viene
riempita di una soluzione salina molto concentrata (es 3 M KCl), perché deve diventare un buon conduttore.
Ci viene poi messo un tappo e un filo di metallo con una parte (di solito di platino) in contatto con la soluzione
salina.

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[Il professore chiarisce l’importanza di conoscere gli strumenti usati per le misurazioni, facendo un esempio
in campo medico, dove le misurazioni fatte assumono un valore diagnostico e l’errore di misurazione diventa
allora fondamentale]

RESISTENZA INTERNA

Qui è schematizzato il sistema con l’amplificatore di segnale che poi diventa un voltmetro. Abbiamo
l’elettrodo che sta a contatto con la soluzione extracellulare. Quando la micropipetta è penetrata nella
membrana, si crea un circuito di cui fanno parte lo strumento di misura e la cellula. Chi è la forza
elettromotrice che genera la corrente? È la differenza di potenziale transmembranaria. Quindi abbiamo un
flusso di corrente che attraversa la cellula.
La cellula è rappresentata come un generatore di potenziale e con una resistenza attraverso cui la corrente
passa (resistenza di membrana, Rm). C’è poi la resistenza interna dello strumento, il voltmetro che infine
misura la differenza di potenziale, misurando la corrente (V=IR).

La membrana presenta sempre la sua resistenza di membrana Rm= 107 ohm, ma lo strumento ha in un caso
una resistenza interna Ri=107 ohm e in un altro caso una resistenza Ri=1012 ohm.
La corrente che circola in questi strumenti è uguale a Vm/R (con R resistenza totale). In questo caso le
resistenze sono in serie, e quindi vanno sommate (Resistenza totale= Rm+Ri).

I = V0/Ri = Vm/(Rm+Ri) → V0 =Vm·Ri/(Rm+Ri)

[V0 è la differenza di potenziale fra i 2 capi dello strumento e la corrente che passa attraverso quel ramo è la
stessa che passa attraverso tutto il circuito]

Se si usa lo strumento con Ri =107 ohm, allora V0 è la metà di Vm mentre se si usa quello con Ri =1012 ohm
allora Rm risulta trascurabile e si ha V0 = Vm. Nel secondo caso si misura quindi una differenza di potenziale
molto vicina alla differenza di potenziale di membrana che voglio misurare.

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Registrazione intra- ed extracellulare

Nel passato sono state fatte misurazioni con elettrodi extracellulari e l’ambiente extracellulare è
equipotenziale, quindi non si dovrebbe osservare una differenza di potenziale, però se un elettrodo viene
posto effettivamente molto vicino alla superficie della cellula allora si possono comunque registrare le
variazioni di potenziale della cellula (registrazione extracellulare).

Al giorno d’oggi in certi casi viene tuttora usata la registrazione extracellulare del potenziale di membrana
sia per scopi clinici che di ricerca, per esempio se voglio registrare il potenziale complessivo che attraversa
un nervo, perché il nervo è fatto da tante fibre con caratteristiche diverse.

Le misurazioni intracellulari sono state fatte sull’assone gigante di calamaro, che a differenza dell’assone di
mammiferi (diametro di pochi micron), ha diametro fra 500 e 1000 micron ed è lungo circa 7-8 cm. Ogni
calamaro ne ha 2 per controllare il sistema di fuga. Infatti l’assone è gigante perché il segnale essendo di fuga
deve essere trasmesso velocemente. Questo assone può sopravvivere per 1-2 giorni in soluzione fisiologica.

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[Il professore preannuncia


l’importante correlazione fra diametro
di assoni e velocità di trasmissione del
segnale, nonostante i mammiferi
abbiano avuto altri adattamenti per
massimizzare questa velocità].

Il calamaro vive in ambiente marino e


ci si aspetta che, per motivi osmotici, il
suo liquido extracellulare abbia una
concentrazione salina vicina alla
composizione dell’acqua di mare.
Infatti, la concentrazione di cationi e
anioni è diversa nei fluidi intra ed
extracellulari, con concentrazione di
K+ maggiore all’interno della cellula
mentre quelle di Na+ e Cl- maggiore
all’esterno della cellula (nel sangue).

[Il professore puntualizza che i


valori delle varie concentrazioni
sono ovviamente variabili e
pertanto possono non coincidere in
testi diversi.]

Nel caso del nervo di granchio le


concentrazioni sono simili a quelle
del nervo di calamaro infatti
entrambi vivono in ambiente marino.
Nel muscolo di rana, cambiano le
concentrazioni esterne (meno
elevate poiché vive in ambiente
diverso) ma si ha sempre Na+ e Cl-
più concentrati all’esterno e K+ più
concentrato all’interno della cellula.
Il rapporto interno/esterno del K+ è il
più conservato, con valore attorno a
1/10.

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EQUILIBRIO ELETTROCHIMICO
Questi ioni, come si può osservare nelle varie specie, sono soggetti a spinte diverse. Per gradiente di
concentrazione, Na+ deve entrare e K+ uscire. Se c’è un campo elettrico che punta verso l’interno, Na+ è
spinto da questo campo a entrare, ma anche K+ è spinto a entrare essendo un catione. Il sodio quindi è spinto
a entrare sia dal gradiente di concentrazione che dal campo elettrico, K+ invece per gradiente tende a uscire
e per il campo ad entrare. Quindi il flusso di K+ è basso, mediamente è vicino all’equilibrio mentre Na+ è
molto lontano dall’equilibrio e rimane comunque più concentrato fuori dalla cellula per vari motivi, fra cui il
fatto che la membrana è meno permeabile a Na+ che a K+.

Il fatto che la membrana sia più permeabile a uno ione vuol dire che se questo ione permea la membrana
con facilità ci si aspetta che la differenza di potenziale transmembranale sia abbastanza vicina al potenziale
di equilibrio relativo a quella data concentrazione.

Come nasce l’equilibrio elettrochimico?

Prendiamo 2 celle separate da una membrana


permeabile a K+ ma non a Cl- e mettiamo
inizialmente una stessa soluzione salina, con
stessa concentrazione di KCl nella cella 1 e nella
cella 2 (compartimenti I e II). C’è un voltmetro
come strumento di misura per vedere la
differenza di potenziale fra le due celle.
All’inizio il sale si dissocia, K+ può passare dalla
membrana e Cl- no ma siccome la
concentrazione salina è uguale nei 2
compartimenti, il flusso di K+ dalle due celle è in
equilibrio.
Ora mettiamo invece una maggiore
concentrazione salina nel compartimento I,
allora K+ per gradiente di concentrazione passa
dal compartimento I al II e così facendo porta
all’accumulo di cariche positive nella cella II (con
rispettivo accumulo di Cl- spaiato sul lato I). Si
instaura quindi un campo elettrico e una
differenza di potenziale, con direzione del
campo da II a I. Gli ioni K+ hanno ora una spinta
di concentrazione verso la camera II ma anche
una spinta del campo verso la camera I e quindi
il flusso si ferma quando la spinta elettrica
compensa quella del gradiente. Si stabilisce
allora l’equilibrio elettrochimico (flusso netto
0).

Per ricavare l’equazione di Nernst sulla base di queste considerazioni, si dice che saremo all’equilibrio quando
il lavoro chimico Wc dovuto al gradiente di concentrazione è uguale al lavoro elettrico We per trasportare K+
contro il gradiente elettrico.

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Fisiologia - Lezione n° 04
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L’equazione di Nerst dice quale è il potenziale elettrochimico di equilibrio. Si ottiene così:

A 37 gradi questo valore diventa 61 mV, a 20 sarebbe 58 mV (valori vicini mentre da 20 a 37 si raddoppia
quasi, ma prendendo la temperatura assoluta la differenza non è così grande).

[Si termina la lezione dicendo che in realtà le concentrazioni da inserire non sono quelle della situazione
iniziale considerata cioè 0.1 M per I e 0.01 M per II ma bisognerebbe tener conto del flusso fatto da K+ dalla
cella I alla II per effetto del gradiente di concentrazione, tuttavia questo flusso risulta in realtà trascurabile
rispetto al numero di ioni interni alla cellula.]

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Fisiologia - Lezione n° 04
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Numero di ioni all’interno della cellula ≈ 5.5·1012


Numero di ioni distribuiti sulla superficie della membrana ≈ 4.7·107
Il numero di ioni che diffondono è perciò una frazione trascurabile, risultando di circa 10-5.

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Fisiologia – Lezione n° 05
16/10/2019

Data: 16/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento: FISIOLOGIA-16-10-2019.m4a
Controllore: Valgimigli
Coppia: Micheli - Miccinesi

EQUILIBRIO DI DONNAN
[Riassunto lezione precedente] Noi abbiamo visto la volta passata l’equazione di Nernst e il potenziale di
azione membranale, ovvero una differenza di potenziale elettrico che consente il passaggio, attraverso
canali ionici, di ioni di carica positiva in una direzione e ioni di carica negativa in un’altra. Abbiamo visto che,
a cavallo della membrana, ogni specie ionica presenta una certa differenza di concentrazione che agisce
come una forza capace di spingere gli ioni da una zona ad alta concentrazione ad una a bassa
concentrazione.
L’equazione di Nernst ci dice qual è la differenza di potenziale transmembranale che deve esistere per
bilanciare la spinta di tutto il gradiente di concentrazione.

Quando la specie ionica che vuole attraversare la membrana è una sola, tutto ciò che si è visto in
precedenza è abbastanza immediato, ma quando sono più di una, la situazione si complica.
In questo caso vengono presi in considerazione 𝐾 +
e 𝐶𝑙 ― , due ioni entrambi permeabili alla
membrana; il grafico accanto riporta i dati di un
esperimento fatto su una fibra muscolare di rana.
Si osserva che, se viene riportata in scala
logaritmica, sulle ascisse, la concentrazione
extracellulare del potassio e del cloro, mentre
sull’asse delle ordinate la differenza di potenziale
transmembranale (intesa come differenza tra
interno ed esterno, quindi negativa), l’equazione di
Nernst sarà rappresentata da quella linea continua.
Questa linea spiega abbastanza fedelmente il dato
sperimentale, indicato con i cerchi per il potassio e
le croci per il cloro. L’equazione di Nernst per il
potassio e il cloro è:

+ ―
𝑅𝑇 [𝐾 ]𝑜 𝑅𝑇 [𝐶𝑙 ]𝑖
∆𝑉 = 𝑙𝑛 + = 𝑙𝑛 ―
𝐹 [𝐾 ]𝑖 𝐹 [𝐶𝑙 ]𝑜

Come si è già detto, sull’asse delle ascisse è riportato il valore di [𝐾 + ]𝑜 (non come [𝐾 + ]𝑜, ma come
log [𝐾 + ]𝑜, infatti si nota che 2,5 e 5 hanno quasi la stessa separazione che c’è tra 5 e 10, essendo appunto
in scala logaritmica), e quindi l’equazione di Nernst, scritta sopra, (che prevede una relazione lineare tra la
differenza di potenziale transmembranale e la concentrazione esterna dello ione, se si interpreta come una
costante) può essere rappresentata da una retta.
Ovviamente lo stesso discorso vale anche per il cloro, anche se l’asse è invertito. Infatti, essendo lo ione
negativo, l’equazione avrebbe un meno davanti e sul grafico assumerebbe una pendenza diversa.
Qui invece i valori per il cloro sono messi in ordine decrescente per capire meglio l’immagine [si consiglia di
verificare questa parte su appunti o libri].
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Fisiologia – Lezione n° 05
16/10/2019

Quindi in questo esperimento si vede che, per entrambi gli ioni, via via che cambia la concentrazione
extracellulare o del potassio o del cloro (per valori relativamente grandi per il potassio e relativamente
piccoli per il cloro) il sistema segue l’equazione di Nernst.
Pare che la membrana sia permeabile per entrambe le specie ioniche.
Quindi, se le specie ioniche sono due, l’equazione di Nernst cosa diventa?

Per spiegarlo è necessario fare un


esempio: abbiamo una cella divisa in
due compartimenti da una
membrana permeabile sia al potassio
che al cloro.
Da un lato di questa cella, che
chiamiamo in (perché simula
approssimativamente la
composizione intracellulare),
mettiamo un sale di potassio (con
l’anione che rappresenta una
proteina non diffusibile attraverso la
membrana), mentre dall’altro, che
chiamiamo out, mettiamo cloruro di
potassio (𝐾𝐶𝑙).
Partiamo da una situazione in cui la concentrazione di questi sali è uguale, in modo da garantire l’equilibrio
osmotico ed elettrico.
Una volta in soluzione, il sale presente nel compartimento out si dissocia liberando ioni potassio e ioni
cloro. Gli ioni cloro risultano più concentrati nel compartimento out ed iniziano ad attraversare la
membrana andando nel compartimento in per via della differenza di concentrazione. Via via che si
spostano, il compartimento in si trova con più cariche negative, mentre il compartimento out si trova con
più cariche positive, perdendo così la situazione iniziale di elettroneutralità.
A questo punto ci sono due modi per interpretare la situazione:
 Si può dire che, per conservare l’elettroneutralità, visto che gli ioni cloro, che sono negativi, si
spostano da out a in, gli ioni potassio, che sono positivi, seguono il cloro spostandosi da out a in per
bilanciare le cariche.

 Si può dire che lo spostamento del cloro produca uno sbilanciamento di cariche con conseguente
formazione di un campo elettrico che punta da out a in e che il potassio viaggi secondo questo
campo (il che è permesso anche dal fatto che non c’è ancora una differenza di concentrazione).
Inoltre il campo ha anche l’effetto di frenare il passaggio di cloro. Alla fine il campo elettrico,
insieme al gradiente di concentrazione, fa sì che per entrambe le specie ioniche si instauri il
potenziale di equilibrio, che può essere calcolato in questo modo:
― +
𝑅𝑇 [𝐶𝑙 ]𝑖 𝑅𝑇 [𝐾 ]𝑜
𝑉𝑚 = 𝐹 𝑙𝑛 ―
[𝐶𝑙 ]𝑜
= 𝐹 𝑙𝑛 [𝐾 + ]𝑖

I movimenti dei due ioni si fermeranno quando il potenziale di membrana (𝑉𝑚) sarà uguale
all’equazione di Nernst per il cloro (dove z=-1) e all’equazione di Nernst per il potassio (dove z=1);
questa equazione può essere semplificata andando ad ottenere la seguente relazione fra le
concentrazioni dei due ioni:

[𝐶𝑙 ― ]𝑖 [𝐾 + ]𝑜
=
[𝐶𝑙 ― ]𝑜 [𝐾 + ]𝑖

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Fisiologia – Lezione n° 05
16/10/2019

Il movimento di cariche fa nascere un campo elettrico che, per ritornare all’equilibrio, deve
aggiustare i rapporti di concentrazione.
Alla fine, si trova un equilibrio in cui per ciascuno ione, il campo elettrico bilancia la spinta a
muoversi, dovuta al gradiente di concentrazione e alla forza elettrica.
Siccome di campo elettrico ce n’è uno solo ma di ioni ce ne sono due, il campo spinge il potassio in
una direzione e il cloro nella direzione opposta ed è per questo che il rapporto tra cloro interno e
cloro esterno deve essere uguale a quello tra potassio esterno e potassio interno.
Riarrangiando questa uguaglianza si trova che il prodotto tra le concentrazioni dei due ioni
nell’ambiente out debba essere uguale al prodotto tra le concentrazioni dei due ioni nell’ambiente
in, e questo si chiama: Equilibrio di Donnan.

[𝑲 + ]𝒐 ∙ [𝑪𝒍 ― ]𝒐 = [𝑲 + ]𝒊 ∙ [𝑪𝒍 ― ]𝒊

Ricapitolando, il sistema ha raggiunto un nuovo equilibrio elettrico tra i due compartimenti, tramite il flusso
di ioni potassio e cloro da out a in, c’è però qualcosa che è andato fuori dall’equilibrio, ovvero l’osmolarità;
il movimento degli ioni fa aumentare l’osmolarità nel compartimento in, il che, se si immaginasse la stessa
situazione in una cellula, questa tenderebbe a gonfiarsi fino ad avere la lisi della membrana.
Nella cellula però, abbiamo anche una grande concentrazione extracellulare di sodio e potassio che, in
qualche modo, tende a ribilanciare l’equilibrio osmotico.

Prima di ritornare su questo punto è necessario spiegare in maniera più quantitativa e precisa lo squilibrio
osmotico che si è venuto a creare. Si è detto che la somma delle concentrazioni di cloro e potassio sul lato
out è maggiore rispetto a quella sul lato in, e questo si può dimostrare immaginando i due ambienti come
due rettangoli.
Il primo avrà i lati uguali a [𝐾 + ]𝑖 e [𝐶𝑙 ― ]𝑖, mentre il secondo avrà i
lati uguali a [𝐾 + ]𝑜 e [𝐶𝑙 ― ]𝑜; le due aree dovranno essere uguali,
perché ci sia l’equilibrio di Donnan. Quindi ho due rettangoli con
area uguale ma con perimetro diverso.
Per avere l’elettroneutralità nel compartimento out, [𝐾 + ]𝑜 e
[𝐶𝑙 ― ]𝑜 devono essere uguali (guarda caso, a parità di area, il
rettangolo con il perimetro minore è il quadrato) e quindi, se nel
compartimento out [𝐾 + ]𝑜 = [𝐶𝑙 ― ]𝑜, nel compartimento in
dobbiamo avere [𝐾 + ]𝑖 ≠ [𝐶𝑙 ― ]𝑖 (ma con il loro prodotto che è
uguale a quello del compartimento out). Allora, per forza, [𝐾 + ]𝑖 +
[𝐶𝑙 ― ]𝑖 > [𝐾 + ]𝑜 + [𝐶𝑙 ― ]𝑜.
Così si è dimostrato ciò che abbiamo in questa situazione, ovvero lo
squilibrio osmotico tra i due compartimenti.
Si diceva che nella cellula questa differenza di osmolarità è
bilanciata dal fatto di avere una forte concentrazione di Na+
extracellulare (ione poco permeabile alla membrana), che
contribuisce al mantenimento dell’equilibrio osmotico.

EQUILIBRIO DI DONNAN CON IONI BIVALENTI


Fino ad ora si sono considerati solo ioni monovalenti, ma se l’equilibrio di Donnan dovesse coinvolgere ioni
bivalenti, come ad esempio il calcio (Ca2+), partendo dall’uguaglianza dei potenziali di equilibrio tra cloro e
calcio, come si dovrà scrivere l’equilibrio di Donnan?
Per il calcio, nell’equazione di Nernst, z è uguale a 2, quindi è come se il logaritmo fosse moltiplicato per un
mezzo e conoscendo le proprietà dei logaritmi si può riscrivere il logaritmo con il suo argomento elevato
alla ½.
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Fisiologia – Lezione n° 05
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Sviluppando ulteriormente l’equazione, si ottiene l’equilibrio di Donnan, in questo caso, per il cloro e il
calcio.
1
― 2+ ― 2
𝑅𝑇 [𝐶𝑙 ]𝑖 𝑅𝑇 [𝐶𝑎 ]𝑜 [𝐶𝑙 ]𝑖
𝑉𝑚 = ln = ln →
𝐹 [𝐶𝑙 ― ]𝑜 2𝐹 [𝐶𝑎2 + ]𝑖 [𝐶𝑙 ― ]𝑜
=
[𝐶𝑎2 + ]𝑜
[𝐶𝑎2 + ]𝑖 ( ) 2 2
→ [𝐶𝑙 ― ]𝑖 ∙ [𝐶𝑎2 + ]𝑖 = [𝐶𝑙 ― ]𝑜 ∙ [𝐶𝑎2 + ]𝑜

L’equilibrio di Donnan, di cui si è discusso fino ad adesso in maniera teorica, rappresenta effettivamente ciò
che succede nella cellula?
Si trova che in effetti è così: questa è
sempre una fibra muscolare di rana
(immagine a fianco) e si vede che, come
detto prima, per alte concentrazioni di
potassio esterno, il prodotto di potassio e
cloro esterno presenta questi valori.
Qui, per rendere più esplicito il confronto, si
ha il rapporto dei due prodotti: se c’è
l’equilibrio di Donnan questo valore deve
essere 1 (non è proprio 1 ma ci si avvicina
molto, questo perché si deve tenere conto
della variabilità biologica e delle
semplificazioni fatte durante la spiegazione
del processo).
Questo valore si avvicina a 1, tranne che per basse concentrazioni di potassio extracellulare, non ci sono più
le condizioni di equilibrio, come mai? [N.B questa parte è incomprensibile in tutti gli audio che ho sentito,
dovrebbe essere tra il minuto 28 e 29].

EFFETTI DEL CAMBIAMENTO A GRADINO DI [Cl-]o

Vediamo di studiare un po’ meglio


come si distribuiscono cloro e
potassio nella cellula, trascurando
per il momento l’effetto del sodio.
Allora, in questo esperimento,
sempre col muscolo di rana, si parte
da una situazione in cui nella
soluzione extracellulare (che non è
possibile controllare), si ha una
concentrazione di potassio uguale a
2,5mM ed una di cloro uguale a
120mM. Il potenziale di partenza
invece è -99mV.
Il cloro e il potassio sono in
equilibrio e si trova che, per avere
l’equilibrio, con questi valori, si deve
avere una concentrazione interna di
potassio uguale a 140mM e una di cloro uguale a 2,4mM.
Si deve tenere inoltre conto che la cellula ha un volume relativamente ridotto rispetto alla soluzione in cui è
immersa (che possiamo considerare avente volume infinito), di conseguenza la cellula cambia le sue
concentrazioni di ioni ma l’ambiente esterno, con il suo enorme volume, non subisce praticamente nessuna
variazione di concentrazione.

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In questa situazione di partenza viene presa la cellula dalla soluzione fisiologica in cui era all’equilibrio e
portata in un’altra soluzione fisiologica in cui la concentrazione del cloro è stata diminuita da 120mM a
30mM.
A questo punto nell’immagine a fianco si può osservare ciò che succede: si vede che il potenziale passa
rapidamente da -99mV a -77mV (inizialmente abbiamo quindi una rapida crescita del potenziale). Questo
come si spiega? Lo si spiegherà più avanti una volta vista anche l’equazione di Goldman che tiene conto di
diverse specie ioniche.
In questo momento lo si può spiegare in maniera relativamente semplice dicendo che: prima che comincino
a muoversi gli ioni, ci si trova con una concentrazione interna di ioni uguale a quella che si aveva nella
situazione di equilibrio, quindi il rapporto tra le concentrazioni di potassio è ancora un rapporto per cui il
potenziale di equilibrio è -99mV. Tuttavia, se prima la concentrazione interna di cloro era 2,4mM, adesso, il
rapporto delle concentrazioni di cloro porterebbe ad avere un potenziale di Nernst di -64mV, e quindi il
potenziale a cui la cellula si porta è una via di mezzo tra i potenziali di equilibrio del potassio e del cloro,
ovvero -77mV.
A questo punto cloro e potassio cominciano a muoversi attraverso la membrana per ristabilire l’equilibrio,
perché, se il potenziale di equilibrio per il potassio è -99mV, il potenziale di equilibrio per il cloro è -64mV e
il potenziale di membrana in questo momento è di -77mV, allora nessuno dei due ioni è in equilibrio e di
conseguenza cominciano a spostarsi. Si osserva sperimentalmente che, con una costante di tempo di circa
quattro minuti, il sistema ritorna ad un valore del potenziale transmembranale che è vicino a quello di
partenza; come si spiega questo? Come si fanno i conti per trovare qual è il nuovo potenziale?
Allora, il fatto che il potenziale torni ad un valore vicino a quello iniziale lo si trova sperimentalmente, ma
facciamo finta per il momento di non sapere il nuovo valore e di volerlo trovare.
Perché il sistema sia in equilibrio dovrà valere l’equilibrio di Donnan. Si è detto inoltre che la soluzione
esterna è una soluzione buffer, ovvero le sue concentrazioni di ioni non cambiano, quindi il prodotto delle
concentrazioni esterne è costante.
[𝐾 + ]𝑜 ∙ [𝐶𝑙 ― ]𝑜 = [𝐾 + ]𝑖 ∙ [𝐶𝑙 ― ]𝑖

Nella condizione iniziale, appena è stata cambiata la concentrazione di cloro esterno, le concentrazioni di
potassio e cloro interno sono ancora rispettivamente 140mM e 2,4mM e, se si facesse il prodotto tra
queste concentrazioni, questo tornerebbe uguale al prodotto delle concentrazioni esterne. Si deve
considerare inoltre che il nuovo potenziale di -77mV spinge il cloro e il potassio ad uscire dalla cellula,
quindi l’equazione si imposta in questo modo:
2,5 ∙ 30 = [140 ― ∆𝐾] ∙ [2,4 ― ∆𝐶𝑙]

Al posto della concentrazione interna del potassio, si scrive il valore di partenza meno quello che sta
uscendo, stessa cosa per il cloro, tenendo poi conto che, per avere l’elettroneutralità, una uguale quantità
di potassio deve uscire rispetto al cloro, è possibile scrivere ∆𝐾 e ∆𝐶𝑙 come “ × ”. Sviluppando questa
uguaglianza si ottiene una equazione di secondo grado che permetterà, una volta risolta, di sapere il valore
del nuovo potenziale di equilibrio.

È possibile ragionare anche in maniera più semplice facendo delle approssimazioni, perché è difficile che i
conti tornino precisi in ogni caso.
Al di là dei conti è importante capire che il potenziale transmembranale è determinato fondamentalmente
dal rapporto delle concentrazioni di potassio ed è il cloro che si muove per adattarsi. Perché succede
questo?
Di nuovo, la soluzione esterna è una soluzione buffer, quindi le concentrazioni non cambiano; quanto è il
valore massimo che può avere ∆𝐶𝑙? Può essere al massimo 2,4mM, perché non può esistere una
concentrazione negativa, ovviamente però non può uscire tutto il cloro, sarebbe una cosa assurda, quindi
deve essere più piccolo di 2,4 , ma ora, un numero più piccolo di 2,4 rispetto a 140 lo cambia di poco, e
quindi uno può dire: “guarda un po’ deve uscire la stessa quantità di cloro e di potassio”, ma siccome il
cloro più di 2,4 non può uscire, si può dire che esce così poco potassio in confronto a quello che c’è che si
può considerare come se non ne fosse uscito, con una buona approssimazione.
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Quindi se il potassio non altera la sua concentrazione, quando ritorna all’equilibrio, ci ritorna con una
concentrazione interna ed esterna di potassio che ai fini pratici è rimasta inalterata, di conseguenza anche il
nuovo potenziale di equilibrio è praticamente uguale al precedente.
E quindi, se il K+ non esce, come prima approssimazione, o comunque esce ma senza alterare la sua
concentrazione intracellulare, per rispondere alla soluzione del volume che fa da buffer, non cambia
nemmeno la concentrazione extracellulare: quando ritorna all’equilibrio, ritorna con una concentrazione
esterna e interna del K+ che ai fini pratici è inalterata.
Il nuovo equilibrio avrà come valori: all’esterno 30mM e all’interno 0,6mM, il cui rapporto rimane lo stesso
di quello visto in precedenza dove, di fatto, era 120 su 2,4.
Infatti, applicando l’equazione di Nernst, con questi valori ottengo -99mV.
Perciò, quando si altera la concentrazione extracellulare di Cl-, inizialmente si ha uno sbalzo di differenza di
potenziale, tanto che, a questo punto, essendo fuori dall’equilibrio, sia Cl- che K+ sono costretti a uscire in
uguali quantità.
Avendo il K+, però, maggiore concentrazione intracellulare, la quantità di quest’ultimo che esce altera di
poco la concentrazione totale di K+ e quindi il nuovo equilibrio dello ione rispetterà, con buona
approssimazione, lo stesso rapporto di concentrazione che avevo in precedenza, ritrovandomi un valore di -
99mV.
Siccome in questo nuovo equilibrio occorre che il rapporto di concentrazione tra Cl- esterno ed interno sia
uguale a quello del K+ esterno ed interno (secondo l’equazione di Donnan), se prima il rapporto era tra 120
e 2.4, diminuendo ora uno dei fattori all’esterno di 4 volte (da 120mM a 30mM) deve diminuire di 4 volte
anche quell’interna e quindi da 2.4mM a 0.6mM. Quindi, questo ∆𝑥 e ∆𝐾 e ∆𝐶𝑙 divengono 1,8.
Però svolgendo l’equazione di secondo grado questo valore non risulterà esattamente 1,8, come ci
aspettavamo, ma torna in modo approssimato. Dunque, alla domanda “se cambia la concentrazione di Cl-
qual è la nuova concentrazione di Cl- e di K+ intracellulare quando il potenziale è tornato ai valori iniziali?” la
risposta sarà che la concentrazione di Cl- è diventata 0.6 e quello di K+ è rimasta praticamente 140.
Nella cellula, quando si ritorna a una soluzione con 120mM a partire da una con 30mM, il potenziale di
equilibrio del K+ rimane lo stesso e il Cl- interno diventa, al nuovo equilibrio, 0.6mM, che andava bene nel
momento in cui la concentrazione esterna era 30mM, ma ora la concentrazione esterna è di 120mM e ciò
provoca il cambiamento del suo nuovo potenziale di equilibrio a -134mV.
La cellula si porta a metà strada tra la condizione di equilibrio del potassio e il nuovo potenziale di equilibrio
del cloro. Successivamente, con una certa costante di tempo, ritorna al nuovo equilibrio, nel quale sia il
cloro che il potassio rientrano dall’esterno all’interno della cellula. Nuovamente, la concentrazione di
potassio non varia in modo notevole mentre si avrà un cambiamento consistente nella concentrazione di
cloro.

EFFETTI DEL CAMBIAMENTO A GRADINO DI [K+]o


Adesso valutiamo la situazione opposta, ovvero
quando la concentrazione di potassio tende a
cambiare considerevolmente. In questa situazione
la cellula non tornerà nell’equilibrio iniziale:
quando il potassio esce o entra dalla cellula, a
seconda dei valori utilizzati, non è più trascurabile
e il cloro si “adegua”.
Quindi, se partiamo sempre da 140mM e
all’esterno invece che 2,5mM è diventato 10mM, la
differenza di potenziale è all’incirca -65mV. La
soluzione esterna non fa più da buffer, in quanto è
stata cambiata sperimentalmente da 140 a 10mM.

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Fisiologia – Lezione n° 05
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Inizialmente un valore di potenziale transmembranale a metà strada tra quello del cloro, che non ha
cambiato inizialmente la sua concentrazione, e quello del potassio, che invece ha cambiato concentrazione,
provoca il movimento degli ioni con conseguente cambiamento della concentrazione interna e non esterna
(la cellula può cambiare solo quella interna e non quella esterna che invece viene cambiata dallo
sperimentatore).
Siccome il rapporto tra concentrazione esterna ed interna di potassio è diminuito, deve diminuire anche
quella del cloro: se prima avevamo 120mM e 2.4mM, questo 2.4mM deve cambiare e avvicinarsi a 120mM;
in questo modo si trova che effettivamente la nuova concentrazione interna di cloro è diventata 9.6mM, in
quanto deve mantenere lo stesso rapporto di concentrazione che ha il potassio. Nella cellula è entrato
tanto cloro da cambiare 2.4mM a 9.6mM perciò da variare di 7.2mM. Il potassio deve essere portato da
140 a 140-7,2, che diventa quindi un po’ meno trascurabile dell’esempio precedente.
Perciò questa volta vale la pena elaborare il conto con l’equazione. Stavolta, io sperimentatore ho cambiato
di molto la concentrazione di potassio e il sistema va al potenziale che impongo io, cambiando la
concentrazione di potassio.
Il movimento intramembranale è soprattutto riferibile al cambiamento di concentrazione del cloro, perché
il potassio è cambiato dallo sperimentatore e quindi i movimenti che avvengono spontaneamente da o
verso la cellula sono importanti per il cloro, ma non per il potassio.
Qui si vede che la permeabilità dei canali non è simmetrica perché non ha la stessa permeabilità per gli ioni
che entrano e per quelli che escono. Quindi, quando si altera l’equilibrio di Donnan si stabilisce un flusso sia
di cloro che di potassio nella stessa direzione, in quanto sono ioni di segno opposto e servono per
mantenere l’elettrodo della parità.
Poiché il volume extracellulare è molto più grande di quello intracellulare, si suppone che questi flussi non
varino le concentrazioni extracellulari. Dal momento che la quantità di ioni che si muove deve essere la
stessa per mantenere l’elettrodo della parità, e siccome la concentrazione di potassio intracellulare è
maggiore di quella del cloro, una stessa quantità di ioni e lo stesso movimento influenza poco la
concentrazione intracellulare di potassio e sarà quindi meno variata rispetto a quella del cloro.
Quindi il Cl-, pur potendo passare come il K+ attraverso le membrane cellulari, non svolge un ruolo
altrettanto importante nel determinare il potenziale di membrana, ma tende piuttosto a riaggiustare la
propria concentrazione intracellulare, riequilibrandosi passivamente. Quindi quello che guida il potenziale
transmembranale è la concentrazione di potassio. Infatti, variando la concentrazione extracellulare di cloro,
la concentrazione del potassio non cambia in modo notevole perché poi, una volta tornati all’equilibrio,
tornerà al valore che aveva inizialmente: perciò il potassio ha avuto bisogno di spostarsi poco per
aggiustare l’equilibrio, mentre il cloro si è dovuto spostare considerevolmente per ripristinarlo.
La situazione è diversa se lo sperimentatore cambia la concentrazione extracellulare di potassio: la
concentrazione interna di potassio, però, varia di poco come nel caso precedente e il nostro valore lo
possiamo trovare dal valore che avevo dalla concentrazione di potassio interno e il nuovo valore della
concentrazione esterna. Anche in questo caso è il cloro che lo segue.

LE CONCENTRAZIONI IONICHE E IL
POTENZIALE DI RIPOSO NEL
MUSCOLO DI RANA

Nella tabella di fianco sono rappresentati i


valori tipici di questa specie: si può notare che
la concentrazione intracellulare di sodio è di
10mM e la concentrazione intracellulare di
potassio è di 140mM. Le concentrazioni
extracellulari di sodio e di potassio sono
rispettivamente di 120mM e 2,5mM. Si può
inoltre notare che il rapporto tra
concentrazione interna ed esterna per il sodio è
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Fisiologia – Lezione n° 05
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1/12 mentre invece per il potassio è di 56. Quindi il sodio è più concentrato all’esterno e il potassio più
concentrato all’interno.
Se guardiamo il potenziale di equilibrio degli ioni vediamo che quello del potassio è di -103mV, ottenibile
tramite l’equazione di Nernst, e quello del sodio è 64mV.
Data la concentrazione del Na+ maggiore all’esterno piuttosto che all’ interno, sarebbe all’equilibrio se il
campo elettrico puntasse dall’interno verso l’esterno. In questo caso però il campo elettrico punta verso
l’interno. Infatti, il potenziale che viene misurato è di -90mV: molto lontano dal potenziale d’equilibrio del
Na+, che viene spinto ad entrare, e non troppo lontano dal potenziale di equilibrio del potassio che è spinto
leggermente ad uscire.
Ma questo è quello che mi aspetto
perché la membrana è molto
permeabile al potassio. Perciò, se mi
trovo in uno stadio stazionario, il
potassio resta più o meno vicino al
potenziale di equilibrio mentre il sodio
tende ad uscirne (cosa che viene
impedita dalla scarsa permeabilità
della membrana per questo ione).
Questo fatto si dimostra quando la
concentrazione extracellulare di
potassio, invece di vedere una
variazione della differenza di
potenziale che segue la legge di Nernst
(secondo una linea retta per valori
bassi di potassio extracellulare), devia
da questa retta e questo viene dimostrato da un’altra reazione: l’equazione di Goldman. (La parte del
grafico che fa vedere la deviazione dalla linearità ci fa capire che la membrana non è permeabile solo al
potassio e al cloro ma anche al sodio).

LA PERMEABILITA’ DELLA MEMBRANA AL SODIO

Esiste un esperimento interessante per


determinare i movimenti di ioni durante il
potenziale d’azione. Gli sperimentatori
esaminano un pezzo di assone sigillato in
un tubicino di Perspex. Questo tubicino ha
un’apertura, una specie di camino (isolata
dal resto nella vaschetta sperimentale),
dalla quale si vede una parte della
membrana dell’assone.

Viene fatto passare da quest’apertura una soluzione fisiologica


che poi viene sostituita con una soluzione fisiologia
contenente sodio radioattivo. Una volta all’interno, il sodio ha
due vie di uscita:
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Fisiologia – Lezione n° 05
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 dal tubicino di sinistra;


 dall’interno dell’assone.
Il liquido che passa da questo camino è un liquido che attraversa la membrana dell’assone. Se la membrana
dell’assone non fosse permeabile al sodio, non vedrei passare il sodio radioattivo. Siccome si è visto che è
presente questa radioattività dal liquido che esce, non può essere altro che il sodio ha attraversato la
membrana. Quindi la membrana è permeabile a questo ione, anche se il coefficiente di permeabilità è
molto più basso per il sodio che non per il potassio e cloro.

EQUAZIONE DI GOLDMAN
Nella cellula, mentre il Cl- e il K+ raggiungono una situazione di equilibrio, il Na+ non la raggiunge, poichè
tenderebbe ad entrare nella cellula in grandi quantità mentre entra soltanto una piccola parte, che viene
poi ripristinata grazie al ruolo della pompa sodio-potassio.
Se siamo lontani dall’equilibrio, quindi
quando il potenziale transmembranale
non coincide con il potenziale di
equilibrio degli ioni (in quanto presenti
diverse specie ioniche), il potenziale
transmembranale della cellula è dato
dalla legge di Goldman che afferma: “se
siamo in una stato di equilibrio, quindi
non abbiamo correnti elettriche
attraverso la membrana (sono presenti
però flussi di ioni nel caso in cui i due
flussi, negativi e positivi, si bilancino e
quindi non provochino corrente
elettrica), data una certa concentrazione
di cationi “C” monovalenti nell’ambiente
1, che può essere intracellulare o
extracellulare, e di anioni “A”
nell’ambiente 2, anch’essi monovalenti, la differenza di potenziale allo stadio stazionario è uguale alla
costante dei gas R moltiplicata per la temperatura T diviso la costante di Faraday, il tutto moltiplicato per il
logaritmo in base naturale della somma delle permeabilità di tutti i cationi, per la concentrazione del
catione sul lato 1, più la somma della permeabilità di tutti gli anioni per la concentrazione dell’anione sul
lato 2 diviso la somma delle permeabilità di tutti i cationi per la concentrazione del catione sul lato 2, più la
somma delle permeabilità di tutti gli anioni per la concentrazione dell’anione sul lato 1 (vedi figura
sovrastante).
Invertire il lato per cationi e anioni è una conseguenza del fatto che Z, che nell’equazione non compare più,
può essere sia 1 che -1. I cationi compaiono con la loro concentrazione su un lato della membrana, mentre
gli anioni sull’altro lato.
Noi consideriamo due specie ioniche, Na+ e K+, mentre invece il Cl- si adatta rapidamente ai nuovi potenziali
transmembranali, dettato fondamentalmente dalla differenza di concentrazione del potassio.
L’equazione di Goldman è detta anche di Goldman-Hodgkin-Katz o anche equazione di campo costante (in
quanto si ipotizza che il campo elettrico all’interno della membrana sia costante).
L’equazione di Goldman per il potassio, cloro e
sodio è rappresentata secondo la formula mostrata
di fianco dove: R per T fratto F per il logaritmo
naturale moltiplicato la permeabilità del potassio
per la sua concentrazione extracellulare, più la
permeabilità del sodio per la sua concentrazione
extracellulare, più la permeabilità del cloro moltiplicata la sua concentrazione intracellulare, diviso gli stessi

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fattori, ma invertiti per l’ambiente extra ed intracellulare. Questa rappresenta la relazione più completa
dell’equazione di Goldman. [Vuole sapere questa all’esame se chiede l’equazione di Goldman].
Il Cl- si adatta rapidamente alla differenza di potenziale transmembranale, quindi fondamentalmente il
flusso del cloro non c’è e possiamo dire che la permeabilità è uguale 0 (anche se effettivamente non è
proprio così, una piccola concentrazione dello ione passa). Quindi considero l’equazione di Goldman solo
per il potassio e per il sodio, come illustrato in figura sottostante.
Quello che conta non è la
permeabilità assoluta alle
specie ioniche, quanto il loro
rapporto, perché, se si
divide sia il numeratore che
il denominatore per la
permeabilità al potassio,
definiamo il numero α che è
il rapporto di permeabilità
sodio-potassio e l’equazione
diventa come in figura.

Questa presenta molte similitudini con l’equazione di Nernst se si considerano i valori della permeabilità
per gli ioni. Con l’equazione di Goldman si possono spiegare le deviazioni dei dati sperimentali che indicano
come cambia la variazione transmembranale e la differenza di potenziale in funzione della concentrazione
esterna del potassio.
L’equazione di Goldman tiene conto del fatto che la membrana non è del tutto impermeabile al sodio, ma
comunque meno permeabile rispetto al potassio. Facciamo alcune considerazioni: nella situazione
d’equilibrio α è 0,01, allora la concentrazione di potassio interno è 140mM e sodio interno è 10mM.
Quindi moltiplicando α per la concentrazione di sodio si ottiene 0,1, trascurabile rispetto al valore di
140mM del potassio.
Nell’equazione, al numeratore è presente 140 [così dice il prof.], per quanto riguarda il denominatore
invece, se la concentrazione di sodio esterno, 120mM, è più alta della concentrazione di potassio esterno,
lo moltiplico per α ottenendo 120 per 0,01 che è uguale a 1,2.
Quando il potassio è 100mM, allora 1,2mM rispetto a 100mM è trascurabile, quindi possiamo affermare
che questa reazione rispetti l’equazione di Nernst.
Fino al momento in cui il potassio esterno è grande, questo 1.2 è trascurabile, ma quando il potassio
esterno comincia a diventare 2,5mM, questo valore non è poi così maggiore di 1,2 e quindi quest’ultimo
non è più trascurabile e il fatto che non lo sia più comincia a far deviare i punti sperimentali da quello che
mi aspetterei dall’equazione di Nernst.
In altre parole, possiamo dire che con
l’equazione di Goldman con α piccolo per
i valori extracellulari di potassio si
ottengono risultati simili all’equazione di
Nernst, in quanto si possono trascurare i
valori di sodio (molto piccoli). Quando
invece i valori di potassio sono più piccoli
e quindi il sodio non più trascurabile, va
utilizzata l’equazione di Goldman.
Quindi, per calcolare il potenziale
transmembranale, quando la
concentrazione di potassio è ai livelli
fisiologici, non possiamo più
effettivamente trascurare il sodio. In
conclusione, nell’equazione di Goldman,
se prendiamo i rapporti di
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Fisiologia – Lezione n° 05
16/10/2019

concentrazione di sodio e potassio e calcoliamo il potenziale di equilibrio otteniamo come segue:


 se α è 0 la membrana non è permeabile al sodio;
 se α è molto alto, quindi se tendesse all’infinito, sarebbe il potassio impermeabile alla membrana;
 se il valore di PK+ e PNa+ è diverso da 0 e la permeabilità è maggiore per il sodio, il potenziale è
intermedio e si avvicina a quello del sodio;
 se, come in effetti succede nella cellula, la permeabilità della membrana del potassio è più alta di
quella del sodio il potenziale è più vicino a quella del potassio.

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Fisiologia – Lezione n° 06
18/10/2019

Data: 18/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento: FISIOLOGIA-18-10-2019.m4a
Controllore: Pandolfini
Coppia: Padrini-Oselin

Nella prima parte della lezione il professore utilizza un programma che mostra in maniera grafica la relazione
tra il potenziale di membrana e la concertazione ionica interna ed esterna. Link alla versione web del
programma: http://nernstgoldman.physiology.arizona.edu/

Questo è un programma (funziona anche online) che in maniera grafica fa vedere l'equazione di Nernst, e
permette di calcolare il potenziale di equilibrio di membrana utilizzando la concentrazione di sodio o di
potassio intra ed extracellulare. Cambiando i vari valori e andando a modificare le concentrazioni ioniche si
possono fare diverse considerazioni riguardo i risultati ottenuti e quelli che ci si aspetterebbe di ottenere
ragionando sul sistema in questione.

Se diminuisco la differenza di concentrazione tra l'esterno e l'interno mi aspetto che il potenziale di riposo
vada verso una depolarizzazione, perché ho bisogno di meno spinta del campo elettrico per bilanciare una
differenza di concentrazione. Per far diventare il potenziale di riposo uguale a zero, invece, la
concentrazione esterna deve essere esattamente uguale a quella interna.
Utilizzando questo programma si può anche andare a vedere l'equazione di Goldman con un processo che è
più complicato: vado a considerare i tre ioni (sodio, potassio e cloro) e la loro permeabilità, a determinate
concentrazioni esterne e interne.

Cambiando i valori che entrano in gioco, si possono fare diverse considerazioni; una prima considerazione
può essere fatta sul cloro, e quindi cambiando un po’ la sua concentrazione, lo porto molto fuori
dall’equilibrio. Nelle scorse lezioni avevamo visto che cambiando la concentrazione extracellulare del cloro il
sistema sarebbe poi tornato al potenziale di equilibrio, determinato dalla concertazione di potassio;
nell’esperimento che stiamo facendo questo non avviene.
Ciò è giustificabile facendo invece un esperimento ideale: prendo una cellula e la tolgo dalla sua soluzione
fisiologica, per portarla in una soluzione fisiologica dove la concentrazione esterna è cambiata, e noto che il
potenziale non torna come prima. Questo è dovuto al fatto che si tratta di un esperimento in cui la situazione
non è statica, ma dinamica; mentre se io considero solo l’equazione di Goldman non faccio un esperimento,
ma calcolo solo l’equazione (e quindi la situazione può essere considerata “statica”).
Consideriamo allora il cloro come trascurabile, come uno ione che si distribuisce seguendo la differenza di
potenziale dettata dalla concentrazione degli altri ioni.
Supponiamo di voler calcolare l’equazione di Goldman in una situazione in cui voglio trascurare il cloro, come
devo fare utilizzando questo programma? Non bisogna mettere la concentrazione esterna ed interna di cloro
allo stesso valore perché questo azzererebbe il suo potenziale di equilibrio, anche se contribuirebbe
comunque con un certo apporto sia al numeratore che al denominatore nell’equazione di Goldman. Il valore
che è necessario variare per eliminare il contributo del cloro è la sua permeabilità, che deve essere uguale a
zero. In questo modo il cloro non è più considerato come elemento diffusibile attraverso la membrana, il
suo contributo al potenziale è nullo ed il fattore è come se non ci fosse.
Diventa quindi possibile calcolare l'equazione di Goldman considerando solo il sodio ed il potassio.
[È da sottolineare che in questo programma il potenziale di equilibrio è calcolato semplicemente con
l'equazione di Nernst, senza considerare la permeabilità degli ioni].

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ESPERIMENTO DI HODGKIN E HOROWICZ


Rimane comunque interessante usare questo programma e provare a simulare l'esperimento di Hodgkin e
Horowicz. Questo esperimento è spiegato servendosi dell’equazione di Goldman, considerando soltanto il
potassio e il sodio (la permeabilità del cloro deve quindi essere messa uguale a zero).
Andiamo a stabilire le concentrazioni degli altri ioni: poniamo la concentrazione interna del potassio uguale
a 140, per il sodio utilizziamo quella suggerita dal programma, il rapporto di permeabilità sodio/potassio a
0.01, e, variando la concentrazione esterna di potassio, si cerca di riprodurre la curva ottenuta
nell’esperimento.
È utile considerare anche un altro aspetto di questo esperimento: perché il potenziale di diffusione (quello
calcolato dall’equazione di Goldman) è vicino al potenziale del potassio? Perché il rapporto di permeabilità
tra potassio e sodio è a favore del potassio (che è molto permeabile), con un rapporto di circa 1 a 100.
Cosa succede allora se aumenta la permeabilità al sodio? Si va verso il potenziale di equilibrio del sodio. E se
si alza talmente tanto la permeabilità del sodio si arriva a raggiungere il potenziale di equilibrio di questo
ione, perché a questo punto diventa trascurabile il contributo del potassio.
È quindi interessante vedere in maniera grafica come, andando a variare le permeabilità dei diversi ioni, il
potenziale cambia di conseguenza e si avvicina maggiormente a quello di uno degli ioni nel momento in cui
aumenta la permeabilità dello ione stesso.

POTENZIALE DI EQUILIBRIO E POTENZIALE DI DIFFUSIONE


Come si è visto la scorsa volta, in un muscolo, se cambio la concentrazione extracellulare di potassio, in un
ambito in cui è abbastanza alta, vedo che nel tempo i valori sperimentali per il potenziale di riposo
transmembranale seguono abbastanza bene la relazione che mi aspetterei se seguisse la legge di Nernst. Ma
con un valore massimo di concentrazione extracellulare di potassio ho una deviazione dall'equazione di
Nernst, e ho invece un buon rapporto con quello che è predetto dalla legge di Goldman.
Perché ad un certo punto la legge di Goldman quasi coincide con la legge di Nernst?

Per rispondere bisogna analizzare l’equazione di Goldman: ad alte


concentrazioni di potassio abbiamo al denominatore la concentrazione
interna di sodio, che è bassa, e il rapporto di permeabilità tra sodio e
potassio anch’esso basso; il prodotto tra i due, quindi, diventa un
prodotto tra numeri piccoli, e si ottiene così al denominatore un
numero ancora più piccolo, che risulta trascurabile rispetto alla
concentrazione di potassio che si trova al numeratore.
Considerando il numeratore, invece, α è piccolo, ma [Na] non lo è, il
sodio infatti è più concentrato del potassio all’esterno della cellula.
E quindi, se la concentrazione di potassio è alta, questo prodotto
(α[Na]0) è, rispetto a [K]0, trascurabile, ma via via che [K]0 diventa più
piccolo, questo prodotto non è più tanto trascurabile. Il valore di α è
0,01, [Na] 120, quindi il prodotto è 1,2; se la concentrazione di potassio
è 2,5, il prodotto (1,2) non è trascurabile. Via via allora che il potassio
diminuisce ho una deviazione verso la legge di Nernst rispetto a quello che è predetto dalla legge di Goldman.
Confrontiamo allora le due situazioni:

● Al potenziale di equilibrio, quando le due specie ioniche sono all'equilibrio elettrochimico, si calcola
il potenziale di equilibrio con l'equazione di Nernst. Quello di equilibrio, è il potenziale che bilancia la
spinta dovuta al gradiente di concentrazione per quel particolare ione. Se abbiamo a che fare con un
solo ione diffusibile, il potenziale di equilibrio si raggiunge velocemente. Se abbiamo a che fare con

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due ioni diffusibili il potenziale di equilibrio può essere ugualmente raggiunto quando il prodotto
delle concentrazioni interne dei due ioni è uguale al prodotto delle concentrazioni esterne, secondo
la legge di Donnan. Se cominciamo ad avere più di due ioni, il discorso si fa più complicato. Bisogna
sempre ricordare che gli ioni vanno presi in considerazione solo se sono diffusibili, perché nel
momento in cui non lo sono la loro permeabilità è zero, e quindi non contribuiscono nell'equazione
di Goldman; mentre, se la loro permeabilità non è zero, anche se bassa, alterano comunque in
qualche modo l’equilibrio. Per questo, considerando la cellula, dobbiamo tenere conto che c'è anche
il sodio.
● Quando invece non ci si trova al potenziale di equilibrio, ma ci troviamo in una situazione in cui il
sodio è lontano dall'equilibrio perché la sua permeabilità è bassa, e il potassio è lontano
dall’equilibrio (come si vedrà in seguito, esiste una pompa sodio-potassio che li mantiene
appositamente lontani dall’equilibrio), bisogna calcolare il potenziale di equilibrio considerando tutte
le specie ioniche che sono diffusibili, e ci si deve servire dell’equazione di Goldman. Parliamo allora
di potenziale di diffusione, perché gli ioni appunto diffondono da una parte all’altra della membrana.

Ricordiamo comunque che gli ioni diffondono anche se siamo in una condizione di equilibrio elettrochimico,
dato che ci sono comunque delle molecole che tendono a passare da una parete all'altra e tendono a farlo
da dove la concentrazione è maggiore a dove la concentrazione è minore, per bilanciare la differenza di
concentrazione.
Dal momento che c'è anche un campo elettrico questo flusso (in una direzione o in un’altra) sarà nullo, perché
questo campo elettrico andrà a bilanciare il potenziale chimico. Quindi il flusso netto si ferma quando la
spinta dovuta al gradiente di concentrazione è equilibrata dalla spinta dovuta al gradiente elettrico
(potenziale di equilibrio).

Nel caso in cui dobbiamo usare l'equazione di Goldman, il potenziale transmembranale non coincide con il
potenziale di equilibrio di questo ione. Siccome non coincide (e abbiamo visto che per far ciò basta che le
permeabilità siano diverse da zero) e il potenziale si porta a metà strada tra il potenziale di uno ione o di un
altro, è chiaro che c'è un flusso netto di sostanza, per cui questa situazione non può da sola essere mantenuta
per tempi indefiniti.
Una situazione descritta dal potenziale di Nernst può essere mantenuta, mentre una descritta da quello di
Goldman no, perché con il fluire netto di una sostanza da una regione all'altra ci sarà un accumulo o un
abbandono nella cellula di una particolare specie ionica.

Facciamo ora un esempio


Ipotizziamo di avere un potenziale di equilibrio del potassio e un potenziale di equilibrio del sodio, il sodio
maggiormente concentrato all'esterno della cellula e il potassio maggiormente concentrato all'interno della
cellula. Se supponiamo un valore del potenziale di equilibrio del sodio di -100mV, un valore di -80mV per il
potenziale di equilibrio del potassio e consideriamo soltanto l'equazione di Goldman, possiamo calcolare che
il potenziale transmembranale si colloca circa a- 90mV.

● Cosa fa il sodio? È spinto ad entrare o a uscire, ricordando che è più concentrato all'esterno della
cellula e il potassio all'interno? Il sodio entra, perché è spinto sia dal gradiente di concentrazione che
dal campo elettrico. Essendo negativa, infatti, la differenza di potenziale tra interno ed esterno, c'è
un campo elettrico che porta dall'esterno verso l’interno, infatti sia il sodio che il potassio (entrambi
ioni positivi) sono spinti ad entrare. La situazione per il sodio è facile, perché sia il gradiente di
concentrazione che il campo elettrico lo spingono ad entrare.
● Per il potassio invece la situazione è più complicata. Il gradiente di concentrazione lo fa uscire,
mentre il campo elettrico, essendo uno ione positivo, lo spinge ad entrare. Secondo l'equazione di
Goldman, il potenziale di equilibrio è intermedio tra quello del potassio e quello del sodio. A questo
punto diventa quindi importante chiedersi se questo potenziale (il campo elettrico che spinge il
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potassio ad entrare) riesce a contrastare la spinta dovuta al gradiente di concentrazione (che


porterebbe invece il potassio ad uscire, essendo maggiormente concentrato all’interno). Se è
maggiore, il potassio entra, se al contrario è minore, il potassio esce. Nel caso in cui il potenziale fosse
uguale non esce e non entra (ma il potenziale che non fa né uscire né entrare è il potenziale di
equilibrio, e quindi non è questo caso). Il campo elettrico, nel nostro caso ipotizzato, non riesce a
contrastare la spinta del gradiente di concentrazione perché quest’ultimo ha una spinta maggiore e
quindi il potassio in parte esce (si può cercare di capire questo fenomeno e i suoi effetti senza
necessariamente ricorrere al calcolo).

Esempio problema d’esame:


Nello scorso compito ho dato i valori delle concentrazioni interne ed esterne di sodio e potassio, dicendo di
trascurare il cloro, ho dato il rapporto di permeabilità - permeabilità al sodio/permeabilità al potassio- (α), e
ho chiesto di calcolare la differenza di potenziale elettrochimico per il sodio.
Per poter fare questo calcolo, ho quindi tutti i parametri: [𝑅x𝑇xln(rapporto tra concentrazioni)] + ZxFxΔ𝑉 p
(la differenza di potenziale elettrico viene data da Goldman).

POMPA SODIO-POTASSIO
Si considera quindi il potenziale di Goldman non all'equilibrio e il potenziale di Nernst all'equilibrio.
La cellula quindi si mantiene in una situazione di stato stazionario (anche se non di equilibrio). Ci deve essere
qualcosa che bilanci questa spinta degli ioni ad entrare o a uscire e, il principale meccanismo che permette
questa spinta, è la pompa sodio-potassio. La pompa sodio-potassio, per mantenere il gradiente, prende degli
ioni sodio dall'interno della cellula e li porta all'esterno, in modo tale da bilanciare la spinta passiva degli ioni
ad entrare. Allo stesso modo, prende degli ioni potassio e li porta all'interno, per bilanciare la spinta passiva
che porterebbe questi ioni ad uscire dalla cellula.
Sia per il sodio che per il potassio, quando si considera la diffusione attraverso la membrana, entrare o uscire
dalla cellula vuol dire non consumare energia, perché l’energia è già stata consumata (è quella che permette
di ottenere il gradiente di concentrazione). In questo caso, invece, a differenza del meccanismo di diffusione
(che non utilizza energia), la pompa va contro il gradiente elettrochimico e quindi ha bisogno di energia.
Questa energia viene dall'idrolisi di una molecola di ATP.
[Da ricordare: La pompa sodio potassio deve quindi bilanciare la spinta del gradiente elettrochimico del sodio
e del potassio, non del gradiente di concentrazione!]

L'equazione di Goldman descrive quindi una condizione stazionaria in cui il flusso entrante di sodio e quello
uscente di potassio porterebbero nel tempo a diminuire la differenza di concentrazione intra ed extra
cellulare. La pompa sodio potassio è attiva nel contrastare questa tendenza all’equilibrio, determinando un
flusso di questi due ioni contro il gradiente elettrochimico.

EFFETTI DEL MANCATO FUNZIONAMENTO DELLA POMPA SODIO-POTASSIO

Se la pompa non funzionasse la cellula andrebbe fuori dall'equilibrio osmotico.


Le proteine con carica negativa all'interno della cellula non possono uscire, e quindi, per creare un gradiente
elettrochimico per gli ioni, ci dovrebbe essere uno sbilanciamento osmotico, e la cellula andrebbe incontro a
lisi.
La funzione della pompa è quindi quella di mantenere uno stato stazionario fuori dall'equilibrio, ma il primo
effetto che subirebbe la cellula, se la pompa smettesse di funzionare, sarebbe un effetto di tipo osmotico.

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FUNZIONAMENTO DELLA POMPA Na-K


Questo a lato è uno schema che rappresenta il doppio strato fosfolipidico,
l'interno della cellula, l’esterno della cellula e i vari canali. Questa cellula
ha, tramite la modulazione del numero di canali, una bassa permeabilità
per il sodio (è rappresentato un solo canale) e un'alta permeabilità per il
potassio (sono rappresentati più canali); è rappresentata poi una pompa
sodio potassio, che, con il suo effetto attivo, espelle 3 ioni sodio e
introduce 2 ioni potassio, tramite l'idrolisi dell'ATP (per descrivere questo
rapporto di ioni 3/2 è stato fatto un esperimento sui globuli rossi). Questa
pompa crea quindi anche una corrente elettrica: ad ogni ciclo infatti
porta fuori tre ioni positivi e dentro due ioni positivi, e crea una corrente
elettrica diretta dall'interno verso l'esterno.

Per quanto riguarda il funzionamento inizialmente il trasportatore espone a livello citoplasmatico sia i domini
di legame per il potassio, estremamente poco affini in questa conformazione e quindi liberi dal substrato e
quelli per il sodio; l’alta affinità di questi ultimi per lo ione Na+ rende possibile che il sodio si leghi alla
proteina. A seguito della fosforilazione della proteina
si ha una modifica conformazionale che permette
l’esposizione dei siti attivi per il sodio nell’ambiente
extracellulare contestualmente alla diminuzione che
essi hanno per il loro substrato. Il sodio così viene
liberato nell’ambiente extracellulare. Il
cambiamento conformazionale scaturito dalla
fosforilazione permette anche l’esposizione nella
matrice dei siti attivi per lo ione potassio (in questo
caso il cambiamento conformazionale determina un
aumento dell’affinità del sito attivo per il proprio
substrato) che viene legato dalla proteina. A seguito
della perdita del fosfato regolatore la proteina
subisce una nuova modificazione strutturale che
determina l’esposizione dei siti di dominio leganti
potassio all’interno della cellula ed una loro perdita
di affinità per il substrato, che viene quindi rilasciato in ambiente citoplasmatico. I domini per il sodio, liberi,
riacquistano l’alta affinità per lo ione, legandolo. Questo è lo schema essenziale di funzionamento della
pompa sodio-potassio.

[...Il professore suggerisce di visitare il sito www.rcsb.org per visualizzare immagini della struttura
cristallografica (principalmente determinate con cristallografia a raggi X ma sono presenti immagini ricavate
con altre tecniche) di varie pompe sodio potassio. Queste proteine fanno parte di una famiglia estesa ed
alcune sono state studiate in dettaglio. Queste immagini sono particolarmente utili per i ricercatori, ad
esempio per approfondire il rapporto struttura-funzione o per comprendere come una possibile molecola di
un farmaco interagisca dal punto di vista strutturale con il substrato. Inoltre, il professore suggerisce di
visitare il sito sopra riportato poiché, a cadenza mensile, gli autori presentano una molecola biologica
contestualizzandola all’interno di un problema a stampo fisiologico e mostrando come risolverlo con
particolare attenzione al rapporto struttura-funzione della molecola...]

Il nostro corpo produce una grande quantità di energia, tanto che in termini di massa l’ATP prodotta
giornalmente eguaglia l’intera massa corporea (ovviamente è come se contassimo ogni ADP trasformata in

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ATP come una nuova molecola ai fini del calcolo in massa). Di questa ATP, circa un terzo è speso per
alimentare la pompa sodio-potassio.

ASSOCIAZIONE TRA CONSUMO DI ATP E MANTENIMENTO DELL’EFFLUSSO DEGLI


IONI Na+ ATTRAVERSO LA MEMBRANA
Ai fini del mantenimento dell’efflusso di ioni sodio attraverso la membrana è necessario un continuo
consumo di ATP. L’associazione tra queste due condizioni è stata appurata per mezzo di vari esperimenti.

Descrizione di 2 importanti esperimenti:

- L’esperimento è impostato in maniera simile a quello che ha permesso in prima istanza di analizzare
il flusso dello ione sodio attraverso la membrana plasmatica, ovvero utilizzando un isotopo
radioattivo del sodio (Na 24) e contando le emissioni dei nuclidi radioattivi presenti nella matrice
extracellulare (la cui presenza al di fuori della cellula è strettamente legata all’attività della pompa
sodio-potassio). In aggiunta nel sistema è stato inserito un veleno, il dinitrofenolo (DNP), che è in
grado di bloccare il metabolismo ossidativo e quindi la grandissima parte della produzione cellulare
di ATP. Riportiamo in un grafico sull’asse delle ascisse il tempo e sull’asse delle ordinate la conta
(counts/min) delle emissioni dei radionuclidi Na+ all’esterno della cellula ovvero l’efflusso del sodio
dalla cellula.
Analizzando il grafico è possibile notare un evidente e continua diminuzione del sodio extracellulare
nell’intervallo di tempo che va dall’aggiunta del dinitrofenolo all’eliminazione di quest’ultimo.
L’effetto è reversibile tanto che, previa eliminazione del DNP e quindi ripresa della produzione di ATP
da parte della catena respiratoria, la concentrazione del sodio extracellulare comincia ad aumentare.
L’esperimento non testimonia la presenza di una pompa ma prova la correlazione consumo ATP-
efflusso Na+.

- Ancora più diretto nel provare la necessità di energia (sotto forma di idrolisi dell'ATP) nel trasporto
attivo del sodio al di fuori della cellula è il seguente esperimento. Partendo dallo stesso sistema ricco
in sodio radioattivo la catena di trasporto degli elettroni viene bloccata utilizzando il cianuro e con
essa la produzione di ATP (la grande quantità prodotta dalla catena respiratoria). Anche in questo
caso si utilizza un grafico impostato come il precedente. L’efflusso del sodio crolla dopo l’immissione
del cianuro. Nel grafico sono evidenti vari picchi di aumento dell’efflusso del sodio in corrispondenza
dell'immissione artificiale di ATP nel sistema (alla quale seguono delle inevitabili diminuzioni di flusso
dovute al consumo della stessa ATP fornita in quantità limitata). La fonte di energia che permette
l’efflusso del sodio o l’influsso del potassio è quindi l’ATP.

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FATTORI CHE MODULANO L'ATTIVITÀ’ DELLA POMPA Na-K

Dipendenza dalla [Na+] citoplasmatica e [K+] extracitoplasmatica

L’esperimento che ci ha consentito di studiare quest’effetto è stato condotto su un neurone di lumaca.


L’esperimento necessita di una serie di circuiti:
- circuito in grado di iniettare sodio
- elettrodo per la misurazione del potenziale transmembrana
- elettrodo che misura la quantità di sodio con metodi elettrochimici
Nel grafico associato all’esperimento è mostrato un certo potenziale di membrana a riposo (la presenza delle
“spikes” che caratterizzano l’andamento sono spiegate nell’articolo originale non sono di nostro interesse ai
fini della comprensione dell’esperimento). Nel grafico le barre azzurre indicano l’intervallo temporale di
iniezione di sodio all’interno della cellula. Conseguentemente alla iniezione di sodio la membrana si
iperpolarizza. L’aumento degli ioni sodio in prossimità della membrana, derivati dai sali di sodio utilizzati dal
circuito, determina una iperpolarizzazione poiché la pompa si trova ad avere una maggiore concentrazione
di substrato citoplasmatico ed aumenta il suo tasso di trasporto (anche di introito di ioni K+ necessariamente)
incrementando la differenza di potenziale membranale per mezzo di estrusione netta di cariche. L’effetto
della pompa Na-K è di iperpolarizzazione della membrana.

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La dipendenza dell’attività della pompa relativamente alla concentrazione del sodio è evidente: l’effetto
iperpolarizzante è dovuto necessariamente ad un aumento del tasso di attività del trasportatore, innescato
dalla crescita della concentrazione di ioni sodio in prossimità della membrana.
Nel caso in cui un diverso ione monovalente (ad esempio Li+ al posto di Na+) fosse inserito con stessa
modalità nel sistema non provocherebbe l’effetto iperpolarizzante, a sostegno del fatto che la pompa sodio
potassio è un trasportatore estremamente specifico.
Nel grafico è visibile un intervallo di tempo in cui viene inserita ouabaina nel sistema. La ouabaina è un veleno
inibitore della pompa Na-K estratto da alcune piante originarie del continente africano. Di fatto se si inibisce
la pompa per mezzo di questo veleno si nota una progressiva e leggera depolarizzazione della membrana, e,
nonostante si aumenti la concentrazione di ioni Na+ per mezzo dell’apposito circuito, non si registra (o si
registra con minima intensità) l’effetto iperpolarizzante della pompa, a testimonianza che sia proprio questa
la responsabile dell’incremento di potenziale transmembrana precedentemente descritto.
L’attività della pompa è anche legata alla concentrazione degli ioni K+ nel liquido extracellulare. Se questi
vengono estratti dall’ambiente esterno alla cellula, la pompa, in mancanza del substrato, diminuisce il tasso
di trasporto determinando inizialmente una leggera depolarizzazione, e, anche in caso di reimmissione di ioni
Na+ in ambiente citoplasmatico perimembranale non si registra alcun effetto iperpolarizzante. Appena il
potassio viene reimmesso l’azione iperpolarizzante ricomincia immediatamente.
Quindi il fattore che modula il funzionamento della pompa Na-K è la presenza di sodio intracellulare e la
presenza di potassio extracellulare.

Nota bene: Se pensassimo alla fisiologia dell’insorgenza di un potenziale d’azione per mezzo di uno stimolo
elettrico (un’iniezione di una corrente all’interno della cellula come un ingresso di ioni sodio), potremmo
pensare che l’ingresso di ioni Na+ con il circuito riportato nell’immagine possa produrre una depolarizzazione
della membrana (un pot. d’azione) e quindi non una iperpolarizzazione come invece registriamo. Questo è
dovuto al fatto che il circuito che induce un potenziale d’azione o una depolarizzazione della membrana è
diverso da quello nell’immagine ed utilizzato per questo esperimento, infatti implica invece che si formi una
corrente transmembranale (per il diverso posizionamento degli elettrodi) la quale è effettivamente
responsabile della depolarizzazione. Nel caso dell’esperimento anche il secondo elettrodo è inserito
all’interno della membrana e quindi il circuito si chiude passando attraverso gli elettrodi ma non attraverso
la membrana che di fatto non si depolarizza.

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Dipendenza dalla temperatura

In questo caso per analizzare la dipendenza dell’attività della pompa Na-K dalla temperatura ci riferiamo ad
un esperimento condotto su una lumaca di mare. Il grafico, associato all’esperimento, riporta sulle ordinate
il valore di potenziale transmembranale e in ascissa, in scala logaritmica, la concentrazione esterna di
potassio. È importante notare come in realtà le d.d.p. mostrate in ascissa sono negative (e quindi crescono
verso l’alto solo in valore assoluto) in quanto si vuole mostrare il grado di polarizzazione della membrana. Se
volessimo vedere il grafico in un piano classico dovremmo analizzare la simmetrica rispetto ad X della curva
mostrata. Tale esperimento porta l’attenzione sul cambiamento della d.d.p. transmembranale al variare della
Come in precedenza il grafico mostra come cambia la polarizzazione della membrana in funzione della
concentrazione esterna di potassio ma le due curve mostrate si riferiscono a misurazioni condotte a
temperature diverse: 17 °C e 4°C. Nel diagramma sono presenti due rette tratteggiate, visualizzazione grafica
dell’equazione di Nernst a 17°C e 4°C. Queste rette sono molto vicine perché nell’equazione di Nernst il
potenziale di equilibrio è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta che in questo caso varia poco
(in proporzione la variazione tra 277,15K e 290,15K è minima, pari circa al 5%). Per basse concentrazioni
esterne di potassio è evidente come la curva sperimentale devii dalla equazione di Nernst. La curva non
tratteggiata è il diagramma dell’equazione di Goldman (che mi aspetterei date la permeabilità e la
concentrazione interna del potassio) che riesce a sovrapporsi quasi perfettamente alla curva che ricaviamo
dalle misurazioni condotte a 4°C (punti bianchi). La pompa sodio potassio ha un’attività elettrogenica, ovvero
produce una corrente in quanto porta 3 cariche positive all’esterno e due all’interno, questo cambia la
differenza di potenziale della transmembranale e quindi fa sì che questa sia minore di quella effettivamente
predetta dalla equazione di Goldman (minore significa più in alto dato l’assetto del piano cartesiano scelto).
A 4° dato che i dati sperimentali coincidono con l’equazione di Goldman necessariamente l’attività della
pompa deve essere estremamente ridotta (manca l’attività iperpolarizzante della pompa). Quando invece
la pompa funziona, rispetto all’equazione di Goldman, ho una iperpolarizzazione. Quindi l’abbassamento
della temperatura riduce l’attività della pompa Na-K.

Un altro dato importante che ci fornisce il grafico è che entrambe le curve sperimentali e la curva
dell’equazione di Goldman tendono, per concentrazioni di potassio man mano vicine a 0, allo stesso valore.

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Questo è facilmente comprensibile se pensiamo alla dipendenza della pompa dalla concentrazione del
potassio extracellulare vista precedentemente: per concentrazioni di potassio esterno tendenti a 0 l’attività
della pompa tende a rallentare fino a scomparire, provocando una depolarizzazione della membrana, per
ragioni totalmente indipendenti dalla temperatura del sistema; quindi, indipendentemente dalla
temperatura, l’effetto sulla pompa della mancanza di potassio extracellulare provocherà una
depolarizzazione tale da fare tendere il valore di d.d.p. transmembranale per [K+ est] tendente a 0 di ogni
curva al medesimo valore, pari a quello della equazione di Goldman (che di fatti non tiene conto dell’attività
elettrogenica della pompa).

EFFETTO ELETTROGENICO DELLA POMPA Na-K E VARIAZIONE DELLA EQUAZIONE DI


GOLDMAN

L’azione della pompa sposta delle cariche modificando il d.d.p. transmembrana, quindi l’equazione di
Goldman per tenere conto di questo effetto deve essere leggermente modificata. Prendiamo per semplicità
un sistema nel quale troviamo solo K+ e Na+. La variazione consiste nel mettere un fattore davanti alla
permeabilità del sodio che rappresenta il rapporto di carica spostato dalla pompa tra il potassio e il sodio
ovvero ⅔. Riprendiamo la dimostrazione dell’equazione di Goldman: quando integriamo il flusso di uno ione
se questo è spinto sia dal gradiente di concentrazione che da un gradiente di potenziale elettrico otteniamo
questa equazione:

se devo calcolare uno stato stazionario, come nella equazione di Goldman, con ioni Na+ e K+ devo imporre
che i loro flussi siano tali da ottenere una corrente totale nulla, altrimenti avrei una variazione della d.d.p.
della membrana. Se ho due ioni di stessa carica e voglio una corrente nulla necessariamente il flusso di uno
deve avere direzione opposta all’altro (e quindi di segno opposto). Eguagliando i due flussi e risolvendo è
possibile ottenere l’equazione di Goldman.

Nota: Nel caso in cui gli ioni presi in considerazione fossero di segni opposti dovremmo imporre l’uguaglianza
tra due flussi concordi.

Se volessimo trovare lo stato stazionario in presenza della pompa occorrerebbe che i flussi, oltre che a
bilanciare i flussi passivi, tengano conto del flusso attivo generato dall’attività della pompa sodio-potassio.
La pompa genera sempre un flusso di sodio pari a 3/2 del flusso di potassio indipendentemente dalla
intensità di tale flusso e questo deve essere rispettato anche dai flussi passivi.
Se teniamo conto di questo e risolviamo per la d.d.p. otteniamo una variazione della equazione di Goldman
che tiene conto dell’effetto elettrogenico della pompa sodio-potassio.
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Fisiologia – Lezione n° 06
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Se in un esercizio numerico calcolassimo la d.d.p. transmembranale con l’equazione di Goldman non


modificata otterremmo, utilizzando dati di permeabilità fisiologicamente plausibili, una 𝚫V= -78mV. Tenendo
conto della corrente generata dalla pompa sodio-potassio ed effettuando i calcoli con la versione modificata
della precedente equazione otteniamo una 𝚫V= -66mV (più vicino al potenziale derivante dalla equazione
Nernst).

Quindi ricapitolando la pompa sodio-potassio:

- È necessaria per mantenere il gradiente di concentrazione transmembranale


- Il malfunzionamento determinerebbe subito un effetto di tipo osmotico come visto durante lo
studio dell’equilibrio di Donnan
- L’energia di cui necessita è fornita dall’idrolisi dell’ATP
- L’attività della pompa è elettrogenica, ovvero altera il potenziale membrana
- I fattori che modificano l’attività della pompa sono [Na+int], [K+est], T (più bassa è la temperatura,
più bassa è l’attività della pompa)

Il professore invita a riguardare alcune nozioni di elettrologia dal materiale che ha messo su moodle, tra cui i
concetti di carica, forza elettromotrice e dei circuiti elettrici, dato che è possibile fare analogie tra i
comportamenti di quest’ultimi con la membrana.

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Fisiologia – Lezione n° 07
23/10/2019

Data: 23/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento: FISIOLOGIA 23-10-2019.m4a
Controllore: F.Masini
Coppia: Renai- Rosi

EQUIVALENTE ELETTRICO DELLA MEMBRANA


La membrana cellulare separa due mezzi acquosi con composizione differente e presenta dei canali, cioè dei
pori acquosi, attraverso cui possono passare gli ioni. La caratteristica della membrana, cioè del doppio strato
fosfolipidico, di separare due soluzioni elettrolitiche, cioè soluzioni contenenti ioni liberi di muoversi, ma che
di per sé non possono attraversare il doppio strato, fa sì che la membrana si comporti come un condensatore.
I pori coincidono invece con porzioni di membrana attraverso cui passano gli ioni, ossia sono vie che
consentono il passaggio di particelle cariche e una carica che si muove è una corrente elettrica. Quindi il
doppio strato fosfolipidico si comporta come un condensatore e i canali ionici rappresentano delle resistenze
(si preferisce parlare di conduttanza, che è l’inverso della resistenza).

In questa rappresentazione circuitale abbiamo un elemento di


membrana, che separa il compartimento esterno dal
compartimento interno. Assumendo, per convenzione, che il
potenziale esterno sia zero, è possibile affermare che il
potenziale transmembrana sia di segno negativo e come
valore dell’ordine di qualche decina di millivolt. Le resistenze
sono i canali specifici per il sodio, il potassio e il cloro e
ciascuno ha una specifica conduttanza (indicata con Gx). Sono
presenti anche dei generatori di forza elettromotrice che
generano una corrente che va dal polo positivo (stanghetta lunga) al polo negativo (stanghetta corta). La
forza elettromotrice si può rappresentare come una differenza di potenziale, ma è la spinta che ciascuno ione
riceve a causa della sua differenza di concentrazione fra un lato e l’altro della membrana. L’equazione di
Nernst permette di conoscere, in condizioni di differenza di concentrazione per una specie ionica, la
differenza di potenziale che permette di annullare la spinta dovuta alla differenza di concentrazione, che
prende il nome di potenziale di equilibrio. Perciò calcoliamo questo valore e diciamo che il nostro flusso è
spinto da un gradiente di concentrazione che però può essere rappresentato dallo stesso potenziale che
servirebbe a fermarlo, di segno opposto.

RIPASSO DI ALCUNI ELEMENTI CIRCUITALI


CORRENTE ELETTRICA
La corrente elettrica I è definita come la quantità di carica elettrica q che fluisce in un punto di un circuito in
un determinato tempo t.
𝑑𝑞
𝐼 =
𝑑𝑡

Nel sistema internazionale l’unità fondamentale di misura non è il coulomb (C), che rappresenta la carica, ma
è l’ampere (A), che corrisponde a coulomb al secondo: [A] = [C]/[s]. La corrente elettrica può fluire nei
materiali che consentono il movimento di cariche elettriche, che sono detti conduttori.

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Fisiologia – Lezione n° 07
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I conduttori possono essere:

• Solidi: ad esempio i metalli, i cui atomi possono cedere elettroni (carichi negativamente) che si
muovono, più o meno liberamente, all’interno del materiale in risposta a una differenza di
potenziale.
• Liquidi: conduttori fatti da soluzioni elettrolitiche acquose, dove le cariche mobili sono portate da
ioni liberi in soluzioni, per esempio potassio e sodio (cariche positive), o cloro (ione negativo).

Se la carica mobile è positiva allora la corrente elettrica fluisce nella stessa direzione della carica. Viceversa,
se la carica mobile è negativa, allora la corrente elettrica fluisce nella direzione opposta a quella della carica.
È come se una particella negativa in movimento si lasciasse dietro di sé un eccesso di carica positiva rispetto
a quando è passata.

POTENZIALE ELETTRICO (VOLTAGGIO)

La forza elettrica, essendo una forza conservativa, ha associato ad una certa regione dello spazio una data
energia. Per comodità, nel caso della forza elettrica, si ragiona in termini di campo elettrico, una proprietà
dello spazio in cui si trova la carica. Per cui se una carica, che ha un certo valore, si trova in una regione di
spazio dove c’è un campo elettrico, subisce una forza che è uguale al prodotto del campo elettrico per la
carica
𝐸 = 𝐹/𝑞

Analogamente, al posto di parlare dell’energia posseduta da una particella in un determinato punto dello
spazio, si parla di potenziale. Il potenziale elettrico V è l’energia potenziale 𝛜 (epsilon) dovuta al campo
elettrico E per unità di carica (se uno ione ha carica 1 C, il valore del potenziale elettrico e quello dell’energia
potenziale elettrica coincidono). L’unità di misura del potenziale elettrico è il Volt, che corrisponde a joule
per coulomb: [V] = [J]/[C]. Come per tutte le energie potenziali, dovute a forze conservative, solo la differenza
di energia potenziale tra due punti ha un significato pratico e corrisponde al lavoro che viene compiuto dalla
forza del campo elettrico per spostare una carica da un punto all’altro dello spazio. Il valore della forza si
ricava facendo l’opposto della derivata dell’energia diviso lo spazio in cui questa energia varia:

𝑑𝛜
𝐹 = −
𝑑𝑥

Se prendiamo una regione abbastanza piccolo di membrana, è possibile assimilarla ad una superficie piana,
sulla quale il campo elettrico può variare in una sola direzione che è quella perpendicolare al piano della
membrana. Dalla precedente relazione è possibile ricavarne un’altra che mette in relazione il campo elettrico
e il potenziale elettrico:

𝑑𝑉
𝐸 = −
𝑑𝑥

LEGGE DI OHM
La legge di Ohm afferma che, data una resistenza R e una differenza di potenziale ΔV ai capi della resistenza,
l’intensità della corrente I che attraversa la resistenza è pari al rapporto fra la differenza di potenziale e la
resistenza:

𝑉. − 𝑉/
𝐼 =
𝑅

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Fisiologia – Lezione n° 07
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Esistono particolari conduttori, detti conduttori ohmici, la cui


resistenza non dipende dalla differenza di potenziale. I canali
vengono considerati dei canali ohmici, anche se esistono delle
eccezioni. La grandezza R è la resistenza del conduttore e si misura
in ohm (Ω). Nel caso in cui, al posto di parlare di resistenza di un
conduttore, ci riferissimo alla sua conduttanza G, l’intensità di
corrente che attraversa il conduttore andrebbe calcolata come il
prodotto della conduttanza per la differenza di potenziale ai capi
del conduttore (la conduttanza è l’inverso della resistenza).

Rappresentando graficamente la legge di Ohm si nota una relazione lineare fra l’intensità di corrente e il
voltaggio, cosa che permette di affermare che, ad una data temperatura, la resistenza del conduttore ha un
valore costante. La resistenza R è costituita da un elemento che può essere attraversato da cariche elettriche.
Se il materiale è omogeneo si definisce la resistività ρ, una sua proprietà intrinseca. La resistenza di un
conduttore dipende dalla sua geometria ed è legata alla resistività dalla relazione:

𝜌 × 𝑙
𝑅 =
𝐴

Dove l rappresenta la lunghezza del conduttore nella direzione del flusso di corrente e A l’area della superficie
attraversata. In generale, la resistenza di un conduttore è direttamente proporzionale alla lunghezza
attraverso cui scorre la corrente e inversamente proporzionale alla superficie che attraversa. Per quanto
riguarda la membrana, essa non ha una composizione omogenea a causa della presenza dei canali, ma
prendendo in esame, come parametro, la densità di canali è possibile considerare questo come un analogo
della resistività.

CONDUTTANZA
In fisiologia si usa più frequentemente il concetto di conduttanza G, che è l’inverso della resistenza e
l’analogo della permeabilità.

1
𝐺 =
𝑅

L’unità di misura della conduttanza è il siemens, pari a: [S] = 1/[Ω].

CONDENSATORI E CAPACITÀ
Il condensatore è un elemento capace di tenere separate delle cariche si
segno opposto contro una differenza di potenziale che tenderebbe a farle
muovere le une verso le altre. Dal momento che ai capi del condensatore si
ha una distribuzione di cariche non omogenea, si viene a creare una
differenza di potenziale. La proprietà peculiare dei condensatori è la capacità,
definita come il rapporto fra la quantità di carica depositata ai lati del
condensatore e la differenza di potenziale che si viene ad instaurare.

𝑞
𝐶 =
𝑉. − 𝑉/

L’unità di misura della capacità è il Farad (F), definito come [F] = [C]/[V]. Nella forma più semplice in
condensatore è costituito da due lastre conduttrici piane e parallele, dette armature, separate da un mezzo
isolante con costante dielettrica ε (caratteristica del materiale che attenua il campo elettrico all’interno del
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Fisiologia – Lezione n° 07
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materiale). In questa situazione, la capacità del condensatore risulta direttamente proporzionale alla
superficie delle due armature e inversamente proporzionale alla distanza fra le armature:

𝑆
𝐶 = 𝜀
𝑑

Attenzione: notare la differenza fra la definizione della capacità (prima formula) e la formula
che permette di calcolare la capacità di un condensatore formato da due armature separate
da un mezzo dielettrico (seconda formula). Qualora in sede d’esame venisse richiesta la
definizione di capacità è necessario indicare la prima formula sopra riportata.

Domanda da esame: definire la costante di tempo nel caso di carica del condensatore di membrana

La definizione della costante di tempo (τ) è “dato un fenomeno esponenziale, la costante di tempo è il
tempo dopo il quale il fenomeno è completo al 63%”.

Tornando al caso della membrana vista come un condensatore, le due armature sono rappresentate dalle
soluzioni elettrolitiche, esterna ed interna, con diversa composizione e il materiale dielettrico è il doppio
strato fosfolipidico. Quando il condensatore è inserito in un circuito non si ha passaggio di corrente fra le
armature, ma la quantità di carica depositata sui due lati varia. Tuttavia, poiché la corrente è I = dq/dt e la
capacità è C = q/(VA-VB), si può assumere che attraverso il condensatore scorra una corrente IC.

𝑑(𝑉. − 𝑉/ )
𝐼: = 𝐶
𝑑𝑡

La corrente può passare attraverso il condensatore solo finché la differenza di potenziale fra le armature
varia nel tempo.

CIRCUITI E LEGGI DI KIRCHOFF

Per un’analisi quantitativa di un circuito elettrico si usano le due leggi di Kirchoff:


1) Prima legge o legge della carica: la somma di tutte le correnti confluenti in
un nodo deve essere uguale a zero, considerando la corrente entrante con segno
positivo e quella uscente con segno negativo. Rappresenta la legge di
conservazione della carica.
2) Seconda legge o legge del voltaggio: in un circuito chiuso la somma di tutti i
potenziali elettrici deve essere uguale a zero. Rappresenta l’equivalente circuitale
della legge di conservazione dell’energia.

ELEMENTI IN SERIE E IN PARALLELO


Gli elementi di un circuito si dicono in serie quando
sono attraversati dalla stessa corrente (è una
conseguenza della prima legge di Kirchoff), mentre si
dicono in parallelo quando esiste una stessa
differenza di potenziale ai loro capi. Se ho delle
resistenze in serie, la resistenza totale è la somma di
tutte le resistenze. Le capacità in serie si sommano in
modo che il reciproco della capacità equivalente è la
somma dei reciproci di tutte le capacità. Delle
resistenze in parallelo presentano una resistenza

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Fisiologia – Lezione n° 07
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totale tale che la resistenza equivalente si calcola come 1/Req = 1/R1 + 1/R2 +… Per le capacità in parallelo la
capacità equivalente è la somma di tutte le capacità.

MISURA DEL CAMPO ELETTRICO ATTRAVERSO LA MEMBRANA


La formula che mette in relazione il campo elettrico con il potenziale elettrico è:
𝑑𝑉
𝐸 = −
𝑑𝑥

In questo caso, il potenziale transmembranario, preso in valore assoluto, è circa -70 mV, mentre lo spessore
della membrana è circa 5 nm. Perciò sostituendo questi valori nella formula risulta che il campo elettrico
attraverso la membrana plasmatica è dell’ordine di 14*106 V/m. Da questo valore risulta chiaro che la spinta
che ricevono gli ioni dal campo elettrico è molto grande.

EQUIVALENTE ELETTRICO DELLA MEMBRANA


Un condensatore con una superficie molto estesa può essere visto come composto da più condensatori posti
in parallelo fra loro. Questo è anche il caso della membrana: è possibile prendere una regione della
membrana e considerarla come un condensatore piano a facce parallele e considerare tutta la membrana
come un circuito elettrico costituito da capacità e resistenze in parallelo. Si può in questo modo definire per
la membrana, invece che la capacità, la capacità per unità di superficie, che è pari 1 μF/cm2.

Qui viene rappresentato un generatore di corrente che è


quello che viene usato per fare i test sulle caratteristiche dal
punto di vista tecnico della membrana.
Vedremo una serie di esperimenti, per esempio come cambia
la differenza di potenziale attraverso il condensatore
mandando una corrente attraverso la membrana. Questa
corrente, dal punto di vista sperimentale la prendiamo
semplice, ovvero pari ad un gradino di corrente, e vediamo
come reagisce la membrana. Chiaramente in natura non c’è il
gradino di corrente, ma se capiamo quali sono le proprietà
della membrana in risposta al gradino di corrente possiamo
estrapolare come si comporta in presenza di fenomeni più complessi; ad esempio sarà possibile comprendere
come la corrente generata dall’attivazione di canali, a seguito di una connessione sinaptica di un
neurotrasmettitore ai recettori sulla membrana, apre i canali che innescano il passaggio di una corrente che
depolarizza la membrana e fa partire il potenziale d’azione.

L’equazione di Goldman indica che al potenziale di membrana contribuiscono gli ioni sodio, potassio e cloro
in maniera relativa alla loro permeabilità. Questi concetti possono avere una rappresentazione elettrica
circuitale specificando nel dettaglio le vie conduttive dei singoli ioni. In ciascuna via conduttiva è inserita una
batteria, cioè un generatore di forza elettromotrice. Questa differenza di forza elettromotrice viene fornita
dall’equazione di Nerst. Va sottolineato che questa batteria non è una vera differenza di potenziale. Lo è solo
dal punto di vista circuitale, ma non fisicamente; essa infatti non è altro che il gradiente di concentrazione
che spinge quel dato ione.

Siccome il questo gradiente è bilanciato dal potenziale di equilibrio, che si calcola con l’equazione di Nerst, si
può dire che questa batteria è come se generasse una ddp dove questa ddp è il potenziale di equilibrio
calcolato con l’equazione di Nerst. La batteria rappresenta quindi una spinta che di per sé non rappresenta
una ddp, ma è dovuta al gradiente.
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Attraverso la membrana infatti abbiamo anche una ddp membranale che si può calcolare con l’equazione di
Goldman ed è la vera ddp elettrico. Dal punto di vista circuitale, si può dire che le correnti attraversano i
diversi rami, aventi uno la conduttanza dei canali al sodio, uno quella dei canali del potassio e uno quella del
cloro; ciascuno ione attraverserà il proprio canale spinto dal gradiente di concentrazione, rappresento come
fosse potenziale elettrico, che calcolo con il potenziale di equilibrio, ma inoltre è spinto anche dalla vera ddp
che calcolo con l’equazione di Goldman, indicata nel grafico sottostante come Em (precedentemente
chiamata Vm o Vp ) e che è la ddp tra interno ed esterno della membrana.

Ciascuno ione quindi è spinto sia dalla concentrazione che dalla ddp. La novità della rappresentazione
elettrica è che il gradiente di concentrazione può essere rappresentato come una ddp che però spinge quel
particolare ione e non gli altri. Quindi, è come se lo ione fosse spinto da una ddp totale che è il potenziale
transmembranale meno il potenziale di equilibrio. Questa ddp totale per un certo ione X è quindi Em meno
Ex e la corrente è data dalla conduttanza a quel particolare ione per la ddp che lo spinge.

Quindi lo ione è spinto da una ddp e da un gradiente di concentrazione che posso rappresentare come una
ddp che coincide con il potenziale di equilibrio. Questa è fondamentalmente la legge di Ohm. È I= Vm totale/
R, ma siccome l’inverso della resistenza è la conduttanza è come dire corrente uguale conduttanza per totale
di ddp attraverso la membrana per quel particolare ione. à Ix=Gx · (Em- Ex )

ANALOGO ELETTRICO DELL’EQUAZIONE DI GOLDMAN

Sulla base di queste considerazioni si può scrivere l’equivalente dell’equazione di Goldman per calcolare la
ddp transmembranale se conosco i potenziali di equilibrio e le conduttanze dei vari ioni. La conduttanza è
l’analogo della permeabilità, ma non è direttamente collegata alla permeabilità. Ad esempio, il potassio ha
permeabilità uno e il sodio ha permeabilità di 1 a 100, come conduttanza può succedere che il potassio abbia
conduttanza 1 e il sodio abbia conduttanza 1/7. Quindi, non c’è lo stesso rapporto tra valori di conduttanza
e permeabilità seppure siano concetti analoghi.

L’equazione di Goldman non è un’equazione di equilibrio, ma di stato stazionario, che si ricava mettendo a
zero la somma totale delle correnti generate dai flussi ionici. In questo caso faccio lo stesso e metto uguale a
0 la corrente di tutti gli ioni, imponendo che la somma delle varie correnti deve dare zero.

Risolta in Em possiamo scriverla come

Esempio domanda d’esame: tralasciando il cloro e l’effetto della pompa sodio-potassio, sono date una certa
concentrazione extracellulare di ioni ([K+]o [Na+]o), una certa concentrazione intracellulare ([K+]i [Na+]i) e il
rapporto di conduttanza tra potassio e sodio pari a 1/7.
Qual è la ddp transmembranale? (trascurando il cloro)
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Se ci fosse stato fornito il rapporto di permeabilità si sarebbe dovuto usare l’equazione di Goldman; ma
questo caso, avendo il rapporto di conduttanza, bisogna invece usare l’analogo elettrico dell’equazione di
Goldman [il professore ricorda che spesso in sede d’esame lo studente tende a utilizzare erroneamente questi
valori nell’equazione di Goldman, compiendo un grave errore poiché non si tratta di valori di permeabilità.
Invita dunque a prestare particolare attenzione a questo dettaglio]

Supponiamo che [Ko] sia 10 mM e [Ki] sia 100 mM, [Na+]o sia 100 mM e [Na+]i sia 10 mM e che la temperatura
sia pari a 37°C. Si calcola ENa e Ek .

Se non mi ricordo il segno e non so se è 100/ 10 o viceversa, posso ragionare sul fatto che il sodio viene spinto
dentro dalla sua differenza di concentrazione e che il campo elettrico deve essere opposto a questa, quindi
deve spingere lo ione fuori. Siccome i campi elettrici che spingono dentro sono quelli associati al potenziale
elettrico negativo questo campo elettrico deve diventare positivo, quindi sarà 100/10.

EFFETTO DELLA POMPA Na-K


L’equazione di Goldman vale se siamo in stato
stazionario con flussi passivi. Se dobbiamo tenere
conto dell’attività elettrogenica della pompa
sodio potassio, occorre far si che nella somma
uguale a zero di tutte le correnti ci devono
entrare anche le correnti generate dalla questa.
L’equazione che ne deriva, così come quella di
Goldman, se tiene conto della forza dell’azione
elettrogenica della pompa sodio potassio, ha
bisogno di una piccola modifica.

Analogamente all’equazione di Goldman, se


trascuro il cloro, che si ridistribuisce con un
gradiente di concentrazione che bilancia la ddp
transmembranale, dovrò fare la somma totale di tutte le correnti, tenendo anche conto che il rapporto tra la
corrente attiva generata dalla pompa del sodio e la corrente attiva generata dalla pompa potassio è pari a
n=3/2. n indica quindi un piccolo cambiamento dell’azione dove GK+· EK+ viene moltiplicato anche per 3/2. Va
notato che questo 3/2 è l’inverso di quel 2/3 visto quando si è fatta la modifica dell’equazione di Goldman.
Questo è l’analogo dell’equazione di Goldman calcolato con l’analogo elettrico della membrana, tenendo
conto anche dell’effetto elettrogenico della pompa sodio potassio.

Domanda: Cosa vuol dire effetto elettrogenico della pompa sodio potassio? La pompa ha un effetto
elettrogenico perché generando un numero non pari di cariche all’esterno e all’interno è un generatore di
corrente, cosa che altera il potenziale di membrana. Si dice quindi che ha una caratteristica elettrogenica.
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CARICA E SCARICA DI UN CIRCUITO RESISTENZA- CONDENSATORE

Vediamo cosa fa un circuito elettrico, con una resistenza e una capacità in parallelo, quando è attraversato
da una corrente.

Dati un generatore di corrente, che la mantiene fissa attraverso il sistema, e un misuratore di ddp, con una
grande resistenza interna, si osservi che, facendo passare un gradino di corrente, il potenziale attraverso i
capi di questo circuito (che rappresenta l’analogo potenziale transmembranale) parte dal potenziale di riposo
e cresce in maniera esponenziale fino a raggiungere il valore stazionario, nel quale la corrente continua a
fluire, ma la ddp non cambia più. Poiché è esponenziale posso definire una costante di tempo pari alla
capacità per la resistenza di questo elemento à τ=RC

La corrente che entra nel punto A, si divide nei due rami ed


è inizialmente tutta usata per caricare il condensatore fino
ad un certo valore; una volta raggiunto tale valore la
corrente attraverso il condensatore diminuisce in maniera
esponenziale e, sempre in maniera esponenziale, sale la
corrente attraverso la resistenza.

Alla fine, la corrente attraverso il condensatore non passa più, mentre continua a fluire in maniera costante
la corrente attraverso la resistenza. Ma perché non passa più la corrente attraverso il condensatore?
Sapendo che I= C · dV /dt, quando si raggiunge lo stato stazionario dV nel tempo non varia più e la carica
attraverso il condensatore non passa più, ma passa tutta attraverso la resistenza.

[n.d.c dall’audio il professore indica elementi definendoli come “qui”’. Da qui in avanti troverete parti in
corsivo e sottolineate che sono una mia deduzione supportata da slide e appunti]

Dimostrazione: Dati il generatore di corrente e l’interruttore, quando chiudo quest’ultimo parte una
corrente che rimane ad un livello costante. Come si esprime questo fatto? Si dice che la somma delle
correnti che passano attraverso i due rami, per la legge di Kirchhoff, deve essere uguale alla corrente che si
fa passare dal punto A. Essendo la corrente del condensatore IC= V/R e quella della resistenza IR=C(dV/dt)
dovrò imporre che la loro somma sia uguale a Io, ossia la corrente entrante nel punto A

La corrente che faccio passare da A, dato che so che alla fine passa tutta per la resistenza R e raggiunge lo
stato stazionario Vo, è uguale a Vo/R.
Il primo valore dell’equazione sopra riportata coincide con la corrente attraverso il condensatore, il
secondo alla corrente che passa attraverso la resistenza R e la loro somma deve essere in ogni istante
sempre uguale a Vo/R.

Ogni volta che si ha una grandezza che varia proporzionalmente alla grandezza stessa, la soluzione è di tipo
esponenziale. Questa varia in maniera proporzionale a Vo, ma c’è anche una parte costante: la soluzione di
questa equazione sarà quindi un esponente più la costante. Tenendo conto che al tempo iniziale la corrente
che entra è uguale alla corrente al tempo finale, si trova l’andamento temporale della ddp in funzione dei
paramentri dati (n.d.c si sta facendo riferimento all’equazione V= Vo[..] sopra riportata a seguito della freccia).
La forma generica è – t/ τ, ma al posto di τ il sistema mi dice che ci devo mettere RC quindi τ è uguale a RC.

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Fisiologia – Lezione n° 07
23/10/2019

Esempio domanda d’esame:

“Definite la costante di tempo e dite come si calcola la costante di tempo della depolarizzazione di membrana
in risposta ad una corrente a gradino”.
Risposta: La costante di tempo è quel tempo per cui un processo esponenziale è completo al 63% e τ, in un
sistema di membrana a circuito RC, si calcola come la resistenza per unità di superficie della membrana per
la capacità per unità di superficie della membrana.

Fin ora è stato considerato il caso in cui è stato chiuso l’interruttore e si è fatta passare la corrente, ossia il
processo di carica del circuito. Quando questo viene riaperto la corrente non passa più. Questa aiutava a
bilanciare la spinta che le cariche del condensatore avevano per riunirsi. Il condensatore infatti aveva un
accumulo di cariche negative sulle armature che avrebbero dovuto riunirsi, ma siccome c’era una corrente
che stava passando (e quindi che generava una ddp) non ce la facevano. Quando si apre il circuito e la
corrente non c’è più queste cariche si riuniscono.

Progressivamente il condensatore si scarica e genera una corrente che punta nel verso opposto rispetto alla
corrente del processo di carica. Si ottiene così un’equazione che, una volta risolta, ci dice che l’andamento
della ddp transmembranale è un andamento esponenziale, con la costante di tempo di nuovo pari a RC.
Se invece di una carica abbiamo una scarica del condensatore (che non si scarica fino alla fine, ma fino a
potenziale di riposo) vediamo che le correnti che passano attraverso il condensatore, al momento che apro
l’interruttore, sono costituite inizialmente da una forte corrente che poi diminuisce fino ad annullarsi. La
corrente che inizialmente passava attraverso la resistenza R smette quindi di passare e piano piano si
esaurisce. La somma delle due correnti è sempre la stessa e, in questo caso, è 0.

Se riconduco tutto questo alla membrana ottengo un


circuito che fa passare la corrente e un con cui registrare la
ddp transmembranale. Iniettando una corrente ottengo
una depolarizzazione perché diminuisce ddp da -60 a -40;
mentre se la faccio passare nell’altra direzione ho una
iperpolarizzazione.
Finchè non avvengono fenomeni attivi come l’innesco del
potenziale d’azione questi fenomeni detti elettrotonici
sono lineari, cioè se do un gradino di corrente doppia la
depolarizzazione è doppia, se do un gradino della metà la depolarizzazione è un mezzo e così via, perché
Vo= IoR dove R è costante (la conduttanza non cambia).

Quando inietto corrente attraverso questo elettrodo si dice che do una corrente entrante, ma dal punto di
vista circuitale la corrente è uscente, perché passa nell’elettrodo, ma a causa delle pareti di vetro isola la
corrente dalla membrana, attraversando quindi l’elettrodo e non le R di membrana.
Di conseguenza dal punto di vista circuitale questa corrente rispetto alla membrana circuitale è uscente.
In questo caso depolarizza, poiché dal punto di vista circuitale attraversa la membrana dall’interno verso
l’esterno, dato che dentro ce la porta l’elettrodo.

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Fisiologia I – Lezione n° 08

24/10/2019

Data 24/10/2019

Materia Fisiologia I
Professore Reconditi
File audio di riferimento FISIOLOGIA I 24-10m4a

Controllore Rinaldi
Coppia Scarpellini-Sforni

NELLA LEZIONE PRECEDENTE


È stata osservata la risposta della membrana nel
momento in cui è attraversata da corrente: risponde
passivamente aumentando o diminuendo la sua
polarizzazione. Di conseguenza, a causa di questa
corrente a gradino (ovvero che si sviluppa
rapidamente) di varia ampiezza, la membrana si
depolarizzerà o iperpolarizzerà esponenzialmente
seguendo una costante di tempo, intesa come il
tempo necessario perché il fenomeno sia completo
al 63%. La risposta passiva sarà lineare con la
corrente: se la corrente è doppia, doppia sarà la
depolarizzazione. Questo fenomeno non ha limite
per la iperpolarizzazione, producendo sempre
potenziali graduati (in linea con la corrente); invece
la depolarizzazione nel momento in cui supera un
valore critico, cioè il valore di soglia, innesca una
risposta attiva, che cambia drasticamente: il
potenziale d’azione.

IL POTENZIALE D’AZIONE
Nell’immagine qui sopra si osserva una corrente a gradino che depolarizza e iperpolarizza la membrana. In
questo caso, la corrente viene spenta prima che la depolarizzazione abbia raggiunto il valore asintotico,
determinando il decadimento. Il flusso di corrente dura meno del valore asintotico, inteso come tre volte la
costante di tempo. È inoltre riscontrabile come durante il potenziale di azione la membrana raggiunga una
Vm positiva, definita come eccedenza (l’interno rispetto l’esterno ha una carica positiva). il ritorno di Vm
(potenziale trasmembranario) al potenziale di riposo è spesso preceduto da una iperpolarizzazione postuma,
ovvero il potenziale di azione prima di raggiungere il valore di riposo fa una iperpolarizzazione. Il potenziale
d’azione si propaga senza decremento lungo l’assone, con le stesse proprietà con cui si diffonde un segnale
elettrico lungo un cavo circondato da un conduttore che presenta una resistenza infinitesima, pressoché
zero. La forma del potenziale d’azione varia tra i diversi tipi cellulari. Noi analizzeremo la cellula nervosa ma
nell’immagine rappresentata qui sotto sono osservabili i differenti potenziali d’azione presenti nella cellula

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Fisiologia I – Lezione n° 08

24/10/2019

nervosa, nel muscolo


scheletrico e nel cuore.
Ovviamente, queste
variazioni hanno un
significato funzionale. Per
esempio, nel muscolo il
potenziale di azione segue
una risposta meccanica,
una risposta semplice, una
salita di forza. Quindi se gli
stimoli sono molto
ravvicinati queste risposte
meccaniche salgono e si sommano, raggiungendo risposte elevate, fino al punto che, se la frequenza risulta
essere eccessivamente elevata, il muscolo rimane contratto (vedi il tetano). Invece, il cuore, dato che deve
continuamente contrarsi e poi rilassarsi, ha un potenziale che dura di più e non permette che si abbia un
secondo potenziale d’azione senza che sia prima terminato il primo. Questo fatto coinvolge la caratteristica
della refrattarietà che sarà trattata più avanti.

POTENZIALE D’AZIONE: RISPOSTA O TUTTO O NULLA


Il professore sottolinea che è una domanda che capita spesso all’esame.

La caratteristica fondamentale del potenziale d’azione è il suo essere una risposta tutto o nulla.
Nel momento in cui diamo uno stimolo che permetta alla depolarizzazione di arrivare alla soglia, il potenziale
d’azione si innesca e raggiunge un certo valore, allo stesso modo se la depolarizzazione indotta dallo stimolo
potesse raggiungere valori superiori, raggiunta la soglia, evocherebbe un potenziale d’azione della stessa
grandezza. Quindi, stimoli sovra-soglia evocano un potenziale d’azione di ampiezza fissa,
indipendentemente dall’intensità dello stimolo e se la soglia non è raggiunta non si avrà un potenziale
d’azione.

Ovviamente, la costante di tempo non cambia, è la stessa a prescindere dallo stimolo, dato che dipende dalle
caratteristiche della membrana (resistenza e capacità) e non dalla corrente che lo attraversa. Essa si può
definire quel tempo dopo il quale la variazione della grandezza ha raggiunto il 63% della variazione totale;
dato che anche il valore di soglia è il medesimo allora il tempo di raggiungimento dipenderà dall’ampiezza
dello stimolo perché imprimendolo di 0,5 raggiungerà il valore al tempo tau di 0,3 (0,5 * 0,63) invece
imprimendolo di 1 al tempo di 0,63. Ciò che è cambiato è il tempo in cui lo stimolo ha raggiunto il valore di
soglia. Perciò il potenziale di soglia viene raggiunto in tempi più brevi con stimoli di maggiore intensità.

Si può quindi costruire una curva definita come curva


intensità-durata dello stimolo: sulle ordinate si inserisce
il valore dello stimolo e sulle ascisse il valore del tempo di
durata dello stimolo per il raggiungimento del valore di
soglia. Tale curva permette di riscontrare la durata
minima che lo stimolo deve avere perché possa
raggiungere la soglia, ma anche di osservare che se il
potenziale di azione parte in tempi via via più ravvicinati
sarà maggiore l’ampiezza dello stimolo.

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Fisiologia I – Lezione n° 08

24/10/2019

NOMENCLATURA
Reobase: la minima intensità che uno stimolo di lunga
durata deve avere per superare la soglia.

Cronassia: la durata minima che uno stimolo di intensità


doppia alla reobase deve avere per superare la soglia. (è
possibile ricavare la cronassia dalla costante di tempo).

ACCOMODAZIONE
Il valore del potenziale soglia non è una costante assoluta.
Nella prima figura si osserva uno stimolo sotto soglia in cui
se si mantiene la depolarizzazione per un tempo sufficientemente lungo: il valore di soglia si alza e rimane
alzato fino a che non cessa la depolarizzazione, tornando al valore inziale.

Al contrario, nella seconda immagine c’è una corrente


iperpolarizzante e il valore di soglia si abbassa fino a quando non
cessa lo stimolo.

Qual è il significato fisiologico dell’accomodazione? Il nostro


organismo non è una macchina perfetta, i parametri non rimangono
sempre costanti: possiamo avere condizioni fisiologiche in cui
cambia il grado di concentrazione di soluti nel fluido extracellulare
per motivi diversi (patologia, fenomeno temporaneo). Quindi il
potenziale di riposo rispetto a questo valore può cambiare,
aumentare o diminuire. Nel caso in cui il sistema nervoso dovesse
decidere di mandare uno stimolo per innescare un potenziale di
azione che attivasse un muscolo, ma nel frattempo la situazione
dell’organismo è cambiata, per cui il potenziale di riposo di quella
cellula muscolare si è abbassato, la soglia si dovrebbe abbassare per
evitare il rischio di non far partire la risposta. In questo modo c’è
sempre la possibilità di avere una risposta agli stimoli. Ovviamente
nel sistema nervoso le cose sono più complicate, ci sono stimoli
eccitatori ma anche inibitori e quindi una variazione della soglia rispetto al valore di riposo di uno stesso
stimolo può causare fenomeni diversi. Sperimentalmente (figura c) si è visto che è possibile avere uno stimolo
iperpolarizzante così ampio che il valore di soglia con un po’ di ritardo può scendere sotto il valore di riposo.
Terminata la iperpolarizzazione e ritornati al potenziale di riposo, si può innescare il potenziale di azione.

Un altro esempio di accomodazione è rappresentato in questa immagine. Queste rette rosse rappresentano
4 tipi diversi di stimoli a rampa (rispetto alla corrente a gradino la corrente sale più lentamente) in blu è
rappresentata la curva di soglia che aumenta anche in base alla velocità in cui stiamo dando la corrente che
induce la depolarizzazione. Se la corrente a rampa ha una minor velocità la soglia si allontana ma ad un certo
punto verrà intercettata. Tuttavia, Se la corrente è molto lenta, allora anche la depolarizzazione è lenta e il
valore di soglia può avere il tempo di adattarsi a questa depolarizzazione che sta crescendo, quindi non
raggiungerà mai la soglia.

Dunque, questo esperimento mostra che i livelli del potenziale di soglia aumentano con la diminuzione
della pendenza della rampa. Nel caso d la soglia aumenta più rapidamente della corrente depolarizzante e
la soglia non è mai raggiunta.
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REFRATTARIETA’
La refrattarietà è un fenomeno che impedisce al potenziale
di azione di essere innescato in tempi brevi rispetto
all’innesco del primo, perciò la possibilità di avere un
secondo potenziale d’azione in coda ad un altro dipende dal
tempo intercorso fra i due stimoli.

In questa figura è presente un potenziale d’azione indotto


da un primo stimolo e di fianco un secondo stimolo che però
non riesce a far partire il potenziale. Se invece i due stimoli
sono ad una distanza maggiore l’innesco è possibile. (Questo
esperimento va letto confrontando il primo stimolo con il
secondo poi il primo con il terzo e così via fino a quando non
trovo il tempo minimo che intercorre fra due stimoli per
avere il secondo potenziale d’azione). Quindi, in seguito ad un potenziale d’azione la membrana diventa
meno eccitabile. A livello cardiaco la refrattarietà è così lunga rispetto alla risposta meccanica che impedisce
al cuore di rimanere contratto.

Tale caratteristica dipende dal fatto che il potenziale d’azione induce l’apertura dei canali per il sodio che si
aprono rapidamente e poi si richiudono e la loro chiusura determina proprio l’inattivazione.

Un’importante funzione di questo periodo refrattario è che impedisce il riverbero dei segnali, permettendo
loro di propagarsi in una sola direzione, senza poter tornare indietro nei punti in cui sono stati innescati.

I periodi di refrattarietà si dividono in:

• Periodo refrattario assoluto: periodo di tempo dopo uno stimolo sopra soglia durante il quale è
impossibile evocare un altro potenziale di azione, qualunque sia l’ampiezza dello stimolo.

• Periodo refrattario relativo: periodo di tempo dopo uno stimolo sopra soglia durante il quale un
altro potenziale di azione può essere evocato solo con stimoli di intensità superiore alla soglia per il
primo stimolo. Questo fatto non è in contrasto con il principio del tutto o nulla, perché interessa solo
la refrattarietà.

Successivamente vedremo che il periodo refrattario assoluto è dovuto alle proprietà dei canali del sodio,
invece quello relativo a quelle del potassio.

COME NASCE IL POTENZIALE D’AZIONE?


La membrana fosfolipidica presenta delle caratteristiche di permeabilità che però impediscono il passaggio
di ioni. Può essere assimilata a un circuito RC con resistenza e capacità in parallelo ed esperimenti a riguardo
mostrano che la risposta alla corrente a grandino si comporta proprio in questo modo.

Il potenziale d’azione è una risposta attiva non passiva, infatti, quando si raggiunge un certo valore soglia si
aumenta di tanto la possibilità di apertura dei canali voltaggio dipendenti che sono selettivamente permeabili
al sodio e che sono normalmente in uno stato chiuso. Precisamente, essi presentano una maggiore o minore
probabilità di essere aperti o chiusi nel caso in cui la differenza di potenziale sia rispettivamente sopra o sotto
soglia. Questi canali sono voltaggio dipendente per il sodio e quando si aprono aumentano ulteriormente la
depolarizzazione.

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La membrana è anche permeabile al potassio e infatti


quando si aprono i canali per il potassio aumenta di
molto la permeabilità, come accade per il sodio.

Gli esperimenti che hanno fatto trarre questa


conclusione si basano proprio sulla variazione della
concentrazione del sodio extracellulare. Tale
esperimento viene svolto con l’assone gigante del
calamaro che presenta delle condizioni fisiologiche
normali quando la concentrazione salina
extracellulare è molto simile a quella dell’acqua di
mare. Viene evocato pdA che raggiunge un
determinato livello.

Quando la composizione salina è cambiata, come in


questo caso in cui abbiamo il 33% della
concentrazione di sodio della soluzione extracellulare
come nella situazione di controllo, il potenziale di
azione ha questa forma. È cambiata la forma ma
soprattutto è cambiato il livello di depolarizzazione che ha raggiunto. Nella misura del punto 3 è stato
riportato l’assone nella soluzione salina fisiologica, ridato lo stimolo e il potenziale d’azione è tornato
praticamente quello che era prima. Questa reazione di controllo è importante per verificare che avere una
data concentrazione salina con il 33% di sodio in più rispetto a quello che aveva la soluzione fisiologica non
ha danneggiato l’assone, ma in compenso ha alterato il potenziale di azione. Si deduce che il sodio influenza
il potenziale d’azione. Nella parte b dell’immagine precedente vedete lo stesso esperimento, dove però la
composizione salina della soluzione extracellulare invece di avere il 33% di sodio è al 50% di sodio.

Questi esperimenti fanno vedere l’effetto sul potenziale d’azione della variazione della concentrazione del
sodio extracellulare. Le tracce 1 e 3 sono ottenute trasferendo l’assone gigante di calamaro in soluzione
fisiologica normale. La traccia 2 è ottenuta diminuendo la concentrazione di sodio, quindi è stato portato al
33% (in a) e al 50% (in b). Questa concentrazione extracellulare di sodio diluito è stata ottenuta sostituendo
al sodio, destrosio al 33% e al 50%. Perché metterci il destrosio? Per problemi di osmolarità. Si è detto infatti
che all’interno della cellula abbiamo una concentrazione di proteine con carica negativa, o comunque
proteine in generale, che non riescono a penetrare la membrana. Questa differenza di osmolarità prodotta
dalle proteine all’interno della cellula è compensata dalla grande concentrazione di sodio all’esterno della
cellula. Se ora questo sodio venisse tolto in maniera importante, si cambierebbe l’equilibrio osmotico
all’interno e all’esterno della cellula, la quale andrebbe incontro a lisi per eccessivo apporto di acqua. Invece
mettendo il destrosio, che non attraversa la membrana, questo contribuisce all’osmolarità e alla tonicità, e
quindi si mantiene l’equilibrio osmotico.

Comunque si vede che aver alterato la concentrazione del sodio ha alterato la risposta del potenziale
d’azione, perché quando nasce un potenziale di azione abbiamo l’apertura dei canali voltaggio dipendenti
del sodio, quindi permeabilità e conduttanza (se la si vuole vedere da un punto di vista del campo elettrico)
al sodio. A seguito della depolarizzazione, apro molti canali del sodio che prima non erano aperti, la
permeabilità al sodio aumenta, e l’equazione di Boltzmann dice che il nuovo potenziale, con questa nuova
permeabilità, si sposta vicino al sodio. Se succede la permeabilità al sodio diventa molto maggiore della
permeabilità al potassio.

Il potenziale d’azione è quindi descritto così: apertura di canali voltaggio dipendenti dei canali sodio→ la
permeabilità del sodio aumenta di molto→ l’equazione di Boltzman predice che si va verso un nuovo
potenziale di sodio. Un altro modo di vederlo è: apro i canali di sodio, ma il sodio è fortemente fuori
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dall’equilibrio, questa repentina apertura dei canali del sodio lo fa entrare, e così facendo il sodio genera una
corrente entrante che produce ulteriore depolarizzazione. Una corrente entrante che viene iniettata
attraverso la membrana.

Cercando di capire quanto il potenziale d’azione dipenda dal sodio, sono stati fatti degli esperimenti con
sodio e potassio radioattivo. È stato preso un assone tenuto fra questi due gancetti (glass hooks) ed è stata
fatta passare dell’acqua di mare attraverso l’assone. Un contatore Geiger viene usato per misurare la
radioattività dell’assone oltre alla radioattività del liquido che stiamo usando. Fondamentalmente se si
prende acqua radioattiva (nel senso acqua con sodio e potassio radioattivi) e ci si tiene l’assone, se la
membrana non fosse permeabile al sodio, quando si riporta l’assone in una soluzione priva di sodio
radioattivo, non si misura radioattività. Invece se la membrana dell’assone è permeabile al sodio, allora dopo
averlo riportato in una soluzione non radioattiva, oltre ad aver passaggio di sodio all’interno, esce anche
sodio dall’assone, quindi avremo una soluzione radioattiva. Lo stesso succede col potassio.

Sono stati fatti degli esperimenti in cui è stato portato un assone in condizioni di riposo da una soluzione
radioattiva a una soluzione non radioattiva. È stato visto che c’è stato uno scambio di sodio. Mentre l’assone
permane nella soluzione radioattiva, gli vengono
dati continuamente degli stimoli che fanno
partire diversi potenziali d’azione. Riportandolo
nella soluzione non radioattiva, si vede che
questa acquista radioattività, il che vuol dire che
l’assone aveva assunto sodio radioattivo. In
questo modo è stato visto che a seguito del
potenziale d’azione abbiamo effettivamente
un aumento del sodio che entra dentro l’assone
rispetto alla condizione di riposo. Invece per il
potassio si vede che a seguito del potenziale
d’azione abbiamo una leggera inversione del
potassio.

L’IPOTESI DI HODGKIN
Premessa storica: ai tempi di Hodgkin e Huxley che hanno sviluppato la teoria del potenziale d’azione i canali
non erano conosciuti. Loro hanno ipotizzato che attraverso la membrana ci fossero dei canali sulla base di
quelli che erano i risultati dell’esperimento. Ma al di là di questo anche senza sapere di questi canali, il dato
sperimentale è la permeabilità sulla conduttanza della membrana. Loro hanno misurato come cambia la
permeabilità o la conduttanza che sta sulla membrana durante il potenziale d’azione.

L’idea è questa: si ha una depolarizzazione che fa crescere la permeabilità o conduttanza dei canali del sodio
e quindi subentra o produce un ulteriore depolarizzazione che fa aprire altri canali, (visto che questi studiosi
non sapevano dei canali, dal loro punto di vista fu una depolarizzazione ad aumentare la permeabilità); la
permeabilità dà ulteriore depolarizzazione e di nuovo aumento della permeabilità o conduttanza della
membrana. Questo è un processo a feedback positivo e cioè l’effetto aumenta la causa dell’effetto stesso.

Un esempio di situazione a feedback positivo: se voi andate in un ristorante e parlate col vostro vicino
facendo rumore, le persone ai tavoli vicini per sentirsi devono alzare il volume della loro voce, ma a questo
punto siete voi che non sentite più e alzate la voce, e così via. Questo è un esempio di feedback positivo.

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Invece quello che succede al potassio è che una depolarizzazione aumenta la sua permeabilità. La
permeabilità al potassio è già alta nella situazione di riposo ma un aumento della depolarizzazione aumenta
ulteriormente la sua permeabilità. Ma il potassio al contrario del sodio dove è più concentrato? All’interno!
Quindi se aumento la permeabilità della membrana al sodio, il sodio entra e intanto depolarizza
ulteriormente. Invece quando la depolarizzazione aumenta la permeabilità al potassio (che ha una
concentrazione maggiore all’interno della membrana), quello esce iperpolarizzando. Quindi l’apertura dei
canali sodio innesca un feedback positivo: depolarizzazione→ aumento della conduttanza→ aumento della
depolarizzazione. Per il potassio è diverso: depolarizzazione→ aumento della conduttanza del potassio→
iperpolarizzazione, cioè diminuzione della depolarizzazione che ha determinato l’aumento di permeabilità
della membrana. Questo è quindi un feedback di tipo negativo. Cioè l’effetto neutralizza la causa. Mentre
quando è positivo l’effetto amplifica la causa.

COME PROVARE L’IPOTESI DI HODGKIN: IL BLOCCO DEL VOLTAGGIO


Come si può misurare questa polarizzazione o conduttanza? Viene misurata con la tecnica del blocco del
voltaggio, messa appunto dall’americano Cole e applicata con molto successo allo studio della genesi del
potenziale d’azione. Il blocco del voltaggio è un sistema a feedback per cui viene portata la polarizzazione, la
differenza di potenziale transmembrana, a un valore determinato e viene studiato come cambia la
conduttanza della membrana a seguito di un cambiamento nella polarizzazione transmembranale. Questi

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studi hanno determinato come cambia la conduttanza, quindi come cambia la permeabilità della membrana
ai vari ioni durante un potenziale d’azione. Sono stati quindi in grado di ricostruire il potenziale d’azione.

In cosa consiste il blocco del voltaggio? In


questo schema è presente un circuito
elettrico che è in grado di far passare una
corrente dall’interno all’esterno della cellula.
Come si è già visto si mette un elettrodo
dento una cellula e si può far passare
corrente entrante, poi corrente uscente da
un'altra cellula. Si è così in grado di
controllare questa corrente. Qui vedete un
circuito in grado di misurare la differenza di
potenziale transmembranale, con un
elettrodo all’interno e uno all’esterno; tra
questi due elettrodi passa una corrente e tra
questi due elettrodi si misura la differenza di
potenziale. Non viene data una corrente a
scelta, a gradino, a rampa, etc... , la corrente
data la decide la cellula stessa, perché lo
sperimentatore è interessato al fatto che la
differenza di potenziale transmembranale
resti la stessa, blocco della differenza di
potenziale, voltage clamp. Inizialmente viene
data una corrente che serve per portare la
differenza di potenziale da un livello di riposo
a un livello selezionato dallo sperimentatore.

Allora si pensi a cosa succederebbe se non venisse controllata questa differenza di potenziale: viene data una
corrente, per esempio si raggiunge il livello di depolarizzazione necessario ad aprire i canali sodio → i canali
sodio si aprono →entrano ioni sodio → cambia la permeabilità e la conduttanza → cambia la differenza di
potenziale transmembranale. Quindi sono cambiate un sacco di cose.

Nel caso invece del blocco del voltaggio si fa in modo che la differenza di potenziale non cambi valore. Si
suppone che si sia scelto un valore che inneschi il potenziale d’azione con il quale si hanno delle correnti
entranti (per esempio), quindi entrano ioni sodio e questa corrente entrante aumenta ancora la
depolarizzazione. Lo sperimentatore per abbassarla dovrà dargli una corrente uscente. A quel punto la cellula
risponde aumentando la permeabilità dei canali al sodio o al potassio, così facendo però si sviluppano delle
correnti che producono un cambiamento nella differenza di potenziale transmembranale. Il sistema si
accorge che rispetto al valore di comando, la differenza di potenziale sta andando in una direzione o
nell’altra. Inizialmente sta andando verso una depolarizzazione, e quindi dà una corrente iperpolarizzante, in
modo da annullare l’effetto di una corrente depolarizzante e rimane stabile la differenza di potenziale.

La risposta della cellula durante tutto lo sviluppo del fenomeno consiste nell’aumentare e diminuire la
differenza di potenziale e lo fa perché ci sono delle correnti ioniche che cambiano in risposta al cambiamento
di conduttanza, il sistema dà subito una corrente opposta, è un sistema in automatico. Lo sperimentatore
misura questa corrente che il sistema deve dare alla cellula per mantenere costante la differenza di
potenziale. Quindi la corrente che il sistema dà serve per mantenere la differenza di potenziale misurata
sempre uguale al segnale di comando che si è stabilito. Non solo si conosce la corrente che si sta dando al
sistema, si conosce anche la corrente che sta generando la cellula perché una deve essere opposta all’altra.
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Se una volta che si è raggiunta una certa differenza di potenziale ci fosse una corrente, o data dal sistema, o
data spontaneamente dalla cellula perché cambiano le conduttanze e non si è in uno stato stazionario,
cambierebbe la differenza di potenziale. Se la differenza di potenziale non cambia vuol dire che le correnti
totali non cambiano. Infatti, il sistema elettronico ogni volta che sente che la differenza di potenziale sta
cambiando dà, inietta o prende corrente dalla cellula, cioè fa passare corrente da un senso o dall’altro in
modo da contrastare quello che la cellula tenderebbe a fare. Siccome appunto la corrente che il sistema dà
deve essere alla fine uguale alla corrente che la cellula di per sé genererebbe, la corrente che si mette nel
sistema piatto, corrisponde in negativo alla corrente che la cellula avrebbe generato.

L’ipotesi di Hodgkin può essere provata registrando la corrente di membrana ai diversi valori del potenziale
transmembranale. Questo è possibile utilizzando un circuito elettronico esterno che permette di portare e
soprattutto mantenere la differenza di potenziale transmembranale a valori predefiniti, questa tecnica si
chiama del voltage clamp o blocco del voltaggio.

[Possibile domanda di esame: descrivi la tecnica del blocco del voltaggio.]

Si tratta di una procedura a feedback negativo, perché la causa che tenderebbe a far cambiare questa
differenza di potenziale innesca nel sistema esterno una risposta che diminuisce questa corrente. Il blocco
del voltaggio consente di mantenere il voltaggio a un valore predefinito, perché il sistema esterno dà, inietta
o preleva una corrente in grado di contrastare le correnti che spontaneamente si troverebbero nella cellula
e porterebbero la differenza di potenziale a cambiare rispetto al valore di controllo che viene imposto. Quindi
se Vm tende a diventare diverso rispetto al valore di comando (Vc), una corrente elettrica viene
immediatamente fatta passare attraverso la membrana in modo da annullare la differenza fra Vm e Vc. La
corrente generata dal circuito elettrico ha la stessa intensità, ma direzione opposta, rispetto alla corrente
generata dalla membrana. Qualcuno dirà che non è la membrana che genera la corrente, vero, ma la
membrana cambia le sue caratteristiche e quello che genera la corrente sono le diverse concentrazioni
ioniche da un lato all’altro della membrana, quindi la differenza di potenziale transmembranale. Come si è
appena detto con questa tecnica si sono viste quali sono le correnti generate durante un blocco del voltaggio,
non durante il potenziale d’azione.

Qui vedete un esempio in cui viene portato una differenza di potenziale transmembranale da -65 a +20 mV,
quindi con un gradino di voltaggio. Si noti la differenza dagli esperimenti che si sono visti in passato: il gradino
era ricorrente. Si portava la
corrente a gradino e si
guardava come cambiava la
risposta passiva della
membrana o la risposta attiva
nell’ipotesi in cui veniva
considerato il potenziale
d’azione. Qui lo
sperimentatore non controlla
la corrente, cioè la controlla
nel senso che poi deve fornirla
in maniera da dare la
tendenza a cambiare il
potenziale di membrana. Lo
sperimentatore vuole
controllare il valore della
differenza del potenziale di
membrana Vm. Si fa un
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gradino di differenza di potenziale, e si osserva la risposta in corrente, cioè la corrente che il sistema deve
dare per poter mantenere quel gradino. Si trova che si ha una corrente transmembranale dove abbiamo
ottenuto un picco di corrente, che si chiama corrente capacitiva. Dopo questo primo picco abbiamo una
corrente entrante che dura per un tempo transiente e dopodiché una corrente uscente ritardata.

Cosa rappresenta la corrente capacitiva? Durante il potenziale di riposo, prima che qualsiasi cosa succeda, la
differenza di potenziale attraverso la membrana è dovuta alle cariche depositate sui condensatori, cioè sulla
membrana esse rappresentano il condensatore; questa distribuzione di carica è legata alla differenza di
potenziale.

N.B. ricordare: capacità = q/ V quindi: carica = C*V.

C è costante: è la caratteristica della membrana, un doppio strato fosfolipidico con 1 microfarad per cm
quadrato. Quello che non è costante è V a questo punto perché lo si porta rapidamente dal valore di riposo
a un valore Vm. Quindi le cariche che erano sul condensatore si devono rapidamente distribuire per adattarsi
alla nostra situazione, il condensatore si ricarica per mantenere quella Vc che io do come comando, che voglio
corrisponda al Vm di membrana.

Una volta che si ha il blocco del voltaggio, Vc è la corrente a cui io voglio che rimanga la membrana, ma se il
sistema funziona Vm non è effettivamente uguale a Vc. Infatti tende a oscillargli intorno per dare al sistema
un feedback, se Vm è esattamente uguale a Vc non c’è piu un feedback, ma siccome si sta allontanando e
riavvicinando rapidamente dal valore di controllo, il sistema ribilancia Vm per restare intorno a Vc.

Quindi la prima risposta molto rapida che segue il primo gradino è la ridistribuzione di cariche nel
condensatore, dopodiché abbiamo una corrente che dura 20-50 millisecondi ed è diretta verso l’esterno. In
questo caso ovviamente la durata di 20-50 millisecondi in cui abbiamo questa corrente capacitiva dipende
dalla rapidità con cui il sistema riesce a portare la differenza potenziale, a fare il gradino insomma. Questa è
la velocità del gradino con cui fare il blocco del voltaggio. Dopodiché abbiamo una corrente transitoria di
tempo limitato in ingresso della durata di 1-2 millisecondi, ed in seguito una corrente ritardata in uscita che
permane per tutta la durata della depolarizzazione. Abbiamo una corrente che depolarizza: questa corrente
può essere divisa in una corrente per il sodio e una corrente per il potassio e vedremo quali sono i metodi.

La prima fase di corrente entrante è dovuta all’apertura dei canali sodio o per meglio dire all’aumento della
permeabilità o della conduttanza al sodio, che quindi entra. Perché il sodio entra? La membrana è poco
permeabile al sodio e ha poca conduttività, fa resistenza e il sodio riceve una spinta sia dalla concentrazione
sia dal potenziale transmembranale, una forte spinta a entrare. Ora che si aprono questi canali, il sodio entra
e si ha una corrente entrante. Dopodiché si aprono i primi canali del sodio e si richiudono ma si aprono i
canali per il potassio, e il potassio che era praticamente all’equilibrio riceve una piccola spinta a uscire. Se il
potenziale è a uno stato di riposo, si aprono poi ulteriori canali del potassio e la permeabilità torna come in
precedenza.

Si vede (osservando la figura qui sotto) che dal punto di vista sperimentale vengono dati via via valori di
comando della depolarizzazione della membrana. Nell’immagine si vede che finisce una depolarizzazione e
comincia una polarizzazione ma in senso opposto, più positivo all’interno rispetto che all’esterno della cellula.
Non è un’iperpolarizzazione ma è una depolarizzazione, cioè sta andando nella stessa direzione però di fatto
la polarizzazione per differenza di potenziale si è stabilizzata ed è aumentata. [Come linguaggio la depolarizzazione
vuol dire che la differenza di potenziale all’interno e all’esterno diminuisce, quindi si dice sempre che si sta andando verso una
depolarizzazione ma in realtà, la depolarizzazione è quella da riposo sta continuando nella direzione che avevi quando stavi
depolarizzando in realtà stai polarizzando la membrana ma in direzione opposta.]

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Nell’immagine si vede come cambiano le correnti quando il potenziale di comando è 26, 39, 52, 65 o 78
millivolt. Si può osservare che tra 39 mV e 52 mV la corrente entrante non c’è più. La permeabilità al sodio
aumenta ma c’è qualcos’altro che fa sparire questa corrente entrante. Se la conduttanza al sodio è aumentata
e non si vede una corrente entrante, forse vuol dire che il sodio non è così spinto a entrare anche se i canali
sono aperti.

Il potenziale transmembranale di riposo è molto vicino al potenziale di equilibrio del potassio. Il potassio non
ha una grande spinta né a entrare né ad uscire perché è molto vicino al suo potenziale di equilibrio. Inoltre,
il potenziale di riposo del sodio è +50 millivolt (si vede che il potenziale transmembranale è -90 mV) quindi il
sodio ha una forte spinta a entrare.

Mentre la differenza di concentrazione spinge il sodio all’interno, per fare in maniera che non entri, occorre
che il potenziale transmembranale lo spinga verso l’esterno. Il comando di arresto è un comando che ha
raggiunto il potenziale di equilibrio del sodio, tutti i canali si aprono ma il sodio che sarebbe spinto a entrare
per il gradiente di concentrazione, non entra perché la spinta data dal gradiente di concentrazione è
bilanciata e poi superata da
un potenziale
transmembranale che è
positivo e che spinge gli ioni
positivi a uscire, quindi non
solo non abbiamo l’entrata
del sodio ma abbiamo una
corrente uscente maggiore.
Cioè ho portato il valore di
comando al valore del
potenziale d’equilibrio del
sodio, quindi i canali si
aprono ma il sodio non
entra perché c’è una
differenza di potenziale
transmembranale che
bilancia la tendenza a uscire.

RACCORDO ALLA
LEZIONE SUCCESSIVA:
Si è detto che qui ci sono delle correnti che però non si riescono a distinguere se sono di sodio o potassio.
Come si può fare per distinguerle? Ci sono diversi metodi. In un metodo è stata sostituita parte del sodio
esterno con la colina, che non penetrando la membrana mantiene un equilibrio osmotico, in maniera tale
che le concentrazioni interna e esterna del sodio siano uguali. Se si ha una depolarizzazione a 0 volt, questa
non fa passare il sodio perché è bilanciato a entrare e a uscire. Quindi la sola corrente che si osserva è quella
del potassio. Quando si sostituisce il sodio con la colina, in modo che la concentrazione extracellulare di sodio
sia la stessa di quella intracellulare, si porta il valore di comando a 0. Il sodio non esce e non entra, quindi
non genera corrente; ma la corrente si vede ed è dovuta al passaggio del potassio. Se poi si sostituisce una
quantità variabile di sodio con la colina, si può tornare a fare il potenziale di equilibrio per il sodio, così si può
studiare la corrente di potassio ai vari potenziali di comando che gli vengono dati. Come si fa a costruire la
corrente del sodio? Sottraendo la corrente del potassio alla corrente totale.

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Fisiologia - Lezione n°09
25/10/2019

Data: 25/10/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Reconditi
File audio di riferimento: FISIOLOGIA-25-10-2019.m4a
Controllore: Tigano
Coppia: Tesi P. – Terreni O.

BLOCCO DEL VOLTAGGIO

[Il professore riprende la lezione precedente]


Dopo aver visto la tecnica del blocco del voltaggio, si possono misurare le correnti attraverso la membrana
cellulare. Il problema è che noi misuriamo la corrente totale.
Il sistema del blocco del voltaggio permette di portare la differenza di potenziale (ddp) transmembranario a
un valore di comando, che decide lo sperimentatore, e di mantenerla a quel valore. Dato che la membrana
viene portata a un valore diverso da quello del potenziale di riposo, si instaurano flussi ionici che andrebbe-
ro ad alterare il valore del potenziale.
Per cui una corrente che attraversa la membrana altera il valore del potenziale. Non solo: dato che questo
studio viene fatto per cercare di capire come cambia la conduttanza (o la permeabilità) della membrana a
seguito del potenziale di azione, possiamo osservare situazioni interessanti quando arriviamo a una depola-
rizzazione sopra soglia, che cambia le proprietà di conduttanza della membrana, cioè apre i canali o au-
menta la probabilità dei canali voltaggio-dipendenti del Na+ e del K+ di essere aperti.
Quindi come è possibile mantenere costante quel valore di comando?
Una cellula che cambia la sua permeabilità, o anche se non la cambiasse, per il fatto di essere ad un valore
diverso dal potenziale di riposo instaurerebbe delle correnti. Per mantenere quel Vc (potenziale) di coman-
do il sistema tramite un feedback negativo instaura delle correnti che devono bilanciare le correnti che la
cellula produrrebbe spontaneamente.
Quindi io misuro la corrente che dà il sistema: essa deve essere uguale e opposta a quella prodotta dalla
cellula a seguito delle diverse concentrazioni ioniche, della permeabilità etc.

Ma come fare per capire quale di queste correnti è dovuta ai vari ioni?
Ci interessa vedere come cambia la permeabilità al Na+ e al K+ (entrambi gli ioni sono coinvolti).

Un metodo potrebbe essere questo:


Decidiamo di vedere cosa succede provocando una depolarizzazione che porta il potenziale transmembra-
nario per esempio a 0V e si cambia la [Na] (concentrazione di sodio) esterna, che viene portata al valore di
[Na] interna. A questo punto 0 V vuol dire che non ci sono spinte di tipo elettrico e in particolare per il Na+
non ci sono neppure spinte di tipo chimico perché c’è la stessa concentrazione all’interno e all’esterno.
Quindi vuol dire che si possono aprire i canali o aumentare la permeabilità o conduttanza al Na+ a piacimen-
to ma il Na+ di fatto non passa, o meglio: è all’equilibrio, quindi passa ma senza creare un flusso netto, per
diffusione quello che esce è uguale a quello che entra.
La sola corrente che vedo è quella del K+.
Posso fare esperimenti a varie differenze di potenziale, avendo cura di cambiare la concentrazione di Na+
esterno, di modo che il rapporto di concentrazione tra interno e esterno bilanci la V di comando.
La V di comando deve essere equivalente al potenziale in equilibrio dato dalle concentrazioni di Na+ che ho
“aggiustato”.
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Attenzione: se utilizziamo questo metodo dobbiamo tener conto del fatto che il Na+ esterno non si può to-
gliere senza criterio perché si altererebbe l’equilibrio osmotico: parte del soluto esterno allora viene sosti-
tuito con colina, che non permea la membrana.
Riferendoci alle lezioni precedenti: se avessi messo l’alcol etilico al posto della colina questo metodo non
avrebbe funzionato perché l’alcol etilico può dare inizialmente la stessa osmolarità, ma poi passa la mem-
brana e quindi non ha effetto sulla tonicità della cellula. Altri procedimenti includono metodi farmacologici.

Riferendoci all’immagine:
-la curva rossa rappresenta la misura di corrente
che si ottiene quando non si altera la soluzione fi-
siologica esterna;
-quella verde indica la traccia che si ottiene dopo
aver creato una corrente del Na+ con il metodo
descritto in precedenza (Na+ ridotto).

Si può trovare la corrente del Na+ sottraendo la


corrente che si trova dopo aver annullato la cor-
rente del Na+, da quella totale che si ha in condi-
zioni fisiologiche normali. Abbiamo semplicemente una corrente entrante.
Lo studio non era indirizzato a capire quali sono le correnti, ma come variano le conduttanze o la permeabi-
lità di membrana. In realtà per le conduttanze è più facile ragionare dal punto di vista elettrico. Si cerca di
capire il potenziale di azione e allora, dato che siamo in condizioni di blocco del voltaggio, la ddp è fissata:
tutte le correnti che osserviamo sono in una condizione fissata di ddp, che è il potenziale di comando.

La legge di Ohm afferma che la corrente è uguale alla differenza di


potenziale (in questo caso il potenziale di comando) diviso R.

Ma poiché è anche vero che la conduttanza è l’inverso della resistenza


possiamo dire che la corrente è uguale alla conduttanza per la differenza di potenziale
e quindi la conduttanza è uguale alla corrente diviso la differenza di potenziale

Poiché nella tecnica del blocco del voltaggio la ddp è appunto bloccata, troviamo che la conduttanza è pro-
porzionale alla corrente che osserviamo, con la sola differenza che la corrente può essere entrante o
uscente, positiva o negativa a seconda del valore che si dà; la conduttanza è sempre positiva.
Quindi le curve dell’immagine in alto, al di là del valore che si mette sull’asse delle ordinate, mostrano
l’andamento della corrente che parallelamente è anche l’andamento della conduttanza ai vari ioni.

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Separazione farmacologica delle correnti


Sono stati osservati gli effetti del veleno tetrodotossina (TTX). Questo si trova anche nei Pesce Palla (i
Giapponesi devono stare molto attenti quando lo mangiano perché ha degli effetti letali) e blocca i canali
voltaggio-dipendenti del Na+, inibendo la genesi del potenziale di azione, perciò non permette il passaggio
di segnali elettrici attraverso il nervo e il muscolo. Quindi blocca la corrente del Na+ e ciò permette lo studio
della corrente del K+.
Nell’immagine a lato vediamo vari livelli della corrente:
a) la corrente totale;
b) la corrente del Na+ è bloccata dalla TTX: abbiamo
solo una corrente uscente, perché quella del K+ è uscen-
te. Se blocco la corrente del Na+ trovo quella del K+: la
differenza tra corrente totale e corrente del K+ è la cor-
rente del Na+
c) esiste anche la possibilità di inibire la corrente
del K+ con il tetraetilammonio (TEA). In questo caso esso
blocca la corrente del K+ e vediamo la corrente del Na+.

La corrente del K+ è sempre uscente, quella del Na+ è


uscente fino a un certo punto, dopo di che se si esagera,
continuando ad aumentare la Vc partendo da -60mV -> -
50mV -> 40 mV… a un certo punto di raggiunge un valore
tale che la differnza di potenziale transmembranaria fa sì
che il campo elettrico smetta di puntare verso l’interno e
punti all’esterno.
Sia il Na+ che il K+ hanno carica positiva e cercano di usci-
re: il K+ esce comunque perché è maggiormente concen-
trato all’interno rispetto all’esterno e aumenta la spinta ad uscire, per il Na+ tale spinta diminuisce.
Una volta che il Vc supera il potenziale di equilibrio del K+ per quella concentrazione, il K+ esce una volta che
si aprono i canali.

Domanda: si possono ottenere delle correnti di Na+ entranti? È possibile ma non perché si cambia la per-
meabilità (cioè se si raggiunge il valore soglia).
Però in realtà un po’ potrebbero passare gli ioni K+ perché il K+ è molto vicino all’equilibrio e se aumento
così tanto la ddp (andando verso la iperpolarizzazione) si può davvero andare oltre la ddp all’equilibrio del
K+ e farlo entrare. Tuttavia non è uno studio della conduttanza, perché non apro il canale voltaggio-
dipendente del K+: questo passa attraverso i canali che già conosciamo. In questo modo non si studiano le
correnti a seguito della differente conduttanza della membrana.

Gli studi di Hodgkin e Huxley

Hodgkin e Huxley facendo questi esperimenti hanno osservato come cambiano le conduttanze del Na+ e
del K+ in risposta a vari livelli di differenze di potenziale transmembranario e hanno trovato come tali con-
duttanze dipendano dalla ddp che è stata acquisita dalla membrana, e che, inoltre, hanno un andamento

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temporale. In questo modo sono state elaborate delle equazioni che descrivono il comportamento delle
conduttanze del Na+ e del K+.
Usando queste equazioni sono stati in grado di costruire l’andamento del potenziale d’azione. Le misure di
conduttanza sono fatte con il sistema di blocco del voltaggio perché è il sistema più controllato dato che
possiamo osservare come cambiano queste conduttanze.

Nella realtà, in situazione fisiologica, non abbiamo blocco del voltaggio ma un potenziale di azione: durante
il potenziale di azione la variazione di conduttanze e la variazione della ddp si influenzano a vicenda. Ab-
biamo una depolarizzazione: quindi aumenta la conduttanza e quindi la corrente, che aumenta e cambia la
ddp, che fa aprire di più dei canali o inibisce l’apertura di altri con il meccanismo di feedback negativo o po-
sitivo relativo ai canali del Na+ e K+. Il sistema è complicato ma Hodgkin e Huxley, avendo caratterizzato e
cambiato la permeabilità in funzione della ddp nel tempo hanno potuto inserire questi parametri in
un’equazione differenziale, studiare cosa il sistema prevedeva per il potenziale d’azione, riuscendo infine a
simularlo.
Nell’immagine accanto
osserviamo la misura del-
la conduttanza del Na+ e
del K+ a vari livelli di bloc-
co del voltaggio. I dati
sperimentali sono i pallini
mentre le curve colorate
rappresentano le equa-
zioni che sono state ela-
borate per descrivere
questo comportamento
alle varie ddp.

A questo punto i due studiosi avendo i va-


lori hanno formulato il sistema di equazio-
ni opportune e sono riusciti a riprodurre il
potenziale d’ azione. Nell’immagine sotto-
stante notiamo il potenziale d’azione ri-
prodotto e come variano le correnti del
Na+ e del K+ durante un potenziale
d’azione (non durante il sistema di blocco
di voltaggio).
Inoltre confrontiamo come è fatto un po-
tenziale di azione simulato da Hodgkin e
Huxley (a) in confronto con un vero poten-
ziale d’azione (b).

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Inattivazione e deattivazione
Il ritorno al valore di riposo della conduttanza se in parte disposta alla ripolarizzazione della membrana
prende il nome di “deattivazione”. Nell’immagine, sempre nel blocco di voltaggio, è rappresentato un po-
tenziale di riposo, un gradino di voltaggio di 56 mV e la traccia continua indica un perdurare del sistema di
blocco di voltaggio.
Osserviamo come cambiano le
conduttanze:
1. la conduttanza al sodio
sale rapidamente ma, pur
permanendo la ddp, a un
certo punto decade: que-
sto fenomeno si chiama
inattivazione ed è re-
sponsabile del periodo
refrattario assoluto;
2. la conduttanza del K+ in-
vece ci mostra una cosa:
(Attenzione!) non dob-
biamo dire che prima
cambia la conduttanza
del Na+ e poi quella del K+; iniziano a cambiare tutte e due ma la cinetica di sviluppo della condut-
tanza al K+ è più lenta. Si vede che lo sviluppo c’è ma all’inizio è lento e poi sale con un certo ritardo
rispetto alla conduttanza del Na+. Una volta che ha raggiunto il valore massimo, questo valore per-
mane se permane la depolarizzazione. Quindi i canali del Na+ si inattivano, i canali del K+ no.

La deattivazione si ha quando dopo aver mantenuto per un po’ la ddp, questa viene riportata al valore di
riposo: è la risposta alla ripolarizzazione di membrana.
La membrana è depolarizzata: si effettua una ripolarizzazione fino al valore di riposo e notiamo che si era
già esaurita la risposta alla conduttanza del canale Na+ in caso di disattivazione; ripolarizzando troviamo un
ritorno a un valore normale della conduttanza al K+. Questo andamento (il fatto che la conduttanza del K+
non diminuisca immediatamente ma abbia una certa cinetica) è responsabile del periodo refrattario relati-
vo, dove lo stimolo necessario per produrre un secondo potenziale d’azione può essere dato ma deve avere
un’ampiezza maggiore, perché il livello di potenziale di membrana da cui parto è più basso del normale po-
tenziale di riposo.
Se la deattivazione, il ritorno al valore di potenziale di riposo del potenziale transmembranale, viene fatta
avvenire prima di avere esaurito la risposta della conduttanza al Na+, con una rapidità maggiore della inatti-
vazione, la deattivazione è più veloce nel riportare il valore della conduttanza al Na+ a valori pre-stimolo.
Non ci accorgiamo di niente per il K+ perché è uno stimolo così breve che il canale voltaggio-dipendente del
K+ non ha modo di sviluppare una conduttanza.

Inattivazione  dipende dalla risposta intrinseca dei canali del Na+, dalla conduttanza al Na+;
Deattivazione  dipende dal fatto che la ddp transmembranale è stata riportata al valore di riposo.
Al tempo di Hodgkin e Huxley i canali non si conoscevano, poi sono stati individuati e di alcuni canali oggi
addirittura conosciamo la struttura “atomica” perché sono state usate tecniche di cristallografia sulle pro-
teine.

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Schema strutturale del canale del sodio


Sulla base di alcune osservazioni sperimentali si
può immaginare la struttura di un canale del
Na+: l’immagine accanto mostra un esempio
proposto, molto schematico, che rappresenta
le parti della proteina.
Vediamo il foro centrale, il filtro selettivo, che
fa passare gli ioni, e un modello proposto per i
sensori della ddp.
Questa immagine suggerisce un modello mec-
canicistico di come le cose potrebbero andare
conoscendo qual è l’ambiente in cui facciamo i
nostri esperimenti.
Immaginiamo che questa proteina si comporti
come se avesse una parte che può ruotare at-
torno al resto della proteina su un perno di ro-
tazione. In basso si nota una leva che blocca il canale e una parte che ha un eccesso di cariche positive.
Supponiamo che nella proteina, da un punto di vista delle forze meccaniche, attraverso le sue forze interne
elettrostatiche che si trasformano in forze di tipo elastico (se si ha un oggetto rigido e si cerca di piegarlo la
forza che si percepisce è quella elastica) normalmente la leva possa stare aperta. Allora la parte globulare
(nella rappresentazione) quando la leva è abbassata (aperta) sta più in alto.
Nella condizione di riposo abbiamo un campo elettrico che punta dall’esterno verso l’interno. Un campo
elettrico così su una particella o molecola carica positivamente tende a spostarla verso il basso, quindi se la
condizione dovuta alla struttura meccanica della molecola tiene la porta aperta, il campo elettrico, agendo
sulla parte carica della proteina, tende a farla spostare e chiude il canale: il canale è chiuso perché c’è un
equilibrio tra la forza che tende a tenerlo aperto e la forza elettrica che tende a tenerlo chiuso.
Quando si ha una depolarizzazione il campo elettrico diminuisce d’intensità (non è necessario che inverta la
polarità, basta che diminuisca l’intensità) di modo che la forza strutturale che tende a tenere aperto il cana-
le vince: a seguito della depolarizzazione la carica è meno spinta in basso, la forza che tenderebbe a far fare
questa rotazione intorno a questa struttura vince, il poro si apre e il Na+ passa. È un modello meccanicistico:
è stato proposto così, ma non è detto che sia tale.

La pronasi
È stato visto che se viene perfuso l’interno dell’assone con una miscela di enzimi proteolitici (in grado di ta-
gliare esclusivamente le proteine) e in particolare con la pronasi, (a differenza di quando viene applicata
all’esterno dell’assone che non succede niente), se applicata all’interno, sul lato citosolico del canale, che si
affaccia nell’ambiente intracellulare, riesce a inibire l’inattivazione: dopo il trattamento con la pronasi i ca-
nali del sodio non si inattivano più. Questo ha suggerito il modello ‘ball and chain’.
Tutta la proteina viene tagliata dalla pronasi. In assenza di questa proteina si pensa che la particella di inat-
tivazione, a seguito del permanere nella polarizzazione, fa in modo che la porta si apra, poi con una cinetica
più lenta a seguito della depolarizzazione questa ball (particella) di inattivazione richiude il poro.
Grazie a queste caratteristiche dei canali e della conduttanza, Hodgkin e Huxley sono stati in grado di ripro-
durre i potenziali di azione: ma come si propagano questi potenziali di azione?

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Abbiamo visto che se si instaura una corrente in un certo punto dell’assone e se questa corrente è sotto so-
glia avviene una salita della ddp in maniera esponenziale, poi, dato che si supera la soglia c’è l’effetto ‘tutto
o nulla’ per cui innesco il potenziale d’azione.
Questa depolarizzazione, sia elettrotonica o potenziale graduato, sia il potenziale d’azione, come si propaga
lungo la cellula? [Per rispondere a questa domanda vediamo delle equazioni: non importa seguirle passo-
passo, l’importante è capire i concetti.]

Schema dei circuiti elettrici: una certa regione della membrana può essere vista, dal punto di vista elettrico,
come un parallelo di conduttanze e capacità.

Nell’immagine sottostante sono indicate la conduttanza al K+ e al Na+, L sta per leakage: ci sono dei canali
specifici per alcuni ioni e canali in cui gli ioni possono fluire indipendentemente dalla “specie ionica”, ap-
punto i canali leakage.

A differenza di ciò che abbiamo visto in preceden-


za stavolta le conduttanze al K+ e al Na+, se voglia-
mo tenere conto che la conduttanza può cambiare
in risposta alla depolarizzazione, hanno il simbolo
della resistenza variabile (freccettina), perché può
variare a seconda della differenza di potenziale.
Poi c’è la ddp transmembranale che è valida per
tutti gli ioni, mentre la spinta che spinge ciascuno
ione oltre questa è anche la “batteria” che è
l’analogo elettrico di qualcosa che elettrico non è: la spinta del gradiente di concentrazione.

Le spinte dovute al gradiente di concentrazione, dato che spingono gli ioni producono una ddp, ma non si
tratta di vere e proprie ddp perché se lo fossero spingerebbero indifferentemente tutti gli ioni.

Propagazione elettrotonica nell’assone


Per capire la propagazione del segnale immaginiamo l’assone come un conduttore cilindrico (assoplasma),
circondato da una guaina non perfettamente isolante (membrana), immerso in una soluzione elettrolitica
esterna estremamente conduttiva. Questa rappresentazione ricorda quella di un cavo sottomarino di con-
duzione telegrafica e infatti lo sviluppo della teoria che cerca di spiegare come si propaga il segnale elettri-
co lungo l’assone si basa su quella teoria già consolidata che spiega come si propagava il segnale elettrico in
un cavo sottomarino.

[Il problema della propagazione del segnale è il seguente: è necessario mandare un segnale dall’Europa agli
Stati Uniti con un cavo che attraversi l’oceano. Il segnale elettrico è costituito da una corrente che deve rag-
giungere la sua destinazione senza decremento d’intensità. Tuttavia la guaina che riveste il cavo sottomari-
no, così come quella dell’assone, ha comunque delle perdite. L’assone quando vuol propagare il segnale
d’azione ha un meccanismo specifico, ma dal punto di vista passivo si comporta come un cavo sottomarino.]

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Trattazione teorica

[Il professore afferma che non chiederà di mostrare come si propaga il segnale usando le equazioni, ma ba-
sterà usare i concetti.]

Immaginiamo l’assone. Prendiamo delle porzioni, degli anellini con una certa espansione spaziale, lunghez-
za x relativamente piccola in modo da considerare una regione con comportamento omogeneo. In ciascuna
di queste regioni il condensatore è distribuito dappertutto ma anche le conduttanze/resistenze sono distri-
buite dappertutto perché abbiamo i canali (in questo caso non voltaggio-dipendenti, perché si sta facendo
l’esempio di propagazione elettrotonica) distribuiti omogeneamente per tutto l’assone.

Si inietta una corrente in un punto,


questa si propaga lungo l’assone e
poi in ogni punto essa può prose-
guire lungo l’assone o può sfuggire
attraverso la parete dell’assone,
cioè la membrana. Succede que-
sto: se si inietta corrente questa
parzialmente carica il circuito RC, innesca la depolarizzazione, ma una parte di questa corrente continua a
fluire lungo l’assone. Poi si trova in un’altra regione e anche qui parte della corrente fluisce attraverso la
membrana e in parte prosegue, e così via.

Ogni volta che la corrente attraversa la membrana in quel punto dà luogo a una depolarizzazione, ma que-
sta non avrà sempre la stessa ampiezza, perché l’ammontare della depolarizzazione dipende, con un feno-
meno passivo, in maniera lineare dalla corrente che attraversa la membrana. La propagazione di un segnale
passivo in queste condizioni è detta elettrotonica. Ogni volta che la corrente attraversa la membrana quello
che resta è sempre una corrente di minore intensità, quindi c’è sempre meno corrente che può attraversa-
re la membrana in zone successive dell’assone.

Nel punto in cui si inietta la corrente si ha una depolarizzazione massima, se ci si sposta, si perde la corrente
gradualmente perché va a depolarizzare una zona e così via. Quindi l’onda di depolarizzazione decrementa
la sua ampiezza via via che ci si allontana dalla zona in cui si inietta la corrente o dove si è innescato il po-
tenziale di azione.

Le equazioni mostrano nel dettaglio come procede l’onda della depolarizzazione: essa procede in maniera
tale che se si guarda l’ampiezza lungo l’assone che si ha a seguito di una corrente a gradino, questa depola-
rizzazione decresce con la distanza in maniera esponenziale e, come abbiamo definito una costante di tem-
po, qui possiamo definire una costante di spazio o di lunghezza che ha significato analogo: la costante di
lunghezza è quella distanza per la quale il fenomeno ha un’ampiezza del 37% rispetto a quello che era lo
stato iniziale o l’ampiezza del fenomeno si è ridotta del 63% rispetto a quella iniziale.

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Trattazione quantitativa
Fissato l’asse di x parallelo
all’asse del cavo, si prende
un anellino di questo con-
densatore di ampiezza dx e
si può definire:

Se la lunghezza che consideriamo è dx la resistenza in quella direzione sarà r = · dx.

resistenza · unità di lunghezza (transmembranaria), ma stavolta la resistenza non la

chiamo · dx ma r = perché una certa resistenza per unità di lunghezza è l’analogo di una resisti-
vità e la resistività diventa resistenza quando moltiplico la resistività per la distanza che deve percorrere la
corrente che passa attraverso quella resistenza o l’area che deve attraversare mentre passa attraverso
quella resistenza.

Se la corrente lungo l’assone va in una certa direzione la resistenza che trova è maggiore quanto maggiore
è la distanza ( · dx).
Tuttavia quando deve attraversare la membrana questo cambia. Quando dx è più lungo l’area attraversata
è più grande, se dx è più corto l’area attraversata è più piccola e dato che qui la corrente passa non in un
senso ma nell’altro, per attraversare la membrana maggiore è dx, maggiore è l’area a disposizione della
corrente, minore è la resistenza. ( )

Per quanto riguarda il condensatore: se la lunghezza è dx e è la capacità per unità


di lunghezza, la capacità che si trova è · dx perché la capacità aumenta all’aumentare dell’area.
Se abbiamo = la distanza tra le armature d non cambia (o comunque ho riferito per unità

di lunghezza) ma cambia la superficie che gli compete.

Si usano queste resistenze e capacità per unità di lunghezza perché è il modo migliore per esprimere
l’equazione che spiega come si propaga il segnale, ma alla fine trasformeremo le unità di lunghezza in unità
di superficie perché sono quelle più aderenti alla fisiologia, che rispondono di più alle caratteristiche della
membrana, mentre la resistenza e la capacità per unità di lunghezza dipendono non solo dalle caratteristi-
che e proprietà della membrana ma dalla geometria dell’assone: se l’assone ha un diametro più grande
, e ne sono influenzate, mentre e ( )non ne sono influenzate.

Anche la resistenza esterna cambia per la corrente che fluisce in questa direzione:

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r= · dx
Poiché il mezzo esterno ha una ampiezza volumetrica abbastanza grande ed è molto conduttore,
tende ad essere 0.

La resistenza esterna tende a 0, che [in maniera ‘bizzarra’, non del tutto corretta secondo il prof] mettendo

il segno di messa a terra in tutti i punti di questo circuito, la corrente che passa attraverso è au-
tomaticamente 0, perché mettendo il segno a terra in tutti questi punti del circuito significa che la ddp tra
un capo e l'altro è 0, ddp = 0 e quindi la corrente non passa. possiamo considerarlo uguale a 0.

La capacità di membrana è più o meno costante perché dipende soltanto dal doppio strato fosfolipidico che
ha sempre lo stesso spessore e costituzione.

È necessario ricordare che spesso si usano le misure μF· : la cosa conveniente è quella di portare queste
unità di misura non per unità di lunghezza ma di superficie per avere valori costanti e separare la caratteri-
stica della membrana per struttura dalla caratteristica geometrica, soprattutto il raggio dell’assone.

Rispetto al Potenziale di Riposo, che prendo come se fosse lo zero, voglio vedere come cambia la differenza
di potenziale lungo l’assone in seguito al passaggio di corrente. La legge di Ohm mi dice che se attraverso
una certa resistenza passa una certa corrente, ho una caduta della differenza di potenziale che è uguale alla
corrente per la resistenza. posso considerarlo zero, so che è per unità di lunghezza, quindi se lo
moltiplico per dX mi trovo la resistenza (R), la corrente dentro l’assone è , quindi la differenza di poten-
ziale è data da questa formula: ( ) . [Equazione 1]

Notate che non cambia il potenziale esterno, ma è il potenziale interno che sta cambiando. Se E indica la
differenza di potenziale, dE invece rappresenta la variazione della differenza di potenziale lungo quel seg-
mento di assone dX al passaggio della corrente ( ).

Vediamo cosa succede attraverso il pezzetto di membrana lungo dX: questa equazione dice che la corrente
attraverso la membrana è uguale alla somma della corrente che passa attraverso il condensatore e la cor-

rente che passa attraverso la resistenza di membrana. [Equazione 2]

Abbiamo detto già che attraverso una capacità (condensatore) non passa una corrente vera e propria, ma si
ha una ridistribuzione delle cariche sulle due lamine del condensatore che può essere vista come una cor-
rente che attraversa comunque il circuito. Siccome la capacità della membrana è costante e allora

. La misurazione essendo fatta nel tempo, la Capacità (C), essendo costante, non varia e la dif-
ferenza di potenziale (E) diventa la variazione della differenza di potenziale (dE).

L’ultima equazione ci dice come varia questa corrente lungo il segmento dX. Essa decresce in maniera
da tenere conto che una parte della corrente viene persa passando attraverso la membrana ( ).

[Equazione 3]

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Equazione del cavo


Combinando insieme le tre equazioni si trova quella che è l’equazione del cavo:

L’equazione apparentemente non sembra difficile, ma risolverla è complicato. È molto simile all’equazione
della diffusione, dove la derivata seconda della concentrazione rispetto allo spazio era proporzionale alla
derivata della concentrazione rispetto al tempo (l’analogia nell’equazione del cavo riguarda la differenza di
potenziale). [Vediamo di semplificarla.]

Nel circuito RC, è la costante di tempo Tau (τ). Se moltiplico tutta l’equazione del cavo per a sini-

stra mi ritrovo ; a destra verrebbe che ha come risultato τ e si semplifica diven-

tando E. Allora se definisco Lambda (λ) come √ che chiamerò Costante di Spazio e Tau

(τ) come allora l’equazione del cavo potrò riscriverla in questa forma:

Se si volesse davvero vedere come si propaga il segnale lungo questo cavo si dovrebbe risolvere questa
equazione, però si possono fare delle considerazioni. La considerazione più semplice da fare non è di vede-
re come cambia il sistema, ma di vedere quale sarà il nuovo stato stazionario che si raggiunge a seguito del
livello di corrente che sta perdendo. Quindi se si va a studiare direttamente lo stato stazionario dopo la

perdita di corrente, si avrà un’indipendenza dal tempo. Allora nell’equazione del cavo potrò trascurare ,
che quindi diventa:

L’equazione finale avrà soluzione del tipo esponenziale perché se si ha un’equazione in cui la derivata è
proporzionale alla funzione, l’andamento allora è esponenziale. Quindi allo
stato stazionario la differenza di potenziale che si raggiunge nelle varie zone
dell’assone decresce in maniera esponenziale con questa costante di spazio λ,

che è definita come √ . Siccome però si considera la trascurabile,

con una certa approssimazione potrò quindi riscrivere λ così:

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Esempi di domande d’esame: il professore potrebbe chiedere come è definibile la costante di tempo e da
quali parametri dipende nella trasmissione elettrotonica. Stessa domanda potrebbe farla per la costante di
spazio. La definizione per la costante di tempo Tau (τ) sarà il tempo entro il quale il fenomeno sarà com-
pleto al 63%. Per la costante di spazio Lambda ( ) sarà la distanza dopo la quale la variazione della diffe-
renza di potenziale, innescata da una corrente a gradino, è diminuita del 63%. Tau dipende dalla resisten-
za e dalla capacità, moltiplicati tra di loro. Lambda dipende da diviso . Se si va a studiare il sistema
su unità di superficie invece che su unità di lunghezza, la definizione di lambda non sarà la medesima e non
dipenderà dagli stessi parametri. Comparirà come nuovo parametro aggiuntivo il raggio dell’assone; vice-
versa Tau, indipendentemente se si studia su unità di superficie o di lunghezza, dipenderà dagli stessi pa-
rametri (resistenza e capacità).

Questa immagine riassume un po’ quello che è sta-


to detto. Si inietta la corrente in un punto
dell’assone, questa fluisce nelle due direzioni e si
ha depolarizzazione della membrana. Via via che ci
si allontana dal punto di iniezione, l’ampiezza della
depolarizzazione decresce. Se si riporta come sta
decrescendo la depolarizzazione fino allo stato sta-
zionario si nota appunto un andamento esponen-
ziale (nell’immagine lo 0.36 è sbagliato, dovrebbe
essere scritto 0.63, che sta a significare il decre-
mento).

[Una studentessa del Canale A ha domandato al


professore come mai nell’assone il segnale si pro-
paga in una sola direzione, mentre nell’immagine si
propaga sia a destra che a sinistra. Anzitutto nell’immagine non è raffigurato il potenziale di azione, perché
il potenziale di azione si propaga in una sola direzione per via della refrattarietà e per l’inattivazione dei ca-
nali per il sodio, questo invece è un segnale elettrotonico. Anche se venisse fatto partire un potenziale di
azione sarebbe andato lo stesso in entrambe le direzioni a partire dal punto di iniezione e non sarebbe potu-
to tornare indietro. Nell’assone, in condizioni fisiologiche, il potenziale si propaga in un’unica direzione per-
ché il punto di origine dell’eccitazione è a livello del colletto assonico (il cono di emergenza).]

Da unità di lunghezza ad unità di superficie

Se si sostituiscono le resistenze e le capacità per unità di lunghezza ( e ) con le resi-


stenze e le capacità per unità di superficie (R e C) si trovano queste 3 relazioni (immagine
a destra):

1) la resistenza interna per unità di lunghezza ( ) è legata alla resistenza interna


per unità di superficie ( ): infatti dividendo per , ovvero la superficie
della sezione dell’assone (essendo un cilindro) dove “ ” è il raggio, si trova . Maggiore è la su-

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perficie, minore è la resistenza. Di solito si fa l’esempio del flusso d’acqua: se il tubo è stretto, ac-
qua ce ne passa poca, se lo allargo di acqua ce ne passa di più. Il discorso è il medesimo per la cor-
rente e la resistenza: conduttore con sezione piccola, di corrente ne passa meno, se si allarga la se-
zione, la corrente passa meglio. Si può considerare come una resistività e come l’effettiva
resistenza;

2) la seconda relazione si riferisce al caso in cui la corrente fluisce attraverso la membrana e non
dentro l’assone: stavolta la superficie che si considera è la superficie dell’anellino. Se si svolge que-
sto anellino, si ottiene un rettangolo la cui base è la circonferenza dell’anello (circonferenza asso-
ne) e l’altezza sarà pari a 1 visto che è per unità di lunghezza;

3) per quanto riguarda la terza relazione: la capacità segue il ragionamento che se è maggiore la su-
perficie, maggiore sarà la capacità.

Con queste relazioni, la costante di spazio  e tempo , possono essere riscritte sostituendo i parametri
, e , con i corrispettivi parametri per unità di superficie. Si trova che  è sempre Rm per Cm.
Per quanto riguarda invece  non si ha lo stesso tipo di semplifica-
zione che abbiamo per , infatti diventerà dipendente dal raggio (a).
Maggiore è la superficie dell’assone, maggiore sarà .

Quindi tornando alla domanda d’esame: se per  non c’è


differenza tra unità di superficie o di lunghezza, per  inve-
ce dipende dalla situazione. [Possiamo dire di esprimere 
per unità di lunghezza e allora useremo (rm/rin), ma il professore preferirebbe che usassimo  in termini di
superficie. In ogni caso però va specificato se per unità di lunghezza o di superficie, perché se non è specifi-
cato allora è un errore.]

Per trovare effettivamente la velocità di propagazione del segnale, sulla base delle equazioni che abbiamo
visto, si dovrebbe risolvere l’equazione e si trova che la velocità è proporzionale alla radice quadrata del
raggio:

In un libro di testo veniva detto che  avendo come unità di misura una distanza e  un tempo, allora la ve-
locità di propagazione era uguale a /, ma questo non è propriamente giusto e serve solo per far capire
meglio l’equazione [quindi se il prof chiede come si calcola la velocità non bisogna rispondere con /].

Quindi come mai il calamaro ha sviluppato l’assone gigante? Perché l’assone è collegato al segnale di fuga e
la propagazione del segnale deve essere necessariamente veloce. Maggiore è la dimensione dell’assone,
maggiore è la velocità di propagazione. Le fibre dei mammiferi pur essendo di calibro minore (ordine del
micron), consentono comunque una più alta velocità di propagazione per il fatto di essere mielinate.

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Fisiologia - Lezione n°09
25/10/2019

Propagazione del potenziale d’azione

Teoria dei circuiti locali


Ora bisogna capire come avviene la propagazione del potenziale d’azione. Ci viene in aiuto la teoria dei cir-
cuiti locali. Tale teoria afferma che in un certo punto se si dà uno stimolo sopra soglia, si evoca un potenzia-
le d’azione, quindi una forte depolarizzazione. Secondo la teoria del cavo, questa depolarizzazione si tra-
smette al segmento vicino, ma in modo attenuato. Per quanto attenuata però, è così alta che risulta sopra
soglia anche per il segmento vicino, il quale apre i suoi canali del sodio e fa partire un’altra depolarizzazione
che andrà ad interessare un altro segmento vicino. Mentre nella propagazione elettrotonica pura si aveva
una corrente che veniva persa attraverso la membrana, in questo caso invece si ha generazione di corrente
da parte dei canali del sodio. Lo stimolo primario non è il più importante per il fatto che è la nuova corren-
te generata dai canali per il sodio a ridare lo stimolo. Se quindi si ha perdita di corrente attraverso la
membrana, la corrente verrà ri-
generata nel segmento successi-
vo per il fatto che lo stimolo era
sopra soglia.

In questa slide viene fatta vedere


una schiera di misuratori di diffe-
renza di potenziale con i vari
tempi. Un voltmetro fa notare
come ogni misuratore percepisce
una variazione di potenziale nei
vari momenti. Notate come non
appena si genera un potenziale
d’azione su un misuratore, subito
dopo si ha un ulteriore potenziale
di azione misurato dal misuratore
successivo.

La propagazione del potenziale di azione è longitudinale. Se


la propagazione elettrotonica si sposta in entrambe le dire-
zioni, la propagazione del potenziale di azione va in un’unica
direzione per il discorso della refrattarietà e per
l’inattivazione dei canali per il sodio sul segmento preceden-
te.

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Fisiologia - Lezione n°09
25/10/2019

Dimostrazione dei circuiti locali


L’esistenza dei circuiti locali è difficile da dimostrare. Quello che si è detto torna, ma è difficile da verificare
realmente. Dato che il potenziale di azione rigenera costantemente una corrente, aprendo i canali del so-
dio, nasconderebbe queste correnti locali. Allora un metodo per verificare queste correnti locali è di avve-
lenare o anestetizzare un segmento di assone, anche raffreddare ha lo stesso effetto sui canali per il sodio.
È stato visto che facendo partire un potenziale di azione, nella zona non anestetizzata, il potenziale si pro-
paga senza decremento, mentre nella zona anestetizzata si propaga ma diminuendo di intensità. Questo
perché i canali del sodio sono chiusi in quel segmento e non potranno rigenerare una corrente.

C’è da dire che se alla fine del segmento anestetizzato si misura un potenziale diminuito, ma comunque so-
pra soglia, questo potrà indurre nel segmento subito dopo (che non è più anestetizzato) un nuovo potenzia-
le di azione. Se invece alla fine del segmento anestetizzato il potenziale è al di sotto della soglia, questo non
potrà innescare un nuovo potenziale e quindi la propagazione si arresta. [Il prof consiglia di usufruire del
programma Metaneuron (gratuito) e invita a inserire l’email per aiutare gli sviluppatori a capire se stanno
facendo un buon lavoro o no: http://metaneuron.org/ ]

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Fisiologia – Lezione n° 10
30/10/2019

Data: 30/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento: FISIOLOGIA-30-10-2019.m4a
Controllore: Valgimigli
Coppia: Tozzetti - Ulivi

PROPAGAZIONE POTENZIALE D’AZIONE


[n.d.s. il professore ha detto che per chi sta studiando dal libro di fisiologia, c’è una tabella riassuntiva dove
vengono indicati i vari tipi di trasporto e le loro caratteristiche e c’è un’inversione tra il trasporto facilitato
ed il flusso che riguarda il passaggio di ioni, ossia c’è un errore di stampa in cui questi sono invertiti]

In questa lezione verranno analizzate la conduzione saltatoria (cioè la propagazione del potenziale d’azione
nelle fibre mieliniche) e la tecnica del “patch clamp”, la quale ha permesso di misurare il singolo canale
ionico e di vedere come il canale non è propriamente aperto o chiuso ma ha una certa probabilità di essere
in uno dei due stati; inoltre, se un canale viene attivato, la probabilità di essere aperto aumenta, ma c’è
sempre una fluttuazione tra stati aperti e stati chiusi.

LA CONDUZIONE SALTATORIA
Il potenziale d’azione può propagarsi dalla
regione da cui parte lo stimolo, via via lungo
l’assone o la fibra multipolare: tale
propagazione si può spiegare con la teoria dei
circuiti locali. Se, per esempio, viene iniettata
una certa corrente depolarizzante in una
determinata zona dell’assone, questa può
prendere due vie: in parte corre lungo l’assone
e provoca depolarizzazione (ovviamente a
livello locale), in parte esce attraverso la
membrana e causa un ulteriore
depolarizzazione anche in questa regione. Via
via che la corrente si sposta lungo l’assone e
man mano che esce, decresce: infatti, è in
parte fuggita dalle vie di fuga, ossia dalle conduttanze attraverso la membrana. Quindi la corrente che si
trova a distanza degli epicentri rispetto al punto in cui io ho usato gli stimoli è una corrente sempre più
debole; allo stesso modo la corrente attraverso la membrana sarà proporzionalmente più debole. Questo ci
riporta al caso dei potenziali elettrotonici, ossia dei potenziali che si propagano soltanto in maniera
passiva, quindi quelli dei canali voltaggio-dipendenti.

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Fisiologia – Lezione n° 10
30/10/2019

Parlando della costante di spazio, questa è


stata definita come una lunghezza lungo la
quale l’ampiezza della depolarizzazione è
ridotta del 63% rispetto al suo valore finale.
Il potenziale di azione funziona in maniera
analoga, solo che, dal momento in cui si va ad
aprire dei canali voltaggio-dipendenti, la
depolarizzazione di ogni regione è molto alta.
Sempre per la teoria dei circuiti locali, anche in
questi casi si può pensare di avere una grande
quantità di corrente che fluisce lungo l’assone,
che però diminuisce ogni volta che trova lungo il
suo percorso delle vie di fuga.
Questa depolarizzazione che si propaga è però
così alta che ha sempre un’ampiezza sopra
soglia tale da far riaprire i canali voltaggio-dipendenti e da innescare un nuovo potenziale d’azione.
Facendo questo, la polarizzazione torna a un valore uguale a quello della regione da dove è partito lo
stimolo, quindi di nuovo si propaga nella regione vicina che si autorigenera: per questi motivi ha poco senso
parlare di “costante di lunghezza”.
Tuttavia, questa costante di lunghezza è la distanza in corrispondenza della quale l’iniziale
depolarizzazione, se non si disinnescasse il potenziale d’azione, andrebbe a decadere lungo l’assone.
È stato visto tramite un esperimento che il potenziale d’azione generato da una certa regione, quindi senza
il meccanismo auto-generativo, è in realtà una depolarizzazione che si propaga con decremento in zone
vicine. Una zona dell’assone viene “anestetizzata”, ad esempio abbassando fortemente la temperatura,
oppure bloccando i canali con agenti farmacologici: se si misura la depolarizzazione dopo aver fatto partire
un potenziale d’azione, lungo questo tratto di membrana la depolarizzazione è pari a quella che è stata
generata nel punto di inizio; ma, se si misurano le zone successive si può osservare una specie di
“fantasma” del potenziale d’azione, un decremento. Se alla fine della zona anestetizzata questo
decremento è stato sufficiente o così ampio da portare a un valore sotto soglia la depolarizzazione che si è
propagata, allora questo decremento della depolarizzazione prosegue fino a esaurimento. Al contrario se,
arrivati alla fine della zona anestetizzata, la depolarizzazione è ad un valore sopra soglia, in quel punto
riparte il segnale.
La costante di spazio in resistenze per
unità di superficie si ricava (facendo
riferimento alla formula dell’immagine a
lato) come la radice quadrata del raggio
dell’assone per la resistenza di
membrana di unità di superficie, diviso
due volte la resistenza interna (cioè
quella che la corrente trova “dentro”
l’assone).
[n.d.s. Il professore aggiunge riguardo
alla formula presa in esame: “Se a un
esame vi chiedessi questa formula, nel
caso in cui scriviate la formula senza il
“2” non lo considererei un errore, ma nel
caso in cui non mettiate la “a” lo considero errore.”]

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Fisiologia – Lezione n° 10
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La costante di lunghezza è anche legata alla velocità di


conduzione: più grande è la prima, minore è il decadimento, e
di conseguenza il segnale si propaga con velocità maggiore.
Quindi, per propagare il segnale a velocità maggiore, occorre
aumentare il raggio dell’assone.
“𝑅𝑖 ” intesa come “densità di resistenza”, non cambia, e allo
stesso modo neanche “𝑅𝑚 ” mediamente varia: quindi per
alterare la velocità di propagazione vado ad agire sul raggio
dell’assone “a”. Infatti, nel caso analizzato in figura, un
diametro di circa 1 mm permette una rapida propagazione del
segnale.
Un’altra strategia per aumentare la costante di lunghezza è
quella trovata nelle fibre mieliniche. Queste hanno un
avvolgimento lipidico, il quale funziona quasi come se fosse
soltanto membrana cellulare (quindi da un punto di vista elettrico è un isolante) che forma 100 o più strati
sull’assone, con alcune interruzioni ogni 1-2 mm note con il nome di “nodi di Ranvier”.

Qui è presentato uno schema: molti assoni dei


vertebrati ed alcuni di invertebrati sono avvolti in una
guaina mielinica che è discontinua.
Nel sistema nervoso periferico troviamo le cellule di
Schwann, nel sistema nervoso centrale si trovano gli
oligodendrociti, ma il concetto non cambia. Questa
guaina mielinica, aumentando lo spessore del doppio
strato fosfolipidico, diminuisce la conduttanza e
aumenta la resistenza: il doppio strato fosfolipidico è
un isolante. Supponiamo che ci sia un canale con
un’altissima conduttanza, e poi a rivestirlo delle
cellule di Schwann, e che tale canale si trovi in serie
con un canale mielinico a conduttanza praticamente zero. Una conduttanza alta in serie ad una
conduttanza vicina allo zero dà una conduttanza totale vicina a zero e, al contrario delle resistenze che si
sommano, le conduttanze in serie hanno formula:
1 1 1
= +
𝐺𝑡𝑜𝑡 𝐺1 𝐺 2

Questo doppio strato fosfolipidico aggiuntivo aumenta 𝑅𝑚 e aumentando 𝑅𝑚 , aumenta la costante di


lunghezza. Il problema è che si propaga in un tratto maggiore, ma in una regione in cui inibisco le correnti
uscenti e quindi inibisco il reinnesco di altro potenziale d’azione. Inoltre, se aumento lo spessore, e quindi
lo strato fosfolipidico, la capacità per unità di superficie diminuisce. Infatti, nel caso di un condensatore a
facce piane parallele, la capacità è uguale alla costante dielettrica del mezzo per la superficie, diviso la
separazione fra armature, come in formula:
𝑠
𝐶=𝜀⋅
𝑑

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Fisiologia – Lezione n° 10
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In questo caso lo strato fosfolipidico


aumenta lo spessore del
potenziatore e quindi allontana le
due armature, ossia allonatana la
superficie della membrana che si
espone sul liquido intracellulare e la
superficie della membrana sul lato
extracellulare.
Nelle fibre mieliniche il potenziale
d’azione nasce solo a livello dei nodi
di Ranvier, dove si interrompe la
mielinizzazione: a livello di questi
abbiamo quindi un’alta densità di
canali. Le correnti elettrotoniche
viaggiano rapidamente da un nodo
all’altro in quanto, grazie alla
mielinizzazione, la costante di
spazio è molto aumentata. La velocità di propagazione del potenziale d’azione in un assone non mielinato
può variare da 1 a 10 di m/s, con la mielinizzazione arriva anche a 100 m/s. Si genera quindi la conduzione
saltatoria: il potenziale d’azione non è rigenerato
a ogni punto, e questo consente una
propagazione più rapida. La mielinizzazione ha
anche una convenienza energetica:
fondamentalmente la concentrazione di sostanze
nell’ambiente intra ed extra cellulare rimane
sempre costante, ed è proprio l’azione della
pompa sodio-potassio che mantiene questo
equilibrio fisiologico. Bisogna però ricordare che
lo scopo della pompa sodio-potassio non è quello
di ristabilire la differenza di concentrazione dopo
che è passato un potenziale d’azione; in questo
modo viene trasmessa l’idea sbagliata che
entrino molti ioni sodio a cambiare la
concentrazione. Infatti, come è stato visto
nell’equazione di Nerst, le cariche che si devono accumulare sui due lati del condensatore (quindi della
membrana) per ostacolare la successiva diffusione per gradiente di concentrazione, sono poche rispetto a
quella che poi è la concentrazione riscontrata. È comunque vero che la permeabilità al sodio non è “0” e
quindi una piccola quantità di sodio passa attraverso la membrana. Perciò, anche in condizioni di riposo, gli
ioni passano attraverso la membrana. La pompa sodio-potassio ATP-dipendente è concentrata soltanto
nelle regioni locali e compie quindi meno lavoro per mantenere la differenza di concentrazione fisiologica.
L’energia consumata dalla pompa sodio-potassio è circa un terzo del metabolismo basale e quindi è molto
elevata.
Supponiamo di voler innescare il potenziale d’azione dando un’intensità di corrente in varie regioni della
cellula: se ci troviamo davanti a dei nodi di Ranvier lo stimolo che si deve dare è relativamente piccolo; se
invece ci troviamo regioni diverse, la corrente da imprimere è maggiore perché il livello soglia è più alto.

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Fisiologia – Lezione n° 10
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La velocità di propagazione è legata alla costante di spazio e


quindi, a livello teorico, la velocità varia con la radice quadrata
del raggio dell’assone. Una curva di questo tipo si ritrova
anche nella diffusione.
La relazione teorica prevista per le fibre mieliniche è una
relazione lineare tra la velocità di propagazione del potenziale
di azione e il diametro della fibra. Per fibre di diametro più
piccolo di 1 micron, però, la velocità di propagazione è minore
nelle fibre mieliniche che in quelle amieliniche.
Questo è parzialmente vero perché quando si esprime il
diametro di una fibra si parla del diametro di tutta la fibra,
quindi se ho una fibra non mielinica con un certo diametro
“a”, e ho una fibra mielinica con diametro anche questo “a”, nel primo caso,
ad esempio, si avrà un diametro di 4-5 nanometri, nel secondo anche 400
nanometri (n.d.s. in quanto si deve tenere di conto non solo del doppio strato
fosfolipidico ma anche degli avvolgimenti assonici), quindi alla fine il lume
del canale all’interno dell’assone è ridotto e la resistenza interna per unità di
superficie è aumentata.
Inoltre, per valutare il vantaggio di avere delle fibre mieliniche o meno
bisogna considerare anche la questione dello spazio: in una certa regione il fatto che ci possa passare un
solo assone, più assoni o molti assoni può avere un significato importante, ad esempio, per il controllo di un
muscolo (un numero maggiore di assoni controlla infatti in maniera più efficiente).

Nel grafico accanto è riportato cosa


succede se viene dato uno stimolo in
un certo punto del nervo. La
registrazione del potenziale di azione
da un nervo a grande distanza dal
punto di eccitazione mette in evidenza
diverse componenti. Questo perché
nel nervo sono presenti fibre di
diverso diametro e quindi
caratterizzate da diversa velocità di
conduzione.
Nel grafico, quando si parla di
potenziale di azione, si possono
osservare la depolarizzazione, il raggiungimento della soglia e l’innesco del potenziale d’azione, ossia la
“gobbettina” della carica del condensatore. In altri grafici tale “gobbettina” non è presente, in quanto essa
si trasmette con un potenziale elettrotonico. Quindi, la prima depolarizzazione della membrana si
trasmette con un elemento passivo. Perciò un’intensità molto elevata fa sì che la soglia venga raggiunta in
maniera molto rapida, per cui non ho più questa prima depolarizzazione. Il decremento di tale segnale è
praticamente nascosto.

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PATCH CLAMP

Il patch clamp è il “blocco” di una regione di membrana, è


cioè lo studio delle correnti che passano attraverso una
piccola regione di membrana, auspicabilmente così
piccola che contiene un solo canale ionico e permette,
quindi, di studiare le caratteristiche di tale canale ionico.
Viene utilizzata una micropipetta dai bordi arrotondati per
evitare di danneggiare la membrana, e una leggera
suzione fa stare in stretto contatto la membrana con i
bordi della pipetta. Dunque, tutte le correnti che possono
essere generate, o comunque che passano, sono quelle
che hanno attraversato la membrana in questo “patch”.
Tali canali sono molto densi in queste regioni, e vengono
perciò fatti esprimere certi tipi di canali in cellule in cui c’è una densità più ridotta.

Come si è già detto, con il metodo del patch clamp si


possono studiare le proprietà di una piccola regione di
membrana. Una micropipetta è a stretto contatto con una
piccola area di membrana. Una piccola suzione attraverso
la pipetta stabilisce un contatto stretto con la membrana
e nessuno ione può fluire attraverso la pipetta da regioni
della membrana diverse da quella selezionata.
Con questa tecnica è possibile misurare la corrente che
fluisce attraverso il singolo canale ionico rivelando
quando il canale è aperto (fluisce corrente) o chiuso (non
fluisce corrente).

Le correnti attraverso il singolo canale sono dette correnti microscopiche, e qui si può vederne un esempio
(immagine a lato), e si può notare che caratteristiche abbiano: a volte ci sono, altre no, ma hanno una certa
ampiezza ben definita. Sono definite “microscopiche” per distinguerle dalle correnti macroscopiche che
scorrono attraverso un grande numero di canali su un’area della membrana più ampia. Quando sommiamo
tante di queste correnti microscopiche, la
somma (singola) si comporta in maniera
molto simile ad una corrente macroscopica.
Il singolo canale, quindi, ha la probabilità di
essere aperto o chiuso, e se questa
probabilità è (*parola non comprensibile
dal file audio*, probabilmente dice
“uguale”) per tutti i canali che compongono
l’area, si trova la corrente macroscopica.
Prendiamo un singolo canale su cui si fa un
esperimento con patch clamp associato a
voltage clamp e si esegue una prima misura
e poi, successivamente, se ne fanno altre.
Sommando la serie di misure a singolo

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Fisiologia – Lezione n° 10
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canale si ottiene un andamento di corrente analogo ad una misura su tutta l’area della membrana. Si può
quindi affermare che il singolo canale è rappresentativo, statisticamente, di tutti i canali.

La somma di molte correnti registrate dal singolo


canale, ottenute nella stessa condizione sperimentale,
è equivalente a quella ottenibile simultaneamente da
molti canali.
Le misure con patch clamp hanno dimostrato che la
maggior parte dei canali del sodio voltaggio
dipendenti si apre nei primi 1-2 ms che seguono la
depolarizzazione della membrana: proprio quello che
ci dice la corrente macroscopica del sodio, dalla quale
posso ricavare la conduttanza media; infatti, dato
G=I/V e V è costante, posso dire che G è
proporzionale a I.

Questo è un dato sperimentale riportato come in letteratura, dove


questa corrente è la somma di 300 esperimenti di voltage clamp fatti
su un singolo canale: non si riconosce quello che sta succedendo se
non che i canali per il sodio sono per lo più chiusi dopo i primi ms
essendo avvenuta l’inattivazione. Qui è riportato un aumento della
probabilità di apertura del canale che, sommata insieme, dà la
corrente microscopica, la quale appunto assomiglia a quella
macroscopica.

L’intensità dello stimolo non aumenta la conduttanza


del singolo canale, ma la probabilità di trovarlo nello
stato aperto. Questo esperimento in qualche modo lo
fa avvenire. Qui accanto sono riportate delle misure
di corrente, da singolo canale, di ampiezza circa
dell’ordine del picoampere. Si vedono vari livelli di
potenziale di membrana.
[n.d.s. Il professore sottolinea che, usando libri
diversi, è possibile trovare nelle varie lezioni
convenzioni diverse: ad esempio, quando è stata vista
la tecnica del voltage clamp, quello che veniva
riportato non era tanto il potenziale di membrana,
quanto il salto dal potenziale di membrana al nuovo
potenziale di membrana; ma il concetto non cambia
in quanto il potenziale di membrana è il potenziale di
riposo più il salto, quindi uno corrisponde all’altro].
Nel grafico a lato è riportata la differenza di
potenziale transmembranario. Si è detto che
l’intensità dello stimolo non aumenta la conduttanza
del singolo canale, ma la probabilità di trovarlo nello
stato aperto. In questo caso viene dato uno stimolo di diversa intensità. Possiamo dedurre ciò dal fatto che
questo porta il potenziale a vari valori differenti dal potenziale di riposo; la corrente però sembra un po’
diversa.
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Questo perché, nel grafico soprastante, ogni separazione tra i due trattini è un pico-ampere: quando il
potenziale di membrana è -60 mV si ha un passaggio di corrente che è un po’ più grande del pico-ampere,
quando si arriva a 0 mV, invece, è leggermente minore del pico-ampere. Che la probabilità aumenti è
un’ovvietà: il canale è aperto solo in un dato tempo e via via che aumenta la depolarizzazione aumenta il
tempo in cui questo accade. L’ampiezza dello stimolo cambia la probabilità di apertura del canale ma non
cambia la sua conduttanza. Tuttavia, guardando il grafico, si vede che passa più corrente (attraverso il
canale del sodio) quando lo stimolo è più basso rispetto a quando è più alto. Quindi ciò appare come una
contraddizione tra quello che si è detto e quello che è mostrato. Il fenomeno si spiega evidenziando che, se
rimane costante la conduttanza e cambia la differenza di potenziale, cambia la corrente: in grafico è
appunto riportato come cambia la corrente rispetto al potenziale; si può vedere che lo fa in modo lineare.
La pendenza della curva è quindi costante ed è rappresentata dalla resistenza del canale: si ha una curva
del tipo 𝑌 = 𝑚 ∗ 𝑥 con Y= I, x= V e m= resistenza.
Se la differenza di potenziale transmembranario è zero, perché ho ancora corrente?
In un circuito elettrico classico questo non dovrebbe accadere e quindi neanche nella membrana, dato che
è l’equivalente di un circuito elettrico.
Il sodio, o in generale lo ione, fluisce non solo grazie al potenziale di membrana ma anche per effetto del
gradiente di concentrazione. Quindi, quando Vm è zero, lo ione si muove comunque grazie al gradiente di
concentrazione, che non è una differenza di potenziale ma, essendo qualcosa che spinge una sostanza
carica (ed essendo la corrente il moto di una sostanza carica), della spinta posso farne un equivalente
elettrico e trattarla come una forza elettromotrice.
Questa forza ha un valore dato dall’equazione di Nerst, la quale mi dice che, se ho una spinta contro un
gradiente di concentrazione, posso trovare la differenza di potenziale che blocca questa differenza di
concentrazione. Il gradiente agisce come se fosse lui stesso una differenza di potenziale che posso calcolare
come l’opposto del potenziale di equilibrio.
In definitiva, quando metto Vm, anche se è pari a zero, lo ione fluisce comunque: infatti, la spinta a entrare,
in questo caso la differenza di concentrazione del sodio, è superiore alla spinta a uscire, ovvero Vm (che in
tale situazione è zero). La conduttanza non cambia ma cambia la corrente perché cambiano le spinte di
afflusso di questo ione. Se si dovesse dare una differenza di potenziale positiva, lo ione addirittura
entrerebbe.
Il fatto che si abbia una forza elettromotrice, data dal gradiente di concentrazione, è ciò che fa sì che
l’intercetta di questa retta non sia nel punto (0;0) ma intercetti a potenziale zero la corrente generata dalla
differenza di concentrazione transmembranaria. Tale corrente è calcolabile, infatti dalla pendenza trovo la
conduttanza; dalla conduttanza, sapendo l’equazione della retta, trovo che:

I= Conduttanza * (Vm – potenziale di equilibrio) = G*Vm - G*E

Dato il grafico, si va a calcolare “G” (la conduttanza del


canale). Questa corrisponde alla pendenza di una curva.
Quindi, per calcolarla in qualsiasi punto del grafico bisogna
considerare: il valore del salto, ad esempio in una
variazione da -1,2 a -0,8 pA, che corrisponde ad un salto di
0,4 pA, e la differenza di potenziale correlata, in tal caso 20
mV. Ricavati tali dati si può affermare che G= 0,4 pA/ 20
mV
È ragionevole dire che effettivamente è stato misurato un
singolo canale (e non più di uno)? Quello che dà la
conferma del quesito, guardando il grafico, è che, per ogni
differenza di potenziale attivato, la corrente o non c’è o
quando c’è ha sempre lo stesso valore. Se si prendessero in
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considerazione due canali, statisticamente ci sarebbero stati esempi in cui un canale sarebbe stato aperto e
l’altro no o anche esempi in cui tutti e due i canali sarebbero stati aperti. Quindi si sarebbero viste tracce ad
una certa altezza e altre ad altezza doppia. Ma l’ampiezza è sempre la stessa quindi si può dire con certezza
di aver isolato il singolo canale.
L’esperimento mostrato precedentemente si riferiva ai
canali del calcio, i quali non presentano fenomeni di
inattivazione (a differenza dei canali per il sodio).

Via via che la depolarizzazione avanza, il canale ha


sempre più probabilità di essere aperto, e questo si
può vedere nei grafici sottostanti. Il teorema ergodico
afferma che, se ho la probabilità di un singolo canale di
essere aperto o chiuso a seconda della
depolarizzazione, posso trasformare questa proprietà
in frazione di canale aperto per una singola
depolarizzazione quando i canali sono tanti. Questo è
abbastanza intuitivo: supponiamo che un canale stia aperto per la metà del tempo per una certa
depolarizzazione pari a 1,25 mV, e vedo quindi che il canale ha il 50% di probabilità di essere aperto. Se si
considerano 100 canali, il 50% di essi probabilmente saranno aperti.

Le tecniche di patch clamp possono avere delle varianti che consentono tipi diversi di misura:
 Applicando una leggera suzione si può isolare il singolo canale; quando la suzione, però, è troppo
violenta una parte della membrana si può rompere: in questo caso si tratta della cosiddetta “whole
cell configuration”. In tale configurazione la pipetta è in continuità con il citoplasma e questo
permette di misurare le correnti che attraversano l’intera cellula. È come se la pipetta permettesse
alla corrente di entrare all’interno della cellula.

 In un’altra situazione la suzione è leggera, ma, una volta


che la pipetta ha aderito al patch di membrana, viene
tirata via in modo violento e questa parte di membrana si
può rompere. La pipetta rimane quindi con attaccato un
pezzo di membrana con il singolo canale. A questo punto
si prende la pipetta con il singolo canale e si mette in
soluzioni fisiologiche diverse, contenenti ad esempio dei
farmaci o una concentrazione di liquido (che in questo
caso rappresenta un liquido intracellulare) e si vede
come cambia la corrente del canale in funzione, ad
esempio, del farmaco. Questa configurazione è chiamata inside out recording.

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 Nella terza variante, prima si applica una violenta suzione che libera la regione di membrana
attaccata alla pipetta, poi una violenta trazione e la membrana si rompe. Il doppio strato
fosfolipidico in soluzione acquosa tende a riformarsi. Se abbiamo tirato via anche un canale, ci
ritroviamo con una outside out configuration dove con la pipetta si può andare ad immergere il
canale in soluzioni fisiologiche a diversa composizione che simulano, in questo caso, l’ambiente
extracellulare.

MISURA DELLE CORRENTI DI PORTA

Il canale del sodio può aprirsi o chiudersi in


funzione del voltaggio. Si è ipotizzato che
strutture interne al canale, paragonabili a una
leva, spostandosi, possano indurre modifiche
strutturali dell’intero canale, aprendolo e/o
chiudendolo. Se questa parte della proteina, la
porta, è collegata ad una regione che ha un
eccesso di cariche positive, si può immaginare
che sarà chiusa quando si ha un equilibrio tra
una forza meccanica che tende ad aprire la
struttura e una forza elettrica, equivalente, che
la tiene chiusa. Allentando questo campo
elettrico che tira verso il basso la proteina,
vince la forza della molla e il canale si apre.
In questo modo si può vedere una corrente, la cosiddetta “corrente di porta” o “gating currents”, che è
quella dovuta al movimento di una parte carica della proteina. Questa corrente è estremamente bassa;
inoltre è una corrente precoce, in quanto avviene prima rispetto al vero passaggio di carica. Ma c’è un'altra
corrente abbastanza intensa che avviene ancora più precocemente in un esperimento di voltage clamp: la
corrente capacitiva. Quest’ultima, partendo dal potenziale di riposo e portando rapidamente il potenziale
di membrana al valore di comando, induce una ridistribuzione di cariche, ovvero un passaggio delle cariche
da una faccia del condensatore all’altra (e questo passaggio è proprio una corrente).
Come è possibile separare la corrente di porta da quella capacitiva?
Quando il canale si apre c’è una corrente di porta (positiva) diversa da quella che troveremo quando il
canale si chiude. Sia per l’apertura che per la chiusura del canale si possono fare due tipi di esperimenti.
Per poter aprire un canale, si porta la depolarizzazione ad un certo valore ed il canale, essendo voltaggio-
dipendente, si apre, perché la corrente di porta è sovrapposta a quella capacitiva.
Se il salto di voltaggio viene fatto nella direzione di iperpolarizzazione invece che di depolarizzazione la
corrente non cambia, infatti il condensatore è un elemento simmetrico: la corrente è uguale, solo che in un
caso va in una direzione e nell’altro in quella opposta.
La corrente di porta, invece, è legata ad un elemento asimmetrico: depolarizzando, il canale si apre e quindi
questa corrente è presente; se iperpolarizzo, tale canale non si apre e la corrente non è presente. Facendo
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Fisiologia – Lezione n° 10
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un esperimento depolarizzante ci sarà sia la corrente di porta che quella capacitiva; iperpolarizzando si avrà
invece solo quella capacitiva, in direzione opposta. Se si sottraggono i valori ottenuti, quel che resta è la
corrente di porta (legata alla porta che si apre).
Per poter chiudere un canale, si parte dalla situazione in cui il canale è aperto e quindi la proteina è in tale
direzione. Se viene data un’ulteriore depolarizzazione la proteina non si muove e si osserva solo la corrente
capacitiva. Se invece si va a ripolarizzare, si possono notare sia la corrente capacitiva che quella di porta
(legata alla porta che si chiude).

CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEI CANALI IONICI

I canali ionici hanno caratteristiche strutturali comuni: sono formati da subunità a più attraversamenti di
membrana. La prima struttura cristallografica di un canale ionico è stata fatta nel 1998. La difficoltà
nell’ottenere questa struttura sta nel fatto che i canali, per loro natura, hanno forte caratteristiche
idrofobiche in quanto devono stare all’interno membrana: sono quindi difficili da cristallizzare, la loro
struttura è stabilizzata dal doppio strato fosfolipidico.
Prima di avere a disposizione una struttura cristallografica si è ipotizzato le caratteristiche principali di
questi canali osservando la loro struttura amminoacidica. Infatti, si può affermare che le sequenze
idrofobiche in una situazione fisiologica si trovino nel doppio strato, mentre quelle idrofiliche stiano fuori
dalla membrana. Studiando la sequenza amminoacidica del canale si è trovato un’alternanza di strutture
idrofiliche e idrofobiche: perciò, il canale entra nella membrana, poi riesce, poi vi rientra e così via.

In base a tali osservazioni si può affermare che l'arrangiamento dei canali è di tipo oligomerico con
simmetria centrale in corrispondenza del poro, si tratta cioè
di molteplici strutture che si ripetono andando a delimitare
il poro centrale.

Queste strutture si ritrovano:


 nei canali voltaggio dipendenti del sodio, del calcio
e del potassio;
 nei recettori del glutammato;
 nei canali dipendenti dal ligando, come i canali
dell’acetilcolina;
 a livello dei canali meccano-sensibili;
 nelle connessine.

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Una caratteristica interessante che è stata vista studiando il


canale per il potassio (il primo di cui si è ricavato la struttura
cristallografica) è la spiegazione della selettività. Gli
amminoacidi che si affacciano sul poro di selettività
espongono degli atomi di ossigeno con un eccesso di carica
negativa (pari alla carica che tali atomi hanno all’interno di
una molecola di acqua) e con una geometria fissa che
simula la distanza e la geometria degli atomi di ossigeno che
circondando lo ione potassio in soluzione acquosa. In
questo modo, il fatto che lo ione in soluzione sia circondato
dalle molecole di acqua o stia nel canale (specifico per il
potassio) non fa differenza dal punto di vista energetico
perché è comunque coordinato alla stessa maniera.
Al contrario, se il sodio si libera delle molecole a cui è
coordinato quando si trova in soluzione acquosa ed entra
nel poro del potassio, si viene a trovare in una situazione
che non è la stessa dal punto di vista energetico. Gli ioni sodio, essendo più piccoli, non possono coordinarsi
perfettamente con gli atomi di ossigeno del poro di selettività e quindi attraversano il canale solo
raramente.

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Fisiologia I – Lezione n° 11
31/10/2019

Data: 31/10/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Reconditi
File audio di riferimento:
Controllore: Procopio
Coppia: Rama - Zuccato

METANEURON
Viene utilizzato un programma di simulazione del potenziale. È da tener presente che i valori che si
otterranno nelle varie tipologie di esercizi saranno molto più simili ai valori reali: infatti, le lezioni di
fisiologia sono delle semplificazioni di quelle che sono le reali dinamiche cellulari.

Link al programma: http://www.metaneuron.org/


Link al manuale: http://www.metaneuron.org/system/files/metaneuron%20manual.pdf

Da tenere presente inoltre che nel grafico:


• GIALLO = potenziale della membrana
• VERDE = potenziale del sodio
• AZZURRO = potenziale del potassio
• BIANCO = punto indicato dal cursore (una croce bianca). Cliccando sul grafico permette di
determinare il valore del punto d’interesse.
• ROSSO = stimolo (è rappresentato come un grafico a parte ed associato, che si trova inferiormente
al grafico principale).

Tutti i valori vengono rappresentati nel riquadro a destra del grafico, quelli cercati tramite l’uso del cursore
saranno visibili nel riquadro in basso a destra.

LEZIONE 1: POTENZIALE DI MEMBRANA A RIPOSO

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Fisiologia I – Lezione n° 11
31/10/2019

I valori devono essere preimpostati al default. Il programma lavora di default, ma c’è la possibilità di
scegliere personalmente i valori di concentrazione extra ed intracellulari di sodio e potassio, in base ad essi
il programma calcolerà il potenziale di equilibrio. Può essere cambiata anche la permeabilità del sodio e del
potassio: il programma calcolerà, in base ai dati forniti, il potenziale di membrana a riposo tramite
l’equazione di Goldman. La temperatura non si può selezionare: il programma è impostato a lavorare
assumendo che gli esperimenti sull’assone di calamaro siano svolti a una temperatura di 18°.

Qualora si volesse determinare con precisione la temperatura alla quale viene svolto l’esperimento
basterebbe avvalersi della formula che permette di calcolare il potenziale di equilibrio di uno ione,
scegliendo le concentrazioni esterne ed interne ed isolando la temperatura:

Esiste anche un metodo più veloce, ricordando che se la temperatura vale 20°C la formula può essere
semplificata scrivendo:

(la formula riportata può essere adattata a altri valori standard di temperatura: se la temperatura vale
25°C, il valore che precede il termine del logaritmo è 59, se la temperatura è 37°C, tale valore diventa 61).

Andando ad agire sui valori di default delle concentrazioni del sodio, in particolare modificando la
concentrazione interna (da 16,4859 a 12), si nota che il programma calcola un potenziale di equilibrio del
sodio di 58 mV. Tale potenziale corrisponde a una temperatura di 20°C, che in termini assoluti non cambia
molto rispetto a una temperatura di 18°C.

Si inserisce il valore 12 perché, in questo modo, il rapporto tra concentrazione esterna di sodio (120 mM, di default) e
quella interna da noi impostata diventa 10. Il logaritmo in base 10 di 10 vale 1.

Riportando i valori al default, si può fare un’altra osservazione che riguarda il potenziale di membrana: esso
vale -65,02 mV, un valore molto più vicino al potenziale di equilibrio del potassio (che vale -77 mV)
piuttosto che al potenziale di equilibrio del sodio (che vale 50 mV).

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Fisiologia I – Lezione n° 11
31/10/2019

Questo dipende dalle diverse permeabilità: nel caso riportato dal programma, la permeabilità al potassio è
nettamente maggiore rispetto a quella del sodio. Invertendo le permeabilità, il potenziale di riposo si
avvicinerebbe di più al potenziale di equilibrio del sodio.

Il potenziale a metà fra i due ioni sarebbe circa -12 mV. Per avvicinare il potenziale di riposo esattamente a
metà strada non è sufficiente assegnare lo stesso valore di permeabilità ai due ioni, occorre agire sulla
concentrazione. Il potenziale di riposo è influenzato dalla permeabilità, ma lo ione che ha una
concentrazione maggiore pesa di più, a parità di permeabilità.

Un’altra funzione interessante è quella di Range. Cliccando accanto a un determinato valore, la funzione di
Range permette di vedere come varia quel parametro.
(questa parte proprio non saprei come trascriverla: secondo me non è nemmeno importante)

LEZIONE 2: COSTANTE DI TEMPO DELLA MEMBRANA

Non è cambiabile la capacità di membrana, che è fissata a 1µF/cm2. Quello che si può cambiare è la
resistenza di membrana, che è misurata in kΩ x cm2. Da notare che la superficie di membrana a cui si
riferiscono i vari valori di questa lezione è pari a 1cm2.

Prendendo come riferimento i valori di default di capacità e resistenza di membrana, quanto vale la
costante di tempo? (questa domanda è stata oggetto d’esame).

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Fisiologia I – Lezione n° 11
31/10/2019

Per ottenerla basta moltiplicare il valore della capacità per quello della resistenza di membrana, ricordando
che:
• 1kΩ= 104Ω
• 1µF= 10-6F
Il risultato del prodotto vale 10-2, l’unità di misura è il secondo. Questo valore corrisponde a 10 ms.

Nel grafico sopra riportato non si misura bene la costante di tempo, perché, prima che si sia sviluppata la
depolarizzazione, si esaurisce la corrente, la quale dura 1ms (è il valore riportato accanto alla voce
“wildth”). Modificando la durata della corrente a 100ms il potenziale di membrana riesce a raggiungere il
plateau, come mostrato nel grafico sottostante.

Seguendo la traccia gialla, si può dire che il valore di partenza del potenziale sia -65mV mentre il valore
finale è di 35mV. Di conseguenza, l’ampiezza totale del fenomeno, è di 100mV. Per trovare la costante di
tempo τ bisogna moltiplicare il valore di 100 per 0.63 (63%). La τ è quel tempo per il quale il processo ha
raggiunto la depolarizzazione di 63 mV. Siccome si parte da un valore di -65mV, si deve andare a vedere in
quanto tempo la depolarizzazione raggiunge il valore di -2mV.

Spostandosi con il cursore, si attesta che il valore di -2 mV circa viene raggiunto in circa 12 ms. Bisogna
tenere conto del ritardo dello stimolo (riportato nella voce “delay”) che vale 2ms: il valore della costante di
tempo diventa 10.

La corrente fornita è di 10mA, con i quali si raggiunge una depolarizzazione di 100 mv. Dato che la
resistenza vale 10kΩ, è possibile predire che la depolarizzazione vale 100mV?
Allo stato stazionario, ovvero quando la membrana è stata completamente depolarizzata con la corrente
fornita, la corrente passa tutta attraverso una resistenza. È possibile quindi applicare la legge di ohm:

V=IR
-5
• I= 10mA (10 A);
• R= 104Ω.

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Fisiologia I – Lezione n° 11
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Il risultato del prodotto è 0,1V. Questo valore, riportato in mV, vale 100, che corrisponde all’ampiezza della
depolarizzazione.

Da notare che, dimezzando il valore della resistenza,


la curva di depolarizzazione procede più
velocemente; in quanto sia l’ampiezza del fenomeno
sia la costante di tempo risultano dimezzati.

È possibile osservarlo nell’immagine a fianco, dove la


curva disegnata più in basso si riferisce a un valore
dimezzato di resistenza.

Cosa succede se in coda al primo stimolo se ne mette un altro? Le risposte allo stimolo, per le proprietà
elettrotoniche, si sommano.

Nel grafico sopra riportato vengono studiati due stimoli, distanziati l’uno dall’altro di 11ms. Analizzando il
grafico, si vede che il primo stimolo finisce prima di aver raggiunto il massimo (perché lo stimolo è più corto
della costante di tempo), si ha poi una ripolarizzazione, seguita da un secondo stimolo che viene sommato
al primo.

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Se la costate di tempo fosse più corta, (che si potrebbe ottenere dimezzando la resistenza) il primo stimolo
riuscirebbe a raggiungere il plateau, la membrana ripolarizzerebbe e poi partirebbe il secondo stimolo.

LEZIONE 3: COSTANTE DI LUNGHEZZA DELLA MEMBRANA

Di questa lezione sono da notare le unità di misura della resistenza di membrana e della resistenza interna:
entrambe sono misurate per unità di superficie:
• Resistenza di membrana: kΩ x cm2;
• Resistenza interna: Ω x cm
(il discorso sulle unita di misura non mi è chiaro e nemmeno quello sul valore asintotico).

Con i dati forniti è possibile calcolare la costante


di spazio λ e del valore asintotico (determinato
dalle formule di λ e specificando di fare
attenzione alle unità di misura utilizzate, in
particolare in vista degli esami).

Si può notare che fornendo una carica tramite


condensatore, il segnale si propaga lungo
l’assone. Ciò che si riesce a capire meglio tramite
lo studio mediante il programma è come questo
segnale, allontanandosi dalla fonte dello stimolo,
perda intensità.

Viene affiancata una slide dalla lezione 9 che potrebbe risultare utile per comprendere questi passaggi e il loro
significato, essendo anche stata citata dal professore stesso.
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(Dal grafico 3D si capisce più chiaramente che con l’aumentare della distanza dallo stimolo, esso decresce).

LEZIONE 4: POTENZIALE D’AZIONE


Introduzione sui canali Leakage, che sono canali che conferiscono una conduttività di base alla membrana
in quanto si trovano sempre in uno stato aperto (anche se mantengono una certa selettività). Verranno
affrontati durante le lezioni della professoressa Tesi (e di cui si sottolinea la non importanza in questo
momento).

Viene fatto notare che in questa lezione non vengono fornite le concentrazioni esterna ed interna degli
ioni, ma il valore del potenziale all’equilibrio. Perciò è utile considerare la Lezione 1 per inserire i valori di
concentrazione desiderate e determinare così il corrispettivo potenziale (che poi andrà inserito nella
Lezione 4. I programmi sono infatti indipendenti l’uno dall’altro, ma risulta utile un utilizzo incrociato degli
stessi).

Viene evidenziato il rapporto tra intensità


dello stimolo e la durata di esso, fermandosi
in particolare a riflettere sugli stimoli che si
avvicinano molto al valore soglia, senza però
riuscire a superarlo (vedi LEZIONE 8). Viene
ricordato infatti che lo stimolo innesca
l’apertura dei canali, ma se esso non arriva al
valore soglia (o non lo supera) i canali che
vengono aperti sono insufficienti a
determinare l’innesco del potenziale
d’azione.

L’aumento della conduttanza dei canali voltaggio dipendenti del Sodio si può interpretare con un aumento
della permeabilità allo ione (G non è equivalente a P, ma sono analoghi). Perciò si dimostra che un aumento

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della conduttanza permette al sistema di raggiungere più velocemente il potenziale d’equilibrio dello ione.
Analogamente è possibile ottenere lo stesso effetto con lo ione Potassio.

Si possono poi vedere sul grafico le conduttanze e le correnti ioniche durante il potenziale.
Bisogna fare attenzione a ciò che si osserva: il potenziale d’azione sta aumentando, quindi non si può
ricavare dalla conduttanza la corrente (come avviene nel caso del blocco di corrente). La doppia curva
(inflessione) del Sodio è dovuta al fatto che sta aumentando sia la conduttanza che il potenziale d’azione,
andando a determinare un picco di conduttanza e un picco di differenza di potenziale.

Di seguito grafico delle:


• Conduttanze
• Correnti

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C’è poi la possibilità di bloccare i canali per il sodio e per il potassio. Bloccando, ad esempio, quelli del
sodio, si dimostra che, raggiunto un certo stimolo, si aprono i canali del Potassio e si determina un
potenziale d’azione.
(In quest’ultima parte si deve prestare maggior attenzione all’osservazione dei risultati ottenuti, in quanto
rappresentano valori e situazioni simili a quelli reali, ma talvolta lontani dalle deduzioni che si possono fare
dalle lezioni).

LEZIONE 5: BLOCCO DEL VOLTAGGIO (VOLTAGE CLAMP)

Si possono qui ricreare gli esperimenti visti a lezione sul Voltage Clamp.

Si osserva che, per abolire la corrente entrante bisogna raggiungere il valore pari al potenziale d’equilibrio
del sodio. Così facendo, le spinte ad entrare ed uscire nei confronti dello ione sarebbero equivalenti.
Aumentando ancora il valore (che diventa quindi maggiore del valore del potenziale d’equilibrio dello ione)
si vede sul grafico una gobba: il sodio, a questo punto, esce con una cinetica che riflette quella dell’energia
di attivazione (o inattivazione).

(non mi è molto chiaro quello che lui intende in questo tratto… IN GENERALE non era molto chiaro).

Verranno di seguito mostrate tre immagini in successione, in cui si ha un valore inferiore al potenziale
d’equilibrio del sodio, una a valore uguale ed una con valore maggiore, per dimostrare quanto detto sopra.
(il parametro che il professore sta variando è “amplitude”).

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Fisiologia I – Lezione n° 11
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Fisiologia – Lezione n°12
13/11/2019

Data: 13/11/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Tesi
File audio di riferimento: Fisiologia I 13-11-19.mp3
Controllore: Sussi
Coppia: Zondini - Zurli

TRASMISSIONE SINAPTICA

I testi consigliati in questa seconda parte del corso sono quelli già indicati dal prof.Reconditi (Fisiologia
Umana e Fisiologia Medica); la professoressa Tesi consiglia in aggiunta il libro “Principio di Neuroscienze” di
Kandel, un testo molto valido anche per la neurofisiologia e la psichiatria.

La trasmissione sinaptica riguarda la trasmissione dell’informazione da cellule eccitabili a cellule eccitabili.


Queste sono quelle cellule che possiedono un potenziale di membrana di riposo e che possono dare origine
a un segnale di potenziale d’azione. Per segnale non si intende tanto il potenziale d’azione in sé, quanto la
presenza di un potenziale d’azione rispetto a un potenziale di membrana di riposo. Il potenziale d’azione
pertanto è il bit dell’informazione, l’uno, rispetto a uno zero, che indica la condizione di base del potenziale
di membrana riposo. Si indentifica un codice per l’acquisizione, l’elaborazione, la trasmissione
dell’informazione, un codice binario con 0 e 1, dove zero è il potenziale di riposo e 1 è il fenomeno
stereotipo del tipo tutto o nulla che è il potenziale d’azione. Dalla combinazione degli “zero” e degli “uno”
del codice binario si possono ottenere tutte le funzioni degli elaboratori elettronici, e allo stesso modo, a
livello ancora più perfezionato, il sistema nervoso elabora le informazioni.
Il potenziale d’azione è un fenomeno stereotipo del cosiddetto tutto o nulla questo non vuol dire che non
abbia forme diverse, andamenti temporali diversi, in diversi tessuti e in diverse popolazioni di cellule
eccitabili, però all’interno di ogni tessuto e di ogni popolazione di cellule eccitabili il potenziale d’azione
mantiene la caratteristica base di essere il bit dell’informazione. Quindi la trasmissione sinaptica è intesa
come la trasmissione dell’informazione da cellule eccitabili a cellule eccitabili, sottoforma di potenziale
d’azione.

SINAPSI

Il termine sinapsi è etimologicamente di origine greca e significa fusione di due cellule, questo termine in
realtà è solo in parte corretto in quanto le sinapsi non rappresentano regioni istologiche date dalla fusione
di cellule (anche se in rari casi ciò avviene e comunque avviene attraverso un processo estremamente
controllato), piuttosto sono regioni a livello delle quali le cellule eccitabili si trovano estremamente vicine e
si scambiano informazioni. Per cui la sinapsi non è solo una struttura istologica, ma è soprattutto un
elemento funzionale, è un’interfaccia attraverso cui le cellule si scambiano le informazioni. L’unica forma
con cui vengono scambiate le informazioni nelle sinapsi (almeno secondo la visione classica) è il potenziale
d’azione (che è un segnale elettrico) che arriva al terminale sinaptico e comunica all’elemento
postsinaptico.
Solitamente si individua un elemento presinaptico, l’elemento a monte, dal quale viene trasmesso il
segnale elettrico che si deve riprodurre in un elemento postsinaptico, l’elemento a valle. Il passaggio di
correnti non è facilissimo, ci sono notevoli problemi a questo livello, molto spesso un segnale elettrico è
aiutato da un segnale chimico nella riproduzione di un fenomeno elettrico nell’elemento postsinaptico.

C’è un principio generale, osservato in modo molto rigoroso, alla base della trasmissione sinaptica
ovverosia che l’informazione nel sistema nervoso diffonda in una sola direzione, ad esempio, può andare

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dalla periferia sensoriale alla corteccia celebrale e a sua volta dalla corteccia cerebrale, dopo l’elaborazione
da parte di questa, al tronco dell’encefalo e alla periferia.
Il potenziale d’azione scorre lungo corsie che permettono un flusso solo unidirezionale (come le corsie di
un’autostrada). Quindi per avere un flusso in ingresso e in uscita occorre utilizzare delle vie di trasmissione
dell’informazione diverse, delle corsie neuronali diverse. Il principio è rigidamente unidirezionale, va
sempre dall’elemento presinaptico all’elemento postsinaptico.

L’elemento presinaptico, la prima cellula che contiene già


l’informazione, è sempre un neurone, l’informazione poi va
all’elemento post-sinaptico che può essere:
• Un neurone (sinapsi interneuronica);
• Cellula effettrice (sinapsi neuro-effettrice)
solitamente sono cellule muscolari scheletriche o
lisce.

Parleremo prima di quest’ultima, di cui l’esempio più noto


è la giunzione neuromuscolare, dove l’elemento
presinaptico è il motoneurone il cui corpo cellulare si trova
a livello del midollo spinale nel sistema nervoso centrale e
che con il suo prolungamento, tramite i nervi spinali (la componente motoria), raggiunge ogni singola fibra
muscolare scheletrica (elemento post-sinaptico). Una delle ragioni per cui questo tipo di sinapsi è studiata
moltissimo è che essa si trova in periferia ed è quindi strutturalmente più semplice rispetto alla sinapsi che
si trovano nel sistema nervoso centrale (più piccole e meno accessibili). Nelle giunzioni neuromuscolari si
trova una sola complicata sinapsi per ogni fibra muscolare, nelle sinapsi interneuroniche (nelle reti
neuronali, complessi sistemi di neuroni che si contattano tra loro) si trovano tantissime sinapsi molto più
piccole che contattano in diverse regioni del neurone.

Prima di cominciare si spiega brevemente il principio generale di funzionamento che sta alla base del
singolo neurone, ma anche dell’intero sistema nervoso, ovvero la logica alla base dell’acquisizione e
processazione dell’informazione, in tutti gli elementi costitutivi del sistema nervoso.
A livello del sistema nervoso esiste un compartimento input, che raccoglie le informazioni, dall’esterno o
dall’interno dell’organismo, ovvero un sistema sensoriale, che raccoglie tutte le informazioni sottoforma di
potenziale d’azione - che è l’unica informazione che si propaga senza decremento - rappresentando
pertanto un sistema di ingresso delle informazioni. Poi è presente un sistema di output, sistema motorio
somatico e motorio autonomo, che, con i suoi motoneuroni, porterà le informazioni alla periferia.

Ovviamente anche nel più semplice dei programmi motori l’esecuzione di un qualsiasi movimento (anche
nel caso di una secrezione) deve avvenire a seguito dell’arrivo di informazioni, che verranno valutate tali da
far innescare un determinato processo. Per esempio, dei sensori visivi fanno riconoscere un viso noto,
scatenando così la reazione del sorriso.
Quindi la cosa fondamentale nel sistema nervoso è produrre un programma motorio sulla base delle
informazioni che acquisisco per garantire la migliore sopravvivenza possibile, l’importante pertanto è fare
una cosa in relazione a uno stimolo o non farla se non è necessaria.
Infatti, esistono varie patologie motorie che portano all’immobilità, cioè all’ipocinesia, ma anche patologie
ipercinetiche (dove si compiono dei movimenti quando la volontà del soggetto non lo comanda). Un
esempio è il morbo di Parkinson, patologia motoria, che può generare sintomi ipocinetici (difficoltà a
mettersi in movimento e movimento rallentato, chi ne è affetto può addirittura diventare muto, per cui
incapace di utilizzare i muscoli della fonazione) e contemporaneamente sintomi ipercinetici (il classico
tremore incoercibile che spesso può anche essere doloroso). Un altro esempio è la malattia di Huntington,
che riguarda sempre i nuclei della base dove risiede il problema all’origine della patologia, che provoca
movimenti involontari di grande estensione, che risultano lesivi anche per la qualità della vita del soggetto

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e che hanno anche aspetti cognitivi che arrivano a classificare queste patologie come patologie
psichiatriche.

Per cui il concetto fondamentale è che è importante produrre una risposta agli stimoli, ma è altrettanto
importante non produrla, in fondo il compito di ogni neurone sarà quello di “capire” se rispondere o meno
sulla base dell’insieme delle informazioni raccolte, e a decidere è il sistema nervoso centrale che, sulla base
delle informazioni ottenute dai sistemi sensoriali attraverso le vie sensoriali, elaborando tutte le
informazioni, ovvero sommandole tra di loro con il loro segno, “deciderà” se è il caso o non è il caso di
attivare o meno un programma motorio (ad esempio a una determinata persona si sorride o non si sorride
in base all’input di riconoscimento facciale e in base a tutte le vicende che fanno dire se è un amico o un
nemico).

Ricapitolando c’è una grande sezione di input, il sistema sensoriale, una sezione di output, il sistema
motorio, e il sistema nervoso centrale (che ha al proprio apice le funzioni di integrazione cioè le aree
associative della corteccia cerebrale). Tutto questo di fatto si riproduce anche in piccolo a livello del singolo
neurone (che presenta un corpo cellulare, i dendriti e il singolo assone che andrà a contattare un elemento
postsinaptico che, nel caso di una sinapsi interneuronica, sarà un altro neurone): le sinapsi, cioè le
informazioni, vengono quasi tutte captate, sottoforma di un potenziale d’azione, a livello di un
compartimento di input, localizzato nel soma e nei dendriti (dove quasi esclusivamente si ricevono le
informazioni), esse vengono tutte sommate fra loro a dare la risultante e il neurone genererà il potenziale
d’azione da condurre in periferia, attraverso la sezione di output, costituita dall’assone e dal terminale
sinaptico.
Soma e dendriti costituiscono un compartimento specializzato nell’integrazione neuronale e hanno il
principale compito di prelevare e di sommare tutte le informazioni e di trarre la somma di queste a livello
del segmento integratore, cioè il colletto assonico, parte del neurone in cui per la prima volta si incontrano i
canali sodio/potassio, che vanno dal colletto al terminale ma sono assenti nel complesso di input (o in
prima approssimazioni sono molto poco rappresentati).
Il primo segnale si produce nel colletto assonico e poi dal colletto assonico è condotto lungo la membrana
in una sola direzione seguendo il principio della unidirezionalità dell’informazione. Per cui anche i neuroni
nel loro piccolo esercitano lo stesso complicato processo (come quando ad esempio vediamo una faccia e
decidiamo se sorridere o meno) e lo fanno in modo molto semplice: raccolgono tutte le informazioni,
ognuna con il proprio segno, e sulla base di queste, decidono se produrre o non produrre il potenziale
d’azione (in inglese, decidono di “to fire or not to fire”) e una volta prodotto non si può più tornare
indietro, il potenziale arriverà al terminale e produrrà inevitabilmente una conseguenza al livello
dell’elemento postsinaptico. Ad esempio, quando un motoneurone produce un potenziale d’azione, sulla
base di tutte le informazioni che ha raccolto, questo arriva alla fibra muscolare ed essa si contrae, di
conseguenza ci sarà una modificazione, un corrispettivo macroscopico, perchè il potenziale funziona come
un interruttore.

Ogni singolo elemento è combinato in reti neuronali dove ci saranno neuroni di input, neuroni di output, un
compartimento buffer intermedio che elabora le informazioni, cioè le somma ognuna con il proprio segno.
La conseguenza dell’arrivo del segnale al terminale postsinaptico conduce a una modificazione
dell’eccitabilità postsinaptica, ovvero una modificazione del potenziale di membrana dell’elemento
postsinaptico, ma tale modificazione può:
• avvicinare alla soglia del potenziale d’azione (si può immaginare come una depolarizzazione) e
queste saranno sinapsi eccitatorie;
• mentre in altri casi il potenziale d’azione arriva alla sinapsi liberando il neurotrasmettitore e ciò che
viene liberato andrà a indurre, a livello postsinaptico, una modificazione della sua eccitabilità in
senso negativo, allontanandolo dalla soglia del potenziale d’azione, provocando una
iperpolarizzazione (sinapsi inibitoria).
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Quindi un potenziale d’azione, a seconda di come innesca il processo di liberazione nei neuroni, può
provocare una modificazione con segno più o con segno meno, questo è alla base di un sistema che può
elaborare le informazioni in modo molto efficiente.
Un esempio può essere: l’informazione visiva che ci giunge fa sì che quando si vede un amico dall’altra parte
della strada si è indotti ad andare verso di lui (segnale positivo del programma motorio), però,
contemporaneamente, arriva un segnale uditivo che ci dice che sta arrivando l’autobus, e che non è il caso
di attraversare la strada, si è indotti a fermarsi (segnale in senso negativo del programma motorio). In
questo caso il segnale di stop, che induce a fermarsi, è più potente del riconoscimento facciale.

Quindi le sinapsi, che si differenziano in tipo elettrico e chimico, conservano lo spazio sinaptico, (20-100nm)
le membrane non si fondono.
Il principio della trasmissione unidirezionale a livello della sinapsi lungo l’assone sarà l’argomento che
tratteremo ora. Tutte le informazioni che abbiamo ora sulle sinapsi, sono in realtà frutto di numerose
ricerche e battaglie fra ipotesi contrapposte riguardo il meccanismo della trasmissione del segnale fra
cellule eccitabili principalmente nel sistema nervoso.
Inizialmente (nello scorso secolo e nell’ ‘800) si riteneva che questo passaggio di informazione potesse
avvenire solo per via elettrica, perché è estremamente rapido; si considerava ad esempio la reazione
patellare che effettua la gamba se colpita con un martelletto, e ci si stupiva di come la reazione fosse
veloce, nonostante si contattino svariati elementi, risultava quindi improbabile che la sinapsi prevedesse in
così poco tempo il rilascio di un neurotrasmettitore. Si pensava quindi che non poteva essere un fenomeno
chimico ma necessariamente elettrico (è infatti rapida la conduzione del potenziale d’azione lungo l’assone,
fino a 120m/s), perché l’informazione passa da cellula a cellula e questo può rendere conto della rapidità
della trasmissione. Solo in seguito, con un esperimento molto semplice si dimostrò l’esistenza della sinapsi
chimica e come essa sia presente nel 99% dei casi.
Dopo tale scoperta si sapeva che le sinapsi elettriche esistevano negli invertebrati, ma si pensava che esse
fossero scomparse completamente negli organismi superiori, come l’uomo, in realtà si dimostra la presenza
di un gran numero di sinapsi elettriche a livello del sistema nervoso dell’uomo attraverso la realizzazione di
contatti cellulari, estremamente specializzati, mediante le gap junctions. Queste ultime, come sappiamo,
non coinvolgono solo i neuroni ma anche i miociti del tessuto cardiaco (che formano un vero e proprio
sincizio funzionale).

La propagazione del segnale elettrico lungo la membrana quando si propaga il potenziale d’azione, avviene
a livello dei circuiti locali, dove le correnti scorrono su reti con resistenze intracellulari e trasversali di
membrana. Per cui le correnti
elettrotoniche che scorrono si attenuano
proprio a causa di queste resistenze e il
potenziale d’azione si rigenera secondo il
meccanismo della conduzione, ovvero
anche se si attenuano e non arrivano alla
soglia del potenziale d’azione il processo si
autosostiene perché viene amplificato dalla
generazione del fenomeno autorigenrativo
del potenziale d’azione.
Quindi per far sì che una corrente, prodotta
da un elemento presinaptico riesca a
depolarizzare l’elemento postsinaptico è
necessario che l’intensità della corrente arrivi con un valore tale da poter determinare un evento di
depolarizzazione fino alla soglia del potenziale d’azione dell’elemento postsinaptico (o comunque un

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cambiamento significativo sull’elemento postsinaptico), questo avviene mediante la connessione a bassa


resistenza dall’elemento pre a quello postsinaptico.

Nel caso della sinapsi chimica è presente lo spazio sinaptico che ha una resistenza molto elevata per cui il
flusso di corrente del potenziale d’azione si attenua enormemente. Nelle sinapsi chimiche queste correnti
determinano una depolarizzazione di membrana quando associate al potenziale d’azione che induce il
rilascio di un neurotrasmettitore, si cambia logica, da un segnale elettrico si passa a quello chimico, che
diffonde e interagisce con recettori specifici sulla membrana postsinaptica che si occupano del processo
inverso, cioè di ritrasformare il segnale chimico in elettrico, ovvero fare sì che il neurotrasmettitore possa
determinare la depolarizzazione o una iperpolarizzazione, ovvero una modificazione del potenziale di
membrana di riposo dell’elemento postsinaptico.
Per cui riassumendo: il segnale elettrico si trasforma in elettrochimico per poi tornare a segnale elettrico,
questo processo sembra estremamente lento, ma è garantito da specializzazioni di membrana
nell’elemento pre e postsinaptico che fanno sì che avvenga con una rapidità sorprendente.

SINAPSI ELETTRICA
Un po’ più nel dettaglio abbiamo una cellula
presinaptica 1 e postsinaptica 2.
Questo è uno schema di propagazione del potenziale
d’azione per circuiti locali come nelle fibre amieliniche.
L’informazione si genera a livello del colletto assonico,
primo punto dove si ha l’individuazione dei canali
sodio-potassio, quando si passa la soglia si genera un
potenziale d’azione che si propaga nei circuiti locali fino
ad arrivare al terminale assonico senza diminuire di
ampiezza. A questo punto le correnti, generate dal
potenziale d’azione, devono essere in grado di arrivare
all’elemento postsinaptico e produrre una
depolarizzazione che sia significativa, questo significa che la connessione deve presentare una resistenza
molto bassa altrimenti la corrente non sarebbe in grado di generare una modificazione significativa del
potenziale di riposo dell’elemento postsinaptico.
Queste sinapsi elettriche presentano una struttura base che permette il passaggio di correnti elettrotoniche
dall’elemento pre a quello post, che è data dalla presenza delle gap junctions che sono costituite da
connessoni, dei grandi canali che lasciano comunque uno spazio sinaptico anche se molto ridotto
(pochissimi nanometri). Le loro estremità extracellulari si giustappongono a quelle extracellulari della
cellula vicina, pertanto è un canale e i citoplasmi delle due cellule entrano in comunicazione, garantendo
così il passaggio di piccoli ioni (con selettività ionica scarsa, bene o male gli ioni passano tutti), per cui di
corrente, ma permette anche il passaggio di piccole molecole. Pertanto, questo canale risulta responsabile
di un accoppiamento elettrico, ma anche metabolico (infatti molte patologie associate all’azione dei
connessoni sono legate all’alterazione dell’accoppiamento metabolico in aggiunta ad alterazioni di quello
elettrico).

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Riassumendo mettiamo a confronto le sinapsi elettriche con quelle chimiche attraverso lo schema riportato
qui sotto.

• Per quanto riguarda lo spazio sinaptico: le sinapsi elettriche presentano uno spazio tra gli elementi
pre e post molto ridotto, quelle chimiche hanno invece uno spazio di almeno un ordine di
grandezza superiore (da 20 a 40 nm), quindi una resistenza così grande che darebbe luogo ad una
attenuazione delle correnti elettrotoniche.

• Il ritardo nella propagazione dell’impulso: le sinapsi elettriche non presentano alcun ritardo
sinaptico, proprio perché lo spazio tra i due elementi sinaptici è da considerarsi quasi assente e la
conduzione risulta estremamente rapida. In quelle chimiche (con tutta la macchina molecolare che
comportano) è presente un ritardo però è sorprendentemente basso, di pochissimi millisecondi, se
non sotto al millisecondo in alcuni casi.

• Le specializzazioni di membrana: le sinapsi elettriche ne hanno molto poche (semplici,


standardizzate e conservate), principalmente individuiamo solo le Gap Junction. Le sinapsi chimiche
presentano molte specializzazioni, che comprendono anche complessi enzimatici associati
all’elemento presinaptico e postsinaptico. Quindi specializzazioni sia strutturali che biochimiche.

• La unidirezionalità della trasmissione del segnale: Le sinapsi chimiche più delle altre assicurano il
principio unidirezionale della trasmissione, in quanto solo l’elemento presinaptico implica il rilascio
di un neurotrasmettitore, per cui l’informazione può andare solo dall’elemento pre a quello post,
l’informazione non torna mai indietro. Nelle sinapsi elettriche il discorso è più complicato, perché in
principio, ed è un criterio di identificazione sperimentale delle sinapsi elettriche, sono bidirezionali.
Le correnti vanno dalle zone a potenziale elettrico maggiore verso le zone a potenziale elettrico
minore, quindi dalle zone depolarizzate a quelle che non lo sono. Quindi, se l’elemento A presenta
un potenziale d’azione o una depolarizzazione di membrana, la corrente andrà dall’elemento A
all’elemento B; se invertiamo la situazione -ed è l’elemento B ad essere depolarizzato rispetto ad A-
non c’è nessun motivo per cui il segnale non torni indietro da B verso A, secondo le leggi del campo.
In realtà non è così: anche negli invertebrati ci sono delle specializzazioni cellulari che rendono
unidirezionale anche la connessione elettrica. Ciò si realizza accoppiando cellule di dimensioni
diverse e facendo sì che una delle due sia una grande sorgente di corrente e l’altra una piccola
sorgente, affinché l’informazione vada avanti solo quando risiede nella cellula grande e non possa
tornare indietro dalla piccola verso la grande. Un altro caso lo troviamo nel cuore, dove le sinapsi
elettriche che uniscono i miociti cardiaci lo rendono un sincizio funzionale. Di solito c’è una

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gerarchia molto precisa che è dettata dal sistema pacemaker, per cui il potenziale d’azione si
genera in un punto e, tramite il tessuto di conduzione, raggiunge tutte le regioni del cuore, per dare
origine al ciclo cardiaco, senza tornare indietro grazie a periodi refrattari. Se, invece, ci sono delle
regioni in cui vengono introdotti dei potenziali di azione da parte di popolazioni cellulari
patologiche, dando origine ad un’attività spontanea non dettata dal sistema di conduzione, i
potenziali d’azione, che vengono generati sui gruppi di miociti di lavoro, si possono propagare a
tutto il resto del miocardio, andando a collidere con i segnali che provengono dal sistema di
conduzione. Questo può dare origine ad aritmie cardiache anche fatali, quindi le sinapsi vengono
utilizzate in condizioni tali da renderle unidirezionali attraverso varie strategie.

• Trasmissione della depolarizzazione: le sinapsi elettriche funzionano come linee di scorrimento


della corrente e non c’è nessuna limitazione ai segnali che possono essere trasmessi tra cellule.
Passeranno le depolarizzazioni (se l’elemento A è depolarizzato rispetto a B) e passeranno le
iperpolarizzazioni (se l’elemento A invece è iperpolarizzato rispetto a B). Quindi si possono
trasmettere segnali sia di depolarizzazione che di iperpolarizzazione e segnali sottosoglia (non solo
il potenziale d’azione): qualsiasi variazione del campo elettrico determina una corrente in senso
opposto a seconda del segno, cioè della variazione di campo elettrico. Nelle sinapsi chimiche ciò
che è in grado di liberare il neurotrasmettitore è solo il potenziale d’azione, per cui gli unici segnali
che sono in grado di determinare l’unificazione dell’eccitabilità postsinaptica sono i potenziali
d’azione. Quindi si trasmettono solo le conseguenze del potenziale d’azione ovvero soltanto segnali
eccitatori.

• Degradazione dello stimolo: le sinapsi elettriche seguono la legge di Ohm, per cui le correnti si
attenuano con lo scorrimento lungo la rete delle resistenze e quindi i segnali si attenuano, si ha
degradazione degli stimoli. Nel caso invece di sinapsi di natura chimica si può assistere anche ad
amplificazione della risposta quindi il segnale non si degrada, non seguendo la legge di Ohm (“la
cellula ci mette molto del suo”). Le sinapsi chimiche richiedono infatti molta più energia delle
sinapsi elettriche, se non altro per la sintesi del neurotrasmettitore e per i fenomeni di secrezione.

• Inversione della polarità: nelle sinapsi elettriche la sinapsi non può modificare il segno
dell’impulso, ovvero se la cellula A è depolarizzata rispetto a B, trasmette la depolarizzazione; se la
cellula A è iperpolarizzata rispetto a B, trasmette un’iperpolarizzazione: non può cambiare niente,
dipende solo dalle leggi del campo. Nel caso invece delle sinapsi chimiche, siccome è presente il
segnale chimico tra i due terminali, il segnale utile è solo il potenziale d’azione con il segno positivo
(è quindi una depolarizzazione). Questo si può tradurre a livello postsinaptico in una
depolarizzazione, nelle sinapsi eccitatorie, oppure, per azione di altri neurotrasmettitori, in
un’iperpolarizzazione, ovvero un allontanamento dalla soglia. È possibile dunque l’inversione della
polarità realizzando output eccitatori o output inibitori.

Si vede quindi che le sinapsi chimiche hanno molti più vantaggi e, sebbene costino più energia e siano più
lente, permettono di compiere operazioni più complicate: raggiungono il segno della risultante della
trasmissione, si possono modificare, si può mantenere l’informazione per tempi molto lunghi, dando anche
origine a fenomeni di memoria cellulare. Infatti, prevedono l’attivazione di cascate di segnalazione cellulare
e quindi il mantenimento dell’informazione che possa durare giorni, addirittura anni, andando a regolare
l’espressione genica. Questi sono i fenomeni di plasticità sinaptica e di memoria cellulare che vedremo in
seguito.
Invece le elettriche sono immediate ed associate esclusivamente alla loro presenza: in loro assenza (cioè se
non ci sono correnti), non ci può essere informazione che permane.

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Andiamo innanzitutto a vedere quali sono i modi con cui uno sperimentatore può decidere se una sinapsi è
elettrica o chimica. Innanzitutto, si realizzano dispositivi di registrazione intracellulare molto piccoli e poco
invasivi: i microelettrodi. Questi sono in vetro, un materiale affine al doppio strato fosfolipidico, con
diametro inferiore al micron e penetrano nella membrana, attraverso piccolissimi buchini, la membrana
accetta il passaggio di questo materiale, si richiude sul vetro mantendo la sua integrità. All’interno di questi
tubicini di vetro si realizza un elettrodo a calomelano, un’alta concentrazione di KCl, un filo di argento
ricoperto di argento cloruro in modo tale da registrare il potenziale all’interno alla cellula rispetto
all’esterno, posto a terra con potenziale di riferimento pari a 0.
Si posiziona un microelettrodo nell’elemento presinaptico, uno nel postsinaptico e si stimola il presinaptico,
ovvero si fa passare una corrente attraverso la membrana che determina una depolarizzazione sopra soglia
per il potenziale d’azione.

La linea rossa posta al tempo 1 in figura è il tempo a cui viene somministrato lo stimolo che genera il
potenziale d’azione nell’elemento presinaptico. Si va a registrare il potenziale d’azione dell’elemento
presinaptico e postsinaptico e si osserva quale sia la conseguenza della stimolazione.
In una sinapsi di tipo elettrico troviamo un potenziale d’azione con un picco coincidente nei due terminali:
ciò rappresenta l’assenza del ritardo sinaptico. Quando osserviamo un comportamento di questo tipo è la
dimostrazione univoca della natura elettrica di questa sinapsi (ovviamente se il nostro sistema di
rilevazione ha una risoluzione temporale sufficiente).
Se andiamo a registrare, in conseguenza dello stesso protocollo sperimentale, il caso invece di una sinapsi
chimica, troviamo che il picco del potenziale d’azione nel postsinaptico è considerevolmente ritardato
rispetto al picco del potenziale presinaptico. Quindi saremo in presenza di un ritardo sinaptico significativo,
in questo caso intorno al millisecondo.
Nelle sinapsi elettriche abbiamo visto che non passa solo il potenziale d’azione, ma anche tutti i segnali
elettrotonici sottosoglia. Quindi supponiamo di stimolare l’elemento presinaptico stavolta con uno stimolo
minore che non determini il potenziale d’azione, ma solo un evento di depolarizzazione sotto la soglia.
Questo evento si conduce sulla membrana e, in caso di sinapsi chimica, nell’elemento postsinaptico non si
registra nulla; nel caso di sinapsi elettrica, se esiste connessione a bassa resistenza tra i due elementi,
osservo che la depolarizzazione indotta nell’elemento A la ritrovo anche nell’elemento B attenuata,
secondo la teoria dei circuiti locali, ovvero sulla base dei principi di propagazione passiva dei fenomeni

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elettrotonici. Il rapporto di ampiezza tra il segnale presinaptico e postsinaptico dipende alla resistenza del
contatto: più grande è la resistenza della connessione tra le cellule, più grande sarà l’attenuazione del
fenomeno. Quindi in una sinapsi chimica in cui la resistenza è molto grande il fenomeno si attenua al 100%.
Vediamo un esempio di sinapsi
elettrica da un modello di
invertebrato. Possiamo notare il
disegno che nell’evoluzione è
stato identificato per rendere
unidirezionale la conduzione: la
sinapsi gigante di gambero. Il
motoneurone è l’elemento pre e
la fibra muscolare scheletrica
quello post (muscolo delle chele
del gambero). Il potenziale
d’azione passa solo da pre a post
perché l’elemento pre è una
sorgente di corrente molto
grande che riesce a depolarizzare
l’elemento post, mentre l’inverso
non è possibile a causa delle
ridotte dimensioni cellulari. La registrazione dall’elemento presinaptico al postsinaptico mostra un ritardo
molto basso (inferiore a 0,1 ms), praticamente trascurabile, che ci dice che la natura di questa sinapsi è
elettrica.
Non sono solo i gamberi o il miocardio umano ad avere sinapsi elettriche, ma anche molti neuroni sono
connessi tra loro da sinapsi elettriche in reti neuronali specializzate a determinate funzioni. In particolare,
vediamo un gruppo di interneuroni dell’ippocampo.
La funzione delle sinapsi elettriche nelle reti neuronali è un argomento molto caldo di ricerca nelle
neuroscienze e non sempre si capisce il loro ruolo. Certamente si pensa che quando i neuroni in una rete
sono connessi da sinapsi elettriche, questo è funzionale all’ottenimento di attività ritmiche sincronizzate da
parte di un largo numero di neuroni. Infatti, quando si vuole che vaste popolazioni di neuroni scarichino
contemporaneamente in modo ritmico, questi si accoppiano mediante sinapsi elettriche. Non è un caso che
i neuroni dei centri respiratori del tronco dell’encefalo siano tutti uniti da sinapsi elettriche.
Ci sono ancora molte altre vie neuronali con significato in via di identificazione o sconosciuto, come nella
corteccia cerebrale, nel cervelletto, nel nucleo olivare inferiore o nell’ipotalamo associato ai neuroni
secernenti ormoni.
Ad esempio, nel nucleo olivare inferiore, come vedrete nel prossimo corso, sembra che questa attività
ritmica e sincronizzata di queste popolazioni neuronali sia direttamente associata alla funzione cerebellare,
legata alla temporizzazione del movimento per dare il clock interno del senso del tempo, necessario per
l’esecuzione di ogni movimento (una specie di orologio
interno).

Questi sono esempi di attività ritmica sincronizzata nei


neuroni dell’ippocampo. È indicato in figura il neurone
1 e il neurone 2, uniti da sinapsi elettriche. Le stelline
rosse stanno a indicare il potenziale d’azione sincrono
dell’elemento pre e dell’elemento post: si nota come
non ci sia significativo ritardo sinaptico in molti dei
casi.

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Nell’immagine sottostante vediamo esperimenti di elettrofisiologia mediante registrazione con


microelettrodi di due diverse popolazioni di neuroni.
La prima popolazione di neuroni accoppiati elettricamente è costituita da interneuroni gabaergici “fast
spiking” della corteccia cerebrale, mentre le altre coppie di neuroni sono cellule piramidali.
Gli interneuroni gabaergici sono interneuroni inibitori connessi elettricamente (Fast spiking è una
classificazione morfo funzionale che significa che producono potenziali d’azione ad elevata frequenza); le
cellule piramidali invece sono connesse da sinapsi chimiche senza nessun accoppiamento elettrico.

È mostrata l’attività elettrica in termini di


potenziali d’azione dall’elemento pre
all’elemento post e si registra mediante
microelettrodi, che si vedono come ombre, che
vanno a “impalare” (termine tecnico degli
elettrofisiologi) per dare i due elementi eccitati
connessi tra loro. Vediamo che nel caso degli
interneuroni gabaergici fast spiking una scarica
ad elevata frequenza dell’elemento
presinaptico si traduce in una scarica ad elevata
frequenza sincrona nell’elemento postsinaptico.

Per quanto riguarda invece le cellule piramidali questo accoppiamento non è così stretto. Infatti, si vede
che tra il “fire” (termine inglese molto pregnante per indicare la scarica del neurone) del neurone
presinaptico e il “fire” del postsinaptico l’accoppiamento è meno stretto.
Più che andare a guardare la sincronicità del potenziale d’azione, andiamo a vedere qualcosa di più
semplice ai fini di dimostrare che nel primo caso siamo di fronte a sinapsi elettrica e nel secondo caso a
sinapsi chimica. Utilizziamo stimoli elettrotonici sottosoglia, che non siano il potenziale d’azione, che
facciamo passare attraverso la membrana dell’elemento presinaptico delle correnti di segno opposto che
determino depolarizzazioni o corrispondenti iperpolarizzazioni. Nel postsinaptico si osserva di nuovo una
depolarizzazione o iperpolarizzazione ma di ampiezza attenuata, come è logico aspettarsi in una sinapsi
elettrica. Si nota quindi che passano anche i segnali sottosoglia e le iperpolarizzazioni.
Nelle sinapsi tra cellule piramidali vediamo che la depolarizzazione o la iperpolarizzazione dell’elemento
presinaptico non produce nessun effetto sull’elemento postsinaptico, quindi in questo caso siamo di fronte
a una sinapsi di natura chimica, in cui è necessario il potenziale d’azione per innescare la liberazione del
neurotrasmettitore e quindi la modificazione dell’eccitabilità postsinaptica.
Nel caso invece di due interneuroni fast spiking
del giro dentato dell’ippocampo si osserva che i
picchi del potenziale d’azione tra il neurone 1 e
2 sono sincroni e questo suggerisce che siamo in
presenza una sinapsi di tipo elettrico,
confermato anche dal fatto che non solo il
potenziale d’azione, ma anche le
iperpolarizzazioni, passano nell’elemento
postsinaptico, seppur attenuate. In questo caso
sono state effettuate delle registrazioni
accoppiate in patch-clamp “whole cell”,
registrando così l’attività complessiva di tutta la
cellula in termini di correnti, quindi di depolarizzazioni tra i due interneuroni.

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Gap Junction
Le sinapsi elettriche sono realizzate mediante gap junction, quindi grazie a 2 connessoni che si associano a
formare grandi placche funzionali. Ogni connessone, che è un canale di membrana (quindi ritroviamo il
disegno base di tutti i canali di membrana), ha 6 subunità che delimitano un poro centrale e ogni subunità è
detta connessina: una proteina formata da 4 α-eliche di natura idrofobica che attraversano la membrana, si
posizionano spontaneamente e che vanno a delimitare il poro acquoso centrale con le catene laterali
idrofiliche.

Vediamo alcuni esempi di canali che ritroveremo successivamente con la tipica struttura conservata che
forma microambienti acquosi che permettono il passaggio di ciò che non si scioglierebbe mai nel doppio
strato fosfolipidico, ovvero gli ioni.
Nella figura seguente è riportata la struttura esamerica che troviamo nelle gap junction e il disegno della
subunità elementare a più attraversamenti di membrana.
Si può osservare anche il disegno tetramerico del canale al sodio, al potassio o al calcio voltaggio
dipendente, che si aprono quando la membrana si depolarizza al valore soglia. Sono presenti anche dei
canali ligando dipendenti che si aprono per azioni di un
neurotrasmettitore come, ad esempio, i recettori al
Glutammato, che è il neurotrasmettitore eccitatorio
principale del sistema nervoso centrale.
I canali con struttura pentamerica vengono aperti
dall’azione di altri neurotrasmettitori come
l’Acetilcoloina, la Glicina o il Gaba, o quando la
membrana si deforma come nel caso dei canali di
meccanosensibilità.
Gap junction a confronto con un canale al sodio voltaggio dipendente:
Nella gap junction si trovano sei subunità vere e proprie con le connessine, mentre nel caso del canale al
sodio un'unica grande proteina divisa in 4 sottodomini. Dalla struttura si osserva come siano molto simili.
Nel canale al sodio abbiamo 6 anse di attraversamento della membrana e sul segmento S4 è localizzato il
sensore di voltaggio per l’apertura del canale. L’elemento costitutivo del connessone è la connessina,
proteina ottenuta per espressione di una larga famiglia genica, quindi abbiamo molte isoforme della
connessina, ovvero proteine che differiscono per pochi ma significativi amminoacidi. In particolare, si
trovano 21 geni espressi in forma multipla, in modo ubiquitario, cioè presenti in tutti i tessuti. Le cellule
esprimono vari tipi di geni e quindi diversi tipi di connessine possono essere assemblate anche all’interno
dello stesso connessone. L’estremo C e N sono intracellulari e hanno funzione regolatoria.

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La probabile struttura tridimensionale


dell’intero connessone è stata ottenuta
con tecniche di cristallizzazione della
connessina e diffrazione a raggi X. Una
regione molto interessante in ogni
connessina è l’α-elica all’N terminale
intracellulare, che ha funzione regolatoria
dello stato di apertura del poro. Perché in
realtà i connessoni non sono sempre aperti
e c’è tantissima ricerca a riguardo perché
numerose patologie possono essere
interessate da questi fenomeni. L’α elica
costituisce una sorta di porta implicata
nella cascata di segnalazione intracellulare.
La visione comunemente riportata su tutti i libri fa riferimento a una struttura in cui le subunità possono
ruotare le une rispetto alle altre come un diaframma, andando ad aprire e chiudere il connessone e che
questo possa essere regolato da molte cascate di segnalazione (quindi da secondi messageri) o da segnali
biochimici come la variazione del pH intracellulare. Quest’ultimo è un sensore dello stato funzionale della
cellula: se il pH si abbassa troppo questo segnala che la cellula sta avendo problemi gravi, che, nel caso dei
miociti cardiaci, possono associarsi alla presenza di un evento ischemico, andando incontro ad alterazione
del potenziale di membrana di riposo e possono dare origine alla generazione di potenziale d’azione, in un
determinato gruppo di miociti di lavoro, indipendentemente dai segnali del tessuto di conduzione. Questo
ovviamente può avere conseguenze aritmiche drammatiche, ma se il pH fa chiudere i connessoni, questo
gruppo cellulare ischemico viene isolato elettricamente e biochimicamente rispetto al resto del tessuto,
con la finalità conservativa di annullare potenziali conseguenze dannose per la funzionalità dell’organo. Ci
sono molte patologie che segnalano un’alterazione dell’espressione e del posizionamento dei connessoni di
membrana. Ad esempio, in corso di fibrillazione atriale, si assiste a una drammatica modificazione del
numero e del posizionamento dei connessoni. Nel tessuto atriale fisiologico abbiamo molti connessoni
disposti testa-coda a unire linearmente gruppi cellulari di miociti atriali, mentre in presenza di fibrillazione
atriale troviamo un diminuito numero di connessoni e la loro lateralizzazione (modificazione della loro
distribuzione di membrana). Se questo sia un evento patogenetico o una conseguenza compensatoria della
patologia che mira a restituire in parte la funzionalità perduta, questo è attualmente sconosciuto.
Quindi riassumendo:
Le sinapsi elettriche hanno notevoli implicazioni funzionali: permettono la rapidità della trasmissione, la
sincronizzazione, l’accoppiamento metabolico e in più permettono anche l’aumento dello stimolo soglia per
innescare determinate risposte. Nelle sinapsi elettriche i neuroni scaricano tutti insieme in una certa rete
neuronale in modo sincrono e prolungato nel tempo. Quando si attiva questo tipo di risposta, che è di
carattere esplosivo, bisogna essere sicuri che sia esattamente il momento di attivare tale risposta. Questo si
ottiene mediante segnali in ingresso ad elevata intensità, perché quando connettiamo tra loro tante cellule
è come se passassimo in una situazione in cui una certa corrente eccitatoria di una certa ampiezza ix, invece
che scorrere su una sola resistenza di membrana, dando origine a un ΔV, che è una depolarizzazione che
deve arrivare alla soglia del potenziale, andasse ad impattare su un numero molto grande di resistenze in
parallelo, ovvero tante cellule accoppiate. La resistenza di un numero di cellule in parallelo è più bassa della
più piccola delle resistenze presenti (la resistenza totale è data da 1/Rtot=1/R1+1/R2…). Per arrivare quindi
alla soglia del potenziale d’azione, l’unico modo è quello di utilizzare dei segnali depolarizzanti di
un’intensità molto più grande. Pertanto, l’aumento dello stimolo soglia è funzionale all’ottenimento di
risposte esplosive che sono di elevato significato nell’animale come la fuga o la secrezione di inchiostro.

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Siccome le connessine sono tante ed espresse in tutti i


tessuti, le patologie che conseguono all’alterazione delle
connessine possono riguardare tessuti anche molto diversi.
Si possono verificare patologie dermatologiche, del
cristallino, o la patologia di Charcot-Marie-Tooth, una
malattia demielinizzante con aspetti sia sensitivi che motori
dovuta alla degenerazione delle cellule di Schwann. In
questo caso le connessine mutate non assicurano più
l’efficiente comunicazione metabolica tra tutti gli strati della
guaina mielinica e quindi si ha l’alterazione del flusso dei
metaboliti dalla regione estrena verso gli strati interni che
determina poi la morte cellulare o la perdita della funzione.
Parlando delle sinapsi chimiche daremo per
scontato elementi già affrontati in altri corsi.
Brevemente, i recettori con neurotrasmettitori
possono essere di due classi: Ionotropici, ovvero
canali ligando dipendenti che vengono aperti per
azione di neurotrasmettitori, oppure
Metabotropici quando i recettori non sono canali,
ma operano una modulazione dello stato di
apertura di canali posti a distanza di membrana
mediante cascate di secondi messaggeri.

Vedremo poi le caratteristiche tipiche delle sinapsi


chimiche come il poter dare origine ad amplificazione, inversione, prolungamento temporale e a fenomeni
di plasticità.

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Fisiologia I – Lezione n° 12
14/11/2019

Data:
14/11/2019
Materia:
Fisiologia I
Professore:
Chiara Tesi
File audio di riferimento:
FISIOLOGIA 14 - 11 - 2019
Controllore:
Pratesi
Coppia:
Losi – Lo Castro

SINAPSI CHIMICHE
All'inizio del ‘900 si favoriva in tutti gli ambienti scientifici europei l’ipotesi elettrica per la trasmissione,
poiché un fenomeno così rapido poteva essere spiegato solo attraverso il passaggio diretto di corrente
attraverso vie specializzate.
Il riferimento chiave per la dimostrazione della natura chimica del neurotrasmettitore è un esperimento,
frutto anche di un colpo di fortuna, piuttosto semplice che venne messo in pratica all’inizio del secolo scorso
da un ricercatore tedesco, O. Loewi, il quale grazie a questo e ad altri esperimenti condotti in particolar modo
sull’acetilcolina vinse il premio Nobel.

O. Loewi credeva fermamente nell'ipotesi chimica della trasmissione ma non riusciva a trovare un esperimento semplice
per provarlo. Si racconta che si svegliò nel cuore della notte con l'illuminazione dell'esperimento chiave, la mattina si
svegliò senza ricordarselo, andò in laboratorio, stette tutto il giorno disperato a cercare di ricordarselo senza riuscirci.
Tornò a casa, e di cattivissimo umore tornò a letto, si addormentò e sei risvegliò nel cuore della notte con la stessa
illuminazione dell’esperimento, a quel punto si mise il cappotto, andò in laboratorio e fece l’esperimento

Venne utilizzato come preparato un cuore di rana, in quanto facilmente reperibile e conservabile, messo in
una soluzione di perfusione, senza bisogno di ossigenazione. Il primo cuore usato nell’esperimento viene
mantenuto collegato al nervo vago, responsabile della sua innervazione parasimpatica che controlla la
frequenza cardiaca rallentandola (si sapeva infatti già che la stimolazione del nervo vago determina la
diminuzione della frequenza cardiaca e della forza contrattile del cuore).

Il secondo cuore utilizzato nell’esperimento a differenza del primo venne privato dell’innervazione del nervo
vago e posto in una soluzione di perfusione del tutto simile alla prima in un contenitore collegato al
contenitore del primo cuore con un tubicino di vetro pervio.

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14/11/2019

Registrando l’attività contrattile di entrambi i cuori si assisteva a una diminuzione della forza contrattile nel
primo cuore, in seguito a stimolazione da parte del nervo vago. Con un certo ritardo, lo stesso effetto lo si
ritrovava anche a livello del secondo cuore, il quale però non era soggetto a stimolazione diretta del nervo
vago.

Loewi giunse alla conclusione che la stimolazione del vago liberasse una molecola, da lui chiamata “sostanza
vagale”, che era in grado di diffondere nel liquido di perfusione del primo cuore raggiungendo il liquido di
perfusione del secondo cuore e provocando gli stessi effetti di diminuzione della forza contrattile e della
frequenza ottenuti mediante stimolazione diretta. Ovviamente un fenomeno del genere non potrebbe mai
avvenire con un’attività elettrica perché questa rimarrebbe confinata al primo cuore e le correnti si
attenuerebbero enormemente anche dopo aver percorso solo pochi millimetri nella soluzione di perfusione
del cuore 1 .

Negli stessi anni Dale identificò l’acetilcolina come sostanza vagale. Essa venne isolata dalla segale cornuta,
pianta conosciuta fin dal Medioevo per le sue proprietà allucinogene, e venne scoperto che era la stessa
sostanza liberata a livello delle sinapsi del vago, dimostrando così la sua azione di neurotrasmissione.

Loewi ebbe un colpo di fortuna, in quanto l’innervazione vagale del cuore di rana libera grandi quantità di
acetilcolina che può quindi diffondere meglio nel liquido giungendo alla innervazione vagale del secondo
cuore in concentrazioni adeguate a generare uno stimolo; inoltre non sono presenti meccanismi di rimozione
del neurotrasmettitore efficienti. Se avesse eseguito lo stesso esperimento col cuore di un mammifero, non
avrebbe visto niente a causa della presenza di meccanismi di rimozione del neurotrasmettitore più efficaci,
ma non avrebbe osservato niente nemmeno se avesse eseguito l’esperimento a livello di una giunzione
muscolare, a causa della bassa quantità di neurotrasmettitore liberato.

NEUROTRASMETTITORI
Le trasmissioni dei segnali tra elementi neuronali e cellule effettrici avvengono con modalità principalmente
chimica (come dimostrato nell’esperimento di Loewi e confermato in tutte le sinapsi con l’eccezione delle
sinapsi elettriche a livello cardiaco e altre). Queste prevedono che un neurotrasmettitore sia liberato per
azione del potenziale di azione che arriva al terminale pre-sinaptico. I neurotrasmettitori sono molecole che
appartengono a varie classi che si occupano di mediare questa trasformazione tra stimolo elettrico e stimolo
chimico che può essere convertito successivamente in stimolo elettrico a livello della membrana post-
sinaptica.
Criteri per definire tale un neurotrasmettitore

1. È sintetizzato nell’elemento presinaptico.


2. È immagazzinato, anche come precursore, nell’elemento presinaptico, spesso all’interno di vescicole.
3. In presenza di un potenziale d’azione presinaptico viene rilasciato nello spazio sinaptico e si lega a
recettori specifici sulla membrana postsinaptica determinando una variazione di eccitabilità
dell’elemento postsinaptico.
4. Esistono meccanismi di rimozione specifica dallo spazio sinaptico.
5. L’applicazione esogena del neurotrasmettitore mima l’azione del neurotrasmettitore rilasciato
endogeneamente (identificazione di agonisti-antagonisti: farmacologia della sinapsi).

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Il neurotrasmettitore viene
sintetizzato, attraverso specifiche
vie di biosintesi e specifici enzimi,
e immagazzinato nelle vescicole.
Pertanto il terminale presinaptico
sarà caratterizzato, a un’indagine
biochimica, dalle delle specifiche
enzimatiche in grado di
sintetizzare e immagazzinare il
neurotrasmettitore
Nel momento in cui il potenziale di
azione invade la terminazione
presinaptica, si realizza un
processo di accoppiamento tra
eccitazione del terminale e
secrezione localizzata del
neurotrasmettitore.
Il neurotrasmettitore, rilasciato
nello spazio sinaptico per
esocitosi, si lega ai recettori
specifici presenti sulla membrana postsinaptica. Quest’ultimi possono essere ionotropici, ovvero veri e propri
canali in cui il legame con il neurotrasmettitore induce l’apertura (o la chiusura), generando una corrente che
ha come risultante la depolarizzazione (o iperpolarizzazione) della cellula. Il neurotrasmettitore può inoltre
legarsi ad un recettore metabotropico in cui è la trasmissione del segnale innescata dal recettore ad aprire
un canale separato. L’interazione del neurotrasmettorore con il recettore avviene con modalità rapida se il
recettore è ionotropico, ovvero se è un canale, o con modalità più lenta se è un recettore metabotropico.
A livello della membrana postsinaptica si trovano anche tutti i sistemi di inattivazione del neurotrasmettitore.
Il neurotrasmettitore, infatti, deve avere un’azione rapida per quanto riguarda la sua liberazione e la sua
interazione con il recettore, ma altrettanto rapidamente deve essere inattivato così se arriva un secondo
segnale alla sinapsi, gli eventi di liberazione del neurotrasmettitore trova uno spazio sinaptico ritornato alle
condizioni di partenza così che si mantiene elevato il rapporto tra segnale.
Infine, esistono delle classi di molecole simili al neurotrasmettitore in grado di mimare l’azione del
neurotrasmettitore, quindi sono agonisti del neurotrasmettitore stesso, e altre molecole che si legano al
recettore ma non sono in grado di attivare tutti gli eventi a cascata che seguono al legame del
neurotrasmettitore al recettore. Quindi queste molecole che legandosi al recettore lo sequestrano
rappresenteranno degli inibitori dell’azione dei neurotrasmettitori, saranno i suoi antagonisti. Identificare gli
agonisti e gli antagonisti di un neutrotrasmettitore significa identificare delle molecole che possono essere
utilizzate come farmaci per potenziare o attutire l’effetto di quella determinata sinapsi, quindi la
farmacologia di quella sinapsi. Si deve dimostrare che l’azione di queste molecole compete con il
neurotrasmettitore liberato.
Una molecola è un neurotrasmettitore se viene liberata in seguito all’azione di un potenziale di azione del
terminale sinaptico. La stessa molecola può arrivare a livello della sinapsi ad esempio per diffusione dal
torrente ematico, come avviene per gli ormoni, oppure liberata come fattore locale da cellule vicine; quindi
una stessa molecola può agire sia da ormone che da neurotrasmettitore, a seconda del meccanismo d’azione.
Inoltre, l’azione di uno stesso neurotrasmettitore può essere diversa a seconda del recettore che viene
stimolato. Ad esempio, l’acetilcolina è un neurotrasmettitore eccitatorio nelle giunzioni neuromuscolari, ma
ha un’azione inibitoria a livello della sinapsi del vago perché diminuisce la forza di contrazione cardiaca.
In poche parole, l’azione del neurotrasmettitore non dipende da lui stesso, ma dal tipo di recettore stimolato.

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GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE
La giunzione neuromuscolare presenta grandi vantaggi nello studio in quanto è una sinapsi molto grande e
localizzata in periferia, facilmente visibile e quindi studiabile in vitro.
È una sinapsi dei motoneuroni, il cui soma rimane nel SNC mentre gli
assoni escono dal midollo spinale raggiungendo le fibre muscolari
scheletriche innervate ognuna da una sola fibra nervosa, a differenza
delle numerosissime sinapsi tra gli interneuroni.
Si tratta di una sinapsi eccitatoria, nella quale non sono presenti fenomeni
di integrazione, ovvero quando arriva un potenziale di azione al terminale
sinaptico, questo determina un evento di neurotrasmissione che sempre
è in grado di riprodurre il potenziale di azione nell’elemento postsinaptico
(rapporto 1:1).
È sufficiente stimolare l’elemento presinaptico tramite procedimento
facile che consiste nello stimolare, con una corrente sopra soglia, la radice
ventrale dei nervi spinali, dove si trovano tutti gli assoni dei motoneuroni:
ad ogni stimolazione, avrò la contrazione dei muscoli.
Tutto questo è un sistema molto efficiente, ma anche molto pericoloso
perché il neurotrasmettitore deve uscire veramente solo quando deve
avvenire la contrazione muscolare. Il verificarsi di liberazioni erronee può
causare contrazioni involontarie alla base anche di alcune patologie.
Quindi tutti i conti vengono fatti nel SNC e una volta attivato il
motoneurone non si torna indietro.
Per quanto riguarda il motoneurone, il suo assone ad un certo punto
perde la membrana mielinica e si sfiocca dando luogo a tante vie
collaterali che contattano la membrana plasmatica delle fibre.
Ovviamente le membrane non si fondono, si tratta di una sinapsi chimica,
che prevede quindi grandi specializzazioni di membrana sia nell’elemento
pre- che post- sinaptico.
L’elemento pre-sinaptico contiene il neurotrasmettitore, che in questo
caso è l’acetilcolina, contenuto nelle vescicole.
Si notano anche addensamenti di membrana caratteristici, che sono il
corrispettivo della macchina molecolare che determina l’evento di
secrezione localizzata del neurotrasmettitore.
Si hanno specializzazioni anche post-sinaptiche: la membrana della fibra
muscolare a livello della giunzione si ripiega, dà luogo alle pieghe
giunzionali, caratterizzate istologicamente da addensamenti sulla
porzione apicale dove si localizzano i recettori all’acetilcolina.
In modo semplificato, al livello della sinapsi, la membrana postsinaptica è
una regione altamente specializzata rispetto a tutto il resto della
membrana della fibra muscolare, la quale presenta dei canali Na+ e K+
voltaggio dipendenti, che sono invece assenti (o quasi) a livello della
membrana postsinaptica che contiene invece dei canali ligando
dipendenti, i recettori ionotropici che si aprono solo quando il
neurotrasmettitore vi si lega.

In realtà, la membrana postsinaptica non è lineare e i canali ligando dipendenti si trovano nella regione più
apicale delle pieghe, mentre nella profondità della cresta si trovano i canali voltaggio dipendenti.
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L’evento di depolarizzazione, che porta alla soglia del potenziale di azione, non è il potenziale d’azione, ma il
potenziale di placca o potenziale di giunzione neuromuscolare, facente parte della classe dei fenomeni
elettrotonici (passivi), che si attenuano con la propagazione lungo la membrana plasmatica. Essendo il
potenziale così grande, questo si propaga e quando arriva alla regione in cui si trovano i canali del potenziale
d’azione (del Na e del K) , che siano alla profondità delle creste o sul resto della membrana, determina sempre
l’apertura di questi canali voltaggio dipendenti e l’innesco di un potenziale
d’azione.
Nei preparati istologici si possono vedere bene i terminali presinaptici con le
vescicole, la membrana basale, lo spazio intersinaptico e la membrana della
fibra muscolare scheletrica del piede giunzionale.
L’acetilcolina viene sintetizzata dalla colinaacetiltrasferasi nel terminale pre-sinaptico a partire dalla colina e
dall’acetilCoA e immagazzinata in alcune vescicole che sono dotate di trasportatori specifici per l’acetilcolina
che poi viene liberata all’arrivo del potenziale di azione nello spazio sinaptico.

All’interno di una vescicola sono presenti circa 5000 molecole di acetilcolina. Nella struttura dell’acetilcolina
il punto chiave è l’azoto quaternario, che ha una carica positiva ed è questo che viene riconosciuto dal
recettore. Tutti gli antagonisti e tutti gli agonisti all’acetilcolina avranno come caratteristica la presenza
dell’azoto quaternario.
L’acetilcolina, dopo aver svolto il proprio compito, viene scissa da un enzima associato alla membrana
postsinaptica, in particolare alla lamina basale dell’elemento post-sinaptico. L’enzima in questione è
l’acetilcolina esterasi che la scinde in colina e acido acetico.
La colina viene ripresa subito grazie ad un meccanismo di trasporto pre-sinaptico; si tratta di un trasportatore
carrier che effettua simporto, che utilizza il trasporto attivo secondario in quanto accoppia il trasporto
secondo gradiente del sodio, ottenuto grazie all’azione ATP-dipendente della pompa sodio-potassio, per
trasportare contro gradiente l’acetilcolina.

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La specializzazione della membrana post-sinaptica è data principalmente dalla presenza dei recettori.
Sono presenti due classi possibili di recettori:
- un recettore ionotropico all’acetilcolina, chiamato recettore nicotinico
- un recettore metabotropico all’acetilcolina, chiamato muscarinico
Riassumendo: l’evento di depolarizzazione che consegue all’interazione dei neurotrasmettitori con il
recettore nella giunzione neuromuscolare è il prototipo di tutti gli eventi di depolarizzazione di tutte le
sinapsi, ovvero di tutti i potenziali post-sinaptici eccitatori, indicati con l’acronimo EPSP (Exitatory Post
Sinaptic Potential). È un fenomeno presente in tutte le sinapsi eccitatore chimiche: la sua caratteristica è di
essere sempre soprasoglia per la generazione del potenziale di azione.
La giunzione neuromuscolare è molto rapida in quanto si libera una grande quantità di neurotrasmettitore
che trova un enorme quantità di recettori nella membrana post-sinaptica. La diffusione avviene molto
rapidamente e quindi l’evento ha un ritardo di circa 0,5 ms.
Di sinapsi obbligate ne esistono pochi esempi oltre alla giunzione neuromuscolare, come le sinapsi gangliari
del Sistema Nervoso Autonomo. Sono conosciuti pochissimi altri esempi perché nella stragrande
maggioranza dei casi sono presenti fenomeni di integrazione neuronale, ovvero in cui gli stimoli sono sempre
sottosoglia e se ne devono sommare tanti per poter arrivare alla soglia del potenziale di azione.
ESPERIMENTI DI ELETTROFISIOLOGIA

Ci sono esperimenti che hanno dimostrato i concetti precedentemente esposti. Ognuno dei concetti descritti
è risultato di un faticoso percorso di ricerca che ha anche portato a premi Nobel. Gli esperimenti, scritti
divinamente ed eleganti ovvero realizzati con il minimo di elementi ma con maggiore efficienza e semplicità,
sono stati fatti principalmente in Inghilterra nella seconda metà del secolo scorso. Furono attuati dopo la
Seconda guerra mondiale perché durante questo periodo, a causa dello sforzo bellico, l’elettronica fece passi
da gigante. Gli sperimentatori infatti si trovarono ad avere sistemi di registrazione miniaturizzati e
amplificatori operazionali.

In pratica, l’assone del motoneurone poteva essere stimolato tramite la stimolazione delle radici del nervo
spinale e dentro la fibra scheletrica poteva essere posizionato un micro-elettrodo a distanza dalla giunzione
neuromuscolare. Era possibile quindi stimolare o il motoneurone o direttamente la fibra muscolare
scheletrica. Se fosse stata stimolata
quest’ultima, si sarebbe registrato
un potenziale d’azione muscolare
ottenuto senza intervento del
neurotrasmettitore, ma solo
portando sopra soglia con stimoli
elettrici i canali voltaggio dipendenti
del potenziale di azione, qui detto M,
ovvero ottenuto nella fibra
muscolare per stimolazione diretta
del motoneurone, la cui forma era
quella classica e normale. Andando a
registrare vicino alla giunzione
neuromuscolare, il potenziale di
azione dovuto al neurotrasmettitore
questo, era invece modificato nella
forma. Esso si sviluppava in seguito
alla catena di eventi comprendenti

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l’azione del neurotrasmettitore che determinava un evento elettrotonico passivo il quale depolarizza la
membrana fino alla soglia del potenziale di azione. In questo caso si parla di potenziale d'azione N, ovvero
dovuto alla stimolazione del nervo motore e quindi all'azione del neurotrasmettitore. Sovrapponendo N e M
si è notata la differenza di forma: quello muscolare era più alto, invece quello ottenuto dal
neurotrasmettitore aveva un picco più basso ed era deformato.

Va sottolineato però che il potenziale d’azione nel grafico non torna mai a zero e questo è il risultato di un
artefatto sperimentale. Infatti quando nella fibra scheletrica si aveva il potenziale d’azione il micro-elettrodo
veniva espulso dalla fibra stessa a causa della sua contrazione, perciò non si registrava più il potenziale. Erano
quindi esperimenti costosi poiché il micro-elettrodo non rimaneva in posizione e doveva essere sostituito
dopo ogni scarica.

Gli sperimentatori, vedendo la deformazione ipotizzarono che il neurotrasmettitore depolarizzasse la


membrana senza determinare direttamente il potenziale d’azione, perché avrebbero dovuto osservare due
fenomeni equivalenti sia stimolando il nervo che il muscolo, ma invece si assisteva a un fenomeno della classe
elettrotonica. Di conseguenza, spostando e registrando il potenziale d’azione determinato dal
neurotrasmettitore a una distanza via via crescente (dalla porzione di membrana postsinaptica a livello della
fibra muscolare), si sarebbe dovuto osservare la scomparsa della differenza per confermare l’esistenza di
questo fenomeno elettrotonico, che si attenua propagandosi lungo la membrana. Evidentemente, a un
punto più lontano si registrò infatti un potenziale del tutto analogo a quello di stimolazione diretta, ovvero
senza l’azione del fenomeno elettrotonico che perciò non si sovrappone più al potenziale di azione
modificandolo.

Un’altra base di quest’ipotesi è il fatto che il potenziale d’azione deformato, rispetto a un potenziale d’azione
normale ottenuto stimolando direttamente il muscolo, dura di più, ha un picco più basso e in alcune
registrazioni, eseguite vicino alla regione di placca, osservo la presenza del fenomeno elettrotonico. Per
questo motivo si teorizzò che il neurotrasmettitore potesse cambiare il potenziale di membrana aprendo dei
canali che non erano quelli del potenziale di azione, bensì canali ligando dipendenti; in questo modo si
sarebbe originato un fenomeno di natura passiva, il quale propagandosi nella membrana avrebbe trovato i
canali del potenziale di azione e, se la depolarizzazione fosse stata uguale o superiore alla soglia, ne avrebbe
determinato l’apertura innescando il potenziale d’azione . Questo fenomeno non si vedeva nella giunzione
neuromuscolare perché il potenziale di azione, detto anche di placca, era un fenomeno soprasoglia che vi si
sovrapponeva.

Conoscendo il neurotrasmettitore acetilcolina e conoscendo l’agonista, ovvero una molecola facente la


stessa azione, ossia la nicotina, il recettore
dell’acetilcolina è detto nicotinico. L’antagonista
specifico è invece il curaro, un grande alcaloide
di origine naturale, utilizzato nella caccia perché
avente il potere di paralizzare e usato anche negli
interventi chirurgici per inibire il tono muscolare
dei muscoli che devono essere tagliati.

Il curaro anche a bassa dose inibisce il legame tra


neurotrasmettitore e recettore acetilcolinico
bloccando il recettore e rendendo impossibile il
legame all’acetilcolina. Questa quindi, trovando
un numero minore di recettori disponibili, aprirà
meno canali e determinerà una depolarizzazione
minore.

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Gli scienziati portarono sotto soglia il potenziale di placca utilizzando il curaro, così da registrare il fenomeno
elettrotonico che ha un tempo di salita ed estinzione caratteristico determinato sulla base della costante di
resistenza e capacità di membrana.
L’eserina va a bloccare il sistema di inattivazione
dell’acetilcolina presente nella membrana basale
dell’elemento postsinaptico; quindi se viene
somministrata dopo il curaro, ne consegue il
ritorno sopra soglia del fenomeno.

Gli scienziati ripeterono gli esperimenti in


assenza del potenziale di azione, portando
dunque il potenziale di placca sotto la soglia del
PdA; registrando a distanza via via crescente
dalla regione sinaptica, osservarono un
fenomeno elettrotonico e conclusero quindi che
l’azione del neurotrasmettitore era quella di
aprire simultaneamente molti canali presenti
solo nella regione di placca, creando non il
potenziale d’azione ma un fenomeno di tipo elettrotonico, dovuto a una corrente che depolarizza la
membrana e che poi si propagherà lungo di essa con decremento. in condizioni normali il potenziale di placca
è sempre soprasoglia nelle regioni circostanti la placca generando così un potenziale d’azione. il potenziale
di placca è generato dall’apertura di canali specifici ligando dipendenti che si aprono quando interagiscono
con il neurotrasmettitore.

I canali depolarizzano la membrana e la corrente che li attraversa è una corrente cationica mista, dovuta al
passaggio contemporaneo di sodio e potassio, quindi essa ha una composizione ionica uguale a quella del
potenziale di azione solo che in quel caso i canali sono separati.

Come si fa a dimostrare che è l’ACh il neurotrasmettitore della giunzione neuromuscolare? Le prove sono
tantissime: abbiamo l’identificazione della presenza del neurotrasmettitore nel terminale pre-sinaptico,
abbiamo l’identificazione di tutto l’apparato enzimatico nel terminale pre-sinaptico in grado di sintetizzare il
neurotrasmettitore, ma la prova più risolutiva è l’applicazione esogena dell’Ach nello spazio sinaptico. Questo
significa dimostrare che l’applicazione esogena della molecola determina lo stesso effetto che si associa alla
liberazione del neurotrasmettitore da parte del potenziale d’azione.

Ci si chiedeva se i recettori fossero solo in regione di placca o lungo tutta membrana della fibra. I canali del
neurotrasmettitore sono solo nella regione sinaptica mentre nel resto della fibra ci sono i canali del
potenziale di azione e per dimostrarlo bisognava simulare la liberazione del neurotrasmettitore così come
avviene a livello della giunzione.

Per fortuna l’acetilcolina ha una carica positiva ed è possibile somministrarla in modo preciso tramite una
tecnica di micro ionoforesi, ovvero mettendo un micro elettrodo a piccola distanza dalla giunzione
neuromuscolare mediante la somministrazione di un impulso di corrente, e determinando la fuoriuscita di
una quantità controllata di ACh. Se carico l’interno dell’elettrodo, l’ACh, che è carica positivamente, uscirà e
migrerà verso il polo negativo, pertanto viene rilasciata in quella regione specifica.

Si vide che con la somministrazione di impulsi di piccola durata e facendo uscire anche piccole quantità di
acetilcolina, quando siamo vicino alla sinapsi da un potenziale di membrana, mentre se lo stesso
procedimento viene ripetuto a distanza la ionoforesi dell’acetilcolina non produce nessun effetto, perché
evidentemente non sono presenti i suoi recettori, che sono quindi confinati solo nella regione della giunzione
neuromuscolare.
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Il potenziale di placca che si


ottiene somministrando
acetilcolina è un fenomeno
elettrico dovuto a una
corrente che passa nel
canale. Registrando con
dispositivi voltage clamp, si
nota il rapporto tra corrente
e depolarizzazione, ovvero il
picco della prima anticipa il
picco della seconda.

È interessante registrare la
corrente di placca perché in
questo modo è possibile
stabilire che sia cationica e
mista di sodio e potassio. Per
poter capire la natura ionica la devo registrare tramite un dispositivo voltage clamp, al tempo però non
esistevano e si usavano dispositivi più complicati.

Contemporaneamente bisognava tenere costante il potenziale di membrana impedendo che cambiasse e per
far ciò era necessario far passare attraverso la membrana una corrente uguale e contraria a quella associata
al potenziale di placca, ovvero ad essa speculare. Sulla base dei parametri elettrici della membrana della fibra
muscolare, una resistenza di 320 kiloΩ e costante di tempo di 25 ms, utilizzando la corrente di placca che
viene registrata, potevo calcolare il potenziale che doveva conseguire al passaggio della corrente attraverso
la membrana plasmatica e i punti si sovrapponevano in modo preciso all’andamento del potenziale di placca.

Ho una corrente nuova


dovuta a una classe nuova
di canali ionici ligando
dipendenti.

Lo schema illustra
semplicemente il
potenziale di membrana
che si stabilisce su un
valore che risente della
variabile fondamentale,
ovvero le conduttanze di
membrana. La conduttanza
principale è quella del
potassio e se cambio i
rapporti di conduttanza tra
canali sodio e potassio, la
membrana può passare
rapidamente su valori di
potenziale positivi dando luogo a un fenomeno esplosivo che è il potenziale di azione. La conduttanza del
potassio è 100 volte più grande alla conduttanza del sodio. L’apertura è rapida.

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Comunque sia, un fenomeno di depolarizzazione e ripolarizzazione genera modificazioni dei rapporti di


conduttanza e nel caso specifico del potenziale di placca portando a depolarizzazione. Cerco quindi ioni con
potenziali di equilibrio positivi, superiori a quelli del potassio; apro canali ad essi permeabili che portano il
potenziale a un valore meno negativo di quello del potassio. Il potenziale di membrana si sposta con cinetica
di spostamento che dipende dalla cinetica di apertura dei canali. Il potenziale di membrana a riposo non è
uguale al potenziale del potassio ed è il rapporto di conduttanza 0.01 che determina quanto il potenziale di
membrana sia meno negativo rispetto al valore del potenziale del potassio. Se il rapporto di conduttanza
diventasse 100 a favore del sodio, il potenziale di membra si avvicinerebbe a quello del sodio e dipende dal
numero e tipo di canali contemporaneamente aperti.

È necessario ricercare le basi ioniche del


potenziale di placca, registrare la corrente di
placca e cercare la dipendenza dell’intensità
di questa corrente dal valore di potenziale di
membrana.

Questi esperimenti dimostrano che il canale


ha natura ionica mista e che il gating non è
voltaggio dipendente ma ligando dipendente.
Per dimostrare questo occorre misurare le
correnti di placca bloccando il potenziale di
membrana su più valori diversi, andando a
scoprire le relazioni intensità/voltaggio della
corrente di placca. Quest’ultime permettono
di capire la natura ionica e di capire il gating
del canale. La corrente di perdita è quella che passa nei canali sempre aperti e responsabili dell’alta
permeabilità al potassio di tutte le cellule eccitabili. La corrente del potassio attraversa un canale di perdita.
Se osservo una reazione corrente-voltaggio di questo tipo essa sarà un canale non voltaggio dipendente, ma
o sempre aperto o ligando dipendente; ciò si ha in quanto la corrente è zero in un punto, detto punto di
inversione, che equivale al potenziale di equilibrio dello ione, in cui la corrente cambia segno e da uscente
diventa entrante (in basso le entranti, in alto le uscenti e per convenzione a destra valori positivi e a sinistra
negativi del potenziale di membrana di una cellula). La pendenza è la conduttanza e come si vede essa è
costante confremando che il canale di perdita preso in esame o è sempre aperto o al massimo ligando
dipendente.

Concentriamoci su due informazioni, ovvero la corrente è cationica perché il punto di inversione è il


potenziale di uno ione e non è voltaggio dipendente perché la pendenza è costante e non dipende dal
potenziale di membrana quindi è un canale sempre aperto ovvero di perdita o aperto in presenza di
neurotrasmettitore. Quindi ogni corrente è formalizzata con piccola modificazione della legge di Ohm ed è
uguale al prodotto della conduttanza, mentre la corrente dipende da un delta Q ovvero la differenza del
potenziale di membrana all’equilibrio. La corrente d sodio ha un punto di inversione che equivale al punto di
equilibrio del sodio, passa in un canale voltaggio dipendente perché la pendenza varia

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Fisiologia – Lezione n° 14
15/11/2019

Data: 15/11/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Chiara Tesi
File audio di riferimento:

Controllore: Rinaldi
Coppia: Paganin - Soriani

TRASMISSIONE SINAPTICA

Uno strumento fondamentale per la


ricerca in questo campo è
rappresentato da esperimenti di
elettrofisiologia delle relazioni
corrente voltaggio attraverso il canale.
Queste relazioni, che mettono in
correlazione l’intensità della corrente
con il potenziale di membrana nel corso
di un esperimento di voltage-clamp,
possono indicare la natura ionica della
corrente, ossia quali sono gli ioni che
partecipano alla corrente, e il tipo di
gating, ossia se il meccanismo di
modulazione dello stato di apertura è
operato dal voltaggio di membrana
(canale voltaggio dipendente) oppure
se il gating dipende dall’interazione con un neurotrasmettitore (canale ligando dipendente).

Le informazioni ottenute dagli esperimenti di elettrofisiologia vengono correlate con i dati strutturali che i
ricercatori ottengono dall’analisi strutturale dei canali, un’analisi che comporta la risoluzione della sequenza
amminoacidica, dunque l’identificazione del gene, e la risoluzione della struttura tridimensionale del canale
mediante tecniche di cristallizzazione delle proteine e diffrazione a raggi X. In questo modo, si stabiliscono le
caratteristiche molecolari della struttura del canale che rendono conto di una determinata selettività ionica,
ciò che nel canale va a costituire il sensore di voltaggio, ciò che va a costituire le regioni che riconoscono i
segnali chimici e dove sono localizzate le strutture che aprono e chiudono il canale quando si osserva la
modificazione conformazionale in seguito all’interazione con il segnale chimico.

Queste informazioni sono molto importanti in quanto permettono di correlare i malfunzionamenti del canale
che si presentano in una vasta classe di patologie, le canalopatie, che derivano da modificazioni della corrente
associate a modificazioni strutturali. Dall’interazione traslazionale di diversi campi di ricerca fino all’aspetto

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clinico si può individuare, ad esempio, una classe di farmaci che possa andare a compensare per un aspetto
patologico. Dunque, la relazione struttura-funzione è sempre alla base delle indagini in campo biologico.

La relazione corrente-voltaggio si osserva in un canale di perdita, ossia quel canale a potassio sempre aperto,
che ha una conduttanza, ossia una pendenza, che è costante in tutto il dominio del voltaggio. Dunque, non è
voltaggio dipendente. Questo tipo di relazione ci indica che è una corrente di potassio perché ha un punto di
inversione che equivale al potenziale di equilibrio del potassio.

Le correnti ioniche si possono esprimere con una modificazione della legge di Ohm, come prodotto della
conduttanza attraverso quel determinato canale per la forza elettromotrice che agisce sullo stesso, ossia per
la differenza tra il potenziale di membrana e il potenziale di equilibrio dello ione. Per definizione, quando il
potenziale di membrana è uguale al potenziale di equilibrio dello ione, il flusso netto dello ione attraverso
la membrana è 0 e questo coincide con una corrente pari a 0 nel punto di inversione.

Le correnti rappresentate in basso sono le correnti


entranti e le correnti rappresentate in alto sono le
correnti uscenti. Il segno è il verso della corrente:
quello negativo è la corrente entrante e quello
positivo è la corrente uscente. Ad esempio, la
corrente di potassio è uscente.

Siamo di fronte a canali ligando dipendenti: in


presenza del neurotrasmettitore, il canale è
sempre aperto. Nel canale selettivo per lo ione
potassio, il punto di inversione della corrente è
pari a -90 mV; nel caso dello ione sodio, il punto
di inversione della corrente è pari a +50 mV; nel
caso dello ione cloro, questo va inserito vicino
allo ione potassio.

Il diagramma intensità-voltaggio della corrente di placca che passa attraverso il canale aperto dall’acetilcolina
si riferisce a una relazione lineare, come previsto da un canale ligando dipendente, in cui il punto di inversione
è intorno ai -15 mV. È un punto di inversione che non corrisponde al potenziale di equilibrio di nessuno ione.
In questo caso, si ipotizza che la corrente sia multionica, ossia che più ioni, dotati di potenziali di equilibrio
differenti, possono attraversare il canale. Di conseguenza, il punto di inversione risulta essere la media
ponderata, che a volte corrisponde anche a quella aritmetica, tra i potenziali di equilibrio. Questo perché
ogni ione, nel flusso attraverso il canale, determina una corrente che tende a spostare il potenziale di

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membrana verso il valore del
proprio potenziale di equilibrio:
nel caso del potassio verso i -90
mV e nel caso del sodio verso i +50
mV. In questo caso, poiché il
valore del punto di inversione è
intermedio, attraverso il canale
fluiscono ugualmente bene lo ione
sodio e lo ione potassio. In realtà,
la capacità di spostare il
potenziale di membrana verso il
valore del potenziale di equilibrio
dello ione dipende dal valore
della conduttanza attraverso quel
canale, ossia se quel determinato
canale si lascia attraversare molto difficilmente da uno ione, il contributo allo spostamento di questo ione è
più piccolo del contributo dato dall’altro ione. Nel caso del potenziale di membrana a riposo, il contributo
dato dal sodio è più piccolo del contributo dato dal potassio. Questo perché il rapporto di conduttanza è
più favorevole per il potassio: 100 canali aperti per il potassio e 1 canale aperto per il sodio. Conta di più lo
ione più permeabile, che ha la conduttanza più elevata attraverso il canale, per quanto riguarda lo
spostamento del potenziale di membrana.

Tutto questo discorso ha però bisogno di essere dimostrato da una serie di esperimenti pionieristici in
preparati neuromuscolari (nella giunzione neuromuscolare di rana), dotati di facilità di mantenimento in vitro
e, di conseguenza, di facilità di studio. In questi esperimenti, si stimolano i motoneuroni e si blocca il
potenziale di membrana su valori prescelti dallo sperimentatore in modo da neutralizzare l‘effetto dell’arrivo
del segnale chimico del neurotrasmettitore e le correnti che vanno a depolarizzare la membrana post-
sinaptica. Tuttavia, non è possibile bloccare il potenziale di membrana a valori superiori a -50 mV, perché
altrimenti si genererebbe il potenziale d’azione e si registrerebbero correnti in più che si sommano alle
correnti di placca. Si blocca a -50 mV e a -100 mV, valori funzionali all’indagine del sistema. Inoltre, si utilizza
il curaro che, diminuendo l’effetto del neurotrasmettitore e bloccando un gran numero di canali, riduce
l’intensità della corrente e porta
sotto la soglia del potenziale
d’azione.

Con la concentrazione di curaro pari


a 3 x 10-6 gm ml-1 (3 micromolare), si
osserva una relazione lineare:
l’intensità della corrente diminuisce
al variare del potenziale di
membrana, via via che questo si
avvicina allo 0. La pendenza di
questa relazione è la conduttanza.
Dunque, non cambia la conduttanza
e la corrente diminuisce per effetto
della legge di Ohm, già citata
precedentemente. Il punto di
inversione si può solo estrapolare a
valori all’intercetta sull’asse X che

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equivaleva alla corrente pari a zero, e questo valore è pari a -13 mV.
Aumentando la dose di curaro fino a 4 x 10-6 gm ml-1, si osserva una modificazione della conduttanza e della
pendenza. È bene ricordare che la conduttanza di membrana è data dalla somma delle nuove conduttanze
che si vengono ad aprire per azione del neurotrasmettitore. Dunque più canali sono aperti, più grande è la
conduttanza. Da un punto di vista di descrizione di circuiti, dunque di elettrologia, le conduttanze in parallelo
si sommano linearmente. La corrente di placca passa attraverso canali aperti dal neurotrasmettitore, ossia
canali ligando dipendenti; il curaro cambia il numero di canali aperti, ossia cambia la conduttanza generale,
che si indica con G, ma non cambia il punto di inversione, non cambia la natura ionica della corrente; ogni
volta che si incontra la relazione corrente voltaggio lineare, ossia con una conduttanza costante, siamo di
fronte a un canale ligando dipendente o a un canale sempre aperto quando è presente il
neurotrasmettitore; poiché il punto di inversione è -15 mV, che non corrisponde al potenziale di equilibrio
di nessuno ione, gli sperimentatori ipotizzarono che i canali fossero cationici aspecifici attraverso cui passano
il sodio e il potassio.

-15 mV è più o meno la media aritmetica


tra i due potenziali di equilibrio di sodio e
potassio, per cui gli sperimentatori
alterarono il potenziale di equilibrio del
POTASSIO, andando a modificare la
concentrazione del potassio
extracellulare, per osservare una
modificazione del punto di inversione. Dal
valore fisiologico di 4.5 mM, la
abbassarono a 0,5 mM. Abbassare il
potassio extracellulare significa
aumentare il gradiente di concentrazione
del potassio tra l’interno e l’esterno. Di
conseguenza, il potenziale di equilibrio
dello ione potassio diventa più negativo.
Anche il punto di inversione della corrente
di placca diventa più negativo seguendo
fedelmente ciò che è avvenuto al
potenziale di equilibrio dello ione potassio. Questo conferma che il potassio è un componente della corrente
di placca e che il punto di inversione è più o meno la media aritmetica tra i due potenziali di equilibrio di

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sodio e potassio. Inoltre, la conduttanza non varia perché si analizza un effetto che non altera il passaggio
dello ione attraverso il canale, ma si varia la
forza elettromotrice che agisce sul potassio.

Ripetendo l’esperimento con il SODIO, si


nota che il sistema è meno sensibile al
sodio. Il sodio extracellulare è molto elevato
e lo si diminuisce di circa 10 volte. Tuttavia,
l’effetto che si osserva è piccolo; sarebbe più
sensibile se si potesse variare la
concentrazione di sodio intracellulare, ma
questo pone problemi sperimentali molto
grandi. Diminuendo il gradiente del sodio,
essendo il sodio extracellulare più vicino a
quello intracellulare, il potenziale di
equilibrio del sodio risulta più negativo.
Ugualmente, il punto di inversione della
corrente di placca risulta più negativo. Si
può affermare che anche il sodio è coinvolto
nella corrente di placca. Inoltre, la
conduttanza non varia.

Ripetendo l’esperimento con il CLORO, si nota


una variazione di pendenza, effetto non
significativo perché dovuto alla modalità con
cui sostituivano il cloro con un altro anione
negativo che andava a modificare la
probabilità di apertura del canale. Il dato
importante è che il punto di inversione non
cambia con la diminuzione di 10 volte della
concentrazione di cloro extracellulare.
Dunque, il cloro non è coinvolto nella
corrente di placca.

Esperimenti successivi hanno dimostrato che


il canale aperto dall’acetilcolina ha una conduttanza anche per lo ione CALCIO, ossia anche lo ione calcio
passa attraverso il canale e il suo flusso è dall’esterno verso l’interno. Il calcio è molto più concentrato nei
fluidi extracellulari rispetto al citoplasma e il suo potenziale di equilibrio è vicino a quello del sodio, anche se
i valori di concentrazione sono molto diversi. È bene ricordare che il valore della calcemia, livello di calcio nel
sangue, è 1 o 2 mM e il calcio intracellulare è variabile a causa del secondo messaggero ma è sotto il
micromolare. La permeabilità al calcio è più bassa rispetto a quella del sodio e del potassio perché lo ione
calcio è più grosso. Esistono varianti per mutazione genetica del canale dell’acetilcolina che sono più leak,
ossia lasciano passare più calcio del normale. Questo si associa ad un aumento della concentrazione di calcio

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nella regione della giunzione neuromuscolare. L’aumento della concentrazione di calcio può innescare
fenomeni apoptotici che possono
portare a degenerazione cellulare.

Ci sono state moltissime repliche di


questi esperimenti. In questo caso, si
tratta di un esperimento di voltage-
clamp in fibre muscolari scheletriche di
giunzione neuromuscolare di rana degli
anni ’70. Si poteva misurare l’ampiezza
della corrente di placca perché le fibre
muscolari scheletriche venivano trattate
con glicerolo e questo rendeva
impossibile la generazione del potenziale
d’azione. In questo modo, si poteva
determinare l’intera relazione corrente
voltaggio e confermare che il punto di
inversione era intorno ai -0.5 mV.

Il canale viene aperto dalle due


molecole di acetilcolina e si ha una
componente della corrente mista
sodio-potassio, la quale dipende però
dal valore del potenziale di
membrana:
• Quando il potenziale di
membrana è pari a -100 mV, la
componente uscente data dallo ione
potassio, per definizione, è uguale a
0. L’unico ione responsabile della
corrente è lo ione sodio nel suo flusso
dall’esterno verso l’interno. È una
corrente che determina una grande
depolarizzazione.
• Se si depolarizza la
membrana, fino a -90 mV, si ha una
corrente mista in cui rimane più importante la componente entrante data dallo ione sodio,
depolarizzante, rispetto alla componente uscente data dallo ione potassio, iperpolarizzante. In ogni
momento, il loro contributo viene a sommarsi, ognuno con il proprio segno: la depolarizzazione operata
dallo ione sodio e l’iperpolarizzazione operata dallo ione potassio.
• A 0 mV, si arriva ad un punto in cui la componente entrante data dallo ione sodio diminuisce fino a che
diventa uguale alla componente uscente data dallo ione potassio che sta aumentando perché ci si sta
allontanando dal potenziale di equilibrio del potassio e ci si sta avvicinando al potenziale di equilibrio del
sodio. Il valore del punto di inversione di una corrente è quello in cui il flusso unidirezionale verso
l’interno del sodio equivale al flusso unidirezionale verso l’esterno del potassio ed è pari a 0.

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• A +70 mV, oltre il punto di inversione, a rimanere è la componente uscente data dallo ione potassio,
mentre la componente entrante data dallo ione sodio è uguale a 0. L’effetto sul potenziale di membrana
è quello dell’iperpolarizzazione.

Il punto di inversione è il punto in cui la


corrente di placca è 0, ma è anche il valore
intermedio del potenziale a cui tende la
membrana sotto l’azione del
neurotrasmettitore acetilcolina per
l’azione combinata delle due correnti
ioniche, una che tira verso il potenziale del
sodio e una che tira verso il potenziale del
potassio.

L’esatto valore del punto di inversione può variare.


Innanzitutto, varia nei diversi sistemi, come nella
giunzione neuromuscolare di rana o di mammifero a
seconda della tipologia dei canali presenti. Inoltre, il
punto di inversione varia in base alle condizioni
sperimentali, ad esempio nel momento in cui si varia
la concentrazione di uno ione. Si tratta dunque di un
valore totalmente indicativo.

La membrana può essere modellata secondo una


serie di elementi di circuito, tra cui il condensatore,
le resistenze e il generatore.
Il potenziale di placca è il potenziale a cui tende la membrana sotto l’azione del neurotrasmettitore ed
equivale ad un generatore, ad una batteria che, ad un certo punto, viene messa in parallelo rispetto all’altra
batteria presente nella membrana. Questa batteria ha un valore intorno a 0 mV. La resistenza associata al
flusso di corrente ha un valore dato dalla conduttanza di canale, valore che è intorno a 5 x 10-6 S (siemens).

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La corrente che passa è uguale al
prodotto della nuova conduttanza per la
differenza tra il potenziale di membrana e
il valore a cui tende la membrana sotto
l’azione del neurotrasmettitore.

Andiamo a formalizzare il dato base:


attraverso questo canale più o meno
passano sia gli ioni sodio che gli ioni
potassio, ovvero il rapporto di
conduttanza tra i due ioni è molto simile;
si va quindi a vedere l’effetto che
l’inserimento di questo ramo di circuito
ha nella depolarizzazione di membrana
nella giunzione neuromuscolare oppure
in altre sinapsi eccitatorie utilizzando
sempre la giunzione neuromuscolare come modello per lo studio di tutti gli EPSP.
Nel prenderlo come modello di studio bisogna però ricordare un fenomeno molto importante: ovvero che il
potenziale di placca nella giunzione neuromuscolare è molto grande ed arriva sempre alla soglia del
potenziale di azione. Lo stesso neurotrasmettitore che agisce sullo stesso recettore nelle sinapsi
interneuroniche invece dà luogo a depolarizzazioni molto piccole di 1/2 mV, che è l’ampiezza dell’EPSP in tali
sinapsi. Il meccanismo di canale utilizzato in questi due casi è lo stesso, ma bisogna capire a parità di
funzionamento di canale quello che è il meccanismo di base che regola l’ampiezza dell’effetto.
Per formalizzare la corrente
attraverso il canale, che come si
è detto è composta da sodio e
potassio, si pone una condizione
facilitata in cui la corrente totale
di placca è uguale a 0, ovvero al
punto di inversione. In questa
condizione vale Ik + INa = 0.
Dopodiché si esplicitano i termini
scrivendo in entrambi i casi
l’intensità di corrente come il
prodotto della conduttanza per
la differenza tra il potenziale di
membrana del punto di
inversione (Vi) e il potenziale di
equilibrio (E k/Na).
A questo punto metto il sistema
in funzione di Vi (arrivando ad
un’equazione che ricorda quella di Goldman) e divido per la conduttanza del potassio cioè Gk. Arrivo così ad
un’equazione che apparentemente è molto complicata ma che è in realtà in grado di spiegare i determinanti
fondamentali del valore che verrà assunto dal punto di inversione e la sua dipendenza dal rapporto delle
conduttanze. Anche in questo caso tale rapporto viene indicato con la lettera α e nello specifico è GNa/Gk. Se
le due conduttanze sono uguali, cioè se il sodio ed il potassio passano ugualmente bene attraverso il canale,
si può semplificare e si arriva ad una espressione in cui il potenziale di inversione è semplicemente la media

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aritmetica dei due potenziali di equilibrio, in questo caso il risultato finale è un numero intorno a 0 mV che è
molto vicino a ciò che effettivamente si osserva.
Se al contrario il canale si apre solo al sodio e perciò la conduttanza del potassio è 0 o un numero molto
basso, il risultato atteso è che il punto di inversione equivalga al potenziale di equilibrio del sodio che è l’unico
ione che si incontra nel canale, ovviamente questo vale anche al contrario e quindi se il canale si apre
esclusivamente per il potassio. Ad esempio, per risolvere l’equazione con Gk che tende all’infinito, si fa il
limite trovando che GNa tende a zero e perciò che Vi= Ek.
Il punto di inversione quindi è la media ponderata/pesata fra il
potenziale di equilibrio dei vari ioni ed il peso per realizzare tale
media è il rapporto di conduttanza, così come avveniva in fondo
anche nell’equazione di Goldman ma si trattava di canali diversi.
Questo è quindi il meccanismo generale di canale che prevede una
conduttanza quasi uguale di sodio e potassio.

Il canale finora descritto può essere considerato un ramo di un circuito che viene messo in parallelo con la
restante parte della membrana, ed è proprio il considerarlo in questo modo che ci permette di capire la
differenza di effetto tra la giunzione neuromuscolare e le sinapsi interneuroniche.
È necessario considerare le regioni adiacenti perché l’effetto della conduzione sinaptica è quello di
determinare una depolarizzazione che avviene appunto nella membrana sinaptica e si propaga poi alle
regioni adiacenti e che, se sopra soglia, determina un potenziale d’azione. Nelle regioni adiacenti vi è la
presenza di una batteria che è quella del potenziale a riposo, il generatore è essenzialmente quello del
potassio come è stato studiato nella prima parte del corso; dopodiché vi è anche la conduttanza a riposo,
ovvero la conduttanza generale di membrana dovuta ai canali di perdita: si avrà quindi un generatore di
perdita ed una conduttanza di perdita.
L’arrivo del neurotrasmettitore altro non è che la chiusura del circuito, ovvero la membrana sinaptica si mette
in contatto con quella non sinaptica, la zona in cui il potenziale tende a 0 e quella in cui è ancora a -90 mV.
L’entità dello spostamento del potenziale a questo punto è dettato dal raggiungimento o meno della soglia
per l’apertura dei canali per il sodio e
potassio; a seconda poi dello spostamento
di potenziale di membrana avvenuto si
avrà una sinapsi dove non c’è
integrazione, ovvero una sinapsi in cui si
arriva alla soglia del potenziale d’azione
(ed è il caso della giunzione
neuromuscolare anche detta sinapsi
obbligatoria), oppure una sinapsi dove c’è
integrazione (come tutte le sinapsi
interneuroniche). Questo
differenziamento avviene nonostante il
canale ed il neurotrasmettitore siano gli
stessi.

Queste sono immagini del Kandel


Schwartz e sono molto ben fatte, si può
osservare il canale aperto per l’acetilcolina, la regione sinaptica… Tale testo inoltre non parla di potenziale
neuromuscolare ma di potenziale di EPSP, poiché come è già stato detto il potenziale di placca è un
sottoinsieme degli EPSP, un modello per parlarvi di tutti i fenomeni di trasmissione eccitatoria.

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Una volta che viene chiuso l’interruttore, il
ramo che contiene batteria e conduttanza
del canale viene definitivamente messo in
parallelo con il generatore e la conduttanza
di perdita della membrana a riposo; nella
parte di membrana equivalente al ramo si
avrà una conduttanza pari alla somma dei
canali aperti dal neurotrasmettitore ed un
generatore che ha valore intorno a 0 mV,
potenziale a cui tende la membrana sotto
l’azione del neurotrasmettitore. Nella
restante parte di membrana invece si avrà la
batteria di base, ovvero il generatore del
potassio che ha valore -90 mV e ugualmente
la conduttanza sarà quella di riposo.

Con la chiusura dell’interruttore si raggiunge un valore di picco, il quale può essere superiore o minore al
valore soglia, che può essere calcolato considerando tutti i valori dei generatori e delle conduttanze sia nella
membrana a riposo che in quella eccitata. Nell’esempio rappresentato nell’immagine si sono presi dei valori
indicativi che possono essere piò o meno equivalenti ad alcuni delineati in alcuni sistemi sperimentali con
una conduttanza di 5 μS nella regione della sinapsi eccitatoria e una conduttanza più bassa nella restante
parte intorno a 1 μS. Viene messo anche il condensatore di membrana giusto per ricordarsi che c’è. Il valore
di picco si sa che è -15 mV ma anche in questo caso lo si vuole formalizzare. Di questo valore si sa infatti che
la sua ampiezza è la differenza tra il potenziale di riposo e il valore massimo di depolarizzazione; si sa inoltre
che è un valore in cui la depolarizzazione non è ancora iniziata e perciò è un punto in cui si ha una condizione
di equilibrio in cui la corrente totale attraverso la membrana può essere posta uguale a 0. Si ha quindi
nuovamente la condizione facilitata di prima, in cui però la corrente totale è la corrente di placca data perciò
da tutti i canali che sono aperti in quel momento. L’intensità di corrente in un circuito come questo, in cui ho
un ramo a riposo detto di perdita ed uno eccitato, dipenderà sempre dal rapporto delle conduttanze: quanto
più sarà l’aumento della conduttanza nel nuovo ramo aperto dal neurotrasmettitore più sarà la forza con cui
il potenziale viene spinto verso il valore a cui tende la membrana sotto l’azione del neurotrasmettitore.
Questo ci dà la chiave per capire ancora meglio come funziona la conduttanza, la quale dipende dal numero
di canali che si aprono, mentre il potenziale di
inversione è proprio di ogni canale e dipende dalla
media ponderata del potenziale di equilibrio degli
ioni, i quali sono proprietà molecolari intrinseche del
canale. Ciò che può variare effettivamente all’interno
di tale circuito è la conduttanza che dipende dal
numero di canali aperti; nel nostro caso il potenziale
di placca dà luogo all’apertura di molti canali e quindi
ad una grande conduttanza (quindi il rapporto di
conduttanza sarà molto spostato verso l’azione del
neurotrasmettitore); al contrario se se ne fosse
aperto uno solo o pochissimi l’effetto e quindi la
conduttanza sarebbero molto piccoli: più canali apro
più mi sposto verso il normovalore del nuovo
generatore.

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Per formalizzare quanto detto mi metto e determinare il valore che ottengo al picco: si pone la condizione
facilitata in cui la corrente è uguale a 0 al picco ed esplicito i due termini dell’equazione, che sono le due
correnti presenti nei due rami del circuito, scrivendoli come il prodotto della conduttanza per la differenza
del potenziale di membrana e il potenziale di equilibrio. Dopodiché metto tutto in
funzione di Vm ed in questo caso divido per la conduttanza di placca ed otterrò quindi un
rapporto in cui si ha la conduttanza a riposo diviso la conduttanza di placca. Se le due
conduttanze sono uguali, io otterrò un valore intermedio tra 0 e -90 mV per cui circa -45
mV; se invece apro pochi canali e quindi l’effetto è praticamente trascurabile sulla
conduttanza, il potenziale di membrana non si sposta dal valore che ha a riposo.

In sintesi: possiamo dire che il potenziale di membrana si sposta quanto di più si alza il valore di G EPP fino a
diventare uguale o addirittura maggiore della conduttanza a riposo; nel caso in cui diventi molto maggiore
della conduttanza a riposo e tenda addirittura all’infinito il potenziale di membrana tende al potenziale di
equilibrio del fenomeno ovvero al punto di inversione. A regolare l’entità dell’effetto è anche in questo caso
il rapporto di conduttanza che nuovamente definisco α: nel caso del potenziale di placca il numero di canali
che si aprono è molto elevato per cui lo spostamento sarà molto grande; nel caso dell’EPSP dove si aprono
pochi canali e quindi la modificazione di conduttanza è piccola, si avrà un effetto di depolarizzazione minore
e quindi per questo nelle giunzioni neuromuscolari il potenziale di membrana viene sempre depolarizzato
oltre la soglia del potenziale di azione e nelle seconde ciò non avviene.
Questo vale in tutte le sinapsi eccitatorie ma vale anche nelle sinapsi inibitorie, in questo caso l’effetto sarà
l’iperpolarizzazione che sarà tanto più grande quanto più grande è il numero di canali aperti dal
neurotrasmettitore che spostano il potenziale di membrana ad un nuovo valore e ad un nuovo punto di
inversione.

(Online sono stati messi degli esercizi per vedere come cambia il potenziale di azione in base alle conduttanze,
alcuni si trovano su metaneuron ed anche in questi ciò che rimane fisso sono i potenziali di equilibrio ed il
potenziale del generatore di perdita, ciò che può essere variato è la permeabilità ai vari ioni ed anche in questo
caso si può osservare come cambia la corrente ed il punto di inversione.)

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IL CANALE RECETTORE DELL’ACETILCOLINA

Il canale recettore dell’acetilcolina nella giunzione neuromuscolare è un canale ligando dipendente, a


simmetria centrale pentamerica, è formato da 5 subunità: 2 α, 1 β, 1γ, 1δ; le subunità α si occupano
dell’interazione con l’acetilcolina, il cui legame va ad indurre una trasformazione conformazionale che va ad
aprire il canale. Entrambe le estremità del canale, ovvero la N- e la C- terminale, sono sul versante
extracellulare ed è un canale simile sia alle gap junction, la cui differenza sta nel fatto che queste sono dotate
di simmetria esamerica, sia ai canali voltaggio dipendenti di sodio e potassio che hanno simmetria
tetramerica (in quello del sodio in particolare vi è solo una grande proteina che è formata da 4 domini che si
dispongono in modo simmetrico, ma non vi sono le subunità).
La simmetria pentamerica si ritrova anche in altri canali sensibili a neurotrasmettitori inibitori come ad
esempio la glicina, il GABA. Questi canali possono essere studiati direttamente attraverso i punti di patch
clamp: in questo caso avremo un canale con configurazione outside out, cioè un canale in cui l’esterno è
sottoposto al liquido di perfusione che se contiene acetilcolina determina la continua apertura del canale. In
questo caso posso studiare apertura, chiusura e la corrente elementare del canale bloccando il potenziale di
membrana solo nel frammento di membrana che contiene canali. Misurando l’intensità di corrente è poi
possibile realizzare una curva intensità voltaggio.

Questo è lo stesso
esperimento ma descritto
in modo leggermente
diverso perché in questo
caso l’acetilcolina è
contenuta all’interno di
una grande patch che
viene posizionata in
membrana e che vede al
di sotto la presenza di un
solo canale. All’interno c’è
la soluzione che riempie il
(1:10:07 circa, parola
incomprensibile) elettrico
e la sua funzione è quella
di registrazione delle
correnti e del potenziale,
ma vi è anche acetilcolina
che mantiene il canale
aperto. Con le tecniche di
patch clamp si sposta il potenziale di membrana su un valore molto negativo, come -130 mV, rispetto al
valore di potenziale di riposo nella fibra scheletrica che è -90mV. Si va poi a misurare l’intensità della corrente,
che è una corrente a gradino. Si notifica che la sua intensità è molto più grande quando il potenziale di
membrana è uguale a -130 mV. Questo però è un risultato atteso dato che la corrente di placca è uguale al
prodotto della conduttanza (che dipende dal numero di canali aperti, in questo caso solo uno) per la
differenza del potenziale di membrana e quello sotto l’azione del neurotrasmettitore. Questa conduttanza è
un valore molto piccolo nell’ordine dei picosiemens, e ovviamente si realizza uno studio statistico in cui si

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misura l’intensità della corrente, che oscillerà ed avrà un valore medio distribuito secondo la distribuzione
gaussiana, così facendo per ogni valore del potenziale di membrana bloccato si metterà nel grafico il valore
medio della corrente corrispondente. Un elemento che varia è inoltre il tempo di apertura il quale però varia
in maniera del tutto casuale.

La conduttanza misurata nel singolo canale non


dipende dal potenziale di membrana a cui viene
misurata ma dipende solo ed esclusivamente
dalla presenza di acetilcolina: se assente la
conduttanza sarà 0, se presente sarà 30
picosiemens. Gamma (γ) è il simbolo per la
conduttanza nel singolo canale.

Quindi nella giunzione neuromuscolare in cui si


hanno un numero grande di canali che si aprono
contemporaneamente, si avrà la combinazione
lineare della conduttanza di singolo canale con la
probabilità di apertura degli altri canali presenti. Si
può quindi esprimere la corrente di placca come il
prodotto della conduttanza del singolo canale
rispetto alla forza elettromotrice e il valore che è N per P0, in cui N è il numero di recettori e P è la probabilità
di apertura dei vari recettori canali. Tale probabilità dipende a sua volta dalla concentrazione dei
neurotrasmettitori, dalla quantità che ne viene liberata.
N è un dato strutturale perché è il numero di recettori presenti a livello di membrana, γ è anche questo un
dato molecolare della conduttanza nel singolo canale, ciò che varia è la concentrazione di
neurotrasmettitore. In base a ciò si può dire che nella giunzione neuromuscolare si libera una grande quantità
di neurotrasmettitore, inoltre si hanno molti recettori di membrana per cui la corrente che si ottiene sarà
molto grande e di conseguenza anche la depolarizzazione sarà elevata, sopra soglia.

Al contrario nelle sinapsi interneuroniche vi sono meno recettori, si libera poco neurotrasmettitore e quindi
si avrà una corrente molto più piccola e di
conseguenza un effetto molto più piccolo sul
potenziale di membrana.

Questo è l’esperimento complessivo in cui si


ricostruisce la relazione intensità voltaggio
per un singolo canale, spostando il potenziale
di membrana da -80mV a +80mV, si vede la
conduttanza non varia perciò è un canale
ligando dipendente. Ogni recettore canale
nicotinico dell’acetilcolina si comporta come
una via conduttanza elettrica costante e
questo valore diventa picosimens, le
conduttanze poi si sommeranno aprendo un
numero di canali maggiore e quindi la
corrente aumenterà linearmente.

La cinetica della corrente di placca, il fatto che non sia fatta a gradino ma abbia un andamento di questo tipo
che abbiamo visto; un andamento smooth dipende dal fatto che la corrente del singolo canale è a gradino

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ma quando se ne aprono più alla volta si va a sommare delle correnti che hanno tutte la stessa ampiezza ma
il tempo di apertura dei canali è distribuito in maniera casuale per cui ve ne sono alcuni che stanno aperti a
lungo ed altri che stanno aperti molto
meno. Sommando quindi le correnti in
ogni momento nel tempo si passerà
quindi da un andamento a gradino ad un
andamento sempre più smussato.
Questo dipende anche dal numero di
canali aperto in ogni momento: se sono
pochi vedo maggiormente il gradino, se
al contrario sono molti aperti l’effetto di
smussamento del gradino sarà
maggiore, questo è ciò che avviene a
livello della corrente del potenziale di
placca.
I recettori per l’acetilcolina li avete visti in
molti corsi. Questi sono marcati da
bungarotossina che si lega al recettore
acetilcolina e lo blocca, è infatti un veleno di un serpente probabilmente quello a sonagli. Questi recettori
colocalizzano con i corpi densi post-sinaptici che erano visibili al microscopio elettronico come
specializzazioni della membrana post sinaptica.
I recettori dell’acetilcolina sono stati
analizzati con tecniche microscopiche ad
alta risoluzione nella giunzione
neuromsucolare della torpedo. Sono state
tratte immagini in cui è possibile vedere il
corpo centrale oltre che il canale vero e
proprio con il suo aspetto a coppa e con un
sito di interazione per l’acetilcolina che
porta all’apertura. Nella giunzione vi sono
moltissimi recettori che sono anche la
causa della grande corrente di placca e
della grande depolarizzazione: circa 15000
recettori per millimetro quadro. Sempre
riguardo a questi canali recettore bisogna
infine ricordare che oltre alle 5 subunità,
alle molecole legate al suo interno può passare anche una quota non trascurabile di ioni calcio. I bloccanti di
tali recettori sono diversi tra cui la bungarotossina e la conotossina (serpente e mollusco).

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MYASTENIA GRAVIS
Una patologia molto importante della giunzione neuromuscolare che colpisce proprio il recettore nicotinico
è la MYASTENIA GRAVIS. È una patologia neurologica che ha una base genetica, ma più spesso è acquisita,
ed è di tipo autoimmune infatti prevede la
formazione di anticorpi contro i recettori per
l’acetilcolina o contro delle proteine che
regolano il posizionamento di tali recettori.
Interessa i muscoli cranici e degli arti. Il segno
clinico principale è un problema a livello
palpebrale, perché si ha difficoltà a sollevare
le palpebre e spesso rimangono chiuse,
questo segno clinico risulta essere
significativamente rimosso da farmaci
anticolinesterasici, come l’eperina (?) che
inibiscono l’enzima acetilcolina esterasi e
quindi inibiscono la rimozione per scissione
dell’acetilcolina dallo spazio sinaptico. Per
questo motivo si pensa che sia un problema
post-sinaptico, perché non è legato alla
liberazione di neurotrasmettitore, questo viene liberato normalmente, ma non trova recettori liberi in
membrana perché molti di questi risultano essere degradati o rimossi. Se si va infatti a vedere il rapporto tra
potenziale d’azione del composto muscolare che è una misura grossolana di superficie, e ampiezza del
potenziale di placca, in un soggetto normale il potenziale di placca è sempre sopra soglia e produce una
risposta elettromiografica del tutto standard; al contrario nei soggetti miastemici si trova invece un
abbassamento dell’ampiezza del potenziale di placca da cui poi consegue un’alterazione profonda della
risposta in termini di potenziale d’azione delle fibre muscolari. È una patologia che riguarda il recettore,
infatti non vi è alcun segno clinico a livello di conduzione dell’impulso nervoso, né tanto meno ha a che fare
con problemi di liberazione del neurotrasmettitore o di denervazione, ovvero non c’è nessun segno analogo
all’aver tolto l’impulso nervoso.
La patogenesi di tale malattia è sicuramente associata alla degradazione dei recettori nicotinici
dell’acetilcolina, infatti se si vanno a marcare con bungarotossina ed oro i recettori presenti sulla giunzione
neuromuscolare si osserva una situazione drammatica nei soggetti miastemici, poiché l’intera giunzione
risulta aver perso la sua specializzazione. Questo processo si innesca contro i recettori nicotinici o anche
contro le proteine che posizionano i recettori di membrana tra cui la proteina MuSK (muscle specific tyrosine
kinases), il legame di anticorpi con queste proteine tramite legami crociati innescano fenomeni di
degradazione dei recettori stessi che perciò diminuiscono numericamente.

LEZIONI SUCCESSIVE…
Vi sono infine moltissime molecole che agiscono sulla giunzione neuromuscolare sia con azione agonista
(nicotina) che antagonista (curaro), possono essere di origine naturale o di sintesi, vi sono bloccanti che si
configurano come bloccanti post-sinaptici perché bloccano il recettore. Nelle lezioni successive vedremo i
meccanismi pre sinaptici nella liberazione del neurotrasmettitore e le patologie ad essi associati (ci sono
tossine che interagiscono con la liberazione del neurotrasmettitore).

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Data: 20/11/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Tesi
File audio di riferimento:
Controllore: Stenico
Coppia: Rama - Zuccato

GLI EVENTI PRESINAPTICI


La lezione di oggi riguarda gli eventi presinaptici della liberazione del neurotrasmettitore. Fino ad ora sono
stati visti gli eventi postsinaptici: come il neurotrasmettitore è in grado di modulare l’eccitabilità di
membrana in un modello particolare, la giunzione neuromuscolare, interagendo con i recettori nicotinici
all’acetilcolina, che sono recettori canale ad azione diretta, i quali si aprono quado due molecole di
acetilcolina si legano a siti specifici sul recettore mediando una corrente di placca che è una corrente mista
di sodio e potassio che determina, attraverso il passaggio della membrana, una depolarizzazione, la quale
tende a spostare il potenziale di membrana verso un valore di zero (0, -5 o -15, valori che corrispondono a
punti di inversione della corrente e del potenziale di placca). Dal numero di canali aperti, e quindi dalla
modulazione della conduttanza di membrana, risulterà l’azione del neurotrasmettitore rispetto alle regioni
adiacenti in cui sono presenti i canali sodio-potassio del potenziale d’azione.

Se la modificazione di conduttanza operata dal neurotrasmettitore è tale da generare un rapporto di


conduttanza per cui il potenziale di membrana si sposta seguendo il rapporto di conduttanza e seguendo il
destino dello ione più permeabile attraverso la membrana (che avrà più forza di spostare il potenziale di
membrana verso il valore del suo potenziale di equilibrio) --- Discorso lasciato a metà, la prof dice che è
stato affrontato nella lezione precedente

Siccome la conduttanza aumenta moltissimo per azione del neurotrasmettitore, questo ha l’effetto di
spingere fortemente le regioni adiacenti verso il potenziale di equilibrio misto sodio-potassio (che è intorno
a zero) e quindi depolarizzare la membrana, sempre sopra-soglia per l’apertura dei canali sodio-potassio del
potenziale d’azione. Si crea quel meccanismo di sinapsi senza integrazione (rapporto 1 a 1 obbligatorio, in
cui un potenziale d’azione presinaptico riesce sempre a rigenerare un potenziale d’azione postsinaptico
mediante l’apertura di un gran numero di canali).

Nelle sinapsi interneuroniche lo stesso neurotrasmettitore potrà aprire magari solo un piccolo numero di
canali e quindi determinare una piccola variazione di conduttanza e una piccola depolarizzazione. Nelle
sinapsi interneuroniche c’è un’elevata specializzazione verso l’integrazione dei segnali, con segno positivo e
negativo.

Gli eventi presinaptici legano il processo di eccitazione nel terminale, la presenza del potenziale d’azione,
con la secrezione del neurotrasmettitore.

Partendo dal modello base della giunzione neuromuscolare si possono estendere le conclusioni anche
sperimentalmente a tutte le altre sinapsi presenti nel sistema nervoso centrale, che sono più difficilmente
accessibili. Si applica una strategia molto semplice che è quella di testare gli eventi di trasmissione sinaptica
e di capire se ciò che si sta studiando è la catena di eventi della liberazione del neurotrasmettitore o
l’interazione del neurotrasmettitore con i suoi recettori.

Si supponga di essere in presenza di un bloccante della trasmissione neuromuscolare: un certo bloccante X


a una certa concentrazione, messo nel bagno di perfusione. Il bloccante può essere una tossina, un veleno
o un farmaco, ed agisce bloccando la trasmissione neuromuscolare, in modo che quando si stimola il

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terminale presinaptico e si registra dal terminale postsinaptico quello che si osserva è che non si genera il
potenziale d’azione nella fibra muscolare scheletrica, si è bloccato l’evento di trasmissione.

Si supponga che il bloccante sia il curaro, che interagisce con i recettori. Per ipotesi, si supponga di essere
all’oscuro del meccanismo d’azione del curaro. La prima domanda che si può fare è: “questo bloccante, il
curaro, blocca la trasmissione a livello presinaptico o postsinaptico? Blocca la liberazione del
neurotrasmettitore o blocca l’azione del neurotrasmettitore sui recettori canale presenti sulla membrana e
che sono chiusi se non arriva il neurotrasmettitore?”.

Esiste una prova molto semplice che si attua per capire se una sostanza X è un bloccante presinaptico o
postsinaptico ed essa consiste nell’utilizzare un’azione esogena dello stesso neurotrasmettitore. Il
neurotrasmettitore viene somministrato nel preparato sperimentale da parte dello sperimentatore.
L’aggiunta del neurotrasmettitore al bagno determina il recupero dell’evento di trasmissione oppure no?
Nel caso in cui il blocco sia postsinaptico, anche se si aggiunge neurotrasmettitore, in questo caso
acetilcolina dall’esterno, non si recupera mai la funzione perché il recettore risulta essere bloccato. La
sostanza bloccante X, come lo è il curaro, è un bloccante postsinaptico della trasmissione neuromuscolare
e l’aggiunta esogena di neurotrasmettitore non determina un recupero funzionale.

Se invece la sostanza bloccante non è il curaro, ma è una sostanza Y (che può essere la tossina botulinica o
l’abbassamento di calcio extracellulare) che opera un blocco presinaptico, i recettori non sono bloccati
dall’azione della tossina. Aggiungendo l’acetilcolina nel bagno si osserva l’effetto postsinaptico sulla fibra
muscolare scheletrica, perché il recettore non è bloccato. La sostanza Y impedisce la liberazione del
neurotrasmettitore e l’aggiunta esogena di neurotrasmettitore determina la scomparsa del blocco.

Il blocco presinaptico che verrà affrontato in questa lezione viene realizzato con una modificazione delle
concentrazioni della soluzione di perfusione. La soluzione fisiologica dei liquidi di perfusione contiene
calcio, a una concentrazione di 1-2 mM, e poco magnesio. Se si diminuisce il calcio extracellulare
(generando una soluzione calcium-free anche mediante l’uso di un chelante del calcio) e si incrementa la
concentrazione di magnesio che compete con il calcio (un alto livello magnesio rimuove la presenza di un
residuo contaminante di calcio) si attua un intervento molto efficace per determinare il blocco della
liberazione del neurotrasmettitore. Questa è la strategia classica di blocco presinaptico.

Questi interventi di blocco pre e postsinaptico sono molto semplici e sono conosciuti da molto tempo e
sulla base di questo dato, che l’assenza del calcio extracellulare determinasse la liberazione del
neurotrasmettitore, nacque l’ipotesi che un segnale legato all’ingresso del calcio nel terminale presinaptico
fosse l’evento in grado di innescare la liberazione del neurotrasmettitore e l’ingresso del calcio fosse un
evento innescato/triggerato dalla presenza del potenziale d’azione nel terminale stesso (si suppone un
accoppiamento tra l’eccitazione e la secrezione del neurotrasmettitore mediato da un flusso in ingresso del
calcio). Tale ipotesi è nota con il nome di “ipotesi del calcio”.

Questa ipotesi lascia molti punti oscuri: l’assenza di calcio blocca la liberazione del neurotrasmettitore, ma
non si può essere sicuri che in assenza di neurotrasmettitore si blocchi il potenziale d’azione nel terminale
presinaptico. L’assenza di calcio intracellulare non blocca il link tra potenziale d’azione e liberazione del
neurotrasmettitore, ma semplicemente abbatte l’eccitabilità cellulare e rende impossibile l’arrivo del
segnale elettrico al terminale, non si liberano le vescicole e quindi non si libera il neurotrasmettitore.

L’ipotesi del calcio deve essere provata dimostrando che l’assenza del calcio extracellulare non impedisce
la generazione del potenziale d’azione nel terminale, ma impedisce esclusivamente il processo di
liberazione del neurotrasmettitore, un fenomeno chiave della cascata di segnalazione a valle del fenomeno
di trasmissione elettrica di membrana.

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Che il calcio fosse fondamentale per la liberazione del neurotrasmettitore e che il potenziale d’azione fosse
presente nel terminale presinaptico era un’ipotesi ulteriormente rafforzata da una serie di esperimenti
della seconda metà del secolo scorso, che studiavano un preparato in condizioni di blocco presinaptico,
ovvero un preparato con i recettori del tutto integri e con il calcio esterno molto vicino allo zero.

Non si dice mai “calcio zero” poiché è molto difficile rimuovere il contaminante di calcio dai liquidi di
perfusione perché, anche se lo sperimentatore prepara una soluzione senza calcio, mettendoci addirittura
dei sistemi per toglierlo, (il vetro è un materiale che presenta un alto contaminante di calcio adeso alla sua
superficie) un minimo contaminante di calcio lo si trova sempre. Per toglierlo del tutto bisognerebbe usare
un chelante del calcio in concentrazione adeguata nella soluzione di perfusione.

Per essere tranquilli rispetto agli effetti del calcio extracellulare contaminante, si aumenta molto la
concentrazione del magnesio, che è uno ione molto simile al calcio e che va a vicariare (compensare) il
calcio in tutti i processi in cui può entrare (processi di accoppiamento eccitazione-contrazione). La
differenza è che il magnesio non è in grado di innescare o di essere parte di una cascata di segnalazione. Il
magnesio viene riconosciuto, ma in realtà è come se inibisse in modo competitivo l’azione del residuo
contaminante del calcio. In questa condizione si stimola il terminale presinaptico e si registra con un
elettrodo extracellulare.

Se si registra con un elettrodo normale riempito di KCl, si stimola e non si vede nessun effetto
postsinaptico, si vede la prima parte della registrazione, ovvero un segnale che è un artefatto dello stimolo.
Al tempo 0 si stimola e si ha la comunicazione dell’artefatto attraverso il bagno, si vede poi un segnale che
equivale all’arrivo del potenziale d’azione nel terminale presinaptico, ma poi non si vede niente: la seconda
parte è come se non ci fosse: in assenza di calcio totale si vede l’artefatto dello stimolo, un segnale che
riguarda l’arrivo del potenziale d’azione nel terminale presinaptico e poi niente, non succede niente nel
terminale postsinaptico.

Se all’interno del sistema di


registrazione si mette del calcio,
ovvero si realizza la soluzione di
riempimento del microelettrodo non
solo con KCl ma anche con CaCl2, gli
elettrodi di registrazione, che hanno
una punta piuttosto grande, perdono
calcio dalla loro punta. Il calcio lo
perdono dal tip solo in regioni
piccolissime (queste registrazioni sono
dette, infatti, registrazioni focali ovvero
registrazioni in punti estremamente
circoscritti della regione sinaptica).

Se si registra in queste condizioni, presumibilmente in presenza di una certa concentrazione di calcio nello
spazio sinaptico solo nella zona di registrazione, si osserva la registrazione dell’evento presinaptico, un
grande evento elettrico che è il corrispettivo della generazione del potenziale di placca e di azione nella
fibra muscolare scheletrica. Questo residuo contaminante di calcio nello spazio sinaptico è in grado di
rimuovere il blocco della trasmissione. Presumibilmente, il meccanismo di accoppiamento di eccitazione e
secrezione del neurotrasmettitore ha bisogno che ci sia il calcio nello spazio sinaptico e che il calcio possa
realizzare una corrente in ingresso dall’esterno verso l’interno e dare origine a una cascata di segnalazione.
Il calcio gioca un ruolo chiave nell’accoppiamento del potenziale d’azione presinaptico e la secrezione del

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neurotrasmettitore. Questa ipotesi è stata provata in molti modi, anche attraverso indicatori del calcio che
visualizzano il flusso di calcio in ingresso.

POTENZIALI MINIATURA
Durante questi esperimenti di registrazione, gli sperimentatori studiavano anche l’attività della sinapsi non
attraverso un dispositivo così complicato come quello della registrazione focale ma anche in modo
tradizionale, ovvero ponendo dei microelettrodi di registrazione all’interno della giunzione
neuromuscolare, in condizioni anche normali (non di blocco della trasmissione, in condizioni fisiologiche).
Quando stimolavano registravano il potenziale di placca e d’azione nella fibra muscolare scheletrica. Si
accorsero però che anche nelle pause tra una stimolazione e l’altra, ovvero quando non c’è la stimolazione
e non arriva il potenziale d’azione al terminale sinaptico, in realtà registravano qualcosa: registravano dei
fenomeni che in miniatura somigliavano molto al potenziale di placca, quindi dei fenomeni di natura
elettrotonica con la tipica forma dei fenomeni passivi dall’ampiezza intorno ai 0,5 mV. Questi eventi, che
chiamavano “potenziali miniatura”, avevano un’occorrenza totalmente casuale, non si potevano collegare
nella loro insorgenza a nessun evento specifico. Erano fenomeni che accadevano spontaneamente. I
potenziali miniatura sono registrati in assenza di stimolazione in una giunzione perfettamente funzionante
e non bloccata (importante da ricordare all’esame). Questi eventi sono la risultante di una qualche attività
del terminale nervoso, non sono fluttuazioni casuali del potenziale di membrana della fibra muscolare
scheletrica perché scompaiono con la denervazione: se non c’è il segnale o il nervo i potenziali miniatura
non venivano più osservati. Sono dovuti, quindi, all’azione del nervo in assenza di stimolazione.

Sulla base dell’osservazione di questi fenomeni si procedette a un’analisi


statistica dei fenomeni stessi, si misurarono nella loro ampiezza e si vide che
erano dei fenomeni che avevano un’ampiezza media (nella giunzione
neuromuscolare di rana) di 0,5mV. La variabilità di questi fenomeni è descritta
da una distribuzione Gaussiana. La distribuzione Gaussiana è continua,
prevista per variabili che possono differire tra loro anche per quantità
infinitesimali, che variano, quindi, in modo continuo, come i numeri naturali.

La frequenza dei potenziali miniatura è influenzata dal potenziale di membrana presinaptico? I risultati
dicono di sì, e in modo molto forte. L’ampiezza non varia, ma se si depolarizza e iperpolarizza il neurone
presinaptico rispetto al potenziale di membrana al riposo si vede che:
• Se si depolarizza il neurone presinaptico la frequenza aumenta;
• Se si iperpolarizza il neurone presinaptico la frequenza diminuisce.
Questa depolarizzazione o iperpolarizzazione veniva effettuata o facendo passare direttamente correnti
attraverso il terminale presinaptico oppure, con un approccio ancora più semplice, modificando la
concentrazione extracellulare del potassio. È il potassio, con il suo potenziale di equilibrio, a guidare il
potenziale di equilibrio della membrana. Se il potassio extracellulare aumenta, il potenziale di equilibrio del
potassio diventa meno negativo (da -100 a -70mV, per esempio), perché diminuisce il gradiente di
concentrazione del potassio. Il potenziale di membrana segue fedelmente quello che fa il potenziale
d’equilibrio del potassio: la membrana si depolarizza. Variare la concentrazione extracellulare del potassio è
un modo che permette di variare il potenziale di membrana dell’elemento presinaptico, in modo preciso.
L’aumento del potassio extracellulare, quindi la depolarizzazione della membrana, determina un
incremento della frequenza di osservazione dei potenziali miniatura. L’andamento è lineare, la frequenza
dipende in modo molto stretto dalla depolarizzazione di membrana, c’è una proporzionalità diretta fra
potenziale di membrana e liberazione del neurotrasmettitore, perché i potenziali miniatura, se sono dovuti

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all’azione del terminale presinaptico, possono solo essere dovuti alla liberazione casuale di
neurotrasmettitore.

Si introduce un concetto secondo il quale il neurotrasmettitore viene liberato sotto forma di pacchetti, un
pacchetto di neurotrasmettitore può corrispondere anche a una sola molecola di neurotrasmettitore. Il
neurotrasmettitore viene liberato in quantità discrete e la frequenza di liberazione di queste quantità
discrete di neurotrasmettitore dipende dal potenziale di membrana.

L’ipotesi che fecero fu che il meccanismo di liberazione del neurotrasmettitore fosse un fenomeno
quantale, ovvero che avvenisse per “quanti” (pacchetti, entità discrete) e che l’azione della
depolarizzazione della membrana presinaptica fosse solo quella di sincronizzare la liberazione di tanti
pacchetti di neurotrasmettitore: la depolarizzazione aumenta la probabilità di liberare il
neurotrasmettitore. Se la membrana si trova al potenziale di riposo questa probabilità è molto bassa, e dà
luogo alla frequenza dei potenziali miniatura. Quando arriva il potenziale d’azione, la depolarizzazione è
molto grande e determina una frequenza grandissima di liberazione di pacchetti, sincronizza la liberazione
di molti pacchetti di neurotrasmettitore. L’ipotesi degli sperimentatori fu provata e applicata su tutte le
sinapsi: il principio della liberazione quantale del neurotrasmettitore è provato in tutte le sinapsi
conosciute.

Il potenziale miniatura è un evento che avviene al potenziale di membrana di riposo e infatti la frequenza di
questi eventi dipende da esso: più il potenziale di membrana è depolarizzato, più aumenta la frequenza dei
potenziali di placca in miniatura. Tale frequenza si può diminuire iperpolarizzando la membrana e, tramite
denervazione, si può eliminare del tutto.

La frequenza dei potenziali miniatura non dipende da nessun effetto del curaro: questo dimostra che il
potenziale miniatura dipende da un effetto strettamente presinaptico perché il curaro, che è un bloccante
postsinaptico, non ha nessuna influenza sulla frequenza dei potenziali miniatura (si ricorda che la frequenza
è un indice della probabilità con cui si osserva un evento).

L’ampiezza dei potenziali miniatura dipende da eventi postsinaptici perché l’ampiezza in entità di
depolarizzazione dipende dall’effetto del quanto di neurotrasmettitore liberato a livello dei recettori, e
quindi del potenziale di membrana della fibra muscolare scheletrica. Quanto è grande la corrente che
determinerà l’effetto della depolarizzazione dipende chiaramente da quanti recettori si trovano a essere
disponibili per l’azione del neurotrasmettitore. Infatti, l’ampiezza dei potenziali miniatura dipende dal
curaro: il curaro determina una diminuzione dell’ampiezza dei potenziali miniatura, diminuendo la
disponibilità dei recettori. L’ampiezza dei potenziali miniatura aumenta se si inibisce la degradazione del
neurotrasmettitore: ad esempio con inibitori dell’acetilcolina-esterasi.

La formula seguente è la relazione base di tutte le correnti ioniche:

Con il curaro si varia il valore della modificazione di conduttanza indotta dall’azione del neurotrasmettitore,
andando ad agire sul parametro GEPP. Così facendo, si diminuisce la corrente e l’effetto di depolarizzazione
sulla fibra muscolare scheletrica. L’altro intervento che si può utilizzare è quello di modificare il potenziale
di membrana della fibra muscolare scheletrica su cui agisce il neurotrasmettitore. Si modifica il potenziale
di membrana postsinaptico e si depolarizza leggermente anche Vm (da -90 lo si porta a -70), così che Vm è
meno diverso da EEPP. La differenza con 0, che è il valore a cui tende la membrana sotto l’azione del
neurotrasmettitore, diminuirà, e diminuirà la corrente. L’effetto che si osserva è una diminuzione
dell’ampiezza dei potenziali miniatura.

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Ricapitolando, l’ampiezza dei potenziali miniatura dipende da eventi postsinaptici, mentre la loro
frequenza da eventi presinaptici.

Il potenziale miniatura è il corrispettivo di una liberazione casuale di neurotrasmettitore; secondo l’ipotesi


corrente provata da questo esperimento, il meccanismo di liberazione è quantale. La depolarizzazione della
membrana e il potenziale d’azione sono solo agenti che aumentano la probabilità della liberazione del
neurotrasmettitore. Questa probabilità non è 0, neanche a riposo (dove è, comunque, molto piccola).

Sulla base della distribuzione delle ampiezze dei potenziali miniatura, che è di tipo Gaussiano unimodale
con valore medio intorno a 0.5 mV (distribuzione continua), si può ipotizzare che il potenziale miniatura
corrisponda al rilascio casuale di un singolo pacchetto quanto di acetilcolina. La sua probabilità di
liberazione è molto bassa a riposo, si osserva infatti una frequenza molto bassa. La probabilità di rilascio dei
quanti di neurotrasmettitore dipende dal potenziale di membrana presinaptico, il potenziale d’azione nel
terminale nervoso sincronizza la liberazione di molti quanti di neurotrasmettitore che, nella giunzione
neuromuscolare danno luogo a una depolarizzazione sempre sopra soglia.

Questa è l’ipotesi che gli sperimentatori si trovarono a dover provare, e per farlo scelsero un approccio
statistico. Si misero in una situazione favorevole allo studio. In una situazione in cui il potenziale di
membrana è uguale al potenziale di riposo, e la giunzione ha tutti i recettori disponibili (nessuna di queste
variabili viene modificata), quando arriva il potenziale d’azione e sincronizza la liberazione di un enorme
numero di quanti, il fenomeno della liberazione quantale è difficile da dimostrare. Come si può dimostrare
la liberazione quantale se si osserva una liberazione massiccia di quanti? Per dimostrare la liberazione
quantale del neurotrasmettitore bisogna mettersi in una situazione in cui si ha la liberazione di pochi
quanti. Si vedono delle depolarizzazioni che sono multiple di un’entità base che ha l’ampiezza di un
potenziale miniatura e che varia con un andamento a gradino.

Bisogna mettersi nella condizione di registrazione di un singolo evento, di singolo o di pochi quanti liberati.
Per farlo non si altera niente a livello postsinaptico: si lascia il sistema inalterato, libero di rispondere al
neurotrasmettitore come in condizioni fisiologiche. Si opera un blocco presinaptico, si vuole diminuire la
probabilità della liberazione del neurotrasmettitore quando arriva il potenziale d’azione (si vuole studiare
una giunzione attiva, durante la trasmissione del segnale ovvero quando il potenziale d’azione arriva nel
terminale presinaptico). Il blocco presinaptico si opera mediante la riduzione del calcio extracellulare e
l’aumento della concentrazione extracellulare del magnesio: questo determina un disaccoppiamento tra
l’arrivo del potenziale d’azione e la liberazione del neurotrasmettitore. Non bisogna porsi in condizioni
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estreme di blocco: bisogna che qualcosa si liberi. Contemporaneamente si registra la risultante della
stimolazione a livello della fibra muscolare scheletrica. La liberazione del neurotrasmettitore non si vede, si
vedono solo i suoi effetti sulla fibra muscolare scheletrica che daranno una misura di quanto
neurotrasmettitore si è liberato.

L’immagine sopra riportata è una registrazione di questo tipo di esperimento. Si parte da una situazione in
cui la giunzione neuromuscolare è in condizioni fisiologiche. Si stimola e la stimolazione presinaptica
determina la generazione di un potenziale di placca (non un potenziale d’azione). Si stimola 100 volte, e in
100 volte si vede lo stesso potenziale di placca con la stessa ampiezza. Qualche volta, negli intervalli di
stimolazione (quando lo sperimentatore non sta stimolando), si vedono i potenziali miniatura dall’ampiezza
media di 0,5mV. A questo punto si abbassa il calcio e si aumenta il magnesio, determinando delle condizioni
di blocco progressivo via via sempre più grande. Si vede che l’ampiezza del potenziale di placca diminuisce,
finché, a un certo punto, l’ampiezza del potenziale di placca diventa molto simile a quella del potenziale
miniatura. L’ampiezza del potenziale di placca si riduce progressivamente, e prima di bloccarsi del tutto
diventa equivalente al potenziale miniatura. La diminuzione del calcio e l’aumento del magnesio non
determinano nessuna variazione nell’ampiezza del potenziale miniatura. L’operazione del blocco
presinaptico diminuisce la liberazione del neurotrasmettitore ma lascia inalterata la sua azione a livello di
singolo quanto sul potenziale postsinaptico.

Le condizioni dello studio sono quasi in blocco della trasmissione perché in un


numero significativo di eventi di stimolazione si osserva anche il fallimento della
trasmissione, non si osserva nessuna risposta che consegue alla stimolazione del
terminale presinaptico perché non si ha liberazione del neurotrasmettitore. In un
certo numero di volte si osservano fenomeni che hanno ampiezza simile a quella dei
potenziali miniatura e altre volte si osservano fenomeni che hanno ampiezza più
grande e già a occhio gli sperimentatori possono dedurre che il fenomeno sembra
variare come un multiplo dell’entità base che è l’ampiezza del potenziale miniatura:
questo sembra confermare che il potenziale miniatura è il corrispettivo della
liberazione casuale di un quanto di neurotrasmettitore.

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Resta da validare l’intuizione che la liberazione del neurotrasmettitore avvenga effettivamente per quanti:
quando si va a simulare il fenomeno a livello postsinaptico si deve dimostrare che l’ampiezza del potenziale
di placca osservato varia a gradino, ovvero la variabile dell’ampiezza del potenziale di placca non può
assumere tutti i valori possibili con differenze infinitesimali (come nella distribuzione Gaussiana continua)
ma può variare solo a gradini, che sono multipli di un intero base che corrispondono al potenziale
miniatura.

Quando i dati sperimentali variano in questo modo, variano secondo una distribuzione statistica di
probabilità che è di natura discontinua e la variabile può assumere quindi solo due valori, come quando si
lancia una moneta (può uscire testa o può uscire croce, nessun valore intermedio tra i due). Allo stesso
modo, quando il potenziale d’azione arriva al terminale presinaptico, essendo un evento del tipo tutto o
nulla, un quanto può venir liberato o può venir non liberato e non c’è nessun caso intermedio possibile.
Quindi dato un certo numero di quanti presenti nel terminale presinaptico, che corrisponderanno alle
vescicole contenenti il neurotrasmettitore, quando si osserva l’arrivo del potenziale d’azione è come se si
lanciasse in aria un sacchetto di, ad esempio, 50 monete, quindi 50 quanti. Qual è la probabilità che di
queste 50 monete X siano testa e Y (ovvero 1-x) siano croce? Quando arriva il potenziale d’azione e impatta
su 50 quanti, quanti ne vengono liberati?
Dal numero di quanti liberati dipenderà l’ampiezza del potenziale di placca che si osserverà. Si pone la
condizione in cui P è molto bassa, ovvero una condizione in cui, nel momento in cui lancio il sacchetto di
monete, solo poche saranno testa e le altre siano croce (quindi quando arriva il potenziale d’azione solo 3
quanti verranno liberati, tutti gli altri no).
Quindi la distribuzione di ampiezza deve essere simulata da una distribuzione di tipo discontinuo, una
distribuzione di tipo BINOMIALE (come visto in statistica e che qui vedremo in forma molto semplificata).

Mentre il potenziale in miniatura ha una distribuzione di ampiezze che segue la distribuzione Gaussiana,
quindi normale (continua), nell’esperimento in cui si osservava l’ampiezza dei potenziali nella giunzione
quasi bloccata (quella vista prima), la distribuzione di ampiezza di questi potenziali, che quindi
conseguivano l’arrivo del potenziale d’azione ed erano molto piccoli, seguiva invece una distribuzione
molto diversa da quella continua e lo si vede subito dal diagramma delle ampiezze riportate. Si vide che ciò
poteva essere simulato perfettamente mediante una distribuzione di tipo DISCONTINUO, BINOMIALE.

Quindi con un approccio di tipo statistico si determinò che l’andamento seguiva una distribuzione di tipo
discontinuo e che quindi era un evento di natura quantale.
(La statistica fornisce la prova definitiva che la liberazione del neurotrasmettitore avviene a pacchetti).

In un esperimento successivo,
sempre svolto su una giunzione
neuromuscolare quasi bloccata e
con basso [Ca] e alto [Mg]
extracellulari, la giunzione viene
stimolata 200 volte e si misura ciò
che accade e lo si riparte in classi di
ampiezza. Innanzitutto, vengono
contate le volte in cui si ottiene
una risposta di fallimento, ovvero
tutte le volte in cui non c’è stata
risposta a livello postsinaptico in
seguito alla stimolazione. Questa è
la classe dei fallimenti, delle risposte nulle (ad esempio 18/200, che significa che su 200 prove, 18 volte non
si è registrata una risposta); si misurano poi le altre ampiezze e si classificano in classi di ampiezze: 0.3, 0.4
mV… (vedi l’istogramma). Si misura anche l’ampiezza del potenziale in miniatura che veniva misurato

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casualmente durante la registrazione. Si dimostrò anche così che l’andamento delle ampiezze segue una
distribuzione continua per il potenziale di miniatura e una distribuzione discontinua per i quanti.

Si riprende il trattamento statistico.


Per una popolazione di n quanti rilasciati ad ogni potenziale d’azione, la probabilità P di liberare X quanti, X
vescicole ( P(x) ), è descritta dalla distribuzione BINOMIALE (che ha una forma molto complicata, ma non è
fondamentale ricordarsela, basta sapere che c’è. Lei dice “basta aprire un formulario e sapremo che forma
ha”.
La distribuzione binomiale ha dei termini:
• n è il numero di vescicole del terminale ed è una
costante;
• p è la probabilità di rilascio di ogni singola vescicola,
quindi ogni vescicola ha una sua probabilità di rilascio
che è indipendente da quella delle altre;
• q è la probabilità di non venire rilasciata (1-p).

Quindi nel caso del lancio di 16 monete: qual è la probabilità che 2 di queste siano testa e 14 croce?
Quando arriva un potenziale d’azione e si hanno 16 vescicole: la P(x) = 2 significa che 2 vescicole siano
liberate e 14 no. Due vescicole liberate determineranno una depolarizzazione pari ad un multiplo due
dell’azione elementare del singolo quanto, che equivale molto probabilmente al potenziale in miniatura
(verrà dimostrato). Ovviamente, in ordine di risposte, si avrà un nuovo parametro da considerare:
• m: il contenuto quantale medio delle risposte (indica quanti quanti in media vengono liberati per
ogni risposta).

Nelle condizioni fisiologiche p è molto grande, di conseguenza anche m sarà molto grande. Nella condizione
dell’esperimento invece, il potenziale d’azione e le concentrazioni di Calcio e Magnesio determineranno un
valore di p molto molto piccolo. Viene quindi a stabilirsi una condizione di dipendenza dalla [Ca] e [Mg] nel
liquido di perfusione, e quindi condizioni sperimentali con una certa entità di blocco. Il parametro m in
queste condizioni ha un valore medio che si ottiene dal numero totale di vescicole contenute nel terminale,
per la probabilità di rilascio delle vescicole stesse (m= n*p).
Sono quindi condizioni che permettono di semplificare la distribuzione binomiale nella distribuzione di
Poisson, perché è appunto una condizione in cui il numero di vescicole nel terminale è molto grande e a
ogni evento di trasmissione si libera un numero molto piccolo di vescicole, cosicché si possa considerare
che il numero di vescicole totale presente nel terminale rimanga costante e non sia influenzato dalle
vescicole che perde durante la liberazione, in quanto diventa un evento trascurabile. La distribuzione di
Poisson si usa quindi per dissimulare la distribuzione di classi di ampiezza del potenziale di placca nella
giunzione quasi bloccata. (Questa ultima frase viene detta all’inizio del discorso, ma è stata inserita in
questo punto perché più adeguato)

Quindi con n molto grande e p molto basso ottengo, dalla distribuzione binomiale, la distribuzione di
Poisson, che ha una forma più facile e nella quale la probabilità di rilascio di un certo numero di vescicole
(la probabilità che x monete siano testa rispetto a tutte le altre, ad esempio 2 su un numero molto grande
di monete) è uguale a:

Dove:
• n = numero di vescicole contenute nel terminale (o il numero di monete nel sacchetto) e tende ad
infinito;
• p = probabilità di rilascio, che tende a 0;
• considerando il numero X estremamente piccolo, è vera la relazione n-x = n
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Quindi nelle condizioni sperimentali ci si pone in una condizione in cui si possa misurare la probabilità di
rilascio di 1, 2, 3… quanti, perché in una serie di registrazioni la probabilità di osservare l’evento
corrispondente alla liberazione di x quanti verrà misurato dall’effetto postsinaptico di depolarizzazione. Se
si osserva un fallimento, questo equivale ad una situazione in cui x = 0 (e quindi non c’è stato alcun rilascio).
Se si osserva un fenomeno elementare in cui x = 1, questo darà origine ad un’ampiezza (la più piccola che io
possa osservare) e via via si vedrà un andamento d’ampiezza a gradino (1, 2, 3…), dei fenomeni che
dovrebbero variare con una distribuzione di tipo discontinua.

(Segue discorso molto generale) Quindi la probabilità è quante volte si osserva, per esempio, il fallimento
rispetto al numero totale di prove. Se si osservano 19 fallimenti, vanno considerate anche quante prove
sono state. Quindi la probabilità di avere dei fallimenti sarà data dalla frazione degli eventi osservati:
19/200 (dal nostro esempio). Questa è la probabilità ed essa fornisce un’indicazione sul verificarsi
dell’evento.
La probabilità di x si esprime perciò come frazione degli eventi sugli eventi totali (si prende sempre da
esempio il fallimento perché questo, si vedrà, aiuterà a calcolare il contenuto quantale m): numero di
fallimenti sugli stimoli totali.

PROVA DELL’IPOTESI QUANTALE


Per poter provare l’ipotesi quantale, si devono comparare la variabilità dell’ampiezza del potenziale di
placca osservato rispetto a quanto predetto da una distribuzione discontinua che segua la legge di Poisson;
quindi si vede se ciò che si dimostra sperimentalmente viene simulato da una distribuzione di tipo
discontinuo (questa ne sarà la prova definitiva).
Nella formula di Poisson x = 0, 1, 2, 3... quindi equivale la probabilità di osservare un certo evento, ed è un
valore conosciuto. L’unico valore non in possesso è m, il contenuto quantale. Ci sono due possibilità di
misurarlo:
1. Calcolo di m in via statistica: ci si
pone in una condizione favorevole,
ovvero si sfruttano i fallimenti (che
determinano P(0)
2. Dai dati sperimentali: può servire la
stima statistica per confermare
l’ipotesi di base, ovvero che il
potenziale in miniatura è l’entità
base del quanto, della liberazione
del neurotrasmettitore. Si può
infatti assumere che il quanto sia
equivalente al potenziale medio in
miniatura, e quindi è possibile
stimare m anche da tutti i dati
sperimentali che si ottengono,
misurando l’ampiezza media del
potenziale di placca. Si misurano tutti i potenziali di placca che si ottengono nelle 200 prove e si
comprendono in questa misura anche i fallimenti (che pongo uguali a 0).
Si sommano quindi tutti i valori, si dividono per il numero totale delle prove fatte e si ottiene il
valore medio del potenziale di placca. Divido questo per il valore medio del potenziale di miniatura
(come si è stimato, indipendentemente dalla distribuzione unimodale delle sue ampiezze).

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Si osserva una sovrapposizione


perfetta. Viene ripetuto
l’esperimento tante volte, ogni volta
si stimola 200 volte e si misurano le
ampiezze dei potenziali di placca,
mettendosi in condizioni sempre un
po’ diverse (per esempio blocco
leggermente più spinto) in cui ci si
aspetta che m possa variare di poco.
Si fa la stima del contenuto quantale
medio (in entrambi i modi) e si trova
sempre una corrispondenza perfetta:
si tende a deviare solo nelle regioni in
cui si liberano tanti quanti (e questo è
il problema per cui ci si deve mettere
in una regione di linearità della risposta come quella di bassissima probabilità di liberazione del
neurotrasmettitore, se no, per ragioni che qui non si ha tempo di vedere, la linearità del fenomeno si perde).
Quindi si osserva una perfetta corrispondenza che conferma che il quanto è il potenziale in miniatura.
A questo punto si misura m in ogni esperimento (questo è un esperimento-tipo) e si calcola il suo valore e
poi lo si sostituisce nell’equazione di Poisson. Dalla stima di m si ricava il valore di probabilità che ci aspetta
di osservare nel fenomeno pari a 1, 2 e 3 (ovvero x = 1, 2, 3). Si ricava un certo valore che corrisponde alla
frazione delle volte in cui avrò osservato un’ampiezza pari a 1, 2… la probabilità maggiore, si vede, è quella
di osservare l’evento pari a 1, ovvero la liberazione di un unico quanto (sono perciò in condizione di quasi
blocco della giunzione neuro-muscolare).
La distribuzione di Poisson, sulla base della stima del contenuto quantale, da origine ad una distribuzione di
probabilità di osservazione di fenomeni con andamento discontinuo: si dovrebbero osservare ampiezze
secche (ad esempio solo 0.5, solo 0.8…), fenomeni privi di variabilità. Bisogna però ricordare che ci si trova
in ambito biologico e non esistono valori secchi in biologia (basta considerare che anche lo stesso potenziale
in miniatura non presenta un valore secco di ampiezza, ma si considera la media di 0.5). Perciò quando si
analizza questo fenomeno, si osserva una distribuzione di ampiezze unimodale, centrata intorno ad ogni
valore previsto dalle classi di Poisson. A
questo punto gli sperimentatori decisero di
applicare ad ogni valore di Poisson la
variabilità osservata per il potenziale in
miniatura e che ci si aspetta che valga anche
per fenomeni di liberazione di 1, 2, 3 quanti.
Nel fare questo, si sovrappose a questi valori
la stessa distribuzione gaussiana osservata nel
potenziale di miniatura. Sommarono tutti i
valori (tra le classi) e ricavarono una
distribuzione che sovrapposta a quella degli
esperimenti di Boyd e Martin (vedi pag. 7)
simula molto da vicino le osservazioni
sperimentali dell’esperimento in questione.

Poiché la distribuzione statistica di Poisson simula i dati sperimentali, significa che essi hanno natura
discontinua, una natura quantale, dove il quanto equivale al potenziale miniatura: il potenziale miniatura è
quindi la risultante degli effetti della liberazione di una vescicola di neurotrasmettitore.
La relazione di liberazione dell’acetilcolina fa in modo che la probabilità di liberazione del singolo quanto sia
indipendente da quella di tutti gli altri e la probabilità di liberazione dei quanti, e quindi il contenuto
quantale medio, sia modulato dal potenziale di membrana presinaptico. La grande depolarizzazione
operata dal potenziale d’azione va ad aumentare enormemente il contenuto quantale medio,
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sincronizzando la liberazione contemporanea di un gran numero di vescicole e dando origine quindi ad una
grande corrente, ad una grande depolarizzazione postsinaptica.

Si può calcolare sulla base di questi esperimenti quanti Quanti andrebbero liberati per essere sicuri di
arrivare alla soglia del potenziale d’azione: qual è il contenuto quantale medio che permette di generare un
impulso senza integrazioni, una sinapsi obbligatoria (produzione di uno stimolo sempre sopra soglia)?
Basterebbero poche decine di unità (10-20). In realtà il contenuto quantale medio è pari 250 quanti: si
liberano molti più quanti di quelli che sarebbero necessari ad arrivare alla soglia. È presente quindi un
fattore di sicurezza molto grande, che permette che il potenziale di placca sia sempre sopra soglia, anche
con variazioni delle condizioni fisiologiche della trasmissione.

Molti modelli diversi dimostrano che le sinapsi chimiche funzionano tutte con un meccanismo quantale,
anche le sinapsi interneuroniche e le sinapsi centrali (quindi su questi meccanismi presinaptici non si
tornerà più, perché ci saranno differenze solo per i meccanismi postsinaptici e il contenuto quantale medio
liberato quando arriva il potenziale d’azione al terminale).
Nelle sinapsi interneuroniche il contenuto quantale medio è molto piccolo, la probabilità di liberazione del
quanto è molto basso e fa in modo che si liberi poco neurotrasmettitore. Piccole correnti e piccoli eventi di
depolarizzazione (o iperpolarizzazione) nella membrana postsinaptica in necessità di integrazione
neuronale permettono di fare tanti ponti per poter arrivare (?? Alla soglia ??) (parte incomprensibile, si
presume che la parte mancante sia -alla soglia-)

Vengono mostrati esperimenti molto più recenti svolti in sinapsi centrali interneuroniche a livello del
Talamo (in forma di “fettine” in vitro e con l’utilizzo di meccanismi di registrazione estremamente sensibili).
Anche qui si osserva il fenomeno quantale della liberazione del neurotrasmettitore, si osservano fallimenti
con le varie classi d’ampiezza e i potenziali miniatura (p è molto piccolo e quindi i quanti liberati sono molto
pochi).
Si nota anche che nelle sinapsi interneuroniche.
L’unica eccezione alla liberazione quantale del neurotrasmettitore osservato finora è quello tra fotocettori
e neuroni bipolari della retina (di cui si parlerà a Fisiologia 3).

REGOLAZIONE CON IL CALCIO


Il meccanismo è quantale e il potenziale d’azione sincronizza la liberazione dei quanti, ma qual è la cascata
di segnalazione?
Essa è rappresentata dal fenomeno di membrana unito ad un fenomeno citoplasmatico, ovvero la fusione
delle vescicole di neurotrasmettitore con la membrana presinaptica. Il potenziale d’azione è un fenomeno
di superficie, tutto il resto della cascata di eventi avviene a livello citoplasmatico: quindi ci deve esser un
segnale chimico che media l’accoppiamento tra segnale eccitatorio e secretorio.
C’è un dato importane che emerge dalle registrazioni focali (vedi inizio lezione): il ritardo sinaptico, che è
misurabile e può essere anche di più di 1 ms (nel caso della giunzione neuro-muscolare in questione è di 0.5
ms). Dov’è localizzato il fenomeno che contribuisce in maniera più importante al ritardo, ovvero l’evento
più lento in tutta la cascata di eventi che lega gli eventi pre e postsinaptici?
A livello postsinaptico tutti i fenomeni nella giunzione neuromuscolare, dove i recettori sono di tipo
ionotropici e presentano una cinetica di apertura molto rapida, gli eventi sono molto rapidi, ovvero
introducono un ritardo piccolo nel processo di trasmissione in quanto l’azione postsinaptica vede un ritardo
di circa 0.15 ms tra interazione del neurotrasmettitore e apertura del canale. La diffusione dell’acetilcolina,
anche di grandi quantità, avviene in modo molto veloce (anche al di sotto di 0.1 ms: qui circa 0.05 ms).
Tutto il resto del ritardo è quindi a carico degli eventi presinaptici ed è il ritardo tra l’arrivo del potenziale
d’azione e la liberazione del neurotrasmettitore.
Per studiare i fenomeni di trasmissione, per poter osservare ciò che accade a livello del terminale
presinaptico, bisogna ricorrere a dei modelli sperimentali facilitati: devono presentare dei terminali
presinaptici (soprattutto, e magari anche postsinaptici) di grandi dimensioni. Si studiano quindi delle sinapsi
di invertebrati, come quella del calamaro disposta nel ganglio stellato.
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---Si riferisce al lettore della sbobina che la seguente parte è pressoché incomprensibile dal file audio e si è
cercato di adattarla come meglio si riusciva.---
Si hanno quindi a disposizione grandi terminali pre e postsinaptici: si possono sistemare molti elettrodi,
sistemi di registrazione e stimolazione.
Un elettrodo stimola l’elemento presinaptico, uno registra l’elemento post-sinaptico e un elettrodo (viola)
può far passare correnti nel terminale presinaptico, variando il potenziale di membrana a piacimento
(depolarizzando o iperpolarizzando) e quindi generando un potenziale d’azione o delle
depolarizzazioni/iperpolarizzazioni sotto soglia.

In più in queste condizioni si


opera un blocco da
tetrodotossina (TTX) quindi si
blocca la trasmissione in modo
molto semplice, ovvero si blocca
direttamente l’arrivo del
potenziale d’azione (la
generazione del potenziale
d’azione nel terminale
presinaptico). In questi
esperimenti si vede cosa succede
aggiungendo TTX e andando a
stimolare e registrare a tempi via
via crescenti dall’applicazione
della tossina. La prima è la
registrazione presinaptica ed è
quella che avviene a tempi più precoci: si stimola e si registra l’effetto della stimolazione presinaptica, a cui
segue con un certo ritardo l’effetto postsinaptico.
All’inizio, quando il sistema è tutto integro, si è in una situazione in cui la TTX non ha avuto il tempo di
diffondersi nella giunzione: perciò si osserva un ritardo, una depolarizzazione fino alla soglia e poi la
generazione del potenziale normale (probabilmente si intende potenziale normale). Se si aspetta di più, si
osserva che pian piano il potenziale presinaptico scompare per azione della tossina: via via si osserva una
diminuzione crescente fino alla scomparsa dell’effetto postsinaptico nella trasmissione.
Quindi via via che diminuisce la depolarizzazione presinaptica, diminuisce l’effetto a livello postsinaptico.
È evidente che la depolarizzazione presinaptica modula la quantità di neurotrasmettitore che si libera.
Questo esperimento già ci suggerisce che non è tanto il potenziale d’azione in sé (correnti Na, K, frequenze
di canale…), ma il potenziale d’azione come agente di depolarizzazione che è sempre molto grande e
stereotipato, ovvero sempre uguale a sé stesso, a modulare la quantità di neurotrasmettitore liberata.
Il segnale arriva alla sinapsi in un modo estremamente controllato, come bit d’informazione. Un dato
importante, che su scala logaritmica si vede meglio, è l’ampiezza del potenziale presinaptico, quindi quanto
è grande questo potenziale d’azione che si sta modulando con la tossina: se diminuisce, fa diminuire anche
l’ampiezza del potenziale di placca secondo una curva esponenziale.

L’altro esperimento che si osserva conferma che non sono le correnti del potenziale d’azione a modulare la
quantità di neurotrasmettitore che si libera, perché se si depolarizza artificialmente la membrana
presinaptica e si rende impossibile la generazione del potenziale d’azione mediante dei bloccanti specifici
dei canali (si guardi soltanto l’esempio al centro dell’immagine successiva) non cambia niente. Anche questi
canali del potenziale d’azione sono bloccati, ma la depolarizzazione indotta sperimentalmente determina la
liberazione del neurotrasmettitore secondo una relazione molto ripida: all’ammontare della
depolarizzazione presinaptica, aumenta la quantità di neurotrasmettitore liberato e aumenta la probabilità
di rilascio del neurotrasmettitore.
Quindi l’evento di membrana è la depolarizzazione, indipendentemente da come esso si ottenga (in
condizioni fisiologiche si ottiene con il potenziale d’azione).
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Questo è molto importante perché viene confermato che ad innescare la liberazione del
neurotrasmettitore non sono le correnti del potenziale d’azione, ma è un’altra corrente attraverso i canali
voltaggio-dipendenti, che si aprono quando la membrana si depolarizza: fisiologicamente, quando arriva il
potenziale d’azione. (ricorda: si apre comunque se viene depolarizzata la membrana artificialmente, se la
porto sopra la soglia per l’apertura di questo tipo di canale). A questo punto è molto probabile che esso sia
un canale del calcio, poiché si è precedentemente visto lo stretto legame tra la presenza di calcio
extracellulare e l’evento di liberazione del neurotrasmettitore.
La liberazione è possibile solo se il potenziale d’azione presinaptico innesca un flusso di calcio attraverso la
membrana (che si è visto con gli esperimenti tramite registrazione focale). Infatti, si ripropone un
esperimento di registrazione focale, in condizioni di blocco della trasmissione sinaptica ed in presenza di
TTX. Quindi è presente un blocco molto forte: non c’è calcio e non si genera neanche il potenziale d’azione.
In questo caso c’è un dispositivo che può modificare il potenziale di membrana presinaptico. Perciò si
stimola il terminale presinaptico, lo si depolarizza, (si ricorda che non ci sono le correnti del potenziale
d’azione) e contemporaneamente, tramite un elettrodo posto molto vicino alla sinapsi, si può realizzare
una microionoforesi dello ione calcio: si possono ovvero temporizzare la liberazione del calcio con la
stimolazione presinaptica, cioè si accoppiano la depolarizzazione e la presenza di calcio.

Si va a vedere cosa succede a livello postsinaptico, registrando in questo terminale. Si presentano tre casi:
• STIMOLAZIONE: Si vede che soltanto
stimolando (depolarizzando) non si
libera il calcio, non succede nulla a
livello post-sinaptico, non si hanno
risposte.
• CALCIO (prima) + STIMOLAZIONE: Se
si depolarizza il terminale
presinaptico e con ritardo
infinitesimo si libera il calcio in modo
che si trovi nello spazio sinaptico
(cosicché con la depolarizzazione si
trovi già il calcio extracellulare ad una
concentrazione diversa da 0), si
osserva una risposta postsinaptica.
• STIMOLAZIONE + CALCIO (dopo): Se si stimola e il calcio arriva successivamente, nuovamente non si
ottiene una risposta.
Si dimostra che è necessaria quindi una sincronicità tra stimolazione e presenza di calcio nello spazio
sinaptico.

La liberazione del neurotrasmettitore è possibile solo se il potenziale d’azione presinaptico innesca un


flusso di calcio attraverso la membrana.
Si ricorda che il calcio extracellulare ha una concentrazione di 1-2 mM (fisiologico); quella intracellulare è
minore di 1 µM. C’è quindi un enorme gradiente di concentrazione che fa in modo che nel terminale
sinaptico il potenziale di equilibrio del calcio sia un valore attorno a +50 e +100 mV, un valore molto
positivo (come quello del Na o addirittura maggiore). Se sono presenti dei canali del calcio sulla membrana,
chiusi al potenziale di riposo, quando arriva il potenziale d’azione i canali, essendo voltaggio-dipendenti (si
indicano con l’indice “v”), si aprono. E se si aprono si avrà un flusso di calcio, il quale viene fortemente
spinto verso l’interno dal gradiente elettro-chimico. L’ingresso di calcio quindi determina un aumento del
calcio intracellulare che è in grado di innescare la fusione delle vescicole e quindi la liberazione del
neurotrasmettitore.

Questa è la depolarizzazione dovuta al potenziale d’azione, ma l’evento che fa aprire i canali del calcio è
una depolarizzazione di per sé, non è il potenziale d’azione. Infatti, negli esperimenti in cui il potenziale
d’azione è bloccato si vede che potenziali presinaptici via via crescenti e quello che si osserva (esperimenti
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molto più recenti) innescano delle correnti sinaptiche (ovvero attraverso la membrana sinaptica) di calcio
in entrata, correnti fortemente depolarizzanti. Il loro ruolo è quello di costituire un segnale per il sistema di
liberazione del neurotrasmettitore, più che di depolarizzazione. Sono esperimenti di voltage-clamp.

Si osserva una regione sinaptica con un’istologia fine e con tecniche di marcatura estremamente selettiva di
vari elementi della sinapsi. Si vede che ci sono molti canali per il calcio voltaggio-dipendenti, localizzati nelle
zone sinaptiche: le zone delle sinapsi dette “attive”, quelle in cui avviene il rilascio del neurotrasmettitore e
in cui si trovano le vescicole. Esse non sono libere e vaganti per il citoplasma, ma sono organizzate in
complessi sistemi di “docking” nella membrana,
come attraccate ai loro siti, pronte per essere
liberate ed andare incontro, dopo il docking, ad
un priming e ad una successiva fusione con la
vescicola presinaptica. Il canale del calcio è co-
localizzano con le vescicole e, dall’altro lato della
membrana, co-localizzano con classi di recettori
all’acetilcolina postsinaptici: c’è un matching
perfetto tra l’apparato (parola incomprensibile,
credo dica “apparato”) di neurotrasmissione pre
e postsinaptica. È questo che rende possibile
l’estrema rapidità delle sinapsi chimiche.

L’ingresso del calcio può essere visualizzato tramite indicatori del calcio specifici ed efficaci:
• Molecole che quando legano lo ione emettono un segnale che generalmente è la fluorescenza (è
quello attualmente più utilizzato);
• Indicatori del calcio luminescenti: molecole che legate al calcio emettono un segnale luminoso,
prendendo il nome di molecole “bioluminescenti”. La molecola più famosa è l’equorina, che viene
usata quindi come segnalatore della presenza di calcio. Queste venivano isolate da animali marini
(in particolare da meduse di mari molto freddi).

Fura-2 è l’indicatore più usato per la fluorescenza, un indicatore del calcio che passa liberamente attraverso
le membrane: si mette il preparato in soluzioni contenenti FURA-2 e questo lo si ritrova poi anche
all’interno della cellula, nella porzione presinaptica. Lavando il preparato lo si ritroverà esclusivamente
all’interno.
L’equorina è un indicatore che andava iniettato con micropipette nel terminale presinaptico, quindi il suo
utilizzo è più complicato.

Questi segnalatori danno un’indicazione qualitativa della presenza dello ione (ad esempio è tutto buio: se si
libera calcio dai sistemi di storage citoplasmatico si avranno dei segnali luminosi o fluorescenti, capendo
così che è aumentata la concentrazione del calcio). È presente poi un’ulteriore classe di indicatori:
• Indicatori detti “raziometrici”: forniscono un segnale di fluorescenza proporzionale alla
concentrazione del calcio, che può essere in questo modo tarato, calibrato. Perciò non solo
permettono di capire se è presente o meno il calcio, ma determinano anche in che quantità esso è
presente (è calcolabile).

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Fisiologia – Lezione n° 15
20/11/2019

Ciò che ci osserva con questi indicatori è quindi che con la


depolarizzazione si ha ingresso ed aumento di calcio nelle
regioni dove è localizzato l’apparato di neurotrasmissione.
L’aumento di calcio è segnalato da una scala di colore, in cui
il rosso rappresenta il valore più elevato. Si osserva poi una
distribuzione puntiforme, localizzata molto vicino ai canali
che ne permettono l’ingresso e che a loro volta sono
localizzati molto vicini ai recettori per l’acetilcolina
postsinaptici. Quindi l’aumento di calcio e il suo transito è
limitato esclusivamente a queste zone.
Il calcio aumenta, ma il canale si chiude immediatamente e la
situazione torna normale (il calcio bruscamente torna al
livello di base). Ciò avviene per permettere l’arrivo di un
ulteriore stimolo che possa innescare un secondo ciclo di
liberazione del neurotrasmettitore, cosicché il sistema possa
rispondere anche a stimoli che arrivano a frequenza molto
elevata.

Ci sono bloccanti selettivi di questi canali, come ad esempio


l’ω-conotoxin. Si vede che in sua presenza la
depolarizzazione dell’elemento presinaptico non comporta
più l’evento di trasmissione (non si ha infatti risposta post-
sinaptica). Ciò è dovuto alla scomparsa di corrente creata
dagli ioni calcio in entrata.

Il fatto che sia uno ione fondamentale si può dimostrare in molti modi: uno di questi è l’iniezione di un
chelante del calcio all’interno del terminale presinaptico. In questo caso si lascia inalterata la
concentrazione di calcio extracellulare, ma si impedisce l’aumento del calcio intracellulare mediante la
molecola chelante che, appena entra il calcio, lo lega. Anche questo comporta la scomparsa della risposta
postsinaptica perché, anche se la corrente passa, non si manifesta l’effetto: è necessario il cambiamento di
concentrazione intracellulare.

Numerosissime prove sperimentali quindi sostengono l’importanza del calcio per la liberazione del
neurotrasmettitore e in particolare che sia necessario il cambiamento di concentrazione interna del calcio.
Il blocco della trasmissione quindi avviene:
• In mancanza di calcio nello spazio sinaptico;
• Se il calcio nel terminale presinaptico è chelato;
• Se sono presenti bloccanti del canale voltaggio-dipendente del calcio (ad esempio in presenza di ω-
conotoxin);
• Depolarizzando il potenziale presinaptico e bloccandolo al valore del potenziale di equilibrio del
calcio (si comprende facilmente dalla relazione vista precedentemente: i = g (Vm-E), se Vm-E = 0,
anche se i canali sono aperti, la corrente sarà nulla).

Nelle prossime lezioni si vedrà che questi esperimenti sulle sinapsi giganti sono stati ripetuti anche in
modelli di sinapsi giganti presenti nei mammiferi e anche nell’uomo, a livello di sinapsi interneuroniche
centrali del tronco e dell’encefalo.

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Fisiologia I – Lezione n°16
21/11/2019

Data: 21/11/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Tesi
File audio di
riferimento:
Controllore: Svelti
Coppia: Susanna -Terralavoro

Siccome la registrazione del 21/11/19 è di difficile comprensione non è stato possibile scrivere una sbobina. Di
conseguenza qui sotto abbiamo riportato la sbobina dell’anno scorso che tratta degli stessi argomenti.

SINAPSI

L’ipotesi che sia necessario un aumento del calcio intracellulare attraverso l’ingresso di ioni calcio nel
terminale presinaptico per la liberazione del neurotrasmettitore trova a suo supporto molte prove
sperimentali diverse.

• Abbiamo visto che in condizioni di calcio extracellulare assente ([Ca2+] free) la conduzione sinaptica
non avviene poiché la concentrazione intracellulare di calcio non può aumentare in assenza di flussi
provenienti dall’esterno. Se lo sperimentatore aggiunge acetilcolina o comunque un
neurotrasmettitore per via esogena in condizioni di calcium free mediante tecniche in vitro si
restaura perfettamente la funzionalità dell’elemento postsinaptico; ovvero, se l’acetilcolina è
presente, anche in condizioni di assenza di calcio extracellulare, il recettore funziona
perfettamente, avviene l’interazione neurotrasmettitore-recettore e vediamo un potenziale
postsinaptico eccitatorio che, se sopra soglia, genera un potenziale di azione. Quindi l’assenza del
calcio extracellulare non influisce direttamente sui meccanismi postsinaptici. Infatti, come visto nella
scorsa lezione, l’adattamento del calcio extracellulare spesso accompagnato dall’aumento del
magnesio possono realizzare un blocco detto presinaptico. Il blocco è rimosso dall’aggiunta
esogena del neurotrasmettitore. In assenza di calcio si blocca la liberazione del neurotrasmettitore.

• Questo calcio extracellulare però deve migrare all’interno della cellula perché è necessario l’ingresso
di calcio. Si prenda questo esempio: la concentrazione di calcio extracellulare e intracellulare si trova
a valori fisiologici. Il calcio entra dall’esterno, aumenta la sua concentrazione intracellulare e in
queste condizioni la liberazione del NT avviene. Si aggiunge in seguito, all’interno della cellula, un
chelante specifico del calcio: in questo modo tutto il calcio intracellulare viene legato e
conseguentemente diminuisce la concentrazione intracellulare di calcio. Così facendo si realizza la
condizione di blocco del neurotrasmettitore. Quindi si deve avere un aumento della concentrazione
di calcio intracellulare. Questa, di per sé, è molto bassa, dell’ordine del submicromolare, quindi basta
anche il più piccolo ingresso di calcio per produrre una variazione significativa della concentrazione
intracellulare. L’ingresso è localizzato a livello del terminale presinaptico, dove gli ioni calcio si
trovavano associati al terminale nella zona in cui si liberano le vescicole.

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Fisiologia I – Lezione n°16
21/11/2019

• Un’altra prova che dimostra l’ingresso di calcio dall’esterno: è noto che la corrente ionica è zero
quando il potenziale di membrana è posto al valore di potenziale di equilibrio degli ioni. Quindi se il
potenziale dell’elemento presinaptico viene depolarizzato e mantenuto bloccato sul valore del
potenziale di equilibrio del calcio, si causa una situazione che porta all’inibizione della liberazione del
neurotrasmettitore. Abbiamo visto nella scorsa lezione che è la depolarizzazione presinaptica a
innescare la liberazione del neurotrasmettitore; tuttavia se questa depolarizzazione è esattamente
uguale al potenziale di equilibrio del calcio non si osserva nessun effetto di liberazione del
neurotrasmettitore perché in questo caso la corrente al calcio (ICa) è uguale a zero e Vm (il potenziale
di membrana) è uguale a ICa.

• A che cosa è dovuta questa corrente in ingresso di calcio? È dovuta all’apertura di canali al calcio
voltaggio-dipendenti. Se vado a bloccare con inibitori specifici questi canali il calcio non può
entrare e quindi non si possono rilasciare le vescicole di neurotrasmettitore.

Tutti questi interventi avvalorano la nostra tesi poiché danno vita ad un blocco presinaptico, sono infatti tutti
annullati dall’aggiunta esogena del neurotrasmettitore.

CHELANTI DEL CALCIO USATI IN LABORATORIO



Esistono chelanti del calcio, largamente utilizzati nella ricerca contemporanea, che legano il calcio ed
emettono luce, dando bioluminescenza. Uno di questi è la equorina che è una molecola che regola la
bioluminescenza in alcune meduse dei mari artici.
La bioluminescenza di questi animali è dovuta a questa
proteina che lega il calcio ed emette luce. La equorina veniva
isolata, soprattutto per la ricerca dello scorso secolo, da
queste meduse e veniva venduta e utilizzata proprio per
monitorare qualitativamente la concentrazione di calcio. La
equorina si iniettava all’interno del terminale presinaptico
mediante un microelettrodo per non ledere la membrana. Una
volta associata al calcio restituiva un fascio luminoso. Quando
il potenziale d’azione arrivava al terminale e si innescava il
meccanismo che portava all’aumento del calcio
intracellulare, la equorina produceva un maggior fascio
luminoso.

Attualmente si utilizzano molecole che sono marcatori del


calcio non tanto luminescenti quanto fluorescenti. Sono
largamente utilizzati nella ricerca contemporanea perché sono
molto facili da usare poiché possono entrare spontaneamente
all’interno della membrana, senza bisogno di iniettarli con dei
microelettrodi, poiché sono molecole che hanno affinità per il
doppio strato lipidico. Queste molecole vengono
semplicemente messe nel bagno di perfusione insieme alle
cellule. È molto difficile iniettare qualcosa nel terminale
presinaptico perché è molto piccolo. Dopo il primo bagno il
preparato viene lavato e viene messo in una soluzione di
perfusione nuova dove non è presente l’indicatore;

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Fisiologia I – Lezione n°16
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l’indicatore assorbito, almeno inizialmente, rimane tutto all’interno della cellula. Anche in questo caso
l’arrivo di un potenziale d’azione genera un segnale di fluorescenza da parte di questi indicatori dovuto ad
un aumento della concentrazione di calcio intracellulare.
Alcuni di questi indicatori fluorescenti hanno la caratteristica di essere raziometrici ovvero permettono di
stimare l’aumento quantitativo della concentrazione di calcio intracellulare.
Un marcatore fluorescente famoso che passa attraverso la membrana e non ha bisogno di essere iniettato
è FURA- 2. FURA-2 entra nel terminale presinaptico e quando la cellula viene stimolata si osserva un
aumento del segnale di fluorescenza che è indicato con un codice di colore che va dal blu (valore più basso)
al rosso (valore più alto). Possiamo così osservare la cinetica del processo in base ai diversi colori che la
fluorescenza assume secondo un’analisi qualitativa dell’entità dell’aumento del calcio intracellulare.
Quindi, questo indicatore non è raziometrico, tuttavia ci rende una indicazione cinetica, una indicazione
della tempistica del processo che dimostra che il calcio intracellulare aumenta durante il processo di arrivo
del potenziale (quando avviene la depolarizzazione della membrana plasmatica) e raggiunge il suo picco
massimo con un ritardo di circa 0,2 rispetto all’arrivo del potenziale. La durata dell’avvenimento completo
è di circa 0,8 ms. Quindi il picco del calcio segue il potenziale di azione di pochissimo e dura più o meno
quanto il potenziale di azione.

Questo evento è rapidissimo perché è dovuto all’apertura dei canali voltaggio-dipendenti. Questi, come già
abbiamo visto nei canali del sodio con il potenziale d’azione, possono raggiungere una cinetica di apertura
molto rapida. Il canale al calcio ha una struttura molecolare del tutto analoga a quella del canale al sodio
voltaggio-dipendente.

Vi dicevo però che mediante gli indicatori si può anche


arrivare a una stima quantitativa dell’entità dell’aumento
del calcio intracellulare. Ovviamente per l’esecuzione di
questi esperimenti si è fatto ricorso a delle sinapsi che ci
dessero dei vantaggi. Il vantaggio sperimentale che ci
serve è avere una sinapsi di grandi dimensioni. E inoltre il
ricercatore ha cercato una sinapsi non di un invertebrato
ma di un mammifero. In questo caso è stata utilizzata una
sinapsi detta “calice di Held” (di mammifero), presente
nei nuclei cocleari del tronco encefalico (organo del
corti).

Queste sono sinapsi giganti e sono asso-somatiche; con il
loro assone vanno a formare un calice, intorno al soma
delle cellule nervose del nucleo cocleare (immagine al
lato). È una sinapsi eccitatoria glutammatergica. È molto
rapida e la funzione di questa sinapsi è complessa
perché è finalizzata alla localizzazione del segnale
acustico ed è caratterizzata da inversione del segnale:
ovvero è una sinapsi eccitatoria ma il neurone con cui
prende contatto l’assone è inibitorio. Quindi è una
sinapsi grande, nel tronco dell’encefalo, una regione
difficilmente accessibile, ma essendo così grande è
possibile visualizzarla.

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Fisiologia I – Lezione n°16
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Nell’immagine si vedono alcune tecniche di visualizzazione della sinapsi (figure 1 e 2). Si vede la pipetta della
patch clamp di vetro che permette la registrazione delle correnti dei singoli canali ionici. In questa sinapsi è
anche possibile determinare quantitativamente di quanto deve aumentare la concentrazione di calcio
intracellulare per poter liberare il neurotrasmettitore.

Figura1 Figura 2 Figura 3

Si nota (figura 3) il calice di Held con la sua sinapsi tra il terminale assonico e il soma del neurone del
nucleo cocleare. Questo esperimento è stato fatto da Sakmann e i suoi collaboratori in una decina di anni
(dal 1993 al 2013). Si ricorda che Sakmann è uno dei due ricercatori che ottennero il premio nobel all’inizio
degli anni ‘80 per il progetto e la realizzazione degli esperimenti di patch clamp (Sakmann e Neher
inventarono il patch clamp).
Sakmann e i suoi collaboratori condussero esperimenti molto eleganti. Fecero uso di indicatori al calcio
fluorescenti all’interno del terminale presinaptico. Inoltre, all’interno del terminale presinaptico non
lasciarono il calcio nella sua forma libera ma utilizzarono dei chelanti per renderlo nella forma caged,
ingabbiato. I composti caged sono composti che si trovano all’interno di un chelante (nel nostro caso un
chelante del calcio sintetizzato in laboratorio) ed hanno una proprietà: se vengono irradiati con raggi UV si
denaturano e liberano il componente che ingabbiano, nel nostro caso il calcio.

Quindi il calcio è presente nel terminale presinaptico a concentrazione zero perché è tutto chelato da questo
composto scindibile dalla radiazione ultravioletta. In queste condizioni si può irradiare con luce ultravioletta
di intensità variabile in modo tale da denaturare sempre più la componente caged e liberare man mano
sempre più calcio. A questo punto intervengono gli indicatori al calcio fluorescenti che ci indicano man mano,
quantitativamente la concentrazione di calcio crescente.

Una volta che avviene il rilascio di neurotrasmettitore è sufficiente vedere quanta fluorescenza è stata
registrata e di conseguenza si può scoprire quanto calcio è necessario per rilasciare le vescicole.

Quindi abbiamo: l’elemento presinaptico, il calcio in forma caged, l’indicatore, l’elemento postsinaptico ed
elettrodi che andranno a registrare nel grande soma del neurone gli eventi elettrici che si assoceranno alla
liberazione del neurotrasmettitore. Abbiamo un terminale presinaptico stimolato da cui si registra l’arrivo
del potenziale d’azione, abbiamo un indicatore del calcio che mi permette di valutare l’aumento del calcio
intracellulare, e abbiamo la registrazione postsinaptica che mi permette di misurare la depolarizzazione che
corrisponderà alla corrente postsinaptica che determina il potenziale di azione postsinaptico. Ovviamente
la corrente postsinaptica si assocerà all’avvenuta liberazione del neurotrasmettitore.

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Fisiologia I – Lezione n°16
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In questo modo posso stimare l’entità del calcio intracellulare


per innescare il processo di liberazione del neurotrasmettitore e
posso anche valutare con estrema precisione la tempistica del
processo e valutare soprattutto dove è localizzato il ritardo
sinaptico; il ritardo sinaptico è quello che intercorre tra l’arrivo
del potenziale di azione nel terminale presinaptico e la
generazione del fenomeno eccitatorio EPSP (eccitatory
postsinaptic potential) dell’elemento postsinaptico.

Nell’immagine a fianco, il ritardo è compreso tra l’istante t=0,5-


0,6 ms (arrivo del pdA) e il picco a t1=1,5 ms ed è dato da tutti
questi fenomeni: l’aumento della concentrazione
intracellulare del calcio nell’elemento presinaptico, la liberazione
delle vescicole, l’interazione delle vescicole con i recettori e il
generarsi dell’EPSP. Ma qual è il fenomeno limitante? Ovvero qual
è il fenomeno al quale si associa la maggior percentuale del
ritardo sinaptico?

RITARDO SINAPTICO

Innanzitutto, andiamo a vedere quella che è la relazione fra l’aumento del calcio intracellulare nel terminale
presinaptico e la velocità di liberazione del neurotrasmettitore. Abbiamo un grafico (sotto) dove si trova la
concentrazione del calcio in micromolare e sull’asse y il logaritmo della velocità di liberazione del NT.

Vediamo che è un processo molto cooperativo dove n, il numero di coordinazione è uguale 5. Quindi si tratta
di un processo altamente cooperativo.

Il ritardo sinaptico misura 1-2 ms ed è dovuto principalmente alla lenta cinetica di apertura dei canali al
calcio, tra l’ingresso di calcio e il rilascio del NT passano solo poche centinaia di microsecondi. Questo ci
dice che il processo che appare più lento, la secrezione delle vescicole, è in realtà molto rapido perché le
vescicole si trovano già pronte per la fusione, in una configurazione primed ovvero innescate per essere
liberate. Sono nella configurazione docked dall’inglese “ormeggiate, attraccate”, come le navi ai moli di un
porto al terminale presinaptico.

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Quindi qual è la sequenza di eventi nella trasmissione sinaptica? Abbiamo prima il potenziale d’azione
presinaptico che genera la depolarizzazione che determina l’apertura dei canali al calcio voltaggio-
dipendenti, e vedete il ritardo notevole tra l’arrivo del pdA (potenziale di azione) e il picco della corrente di
calcio. Questo fattore di ritardo è dato maggiormente proprio dalla cinetica dell’apertura dei canali. I canali
al calcio si aprono più “lentamente” (tra virgolette perché in realtà rimane comunque un evento rapido)
rispetto ai canali del sodio voltaggio-dipendenti. L’aumento di calcio intracellulare determina il rilascio delle
vescicole di NT; il NT interagisce con i recettori dell’elemento postsinaptico e si genera l’EPSP. Ad esempio, a
livello della giunzione muscolare, se l’EPSP è sopra soglia si avrà la generazione del pdA.

Le vescicole di NT possono essere studiate istologicamente, infatti si vedono molto bene con la microscopia
elettronica nella loro configurazione prime-docked. Si può anche apprezzare la fusione delle vescicole con la
membrana del terminale presinaptico. Si ricorda che ogni vescicola costituisce un quanto del processo di
conduzione sinaptica.

Al microscopio elettronico (immagine a fianco) vediamo la membrana non


stimolata a confronto con quella stimolata, che presenta i pori di fusione. La
biologia molecolare ha risolto nel dettaglio la macchina molecolare alla
base del processo della liberazione del NT che è costituita non soltanto
dalle vescicole sinaptiche ma da un insieme di proteine che determinano il
posizionamento, l’attracco delle vescicole nella membrana e mediano la
cascata di segnalazione che porta alla loro liberazione in seguito
all’aumento della concentrazione intracellulare di calcio.

Un altro dato importante è che le vescicole co-localizzano con i canali del calcio, ovvero là dove abbiamo i
pori di fusione si trovano anche i canali del calcio; l’aumento del calcio non è un aumento generalizzato in
tutto il terminale presinaptico ma gli ioni calcio si accumulano a livello della membrana, in prossimità
dell’apparato di secrezione delle vescicole.

L’apparato di secrezione delle vescicole è molto complesso e studiato, anche perché il malfunzionamento di
questi complessi proteici, presenti in tutti i fenomeni di conduzione, può condurre a patologie importanti.

FORMAZIONE DEL COMPLESSO SNARE



Le vescicole si trovano in posizione prime-docked, in membrana mediante complessi proteici che associano
la membrana plasmatica alla membrana della vescicola. Questi complessi prendono il nome di complessi
SNARE e sono costituiti da una proteina associata alla membrana della vescicola, la sinaptobrevina
(sinaptobrevin in inglese) ed altre proteine invece associate alla membrana plasmatica che sono la sintaxina
(sintaxin) e SNAP-25. Quando queste proteine si associano e formano il complesso molecolare questo
innesca la fusione della vescicola con la membrana plasmatica. La formazione del complesso SNARE è dovuta
all’aumento del calcio intracellulare; il calcio va a legarsi ad un sensore del calcio associato alla membrana
delle vescicole, la proteina sinaptotagmina (sinaptotagmin). La sinaptotagmina ha due siti di legame per il
calcio ed ha anche un dominio ad alta affinità per il bilayer lipidico che si posiziona nella membrana della
vescicola. Quando il calcio si lega ai siti della sinaptotagmina si rende possibile la formazione del complesso
SNARE. La sinaptotagmina si lega a SNARE e alla membrana plasmatica catalizzando il processo di fusione.

La sinaptotagmina è molto importante per il fenomeno di accoppiamento tra eccitazione e secrezione, se


perde la sua funzionalità non si ha più il rilascio delle vescicole.

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Il complesso SNARE è dato da: sinaptobrevina, sintaxina e SNAP-25. Queste proteine hanno una struttura a
superelica, o coiled coil e tendono ad aggregarsi fra di loro. Quindi l’interazione dei loro domini coiled coil
causa l’aggregazione e la formazione del complesso sovramolecolare. In realtà il processo di esocitosi delle
vescicole è mediato anche da altre proteine come la clatrina.

Nell’immagine (di sopra) possiamo osservare il sito di azione della tossina tetanica e della tossina botulinica,
proprio in corrispondenza del legame tra sinaptotagmina e complesso SNARE. Le due tossine quindi
interferiscono con la liberazione delle vescicole. Altra tossina molto famosa è la α-latrotossina che si lega
comunque a proteine che mediano il processo di rilascio del NT.

Le vescicole in realtà sono tutte coperte da un grande numero di proteine che hanno regioni affini al doppio
strato fosfolipidico, quindi la vescicola è soggetta a moltissimi e diversi tipi di modulazione da parte di diverse
cascate di segnalazione. Queste proteine, una volta avvenuta l’esocitosi vengono riciclate e ad oggi sono
oggetto di vari studi farmacologici.

CANALI DEL CALCIO VOLTAGGIO DIPENDENTI



I canali del calcio voltaggio dipendenti sono molto simili ai canali del sodio voltaggio dipendenti per il pdA. In
particolare, sono simili nella subunità α1, la subunità che forma il poro, formata da 4 sottodomini. Il canale
del calcio tuttavia ha anche delle subunità ausiliarie che sono in parte associate alla membrana (subunità γ e
δ) e in parte extra (la sub. α2) o intracellulari (sub. β). Si tratta quindi di una struttura complessa, presente
anche in molte isoforme diverse.
Nell’evoluzione il canale al sodio e quello al calcio sono molto vicini, difatti la struttura del poro è analoga,
con i suoi 4 domini.

La famiglia delle isoforme del canale del calcio voltaggio dipendente è molto grande; ci sono isoforme
tessuto-specifiche. Nel particolare noi stiamo studiando la sottofamiglia presente nei neuroni, le isoforme
P/Q, N ed R.
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Le isoforme L e T saranno trattate nel corso di fisiologia II, trattando il potenziale di azione cardiaco. Il
bloccante specifico dei canali del calcio neuronali associati alla trasmissione sinaptica è la ω-conotoxin.
Mentre tutte le isoforme dei canali del calcio voltaggio-dipendenti sono bloccate (pur con sensibilità diverse)
dal cadmio e dai metalli pesanti come il nichel, il cobalto e il lantanio.

I canali del calcio e del sodio hanno la subunità α1 molto simile: 4 domini ripetuti da 6 regioni ad alfa elica di
attraversamento della membrana, S4 sensore di voltaggio carico positivamente e un P-loop.

Il canale del potassio ha una struttura simile ma è costituito non da 4 subdomini ma da 4 subunità. Ogni
canale mostra piccole differenze della sequenza amminoacidica della regione intorno al poro che assicurano
la selettività ionica.

Questa è la relazione corrente/voltaggio


della corrente formata dal sodio data
dal pdA e questa la relazione
corrente/voltaggio del canale al calcio di
tipo N, neuronale. Sono molto simili. La
soglia di apertura del canale al sodio è
-50 mV, quella del canale al calcio è più
elevata, intorno a -40, -45 mV. Inoltre,
cambia anche il punto di inversione
della corrente; nel caso del canale al
sodio sarà dato dal valore del potenziale
di equilibrio del sodio, nel caso del
canale al calcio dal potenziale di
equilibrio del calcio. E il potenziale di
equilibrio del calcio ha un valore più
positivo del potenziale di equilibrio del
sodio poiché il gradiente di concentrazione del calcio è molto più grande di quello del sodio. Mentre il
bloccante specifico dell’isoforma N del canale al calcio è la ω-conotoxin, il bloccante specifico del canale al
sodio è la tedrotoxin.

Le correnti al calcio, attraverso i canali voltaggio dipendenti hanno dei ruoli funzionali molto diversi e molto
importanti:

• Innanzitutto, sono implicati nel signalling cellulare, mediano l’aumento della concentrazione del
calcio intracellulare che è un importante secondo messaggero; interviene nell’accoppiamento
eccitazione/secrezione di NT, di ormoni; nel muscolo scheletrico e nel muscolo cardiaco mediano
l’accoppiamento eccitazione/contrazione muscolare; interviene nella divisione cellulare.

• Poiché la corrente di calcio è così simile alla corrente di sodio anch’essa provoca una depolarizzazione
e anch’essa può generare un potenziale d’azione calcio-dipendente. Quindi esistono potenziali di
azione che realizzano la fase di depolarizzazione non mediante correnti al sodio ma mediante correnti
al calcio. Questo avviene ad esempio nel tessuto di conduzione cardiaco. Infatti i potenziali di azione
nel tessuto di conduzione non sono sensibili alla tedrotossina ma sono sensibili ai bloccanti dei canali
al calcio. Questo tipo di pdA si trova anche nei neuroni del Purkinje della corteccia cerebellare. Questi
pdA, chiamati anche Ca2+-spikes, in realtà sono frequenti nel soma dei neuroni.

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• L’aumento della concentrazione di calcio intracellulare mi determina fenomeni di memoria e
plasticità sinaptica che vedremo alla fine del corso (“long term potentiation” LTP e “long term
depression” LTD).

LE SINAPSI INTERNEURONICHE


A questo punto, presa la giunzione neuromuscolare come esempio di sinapsi rapida eccitatoria con numerosi
vantaggi per lo studio elettrofisiologico, vediamo come questo meccanismo di trasmissione che caratterizza
la giunzione neuromuscolare, lo troveremo pressoché invariato anche in tutte le sinapsi chimiche, sia
eccitatorie che inibitorie. Vedremo che i meccanismi presinaptici analizzati fino ad ora rimarranno inalterati.
Troveremo delle varianti a livello dell’effetto postsinaptico del neurotrasmettitore. Innanzitutto, perché i
potenziali postsinaptici eccitatori delle sinapsi interneuroniche non sono mai sopra soglia, hanno picchi di
altezza 1-2 mV, quindi ampiamente sotto soglia. Andranno sommati tra loro per poter arrivare a superare la
soglia e generare un potenziale di azione. Su un neurone prendono contatto più di una sinapsi. Ogni sinapsi
porta un piccolo segnale che può essere inibitorio o eccitatorio. Se la somma di tutti i piccoli potenziali risulta
superiore alla soglia, allora si rigenera pdA. Le sinapsi interneuroniche non sono quasi mai sinapsi
obbligatorie; ovvero un potenziale di azione presinaptico non è in grado da solo di rigenerare il pdA
nell’elemento postsinaptico ma va incontro ad un processo complesso chiamato integrazione neuronale:
tanti segnali convergono e sono sommati tra loro per decidere se si genera o non si genera un potenziale
d’azione. Vi ricordo che è molto importante rigenerare il pdA ma può essere altrettanto importante non farlo.
È come quando dobbiamo eseguire un movimento: l’estensione di un braccio deve avvenire solo se è
finalizzata ad esempio al prendere un oggetto. Non devo eseguirla se non è finalizzata al mio programma
motorio. Quindi oltre ad eseguire i movimenti che deve compiere, il mio organismo sopprime tutti quei
movimenti non utili. Il sistema nervoso seleziona ciò che deve avvenire e inibisce ciò che non deve avvenire.
Il processo decisionale che avviene nell’integrazione neuronale è la base del processo decisionale più ampio
che avviene nel sistema nervoso nell’adeguare le risposte dell’animale al meglio alle sue finalità di
sopravvivenza.

Le sinapsi interneuroniche, che andiamo ora a vedere sono sinapsi molto più difficilmente accessibili, molto
più difficilmente studiabili rispetto alla giunzione neuroeffettrice neuromuscolare. Possono essere di tipo
inibitorio o eccitatorio. Le sinapsi interneuroniche sono di piccola dimensione e non sono quasi mai
obbligatorie. Le sinapsi possono essere asso- somatiche, asso-dendritiche o asso-assoniche. Nella maggior
parte dei casi si stabilisce una sinapsi tra l’assone dell’elemento presinaptico e il soma dell’elemento
postsinaptico. Quindi il soma e i dendriti rappresentano il compartimento di input, il compartimento che
riceve informazioni. L’assone e il terminale costituiscono il compartimento di output, compartimento che
porterà il segnale, quando viene rigenerato, fino alla sinapsi con una cellula postsinaptica successiva. Il
colletto assonico rappresenta il segmento centrale di output e qui risiede il centro di processazione, di
integrazione, dove avviene la presa della decisione; tutti gli stimoli che arrivano al soma si sommano e
convergono nel colletto assonico dove viene presa la decisione. Il centro di integrazione si trova nel colletto
assonico per un motivo strutturale molto semplice: nel soma e nei dendriti del neurone non ci sono i canali
sodio/potassio del pdA. Ciò che avviene sul soma e sui dendriti sono solo fenomeni di natura elettrotonica
passiva. Il compartimento di input si comporta quindi come un comportamento analogico: qui arrivano
stimoli elettrotonici passivi che si sommano. Dal colletto assonico in poi, il sistema ragiona invece secondo
una logica digitale.

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È un sistema binario: se si supera la soglia si genera pdA (1 = presenza del pdA) se non si arriva alla soglia non
si genera pdA (0 = assenza del pdA). Dal colletto assonico in poi infatti sono presenti i canali Na/K del pdA.

Quindi tutti i fenomeni elettrotonici si sommano, si propagano in membrana, fino ad arrivare al colletto
assonico.

Le sinapsi che si stabiliscono tra i neuroni sono di tipo eccitatorio se a livello dell’elemento post- sinaptico
provocano un avvicinamento alla soglia del potenziale d’azione e creano un potenziale nell’elemento
postsinaptico EPSP causando di solito una depolarizzazione nell’elemento postsinaptico. La trasmissione
eccitatoria causa un aumento delle probabilità di generare un pdA. Al contrario le sinapsi inibitorie
provocano un allontanamento dalla soglia del potenziale d’azione e creano un potenziale nell’elemento
postsinaptico IPSP (inhibitory postsynaptic potential) che causa una iperpolarizzazione nell’elemento
postsinaptico. La trasmissione inibitoria causa una diminuzione delle probabilità di generare un pdA. Non
sempre l’IPSP provoca iperpolarizzazione.

Le sinapsi possono essere di due tipi a trasmissione rapida o lenta a seconda del recettore dell’elemento
postsinaptico; se il recettore è un recettore canale, ovvero un recettore ionotropo la trasmissione sarà rapida
perché il NT va ad aprire o chiudere i canali; questo tipo di recettore permette quindi una trasmissione rapida
e diretta del segnale (neurotrasmissione classica).

Se il recettore invece non è un canale ma è di natura metabotropica, ovvero una proteina transmembrana
che quando si lega il NT al recettore si avvia una cascata di secondi messaggeri che poi andranno a causare
l’apertura dei canali ionici posti a distanza: si ha neuromodulazione del segnale.

• Quindi le differenze tra sinapsi interneuronica e giunzione neuromuscolare sono: mentre la seconda è
sempre eccitatoria, la prima può essere anche inibitoria;

• Sulla giunzione neuromuscolare agisce l’acetilcolina su un recettore nicotinico di natura ionotropica
mentre nelle sinapsi interneuroniche abbiamo sempre l’acetilcolina ma si possono trovare recettori di
tipo nicotinico ionotropo o muscarinico metabotropo.

• Il contenuto quantale medio, in condizioni fisiologiche della giunzione neuromuscolare, è piuttosto alto,
viene liberato molto NT e sulla membrana dell’elemento postsinaptico si trova un’alta densità di
recettori, quindi molte zone attive (300 o più). Si genera EPSP sempre sopra soglia; nelle sinapsi
interneuroniche invece i quanti che si liberano sono pochi, quindi si libera poco NT; il potenziale è sempre
sotto soglia. In più sulla membrana dell’elemento postsinaptico non c’è un’alta densità recettoriale (solo
1-4 zone attive).

• Nella giunzione neuromuscolare non c’è quindi un centro di integrazione, una volta generato il pdA il
muscolo si contrae. Nelle sinapsi interneuroniche invece c’è una elevata integrazione sinaptica.








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Fisiologia I – Lezione n°16
21/11/2019



FENOMENI ECCITATORI (EPSP) E INIBITORI (IPSP) RAPIDI

Andiamo a vedere innanzitutto i fenomeni rapidi della trasmissione sinaptica sia nella configurazione
eccitatoria che nella configurazione inibitoria ovvero gli EPSP e gli IPSP rapidi. Quindi parliamo di recettori di
tipo ionotropico.

Allora dove sono localizzate le sinapsi eccitatorie e inibitorie? Concentriamoci nel compartimento di input
del neurone, dato dal soma e dai dendriti. Le sinapsi di tipo eccitatorio sono asso-dendritiche (tipo I), quindi
prendono contatto sui dendriti o sulle spine dei dendriti; si trovano più o meno vicine al soma. Le sinapsi
inibitorie invece sono prevalentemente asso- somatiche (di tipo II) e, trovandosi sul soma, sono più vicine al
segmento integratore. (La professoressa consiglia di ampliare l’argomento sul un libro di testo).

MOTONEURONI

I motoneuroni sono stati il modello di studio principale per lo studio della trasmissione sinaptica rapida nella
sua modalità sia eccitatoria che inibitoria. Gli esperimenti sui motoneuroni risalgono alla metà del secolo
scorso. Ricordiamoci che è molto difficile visualizzare sinapsi interneuroniche del sistema nervoso; sono
quasi sempre poste a livello del SNC, quindi nel midollo spinale e nella corteccia cerebrale dell’encefalo;
però per fortuna c’è un circuito neuronale molto famoso e molto accessibile dove la presenza di un potenziale
d’azione nell’elemento presinaptico dà origina ad una risposta ben visibile ad occhio nudo: il circuito del
riflesso patellare (che è un esempio di riflesso miotatico).

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La presenza del potenziale d’azione nel neurone sensoriale porta allo stimolo sensoriale associato
all’allungamento del muscolo; quando per esempio il medico percuote con un martelletto il tendine del
quadricipite, il tendine patellare, succede che la percussione di questo tendine media l’estensione della
gamba, media l’attivazione del quadricipite. Questo perché l’allungamento del muscolo è il segnale che il
contatto attraverso un neurone sensoriale primario va direttamente ad attivare un motoneurone che va ad
attivare le fibre muscolari. Quindi abbiamo trovato una sinapsi interneuronica dove abbiamo uno stimolo
molto semplice che dà luogo ad una risposta che non ha neanche bisogno di strumenti di misurazione.

Naturalmente possiamo anche stimolare direttamente la radice posteriore del nervo spinale che contiene gli
assoni dei neuroni sensoriali e attivando in essi un potenziale di azione che arriverà alla giunzione
intersinaptica con il motoneurone. Il ritardo è molto breve. Visibilmente vedo la contrazione del quadricipite,
sperimentalmente posso anche andare a ricercare il singolo motoneurone. I motoneuroni sono grandi e si
prestano al posizionamento di microelettrodi al loro interno. Quindi una volta che stimolo la radice posteriore
del nervo spinale posso registrare la conseguenza della sinapsi eccitatoria nel motoneurone.

Questo circuito fornisce anche un altro vantaggio perché ha anche una componente inibitoria: quando si
attiva un estensore si va sempre ad inibire il flessore antagonista, nel nostro caso il bicipite femorale.
L’allungamento di qualsiasi muscolo determina l’attivazione del muscolo che è stato allungato e l’inibizione
dell’antagonista. Questo mediante l’interposizione di un solo interneurone inibitorio, quindi si cambia il
segno del segnale in questa reazione; la sinapsi eccitatoria attiva l’interneurone inibitorio che va a inibire i
motoneuroni del muscolo antagonista.
Quindi l’attivazione del neurone sensitivo determina la generazione del pdA in un motoneurone sulla base di
EPSP che di regola è piccolo ma, se lo stimolo è grande, può arrivare a generare un pdA.

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EPSP RAPIDO

Adesso vediamo qual è il meccanismo che lega l’arrivo del potenziale d’azione al terminale presinaptico alla
generazione EPSP in una sinapsi interneuronica. Quando io stimolo il neurone sensoriale registro un EPSP nel
motoneurone; inoltre vedo che l’ampiezza dell’EPSP è graduale ed è determinata dall’intensità della
stimolazione del terminale presinaptico. Stimolo la radice posteriore del nervo spinale con intensità variabile:
se lo stimolo è di piccola intensità vado a stimolare pochi neuroni sensoriali, se lo stimolo è più intenso
stimolo un numero maggiore di neuroni sensoriali.

Nel caso in cui lo stimolo è piccolo, vado ad attivare una sinapsi interneuronica tra un neurone sensoriale
primario e un motoneurone. Ottengo un EPSP che ha un’ampiezza piccola, di qualche mV. Se io aumento
l’intensità dello stimolo, vado praticamente a reclutare un maggior numero di sinapsi eccitatorie tra neuroni
sensoriali primari e il nostro motoneurone. Ad esempio, se recluto 3 neuroni sensoriali, avrò tre sinapsi
eccitatorie sul motoneurone e avrò un EPSP che risulta essere la somma dei tre singoli fenomeni eccitatori.
Quindi se aumento lo stimolo aumenta il potenziale postsinaptico eccitatorio, fino a che non si giunge alla
soglia del potenziale di azione e si genera il pdA nel motoneurone.

Questo dimostra ancora che i fenomeni interneuronici sono sempre sotto soglia, a differenza della giunzione
neuromuscolare.

Per raggiungere la soglia del pdA posso fare in due modi: posso attivare ripetutamente una stessa sinapsi
(sommazione temporale) o posso attivare più sinapsi contemporaneamente (sommazione spaziale).
Queste sommazioni avverranno a livello del centro di integrazione, poiché i dendriti e il soma sono
compartimenti di input analogici, dove i fenomeni di natura elettrotonica che si generano sono passivi.

Quindi ogni motoneurone è bombardato da tanti neuroni sensoriali diversi, quindi da tante sinapsi
eccitatorie. Le fibre sensoriali che provengono dal fuso neuromuscolare sono indicate con la dicitura 1A.

ESPERIMENTO DI ECCLES

Fare esperimenti di voltage clamp su questi circuiti era molto difficile. Negli anni ’50, un ricercatore di nome
Eccles, premio Nobel australiano, sviluppò una tecnica per lo studio delle sinapsi interneuroniche. Utilizzò un
metodo che poteva permettergli di manipolare il potenziale di membrana dell’elemento postsinaptico con
l’utilizzo di correnti. Utilizzò un elettrodo a due canali (double-barrel): il primo canale registrava l’EPSP,
attraverso il secondo canale, invece, passavano le correnti che andavano a modificare il potenziale di riposo
della membrana (holding currents). Il passaggio e il mantenimento di correnti attraverso la membrana
spostano il potenziale di membrana ma non lo bloccano. Lo scopo dell’esperimento era determinare il punto
di inversione di EPSP, analogamente all’esperimento del voltage clamp in cui si trovava la corrente ionica.
Conoscendo il punto di inversione di EPSP conosco quindi la corrente che passa attraverso i canali. Infine, la
ricerca contemporanea ha risolto la struttura molecolare dei canali e l’ha correlata alla natura ionica della
corrente con il filtro di selettività molecolare specifico.

Nell’attività a distanza proposta sulla determinazione del punto di inversione dell’EPSP troverete la voce
holding currents range dove potrete inserire le correnti per far variare il potenziale di membrana e trovare la
corrispondente corrente di EPSP.

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Fisiologia I – Lezione n°16
21/11/2019

EPSP e IPSP

Torniamo alla base della trasmissione sinaptica rapida interneuronica e in particolare alla base ionica
delle correnti che determinano una depolarizzazione più piccola di quella osservata nella giunzione
neuromuscolare. Le correnti di EPSP sono di solito correnti cationiche miste, ovvero dove al sodio e al
calcio, ioni con potenziali positivi, si associa anche il potassio, che determina una corrente entrante. La
determinazione della natura ionica della corrente si effettua mediante la determinazione della relazione
corrente-voltaggio, come per la giunzione neuromuscolare, e in particolare del punto di inversione. Se il
punto di inversione cambia quando la concentrazione extracellulare degli ioni sodio e potassio viene
variata (e con questa il loro potenziale d’equilibrio), si può dire che questi ioni fanno parte della corrente.
Se modificando il loro potenziale d’equilibrio non ho alcun effetto, allora non sono componenti della
corrente. La stessa cosa la posso fare col potassio.


















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Fisiologia I - Lezione n° 17
22/11/2019

Data: 22//11/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Tesi
File audio di riferimento:
Controllore: V. Procopio
Coppia: Maccioni Giacomo - Pieraccini

Abbiamo visto nella lezione precedente EPSP rapidi, che si realizzano nelle sinapsi interneuroniche dei
neuroni centrali, ma anche gli esperimenti pioneristici di Eccles. Inoltre abbiamo visto che i PSP interneuronici
hanno un’ampiezza molto piccola (circa 0,5 mV) e sono sempre sottosoglia. I principali Neurostrasmettitori
utilizzati sono amminoacidi eccitatori, mediano il passaggio negli EPSP nelle sinapsi centrali. I recettori ai
neurotrasmettitori, quelli di natura ionotropica, abbiamo visto che sono suddivisibili in varie famiglie.

Ora stiamo descrivendo i recettori agli amminoacidi eccitatori, ovvero AMPA-Kainato e NMDA. Sono recettori
a struttura tetramerica fortemente asimmetrica, ogni subunità è costituita da 4 segmenti transmembrana di
cui uno è molto piccolo, però ha un’importanza cruciale nello stabilire il tipo di filtro di selettività ionica
presente nel canale. È un canale che media il passaggio di correnti cationiche miste, principalmente portate
dallo ione Na+ e dallo ione K+, ma talvolta anche date dallo ione Ca2+ (stavolta non trascurabile). Avevamo
visto che anche nel recettore nicotinico all’acetilcolina, attraverso il canale che si apre con l’interazione con
il neurotrasmettitore, oltre al Sodio e al Potassio era presente anche una componente di Calcio che però,
avevamo detto, quando abbiamo trattato le giunzioni neuromuscolari, si poteva trascurare per gli scopi di
questo corso. In questo caso invece non si potrà trascurare. Infatti la componente del Calcio associata ai
recettori canali agli amminoacidi eccitatori invece è molto importante e addirittura andrà a mediare dei
fenomeni di apprendimento neuronale e di plasticità neuronale.

TIPI MOLECOLARI DEI RECETTORI GLUTAMMATERGICI


Abbiamo recettori metabotropici,
che medieranno reazioni lente
associate agli stessi
neurotrasmettitori (glutammato e
aspartato) e recettori Ionotropici, i
quali sono più rapidi, mediano
risposte rapide e sono solo
eccitatori. Questo tipo di recettore,
che è un recettore canale, medierà
delle correnti che sono
esclusivamente ligando dipendenti
e quindi, in presenza di ligando, la
conduttanza di canale sarà costante
in funzione del potenziale di
membrana (del voltaggio di
membrana). Quindi ci aspettiamo
di trovare delle relazioni corrente-
voltaggio puramente ioniche.

Vediamo però che nel sottotipo dei


recettori ionotropici al glutammato incontriamo due tipi di recettori con caratteristiche molto diverse. Il
primo tipo è il recettore ionotropico per eccellenza, ovvero un recettore canale che si apre quando il
neurotrasmettitore al glutammato interagisce coi siti specifici (2 siti specifici). La corrente che media questo
canale è una corrente cationica mista Sodio-Potassio, dello stesso identico tipo di quella che avevamo visto

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Fisiologia I - Lezione n° 17
22/11/2019

succedere per il canale nicotinico all’acetilcolina. Questo primo sottotipo viene detto AMPA e Kainato. Sono
due sottotipi diversi raggruppati insieme perché sono entrambi recettori canale classici ligando dipendenti.

C’è un’altra tipologia di recettori ionotropici che viene detta NMDA, in quanto l’agonista è l’ N-metil-D-
Aspartato. Quindi c’è una nomenclatura che prevede di chiamare questi canali NMDA, mentre il recettore
AMPA e Kainato (ma anche tutti gli atri che non usano NMDA) molto spesso prendono il nome di recettori
non NMDA (proprio per marcare il tipo di differenza tra le due tipologie).

Nei recettori dei canali si ha liberazione del neurotrasmettitore sul recettore NMDA (la corrente che si realizza
è una corrente cationica mista dove trovo il Ca2+ come componente fondamentale. Come abbiamo visto
nella lezione precedente la corrente di Na+ è verso l’interno, lo stesso per la corrente di Ca2+, mentre la
direzione della corrente di K+ è verso l’esterno).

Sono tetrameri fortemente asimmetrici, e


le tre famiglie presentano delle subunità
che sono specifiche. Subunità che nella
tipologia AMPA saranno di tipo Glu-R 1-4
(Con indici 1-4, ovvero diverse isoforme
della proteina che si hanno per
espressione di 4 diversi geni dallo stesso
nome). Per quanto riguarda invece le
subunità della tipologia NMDA sono
invece NR1, NR2A-D, NR3A-B. Nei
recettori del Kainato (nome che deriva
dall’acido Kainico che è l’agonista
specifico di questi recettori) abbiamo
subunità GluR 5-7 oppure KA 1-2. Le
caratteristiche del recettore Kainato sono assimilabili a quelle del recettore AMPA, vedremo infatti che le
proprietà dell’uno si possono estendere anche a quelle dell’altro. La differenza invece emerge quando si
confrontano le caratteristiche dei recettori non NMDA con quelle dei recettori NMDA.

I RECETTORI-CANALE GLU (RECETTORI IONOTROPICI)


Come è fatto il recettore Canale? È
fortemente asimmetrico, l’estremo
C è piccolo ed intracellulare, mentre
l’estremo N invece è molto grande
(rappresenta una grande testa) ed è
originato dalle quattro subunità.

Abbiamo quindi una struttura base


formata da 4 subunità, ovvero 4
segmenti transmembrana di cui uno
però è molto piccolo (numero 2
nell’immagine) ma ha un ruolo
chiave nello stabilire il filtro di
selettività del canale soprattutto nel
determinare se è permessa o meno
il passaggio (permeabilità) dello ione
Ca2+. Stabilisce se il Ca2+ può
passare e quindi essere una

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Fisiologia I - Lezione n° 17
22/11/2019

componente della corrente


oppure non può passare e
quindi non essere una
componente della corrente.
Nell’immagine fatta in cartoon
vediamo la ricostruzione delle
4 subunità unite tra loro a
formare la pompa e il poro e
anche la configurazione aperta
o chiusa determinata
dall’interazione con il Ca2+.

Quali sono le differenze


fondamentali tra i recettori
non NMDA e quelli NMDA? Le
differenze sono
sostanzialmente funzionali a
cui corrispondono delle
differenze strutturali che però
sono molto piccole perché
vedremo che riguarderanno la
modificazione di pochissimi
amminoacidi nella sequenza amminoacidica della proteina. Quindi i canali sono fondamentalmente uguali,
ma mediano correnti molto diverse.

RECETTORI NON NMDA (AMPA-KAINATO)


Il recettore canale non NMDA (AMPA-Kainato) è un recettore del tutto classico, quando il neurotrasmettitore
si lega (sui siti di interazione) allora si ha corrente Sodio-Potassio. Meccanismo del tutto analogo al recettore
canale Nicotinico all’acetilcolina.

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Fisiologia I - Lezione n° 17
22/11/2019

RECETTORI NMDA
Invece il recettore NMDA è un recettore che per la prima volta mostra la possibilità di combinare la ligando-
dipendenza con la voltaggio-dipendenza. È un canale fondamentalmente ligando-dipendente, quindi si apre
quando si ha il legame del neurotrasmettitore con i siti recettoriali. Tuttavia non gli basta la presenza del
neurotrasmettitore, perché se il legame del neurotrasmettitore avviene a potenziale di membrana di riposo
il canale si trova in uno stato chiuso dovuto ad un segnale biochimico, alla presenza cioè di ioni Mg2+ che
bloccano l’interno del canale. Quindi la presenza di questi ioni Mg2+ impedisce il passaggio di corrente
all’interno. Lo ione Mg2+ viene però rimosso dall’interno del canale quando la membrana è depolarizzata.
Quindi se il Neurotrasmettitore arriva a potenziale di riposo non c’è nessun passaggio di corrente. Se invece
arriva nel momento in cui la membrana è stata precedentemente depolarizzata dall’arrivo di un altro stimolo
eccitatorio, trovando il canale non occupato dal Mg2+, quando il neurotrasmettitore si lega, il canale si apre
e si può realizzare la corrente. Questa corrente è cationica mista in cui però il Ca2+ è una componente molto
importante e non trascurabile. Quindi il recettore NMDA in realtà rappresenta un canale che è sia ligando
che voltaggio dipendente. Una voltaggio dipendenza completamente diversa da quella del canale al Sodio, al
Potassio o al Calcio vista nella lezione precedente. In quel caso infatti la voltaggio dipendenza era ottenuta
da una porzione della sequenza amminoacidica delle subunità; il sensore di voltaggio era infatti localizzato
nel segmento transmembrana S4. Mentre, ripetiamo, nel recettore NMDA la voltaggio dipendenza è data da
un segnale chimico, ovvero dal Magnesio, il quale deve essere cacciato (facendo tappo all’interno del canale).

Quindi il recettore canale NMDA, ligando e voltaggio dipendente, funziona in un modo che viene definito di
“Rilevatore di coincidenze”. Ovvero è un canale che si apre solo se si verificano due condizioni
contemporaneamente: presenza di neurotrasmettitore e se c’è stato precedentemente l’arrivo di un altro
segnale eccitatorio che ha depolarizzato la membrana. Siamo quindi in un caso in sui si tengono di conto

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Fisiologia I - Lezione n° 17
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contemporaneamente di due informazioni: un’informazione presinaptica che è l’attivazione presinaptica,


l’arrivo del potenziale di azione al terminale e l’altro è un elemento post-sinaptico che è avvenuto in un tempo
appena precedente. Quindi attivazioni presinaptiche e postsinaptiche (ricordandoci del ruolo del Magnesio).

[Questo processo media tutte le forme base dei processi di memoria e apprendimento. Apprendiamo
mettendo in correlazione eventi diversi che accadono nello stesso momento. Per esempio impariamo che un
determinato cibo è buono perché associamo l’odore alla forma di questo determinato cibo. Se noi associamo
l’odore della fragola al colore rosso, questo ci dice che, sulla base dell’apprendimento e dell’educazione, che
quella cosa è buona da mangiare. Un altro oggetto di colore rosso ma di odore disgustoso invece sarà
interpretato come non buono da mangiare e così infiniti eventi di coincidenza verranno utilizzati dai processi
di apprendimento, sia livello cognitivo che a livello neuronale. Ogni Neurone impara perché riceve due
informazioni che vengono associate, costituendo i principi dell’apprendimento.]

Quindi è un canale ligando e voltaggio dipendente che


presenta dei cofattori come la presenza di glicina
extracellulare. È una corrente più complessa di quella
mediata dal recettore AMPA perché contiene anche il
Calcio, che come sappiamo è un secondo messaggero
ed innesca una serie di cascate di segnalazione. Quindi
ci si può immaginare che una certa coincidenza rilevata
che va ad attivare quel recettore canale dell’NMDA
producendo aumento del Calcio intracellulare che va
ad innescare una cascata di segnalazione che potrebbe
portare addirittura alla modificazione dell’espressione
genica e quindi all’incorporazione di diverse proteine
di membrana, all’aumento o diminuzione del numero
di recettori, quindi determinare degli effetti a lungo
termine che possono modificare la funzione:
risponderò meno ad un determinato stimolo proprio
sulla base del processo di apprendimento, oppure
risponderò di più a seconda del caso che trovo opportuno realizzare.

Con plasticità si intende una modificazione funzionale che comporta anche una modificazione strutturale. La
modificazione strutturale può essere macroscopica, ad esempio la plasticità muscolare: tutti sappiamo che
andando in palestra o eseguendo esercizi isometrici elevata intensità possiamo aumentare la nostra massa
muscolare anche molto rapidamente (principio base della plasticità muscolare e dell’allenamento). L’uso del
muscolo in qualche modo ha modificato la funzione, infatti il muscolo svilupperà più forza ma ha anche
modificato la sua struttura. Quindi una determinata modificazione porta una modificazione nell’aspetto di
quella cellula, non solo di quanto è grossa ma anche di quanta forza ha e di quanti e quali recettori e canali
ha posizionati in membrana, il numero dei mitocondri, della quantità delle vie metaboliche attivate, quantità
di enzimi presenti. Queste sono tutte modificazioni dei mattoni costitutivi di una cellula (in senso qualitativo
e quantitativo) indotte da un utilizzo e da un’informazione arrivata precedentemente che appunto ha
modificato la funzione. Quindi abbiamo plasticità a questo livello neuronale.

I recettori canali NDMA sono dei canali quindi che mediano una corrente qualitativamente diversa (che
contiene il Calcio) e che ha anche una cinetica diversa. Il canale del recettore AMPA-Kainato si apre e si chiude
molto rapidamente. Quando arriva il neurotrasmettitore si apre e si chiude quando il neurotrasmettitore
viene rimosso. Invece il recettore canale NMDA si apre e si chiude con cinetiche più lente, quindi media una
corrente diversa per cinetica. Il recettore NMDA ha moltissimi siti di interazione con moltissime molecole
diverse che funzionano come cofattori, inibitori, agonisti. Presenta le 4 porzioni transmembrana, il Magnesio
è posizionato a chiudere il canale (quindi vuol dire che siamo in una condizione di potenziale di riposo perché
quando la membrana si depolarizza il Magnesio esce e si realizza una corrente mista Calcio-Sodio verso
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Fisiologia I - Lezione n° 17
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l’interno e Potassio verso l’esterno).


Quindi c’è un sito specifico all’interno
del canale che riconosce il Magnesio,
questo sito modifica le proprie
proprietà quando la membrana si
depolarizza e questo caccia il Magnesio
dalla sua nicchia interna al canale.
Inoltre possiamo vedere nell’immagine
i siti di legame per il Glutammato e per
gli antagonisti. I più famosi antagonisti
sono l’acido fosfovalerico (APV), la CPP
(clorofenilpiperazine), PCP
(fenciclidina, un famoso allucinogeno)
e la MK 801. Molte droghe chimiche
hanno per target proprio il recettore
NMDA.

CORRENTE NELLA SINAPSI GLUTAMMATERGICA


In ogni sinapsi glutammatergica sono presenti contemporaneamente tutte le possibili forme del recettore
glutammatergico, ovvero sia forme non NMDA (AMPA-Kainato) che NMDA. Addirittura sono presenti anche
recettori metabotropici al glutammato. Il tutto è organizzato in clusters altamente organizzati, tenuti insieme
da una macchina proteica di cui parleremo più tardi.

Quindi ogni volta che il


Glutammato agisce sui propri
recettori di membrana, agisce
contemporaneamente su tutte
le tipologie presenti. Quindi
agirà sia sui recettori non
NMDA (AMPA-Kainato) che su
quelli NMDA. Si avrà quindi una
corrente che è la somma delle
componenti delle varie
correnti che passano
attraverso il recettore canale
non NMDA e attraverso i
recettori canale NMDA. Quindi
la risultante delle azioni degli
amminoacidi su tutte le classi
dei recettori ionotropici
presenti, quindi una corrente
mista alla base degli EPSP, questa corrente mista avrà una componente puramente ionica lineare (quella che
mi aspetto attraverso un recettore canale non NMDA puramente ligando dipendente) e a questa
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componente ionica semplice si aggiunge una componente che è presente solo quando la membrana è
depolarizzata, quindi una corrente attraverso un canale che è sia ligando che voltaggio dipendente.

Quindi come si fa a studiare questa corrente? Innanzi tutto bisogna separare le due componenti e separare
quindi la componente AMPA dalla NMDA bloccando selettivamente l’una o l’altra classe di recettori. Gli
antagonisti del recettore AMPA sono molti, ma quello mostrato nell’immagine è il CNQX.

Per il recettore NMDA l’ N-Metil-Diaspartato lavora da agonista. Come antagonista nell’immagine è mostrato
l’APV (Acido 5-fosfovalerico) ma ci sono anche altri antagonisti molto famosi (abbiamo visto
precedentemente l’allucinogeno PCP, MK801 (ovvero la Ketamina, che è un analgesico usato in veterinaria
ma anche una droga chimica). Quindi ogni EPSP rapido è associato ad una corrente di EPSP che è altrettanto
rapida che avrà due componenti diverse, le quali avranno un peso diverso a seconda del potenziale di
membrana da cui parto. Ovvero dello stato di eccitabilità in cui il neurotrasmettitore trova l’ elemento post-
sinaptico: se lo trova in uno stato di eccitabilità base (potenziale di riposo) il canale NMDA non contribuirà
con alcuna corrente, se invece precedentemente c’è stato un altro stimolo che ha cambiato l’eccitabilità,
depolarizzando la membrana, questa corrente dell’ EPSP sarà data sia dalla componente AMPA che dalla
componente non NMDA. Quindi in questo ultimo caso possiamo immaginare come se ci fosse una
sovrapposizione di due correnti voltaggio, derivate dalle due classi di canali.

Quindi ora andiamo a vedere cosa succede cercando di separare le due correnti. Questi sono esperimenti di
Patch Clamp piuttosto recenti (di circa 20/30 anni fa) ottenuti da fettine di Ippocampo, quindi preparati di
corteccia cerebrale (di regioni che hanno una circuiteria semplificata) che si possono mantenere in vitro per
tempi compatibili con l’esecuzione di registrazioni elettrofisiologiche. In questi esperimenti si utilizzavano
queste registrazioni in Patch Klamp, quindi di correnti ottenute per azione degli amminoacidi eccitatori,
ovvero del nostro neurotrasmettitore. Quindi non si stimola la sinapsi, ma si mette direttamente il
neurotrasmettitore (è un sistema estremamente semplificato). Quindi si va a vedere la corrente che si ottiene
partendo da un potenziale di membrana che in questo caso è addirittura più basso del potenziale di riposo (-
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80 mV contro i -70mV del potenziale di membrana di riposo standard dei neuroni) e poi la membrana viene
depolarizzata fino a valori superiori allo 0. Si utilizza innanzi tutto un bloccante della componente NMDA
(quindi per esempio APV) e vedo che se parto da un potenziale di riposo a valori più negativi, l’aggiunta del
bloccante non determina nessuna modificazione della corrente. Quindi significa che la corrente di NMDA non
è presente a potenziale di membrana di riposo. Se invece io depolarizzo di più la membrana (esperimento di
Patch Clamp), vedo che con il blocco NMDA perdo una componente via via sempre più grande nella corrente
totale dell’ EPSP. (qui sono oltre il punto di inversione perché vedete, è -40mV + 20 mV, la corrente si è
invertita. La risposta mediata dall’NMDA non solo emerge per valori di potenziale di membrana depolarizzati,
ma è una risposta diversa, cioè è una corrente che è più lenta nell’insorgenza ma che è di lunga durata. Quindi
è una componente che diventa anche di grande entità e che dura anche molto nel tempo; il canale infatti si
apre lentamente ma poi si chiude anche molto lentamente.

Se invece blocchiamo il recettore AMPA attraverso CNQX quello che osserviamo è che se siamo a potenziale
di membrana di riposo (quindi valori negativi) la corrente dell’EPSP scompare completamente (se blocco la
corrente AMPA non c’è più niente). Questa è una conferma del fatto che a potenziale di riposo tutta la
corrente dell’ EPSP è dovuta all’apertura dei canali recettoriali. Quindi significa che a valori depolarizzati della
membrana la componente che ho attraverso il canale NMDA è quella prevalente.

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Questo è un esperimento che mi consente di visualizzare il punto di inversione ma anche di determinare le


due relazioni corrente-voltaggio per le due diverse correnti. Questa che vediamo è una correlazione lineare
e rappresenta la corrente precoce, quella che si ha a potenziale di membrana di riposo e che insorge più
precocemente, ovvero con una cinetica molto molto rapida ed è quindi attraverso i canali AMPA. Infatti è
quella che io vedo anche dopo blocco con NMDA (quella che rimane). La relazione di questa corrente dopo
blocco NMDA, quindi questa, questa, questa sotto prende picchi in questi valori, li metto in grafico ed ottengo
questa relazione con un punto di inversione che è in questo caso è coincidente con lo 0. La corrente
diminuisce sempre di più perché Vm si avvicina sempre di più al potenziale di equilibrio del fenomeno dell’
EPSP e poi si inverte di segno, il potenziale di membrana si sposta su valori più positivi del punto di equilibrio
del fenomeno, ovvero del valore a cui tende la membrana sotto azione del neurotrasmettitore (questa volta
amminoacidi eccitatori con azione su recettori ionotropici).

Vediamo invece la relazione corrente-voltaggio per la corrente NMDA ottenuta appunto col bloccante, quindi
vado a misurare praticamente la corrente che perdo, la corrente residua. È un canale che è chiuso se il
potenziale di membrana è più negativo di circa -60 mV e una volta che il canale si apre questo canale è
attraversato da una corrente che inverte allo stesso valore. Quello che è riportato su questo grafico è anche
una componente aspecifica della corrente, questa relazione lineare qui è una corrente che rimane anche
dopo che io ho bloccato tutti i recettori agli amminoacidi eccitatori sia NMDA che non NMDA e quindi è una
corrente che origina da dei canali che non vengono mai bloccati dai bloccanti che io sto utilizzando per
l’esperimento. Vedete che se io sottraggo alla corrente NMDA questa componente residua effettivamente la
corrente NMDA mi va a zero, per valori sotto ai -70 mV. Quindi se le sottraggo ottengo una relazione che è
veramente molto simile come aspetto alla relazione corrente-voltaggio del canale voltaggio dipendente al
Sodio (anche lui infatti aveva una soglia di apertura intorno a questo valore, solo che il suo punto di inversione
era il potenziale di equilibrio del Sodio che si trova invece su valori positivi, qui invece è zero).

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La corrente NMDA è importante ma solo se la membrana è stata precedentemente depolarizzata. Questa


corrente si dice che rettifica fortemente (è un termine un po’ vecchio ma che si usa ancora e che ritroveremo
parlando delle correnti del potenziale di azione cardiaco). Ovvero è una corrente che è molto facilitata
quando avviene, come in questo caso, verso l’esterno (vi ricordate no? Verso il basso = verso l’interno, verso
l’alto = verso l’esterno, nel dominio appunto del grafico) è una corrente che se è verso l’interno si estingue
subito, tende a diventare zero perché appunto è voltaggio dipendente. Quindi per questo si dice che rettifica
fortemente. La conduttanza di canale, la pendenza, diminuisce fino a diventare zero nella porzione in cui la
corrente dovrebbe essere uscente. Quindi il recettore canale NMDA funziona quindi come un coincidence
detector e quindi ha bisogno che gli arrivino contemporaneamente due informazioni, una all’elemento
postsinaptico a cui si sovrappone una nuova informazione che arriva appunto dal terminale presinaptico, il
quale arriva trovando l’elemento postsinaptico già depolarizzato. Quindi modificazione sinaptica attività
dipendente, in cui la dipendenza dall’attività è la base del fenomeno dell’apprendimento e della memoria.

Esperimento di Patch Clamp su un singolo canale


Questo è un esperimento di Patch Clamp (è una tipologia di esperimento, non una persona) su un singolo
canale, in cui c’ un singolo canale recettore NMDA in presenza di Magnesio.

Vedo che in una corrente


del singolo canale non è
presente se la membrana è
intorno al valore di riposo,
ma che compare solo
quando il potenziale di
membrana assume valori
superiori allo zero, quindi
nel caso di una membrana
fortemente depolarizzata.

Cosa succede se tolgo il


Magnesio dall’ambiente
extracellulare del canale?
Vedo che il recettore canale
NMDA si trasforma in un
canale ligando dipendente
classico, ovvero in presenza
di neurotrasmettitore la
corrente di canale esiste ed avrà un certo andamento, ovvero con prevalenza verso l’interno, diminuisce di
ampiezza e si avvicina al punto di inversione e poi diventa verso l’esterno via via che cresce, quindi si
riacquista la proprietà della ligando dipendenza e quindi la conduttanza costante anche per potenziali di
membrana al di sotto del valore della cacciata del Magnesio, semplicemente perché il Magnesio non c’è.

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Questa è un’altra immagine molto chiara che mette appunto insieme le due componenti della corrente,
NMDA e non NMDA, a due valori di potenziale di membrana esemplificativi.

Un valore di potenziale di membrana intorno al valore di riposo (intorno ai -70 mV) e un valore di potenziale
di membrana depolarizzata più vicino allo zero (intorno ai – 10mV). La situazione è questa: è una sinapsi
glutammatergica classica in cui trovo contemporaneamente tutti i tipi di recettori al glutammato disponibili,
ovvero AMPA-Kainato, NMDA e recettori metabotropici. Quindi se sono al potenziale di membrana di riposo
il Magnesio mi blocca il recettore NMDA e quindi la corrente NMDA è pari a zero (o comunque molto piccola),
invece la corrente AMPA non NDMA è una componente fondamentale dell’intera corrente dell’ EPSP (che
media la depolarizzazione di membrana). Se mi sposto verso lo zero diminuisce la componente della corrente
AMPA non NMDA perché chiaramente mi avvicino con il potenziale di membrana al valore del potenziale di
inversione del fenomeno dell’ EPSP ma contemporaneamente ho acquistato la componente NMDA della
corrente perché il Magnesio è stato cacciato e quindi ho una componente significativa attraverso questo
canale, la quale si aggiunge all’altra. Quindi ho un recupero della corrente, una corrente che insorge più
lentamente ma anche più lentamente si estingue. Questa corrente inoltre è qualitativamente diversa perché
ha una componente significativa di ione Ca2+ che attraverso il canale entra nel citoplasma e l’aumento del
Calcio intracellulare (mediato anche da recettori metabotropici) è un trigger per un nuovo ed ulteriore
passaggio di segnalazione che possono venire appunto dalla plasticità sinaptica.

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CLUSTER
Questa è l’immagine del Cluster di recettori nelle sinapsi glutammatergiche, con le proteine che si
organizzano in strutture che hanno un aspetto a forma di reticolo cristallino.

Questi Cluster comprendono sia recettori ionotropici (NMDA, non NMDA) ma anche recettori metabotropici.
Rappresentano una delle tante specializzazioni che ritroviamo nelle membrane postsinaptiche delle sinapsi
chimiche. Le proteine sono molte, vediamo infatti recettori non NMDA, recettori AMPA etc…

Tuttavia una componente fondamentale di questo complesso, che tiene tutto in posizione è il PSD-95, questo
complesso prende il nome da questa proteina. È un complesso macromolare PSD-95. Quello in azzurro (vedi
immagine a pagina successiva) è il PSD-95 che collega le varie strutture. Non solo i recettori metabotropici e
ionotropici (non NMDA e AMPA) ma collega e compatta in modo molto organizzato anche i canali di perdita
al Potassio che sono responsabili del potenziale di riposo. Come vedete in questa regione della membrana
sinaptica non ci sono canali Sodio-Potassio voltaggio dipendenti del potenziale di azione, perché nella regione
sinaptica, in tutte le sinapsi, la densità di questi canali è molto bassa e nei neuroni, nel compartimento di
input che comprende tutti i dendriti ed il soma, si verifica questa situazione: tanti recettori ai
neurotrasmettitori (sia recettori metabotropici che ionotropici), tanti canali al Potassio che mediano l’elevata
permeabilità al Potassio a riposo, quindi canali di perdita ma bassissima concentrazione dei canali del
potenziale di azione. A tutte queste proteine del complesso molecolare, a PSD-95 si associa anche una serie
di proteine di adesione che mantengono l’integrità della sinapsi e sono in collegamento anche con proteine
del terminale presinaptico. Per esempio la proteina Neuroligin, che interagisce con le proteine della
membrana presinaptica al fine di mantenere in posizione la sinapsi stessa. Vi potete immaginare quindi che
mutazioni di una qualsiasi di queste proteine determini una modificazione strutturale importante che può
portare anche ad un’alterazione funzionale. Molte patologie mediche derivano infatti da alterazioni di questi
complessi proteici (basta anche la mancanza o l’inserimento di amminoacidi diversi da quelli che ci
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dovrebbero essere per determinare dei problemi più o meno gravi). Quindi queste proteine determinano un
complesso, in particolar modo PSD-95, che regola la morfologia e la funzione delle sinapsi.

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RECETTORI CANALE

Veniamo ad analizzare le componenti della corrente ed in particolare la componente di Ca2+, che è presente
nella corrente che passa attraverso il canale recettore NMDA e che non passa attraverso quello AMPA.
Questa entrata di Ca2+ avviene effettivamente attraverso questi recettori: questo è un dendrite e questa è
una spina dendritica (le sinapsi eccitatorie avvengono prevalentemente nel compartimento delle spine
dendritiche). In questo caso abbiamo una sinapsi che si attiva in seguito alla somministrazione del
neurotrasmettitore.

Questi neuroni sono stati caricati con indicatori di Ca2+ , che diffondono liberamente dal bagno di perfusione
dentro i neuroni e poi si opera un lavaggio. Quindi in questi neuroni, quando si attiva la sinapsi, visto che
vediamo un aumento del segnale di fluorescenza (?) (secondo il codice di colori utilizzati), che coincide
all’aumento di concentrazione di Ca2+ significa che quando abbiamo stimolato la sinapsi il calcio in qualche
modo ha trovato una via di ingresso attraverso la membrana. Questa via d’ingresso è dovuta a un canale Ca2+
voltaggio dipendente, magari si è depolarizzata la membrana (EPSP) e questa è riuscita a far attivare i canali
Ca2+ , oppure questo calcio è entrato direttamente attraverso un recettore ionotropico (canale ligando
dipendente). Si vede che il caso è il secondo, perché se si blocca l’NMDA con i molteplici bloccanti che si
hanno a disposizione si vede che non si ha nessuna modificazione del segnale di Ca2+. Quindi il calcio entra
attraverso il recettore canale NMDA, lavando si vede pienamente la funzione.

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SELETTIVITÀ IONICA
Che cosa determina la selettività ionica dei recettori AMPA o NMDA? Perché il calcio passa solo nel canale
NMDA nonostante la struttura sia molto simile?
Andiamo a vedere innanzitutto la composizione delle subunità che compongono il canale e si vede che la
differenza emerge, anche solo analizzando i diversi tipi di recettori AMPA, per le diverse subunità che
possono essere presenti all’interno del recettore.

I recettori AMPA hanno subunità GLUR da 1 a 4, mentre NMDA ha NR da 1 a 3. Andando a vedere la


composizione, c’è la possibilità di ottenere i recettori canale anche combinando isoforme diverse, però in
quei canali in cui è presente la subunità GLUR2 come isoforma il calcio è escluso dal passaggio attraverso il
canale e la corrente è data solo da quella mista Na+/K+. Se non c’è GLUR2 e ho tutte le altre subunità,
comunque siano combinate all’interno del canale, lasciano sempre passare il calcio.

Ovvero si ha una corrente cationica mista che, nei recettori AMPA privi di GLUR2, comprende Na+/K+/Ca2+e
questa corrente è esattamente la stessa che si trova, anche se le cinetiche di apertura e chiusura saranno
diverse, qualitativamente attraverso i recettori NMDA. Quindi vuol dire che nella subunità GLUR2 c’è
qualcosa che blocca la permeabilità al calcio attraverso il canale.

A questo punto la sequenza amminoacidica del canale è dove si localizzano le differenze: la cosa
significativamente diversa è un amminoacido, presente nel segmento TM2 (chiamato transmembrana 2)
nonché sito che viene detto Q/R, che quando è presente sotto forma di glutammina dà origine ad una
subunità immessa nel canale che non impedisce il passaggio di Ca2+ .
Quando però la glutammina (Q) è sostituita da arginina (R), quest’ultima è polare, con forte carica positiva.
A questo punto, il calcio è escluso dalla permeabilità attraverso il canale perché evidentemente in questa
posizione è presente una carica positiva e poiché anche il calcio è fortemente positivo il suo passaggio
attraverso il filtro non è più consentito.

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Nella subunità GLUR2


avviene un fenomeno
che è quello di
sostituire Q con R
mediante un processo
di RNA editing, ovvero
tutti i geni di tutte le
subunità dei recettori
AMPA presentano
glutammina in questa
posizione ma in quelle
GLUR2 dopo
l’espressione del gene
a livello dell’RNA
questa viene sostituita
da arginina.

Molto interessante è andare a vedere che cosa c’è nelle subunità dei canali NMDA, poiché lasciano sempre
passare il calcio. Si osserva che nella stessa posizione che prima era occupata da glutammina nelle subunità
GLUR, in questo caso nelle NR, si ha sempre asparagina che ha le stesse caratteristiche della glutammina e
infatti è un amminoacido polare e non costituisce un blocco per il passaggio di Ca 2+attraverso il canale.
[Quindi la sostituzione con RNA editing da G a R si avrà solo con GLUR2, prevedendo esclusione del calcio]

Qui vediamo le subunità GLUR


1-3-4 con glutammina ed il
calcio che passa e la subunità
invece di tipo 2 con sostituzione
di Q con arginina ed il passaggio
dello ione non si ha più. La
corrente sarà sempre mista
Na+/K+in entrambi i casi ma
Ca2+si aggiungerà solo se non è
avvenuto RNA editing (e la
stessa situazione si ha nei canali
NMDA, dove con l’asparagina
presente il calcio sarà sempre
una componente di corrente).

Ci sono stati molti modi con cui tutto questo è stato osservato e provato, addirittura dei modelli animali come
topi mutati per il gene GLUR2 con mutazione che rende il gene non più soggetto a editing e quindi nella
subunità GLUR2 rimane la glutammina. In questi animali quindi tutti i canali recettori non NMDA avranno
sempre una componente di calcio nella corrente EPSP. A questa condizione si è visto associarsi gravi problemi
neurologici, ovvero si ha un aumento eccessivo e incontrollato di [Ca2+] nei neuroni fino ad overload che porta
a cascate di segnalazione che inducono morte cellulare (segnali pro apoptotici) o profonde modificazioni
strutturali. Ciò è anche alla base dello sviluppo di epilessie in questi modelli animali, infatti tutto questo
fenomeno è molto studiato perché ci sono molte mutazioni che si associano a queste problematiche ed il
controllo dell’epilessia è drammatico (sia dal punto di vista clinico che per la gestione da parte dei soggetti e
familiari).

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Qui vediamo tecniche di


biologia molecolare che hanno
portato all’espressione di
canali dove è presente la
glutammina o l’arginina. Si
osserva che con Q, la corrente
EPSP è mista con ingresso di
Na+e Ca2+ mentre con la
proteina dell’RNA editato con
R, la corrente è tutta portata
dal sodio entrante e scompare
la componente del calcio.

CORRENTI IPSP
TRASMISSIONE SINAPTICA IPSP RAPIDA
Si inizia, come con EPSP, con la dimostrazione della natura elettrotonica anche dell’IPSP nonché sommabile,
in seguito all’arrivo di più stimoli inibitori sullo stesso compartimento di input. Il primo passo è dimostrare
che gli IPSP hanno le stesse proprietà degli EPSP e quindi anche loro avranno un punto di inversione per la
corrente e per l’effetto sul potenziale di membrana, che darà indicazioni sulla natura ionica della corrente.
Storicamente il modello utilizzato è lo stesso dell’esperimento di Eccles, ovvero i circuiti neuronali che dal
fuso neuromuscolare raggiungono il midollo spinale e l’input sensoriale eccitatorio va ad attivare il
motoneurone ed il muscolo omonimo (quello col fuso neuromuscolare che è stato stimolato), nonché tutti
gli altri muscoli che hanno la stessa azione sull’articolazione e sono agonisti, in questo caso estensori.

Contemporaneamente, lo stesso segnale viene cambiato di segno e diventa inibitorio mediante


interposizione di un interneurone inibitorio ed andrà ad inibire l’eccitabilità dei motoneuroni che controllano
i muscoli antagonisti, che si trovano dall’altro lato dell’articolazione ed in questo caso sono i flessori. Il cambio
di segno ha bisogno dell’interposizione di un interneurone che utilizzi un neurotrasmettitore diverso e che è
eccitato dall’input eccitatorio (con potenziale d’azione che però determina effetto post sinaptico inibitorio).
L’input eccitatorio che arriva col neurone sensoriale, e che aveva determinato EPSP nell’estensore, fa un altro
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circuito in parallelo con IPSP e allontanamento dalla soglia del potenziale di azione (iperpolarizzazione) nel
motoneurone flessorio. Quindi i microelettrodi sono sempre posizionati all’interno della membrana e si ha
medesima stimolazione sensoriale. Nel circuito eccitatorio, se si aumenta la stimolazione sulle radici dorsali
dei nervi spinali con input eccitatori ricevuti sul motoneurone, da parte di tutti i segnali convergenti, si ha un
numero sempre maggiore di fibre eccitate che porteranno a EPSP sugli estensori che si sommano (più EPSP
si hanno più aumenta la risposta complessiva). Stessa conclusione si può avere per gli IPSP, che sono sempre
potenziali graduati dall’intensità della stimolazione presinaptica. Registriamo gli IPSP dal motoneurone del
flessore e aumentiamo la stimolazione dell’input sensoriale con un gran numero di interneuroni inibitori che
sono attivi e generano IPSP sul motoneurone.

Qui vediamo da A a F le registrazioni con intensità crescente dello stimolo delle radici dorsali ed in coincidenza
di questo aumento se ne ha uno nell’ampiezza dell’IPSP, che risulta essere graduabile elettrotonico e
sommatorio. Con l’esperimento con l’elettrodo a doppio canale si può vedere il punto di inversione di questo
fenomeno. Abbiamo il potenziale di membrana in ascissa e sull’ordinata l’ampiezza in mV dell’IPSP con segno
che indica iper o depolarizzazione.

Partendo dal potenziale


di membrana a riposo,
con l’elettrodo a doppio
canale uno dei 2 canali
fa passare la corrente
attraverso la membrana
e sposta il potenziale di
membrana e
contemporaneamente
si registra anche
l’effetto della
stimolazione degli
interneuroni. Si fa
avvenire un IPSP su
dendriti del
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motoneurone a valori diversi del potenziale di membrana di partenza. Se parto da potenziali di membrana
sempre più negativi si arriva al punto zero, non si ha più nessuna modificazione del potenziale sotto l’azione
del neurotrasmettitore. Il valore -80 mV a cui il neurotrasmettitore non ha nessun effetto è il punto di
inversione del fenomeno nonché il potenziale a cui tende la membrana sotto l’azione del neurotrasmettitore.
Se aumento l’iperpolarizzazione (es -100mV), si ha un aumento dell’ampiezza del fenomeno che appare come
una depolarizzazione mentre spostandosi verso valori meno negativi, osservo iperpolarizzazione con
ampiezza di IPSP sempre più grande. Questo è ciò che è previsto dall’equazione di base, quindi la corrente
IPSP è uguale a GIPSP x Vm -VIPSP.
VIPSP è il valore del potenziale d’equilibrio del fenomeno a cui tende la membrana e -80mV è anche il
potenziale di equilibrio dello ione Cl-. Esso ha una distribuzione analoga a Na+, è molto concentrato fuori e
poco dentro:

Quindi se si vuole far iperpolarizzare la membrana a partire dal potenziale di membrana fisiologico, si deve
usare un canale che aumenti la conduttanza per uno ione con potenziale di equilibrio al di sotto di quello del
potenziale di membrana. Infatti i canali ionici responsabili delle correnti IPSP sono fondamentalmente 2:
canali Cl- (quelli prevalenti sono dati dal neurotrasmettitore GABA) e canali K+. Se a riposo si apre un numero
superiore del normale di canali K+ il potenziale di membrana si avvicina al potenziale d’equilibrio dello ione
stesso (come visto nell’equazione di Goldmann, quanto si avvicina dipende dal rapporto di conduttanza
Na+/K+), così anche questo ione può avere effetto inibitorio, in particolare nella trasmissione lenta (esempio
nell’effetto del parasimpatico sul cuore).
Quindi la corrente IPSP può essere data o da uno ione negativo che entra (Cl) o da uno positivo che esce
(K), secondo il loro gradiente elettrochimico (speculare, per questo hanno potenziali di equilibrio simili).

Come si fa a dimostrare che effettivamente si tratta di Cl? Ovviamente realizzare esperimenti di voltage
clamp in sinapsi nel midollo spinale studiate da sperimentatori negli anni ’50 era praticamente impossibile
ma si poteva dimostrare come la corrente IPSP dipenda dal potenziale di equilibrio del cloro (ipotizzando che
nella formula I= GIPSP x Vm -VIPSP, quest’ultimo sia molto vicino al potenziale d’equilibrio di Cl), così si cambia il
potenziale di equilibrio modificando le concentrazioni ioniche e risolvendo il problema. Nella giunzione
neuromuscolare basta cambiare la composizione del fluido di perfusione nel liquido extracellulare. Tuttavia,
in un sistema come i neuroni centrali cambiare la concentrazione extracellulare è impossibile, anche perché
veniva utilizzato il midollo spinale intero, e quindi si cambiava la concentrazione intracellulare di Cl (molto
bassa) alzandola con potenziale di equilibrio che cambia. Tale concentrazione venne cambiata dagli
sperimentatori utilizzando un microelettrodo che perde dalla punta (leaky), stimolando
contemporaneamente una sinapsi inibitoria e registrando col microelettrodo (che contiene KCl 3M, al limite
della solubilità). Di solito si fa sì che la punta del microelettrodo sia piccolissima così da minimizzarne la
fuoriuscita di ioni e non alterare le concentrazioni intracellulari (si usa KCl invece di NaCl, poiché Na + nella
cellula è poco e se fuoriesce dalla punta modifica il gradiente con varie complicazioni) ma in questo caso
venne usata una punta più grande. Dopo aver inserito il microelettrodo nella cellula, con lo stimolo di una
sinapsi si registra un IPSP, a partire dal potenziale di membrana a riposo. Dopo un po’ di tempo, del cloro è
uscito dalla punta, aumentando la concentrazione intracellulare. Questo aumento di Cl - determina una
modificazione di ECl-, che diventa meno negativo perché diminuisce il gradiente di concentrazione e quindi
tende ad aumentare. Col passare del tempo, si osservava una depolarizzazione perché verosimilmente ECl
inizialmente si trovava a -40mV e quindi sotto al potenziale di membrana a riposo di partenza ed il potenziale
di K, con la fuoriuscita del cloro, si sposta al di sopra del potenziale di membrana di riposo sempre di più.
Appurato ciò, si decise di spostare il potenziale di membrana Vm da -59 a – 27 mV e stimolando con la sinapsi
si osservò una iperpolarizzazione. Quindi questo fenomeno dipende da Cl intracellulare e dallo spostamento
del suo potenziale d’equilibrio, con iperpolarizzazione se il potenziale di equilibrio di Cl è sotto a Vm e
depolarizzazione se è sopra e spostando Vm ancora più sopra risulta l’aspetto dell’iperpolarizzazione.

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Fisiologia I - Lezione n° 17
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Il neurotrasmettitore responsabile di
questo è l’acido gamma-amminobutirrico,
che insieme alla glicina, è il
neurotrasmettitore inibitorio più
importante del sistema nervoso centrale.

Questo effetto del cloro è specifico per gli


IPSP, perché registrando EPSP eccitatorie
col microelettrodo leaky non si sarebbe
osservato nessun effetto sulle
concentrazioni intracellulari di Cl in quanto
le correnti di Na+, K+ e Ca2+ dell’EPSP non
hanno nessun legame col potenziale del
cloro.

Qui si ha, in relazione alla registrazione della corrente-voltaggio del singolo canale, una corrente di IPSP
gabaenergico a confronto con una di EPSP glutammatergico di un recettore AMPA o comunque qualsiasi
recettore sia (poiché si registra in assenza di Mg +, quindi anche i recettori NMDA si comporteranno come
AMPA). Nell’EPSP il punto di inversione è 0, mentre nell’IPSP si ha su valori negativi ed in questo caso -60 mV.
Si sta registrando sinapsi inibitorie interneuroniche, da canali associati a glutatione in singole “fettine” di
ippocampo con tecnica di patch clamp.

Non c’è solo il GABA, c’è


anche la glicina come
neurotrasmettitore
inibitorio molto importante
nel SNC ed anche lei agisce
su recettori ionotropici. I
recettori GABA ionotropici
sono di classe GABAA e
assieme a quelli per la
glicina sono associati a
correnti di Cl con
produzione di
iperpolarizzazione.

Per quanto riguarda la


struttura di questi canali,
essi hanno simmetria pentamerica (sia GABAA che glicina) con 4 anse transmembrana e sito di legame
extracellulare N-term. Esiste anche un recettore GABAB metabotropico, che riconosce il GABA ed ha
moltissime interazioni con farmaci fra cui i più importanti sono benzodiazepine e barbiturici.

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Fisiologia I - Lezione n° 17
22/11/2019

Le correnti inibitorie possono avere


intensità grandi, soprattutto se questi
recettori sono disposti in una certa
regione possono addirittura annullare
le scariche del potenziale d’azione e
tutti gli altri input eccitatori ricevuti.
Il canale glicina e GABA sono molto
simili, hanno sempre corrente di Cl
con la differenza che la conduttanza
del canale glicina è maggiore però
per il resto la relazione corrente-
voltaggio è esattamente la stessa.

I farmaci come le benzodiazepine o i


barbiturici non alterano la
conduttanza del canale GABA e quindi la sua ampiezza non varia, ma aumenta la probabilità di apertura con
le benzodiazepine e coi barbiturici aumenta invece il tempo di apertura del canale.
Ci sono poi gli antagonisti del GABA come bicucullina e picrotoxina, e della glicina è invece la stricnina.

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Fisiologia I – Lezione n° 18
27/11/2019

Data: 27/11/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Tesi
File audio di riferimento: Fisiologia-27-11-2019
Controllore: Sussi
Coppia: Miccinesi-Micheli

SINAPSI INIBITORIE E INTEGRAZIONE SINAPSI


INTERNEURONICHE
Nella scorsa lezione avevamo parlato di potenziali post-sinaptici inibitori o IPSP, avevamo osservato l’azione
del GABA o della glicina sui recettori ionotropici e quindi fenomeni di trasmissione rapida con modalità
inibitoria. Avevamo anche visto degli esperimenti sul potenziale di inversione del fenomeno, che di solito si
configura come una iperpolarizzazione di membrana a cui si associa una corrente entrante data da cariche
negative, in questo caso cloro, e a un punto di inversione, la variazione del potenziale di membrana e la
corrente, che equivale al potenziale di equilibrio dello ione: da questo abbiamo dedotto che la corrente
responsabile del fenomeno è una corrente di cloro.
Quindi il GABA e la glicina aprono dei canali a modulazione diretta, cioè recettori ad azione diretta, selettivi
per gli ioni cloro. Di base, il fenomeno descritto precedentemente si manifesta con l’apertura dei canali,
solo che la risultante di quest’apertura è un allontanamento dalla soglia per il potenziale d’azione (PdAz),
che si configura di solito come una iperpolarizzazione. Tuttavia, viene alla luce un problema ulteriore che
coinvolgerà anche le sinapsi eccitatorie: ogni volta che si aprono dei canali diminuisce la resistenza di
membrana e aumenta la conduttanza di membrana, quindi di per sé l’effetto di apertura dei canali, sia che
medi un fenomeno di IPSP (come in questo caso) o, paradossalmente, un EPSP (che causa
depolarizzazione), in realtà è un evento che diminuisce l’eccitabilità della struttura (del neurone in quanto
analizziamo le sinapsi interneuroniche).
Nella legge di Ohm (ΔV=i*Rm) la resistenza di membrana Rm diminuisce quando si aprono i canali, in quanto
aumenta la conduttanza (G=1/R).
Quando arriva uno stimolo successivo, sia eccitatorio che inibitorio, il fatto che lo stimolo precedente abbia
abbassato la resistenza di membrana fa sì che la corrente associata all’apertura di un nuovo set di canali,
che si aprono per l’azione del neurotrasmettitore in un secondo momento, determini un ΔV più piccolo
(quindi, ad esempio, una depolarizzazione più piccola), diminuendo quindi l’eccitabilità di membrana.
Supponiamo, ad esempio, di avere due stimoli, quindi due correnti di EPSP, dovuti all’apertura di uno stesso
canale a modulazione diretta: ogni volta che si apre questo canale, si ha una certa corrente di EPSP. Allora
supponiamo, in un sistema molto sofisticato, di avere due eventi, due molecole, cioè due quanti di
neurotrasmettitore che agiscono in sequenza (in entrambi i casi la corrente che passa attraverso il canale è
una quantità fissa ed è una corrente di EPSP):
1) Corrente di EPSP dovuta all’apertura del canale darà luogo a ΔVEPSP=I*Rm (Rm è la resistenza di
membrana presente in quel momento, cioè quella base della cellula). Abbiamo visto l’azione sulle
regioni adiacenti della membrana da cui dipende l’effetto totale della depolarizzazione del
potenziale di placca di una EPSP. Il rapporto tra la regione attiva e quella adiacente, che possiamo
rappresentare con il valore α, è quel rapporto di conduttanza tra le regioni adiacenti: quanto più
grande è la conduttanza nuova inserita dal neurotrasmettitore, rispetto al valore della resistenza di
membrana, quanto più grande sarà l’effetto. All’inizio si avrà un certo effetto di depolarizzazione
dovuta a questa corrente che trova una resistenza di membrana standard, cioè quella di base;
l’apertura dei canali determinerà l’abbassamento della resistenza di membrana che incontrerà la
molecola successiva di neurotrasmettitore che apre il canale.
2) La corrente, che è sempre la stessa, che passa attraverso il canale darà origine ad un ΔVEPSP=I*Rm
minore rispetto al precedente, dove la corrente è la stessa, ma la resistenza di membrana
diminuisce.
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Se arriva un ulteriore terzo stimolo, la corrente rimarrà sempre la stessa ma il ΔV diminuisce sempre di più,
in quanto la resistenza sarà ancora più bassa (inizialmente la resistenza di membrana è standard e via via
decresce). L’effetto progressivo è indicato variando la dimensione di una freccia; c’è una sequenza
temporale dovuta al fatto che l’azione del neurotrasmettitore va a diminuire la resistenza e ciò si nota solo
in un secondo momento. Questo meccanismo vale sia per i fenomeni eccitatori che inibitori, però per
quest’ultimi diventa l’evento fondamentale in quanto l’apertura dei canali diminuisce l’eccitabilità della
membrana. Vedremo, in questa lezione e nelle prossime, che ci saranno delle EPSP molto efficaci che
agiranno aumentando la resistenza di membrana, chiudendo dei canali, ovviando a questo problema di
base della diminuzione dell’eccitabilità ogni volta che si apre un canale, anche quando si determina una
depolarizzazione e si arriva alla soglia per il potenziale d’azione. L’IPSP, nella descrizione di base dei
fenomeni inibitori, si dice che è un’inibizione dovuta al fatto che diminuisce la probabilità di generare il
potenziale d’azione in quanto ci si allontana dalla soglia mediante un’iperpolarizzazione, attraverso un
effetto che si esplica sul potenziale di membrana. In realtà questo effetto è meno importante rispetto a
quello che si ottiene sulla conduttanza, ovvero quell’effetto associato all’azione diretta della corrente che è
un riflesso dell’apertura dei canali. Quindi in realtà con l’IPSP, ovvero queste modalità di sinapsi inibitorie,
che si trovano molto vicino al segmento integratore (dove si genera il PdAz nei neuroni), esplicano il loro
effetto attraverso un’azione molto grande sulla resistenza di membrana che risulta quindi essere molto più
importante dell’effetto sul potenziale. Possiamo dire che anche se un IPSP si realizza in una condizione in
cui non si ha nessuna depolarizzazione né iperpolarizzazione, avrò un effetto nullo perché in questa
condizione, se potenziale di membrana equivale al potenziale di equilibrio del cloro, il neurotrasmettitore
non produce nessuna modificazione in termini di ΔV, però se si va a misurare l’eccitabilità del sistema la
troviamo diminuita perché, come abbiamo visto, è diminuita la resistenza di membrana. [La professoressa
afferma che questi argomenti, soprattutto sugli analoghi di membrana, sono reperibili anche in vecchie
sbobinature del professor Cecchi].
Arrivare a questa conclusione non è semplicissimo, è necessario trovare un esperimento in grado di
misurare l’eccitabilità in quanto misurare la resistenza di membrana è molto difficile. Si può avere un’idea
di queste modificazioni attraverso una misura dell’eccitabilità.
Qual è, perciò, la risposta all’arrivo degli stimoli eccitatori quando precedentemente si inibisce la cellula?
Questo effetto, che si osserva, di inibizione dell’eccitabilità correla più con l’evento di iperpolarizzazione,
cioè con la modificazione del potenziale, o con l’apertura del canale e quindi con la modificazione della
conduttanza, che si può vedere esemplificata attraverso la corrente?
La corrente ha un andamento temporale che riflette l’apertura o la chiusura di un canale e quindi riflette la
modificazione di conduttanza; il potenziale di membrana è la modifica che si osserva, riferita a una
corrente, e presenta un ritardo dovuto
alla presenza di un condensatore di
membrana. Il picco della corrente è
anticipato rispetto al picco dell’effetto
sul potenziale di membrana, come tutti
i fenomeni elettrotonici visti nella prima
parte del corso; quindi, si deve trovare
un esperimento che riesca a misurare
l‘eccitabilità del neurone e vedere se la
diminuzione dell’eccitabilità avviene a
tempi coincidenti con il picco della
corrente o con il picco della
iperpolarizzazione.

Questo evento è stato realizzato con


degli esperimenti, come quello già
descritto di Eccles, nei quali avevano a
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disposizione dei sistemi grossolani (dei sistemi integrati) e dei riflessi miotatici, quindi dei riflessi spinali.
Erano dei circuiti grossolani integrati, ovvero che prevedevano la presenza di molti neuroni, di una piccola
rete neuronale (la più semplice rete neuronale, cioè quella del riflesso miotatico). Avevano, però, la
possibilità di stimolare direttamente le radici dorsali, di registrare dalle radici ventrali, di osservare le
conseguenze sull’attivazione del muscolo, anche macroscopicamente, attraverso la contrazione muscolare.
Presentavano una notevole facilità di approccio alla problematica e il grande vantaggio di avere a
disposizione la doppia componente del riflesso miotatico: la componente eccitatoria su un muscolo
omonimo (ovvero sullo stesso muscolo che è stato stimolato dall’allungamento), in questo caso estensore,
e la componente inibitoria sul muscolo antagonista, un flessore. Prendiamo quindi in esame questo circuito
(che vedremo anche in fisiologia 2) che vedeva come muscolo estensore il quadricipite e come flessore il
bicipite semitendinoso (ST). La possibilità di stimolare il riflesso miotatico e di andare a osservare il circuito
eccitatorio con stimolazione delle radici dorsali, ci permette di andare a vedere cosa succede all’eccitabilità
del motoneurone mediante la registrazione diretta con un microelettrodo e quindi osservare la contrazione
muscolare; oppure andare a osservare il circuito opposto (che è quello sul flessore) che viene invece inibito
dallo stesso input che arriva dall’allungamento del muscolo quadricipite. Si può inoltre andare a registrare a
livello del motoneurone, nel circuito inibitorio con un elettrodo intracellulare, un IPSP (come visto nella
scorsa lezione).
Andiamo a vedere come in un esperimento di questo tipo si può misurare l’eccitabilità di un motoneurone e
la modificazione dell’eccitabilità indotta dall’attivazione della sinapsi inibitoria.
Per il circuito eccitatorio si utilizza il bicipite semitendinoso (il flessore) in quanto il motoneurone di questo
riceve input inibitori (IPSP) da parte del riflesso miotatico che origina dall’estensore. Possiamo innanzitutto
vedere come funziona il circuito senza l’evento inibitorio: stimoliamo il neurone sensoriale primario
attraverso la stimolazione delle radici dorsali dei nervi spinali e andiamo a registrare con un microelettrodo
all’interno di un motoneurone, oppure si registra il livello di attività di quella parte del nervo, cioè della
radice ventrale del nervo spinale, che si porta al bicipite semitendinoso. Si stimola il riflesso mediante la
stimolazione delle radici dorsali e si osserva il 100% della risposta che sarà di tipo eccitatorio. Con un
microelettrodo, a questo punto, si può misurare sia l’evento eccitatorio ma anche, ancora meglio, cosa
succede quando si stimola il circuito inibitorio che proviene dal quadricipite: ad esempio, si stimolano le
radici dorsali e questa volta si visualizza l’IPSP che consegue all’attivazione del circuito inibitorio. Osservo
quindi una iperpolarizzazione, cioè, una modificazione del potenziale di membrana in senso di
allontanamento dal valore soglia del potenziale d’azione.

A questo punto si applica una strategia sperimentale che prevede un doppio stimolo. Abbiamo la possibilità
di misurare il 100% dell’eccitabilità del circuito e di andare a vedere come viene modificata questa risposta,
che è 100% eccitatoria, dalla precedente stimolazione del circuito inibitorio. Ovviamente questa doppia
stimolazione prevederà uno stimolo TEST (stimolo che produce la risposta eccitatoria) e uno stimolo
condizionante (sul circuito inibitorio). Quello che si può variare è l’intervallo tra questi due stimoli e
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osservare cosa succede alla modificazione dell’eccitabilità che si ottiene attraverso la registrazione
dell’attività nervosa del bicipite ST. La risposta sarà espressa in % rispetto a quella ottenuta senza
stimolazione condizionante, cioè senza stimolazione del circuito inibitorio.

Quanto varia e di quanto diminuisce la risposta? L’effetto eccitatorio determinato da questo EPSP quanto è
depresso dalla stimolazione del circuito inibitorio? E a che tempi?
Se gli stimoli vengono applicati contemporaneamente, io osservo il 100% della risposta perché vediamo che
lo stimolo condizionante, che utilizza il circuito inibitorio, presenta una sinapsi in più, cioè è disinaptico,
quindi avrà un ritardo significativo nell’arrivo al motoneurone. Per ovviare a questo ritardo si fa precedere
lo stimolo condizionante in modo da osservare una diminuzione della risposta. La risposta, quindi, non è più
100%, non è più un’attivazione attraverso la contrazione del motoneurone pari a quella precedente ma si
osserva una risposta diminuita. Tale diminuzione verrà rappresentata in un grafico dal quale si osserverà il
risultato.
Nella figura sottostante sono rappresentate la registrazione della stimolazione sul circuito inibitorio per il
quadricipite e la registrazione
intracellulare dal
motoneurone nel bicipite ST e
quindi dell’IPSP che si osserva
quando si stimola il circuito
inibitorio: quello che si
osserva è la modificazione di
eccitabilità, che a questo
punto si è in grado di misurare
come modificazione in % del
100% della risposta.
Il 100% della risposta si
osserva quando si stimola
contemporaneamente il
circuito eccitatorio e quello
inibitorio. Via via che si
aumenta il tempo a cui si fa
precedere la stimolazione del
circuito inibitorio (in 1-3 ms,
tempi molto brevi) il ritardo
sinaptico anche introdotto dal
circuito inibitorio, come si
osserva nel grafico, è molto
piccolo: quindi, basta che
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faccia precedere di un millisecondo (ms) la stimolazione sul circuito inibitorio per osservare già una
depressione molto grande nella risposta (le due tracce, nel grafico in figura, con i pallini neri ed i pallini
bianchi, corrispondono a due diverse intensità di stimolazione, una variazione in % che dimostra che più
sinapsi si reclutano e più grande sarà l’effetto inibitorio). L’evento importante è che a 1 ms si può osservare
già il picco dell’effetto inibitorio.
Quando si somministra lo stimolo eccitatorio, la risposta che ottengo è una risposta diminuita quasi a 0,
perciò ottengo una piccolissima risposta eccitatoria del 10% dove la risposta eccitatoria è stata diminuita
quindi del 90%, semplicemente con la variazione di un ms.
Si continua a modificare l’intervallo fino a un certo punto, in quanto se si fa precedere a tempi lunghissimi,
essendo questi dei fenomeni rapidi (di trasmissione rapida), e perciò senza memoria cellulare, si osserva il
ritorno al 100% della risposta.
Quello che è molto interessante, però, è andare ad analizzare la tempistica a cui avviene la depressione
dell’eccitabilità: il picco dell’IPSP è significativamente ritardato rispetto al picco dell’effetto. L’effetto di
depressione dell’eccitabilità, dovuto solo all’allontanamento dalla soglia del potenziale di membrana per
l’iperpolarizzazione, ci si aspetta che avvenga più o meno un millisecondo dopo, invece si ottiene un effetto
non solo anticipato, ma anche molto più grande (la linea tratteggiata dà anche una stima dell’effetto di
inibizione che ci si aspetta dal solo allontanamento dalla soglia, un effetto che è sul potenziale di
membrana su cui si esercita l’EPSP che segue l’IPSP).
Supponiamo che per arrivare a una soglia di -40 mV, se si parte da un potenziale di membrana di -70 mV,
avrò un certo ΔV; se invece si parte da -75 mV, in seguito a un IPSP, sarà necessario uno stimolo eccitatorio
più grande. Quindi l’effetto di depressione dell’eccitabilità è anticipato rispetto all’andamento dell’IPSP ed
è anche molto più grande, come mostrato dalla differenza tra la linea teorica tratteggiata prevista solo dalla
modificazione del potenziale di membrana e l’effetto reale che si osserva che è molto più grande.
L’andamento temporale dell’inibizione post-sinaptica correla molto di più con il picco della corrente
rispetto al picco della modificazione del potenziale, ovvero quella modificazione di potenziale che consegue
al passaggio della corrente attraverso l’equivalente del circuito di membrana (come abbiamo visto nella
prima parte del corso con il prof. Reconditi).

Molto brevemente, analizziamo un circuito RC (un equivalente di membrana), dove si ha una resistenza,
una modificazione della conduttanza operata dall’apertura dei canali dal neurotrasmettitore. Questa nuova
conduttanza trovata si mette in parallelo rispetto alla conduttanza nelle regioni adiacenti della membrana
da cui dipende l’entità dell‘effetto. È presente però il condensatore di membrana che introduce il ritardo
tra il passaggio della corrente e la modificazione del potenziale osservato nel circuito RC con una costante
di tempo che è pari al
prodotto della resistenza per
la capacità di membrana. La
costante di tempo della
membrana è di circa 1 ms,
come in effetti abbiamo
visto con lo shift tra i due
picchi (che è molto vicino al
ms). La corrente applicata al
circuito è analoga a una
corrente costante, ma una
corrente attraverso un
canale non è costante
perché il canale si apre e si
chiude e perciò avrà una sua
cinetica (aumenterà e poi
tornerà al valore di riposo).
La stessa relazione
temporale tra corrente
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sinaptica e potenziale sinaptico la si era osservata anche quando avevamo visto la corrente di placca
rispetto alla modificazione del potenziale di placca nelle giunzioni neuromuscolari.
Nel grafico sovrastante si osserva la registrazione della corrente che si avvicina a un sistema reale di un
canale che si apre e si chiude: è rappresentata una modificazione del potenziale ritardato nel suo
manifestarsi che ha un effetto ritardato nella fase di ripolarizzazione. Questo evento avviene in tutti i
potenziali, IPSP ed EPSP, in quanto sono tutti analoghi a modificazioni del potenziale di tipo elettrotonico
passivo, passibili di sommazione. Quindi, ogni volta che si apre il canale si manifesta questo effetto della
diminuzione dell’eccitabilità, solo che nelle sinapsi inibitorie (come è dimostrato dalla selezione
nell’evoluzione) è più importante l’effetto della corrente rispetto all’effetto sul potenziale, mentre in quelle
eccitatorie, data la loro diversa distribuzione sull’arborizzazione dendritica e il soma dei neuroni, il fattore
determinante è l’avvicinamento alla soglia per il potenziale d’azione nel colletto assonico. Quindi un effetto
sulla resistenza totale di membrana. Perciò, si gioca sempre sul rapporto delle conduttanze nuove inserite
da un neurotrasmettitore eccitatorio (gEPSP) rispetto alla conduttanza di tutto il resto della membrana.
L’evento inibitorio modifica la conduttanza di membrana rispetto al quale poi si valuterà il parametro α,
dove si può trovare GL (conduttanza dei canali di perdita), alla quale però si sarà aggiunta la conduttanza
inserita dall’apertura dei nuovi canali aperti dal neurotrasmettitore se precedentemente è avvenuto
l’evento inibitorio. Le conduttanze in
parallelo si sommano: tanti più canali
si aprono e tanto più grande sarà la
conduttanza. Di conseguenza, il
parametro α varierà dal momento che
i nuovi canali aperti dal
neurotrasmettitore eccitatorio,
trovando una conduttanza maggiore,
avranno una risultante minore nel
determinare lo spostamento del
potenziale di membrana verso un
valore a cui tende la membrana sotto
l’azione di un neurotrasmettitore
eccitatorio che risulterà essere un
valore sopra la soglia per il potenziale
d’azione e quindi uno spostamento
verso un aumento della probabilità di
generare un potenziale d’azione.

INIBIZIONE PRE-SINAPTICA

Nell’inibizione pre-sinaptica, che è un’altra


modalità di inibizione, si va ad agire sulla
liberazione di neurotrasmettitore a
differenza di quella post-sinaptica che
invece agisce sulle proprietà elettriche di
membrana - su cui si esplica l’azione del
neurotrasmettitore - dell’elemento post-
sinaptico (variando la conduttanza, la
resistenza) senza variare nulla a livello della
quantità di neurotrasmettitore che si libera
nella sinapsi eccitatoria. Nella inibizione
post-sinaptica che abbiamo visto finora, in
seguito all’attivazione della sinapsi
inibitoria, registro un IPSP, mentre ci sono
altri casi in cui si sa che si esplica un’azione
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inibitoria senza che si veda il manifestarsi di nessun IPSP: esistono delle modalità in cui le sinapsi inibitorie
agiscono sul terminale pre-sinaptico. In questo caso, si stimola la sinapsi inbitoria pre-sinaptica e nel
neurone post-sinaptico, su cui si esplica l’azione inibitoria, non registro nessun IPSP eppure si vede un
effetto inibitorio. Questo è infatti un effetto che si esplica a livello pre-sinaptico, presumibilmente
diminuendo la liberazione di neurotrasmettitore, senza modificare le proprietà dell’elemento post-
sinaptico. Questo tipo di inibizione è molto efficacie e avviene su tempi molto più lunghi.

Per rappresentare questo meccanismo usiamo lo stesso tipo di approccio sperimentale del precedente,
ovvero, si sfrutta un protocollo a doppio stimolo che permette di misurare la modificazione dell’eccitabilità.
Questa volta usiamo sempre i circuiti miotatici, che però provengono da due muscoli che non sono né
antagonisti né agonisti: in questo caso il bicipite semitendinoso e il gastrocnemio-soleo. Il circuito
eccitatorio che proviene dal gastrocnemio-soleo (cioè sul motoneurone del gastrocnemio-soleo) e il circuito
inibitorio nuovo, questa volta, che proviene dal bicipite semitendinoso che si esplica con una modalità
presinaptica. Se si prende una registrazione dal motoneurone del gastrocnemio soleo si osserva che la
stimolazione di questo circuito nuovo inibitorio non produce nessun IPSP, questo vuol dire che ci deve
essere una modalità diversa dalla precedente, ovvero una modalità pre-sinaptica. Quindi si ottiene il 100%
della risposta quando si attiva il circuito eccitatorio (nella figura in alto in rosso), che proviene dal muscolo
omonimo, e si osserva l’effetto inibitorio se si stimola con uno stimolo condizionante precedente il bicipite
semitendinoso, senza osservare IPSP. Questo tipo di esperimento (più moderno del precedente) misura
direttamente l’ampiezza dell’EPSP del motoneurone del gastrocnemio soleo. Si valuta l’effetto inibitorio in
questo modo: nel circuito eccitatorio, lo stimolo TEST prevede la stimolazione di questo circuito e la
registrazione di un EPSP che ha il 100% dell’ampiezza. A tempi precedenti si stimola, con lo stimolo
condizionante, il circuito inibitorio per registrare un’ampiezza dell’IPSP, seguito quindi dallo stimolo TEST:
quello che si ottiene è un EPSP (n.d.s.: dalla registrazione non risulta essere chiaro se si tratti di EPSP o IPSP,
è stato inserito ciò che concettualmente sembra più corretto, ma si consiglia presa visione del libro) con
un’ampiezza indicativamente diminuita.
Si inserisce nel grafico, come
abbiamo visto precedentemente,
l’andamento temporale con cui si
osserva l’effetto e l’ampiezza
dell’effetto. Quello che si può
osservare in questo grafico è il picco
dell’effetto che avviene a tempi un
ordine di grandezza più grande
rispetto all’effetto a cui si manifesta
la depressione dell’eccitabilità con
modalità post-sinaptiche. Quando
l’inibizione è pre-sinaptica i tempi
sono più lunghi per varie ragioni:
probabilmente anche perché sono
compresi dei circuiti poli sinaptici
(più sinapsi).
L’ampiezza che si osserva è grande,
ovvero si ottiene una depressione
dell’eccitabilità abbastanza vicina a quella che avevo ottenuto con il circuito inibitorio post-sinaptico.
Quello che si vede in alto nella figura è uno stimolo condizionante a cui segue lo stimolo TEST e a cui segue
a sua volta, la manifestazione dell’EPSP. Quindi, lo stimolo condizionante seguito dallo stimolo TEST darà
una risposta che è il 100% dell’eccitabilità: praticamente si stanno somministrando due stimoli insieme e
non osservo nessun effetto inibitorio. Via via che si aumenta il ritardo tra stimolo condizionante e stimolo
TEST osservo una diminuzione molto significativa dell’ampiezza dell’EPSP, che risulterà essere comunque
un effetto di grande entità, ma molto spostato sulla base dei tempi (in assenza di ogni IPSP, di ogni

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modificazione dell’eccitabilità della membrana post-sinaptica, sia in termini di correnti sia in termini di
iperpolarizzazione).
Sono più i meccanismi ipotizzati per spiegare l’avvenire dell’inibizione pre-sinaptica: i più recenti vedono il
ruolo del GABA. Anche queste sinapsi che si portano sui terminali presinaptici eccitatori utilizzerebbero
GABA. Quest’ultimo, si lega ai recettori GABAergici di natura metabotropica i quali, successivamente
all’interazione
neurotrasmettitore-
recettore, attivano le
cascate di segnalazione
intracellulari che
porterebbero
all’inattivazione dei canali
per il calcio. Questi canali
hanno un ruolo
fondamentale nel
mediare l’aumento del
calcio intracellulare che si
associa all’arrivo del
potenziale d’azione nella
sinapsi eccitatoria. Più
calcio entra, e quindi più
grande è il quoziente di
calcio nel terminale,
maggiore sarà la quantità
del neurotrasmettitore
liberato. Quindi inibire l’ingresso di calcio significa diminuire la quantità del neurotrasmettitore che si
libera. Il fenomeno che poi si osserverà sarà la riduzione dell’effetto del neurotrasmettitore sulla
membrana post-sinaptica, questa volta la riduzione dell’effetto si ottiene semplicemente liberando meno
neurotrasmettitore senza alterare le proprietà elettriche dell’elemento post-sinaptico. Perciò, i recettori
GABAergici metabotropici sono presenti nei terminali presinaptici.
Ci sono altre ipotesi tra cui la prima effettuata da ricercatori che studiavano la modalità di inibizione pre-
sinaptica, che è di più complicata interpretazione della precedente che, tutto sommato, è piuttosto
semplice, e vede l’espressione di recettori GABAergici metabotropici che sono stati identificati e osservati
nei terminali.
Questa ipotesi (che non si sa se sia veramente presente o meno) che veniva avanzata, era che queste
sinapsi inibitorie pre-sinaptiche fossero in realtà delle sinapsi eccitatorie, ovvero che liberassero
aminoacido eccitatorio o
neurotrasmettitori che avevano un
effetto di depolarizzazione sul
terminale pre-sinaptico, in termini
di depolarizzazioni di piccole
entità, ma sufficienti a modificare
le proprietà della membrana, che
determinano un’inattivazione dei
canali al sodio voltaggio
dipendenti. Per poter recuperare
la capacità di apertura dei canali al
sodio bisogna tornare al
potenziale di membrana di riposo
altrimenti la porta di inattivazione
tempo-dipendente non si
riposiziona nella configurazione
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aperta: se rimane chiusa, anche nel caso in cui la membrana successivamente si depolarizzasse, troverà,
anche alla soglia del PdAz, un minor numero di canali disponibili al sodio voltaggio-dipendenti per
l’apertura. Questo evento determinerà quindi la corrente di sodio rapida più piccola e di conseguenza un
picco del PdAz che sarà più basso, quindi una depolarizzazione totale del terminale che sarà di minore
entità.
Abbiamo visto precedentemente che per la liberazione del neurotrasmettitore e per l’apertura dei canali al
calcio voltaggio-dipendenti non è necessario un PdAz perchè anche con tetradotossina o tetraetilammonio,
se si depolarizzava il terminale presinaptico con ampiezza via via crescente, si osservava una liberazione via
via crescente di neurotrasmettitore. Quello che è importante è la depolarizzazione, in quanto il PdAz è
semplicemente una grande depolarizzazione. Quindi, se si depolarizza con PdAz molto piccolo in seguito ad
attivazione delle sinapsi, che in realtà sono eccitatorie, si ottiene un effetto inibitorio perché avrò una
minor entrata di calcio e quindi una minor liberazione del neurotrasmettitore.
Tutto ciò è interessante per ricapitolare le proprietà del PdAz, le proprietà che portano quindi
all’inattivazione del canale al sodio, la necessità di ripolarizzazione del potenziale di membrana e anche per
ricapitolare qual è il segnale che fa liberare il neurotrasmettitore, ovvero la depolarizzazione della
membrana (il potenziale d’azione è semplicemente un modo per ottenerla).
Vedremo che quest’effetto sulla porta di inattivazione del sodio in realtà è molto importante quando si
studia il potenziale d’azione cardiaco. Se il cuore viene depolarizzato anche di molto poco, per esempio per
azione di un aumento di potassio extracellulare (condizione che prende il nome di iperkaliemia, in cui si
sono modificati gli ettroliti del plasma), questo porta ad uno spostamento del potenziale di membrana in
seguito al cambiamento del potenziale di equilibrio del potassio che diventa meno negativo e di
conseguenza il potenziale di membrana banalmente lo segue fino ad arrivare alla depolarizzazione della
membrana. Quest’evento fa sì che i canali del sodio che erano voltaggio-dipendente non recuperino mai
l’inattivazione tempo-dipendente, provocando il blocco del potenziale d’azione a livello ventricolare e
quindi all’arresto cardiaco (questi fenomeni li vedremo in fisiologia 3).

Quindi abbiamo due modalità di inibizione: post-sinaptica e pre-sinaptica che agiscono in modo
completamente diverso. La prima altera le proprietà di membrana post-sinaptiche, in particolare modifiche
sulla conduttanza e sul potenziale, ma senza alterare la quantità di neurotrasmettitore e quindi la corrente
di EPSP. L’inibizione pre-sinaptica invece, non modifica le proprietà elettriche, ma modifica le correnti di
EPSP perché diminuisce la quantità di neurotrasmettitore liberato e perciò diminuisce il numero di canali
che si aprono.

FACILITAZIONE PRE-SINAPTICA

Oltre ai meccanismi di inibizione pre-


sinaptica, si possono realizzare anche
meccanismi di facilitazione pre-
sinaptica mediante dei circuiti molto
studiati attualmente con l’utilizzo di
altri interneuroni che liberano dei
neurotrasmettitori che facilitano la
liberazione del neurotrasmettitore da
parte delle sinapsi eccitatorie.
Questi meccanismi di facilitazione
prevedono il release (rilascio) di un
neurotrasmettitore molto famoso, la
serotonina. Questo neurotrasmettitore
avrebbe effetto opposto agendo su dei
recettori, presumibilmente di natura
metabotropica, e attivando una cascata
di segnalazione che porterebbe ad un aumento della probabilità dell’apertura dei canali del calcio e quindi
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a un maggiore ingresso di calcio che ha come conseguenza una maggiore liberazione di neurotrasmettitore
(effetto opposto rispetto all’effetto inibitorio pre-sinaptico). Quindi, nelle reti neuronali, anche le più
semplici (come quelle del midollo spinale, ma anche in quelle del tronco dell’encefalo e della corteccia
cerebrale), abbiamo tutta una serie di possibilità per modulare l’effetto eccitatorio. L’input eccitatorio
(EPSP) che arriva al soma e ai dendriti di un neurone può essere graduato in ampiezza mediante l’uso di
questi due meccanismi fondamentali. E questo ci conduce direttamente all’argomento prossimo che è
l’integrazione neuronale che ci dirà com’è che l’effetto eccitatorio e inibitorio si sommano sul soma e sui
dendriti andando a modulare la probabilità della generazione del potenziale d’azione da parte del colletto
assonico.

INTEGRAZIONE NEURONALE

In questa immagine ci sono tutte le


informazioni raccolte finora studiando la
trasmissione sinaptica rapida in senso
eccitatorio e inibitorio. Si osservano
sinapsi con il segno +, che saranno
eccitatorie, e sinapsi con il segno -, che
saranno inibitorie che andranno a
sommare i loro effetti (a cui si aggiunge
anche la modalità presinaptica
facilitatoria e inibitoria) su un
compartimento di input di ogni neurone,
in particolare sul compartimento
analogico dove non sono presenti i canali
sodio/potassio voltaggio dipendenti del
potenziale d’azione (se ci sono, sono
molto pochi), quindi tutto ciò che si
verifica nel soma e nei dendriti è di
natura passiva-elettrotonica, e perciò passibile di sommazione. Dalla zona trigger, il colletto assonico, inizia
la regione digitale, perchè da questo punto in poi potranno avvenire solo fenomeni di tutto o nulla, ovvero
il potenziale d’azione; qui aumenta bruscamente la densità dei canali al sodio e al potassio del potenziale
d’azione, mentre diminuisce bruscamente la densità dei recettori canale associati all’azione del
neurotrasmettitore; le sinapsi sull’assone sono estremamente rare e si chiamano sinapsi asso-assoniche.
Quindi da questo punto in poi ci sono quasi soltanto canali del potenziale d’azione e ciò che si può generare
è solo un fenomeno “che c’è o che non c’è”.
Tutto ciò che è avvenuto prima su soma e su dendriti (cioè sul compartimento analogico del neurone),
serve a decidere se generare o meno il potenziale d’azione, sulla base della miriade di informazioni che
vengono ricevute; oltre a questo c’è anche il fatto che le informazioni eccitatorie possono essere modulate
andando ad agire su altre “manopole di volume”, che sono legate a meccanismi di inibizione presinaptica o
facilitazione presinaptica. In più vedremo che la risposta neuronale può variare anche con dei meccanismi
di plasticità, ovvero su una base attività dipendente, che non risponde sempre nello stesso modo, perché la
risposta dipende anche da ciò che è avvenuto precedentemente, mediando fenomeni di memoria
neuronale a tutti i livelli.
A livello della zona “Trigger”, si decide “to fire or not to fire”, ovvero se, sulla base di tutte le informazioni
che ricevo, lo genero o non lo genero il potenziale d’azione? Questo è molto importante, perché se
consideriamo un motoneurone e questo genera un potenziale d’azione, allora ci sarà la contrazione di un
muscolo, non si torna più indietro perché la sinapsi è obbligatoria, la decisione ha dato vita ad un effetto
macroscopico (la contrazione di un muscolo). Da questa decisione quindi, dipende la risposta del sistema
motorio e la buona organizzazione di tutti i programmi da quelli involontari (automatizzati) a quelli
volontari; se il potenziale d’azione non si attiva quando è necessario, l’animale potrà avere problemi motori

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molto gravi, fino alla paralisi; se il potenziale si attiva quando non deve, l’animale avrà dei movimenti
scomposti e non previsti che potrebbero portarlo a ferirsi o ad avere un atteggiamento non riconosciuto dai
propri simili, fino a configurarsi in patologie che hanno aspetti psichiatrici (per esempio sindromi dei nucleo
della base che prevedono ipercinesia).
Il coordinamento degli input sul neurone postsinaptico, dà origine ad un processo decisionale che prende il
nome di integrazione neuronale, si decide se produrre o non produrre un potenziale d’azione, è un compito
decisionale che riassume a livello del singolo elemento le funzioni che sono quelle complessive del sistema
nervoso. Questo è un processo complesso, tutto il sistema nervoso decide, in base alle informazioni
ricevute in ogni momento, se fare o non fare determinate azioni, se compiere o non compiere un
movimento, attivare la secrezione o non attivarla, attivare una risposta cognitiva che potrebbe essere
quella di pronunciare o meno una parola, fino ad arrivare a dei livelli cognitivi molto alti come decidere
quali parole usare a seconda della situazione.
L’effetto netto degli input deciderà la sorte dell’uscita da ogni circuito, da ogni neurone, da ogni rete
neuronale, dall’intero sistema nervoso (input sensoriali, processazione, output motorio). L’effetto netto
degli input, però, dipende da moltissimi fattori arrivando ad un livello di processazione che può essere
molto elevato.
Nel riflesso miopatico non si decide quasi niente, a meno che non ci sia un problema con l’attivazione
dell’antagonista, si stimola l’allungamento muscolare e se lo stimolo è sufficientemente forte, la gamba (ad
esempio) si estende. Questo circuito rappresenta un’eccezione totale, perché in questo caso, non avviene
nessuna integrazione, l’input eccitatorio arriva al motoneurone e si traduce in un output eccitatorio che
attiva il muscolo scheletrico. Nella stragrande parte dei casi invece, gli stimoli collidono su ogni neurone e
quindi vengono integrati, e l’effetto di questa integrazione varia tantissimo, innanzitutto perché gli input
possono sommarsi fra loro e questi possono essere eccitatori o inibitori. Ad esempio, se incontro una
persona che mi ha offeso precedentemente su internet, io posso decidere di arrabbiarmi o meno, se
decidessi di arrabbiarmi, contemporaneamente potrebbe arrivare un pensiero che mi dice “ma chi me lo fa
fare?”, allora non dico niente e vado via. Questo avviene a livello di ogni neurone, un input eccitatorio,
come abbiamo visto in precedenza con lo stimolo test, se arriva al tempo giusto uno stimolo inibitorio,
l’effetto eccitatorio viene diminuito significativamente.
Ogni neurone viene bombardato da centinaia di input eccitatori e inibitori contemporaneamente, quindi c’è
un livello di processazione molto elevato, che può essere simulato solo con l’uso di modelli fatti da un
supercomputer (questo è ciò che fanno i neuroscienziati attualmente, perché è superiore anche al livello di
complicazione della struttura del pensiero umano).

L’effetto netto degli input dipende da vari fattori:


• La NATURA dello stimolo.
• L’AMPIEZZA dello stimolo; il fatto che uno stimolo sia più o meno grande, abbiamo visto che tanti
canali che si aprono contemporaneamente determinano una grande depolarizzazione, mentre
meno canali una più piccola. Poi ci sono gli eventi di facilitazione che possono regolare la quantità
di neurotrasmettitore liberato, determinando effetti sinaptici in + o in -.
• La LOCALIZZAZIONE: conta quindi, la distanza dal segmento integratore, perché tutti i fenomeni che
si realizzano su soma e dendriti sono elettrotonici (si propagano con decremento), e quindi diciamo
che per esempio, se una sinapsi eccitatoria genera un EPSP sull’ultima spina dendritica, prima che
questo arrivi al segmento integratore la strada è lunga e magari non ci arriverà, ma si estinguerà
prima se non viene a sommarsi con altri eventi; le sinapsi inibitorie invece, sono spesso vicine a
dove avviene la sommazione (cioè al segmento integratore), quindi sono in numero minore, ma la
loro attivazione ha un effetto più grande sull’eccitabilità.
• Il POTENZIALE DI MEMBRANA DI RIPOSO (cioè quanto si è lontani dalla soglia), più vicino alla soglia
del potenziale d’azione si è meglio è, anche se non è proprio così, perché più vicino alla soglia si è
meglio è, ma l’effetto di ogni singolo evento eccitatorio sarà più piccolo e questo è dovuto al fatto
che la sommazione non è lineare, questo ci ricorda come mai nella liberazione quantale del
neurotrasmettitore si liberavano solo 1-3 quanti perché si sommavano linearmente. Più che ci si
avvicina al potenziale a cui tende la membrana sotto l’azione del neurotrasmettitore, più l’effetto
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dell’inserimento di un’altra conduttanza in parallelo sarà piccolo rispetto all’effetto totale che si
osserva. L’effetto è molto grande se le due membrane (quella della regione eccitata e quella delle
regioni adiacenti) si trovano a livelli di conduttanze molti diversi, se già si è modificata molto la
conduttanza delle regioni adiacenti, l’effetto che si osserverà sarà molto piccolo (effetto di
sommazione non lineare).
• La VICINANZA/FORZA SINAPSI VICINE ATTIVE.
• La STORIA, ovvero l’attività dipendenza delle sinapsi, lo stato metabolico, l’attivazione delle cascate
dei secondi messaggeri, che potranno andare a modificare il livello di espressione dei recettori,
quanti recettori per i neurotrasmettitori si trovano in membrana. Quindi se c’è stata una serie di
segnali facilitatori si saranno inseriti più recettori di membrana per quel determinato
neurotrasmettitore quindi l’effetto che si osserverà sarà più grande (questo può avvenire in senso
di facilitazione o inibizione a lungo termine).

Quindi in ogni momento abbiamo il valore


soglia e il suo raggiungimento è il fattore critico
per l’attivazione della zona trigger, è
importante che lo stimolo arrivi sopra la soglia,
dopo tutta la sommazione, in questa zona,
mediando appunto la collisione di fenomeni
elettrotonici, quindi passibili di sommazione,
che possono avere anche segno diverso. Quindi
un EPSP e un IPSP, isolato magari da un evento
sopra soglia, se avviene prima l’IPSP, non si
raggiunge più la soglia per il potenziale
d’azione, quindi c’è un segnale di STOP sulla
generazione del bit di informazione.

Le sinapsi eccitatorie sono in numero molto


elevato (quindi il livello di integrazione del
segnale eccitatorio è molto grande), sono
principalmente dendritiche e avvengono
principalmente sulle spine dendritiche; le
sinapsi inibitorie invece, sono in numero
tendenzialmente minore, sono disposte più
vicino al segmento integratore e quindi sono
molto spesso somatiche. Rare sinapsi sono
asso-assoniche. La classificazione delle sinapsi
le divide in tipo 1 (prevalentemente
eccitatorie) e tipo 2 (prevalentemente
inibitorie).
Il compartimento delle spine dendritiche è
divenuto famoso in questi anni, perché è il
compartimento della ricezione dell’input
eccitatorio, ed è un compartimento
estremamente dinamico. Come sappiamo, i
neuroni sono arrestati in una fase post-
mitotica, non possono modificare il loro
numero (anche se questo è il target di tutta la
medicina rigenerativa contemporanea), però
sono estremamente dinamici a livello della loro struttura, possono, ad esempio, andare incontro ad una
notevole plasticità, ad un aumento o ad una diminuzione del numero delle spine dendritiche, sulla base
degli input e dell’attività a cui è sottoposta una rete neuronale.
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Vediamo ora come possiamo visualizzare la soglia del potenziale d’azione nel compartimento di input e nel
compartimento di processazione dell’output. La soglia del potenziale d’azione è molto elevata a livello del
soma e dei dendriti, ciò vuol dire che occorrono degli stimoli di ampiezza molto grande per avere la
generazione di un potenziale d’azione nella zona di input dell’innesco, perché i fenomeni appunto si
attenuano notevolmente per il fenomeno della convulsione elettrotonica; a livello della zona di output,
della zona trigger, la soglia cala bruscamente, il potenziale di membrana a riposo diventa molto più basso, e
da qui in poi troviamo, ad altissima densità, i canali ionici necessari alla generazione del potenziale d’azione
che procede senza decremento (sia che la conduzione sia saltatoria, sia che sia per circuiti locali).

I fenomeni che avvengono sul compartimento di input possono sommarsi nel tempo e nello spazio:
• NEL TEMPO:
Una stessa sinapsi attivata più volte in
sequenza dà origine a due fenomeni. Questa è
la corrente sinaptica eccitatoria che è dovuta
all’apertura dei canali (immagine a fianco).
Se la membrana che consideriamo ha una
costante di tempo lunga, questo significa che
una volta polarizzata, torna lentamente al
potenziale di riposo, se in questo lasso di
tempo arriva un secondo stimolo, si somma al
primo e magari si arriva alla soglia del
potenziale d’azione; se la membrana ha una
costante di tempo più breve (20 ms), il
secondo stimolo trova la membrana già
ripolarizzata e quindi non si ha nessuna
sommazione.
• NELLO SPAZIO:
Si può andare incontro a sommazione spaziale se si attivano contemporaneamente due sinapsi
poste a distanza. Il fattore determinante è la costante di spazio, considerando una membrana con
una costante di spazio lunga (che prevede una bassa attenuazione del fenomeno mentre si
propaga), quando nel punto di collisione arriva un primo stimolo che incontra un secondo stimolo,
si avrà un evento di ampiezza più grande, fino ad arrivare alla soglia del potenziale d’azione; se la
costante di spazio è corta, il livello di sommazione sarà molto più piccolo.

Ciò che conta, quindi, è comparare


le proprietà della zona di input
rispetto alla zona trigger. La
distinzione tra compartimento
analogico e digitale è abbastanza
semplificata usando un
esperimento, perché nel primo
compartimento avremo una
propagazione con decremento e
che può procedere in entrambe le
direzioni (questo è il principio
fondamentale dei circuiti locali, si
va solo dal + al -, come in tutti i
circuiti elettrici governati
dall’elettrologia), nel secondo
invece, la propagazione procede
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senza decremento ed è unidirezionale (dalla zona trigger al terminale assonico) per le proprietà del
potenziale d’azione che prevedono di lasciarsi dietro un’ombra di refrattarietà che impedisce la
propagazione retrograda. Utilizzeremo queste differenze della propagazione con decremento e
dell’unidirezionalità per distinguere le proprietà dei due compartimenti; supponiamo di avere a
disposizione due sinapsi, A e B, disposte su soma e dendriti (quindi nel compartimento analogico di input di
un neurone), e due elettrodi di registrazione, uno nel soma (V1) e uno messo a distanza nel dendrite (V2), in
corrispondenza della sinapsi A.
Supponiamo ora di attivare la sinapsi asso-dendritica A (quella in figura è una sinapsi inibitoria) e registrare
dai due punti che abbiamo a disposizione: si osserverà una risposta di una certa ampiezza se si registra dal
dendrite e una molto diminuita se si registra dal soma, questo è il risultato della propagazione con
decremento, quindi possiamo immaginare di essere in un compartimento analogico.
Stimolando la sinapsi asso-somatica B, quando si registra da B si osserva un IPSP di una certa ampiezza, se si
registra da A si osserva di nuovo, e quindi la propagazione è bidirezionale, ma di ampiezza diminuita.

Ci sono due termini, piuttosto datati, per indicare la direzione di propagazione del potenziale d’azione, che
però si ritrovano ancora nei libri. Quando la propagazione segue la direzionalità del potenziale d’azione,
chiamo questa propagazione “ortodromica” (“orto” vuol dire che “va bene, nel senso previsto”, “dromos” è
la radice greca di “corsa”, quindi una corsa che va nel senso giusto, concorde al potenziale d’azione);
quando invece osservo una propagazione che va nel verso opposto, dal soma verso i dendriti, chiamo
questa propagazione “antidromica”, quindi contro il senso del potenziale d’azione.

La suddivisione in compartimento analogico, digitale e zona trigger è costata molta fatica agli
sperimentatori (come Eccles), questo ci è molto risparmiato, però bisogna rendersi conto della estrema
complessità, anche del ragionamento fatto per arrivare ad una conclusione che pare così semplice e che è
stata poi provata in maniera più semplice da tecnologie disponibili grazie al progresso scientifico.
Alla fine degli anni ’50 gli sperimentatori andarono ad analizzare la risposta in termini di generazione del
potenziale d’azione di un neurone stimolato ortodromicamente o antidromicamente, osservando quali
erano le conseguenze se stimolavano dall’assone verso il soma o dal soma verso l’assone. Dall’analisi delle
risposte ottenute, soprattutto dalla
derivata delle risposte ottenute,
ricavarono come informazione che il
potenziale d’azione si genera solo dal
colletto assonico e da qui si propaga
ortodromicamente (nel senso giusto),
ovvero verso il terminale assonico, ma
si propagava anche antidromicamente,
non c’è ragione per cui una grande
depolarizzazione, che si genera nella
zona trigger, non si propaghi anche nel
compartimento analogico; lo farà però
con decremento, senza i canali del
sodio e del potassio, senza
autorigenerarsi, quindi come
fenomeno elettrotonico (che segue le
leggi della propagazione nelle reti di
circuiti di resistenze e condensatori di
membrana).
Nella prossima lezione vedremo che la situazione si complica ulteriormente, perché ogni volta che c’è un
potenziale d’azione, questo provoca una modificazione dello stato funzionale del soma e dei dendriti,
quindi l’arrivo dell’informazione è modificato anche dalla presenza o meno del potenziale d’azione nella
zona trigger. Siamo ad un livello di complicazione parecchio elevato, perché la generazione di un potenziale
d’azione non solo dipende da quanti stimoli eccitatori e inibitori arrivano e da dove giungono questi stimoli,
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se vicino o lontano dalla zona trigger, ma dipende anche dal fatto che il neurone stia generando un
potenziale d’azione o meno. Queste (immagine a fianco) sono le registrazioni originali di Eccles, questa è la
derivata di segnale e da tutto questo ricavarono queste informazioni, un approccio estremamente elegante
quanto complesso, non a caso valse il premio Nobel.
Quindi, il potenziale d’azione viene generato nella zona del colletto, perché a quel livello otteniamo il primo
potenziale d’azione, dove si manifesta la prima grande depolarizzazione. Adesso abbiamo a disposizione le
tecnologie per osservare il potenziale d’azione in diretta, senza derivarlo in modo così complicato dalle
registrazioni.
Questi sono esperimenti di registrazione: ci sono tre microelettrodi posizionati, uno nel soma, uno in
un’estremità dendritica e uno nell’assone; il neurone considerato è un neurone CA1 piramidale della
corteccia dell’ippocampo (ne vengono fatte fettine da osservare in vitro con facilità) caricato con un
colorante (giallo luciferina) che permette di visualizzarlo e di ricostruire la sua struttura, la sua istologia,
sappiamo esattamente dove abbiamo messo gli elettrodi che sono sia di stimolazione che di registrazione;
tutte le registrazioni sono patch clamp e che dimostrano appunto che il potenziale d’azione si origina dal
colletto assonico.
Analizziamo uno stimolo sopra soglia (una
grande depolarizzazione) e andiamo a registrare
le conseguenze di questo stimolo nei vari
compartimenti: vediamo una grande
depolarizzazione che molto spesso ha una
forma che è equivalente a quella del potenziale
d’azione soprattutto nell’assone; nel soma
osserviamo delle grandi depolarizzazioni di
forma e durata temporale compatibili col
potenziale d’azione; se ci spostiamo lungo i
dendriti, vediamo una depolarizzazione che, a
parte il ritardo, è di ampiezza minore, quindi è
compatibile con un fenomeno che si è generato
dalle parti del soma-assone e che si sta
propagando con decremento lungo la arborizzazione dei dendriti. Questo ci dice che lungo la direzione
dendritica, il fenomeno si propaga con modalità di tipo passivo-elettrotonico, quindi siamo nel
compartimento analogico di input. Rimane ora la domanda se il potenziale d’azione si è generato nel soma
o da qualche parte dove il soma diventa assone (colletto assonico), a cui si risponde facendo il confronto
delle tempiste: il primo picco che
si è registro, è quello associato al
potenziale d’azione assonico,
quindi significa che il primo
potenziale d’azione si è generato
a livello di dove il soma passa ad
assone. Questi esperimenti sono
di Zachman, un ricercatore che
ha vinto il Nobel per la tecnica
del patch clamp.

Questa figura presa dal “Kandel &


Schwarz” mostra una
ricostruzione di questi
esperimenti andando a vedere
ciò che ci si aspetta per dei
fenomeni che si propagano lungo
un compartimento di input fino a
raggiungere il trigger e poi il
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terminale assonico, quindi secondo una propagazione anterograda (ortodromica). Stimolando un dendrite
distale, sia che questa stimolazione sia sotto o sopra soglia nel colletto assonico, si vede un effetto di
depolarizzazione che via via si attenua fino ad arrivare al colletto assonico (questo vale sia per le sinapsi
eccitatorie che per quelle inibitorie, sia che sia una depolarizzazione o una iperpolarizzazione).
Cosa succede quando a livello della zona trigger si genera il potenziale d’azione? Questo si propagherà in
senso anterogrado, quindi fino al terminale assonico, perché la propagazione è unidirezionale; si
propagherà anche in senso retrogrado lungo tutto il soma e l’arborizzazione dei dendriti, però lo farà come
fenomeno elettrotonico e quindi lo troveremo via via sempre a tempi successivi (ritardato), e di ampiezza
via via minore, come ci si aspetta da tutti i fenomeni di propagazione passivi (per circuiti locali). Quindi il
potenziale d’azione si propaga anche nel compartimento di input, ma con modalità passiva, andando ad
influenzare le sue proprietà.

Oggi per studiare la propagazione del potenziale d’azione esistono tecniche diverse che non prevedono
l’utilizzo di elettrodi, come delle tecniche ottiche che utilizzano dei sensori di voltaggio in membrana,
ovvero proteine che si inseriscono naturalmente nella membrana ed hanno delle proprietà ottiche che
variano con il potenziale di membrana.
In questa immagine vediamo un neurone di invertebrato (ma questo non è importante), in cui sono
presenti più siti di registrazione da cui vengono registrati i segnali ottici; il tratto rosso è una registrazione
elettrofisiologica (ottenuta quindi con degli elettrodi) di un potenziale d’azione generato a livello della zona
trigger, e questo verrà usato per fare un confronto con i dati ottenuti mediante l’altra tecnica. Cosa si
registra nella sezione di input mediante il segnale ottico? Si registra un fenomeno che, se lo registro nel
soma è praticamente coincidente al potenziale d’azione che si è generato nella zona trigger, ma via via che
mi allontano questo diminuisce d’ampiezza fino a scomparire. Quindi la propagazione del potenziale
d’azione nel soma e nei dendriti avviene con modalità di tipo elettrotoniche, questo conferma i risultati
degli esperimenti di Eccles, per cui il compartimento di input è un compartimento dove si possono generare
solo fenomeni passivi, non ci sono o ci sono pochi canali sodio/potassio per il potenziale d’azione e il
colletto assonico è il punto dove si passa da compartimento analogico a compartimento digitale.

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Fisiologia – Lezione n° 19
28/11/2019

Data: 28/11/19
Materia: FISIOLOGIA
Professore: TESI
File audio di riferimento:
Controllore: PRATESI
Coppia: NOBILI - NESTI

Richiamo lezione precedente

Nella lezione di ieri avevamo visto i tipi vari di integrazione neuronale e la suddivisione nei compartimenti:
come regioni neuronali specializzate nella generazione di fenomeni elettrici di natura elettrotonica ,soma e
dendriti, realizzando un compartimento analogico; oppure il compartimento di output ,dove nelle membrane
non sono presenti canali aperti da neurotrasmettitori, e quindi un compartimento digitale dove viene o non
viene generato un potenziale d’azione. Il segmento integratore, con un ruolo chiave fra i due compartimenti,
dove si sommano gli effetti eccitatori ed inibitori che sono ricevuti in ogni momento dall’arborizzazione
dendritica e dal soma di ogni neurone: se è sopra-soglia si genera un potenziale d’azione, che verrà condotto
in senso anterogrado fino alla terminazione nervosa senza attenuarsi; si propagherà anche in modo
retrogrado nel compartimento soma e dendriti ma, in questo caso, attenuandosi come previsto dalla
propagazione dei segnali nei circuiti locali, non venendo autorigenerato poichè non sono presenti canali
voltaggio-dipendenti del potenziale d’azione.
Teniamo presente che in realtà non è che non sono
presenti canali sodio-voltaggio del potenziale
d’azione; questi sono presenti ma a concentrazione
molto bassa, e ciò comporta che la soglia nel
compartimento di integrazione sia estremamente
alta. Questo però non vuol dire che il
compartimento del soma e dei dendriti – il
compartimento di input – non possa generare dei
potenziali d’azione, perché alcuni canali Na+ eK+ ci
sono, solo che sono talmente pochi che occorrono
stimoli molto grandi per poter arrivare alla soglia
della loro apertura.

POTENZIALE DI AZIONE Ca2+-DIPENDENTE


In questo compartimento si possono generare un’altra classe di potenziale d’azione, che sono i potenziali
d’azione Ca2+ dipendenti.

Il ruolo della generazione del potenziale d’azione nel compartimento di input è molto studiato, ma in gran
parte sconosciuto. Ma a cosa servono questi potenziali d’azione?
Servono, forse, ad amplificare l’insieme dei segnali eccitatori che arrivano al compartimento di input,
aggiungendoci ovviamente una grande depolarizzazione di tipo potenziale d’azione; servono a rafforzare la
propagazione delle informazioni anche in direzione retrograda perché, essendo un segnale molto grande, si
propaga verso il segmento integratore ma anche all’indietro, ed essendo molto grande si attenua poco, e
quindi andrà a rafforzare l’effetto di una depolarizzazione che sta avvenendo anche nel più lontano dei
dendriti, aggiungendoci questo extra-contingente di un potenziale d’azione. Oppure servono esattamente al
contrario, dando una grande cancellata alla lavagna costituita dal segmento di input, il quale viene
bombardato da tantissimi segnali eccitatori ed inibitori.

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Fisiologia – Lezione n° 19
28/11/2019

Come un potenziale d’azione possa essere dovuto anche ad una corrente di calcio era già stato accennato
nella spiegazione dei canali voltaggio-dipendenti nel terminale pre-sinaptico. Ciò si può schematizzare in
modo molto semplice: il potenziale di membrana di riposo è un valore intorno ai -70 mV; sappiamo che il
potenziale di equilibrio di Na+ è un valore di circa +40/+60 mV, e il potenziale di equilibrio di Ca2+ è un valore
molto vicino al potenziale di equilibrio del Na+ (in realtà, a volte, è leggermente più positivo). Quindi, se si
apre un insieme di canali che mediano un aumento della conduttanza al Ca2+, il sistema diventa un sistema
che risponde esclusivamente allo ione Calcio, definito elettrodo al Calcio. Se la conduttanza al Ca2+ è quella
prevalente rispetto a quella di tutti gli altri ioni, il potenziale di membrana segue la solita regola e si sposta su
un valore rappresentato dalla media ponderata di tutti i potenziali di equilibro degli ioni ponderato per il peso
delle conduttanze; se la conduttanza al Calcio è quella prevalente, è il peso del Ca2+ che è quello prevalente,
e il potenziale di membrana si sposta su valori positivi. Quindi ci si aspetta una generazione di un potenziale
di azione dovuta al raggiungimento della soglia di apertura dei canali Ca2+ voltaggio-dipendenti. Di solito
questa cinetica di salita è più lenta dei potenziali d’azione Na2+-dipendenti, per ragioni molecolari.
Esempi di questo tipo di potenziale li troveremo nelle cellule-pace maker cardiache, in cui la corrente di Na2+
non c’è ed è sostituita da una corrente di Ca2+ attraverso il canale Calcio voltaggio-dipendente. Questo avviene
in molti sistemi in cui vengono utilizzati canali Calcio-dipendenti, ma ovviamente stiamo parlando di sinapsi
interneuroniche, di integrazione neuronale, e quindi possiamo fare degli esempi che sono legati alle funzioni
neuronali; ed i potenziali d’azione Ca2+-dipendenti si trovano spesso nel compartimento soma e dendriti dei
neuroni (ad esempio: nei neuroni di Purkinje della corteccia cerebellare)

Metodi di studio del potenziale calcio-dipendente


Come si dimostra che un potenziale d’azione è Calcio-dipendente e non Sodio
dipendente?
(oltre al fatto già citato che il canale Ca2+-dipendente è più lento nella salita).
Se si aggiunge Tetradotossina (TTX) il potenziale d’azione non scompare,
poiché questo blocca i canali Na; viceversa, il potenziale d’azione scompare
con dei bloccanti selettivi del canale calcio ,come i metalli pesanti o l’ω-
glutoxim.
Quindi dal punto di vista farmacologico ho molti strumenti che posso utilizzare
per discriminare la natura della corrente prevalente che media la base di
depolarizzazione di un potenziale d’azione.
Un altro strumento è quello di visualizzare la corrente di calcio in ingresso perché, mentre gli indicatori del
Na sono una classe molecolare molto più difficile da disegnare, da realizzare, da utilizzare per lo
sperimentatore, di indicatori del Ca ne esistono tanti tipi, e diffondono liberamente attraverso le membrane.
Se viene caricato un neurone con un indicatore di Ca2+ come il Fura-2, vedo che in corrispondenza dei
potenziali d’azione si ha anche un gradiente di Calcio, ovvero, l’aumento di Ca2+ intracellulare.
Il sistema del calcio è molto sensibile perché il calcio intracellulare ha una concentrazione a riposo sub
μMolare, quindi è un sistema in cui virtualmente la concentrazione del Calcio intracellulare è zero, o molto
molto bassa, quindi il sensore ha un lavoro facile; basta anche un aumento molto piccolo per poter essere
rilevato, rispetto ad un valore di fondo che è zero. Questo significa che c’è un’ottima relazione tra rumore di
fondo e segnale da rilevare. Per il Na è molto più difficile, perché le concentrazioni sono spostate
nell’intervallo dei valori dei mMol. Il gradiente ha la stessa direzione, con il Na più concentrato fuori che
dentro, ma siamo in un ordine di grandezza di mMol; il Ca ha la stessa direzione ed è più concentrato fuori
che dentro, ma fuori è 1-2 mMol, e dentro è sub μMol, quindi siamo svariati ordini di grandezza al di sotto.
Per questo motivo i tracciati di calcio sono estremamente efficaci nel rilevare le modificazioni di
concentrazione. Possiamo vederlo in un esperimento, come quelli che abbiamo visto nella lezione precedente,

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Fisiologia – Lezione n° 19
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dove appunto con un elettrodo da patch di registrazione dal soma o dai dendridi, e un elettrodo di
stimolazione posto in vicinanza del neurone da cui registriamo ; fatto su sezioni prese di solito da fettine di
corteccia cerebrale dell’ippocampo particolarmente adatte a questo tipo di studio. Vediamo che in
coincidenza di una stimolazione di grande entità si realizza una grande depolarizzazione a cui si associa un
transiente di calcio, equivalente al collidere sulla sezione di input di un neurone di tanti stimoli eccitatori e
pochi inibitori.

Destino del potenziale d’azione calcio-dipendente


Questa grande depolarizzazione che si propagherà in senso retrogrado attenuandosi, andando quindi ad
influenzare tutto il processo di integrazione neuronale che avviene sul segmento di input; andandosi a
sommare a ciò che sta avvenendo sull’attivazione delle diverse sinapsi, ma nello stesso tempo si propagherà
anche verso il segmento integratore, e, arrivato al segmento integratore, essendo una grande
depolarizzazione, sarà sopra-soglia. Quindi, a livello del segmento integratore, il potenziale d’azione calcio-
dipendente si trasforma in un potenziale d’azione Na+-dipendente.
In realtà la situazione si complica perché, quando le depolarizzazioni sono molto molto grandi, associate
anche ad un aumento del calcio intracellulare, quello che succede nel segmento integratore può essere
diverso: si arriva alla soglia del potenziale d’azione, ma non si genera solo UN potenziale d’azione ma si genera
un’attività a rimbalzo, con più potenziali d’azione in sequenza, formandosi frequenze diverse del potenziale
d’azione.

Più grande è la depolarizzazione che si ha, maggiore sarà la frequenza a cui si generano i potenziali d’azione.
La modulazione quindi non riguarderà solo un evento On/Off, ma si modulerà anche un evento in frequenza.
Si passa da un compartimento analogico, in cui la modulazione è in ampiezza, dove i fenomeni si sommano,
ad un compartimento digitale, in cui si genera o non si genera un potenziale d’azione e si modula la frequenza
dello stesso.
Vedremo che una logica di questo tipo sarà quella poi utilizzata nei recettori sensoriali, totalmente in periferia,
quando si rilevano gli stimoli di intensità sensoriale crescente, che sappiamo tutti dare origine a sensazioni di
intensità crescente, e a percezioni anche, poiché molto spesso noi ne siamo consapevoli.
La stimolazione sensoriale tattile di piccola intensità la so distinguere da una grande. Questo avviene perché
uno stimolo modulato in ampiezza, modulerà dei fenomeni del tipo EPSP in ampiezza, che a loro volta poi si
tradurranno in una modulazione in frequenza del potenziale d’azione. Dalla periferia del mio palmo di mano
io posso inviare segnali alla mia corteccia cerebrale che interpreterò come un segnale tattile, soltanto
utilizzando il potenziale d’azione che non si attenua nella propagazione. Il potenziale d’azione è un fenomeno
On/Off: l’unica possibilità di modulazione non riguardono l’ampiezza, ma la frequenza. Questo è qualcosa che
avviene anche come risultante dell’integrazione neuronale nella corteccia cerebrale: a seconda dell’insieme
degli input che arrivano, la loro sommazione, a cui si aggiunge l’eventuale generazione di fenomeni come i
potenziali d’azione calcio-dipendenti, la risultante del segmento integratore sarà la generazione o meno del
potenziale d’azione, ma anche il suo pattern di frequenza; è un livello di complicazione ulteriore, perché il
segnale del potenziale d’azione costruisce delle parole mediante 0 e 1, in cui però spuntano , non soltanto la
frequenza, ma anche il pattern con cui questi potenziale d’azione si associano.
Per fare un esempio periferico, che è più facile, uno stimolo piccolo si associa ad una frequenza più bassa;
uno stimolo più grande ad una frequenza più alta. Già così, analizzando il sistema in periferia, che è più
semplice, vediamo come conti questa logica di frequenza nel costruire le parole che poi vengono parlate dagli
elementi costitutivi del sistema nervoso a tutti i livelli.Quindi tutto questo significa che i potenziali d’azione
somatici e dendritici , in particolare quelli Ca2+ dipendenti , hanno un ruolo fondamentale nell’integrazione
neuronale, nella concentrazione di informazioni, un ruolo che è però gran parte sconosciuto, ed è uno degli
oggetti principali della ricerca contemporanea.

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Potenziale di azione nelle cellule del Purkinje

Un esempio di questi potenziali d’azione è

appunto quello che vediamo a livello dei neuroni del Purkinje.


Questo è un grandissimo neurone di Purkinje che ha una
grandissima arborizzazione dendritica, un’arborizzazione uniplanare a spalliera, molto grande; e queste sono
le risposte che si possono ottenere in termini di potenziale
d’azione dal compartimento soma-dendriti, dal soma, e
infine dal segmento integratore. Quella che vediamo è la
possibilità di avere due risposte di base: una ad elevata
frequenza, ed una a minor frequenza. Quello che osservo
è che la risposta che ha un potenziale d’azione e che ha una
minor frequenza, io la registro di ampiezza maggiore nel
compartimento dei dendriti e via via di ampiezza minore
mentre arriva al soma e al segmento integratore; questo
potenziale d’azione è un potenziale d’azione dendritico, che
si origina dalla periferia più estrema e si propaga con un decremento.
Invece il potenziale d’azione a elevata frequenza è un potenziale d’azione che si genera dal segmento
integratore, perché è di elevata ampiezza, quando io lo registro dal soma, e quindi vicino al segmento
integratore; e lui invece diminuisce di ampiezza fino ad attenuarsi del tutto via via che risalgo
nell’arborizzazione dendritica. Questo è un potenziale d’azione somatico, ovvero dovuto al segmento
integratore; e questo invece è un potenziale d’azione dendritico.
Per provare tutto questo utilizzo i bloccanti che vi dicevo prima: se aggiungo TTX vedo scomparire il potenziale
d’azione a elevata frequenza, quello che si attenuava propagandosi lungo l’arborizzazione, perché già avevo
utilizzato questo potenziale d’azione che si originava dal segmento integratore, quindi un potenziale d’azione
classico, dovuto ad una corrente entrante di acqua e di Na+, infatti lo vedo scomparire; mentre rimane
inalterato il potenziale d’azione dendritico

Il ruolo di questi potenziali d'azione calcio-dipendenti nel soma è dedotto soprattutto sulla base della
funzione cerebellare. Quello che si sa sulla base di questa è che la frequenza con cui si presentano questi
potenziali d'azione dendritici, che in questo caso vengono detti “spike complessi”, correla con
l'apprendimento motorio.

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Analizziamo un caso di apprendimento motorio.

Consideriamo il caso in cui si debba sollevare una sbarra di cui viene improvvisamente cambiato il peso:
durante la fase in cui si apprende a svolgere il movimento in modo fluido, aumenta molto la frequenza dei
potenziali d'azione complessi; quando l'abbiamo imparata, questa frequenza ritorna al livello di base.
Considerando invece la frequenza degli spike semplici, possiamo dire che essa correla con il tipo di
movimento. Per esempio questa frequenza:

-aumenta a seconda del peso della sbarra, e quindi della forza muscolare che viene esercitata;
-rimane inalterata durante tutta l'esecuzione del movimento.

Questa osservazione, che si deduce semplicemente dalla scarica cerebellare (in modo molto grossolano
anche) ha fatto ipotizzare come questi potenziali d’azione dendritici siano anche funzionali
all'apprendimento neuronale, in tutte le forme. Dalla funzione cerebellare, poi, si configura un
apprendimento di natura motoria, ovvero questi potenziali d’azione dendritici sono alla base anche di
fenomeni di plasticità. Questi vedono una risposta dell'eccitabilità neuronale che dipende anche dalla storia
del neurone stesso, da ciò che è accaduto prima, che modifica poi la risposta in modulazione dell'eccitabilità.
Quindi, sulla base delle informazioni che ho ricevuto in passato, rispondo in modo diverso alle informazioni
che mi stanno arrivando in questo momento (fenomeno dell’apprendimento) . Tutto questo ovviamente è
oggetto di molti studi e di modelli, nonche’ uno dei principali soggetti della ricerca contemporanea.
Solitamente l'ingresso di calcio all'interno delle spine dendritiche e dei dendriti avviene attraverso i canali al
calcio voltaggio-dipendenti ma puo’ avvenire anche attraverso i recettori agli amminoacidi eccitatori di
classe MMDA. I canali si aprono soltanto se la membrana è depolarizzata, se quindi c'è stato l'arrivo
dell'informazione eccitatoria precedente. Quindi questo sistema è funzionale a modificare la risposta in base
all'attività: se c'è stata un'attività precedente, arriva un nuovo stimolo (una nuova informazione), trova la
membrana depolarizzata, si riescono ad aprire anche i canali MMDA, e si ha l'ingresso di calcio.

Ovviamente l'aumento di calcio intracellulare serve sì a generare il potenziale d'azione, il calcio è uno dei
principali secondi messaggeri e infatti l'aumento del calcio intracellulare innesca una miriade di cascate di
segnalazione. Nella prossima lezione, sulla plasticità neuronale, vedremo come quest'aumento di calcio si
possa tradurre in una long term tension or depression, ovvero un aumento o diminuzione a lungo termine
dell'eccitabilità, sulla base della storia.
L'aumento del calcio è un fenomeno quindi che, sul momento viene associato all'aumento del potenziale
d'azione, ma può avere conseguenze molto grandi in un secondo momento, che possono arrivare fino alla
modificazione dell'espressione genica e quindi anche alla modificazione delle classi e del numero di recettori
e di neurotrasmettitori che si trovano in membrana e quindi a un aumento o una diminuzione della sensibilità
ai neurotrasmettitori.

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Si può potenziare l'effetto di un


neurotrasmettitore, se il neurotrasmettitore
trova più recettori di membrana oppure
eliminare l'effetto di una sinapsi di un
determinato neurotrasmettitore, se si
rimuovono tutti i recettori.
Quindi, attraverso la modulazione dei recettori si
può avere una modulazione della forza sinaptica,
ma questo comporta una modificazione
dell'espressione dei geni e quindi una
modulazione di moltissime cascate di
segnalazione.
Riassumendo: il compartimento soma dendritico e’ il luogo dove si sommano i fenomeni elettrotonici di
natura eccitatoria o inibitoria, che si propagano con decremento fino al segmento integratore, di tipo assonico.
Dove inizia l'assone, qui si trova il canale sodio, il potenziale d'azione si genera e si propaga senza decremento.
Ovviamente sul soma e sui dendriti arrivano informazioni col segno "+" o col segno "-", ovvero EPSP o IPSP,
a seconda della sinapsi, del mezzo trasmettitore prevalente, che viene liberato dalla sinapsi. Per cui i fenomeni
si sommano poi con il loro segno. Ad esempio, se abbiamo contemporaneamente due sinapsi eccitatorie
oppure in rapida sequenza la stessa sinpasi eccitatoria, arriviamo alla soglia. Sommandoci poi una sinapsi
inibitoria, la soglia non viene piu raggiunta. La sommazione chiaramente può avvenire anche con un criterio
spaziale, stimolando due sinapsi poste a distanza.
Nell’immagine vediamo: se stimoliamo insieme A e C, una sinapsi eccitatoria e una inibitoria, non abbiamo
nessuna modificazione del potenziale di membrana. I concetti fondamentali sono quindi: sommazione
temporale, sommazione spaziale, sinapsi eccitatorie, sinapsi inibitorie, inibizione post sinaptica, ma anche
la possibilità di inibizione pre-sinpatica (ovvero quei meccanismi che possono andare a diminuire la
liberazione di neurotrasmettitore da una sinapsi eccitatoria) oppure fenomeni di facilitazione. Infatti, ci sono
anche delle sinapsi, come per esempio quelle che liberano serotonina, che possono indurre la facilitazione,
ovvero che aumentano la quantità di neurotrasmettitore liberato.

L'inibizione e la facilitazione pre sinaptica agiscono tutte sui


livelli di calcio intracellulare, ovvero diminuiscono o
aumentano la quantità di calcio che entra quando il terminale
si depolarizza mediante una modulazione della probabilità di
apertura dei canali al calcio voltaggio-dipendenti del terminale
sinaptico.

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I principali neurostrasmettitori sono molti; abbiamo analizzato in particolare: l'acetilcolina, gli amminoacidi
eccitatori glutammato
e aspartato, i derivati
degli amminoacidi (ad
esempio l'acido
gamma-
aminobutirrico) e
anche direttamente
alcuni amminoacidi
(come la glicina), che
invece hanno un ruolo
inibitorio. Poi ci sono
le catecolammine:
adrenalina,
noradrenalina e la
dopamina, di cui
parleremo più
ampiamente nel corso di fisiologia 2. Importante anche la serotonina.
Questi sono i neurotrasmettitori, ma abbiamo detto che la funzione di un neurotrasmettitore è mediata dai
recettori con cui interagisce e ci sono svariate classi di recettori, sia ionotropici che metabotropici con cui ogni
neurotrasmettitore può interagire.
L'acetilcolina ha recettori nicotinici, i recettori canale e i recettori muscarinici di natura metabotropica. Per il
glutammato esistono dei recettori sia ionotropici che metabotropici. Per il GABA lo stesso: possono esserci
dei recettori gabaergici sia ionotropici che metabotropici. Le catecolammine per esempio hanno solo recettori
metabotropici (quindi recettori ad azione indiretta, che modulano l'effetto sulla probabilità di apertura di
canali posti a distanza quindi mediano una trasmissione che è sempre più lenta).

Infatti abbiamo detto che non solo la trasmissione può variare di segno (ossia può essere eccitatoria o
inibitoria) ma può anche essere rapida o lenta. Quella rapida è quella che agisce attraverso i recettori
ionotropici, quella lenta agisce su quelli metabotropici.
Altri neurotrasmettitori sono anche le purine, ci sono anche moltissimi neurotrasmettitori di natura peptidica,
di natura gassosa (l'ossido nitrico, la CO2), ma questi esempi li incontreremo soprattutto nel corso di fisiologia
2. Anche in questi casi sarà il recettore l'elemento determinante che coniugherà l'azione del
neurotrasmettitore.

Il principio di Dale secondo cui in una sinapsi c'è un unico neurotrasmettitore o comunque un
neurotrasmettitore principale e qualche cotrasmettitore ma comunque con un ruolo gerarchico inferiore, è
un principio largamente superato. E anche questo lo vedremo in fisiologia 2, studiando soprattutto i circuiti
a livello del sistema enterico, dove è molto chiaro. Qui i neurotrasmettitori vengono usati molto spesso in
“cocktail”, ovvero: come ruolo sono tutti allo stesso livello gerarchico, spesso si associano neurotrasmettitori
eccitatori e inibitori, e anche neurotrasmettitori di classi molecolari molto diverse, creando un cocktail di
neurotrasmettitori che identifica la sinapsi (non è più un unico neurotrasmettitore che la identifica!).
Prima, per classificare i neuroni, si utilizzava soprattutto un criterio istologico (cioè a seconda di come erano
fatti). Ora metodologie contemporanee utilizzano il codice di neurotrasmissione ovvero identificano diverse
classi neuronali sulla base di diversi insiemi di neurotrasmettitori che utilizzano. Questa classificazione è
molto efficace perchè permette di classificare anche neuroni che hanno una forma molto simile o
difficilmente accessibili.
Per esempio: nel tronco dell'encefalo è molto difficile vedere come sono fatti i neuroni. Mentre nella corteccia
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cerebrale si fanno le fette e si vede abbastanza bene com'è la geometria e l'istologia dei vari neuroni. Invece
il tronco dell'encefalo, che è un sistema piccolo, compatto e difficilmente accessibile e che contiene le reti
neuronali di interesse cruciale per la sopravvivenza degli animali, è molto difficile da analizzare. Per questo
motivo i suoi neuroni sono tutti (o comunque in gran parte) identificati in base al codice di neurotrasmissione.
Soprattutto nella formazione reticolare, che è a compartimenti, dove non c'è una logica di organizzazione in
nuclei e quindi l'identificazione del singolo neurone è molto difficile.
Riassumendo, esistono due tipi di recettori:

• Recettori a regolazione diretta, recettori canale, di natura ionotropica

• Recettori a regolazione indiretta, regolano indirettamente lo stato di apertura di un canale posto a


distanza sulla membrana, mediante cascate di secondi messaggeri di natura breve.

Modulazione dello stato di apertura


L'interazione tra neurotrasmettitore e recettore modula lo stato di apertura: non è che queste cascate
conducono sempre all'apertura di un canale. E' facile pensare
che per avere un effetto si debba aprire per forza un canale.
In realtà vedremo che talvolta la cascata di segnalazione
media la chiusura di un canale, dando luogo a un fenomeno
eccitatorio.

I recettori di natura metabotropica sono proteine


transmembrana che hanno il disegno base solito, quello che
abbiamo visto fin dall'inizio: più segmenti di attraversamento
e anche qui vediamo 7 domini transmembrana.
Questi sono i recettori metabotropici associati a cascate di
segnalazione mediate dalle proteine G, vedremo che sono
molte. Questo è un sito di legame della subunità S della
proteina G di membrana. La differenza sta nel fatto che i
recettori metabotropici sono dati da una sola subunità e
quindi ovviamente non delimitano la struttura di un canale.
Una delle cascate di segnalazione più importanti è mediata
dalla proteina G e vede l'attivazione dell'AMP ciclico (cioè
l'adenil ciclasi di membrana), che va ad attivare la protein
chinasi A (pkA). L'attivazione della pkA può, con la liberazione
della subunità catalitica, andare ad attivare altre chinasi o
fosfatasi mediando fosforilazione o defosforilazione di svariati target, tra cui anche direttamente dei canali,
modulandone lo stato di apertura.

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Altre cascate di segnalazione possono anche arrivare fino al


nucleo, perchè si possono produrre dei segnali che possono
passare la barriera nucleare, andare ad attivare (o disattivare)
dei fattori di trascrizione di determinati geni che per esempio
possono codificare per determinati canali, andando quindi ad
aumentare (o diminuire) la sintesi proteica delle subunità del
canale che poi saranno posizionate in membrana.
Qui vediamo un esempio molto bello in cui lo stato di apertura
di un canale viene modulato direttamente mediante la
fosforilazione da parte di una cascata di segnalazione, ma
aumenta anche il numero di canali presenti in membrana
mediante un segnale transnucleare. Questi effetti trans nucleari
mediano effetti a lungo termine, che si sovrappongono a quelli
a breve termine dovuti alla cascata di segnalazione
citoplasmatica.
Oltre alla pkA si può avere l'attivazione anche di altre cascate di
segnalazione.

La protein chinasi C, in questo caso si passerà attraverso la cascata di segnalazione diversa; in questo caso
l'inositolo 1,4,5 trisfosfato determina un potenziamento del transiente di calcio perchè va a mediare
l'aumento e la probabilità di apertura dei recettori del reticolo sarcoplasmatico con fuoriuscita del calcio, che
quindi aumenta il transiente di calcio citoplasmatico. Questo aumento di calcio può servire anche ad attivare
ulteriori cascate di segnalazione in particolare, un
sensore del calcio importante è la CAM chinasi, che è
calcio-calmodulina dipendente. Il calcio si lega alla
calmodulina, si attiva la chinasi che determina la
fosforilazione di determinati target. Nello stesso
modo si può avere l'attivazione della protein chinasi
C, diacil-glicerolo dipendente o ugualmente altre
risposte di fosforilazione di altri target.

L'interazione di un neurotrasmettitore con un


recettore metabotropico può avere effetti sia a lungo
che a lunghissimo termine, oltre che quello a breve
termine, che è la modulazione dello stato di apertura
dei canali posti nelle vicinanze.

SINAPSI COLINERGICA NICOTINICA


L'azione dell'acetilcolina è mediata da recettori sia ionotropici che metabotropici. L'azione su quelli
ionotropici è detta nicotinica, perchè la nicotina è l'agonista specifico del recettore ionotropico per
l'acetilcolina. Infatti la nicotina apre il recettore con la stessa efficacia con cui lo apre il neurotrasmettitore
fisiologico. L'antagonista è il curaro. Queste sinapsi sono quelle della giunzione neuromuscolare o
interneuroniche (presenti nei gangli simpatici o ortosimpatici). In ogni caso l’apertura di questo canale
determina un effetto eccitatorio potente mediato dall’ingresso di sodio e dalla fuoriuscita di potassio
attraverso lo stesso canale, con depolarizzazione.

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L’acetilcolina esterasi è l’enzima che si occupa dell’inattivazione del neurotrasmettitore che poi viene
raggiunto sul terminale mediante un trasportatore specifico e immagazzinato nelle vescicole.

SINAPSI COLINERGICA MUSCARNICA


L’azione muscarinica dell’acetilcolina è più complessa, infatti può essere sia eccitatoria che inibitoria.
L’agonista è la muscarina, un alcaloide di origine fungina (dall’amanita muscaria), si lega al recettore con la
stessa efficacia dell’acetilcolina. Non si lega al recettore nicotinico, come la nicotina non si lega al recettore
muscarinico. L’acetilcolina è un po’ un passpartout, si lega ad entrambi i recettori. La farmacologia ci aiuta ad
individuare invece delle molecole selettive solo per una delle sottoclassi del recettore presente.
L’antagonista invece è la tropina, un alcaloide di origine vegetale isolato dalla belladonna (atropa belladonna).
E non è un caso perché quando si va dall’oculista e si dilata la pupilla per poter osservare il fondo retinico, la
tropina inibisce una trasmissione di natura eccitatoria che avviene sulla muscolatura della pupilla.

Vediamo la possibilità dell’azione dell’acetilcolina con azione muscarinica sulle varie classi di recettori:
-Classe M1: che ritroveremo quando parleremo del sistema parasimpatico
-Classe M2: che ritroviamo a livello cardiaco, delle cellule muscolari lisce e possono mediare effetti sia inibitori
che eccitatori; in particolare nel cuore ha azione inibitoria mentre nel muscolo liscio eccitatoria.
Quindi l’effetto dipende dalla sottoclasse del recettore con cui l’acetilcolina impatta e soprattutto dalla cascata
di segnalazione che consegue all’intera<ione tra neurotrasmettitore e recettore.

Come viene mediata l’azione inibitoria e eccitatoria dell’acetilcolina, nella sua azione muscarina?

AZIONE ECCITATORIA
Si ha, a seguito dell’interazione con acetilcolina, come prima cosa
l’attivazione del recettore metabotropico; esso è associato alle proteine
G di membrana che indurranno la chiusura del canale del potassio
attraverso il meccanismo di fosforilazione. Dunque, questa chiusura del
canale, in seguito all’interazione con l’acetilcolina è proprio un segnale di
attivazione della cascata di segnalazione. Questi canali a potassio chiusi
dall’azione dell’acetilcolina non sono voltaggio-dipendenti, quindi hanno
un disegno molecolare che è del tutto analogo ai canali di perdita al
potassio. Quest’ultimi, però, sono sempre aperti in quanto mediano la
fuoriuscita continua del potassio, dall’esterno verso l’interno, aspetto
fondamentale nell’ambito della generazione del potenziale di riposo:
sulla base di questa differenza di concentrazione il potenziale di
membrana si porta su un valore che è vicino al potenziale di equilibrio
del potassio. I due valori non sono uguali perché c’è una residua
permeabilità al sodio e quello che conta è il rapporto di permeabilità tra
sodio e potassio.

Cosa succede quando si chiudono i canali del potassio?


Se diminuisco la permeabilità al potassio, chiudendo i canali, il contributo del sodio acquisisce maggiore
rilevanza ossia il rapporto di permeabilità si sposta a favore del sodio. Abbiamo detto che il potenziale di
membrana si situa su un valore intermedio dei due potenziali di equilibrio di Na e K, più spostato verso il K:
se io faccio contare meno il K chiudendo i canali, depolarizzo la membrana perché pesa di più il contributo
dovuto allo ione sodio. Dunque, il potenziale di membrana è un sensore dei rapporti intermembrana e può
essere inteso come la media ponderata delle 2 permeabilità. In condizioni di base, le concentrazioni ioniche

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inter ed extracellulari di Na e K non variano, cambiando però la permeabilità modifico il potenziale di


membrana.
In questo caso dunque, diversamente da quello che abbiamo visto nella lezione precedente, depolarizzo
chiudendo dei canali e diminuendo il contributo dato dalla permeabilità del potassio. E’ un meccanismo molto
potente per generare un EPSP perché in questo modo aumento la resistenza della membrana e questo
significa che ,se arriva una corrente eccitatoria, questa mi produrrà un effetto più grande di depolarizzazione.

AZIONE INIBITORIA
L’azione dell’acetilcolina con attività muscarinica può essere anche inibitoria, avremo quindi il meccanismo
opposto ossia l’apertura dei canali sensibili all’acetilcolina (canali K acetilcolina-dipendenti), che vengono
aperti dall’azione dell’acetilcolina mediante la traslocazione di una subunità della proteina G associata al
recettore muscarinico.

Anche le catecolammine (noradrenalina e adrenalina) utilizzano


solo recettori di natura metabotropica di varie classi, alpha e
beta,che mediano segnali sia eccitatori che inibitori mediante
cascate di segnalazione.

(la professoressa specifica che verranno


trattate meglio nei corsi di fisio II e III)

SINAPSI
TRASMISSIONE SINAPTICA

Andiamo a vedere ora un po’ più vicino questi


fenomeni di trasmissione sinaptica che avvengono
utilizzando i recettori metabotropici e ionotropici
con una modalità che potrà essere di generazione
di EPSP lenti o IPSP lenti.

La trasmissione sinaptica lenta è presente sia nelle


sinapsi interneuroniche che neuroeffettrici
(quest’ultime analizzate nel corso di fisio II). Per
quanto riguarda la trasmissione inter neurone con

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modalità lenta, essa si sovrappone molto spesso a quella rapida: non esistono sinapsi inter neuronali solo
lente o solo veloci, spesso le due modalità coesistono, ovvero le membrane post sinaptiche presentano
recettori di natura sia ionotropica che metabotropica agli stessi neurotrasmettitori.

La trasmissione rapida dipende dai recettori ionotropici e da canali ionici che vengono aperti direttamente
(se si aprono canali misti di cationi Na/K si ha IPSP e depolarizzazioni, se si aprono canali a Cl abbiamo
iperpolarizzazione e sinapsi inibitorie). In ogni caso si osserva sempre un aumento della conduttanza di
membrana e un crollo della resistenza.

Sono sinapsi funzionali a risposte rapide e a risposte che avvengono per qualunque livello di attività sinaptica:
basta che arrivi il potenziale d’azione al terminale per liberare un neurotrasmettitore che vada ad agire con
questa modalità.

Con la modalità lenta lo stesso neurotrasmettitore ,che si libera e dà un’ azione rapida, può avere anche una
terminazione lenta, ma questo dipende dai livelli di attività dei terminali sinaptici. L’azione lenta viene
generata solo per elevati livelli di attività sinaptica o per particolari pattern di ricezione del potenziale
d’azione. In altre parole un potenziale d’azione media sempre un’azione rapida; l’azione lenta solo se la
frequenza è superiore a un certo valore e magari se il pattern è di un certo tipo.

Che differenza c’è tra frequenza e pattern?


Il secondo tiene conto della scarica che è un parametro da aggiungere alla frequenza.
La trasmissione lenta si può associare a un aumento o a una diminuzione della conduttanza di membrana e i
recettori sono sempre metabotropici e i canali ionici sono modulati attraverso cascate di secondi messaggeri
o direttamente attraverso la traslocazione di subunità di proteine G associate a recettori metabotropici, in
ogni caso i meccanismi pre sinaptici sono identici (liberazione del neurotrasmettitore)

Di solito le sinpasi possono utilizzare entrambe le modalità, quindi uno stesso neurotrasmettitore può avere
un’azione sia rapida che lenta, per cui ci saranno recettori sia ionotropici che metabotropici ma ci sono delle
eccezioni. Per esempio, l’acetilcolina nella giunzione neuromuscolare utilizza soltanto la modalità rapida
eccitatoria, quindi sono presenti solo recettori ionotropici. Al contrario, esistono casi in cui i recettori sono
solo metabotropici come nelle sinapsi del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico
neuroeffettrici; in questo caso l’azione può essere sia eccitatoria che inibitoria.

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Come esempio di sinapsi interneuronica con azione sia rapida che lenta, che avvengono in associazione nella
stessa rete neuronale, si utilizza il modello del ganglio autonomo, ovvero del sistema nervoso simpatico. Le
fibre motorie che portano i comandi motori dal midollo spinale alla periferia motoria sono i motoneuroni che
vanno ad attivare le fibre muscolari scheletriche con la giunzione neuromuscolare.

Nella via motoria autonoma invece, sono presenti due neuroni in catena, in questo caso specifico, del sistema
nervoso simpatico; neurone pregangliare esce dal midollo spinale con la radice ventrale del nervo spinale
(quindi insieme anche agli assoni dei motoneuroni), però non va direttamente all'effettore a livello dei gangli
delle radici ventrali dei nervi spinali. Questi sono simpatici, dato che i parasimpatici si collocano alla periferia
degli organi ,per questo non di facile studio. I processi che descriveremo comunque sono presenti sia nei
gangli simpatici che parasimpatici. Si usano i simpatici perchè sono più facilmente accessibili.
Contengono una sinapsi sul neurone postsinaptico che andrà ad attivare a seconda dell'effettore il muscolo
liscio, ghiandole o miocardio con effetti diversi. Questa sinapsi gangliare, è eccitatoria , e sia nel para che
nell'ortosimpatico possiede come neurotrasettitore l'acetilcolina.

FAST EPSP, SLOW EPSP E IPSP


L'acetilcolina ha una azione eccitatoria rapida, del tutto analoga a quanto visto nella giunzione
neuromuscolare; ingrandendo questa sinapsi, vediamo che l'arrivo del potenziale d'azione determina rilascio
dell'Ach, che interagendo con il recettore nicotinico, determina un EPSP, inoltre questo FAST EPSP è sempre
di ampiezza sopra soglia, e quindi anche questa è una SINAPSI OBBLIGATORIA, con rapporto uno a uno fra
EPSP e formazione del potenziale di azione.

Il recettore, di natura nicotinica, viene bloccato dal CURARO, esattamente come abbiamo visto nella
giunzione neuromuscolare.

Nel ganglio autonomo però, non sono presenti esclusivamente recettori nicotinici dell'Ach, ma anche
recettori di natura muscarinica, che sono recettori metabotropici.
Questi hanno effetti sia eccitatori, che inibitori, di natura lenta, che seguiranno il FAST EPSP e la generazione
del potenziale d'azione nella modalità obbligatoria. Questi eventi, con tempi più lenti, sono dipendenti dalla
attività delle sinapsi, infatti, mentre il FAST EPSP si genera sempre, lo SLOW EPSP e SLOW IPSP, si generano a
seconda del numero e dei pattern dei potenziali d'azione pre-sinaptici. Mentre i tempi del FAST si
approssimano a pochi millisecondi, questi tempi riguardano alcuni secondi, quindi si generano in ritardo e
durano più a lungo.
Abbiamo quindi un azione colinergica rapida dei recettori nicotinici che mediano formazione del FAST EPSP,
con sinapsi obbligatoria sia nel nervo para che ortosimpatico. A questa si affiancano numerosi eventi a
trasmissione lenta, Slow IPSP EPSP e un LATE SLOW EPSP, con tempi addirittura oltre il minuto, che tuttavia
non è mediato dall'acetilcolina.

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BLOCCANTI DEI RECETTORI DELL'ACETILCOLINA

Lo sforzo della ricerca è stato particolarmente diretto verso la ricerca di inibitori specifici per la giunzione
neuromuscolare e il ganglio autonomo. In particolare sono state identificate due molecole bifunzionali, che
presentano due azoti quaternari , con carica positiva, così come nella molecola di acetilcolina, separati da un
numero variabile di atomi di carbonio. Questa porzione centrale, determina così la distanza a cui si trovano i
due azoto e quindi la distanza a cui si troveranno i due diversi recettori. La molecola con 10 atomi di carbonio
nella porzione centrale è specifico per recettori della giunzione neuromuscolare, mentre quella a 6 atomi di
carbonio, per il ganglio autonomo, riflesso di una diversa distribuzione dei recettori di membrana nei due
distretti.

I bloccanti dei recettori nicotinici


dell'Ach, inibiscono la formazione di
FAST EPSP, dei muscarinici lo SLOW
EPSP e IPSP, ma non il LATE SLOW EPSP,
il cui neurotrasmettitore peptidico
somiglia al fattore P di rilascio del LH.
Da notare che I mattoni costitutivi del
sistema di trasmissione sono sempre gli
stessi, quello che cambia nell'effetto
dello stesso peptide è che a livello delle
sinapsi diverse avrò recettori diversi.
Mentre il Curaro blocca l'EPSP veloce,
non blocca quello lento, bloccato
selettivamente dall'Atropina, e
potenziato dalla Muscarina.

Ripetendo il meccanismo: Potenziale di azione nel neurone pre-sinaptico , giunge a sinapsi interneuronica,
formazione del FAST EPSP ,dovuto ad apertura recettore ionotropico, e a seguire lo SLOW EPSP, dovuto alla
chiusura del canale al K+ del tipo M, legata alla cascata di segnalazione associata al legame con l'Ach, con
l'effetto di aumentare l'eccitabilità di membrana.
I fenomeni lenti infatti, modulano l'eccitabilità della membrana, in tempi di alcuni secondi; un secondo
eventuale stimolo eccitatorio troverà una membra con resistenza aumentata e quindi ancora più recettiva .

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L' Ach interagirà quindi con recettori ionotropici e metabotropici vari, con conseguente varietà riguardante
la composizione ionica della corrrente, mista K+ e Na+, ma anche nella cinetica, più lenta nella metabotropica,
dovuta un po' alla cascata di segnalazione che rende significativo il ritardo rispetto al legame recettore-
neurotrasmettitore, e un po' legato alla cinetica di apertura/chiusura dei canali stessi.

L'EPSP lento media l'aumento di eccitabilità, associato ai canali al k+ del tipo M, mediati dall'azione
muscarinica dell'Ach, con conseguente depolarizzazione e aumento della resistenza di membrana .
Questi canali non possono generare potenziale di azione perchè hanno ampiezza piccola, ma aumentano
eccitabilità di membrana, e si pensa che favoriscano le risposte ripetitive:
l'arrivo di un potenziale eccitatorio invece di generare un solo potenziale di azione come previsto nella sinapsi
obbligatoria, generano più potenziali in sequenza, definito FIRING RIPETITIVO, amplificando il segnale
eccitatorio in arrivo. Contrasta poi l'ACCOMODAZIONE, ovvero la tendenza che ha un sistema di reti
neuronali, di diventare meno responsivo, a causa del crollo della resistenza di membrana per l'arrivo di tanti
stimoli eccitatori , grazie al fatto che lo SlOW EPSP agisce mediante la chiusura dei canali, che altrimenti
rimarrebbero aperti, accomodandosi agli stimoli.

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SLOW IPSP, mediato sempre dall'azione muscarinica dell'ach, anche questo inibito da atropina, dovuto da
apertura canali al K+, aumento della sua permeabilità rispetto al Na+, quindi spostamento del potenziale di
membrana verso potenziale di equilibrio del K+, e quindi iperpolarizzazione.
Meccanismo analogo media l'inibizione a livello trasmissione neuroeffettrice nell'innervazione parasimpatica
del cuore, di particolare interesse in medicina. La sua azione sarà opposta allo SLOW EPSP: favorisce
l'adattazione , inibendo il FIRING RIPETITIVO, agendo nei casi in cui un sistema risponda troppo, riportando
la frequenza a un valore più basso.

Ricordare l' importanza dello studio della trasmissione del ganglio simpatico, soprattutto per la facilità del suo
studio data la sua accessibilità per la registrazione elettrofisiologica, in cui si riscontrano fenomeni sia
eccitatori che inibitori che si sovrappongono su basi di tempi diversi; dove si è visto che mediano anche la
risposta a lungo termine del sistema , alla base dei fenomeni della memoria neuronale e della plasticità. Usato
come modello di studio di reti neuronali diverse con più difficile accessibilità, come quelle della corteccia
cerebrale. In realtà le popolaziione neuronali del ganglio simpatico sono diverse, con diverse distribuzioni
recettoriali, per cui ad esempio alcuni neuroni andranno incontro a Slow EPSP ma altri no.

Qui sotto, una diapositiva in cui è mostrata connessione fra effettore controllato da sistema neuromotorio
somatico, controllato da un solo neurone centrale, e il sistema motorio viscerale con due motoneuroni che si
occupano del controllo di molti effettori diversi, uno centrale con il corpo nel midollo spinale, e l'altro nel
ganglio sia simpatico che parasimpatico, del SNP.

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Fisiologia – Lezione n°20
29/11/2019

Data: 29/11/2019
Materia: Fisiologia
Professore: Tesi
File audio di riferimento: FisiologiaII 29112019.mp3
Controllore: Rinaldi
Coppia: Padrini-Oselin

Ultima lezione sulla trasmissione sinaptica

PLASTICITÀ’ SINAPTICA
Aspetto tempo-dipendente dell’evento di trasmissione del segnale nelle reti neuronali:

La capacità delle reti neuronali di rispondere in base al livello di attività e di modificare tale risposta in termini
di aumento o diminuzione dell’eccitabilità viene denominata rispettivamente potenziamento a lungo
termine e depressione a lungo termine. Lo stesso evento eccitatorio (una trasmissione di segnale) può
portare ad una risposta maggiore o minore del livello base a seconda della storia neuronale ovvero ad eventi
accaduti in precedenza.

Plasticità è un termine introdotto nell’istologia dal famoso istologo Santiago Ramon y Cajal che la definì come
una la proprietà in virtù della quale modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di
neuroni in seguito all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. Inoltre il
termine plasticità contiene un altro significato intrinseco, ovvero che il neurone come anche il tessuto
muscolare scheletrico (un tessuto molto plastico) dipendentemente dalla storia neuronale va incontro ad
una vera propria modificazione strutturale che sottende la modificazione funzionale e fisiologica della sua
attività. Questa modificazione strutturale può essere macroscopica, come avviene nella fisiologia muscolare
quando il muscolo è sottoposto ad intensa attività isometrica ed aumenta di volume oppure modificazioni
non visibili ad occhio nudo ma visibili per mezzo di microscopia ottica ed elettronica, come l’aumento del
numero delle spine dendritiche in conseguenza dell’arrivo di determinati pattern d’informazione, la
modificazione dell’ampiezza dei transienti di calcio ( esempio di raffinate modificazioni strutturali a livello
di canali transmembranali), l’aumento del numero dei canali presenti, la diminuzione del numero dei
recettori presenti, la variazione di tipo qualitativo dei canali e dei recettori. Tutte queste modificazioni
avvengono grazie ad una modificazione dell’espressione genica innescata da vari stimoli che poi si traduce in
una fine modificazione delle caratteristiche molecolari della membrana nei suoi compartimenti di recezione
e processazione dell’informazione.

Quando parliamo di plasticità abbiamo a che fare con il concetto di forza sinaptica: un determinato stimolo
ha una forza sinaptica che può essere variabile a seconda della modulazione di parametri funzionali e
strutturali sulla base degli stimoli precedenti della storia neuronale. Ad esempio un input eccitatorio può
avere una forza sinaptica aumentata o diminuita a seconda dei processi di plasticità.
La forza sinaptica di uno stimolo dipende:

- Dalla probabilità del rilascio del neurotrasmettitore p (e quindi da eventi presinaptici)


- Dalla quantità di neurotrasmettitore che viene liberato in seguito allo stimolo, determinata non solo
dalla modulazione della probabilità che le vescicole vadano incontro a secrezione localizzata ma
anche da numero delle vescicole presenti nel terminale che ha a che fare con n (numero delle
vescicole presenti che precedentemente durante la trattazione della liberazione quantale del NT
abbiamo assunto come costante ma che in realtà varia a seguito ad esempio di deplezione di
neurotrasmettitore)

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Fisiologia – Lezione n°20
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- Dal contenuto quantale di eventi postsinaptici ovvero il


numero (e dal tipo) di recettori che il NT incontrerà sulla membrana
postsinaptica e dal numero (e dal tipo) di canali che saranno
modulati nel loro stato di apertura.

Le modificazione che permettono la plasticità interessano


l’insieme dei processi pre- e post- sinaptici.

CLASSIFICAZIONE DEI FENOMENI DI PLASTICITÀ


La classificazione dei fenomeni di plasticità avviene sulla base della scala temporale nella quale essi si
realizzano. In generale tutti i processi di plasticità avvengono su una scala temporale più ampia del singolo
EPSP e quindi tempi molto più lunghi della durata del singolo potenziale d’azione (1-2ms). Possiamo quindi
distinguere fenomeni di plasticità:

- A breve termine (da centinaia di ms a decine di minuti dopo intensa attività sinaptica)

Sono fenomeni che conseguono sempre ad intensa attività sinaptica (molti stimoli per unità di tempo
per un tempo prolungato). I fenomeni di questa categoria possono essere ancora una volta
discriminati in due gruppi. Tutti questi processi sono determinati da modificazioni del meccanismo
pre-sinaptico (in questo caso la plasticità riguarda la liberazione del neurotrasmettitore).

- Facilitazione/Depressione (100 ms)


Riguarda direttamente la liberazione del NT (e quindi il transiente di Ca2+) e la disponibilità
del pool di vescicole del NT. Il processo di facilitazione è dovuto al fatto che quando arrivano
molti potenziale d’azione in sequenza questi generano ognuno un transiente di calcio ma la
durata di un transiente di calcio è maggiore di quella del potenziale d’azione per cui in questo
contesto essi possono sommarsi cosicchè si possa avere un aumento maggiore di calcio
complessivo che si assocerà ad un maggior numero di vescicole di NT liberate. Se questa
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attività è troppo intensa può determinare una deplezione del pool di NT provocando
(nonostante la presenza di transiente di calcio aumentato) una diminuzione del NT liberato
e quindi dell’attività post-sinaptica. In quest’ultimo caso il processo prende il nome di
depressione. In ambo i casi i processi si osservano relativamente all’attività post-sinaptica,
cioè all’effetto sulla depolarizzazione (nel caso di una sinapsi eccitatoria) dell’elemento post-
sinaptico: una EPSP più grande durante la facilitazione ed una più piccola nel caso della
depressione.

Meccanismi presinaptici che inducono facilitazione e depressione:

Facilitazione: stimolazione di breve durata a frequenza molto alta (es. 50 Hz)

Depressione: stimolazioni prolungate a frequenze elevate (es. 15Hz). Anche in un questo


caso la stimolazione può essere definita tetanica (per definizione vedi oltre). Nel tempo (varie
centinaia di ms) osserviamo che, come mostrato in figura, dopo una prima fase di risposta
standard con una ampiezza del 100%, l'EPSP diminuisce a causa della della deplezione del
pool di vescicole di NT alla quale non può far fronte il normale processo di recycling.

- Post-tetanic potentiation (PTP, 10 min)

Il termine tetano deriva dalla fisiologia muscolare ed indica una scarica di potenziale
d’azione a frequenza molto elevata (che nella fisiologia muscolare è in grado di determinare
a valle un transiente di calcio aumentato che provoca l’aumento della forza di contrazione).
Questo processo si svolge nell’arco di pochi minuti fino alla decina di minuti dopo una
stimolazione tetanica; Nella figura (A) vediamo il grafico dell’attività pre- e post-sinaptica
durante un fenomeno di PTP. Per quanto riguarda il diagramma dell’attività postsinaptica ( a
livello della quale osserviamo effettivamente il PTP) osserviamo da sinistra verso destra
l’EPSP basale, il potenziamento prodotto durante l’imposizione del tetano, in una situazione
equivalente alla facilitazione ma con una base temporale più lunga che ci permette di seguire
meglio il processo, seguito da una breve depressione causata dalla deplezione del NT e da
un’interruzione della stimolazione. Dopo l’interruzione, ad una distanza di circa 30s, viene
riproposto uno stimolo che genera un EPSP con un’ampiezza evidentemente potenziata. Tale
effetto (ovvero il PTP) è dovuto ad eventi che si svolgono nel terminale presinaptico e che
durano decine di secondi fino al minuto, dovuti presumibilmente all’attivazione di cascate di
segnalazione che portano alla liberazione del NT a seguito (le ipotesi che seguono sono
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probabili non certe poiché i fenomeni biochimici del PTP non sono ancora totalmente
chiariti) di fosforilazioni Calcio-dipendenti (ovvero attivate da un aumentato transiente di
calcio come nel processo di facilitazione) a livello di proteine del complesso o apparato
molecolare che media la secrezione localizzata delle vescicole di NT. Una di queste proteine
target sembra essere la sinapsina.

- A lungo termine (in questo la base temporale dei fenomeni di plasticità va oltre i minuti sino ad
alcune ore o, in alcuni casi, tali modificazioni possono anche divenire permanenti).
Se queste modificazioni determinano un aumento della forza sinaptica vengono definite Long-Term-
Potentiation (LTP) mentre nel caso in cui esse sottendano una diminuzione di tale forza vengono
definite Long-Term-Depression (LTD). Questa tipologia di plasticità è dovuta a fenomeni che
coinvolgono l’intera entità sinaptica. In questo caso infatti tratteremo eventi che riguardano
soprattutto l’elemento postsinaptico ma anche quello pre-sinaptico, in particolare il meccanismo di
feedback che riguarda la sensibilità del terminale postsinaptico al NT, che risulterà aumentata nel
caso della LTP e diminuita nel caso della LTD e modificazioni che moduleranno, a livello del terminale
presinaptico, nello stesso senso, ovvero a feedback, la liberazione del NT, aumentandola o
diminuendola.

ANALISI LTP E LTD IN CIRCUITI CORTICALI IPPOCAMPALI

Il modello dello studio di questi fenomeni è ancora una volta l’ippocampo per le stesse ragioni trattate in
precedenza (è una corteccia a struttura semplificata, presenta solo 3 strati e può essere isolata da molti
modelli animali, uomo compreso, e sezionata ai fini degli studi elettrofisiologici in vitro). Se l’ippocampo
viene correttamente estratto, ed il campione , la fettina,
correttamente preparata i circuiti neuronali rimangono
integri e perfettamente studiabili con varie tecniche in vitro.
L’ippocampo è una corteccia filogeneticamente antica con
un numero minore di strati, molto evidenti, e popolazioni
neuronali ben identificabili. La corteccia più recente, la
neocortex è estremamente più complessa e presenta ben 6
strati. Poiché l’ippocampo presenta questo numero minore
di strati viene anche definito allocortex. Nella figura DG sta
per giro dentato e CA per corno d'Ammone (i numeri
indicano diverse regioni di CA, in particolare 1 e 3). Nella
figura è anche presentato una fettina di ippocampo di
roditore nella quale sono stati marcati i neuroni piramidali con tecniche immunoistochimiche.

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L’ippocampo presenta circuiti molto semplici che si


prestano bene allo studio delle reti neuronali corticali.
Sono circuiti eccitatori glutammatergici; essi presentano
delle fibre che arrivano dalla corteccia entorinale, altra
regione molto antica, tramite la via perforante e vanno a
formare sinapsi con cellule granulari del giro dentato
(DG). Le cellule granulari sono neuroni dal piccolo soma.
Le cellule granulari vanno ad effettuare sinapsi eccitatorie
mediante le fibre muscoidi (termine che ritroveremo nello
studio del cervelletto) a livello delle cellule piramidali
della zona CA3; da qui, mediante lunghi assoni, ben visibili, detti collaterali di Schaffer il circuito si sposta
verso altre cellule piramidali della zona CA1. Tutte queste sinapsi sono eccitatorie. In questo circuito, se
consideriamo la sua forma più semplice, sono presenti solamente recettori ionotropici delle 2 classi AMPA e
NMDA.

ANALISI LTP
Siamo di fronte a circuiti in cui il NT è il glutammato e sono presenti i 2 recettori ionotropici, quello ad azione
diretta classico della classe AMPA e il recettore sia ligando- che voltaggio-dipendente della classe NMDA. La
caratteristica della voltaggio-dipendenza, come precedentemente trattato, è dovuta alla presenza di uno
ione Mg 2+ a bloccare il canale nel caso in cui il potenziale di membrana sia stazionario ai valori negativi del
potenziale a riposo. Quando la membrana viene depolarizzata a seguito di un potenziale d’azione lo ione
magnesio libera il canale che può essere aperto dal legame col ligando, il NT. Questo tipo di canale si configura
come un sensore dell’attività neuronale poiché può essere aperto solo in caso di una precedente attività
sinaptica. Il recettore NMDA viene anche detto rilevatore di coincidenza dato che, grazie alle caratteristiche
appena viste, è in grado di rilevare l’avvenuto arrivo della precedente stimolazione in coincidenza del nuovo
arrivo di NT che apre il canale. In questo contesto, come già visto, se i canali si aprono si genera una corrente
mista che comprende anche gli ioni calcio; questi ultimi vanno ad innescare una varia costellazione di cascate
di segnalazione.
Per analizzare la LTP date tali premesse spostiamoci nel circuito a livello dei collaterali di Schaffer, attraverso
i quali cellule piramidali di CA3 sinaptano con cellule piramidali di CA1. Data la facilità con cui tali collaterali
possono essere identificati poniamoci in un contesto in cui stimoliamo separatamente ed analizziamo due

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collaterali di Schaffer che formano sinapsi con lo stesso


neurone piramidale di CA1.
Quando stimoliamo attraverso la via 1 o la via 2 otteniamo
sempre un EPSP ad ampiezza standard nel neurone
piramidale di CA1. La LTP viene indotta mediante una
stimolazione ad alta frequenza che riguardi ad esempio la
sola via 1. Se così viene stimolata la via 1 la risposta aumenta
durante l’intervallo in cui avviene la stimolazione tetanica
(come abbiamo visto prima nel processo di facilitazione) ma,
una volta che la frequenza di stimolazione torna ai valori di
base, si osserva un ESPS ad ampiezza maggiorata. Lo stimolo
tetanico ha portato un’informazione tale da aumentare
l’efficacia sinaptica ovvero l’efficacia dello stesso quanto di
NT nell’indurre il potenziale di azione. L’implemento può
rimanere anche per giorni o anche per tutta la vita.
Questo fenomeno è estremamente selettivo dato che la LTP
riguarda solo la via che è stata stimolata. L’EPSP ottenuto per stimolazione della via 2 rimane con ampiezza
standard del 100%. L’informazione è selettivamente segregata in base alla via che ha portato lo stimolo
tetanico.
L’induzione di LTP mediante stimolazione tetanica può avvenire in ogni sinapsi eccitatoria del circuito
ippocampale che abbiamo visto prima.
L’induzione di LTP richiede una forte depolarizzante ad esempio provocata da una alta frequenza di
stimolazione e soprattutto una forte attivazione concomitante sia del neurone presinaptico che di quello
postsinaptico; ovvero la forte attivazione del neurone presinaptico porterà alla forte depolarizzazione del
neurone postsinaptico e sarà la coincidenza di questo e dell’arrivo uno stimolo successivo a tale forte
depolarizzazione ad indurre la LTP. Per indurre la LTP non sono sufficienti i soli treni di potenziali d’azione ma
è necessaria la forte depolarizzazione dell’elemento postsinaptico; se infatti provocassi delle EPSP
stimolando la via 1 (che dovrebbero avere una ampiezza pari al 100%) e, contemporaneamente, venisse
provocata una forte depolarizzazione del neurone CA1 con forti stimoli depolarizzanti, osserverei il
potenziamento.
Sono quindi fondamentali gli eventi di forte depolarizzazione dell’elemento postsinaptico, indotti da eventi
presinaptici necessariamente coincidenti o al massimo avvenuti entro 100 ms dalla liberazione del NT e
quindi dall’arrivo dell’informazione.

Sulla base di questo si sono elaborate complesse teorie sull’apprendimento in cui collidono sia le
neuroscienze che la psicologia cognitiva e sperimentale. Un importante postulato (Hebb, 1949) in questo
campo, che viene rispettato perfettamente dai fenomeni di LTP e LTD che si osservano nei circuiti
dell’ippocampo, afferma che l'apprendimento avviene solo se attività concomitanti e coordinate vengono
rilevate. In questo caso un input presinaptico deve collidere con uno stato di depolarizzazione dell’elemento
postsinaptico che è stato indotto da una informazione arrivata in precedenza. Quando questo avviene si
osserva il rafforzamento della connessione sinaptica

PROPRIETÀ DELLA LTP


Queste proprietà valgono anche per la LTD dato che la LTP è utilizzato come modello di comprensione di tutti
i fenomeni di plasticità a lungo termine

● Specificità : E’ un fenomeno altamente specifico, solo la via attiva viene potenziata la via inattiva non
viene rafforzata
● Principio di associatività: una stimolazione intensa determina una sinapsi rafforzata mentre una
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stimolazione debole da sola non determina alcun rafforzamento; se una stimolazione intensa avviene
contemporaneamente ad una debole questi eventi si correlano ed è possibile che ambo le sinapsi
risultino rafforzate. Quindi anche l’attività di una sinapsi debole può contribuire all’apprendimento.

Meccanismo molecolare della LTP: il meccanismo è ben conosciuto nell’ippocampo. Il glutammato viene
liberato e determina la generazione della sola corrente AMPA poiché i recettori NMDA sono ancora
bloccati dallo ione Mg2+ (partiamo da una situazione di riposo) provocando complessivamente un EPSP
di ampiezza standard. Se la depolarizzazione è tale da attivare i canali NMDA e inoltre arriva il NT è
possibile ottenere una corrente mista con la componente NMDA generando un complessivo aumento di
calcio intracellulare. Il meccanismo spiega la specificità poiché implica che la sinapsi prenda effettiva
parte nel processo di stimolazione ma spiega anche l’associatività poiché una debole depolarizzazione
associata alla via 2 (che ipotizziamo non possa
da sola provocare una forte depolarizzazione)
può comunque contribuire a rafforzare la
sinapsi unendosi alla depolarizzazione indotta
dalla via 1 per via dei principi di propagazione
dell’impulso elettrico nel neurone visti in
precedenza.

L’evento chiave di questa fase del


meccanismo, che è chiamata induzione, è
l’ingresso degli ioni calcio grazie all’attività dei
rilevatori di coincidenza. A prova di questo
l’uso dei chelanti per il calcio impediscono la
LTP come anche gli antagonisti dei recettori
NMDA. L’ingresso del calcio innesca una
cascata di secondi messaggeri; l’elemento
centrale in questa cascata di segnalazione è l’attivazione della CAM-chinasi II (CAMKII) o Chinasi calcio-
calmodulina-dipendente. L’importanza di questa chinasi è provata dal fatto che inibendola o in animali
transgenici in cui il suo gene codificante è stato eliminato per delezione la LTP è assente.

Nell’immagine è mostrato un esperimento che mostra il livello dell’attività della CAMKII (registrata con
appositi rilevatori) durante e dopo la stimolazione. L’aumento della attività di CAMKII segue molto da vicino
(30 s dopo) l’evento di stimolazione che ha indotto l’LTP. L’attività della CAMKII è correlata all’evento di
stimolazione ma il LTP permane anche dopo che l’attività di questa protein chinasi torna ad essere assente:

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è evidente che la LTP sia determinata da modificazioni indotte da CAMKII che permangono dopo la cessazione
dell’evento di induzione.

La fase che segue l’induzione è quella di espressione/consolidamento. Essa è prodotta dall’attività di CAMKII
e consiste nell’instaurazione di una condizione di super-sensitività al NT. La stessa quantità di glutammato
produrrà un EPSP di ampiezza potenziata. Questa fase si compone di 2 eventi, uno rapido ed uno più lento:

- la CAMKII induce una fosforilazione dei recettori AMPA (evento rapido) che aumenta la sua
probabilità di apertura e quindi l’intensità di corrente che attraversa questi recettori. Il risultato è un
aumento di conduttanza maggiore di quello che si osserva con i recettori AMPA non fosforilati
- Inserimento nuovi recettori AMPA nella membrana (evento che avviene in una base temporale più
lunga)
Questi eventi determinano super-sensitività al NT poiché ogni recettore/canale AMPA conduce più corrente
e vi è un numero maggiore di questi ultimi. Ovviamente le cellule non sono enti statici, i recettori AMPA sono
continuamente inseriti nelle membrana o estratti e degradati. Il numero medio di questi recettori, come
praticamente di tutti gli elementi della membrana, è determinato dal bilanciamento tra velocità di
inserimento e quella di distruzione. All’interno della spina dendritica troviamo molte vescicole contenenti
recettori AMPA pronti a fondersi con la membrana e la velocità con la quale queste si fondono viene
promossa nel processo di LTP con il risultato di un aumento netto di numero medio di recettori esposti .

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Questa invece è una sinapsi, con una spina dendritica


vicina, dove si ha un potenziamento. L’induzione del
potenziamento è a lungo termine, e si osserva una
depolarizzazione, quindi la resa disponibile del recettore
AMPA mediante la fuoriuscita del magnesio, una
corrente dove è presente anche lo ione calcio, un
aumento del calcio intracellulare, l’ attivazione della
proteina ca-dipendente e della Ca-chinasi 2, la
fosforilazione del canale e quindi un aumento della
conduttanza attraverso i recettori AMPA; si ha quindi
una maggior corrente e una maggiore ampiezza della corrente EPSP.

Ma si attivano anche altri moltissimi altri eventi in parallelo: questo aumento di calcio va a attivare la proteina
chinasi, che faciliterà l’inserimento di nuovi recettori AMPA in membrana.
Contemporaneamente si attivano anche altre cascate di segnalazione, associate alla tirosin-chinasi, ma
sopratutto si attiva anche un segnale retrogrado: si attiva l’ossido nitrico sintasi: si produce l’ossido nitrico,
che è un neurotrasmettitore gassoso che diffonde
liberamente attraverso la membrana, e costituisce un
segnale retrogrado che andrà a influenzare la liberazione del
neurotrasmettitore, ovvero ha come bersaglio proprio il
processo di diffusione delle vescicole.
Quindi, questo stimolo, su base ancora sconosciuta,
aumenta la probabilità di rilascio di vescicole di
neurotrasmettitore quando arriva il potenziale di azione.
Quindi, non solo si instaura una supersensitività al
glutammato post-sinaptico, ma si aumenta anche la quantità
di neurotrasmettitore liberato.
In questa fase di induzione, quindi, si ha una supersensibilità
al glutammato, e si può anche visualizzare tutto questo nelle
immagini delle spine dendritiche prima dell’induzione di LTP e dopo.
Si espongono le varie spine dendritiche all’applicazione diretta del glutammato, quindi un sistema che stimola
le sinapsi, il sistema più semplice. Si applicano, con tecniche come la microionoforesi o di applicazione molto
precisa e localizzata, piccole quantità di glutammato su una particolare spina dendritica. Nelle membrane
delle spine dendritiche abbiamo dei sensori, dei rilevatori del voltaggio e quindi delle correnti di membrana,
e dopo l’induzione di LTP si vede la variazione del potenziale di membrana, associato al passaggio di corrente
attraverso la stessa, e si vede che aumenta moltissimo: infatti si aprono più canali e ogni canale media una
corrente entrante.

Quindi, durante la fase di induzione LTP abbiamo:


attivazione del recettore NMDA,
attivazione della Ca-chinasi 2,
aumento della fosforilazione dei recettori AMPA, e quindi l’aumento della corrente attraverso il
singolo recettore AMPA
ma anche l’inserimento di nuovi recettori AMPA e di membrana.
Quindi le sinapsi eccitatorie, e questa è una conclusione molto importante, possono modulare in modo molto
dinamico i recettori glutammatergigi presenti, sia come numero che come classe (cambia la percentuale di
presenza delle varie classi di recettori, in questo caso osserviamo un aumento dei recettori AMPA rispetto a
quelli NMDA; l’attività quindi si può modulare).

Analizzando il caso del glutammato, si osservano i fenomeni legati a solo due classi di recettori, ma bisogna
tenere presente che normalmente vengono liberati diversi neurotrasmettitori, la modulazione avviene su
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molte classi diverse, e quindi questo è un sistema estremamente dinamico.

In questa fase in cui si instaura una supersensitività al glutammato, si può misurare la corrente EPSP. Una
corrente piccola, normalmente (prima di LTP) irrilevabile mediante questa tecnica, dopo induzione LTP
diventa significativa. Si nota quindi un potenziamento, dato anche dalla liberazione del neurotrasmettitore,
con un meccanismo dovuto ad un segnale retrogrado.
In questa immagine si vedono in modo chiaro i vari meccanismi che vengono messi in moto in parallelo:
la cascata della CAM chinasi 2 e l’attivazione della protein chinasi c (attività in un certo modo legata
alla secrezione delle vescicole con i recettori AMPA);
la fosforilazione di vari substrati, in qualche modo legati alle vescicole che contengono i recettori
AMPA;
e contemporaneamente l’aumento della liberazione del neurotrasmettitore.
Tutto questo determina l’inserimento di nuovi recettori AMPA.
Questa fase di espressione/consolidamento è quella caratterizzata dall’aumento dei recettori AMPA.

DESILENZIAMENTO
Questo processo può portare addirittura al desilenziamento: queste sinapsi silenti, molto famose nelle
neuroscienze contemporanee, sono sinapsi che in condizioni di base sarebbero silenti, ovvero non sarebbero
in grado di rispondere all’arrivo di informazioni sottoforma di potenziale di azione al terminale pre-sinaptico.
Quando si libera il neurotrasmettitore, questo trova nella membrana post sinaptica esclusivamente recettori
NMDA, chiusi perché si trovano al potenziale di membrana, che è il potenziale di riposo. Non si può mai
realizzare un evento di depolarizzazione che possa portare alla loro apertura, perché mancano i canali AMPA.
In seguito all’LTP, i segnali associativi, che provengono quindi dalle regioni adiacenti della membrana,
possono portare all’inserimento in queste regioni delle sinapsi silenti di recettori AMPA presenti all’interno
delle vesciche (grazie ai segnali inprocedurali, attivati dalle cascate di segnalazione, che giungono anche alle
spine dendritiche adiacenti).
A questo punto se arriva un potenziale di azione, questo potrà creare una corrente EPSP grazie ai recettori
AMPA che sono stati inseriti.

Si può osservare questo fenomeno in una


registrazione elettrofisiologica: con un neurone A
e un neurone B in cui si misura la conseguenza
della corrente eccitatoria. Si nota come dopo
l’induzione dell’LTP, dove prima non c’era
cambiamento nel potenziale di membrana, ora si
osserva il desilenziamento della sinapsi, ovvero
una risposta sinaptica, in termini di
depolarizzazione a livello delle correnti (la sinapsi
viene desilenziata a livello di tutte le classi di
recettori).

Questo significa che non solo aumenta la


sensibilità al glutammato nella sinapsi che viene interessata dall’LTP, ma aumenta anche il numero totale di
sinapsi possibili presenti sull’arborizzazione dendritica, si rendono attive le spine dendritiche che di base non
lo sono (aumenta quindi la sensibilità al glutammato e il numero di regioni di input a cui possono arrivare le
informazioni). Il neurone diventa così più recettivo agli input, con un fenomeno di potenziamento a lungo
termine.

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FASE TARDIVA

Alla fase di consolidamento, segue la fase tardiva dell’LTP che comporta una modificazione dell’espressione
genica e un rimodellamento cellulare, che diventa plastico, perchè non solo si desilenziano delle sinapsi su
spine dendritiche che erano silenti, ma addirittura si costruiscono nuove spine dendritiche (si può modificare
l’istologia neuronale anche a livello microscopico).
Abbiamo visto che si attivano due cascate di segnalazione in parallelo, quello della CAM-chinasi 2 e della
proteina chinasi C, e quest’ultima può stimolare ulteriori cascate di segnalazione che prevedono l’attivazione
di adenilato ciclasi di membrana, un aumento dei livelli di AMP ciclico, l’attivazione di altre chinasi, che sono
proteine chinasi A, e poi successivamente la MAP chinasi.
La MAP chinasi è in grado di traslocare nel nucleo, e andare a attivare dei fattori di trascrizione, in particolare
CREB, che rende possibile quindi un aumento della trascrizione per tutte le proteine che riguardano la crescita
delle spine dendritiche (e quindi delle sinapsi).
Per cui si ha stimolazione delle proteine che riguardano i recettori al glutammato e di tutte le proteine che
partecipano alla costruzione di nuove spine dendritiche.
Qui si vede un dendrite prima e dopo induzione dell’LTP, e si può osservare la crescita di due nuove spine
dendritiche.
Aumenta l’espressione di geni per i recettori del glutammato e per le proteine costitutive, e aumentano
quindi spine e contatti sinaptici: il fenomeno è reso così permanente e il cambiamento è a lungo termine,
cambia la struttura neuronale e la forma dei neuroni. I neuroni infatti sono cellule che non si possono dividere
e che non vanno incontro a moltiplicazione (quando muoiono vengono rimpiazzati da tessuto di
riempimento, la corteccia neuronale di fatto si assottiglia), ma sono strutture estremamente plastiche,
durante la vita si modificano di forma e numero di spine.
La logica non è quella di sostituire (turnover, che avviene in molti tessuti come la cute, per mantenere lo
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stato funzionale del tessuto interessato) ma è quella di potenziare i fenomeni plastici, non cambia il numero
di cellule ma ne viene modificata la struttura. La stessa logica è seguita nelle fibre muscolari scheletriche e
nei miociti cardiaci.
Nell’immagine si vede l’azione della spina dendritica attivata, nel corso di LTP; l’effetto può arrivare anche su
spine dendritiche adiacenti, con l’attivazione ad esempio di spine dendritiche silenti.

Abbiamo quindi una fase prima precoce e poi tardiva, che poi può diventare permanente con questi segnali
che risalgono fino al nucleo, attraverso la cascata segnalatoria delle proteine chinasi.
Questo meccanismo è anche provato dal fatto che gli
inibitori della sintesi proteica inibiscono la LTP nella sua
fase tardiva, ma non inibiscono la fase precoce.
Nell’immagine si vede come inibendo la sintesi proteica si
vede il potenziamento iniziale ma non si vede il
consolidamento, in termini di ore, dell’azione della LTP.

LONG TERM DEPRESSION


La Long Term Depression (LTD) è un meccanismo molto simile alla LTP, ma la risultante è opposta. Quello che
cambia nell’induzione non è il circuito neuronale, perché viene interessato lo stesso, ma lo stimolo che è in
grado di indurre un fenomeno di depressione sinaptica, di diminuzione di sensibilità al neurotrasmettitore.
In presenza sempre dello stesso sistema sinaptico con recettori per il glutammato, le sinapsi possono andare
incontro sia a LTP che a LTD. Lo stimolo però che è in grado di indurre la Long Term Depression è uno stimolo
in cui il potenziale di azione ha una frequenza piuttosto bassa, ma la fase di stimolazione è molto
prolungata nel tempo (la frequenza rimane per 10-15 minuti). Quindi se questa stimolazione rimane per
questi determinati tempi, si ha LTD.
La differenza rispetto a LTP riguarda l’ampiezza di EPSP, che invece di essere aumentata, come avviene nella
prima fase a breve termine, risulta diminuita del 50% quando arriva un nuovo stimolo in queste condizioni.
Il sistema quindi questa volta risponde in modo diverso, ma la risposta riguarda sempre il numero di recettori
AMPA rispetto al numero di recettori NMDA presenti nella sinapsi.
Il rilevatore di coincidenza è di nuovo il recettore NMDA; si vede infatti che anche la LTD viene inibita dal
blocco del recettore NMDA.
Il segnale che si associa quindi a una stimolazione a bassa frequenza mantenuta nel tempo è di natura diversa,
andrà ad innescare diverse cascate di segnalazione. Queste porteranno alla desensibilizzazione al
glutammato, che avverrà con un meccanismo opposto rispetto a quello visto con LTP. I recettori al
glutammato AMPA questa volta verranno internalizzati e si formeranno vescicole con processi di endocitosi.
I segnali che si ottengono quando si depolarizza la membrana per un lungo periodo di tempo mediante
l’arrivo di tanti stimoli in sequenza ravvicinata, ma non così ravvicinata come prima, a bassa frequenza,
determineranno dei transienti di calcio che saranno di ampiezza minore di quelli visti con LTP, ma che si

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mantengono nel tempo.


Questo tipo di segnale, un basso aumento della
concentrazione di calcio, non è in grado di attivare le
cascate di segnalazione viste prima, ma è in grado di
attivare una serie di fosfatasi. I componenti importanti
degli effetti della LTD sono la calcineurina (una fosfatasi
calcio-CAM dipendente) e la PP1. Questa ha bisogno di più
piccoli incrementi di calcio per essere attivata, ma questi
transienti di calcio devono essere mantenuti nel tempo.
Si è potuto dedurre che le fosfatasi sono implicate nel
processo di Long Term Depression analizzando diversi
processi di inibizione a livello di questi messaggeri, per cui
si vede che gli effetti si manifestano nella LTD e non nella LTP. Ugualmente, inibitori della CAM_chinasi 2 non
hanno alcun effetto sulla LTD.

Quando si attivano queste fosfatasi:


Anche in questo caso le cascate di segnalazione che si osservano sono in gran parte sconosciute; si riconosce
però il fatto che portano all’internalizzazione dei recettori AMPA (attraverso processi di endocitosi).
Il processo è opposto a quello di LTP, mentre il rilevatore di coincidenza rimane il recettore NMDA. Ci sono
moltissimi meccanismi che possono spiegare questi processi di internalizzazione dei recettori AMPA. Si può
fare un esempio, che rappresenta uno dei tanti meccanismi, e questo è uno di quelli che è stato risolto, che
può spiegare come dall’attivazione del rilevatore di coincidenza si può arrivare all’internalizzazione del
recettore.

Mediante il segnale di bassa ampiezza mantenuto nel tempo


dall’aumento della concentrazione di calcio si attiva una proteina
dell’ippocampo, hippocalcin. Questa è una proteina che lega il calcio
e quando lega il calcio si determina una modificazione
conformazionale che porta all’esposizione di un gruppo,
normalmente racchiuso all’interno della proteina, che è un gruppo
miristoil (è un acido grasso associato alla proteina). Questo gruppo
porta all’asscociazione dell’hippocalcin con un’altra proteina, un
recettore, AP2. Il legame di hippocalcin con AP2 determina, grazie alla
presenza del gruppo miristoil, una facilitazione dell’ingresso del
complesso che si forma nella membrana. l’AP2 è una proteina che ha un sito di riconoscimento per i recettori
AMPA, e quando l’hippocalcin lo trasloca in membrana, viene portato dove si trovano i recettori AMPA.
L’interazione del complesso ippocalcin-AP2 con i recettori AMPA costituisce un segnale che innesca il
processo di internalizzazione dei recettori AMPA (clatrina dipendente). Ci sono decine di cascate di
segnalazione di questo tipo, per l’internalizzazione dei recettori. AP2 sta per adaptive protein.

Quando andiamo a vedere la distribuzione dei recettori e le internalizzazioni, dobbiamo pensare che a livello
delle sinapsi i vari recettori sono associati in grandi strutture determinate da diverse proteine strutturali, e
questi sono complessi strutturali e di segnalazione allo stesso tempo.
Questi complessi sono alla base dell’aspetto istologico della regione post sinaptica. Molte delle chinasi (legate
ai processi di segnalazione e alle varie cascate segnalatorie) e i diversi recettori, si ritrovano infatti associati
a questi complessi. Un esempio è la proteina PSD95, che è alla base del complesso che prende il suo nome,
implicata nel processo di posizionamento dei vari recettori di membrana.

INDUZIONE DI LONG TERM DEPRESSION – CERVELLETTO


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Questa è un’altra modalità di LTD che si trova sempre a


livello di sinapsi glutammatergiche in presenza di recettori
AMPA e metamotropici, ma a livello del cervelletto, dove
non ci sono i recettori NMDA. Si pone il problema quindi di
chi sia il rilevatore di coincidenza per l’instaurarsi della Long
Term Depression cerebellare.
Il ciruito imteressato vede come elemento chiave il
neurone del Purkinje. La struttura a livello del cervelletto è
molto complessa, ma si può semplificare e schematizzare il
circuito di base. Abbiamo il grande neurone del Purkinje,
con un grandissimo stroma e i dendriti, e la corteccia
cerebellare costruita su più strati.
Le sinapsi che ci interessano sono due:
le sinapsi a fibre parallele (che sono dovute alle ramificazioni a T dell’assone dei granuli che si trovano
nello strato più profondo);
le sinapsi a fibra rampicante, dove ogni fibra rampicante si avvolge come una spirale intorno ad
assone e dendriti del neurone del Purkinje.

La fibra parallela e la fibra rampicante raggiungono


lo stesso compartimento di input e sono quindi
diverse dal punto di vista istologico ma analoghe
come neurotrasmissione Il glutammato infatti agisce
a livello dei recettori AMPA e metabotropici,
arrivando da entrambe le fibre. Dalla collisione degli
input che arrivano dai due sistemi di fibre, parallele
e rampicanti, si origina un fenomeno di depressione
a lungo termine (che è stato il primo ad essere
individuato come plasticità a lungo termine), il quale
è molto importante per tutti i processi di
apprendimento motorio, ed è anche quello che
determina i potenziali di azione calcio-dipendenti.

In assenza quindi della classe di recettori NMDA,


l’instaurarsi di meccanismi di LTD prevede che ogni fibra parallela dia un numero molto piccolo di sinapsi,
ma considerando l’intera arborizzazione dendritica, questa risulta comunque bombardata da migliaia di fibre
rampicanti.
Considerando quindi la sola fibra parallela si ottiene un effetto di depolarizzazione che è piccolo, dovuto
all’EPSP che si realizza nei punti di contatto (che sono pochi). Quando invece si attiva la fibra rampicante si
attivano centinaia di migliaia di contatti sinaptici contemporaneamente, e quindi si ottiene una grandissima
depolarizzazione dell’arborizzazione dendritica.
Con l’attivazione quindi delle fibre parallele, si attivano i recettori AMPA e i recettori al glutammato, e lo
stesso avviene nel neurone del Purkinje; quello che cambia è la quantità del neurotrasmettitore che si libera
(poca nel caso delle fibre parallele, e massiccia nel caso delle fibre rampicanti).
I processi di base sono gli stessi, si attivano recettori AMPA e glutammatergici con l’aumento dei livelli di
secondi messaggeri (i secondi messaggeri chiave di questo processo sono diacilglicerolo e inositolo-3-
fosfato). Lo stesso avviene con la fibra rampicante del neurone del Purkinje, dove però, viso che la
depolarizzazione è molto grande, si ha anche l’apertura dei canali calcio-dipendenti e la generazione di un
potenziale d’azione calcio-dipendente, e un grande aumento di calcio intracellulare.

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In questo caso si osserva che quando si accoppiano i due sistemi di fibre si osserva la long term depression.
Con accoppiamento di RF e PF in seguito all’arrivo di uno stimolo che da una risposta del 100%, troviamo una
risposta notevolmente diminuita con una depressione che dura molti minuti.
Quando non avviene contemporaneamnete si ha sempre l’attivazione della cascata di segnalazione di I3P e
DAG; ma quando avviene contemporanemante si ha un’amplificazione di tutto questo dovuto al grande
transiente del calcio intracellulare.
Quindi l’amplificazione dell’aumento del calcio intracellulare questa volta non proviene dal recettore NMDA,
ma entra mediante l’apertura dei canali calcio-dipendenti. Si realizza così un aumento del calcio intracellulare
e un contemporaneo aumento di IP3 e DAG (che sono aumentati in seguito all’attivazione del recettore
metamotropico al glutammato), determinando un rilascio del calcio dal reticolo (questo fenomeno dipende
dal calcio e dai livelli di IP3, si attiva attraverso un meccanismo a feedback positivo).
L’aumento di calcio, che viene amplificato in questo modo, è in grado di attivare la protein chinasi C, la quale
si attiva con un aumento di calcio e un aumento di DAG.
L’attivazione della protein chinasi C (calcio-dipendente) è il segnale che innesca l’internalizzazione dei
recettori AMPA (fenomeno proteina dipendente) e che media così l’instaurarsi della Long Term Depression
cerebellare.

Il rilevatore di coincidenze è dato quindi dai secondi


messaggeri attivati dal transiente di calcio, e che da
esso dipendono anche (quindi i livelli di PKC e IP3
che dipendono dal calcio intracellulare).
È importante ricordare che i neurotrasmettitori
liberati dalla fibra rampicante e da quella parallela
sono gli stessi, e le ipotesi che prevedono la diversa
diffusione di aspartato e glutammato sono ormai
smentite.
Nell’immagine si vede la liberazione del
glutammato, le due classi di recettori AMPA e
metamotropici e i canali calcio dipendenti; la
liberazione del glutammato dalla fibra parallela, se
arriva in contemporanea a quella massiva della fibra
rampicante, determina un’apertura dei canali al
calcio ca-dipendenti, e quindi l’ingresso del calcio; contemporaneamente alla cascata di segnalazione che
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porta all’IP3 e al DAG, questo è in grado di attivare il feedback del release del calcio dal reticolo (fenomeno
che dipende dalla concentrazione di calcio e IP3) e l’attivazione della PKC (fenomeno legato alla
concentrazione di DAG e calcio). Questa proteina poi è in grado di attivare il processo Ca-dipendente,
fosforilando i recettori AMPA, e la fosforilazione determina la loro internalizzazione. (Esistono poi anche
diversi segnali retrogradi legati all’ossido nitrico e all’attivazione delle fosfatasi).

Si può paragonare la LTD nell’ippocampo con quella nel cervelletto:


nel caso dell’ippocampo il rilevatore di coincidenze è il recettore NMDA,
nel caso del cervelletto sono i livelli di secondi messaggeri;
la risultante è la stessa, l’internalizzazione dei recettori AMPA.

ENDOCANNABINOIDI
Si analizza un’ultimo tipo di Long Term Depression mediata
dagli endocannabinoidi e nell’immagine si vede molto bene il
coinvolgimento di entrambi i lati della sinapsi (il
compartimento 3 e quello post sinaptico).
Anche in questo caso la trasmissione è glutammatergica, ed è
legata a recettori AMPA e NMDA, questo meccanismo è
presente a livello di molte sinapsi cerebrali, ed è una forma di
LTD scoperta recentemente, in cui sono presenti i recettori
metabotropici al glutammato.
In seguito ad attivazione molto potente della sinapsi si attiva anche il recettore metabotropico, con
un’attivazione della cascata di segnalazione che porta a un aumento di calcio e PKC, con un aumento della
sintesi di endocannabinoidi,
Liberati nello spazio sinaptico, questi svolgono un’azione retrograda su recettori specifici della membrana
post sinaptica. Questo determina una Long Term Depression, dovuta questa volta non ad una diminuita
sensibilità della membrana post sinaptica (il numero dei recettori rimane uguale), ma ad una diminuita
liberazione del neurotrasmettitore.

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Data: 02/12/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Chiara Tesi
File audio di riferimento: FISIOLOGIAI-02-12-2019.m4a
Controllore: Angelo Tigano
Coppia: A. Perini - Pedron

FISIOLOGIA MUSCOLARE
L'ultimo argomento del modulo di fisiologia I è la fisiologia muscolare che rappresenta il ponte con la
fisiologia II. Abbiamo visto la generazione di segnali e come questi vengono trasmessi ed elaborati fino a
dare origine a dei comandi nella periferia motoria per l'attivazione degli effettori muscolari striati,
muscolari lisci ed elementi ghiandolari.
Esistono due sistemi motori: il sistema motorio somatico, quello che dà origine all'attivazione dei muscoli
scheletrici attraverso la giunzione neuromuscolare, e il sistema motorio autonomo che si occupa dei
movimenti viscerali e ghiandolari, nonché del controllo della contrattilità cardiaca.
In queste lezioni vedremo come questi segnali, arrivati fino alla fibra muscolare scheletrica, danno origine al
fenomeno della contrazione muscolare che si svolge con modalità che sono servite come modello per la
comprensione di tutti i fenomeni contrattili del muscolo scheletrico. Sono quindi un aspetto estremamente
chiaro: il sistema funziona veramente come un interruttore, sulla base di segnali che arrivano dal sistema
nervoso e che vanno ad attivare, con un meccanismo on/off, le sinapsi obbligatorie e le fibre muscolari.
Il meccanismo della contrazione muscolare, così come è stato modellato sulla base del muscolo scheletrico,
è stato poi esteso anche a tutti gli altri sistemi contrattili, in particolare al miocardio (altro sistema
contrattile striato) e poi anche al sistema contrattile del muscolo liscio, fino a comprendere tutti i fenomeni
di motilità cellulare.
La contrazione muscolare nasce sulla base dell'attività di motori molecolari altamente organizzati che
generano il movimento nel muscolo scheletrico e sono presenti fino dall'albore dell'evoluzione della vita
animale in tutte le cellule. Questi motori permettono, ad esempio, il trasporto delle vescicole dal soma fino
al terminale assonico, mediano tutti i fenomeni di motilità cellulare a livello degli organismi unicellulari e
sono presenti anche negli organismi vegetali.

CONTRAZIONE MUSCOLARE NEL MUSCOLO SCHELETRICO

La contrazione muscolare nel muscolo scheletrico può essere studiata come modello di comprensione. Il
muscolo scheletrico è l'effettore del sistema motorio, in particolare di quello somatico, quindi tutti i
movimenti, sia volontari che involontari (dal movimento volontario di tensione fino al tono posturale
antigravitario), si basano nei loro meccanismi sull'attivazione del muscolo scheletrico da parte del sistema
nervoso.
I segnali, una volta processati, raggiungono il sistema scheletrico e quando si genera un potenziale di azione
a livello del motoneurone sulla base dell’integrazione neuronale, questo potenziale d'azione arriva fino alla
connessione neuromuscolare e si traduce sempre in un potenziale d'azione sulla fibra muscolare scheletrica
con un processo di trasmissione. Dunque, la presenza di un potenziale d'azione sulla fibra muscolare
scheletrica determina sempre l'evento elementare della contrazione, detto scossa semplice. Questo
significa che, se parte un segnale dal sistema nervoso centrale, il muscolo si contrae inevitabilmente. Tutti i
“conti” vengono fatti nel sistema nervoso centrale, a livello del motoneurone e a livello di tutti i neuroni
che fanno parte delle reti neuronali motorie, dai centri motori fino al midollo spinale, per tutti i movimenti,
dai più semplici ai più complessi.
L'ultima risultante dell'integrazione sul motoneurone innesca la contrazione muscolare: la segnalazione
arriva alle terminazioni assoniche che prendono rapporto con un insieme di fibre muscolari e queste
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Fisiologia I – Lezione n°21
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riceveranno tutte insieme l'informazione e tutte insieme


andranno incontro alla contrazione muscolare. L'insieme delle
fibre muscolari attivate dallo stesso motoneurone prende il
nome di unità motoria perché funziona come un tutt'uno.
Le unità motorie possono essere di numerosità diverse, ovvero
ci può essere un rapporto uno a uno (un motoneurone - una
fibra muscolare) oppure un motoneurone può rapportarsi con
piccolo numero di fibre o con un grande numero. La
dimensiona dell'unità motoria è funzionale alla finezza del
controllo motorio: movimenti fini sono caratterizzati da unità
motorie più piccole perché la dimensione dell'unità motoria ci
dà la misura del “gradino minimo” attraverso cui la forza può
essere graduata, di conseguenza, se l'unità motoria è composta
da numerose fibre, i gradini attraverso cui posso modulare la
forza sono più grandi.
La contrazione muscolare è produzione di lavoro muscolare. Il
lavoro in fisica è F x s (forza per spostamento) ed è una forma
di energia: energia meccanica. Il muscolo si contrae
sviluppando, quasi sempre in modo simultaneo, forza e
accorciamento perché si sviluppa sempre forza sugli estremi
tendinei, variando gli angoli articolari, e contemporaneamente
il muscolo si accorcia, tirando sui punti di inserzione.
L'unità di misura del lavoro muscolare è il Joule, come per tutte le forma di energia. Quindi quando si ha un
potenziale sulla fibra muscolare scheletrica, in conseguenza all'arrivo di un potenziale di azione alla
giunzione neuromuscolare, con un brevissimo ritardo la fibra va incontro a contrazione e mostra una fase di
salita e una di discesa. L'evento elementare della contrazione è detto scossa semplice o twitch.

L'andamento temporale della scossa semplice è diverso nelle varie tipologie di muscolo. Ci sono muscoli
infatti molto rapidi e altri molto più lenti (muscolo soleo). La diversa velocità dipende dal motore
molecolare che varia nelle diverse tipologie di fibre. È fondamentale vedere che un evento on/off si traduce
in un evento tutto o nulla, meccanico, che è la scossa semplice. Per l'evento meccanico della scossa
semplice si ha inoltre la possibilità di avere livelli di forza via via crescenti sommando le scosse semplice le
una alle altre.
La scossa semplice è la risposta elementare al singolo potenziale d'azione ma è una risposta meccanica, un
po' simile nelle sue proprietà alle risposte EPSP che si potevano infatti sommare. La somma delle scosse
semplici avviene quando i potenziali d'azione si susseguono a distanza molto breve, ovvero sono ad alta
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frequenza. Maggiore è la frequenza, maggiore è la possibilità della seconda scossa semplice di sommarsi
alla prima, dando luogo ad uno sviluppo di forza via via maggiore fino ad arrivare al punto in cui la
frequenza è quella massima possibile e la somma non mostra più eventi sottostanti, ovvero avviene in
forma fluida (smooth), senza oscillazione. In questo caso si ha la contrazione massimale che prende il nome
di Tetano.

SCOSSA SEMPLICE (TWITCH) E TETANO

La contrazione tetanica è quindi quella che si osserva in presenza di una frequenza di potenziale d'azione
ottimale. Se aumentiamo la frequenza oltre questo valore, la forza non aumenta più poiché siamo a livello
di fusione massima. Questo è uno dei modi attraverso cui il sistema nervoso può modulare l'entità della
forza sviluppata da un muscolo.
 Il primo meccanismo per fare ciò è quello di reclutare un numero via via crescente di unità
motorie: attivare un motoneurone, o due o più determina l'attivazione di unità motorie che
daranno un contributo che si somma alla forza sviluppata da quel muscolo.
 L'atro meccanismo è quello, nell'ambito della stessa unità motoria, di aumentare la frequenza con
cui i segnali arrivano alla giunzione neuromuscolare e si traducono in potenziali d'azione. Quindi la
forza della singola fibra e della singola unità motoria può aumentare dal livello minimo di scossa
semplice al livello massimo di tetano. Il tetano non fuso prende anche il nome di clone.

Questo meccanismo è chiamato meccanismo di accoppiamento eccitazione-contrazione perché lega


l'eccitazione, ovvero la presenza del segnale sulla membrana della fibra muscolare scheletrica, con la
contrazione, ovvero lo sviluppo di forza. Ovviamente c'è un segnale, una cascata di segnalazione che
associa l'evento di membrana a un evento citoplasmatico. Il segnale è un segnale biochimico ed è il calcio
[Ca2+], il secondo messaggero che è replicato in moltissime cascate di segnalazione, l'elemento che
accoppia l'eccitazione con la contrazione. La presenza di potenziale d'azione sulla membrana determina un
transiente di calcio, aumenta la concentrazione di calcio intracellulare, da questo transiente di calcio si
attiva una cascata di segnalazione piuttosto semplice che porta alla contrazione muscolare. Se i potenziali
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d'azione si susseguono a frequenza elevata, ciò che si somma è proprio il transiente di calcio e, come nella
liberazione quantale del neurotrasmettitore dove più grande è l'aumento di calcio citoplasmatico maggiore
è il numero di vescicole che si liberano, qui ugualmente abbiamo un fenomeno simile: maggiore è
l'aumento di calcio intracellulare, maggiore è l'attivazione della cascata di segnalazione, maggiore è la forza
sviluppata. Quindi avremo alla fine un transiente che si somma in modo massimale e dà origine al tetano.
È da sottolineare che ciò che si sommano sono gli eventi meccanici, ovvero le conseguenze dei potenziali
d'azione, l'evento elettrico invece rimane di natura digitale. Le frequenze che si associano al tetano (alla
fusione completa delle scosse semplici) sono nell'ordine delle decine di Hz. Un tetano completo è intorno ai
100 Hz, anche se si tratta solo di un valore di riferimento generale perché dipende dalla temperatura e dal
tipo di muscolo. La twitch quindi è un evento tutto o nulla ma il meccanismo alla sua base si può sommare.
L'andamento del transiente di calcio è associato alla forza: quando i transienti di calcio sono tutti fusi in
modo smooth, anche la forza risultante ha lo stesso andamento. Quindi la forza contrattile può essere
graduata dalla frequenza di stimolazione.

Un altro termine di uso frequente in fisiologia muscolare è tensione, un termine molto controverso. Sul
testo del Conti, dove il capitolo è stato scritto dal Professor. Ceppi, si conclude che tensione e forza sono
sinonimi e va benissimo. Tuttavia in molti testi la “tensione” è, più correttamente dal punto di vista fisico,
definita come la forza normalizzata per la sezione: N/m2. L'unità di misura è il Pascal (Pa), la stessa di una
pressione. Serve normalizzare per la sezione perché la forza sviluppata da un muscolo scheletrico o da una
singola fibra dipende dalla loro sezione: maggiore è la dimensione del muscolo, maggiore è la forza che si
sviluppa, soprattutto in condizioni isometriche. Quindi confrontando fibre diverse la strategia è quella di
normalizzare rispetto alla sezione.
Il livello di forza sviluppata da un muscolo scheletrico dipende in modo molto forte anche dalle condizioni
meccaniche in cui lavora. Il sistema muscolare scheletrico, ma anche quello cardiaco, è infatti un sistema in
cui c'è un forte feedback tra le condizioni meccaniche in cui la struttura lavora e la forza e l'accorciamento
che svilupperanno. È difficile studiare questo concetto lasciando il sistema libero di sviluppare forza e
accorciamento contemporaneamente, ovvero se lo lasciamo libero di sviluppare il lavoro muscolare nel
modo in cui avviene in quasi tutti i nostri movimenti.

Ai fini della semplificazione nella ricerca muscolare si è cercato di studiare le due variabili l'una
indipendentemente dall'altra, fissandone una e studiando l'altra.

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Questo significa mettersi in condizioni isometriche, ovvero in condizioni in cui il muscolo viene stimolato a
produrre forza e, non potendo accorciarsi, produce esclusivamente quella. Si studia quindi lo sviluppo di
forza e come questo dipenda da una condizione meccanica basilare che è la lunghezza del muscolo. Infatti
sappiamo tutti che, a seconda dell'angolo articolare che il nostro braccio ha rispetto all'avambraccio in un
certo momento, ci sono movimenti che sappiamo di poter compiere con elevata forza ma diventano quasi
impossibili. Questo perché la forza sviluppata da un muscolo dipende in modo molto forte dalla lunghezza
in cui si trova e può succedere che il nostro muscolo sia messo ad un livello di lunghezza in cui lo sviluppo di
forza è più difficoltoso. Questa relazione di base tra la lunghezza e la tensione è stata uno strumento
fondamentale per capire il funzionamento
dei motori molecolari organizzati nel
sistema quasi cristallino delle fibre
muscolari.
La seconda condizione è quella di fissare la
forza sviluppata per studiare la dipendenza
dell'accorciamento e soprattutto della
velocità di questo dalla forza. Questa
condizione di forza costante è chiamata
isotonica.

Nel primo caso quello che si misura è lo


sviluppo di forza con un dispositivo
elettronico molto semplice chiamato
trasduttore di forza che conoscendo la
lunghezza imposta misura la forza
sviluppata.
Nel secondo caso, si fissa la forza, ad esempio mettendo il muscolo in serie a carico fisso, e si lascia il
muscolo libero di accorciarsi in condizione
di carico costante. Si avrà bisogno di un
trasduttore di lunghezza o di un dispositivo
di altra natura che registri l'accorciamento
del muscolo come entità e velocità.

C'è una differenza fondamentale tra queste


due condizioni: l'entità del lavoro
meccanico sviluppato è drasticamente
diversa. Siccome il lavoro meccanico è Forza
per spostamento (Fxs), in condizioni
isotoniche si sviluppa lavoro perché il
muscolo produce contemporaneamente sia
forza che spostamento, mentre in
condizioni isometriche il muscolo non
sviluppa lavoro meccanico esterno, in
quanto produce solo forza ma non
accorciamento: quando cerchiamo di
sollevare una valigia pesante e non ci riusciamo il nostro muscolo lavorerà in condizioni isometriche.

IL MOTORE MUSCOLARE
Il muscolo è un motore e, come tutti i motori, trasforma una forma di energia in un'altra, in particolare
trasforma energia chimica sottoforma di ATP in lavoro meccanico. Questa conversione in condizioni
isometriche prevede che tutta l'energia sia dispersa come calore mentre in condizioni isotoniche varierà la
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quantità di energia che viene trasformata in calore e quella trasformata in lavoro meccanico. L'energia della
contrazione può infatti anche essere misurata dall'entità del calore prodotto.
In condizioni isometriche: si fissa la lunghezza del muscolo, si provoca un solo stimolo, in genere una scossa
semplice, che si accompagna solo a sviluppo di forza, in assenza di modificazioni di lunghezza del muscolo,
si vario quindi la lunghezza per poi misurare di nuovo l'entità della forza sviluppata e cercare se esiste una
relazione che associa i due parametri (lunghezza del muscolo e forza sviluppata). Si trovano in effetti delle
lunghezze del muscolo tali che la forza sviluppata diventerà pari a zero. Le scosse semplici isometriche
provocano invece solo sviluppo di tensione e non accorciamento.

Da ora in poi ci troveremo quasi sempre in condizioni isometriche o isotoniche perché sono quelle che
facilitano lo studio e cercheremo di trasferire poi queste informazioni ai sistemi di biomeccanica integrata
in vivo nell'animale, in cui contemporaneamente si sviluppa sia forza che accorciamento. Si vede nei
mammiferi come le scosse semplici isometriche hanno una velocità molto diversa a seconda della tipologia
muscolare. Nella rana inoltre si vede un'altra dipendenza fondamentale che è quella tra la scossa semplice
e la temperatura, più difficile da vedere
nei mammiferi perché questi lavorano a
temperatura costante mentre gli anfibi
possono vivere anche a temperature
molto diverse.
La twitch è più rapida a temperature
elevate e più lenta a basse temperature.
La cinetica della twitch quindi dipende dal
tipo muscolare e dalla temperatura. Non
ci deve sorprendere che dipenda dalla
temperatura in quanto stiamo parlando
di un motore e la temperatura è sempre
implicata nei fenomeni di trasformazione
di energia.
In condizioni isotoniche il carico è
costante e in serie, stimoliamo, anche in
questo caso con un singolo stimolo, e la forza che si produce è costante perché è come se il muscolo la
sviluppasse fino a raggiungere quella del carico in serie. Il muscolo si accorcia e la pendenza di questa
relazione è la velocità di accorciamento. Quindi si studia la relazione tra lo sviluppo di forza e la lunghezza
del muscolo in condizioni isometriche che ha un tipico andamento a campana quando viene considerata
sul muscolo intero e si studia invece la relazione tra l'accorciamento, soprattutto in termini di velocità, e la
forza imposta dallo sperimentatore in condizioni isotoniche. Osserveremo queste relazioni iperboliche,
dette relazioni della potenza muscolare, e la relazione forza-velocità ci consentirà di vedere proprio il
motore molecolare in azione nel suo sviluppo di lavoro meccanico esterno e potenza (la potenza è il lavoro
nell'unità di tempo). In fisiologia II vedremo poi come tutto questo si integra nel controllo motorio della
biomeccanica del movimento.

RELAZIONE STRUTTURA FUNZIONE NEL MUSCOLO STRIATO

I muscoli scheletrici sono strutture molto particolari ma anche molto semplici. Sono dati da fibre muscolari
scheletriche che, mediante terminazioni tendinee, si inseriscono sulle articolazioni o su inserzioni ossee.
Quando il muscolo sviluppa forza e accorciamento, questo determina una modificazione degli angoli
articolari ed è così che si ottengono i movimenti di estensione o flessione a seconda del muscolo
interessato, i muscoli estensori vanno ad aumentare gli angoli articolari e quelli flessori li fanno diminuire.

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Per quanto riguarda le specifiche del motore muscolare, la sua localizzazione, la sua struttura e il suo
meccanismo di controllo, si può dire che il motore muscolare è molto complesso e che la contrazione è solo
l'ultimo degli eventi nel processo di trasformazione dell'energia biochimica in energia chimica e poi in
meccanica. L'energia utilizzata è tutta sotto forma di
ATP, ottenuto attraverso varie vie metaboliche
particolarmente attive a livello del muscolo scheletrico.
Si tratta di un insieme complesso di vie metaboliche, sia
aerobiche che anaerobiche, che producono ATP che
viene convertito in lavoro muscolare. È difficile stabilire
il rendimento di questo motore perché dipende da
molti fattori ma è certamente molto alto: può arrivare
al 50% o più. Ha quindi un rendimento che può essere
superiore a quello dei motori creati dall'uomo.
Il 50% dell'energia che non viene trasformata viene
disperso come calore ma è funzionale ai meccanismi di
termoregolazione dell'animale. Ad esempio, l'uso
dissipativo del fenomeno del brivido da parte del
muscolo si associa alla termoregolazione. Quindi il
muscolo scheletrico serve a compiere movimenti fini e
volontari, ma viene anche utilizzato ai fini della produzione di calore e questo non soltanto nel brivido.
Infatti l'esercizio muscolare intenso è in generale associato alla sensazione di calore e provoca il fenomeno
della sudorazione.

I motori molecolari sono ubiquitari, presenti ovunque, anche nelle fibre muscolari scheletriche, però la
caratteristica del muscolo striato, scheletrico e cardiaco, è quella di avere un'organizzazione quasi cristallina
di questi motori attraverso strutture dette sarcomeri. I sarcomeri sono l'unità base della contrazione
muscolare e trovano un corrispettivo a livello microscopico nella striatura: il muscolo striato è così
chiamato perché presenta un'alternanza di bande scure e chiare, molto evidente sia nelle fibre muscolari
scheletriche sia nei miociti cardiaci. La differenza tra una fibra muscolare scheletrica e un miocita cardiaco
sta nel fatto che la prima è un sincizio vero e proprio, ovvero è dato dalla fusione in epoca molto antica di
elementi precursori, e presenta tantissimi nuclei. Questi sono tutti localizzati in periferia per non ostacolare
lo sviluppo di forza che avviene linearmente da tendine a tendine. Per le miocellule cardiache invece si
parla di sincizio funzionale ma non
istologico: sono presenti uno o
pochi nuclei e mantengono la loro
individualità cellulare. Nel muscolo
liscio o nelle cellule epiteliali la
striatura non è evidente perché,
anche se l'organizzazione interna è
la stessa, questa è meno precisa,
quindi non trova corrispettivo a
livello microscopico. Il fatto che ci
siano bande chiare e scure significa
che all'interno si ha
un'organizzazione cristallina che se
attraversata dalla luce dà origine a
un reticolo di diffrazione. Infatti, il
muscolo scheletrico o cardiaco può
essere utilizzato come un reticolo
di diffrazione per i raggi x e con questo metodo si possono ottenere dati sia strutturali che funzionali ad
elevatissima risoluzione durante la contrazione.

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Quindi l'organizzazione cellulare del muscolo scheletrico è molto modulare, dove il modulo è la fibra
muscolare, a sua volta organizzata in sottomoduli che ne
ripetono la logica: il muscolo scheletrico è dato da un
insieme di fibre muscolari che possono essere viste come
cilindretti che si estendono da tendine a tendine, tutti
circondati dall'endomisio, racchiusi in fasci circondati dal
perimisio e i fasci sono uniti tutti fra loro, circondati
dall'epimisio. Le fibre muscolari quindi sono elementi in
parallelo che costituiscono il muscolo e ne ripetono la
struttura macroscopica. La forza e l'accorciamento sono
sviluppati solo secondo una direttiva lineare che è quella
che va da tendine a tendine e si tratta quindi di un motore
lineare. Il cuore invece è una struttura più complessa
perché non lavora solo secondo una logica lineare ma in tre
dimensioni producendo lavoro in pressione e volume.

Considerando la singola fibra muscolare, essa è un sacchetto di membrana che al suo interno contiene
microelementi che ripetono la logica dell'organizzazione delle fibre muscolari stesse. Questi microelementi
sono strutture immerse nel citoplasma e si tratta di cilindretti che di nuovo si estendono da tendine a
tendine, tutti contenuti all'interno della membrana, e prendono il nome di miofibrille. La striatura è propria
del muscolo, delle fibre muscolari ma anche della singola miofibrilla. L'unità strutturale è alla fine l'insieme
delle miofibrille contenute nel sacchetto di membrana della fibra muscolare scheletrica: il potenziale di
azione si genera sulla membrana e determina il transiente di calcio che va ad attivare le miofibrille.
Le miofibrille sono entità strutturali molto resistenti, è infatti possibile, privando le fibre muscolari della
membrana, liberarle nella soluzione. In questo modo si possono ottenere delle soluzioni di miofibrille che si
possono visualizzare al microscopio; addirittura si può misurare lo sviluppo di forza da parte della singola
miofibrilla se viene isolata, montata in modo opportuno e se si registra la forza quando viene attivata dal
calcio.
Le miofibrille sono striate, ancorate alla membrana per mezzo di complesse strutture proteiche di cui fanno
parte la distrofina e i distroglicani.

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In questa immagine viene ripercorsa brevemente la formazione delle fibre muscolari durante lo sviluppo
fetale: le fibre muscolari, come i neuroni, sono cellule che non si possono più dividere e sono ferme in fase
post-mitotica. Durante la vita quindi possono essere solo riparate e non si può avere loro moltiplicazione
ma la rigenerazione del tessuto avviene mediante efficaci meccanismi di riparazione cellulare da parte di
cellule dette cellule satelliti. Abbiamo un patrimonio di fibre muscolari e durante la vita, come per i
neuroni, queste diminuiscono via via in
numero e quando le lesioni sono troppo
grandi vengono sostituite da tessuto
connettivo. Tuttavia le lesioni avvengono
continuamente, il dolore muscolare che
sentiamo con l'esercizio è infatti sempre
dovuto a microlesioni di membrana che
vengono riparare e, anzi, queste
microlesioni sono uno stimolo molto
efficace per la riparazione e la crescita
della massa muscolare.
Ogni miofibrilla è avvolta dal reticolo
endoplasmatico liscio che prende il nome
di reticolo sarcoplasmatico e il calcio che
va ad attivare la contrazione muscolare è
contenuto proprio all'interno del reticolo.
L'aspetto cristallino a bande alternate
delle miofibrille è dovuto all'alternanza e
alla disposizione di due set di filamenti
che contengono le principali proteine muscolari: i filamenti spessi e i filamenti sottili. I primi contengono i
motori molecolari veri e proprio che sono localizzati in una proteina detta miosina che è il motore della
contrazione ma è anche un enzima della classe delle ATPasi e ha come fattore allosterico di attivazione
l'actina. L'actina è il componente principale dei filamenti sottili, insieme ad altre proteine di regolazione che
mediano la contrazione che sono la tropomiosina e la troponina. Una fibra muscolare ha un diametro di
20-100 micron, ogni miofibrilla ha un diametro di circa 1 micron.

Con la microscopia elettronica si può vedere l'organizzazione delle bande: ci sono delle linee di
demarcazione della struttura e il modulo base va da
linea Z a linea Z, più precisamente si parla di dischi Z
perché non sono linee ma dischi tondi. Da questo punto
comincia una banda chiara detta banda I e ne abbiamo
due, a destra e a sinistra delle linee Z. È chiamata I
perchè la nomenclatura viene dall'osservazione al
microscopio a contrasto di fase e queste bande sono
dette isotrope. Alle bande I segue una banda più scura, la
banda A (anisotropa), che ha al centro una zona più
chiara, la zona H, che a sua volta presenta al centro una
linea detta linea M, punto centrale del sarcomero. Il
sarcomero va da linea Z a linea Z e comprende due
bande chiare, una banda scura centrale con una regione
più chiara al centro. La linea M centrale ancora i
filamenti spessi in cui si interdigitano i filamenti sottili
che sono ancorati alla linea Z. In sezione trasversale
troviamo infatti nella banda I esclusivamente filamenti
sottili mentre nella zona laterale della banda A vedremo
sia filamenti spessi che sottili, organizzati in un reticolo
cristallino in cui ogni filamento spesso è contornato da
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sei filamenti sottili in un arrangiamento molto regolare. Nella zona centrale invece troviamo solo i filamenti
spessi. È possibile lo scorrimento dei due set di filamenti gli uni sugli altri e da questo si genera il processo
che è alla base dello sviluppo di forza e accorciamento. In particolare, il motore molecolare contenuto nel
filamento spesso interagisce con il cofattore di attivazione allosterico actina che costituisce i filamenti sottili
e così si genera un evento elementare molecolare che sviluppa sia la forza che l'accorciamento nel tempo di
scorrimento dei filamenti.

COMPONENTI DEL SARCOMERO

Nell’immagine si vede la
linea Z, che è più
propriamente definibile un
disco per le numerose
proteine che la
costituiscono. Quindi si
vedono i filamenti spessi di
miosina, con numerosi
“trattini” che sporgono (che
sono i motori molecolari) e i
filamenti sottili. Ci sono
anche altre proteine
associate al sarcomero:
proteine molto grandi
associate alla miosina per il
posizionamento del
filamento spesso e altre alla
actina per il posizionamento
del filamento sottile.
Quei trattini che sporgono
dai filamenti spessi, spesso schematizzati come un trattino o come una piccola testa che sporge, sono
dovuti al fatto che questo filamento è una struttura complessa costituita dalla polimerizzazione di una
proteina che ha essa stessa una struttura complessa, ha infatti una struttura quaternaria, e che è la
miosina. Mentre il filamento sottile è dato dalla polimerizzazione della actina che si associa alla due
proteine di regolazione.
Questa è una immagine del sarcomero: si notano i filamenti sottili attaccati alla linea Z e i filamenti spessi
con queste teste che sporgono con un arrangiamento molto preciso.

IL FILAMENTO SOTTILE

Il filamento sottile, il più semplice, è


dato dalla polimerizzazione
dell’actina. L’actina è una proteina
globulare, che polimerizza a dare la
forma filamentosa, che ha una
struttura a doppia elica (due filamenti,
o eliche, di actina si super-elicano a
dare il filamento sottile). L’actina
globulare ha una massa molecolare di
42 kDa, e un diametro di circa 5.5 nm.
La lunghezza del filamento sottile, dalla
linea Z fino all’estremo, è di circa 1 micron. Ci sono complessi sistemi enzimatici che controllano i filamenti
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che continuamente vengono riformati e distrutti: c’è un turnover molto elevato della polimerizzazione e
depolimerizzazione del filamento sottile. Associato a questa struttura coiled-coil (cioè a super elica: è una
struttura molto diffusa in biologia, le proteine che la possiedono hanno elevata resistenza strutturale data
dalla rigidità del coiled-coil) in corrispondenza del solco ci sono proteine regolatorie:
 la tropomiosina (un’altra proteina coiled-coil, che posiziona il sensore del calcio intracellulare della
troponina, cioè la subunità TNC della troponina);
 la troponina, che è costituita da tre subunità: TNC (che è il sensore del calcio: è la subunità proteica
che lega il calcio, e da questa interazione si renderà possibile la attivazione del motore molecolare
con il suo cofattore di attivazione allosterica (actina), quindi ci sarà interazione delle teste di
miosina con il filamento sottile), TNI, TNT.
Si vedrà che l’interazione del calcio con le molecole di actina è ciò che rende possibile la attivazione del
motore molecolare.

IL FILAMENTO SPESSO

Per quanto riguarda i termini strutturali del filamento spesso, esso è costituito dalla proteina miosina, che
è un enzima della classe delle ATPasi. L’actina è il suo fattore di attivazione allosterico.
Le molecole di miosina polimerizzano fra loro dando origine al filamento spesso. Le singole molecole di
miosina infatti si associano fra loro: la singola molecola ha una testa e una lunga coda con struttura coiled-
coil che tende al processo di polimerizzazione. Le code di miosina si riconoscono e l’evento elementare è
quello di una molecola di miosina che si associa “coda-coda” con la coda di un’altra miosina. A destra e a
sinistra si aggiungono altre molecole di miosina dando origine alla polimerizzazione. Le code hanno questa
caratteristica di essere “collose” in condizioni fisiologiche: tendono spontaneamente a polimerizzare
originando questi filamenti che presentano un segmento centrale ricordo dell’evento iniziale da cui ha
avuto origine la polimerizzazione
(associazione coda-coda), che è
appunto privo di teste. Le teste
sporgono da questa struttura
polimerica in tutte le altre
regioni (si esclude quella
centrale). C’è una distanza di
14.3 nm fra le teste che si
avvolgono a spirale sul
filamento con un passo di
ripetizione che è di 42.9 nm.
Questi numeri sono interessanti
per gli scienziati che si occupano di diffrazione a raggi x, ma quello che è fondamentale è la estrema
organizzazione della struttura del filamento con andamento preciso.

LA MIOSINA
La miosina è proteina con struttura quaternaria, ovvero è costituita da subunità. In particolare è un
esamero: due subunità rappresentano sia la testa sia la lunga coda. Esse sono chiamate catene pesanti
della miosina. Le due catene pesanti, mediante il segmento di coda, danno origine al coiled-coil
polimerizzando in una struttura con un’unica coda e due teste. Alle due catene pesanti si aggiungono due
catene leggere per ogni testa, quindi in tutto quattro. Sono di due tipologie diverse: due sono catene
leggere regolatorie e due sono catene leggere non regolatorie. Anche se la natura molecolare delle catene
leggere è diversa, hanno la stessa importanza nel muscolo scheletrico perché qui il ruolo cruciale è svolto
dalla catena pesante che rappresenta il motore molecolare, in particolare la testa di esse. Infatti la testa
della miosina ha funzione ATPasica e di legame con l’actina. Quindi presenta un sito idrolitico vero e
proprio che lega ATP e lo idrolizza, e un sito che lega actina che è il controllore allosterico (l’idrolisi di ATP
avviene più rapidamente se la testa di miosina è legata ad actina).

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Vediamo un’immagine a più elevata risoluzione: ci sono le teste di


miosina che sporgono dal filamento, quindi ci sono le catene
regolatorie che si associano sulla regione del collo, e infine il dominio
motore molecolare che è la testa, con il sito di legame per l’ATP e
dall’altro lato il sito di legame per l’actina.
La testa della miosina e la regione del collo, dopo grandi sforzi, sono
stati finalmente cristallizzati a metà degli anni ’90. Quindi si vede la
struttura molto fine del sito di legame per ATP e quello per actina. È
importante per molti ricercatori che cercano di capire qual è il legame
fra modificazione conformazionale associata al legame con ATP e la
scissione di esso a livello del motore molecolare, quindi la
trasformazione dell’energia chimica in energia meccanica.

LA CATENA PESANTE DELLA MIOSINA


Nell’uomo adulto esistono tre diverse isoforme della catena di interesse della miosina, cioè la catena
pesante della miosina, detta in inglese “myosin head chain” (MHC): MHC-I, MHC-IIa, MHC-IIx. Nella fibra
del muscolo scheletrico è presente essenzialmente un’isoforma di miosina (anche se esistono delle fibre
miste che presentano più isoforme) e che caratterizza la fibra: abbiamo fibre di tipo lento (I), veloci che si
affaticano (II-x) e veloci che non si affaticano (II-a). Le unità motorie saranno caratterizzate dal tipo di
miosina presente, quindi è il tipo di motore presente che darà caratteristiche diverse alle fibre muscolari
in termini di velocità.
Nell’uomo esistono 8 geni differenti per la MHC:
 due geni sul cromosoma 14
MHC-I (è quella lenta, ed è espressa non solo nel muscolo scheletrico ma anche nel miocardio
ventricolare);
MHC-alfa (tipica del miocardio atriale);
 sei geni sul cromosoma 17:
MHC-IIx e MHC-IIa (isoforme delle fibre veloci);
MHC embrionale e neonatale, che non sono presenti nell’adulto normalmente;
MHC-IIb e MHC-m, che non sono mai espresse nell’uomo adulto.
MHC-emb e MHC-neo non sono presenti normalmente nell’adulto, però sono importanti marker delle
patologie muscolari. In patologie di diversa natura troviamo la ri-espressione di questi geni e quindi
troviamo nella fibra muscolare adulta anche le MHC di queste due isoforme. E un indice molto forte di
patologia muscolare.

TIPOLOGIA DI MIOSINA
Quella delle miosine è una famiglia
ampissima, infatti abbiamo diverse tipologie
di questa proteina. Le miosine di cui si è
parlato sono le miosine sarcomeriche, ciò
quelle dei filamenti spessi, che troviamo
organizzati in sarcomeri, i quali sono presenti
nel muscolo striato, e anche nel muscolo
liscio. Tuttavia nel muscolo liscio
l’organizzazione nella cellula delle miofibrille è
meno precisa, perciò esse non sono in registro
e la striatura che è presente nelle miofibrille
non si vede più a livello muscolare. Invece nel
muscolo scheletrico le miofibrille hanno le

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bande scure e le bande chiare in registro, perciò affiancate. Le miosine di tipo II sono quelle che
presentano tutte le isoforme precedentemente elencate. Sono isoforme caratterizzanti il muscolo
scheletrico, cardiaco e anche liscio.

Moltissimi altri tipi di miosine caratterizzano cellule non muscolari: possono essere a doppia testa, a testa
singola, con code più lunghe o più corte: ma tutti sono motori molecolari che mediano movimenti cellulari
e trasporti di vescicole in una miriade di situazioni diverse.

La miosina di tipo V è importante perché media il trasporto di vescicole nell’assone, per esempio dal soma
al terminale. Sono miosine a due teste, ognuna con
un sito di legame per ATP e uno per l’actina: infatti
il movimento avviene trascinando il cargo (i carichi)
scorrendo lungo binari che sono filamenti di
actina. Invece la miosina di tipo II non si associa
mai ad altri filamenti.

Nell’immagine sottostante si vede l’interazione


della miosina V-b per il trasporto dei recettori di
tipo AMPA. Essi possono essere inseriti sulla
membrana durante sviluppo e consolidamento
della LTD. Quindi la miosina garantisce il
trasporto degli endosomi. Tutto questo è
associato a meccanismi di regolazione che
hanno come evento chiave l’aumento del
calcio intracellulare mediato in questo caso
dal flusso attraverso i recettori canali di tipo
NMDA al glutammato. Un punto chiave dello
switch molecolare che associa l’aumento della
concentrazione di calcio alla traslocazione di
cargo lungo i filamenti di actina, e l’attivazione
del motore molecolare miosina V-b, è la
attivazione delle Rab, che sono proteine della
classe delle Ras GTPasi importanti in varie
situazioni di traffiking molecolare. In
condizioni di basso calcio nel citoplasma
vediamo molti filamenti di actina già polimerizzati nel citoplasma, e non appena aumenta il livello di calcio
citoplasmatico si attiva il motore molecolare e quindi la traslocazione dell’endosoma verso la membrana,
tutto questo grazie al calcio che entra attraverso il recettore NMDA.

IL MOTORE MOLECOLARE
Che il motore molecolare fosse posto a livello della testa era stato ipotizzato in quanto si sapeva che a
livello della testa sono localizzati il sito di interazione con actina e il sito catalitico. Dagli anni ’60 ci sono
stati esperimenti molto semplici isolando le teste e studiandole in vitro. La coda della miosina non veniva
utilizzata negli esperimenti in vitro perché tende a precipitare, quindi per studiare la miosina in vitro in
esperimenti di biochimica si preferiva tagliare la molecola e isolare le teste. Si è provato che basta solo la
testa per permettere il movimento e quindi lo sviluppo di forza con un esperimento molto semplice
all’inizio degli anni ’90, isolando le teste di miosina e facendole aderire ad un vetrino preparato
precedentemente così da fare aderire le teste di miosina che sporgono tutte. Si pone sopra le teste un
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filamento di actina privato delle proteine regolatorie. Se siamo in assenza di ATP non succede nulla. Se
invece è presente ATP il motore inizia a funzionare: si osserva il movimento dei filamenti di actina, che
sono stati marcati con indicatori fluorescenti. Quelli che si osservano sono appunto dei movimenti
vermicolari.

Esperimenti più recenti (degli anni 2000) hanno


permesso di dimostrare che la generazione di
forza è dovuta esclusivamente alle teste delle
miosine, sia che la miosina abbia testa singola sia
doppia. In questi esperimenti si è cercato di
riprodurre delle condizioni isometriche per
riprodurre solo lo sviluppo di forza e non
l’accorciamento. Si chiamano tecniche di optical-
trap: si intrappola un filamento di actina mediante
la sua adesione a due microsfere, che vengono
tenute in posizione focalizzando sulle stesse dei
raggi laser di elevata potenza, formando così una
trappola ottica. L’energia associata al raggio tiene
in posizione le due microsfere così che esse
tengano teso il filamento di actina posto fra le due.
Il filamento di actina è in contatto con le teste di
miosina. Se si rileva un tracciato di sviluppo di
forza (la forza è la tensione applicata alle
microsfere dal filamento di actina che è tirato dalle teste di miosina), questo tracciato è indice della forza
sviluppata dalla singola testa. La testa si lega, sviluppa forza, e infine si stacca. Si osservano forze che hanno
un andamento a gradino e che sono il corrispondente delle correnti a singolo canale, infatti la forza che
registriamo è della singola testa ed è di circa 4 picoN. Il motore molecolare sarcomerico in realtà agisce in
schiera, cioè grazie a tanti motori che si associano nel filamento: ci sono tanti motori in un singolo
filamento, caratterizzato appunto dalla corona di teste che sporgono e i sei filamenti di actina che lo
circondano. Quindi lo sviluppo di forza e l’accorciamento avviene grazie a questi motori che funzionano a
schiera: circa 300 molecole di miosina agiscono contemporaneamente sullo stesso filamento. Dalle
immagini di diffrazioni a raggi x si può vedere bene la disposizione a schiera dei motori. Si hanno
informazioni su una serie di modificazioni conformazionali durante quello che si chiama ciclo meccano-
chimico, che è appunto quel ciclo che trasforma l’energia chimica in energia meccanica.

ALTRE PROTEINE
SARCOMERICHE
Le proteine sarcomeriche sono
più numerose: non c’è solo
miosina sul filamento spesso,
come non c’è solo actina e
proteine regolatorie sul filamento
sottile. Ci sono le proteine giganti:
la titina e la nebulina. La titina è
associata al filamento spesso, la
nebulina al sottile.

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TITINA

Titina pesa 3 MDa ed è lunga circa 1 micron. È stata isolata e replicata molto di recente. Infatti per
individuare le proteine presenti in un campione si usa la tecnica dell’elettroforesi: le proteine vengono
denaturate, separate e fatte correre su un gel di poliammide e si separano così sulla base delle dimensioni.
Migra nel campo elettrico maggiormente la proteina più piccola. Ogni proteina infatti è ricoperta di carica e
migra nel tessuto in base alle sue dimensioni. La titina non era inizialmente vista perché era così grossa che
non entrava nel gel: bisogna fare dei supporti a maglie molto grandi per fare in modo che la titina possa
entrare. Quando fu identificata fu una grande scoperta. Titina è una megaproteina fondamentale nel
sarcomero: è responsabile dell’elasticità passiva, ovvero delle forze che si oppongono all’allungamento
muscolare e, a livello cardiaco, al riempimento delle camere: infatti queste sono forze elastiche che
immagazzinano energia, che rendono nel movimento successivo.

La titina è disposta in modo tale da estendersi su tutto il filamento sia nella banda I che A. La titina va
infatti dalla linea Z alla M, quindi si associa a tutto il filamento spesso, ma raggiunge anche il filamento
sottile. Quando i sarcomeri cambiano in lunghezza, la titina segue il destino dei sarcomeri
nell’allungamento, cioè quando le linee Z si separano, come un elastico: diventa sempre più lunga fino alla
massima lunghezza, cioè lo stiramento completo. Da questo punto in poi l’elastico risponde
all’allungamento con una forza di resistenza che dipende dalla sua costante di rigidità (cioè K*x come in
tutti i corpi elastici). Questa è quindi la responsabile della risposta di forza in assenza di stimolazione:
quando allungo un muscolo questo resiste all’allungamento grazie alla titina. Infatti ha dei domini molto
diversi: alcuni non distensivi che si associano al filamento spesso, altri molto distensivi, che le danno la
sua caratteristica elasticità, associati alla banda I, che quindi rispondono all’allungamento.

Il muscolo scheletrico umano ha una titina molto distensibile, mentre il muscolo cardiaco ha titine molto
più rigide: il muscolo cardiaco è meno estensibile e questa caratteristica è funzionale al suo lavoro in
pressione e volume. È funzionale alla resa energetica del muscolo cardiaco. Ci sono patologie muscolari
associate a mutazioni della titina, così come patologie cardiache. La titina si modifica in modo dinamico
per esempio nel corso di fibrillazioni atriali: servono stimoli potenti per modificare l’espressione genica
della titina, che è la risultante dell’espressione di diversi geni. Abbiamo diverse isoforme di titina, ognuna di
queste ha una elasticità diversa e quindi l’elasticità e le forze passive possono essere modificate sotto la
base di stimoli plastici e patologici. Bisogna ricordare che se studiamo le proprietà diastoliche del cuore,
durante la fase di riempimento, queste sono dettate dalle tipologie di titina presenti nel muscolo cardiaco.

NEBULINA

La nebulina è associata al filamento sottile. Nel muscolo cardiaco si ha un’isoforma che si chiama
Nebulette. La linea Z del sarcomero è rappresentata da un disco: è dato da un grandissimo numero di
proteine che si associano. In questa zona c’è la nebulina (o nebulette nel muscolo cardiaco). La funzione
della nebulina/nebulette è oscura. Si pensa ad una funzione durante l’assemblaggio del sarcomero, di
allineamento dei dischi Z e di posizionamento dei filamenti sottili. È anche un target di cascate di
segnalazione: ha una funzione regolatoria, responsabile della sensibilità al calcio del sarcomero stesso, che
andrà a modificare il ciclo di attivazione dei motori molecolari. Ci sono delle forme di patologie muscolari su
base genetica (miopatie genetiche) che si originano per la mutazione della nebuline; allo stesso modo ci
sono patologie del muscolo scheletrico: a livello del muscolo scheletrico ho una miopatia associata alla
mutazione della nebulina.

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Fisiologia I – Lezione n°21
02/12/2019

MIOPATIE EREDITARIE
Le miopatie possono essere ereditarie o acquisite. Le prime sono malattie del muscolo scheletrico dovute
ad una compromissione primitiva della conformazione muscolare. Questa può avvenire a livello
strutturale o funzionale, ovvero è dovuta ad una mutazione di una proteina strutturale oppure di una
proteina che ha anche funzione nel motore molecolare. Il segno chimico comune della miopatia è il deficit
di forza (ipotonia e ipotrofia) e quindi modificazioni che possono arrivare alle terminazioni nervose
neurovegetative che sono compromesse nella conduttanza elettrica, e si hanno difetti di accrescimento.

Le miopatie possono avere anche esito fatale perché possono essere compromessi anche i muscoli della
funzione respiratoria. Infatti l’esito delle miopatie è la respirazione assistita e la morte di conseguenza.
Sono malattie drammatiche e diffuse.

COSTAMERI E PATOLOGIE ASSOCIATE


Alcune miopatie sono associate a delle proteine che non sono
sarcomeriche, ma sono le proteine dei costameri. I costameri sono
un insieme di proteine che collegano le linee Z alla membrana.
Durante lo sviluppo di forza e accorciamento, le forze contrattili
vengono trasmesse in modo omogeneo anche alla membrana
plasmatica. Le fibre muscolari sono spesso molto lunghe: se una
zona si contrae e solleva la membrana di più rispetto ad un’altra
zona, allora qui la membrana subisce delle trazioni che possono
essere causa di lesioni e rottura della membrana. Se la lesione è
molto grande la fibra muscolare non può essere riparata: la fibra
muscolare muore ed è sostituita da connettivo. Quindi un elemento
fondamentale è sviluppare forza esclusivamente da tendine a
tendine, in un sistema che distribuisca le forze in modo omogeneo
sulla membrana di fibre che sono lunghe anche svariate decine di
centimetri. Se qualcosa va storto, questo malfunzionamento è
causato da uno scorretto ancoramento delle proteine sulla
membrana, oppure da una mancata disposizione in perfetto registro delle miofibrille. Questo insieme di
proteine che media la corretta connessione fra membrana e sarcomeri, sono quelle del costamero, che
sono proteine strutturali ma anche hotspot di cascate di segnalazione, e quindi fanno parte del network
delle cascate di segnalazione che mediano accrescimento e riparazione cellulare.

I costameri sono costituiti da distrofina e distroglicani (sono associati alla patologia distrofia muscolare). La
distrofina si associa al complesso del distroglicano (sulla membrana), e ad altre proteine, come la desmina,
che le permette di associarsi alle linee Z. I distroglicani ancorano le fibre alla membrana basale.

I costameri possono essere costituiti da decine a migliaia di proteine, moltissime sono target di cascate di
segnalazione. Lo stesso vale per tutte le proteine a livello del disco Z. il ruolo di queste cascate di
segnalazione è in gran parte sconosciuto, certamente sono sensori della forza sviluppata e della
distribuzione della forza sulla membrana.

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Fisiologia I – Lezione n°21
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COMPLESSO DISTROFINA-DISTROGLICANO

Un esempio di costamero, famoso per la patologia a cui si associa, è il complesso distrofina-distroglicano.


La mutazione o il deficit della distrofina porta all’atrofia muscolare di Duchenne (DMD) o di Becker
(DMB). Invece la mutazione o deficit del distroglicano porta alla distrofia dei cingoli o “limb girdle”.

La DMD o la DMB sono patologie


neuromuscolari associate alla assenza o
carenza di distrofina. Questo porta alla
degenerazione del tessuto muscolare, alla
ipotonia e ipotrofia e alla perdita di
attività motoria. Associate a queste due
distrofie muscolari c’è lo sviluppo di
cardiomiopatie tipiche. È una patologia
recessiva associata al cromosoma X,
tipica quindi dei maschi. DMD è associata
alla totale assenza di distrofina, invece
per DMB la distrofina è solo ridotta. Quindi la distrofia muscolare di Duchenne è molto più grave.

In queste patologie le fibre muscolari presentano le isoforme della miosina che dovrebbero essere assenti
nell’adulto, di cui si è parlato in precedenza, così come ricompaiono in tutte le forme di atrofia muscolare.
A livello macroscopico vediamo la centralizzazione dei nuclei (non dovrebbero stare al centro perché così
ostacolano lo sviluppo di forza), la diminuzione e calo di volume e numero di fibre, la localizzazione di
tessuto fibroso e adiposo fra cellule e cellule (infatti diminuisce il numero di fibre muscolari che vengono
così sostituite da un diverso tipo di tessuto). Si tratta di patologie severe che causano la morte precoce.

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FISIOLOGIA I - LEZIONE N°22
5/12/19

Data 5/12/2019

Materia Fisiologia I

Professore Tesi

File audio di riferimento Fisiologia 05-12.mpa

Controllore Trentin

Coppia Scarpellini-Sforni

Riprendiamo la lezione approfondendo la relazione funzione - struttura del muscolo scheletrico, dopo aver
visto le sue caratteristiche generali e l’organizzazione dei suoi filamenti all’interno del sarcomero, che è
l’unità funzionale del muscolo scheletrico, cardiaco e anche liscio. Il muscolo presenta una struttura
modulare e il suo modulo base è il sarcomero.

RAPPORTI DI FORZA E ACCORCIAMENTO


Innanzitutto, è importante utilizzare un formalismo molto semplice che descrive i rapporti fra forza e
accorciamento negli elementi meccanici disposti in serie e in parallelo, perché sono presenti entrambe
queste disposizioni nelle miofibrille, nelle fibre muscolari e nei muscoli nel loro complesso; soprattutto nel
muscolo scheletrico questo arrangiamento è molto chiaro grazie alla unidirezionalità nello sviluppo della
forza e dell’accorciamento da tendine a tendine, avendo dei motori lineari. Con degli elementi meccanici
disposti in parallelo, come le resistenze, si può cercare di calcolare quale sia la forza totale generata da n
elementi disposti in parallelo. Essi condividono gli estremi di inserzione, infatti nel muscolo tutte le fibre
muscolari sono disposte in parallelo perché vanno da tendine a tendine, quindi sono elementi meccanici
disposti in parallelo. Ogni fibra muscolare è costituita da un insieme di miofibrille che seguono la stessa
organizzazione, sono disposte lungo l’asse principale della fibra muscolare andando anch’esse da tendine a
tendine, quindi sono elementi meccanici disposti in parallelo. È un’organizzazione macroscopica replicata a
livello microscopico. Possiamo quindi chiederci qual è la forza totale sviluppata da n elementi disposti in
parallelo sia che siano fibre muscolari nel muscolo sia che siano miofibrille in ogni singola fibra muscolare. La
forza totale, se gli elementi sono in parallelo, è la sommatoria: per n elementi disposti in parallelo la forza è
la somma delle singole forze sviluppate dai singoli elementi. Possiamo anche formalizzare quale sarà il Δl
totale, ovvero l’accorciamento totale, la variazione di lunghezza. Elementi meccanici disposti in parallelo
avranno lo stesso accorciamento, il Δl totale
sarà uguale al Δl1 e Δl2 fino al Δln degli n
elementi disposti in parallelo. Nelle fibre
muscolari però sono presenti anche
elementi disposti in serie, dato che
all’interno di ogni singola miofibrilla avremo
l’alternanza di parti chiare e parti scure che
definiscono le linee Z, le quali definiscono il
sarcomero. Quindi all’interno delle
miofibrille avremo n elementi disposti in
serie e questi elementi saranno disposti
testa-coda testa-coda, uno dopo l’altro come
gli anelli di una catena.

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FISIOLOGIA I - LEZIONE N°22
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Che principi valgono per la forza totale e l’accorciamento totale sperimentato con n elementi disposti in
serie? In questo caso a sommarsi sarà l’accorciamento totale, perché l’accorciamento che va da estremo a
estremo sarà dato da n accorciamenti a carico di n strutture presenti all’interno della miofibrilla. Quindi, il Δl
totale sarà dato dalla sommatoria degli accorciamenti elementari sperimentati dai singoli elementi. Al
contrario, sarà la forza sviluppata uguale per tutti gli elementi, perché la forza sviluppata sarà la stessa in
tutti gli n elementi disposti in serie.

Si fa sempre l’esempio della catena: se si sottopone una catena ad una trazione, ogni singolo elemento viene
sottoposto alla stessa trazione a cui è sottoposta tutta la catena e sarà l’anello più debole della catena a
rompersi, ma la trazione sperimentata ai capi sarà la stessa sperimentata in ogni singolo elemento. Nel nostro
caso, la forza esterna e la forza sviluppata nel sarcomero saranno sempre le stesse perché disposti in serie,
mentre, l’accorciamento sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli elementi.

Questi sono i principi di base delle strutture meccaniche disposte in serie e in parallelo. Quindi
l’organizzazione dei muscoli può giocare su questi elementi: se vogliamo muscoli che sviluppino più forza
dobbiamo inserire tanti elementi disposti in parallelo aggiungendo miofibrille all’interno delle fibre
muscolari. Ad esempio, andando in palestra facciamo esercizio fisico e i nostri muscoli aumentano di volume,
però è necessario ricordare che le fibre muscolari sono elementi in fase post-mitotica e sono cellule perenni,
non sono in grado di replicarsi, quindi quando il nostro muscolo aumenta di massa l’unica cosa da fare è
aumentare la sezione di ogni singola fibra muscolare e questo avviene disponendo sempre più elementi in
parallelo all’interno della cellula. Questo potenzierà lo sviluppo di forza all’interno del muscolo. I muscoli
specializzati per grandi forze sono muscoli con sezioni (ventri) molto grandi; invece muscoli specializzati
all’accorciamento, come quelli che devono far compiere grandi angoli articolari (alcuni muscoli della gamba)
saranno muscoli molto sottili ma molto lunghi, in cui si potrà avere una grande velocità di accorciamento,
perché la velocità è un accorciamento in unità di tempo, quindi muscoli più lunghi possono dare origine a
velocità di accorciamento maggiori. Questo si osserva anche nella tipologia degli atleti: il sollevatore di pesi
è solitamente piccolo con grandi masse muscolari specializzate per un grande sviluppo di forza, invece i
marciatori o gli atleti che vincono le maratone hanno fisici più allungati con muscoli più lunghi, specializzati
nella corsa.

MECCANISMO CONTRATTILE: TEORIA DELLO SCORRIMENTO DEI FILAMENTI


Il modello base per spiegare la contrazione muscolare è la teoria dello scorrimento dei filamenti. Dopo grandi
battaglie fra partiti contrapposti è stato concluso che la contrazione muscolare avviene per scorrimento e non
per accorciamento dei filamenti contrattili e fu grazie a due gruppi indipendenti che arrivarono alla stessa
conclusione negli anni 50. Un gruppo americano era costituito dal professor H. E. Huxley e J. Hanson, i quali
lavorarono al Kingdom di Londra insieme allo stesso
professore che vinse il premio Nobel per il potenziale di
azione. Presero un ulteriore premio Nobel per questo
esperimento.

Si osserva una struttura con bande chiare e scure che si


alternano e delimitano i sarcomeri che sono elementi che
intercorrono fra linea Z e linea Z. la lunghezza del
sarcomero, che si indica con SLM (sarcomere length
muscle), si può misurare facilmente con il microscopio
ottico o con il microscopio elettronico, quindi è ora normale
porsi la seguente domanda: come avviene contrazione
muscolare?
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Esistono filamenti sottili che costituiscono la bada I


chiara e filamenti spessi che costituiscono la banda A
scura. Esiste poi la banda H e la linea M centrale; infine
le linee Z. Sappiamo che il motore molecolare che
costituisce il filamento spesso, la testa della miosina,
oltre alla conversione di energia chimica in meccanica
mediante l’interazione con il filamento di actina.
L’actina rappresenta l’attivatore, il cofattore
allosterico, perché è una reazione enzimatica di
scissione dell’ATP dove l’energia chimica viene
trasformata in energia meccanica come forza di
accorciamento.

Questo meccanismo può avvenire mantenendo la lunghezza dei filamenti invariata o mediante un processo
che determina l’accorciamento dei filamenti, tuttavia se i filamenti cambiassero la loro struttura
collasserebbero e si avrebbe solo un piccolo accorciamento. Perciò, semplicemente, i filamenti scorrono,
perché l’azione del motore molecolare è quella di agganciare al filamento spesso il filamento sottile e con un
movimento a remo propellere i filamenti sottili verso il centro del sarcomero verso la linea M, verso la zona
chiara centrale. Sono due meccanismi completamente contrapposti, la teoria degli scorrimenti dei filamenti
è stata approvata dal fatto che la misura delle bande chiare e scure ha dimostrato che, durante la contrazione,
la lunghezza della banda scura (A) centrale rimaneva invariata, quindi i filamenti spessi non variano durante
la contrazione muscolare, quello che varia è la lunghezza delle bande chiare: con la contrazione muscolare
diminuisce la lunghezza delle bande chiare e le linee Z si avvicinano alla linea centrale.

In questa immagine si vedono chiaramente due lunghezze differenti del sarcomero, in cui la zona scura
centrale rimane invariata e diminuisce la banda chiara e scompare la zona H centrale. Zona A scura invariata,
zona I chiara accorciata. Gli esperimenti che lo
dimostrano sono svolti durante la contrazione
muscolare. Gli esperimenti di A. F. Huxley erano
svolti con il microscopio ad interferenza, grazie al
quale si osservava che durante l’attivazione,
mediante stimolazione elettrica di singole fibre
muscolari di anfibio (facili da isolare e da
mantenere in vitro) ancora intatte e con la
membrana, si raggiungeva un tetto di forza
massimale in cui le fibre contratte presentavano
sarcomeri con una diversa lunghezza senza però
modificare la lunghezza della banda scura. Sia
nello stiramento passivo sia nella contrazione la banda A scura resta uguale.

Un altro esperimento fu svolto da H. E. Huxley e J. Hanson, in cui osservarono miofibrille isolate in vitro e
attivate fornendo combustibile della contrazione muscolare tramite tecniche di microperfusione. Nel
momento in cui le fibre si contraevano si osservava lo stesso risultato che osservavano nelle fibre intatte,
ovvero che la lunghezza della banda A centrale rimane costante e quello che cambia è la lunghezza della
banda I, quindi la lunghezza dei filamenti non varia.

In conclusione, tutto è a carico della banda I in cui i filamenti sottili scivolano e si interdigitano all’interno
dei filamenti spessi ed è grazie a questo processo di interdigitazione progressiva che si avvicinano le linee
Z. Infatti la contrazione segue il modello dello sliding filaments.

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FISIOLOGIA I - LEZIONE N°22
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CROSS BRIDGE E POWER STROKE


Che cosa fa scivolare i filamenti uno
sull’altro? Nell’Immagine qui a fianco si
osserva la ricostruzione dei muscoli del
volo dell’insetto in cui il filamento spesso
ha delle sporgenze a remo che si dirigono
verso il filamento sottile costituendo dei
legami crociati. Questi legami fra
filamento spesso e filamento sottile, a
carico delle teste della miosina, sono stati
definiti cross bridge, ovvero ponti
trasversali, e si è subito associato la
presenza dei legami crociati all’elemento
propulsore dei cross bridge. Il modello
contemporaneo, che combina le
immagini del microscopio elettronico con
la struttura molecolare della testa della miosina in azione come motore molecolare, permette di ricostruire
questo meccanismo.

Ci sono due teste della miosina (non si sa il motivo per cui ce ne siano due: il ruolo della seconda testa della
miosina è tutt’ora sconosciuto, per questo si può modellare tutta la contrazione come se la miosina avesse
una sola testa). Quindi, la testa della miosina che sporge dal filamento va incontro ad una modificazione
conformazionale associata all’idrolisi dell’ATP e durante questa modificazione conformazionale si ha una
piccolissima modificazione conformazionale della struttura della testa, che però viene amplificata mediante
una modificazione di angolo grazie al lungo collo della miosina. È una piccolissima modificazione
conformazionale che viene amplificata da questa altra struttura che è chiamata braccio di leva, che connette
la testa al ROD, cioè la lunga coda della miosina. Durante questo processo si ha l’idrolisi di un ATP e
contemporaneamente si ha lo sviluppo di una forza elementare. Questi sono risultati ottenuti da esperimenti
diversi che hanno permesso di stimare con una grande precisione (2 piconewton) la forza sviluppata ogni
volta che si forma un cross bridge e ogni volta che interagisce con un filamento di actina. E per ogni ciclo di
interazione non si produce solo forza ma anche scorrimento quando questo è permesso, quando siamo in
condizioni isometriche, e il movimento che si ottiene mediante la rotazione del braccio di leva è circa 10
nanometri di scorrimento.

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Questo evento è detto power stroke o working stroke, ovvero colpo di forza. Ogni volta che la testa della
miosina si lega con l’actina ha origine questo sviluppo di forza di accorciamento, come power stroke. Scoperta
nell’ultimo decennio del secolo scorso, questa struttura molecolare della testa della miosina ora si può
associare allo sviluppo del power stroke. La miosina è grande ed esamerica, con due catene pesanti e due
catene leggere, e il motore è posizionato nella catena pesante, precisamente nella testa. La regione della
testa è anche detta regione S1 mentre la regione del collo S2 che collega la testa al ROD. S2 è anche detta
HMM (heavy meromyosin) mentre la regione LMM (light meromyosin) è la porzione leggera in cui è
localizzato il minor numero di KDa. È lunga fino a 90 nanometri. Sulla destra dell’immagine in alto si osserva
la struttura mediante cristallizzazione della regione S1. Sono state identificate le regioni di legame dell’actina
e della miosina e sono questi i due siti in cui si gioca tutta l’azione del motore molecolare, da un lato il sito
dell’ATP e dall’altro il sito di legame di actina (collegato poi alla conversione dell’energia chimica in
meccanica grazie ovviamente all’interazione della testa dell’actina con quella della miosina). I due siti si
parlano strettamente. Nel loro parlarsi si ottengono delle modificazioni conformazionali della struttura che
vengono trasmesse mediante la regione del collo
fino alla regione S2 e al ROD e in questa
trasmissione sono amplificate; nel dominio del
collo, sempre nella regione S1, sono associate a
catene leggere regolatorie e essenziali, ma che
hanno un ruolo ancora misterioso.

L’elemento chiave che determina il working


stroke è la trasmissione della modificazione
conformazionale mediante l’amplificazione data
dalla regione del collo. Questo è provato da
esperimenti recenti e molto eleganti che hanno
concordato che se si modifica la lunghezza della
regione del collo mediante l’ingegneria genetica e

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FISIOLOGIA I - LEZIONE N°22
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molecolare si può ottenere il working stroke di ampiezza via via crescente. Questa ipotesi di lavoro nasceva
dal confronto di motori di tipo diverso, come la miosina di tipo 2 (quella del muscolo scheletrico) che ha una
regione di braccio di leva che presenta una determinata lunghezza, in grado di produrre questo movimento
elementare fra circa 5–10 nanometri. Se osserva un altro motore, la miosina 5, che non è una miosina
sarcomerica, ma comunque svolge un’azione in interazione con il filamento di actina, vediamo che questa
miosina ha una regione di collo data dal ripetersi di sequenze elementari molto molto più lunghe, infatti la
rotazione del braccio di leva produce degli spostamenti elementari 5/6 volte più grandi. Quindi la lunghezza
del braccio di leva condiziona direttamente il fattore di amplificazione della modificazione
conformazionale. Mediante esperimenti è possibile variare la lunghezza del motore molecolare miosina 2
(sarcomerica), in particolare per allungare le regioni S2, inserendo all’interno del rispettivo gene delle
sequenze amminoacidiche dette IQ che si ritrovano nella calmodulina. Si possono inserire da 0 fino a 12
segmenti e la lunghezza del braccio di leva amplifica il power stroke secondo una relazione diretta, lineare,
maggiore sarà la lunghezza del braccio di leva e maggiore sarà il power stroke.

MOTORI MOLECOLARI E POWER STROKE


Ogni molecola di miosina sviluppa un power stroke lavorando in schiera. Sono tutti elementi meccanici
disposti in parallelo all’interno del sarcomero, in mezzo sarcomero precisamente, quindi tanti cross bridge
che vanno da filamento spesso a filamento sottile la cui forza si sommerà. Ma sono elementi in grado di
sviluppare anche un accorciamento che è pari a 10 nanometri e sarà lo stesso per tutte le strutture essendo
elementi paralleli. Perciò, per ogni sarcomero si sviluppa una forza che è pari alla somma della forza
sviluppata dai singoli cross bridge e un accorciamento complessivo che è lo stesso di ogni singolo elemento.
I sarcomeri all’interno hanno emisarcomeri (metà sarcomero) che presentano cross bridge che condividono
gli estremi di inserzione, dal filamento spesso al filamento sottile, quindi la loro forza si sommerà e
svilupperanno un accorciamento uguale per tutte le strutture. Dunque, ogni sarcomero presenta due
emisarcomeri separati dalla linea M e sarà accanto ad altri sarcomeri disposti testa-coda, così che la forza
sviluppata da tutti gli elementi disposti in serie, da tendine a tendine, sarà la stessa forza sviluppata dal
singolo emisarcomero; mentre l’allungamento si sommerà. Quindi, la forza sviluppata dipende da quanti
cross bridge si possono creare all’interno del sarcomero (più precisamente nell’emisarcomero), mentre la
lunghezza totale, ovvero l’accorciamento, dipenderà da quanti sarcomeri sono disposti in serie.

Per questo muscoli che si accorciano tanto sono muscoli molto lunghi; muscoli invece che sviluppano grandi
forze hanno tante strutture in parallelo perché hanno tante miofibrille, disposte parallelamente, ognuna con
un certo numero di cross bridge all’interno del sarcomero.

CICLO MECCANO-CHIMICO DEI CROSS


BRIDGES: IL MOTORE MOLECOLARE
Alla base abbiamo un motore molecolare che è
un’ATPasi, cioè in grado di scindere ATP con un fattore
di attivazione dato dalla presenza di actina. Una volta
che l’actina interagirà con la testa della miosina si
otterrà una modificazione conformazionale che
induce un accoppiamento meccano-chimico ancora
molto studiato.

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Tutto il gioco del motore


molecolare sta nel fatto che
abbiamo un sito di interazione
per l’ATP, chiamato anche sito
catalitico, e uno per l’actina. I
due siti si parlano perché
l’affinità del sito dell’ATP per il
substrato, quindi l’affinità di
legame del nucleotide con il sito
catalitico, dipende dallo stato
dell’altro sito. Se l’ATP si lega al
suo sito specifico, quello che
succede è che i legami dell’ATP
con il sito catalitico fanno
diminuire drasticamente
l’affinità dell’actina con il suo
sito di legame facendo quindi
staccare la testa di miosina. La testa di miosina è un enzima e quindi l’ATP viene scisso in ADP e fosfato (P).
A questo punto nel sito attivo rimangono solo i prodotti di reazione. Il fatto che non ci sia più l’ATP fa
riaumentare l’affinità del legame dell’actina per il suo sito di interazione. In realtà poiché il sito catalitico non
è ancora libero, la testa di miosina si riavvicina all’actina ma genera soltanto un legame debole dovuto alla
bassa affinità. Succede poi che i prodotti di reazione vengono liberati. Il primo prodotto che esce dal sito è il
fosfato. Ciò fa si che nel sito attivo ci sia solo l’ADP e questo fa ancora aumentare l’affinità dell’interazione
del sito specifico per l’actina con l’actina stessa. Quindi la testa di miosina si lega fortemente all’actina, in
modo tale da determinare la diminuzione dell’affinità dell’ADP per il sito catalitico. Quindi l’ADP esce: è un
dialogo di affinità.

Se c’è l’actina nel sito attivo i prodotti di reazione non rimangono nel sito
catalitico. Si può quindi dire che l’interazione della testa di miosina con
l’actina fa diminuire l’affinità del sito catalitico per i prodotti di reazione.
quanto più forte è questa interazione, quanto più i prodotti di reazione
vengono liberati dal sito catalitico. A questo punto ci troviamo in una
situazione in cui non c’è più niente nel sito catalitico infatti anche l’ADP è
uscito, e questo determina un ulteriore rafforzamento dell’interazione tra
testa di miosina e actina. Queste condizioni in cui non c’è niente nel sito attivo
sono le più forti, l’affinità maggiore che si possa realizzare.

Questo stato in cui la testa di miosina è fortemente legata all’actina viene


detto stato di RIGOR. Si chiama stato di rigor perché è lo stato che si associa
al rigor mortis, infatti nello stato di rigor il muscolo dopo la morte diventa
molto rigido. Non c’è più ATP all’interno della cellula perché la morte cellulare
determina l’arresto di tutte le vie di produzione dell’ATP, e il fatto che non ci
sia lascia al sistema una condizione di legame molto forte, da cui una
condizione di rigor. Questa situazione di rigor si realizza in ogni ciclo di
esistenza del crossbridge, è la fase finale in cui i prodotti di reazione sono
usciti e per un istante il sistema rimane fortemente legato all’actina. Nel vivo
questo stato è di brevissima durata perché c’è molto ATP nel citoplasma.

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A questo punto il forte legame della testa con


l’actina viene spezzato perché di nuovo l’ATP
va a legarsi al sito catalitico e questo fa
crollare immediatamente l’affinità della testa
per l’actina. La testa si stacca e ricomincia il
ciclo: l’ATP dura poco perché viene
idrolizzato→ l’idrolisi dell’ATP fa ricrescere di
nuovo l’affinità con l’actina→ l’arrivo
dell’actina determina l’uscita dei prodotti di
reazione → condizione di rigor. il ciclo
ricomincia N volte finché dura la
contrazione muscolare. Durante una di
queste fasi ci deve essere il power stroke,
cioè l’evento che genera la forza.
Chiaramente deve essere una fase in cui
la testa di miosina è legata all’actina
quindi deve essere una fase in cui nel sito
attivo abbiamo ADP e P e
contemporaneamente abbiamo il legame
con l’actina. si pensa che il power stroke
avvenga con l’uscita del P e anche quando
l’ADP esce dal sito attivo, rafforzando
ancora di più il legame conducendo allo
stato di rigor. C’è un po’ di discussione tra
i ricercatori, ma si pensa che la forza si
sviluppi sia nella fase di liberazione del P
sia nella successiva fase di rilascio
dell’ADP, con una preferenza di sviluppo di forza nella fase di rilascio dell’ADP come è indicato nella
schematizzazione.

In questa immagine a fianco vengono mostrati due power stroke, uno associato alla liberazione del P uno
associato alla liberazione di ADP, certammente il power stroke avviene in corrispondenza della liberazione di
questi prodotti.

[a questo punto la professoressa mostra un video che riguarda il meccanismo appena spiegato. Tale video
sembra essere disponibile online.]

ACCOPPIAMEMTO ECCITAZIONE-CONTRAZIONE
A questo punto dobbiamo parlare di un insieme di processi che vanno sotto il nome di accoppiamento
eccitazione-contrazione. Questa interazione tra testa di miosina e actina non è sempre presente. Quando si
è in condizioni di riposo nel citoplasma la concentrazione di ATP è molto alta e rimane costante praticamente
in tutte le condizioni. Non si andrà mai in condizioni in cui l’ATP manca e si perde la contrazione muscolare,
(fanno forse eccezione alcuni sforzi estremi). Normalmente i processi di rigenerazione dell’ATP riescono a
mantenere la sua concentrazione a livelli adeguati nel citoplasma (intorno al 5 millimolare) che sopportano
sempre la contrazione muscolare.

Di base si ha il filamento spesso con le teste che sporgono e il filamento sottile di actina con cui queste
possono interagire se niente blocca il processo. Le teste raggiungeranno il filamento di actina e daranno
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origine al colpo di forza che permette la propulsione del filamento sottile verso il centro del sarcomero.
Questo processo avverrebbe continuamente fino a che è presente ATP.

Cosa impedisce in condizioni di relax che avvenga il ciclo del crossbridge? Ci sono vari modelli per spiegare
questo. Il principale sostiene che c’è un blocco sterico, ovvero che ci sia qualcosa che impedisce l’interazione
della testa di miosina con il filamento di actina, e questo blocco sterico è associato all’azione delle proteine
regolatrici.

Si è visto che il filamento sottile è composto dalla doppia elica, data dalle actine che polimerizzano per dare
il filamento sottile, a cui si associano, nei solchi, la tropomiosina (Tm) che porta con sé la troponina. Ogni
tropomiosina porta questo complesso proteico che è la troponina, composto da tre subunità: la troponina I,
la troponina C e troponina T. La subunità C è quella in grado di legare il calcio (2-4 ioni calcio, questo dipende
poi dalle isoforme). La troponina T si associa alla tropomiosina e la troponina I è quella subunità che va a
inibire la possibilità di unire il filamento sottile e la testa della miosina. La possibilità di interazione è
determinata dalla troponina perché è lei il sensore del calcio, col suo elemento chiave di switch (interruttore)
dato dalla troponina I, ma in realtà il blocco sterico è dato dalla tropomiosina stessa.

Abbiamo una troponina per ogni tropomiosima, ma la tropomiosina copre sette residui di actina, quindi
blocca molti siti di interazione. Quello che succede è che la troponina è il sensore del calcio. Quando il calcio
si lega alla troponina, in associazione con la troponina I, succede qualcosa che fa spostare la tropomiosina
che, da in una posizione in cui copriva i siti di interazione, si sposta in una posizione che rende invece possibile
l’interazione con la testa della miosina.

Riassumendo: quando abbiamo un potenziale d’azione sulla fibra muscolare scheletrica questo segnale
elettrico deve in qualche modo innescare una catena di segnalazione. Questa determinerà l’aumento del
calcio intracellulare e il legame del calcio con la troponina, ne consegue lo spostamento della tropomiosina
che consente l’interazione e il ciclo del crossbridge. Quindi a riposo non si ha contrazione perché la
tropomiosina blocca la possibilità di interazione.

Il fatto che il muscolo sia a riposo non vuol dire che la testa di miosina non idrolizzi l’ATP. La testa di miosina
è un ATPasi e l’idrolisi avviene comunque, ma l’actina è un attivatore allosterico di questa reazione di
scissione. Quindi l’idrolisi di ATP a riposo avviene però con un turnover molto basso. Questo turnover viene
accelerato mediante interazione della testa col suo attivatore. L’actina è un attivatore allosterico perché fa
diminuire l’affinità dei prodotti con il sito catalitico, quindi il legame actina con la testa aumenta la velocità
di rilascio dei prodotti da cui dipende il turnover della reazione.

COME AVVIENE LA TRASMISSIONE DEL SEGNALE E I TUBULI T


Una cascata di segnalazione determina un aumento del calcio. Si vedrà come questo processo di
accoppiamento eccitazione-contrazione avvenga a tutti i livelli dalla membrana fino al sarcomero, ovvero
fino all’interazione con la troponina. L’elemento chiave di questo processo è l’estrema organizzazione del
compartimento di membrana e dei compartimenti di reticolo endoplasmatico liscio, che nel muscolo striato
vengono chiamati reticolo sarcoplasmatico. Questo rappresenta il luogo dove al livello cellulare viene
immagazzinato il calcio. Il calcio nel citoplasma ha una concentrazione molto bassa (submicromolare) dovuta
al fatto che viene continuamente rimosso dal citoplasma e immagazzinato nel reticolo mediante l’azione di
una pompa (una pompa del calcio). Questa pompa si trova sul reticolo sarcoplasmatico e porta il calcio contro
gradiente dal citoplasma verso le cisterne del reticolo. Si chiama pompa SERCA (è un acronimo, Sarco-
Endoplasmic Reticulum Calcium ATPase). Il calcio sta quindi all’interno del reticolo sarcoplasmatico, nella
zona delle cisterne, una zona molto articolata, molto ben organizzata. Il reticolo sarcoplasmatico avvolge le
miofibrille, per questo il sistema risponde molto velocemente. Quando il calcio viene liberato dal reticolo
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FISIOLOGIA I - LEZIONE N°22
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sarcoplasmatico questo arriva immediatamente, con una diffusione rapidissima, fino al sarcomero dove va a
attivare il meccanismo di contrazione con una tempistica estremamente rapida.

Il problema che rimane è come si trasmette questa informazione (cioè la presenza del potenziale d’azione) a
un elemento che è citoplasmatico. Questo avviene attraverso un elemento chiave che sono i tubuli T, o
meglio il reticolo dato dai tubuli T.

I tubuli T sono invaginazioni della membrana plasmatica che quindi portano il segnale elettrico fino nella
profondità della fibra muscolare.

Nell’anfibio sono localizzati a livello delle linee Z. Si vedono le miofibrille che sono tutte affiancate, tutte in
registro, in modo tale che le loro bande chiare e scure siano perfettamente giustapposte comprese le loro
linee Z. Per ogni linea Z troviamo un tubulo T. Tra tubulo e tubulo si estende la rete del reticolo
sarcoplasmatico. Nel mammifero la situazione è un po’ diversa: i tubuli T si trovano sulla giunzione fra le
bande A e le bande I, per il resto la disposizione è esattamente la stessa.

Nell’immagine sopra si vede una cisterna terminale del reticolo a destra e a sinistra di un tubulo T centrale in
sezione trasversale. I tuboli T in verde e il reticolo in giallo. In realtà anche i tubuli T sono organizzati in un
reticolo molto complicato che si approfonda all’interno della cellula e che ha elementi longitudinali e
elementi trasversali. Questa è quindi una struttura veramente molto complicata che media però l’arrivo
estremamente rapido del segnale elettrico.
Le fibre muscolari sono elettricamente
accoppiate, ovvero la depolarizzazione di
membrana sulla superficie è
contemporanea. Questa depolarizzazione
avviene anche nel punto più interno della
membrana stessa, sono elementi accoppiati,
ogni punto ha lo stesso potenziale sia a
riposo sia durante il potenziale d’azione.
Nell’immagine a fianco viene mostrata la rete
geometrica tridimensionale di questo
sistema di tubuli T, che in realtà è un reticolo
sia trasversale che assiale, non è solo un
tubulo che si approfonda ma è una rete.

Ci sono molte patologie cardiache che si originano dalla perdita anche parziale di questa rete così complessa
di tubuli T. Questa media l’accoppiamento eccitazione-contrazione nel cuore che è alla base di ogni evento
di sistole e di diastole.

MUSCOLO SCHELETRICO E
CONDIZIONE DI CALCIUM FREE
(Si rischematizza il tubulo T come se fosse una
semplice invaginazione di membrana)

Cosa c’è a livello dei tubuli T? Cosa c’è nel


reticolo sarcoplasmatico e qual è il
meccanismo che rende questo processo
estremamente rapido? Innanzitutto, c’è un
dato di base: le fibre muscolari scheletriche si
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contraggono anche in assenza di


calcio extracellulare. Si vede che
quando una fibra muscolare
scheletrica, in condizione di calcium
free (di calcio= 0 fuori), subisce un
potenziale d’azione la fibra si
contrae. Questo significa che non c’è
bisogno di ingresso di calcio durante
la contrazione perché questa possa
avvenire. Quel calcio extracellulare
resta pari a 0. Tutto il calcio della
contrazione cellulare del muscolo
scheletrico quindi proviene solo
dalle riserve intracellulari. E’ già
tutto presente all’interno della fibra
muscolare e il segnale elettrico di
membrana serve solo a innescare il
rilascio di calcio dalle riserve
intracellulari. Questo è un meccanismo che vale nel il muscolo scheletrico ma non nel muscolo cardiaco per
il quale c’è una variante importante. Nel muscolo cardiaco l’assenza di calcio extracellulare determina la
scomparsa della contrazione. Quindi per il muscolo cardiaco è necessario un flusso di calcio in ingresso
affinché si possa avere una liberazione del calcio dal reticolo sarcoplasmatico.

Nel meccanismo che vige nel muscolo scheletrico l’accoppiamento è puramente di natura strutturale e su
base elettrica. questo significa che non c’è un segnale chimico, come l’ingresso di calcio dall’esterno
all’interno, necessario per poter innescare il rilascio di calcio dal reticolo: basta semplicemente il segnale
elettrico.

RECETTORI ALLE DIIDROPIRIDINE E RECETTORI ALLA RIANODINA


Nella membrana ci sono dei sensori di potenziale che sono fatti da dei canali voltaggio dipendenti: sono delle
proteine di membrana che modificano la loro conformazione quando cambia il potenziale di membrana. Il
sensore di voltaggio che viene utilizzato a questo scopo di meccanismo di eccitazione-contrazione, sia nel
muscolo scheletrico che cardiaco, è lo stesso canale del calcio. E’ il canale del calcio di tipo L che prende
anche il nome di recettore alle diidropiridine o DHPR. E’ quello che si è visto nelle lezioni precedenti regolare
l’ingresso di calcio durante un potenziale d’azione calcio-dipendente, o mediare l’ingresso di calcio associato
all’altro grande meccanismo di accoppiamento cioè l’accoppiamento tra eccitazione e secrezione del
neurotrasmettitore. In quest’ultimo caso il potenziale di membrana fa aprire i canali del calcio, il calcio entra
e questo determina la secrezione del neurotrasmettitore. Nel caso del muscolo scheletrico il canale del calcio
è utilizzato solo per la sua funzione di sensore di voltaggio. La corrente di calcio che si innesca nel muscolo
scheletrico è molto molto piccola e di significato totalmente sconosciuto. Quello che importa è che i canali
del calcio sono in realtà associati strutturalmente ai grandi canali del calcio che si trovano nel reticolo
sarcoplasmatico. Questi grandi canali del calcio sono detti recettori per la rianodina, perché è il loro agonista
specifico, e sono i canali più grandi conosciuti. Sono canali enormi localizzati nella membrana del reticolo
sarcoplasmatico. Nel caso del muscolo scheletrico presentano una regione molecolare che è detta piede che
raggiunge il lato intracellulare del recettore alle diidropiridine. Il recettore alle diidropiridine sente il voltaggio
e si deforma modificando la sua conformazione. Il legame meccanico fa si che la modificazione della

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conformazione venga trasmessa al recettore alla rianodina, che da chiuso si apre lasciando fuoriuscire il
calcio.

Schematizzando:

A potenziale di membrana di riposo si ha una situazione di questo tipo: il piede connette il recettore alle
diidropiridine e il recettore alla rianodina e il canale del reticolo si trova nello stato chiuso. Quando la
membrana si depolarizza per la presenza del potenziale d’azione il recettore alle diidropiridine modifica la
sua conformazione trascinando con sé il piede. Ciò determina l’apertura del recettore alla rianodina e la
fuoriuscita del calcio. Poiché il gradiente di calcio fra l’interno del reticolo e il citoplasma è enorme, si ha un
flusso molto grande in uscita.

Nell’immagine sottostante si vede la relazione strutturale che c’è fra tubuli T e i recettori per le diidropiridine.
Il piede collega questi recettori con le cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico. Quando arriva il
potenziale d’azione questa struttura permette il rilascio di calcio.

Il calcio è contenuto all’interno del reticolo sequestrato da parte di una proteina che viene detta
calsequestrina. così facendo si diminuisce il grande gradiente di concentrazione contro cui lavora la pompa
SERCA. Questa è una pompa calcio-ATPasi di membrana che consiste in un trasporto attivo primario che
ripompa il calcio dal citoplasma dentro il reticolo sarcoplasmatico, lavorando quindi contro gradiente.
Sequestrare il calcio con la calsequestrina diminuisce il gradiente quindi facilita il lavoro della pompa.

Osservando la parte d dell’immagine a fianco si può descrivere la struttura a livello molecolare. Il recettore
alle diidropiridine è un canale del calcio del tutto canonico di tipo L. Al suo centro si nota la subunità centrale
alpha1 che forma il core. Quando si ha il potenziale d’azione qualcosa cambia e il cambiamento viene
trasmesso al grande recettore alla rianodina che è associato al reticolo sarcoplasmatico con un legame
meccanico.

Sul recettore alla diidropiridina si trovano 4 recettori che captano il potenziale d’azione, invece c’è un unico
grande recettore che lega il recettore alla diidropiridina e quello alla rianodina. Tornando alla parte a
dell’immagine precedente si vede la calsequestrina all’interno del reticolo che sequestra il calcio. Quando
arriva il potenziale d’azione il calcio fuoriesce dal reticolo.

MECCANISMI DI VOLTAGE DEPENDETNT CALCIUM RELEASE O DI CALCIUM


DEPENDENT CALCIUM RELEASE
Nel miocardio la situazione è
completamente diversa. non è presente
questo piede che unisce meccanicamente
le due strutture, per cui per fare aprire il
recettore alla rianodina occorre un
ingresso significativo di calcio attraverso il
recettore alle diidropiridine (attraverso il
canale del calcio). Sarà l’ingresso di calcio
che andrà a innescare l’apertura del
recettore alla rianodina . Quindi il
meccanismo che abbiamo nel muscolo
scheletrico lo chiamiamo un voltage-
dependent calcium release: il rilascio del
calcio dal reticolo è mediato
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esclusivamente dal segnale del voltaggio, mediante la connessione meccanica del piede che connette il
recettore alla rianodina con il sensore di voltaggio, il recettore alle diidropiridine. Questo permette un
accoppiamento meccanico in cui basta il solo segnale di voltaggio, l’ingresso di calcio è totalmente
trascurabile, infatti la contrazione muscolare avviene anche senza il suo ingresso quando lavoro in condizioni
di calcio=0 extracellulare, condizione di calcium free. Nel miocardio non c’è questo tipo di piede che connette
le strutture. Il segnale che fa aprire il recettore alla rianodina, facendo uscire ioni calcio, è l’ingresso del calcio
stesso, per cui parleremo di calcium dependent calcium release, ovvero di un rilascio di calcio calcio-indotto
che è fondamentale per il meccanismo di accoppiamento eccitazione-contrazione nel miocardio. Si osserva
adesso l’immagine a destra: un terminale presinaptico, una giunzione neuro-muscolare e il rilascio di
acetilcolina.

IN SINTESI
Il rilascio di acetilcolina è un rilascio calcio-indotto. L’apertura di questi canali al calcio, che qui funzionano
proprio mediante l’ingresso di calcio, fa aumentare il segnale che permette la liberazione del
neurotrasmettitore. L’acetilcolina liberata nella giunzione trova i recettori nicotinici all’acetilcolina,
determinando la generazione del potenziale d’azione. Questo si propagherà alle regioni adiacenti,
stimolando nei tubuli T altri canali del calcio voltaggio dipendenti che in figura vengono indicati come DHPR.
Tramite il piede si stimola il recettore alla rianodina che permette la fuoriuscita di calcio che quindi diffonde
nel citoplasma fino a interagire con la troponina. L’interazione calcio-troponina modifica la tropomiosina che
così permette l’interazione e i cicli del crossbridge. Il calcio viene riassorbito dalle cisterne del reticolo
sarcoplasmatico mediante l’azione della pompa SERCA e quindi sequestrato dalla calsequestrina. Questo è
l’intero ciclo che rende questo meccanismo di voltage dependent calcium release eccezionalmente rapido e
efficacie. In questo modo si libera sempre una quantità di calcio sufficiente ad attivare l’apparato contrattile
in modo che si possa sempre ottenere i livelli di forza massima cioè la scossa semplice.

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Fisiologia I – Lezione n° 23
06/12/2019

Data: 06/12/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Tesi
File audio di riferimento: FISIOLOGIA-06-12-2019.m4a 1:20:37
Controllore: Procopio
Coppia: Terreni – Tesi P.

Le RELAZIONI TENSIONE-LUNGHEZZA E FORZA-VELOCITA’


Prima di parlare delle relazioni tensione/lunghezza e forza/velocità viene fatto un brevissimo cenno a un
concetto presentato all’inizio di questa serie di lezioni, cioè come si può graduare la forza muscolare sulla
base del gradiente di stimolazione.

Questo per fare presente che le relazioni tensione/lunghezza e forza/velocità che vedremo possono essere
valutate sia a livello della singola scossa (scossa semplice, la risposta totale a un singolo potenziale di
azione) oppure in un’altra condizione che sia stazionaria ovvero di sommazione massima ottenuta con la
permanenza tetanica, che produce i tetani fusi.

Di solito si preferisce stare in questa condizione perché questa è la massima forza sviluppabile da quella
determinata fibra muscolare e da quel determinato muscolo perché consegue alla sommazione massima
possibile del transiente di calcio (vedi anche lezione precedente). Anche il singolo potenziale di azione può
determinare un transiente di calcio in grado di attivare attraverso la cascata di segnalazione che arriva fino
alla troponina e alle glutammine della tropomiosina. In un muscolo scheletrico un singolo potenziale di
azione riesce sempre a dare un transiente in grado di attivare il meccanismo contrattile dando luogo
all’evento di sviluppo di forza elementare.

Però l’andamento presenta un picco, non è mai costante lo sviluppo di forza: aumenta e diminuisce
seguendo da vicino il transiente di calcio.

Se questo viene reso stazionario mediante la fusione degli stessi, quando questi vengono a realizzarsi in
modo tale da non permettere il decadimento del calcio questo comporterà uno sviluppo di forza costante
che rimane come livello di ‘plateau’ del tetano, condizione stazionaria per tutto il tempo in cui viene
mantenuta la contrazione. Si preferisce lavorare in queste condizioni di attivazione massimale e
stazionaria. La gran parte dei dati che vedremo nelle prossime slide che riguardano queste due relazioni
cardine della fisiologia muscolare sono tenute in condizione di stimolazione tetanica, ovvero durante i
tetani fusi.

LA RELAZIONE TENSIONE-LUNGHEZZA
La relazione tensione-lunghezza è un’altra delle possibilità che ha il sistema muscolo-scheletrico per
graduare la forza sviluppata. Riguardo alla forza sviluppata da un muscolo e da una singola fibra muscolare
abbiamo visto che, dato che l’arrangiamento è estremamente modulare e nel muscolo sono disposte n
fibre in parallelo, la forza totale è la somma delle forze elementari delle fibre. Quindi si può studiare questa
relazione, che è la relazione tra quanta forza viene sviluppata in condizioni di massima attivazione tetanica
– semplificando- in relazione alla lunghezza del muscolo.

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Fisiologia I – Lezione n° 23
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Questa relazione può essere caratterizzata a livello della


singola fibra: massima forza sviluppata nella singola
fibra. Questa relazione viene detta tensione perché di
solito la forza si normalizza per la sezione del muscolo o
della fibra muscolare in modo da poter comparare
direttamente elementi muscolari o cellulari di
dimensioni diverse, andando a ricercare dei
determinanti nello sviluppo di forza che non stanno
tanto nel numero variabile di elementi in parallelo che
sommano i loro contenuti, quanto nel determinare
quanto è la lunghezza a cui si trova il sistema. Le
condizioni meccaniche stesse di lunghezza determinano
lo sviluppo di forza. Il muscolo scheletrico è un
dispositivo estremamente sensibile alle condizioni
meccaniche. Questa rappresentata a fianco è la forma
generale della relazione tensione/lunghezza come si
ottiene in un muscolo intero, quindi quella più semplice e conosciuta.

Vedremo che esiste una lunghezza ottimale per lo sviluppo di forza, che è la lunghezza che hanno i muscoli
in situ, quando si trovano da tendine a tendine in un’articolazione posta in stato di riposo: la condizione
ottimale a cui si sviluppa una forza che è massimale (tutte le forze tetaniche sono massimali).

Se la lunghezza del muscolo varia, diminuisce o aumenta rispetto a quel 100%, detto ( la lunghezza del
muscolo in situ), vediamo che la forza diminuisce.

Quindi questo spiega alcune esperienze personali come determinate posizioni degli arti e dagli angoli
articolari che portano un muscolo a un livello di lunghezza tale che quando si prova a sviluppare forza
sembra che il muscolo non sia più capace di farlo. Questo perché il muscolo è stato allungato così tanto che
la forza che può sviluppare diventa la metà, 1/3 o addirittura 0 rispetto al valore massimale.

Quindi in ogni momento i nostri muscoli scheletrici possono sviluppare forze diverse a seconda della loro
lunghezza quindi a seconda di cosa stanno facendo altri gruppi muscolari che agiscono sulle stesse
articolazioni. Quindi il muscolo scheletrico attivamente può solo accorciarsi: l’allungamento muscolare è
sempre passivo, ovvero è una condizione imposta sul muscolo dall’azione di forze esterne, che possono
essere:

- l’azione degli antagonisti: ogni volta che compio un movimento di estensione si attivano gli estensori che
si accorciano e questo determina lo stiramento dei muscoli antagonisti che si trovano dall’altro lato
dell’articolazione. (Lo vedremo a Fisiologia II studiando il riflesso miotatico). Ogni volta che attivo un
flessore l’effetto sarà opposto: si avrà l’accorciamento dei flessori e l’allungamento dei muscoli estensori
dall’altro lato dell’articolazione.

- l’applicazione di carichi che vengono sostenuti durante un movimento

- la forza di gravità, altro elemento fondamentale che agisce determinando allungamento dei muscoli.
Studiando il tono muscolare vedremo che è tale per cui alcuni gruppi muscolari vengono attivati per azione
della gravità: questi sono i muscoli antigravitari, vedremo quelli che rispondono con una risposta contrattile
in seguito all’allungamento sulla base del riflesso miotatico.

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Fisiologia I – Lezione n° 23
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Quindi la lunghezza del muscolo varia perché il muscolo viene allungato


oppure si trova ad essere accorciato per eventi esterni.

La relazione tensione-lunghezza ha questa forma a campana per quanto


riguarda quella tensione che viene detta tensione attiva: quella che
viene sviluppata per azione dei motori molecolari organizzati in schiere
nei sarcomeri.

In realtà il muscolo è un corpo elastico quindi quando viene allungato


rispetto alla sua lunghezza di riposo in condizioni in cui non è stimolato,
è un elastico e quindi risponde alla legge di Hooke, sviluppando una
tensione che è di natura passiva, data solo dall’allungamento di
elementi elastici. A livello del muscolo la tensione passiva è molto
grande perché ci sono tati elementi connettivali. Riferendoci a un
muscolo: partiamo da una determinata lunghezza, il muscolo è disposto
tra due estremi in condizioni isometriche (ovvero L la lunghezza è la
distanza tra i due estremi a cui è stato disposto il muscolo nell’apparato
di registrazione). Posizioniamo da un lato, in alto, un trasduttore di forza
che misurerà la stessa forza sviluppata dal muscolo: si pone in serie
perché la forza sviluppata dal muscolo, dai tanti
elementi in serie, è la stessa forza sviluppata dal singolo
sarcomero che sarà rilevata dal trasduttore di forza. E’
necessario registrare la forza totale sviluppata dal
muscolo. Questo trasduttore risponderà dando un
segnale elettrico (ci sono tanti principi con cui può
funzionare) che è proporzionale alla forza che rileva.

Poniamo il muscolo a tante lunghezze diverse che sono


più grandi o più piccole della lunghezza centrale a cui

si trova il muscolo in situ e innanzitutto viene


registrato lo sviluppo della tensione passiva: cioè
non stimolo il muscolo, è passivo, non stimolato.
Vediamo che il muscolo non stimolato sviluppa
una tensione che aumenta con l’allungamento
del muscolo. Questa tensione passiva è 0 per
lunghezze del muscolo più piccole di e poi
progressivamente aumenta con una relazione
che non è lineare ma è simile alla legge di Hooke
(che sarebbe lineare). Per cui osserviamo uno
sviluppo di forza tanto più grande tanto più la
lunghezza del muscolo viene incrementata,
secondo una costante che è la costante di
elasticità/rigidità del sistema. Questa misurata si
chiama tensione passiva.

In seguito si ripete l’esperimento però ad ogni


lunghezza del muscolo a cui abbiamo registrato

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Fisiologia I – Lezione n° 23
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la tensione passiva, in queste condizioni di lunghezza stimoliamo anche il muscolo con uno stimolatore ad
una frequenza tale da ottenere una contrazione tetanica (in modo da essere in condizioni stazionarie) e
registriamo anche la forza sviluppata dal muscolo in quelle condizioni, ossia la forza totale, perché in ogni
punto avrò un contributo dato dall’azione dei motori molecolari che si somma al contributo base dato
dall’elasticità del sistema, ovvero dalla tensione passiva. Quindi i punti rappresentati in figura sono i punti
sperimentali della tensione passiva e della tensione totale.

Per ottenere la tensione attiva che è il contributo dei soli motori molecolari, dobbiamo sottrarre alla
tensione totale il contributo della tensione passiva. Si ottiene la linea rossa della figura, che è una linea
ricalcolata, non è dovuta a fonti sperimentali isolate ma è data da questa differenza.

TENSIONE ATTIVA= TENSIONE TOTALE - TENSIONE PASSIVA


(Ricordare che si misurano la tensione passiva e quella totale, quella attiva si ottiene dalla sottrazione: all’esame
spesso non è chiaro!!!)

Il dispositivo che si utilizza può essere fatto in tanti modi, come una vite può allontanare tra di loro i punti
di inserzione del muscolo in modo da variare la lunghezza: ecco il principio di un dispositivo isometrico di
registrazione della contrazione muscolare. La relazione tra tensione e lunghezza è ottenuta in condizioni
isometriche: si mantiene fissa la lunghezza del muscolo o della fibra e si misura la tensione.

Il muscolo, la singola fibra muscolare, ogni elemento disposto in parallelo si comporta come un analogo
meccanico come mostrato in figura: due elementi meccanici in parallelo danno un contributo alla forza che
si somma. Quindi in ogni punto la forza sviluppata sarà la somma della tensione attiva, ossia della forza
sviluppata dall’apparato contrattile a cui si somma la componente elastica in parallelo (l’elasticità che dà la
tensione passiva). CC sta per componente contrattile, CEP per componenti elastica in parallelo.

Si somma punto per punto. Al di sotto di la componente elastica in parallelo non dà nessun contributo: è
come la molla che si trova in situazione detesa e quindi quando il muscolo viene allungato agendo su questi
due punti devo arrivare fino a una lunghezza minima che è quella in cui la molla non trova tesa oltre il
quale avrò un contributo di tensione passiva che prima non c’era. La tensione attiva invece la possiamo
osservare-in questo caso è solo la metà della relazione tensione-lunghezza. Possiamo misurare la porzione
fino a arrivare a 0 così che la relazione tensione/lunghezza sarà caratterizzata da una branca ascendente, da
un punto massimo che è il plateau e da una branca discendente.

La tensione passiva è molto facile da misurare perché lo faccio in condizioni di non attivazione.

Nella relazione tensione/lunghezza la componente attiva è molto simile in muscoli diversi. Nella figura a
fianco vediamo ancora il
modello dell’anfibio -che
presenta numerosissimi
vantaggi nello studio- in cui si
confrontano muscoli diversi
(gastrocnemio, sartorio,
semitendinoso).

Si nota che il profilo della


tensione attiva ottenuto dalla
sottrazione dalla tensione totale
della tensione passiva è sempre
lo stesso, ma che il contributo
della tensione passiva è molto

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diverso nei diversi muscoli e questo comporta il diverso profilo della tensione totale, come conseguenza.

Alcuni muscoli, quelli che hanno poco contributo connettivale sviluppano una bassa tensione passiva, altri
con più connettivo hanno più tensione passiva: questo è proprio dei vari muscoli, che hanno funzioni
diverse nell’ambito della biomeccanica del movimento dell’animale in questione.

Quindi quando parliamo di muscolo la tensione passiva è dovuta a tutta la componente delle guaine
connettivali.

Quando parliamo di singole fibre le guaine connettivali non le abbiamo più ma la relazione
tensione/lunghezza può essere misurata anche a livello della singola fibra: l’esperimento si modifica e
invece di un muscolo abbiamo le singole fibre muscolari scheletriche. Queste ultime possono essere isolate
con relativa facilità dai muscoli dell’anfibo perché hanno pochissimo connettivo. E’ una procedura molto
lenta e difficile che richiede un grandissimo training però possono essere isolate perfettamente integre con
la loro membrana e con i piccolissimi estremi tendinei, possono essere montate in un apparato di
registrazione isometrico come quello visto in precedenza, possono essere stimolate elettricamente
mediante determinati stimoli in modo da ottenere la forza massima totale così come avviene a livello del
muscolo, ovviamente con tecniche di micromanipolazione molto raffinate(Anche nel laboratorio dove
lavora il prof. Reconditi sono grandi esperti di questo tipo di difficili registrazioni).

Nel mammifero è molto difficile ottenere le singole fibre muscolari perché contengono molto più
connettivo e durante l’isolamento le fibre si lesionano: basta una microfrattura di membrana per uccidere
la cellula e non poter concludere l’esperimento.

Con il modello di anfibio i ricercatori della fine dello scorso secolo (questi esperimenti sono degli anni ’60)
ricostruirono la relazione tensione/lunghezza anche nelle singole fibre muscolari.

Per la singola fibra muscolare la relazione tensione/ lunghezza attiva non ha più una forma a campana, ma
una forma simile, come se a questo punto possa essere risolta la presenza di angoli e soprattutto del
plateau: non c’è più un picco, ma c’è una fase in cui la forza rimane massimale e costante. Anche le singole
fibre isolate presentano una certa componente di tensione passiva, molto più piccola. Al di sopra della
regione centrale in cui la forza è massima e che corrisponde più o meno alla regione della lunghezza del
muscolo in situ (lunghezza ideale della fibra muscolare) si manifesta una tensione passiva che si ottiene
sempre dalle fibre isolate singole non stimolate ma semplicemente allungate.

Da dove si origina questa tensione passiva in strutture che non hanno guaine connettivali o molto poco? C’è
intanto una plasticità data dalla membrana, ma il determinante fondamentale dell’elasticità passiva delle
singole fibre è la titina.

TITINA
La titina è quella proteina enorme che non è stata identificata semplicemente perché era troppo grossa e
non entrava nei gioghi elettroforetici. Essa connette la linea M con la linea Z e si associa a tutto il filamento
spesso, raggiungendo le linee Z costituisce un trait d’union tra il filamento spesso e gli estremi del
sarcomero. È a livello di questa struttura che è localizzata questa elasticità passiva perché quando il
muscolo anche rilasciato viene allungato questo può determinare a un certo punto una tensione che si
esercita sui filamenti di titina che reagiscono come un elastico, con un’attività di tipo hookeiano, anche se
non lineare. Ovvero quando i sarcomeri vengono allungati (allungamento passivo, imposto dallo
sperimentatore) il sarcomero progressivamente si allunga, le linee Z vengono allontanate tra loro e i

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filamenti scorrono fino


ad uscire dall’area di
sovrapposizione questo
determina l’esercitarsi di
una tensione sull’elastico
titina e lo sviluppo di una
tensione passiva che è
via via crescente.

La titina è quindi una


molla (string).

Ci sono vari domini


all’interno della proteina
ma le proprietà elastiche
sono a carico di quella
parte della molecola che
connette il filamento con
la linea Z, ovvero che si
trova nella banda I.

Ci sono molte isoforme della titina: essa è prodotta con un complesso meccanismo di assemblaggio genico
a partire da un grande gene. Queste isoforme hanno elasticità diversa perché sono determinanti principali
dell’elasticità passiva delle singole fibre muscolari.

In particolare, vediamo che il muscolo scheletrico esprime delle isoforme con bassa rigidità, in particolare
N2A che ha una relazione tensione/lunghezza passiva molto schiacciata, quindi svilupperà delle tensioni
passive di moderata entità. (Stesso incremento di lunghezza produce una forza molto piccola).

Nel miocardio invece si esprimono delle isoforme più corte che sono associate a una rigidità molto
maggiore e questo è importante perché il miocardio è un sistema che ha una tensione passiva adiabatica
piuttosto elevata che è funzionale al lavoro di pressione e volume dell’organo. E’ poco estensibile, quindi in
seguito al riempimento delle camere e della tensione, nel momento in cui si svuotano viene restituita
l’energia accumulata
nella distensione
delle pareti elastiche
del sistema e viene
favorita in modo
significativo
l’eiezione del sangue
dalle camere.
L’elasticità del
miocardio, che dà
origine alle sue
proprietà diastoliche,
a riposo, cioè passive
del miocardio, è un
elemento importante
e modulato e ci sono
molte patologie che

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si associano a modificazioni dell’espressione o della fosforilazione della titina e che quindi provocano
modificazione della sua elasticità e quindi delle proprietà diastoliche del cuore.

Qui sotto vediamo il confronto molto rapido tra varie isoforme della titina: N2A nel muscolo scheletrico con
una relazione tensione passiva-lunghezza molto schiacciata, le due isoforme nel muscolo cardiaco di cui
soprattutto la N2B caratterizzata da una maggiore tensione passiva, il che è molto importante per le
proprietà diastoliche del cuore e della relativa fase del ciclo cardiaco.

Torniamo alla relazione


tensione/lunghezza nella singola
fibra. Quando studiamo questa
relazione quello che diventa
fondamentale è la relazione tra
la forza sviluppata e la lunghezza
del sarcomero, più che la
lunghezza totale della struttura.

Possiamo misurare la lunghezza


del singolo sarcomero
misurando la distanza tra le
linee Z e quindi correlare lo
sviluppo di forza alla lunghezza
del sarcomero, cercando di
ottenere una conferma alla teoria dello scorrimento dei filamenti. Se è vero che avviene lo scorrimento dei
filamenti e se è vero che la forza viene sviluppata a livello del singolo cross-bridge che funziona come un
elemento meccanico disposto in parallelo rispetto a tutti gli altri cross-bridge del mezzo sarcomero in cui si
trova, possiamo pensare che l’entità della sovrapposizione-che determina il numero dei cross-bridge che si
possono formare- è il determinante fondamentale dello sviluppo di forza.

Se la sovrapposizione è 0 la forza non si può esercitare perché nessuna testa di miosina riesce a reagire con
l’actina. Più il sarcomero permette sovrapposizione dei filamenti, maggiore sarà la possibilità di formare
elementi in parallelo e quindi la forza aumenterà linearmente con il numero di elementi in parallelo che si
possono formare e che dipende dalla sovrapposizione. Quindi la lunghezza del sarcomero ci dà informazioni
sulla sovrapposizione di filamenti: dato che conosciamo la lunghezza dei filamenti, possiamo correlare lo
sviluppo di forza al numero di cross-bridges che si possono formare.

Trovare la conferma alla teoria dello scorrimento dei filamenti è stato possibile con la determinazione della
relazione tensione/lunghezza nella singola fibra. Sempre il professor Huxley, che era stato l’inventore del
Voltage Clamp insieme a Hodgkin, insieme ad altri ricercatori applicò la tecnica del clamp anche alla
meccanica muscolare: ciò che veniva clampato, tenuto costante, era la lunghezza del sarcomero, ovvero si
vuole misurare lo sviluppo di forza in condizioni in cui rimanga costante la lunghezza del sarcomero.
Si allunga la fibra muscolare disposta in condizioni isometriche tra un trasduttore di forza e un dispositivo in
grado di allungare e accorciare la lunghezza della fibra come una specie di vite.

Contemporaneamente i sarcomeri possono essere misurati mediante microscopia ottica o, meglio ancora,
dato che il sistema è un reticolo di diffrazione della luce talmente è elevata l’organizzazione cristallina dei
filamenti all’interno del sarcomero, può essere fatto passare un raggio di luce bianca o meglio ancora un
raggio di luce laser attraverso la fibra in modo da ottenere un pattern di diffrazione in cui la distanza tra le
bande è la misura (la lunghezza del passo della griglia costituita dai tanti sarcomeri in fila) della lunghezza
del sarcomero, che può essere rilevata con dei diffrattometri.

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Si misura lo sviluppo della forza e con tecniche complicate che non vedremo si può realizzare un
servosistema che durante la contrazione muscolare mantiene costante la lunghezza dei sarcomeri
imponendo delle modificazioni in lunghezza all’intera struttura. Se i sarcomeri si accorciano ritiro
leggermente la fibra, se si allungano rilascio leggermente la fibra, tutto con un feedback molto rapido
durante la stessa contrazione.

Quindi vediamo una contrazione isometrica massimale tetanica di una singola fibra muscolare e il profilo
della lunghezza del sarcomero mantenuto costante mediante questo servosistema per tutta la durata della
contrazione.

A questo punto è possibile correlare la lunghezza del sarcomero costante e misurata con il livello di
tensione sviluppata e vedere che valore ha la relazione tensione-lunghezza in queste condizioni.

Risultato dell’esperimento: si pone il sarcomero a tante lunghezze diverse e innanzitutto si misura la


tensione passiva, che è presente anche a livello della singola fibra, poi si ritorna alla lunghezza di sarcomero
utilizzata prima per misurare la tensione passiva e si stimola la struttura con una frequenza di stimolazione
dà un termine isometrico e misuro lo sviluppo di forza.

A , la condizione ideale centrale che corrisponde a una lunghezza del sarcomero di 2,2 micron, si osserva
un livello di forza massimale.

Spostandosi rispetto al valore centrale, aumentando o diminuendo la lunghezza del sarcomero di varie
percentuali, si può osservare la modificazione della tensione e si può metterla in grafico in funzione della
lunghezza del sarcomero.

Si ottiene una relazione che somiglia alla relazione a campana, ma l’estrema risoluzione della misura rivela
la presenza degli angoli e di un plateau che si estende tra lunghezze di sarcomero tra 2,2 e 2,25 micron.
Questo tipo di registrazioni è molto interessante perché gli sperimentatori correlarono la forma della
relazione tensione/lunghezza (ottenuta dalla tensione totale meno la tensione passiva), gli angoli e i valori
per cui la tensione andava a 0 per lunghezze di sarcomero molto elevate con la lunghezza dei filamenti che
era già stata misurata in vitro con microscopia elettronica.

Era già noto che il filamento spesso di miosina nel modello di muscolo tibiale anteriore di rana, che
utilizzavano, ha una lunghezza di 1,6 micron e questa lunghezza è costante, anche a livello dei mammiferi o
del miocardio, poiché esso è molto conservato nei vari sistemi muscolari.

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Il miofilamento spesso presenta una zona nuda centrale di circa 0,2 micron che è dovuta alla
polimerizzazione, con disposizione antiparallela delle molecole di miosina, che si giustappongono coda-
coda e poi il filamento cresce. Le teste sporgono a una distanza che più o meno corrisponde alla lunghezza
della coda delle prime due molecole che si sovrappongono, cioè appunto circa 0,2 micron.

Oltre alla zona nuda è presente la porzione delle teste, che dà la possibilità di formare cross-bridges.

Il frammento sottile, che nella rana ha una lunghezza di circa 1 micron, è molto più variabile nei diversi
modelli animali e nei muscoli.

La linea Z ha spessore costante di 0,5 micron.

Questi sono esperimenti capitali svolti da Huxley e Julian del 1966. Segnaliamo che l’ordine che veniva
utilizzato allora nei lavori era un ordine rigorosamente alfabetico. Ora si è perso e contano moltissimo il
primo e l’ultimo nome. L’ideatore dell’esperimento e la mente dietro era sempre Huxley.

Si nota che la forza


va a zero quando
si allungano i
sarcomeri in modo
tale da ottenere
una situazione in
cui abbiamo una
lunghezza di due
filamenti sottili più
la lunghezza di un
filamento spesso
più la linea Z: 3,65
micron.
Corrisponde
perfettamente a
una situazione di
questo tipo: zero
sovrapposizione
tra i filamenti.

Via via che il sarcomero viene accorciato la tensione aumenta linearmente fino a raggiungere un massimo
che viene mantenuto come plateau fra 2.05 e 2.25 micron.

Quindi un incremento di lunghezza equivale esattamente all’aumento di un micron della zona nuda
centrale. Quando la sovrapposizione avviene a carico della zona nuda la forza rimane costante.

Abbiamo raggiunto in questa condizione di 2,25 la massima sovrapposizione possibile utile, cioè che rende
possibile la formazione dei cross-bridge, diminuendo la lunghezza del sarcomero si rimane nel plateau, non
aumenta il numero dei cross-bridges.

Da questo punto in poi abbiamo la branca a sinistra della relazione, che prevede più angoli, uno intorno a
1,65, che equivale alla lunghezza del filamento spesso. La forza diminuisce da 2.05 a 1,65 micron perché la
sovrapposizione di un filamento sottile sull’altro va a interferire con la formazione dei cross-bridges,
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disturba la possibilità di interazione delle teste con l’actina, diminuisce progressivamente il numero di
cross-bridges che si possono formare, fino a che si arriva a un punto in cui si inizia a operare una pressione
sul filamento spesso. Da questo punto indietro la forza crolla perché non è possibile formare ponti ma
anche perché ci sono forze distruttive all’interno del sarcomero dovute alla contrazione del filamento
spesso.

Quando vengono raggiunte lunghezze vicine alle lunghezze dei filamenti sottili la forza va a zero: ogni
filamento rende impossibile la formazione dei cross-bridges sulla sua controparte: il filamento di destra
rende impossibile formazione di cross-bridges sul filamento di sinistra e viceversa.

Ecco la definizione della branca ascendente, del plateau, della branca discendente.

Questa relazione è innanzitutto una prova elegante e definitiva della teoria dello scorrimento dei filamenti,
soprattutto perché ottenuta in condizioni attive, cioè di sviluppo di forza massimale che è ottenuta
mediante una misura funzionale dello sviluppo di forza che negli esperimenti della lezione precedente- che
dimostrano che una prova dello scorrimento dei filamenti- non avveniva perché si osservavano immagini
dalla microscopia elettronica o immagini delle miofibrille che si contraevano quando si aggiungeva l’ATP e si
misurava se variava la lunghezza delle bande. Non si misurava la forza sviluppata in nessuno degli
esperimenti visti precedentemente, né di Young né di Hanson o Huxley.

Qui dimostriamo la teoria dello scorrimento dei filamenti con la misura funzionale dello sviluppo di forza,
ovvero in condizioni in cui si può registrare l’azione del motore molecolare. Quindi la caratterizzazione di
questa relazione tensione/lunghezza fornisce dimostrazione della teoria nella fibra muscolare/muscolo in
attività. Ma è anche la base del concetto per cui i cross-bridges lavorano come generatori indipendenti di
forza disposti in parallelo, cioè ogni interazione tra testa di miosina e filamento di actina genera una
determinata entità di forza intorno a 2,8 che si somma linearmente a tutti gli altri elementi che si trovano
ad agire in parallelo nello stesso emisarcomero in quel momento.

Il numero dei cross-bridges che possono agire in parallelo dipende dalla sovrapposizione dei filamenti.

Quello che ci dice in più la relazione tensione/lunghezza è l’indipendenza di ogni cross-bridges rispetto
all’altro e questo è indicato dalla linearità della branca discendente della tensione/lunghezza. Se si varia il
numero di ponti che si possono formare la forza decresce in modo direttamente proporzionale.

L’azione dei Cross-Bridge però è ciclica (cicli di attacco e distacco). In realtà l’energia non viene dalla
scissione dell’ATP. L’ATP serve solo a far staccare le teste e l’idrolisi rigenererà l’affinità della testa della
miosina con l’actina e quindi l’elemento fondamentale del sistema è il legame con la testa polare. È nel
binding che si localizza tutta l’energia
che c’è nel sistema, quindi nel legame
della testa con l’actina. L’ATP è solo un
modulatore di questa attività per
generare un ciclo. Durante la
contrazione, actina e miosina si
staccano e ri-attaccano con un
turnover che segue la reazione
ATPasica.

Ci sono molte isoforme diverse della


Miosina. Sono motori molecolari che
hanno turnover leggermente diversi:
ce ne saranno di più rapidi e di più
lenti che caratterizzeranno la rapidità
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della contrazione o viceversa la lentezza della contrazione. Ci sono muscoli rapidi e muscoli lenti. Nell’uomo
la situazione è diversa perché tutti i muscoli sono misti, ma ci sono animali che hanno muscoli solo rapidi,
ad esempio i muscoli del salto della rana o del coniglio, e animali che hanno muscoli solo lenti.

Relazione FORZA-VELOCITÀ
Componente ulteriore dell’azione del motore molecolare, oltre allo sviluppare forza, è quello di sviluppare
forza e accorciamento. Ciò possiamo studiarlo in un'altra relazione: la relazione forza-velocità.

Perché la relazione tensione-lunghezza ci dice moltissimo sullo scorrimento dei filamenti e sulla natura dei
cross-bridge, ma non ci dice niente sull’energetica della contrazione. Vi ricordo che in condizioni
isometriche il lavoro meccanico prodotto è zero
(Lavoro = Forza X Spostamento), essendo lo
spostamento pari a zero. Quindi tutta l’energia alla
fine viene dissipata in calore. Per sviluppare
l’energetica della contrazione devo mettermi in
condizioni che il muscolo possa sia accorciarsi che
sviluppare forza e quindi passo in condizioni
isotoniche. Fisso l’altra variabile, cioè la forza
sviluppata, e vado a vedere quando è che il muscolo si
accorcia e soprattutto a che velocità. Appunto trovo la
relazione forza-velocità e questa mi consente di
determinare la potenza muscolare: quanta energia,
nell’unità di tempo, eroga il muscolo. La relazione forza-velocità è iperbolica e nel grafico viene mostrata
sempre la stessa fibra a diverse temperature. Le linee tratteggiate sopra indicano la potenza muscolare: In
questo caso abbiamo una relazione a campana.

Questo è il dispositivo che si utilizza, sia a livello di muscolo che a livello di singola fibra. Metto un carico in
sede. Faccio contrarre il muscolo contro un determinato carico. Abbiamo detto che gli elementi meccanici
disposti in serie sviluppano tutti la stessa forza. Quindi se posiziono un carico su un sarcomero in serie, tutti
gli altri sarcomeri svilupperanno la stessa forza. Stimolo
il muscolo, in modo da indurre una stimolazione che può
essere singola o tetanica (pur preferendo la tetanica, alla
fine è indifferente) e misuro l’accorciamento mediante
un dispositivo ottico. Con lo stimolo il muscolo inizia a
sviluppare forza e la tensione di ogni singolo sarcomero
si mette in equilibrio con il peso del carico collegato. Da
questo punto in poi la forza rimane costante e il muscolo
inizia ad accorciarsi. Interrompo lo stimolo, il muscolo si
rilassa e avremo l’inizio della fase del rilasciamento.

Posso quindi giocare sperimentalmente andando a


variare il peso del carico mantenendo uguale la
stimolazione. Ciò che osservo è che all’aumentare del carico, diminuisce l’ampiezza della contrazione e
soprattutto diminuisce la velocità di accorciamento. Quando il carico sarà pari alla massima tensione
isometrica, l’accorciamento sarà pari a zero.

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Posso visualizzare in grafico lo sviluppo di forza in condizioni di quattro carichi diversi. È visibile come la
velocità va a diminuire con l’aumentare della forza (quindi il carico). Ovviamente il tracciato che riguarda
(quando la tensione è pari al carico) non è riportato essendo l’accorciamento uguale a zero. Il muscolo si
accorcia tanto più la forza che genera è minore della massa del carico. È come se un certo tipo di potenziale
d’azione che combina la forza e l’accorciamento.

La velocità di accorciamento ad ogni carico è costante. Quindi all’aumentare del carico diminuisce
l’accorciamento ma aumenta la durata della fase isometrica (ovvero la fase iniziale), ovvero fase in cui il
muscolo arriva a sviluppare una forza tale da mettere in equilibrio la forza con il carico.

Queste sono tutte immagini tratte dal Conti. Vediamo un tracciato con stimolazione tetanica in condizioni
isotoniche, la lunghezza varia e la velocità è costante.

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A questo punto posso mettere in grafico tutti


questi valori e dare questa relazione che la prof
dice sia popolarissima tra gli studenti essendo
però abbastanza difficile da descrivere e
comprendere (alla domanda sulla relazione
forza-velocità si può rispondere anche parlando
del grafico iperbolico). Supponiamo di essere in
condizioni di lunghezza di contrazione pari a
zero, che corrisponde alla lunghezza del
sarcomero del muscolo in situ, ovvero la
situazione ideale. Siamo in condizioni isotoniche
e ad un certo punto chiamo il muscolo a
sviluppare carichi diversi, da uno più piccolo a
uno più grande, fino ad arrivare al carico che genera la massima tensione isometrica del plateau tetanico.

Se il carico in sede è minore della tensione massima del muscolo, questo come abbiamo già detto si
accorcia. Il muscolo va a mettere la lunghezza di ogni sarcomero in equilibrio con la forza da sviluppare. In
questo caso da una lunghezza di sarcomero pari a 2.05/2.25 micron, questo si accorcerà fino ad arrivare
circa a 1.9 micron. Se il carico è maggiore, invece di 1.9 avrò 1.95 micron per esempio.

La traccia blu è la relazione tensione isometrica. Parto da 2 supponiamo e impongo un carico pari al 20%
della massima tensione isometrica. Quindi il sarcomero si accorcia fino ad arrivare ad uno sviluppo di forza
pari al 20% della tensione massima. La prof spiega che questa relazione è più complicata per il fatto che
combina le due relazioni base della meccanica muscolare: tensione-lunghezza e forza-velocità.

Se al muscolo attacco un carico pari a zero (che vuol dire non attaccare niente), io avrò la massima
contrazione del muscolo e la massima velocità di contrazione (Vmax).

La velocità di accorciamento viene anche essa normalizzata. La tensione era la forza normalizzata per la
sezione. La velocità di accorciamento viene normalizzata per la lunghezza della fibra/muscolo. Elementi
meccanici disposti in serie, l’accorciamento si somma. Per avere una misura della velocità di accorciamento
che non dipenda dalla lunghezza della fibra che sto studiando al momento, normalizzo il valore: Vmax X .

Una velocità di accorciamento di 60 mm/s, in una struttura di 10 mm, avrò una velocità normalizzata pari a
6 (nella slide i valori non coincidono). Questo valore dipende da quanto è lunga la struttura e da quanti
sarcomeri in serie ho. L’unità di misura la esprimo come un multiplo di al secondo.

Queste sono relazioni forza-velocità ottenute in singole fibre muscolari umane (disponibili su un libro di
scienze motorie). Si ha una relazione altamente
iperbolica che nell’uomo comporta un valore
massimo di accorciamento di 6 e una massima
forza sviluppata, normalizzata per la sezione, di circa
280 KPa.

La relazione forza-velocità può essere anche


espressa come frazione della massima forza
isometrica sviluppata. La relazione con l’andamento
iperbolico fu descritta per la prima volta nel 1938 da
AV Hill, che risolse la forma iperbolica della
contrazione.

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Un dato interessante, che ad una prima occhiata può confondere, è che


la relazione iperbolica è speculare. Ovvero non varia al variare degli assi,
posso scambiare i valori e la relazione rimane la stessa. Il grafico ha una
branca che può andare oltre il valore della forza massima isometrica: se
metto un carico che è superiore della forza massima, il muscolo in
questo caso verrà allungato. C’è anche una porzione della relazione
forza-velocità in
allungamento. Siamo
sempre in condizioni
attive comunque, quindi
è stimolato e chiamato a sviluppare una forza. Fino a che il
carico non è 2 volte la massima forza del muscolo, la
pendenza della curva non è ripida. Oltre si ha un cedimento
strutturale e si ha una pendenza maggiore. Molte attività
muscolari si sviluppano in allungamento: esempio quando
si corre in discesa.

Potenza
La relazione forza-velocità ci conduce alla potenza. Stiamo studiando un sistema che sviluppa lavoro
meccanico esterno. Il lavoro meccanico è . Il lavoro esiste se le due variabili sono
diverse da zero: quando la forza sviluppata è zero e il muscolo si accorcia, il lavoro meccanico esterno è
zero; idem se abbiamo solo forza e niente spostamento, come nella forza isometrica massima. Se si
produce lavoro, si produce potenza.

La potenza si misura in Watt, ovvero Joule/secondo (energia al secondo).la potenza posso scriverla anche
come il prodotto tra la forza e la velocità: l’energia è , perciò
equivale a scrivere .

Quindi se moltiplico tra loro il valore tra ordinata e ascissa,


ottengo la potenza. La potenza è uguale a zero agli estremi
della relazione e avrà questo andamento a campana con un
massimo a circa 1/3 della relazione forza velocità, ma questo è
variabile con la curvatura della relazione che determina lo
spostamento del pico della potenza. Quindi motori molecolari
diversi saranno caratterizzati da curvature diverse.

La relazione forza-velocità è una proprietà intrinseca del cross-


bridge perché appunto è un modo per misurare il motore
molecolare in azione nella produzione di lavoro meccanico
esterno dopo la conversione dell’energia. Questa relazione ci dice molto su come avviene la conversione
dell’energia meccanica, con quale efficienza e quali parametri la possono influenzare. Le contrazioni in
allungamento si dicono eccentriche, mentre quelle in accorciamento vengono chiamate concentriche.
Questo è un esempio di una fibra di anfibio, dove si può variare la temperatura. Dalla modificazione della
relazione forza-velocità ottengo profili diversi della curva della potenza.

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Nell’uomo la temperatura gioca un ruolo scarso. I determinanti principali delle curvature sono i motori
molecolari. I motori lenti, che saranno presenti nelle fibre di tipo 1 (o fibre lente), saranno caratterizzati da
una bassa velocità e forza, di conseguenza anche la potenza sarà influenzata. La tipologia delle fibre
dipende solamente dal motore molecolare che presentano, in particolare da un gene: gene per la Myosin
Heavy Chain. Essa contiene la testa della miosina che è il motore molecolare. Geni diversi codificano per
myosin heavy chain diverse, codificano per enzimi ATPasici con un turnover diverso. Nelle fibre di tipo 1
avremo la Myosin Heavy Chain di tipo 1, che avrà un turnover molto più basso della Myosin Heavy Chain di
tipo 2°, a sua volta più basso di quella di tipo 2X. Per turnover si indica la mole di ATP idrolizzate nell’unità
di tempo. Le differenze riguardano la struttura delle diverse teste della miosina, caratterizzate da sequenze
amminoacidiche diverse. Diverse sequenze danno enzimi con turnover diverso. Elemento limitante è
soprattutto la velocità di liberazione del fosfato: dalla fibra di tipo 1 alla fibra di tipo 2X la liberazione dei
prodotti tende quindi a crescere di velocità.

A livello cardiaco esistono mutazioni puntiformi nella sequenza amminoacidica della testa della miosina che
conducono a modificazioni drammatiche nel turnover enzimatico che danno origine a patologie su base
genetica: le cardiomiopatie su base genetica. Vengono anche interessati i muscoli scheletrici: miopatie su
base genetica.

La forza muscolare massima quando viene misurata per diverse le fibre e normalizzata per la sezione
vediamo che non c’è una grande differenza. Ovvero le fibre non si caratterizzano per la massima forza
sviluppata quando viene normalizzata la sezione. Ciò che le caratterizza è proprio la relazione forza-velocità
e quindi la massima velocità di contrazione e massima potenza. Le fibre rapide sono caratterizzate dalla
massima potenza, infatti sono responsabili degli esercizi massimali come il salto.

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Materia – Lezione n° 24
10/12/2019

Data: 09/12/2019
Materia: FISIOLOGIA
Professore: Reconditi
File audio di riferimento:
Controllore: Pandolfini
Coppia: Torresani - Torracchi

ESERCIZI IN PREPARAZIONE ALL’ESAME


Lo scopo di questa lezione è chiarire eventuali dubbi e rivedere i test di autovalutazione presenti su Moodle
in vista dell’esame. Gli esercizi di calcolo presenti nell’esame sono un altro modo per chiedere delle
conoscenze.
Un esempio di esercizio è quello in cui si dà la concentrazione intra ed extracellulare di due specie ioniche e
si chiede di calcolare l’energia necessaria a portare una certa quantità di una specie da un lato all’altro della
membrana. Per portare una sostanza da un lato all’altro della membrana bisogna spendere energia, questa
energia implica di vincere o approfittare, a seconda della reazione, del gradiente di concentrazione e del
gradiente elettrico. Il gradiente di concentrazione è praticamente dato (sono fornite le concentrazioni intra
ed extracellulare), mentre il potenziale elettrico si trova applicando in questo caso l’equazione di
Boltzmann.

1. OSMOSI E TONICITA’
L’osmolarità è il numero di particelle per unità di volume, la
concentrazione in pratica. Si deve tener conto del numero di
particelle. L’unità di volume nel Sistema Internazionale è il metro
cubo, ma la concentrazione si esprime come numero di moli per
litro.
Il termine isosmotiche significa che le soluzioni hanno la stessa
osmolarità.
L’acqua nell’osmosi non tende ad andare né da una parte né
dall’altra ed appunto le due soluzioni sono isosmotiche, quindi se
si esercita una pressione idrostatica l’acqua si muove.
Quindi la risposta corretta è la D

L’affermazione A spiega il movimento del soluto, non il movimento


dell’acqua e il solvente non va da dove il soluto è concentrato
maggiormente a dove è concentrato in misura minore, il solvente
tende a ristabilire l’equilibrio di concentrazione.

L’osmosi non richiede energia.

È, invece, corretta l’opzione C.

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Materia – Lezione n° 24
10/12/2019

L’osmosi non avviene per differenza di pressione idrostatica.


La pressione osmotica è direttamente proporzionale alla
concentrazione di soluti indiffusibili.
È influenzata dal numero di particelle di soluto per definizione.
Non è influenzata dalla carica e dal numero delle particelle; nel
caso ci sia una membrana che divide diverse concentrazioni, a
seconda del tipo di particella, la membrana può essere
permeabile o meno a quel tipo di particella, ma questo non
riguarda l’osmosi, riguarda il concetto di tonicità.

La risposta A potrebbe essere contestabile, dato che viene stabilita


l’osmolarità come numero totale etc... In realtà l’osmolarità dipende
dal numero di totale di molecole e ioni dei soluti presenti in 1 litro di
soluzione.

Non dipende dalla carica elettrica del soluto, quindi l’alternativa B è


corretta.

Per calcolarla è importante considerare il grado di dissociazione del


soluto perché se, ad esempio, si ha una mole di NaCl disciolta in 1 litro
di acqua, l’osmolarità non è 1, ma 2 osmoli perché Na e Cl si
dissociano.

Si utilizza la tonicità al posto della osmolarità per indicare qual è


l’effetto su una cellula dell’essere posta in una soluzione o in un’altra

Per cui la cellula può essere in una soluzione iperosmolare, ipertonica o


ipotonica. La tonicità non si misura con un numero, ma con l’effetto che
ha la soluzione sul volume della cellula. Quando si ha una soluzione
ipertonica significa che il soluto che determina la iperosmolarità non è
in grado di attraversare la membrana perché se si mette una cellula in
una soluzione iperosmotica dove l’iperosmolarità è stata ottenuta per
esempio con un soluto in grado di attraversare la membrana cellulare (è
stato visto l’esperimento con alcol etilico ed etanolo), l’etanolo può
attraversare la membrana. Quindi se si mette la cellula in una soluzione

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Materia – Lezione n° 24
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iperosmotica rispetto all’interno della cellula, se l’iperosmolarità è ottenuta ad esempio con l’etanolo, la
soluzione è isotonica, perché l’etanolo penetra altrettanto facilmente nell’acqua, è lui stesso che tende ad
andare per differenza di concentrazione delle sue particelle e l’acqua non ha bisogno di nessun movimento.

Se invece viene messo del glucosio (per esempio nello xilitolo), lo xilitolo penetra la membrana e quindi il
movimento di sostanza che riduce la differenza di concentrazione è quello dell’acqua: l’acqua si muove per
differenza di concentrazione.

Ci sono dei casi intermedi ad esempio il glicerolo che penetra la membrana, ma con meno facilità
dell’acqua, per cui prima avviene un movimento di acqua, dopodiché via via che anche il glicerolo inizia a
permeare la membrana, l’acqua esce dalla membrana, poi il glicerolo tende ad entrare nella membrana e
l’acqua tende a seguirlo. La successiva variazione di volume non è dovuta al fatto che entra il glicerolo, ma
all’acqua che lo segue. Quindi la soluzione ipertonica determina il raggrinzimento della cellula posta in essa,
la soluzione ipotonica ne determina il rigonfiamento, la soluzione isotonica non determina alcuna
variazione di volume.

2. DIFFUSIONE
La velocità di diffusione è intesa come un flusso, quindi l’unità
di misura è particelle per secondi^-1. Questa non diminuisce
all’aumentare della sua differenza di concentrazione, se mai
aumenta se la membrana è permeabile.

L’affermazione B non è vera nella diffusione semplice, ma è


corretto nella diffusione facilitata, dove c’è una proteina carrier
che permette il passaggio, per esempio, di glucosio. Si ha il
raggiungimento di un plateau perché si ha il fenomeno della
saturazione, perché se il numero di carrier è limitato a una certa
densità sulla superficie di membrana, a un certo punto
aumentando la differenza di concentrazione della sostanza
trasportata ci si trova con tutti i carrier saturati, per cui non c’è
più possibilità di passaggio. Nel caso di glucosio l’equazione per
la diffusione (dove il glucosio all’interno della cellula viene
fosforilato e quindi non può più tornare indietro attraverso una
proteina carrier) è la seguente:

dove [S] = concentrazione


del soluto nella regione 1

km= costante di
dissociazione

Tale equazione segue una cinetica di Michaelis-Menten.

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Materia – Lezione n° 24
10/12/2019

Questa relazione è un ramo di iperbole con asintoto orizzontale, se si guarda la velocità in relazione alla
concentrazione S1.

La diffusione semplice non raggiunge il plateau, la velocità (ossia il


flusso) è uguale alla permeabilità per la differenza di
concentrazione tra due lati della membrana. In quel caso si
misura il flusso come numero di moli per unità di superficie per
unità di tempo.

Dove P è il coefficiente di permeabilità che ha le dimensioni di una velocità.

L’affermazione C è vera sia per la velocità di diffusione facilitata, che per quella semplice. Se la differenza di
concentrazione aumenta, la velocità di passaggio aumenta.

L’affermazione D è errata perché la diffusione non ha a che fare direttamente con la distanza, ma nel caso
di passaggio di una sostanza direttamente attraverso la membrana cellulare, il coefficiente di permeabilità
= coefficiente di diffusione x coefficiente di ripartizione, che misura il rapporto di solubilità della sostanza in
acqua o olio (si intende la membrana fosfolipidica) diviso lo spessore della membrana. Quindi va all’inverso
dello spessore della membrana.

Per come è stata definita a lezione il coefficiente di


permeabilità ha le dimensioni di una velocità; in alcuni testi
l’equazione di Fick viene scritta come il flusso attraverso
l’intera cellula, ma in questo caso la permeabilità non è più
una velocità, ma una velocità per una superficie.

La permeabilità non è direttamente proporzionale allo


spessore della membrana, è il contrario.

È il flusso ad essere influenzato dalla permeabilità e non


viceversa.

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10/12/2019

È più rapido della diffusione semplice: la proteina carrier è fatta


apposta per permettere a una certa velocità la diffusione di soluti
che altrimenti attraverso la membrana in maniera passiva non
diffonderebbero.

Il soluto non cambia conformazione, se mai è la proteina carrier a


cambiarla.

La risposta D non è valida a causa del fenomeno della saturazione.

Per definizione la diffusione avviene senza consumo di energia,


ma si potrebbe obiettare che il gradiente che si è formato si è
formato perché precedentemente è stata apportata un’energia
data per esempio dalla pompa sodio-potassio che riesce a
mantenere tale gradiente.

Esempio: se un oggetto (telecomando) è posto più in basso ha


meno energia, quindi se si vuole sollevare bisogna fornirgli
energia, non si può spostare passivamente, mentre se si lascia
cadere non consuma energia. In realtà ha consumato l’energia
che gli era stata fornita prima per portarlo a quell’altezza.

La diffusione facilitata è mediata da proteine carrier, ma non


richiede energia sotto forma di ATP.

La diffusione è secondo gradiente: da dove il soluto è più


concentrato a dove lo è meno.

Maggiore è la differenza di concentrazione del soluto ai lati della


membrana, maggiore è la velocità di diffusione.

Avviene per differenza di potenziale elettrico se la membrana è


carica, ma anche per differenza di concentrazione. Se il soluto non
ha carica o la membrana non ha differenza di potenziale, il flusso
avviene comunque, ma solo per gradiente di concentrazione.

Viceversa, se la membrana ha una differenza di potenziale


elettrico e il soluto ha una carica, anche la differenza di potenziale
elettrico influenza la diffusione del soluto.

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È un trasporto passivo.

Sono i canali a mettere in comunicazioni i due ambienti


separati dalla membrana.

Le molecole troppo grandi non potrebbero passare per


una questione di dimensioni; le molecole polari sono
idrofiliche quindi stanno meglio nell’acqua che in una
sostanza idrofobica come il doppio strato fosfolipidico.
L’acqua passa nelle membrane plasmatiche, ma non con
grande velocità. La cellula ha, infatti, sviluppato le
acquaporine, dei canali specifici per l’acqua che ne
permettono il passaggio con maggiore velocità.

3. POTENZIALE DI EQUILIBRIO
Non è stato considerato il segno.

La regione 1 ha concentrazione pari a 140 mM (a


sinistra), la regione 2 pari a 2,5 mM (a destra).

Quando il potassio ha raggiunto l’equilibrio


elettrochimico il campo elettrico punta verso la
regione 2 (a minore concentrazione).

Ci sono diversi modi per arrivarci:

- Nella cellula il potassio (dove è vicino a una


condizione di equilibrio) ha una maggiore
concentrazione all’interno, una minore
concentrazione all’esterno, si sa che il campo
elettrico della cellula punta verso l’interno.

- La differenza di concentrazione tende a spingerlo


verso destra (è uno ione positivo), quindi quando
si raggiunge l’equilibrio viene bilanciata dalla
spinta verso sinistra.

Per calcolarlo si utilizza l’equazione di Nernst:

𝑉II − 𝑉I ≈ 59mV ⋅ Log10 [𝐶]I - [𝐶] II

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Si possono fare i calcoli con la costante dei gas, la temperatura e il logaritmo in base E oppure basta
ricordarsi che a 20°C l’equazione di Nernst dice che il potenziale di equilibrio è = 58 x log10 della differenza
di concentrazione.

Il valore utilizzato qui per la costante dei gas è , se si utilizza , non si


trova questo valore (si riferisce al risultato dell’esercizio appena svolto). Invece se si usa per calcolare ad
esempio la pressione osmotica, si ottiene direttamente il valore in atmosfere.

Il calcolo è lo stesso di prima: si ottiene 55mV

Nel sodio il ragionamento per capire da che parte punta il campo


elettrico è sempre lo stesso che per il potassio, ma non ci si può
aiutare con quello che ci si ricorda della cellula, perché nella cellula
il sodio è fortemente fuori dall’equilibrio: si ha una maggiore
concentrazione all’esterno, minore all’interno, ma il campo
elettrico punta in quella direzione perché la membrana cellulare è
poco permeabile al sodio, per cui il sodio riesce a trovarsi fuori
dall’equilibrio (non perché la membrana è poco permeabile, ma il
fatto che lo sia aiuta il mantenimento fuori dall’equilibrio
elettrochimico del sodio).

Qui il cloro è più concentrato nella regione 2 e meno nella


1, ma il cloro è uno ione negativo quindi va in senso
opposto rispetto a sodio e potassio. Ci vuole un campo
elettrico che lo respinga, ma essendo uno ione negativo il
campo elettrico punta comunque verso sinistra.

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4. ECCITABILITA’ CELLULARE
La permeabilità non è massima al potenziale di riposo
perché durante il potenziale d’azione con la
depolarizzazione sopra soglia si ha l’apertura dei canali
voltaggio dipendenti per il potassio (prima si aprono quelli
del sodio con una cinetica più veloce, poi quelli del
potassio).

In condizione di riposo i canali del potassio sono aperti e


durante la depolarizzazione si ha apertura di ulteriori
canali, ciò significa aumentare la permeabilità, oltre che
enormemente del sodio, anche del potassio. Quindi non è
vero che è massima al potenziale di riposo.

Al termine del periodo refrattario assoluto non è minore di


quella del sodio perché al termine del periodo refrattario i
canali del sodio si sono già chiusi, hanno aperto la gate
principale durante il massimo del picco del potenziale
d’azione, poi chiudono la gate secondaria. Passato il
potenziale di riposo si richiude la gate principale per cui il
sodio non penetra più la membrana. Durante il periodo
refrattario assoluto è chiusa la gate del modello ball and
chain

Durante il relativo non è di nuovo permeabile perché è


chiusa la porta principale.

Se abbiamo sia K che Na l’equazione di Goldman dice che la differenza di potenziale dipende da entrambi
gli ioni (dalla differenza di concentrazione) ma pesata per la loro permeabilità.

L’affermazione A è falsa: il tempo che impiegherà per


arrivare da dove è innescato il potenziale d’azione
all’estremità dell’assone dipende dalla lunghezza, ma non
la velocità.

Varia in base alla presenza della guaina mielinica: nel


corso dell’evoluzione la guaina mielinica ha permesso
una maggiore velocità di propagazione che si è rivelata
vantaggiosa per gli animali che l’hanno sviluppata.

È maggiore se il tipo di conduzione è saltatorio.

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Hanno due porte: una di attivazione e una che serve per


l’inattivazione.

Hanno la porta di attivazione chiusa e quella di inattivazione


aperta nello stato di riposo.

L’affermazione C è il caso che si ha nel periodo di


refrattarietà assoluta.

A seguito di depolarizzazione sopra soglia in un tempo


rapido e transitorio si apre la porta di attivazione, mentre
quella di inattivazione è ancora aperta, quindi in quel
momento possono passare gli ioni, poi la porta di
inattivazione si richiude, si apre quella di attivazione e si ha
il periodo refrattario assoluto.

I potenziali graduati sono quelli con risposta di


depolarizzazione o iperpolarizzazione della membrana a un
passaggio di corrente. La risposta è proporzionale allo
stimolo di corrente che si dà e può essere depolarizzante e
quindi la differenza di potenziale tra interno ed esterno
tende a diminuire o iperpolarizzante, per cui la differenza di
potenziale aumenta.

Non sono eventi tutto o nulla: se aumenta la corrente


aumenta la depolarizzazione o iperpolarizzazione.

Sono risposte passive della membrana dovute al fatto che la


membrana si comporta elettricamente come un circuito
resistenza-condensatore.

Non si propagano senza attenuazione lungo l’assone: si


attenuano secondo la costante di spazio lambda, che dice
che il potenziale passivo si attenua in maniera esponenziale
lungo l’assone e la depolarizzazione diventa più bassa via via
che ci si allontana dal punto in cui si ha la corrente.

La costante lambda dipende dalla radice quadrata della resistenza di membrana


diviso la resistenza interna. Questo se si misura la resistenza per unità di lunghezza.
Se poi si misurano, come è più corretto, per unità di superficie entra in gioco anche
il diametro dell’assone a, quindi si ha:

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Le fibre mielinate aumentano la velocità di conduzione perché aumentano la costante di spazio, anche il
potenziale si propaga attenuato in maniera passiva, ma anche ne luoghi vicino a dove si è innescato è
sempre sopra soglia e determina l’apertura di nuovi canali, quindi in pratica si propaga senza attenuazione.

Se anestetizziamo un segmento di un assone si può vedere come in quella zona anestetizzata il potenziale
d’azione decade in maniera esponenziale. Se alla fine del tratto anestetizzato il potenziale d’azione è
ancora sopra soglia, può ripartire e tornare a propagarsi in maniera normale.

Il potenziale d’azione è una risposta attiva.

L’impulso nervoso è il potenziale d’azione.

Sono dovute al circuito RC dove R può essere messo in


relazione alla permeabilità di membrana alle varie specie
ioniche.

Le zone depolarizzate diventano refrattarie, dopo il


periodo refrattario assoluto e relativo possono diventare
di nuovo attivabili.

In realtà la depolarizzazione indotta da uno stimolo crea


una zona attiva solo se la depolarizzazione è sopra soglia.

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Il potenziale di azione di un neurone costituisce la


risposta attiva della membrana cellulare, è un
fenomeno tutto o nulla ed ha una durata e
un’ampiezza sempre uguali pertanto la risposta
corretta è la D.

I canali per il sodio hanno una cinetica più rapida di


quelli per il potassio, non rimangano aperti a lungo
perché c’è l’inattivazione, sono dei meccanismi di
trasporto passivo quindi non permettono il
passaggio contro gradiente elettrochimico, inoltre
non aumentano l’uscita di sodio dalla cellula.

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Se un neurone viene stimolato con uno


stimolo sotto soglia, la variazione ai capi della
membrana è definita potenziale elettronico,
con uno stimolo sotto soglia la variazione del
potenziale ai capi della membrana non è un
fenomeno attivo.

La depolarizzazione sarebbe proporzionale


allo stimolo ma poi si raggiunge la soglia e
parte un potenziale d’azione del tipo tutto o
nulla.

Nel momento in cui abbiamo un potenziale di azione


non c’è il periodo refrattario, devono ancora aprirsi i
canali del sodio e quelli del potassio.

Il periodo refrattario relativo consente la generazione di


un nuovo potenziale di azione, ha bisogno che lo stimolo
sia ad un livello superiore rispetto a quello originale.

Nel periodo refrattario assoluto non è possibile generare


un successivo potenziale di azione perché i canali del
sodio sono inattivati e non sono riattivabili fino a
quando non sarà passato un certo intervallo temporale.

[i test sulle sinapsi saranno svolti con la professoressa


Tesi]

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PROBLEMI NUMERICI

1)

Se ho equilibrio senza richiedere l’intervento di un campo elettrico vuol dire che non c’è nemmeno
gradiente di concentrazione, quindi la risposta sarà 140mM.

2)

La pressione osmotica in relazione alle concentrazioni dei soluti si definisce come:

 =[cs]RT
Abbiamo 0,5 L di acqua e 1 millimole di NaCl. Quando il sale si dissocia avremmo 2 millimoli, una di Na e
una di Cl. Abbiamo inoltre 2 millimoli di KCl, una volta dissociato avremmo 4 millimoli, 2 di K e 2 di Cl. In
totale una volta che i Sali si sono dissociati avremmo 6 millimoli. I Sali sono disciolti in 0,5L di acqua quindi
la concentrazione sarà 12 millimolare.

La temperatura è 20° C quindi T è 293 K

Prima di poter calcolare la pressione osmatica dobbiamo tenere conto del fatto che la molarità è moli/litro,
quindi se la molarità è 0,012 vuol dire che ho 0,012 moli in 1L. 1L però equivale ad 1 dm3 quindi a 1*10-3 m3.
Quindi nel calcolo finale della pressione osmotica dobbiamo tenere conto che la molarità è 0,012 mol
/1*10-3 m3.

Considerato tutto ciò la pressione sarà:

(8,31*293*0,012) *1000
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3)

La costante di tempo nella carica di un condensatore si definisce come quel tempo dove il processo, sia
caduta che aumento della condensazione, è completo al 63%.

Dipende da 2 parametri cioè R (resistenza di membrana) e C (capacità di membrana).

=R*C
4)

Si utilizza l’equazione di Goldman

LOG IN BASE 10 NON E

Posso sostituire RT/F con 58.

Abbiamo una permeabilità al potassio molto alta mentre al sodio più bassa quindi il potassio è più vicino al
suo potenziale di equilibrio e si dirige verso l’esterno della cellula e di conseguenza, nel campo elettrico
determinato dallo ione potassio, il sodio si dirige dall’esterno verso l’interno

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5)

Se abbiamo l’equilibrio di Donnan possiamo affermare che inizialmente il prodotto della concentrazione di
potassio e cloro all’interno della cellula è uguale a quello esterno. Possiamo verificare che siamo
all’equilibrio di Donnan: 125*2,4 ≃ 300 e 2,5*120 ≃ 300. Siamo quindi all’equilibrio di Donnan.

Successivamente la soluzione extracellulare viene sostituita con una soluzione in cui la concentrazione del
cloro è minore. Avvengono quindi movimenti di ioni e questo porta inizialmente ad una rapida variazione di
differenza di potenziale transmembranale. Il potenziale si porterebbe ad un valore che è a metà strada tra
quello iniziale, che è rimasto ancora il potenziale di equilibrio del potassio, e quello nuovo che il potenziale
dovrebbe assumere per il cloro.

Sia il cloro che il potassio iniziano a uscire dalla cellula (i due ioni vanno nella stessa direzione perché hanno
segno opposto). Per quanto riguarda il potassio la variazione intracellulare è poco significativa mentre
quella extracellulare cambia di più perché la concentrazione esterna era più bassa.

Dopo una certa cinetica la differenza di potenziale transmembranale ha recuperato il suo valore iniziale (in
realtà non tornerà esattamente uguale a prima ma ci si avvicinerà molto perché il cloruro di potassio che è
uscito è poco rispetto a quello che c’è dentro). Quindi siccome il potassio all’esterno non è cambiato deve
essere cambiata la concentrazione interna visto che è il rapporto di concentrazione che mi dà la differenza
di potenziale

Il rapporto di concentrazione deve essere lo stesso anche per il cloro quindi visto che la concentrazione
esterna di cloro è 1/4 di quella iniziale anche la concentrazione interna sarà 1/4 di quella iniziale.

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Materia – Lezione n° 24
10/12/2019

6)

 − =R*T*ln (140/2,5) +z*F*0,09V

[N.B Le due parti devono avere segno opposto]

Z=valenza=1

 −= 9700 J/mol + (-8685 J/mol)

7)

Dobbiamo applicare l’equazione di Michealis Menten

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Materia – Lezione n° 24
10/12/2019

Dove Vmax=6 e S=6

8)

Dato che si tratta di conduttanza dobbiamo usare l’equazione di Goldman ma modificata per usare le
caratteristiche elettriche della membrana

V= (EkgK+ ENagNa)/(gK/gNa)

Visto che non ho il valore delle conduttanze ma il loro rapporto devo dividere tutto per GNa rimane KNa per
trovarlo calcolo il potenziale di equilibrio del potassio e del sodio.

[la spiegazione non è chiara anche perché il professore ha sbagliato varie volte e la correzione si rimanda
allo studente]

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Fisiologia I – Lezione n°25
16/12/2019

Data: 16/12/2019
Materia: Fisiologia I
Professore: Tesi
File audio di riferimento: Fisiologia - 16-12-2019.m4a
Controllore: Tigano
Coppia: Zondini - Zurli

LEZIONE DI RIPASSO

In questa lezione di riepilogo affronteremo insieme alcuni quesiti dei test di autovalutazione presenti su
moodle per capire in che modo dare la risposta giusta. [I quesiti della prova d’esame non saranno di questa
tipologia; si tratterà di domande che prevedono una risposta “aperta”.]

SINAPSI E GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE


Quesito 1:

In questo quesito viene richiesto di scegliere


una o più alternative e già questo indirizza
maggiormente lo studente verso il
ragionamento.
Come può risultare intuitivo, sono tutte
corrette tranne l’ultima, la risposta d), in
quanto afferma che le sinapsi elettriche si
trovano solamente nel miocardio, mentre si
trovano anche nelle giunzioni interneurali e
in tantissimi altri sistemi di connessione.

Quesito 2:

Sempre per quanto riguarda le sinapsi


elettriche il secondo quesito chiede a
quale patologia siano associate e qui la
risposta è semplice: una delle patologie
non associate ad alterazioni delle
connessine è la distrofia di Duchenne,
che, come abbiamo già visto, non è
associata alla mutazione del gene della
connessina. Per cui questa risposta, la c,
risulta sicuramente falsa.

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Fisiologia I – Lezione n°25
16/12/2019

Quesito 3:

La domanda è molto semplice e l’unica


risposta corretta risulta essere la c), in
quanto è vero che le sinapsi chimiche
sono sia interneuroniche che
neuroeffettrici.

Quesito 4:

Questa domanda richiede un po’ più


di ragionamento.
Leggendo la risposta a) possiamo
dedurre che essa è falsa perché il
potenziale di membrana NON è
sempre sopra soglia. Questo accade
solo in tre casi:
 nella giunzione
neuromuscolare;
 nella fibra rampicante;
 nella trasmissione gangliare,
dove il fast EPSP è quasi sempre
sopra soglia. Soprattutto nel ganglio simpatico, ma anche parasimpatico, la sinapsi interneuronica è
mediata da una trasmissione nicotinica in prima battuta, un fast EPSP che è quasi sempre sopra soglia.

La risposta successiva ovviamente è falsa poiché, se in base alla risposta precedente sono stati individuati
tre casi, non può di certo essere vera la b) in cui viene detto che il potenziale di membrana non è mai sopra
soglia.
La risposta c) risulta corretta in quanto dà tutte informazioni giuste.
La risposta d) è falsa in quanto c’è un caso in cui non si apre un canale, ma si chiude. Solitamente si apre e
questo dà luogo a un ingresso di corrente (che prima non c’era, o era più piccola e ora aumenta) e questo
porta a una iperpolarizzazione o ad una depolarizzazione, a un EPSP o un IPSP.

Spieghiamo brevemente il funzionamento: tutti i fenomeni, eccitatori o inibitori, mediati dall’apertura di


canali, hanno sempre come conseguenza una diminuzione dell’eccitabilità perché appunto diminuiscono la
resistenza di membrana, così che le correnti che arrivano in un momento successivo, trovando una
resistenza di membrana minore, produrranno un ΔV più piccolo.
L’equazione è ΔV=I·R, per cui se la resistenza è abbassata, perché sono stati aperti i canali, lo stesso
neurotrasmettitore avrà successivamente, mediante l’apertura dello stesso canale, un effetto minore: la
corrente sarà la stessa, ma fluirà su una resistenza di membrana più bassa.

Questo argomento è già stato affrontato con la lezione relativa all’inibizione.


Si considera un esperimento sullo stimolo test e stimolo condizionante nel quale i due stimoli giungono da
muscoli diversi (un flessore e un estensore) e hanno come target lo stesso motoneurone della stessa fibra
neuromuscolare scheletrica.

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Fisiologia I – Lezione n°25
16/12/2019

Si analizza il circuito dove da una parte c’è una sinapsi inibitoria e dall’altra eccitatoria: un circuito
monosinaptico del riflesso miocardico su cui si sovrappone il circuito inibitorio che proviene dal fuso
neuromuscolare del muscolo antagonista.

Si definisce 1 la via proveniente dalla fibra flessoria e 2 quella


proveniente dalla via estensoria.
Se si stimola solo la via 1 otteniamo il 100% della risposta,
mediante registrazione dal motoneurone.
Stimolando soltanto la sinapsi eccitatoria si osserva un EPSP
con un’ampiezza del 100%.
Se a tempi precedenti stimoliamo la via inibitoria, ovvero si fa
trovare allo stimolo eccitatorio un motoneurone che ha già
subito uno stimolo inibitorio, si nota che, se si fa precedere di
un millisecondo la stimolazione della via inibitoria rispetto
alla stimolazione sulla via eccitatoria, si ottiene una
diminuzione della eccitabilità, ovvero l’ampiezza dell’EPSP
diminuisce e diventa circa del 20%.
Se però si va a vedere l’effetto della stimolazione della via inibitoria, invece di un EPSP si ottiene un IPSP
(con una sua ampiezza e un suo andamento temporale). Va quindi immaginato che l’inibizione sia dovuta
principalmente allo spostamento rispetto alla soglia e che per arrivare a un valore vicino alla soglia, se si
parte da un valore più basso, è necessaria una corrente maggiore e un effetto eccitatorio più grande. Si può
calcolare qual è l’entità dell’inibizione che ci si aspetta: essa è molto più piccola è infatti la linea tratteggiata
in figura.

La cosa fondamentale (perché le ampiezze sono sempre difficili da misurare) è che si è notato uno shift
temporale, poiché ci si aspetterebbe il massimo dell’inibizione in corrispondenza del picco negativo
dell’EPSP, invece l’inibizione presenta un picco molto anticipato (di circa un ms in questo caso).
Questo andamento dell’inibizione correla la corrente di EPSP, una corrente data da un fenomeno
elettrotonico, con un circuito RC. È previsto quindi un ritardo tra corrente e modificazione del potenziale e
la corrente è quindi in anticipo, secondo le costanti di resistenza della membrana, di circa un millisecondo
sul picco del fenomeno elettrico.
La corrente precede la modificazione del potenziale di membrana, così come il picco dell’inibizione
precede il picco dell’inibizione prevista sulla base della corrente. Questa correla esattamente con il picco
dell’inibizione osservata, la quale precede il picco dell’EPSP che sta avvenendo sulla membrana

Quindi questo significa che la gran parte dell’inibizione è dovuta NON alla modificazione del potenziale, ma
alla corrente data dall’apertura del canale, per diminuzione della resistenza.
L’inibizione, soprattutto dei fenomeni rapidi, è perciò dovuta più all’apertura dei canali che alla
conseguenza della loro apertura (depolarizzazione o iperpolarizzazione).

Se si arriva alla soglia si genera senza problemi il potenziale d’azione


(-60mV), però durante l’EPSP abbiamo una corrente correlata
all’apertura dei canali, ciò significa che se si ha un secondo EPSP
durante il tempo in cui i canali sono aperti (periodo in cui la
conduttanza di membrana è aumentata e la resistenza è diminuita),
la stessa corrente, fluendo su un sistema a resistenza diminuita, darà
luogo a un EPSP di ampiezza minore (-70mV).
Per cui quanto più sarà forte questo effetto tanto più grande sarà la
variazione di resistenza di membrana che si osserva nel sistema; ciò
significa che più la resistenza crolla per azione dei
neurotrasmettitori eccitatori, più l’effetto dello stimolo eccitatorio risulterà smorzato. Un effetto
eccitatorio si paga con diminuzione dell’eccitabilità complessiva del sistema.
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Fisiologia I – Lezione n°25
16/12/2019

Esiste però un tipo di trasmissione molto efficace che avviene per chiusura di canali che è l’EPSP lento
muscarinico che avviene chiudendo i canali al potassio.
Il potenziale di membrana è molto vicino al potenziale
di equilibrio del potassio, questo perché la
conduttanza di membrana del potassio a riposo è
molto grande.
Se si diminuisce la conduttanza di membrana a riposo,
quindi si chiudono i canali al potassio, il potenziale di
membrana si sposta: si trova molto vicino ad EK e
piuttosto lontano da VM.
Risulta molto vicino a EK perché la permeabilità del
sodio è cento volte più bassa rispetto al potassio, per
cui il potenziale di membrana non è esattamente
uguale a EK, ma molto vicino.
Se diminuisco PK, il rapporto PNa/PK si sposta: da un valore di 0.01 ad uno di cento volte più basso, perché
risente di più del potenziale di membrana del sodio.
Se la permeabilità non è cento volte più grande del potassio ma 50 volte, oppure se i due potenziali sono
uguali, si determina uno spostamento del potenziale di membrana e la membrana si depolarizza (mediante,
in questo caso, la chiusura di un canale al potassio).
Quindi si ha un EPSP lento però in associazione a una corrente che diminuisce (quella del potassio) e un
sistema in cui la resistenza di membrana addirittura risulta aumentata.

EVENTI PRE-SINAPTICI E LIBERAZIONE DEL NEUROTRASMETTITORE

Quesito 1:

Innanzitutto, definiamo cosa si intende


per blocco presinaptico: se esso è
presente si nota che, nonostante la
stimolazione del terminale
presinaptico, si registra l’effetto sulla
fibra muscolare, ma non si nota nulla.
Ciò avviene se l’agente utilizzato ha
bloccato il rilascio del
neurotrasmettitore.

Quando si osserva un blocco nella trasmissione, ci si può chiedere se il neurotrasmettitore non sia stato
liberato o se i recettori non funzionino più.
Analizzando le risposte, risultano corrette la b) e la c): il blocco scompare con l’aggiunta esogena di
nicotina, in quanto si ha un recettore nicotinico e scompare anche con l’aggiunta di acetilcolina, perché è
l’agonista di sintesi della nicotina.

L’ultima risposta è falsa perché non scompare con aggiunta di muscarina dato che il recettore è nicotinico.

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Fisiologia I – Lezione n°25
16/12/2019

Quesito 2:

In questo quesito si ragiona su


come si ottiene il blocco
presinaptico.

La risposta a) risulta vera in


quanto è noto che la liberazione
del neurotrasmettitore venga
inibita rimuovendo il secondo
messaggero associato ad
accoppiamento
eccitazione/secrezione, che è rappresentato dal calcio, e innalzando i livelli di magnesio (ione molto simile
al calcio che compete con esso).

Quindi per eliminare i residui di calcio, impresa molto difficile perché ai tempi degli esperimenti classici non
erano ancora disponibili i chelanti del calcio, è necessario aumentare il magnesio.

Anche la risposta b) è vera in quanto il calcio entra nelle cellule tramite canali voltaggio dipendenti, per cui
se si usano degli inibitori per tali canali, come ω-atracotoxin (inibitore prescelto per le sinapsi
interneuroniche o per la giunzione neuromuscolare) o alcuni metalli pesanti (ad esempio il Nichel), verrà
inibito l’ingresso del calcio.

Quesito 3:
Il potenziale miniatura si registra a
livello della giunzione neuromuscolare
scheletrica. Nella figura in basso è
presente un motoneurone che può
essere stimolato o meno e un elettrodo
nella fibra muscolare scheletrica nella
regione di giunzione.
I potenziali miniatura sono degli EPSP
sottosoglia, molto piccoli rispetto
all’ampiezza del potenziale di placca che

è molto grande.

In questo quesito ci sono molte risposte corrette: innanzitutto il


potenziale miniatura si registra in condizioni di non stimolazione (quindi
la risposta a) risulta vera e conseguentemente la risposta g) è falsa).

Spesso lo studente si confonde affermando che il potenziale miniatura si


trovi dove la giunzione è bloccata, ma non è vero in quanto, se così
fosse, si avrebbe una giunzione alla quale arriva uno stimolo, ma non si
registra nulla a livello del potenziale postsinaptico, poiché si è in una
condizione di blocco (che si può ottenere abbassando il calcio e alzando
magnesio), in cui la stimolazione è presente, ma proprio per tale blocco, non vi è liberazione di
neurotrasmettitore.

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Fisiologia I – Lezione n°25
16/12/2019

In queste condizioni posso rilevare il potenziale miniatura, ma esso non correla con la stimolazione, ovvero
avviene in tempi casuali. Questo potenziale lo registro, qualunque esso sia, anche in assenza di
stimolazione in una giunzione perfettamente normale.

Si tratta quindi di fenomeni che si osservano con una


frequenza variabile, ma che è intrinseca a se stessa, in
assenza del potenziale d’azione che arriva al terminale
postsinaptico.

Se si considera il tracciato, si ha una stimolazione per 4


volte e osservando ciò che succede a livello post noto che
in corrispondenza del potenziale d’azione essa è zero:
non succede mai nulla perché la sinapsi è bloccata e non
passa nessuna informazione (si nota solo EPP, non il
potenziale d’azione perché sono in una condizione con curaro, sotto soglia). Ogni tanto però si può vedere
un potenziale in miniatura di ampiezza molto piccola seppur in assenza di stimolazione presinaptica, per cui
non correlato alla stimolazione del sistema.

La risposta b) risulta corretta perché è vero che i potenziali diminuiscono di ampiezza con il curaro, in
quanto sono dovuti alla liberazione spontanea dei neurotrasmettitori. Se si eliminano tutti i recettori
ovviamente non si otterrà nessuna risposta, quindi l’ampiezza dipende dagli eventi postsinaptici.

La risposta d) è falsa perché si osservano sempre nella giunzione neuromuscolare a riposo, ovvero non
correlata alla stimolazione della giunzione, sia che sia bloccata a livello presinaptico mediante
l’abbassamento del calcio, sia che non sia stimolata. Se è bloccato il terminale postsinaptico e non ci sono
più recettori per il neurotrasmettitore, anche se quest’ultimo si liberasse, non si potrebbe vedere il suo
effetto perché non vi sono più recettori disponibili a interagire con esso.

La risposta f) è falsa perché questa è molto variabile, non si può quindi affermare che l’ampiezza sia di 4-5
mV.

La risposta c) risulta vera perché abbiamo visto che l’ampiezza dipende da eventi postsinaptici. È
semplicemente il neurotrasmettitore che si libera, quindi l’effetto sarà dato dal numero di recettori che il
neurotrasmettitore intercetta: se vengono bloccati i recettori diminuisce l’ampiezza. La frequenza invece,
quando si osserva un potenziale in miniatura, dipende solo da eventi presinaptici, ovvero dal potenziale di
membrana presinaptico.

Ci sono vari esperimenti in cui, al variare del potenziale di


membrana, varia anche la frequenza in modo lineare: la
frequenza aumenta se si depolarizza la membrana
presinaptica e diminuisce se si iperpolarizza. Quindi questo
ci dice che la liberazione del neurotrasmettitore è un
evento probabilistico e dipende solo dal potenziale
dell’elemento pre.

La depolarizzazione fa aumentare la frequenza del


potenziale in miniatura, fa aumentare la probabilità di
rilascio dei quanti e quindi il potenziale d’azione è una
depolarizzazione che aumenta la probabilità di rilascio del
neurotrasmettitore. Esso è un segnale standard, un bit dell’informazione, che viene utilizzato per

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sincronizzare il rilascio contemporaneo di molte vescicole di neurotrasmettitore, contenenti molti quanti di


neurotrasmettitore.
Infine, il punto e) è vero: fu osservato da studiosi che il potenziale miniatura scompare con la
denervazione, poiché se si toglie del tutto il neurone, quel potenziale di miniatura non c’è più.

Quindi non è una conseguenza di una fluttuazione di membrana della fibra muscolare scheletrica data
dall’andamento probabilistico di apertura dei canali voltaggio dipendenti della membrana post sinaptica
che si aprono e chiudono con una loro casualità.

Per cui tutti questi punti ci conducono a definire il potenziale miniatura come un evento probabilistico di
liberazione del neurotrasmettitore associato al valore del potenziale di membrana a riposo. Esso avviene a
una frequenza bassa (1 al secondo); se si depolarizza il potenziale di membrana, si osserva un aumento
della frequenza correlato ad un aumento della probabilità di rilascio del neurotrasmettitore.

Quesito 4:

La natura quantale è stata


dimostrata nella giunzione
neuromuscolare perfettamente
funzionante o in condizioni di
semi-blocco con abbassamento
del calcio.

Dato che si fa funzionare la


giunzione neuromuscolare si è in
una condizione di sistema
stimolato (per cui si deduce che la
risposta d) è falsa). Si vuole dimostrare come varia la liberazione del neurotrasmettitore quando arriva il
potenziale d’azione al terminale presinaptico, caso in cui il sistema è sempre sopra soglia rispetto al
potenziale d’azione.

Questo fenomeno risulta difficile da studiare perché il potenziale postsinaptico è sempre molto grande e
sopra soglia, quindi questo evento è mascherato dalla sovrapposizione del potenziale d’azione. Gli
sperimentatori portarono sotto soglia il potenziale di placca con il curaro, in modo da poterlo vedere.

A questo punto si vogliono invece studiare gli eventi presinaptici, il legame tra l’arrivo del potenziale
d’azione al terminale e la liberazione de neurotrasmettitore. È una sinapsi in cui il problema è il fatto che
venga liberata sempre un’elevata quantità di neurotrasmettitore. Gli sperimentatori, sulla base
dell’osservazione dei potenziali e delle informazioni in loro possesso, ebbero l’intuizione che si trattasse di
un fenomeno quantale, ovvero che si liberassero pacchetti di neurotrasmettitore, pur non sapendo a
quanto equivalesse il contenuto di ciascun pacchetto (ipotizzarono potesse essere una molecola di
acetilcolina). Per dimostrare che si trattasse di un fenomeno quantale, ovvero che procede a gradini,
dobbiamo essere in grado di registrare un fenomeno che segua un andamento a gradino; infatti non è
possibile vedere la liberazione del neurotrasmettitore, piuttosto si osserva la conseguenza della liberazione
del neurotrasmettitore sul potenziale di membrana postsinaptico. Quindi, dal potenziale di placca si vuole
capire come avviene il fenomeno di liberazione di neurotrasmettitore, perché non si ha modo di
visualizzare direttamente la liberazione delle vescicole.

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Osserviamo una modificazione postsinaptica che si basa sulla sommazione degli effetti di centinaia di
vescicole, quindi una depolarizzazione dovuta alla sommazione di apertura di canali e di correnti in un
sistema in cui la resistenza viene enormemente abbassata, per cui per vari motivi il sistema perde di
linearità.

Per vedere un fenomeno con la risoluzione tale da osservare l’andamento a gradino, ci si deve portare in
un regime di bassissima probabilità, ovvero quello in cui si può osservare uno, due o massimo la
sommazione di tre eventi alla volta. Come quando si va a vedere l’apertura dei canali nelle registrazioni
patch clamp di singolo canale, si osserva la corrente a gradino poiché esso o è chiuso o è aperto o è
nuovamente chiuso. Se si hanno due o tre canali che si aprono contemporaneamente, ciascuno con la
propria distribuzione di probabilità di apertura, si ottiene una traccia che presenta delle irregolarità, in cui
complessivamente, in presenza di centinaia di canali, non si distingue più il singolo evento di liberazione del
neurotrasmettitore. Dato che si vuole osservare un fenomeno a gradino, allora bisogna mettersi nelle
condizioni tali per cui sia possibile osservare il fenomeno quantale.

Se si dimostra che le registrazioni possono poi essere simulate con un modello di distribuzione discontinuo,
si ha la prova inconfutabile che il fenomeno è quantale. Lo si verifica per via statistica: si può dimostrare
che l’altezza della popolazione media degli studenti maschi e femmine di medicina a Firenze è distribuita in
modo continuo, non è che ci sono solo ragazzi di 1,65m, 1,70m e 1,75m, ma tutti i valori sono permessi,
quindi da un valore all’altro la distribuzione è infinitesima. Questo è il principio di una distribuzione
continua. Ciò potrebbe essere valido anche per la liberazione di neurotrasmettitore, ovvero liberare
qualsiasi quantità di molecola di neurotrasmettitore (mezza molecola, un quarto di molecola, 9.8, 10.1),
ovvero qualunque valore è permesso sulla base dell’osservazione delle conseguenze sulla membrana
postsinaptica.

Se invece dimostro che la liberazione di neurotrasmettitore provoca un effetto che causa una
depolarizzazione base, ad esempio, di 1 mV, e che se si libera un quanto depolarizza 1 mv, se si liberano 2
quanti depolarizzano 2 mV e così via, la distribuzione statistica di tipo discontinuo sovrapposta ai dati
conferma che il fenomeno è quantale.

Come il lancio di una moneta non può essere metà testa e metà croce, se il modello che si sta osservando
segue una legge di distribuzione discontinua come quella binomiale semplificata con la distribuzione di
Poisson, posso concludere in modo molto preciso che, anche se non vedo la liberazione, il fenomeno è
quantale sulla base della distribuzione dell’ampiezza e dell’effetto del neurotrasmettitore sulla membrana
postsinaptica in condizioni di bassa probabilità.

Questo è quello a cui ci conduce la risposta a questa domanda. Si vuole che sia il potenziale d’azione a
liberare il neurotrasmettitore, ma ci si mette in condizione di bassa probabilità, quindi la liberazione
quantale è stata dimostrata non in assenza di stimolazione della sinapsi (risposta d), ma in presenza di
stimolazione postsinaptica. Quindi bisogna mettersi in condizione di osservare i quanti e perciò ridurre
l’ampiezza del potenziale di placca su valori vicini a quelli del potenziale miniatura, perché si ipotizzava che
il potenziale miniatura fosse la conseguenza della liberazione di un quanto di neurotrasmettitore. Riposta
corretta a).

La risposta c) è errata perché “stimolando la sinapsi in condizioni di blocco presinaptico completo” vuol dire
che è stato totalmente disaccoppiato il fenomeno elettrico di membrana dalla liberazione del
neurotrasmettitore: in queste condizioni si vedrebbe solamente il potenziale miniatura, che è casuale.

La risposta corretta è la b).

Un altro concetto che spesso gli studenti mettono nella risposta alla domanda di descrivere la liberazione
quantale del neurotrasmettitore nella giunzione neuromuscolare, è il blocco col curaro, ma il curaro è un
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intervento postsinaptico, quando invece stiamo studiando la liberazione di neurotrasmettitore, non il


blocco dei recettori. Quindi il blocco è sì parziale, ma presinaptico.

Quesito 5:

Qual è la prova che la natura della


liberazione del neurotrasmettitore è
quantale?

Spesso gli studenti rispondono


“perché è un fenomeno
probabilistico”. Dobbiamo però
vedere che tipo di distribuzione
probabilistica segue. Perché,
riprendendo l’esempio precedente,
l’altezza media degli studenti di
medicina è un fenomeno probabilistico, ma segue una distribuzione continua con valori tutti diversi, quindi
non è quantale. Pertanto, è probabilistico secondo una distribuzione discontinua, ovvero una distribuzione
di Poisson.

Risposte d) ed e) corrette.
L'andamento probabilistico dell'ampiezza del
potenziale di placca della risposta a) non
dice nulla, perché potrebbe essere un
andamento probabilistico di natura
gaussiana, secondo la distribuzione
discontinua. Così come è corretto che segua
una distribuzione di Poisson sempre in
regime di bassa probabilità.

La risposta c) è sbagliata perché la


distribuzione d’ampiezza del singolo
potenziale miniatura segue una distribuzione Gaussiana. Esso ha un’ampiezza non equivalente a un valore
preciso (in biologia non c’è nulla che equivalga a un valore secco). Il potenziale di membrana sarà dato, ad
esempio per certi neuroni, da -70mV a ± 100mV.

In figura è rappresentata la distribuzione gaussiana attorno a un valore medio x con il proprio errore
standard.

Infatti, se vi ricordate, la distribuzione che veniva ottenuta nella classe numero di risposte (sull’asse x) e
numero di osservazioni (sull’asse y), secondo valori pari a 1, 2, 3, 4, e 5 è il risultato a istogramma
dell’esperimento che ha dimostrato la natura quantale della liberazione del neurotrasmettitore.

L’ampiezza del potenziale di placca si registrava in condizione di quasi blocco; molto spesso l’esperimento
funzionava in condizioni di basso calcio. Molte volte si genera lo stimolo, ma non si osserva nessuna
eccitazione sulla fibra muscolare, oppure un numero di osservazioni che corrisponde alla classe di ampiezza
pari a 1, 2, 3, 4, o 5. Questi sono valori sperimentali, poiché non è possibile ottenere le classi di Poisson
sulla base dei risultati e dei fallimenti. Si ricavano i valori previsti da Poisson sulla base del contenuto
quantale, ma quello che si osserva non è mai un valore preciso, perché ovviamente è una classe di
distribuzione.

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Ad ogni classe si sovrappongono le variabilità gaussiane e il potenziale di placca che si misura non è mai 1
mV di depolarizzazione in conseguenza alla liberazione di un quanto di neurotrasmettitore, qualche volta
sarà 0.9, altre 1.1. Pertanto, si libera sempre lo stesso quanto, ma c’è una variabilità che si ricava dalla
distribuzione gaussiana di ampiezza del potenziale miniatura. Quindi si stabilisce come varia il potenziale
miniatura nella sua ampiezza e poi si applica questa stessa variabilità anche alle classi di Poisson; così si può
ricostruire un andamento che simula perfettamente i dati sperimentali e concludere che la liberazione del
neurotrasmettitore è quantale: una dimostrazione molto elegante in via puramente statistica. Questi tipi di
dimostrazioni si usano moltissimo nei campi delle scienze che studiano l’analisi statistica dei fenomeni.

CONTRAZIONE
MUSCOLARE
Quesito 1:

Chiaramente la risposta b) è
errata perché il potenziale
d’azione è un fenomeno
stereotipo “tutto o nulla”, che
non può modulare in
ampiezza il fenomeno a valle. La risposta a) non è esatta perché la twitch non è il potenziale d’azione,
piuttosto la è la risposta contrattile in presenza di un potenziale d’azione sul sarcolemma, ovvero la
membrana della fibra muscolare scheletrica (risposta d). La riposta c) non è corretta perché essa equivale al
tetano.

Quesito 2:

Consideriamo il potenziale d’azione di 1-2 ms


della fibra muscolare scheletrica. La twitch,
che varia da muscolo a muscolo e dura molto
di più del potenziale d’azione (una decina di
ms), si sovrappone in una prima fase, ma
durando di più; se arriva un secondo
potenziale d’azione, si può andare incontro a
sommazione d’effetti. I potenziali d’azione non
si possono sommare, ma le conseguenze a
valle, ovvero le scosse semplici, si possono
sommare perchè avvengono su una base temporale successiva al potenziale d’azione. Questo è il motivo
per cui si può arrivare a una frequenza tale (la frequenza tetanica)
per cui si raggiunge per sommazione un forza massimale, oltre la
quale non si può andare, e non si riesce più a intravedere l’evento
meccanico alla base dovuto a un transiente di calcio.

Questo principio è anche alla base del fatto che il muscolo cardiaco
non si può tetanizzare, perché il potenziale d’azione nel miocardio
ventricolare dura centinaia di ms quindi, essendo molto più lungo, la
twitch si svolge tutta durante la durata del potenziale d’azione. Come sapete dalla prima parte del corso, il
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potenziale d’azione si associa a delle fasi di refrattarietà. Inizialmente siamo in una fase di refrattarietà
assoluta, perché i canali del sodio si aprono, (nel miocardio ventricolare a base rapida la depolarizzazione è
sempre dovuta a canali del sodio) con meccanismo voltaggio-
dipendente, ma si chiudono con meccanismo tempo-dipendente. La
porta di inattivazione sul lato interno del canale deve aprirsi per
tornare al potenziale di membrana di riposo e rimanere chiusa un
certo tempo per aprirsi nuovamente. Questo fa sì che per tutta la
durata del potenziale d’azione, e per un primo periodo, non si può
ottenere un secondo potenziale cardiaco, perché la porta di
inattivazione è chiusa. Si ha quindi la possibilità di generare solo
scosse semplici che si sussuegono, tutte della stessa ampiezza. Quindi il miocardio non può essere
tetanizzato per la maggior durata del potenziale d’azione che copre tutta la durata della scossa semplice
con la sua refrattarietà.

Tornando all’esercizio, è errato affermare che duri meno del potenziale (risposta e) e anche che duri
quanto il potenziale (risposta c). Sono invece corrette le risposte a), b) e d) perché si può andare incontro a
sommazione, la scossa semplice dura più del potenziale d’azione ed è variabile nei diversi tipi muscolari.
Infatti i muscoli lenti e rapidi sono proprio caratterizzati dalla meccanica della depolarizzazione e dalla
modalità di sviluppo di forza, differendo per la cinetica con cui si realizza l’evento di contrazione. I muscoli
rapidi hanno una cinetica di sviluppo e rilasciamento della forza più rapidi dei muscoli lenti e dipendono
anche dalla temperatura.

Quesito 3:

La riposta e) è errata perché la tossina tetanica non ha niente a che vedere con il tetano completo fuso: ha
questo nome perché è una tossina che si associa alla liberazione massiccia di neurotrasmettitore quindi
determina delle contrazioni tetaniche che poi portano al blocco della conduzione e della trasmissione
neuromuscolare per
l’abuso del
neurotrasmettitore.

La rispota c) è corretta
perché bisogna mettersi in
condizioni in cui il sistema
sia libero di sviluppare solo
forza. Sappiamo che il
muscolo sviluppa lavoro
quasi in tutte le condizioni,
ovvero forza e
accorciamento, tranne in
condizioni isometriche: ci
si mette così in una condizione in cui si sviluppa solo forza impedendo l’accorciamento. Il lavoro meccanico
esterno è 0, ma si può misurare la forza sviluppata e vedo che la massima forza possibile corrisponde alla
massima frequenza tetanica utilizzata e quindi alla massima sommazione possibile delle scosse semplici.

La b) non può essere corretta perché dato che nel tetano la cinetica di salita è fluida (smooth) e non si
vedono mai interruzioni, il secondo potenziale d’azione deve arrivare chiaramente prima che la fibra si
rilasci per avere un andamento fluido. Se invece arriva durante il rilasciamento, si avrà un andamento “a
gobba” dove si osserva un’interruzione nella fluidità della salita.
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La risposta d) è sbagliata perché i potenziali d’azione non si sommano.

La risposta a) è esatta, poiché ogni potenziale d’azione libera un certo quanto di calcio che va ad attivare il
sarcomero e, chiaramente, se prima che il calcio diminuisca, si va a liberare una quantità contingente di
calcio dal reticolo, questo andrà a sommarsi e aumenta ancora di più la concentrazione di calcio
citoplasmatico, riattivando ancor di più il sistema.

Come già visto, anche la risposta f) è corretta perché si verifica prima che si abbia la fase di rilasciamento
per garantire la fluidità della salita.

Quesito 4:
Se disegniamo gli elementi meccanici disposti in parallelo capiamo subito che, se la struttura si accorcia e i
due estremi si avvicinano, essa varia tutta nello stesso modo. Se siete tutti in piedi e tenete una pressione
dall’alto, tutti piegherete le ginocchia risentendo della stessa variazione di lunghezza. Quindi la
modificazione di lunghezza è la stessa e la forza totale, al contrario, è data dalla sommatoria dei singoli

elementi.

Quesito 5:

La miosina è un enzima della


classe delle ATPasi, dove l’actina
rappresenta il cofattore di
attivazione allosterica, ovvero
lega un sito diverso dal sito
catalitico attivo. L’affinità del
legame con l’actina dipende da
quale substrato occupa il sito
catalitico. Allo stesso modo
l’affinità del sito attivo per il
substrato e per i prodotti di
reazione dipende dal fatto che
l’altro sito sia legato o meno all’actina. Più la testa di miosina è legata all’actina, più bassa sarà l’affinità per
i prodotti di reazione del sito catalitico. Quindi il legame con la testa di actina praticamente allontana i
prodotti di reazione dal sito catalitico e questo è il fattore che aumenta il turnover dell’enzima, ovvero la
velocità con cui si scinde l’ATP. Un enzima si accelera velocizzando la fuoriuscita dei prodotti dal sito attivo
per permettere nuovamente il legame dei substrati.

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Quindi si parla di “cross talk” e l’affinità della testa dell’actina dipende da chi occupa il sito catalitico, se
ATP, prodotti di reazione o nulla, ma ugualmente l’attività del sito attivo per i prodotti dipende da cosa sta
facendo la testa nella sua interazione con l’actina.

La risposta a) è assolutamente errata innanzitutto perché il complesso RIGOR si ha quando non c’è ATP nel
citoplasma perché non funzionano più le vie metaboliche e ciò porta alla morte cellulare. Inoltre, quando
l’ATP si lega al sito attivo l’affinità della testa per l’actina crolla: è la minima possibile. Il legame dell’ATP al
sito attivo fa staccare la testa della miosina dall’actina, quindi è esattamente l’opposto ed è massima
quando il sito attivo è vuoto (RIGOR). Le risposte c) ed e) sono corrette, perché il fatto che il sito attivo sia
vuoto rende massima l’affinità della testa di miosina per l’actina. Infatti, tutto lo sviluppo di forze risiede
qui, perché è una condizione di attacco all’actina e propende i filamenti sottili verso il centro del
sarcomero.

In condizioni fisiologiche il complesso di RIGOR dura pochissimo, dato che nel citoplasma c’è una frazione di
secondo in cui esce l’ultimo prodotto di reazione e il legame si fa fortissimo; perciò è massima la capacità di
propulsione del filamento sottile. Questo determina il crollo dell’attività della testa della miosina per
l’actina e si stacca.

La b) è sbagliata perché basta ricordarsi che l’affinità per l’actina è massima quando non c’è niente nel sito
attivo, quindi il fatto che il fosfato cominci a uscire, fa aumentare l’affinità del legame per la testa della
miosina con l’actina. Addirittura, si pensa che sia proprio nello step di reazione in cui il fosfato esce dal sito
che si rafforza l’interazione e il power stroke (colpo di forza) è proprio legato a questo evento, ovvero
l’uscita del fosfato che rafforza il legame tra actina e miosina.
La risposta f) è vera perché l’affinità dipende dall’occupazione del sito attivo ed è minima in presenza di ATP
quindi non può che crescere quando l’ATP non c’è più. Innanzitutto, col fatto che non c’è più ATP, ma ADP +
Pi, aumenta l’affinità per il legame con l’actina. In assenza di ATP riprende l’interazione della testa che si
ravvicina all’actina e ciò fa diminuire ulteriormente l’affinità per i prodotti di reazione; quando esce il
fosfato questo rafforza ancora il legame con l’actina e fa diminuire ulteriormente l’affinità per l’ADP e
quest’ultimo viene liberato (risposta g). Pertanto, ogni evento su un sito innesca a catena un evento
sull’altro sito.
Quando cresce l’affinità, la testa si lega in forma debole e ciò fa crollare l’affinità per il fosfato. A sua volta
la liberazione del fosfato fa aumentare l’affinità per la testa dell’actina e ciò allontana l’ADP dal sito attivo
arrivando al complesso di RIGOR.

La risposta e) è corretta perché in questo modo si ha il distacco dei ponti.

La risposta d) è sbagliata perché l’ATP non viene mai liberata, piuttosto i suoi prodotti di reazione.

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Quesito 6:

La relazione
tensione/lunghezza è
importante come prova per la
teoria dello scorrimento dei
filamenti.
Abbiamo zero sviluppo di forza
quando è zero la
sovrapposizione (risposta b),
mentre quando si
sovrappongono i filamenti
sottili (risposta e) diminuisce la
forza, ma non è zero. Quando
la lunghezza è 1,85 µm
(risposta f) sta cominciando a crollare. Le risposte c) e d) sono corrette perché siamo in condizioni in cui
non c’è più sovrapposizione tra i filamenti. La risposta a) invece è sbagliata perché tra 2 e 2,2 µm siamo nel
plateau, al massimo della forza isometrica sviluppata. Quando il sarcomero ha la stessa lunghezza del
filamento spesso corrisponde alla massima sovrapposizione dei filamenti nella regione in cui ci sono i cross
bridge: nei 0,2 µm siamo in sovrapposizione nella zona centrale del filamento spesso, non ci sono teste di
miosina e non si possono formare legami crociati.

È zero anche quando la lunghezza scende al di sotto della lunghezza del filamento spesso (g), al di sotto di
1,6 micron il sistema collassa.

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